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PSICODINAMICA DELLE RELAZIONI

1. PIONIERI
Le basi teoriche per lo sviluppo dei modelli di terapia familiare si ritrovano nella PSICOLOGIA SISTEMICO-
RELAZIONALE negli anni ’50. In questi anni, infatti, l’attenzione delle discipline psicologiche si sposta dai
processi intrapsichici ai fenomeni interpersonali e al contesto in cui essi si manifestano.
La crisi dei modelli meccanicistici di causa-effetto e causalità lineare è sottolineata dalla diffusione della
Teoria Generale dei Sistemi (von Bertanlanffy), per la quale il sistema è considerato come una totalità e
non come la somma delle sue parti. Per comprendere il sistema, pertanto, si devono considerare le
complesse interazioni tra le sue componenti in un processo di causalità circolare (non lineare).
Le assunzioni di Bateson allontaneranno questa nuova prospettiva anche dal pensiero psicoanalitico:
1. L’individuo è ritenuto un sistema aperto capace di autoregolazione e in interscambio continuo con
l’ambiente: perciò, l’unità di studio non è più il singolo individuo ma l’individuo nel suo ambiente
2. L’interscambio tra l’individuo e l’ambiente non è un interscambio di energia, ma di informazione: ciò
apre la strada alla considerazione della “retroazione” e della “circolarità” nella comunicazione umana
3. I processi mentali non sono interamente identificabili con l’individuo, ma comprendono anche vie e
messaggi che connettono individuo e ambiente, data la loro inseparabile correlazione
Alla base del pensiero v’è la considerazione per la quale il tutto è più della somma delle parti: le proprietà
dell’insieme dipendono dalla relazione delle sue parti, oltre che dalle loro caratteristiche. Come detto,
quindi, l’unità di osservazione si sposta alla relazione e al contesto nella quale la si osserva. Di
conseguenza, ogni persona fa parte di una serie di contesti di relazioni: del contesto familiare in cui nasce,
della comunità in cui vive e della cultura di appartenenza (teoria ecologica dello sviluppo).
Negli stessi anni, la CIBERNETICA di Wiener si propone di studiare l’autoregolazione che si verifica sia nei
sistemi naturali (omeostasi corporea) che in quelli artificiali (termostato). Il suo concetto base è proprio
quello di feedback o retroazione, secondo il quale una parte dei dati in uscita da un sistema aperto rientra
nel sistema sotto forma di informazioni riguardo all’uscita dello stesso. Quindi, il rapporto tra causa-effetto
non è più lineare, ma i sistemi funzionano in un continuo processo di causalità circolare, proprio perché
l’effetto può tornare ad influenzare la causa attraverso retroazioni o feedback.
La retroazione può essere negativa o positiva: la prima se l’informazione è usata per diminuire la
deviazione in uscita relativamente a un valore di riferimento (il sistema conserva l’omeostasi), mentre la
seconda se l’informazione in entrata aumenta la deviazione all’uscita (il sistema modifica l’equilibrio).
Il GRUPPO DI PALO ALTO si propose di applicare la prospettiva sistemico-cibernetica anche alle relazioni
umane, ponendo l’attenzione sul sistema famiglia come “totalità in continuo interscambio con l’ambiente”
anziché come semplice agglomerato di individui isolati dal loro contesto. La famiglia è vista come un
sistema cibernetico che si autogoverna attraverso la retroazione (causalità circolare) e si autoregola
attraverso l’omeostasi. Le famiglie cliniche, in particolare, possono “delegare” ad uno dei membri il ruolo di
“componente omeostatica”, per riportare il sistema sull’assetto precedente se l’equilibrio viene minacciato.
In breve, ogni volta che un’informazione amplifica la deviazione (una lite), tale comportamento della
persona sintomatica subisce un incremento (sintomi psicosomatici).
In quest’ottica, il disagio psichico è visto come una distorsione del comportamento comunicativo.
Collaborando con Bateson, il gruppo introdusse la TEORIA DEL DOPPIO LEGAME, secondo la quale la
comunicazione disfunzionale all’interno delle relazioni diadiche è alla base di alcuni disturbi considerati
intrapsichici, come la schizofrenia. Nella teoria, le famiglie schizofreniche analizzate dal gruppo di Palo
Alto, oltre a comunicare in modo contraddittorio, proibiscono la metacomunicazione ai loro membri,
bloccando qualsiasi comunicazione che possa risolvere queste stesse contraddizioni.
Il sintomo è quindi un segnale di disagio relazionale all’interno del sistema familiare: l’individuo portatore
del sintomo diventa colui che esprime anche per gli altri le difficoltà legate all’evoluzione!
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Il GRUPPO DI PHILADELPHIA (Boszormenyi-Nagy), più aderente alla tradizione psicoanalitica, si concentra
sugli aspetti soggettivi e storici della famiglia. La terapia non può basarsi solo sull’osservazione delle
regole comunicative rigide della famiglia o sulle sue caratteristiche strutturali nel “qui ed ora”, bensì deve
far riemergere le immagini del passato. Poiché non si può pensare che tutte le variabili necessarie al
funzionamento familiare si trovino all’interno della relazione genitoriale, per comprendere il disagio
individuale è doveroso reintrodurre la dimensione temporale e considerare almeno 3 generazioni.
La prospettiva trigenerazionale considera le relazioni integrando la dimensione orizzontale e verticale
(genogramma). Ogni famiglia tramanda la storia, le tradizioni, i ruoli, i valori e i modelli comportamentali
alla generazione seguente: in un certo senso, ogni generazione dipende dalle generazioni precedenti e dal
modo in cui queste hanno affrontato i propri compiti di sviluppo e gli eventi critici.
Stierlin distingue 3 modalità di trasmissione intergenerazionale:
 LEGARE : i legami sono troppo stretti
 DELEGARE : una modalità che lascia autonomia al figlio, di modo che possa allontanarsi dalla famiglia,
ma ad essa debba sempre rendere conto. Questo “legame di lealtà” assume la forma di impegno tra le
generazioni: in breve, ogni relazione familiare è influenzata dalle lealtà e dal rispetto per la storia
multigenerazionale. L’adulto che rivolge al figlio cure e attenzioni diviene a sua volta creditore di una
serie di debiti che il figlio dovrà saldare, che sono alla base della connessione transgenerazionale
 RIFIUTARE : i legami sono troppo labili
Il contributo della TEORIA ECOLOGICA DELLO SVILUPPO di Bronfenbrenner è determinante per sottolineare
come, nell’analisi dei processi di sviluppo individuale, non si possono analizzare solo i contesti relazionali
che prevedono uno stretto contatto (famiglia), ma anche quelli più lontani. Direttamente o indirettamente,
come detto, ciascun membro del nucleo familiare è coinvolto in vari contesti, i quali contribuiscono a
mediare o moderare la causalità dei fattori che contribuiscono allo sviluppo. In breve, l’ambiente rilevante
per lo sviluppo non è solo quello che il soggetto sperimenta direttamente, ma anche i sistemi ambientali di
ordine più generale che interagiscono tra loro e sono più lontani dalla sua esperienza immediata. In
quest’ottica, l’ambiente ecologico può essere definito come il contesto di sviluppo dell’individuo, e si
rappresenta come un sistema di strutture concentriche l’una inclusa nell’altra:
 MICROSISTEMA : il contesto che prevede il contatto diretto e l’interazione faccia-a-faccia, comprende
l’insieme degli individui coi quali il singolo stabilisce relazioni intime (famiglia, scuola, gruppo dei pari)
 MESOSISTEMA : comprende le interrelazioni tra due o più contesti ambientali ai quali l’individuo
partecipa attivamente (relazioni tra famiglia e gruppo dei coetanei). La sua analisi è importante per
capire come tali relazioni influiscano in termini di fattori di rischio o di protezione sullo sviluppo
 ESOSISTEMA : è costituito da una o più situazioni ambientali di cui l’individuo non è partecipante attivo,
ma che indirettamente influenzano ciò che accade nella situazione ambientale e, quindi, lo sviluppo
dell’individuo stesso (influenza del contesto lavorativo sul contesto delle relazioni familiari)
 MACROSISTEMA : è un contesto sovrastrutturale che condiziona micro-, meso- ed esosistema. È legato
a culture, subculture e organizzazioni sociali più ampie, con i relativi sistemi di norme, credenze,
ideologie, rappresentazioni sociali e aspettative rilevanti ai fini dello sviluppo
In quest’ottica, la teoria ecologica è determinante per comprendere che sviluppo individuale, familiare e
ambientale sono processi che si intersecano e si influenzano reciprocamente (ecomappa).
1.1 - MURRAY BOWEN
Bowen concepisce la famiglia come un’unità emotiva con complesse interazioni tra i membri, legati tra loro
da vincoli emotivi. Queste relazioni e vincoli emotivi fanno si che un cambiamento all’interno di un singolo
membro familiare si ripercuota sull’intero nucleo, anche a livello trigenerazionale (omeostasi). Le famiglie
differiscono per il grado di interdipendenza emotiva, ovvero per il livello di:
 DIFFERENZIAZIONE INDIVIDUALE O DEL SÉ : capacità dei membri della famiglia di esprimere la propria
individualità, agire in modo autonomo, pur rimanendo emotivamente collegati ad altri. Dipende in larga
parte dalla misura in cui l’individuo ha risolto con successo l’attaccamento emotivo alla sua famiglia
d’origine. Gli individui scarsamente differenziati non hanno un chiaro senso di Sé, bensì mostrano un
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forte bisogno di approvazione e di accettazione da parte degli altri, che tende a guidare i loro
comportamenti e le loro relazioni. Tali individui rischiano di sviluppare relazioni problematiche,
“fondendosi” nella relazione con il proprio partner o, al contrario, effettuando dei “tagli emotivi”.
Il taglio emotivo porta l’individuo a staccarsi in modo brusco, psicologicamente o fisicamente, dalla
famiglia di origine, nel tentativo di evitare la fusione e mantenere il controllo. In breve, la persona si
finge più autonoma di quanto non sia: così facendo, però, tale rottura traumatica determina un forte
bisogno di vicinanza emotiva (mascherata da atteggiamenti di autonomia e di sicurezza)
 DIFFERENZIAZIONE FAMILIARE : grado in cui la differenza e l’individualità è tollerata all’interno del
sistema. Nelle famiglie con alto livello di differenziazione, i membri tendono a rispettare le proprie e le
altrui individualità: gli individui sono visti come persone che hanno il diritto di pensare e agire
indipendentemente dagli altri membri. Nella famiglia indifferenziata o con alto grado di fusione, i
membri sono “emotivamente bloccati insieme”: l’individualità dei singoli è vista come una minaccia per
la stabilità della famiglia. Queste famiglie non riescono a gestire i conflitti, usando pattern disfunzionali
(triangolazione): di conseguenza, le paure, le ansie, lo stress e le gioie di un membro della famiglia
sono sentite intensamente e personalmente da tutti gli altri membri della famiglia
Bowen introduce il concetto di TRIANGOLO, inteso come la struttura elementare di tutte le relazioni e come
l’unità minima di osservazione. La sua analisi permette di comprendere sia il sistema familiare nei suoi
processi evolutivi normali che l’esistenza di aspetti emotivi che si tramandano nelle generazioni.
La malattia psichica, oltre ad essere riconducibile alla scarsa differenziazione del Sé in ambito familiare, è
un processo trigenerazionale, nel senso che i livelli di indifferenziazione e i legami emotivi irrisolti nelle
famiglie d’origine vengono riattualizzati nelle generazioni: indi, il livello di differenziazione raggiunto dai
genitori condiziona le relazioni con i figli. Proprio per evidenziare la trigenerazionalità, Bowen ha introdotto
lo strumento del GENOGRAMMA, che permette di rendere visibili i processi che si trasmettono tra le
generazioni. Questo è che la rappresentazione grafica dell’albero genealogico e una descrizione dello
sviluppo storico di una famiglia: la sua utilità è connessa al fatto che l’individuo riesce ad avere uno
sguardo più distaccato alla propria storia familiare. L’unico modo per poter vedere la rete di triangoli in cui
si è naturalmente inseriti, infatti, è distanziarsi emotivamente da questi.

1.2 - SALVADOR MINUCHIN


Minuchin definisce la famiglia come un sistema caratterizzato da una ben definita STRUTTURA FAMILIARE,
ovvero l’invisibile insieme di richieste funzionali che determina i modi in cui i componenti della famiglia
interagiscono. In breve, la famiglia è un sistema che opera tramite dei modelli transazionali: interazioni che
definiscono ruoli e livelli di autorità / dipendenza all’interno del nucleo familiare e che, ripetendosi, regolano
il comportamento futuro di ogni membro della famiglia, definendo il sistema stesso.
Questa struttura familiare deve essere capace di adattarsi quando le situazioni cambiano! La capacità di
una famiglia di far fronte ai cambiamenti richiesti dipende dalla disponibilità di modelli transazionali
alternativi, oltre che dalla sua abilità a mobilitarli quando necessario. Tali cambiamenti possono essere:
 Interni : cambiamenti relativi al ciclo vitale e alle fasi che la famiglia affronta nella sua evoluzione
 Esterni : caratterizzano analogamente tutte le famiglie (trasferimento, cambiamenti economici)
La famiglia si differenzia in vari SOTTOSISTEMI, nei quali ogni individuo ha differenti gradi di potere:
 SOTTOSISTEMA CONIUGALE : si forma quando 2 adulti si uniscono col proposito di formare una famiglia.
Ha compiti vitali per la famiglia (protezione e socializzazione dei suoi membri, favorire la crescita e
l’apprendimento) e, pertanto, dal suo funzionamento dipende gran parte del funzionamento familiare.
La complementarietà di funzioni e il reciproco adattamento prevedono che ogni partner rinunci a parte
della sua individualità per “riguadagnarla” nel rapporto di coppia. Il problema insorge nei rapporti
simmetrici, in cui l’accettazione dell’interdipendenza reciproca è frenata dall’insistenza che ciascun
coniuge pone sui propri diritti individuali. Con la nascita del primo figlio, questo sottosistema deve
mantenere un territorio proprio, ponendo un “confine funzionale” con il sottosistema genitoriale: solo
così i coniugi possono darsi reciproco sostegno e non subire l’influenza dei figli e dei suoceri
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 SOTTOSISTEMA GENITORIALE : origina dalla nascita del primo figlio e può comprendere anche nonni o
cugini che assolvono alle funzioni di allevamento dei figli, di guida e di controllo. L’autorità è un
ingrediente basilare di questo sottosistema, poiché consente la conservazione della gerarchia dei ruoli:
in breve, i genitori possono svolgere la loro funzione solo conservando l’autorità sui figli
 SOTTOSISTEMA DI FRATELLI E/O SORELLE : è il primo “laboratorio sociale”, un contesto ideale in cui i
bambini possono sviluppare le abilità interpersonali che serviranno loro nelle relazioni tra coetanei
La valutazione dei CONFINI, ovvero delle regole che prescrivono chi dovrebbe essere in contatto con chi e
su cosa, è un indicatore fondamentale per il buon funzionamento della famiglia. La loro funzione è la
salvaguardia della differenziazione del sistema nei vari sottosistemi che lo compongono:
 CONFINI CHIARI : passano informazioni adeguate rispetto alla relazione e alla fase del ciclo vitale. I
confini son definiti in modo da permettere ai membri di relazionarsi ed esercitare le proprie funzioni
senza interferire. Sussistono regole ben definite su “chi” partecipa e “come” ai vari sottosistemi
 CONFINI DIFFUSI : si ha il passaggio di una quantità eccessiva di informazioni qualitativamente non
pertinenti (famiglie invischiate). I membri familiari non percepiscono le differenze individuali: il loro
legame è tale che il tentativo di cambiamento di uno dei membri sollecita la resistenza da parte degli
altri. Si parla quindi di una relazione rigidamente complementare caratterizzata da disconferme
 CONFINI RIGIDI : una persona riceva una quantità insufficiente di informazione e/o è privata di
informazioni che gli competerebbero (famiglie disimpegnate). Poiché la distanza emotiva è eccessiva,
la tendenza alla differenziazione va a discapito dello sviluppo del senso dell’appartenenza
Il buon funzionamento della famiglia implica confini chiari e definiti, ma non impermeabili.
Sia i confini diffusi che quelli rigidi risultano disfunzionali. Ci si riferisce a queste situazioni con i termini:
- FAMIGLIE INVISCHIATE : i confini tra i sottosistemi sono molto labili, se non inesistenti. V’è eccessiva
interconnessione e risonanza tra i membri. Il senso di appartenenza è talmente forte da ostacolare la
differenziazione e l’autonomia dei membri (l’emozione di un singolo è vissuta dall’intero sistema).
I figli delle famiglie invischiate imparano a dipendere esclusivamente dalla famiglia. In tali famiglie sono
diffuse le dinamiche di iperprotezione: il coinvolgimento dell’intera famiglia nei confronti del figlio
malato, la preoccupazione eccessiva per il benessere fisico del bambino e la costante richiesta di
reazioni protettive altro non fanno che contribuire a mantenere sommersi i potenziali conflitti
- FAMIGLIE DISIMPEGNATE : il senso di appartenenza è labile e i legami sono deboli. Ciò significa che se
un membro di una famiglia incontra dei problemi non troverà sostegno e conforto negli altri, tendendo
addirittura a manifestare o amplificare un sintomo perché la sua sofferenza sia “notata”
A queste famiglie manca la capacità di mettere in discussione e modificare i modelli di negoziazione
abituali, che non possono più soddisfare i bisogni dei suoi membri. La famiglia aderisce per inerzia a
modelli obsoleti per mancanza di consapevolezza o per paura. Indi, “disimpegno” e “invischiamento”
rappresentano due strategie per evitare il conflitto legato alla paura del cambiamento. Tuttavia, non sono
strategie disfunzionali di per sé (una maggior coesione tra i membri a volte è richiesta), ma diventano
inadeguate se si cronicizzano e non evolvono in relazione alle esigenze trasformative dei membri.
Nella terapia, il clinico deve bloccare le modalità disadattive di funzionamento affinché la famiglia
sperimenti nuove modalità di interazione e di comunicazione (de-strutturare al fine di ri-strutturare).
L’osservazione dei confini consente a Minuchin di definire alcune FAMIGLIE CON CONFINI DIFFUSI:
 NONNA ASSENTE : si verifica se la madre biologica evidenzia fragilità rispetto al proprio ruolo. Se la
nonna si “sostituisce” ad essa anziché promuovere l’acquisizione del nuovo ruolo genitoriale, la madre
biologica resterà figlia, e la nonna sostituirà la madre. quindi, mancherà la figura della nonna
 PARENTAL CHILD : si verifica se il padre assume un ruolo secondario e periferico nella vita familiare
(motivi lavorativi). In tali casi, la madre svolge le funzioni tipicamente paterne (gestione dell’autorità), e
può delegare ai figli una serie di funzioni. In breve, si verifica un’attribuzione di potere genitoriale a un
figlio. Se questa situazione si stabilizza e permane nel tempo, diventa disfunzionale: il figlio
“adultizzato” non ha libertà di sperimentare e creare altri rapporti affettivi al di fuori della famiglia. Allo
stesso tempo, anche i fratelli possono sentirsi trascurati e manifestare problematiche emotive
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 FAMIGLIE MONOGENITORIALI : quando il sistema registra l’assenza del padre, spesso il figlio prende il
suo posto, rimanendo “intrappolato” in una relazione invischiata con la madre. Questo suo ruolo
disfunzionale lo indurrà a non dare ascolto ai propri bisogni e reprimere i propri desideri
Problematiche relative ai confini sorgono anche se si verifica il passaggio di tensioni tra i sottosistemi.
In un sistema funzionante, la flessibilità dei confini fa sì che eventuali tensioni entro un sottosistema
possano essere “scaricate” su altri sottosistemi, in modo da ridursi. In questo senso, la formazione dei
triangoli rappresenta un processo naturale e funzionale che modula la reattività emotiva tra gli individui e
può permettere la riduzione degli attriti tra i vari membri. Tuttavia, se questa modalità di scarico della
tensione in un sottosistema diventa abituale, si ha la formazione di una TRIADE RIGIDA: una struttura triadica
nella quale il confine tra sottosistema genitoriale e il figlio diventa diffuso, mentre il confine intorno alla
triade genitori-figlio diventa rigido. Questa struttura può assumere 3 forme diverse:
1. COALIZIONE : uno dei genitori si allea con il figlio contro l’altro in una coalizione rigidamente definita e di
tipo transgenerazionale (richiede confini diffusi e un passaggio di informazioni non pertinenti). Inoltre,
poiché l’interesse comune dei membri coalizzati è il tentativo di produrre un danno a terzi, ne
consegue che all’interno della coalizione non esiste un rapporto autentico tra coloro che la formano
2. TRIANGOLAZIONE : ciascun genitore vuole che il figlio parteggi per lui, contro l’altro. È definita come una
coalizione instabile, da cui risulta un bambino paralizzato nelle scelte, il cui destino è l’indecidibilità
3. DEVIAZIONE : per mantenere un’apparente armonia, la coppia “devia” le sue tensioni sul figlio,
rinforzando ogni suo comportamento deviante per mettere da parte i conflitti. Assume 2 forme:
 Appoggio : il figlio è “malato” e i genitori si associano per proteggerlo (disturbi psicosomatici)
 Attacco : il figlio è “cattivo” e i genitori si associano per combatterlo e controllarlo

1.3 - CARL WHITAKER


L’APPROCCIO SIMBOLICO-ESPERIENZIALE di Whitaker è orientato alla consapevolezza e alla crescita
personale: non è basato sulla comprensione intellettuale, ma sul linguaggio metaforico e non verbale.
Poiché nel trattamento agiscono come fattori curativi sia fattori simbolici che reali, aiutare le famiglie ad
approfondire questo “mondo sotterraneo” degli aspetti simbolici (di cui spesso non si ha consapevolezza)
può aiutarle a condurre delle vite più complete. Lo stesso Whitaker definisce il suo approccio una “terapia
dell’assurdo”, poiché finalizzato a far riemergere l’assurdo, la pazzia, intese come la parte irrazionale che è
presente in ognuno di noi e che è spesso eccessivamente sacrificata per adattarsi alla realtà.
La psicoterapia dell’assurdo punta a spezzare i modelli stereotipati di comportamento attraverso:
 METAFORE e LINGUAGGIO SIMBOLICO : costituiscono delle opportunità per promuovere un cambiamento
positivo, per accrescere la flessibilità della famiglia rispetto ai ruoli e ai comportamenti
 UMORISMO e GIOCO : consentono allo psicologo di entrare nel mondo simbolico e della fantasia, di
connettersi in modo più autentico e meno formale alla famiglia. L’umorismo è inteso come una
“anestesia generale” per attutire il dolore che provoca il disgelarsi delle difficoltà affrontate in terapia
 ESASPERAZIONE e PROVOCAZIONE : non implicano un’aggressione, ma un’azione di sostegno: il membro
della famiglia che si sente provocato nelle proprie difese, nel proprio sintomo, al contempo si sente
compreso, perché sente che lo psicologo ha capito il suo problema nascosto. Provocando il sintomo di
un membro, inoltre, lo psicologo può attivare reazioni nell’intero sistema familiare
 CO-TERAPIA : è una tecnica che aiuta a conservare una relativa mancanza di controllo. Cioè, mentre un
terapeuta può permettersi di “impazzire insieme al paziente”, al contempo sa di poter contare sul co-
terapeuta, in grado di soccorrerlo prima che s’identifichi troppo nella situazione
1.4 - NATHAN ACKERMAN
Ackerman fu uno dei primi a sottolineare, nel 1962, l’importanza di includere nel trattamento padri, madri,
bambini e nonni, in modo da conoscere la persona nel contesto più ampio nell’arco delle 3 generazioni.
Secondo il suo pensiero, inoltre, la patologia di un membro della famiglia ha natura relazionale, poiché
nasce all’interno del contesto familiare: in un certo senso, è come se l’individuo portatore dei sintomi
diventasse il “capro espiatorio” per la patologia della famiglia. Per questo motivo, Ackerman sottolinea
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l’importanza di osservare il bambino all’interno della famiglia: egli considera il sintomo del bambino come
un’espressione funzionale della trama emotiva dell’intera famiglia. Pertanto, per comprendere la sua
natura si devono osservare le relazioni fra il bambino e i sottosistemi familiari. La sua, quindi, è una
prospettiva ecologica: l’ambiente familiare è cruciale per capire i modelli di adattamento del bambino, e va
esaminato come parte di un sistema più ampio, che comprende relazioni sociali e modelli culturali.
Come detto, i disturbi infantili derivano dalle relazioni disfunzionali all’interno del sistema familiare. Inoltre,
il significato del sintomo del bambino può essere compreso solo se inserito in una prospettiva
multigenerazionale: si deve dunque riflettere sul significato del sintomo in quel dato sistema familiare ed in
quella determinata fase del ciclo vitale, collocandolo in un contesto trigenerazionale.
Nella maggior parte dei casi, il problema del bambino viene usato per segnalare un disagio relazionale
appartenente all’intero del sistema familiare. La funzione del sintomo è di mantenere le caratteristiche
dell’OMEOSTASI GENERAZIONALE: il ruolo di “paziente designato” o di “capro espiatorio” assunto dal bambino
consente di salvaguardare l’armonia delle relazioni familiari. Così, i familiari considerano il paziente come
la causa dei loro rapporti conflittuali e insistono sulla natura organica del sintomo. Inserendo nell’indagine
anche le famiglie di origine, tuttavia, emerge una sofferenza generazionale: quindi, si può vedere il
sintomo come una “richiesta di aiuto” che il bambino fa per tutto il sistema.
È per questo motivo che molti autori sistemico-relazionali vedono il bambino come una risorsa, l’unico che
compie atti che possono portare a un cambiamento: il suo sintomo segnala che qualcosa sta frenando la
sua crescita emotiva e la sua collaborazione è utile per guidare il clinico nel mondo familiare.
Ackerman utilizza il termine di “GENITORIALIZZAZIONE” o “parental child” creato da Minuchin, intendendo con
esso un’inversione dei ruoli nel sistema familiare che non consente al bambino di vivere nel livello
generazionale appropriato. In questo senso, un figlio è come se occupasse il posto dei genitori, i quali
scendono al piano generazionale del bambino. I bambini, i figli, sono eternamente leali ed accettano
l’esigenza dei genitori di essere confortati, svolgendo funzioni e ruoli che permettono loro di proteggere il
sistema familiare, ma rinunciando ai propri bisogni e a vivere adeguatamente la propria età.
Col passare del tempo, il desiderio non esaudito di cure dai propri genitori influenzerà le relazioni future e il
modo stesso di fare il genitore. Se il coniuge deluderà questa aspettativa, il genitore potrebbe spostare le
sue richieste sulla generazione successiva (i figli), assumendola come una nuova risorsa e allontanandosi
sempre di più dal destinatario opportuno, al quale le richieste dovrebbero essere indirizzate.
Nel sottosistema dei fratelli vi sono ruoli non evidenti, ma che se assunti con rigidità costituiscono un
rischio per una crescita sana. Tra questi vi sono i figli modello, che sebbene non diano preoccupazioni
sembrano soffrire interiormente. Se i genitori non si accorgono dei loro bisogni e focalizzano ogni loro
attenzione sul figlio che ha il ruolo di capro espiatorio, ne possono seguire futuri problemi relazionali.

1.5 - VIRGINIA SATIR


Secondo Virginia Satir, le relazioni e la salute dell’individuo sono determinate in gran parte dal suo livello
di autostima. Perciò, una delle funzioni della famiglia e del terapeuta è quella di valorizzare l’autostima, in
modo che l’individuo raggiunga lo stato di “maturazione”, ovvero quello in cui l’essere umano ha pieno
controllo di se stesso, delle sue scelte e delle sue decisioni. Di contro, il ripetuto utilizzo di modelli
disfunzionali all’interno della famiglia può contribuire allo sviluppo di un basso livello di autostima nei suoi
membri. Quindi, la bassa autostima compromette la salute mentale dell’individuo e della famiglia e negli
interventi clinici è essenziale riuscire ad elevare il suo livello nei membri familiari.
La tecnica della SCULTURA FAMILIARE ritrae la natura del sistema di relazioni della famiglia nello spazio,
tramite la disposizione fisica dei componenti della famiglia. È una rappresentazione analogica, non
verbale, che consente di raccogliere emozioni e percezioni dei pazienti che attraverso i canali verbali
sarebbe difficile esprimere. Durante la scultura, la Satir invitava le famiglie a riprodurre le loro modalità
d’interazione abituali. In particolare, un membro della famiglia “scolpisce” gli altri usando la disposizione
dei corpi nello spazio, le fisionomie, la postura del corpo, gli sguardi, la vicinanza o la distanza. Solo dopo
che è stata realizzata viene seguita dal commento dei vissuti dei singoli membri della famiglia.
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La scultura trigenerazionale implica anche il coinvolgimento delle famiglie d’origine. L’analisi di queste,
infatti, è estremamente importante: i genitori (“architetti” della famiglia nucleare) portano con sé quello che
hanno imparato dalle rispettive famiglie d’origine all’interno della famiglia attuale.
Oltre ad intervenire attivamente per avere un contatto emotivo con i pazienti, usando le metafore e
l’umorismo, era solita toccare fisicamente i membri della famiglia. Riteneva importante insegnare ai
pazienti ad essere consapevoli del proprio corpo, degli spazi e dei confini: la consapevolezza delle
sensazioni fisiche ed emotive aiuta a identificare le percezioni, le aspettative e i desideri del Sé.

1.6 - JAY HALEY


Secondo Haley, le relazioni umane sono una lotta assidua per il potere, per decidere chi detta le regole e
chi controlla la definizione della relazione stessa. Gli stessi sintomi possono essere intesi come manovre
di potere all’interno di una relazione, come modalità comunicative utili per controllare gli altri: ciò significa
che il paziente designato rappresenta il “controllore” che usa il potere a lui concesso dal sintomo, mentre
gli altri membri familiari sono i “controllati” che subiscono questo stesso potere.
Maggiori sono i problemi e le tensioni nelle coppie e nelle famiglie, tanto più la difficoltà a non affrontarle
direttamente dai genitori viene “deviata” sulle relazioni con i figli. Se tale condotta disfunzionale assume
carattere di rigidità e pregnanza, prende la forma del TRIANGOLO PERVERSO: il contesto in cui un membro di
una generazione forma una “coalizione segreta” con una persona di un’altra generazione contro un proprio
pari. È anche detta “coalizione intergenerazionale”, in quanto coinvolge 2 persone della stessa
generazione e un’altra di una generazione diversa. È una coalizione che non diviene mai esplicita, ma è
costantemente negata: così facendo i genitori non possono che prestare il massimo dell’attenzione al figlio
sofferente, rafforzando così il loro sottosistema. Al contempo, però, gli effetti peggiori di tale configurazione
relazionale sono rivolti all’angolo più debole, che di solito è il livello generazionale più basso (soprattutto i
figli unici). Haley insiste sull’importanza delle configurazioni triangolari che si formano nelle famiglie (ne
individua 21), sottolineando la pericolosità di un eventuale coinvolgimento di un membro in più triangoli in
conflitto e in antagonismo tra loro: un triangolo tipico si forma di un genitore che, coalizzandosi con il figlio,
intende svalutare l’autorità dell’altro genitore.

2. PRAGMATICA DELLA COMUNICAZIONE


Per Watzlawick, lo studio del comportamento umano deve spostarsi dall’analisi deduttiva della mente
all’esame delle manifestazioni osservabili nelle relazioni, basate sulla comunicazione. La PRAGMATICA
DELLA COMUNICAZIONE, pertanto, studia gli effetti della comunicazione sul comportamento dei parlanti.
Come si è visto, mentre la tradizione psicoanalitica freudiana era una teoria dei processi intrapsichici, che
ha quindi trascurato l’interdipendenza tra individuo e il suo ambiente, dal secondo dopoguerra il centro
della pragmatica diventa lo SCAMBIO DI INFORMAZIONE, e non di energia. Una volta messa l’informazione al
centro dell’attenzione, entra in gioco il concetto di feedback, ovvero di RETROAZIONE, di ritorno verso
l’emittente di informazioni relative allo stato del ricevente dopo che ha ascoltato il messaggio
dell’emittente, che si è visto essere positiva (cambiamento) o negativa (omeostasi).
I sistemi interpersonali possono essere considerati circuiti di retroazione, poiché il comportamento di ogni
persona influenza ed è parimenti influenzato dal comportamento di ogni altra persona.
I sistemi a retroazione, inoltre, possiedono un alto grado di complessità: è quindi impossibile isolare e
studiare singolarmente una variabile, poiché il sistema risulterebbe deformato e compromesso.
V’è quindi necessità di nuovi schemi concettuali per studiare la comunicazione nella psicopatologia:
 SCATOLA NERA : la psichiatria deve considerare la mente alla stregua di una scatola nera, poiché non
può essere esplorata. Si può interpretare il comportamento umano solo studiando i suoi effetti
pragmatici (comunicazione), senza azzardare alcuna ipotesi intrapsichica (comportamentismo)
 CONSAPEVOLEZZA E NON CONSAPEVOLEZZA : non importa sapere se il comportamento di un emittente è
intenzionale o meno, e quindi se egli è consapevole di aver emesso un messaggio. L’intenzionalità è
indifferente poiché sarà il ricevente a decidere come interpretare il messaggio (costruttivismo)
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 PRESENTE E PASSATO : sebbene il comportamento sia in parte determinato dall’esperienza passata, le
cause o motivazioni del passato sono inattendibili, e bisogna analizzare l’interazione nel qui-ed-ora
 CAUSA ED EFFETTO : è essenziale analizzare gli effetti, piuttosto che le cause di un comportamento. È
cruciale capire a quale scopo viene adottato un comportamento, più che chiedersi il perché
 CIRCOLARITÀ DEL PROCESSO DI COMUNICAZIONE : il concetto di causalità che coinvolge i comunicanti è
circolare, poiché in sistemi con circuiti di retroazione non esiste né un principio né una fine
 RELATIVITÀ DELLE CONDIZIONI DI “NORMALITÀ” E “ANORMALITÀ” : se un comportamento si può studiare solo
nel contesto in cui si attua, le nozioni di “normalità” e “anormalità” diventano relative. Pertanto, la
condizione del paziente non è statica, ma varia al variare della sua situazione interpersonale

2.1 - ASSIOMI E PATOLOGIE DELLA COMUNICAZIONE


L’eventuale distorsione degli ASSIOMI COMUNICATIVI provoca diverse conseguenze psicopatologiche.
2.1.1 - IMPOSSIBILITÀ DI NON COMUNICARE
Il comportamento non ha un suo opposto: non esiste un non-comportamento. Se il comportamento in una
situazione di interazione ha valore di “messaggio”, ne consegue che è impossibile non comunicare.
L’attività o l’inattività, la parola o il silenzio hanno tutti valore di messaggio.
Inoltre, non si può dire che la comunicazione ha luogo solo quando è intenzionale, conscia o efficace.
Da eventuali tentativi di non comunicare derivano diversi possibili risvolti pragmatici:
 ACCETTAZIONE DELLA COMUNICAZIONE : implica la rassegnazione di una delle due parti a comunicare
 RIFIUTO DELLA COMUNICAZIONE : implica il brusco rifiuto dell’intenzione comunicativa di una delle parti
 SQUALIFICAZIONE DELLA COMUNICAZIONE : una delle parti può comunicare in modo da invalidare le
proprie comunicazioni o quelle dell’altro (contraddirsi, cambiare argomento, male interpretare)
 USO DI UN “SINTOMO” COME COMUNICAZIONE : una delle parti ricorre ad una sua spiegazione circa la
propria impossibilità di comunicare (far finta di avere sonno, di essere sordo, di essere della Lazio, di
non conoscere la lingua). È un messaggio non verbale che comunica all’altro che la propria
disponibilità a comunicare è compromessa da un qualcosa che è impossibile da controllare
2.1.2 - LIVELLI DI CONTENUTO E DI RELAZIONE
Una comunicazione non solo trasmette informazione, ma impone un comportamento.
Dentro un messaggio esiste sia un ASPETTO DI NOTIZIA, ovvero una componente di informazione, sia un
ASPETTO DI COMANDO. Mentre il primo trasmette informazioni ed è sinonimo del contenuto del messaggio,
l’aspetto di comando si riferisce invece alla relazione tra i comunicanti.
Quest’ultimo non viene quasi mai negoziato apertamente. Anzi, generalmente in una relazione sana e
spontanea, l’aspetto relazionale della comunicazione tende a recedere sullo sfondo.
Nel definire la relazione tra l’aspetto di comando e quello di notizia del messaggio, Watzlawick usa
l’analogia del calcolatore: per operare, la macchina ha bisogno non solo di dati (informazione), ma anche
di dati sui dati, ovvero di un codice che dica alla macchina come trattare i dati (meta-informazione).
Traslando il discorso alla comunicazione umana, possiamo identificare l’aspetto di notizia del messaggio
come COMUNICAZIONE, poiché trasmette i “dati” della comunicazione, e l’aspetto di comando come META-
COMUNICAZIONE, che trasmette il “modo” in cui interpretare tale comunicazione in base alla relazione
esistente tra gli interlocutori. Quindi, ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di
relazione, di modo che il secondo classifica il primo, ed è quindi “metacomunicazione”.
Come si è visto, quanto più la relazione tra i comunicanti è problematica, tanto più il livello di relazione
prevale rispetto a quello di contenuto, per l’esistenza di una lotta continua per definire la natura del
rapporto. Infatti, spesso il motivo scatenante di una discussione è un disaccordo a livello di relazione
(metacomunicazione), mentre la discussione è incentrata sul contenuto. In quest’ottica, il disaccordo a
livello di metacomunicazione è più importante di quello a livello di contenuto, poiché è a livello della
relazione che i parlanti definiscono la relazione stessa e, di conseguenza, se stessi.
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A questa definizione di Sé seguono 3 possibili reazioni:
 CONFERMA : il rispondente conferma all’emittente la versione che questo ha dato di sé. C’è
riconoscimento e conferma per l’emittente, che quindi può consolidare l’immagine di se stesso
 RIFIUTO : il rispondente rifiuta l’immagine proposta dall’emittente. Ciò presuppone il riconoscimento
dell’emittente, e quindi, sebbene in disaccordo con lui, ne conferma la sua esistenza come emittente
 DISCONFERMA : implica la negazione dell’esistenza stessa dell’emittente da parte del ricevente. Ciò
comporta per l’emittente il fenomeno della “perdita del Sé” (alienazione) e, causa psicopatologie
La disconferma dell’altro è spesso prodotta dal fenomeno dell’impenetrabilità, ovvero dall’incapacità di
acquisire consapevolezza delle percezioni interpersonali degli altri (famiglie schizofreniche).

2.1.3 - PUNTEGGIATURA DELLA SEQUENZA DI EVENTI


L’osservatore esterno può considerare una serie di comunicazioni come una sequenza ininterrotta di
scambi. Tuttavia, chi partecipa all’interazione legge lo scambio e reagisce ad esso secondo quella che
Bateson e Jackson chiamano PUNTEGGIATURA DELLA SEQUENZA DI EVENTI. La punteggiatura organizza le
sequenze comportamentali e determina i ruoli nell’interazione (iniziativa, dipendenza). Quindi, la natura di
una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze comunicative tra i partecipanti.
I conflitti relazionali sono basati su una punteggiatura conflittuale della sequenza degli scambi. Questa,
infatti, presenta un notevole grado di soggettività: generalmente si suppone che l’altro abbia le nostre
stesse informazioni, e che da queste trarrà le stesse nostre conclusioni. Se ciò non si verifica, la
confusione nella punteggiatura delle sequenze di eventi origina le PROFEZIE CHE SI AUTODETERMINANO: gli
atteggiamenti che il soggetto crede di subire dagli altri, comportandosi di conseguenza, ma che in realtà è
lui stesso a provocare. In breve, un soggetto interpreta (immotivatamente) i comportamenti altrui come
“cause” del proprio comportamento, mentre questi sono in realtà reazioni al comportamento del soggetto.
Questo circolo vizioso può seguitare all’infinito, poiché ogni parlante accusa l’altro di essere la causa del
proprio comportamento, senza rendersi conto che questo ha un effetto complementare sull’altro parlante.
Facendo riferimento alla circolarità dell’interazione, infatti, è facile comprendere come questi concetti
lineari di causa-effetto non siano più applicabili. Tali conflitti comunicativi sono risolvibili solo a livello di
metacomunicazione, in cui si parla della relazione tra i comunicanti e non dei contenuti.

2.1.4 - COMUNICAZIONE NUMERICA E ANALOGICA


Nella comunicazione umana si hanno 2 modi di far riferimento agli oggetti: quello analogico, tramite la
rappresentazione di un’immagine, e quello numerico, attraverso l’assegnazione simbolica di un “nome”.
La COMUNICAZIONE ANALOGICA include ogni comunicazione non verbale (posizioni del corpo, gesti,
espressioni del viso, inflessioni della voce, sequenza e ritmo delle parole) e, nella sua interpretazione, è
strettamente legata al contesto in cui si esplica. Ha radici più arcaiche nell’evoluzione dell’uomo e si basa
su un’analogia tra ciò che vuole e ciò che si usa per rappresentarlo. È efficace a trasmettere il livello della
relazione, ma non ha una sintassi adeguata a descrivere con esattezza il contenuto del messaggio.
Il LINGUAGGIO NUMERICO serve a scambiare informazione sugli oggetti e a trasmettere la conoscenza nel
tempo. Pertanto, la sua complessa sintassi logica è funzionale a trasmettere l’aspetto di contenuto, ma
manca una semantica adeguata a trasmettere gli aspetti emotivi che connotano la relazione.
Come si è visto, il materiale del messaggio analogico manca di molti elementi del linguaggio numerico
(morfologia, sintassi) e, pertanto, si presta ad interpretazioni assai diverse e spesso incompatibili.
Un possibile errore nel processo di traduzione dal modulo analogico a quello numerico (e viceversa) è
quello di supporre che un messaggio analogico sia per natura “assertivo” o “denotativo”, proprio come lo
sono i messaggi numerici. Invece, tutti i messaggi analogici sono invocazioni di relazione, e sono quindi
proposte che riguardano le regole future della relazione (Bateson): spetta poi a noi attribuire il corretto
significato (ovvero il significato inteso dall’emittente), positivo o negativo, alle suddette proposte.
Poiché il linguaggio numerico ha una sintassi particolarmente adatta a comunicare a livello di contenuto, è
funzionale alla metacomunicazione. Tuttavia, la traduzione del linguaggio analogico in numerico è
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complessa, mancando nel primo quei connettivi logici che si possono usare nel secondo. Nel linguaggio
analogico, infatti, mancano i termini che nel linguaggio numerico corrispondono alla negazione (come si
interpreta la frase «Non ti aggredirò»?) e alla disgiunzione (la “o” non esclusiva). Altri esempi di difficoltà di
traduzione possono essere le lacrime (gioia o dolore?) o il serrare i pugni (aggressività o disprezzo?).
Concludendo, la prima conseguenza di un GUASTO NELLA COMUNICAZIONE è la perdita parziale della
capacità di metacomunicare con un metodo numerico sulle circostanze particolari della relazione.
2.1.5 - INTERAZIONE COMPLEMENTARE E SIMMETRICA
Ogni scambio comunicativo è simmetrico o complementare, a seconda che si basi sull’uguaglianza o la
differenza. Nel primo caso, un parlante tende a riflettere il comportamento dell’altro, creando una
INTERAZIONE SIMMETRICA, caratterizzata da uguaglianza e minimizzazione delle differenze: di norma, gli
interlocutori sono sullo stesso piano per potere, ruolo comunicativo, autorità sociale, interessi. Il secondo è
l’esempio opposto di INTERAZIONE COMPLEMENTARE: un parlante completa il comportamento dell’altro.
In tal caso, un partner definisce la relazione e assume una posizione superiore, primaria, o one-up, mentre
l’altro si adatta a tale definizione, assumendo una posizione inferiore, ovvero one-down.
Può esistere un terzo tipo di relazione, detta “metacomplementare”, in cui A consente a B di assumere la
direzione del proprio comportamento (o lo costringe a farlo). Similmente, una relazione può definirsi
“pseudosimmetrica” se A consente a B di adottare un comportamento simmetrico (o lo costringe).
Sebbene in una relazione sana siano presenti sia situazioni simmetriche che complementari, esistono
varie derive patologiche. Per quanto riguarda l’interazione simmetrica, v’è il rischio della competitività.
Questo rischio porta la relazione verso una “ESCALATION SIMMETRICA” all’interno della quale i comunicanti
non arretrano mai di fronte all’altro, ma tentano di avere “l’ultima parola” sul contenuto (rispecchia la
volontà di arrogarsi il diritto di definire la relazione). Quando v’è una escalation simmetrica, spesso si è di
fronte a due partner che rifiutano reciprocamente le definizioni del Sé dell’altro. La patologia
dell’interazione simmetrica, quindi, è caratterizzata da uno stato di guerra più o meno aperta, o scisma.
Quando l’interazione prende la forma di un’escalation simmetrica, ciò può dar luogo a una runaway: i
partner arrivano alla rottura, e spesso uno dei partner rifiuta piuttosto che disconfermare il sé dell’altro.
In caso di patologie dell’interazione complementare, osserviamo disconferme del Sé dell’altro: si assiste
quindi ad una negazione dell’altro come emittente, mancandone del tutto il riconoscimento.
La COMPLEMENTARIETÀ patologica viene detta RIGIDA: entrambi i comunicanti rimangono nelle posizioni
one-up e one-down in modo statico, senza possibilità di alternarsi. In questo contesto, si avrà il predominio
assoluto di un componente della relazione sull’altro. Da un punto di vista psicopatologico, queste
disconferme sono più importanti dei conflitti, più o meno aperti, dei rapporti simmetrici. In queste relazioni
si osserva un crescente senso di frustrazione e di disperazione in uno o in entrambi i partner.

2.2 - SISTEMI INTERATTIVI E FAMIGLIE


Watzlawick definisce l’INTERAZIONE come un sistema, cioè una serie di messaggi scambiati tra persone nel
“qui ed ora”. Differisce dalla relazione, che è la natura del rapporto, preesistente all’interazione.
Un SISTEMA può esser definito come un insieme di oggetti e di relazioni tra gli oggetti e i loro attributi:
 Oggetti : le parti del sistema (membri familiari)
 Attributi : le proprietà degli oggetti (comportamenti comunicativi)
 Relazioni : che “tengono insieme” il sistema (verticali / orizzontali)
Sono considerati SISTEMI INTERATTIVI quelli costituiti da due o più comunicanti impegnati nel processo di
definire la natura della loro relazione (o che si trovano a un livello tale per poterlo fare).
La definizione di un sistema implica anche la definizione del contesto, ovvero del suo AMBIENTE, che
include tutti gli oggetti che possono modificare il sistema, e venire modificati dal sistema stesso.
Tuttavia, non si può delineare un confine netto tra sistema e ambiente. Quest’ultimo ha senso nei sistemi
aperti: quei sistemi che scambiano materiali, energia e informazioni con l’ambiente (sistemi organici). Al
contrario, un sistema è chiuso quando non v’è scambio con l’esterno e, quindi, nessun cambiamento.
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I sistemi le cui variabili tendono a rimanere, nel tempo, entro limiti definiti vengono considerati stabili.
In una sequenza comunicativa, ogni scambio di messaggi restringe il numero delle possibili mosse
successive: i messaggi palesi che sono stati scambiati entrano a far parte del contesto interpersonale e
pongono le loro limitazioni all’interazione successiva. Quando lo scambio ha raggiunto la stabilità, cioè
quando i parlanti si sono “accordati” sulla natura della loro relazione, sorge ciò che Jackson definisce
regola della relazione. In tale contesto, le FAMIGLIE sono considerate sistemi stabili governati da regole.
Jackson ha elaborato anche il concetto di OMEOSTASI FAMILIARE, osservando che le famiglie di pazienti
psichiatrici manifestavano violente ripercussioni (depressione) quando il paziente migliorava. Perciò,
postulò che sia tali comportamenti che la malattia del paziente fossero dei meccanismi omeostatici che
operavano per restituire al sistema disturbato il suo precario equilibrio (retroazione negativa).
Questi meccanismi sono così efficaci che lavorano per mantenere lo status quo anche quando questo è
patologico e il cambiamento porterebbe giovamento. Questa resistenza è prettamente negativa, e
contrapposta al fenomeno della CALIBRAZIONE: il meccanismo che permette di affrontare il cambiamento
attraverso una ridefinizione delle regole e della natura stessa della relazione (retroazione positiva).

2.3 - FAMIGLIA COME SISTEMA APERTO


In base a questi assunti, nella prospettiva sistemico-relazionale, la FAMIGLIA è concettualizzabile come un
sistema aperto, che funziona in relazione al suo contesto socioculturale e che possiede 3 proprietà:
 TOTALITÀ : implica che ogni parte del sistema sia in rapporto con il tutto. Una modifica del sistema
influisce sulla parte, così come una modifica della parte influisce sul tutto. Il sistema non è scindibile:
perciò, non può essere considerato un semplice agglomerato di parti indipendenti. Questo principio ha
come corollario la NON-SOMMATIVITÀ, per la quale un sistema non coincide con la somma delle sue
parti, poiché include anche le relazioni tra di esse. In breve, il sistema non si può spiegare in base ai
suoi elementi considerati separatamente. Nella pragmatica della comunicazione, questo implica che i
comunicanti non devono essere considerati isolatamente l’uno dall’altro, pena non riuscire ad
analizzare il sistema in tutta la sua complessità. Considerando i sistemi familiari, infine, implica che
ogni individuo all’interno della famiglia è in rapporto col comportamento di tutti gli altri membri. Ad
esempio, se il membro familiare identificato come “paziente” ha un miglioramento o un peggioramento,
di solito tali suoi cambiamenti hanno un effetto sugli altri membri della famiglia. Per questa serie di
motivi, il pensiero sistemico tende a privilegiare le relazioni agli individui
 RETROAZIONE : è il fenomeno che lega insieme le parti e permette l’emergenza del sistema. Come si è
visto, alle famiglie è possibile accostare uno schema causale circolare, poiché ogni sistema familiare
reagisce ai dati in entrata (azioni dei membri) e li modifica. Quindi, non è sempre chiaro cosa si
identifica come “causa” e cosa come “effetto”, poiché gli eventi si influenzano sempre a vicenda in
modo che l’effetto retroagisce sulla causa, modificandola. In tal caso, basta pensare alle coppie in
conflitto, intrappolate in punteggiature interminabili di cui è difficile stabilire la causa
 EQUIFINALITÀ : è una delle caratteristiche primarie per distinguere i sistemi aperti dai sistemi chiusi.
Infatti, nei primi lo stato stazionario risulta in larga misura indipendente dalle condizioni iniziali, mentre
nei secondi sono le condizioni iniziali a spiegare le condizioni finali (Von Bertalanffy).
In breve, l’equifinalità implica che i risultati a livello di sistema non sono predicibili conoscendo
semplicemente le condizioni iniziali del sistema. Pertanto, quando si parla di sistemi aperti, è il
processo a cui è sottoposta l’informazione che determina l’esito. Per cui, non soltanto dalle stesse
condizioni iniziali possiamo ottenere risultati diversi, ma anche da condizioni iniziali diverse possiamo
ottenere identici risultati. La ricaduta di questo principio consiste nel considerare l’organizzazione del
processo interattivo più importante degli elementi specifici costituiti dalla genesi e dal risultato

3. CICLO DI VITA DELLA FAMIGLIA


Il concetto di CICLO VITALE FAMILIARE è un modello teorico di riferimento che descrive i cambiamenti che
avvengono in una famiglia nel corso degli anni attraverso l’individuazione di varie fasi evolutive.
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La FAMIGLIA è un sistema emozionale plurigenerazionale, poiché comprende il sistema emozionale di
almeno 3-4 generazioni, ed un’unità dinamica, poiché soggetta a cambiamenti continui a livello:
- Individuale : sviluppo emotivo, cognitivo e fisiologico di ogni singolo componente
- Interpersonale : modificazioni all’interno delle relazioni tra i membri familiari
- Gruppale : trasformazioni dell’intera composizione familiare (nascita di un figlio)
- Sociale : cambiamenti che avvengono nel contesto sociale e culturale (guerre, disoccupazione)
Ogni famiglia deve sapersi adattare ai continui movimenti trasformativi (processi morfogenetici) e
trasformarsi in relazione ai vari bisogni evolutivi dei singoli componenti ma, al contempo, deve poter
conservare il senso della propria identità e continuità nel tempo (processi morfostatici).
Questi due processi sono interdipendenti, perché la possibilità della famiglia di rimanere se stessa è legata
alla sua capacità di mutare in relazione ai bisogni di cambiamento dei suoi componenti.
Quindi, la famiglia è un sistema aperto caratterizzato dalla tendenza all’omeostasi e al cambiamento.
Queste tendenze possono riassumersi nel concetto di omeostasi evolutiva, che include quei movimenti di
ristrutturazione che la famiglia mette in atto per adeguare la propria organizzazione ai cambiamenti che
incontra nel suo sviluppo, e al contempo la tendenza a conservare la propria identità.

3.1 - ORIGINI DEL CONCETTO


Il concetto di “CICLO DI VITA” si sviluppa nelle scienze sociali grazie a due sociologi americani, Hill e Duvall.
Duvall propose una divisione del ciclo di vita in 8 stadi, ognuno dei quali caratterizzato da eventi critici e
compiti di sviluppo, che segnano il passaggio della famiglia da uno stadio al successivo:
1. Formazione della coppia
2. Famiglia con figli (0-2 anni)
3. Famiglia con figli in età prescolare
4. Famiglia con figli in età scolare
5. Famiglia con figli adolescenti
6. Famiglia trampolino di lancio
7. Famiglia in fase di pensionamento
8. Famiglia anziana
Per compiti di sviluppo si intendono quei compiti psicosociali che la famiglia deve affrontare per rispondere
alle esigenze di trasformazione e di crescita caratteristiche di quel momento evolutivo.
La Duvall fu tra i primi autori a sottolineare l’interdipendenza dei membri, dal momento che il portare a
termine i propri compiti evolutivi dipende, e a sua volta influenza, gli altri membri della famiglia.
Hill rimarcò poi l’importanza dell’interdipendenza tra le generazioni che compongono la famiglia: queste
possono impegnarsi in relazioni sia orizzontali (stessa generazione) che verticali (generazioni diverse).
Mentre per i sociologi i passaggi da uno stadio all’altro del ciclo vitale erano naturali, sono i pionieri della
terapia familiare, Haley in particolare, a sottolineare come il passaggio da uno stadio all’altro implichi una
serie di compiti evolutivi che la famiglia non sempre riesce ad affrontare. Ogni passaggio, infatti, è
caratterizzato dalla crisi delle vecchie modalità interattive e dalla richiesta di nuove modalità evolutive.
Perciò, nelle fasi di transizione tra due stadi aumenta lo stress familiare, con i sintomi patologici che
compaiono più facilmente in occasione di interruzioni o distorsioni evolutive. È proprio in questo senso che
gli INTERVENTI TERAPEUTICI sono finalizzati a rimettere in moto il processo evolutivo interrotto.
Un SINTOMO può essere considerato come il segnale più evidente che la famiglia ha difficoltà a superare
uno stadio del suo ciclo vitale, e allo stesso tempo come un tentativo di provocare un cambiamento.
Inoltre, il sintomo è visto come la metafora di una storia non solo personale, ma relazionale a 2 livelli:
- Livello diacronico → Famiglia di origine
- Livello sincronico → Famiglia attuale
Haley sottolineò inoltre come l’intensità dei legami e dell’interdipendenza tra i membri della famiglia cambi
durante l’intero ciclo di vita, oscillando tra momenti di maggiore e minore coesione. In sintesi, il processo
evolutivo che la famiglia compie lungo il ciclo di vita è visto come un processo di continua ristrutturazione
della trama dei rapporti tra i membri della famiglia, a tutti i livelli generazionali.
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3.2 - MODELLI DI SVILUPPO
Il MODELLO DI CARTER & MCGOLDRICK distingue 6 stadi fondamentali, legati a 6 diversi eventi critici:
1. Giovane adulto senza legami
2. Formazione della coppia
3. Nascita del primo figlio e famiglia con bambini piccoli
4. Famiglia con adolescenti
5. Famiglia con figli adulti
6. Famiglia nell’età anziana
L’intero sviluppo si svolge su 2 assi:
 Verticale : indica la trasmissione dei modelli di relazione e di funzionamento tra le generazioni (in ogni
fase dello sviluppo, almeno 3-4 generazioni si trovano a dover cambiare simultaneamente)
 Orizzontale: indica momenti di crisi e stress più o meno prevedibili (normativi / paranormativi)
I sintomi nascono dalla combinazione di problematiche derivanti dalla storia trigenerazionale (asse
verticale) e problemi che si incontrano durante il proprio ciclo di vita (asse orizzontale). Il modo in cui il
giovane non sposato realizzerà lo svincolo dalla famiglia influenzerà le fasi successive del ciclo familiare.
Il modello di Carter e McGoldrick, tuttavia, è riduttivo e normativo, poiché non spiega la complessità delle
relazioni e la variabilità che caratterizza la struttura socio-demografica delle famiglie (rischia di considerare
disfunzionali tutte le famiglie che non seguono le fasi previste). Pertanto, sembra più adatto a descrivere la
famigliA intesa in senso “normale” piuttosto che descrivere la complessa varietà di famigliE, o tipologie
differenti di famiglia, che si sono sviluppate nel corso degli ultimi decenni. Si parla attualmente di
“costellazioni affettive”, intendendo quelle nuove forme familiari che affiancano le famiglie tradizionali, che
possono includere le famiglie ricostituite, immigrate ed omogenitoriali.
Infine, come tutti i modelli classici, tende a considerare prevalentemente la struttura familiare, quando
invece sono i processi e le relazioni familiari ad influire maggiormente sullo sviluppo della progenie. Come
sottolineato da Minuchin, una struttura familiare può essere adattiva per un tipo di famiglia e disadattiva
per un’altra: un alto livello di vicinanza emotiva tra madre e figlio, ad esempio, può essere funzionale in
una famiglia ricostituita. La valutazione clinica della famiglia, quindi, non può basarsi solo sull’analisi della
sua struttura, ma anche sulla qualità dei processi relazionali in atto al suo interno.
La TEORIA DELLO STRESS FAMILIARE cerca di compensare queste carenze, teorizzando uno sviluppo
scandito da una serie di eventi critici, ognuno dei quali caratterizza una fase del ciclo vitale della famiglia e
innesca processi trasformativi necessari al passaggio da una fase all’altra. Si distinguono:
 Eventi normativi : eventi attesi e prevedibili (matrimonio, nascita dei figli)
 Eventi paranormativi : eventi inattesi e imprevedibili (incidente invalidante, guerra)
Per superare tali eventi, la famiglia deve avviare una rinegoziazione dei ruoli e delle funzioni e una
riorganizzazione delle relazioni. Se non vi riesce, il processo evolutivo si bloccherà, determinando il
comportamento sintomatico dei suoi membri. In sintesi, l’evoluzione della famiglia è legata alle modalità
con cui affronta lo squilibrio prodotto dagli eventi critici.
Tuttavia, ciascun evento non va interpretato come una “crisi”, poiché assume una funzione positiva,
attivando processi evolutivi e introducendo nuove variabili e compiti di sviluppo che modificano le
precedenti modalità di funzionamento della famiglia. Inoltre, ciascun evento non è “critico” in sé, poiché
molto dipenderà dalle aspettative individuali, familiari e sociali che lo anticipano.
Quindi, è fondamentale la rappresentazione cognitiva dell’evento. In tal senso, le attribuzioni di significato
che i membri della famiglia operano sugli eventi critici sono influenzate da:
1. Credenze, stereotipi e regole implicite che caratterizzano il contesto socioculturale
2. Risorse di cui la famiglia dispone, che si distinguono in:
- Personali : caratteristiche di personalità, stato di salute, istruzione, disponibilità economica
- Familiari : stile di funzionamento, miti familiari, regole e aspettative tramandate nelle generazioni
- Sociali : risorse dell’ambiente sociale, siano esse reti informali (amici, parenti che forniscono
sostegno strumentale, emotivo) o formali (scuole, servizi del tempo libero, servizi sociosanitari)
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Anche per questo modello ci sono delle critiche da parte di chi ritiene lo sviluppo un processo continuo,
che avviene grazie a microtransizioni: è questo il concetto centrale della TEORIA DELL’OSCILLAZIONE. Le
microtransizioni sono cambiamenti che si verificano giorno dopo giorno, che permettono di acquisire abilità
e competenze in maniera graduale e che descrivono la compresenza di vecchie modalità comportamentali
appartenenti alla fase precedente con modalità nuove appartenenti a quella futura. A seconda dei casi, si
può verificare il mantenimento di una modalità relazionale a un livello di sviluppo precedente alla
transizione, e quindi inadeguato (allattare il figlio oltre i termini). Di contro, si possono favorire
comportamenti che si trovano a un livello superiore alla microtransizione (affidare a un figlio di 6 anni la
custodia di un fratello minore): in tal caso si sovraccarica il bambino di eccessive responsabilità. L’esito
auspicabile si verifica ove sussistono scambi relazionali che regolano i comportamenti a un livello di
competenza adeguato, in cui si oscilla tra sostegno e autonomia (fino al prevalere di quest’ultima).
Attualmente, per spiegare i processi tipici della famiglia normale e comprendere il disagio della famiglia
patologica si usa combinare l’aspetto intergenerazionale e socio-ambientale. Tali modelli prevedono
momenti di continuità (microtransizioni) e allo stesso tempo discontinuità nello sviluppo (eventi critici). Indi,
lo sviluppo familiare è dato da compiti di sviluppo, fasi evolutive, eventi critici, microtransizioni.

3.3 - NUOVE TIPOLOGIE DI FAMIGLIA


 FAMIGLIE DI FATTO: due persone che vivono insieme senza essere unite in matrimonio. Fino agli anni
’60 queste famiglie avevano una connotazione “deviante” (la convivenza era una scelta forzata dettata
dall’impossibilità del matrimonio), mentre ora rappresentano il frutto di una scelta consapevole. Tra le
ragioni della loro esistenza v’è il rifiuto ideologico del matrimonio, la messa in discussione dei ruoli
tradizionali di maschio e femmina, il desiderio di convivere prima di unirsi in matrimonio
 FAMIGLIE MONOGENITORIALI: famiglie con un solo genitore che vive con almeno un figlio minorenne. I
fattori che determinano la loro nascita sono la vedovanza, la separazione o il divorzio. Soprattutto nelle
famiglie generatesi da separazioni o divorzi possono registrarsi pericolosi conflitti di lealtà: se entrambi
i genitori si aspettano che il figlio rinneghi l’altro, questi si trova in una situazione difficile. In generale,
la causa primaria del cattivo adattamento del figlio alla nuova situazione familiare è la forte conflittualità
tra gli ex-coniugi. In caso di separazione, quindi, è essenziale la co-genitorialità: la capacità dei coniugi
di sostenersi a vicenda nel ruolo genitoriale nonostante la separazione
 FAMIGLIE UNIPERSONALI: include le persone che vivono da sole (adulti vedovi, separati o divorziati)
 FAMIGLIE RICOSTITUITE: includono nuclei familiari conviventi con figli di un precedente matrimonio.
Si tratta di famiglie estese, basate non su vincoli di sangue ma su legami acquisiti: ciò può creare
problemi di identità, integrazione e coesistenza. La sfida principale di questi nuclei è di costruire un
senso di appartenenza alla nuova unità familiare, costruendo confini adeguati tra i sottosistemi

4. FORMAZIONE DELLA COPPIA


Per ognuno dei partner, la COSTITUZIONE DELLA COPPIA coincide con un processo di separazione (dalla
famiglia d’origine) ed unione (con il partner). Solo se entrambi i partner hanno elaborato la separazione
dalle proprie famiglie d’origine, allora possono coinvolgersi in un rapporto di “attaccamento” reciproco di
tipo fusionale che permetta, successivamente, l’eventuale accoglimento di altri membri (figli).
Quindi, poiché questo processo possa compiersi, è fondamentale che si costituisca l’identità di coppia.

4.1 - IDENTITÀ DI COPPIA


La COPPIA è un sistema aperto, diverso dalla somma delle caratteristiche di ciascun individuo, in quanto
non rappresenta la loro semplice unione, bensì l’incontro di due storie.
La formazione della coppia segue 3 momenti:
1. SCELTA DEL PARTNER : può avvenire per somiglianza (complementarietà) o per contrasto
2. INNAMORAMENTO
3. MATRIMONIO / CONVIVENZA : costituisce un’importante linea di demarcazione tra le fasi del ciclo vitale
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Il momento dell’INNAMORAMENTO è caratterizzato da meccanismi di idealizzazione del Sé e dell’Altro e,
quindi, poco legato alle caratteristiche reali dell’oggetto amato (ci si innamora dell’immagine dell’altro).
In questa fase la coppia realizza il suo Primo Contratto, o patto segreto su base inconscia: questo è
caratterizzato dall’illusione, poiché ogni partner vede nell’altro la realizzazione dei propri bisogni e desideri
consci e inconsci. Questo rapporto può paragonarsi a un iceberg, la cui parte emersa si compone di norme
esplicite e condivise (sessualità, progetto), mentre la parte sommersa contiene vincoli non consapevoli di
natura affettiva (necessità di convalidare una certa immagine di sé).
Bowen definisce contratto fraudolento quello in cui ognuno dei partner coglie l’immagine dei bisogni
profondi dell’altro e agisce come se solo lui sapesse come soddisfarli. In altre parole, ognuno fornisce
all’altro un’immagine ideale di Sé dal quale il partner sarà attratto nella misura in cui soddisfa antichi
bisogni infantili. Ciò si rivela un’illusione grazie alla quotidianità: essa, infatti, è in grado di svelare la “parte
sommersa” del primo contratto, mettendo in evidenza i limiti della relazione. Pertanto, perché il rapporto di
coppia evolva e si consolidi nel tempo, si deve accettare il partner nella sua realtà. Le “coppie sane”
riescono a rinegoziare l’accordo iniziale, modificandolo e realizzando il passaggio dall’illusione alla
disillusione, ovvero al Secondo Contratto: una situazione in cui l’altro è percepito come “proiezione dei
propri bisogni” alla situazione in cui è percepito come “persona autonoma”. A differenza del primo patto, il
secondo ha natura intenzionale. La possibilità per la coppia di raggiungere questa fase si basa fortemente
sulla qualità dei vissuti infantili di ciascun partner e sulle modalità con cui è avvenuto lo svincolo dalle
famiglie d’origine. A seconda delle risorse a disposizione, la coppia può imboccare diverse strade, le prime
2 delle quali portano a un secondo contratto disfunzionale:
 ELUSIONE DELLA CRISI : entrambi i partner evitano di riconoscere i vissuti legati alla delusione. Si arriva
ad una crisi di coppia “invisibile”: le angosce sono profonde ma non si possono elaborare
 CIRCUITO DELLA DELUSIONE : la delusione induce una crisi dominata dal tentativo di ripristinare gli
elementi illusori del primo contratto. L’insuccesso di questo tentativo alimenta la delusione e stabilizza
il circuito vizioso. Così, la coppia non può sviluppare le risorse per superare la crisi, che col passare
del tempo diventa un elemento stabile della relazione (escalation simmetrica)
 DISILLUSIONE : processo di accettazione della realtà propria e dell’altro. Attraverso un conflitto, la
coppia si misura con la delusione, ma fa della crisi un’occasione per crescere, superare le illusioni e
stabilire nuove modalità di relazione basate su aspettative adulte e sul riconoscimento delle reali
caratteristiche del partner. Si passa quindi a un secondo contratto funzionale o “patto dichiarato”
La relazione di coppia si dice funzionale se permette la crescita dell’individuo e della relazione stessa.

4.2 - COMPITI DI SVILUPPO


I COMPITI DI SVILUPPO che la neocoppia deve affrontare in questa fase si snodano su 2 assi:
 Orizzontale → Relazione coniugale : compiti da adempiere come coniuge nei confronti dell’altro
 Verticale → Relazione filiale : compiti da adempiere come figlio nei confronti dei propri genitori
Per quanto riguarda la RELAZIONE CONIUGALE, oltre alla costruzione della nuova identità di coppia, i partner
devono affrontare una negoziazione su vari aspetti della vita quotidiana, necessaria per stabilire i ruoli, le
gerarchie, le funzioni, le regole implicite ed esplicite, gli spazi di libertà e di intimità.
Per quanto riguarda la RELAZIONE FILIALE, il compito consta nel realizzare un equilibrio tra lealtà dovuta alla
famiglia d’origine e quella dovuta al coniuge. Poiché la famiglia d’origine continua a esercitare la propria
influenza, è fondamentale che ciascun partner ridefinisca le relazioni con la propria famiglia, in modo da
creare dei confini chiari e permeabili. La chiarezza dei confini tra la neo-famiglia e quella dei rispettivi
genitori è un requisito irrinunciabile affinché la coppia trovi una propria unità e intimità.
Tra genitori e figli (neo-coniugi) va costruita una relazione basata sullo scambio, sul rispetto reciproco, sul
sostegno, senza condizionamenti che trasformino i legami familiari intergenerazionali da risorse a vincoli
imprescindibili (e senza recidere nettamente la relazione). Solo chi riesce a raggiungere una buona
individuazione e separazione dalla propria famiglia d’origine è in grado di aprirsi a una nuova relazione
conservando ben integrate le relazioni con le proprie figure significative del passato (genitori).

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5. DALLA COPPIA ALLA FAMIGLIA
La NASCITA DEL PRIMO FIGLIO dà avvio ad una nuova storia generazionale della famiglia, che segna il
passaggio dalla diade coniugale alla triade familiare. Ciò crea il ruolo dei genitori e dei nonni, rende
manifestamente visibile l’unione tra i coniugi e conferisce un carattere di irrevocabilità al loro essere stati
insieme, in quanto il ruolo genitoriale non è cancellabile (anche se ciò crea problemi nelle separazioni).
Anziché rappresentare un aumento delle distanze dalla famiglia d’origine, la nascita del primo figlio causa
un maggior coinvolgimento delle altre generazioni, rafforzando il legame di lealtà multigenerazionale.
Anche questo, tuttavia, può determinare organizzazioni disfunzionali (suoceri assenti o troppo invadenti).
Questa fase di “transition to parenthood” costituisce una fase critica normativa del ciclo vitale della
famiglia, poiché entrambi i neo-genitori necessitano di una ristrutturazione profonda del proprio mondo
interno e dei propri rapporti interpersonali significativi. In particolare, il processo di riorganizzazione delle
relazioni deve salvaguardare gli aspetti coniugali, oltre ad includere gli aspetti genitoriali.

5.1 - COMPITI DI SVILUPPO


La nascita di un figlio impegna la coppia su 3 fronti principali:
 RELAZIONE CONIUGALE : v’è la necessità di includere gli aspetti genitoriali nella relazione di coppia. Ciò
si consegue mantenendo confini chiari tra l sottosistemi coniugale e genitoriale, continuando ad
investire nella coppia e nei propri interessi. Poiché l’asse coniugale influenza ed è a sua volta
influenzato dall’asse genitoriale, i genitori che vivono il rapporto di coppia in modo soddisfacente
saranno maggiormente in grado di garantire ai figli un clima positivo e adeguato al loro sviluppo
 RELAZIONE GENITORIALE : l’assunzione del ruolo genitoriale implica l’aver cura della generazione più
giovane adempiendo ai compiti di crescita ed accudimento. Ciò significa anche negoziare il tipo di
atteggiamento educativo che si dovrà avere con il figlio, che può assumere varie forme:
 Stile autoritario : i genitori impartiscono regole rigide e immodificabili, punendo le trasgressioni con
la forza. In genere i figli mostrano dipendenza e scarsa fiducia in se stessi
 Stile lassista : i genitori non impartiscono regole e punizioni e, quando lo fanno, queste non sono
chiare o coerenti. In adolescenza, i loro figli sono più a rischio di comportamenti devianti
 Stile autorevole : i genitori spiegano ai figli le regole da rispettare, che sono chiare, coerenti e
adeguate al livello di sviluppo del figlio. I genitori possono far ricorso a punizioni, ma ne spiegano
ai figli i motivi, dandogli la possibilità di esprimere la propria opinione. I loro figli mostrano una
buona autostima, maturità, responsabilità, competenza sociale e autonomia
La relazione genitoriale è importante per lo sviluppo emotivo del bambino: i genitori devono saper
fornire al bambino una “base sicura”, ovvero quelle cure che lo renderanno sicuro nelle relazioni e
nell’esplorazione della realtà. Secondo Bolwby, i comportamenti di attaccamento sicuro/insicuro sono
determinati dalle risposte della figura di attaccamento e dalle esperienze del bambino nella sua
relazione con essa. In questo periodo, il bambino inizia a organizzare la sua esperienza affettiva in
termini di modelli operativi interni, ovvero di rappresentazioni mentali di Sé e dell’Altro nelle relazioni
interpersonali con le persone che si prendono cura di lui. Questi modelli permettono al bambino di fare
previsioni sull’esperienza affettiva nelle relazioni significative presenti e future.
In questo processo, ciascun genitore si deve confrontare col proprio passato e col tipo di attaccamento
che ha stabilito a sua volta con i propri genitori. Un genitore che da bambino ha potuto contare su
legami di attaccamento sicuri sarà facilmente in grado di riportare tali modalità relazionali con il figlio
 RELAZIONE FILIALE : i compiti consistono nel superare la barriera gerarchica con i genitori e ristrutturare
le relazioni con la famiglia d’origine attraverso il comune ruolo genitoriale. Le relazioni tra i neogenitori
le famiglie d’origine devono essere rinegoziate, in quanto i neogenitori devono essere accettati e
considerati in un ruolo diverso da quello di figlio. L’obiettivo è quello di coinvolgere i nonni nella cura
dei nipoti, nel rispetto dei confini reciproci. Devono quindi essere evitate le due opposte tendenze nel
creare rapporti eccessivamente invischiati o disimpegnati

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6. FAMIGLIA CON BAMBINI
Uno dei compiti principali della famiglia con bambini è quello di trasmettere il senso della coesione e
dell’unità familiare, pur nell’ambito delle continue trasformazioni in atto in questa fase del ciclo di vita.
È necessario che i genitori riconoscano il bambino come un individuo sempre più autonomo, e questo
aiuta entrambi ad affrontare uno degli eventi più critici di questa fase: l’ingresso nella scuola.
I bambini che avranno sviluppato una buona autonomia e fiducia in se stessi grazie alle relazioni con le
prime figure significative (attaccamento sicuro), saranno facilitati in questo processo di socializzazione.
La SCUOLA è un’area di passaggio tra la famiglia e la società, nell’ambito della quale il minore può
soddisfare sia i bisogni di protezione che di indipendenza. Da questo punto, gli insegnanti saranno inclusi
tra le figure di riferimento del bambino: un insegnante che crede nelle capacità di un allievo può facilitare la
sua riuscita scolastica. Viceversa, se è influenzato da un pregiudizio negativo verso l’alunno, ciò lo porterà
a non stimolare le prestazioni scolastiche di quest’ultimo (profezia che si autoavvera).
Per un adeguato inserimento del bambino, tra gli insegnanti e la famiglia si deve instaurare un rapporto di
collaborazione e di coinvolgimento reciproco, nel rispetto dei confini e delle differenze di ruoli, di funzioni e
competenze. In alcuni casi, tuttavia, può verificarsi la triangolazione alunno-famiglia-scuola:
- Coalizione tra alunno e insegnante “contro” i genitori
- Coalizione tra alunno e genitori “contro” l’insegnante
In tali casi il bambino riceve messaggi contraddittori che possono causare un blocco dell’apprendimento.
Infine, il gruppo dei pari, o gruppo-classe, diventa un sistema di appartenenza essenziale poiché il
bambino possa sviluppare e mettere in pratica le sue competenze comunicative e relazionali.
In questa fase del ciclo di vita, la famiglia può assumere diverse configurazioni relazionali disfunzionali.
Oltre ai già descritti casi di nonna assente, parental child (Minuchin) e triangolo perverso (Haley), si parla
di CHIASMA RELAZIONALE quando il bambino diventa il centro degli interessi dell’intero sistema familiare
allargato (genitori e nonni). Se il bambino è la sorgente di appagamento affettivo per genitori e famiglie
d’origine, può essere sottoposto a molteplici pressioni. Tale configurazione, pur adeguata nelle prime fasi
di cura del bambino, è disfunzionale se persiste nel tempo ed è legata alle famiglie conflittuali.

7. FAMIGLIA CON FIGLIO ADOLESCENTE


L’ADOLESCENZA può essere definita come il periodo che precede lo svincolo dalla famiglia: è una fase di
passaggio dall’età infantile a quella adulta, della quale è difficile stabilire i confini temporali. È altresì una
fase contraddittoria: da una parte l’adolescente chiede autonomia e indipendenza dai genitori, ma dall’altra
né è ancora dipendente e non può ancora accedere a vari ambiti di sviluppo (lavoro, matrimonio).

7.1 - COMPITI DI SVILUPPO


La caratteristica dell’adolescenza è quella di essere una fase di passaggio per l’intero sistema familiare!
Il principale compito di sviluppo per quanto riguarda la RELAZIONE GENITORIALE consiste nel realizzare il
processo di separazione tra adolescente e genitori e costruirsi un’identità separata (individuazione).
Questo processo di separazione-individuazione è complesso, e richiede che siano stati interiorizzati
rapporti stabili e di fiducia tra i membri della famiglia. Pertanto, il buon esito di questa fase dipende
dall’evoluzione di quelle precedenti. In particolare, se la coppia è riuscita a:
a) Costruire un fronte comune nell’esercizio della funzione genitoriale
b) Tenere distinti il sottosistema coniugale da quello genitoriale con confini chiari
Chiaramente, non si può avviare il processo di separazione se prima non si è stabilizzato quello di
appartenenza, ovvero se non ci si è sentiti parte di quel sapere condiviso che è la cultura familiare.
In sintesi, la famiglia dell’adolescente deve riuscire a conciliare la sua spinta coesiva all’unione e alla
stabilità del sistema familiare, con il suo desiderio evolutivo di esplorare l’esterno della famiglia e la sua
autonomia, concedendo all’adolescente quella che viene definita una “protezione flessibile”.

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7.2 - CRISI ADOLESCENZIALE E DELL’ETÀ DI MEZZO
Contemporaneamente alla crisi di identità dell’adolescente, in questa fase si verifica anche una crisi di
identità dei genitori, i quali devono accettare che la loro giovinezza è passata e che per loro è definitivo
l’ingresso nell’età matura. Quindi, l’adolescenza dei figli implica un cambiamento significativo anche nella
relazione di coppia: ora che i figli sono cresciuti, diminuisce sensibilmente l’impegno genitoriale e i coniugi
iniziano a ritrovarsi da soli e con maggiore tempo da dedicare a se stessi e all’altro.
Un compito di sviluppo che riguarda la RELAZIONE CONIUGALE è quello di ridefinire gli obiettivi della coppia e
reinvestire nell’attività lavorativa. Tuttavia, in questa fase possono presentarsi varie insidie:
 Ai cambiamenti evolutivi dell’adolescente, i genitori accostano i propri cambiamenti involutivi, intesi
come i primi segni di invecchiamento, la perdita della capacità procreativa e la menopausa
 Decadimento del ruolo di “genitori onnipotenti”
 Perdita o malattia dei propri genitori : un compito di sviluppo che riguarda la RELAZIONE FILIALE è di
accettare il processo di invecchiamento dei genitori e mantenere vivo il colloquio con essi
Se i coniugi non riescono a fronteggiare queste difficoltà, le tensioni emotive e l’insoddisfazione che ne
derivano possono portare alla crisi coniugale che può sfociare nella separazione (doppia separazione).
Si assiste quindi ad una sorta di “parallelismo evolutivo” tra la crescita dell’adolescente e quella del
sistema famiglia: queste due evoluzioni sono circolari e complementari tra loro. Quindi, il processo di
crescita e separazione avviene contemporaneamente sia per i genitori che per l’adolescente! Mentre
l’adolescente è implicato in due principali compiti di sviluppo (individuazione e separazione dalla famiglia),
i genitori sono contemporaneamente impegnati come coniugi nella ridefinizione della relazione di coppia e,
come individui, nell’elaborazione della crisi dell’età di mezzo.

8. FAMIGLIA CON FIGLI ADULTI


La fase che vede l’uscita di casa del giovane adulto, detta “FAMIGLIA TRAMPOLINO DI LANCIO DEI FIGLI”, è
importante in quanto il processo di ridefinizione delle relazioni riguarda tutte le generazioni: il giovane
adulto si deve separare dai propri genitori, la generazione di mezzo si deve separare sia dai figli che dai
genitori anziani, che a loro volta devono separarsi dal loro impegno attivo nella società.
Ancora una volta, i problemi di definizione e chiarezza dei confini tra i sottosistemi svolgono un ruolo
chiave. Questa è una fase transitoria, ma che può divenire stabile, e quindi disfunzionale, se ad esempio il
confine tra genitori e figlio è diffuso (rapporto invischiato): in tali casi la presenza del figlio in casa permette
di eludere eventuali confronti tra i partner, proteggendo il conflitto coniugale (Haley).
In questa fase, il sistema famiglia deve affrontare i seguenti compiti di sviluppo:
 RELAZIONE CONIUGALE : l’uscita dei figli può avere sulla coppia sia un effetto depressivo e di crisi che un
effetto di crescita e di miglioramento della relazione. I coniugi devono reinvestire nella relazione di
coppia, ridando spazio al ruolo coniugale e all’intimità, preparandosi all’uscita di casa dei figli. Se i figli
percepiranno che i genitori possono farcela da soli e che hanno fiducia nelle loro capacità di costruire
una vita autonoma, riusciranno con facilità a portare a compimento il processo di separazione
 RELAZIONE GENITORIALE : il giovane adulto deve riuscire a impostare una “relazione adulta”, paritetica,
con i propri genitori, che gli consenta di pensare a loro al di fuori del ruolo genitoriale, come adulti con i
loro pregi e difetti, bisogni e difficoltà. Per riuscirvi, ha bisogno del supporto genitoriale, il cui compito è
proprio quello di favorire il raggiungimento della piena responsabilità da parte del giovane adulto. Un
altro compito è quello di accogliere i nuovi partner dei figli: se tra genitori e figli non si è ultimato il
processo di separazione/individuazione, il partner del figlio può essere considerato un nemico
 RELAZIONE FILIALE : data la contemporanea presenza di due generazioni adulte (quella di mezzo e
quella anziana), per i genitori è necessario sostenere e curare la generazione precedente. Ciò è
complicato data la “posizione di mezzo” in cui si trova la seconda generazione: impegnata sia a
provvedere alle necessità del giovane adulto, che ad accudire e sostenere i genitori anziani

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9. FAMIGLIA NELL’ETÀ ANZIANA
L’allungamento della vita media ha causato 2 fenomeni: la diffusione delle famiglie multigenerazionali (4
generazioni), e la sproporzione tra popolazione anziana e giovane (la prima supera di gran lunga la
seconda). Per tali motivi, l’ETÀ ANZIANA pone dei compiti di sviluppo tra i più complessi del ciclo vitale:
 RELAZIONE CONIUGALE
 Impegnarsi nella coppia : per superare il pensionamento e il declino della sessualità
 Far fronte alla malattia propria e/o del coniuge
 Accettare la morte del coniuge e prepararsi alla propria
 Mantenere vivi gli interessi anche fuori dalla famiglia
 RELAZIONE GENITORIALE
 Aprire i propri confini a nuore/generi
 Riconoscere ai figli il ruolo genitoriale : non devono sostituirsi ai genitori nella cura dei nipoti
 Essere presenti nella vita dei nipoti : la nascita dei nipoti è un momento importante (forniscono un
senso di continuità e vitalità all’intero sistema familiare)
 Accettare la parificazione dei ruoli superando la barriera gerarchica intergenerazionale
Genitori e figli devono stabilire un rapporto caratterizzato da un equilibrio tra vicinanza e distacco, tra
autonomia e coinvolgimento affettivo, in modo che i legami familiari siano risorse, non vincoli
 RELAZIONE FILIALE
 Sostenere la generazione precedente (se ancora viva) : il modo in cui i giovani si prendono cura
degli anziani è il modello di come essi saranno trattati quando invecchieranno (legame di lealtà)
 Coltivare l’eredità e il ricordo della generazione precedente (per i figli è importante non considerare
la perdita di un genitore come una frattura netta, un distacco definitivo)
 Condividere l’esperienza della morte dei genitori
Nelle FAMIGLIE SEPARATE E RICOSTITUITE l’anziano ha una funzione chiave, soprattutto nell’accudimento del
figlio. Il suo ruolo è intricato e può esser collocato sia sul polo collaborativo che su quello ostativo: vi
possono essere situazioni invischiate in cui i genitori anziani assumono ruoli e funzioni che non gli
competono. Di contro, nelle famiglie ricostituite possono mantenere un atteggiamento ostile verso il nuovo
partner del figlio. Inoltre, come già accennato, può verificarsi il fenomeno della “nonna assente”.

10. LE FAMIGLIE SEPARATE


La SEPARAZIONE può essere considerata una fase storica, tipica della cultura occidentale individualista.
Il drastico aumento di divorzi e separazioni si verifica anche perché, mentre il matrimonio è una scelta
condivisa, spesso la separazione è una decisione unilaterale. Un aspetto che la famiglia separata deve
affrontare è che il sottosistema genitoriale resta intatto, sebbene si interrompa il rapporto coniugale.

10.1 - SEPARAZIONE E DIVORZIO


La separazione e il divorzio non sono “eventi puntiformi”, bensì processi che comportano un’evoluzione
delle relazioni familiari sul piano coniugale, genitoriale e su quello che riguarda l’ambiente esterno.
Nel MODELLO DI BOHANNAN, le persone devono attraversare 6 stadi per elaborare l’evento separativo:
1) DIVORZIO EMOTIVO: v’è un deterioramento nella relazione che precede la decisione di separarsi:
- Fase di ping-pong (oscillazione tra momenti di aggressività e momenti di riappacificazione)
- Point of no-return (convinzione che l’unione coniugale comporti più svantaggi che vantaggi)
2) DIVORZIO LEGALE: coincide con la presa di contatto con un avvocato, che ufficializza la separazione
3) DIVORZIO ECONOMICO: vengono affrontate e discusse le questioni relative alla suddivisione dei beni e
all’assegno di mantenimento per i minori ed eventualmente per il coniuge
4) DIVORZIO GENITORIALE: i coniugi sono chiamati a ridefinire la loro relazione come genitori, in modo da
poter continuare ad adempiere ai relativi obblighi educativi anche a separazione avvenuta
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5) DIVORZIO DALLA COMUNITÀ: implica il mutamento delle relazioni sociali con la famiglia del coniuge, con
gli amici in comune (in seguito a queste perdite possono comparire forti sentimenti di solitudine)
6) DIVORZIO PSICHICO: coincide con l’abilità delle persone di ritrovare la loro capacità di progettare il
proprio futuro e la fiducia nelle proprie capacità, senza contare sulla presenza del coniuge
Il mancato superamento di uno degli stadi può generare squilibri psicologici o cronicizzare il conflitto
legale: se uno o entrambi i coniugi non sono in grado di raggiungere il divorzio psichico, cercheranno di
mantenere il legame, sia pure in forma conflittuale e disfunzionale (legame disperante). Il processo di
separazione può dirsi concluso positivamente quando le parti hanno accettato la separazione e hanno
preso consapevolezza dei reali motivi che l’hanno determinata e delle loro rispettive responsabilità.
Il MODELLO DELLA KASLOW mette in relazione le emozioni con i comportamenti agiti dagli ex-partner:
 Fase dell’alienazione : coincide con la decisione, col riconoscimento di incompatibilità insanabili. Ciò
può creare uno squilibrio all’interno della coppia, per cui il coniuge che “subisce” la separazione è
quello che inizialmente incontra maggiori difficoltà ad elaborare i sentimenti di perdita e delusione
 Fase conflittuale : coincide con la fase legale, la presa di contatto con gli avvocati e il sistema
giudiziario. Dovrebbe avvenire l’elaborazione del lutto relativo alla perdita della relazione coniugale
 Fase riequilibratrice : coincide con la riorganizzazione delle relazioni familiari, finalizzata a favorire il
mantenimento del rapporto dei figli con entrambi i genitori e con le famiglie di origine

10.2 - SEPARAZIONE E CICLO DI VITA


La famiglia separata deve riorganizzare le relazioni familiari. Sul PIANO CONIUGALE, la coppia deve:
 Elaborare il divorzio psichico e le perdite relative alla separazione
 Riconoscere il proprio contributo al fallimento del legame
 Gestire il conflitto in maniera evolutiva
Sul PIANO GENITORIALE, i coniugi separati devono:
 Continuare ad essere entrambi genitori (per ridurre lo stress nei figli)
 Rispettarsi reciprocamente nei ruoli di padre e madre
 Favorire l’accesso dei figli all’altro genitore e alla sua famiglia d’origine
 Instaurare un rapporto di collaborazione e cooperazione nell’esercizio della genitorialità
Sul PIANO SOCIALE, infine, i compiti di sviluppo sono:
 Ridefinire i rapporti con le rispettive famiglie d’origine
 Ridefinire i rapporti con gli amici in comune
 Coltivare nuove amicizie e legami affettivi
Il processo di separazione si configura diversamente in base alla fase del ciclo di vita in cui avviene:
 FORMAZIONE DELLA COPPIA E SEPARAZIONE : come si è visto, la formazione dell’identità di coppia è
legata allo sviluppo individuale di ciascun partner verso la costruzione di una propria identità e
l’ottenimento dello svincolo dalla famiglia d’origine. Senza tali premesse, la coppia non può passare
dalla fase dell’illusione alla disillusione, entrando nel circuito della delusione (conflitti, crisi continue)
 NASCITA DEL PRIMO FIGLIO E SEPARAZIONE : fare spazio al nuovo membro (creando un sottosistema
genitoriale) presuppone l’aver creato uno spazio mentale indipendente dalla famiglia d’origine e un
sottosistema coniugale stabile. Coppie intrappolate in relazioni fusionali, che hanno l’aspettativa di una
condivisione totale e spontanea da parte del partner, non riescono a dare spazio al figlio.
Può inoltre verificarsi il già descritto “chiasma relazionale”, ove ciascun partner (e le relative famiglie
d’origine) compete per “accaparrarsi” il figlio, ponendolo al centro di triangolazioni e/o coalizioni
 ADOLESCENZA E SEPARAZIONE : come si è visto, durante la crisi adolescenziale dei figli, i genitori
attraversano la crisi di mezza età, e devono affrontare il problema dell’individuazione/separazione dei
figli. I genitori che si separano sono meno presenti nella fase adolescenziale del figlio: fase in cui egli
ha bisogno di sostegno per trovare e cementare la sua identità. Le conseguenze consistono in disagio
psichico e comportamento deviante del giovane adolescente (doppia separazione)
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10.3 - POSSIBILI PERCORSI DELLA FAMIGLIA SEPARATA
 FAMIGLIA MONOGENITORIALE : in genere composta da madre e figlio, mentre il padre si crea una nuova
relazione. In altri casi deriva dalla cosiddetta “sindrome della alienazione genitoriale”, per la quale il
genitore affidatario tende a svalutare il genitore che se ne va di casa. Di conseguenza, il figlio non
vuole vedere il padre, e i padri evitano di vedere i figli per non entrare in conflitto con la ex moglie. La
madre, infine, rimasta sola, è emotivamente poco disponibile e non riesce a gestire l’autorità. I rischi
derivano dal fatto che in queste situazioni il bambino si trova ad assumere diversi ruoli disfunzionali:
 Eterno bambino : il coinvolgimento del bambino in una relazione eccessivamente invischiata con la
madre fa sì che questi rimanga dipendente, immaturo e insicuro
 Partner : sul figlio sono proiettate aspettative e desideri irrealizzabili (è il “sostituto” del partner)
 Parental child : è l’inversione di ruoli, per la quale il figlio si assume il compito di “gestire” i fratelli
e/o di consolare la madre (i figli possono sentirsi inadeguati e soffrire di ansia di prestazione)
 Emancipazione precoce : se la madre è troppo permissiva, al figlio manca quella “base sicura” che
lo tiene lontano da amicizie o gruppi devianti
 FAMIGLIA COLLABORANTE : gli adulti hanno raggiunto il divorzio psichico e cooperano nell’interesse dei
figli. Si parla quindi di “coalizione parentale” tra i genitori biologici e i genitori acquisiti per crescere i
figli, nel rispetto delle separazioni e dei confini dei singoli nuclei familiari. Dal canto loro, i minori
possono accedere a tutte le figure genitoriali, non restando coinvolti in relazioni disfunzionali
 FAMIGLIA CONFLITTUALE : gli ex coniugi non hanno raggiunto il divorzio psichico e continuano a farsi
perennemente la guerra (alienazione genitoriale). I figli possono essere coinvolti in triadi rigide: una
dinamica relazionale definita da Minuchin in cui i confini tra sottosistema genitoriale e figli sono diffusi e
i confini della triade genitori-figlio sono rigidi (coalizione, triangolazione, deviazione).
I figli delle triadi rigide, coinvolti in richieste di alleanza e conflitti di lealtà, possono soffrire di sensi di
colpa, manifestazioni psicosomatiche, insicurezza, bassa autostima e difficoltà scolastiche

10.4 - FATTORI DI RISCHIO E PROTEZIONE PER I FIGLI


La separazione determina una condizione di vulnerabilità dei figli, che può essere amplificata da FATTORI DI
RISCHIO o ridotta da FATTORI PROTETTIVI. Pertanto, non è la separazione in sé ad essere un evento
drammatico, ma il conflitto coniugale che ne segue. Tale prospettiva considera la separazione un processo
evolutivo che coinvolge l’intero nucleo familiare-ambientale, e che può avere esiti diversi a seconda delle
risorse presenti nell’ambiente relazionale e della capacità della famiglia di sfruttarle.
Tra i FATTORI DI RISCHIO troviamo:
 Conflittualità elevata dei genitori (mancanza di comunicazione tra gli ex-partner)
 Cattiva relazione con il genitore affidatario
 Diminuzione delle risorse economiche
 Scarso sostegno da parte della rete parentale-amicale
 Dinamiche relazionali disfunzionali (triangolazioni, chiasma relazionale)
I FATTORI PROTETTIVI sono:
 Buona relazione con i genitori (soprattutto con il genitore affidatario)
 Buona relazione con i fratelli (sui figli unici possono essere proiettate tutte le ansie dei genitori)
 Buona relazione con la famiglia d’origine, con i coetanei e con gli insegnanti
 Disponibilità dei genitori a fornire spiegazioni (sulla continuità del rapporto affettivo e relazionale)

11. LE FAMIGLIE RICOSTITUITE


Le FAMIGLIE RICOSTITUITE si compongono di un nucleo familiare convivente formato da una coppia e i figli di
uno dei partner nati durante un precedente matrimonio o unione di fatto. Aumentando il numero di divorzi e
separazioni, questa tipologia familiare si sta diffondendo molto negli ultimi anni.
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11.1 - COMPITI DI SVILUPPO
Le dinamiche delle famiglie ricostituite sono strettamente legate a quelle della famiglia separata: il modo in
cui è stata elaborata la separazione influenza pesantemente l’evoluzione di questi nuclei familiari.
Le nuove coppie, oltre ad avere delle false aspettative, hanno la difficoltà di dover diventare gruppo senza
avere una storia condivisa. I confini familiari di questi nuclei sono meno marcati di quelli delle famiglie
tradizionali, a causa del movimento dei figli tra due genitori biologici, che implica contatti frequenti tra gli
ex-coniugi. Pertanto, queste famiglie incontrano maggiori difficoltà a stabilire confini e legami, proprio in
ragione delle pregresse storie differenti e dei diversi modi di affrontare i problemi. A ciò si aggiunge un
ulteriore elemento di fragilità dato dalla mancata accettazione sociale di tale fenomeno.
Questi problemi rendono tali unioni instabili e a rischio di ulteriore separazione.
I compiti di sviluppo che la famiglia ricostituita si trova a dover affrontare sono, sul PIANO CONIUGALE:
 Costruire un’identità di coppia solida e matura
 Costruire un senso di appartenenza alla nuova unità familiare
Sul PIANO GENITORIALE, invece:
 Ridefinire i precedenti legami tra genitori biologici e figli
 Sviluppare relazioni adeguate tra genitori acquisiti, figli acquisiti e fratelli acquisiti
Per quanto riguarda, invece, gli INTERESSI DEI FIGLI:
 Mantenere i rapporti con i genitori non conviventi e con le loro famiglie d’origine
 Sviluppare nuove relazioni con la famiglia estesa del genitore acquisito

11.2 - IDENTITÀ DI COPPIA / LEGAMI GENITORI-FIGLI


Ahrons mette in relazione la famiglia ricostituita con le modalità con cui è avvenuto il processo di
separazione, individuando 5 tipi di riorganizzazione genitoriale e coniugale dopo la separazione:
 DIADE DISSOLTA : derivano da separazioni in cui il padre è assente (famiglie monogenitoriali) e si ha
l’entrata di un nuovo partner in “sostituzione” della figura genitoriale assente. Tuttavia, la relazione
mancante col genitore biologico rende difficile per il giovane legarsi a un altro genitore
 AMICI PERFETTI : gli ex-coniugi non sono in conflitto ma mantengono il più possibile l’organizzazione
familiare precedente. I figli godono di relazioni adeguate con entrambi i genitori e le famiglie d’origine,
ma possono manifestare confusione per la scarsa chiarezza della situazione e la scarsa definizione dei
confini. Inoltre, i nuovi partner possono sentirsi minacciati dal persistere di questa relazione ed avere
difficoltà a integrarsi e a definire un proprio ruolo con i figli (episodi di gelosia)
 COLLEGHI COLLABORANTI: gli ex-coniugi si sono separati psicologicamente e possono investire in una
nuova relazione. I nuovi partner non hanno difficoltà a inserirsi nel nuovo nucleo e i figli hanno buoni
rapporti con entrambi i genitori biologici, godendo dei vantaggi dell’avere 2 famiglie. Si parla di
coalizione genitoriale: la temporanea alleanza tra genitori per portare avanti i compiti di sviluppo
 COLLEGHI ARRABBIATI: gli ex-coniugi non hanno raggiunto il divorzio psichico e, a causa dei conflitti,
definiscono una sorta di “genitorialità parallela” basata su una relazione competitiva e controllante
(entrambi tendono a occuparsi dei figli, ma con modalità competitive e non cooperative)
 NEMICI FURENTI : gli ex-coniugi non mostrano alcuna forma di collaborazione, ma ognuno dei due cerca
di eliminare l’altro, considerandolo un nemico. I nuovi partner si inseriscono attivamente nel conflitto: in
quanto potenziali sostituti dell’altro genitore, si instaura un’ulteriore competizione. Di conseguenza, il
loro coinvolgimento nel rapporto con i figli delle precedenti unioni è molto difficile
Per garantire un ambiente adeguato per lo sviluppo dei figli, è determinante il rapporto tra il vecchio e il
nuovo nucleo familiare. I genitori che si stanno separando, infatti, dovrebbero costruire un “ponte”, un
collegamento tra le famiglie che sia agevole e funzionale, sul quale il figlio possa muoversi facilmente.

11.3 - GENITORI, FIGLI E FRATELLI ACQUISITI


Il RAPPORTO CHE SI INSTAURA TRA NUOVO PARTNER E FIGLI è un perno fondamentale delle relazioni nella
nuova famiglia. Inizialmente, i figli percepiscono sentimenti di ostilità verso il nuovo arrivato, perché
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vedono sfumare le speranze di riunione familiare e hanno paura di essere abbandonati dal genitore
affidatario. Inizialmente, infatti, la neocoppia può avere maggior bisogno di intimità e non svolgere a pieno
la sua funzione genitoriale: questo periodo di circa 2 anni successivo alla separazione viene detto latitanza
genitoriale ed è spesso molto problematico. Bisogna però considerare alcune variabili:
 Differenze di genere: sembra che le figlie femmine abbiano più difficoltà ad accettare il nuovo partner
del genitore, perché si sentono più minacciate e scaricate dal ruolo “responsabilizzante” acquisito dopo
la separazione (soprattutto se il padre, genitore affidatario, inizia una nuova relazione)
 Età dei figli: gli adolescenti mostrano più problemi di accettazione rispetto ai bambini in età scolare
 Genitore che intraprende la nuova relazione: se è il padre ad avere una nuova relazione, di solito i
rapporti con i figli sono più sporadici (sono affidati quasi sempre alla madre) e, di conseguenza, i figli
hanno difficoltà ad accettare la nuova madre. Se è la madre ad avere un nuovo compagno, per
quest’ultimo è difficile crearsi il ruolo di “figura autoritaria”: i figli, infatti, non vogliono obbedire a
qualcuno con cui non hanno legami (soprattutto se mantengono un buon legame col padre biologico)
 Fratelli: i rapporti tra fratelli acquisiti sono la diretta conseguenza del comportamento degli adulti
(litigare sui comportamenti dei figli, non trattare allo stesso modo figli naturali e acquisiti). La nascita di
legami è favorita dall’età simile dei ragazzi, dalla condivisione di esperienze e dalla solidarietà

12. LE FAMIGLIE IMMIGRATE


L’EMIGRAZIONE è un evento critico e destabilizzante dell’identità, a causa della separazione repentina da
tutti i punti di riferimento del paese d’origine, sia familiari che socio-culturali (sradicamento).
Le motivazioni che spingono una famiglia a migrare possono essere volontarie (accrescimento del livello
economico) o involontarie (sopravvivenza del nucleo). In quest’ultimo caso, sono cruciali le aspettative che
la famiglia ripone nei membri coinvolti nel progetto migratorio. Il soggetto che migra è depositario di un
“mandato familiare”: far stare bene la famiglia d’origine, dal punto di vista economico e sociale. Tuttavia,
sia che emigri l’intera famiglie, sia che emigri parte di essa, l’emigrazione è sempre un evento familiare.
Nel processo migratorio possono essere individuate una serie di fasi:
1. Preparatoria : consiste nell’ideazione del progetto migratorio
2. Partenza : è associata a rituali carichi di emozioni contrastanti
3. Viaggio
4. Arrivo : è un momento delicato, dal momento che l’immigrato, non essendo riconosciuto né nel luogo di
arrivo né in quello di origine, si trova a vivere una doppia assenza di cittadinanza

12.1 - PRIMA E SECONDA GENERAZIONE


Le RELAZIONI GENITORI-FIGLI incontrano diverse difficoltà dovute alla gestione dell’evento migratorio. I
genitori immigrati si trovano a dover affrontare la gestione dei figli in una cultura diversa, che implica
notevoli stress dal punto di vista socio-economico (precarietà del lavoro e delle abitazioni, difficoltà
linguistiche, mancanza di sostegno della famiglia estesa, educazione dei figli in un contesto diverso). Fare
i genitori vuol dire trasmettere valori, credenze, culture familiari e sociali, che già nel paese di nascita è un
compito difficile. Nel paese di accoglienza è ancor più difficile, poiché i genitori possono sentirsi spaesati.
In altre parole, la migrazione costringe ad un collegamento tra due realtà sociali differenti: la cultura
d’origine e il nuovo contesto. Aspetti cruciali per la riuscita di questo compito solo l’atteggiamento dei
genitori verso il paese di accoglienza e la gestione dei rapporti con le famiglie d’origine.
Soprattutto per le SECONDE GENERAZIONI, può rivelarsi complicato far coincidere 2 esigenze contrastanti: ad
esempio, l’adottare una cultura in casa (se i genitori non si adattano alla nuova cultura) ed un’altra a
scuola. Il miglior adattamento delle seconde generazioni al paese d’accoglienza può, infatti, generare un
estraneamento progressivo dalla famiglia e dai valori della cultura d’origine. In breve, queste generazioni si
trovano a vivere una difficoltà di appartenenza tra cultura d’origine e ospitante: essi occupano una
posizione intermedia fra i valori familiari e quelli della società ospitante. Tale difficoltà è amplificata dalla
visione “cristallizzata” che i genitori immigrati possono avere del loro paese d’origine. L’idealizzazione

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dell’appartenenza è il fenomeno per cui la prima generazione di immigrati conserva un’immagine positiva e
cristallizzata del proprio paese, non più coincidente con la realtà. Ciò causa un rifiuto del nuovo, al fine di
difendere la propria identità culturale e mantenere un senso di continuità. Così, la prima generazione
incontra il rischio di una rottura nella trasmissione intergenerazionale dei valori: l’integrazione sociale dei
figli, infatti, può essere vista come un tradimento alla “lealtà familiare”.
La trasmissione generazionale di miti familiari derivanti da cristallizzazioni inconsapevoli può generare
attriti tra genitori immigrati e figli, portando questi ultimi ad attuare un “taglio emotivo”, ovvero una
negazione delle proprie radici al fine di favorire il processo di assimilazione della nuova cultura.

12.2 - COPPIE MISTE E FAMIGLIE INTERCULTURALI


Il termine “COPPIA MISTA” (interculturale o interetnica) descrive l’unione di partner di culture o nazioni
diverse ed è una configurazione familiare in rapida diffusione. Le diversità linguistiche, culturali e religiose
non sempre riescono ad essere integrate all’interno della coppia, e richiedono una negoziazione marcata
tra i partner, che a volte sfocia nella loro separazione. Inoltre, la società contemporanea condivide molti
stereotipi negativi nei confronti delle coppie miste, che pertanto risultato più fragili nella loro costituzione.
Il compito più difficile per queste coppie è l’acquisizione della genitorialità e, quindi, le scelte educative.
Queste, inevitabilmente, tengono conto del background culturale di ogni partner: la nascita del figlio, di
conseguenza, può provocare un incontro o uno scontro tra le due culture. In tale eventualità, un ruolo
chiave è giocato dalla maggiore/minore flessibilità di regole, tradizioni, valori culturali dei partner.
La sottrazione internazionale del minore può verificarsi in seguito alla separazione tra partner di diversa
provenienza culturale: in tali casi, il conflitto della coppia può sfociare nel “rapimento” del figlio da parte di
uno dei due genitori, che torna al proprio paese d’origine portando con sé il minore. Come prevedibile, la
sottrazione minaccia il diritto del bambino ad accedere ad entrambe le figure genitoriali. Inoltre, reca il forte
rischio di abuso psicologico del bambino, costretto a rinunciare alle sue esigenze e ad una libera
espressione di se stesso per adeguarsi alle richieste del genitore sottraente.
Fino all’ultimo decennio il genitore sottraente era spesso il padre, mentre ad oggi è la madre a costituire la
nuova figura di genitore sottraente (soprattutto in caso di relazioni con partner violenti). Questo dato è in
costante aumento, considerando anche che la normativa internazionale sembra non considerare le attuali
dinamiche familiari caratterizzanti la sottrazione, attraversate dal conflitto violento.

12.3 - INCONTRO CON LE FAMIGLIE IMMIGRATE


L’ETNOPSICHIATRIA è un ramo della psichiatria che studia e classifica disturbi e sindromi psichiatriche
tenendo conto sia del contesto culturale in cui si manifestano che del gruppo etnico dell’individuo.
Si occupa quindi delle nuove minoranze socio-culturali, dei loro bisogni e delle difficoltà di integrazione
nelle culture di accoglienza, mettendo in risalto la specificità di certi disturbi strettamente collegati
all’ambiente culturale d’insorgenza, non riducibili a categorie psichiatriche universalmente riconosciute.
La modalità relazionale che permette allo psicologo di conoscere la cultura delle famiglie immigrate è una
posizione di non conoscenza e curiosità, che prescinde dai propri pregiudizi. Ciò consente di ridare
competenza alla famiglia, superare gli stereotipi culturali e costruire una proficua alleanza di lavoro.
Anche il MEDIATORE INTERCULTURALE è una figura importante per agevolare il processo di integrazione tra
famiglia immigrata e società di accoglienza, favorendo la conoscenza reciproca di culture, valori, tradizioni
e sistemi sociali. Il suo obiettivo è di creare uno “spazio comune” dove i sistemi di valori di due culture
possano incontrarsi e coesistere. L’intervento del mediatore culturale si svolge su 4 piani:
- Culturale : il mediatore funge da “fonte di conoscenza” per gli interlocutori
- Informativo e orientativo : avvicinare e orientare gli immigrati ai vari servizi
- Linguistico e comunicativo : inteso anche come spiegazione di significati
- Relazionale e sociale : comprendere ansie e paure che derivano dall’incontro tra due mondi diversi
Il mediatore interculturale diventa quindi il “ponte” in grado di far incontrare due diverse culture.

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13. LE FAMIGLIE OMOGENITORIALI
Sebbene l’opinione comune veda incompatibilità tra OMOSESSUALITÀ e genitorialità, le famiglie formate da
genitori dello stesso sesso rappresentano un contesto di sviluppo adeguato per i bambini.
La genitorialità non è un concetto biologico o naturale, ma è composta dai comportamenti dell’adulto volti a
fornire cure, sostegno e supporto allo sviluppo del bambino. Da ciò deriva che l’aspetto centrale nel
garantire un sano sviluppo psicologico al bambino è rappresentato dal “coparenting”, ovvero dalla qualità
dell’accordo e del sostegno reciproco che gli adulti raggiungono nello svolgere la loro funzione genitoriale,
indipendentemente dal loro genere e orientamento sessuale. Pertanto, madri e padri sono importanti per i
bambini in quanto genitori, e non in quanto “maschi” o “femmine”.
Le famiglie con genitori omosessuali possono avere diverse forme e strutture:
 FAMIGLIE DI PRIMA COSTITUZIONE: sono famiglie composte da omosessuali al cui interno matura l’idea di
genitorialità (PMA: Procreazione Medica Assistita)
 FAMIGLIE RICOSTITUITE: sono famiglie di seconda costituzione, poiché i figli della coppia gay o lesbica
sono il frutto di una precedente unione eterosessuale (anche in questi casi, la storia della separazione
precedente alla costituzione della famiglia ricostituita influenza la sua formazione)
 CO-GENITORIALITÀ: una famiglia composta da una persona gay e una lesbica, che saranno i genitori
biologici del figlio, con i loro rispettivi partner (i figli hanno 4 genitori, due “biologici” e “due sociali”)
 FAMIGLIE MONOGENITORIALI : si tratta generalmente di donne che non hanno relazioni di coppia e
decidono di avere un figlio tramite fecondazione medicalmente assistita (PMA)
 DONATORE AMICO: prassi usata da coppie lesbiche che desiderano avere un figlio senza ricorrere
all’acquisto di seme o a PMA. Il donatore può essere uno sconosciuto (donazione aperta/chiusa)
 PMA-SURROGACY: o “utero in affitto”, si tratta della possibilità che donne portino a termine una
gravidanza per conto di altri (GDS : Gestazione Di Sostegno). Poiché è illegale in Italia, queste famiglie
sono spesso costrette a recarsi all’estero, con conseguenti carichi economici elevati
13.1 - IL COMING OUT
Col termine “COMING OUT” si intende la decisione di dichiarare apertamente il proprio orientamento
sessuale e affettivo. Diversi autori identificano 3 fasi del coming out:
1. Coming out interiore (coming-in) : l’individuo inizia a identificarsi come lesbica/gay/bisessuale
2. Coming out esteriore (coming-out-to) : la persona parla e si mostra ad altri come omosessuale
3. Coming out in famiglia (coming-home) : la persona si dichiara omosessuale nella propria famiglia
Il coming out cambia in relazione al contesto e alle caratteristiche dei destinatari:
 GENITORI: se la persona gay o lesbica vive in un contesto molto tradizionale, rigido, in cui vigono regole
e criteri religiosi e/o morali piuttosto fondamentalisti, il coming out può essere vissuto come
un’esperienza stressante e traumatica, sia per i genitori che per i figli. È quindi considerato un evento
paranormativo, in seguito al quale i genitori spesso reagiscono con rabbia, vergogna e senso di colpa,
e necessitano di un periodo di rassicurazione per superare il loro pregiudizio.
Di norma, i genitori attraversano varie fasi: negazione, rabbia (per la “perdita del figlio” che avevano
immaginato), contrattazione (tregua nella fase di rabbia), depressione (i genitori si autoaccusano e si
interrogano su cosa hanno sbagliato) e, infine, accettazione. In seguito alle reazioni dei genitori, il figlio
può sviluppare a sua volta l’omofobia interiorizzata: un insieme di sentimenti e atteggiamenti negativi
che una persona omosessuale prova nei confronti della propria e altrui omosessualità
 ALTRI FAMILIARI: fratelli e sorelle sono validi supporti per i genitori e per i figli, poiché accettano più
velocemente l’idea dell’omosessualità del fratello/sorella (grazie alla maggiore apertura che deriva
dall’essere sullo stesso piano generazionale e dal profondo legame tra i membri di tale sottosistema)
 PARTNER ETEROSESSUALE: molte persone omosessuali possono aver acquisito la consapevolezza del
proprio orientamento sessuale da adulti, all’interno di un matrimonio o una relazione eterosessuali. La
reazione del partner eterosessuale può essere molto violenta ma, come nel caso dei genitori, col
tempo le reazioni iniziali si ammorbidiscono ed è possibile arrivare a separazioni consensuali
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 FIGLI: è la situazione più difficile, poiché si ha paura di ferire o danneggiare i figli (si pensa che non
possano accettare questa rivelazione, che si vergognino del genitore o interrompano i rapporti)
È più facile dichiararsi in gruppi primari (in cui vi sono forti legami emotivi) e, in genere, gay e lesbiche
preferiscono parlare con sorelle, madri e amiche (le donne sono più sensibili e aperte verso le diversità).
Nonostante ciò, il coming out contribuisce ad aumentare l’autostima e l’affermazione di se stessi.

13.2 - GENITORIALITÀ OMOSESSUALE


Oltre ai normali compiti di sviluppo, la FAMIGLIA OMOSESSUALE deve confrontarsi con il pregiudizio, la
discriminazione e a volte l’aperto rifiuto da parte della comunità. Tuttavia, in queste coppie la simmetria di
ruoli e funzioni aiuta molto la condivisione dei compiti quotidiani che riguardano l’allevamento e la cura dei
figli. Molti studi rivelano che le coppie gay e lesbiche dimostrano una divisione più egualitaria delle
responsabilità di cura dei figli e un maggiore accordo rispetto alle pratiche di educazione dei figli. Da ciò
derivano minori conflitti coniugali e minor rischi di esposizione dei figli a comportamenti o prescrizioni
ambivalenti, frutto della diversità di vedute all’interno delle coppie parentali.
Altre ricerche hanno valutato lo sviluppo dei figli di coppie omosessuali, arrivando a diverse conclusioni:
 L’orientamento affettivo e sessuale e l’identità di genere dei genitori non influenzano quello dei propri
figli (i figli di omosessuali sono raramente omosessuali)
 I figli di coppie omosessuali non hanno deficit cognitivi/affettivi rispetto ai figli di eterosessuali (anzi,
mostrano migliori risultati accademici e minori comportamenti trasgressivi/aggressivi)
 Risultano essere più aperti e sereni nei confronti di orientamento non eterosessuali (meno conformisti
e meno rigidi, hanno relazioni positive con i coetanei e sono più aperti alle diversità)
Da ciò si evince che nessuno studio ha riscontrato che i bambini cresciuti in famiglie omogenitoriali sono
svantaggiati rispetti ai loro coetanei. Pertanto, non ci sono prove che attestino che le coppie gay o lesbiche
siano inadatte a fare i genitori. In breve, gli adulti coscienziosi e capaci di fornire cure, siano essi uomini o
donne, etero- od omosessuali, possono comunque essere degli ottimi genitori.
L’unica differenza tra famiglie etero- ed omo-genitoriali è la discriminazione legale e la non equità!

14. IL COLLOQUIO DI VALUTAZIONE


Un INTERVENTO DI VALUTAZIONE DI UN SISTEMA FAMILIARE consente la conoscenza dei punti di forza e di
vulnerabilità del paziente e della sua famiglia, e si svolge seguendo 2 livelli di analisi:
 Piano sincronico : modelli interattivi e comunicativi nel “qui ed ora”. Riguarda la storia del
comportamento sintomatico legato al motivo per cui le famiglie richiedono un intervento clinico
 Piano diacronico : analisi di storie, significati e valori condivisi, miti e fantasmi del passato che
influenzano presente e futuro. Si cerca di capire “come e quando” si è giunti alla situazione attuale
tramite l’analisi del passato. Riguarda la storia trigenerazionale della famiglia nucleare e allargata
La prima questione che si propone al clinico nell’incontro con la famiglia riguarda chi convocare, se tutti i
membri o solo alcuni. In tal senso, la prospettiva ideale coinvolge tutti i membri familiari che fanno parte
del problema: è come se il conduttore dicesse implicitamente alla famiglia che l’opinione di tutti i familiari è
preziosa per capire le origini del problema. Le rappresentazioni preliminari del clinico, quelle che
precedono l’incontro con la famiglia, hanno il loro peso nell’influenzare la valutazione. Questi dati
preliminari, nonostante vadano poi confrontati con i feedback ricevuti nell’incontro con la famiglia, sono
molto importanti: chi fa la telefonata per prendere l’appuntamento, la scelta di chi convocare nel sistema
familiare e la considerazione di chi verrà e non verrà rispetto alla convocazione effettuata.
In merito, Haley ha elencato 4 fasi del colloquio di valutazione:
 FASE SOCIALE : ha l’obiettivo di mettere a proprio agio i membri familiari. Per evitare di concentrare
l’attenzione sul portatore del sintomo (“decentramento dell’attenzione”), tutti i membri familiari si
presentano e vengono coinvolti. Ciò concede al terapeuta la possibilità di cominciare a inserire il
sintomo in un contesto di relazioni e di formulare delle ipotesi, prestando attenzione a vari aspetti:
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- Se ognuno può presentarsi liberamente o viene interrotto dall’intervento di qualcun altro
- Se un membro ha bisogno di aiuto nella presentazione
- Modalità in cui la famiglia si dispone all’interno della stanza
- Scambi verbali e non verbali (clima emotivo, alleanze familiari) : soprattutto se questi ultimi sono
discordanti rispetto a quello che ogni membro riferisce tramite il linguaggio verbale
Questi aspetti sono di fondamentale importanza per comprendere il clima relazionale all’interno del
nucleo familiare. La regola che il clinico deve proporre è, per Minuchin, che nessuno deve parlare al
posto di un altro, né avanzare congetture sui pensieri o i sentimenti di un altro familiare
 DEFINIZIONE DEL PROBLEMA : l’obiettivo è la ricostruzione della storia del sintomo, ovvero quando è
iniziato, cosa succedeva allora e come hanno reagito gli altri membri familiari. Anche qui il clinico deve
coinvolgere tutti i membri familiari: ognuno è invitato a fornire la propria percezione del problema.
Quindi, la valutazione della famiglia si organizza attorno alle opinioni di tutti i membri familiari: solo così
il clinico può rilevare la presenza di visioni “condivise” o “contrastanti” tra i vari membri. Poiché questa
fase del colloquio non necessita di interventi, quanto di ascolto, è utile non fare alcuna domanda
relazionale (relazione paziente-madre o paziente-padre): ciò consente al clinico di proseguire nella sua
“osservazione silenziosa”, riponendo la sua attenzione su diversi aspetti:
- Stili di comunicazione
- Modalità con cui si affrontano i problemi e i compiti di sviluppo
- Distribuzione delle funzioni
- Modi di affrontare i conflitti e gli eventi normativi / paranormativi
- Credenze
- Storia della famiglia nucleare e allargata (scelta del partner, influenze intergenerazionali)
- Confini (regole che stabiliscono “chi” partecipa e “come” alla vita dei sottosistemi)
In breve, si tratta di aiutare il membro familiare a mettere in parallelo una cronologia del sintomo con
quella della sua vita: questa “doppia cronologia parallela” spesso suggerisce interessanti coincidenze
temporali tra gli eventi della vita del soggetto e l’insorgenza della sua difficoltà
 OSSERVAZIONE DELL’INTERAZIONE TRA I FAMILIARI : è utile per comprendere la qualità dell’interazione tra i
membri. Mentre nelle prime fasi aveva un ruolo più diretto, ora il compito del terapeuta consiste nel
“tirarsi indietro” e nel facilitare le interazioni tra i membri, prestando attenzione a vari aspetti:
- Tipo di relazione tra i membri familiari
- Emozioni che emergono dalla seduta
- Feedback della famiglia circa il lavoro di valutazione che sta facendo assieme al clinico
- Organizzazione delle unità familiari (diadi, triadi, rapporti intergenerazionali)
 RIDEFINIZIONE E RESTITUZIONE : il clinico dà una definizione del contesto relazionale del problema. Ciò
permette di far comprendere alla famiglia il modo in cui quel sintomo prima ritenuto “inspiegabile” si
inserisca nella rete di relazioni e nella storia trigenerazionale del loro specifico nucleo familiare. In
questa fase si costruisce per e con la famiglia una ridefinizione di ciò che è emerso (co-costruzione),
che consente di proporre una visione del sintomo contestualizzata nella rete di relazioni che l’ha
generato e mantenuto nel tempo. Ciò comprende non solo una valutazione dei punti di vulnerabilità del
sistema, ma anche delle risorse a sua disposizione per risolvere eventuali problemi. È essenziale in
questa fase l’uso del lessico familiare per favorire la vicinanza emotiva della famiglia al clinico: ogni
famiglia ha un suo linguaggio, dei “termini speciali” o “parole chiave” utilizzate con frequenza
La relazione del clinico con la famiglia è fondamentale in tutti i momenti della valutazione, anche perché,
visti gli assunti della teoria sistemica (Watlawicz, Bateson), il clinico non è un semplice osservatore, ma fa
parte del sistema che osserva. Non è un caso che si parli di “intervento”: infatti, valutare un sistema vuol
dire intervenire su di esso. Il clinico deve costruire un’alleanza efficace mentre partecipa all’interazione con
i membri e la famiglia nel suo insieme, diventando parte integrante del sistema. La valutazione descritta,
infatti, deve essere partecipata e condivisa: è all’interno della relazione del clinico con la famiglia che si
decide la scelta terapeutica da intraprendere in relazione alla valutazione effettuata.
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14.1 - QUANDO LE PAROLE NON BASTANO
Poiché gli uomini comunicano sia col modulo numerico che con quello analogico, il clinico deve fare
attenzione al LINGUAGGIO DEL CORPO e ai SEGNALI NON VERBALI che possono confermare o meno il
comportamento verbale. Infatti, il modulo analogico è meno controllabile e, pertanto, più autentico rispetto
alla comunicazione verbale. In merito, è essenziale individuare l’eventuale incongruenza tra
comunicazione verbale e non verbale: in tal caso si dovrebbe considerare il livello analogico.
Lo sguardo è un importantissimo canale della comunicazione analogica, ed è un indicatore fondamentale
nella SCULTURA FAMILIARE: la tecnica terapeutica di Virginia Satir che richiede ai membri familiari di dare
una rappresentazione visiva e spaziale della famiglia, ovvero di organizzare una “scena familiare”
assegnando ad ognuno vicinanze e distanze. È un metodo che utilizza il canale analogico della
comunicazione e consente di raccogliere molte informazioni non esprimibili tramite il canale verbale.
A turno, si individua il ruolo dello “scultore” che dovrà organizzare la scena, collocando gli altri familiari
nello spazio e stabilendo le loro posizioni del corpo, la postura, lo sguardo, le gestualità, la mimica, le
distanze interpersonali che ritiene più idonee per rappresentare le relazioni. Infine, lo scultore colloca se
stesso nella scultura, scegliendo come e dove si vede in relazione con gli altri.
Mentre lo scultore rappresenta la scena familiare, i familiari devono entrare nella rappresentazione senza
fare commenti. Una volta realizzata, la scena resta “ferma” qualche secondo: ogni familiare ha modo così
di “entrare” nel suo ruolo e di sperimentare le relative sensazioni. Tali sensazioni saranno affrontate nella
successiva fase di verbalizzazioni delle emozioni, in cui si torna ad usare il livello numerico e dove ogni
membro familiare descrive agli altri come si è sentito nel ruolo attribuitogli dallo “scultore”.
Dopo i commenti, il clinico costruisce una ridefinizione sulla base di quello che è emerso, includendo le
visioni che ognuno ha del problema, le emozioni espresse ed ogni altra informazione raccolta. Di norma
viene proposta alla famiglia come una nuova visione del problema portato: mentre la famiglia affronta la
terapia con l’idea che il “problema” sia esclusivamente del paziente, nella ridefinizione il clinico propone
una visione alternativa in cui l’emergenza del quadro sintomatico in un membro è ricondotta all’intero
sistema di relazioni familiari. Ciò significa anche fornire una visione “contestualizzata” della difficoltà,
ovvero specifica per quella rete di relazioni familiari che caratterizzano quella famiglia.
La METAFORA si colloca a metà tra il linguaggio logico-razionale e quello simbolico e dell’affettività. Poiché
ha la stessa forma del linguaggio implicito del corpo, ha il grande vantaggio di fare allusione al livello pre-
verbale ed inconscio senza pretendere di spiegarlo o esplicitarlo. Ad esempio, Whitaker ha usato il gioco
del “come se” nella sua terapia simbolico-esperienziale: utilizzando il linguaggio metaforico, il terapeuta
scherza provocando i membri familiari a proposito del ruolo che essi svolgono nel sistema, al fine di
elicitare una loro reazione e contribuire a produrre un’alternativa diversa al proprio comportamento.
Anche il SILENZIO è una forma di comunicazione, e spesso è più significativo delle parole. Poiché viene
spesso legato ad un momento fortemente emotivo, di elevata intersoggettività, può anche essere usato dal
conduttore per far entrare in contatto i membri familiari con l’aspetto emotivo dei loro messaggi. In tal
senso, il silenzio del conduttore diventa uno spazio per l’interazione in cui la famiglia può esprimersi
liberamente (fase dell’osservazione delle interazioni familiari di Haley).

14.2 - IL LINGUAGGIO DEL SINTOMO


Una caratteristica di alcune famiglie è la difficoltà a verbalizzare le emozioni, soprattutto se conflittuali. Non
essendoci libera espressione delle emozioni, il SINTOMO tende ad esprimersi tramite il corpo, ovvero il
linguaggio analogico: è, quindi, una comunicazione che il membro sintomatico rivolge alla famiglia.
Minuchin ha individuato 4 tipologie familiari basate su modelli organizzativi ed interattivi ricorrenti:

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 INVISCHIAMENTO : i membri sono ipercoinvolti tra loro, i confini sono labili e v’è confusione di ruoli. Le
relazioni sono caratterizzate da estrema vicinanza ed intimità: queste famiglie cercano di negare
emozioni, sentimenti e comportamenti negativi, mostrando un’apparente coesione familiare
 IPERPROTETTIVITÀ : i componenti della famiglia mostrano un alto grado di preoccupazione e interesse
reciproco. Quando il paziente assume un comportamento sintomatico, l’intera famiglia si mobilita per
proteggerlo: circolarmente, quindi, la malattia del paziente “protegge” la famiglia dai conflitti
 RIGIDITÀ : la famiglia è particolarmente resistente al cambiamento e tende a presentare un’immagine di
unità ed armonia in cui l’unico problema da risolvere è la malattia del paziente
 MANCATA RISOLUZIONE DEL CONFLITTO : famiglie con bassa soglia di tolleranza al conflitto tendono a
tenerlo occultato e a non farlo mai esplodere. Il paziente assume un ruolo chiave in questo processo:
in caso di tensioni tra i familiari, la comparsa del sintomo riesce a bloccare le tensioni, attirando
l’attenzione preoccupata dei membri in conflitto. In un circolo vizioso, l’esperienza di essere in grado di
proteggere la famiglia mediante i sintomi agisce da “rinforzo” perché essi vengano riutilizzati in futuro.
In breve, poiché la famiglia evita contrasti e dissapori, non riesce a negoziare i propri conflitti, trovando
nel sintomo del paziente un argomento eccellente per tenere lontane le tensioni

15. STRUMENTI CLINICI E DI RICERCA


Il MODELLO CIRCONFLESSO di Olson spiega i modelli relazionali che caratterizzano le strutture familiari,
analizzando il funzionamento della famiglia attraverso 3 dimensioni:
 COESIONE: la lontananza o vicinanza tra i membri di una famiglia e, quindi, il loro legame emotivo
 ADATTABILITÀ: la capacità di cambiare la struttura familiare in base agli eventi del ciclo di vita
 COMUNICAZIONE: la modalità che i membri usano per esprimere i loro bisogni e/o sentimenti
Le famiglie funzionali si collocano nell’area centrale del modello rispetto ad adattabilità e coesione: sono
bilanciate poiché riescono a mantenere una coesione interna, permettono la differenziazione dei membri
come persone “separate” e riescono ad adattare struttura ed organizzazione ai vari cambiamenti. Le
famiglie agli estremi, invece, sono famiglie con emergenze sintomatiche:
- Famiglia caotica: famiglie con alta adattabilità hanno difficoltà a organizzarsi in maniera adeguata
- Famiglia rigida: famiglie con bassa adattabilità hanno regole vissute come “intoccabili”
- Famiglia disimpegnata: famiglie con bassa coesione non condividono emozioni e affetti
- Famiglia invischiata: famiglie con alta coesione mostrano una scarsa differenziazione tra i membri
In generale, sistemi molto coesi e poco adattabili, rigidamente invischiati, presentano difficoltà al
cambiamento. Di contro, sistemi poco coesi e molto adattabili risultano caoticamente disimpegnati.
Il FAMILY ADAPTABILITY AND COHESION EVALUATION SCALE
(FACES) di Olson è uno strumento self-report di
valutazione del funzionamento familiare centrato sulla
percezione delle relazioni fornita da ogni membro
familiare. Si tratta di un’autoriflessione sulle modalità di
rapporto e di funzionamento del nucleo familiare, al fine
di misurare la percezione che ogni membro ha di tale
rapporto e funzionamento. I soggetti devono manifestare
il grado di accordo/disaccordo rispetto a una serie di
item che valutano le dimensioni di Coesione e
Adattabilità scegliendo su una scala Likert a 5 punti (5:
massimo accordo).
Il FACES-III viene presentato in 2 versioni, ognuna delle
quali si compone di 20 item:
- Reale : valutazioni in merito alla famiglia percepita
- Ideale : fornisce informazioni a proposito di quanto e
come ogni membro del gruppo familiare vorrebbe che la propria famiglia mutasse
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L’introduzione della “versione ideale” ha permesso di valutare il grado soggettivo di soddisfazione del
soggetto, misurabile in termini di discrepanza tra livello Reale e Ideale dello strumento.
La somma dei punteggi grezzi su ciascun item fornisce un punteggio finale di Coesione e di Adattabilità,
sia per il versante Ideale che Reale. Dalla combinazione di queste 2 dimensioni, Olson individua 16
modalità di funzionamento familiare, di cui in precedenza sono state esposte quelle disfunzionali.
Lo strumento deve essere somministrato a soggetti di almeno 12 anni di età.
Nella nuova versione FACES-IV vengono eliminate le versioni Ideale e Reale, mentre l’Attendibilità cambia
il nome in Flessibilità. Questa nuova versione si compone di 42 item, distribuiti in 6 scale, divise in:
 Due scale Bilanciate (Coesione Bilanciata, Flessibilità Bilanciata) : sono scale lineari, per cui i punteggi
più alti corrispondono al miglior funzionamento della famiglia (funzionamento sano)
 Quattro scale non Bilanciate (Invischiata/Disimpegnata, Caotica/Rigida) : consentono di avere una
valutazione più accurata del funzionamento familiare nei casi disfunzionali
A questi item se ne aggiungono 10 della Family Communication Scale, una versione ridotta della PAC che
misura l’abilità dei membri nel garantire una comunicazione efficace, e 10 che valutano il livello di
soddisfazione dei membri rispetto alle 3 dimensioni del modello di Olson (Family Satisfaction Scale).
Dalla combinazione dei punteggi delle 6 scale si arriva a 6 tipologie di funzionamento familiare:
 BILANCIATE : alti punteggi nelle scale bilanciate e bassi in quelle non bilanciate (funzionamento sano)
 NON BILANCIATE : alti punteggi nelle scale non bilanciate e bassi in quelle bilanciate
 RIGIDE : elevati punteggi nella scala della Rigidità (famiglie resistenti ai cambiamenti)
 INTERMEDIE : punteggi medi in tutte le scale (funzionamento adeguato ma pochi fattori protettivi)
 ADATTABILITÀ NON BILANCIATA : elevati punteggi in tutte le scale ad eccezione dei livelli di Coesione
 CAOTICO DISIMPEGNATO : alti punteggi nelle scale del Disimpegno (mancanza di vicinanza emotiva)
La PARENT ADOLESCENT COMMUNICATION SCALE (PACs) di Barnes e Olson descrive la terza dimensione
del modello, ovvero la comunicazione tra genitori e figli. Questa viene intesa anche come elemento che
favorisce il movimento dinamico del sistema tra aspetti di coesione affettiva e capacità di cambiamento.
Quindi, buone capacità di comunicazione consentono alle famiglie bilanciate di cambiare i propri livelli di
Coesione e di Adattabilità/Flessibilità più facilmente delle famiglie disfunzionali.

15.1 - ECOMAPPA
È uno strumento carta e matita introdotto da Ann Hartmann, in cui è rappresentata graficamente la mappa
delle risorse relazionali a disposizione della persona, cioè la rete dei suoi rapporti significativi e la qualità di
essi. È utile per allargare il campo di osservazione includendo il rapporto tra famiglia e comunità di
appartenenza, cioè la sua rete di relazioni esterne e il suo grado di vicinanza/isolamento.
A differenza del genogramma, in cui è possibile osservare la dimensione temporale familiare attraverso le
generazioni, l’ecomappa è una descrizione delle attuali relazioni della famiglia con l’ambiente. Come tale,
può essere definite una rappresentazione grafica del contesto ecologico in cui l’individuo vive. In ambito
clinico è utile se affiancato ad un colloquio psicologico in grado di “contestualizzare” le informazioni
ricavate dall’ecomappa e fornire un quadro esaustivo della complessità delle relazioni familiari.
Si chiede al soggetto di presentare, su un foglio, i sistemi con
cui interagisce e di definire la natura di tali relazioni (intense,
non intense, stressanti o di sostegno ed aiuto).
Un grande cerchio centrale corrisponde alla famiglia:
l’intervistato deve inserire in alcuni cerchi vuoti i suoi sistemi
relazionali di riferimento, usando simboli, nomi e linee per
chiarire quali individui fanno parte di tali sistemi e che tipo di
relazione si ha con essi. Le informazioni ricavabili sono:
- Qualità e quantità delle risorse relazionali
- Direzione o flusso delle risorse (bidirezionale / univoca)

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Tramite l’ecomappa è quindi possibile conoscere i possibili sistemi di supporto (amicale, genitoriale, socio-
sanitario), le fonti di stress e le relazioni conflittuali che la famiglia si trova ad affrontare.
15.2 - GENOGRAMMA
Ideato da Bowen, è una rappresentazione grafica dell’albero genealogico della famiglia, comprendente le
3 generazioni. È uno strumento carta e matita in cui il soggetto rappresenta graficamente la struttura
familiare, includendo tutte le persone che hanno rivestito un ruolo
importante nel ciclo vitale della famiglia. In altre parole, è una sorta
di “mappa trigenerazionale” che fornisce informazioni sulla storia, i
legami e gli eventi critici che hanno caratterizzato quella famiglia.
Si presenta come una serie di quadrati e cerchi che simboleggiano
le persone, e di linee che indicano le relazioni (conflitti / alleanze). Vi
sono anche nomi, date, eventi critici (normativi / paranormativi).
Il genogramma ha il pregio di inserire le relazioni familiari in una
dimensione storico-evolutiva: è così possibile dare significato nel
“qui ed ora” ad eventi che riguardano più generazioni.
Le informazioni ricavabili, secondo McGoldrick, sono:
- Struttura della famiglia allargata
- Ciclo di vita e modo di gestire i cambiamenti
- Schemi ripetitivi di comportamento
- Esperienze di vita e funzionamento
- Schemi relazionali, triangoli e sottogruppi
- Bilanciamento / Sbilanciamento nella famiglia (ruoli, potere, differenze economiche o culturali)
Il GENOGRAMMA permette di studiare in un quadro più ampio la complessità delle relazioni e dei legami
familiari e l’interdipendenza tra questi e le esperienze significative di vita. Si è rivelato molto utile per far
emergere eventuali relazioni disfunzionali nel nucleo familiare di bambini con disturbi infantili.
Attraverso il genogramma si possono individuare anche i MITI FAMILIARI, ovvero le credenze condivise da
tutti i membri che concernono i reciproci ruoli familiari e la natura delle relazioni. La creazione del mito
nasce dal bisogno di dare senso ad avvenimenti di cui non si consoce la causa: diviene quindi una
“matrice di conoscenza” e rappresenta un potente fattore di unione e coesione all’interno della famiglia. Al
mito sono associati 3 immagini di ruoli familiari che Byng-Hall associa agli script della famiglia:
1. Immagini ideali (alle quali si cerca di adattarsi)
2. Immagini di ruolo disconosciute o ripudiate (alle quali non ci si deve conformare)
3. Immagini di ruolo condivise (ruoli su cui vi è accordo tra tutti i membri)
Il mito familiare è quindi una “regola”, un modello di valore con funzioni prescrittive al quale debbono
attenersi tutti i membri della famiglia, in quanto vincolati da debiti morali e legami di lealtà. Esso svolge una
importante funzione omeostatica, assicurando una coesione interna e una protezione esterna.

15.3 - DOMANDE RELAZIONALI


Anche dette DOMANDE CIRCOLARI, chiedono a una persona di esprimere il proprio punto di vista circa la
relazione e le differenze tra gli altri membri familiari, rendendo evidenti le relazioni interne al sistema.
Sono fondamentali nella terapia sistemica per facilitare la comunicazione familiare e per permettere ai
partecipanti di mettersi nei panni degli altri, aiutando ciascuno a pensare attraverso il punto di vista
dell’altra persona. Pertanto, possono avere un impatto significativo sui membri della famiglia in quanto
permettono loro di avviare nuovi processi di pensiero e di acquisire maggiore consapevolezza dei loro
processi sistemici. Il loro obiettivo è raccogliere informazioni sul contesto di comunicazione, sfidare i
modelli rigidi di comunicazione e proporre nuovi modelli interpretativi. Si possono distinguere:
 Domande triadiche : si usano per mettere in relazione 3 persone
 Domande trigenerazionali : coinvolgono le 3 generazioni (a prescindere dalla loro presenza)
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 Domande “come se” : sfruttano l’immaginazione e possono spostarsi sia nello spazio che nel tempo
 Domande metaforiche : utilizzano un’immagine concreta per significare qualcos’altro (Whitaker)
 Domande “più o meno” / “prima e dopo” : basate su differenze quantitative / temporali
 Domande indirette : pongono 2 persone in una posizione autoriflessiva, consentono di ottenere
informazioni su qualcuno attraverso quello che dice su un’altra persona

15.4 - RISONANZE
La RISONANZA si verifica quando un clinico è influenzato da sentimenti o temi che lo hanno colpito
profondamente e che lo riportano a degli elementi della sua vita. Tale “amplificazione” di elementi relativi al
passato può essere molto utile nell’incontro con la famiglia, ma può diventare paralizzante se non
analizzata. Infatti, solo se il clinico ha imparato ad utilizzare le emozioni che il sistema evoca e/o amplifica
della propria storia familiare, allora le risonanze permettono una lettura alternativa della realtà. Poiché,
secondo la Cibernetica di Secondo Ordine, un sistema umano è un sistema di costruzione della realtà in
relazione, le risonanze possono diventare una fonte di ipotesi circa la costruzione del mondo degli altri
membri del sistema. Secondo Elkaïm, il concetto di risonanza sottolinea la funzione del vissuto di una
persona per i membri del sistema umano al quale partecipa. Può essere paragonato ad un iceberg, la cui
parte visibile è come il controtransfert, il collegamento tra il passato di una persona e la sua esperienza in
un momento specifico. La parte sommersa, invece, rappresenta la funzione del vissuto di questa persona
come rafforzamento e protezione delle costruzioni del mondo e delle credenze profonde dei membri del
sistema umano a cui appartiene. In altre parole, le risonanze aumentano la capacità di cogliere i
movimenti relazionali utilizzando la dimensione emotiva.

15.5 - FATTORI DI RISCHIO & FATTORI PROTETTIVI


Sono fattori che intervengono durante il ciclo vitale della famiglia e degli individui, influenzandone l’esito in
senso positivo o negativo. Poiché le traiettorie evolutive derivano dal concorso di fattori biologici, genetici e
caratteriali del singolo, nonché delle caratteristiche dell’ambiente in cui vive e della qualità delle relazioni al
suo interno, non si può individuare una relazione diretta fra specifici fattori di rischio e specifici esiti. Di
contro, i fattori protettivi possono ridurre direttamente gli effetti dei rischi.
Inoltre, nessun evento è in assoluto un fattore di rischio o di protezione: al contrario, è l’interazione tra
questi e la storia di ognuno a rendere una certa occasione positiva o negativa.
La stessa RESILIENZA, ovvero la capacità individuale di mantenere un discreto livello di adattamento anche
in condizioni di vita sfavorevoli e stressanti, ne è un buon esempio. Secondo Walsh, infatti, la resilienza
non è una caratteristica stabile o un tratto di personalità, ma una qualità dinamica, che si costruisce e si
modifica attraverso le esperienze di vita. Inoltre, lungi dall’essere una capacità isolata, la resilienza può
essere inserita in un’ampia rete di relazioni ed esperienze lungo il ciclo vitale di ognuno: la Walsh parla di
“resilienza familiare”, ad indicare una sorta di resilienza che proviene dalle relazioni.
Il ciclo vitale di ogni individuo e famiglia è caratterizzato da età e situazioni critiche che richiedono un
maggior sforzo di adattamento (infanzia, adolescenza, gravidanza, separazioni, lutti). Accanto a questi
fattori di rischio agiscono risorse e strategie che dotano l’individuo di opportuni fattori protettivi:
- Coping : capacità di affrontare una difficoltà (ciò che caratterizza le famiglie sane non è l’assenza di
difficoltà o sofferenze, quanto piuttosto la loro capacità di affrontarle e di risolvere i problemi)
- Rete sociale di aiuto

16. INTERVENTI SULLA GENITORIALITÀ


La GENITORIALITÀ non è un evento puntiforme legato al momento biologico della nascita, bensì un processo
che affonda le radici nei rapporti di cui il futuro genitore fa esperienza nella sua infanzia.
Pertanto, è intesa come una funzione dinamica, che può e deve modificarsi nel tempo, adattandosi alle
fasi evolutive e ai diversi compiti di sviluppo legati alla fase del ciclo vitale che il sistema sta attraversando.
Ci possono essere infatti stili genitoriali funzionali per i bambini piccoli, ma inadeguati in adolescenza, e
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non sempre i genitori mostrano la flessibilità necessaria per rispondere adeguando le loro competenze alle
richieste evolutive dei figli. Elementi caratteristici della genitorialità sono:
 La sua NATURA PROCESSUALE
 La sua MATRICE RELAZIONALE : la qualità delle relazioni e interazioni precoci che l’individuo si trova ad
affrontare nel suo ambiente di riferimento (famiglia) è uno dei fattori costitutivi del suo sviluppo
affettivo-relazionale (la scoperta dei neuroni specchio ha fatto emergere il corrispettivo fisiologico di
tale concetto). Ciò implica un cambiamento nell’oggetto di intervento della terapia: non più il singolo
bambino e il suo mondo intrapsichico, ma la famiglia nel suo insieme e le relazioni al suo interno
 La TRIGENERAZIONALITÀ : la genitorialità fa riferimento a diversi aspetti che riguardano sì l’individuo
(livello personale), ma anche la sua famiglia d’origine (livello intergenerazionale) e la relazione di
coppia (livello coniugale). Dunque, parlare di genitorialità significa tener presente più generazioni (i
genitori sono l’anello di congiunzione tra quelle precedenti e future), includendo anche le varie reti di
relazioni e le loro relative caratteristiche (con e nella famiglia d’origine, con e nella famiglia attuale)
Durante il ciclo di vita, i genitori sono chiamati a numerosi impegni di responsabilità, soprattutto in caso di
eventi critici: tali compiti possono generare un bisogno di aiuto, ed è in questo senso che i nuovi Centri per
le Famiglie possono contribuire significativamente a supportare la funzione genitoriale orientando il minore
verso una crescita adeguata. L’obiettivo e lo spirito che spingono questi centri è l’idea che, per migliorare
la vita dei minori, sia importante sostenere i genitori nella loro funzione educativa. In quest’ottica, però,
“sostenere” non significa “sostituirsi” in un intervento che ripari a posteriori, ma aiutare nei punti deboli e
potenziare le risorse esistenti a disposizione della famiglia. Parlando dei Centri per le Famiglie, quindi, è
più appropriato parlare di potenziamento e prevenzione più che di cura o terapia.
Mentre il fine della psicoterapia è la ristrutturazione profonda del sistema famiglia, gli INTERVENTI ALLE
FAMIGLIE mirano a rafforzare le risorse genitoriali per affrontare una situazione critica relativa ad una
problematica attuale. Sempre rispetto alla psicoterapia, inoltre, sono interventi di breve durata, la cui
richiesta può provenire dalla famiglia (motivazione intrinseca) ma anche dall’autorità giudiziaria (CTU).
Infine, mentre la psicoterapia può essere condotta esclusivamente da un laureato specializzato in
psicoterapia, gli interventi di sostegno non richiedono titoli specifici oltre la laurea.
Nello specifico, gli interventi alle famiglie possono essere divisi in 2 categorie principali :
 INTERVENTI DI SOSTEGNO : finalizzati al supporto delle funzioni genitoriali e solitamente non mediati dal
consiglio di esterni (supporto alla genitorialità, mediazione familiare, gruppi di parola)
 INTERVENTI DI VALUTAZIONE E CONTROLLO SOCIALE (spazio neutro, Consulenza Tecnica d’Ufficio): legati
a dinamiche conflittuali (motivazione estrinseca), hanno come obiettivi la valutazione dei rischi, il
contenimento degli agiti distruttivi, la difesa del rapporto figli-genitori, l’apertura di spazi di dialogo

16.1 - IL SOSTEGNO ALLA GENITORIALITÀ


Il SOSTEGNO ALLA GENITORIALITÀ rappresenta un intervento utile nelle situazioni familiari che registrano
momenti di difficoltà nel ciclo vitale in concomitanza di fasi critiche, normative o paranormative. Si tratta di
interventi non terapeutici, rivolti a singoli o a nuclei familiari, finalizzati al sostegno della preoccupazione
dei genitori rispetto ai figli durante una transizione critica. In breve, consiste in una serie di colloqui
psicologici di supporto alle funzioni genitoriali, orientati al coinvolgimento di entrambi i genitori. Lo scopo
del sostegno è quello di liberare il patrimonio di risorse che la coppia possiede, ma che non utilizza.
Questo tipo di intervento, inoltre, ha una valenza preventiva nei confronti del disagio psicologico dei figli e
delle generazioni successive, in quanto vale l’assunto per cui se l’operatore è capace di prendersi cura dei
genitori in difficoltà, questi, a loro volta, saranno in grado di prendersi cura dei propri figli. Ciò incentiverà lo
sviluppo delle loro future competenze genitoriali.
In sintesi, tra gli obiettivi degli interventi di sostegno psicologico vi sono:
 Tutelare il figlio
 Condividere la responsabilità e l’impegno genitoriale
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 Rielaborare l’evento
 Ripristinare una progettualità individuale
16.2 - LA MEDIAZIONE FAMILIARE
È un intervento alla genitorialità che ha l’obiettivo di garantire la continuità della funzione genitoriale
nonostante la separazione dei coniugi, attraverso un lavoro di acquisizione di competenze genitoriali. In
altre parole, è un percorso per la riorganizzazione delle relazioni familiari in concomitanza della
separazione o del divorzio. Il mediatore svolge un ruolo di “traghettatore della transizione” che la coppia
deve compiere all’indomani della sua separazione: in un contesto strutturato, costui si adopera affinché i
partner elaborino in prima persona un programma di separazione soddisfacente per sé e per i figli, in cui
possano esercitare la comune responsabilità genitoriale (co-genitorialità).
La mediazione è quindi finalizzata a mantenere la continuità del rapporto del figlio con entrambe le figure
di riferimento, affinché la separazione non corrisponda a un lutto e non comporti la perdita di un’importante
fonte di identificazione, di sostegno e di affetto per i figli (collasso del triangolo).
Se le coppie che usufruiscono del servizio sono in via di separazione, l’intervento assume caratteristiche di
prevenzione rispetto alla sofferenza relazionale che la famiglia manifesta in seguito alla separazione.
Tra gli adulti che si separano c’è estrema confusione fra la dimensione coniugale e quella genitoriale:
compito degli operatori è cercare di chiarire e distinguere tra queste 2 dimensioni. È proprio in questa
confusione, infatti, che un figlio può essere utilizzato e manipolato quale strumento di contesa.
La mediazione familiare può assolvere a diverse funzioni:
 Terapeutica : si lavora per la ristrutturazione delle relazioni familiari in seguito alla separazione
 Contenimento emotivo : mira alla gestione del dolore, delle ansie e delle paure connesse all’evento
 Preventiva : può evitare disturbi emozionali del bambino
 Sociale : valida per perseguire l’obiettivo della collaboratività genitoriale, la co-parentalità che persiste
al di là della coniugalità, nella sfera dei doveri e delle responsabilità comuni verso i figli
La mediazione familiare può essere richiesta spontaneamente dalla coppia oppure prescritta da un giudice
che “suggerisce” alla coppia un percorso per dirimere il conflitto, vista la loro alta conflittualità.
L’esistenza dei Centri per le Famiglie può significare un’inversione significativa rispetto all’attuale direzione
che caratterizza l’evento separativo, che percorre la strada giuridica e in rari casi arriva ai servizi
psicosociali. La presenza di questi centri può incentivare la volontarietà della richiesta di intervento da
parte della coppia, ed incentivarla sin dalle prime fasi della separazione, prima che i conflitti esplodano
apertamente e coinvolgano l’intero sistema familiare (funzione preventiva).
Vi sono tuttavia dei casi particolari in cui la mediazione non è attuabile, per diversi motivi:
- Individuale : disturbi psicopatologici dei genitori, intollerabilità all’incontro dialettico con l’altro
- Relazionale : caratteristiche del conflitto, fase della separazione
- Contestuale : presenza di denunce penali verso l’ex-coniuge

16.3 - I GRUPPI DI PAROLA


Questa pratica offre ai figli dei genitori separati l’opportunità di accedere a una loro narrazione dei fatti
dolorosi legati alla separazione o al divorzio dei propri genitori. L’esperienza ha dimostrato l’efficacia della
risorsa del gruppo in cui il bambino può dare voce ai suoi desideri e trovare strategie per tollerare e
contribuire al cambiamento relazionale della sua vita sotto “due tetti” che caratterizza l’evento separativo.
Le finalità dell’intervento mirano a fornire ai bambini ed ai loro genitori competenze utili per facilitare la loro
comunicazione e la risoluzione dei problemi connessi alla separazione.
All’interno dei gruppi di parola, un’attività fondamentale è la lettera: una produzione spontanea tramite la
quale i bambini parlano liberamente sulle tematiche attinenti alla separazione/divorzio dei genitori.
In sintesi, i punti di forza su cui è basato il GRUPPO DI PAROLA sono:
 Liberare parole e/o emozioni soppresse attinenti all’evento doloroso della separazione
 Avviare un “percorso di senso” degli eventi accaduti
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 Fare esperienza di “legami fiduciari” con coetanei coinvolti in situazioni analoghe
 Riacquistare speranza nella capacità di fronteggiare gli eventi quotidiani
Dare parola ai figli rappresenta un’opportunità per il bambino, che da soggetto passivo nelle mani di
“cattivi/colpevoli” genitori, può sperimentare nel gruppo una posizione più attiva.

16.4 - LO SPAZIO NEUTRO D’INCONTRO


Lo SPAZIO NEUTRO lavora in stretta collaborazione con l’autorità giudiziaria: con questo intervento ci si
riferisce infatti a tutti quei casi in cui la magistratura interviene limitando la potestà genitoriale e
prescrivendo allontanamenti a causa di condizioni di rischio per il minore (tossicodipendenza o patologia
psichiatrica del genitore, abuso o maltrattamento del minore, sottrazione del minore, affidamento
eterofamiliare). A differenza della mediazione familiare, lo spazio neutro è inserito negli interventi di
“protezione del danno” (insieme alla Consulenza Tecnica d’Ufficio): questi si attivano quando manca un
dialogo costruttivo tra le generazioni e spesso un danno contro il minore è già stato commesso.
Per tale motivo, nella maggior parte dei casi questi interventi svolgono una funzione riabilitativa, poiché
sono già emersi danni a livello delle relazioni e/o sintomi di disturbi funzionali e psicopatologici.
Si tratta di uno spazio mirato alla salvaguardia della relazione affettiva con entrambe le figure parentali
attraverso la facilitazione ed il riavvicinamento relazionale ed emotivo tra genitori e figli, che hanno subito
un’interruzione di rapporto conseguente a dinamiche gravemente conflittuali all’interno del nucleo
familiare. L’obiettivo è la riconquista di una relazione parentale funzionale: il sostegno fornito dagli
operatori ai genitori li deve accompagnare nella riscoperta della loro capacità di accoglimento del figlio e
delle sue emozioni, favorendo il ricostituirsi del senso di responsabilità genitoriale. Il contributo dato alla
relazione genitori-figli è basato sulle attività significative condivise: all’interno dello spazio neutro si vuole
riproporre un ambiente domestico, quasi naturale, nel quale gradualmente genitore non convivente e figlio
possano condividere una serie di attività al fine di giungere ad una condivisione affettiva.
Tale spazio è detto “NEUTRO” poiché non appartiene a nessuno dei familiari, ma è in grado di divenire
gradualmente uno spazio comune. La neutralità è garantita anche dalla presenza di un operatore a tutela
dei diritti del minore. Sebbene lo spazio neutro abbia la funzione principale di garantire il diritto del
bambino a mantenere relazioni personali e contatti diretti e regolari con entrambi i genitori, ciò non deve
mai essere contrario al maggior interesse del bambino.
L’intervento può essere sintetizzato in 3 momenti:
1. Fase di accoglienza e conoscenza : tra il servizio e i soggetti in causa, in cui il minore prende contatto
con l’operatore e con lo spazio dove avverranno gli incontri
2. Fase degli incontri presso il servizio : prevede l’osservazione e la valutazione dell’evoluzione delle
relazioni, la tutela dei bisogni del minore ed il sostegno della funzione genitoriale
3. Fase finale : si verifica la possibilità che il processo possa proseguire all’esterno del servizio ed in
maniera gradualmente autogestita dalle figure allevanti del bambino
Le metodologie adottate nell’intervento includono l’osservazione partecipante, soprattutto nelle situazioni
di gioco col minore e di interazione con gli adulti, allo scopo di facilitare l’instaurarsi della relazione tra le
due parti, e il colloquio. Quest’ultimo può essere condotto sia col minore, per far emergere i suoi vissuti
affettivi e i bisogni inespressi, che con i genitori, al fine di offrire uno spazio di elaborazione dei propri
vissuti e di riflessione in cui al centro dell’interesse vengono posti i bisogni del bambino.
La disfunzionalità dei sistemi familiari, infine, può manifestarsi a diversi livelli:
 Partecipazione : considera il livello di inclusione / esclusione reciproca degli individui nell’incontro (è un
prerequisito essenziale per la buona riuscita dell’intervento)
 Organizzazione : valuta l’aderenza al ruolo di ogni familiare rispetto alle regole dello spazio neutro
 Attenzione condivisa : valuta la stabilità dell’investimento di risorse, psichiche e materiali, di ogni
partecipante (o eventualmente, instabilità e disimpegno) e la condivisione delle attività / interessi
 Contatto affettivo : livello di “sintonizzazione emotiva” e di coordinazione delle relazioni familiari (è il
livello nel quale risulta più visibile la difficoltà dei partecipanti a mostrare il loro affetto)
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 Transizioni : esamina i momenti di distacco / riunione di entrambi i genitori con i figli (importanti
indicatori di modelli di comportamento disfunzionali acquisiti in seguito alla separazione o al divorzio)

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