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LA COSTRUZIONE DEI DISTURBI PSICOPATOLOGICI NEI CONTESTI

INTERSOGGETTIVI

QUATTRO STORIE
1) Esempio disturbo ossessivo:
Natascia, bambina di 11 anni, fino a tre mesi prima bambina modello ora devastata da emozioni che non
riesce a integrare, che chiama tentazioni: vuole farsi bella, pensa a truccarsi. In lei c’è una parte cattiva
che non riesce a controllare.

2) Esempio disturbo fobico:


Alessandro crede di morire, il cuore batte veloce, crede di avere un infarto. Il panico gli impedisce di
uscire di casa, è convinto di soffrire di una malattia grave. Ha un umore depresso e idee suicidarie.
Presenta sensazioni di sdoppiamento.

3) Esempio disturbo alimentare:


Sabina non ha voglia di collaborare in terapia. Ha perso 12 chili. In famiglia è chiusa, ha interrotto il
dialogo con l’intera famiglia. ha un fidanzatino di “turno”, non ha mai manifestato interesse per l’aspetto
fisico, né si è mai preoccupata di piacere

4) Esempio disturbo depressivo


Giulia rompe con il marito e il suo equilibrio s’incrina. È devastata dall’insonnia, agitata, sente di non
farcela più. È sopraffatta dal dolore e dalla rabbia. Si sente perduta. La madre le dice di stare peggio di
lei. C’è una diagnosi di disturbo bipolare.

Natascia, Alessandro, Sabina e Giulia soffrono rispettivamente di un disturbo ossessivo, fobico, alimentare e
depressivo. Che cosa ha innescato in loro l’esordio sintomatico? Per questi disturbi le ipotesi biochimiche e
genetiche avanzate dalla psichiatria biologica non hanno ricevuto conferme; anzi le ricerche condotte,
dimostrano il contrario: sono le condizioni di disagio sociale a provocare l’abbassamento di serotonina.

UNA PROSPETTIVA INTERSOGGETTIVA ALLA PSICOPATOLOGIA


La tesi della Professoressa Ugazio è che le persone con organizzazione fobica, ossessiva, depressiva e tipica
dei disturbi alimentari appartengono a contesti conversazionali (di regola familiari) dove dominano specifici
significati. In questi contesti sono crescite e tutt’ora inserite. Le identità di coloro che partecipano alla
conversazione, le modalità con cui le persone in queste famiglie costruiscono e mantengono le relazioni e i
valori che guidano i comportamenti sono contraddistinti da significati caratteristici. Nei contesti dove
ritroviamo persone con disturbi fobici prevale la semantica della libertà, nei contesti in cui vi sono soggetti
con disturbi ossessivi, prevale la semantica della bontà, in quelli dove sono presenti soggetti con disturbi
alimentari vi è la semantica del potere e infine, nelle famiglie dove vi è un soggetto con disturbi depressivi vi
è la semantica dell’appartenenza.
Le semantiche possono essere viste come una condizione necessaria, ma non sufficiente, per lo stabilirsi delle
psicopatologie correlate. Sono le particolari posizioni che l’individuo e le persone per lui significative
reciprocamente assumo, entro la semantica critica, a svolgere il ruolo cruciale nella transizione dalla
“normalità” alla psicopatologia. Queste posizioni possono indurre uno dei soggetti coinvolti a sperimentare
una situazione conflittuale rispetto ai significati critici. Il conflitto è assimilabile ai “circuiti ricorsivi bizzarri”
di Cronen, Johnson e Lannmann e condivide molte caratteristiche dei “dilemmi implicativi” di Feixas. Quando
ciò accade il soggetto può non essere più in grado di mantenere un positioning stabile rispetto alla semantica
critica e oscillare tra positioning reciprocamente escludenti. Chi si trova in questa posizione sviluppa modi di
sentire e di porsi in relazione complessi, segnati da conflitti e tensioni rispetto ai significati dominanti nei suoi
contesti di riferimento, ma non necessariamente una psicopatologia.
→soltanto quando l’intensità del conflitto entro la semantica critica è tale da non consentire più al soggetto
alcune con-posizione si verifica l’esordio sintomatico
Questa tesi si fonda sul concetto di “polarità semantiche familiari” è coerente con lo spostamento
dell’attenzione dalla famiglia come totalità alla composizione degli individui nelle famiglia: tiene conto sia
della specificità del soggetto, sia della sua interconnessione con gli altri membri del suo sistema relazionale.
Il modello si fonda sulla “Positioning Theory” : ogni membro della famiglia, pur all’interno di una semantica
comune, presenta modalità di partecipare alla conversazione,
di relazionarsi con gli altri e di organizzare la realtà diverse e
in conflitto con quelle degli altri membri. Tali modalità sono,
invece, coerenti con la posizione che il soggetto occupa nella
semantica della sua famiglia e interdipendenti con quelle
degli altri membri del gruppo. Emozioni, scopi e credenze
sono un aspetto di come ciascuno si con-pone con gli altri
membri del gruppo.
L’idea che le quattro psicopatologia descritte siano connesse ad altrettante semantiche è stata confermata da
diverse ricerche condotte da Ugazio e colleghi; per queste ricerche è stata utilizzata la griglia delle semantiche
familiari, strumento appositamente costruito. Il modello presentato presuppone una concezione della
psicopatologia come strettamente connessa al significato, ripresa da alcuni autori cognitivisti.

PSICOPATOLOGIA E SIGNIFICATO
Un contributo della psicologia in termini di significato proviene dalle terapie cognitiviste. La psicologia dei
costrutti personali di Kelly anticipa le motivazioni con cui nascerà il cognitivismo. Pe Kelly ciascun individuo
costruisce attivamente il mondo in cui vive attraverso pattern semantici bipolari: i costrutti personali. Senza
questi pattern l’uomo sarebbe incapace di dar senso alla propria esperienza. Kelly accoglie un’accezione
restrittiva al concetto di falsificazione; l’invalidazione, entro la sua teoria, è l’incompatibilità tra una propria
predizione e le evidenze osservate. Il concetto di falsificazione svolge un ruolo importante nella spiegazione
della genesi della psicopatologia. Il disturbo psicologico viene definito da Kelly come “una costruzione che
viene usata ripetutamente a onta di significative invalidazioni”; è quindi una sorta di coazione a ripetere.
L’obiettivo della teoria dei costrutti personali è quello di delineare i processi fondamentali che stanno alla base
dei modi con cui le persone costruiscono l’esperienza e prospettare un nuovo metodo di analisi clinica e di
psicoterapia.
La psicopatologia e i suoi rapporti con il significato sono, invece, al centro dei modelli psicopatologici elaborati
in particolare da Guidano. Guidano assimila la psicopatologia a una scienza del significato. Per Guidano
esistono percorsi di sviluppo paralleli, le organizzazioni cognitive personali, caratterizzati da significati
personali diversi, che possono evolvere verso la psicopatologia o verso la normalità. Con l’espressione
organizzazioni cognitive personali si intende l’insieme di processi conoscitivi, sia taciti che espliciti, che prede
forma gradualmente nel corso dello sviluppo individuale e grazie al quale ciascuno di noi costruisce
attivamente il suo punto di vista dall’interno, unico ed esclusivamente soggettivo. Ciò che da unità alle
organizzazioni cognitive è il significato personale, formato da schemi emozionali ordinati secondo contenuti
semantici personali. Il significato personale è per Guidano organizzativamente chiuso, una sorta di vincolo
epistemologico. Attraverso queste due nozioni Guidano assimila la psicopatologia ad una scienza del
significato: le principali sindromi psicopatologiche deriverebbero da altrettante organizzazioni cognitive
personali che si sono strutturate sulla base di itinerari di sviluppo e di pattern di attaccamento differenti.
Ciascuna organizzazione è assimilabile a una struttura di personalità che può evolvere in modo normale,
nevrotico o psicotico. Esempio: per Guidano l’organizzazione cognitiva personale depressiva è caratterizzata
da un significato personale oscillante tra “rabbia, aggressività” e “disperazione, ritiro”
e da temi di perdita e solitudine. Il soggetto con questa organizzazione oscilla fra un
senso di solitudine subito (disperazione) e una condizione in cui il distacco dagli altri è
vissuto in modo attivo, autoprodotto (rabbia e aggressività). Questa circolarità emotiva
è presente sia nella normalità, sia nella dimensione nevrotica, sia in quella psicotica.
Nella normalità, a differenza della patologia, la ricorsività tra rabbia e aggressività, che
producono comportamenti diretti a stabilire il contatto interpersonale, e la disperazione,
che rispristina il distacco, non oltrepassa soglie critiche. L’esperienza di solitudine è di
conseguenza elaborata in modo generativo o creativo.
Al di la di questo, la presa di distanza da parte dell’Ugazio è netta e riguarda principalmente le ipotesi genetico-
evolutive. Guidano e altri cognitivisti riprendono la teoria di Bowlby: i quadri psicopatologici vengono
ricondotti a pattern di attaccamento disfunzionali. Questa spiegazione diadica non è in grado di dar ragione di
alcune caratteristiche cruciali con cui il soggetto ordina e costruisce la realtà. Inoltre, i pattern di attaccamento
disfunzionali non sono connessi in modo specifico con alcuna psicopatologia, al contrario sono trasversali a
più sindromi. Le altre prese di distanza riguarda la differenza tra il punto di vista costruzionista dell’Ugazio e
il punto di vista costruttivista dei cognitivisti. Le differenze riguardano:
Il modo con cui viene concepito il significato: per i cognitivisti il significato riguarda essenzialmente
l’individuo, il concetto di polarità semantiche familiari, invece, lo considera come un’impresa congiunta
a cui collaborano almeno tre soggetti in interazione.
- La transizione di un’organizzazione di personalità dalla condizione di normalità a quella di nevrosi/psicosi.
I cognitivisti attribuiscono una funzione determinante in tale transizione agli aspetti sintattici. La patologia
sembra definita da componenti formali, mentre la posizione del paziente nella semantica è ignorata.
- Un ultima differenza riguarda il fatto che i cognitivisti sono più attenti alle basi evoluzionistiche dell’uomo,
al suo essere parte di una storia naturale evolutiva che lo collega ai primati superiori, che alla dimensione
culturale del significato.

Nel modello proposto da Ugazio, invece, l’enfasi è posta sulla definizione culturale del significato e della
psicopatologia. Vi è l’ipotesi che ciascuna delle sindromi psicopatologiche sia l’espressione di uno specifico
contesto conversazionale familiare e di una posizione altrettanto particolare che il paziente e gli altri membri
della famiglia assumono rispetto alla dimensione semantica critica, ma contemporaneamente esprima alcune
premesse di un contesto culturale più ampio. Al centro delle organizzazioni psicopatologiche fobica, ossessivo-
compulsiva, anoressico-bulimica e depressiva è possibile individuare alcune premesse riassumibili
rispettivamente nelle idee di libertà come indipendenza dalle relazioni, di bontà “astinente”, di uguaglianza
come abbattimento delle differenze e di irrevocabile appartenenza a un gruppo di relazioni.
Da questo punto di vista Ugazio segue la via indicata da Bateson in “la cibernetica dell’io: una teoria
dell’alcolismo”: secondo Bateson il problema dell’alcolizzato non è l’intossicazione, ma la sobrietà. Sono le
premesse che guidano il suo stato di sobrietà a contenere un errore o una patologia.
L’intossicazione è una correzione delle premesse che guidano il comportamento
dell’alcolizzato quando è sobrio e che vengono rinforzate dalla società. Ma quali sono le
premesse? Secondo l’organizzazione Alcolisti Anonimi il principio su cui si fonda la vita
dell’alcolizzato è l’orgoglio simmetrico. L’enfasi non è sull’ “io sono riuscito...”, ma sull’ “io
sono capace...”. La sfida si organizza attorno alla frase “io sono capace di oppormi al bere”.
L’alcolizzato, quando è sobrio, concorda con i suoi amici e parenti che lo esortano ad essere
forte e a resistere alla tentazione; egli è convinto di dover essere il capitano della sua anima,
ma è proprio questa convinzione a perderlo. La sfida richiede un antagonismo continuo con
l’avversario, ma proprio perché la relazione con l’altro è organizzata entro uno schema di sfida,
un breve periodo di lotta vittoriosa indebolisce la determinazione di chi è all’interno di questo
schema: una vittoria totale equivarrebbe alla perdita della relazione con l’altro. Ed è proprio
ricascandoci che l’alcolizzato recupera l’altro e quindi la propria identità. Quando la situazione
si aggrava l’alcolizzato, ormai alienato da tutte le relazioni reali, diventa un bevitore solitario,
ma la dinamica descritta non cambia: la bottiglia diventa l’altro simbolizzato su cui continua
la sua battaglia. Entro questa battaglia l’ebrezza è una forma di autocorrezione perché è il
modo con cui l’alcolizzato trova una complementarità con il mondo. Bevendo un bicchiere e
dando via alla sbornia, la battaglia si conclude con la pace. Questa complementarità con il
mondo, però, dura un breve lasso di tempo, poiché la sbornia conferma all’alcolizzato quanto
sia disdicevole lasciarsi andare. Via via l’alcolizzato tocca più volte il fondo, ma non per
questo abbandona l’epistemologia dell’autocontrollo. Anche nelle psicopatologia trattate
accade qualcosa di simile: esse esprimono significati e la cultura del contesto familiare entro
cui si sono sviluppate, ma questi significati e questa cultura sono intrisi di credenze e concetti
carichi di teorie che ritroviamo nel contesto sociale più ampio.
POLARITA’ SEMANTICHE FAMILIARI

I significati ed emozioni cambiano da una famiglia all’altra e altrettanto frequenti sono le differenze polari che
oppongono i vari membri della famiglia. Il concetto di polarità semantiche offre una prospettiva costruzionista
al significato attenta alle differenze e alle somiglianze presenti nella famiglia. Il concetto prevede che la
conversazione nella famiglia sia organizzata entro polarità di significato antagoniste del tipo giusto/ingiusto,
buono/cattivo, chiuso/aperto, attraente/ripugnante. Il significato si costruisce attraverso polarità antagoniste
dandone un’accezione costruzionista, il cui background è la positioning theory di Harrè. Le polarità non sono
considerate come un qualcosa che sta dentro la mente delle persone, ma come un fenomeno discorsivo. Esse
si identificano con alcune proprietà della conversazione:
1) Trama condivisa di polarità:
ciascun membro della famiglia costruisce la conversazione all’interno di alcune polarità semantiche
specifiche rese prevalenti dalle pratiche discorsive di quella famiglia. Tali polarità costituiscono una sorta
di trama condivisa che genera specifiche narrative e intrecci. Le polarità definiscono ciò che è rilevante
per ciascun gruppo. Una famiglia si differenzia e acquista una sua identità in quanto coloro che vi
appartengono costruiscono gli episodi attraverso cui si articola la conversazione in modo diverso da altre
famiglie. All’interno di ogni famiglia risultano salienti soltanto alcune polarità semantiche. Una famiglia
è tale in quanto coloro che vi appartengono condividono una trama condivisa, formata da un certo numero
di polarità semantiche e dalle narrative che queste polarità alimentano. L’elemento di somiglianza tra i
membri della famiglia si limita a questa condivisione di una trama.
2) Positioning inevitabili:
tutti i membri di una famiglia devono necessariamente prendere posizione entro le polarità rilevanti nel
proprio gruppo. Le persone si posizionano sempre rispetto a qualche significato presente nella
conversazione. Il positioning non avviene entro significati impredicibili. Al contrario, questo processo si
dispiega dentro un repertorio di significati predefinito, anche se flessibile e mutevole: i pattern
conversazionali si posizionano e sono posizionati entro le polarità semantiche che le pratiche discorsive
della propria famiglia rendono via via rilevanti. L’interno processo è spontaneo e in gran parte non
intenzionale.
3) Interdipendenza dei molteplici sé:
ciascun partener conversazionale, posizionandosi con gli altri entro la trama di polarità semantiche
rilevanti nei propri contesti, ancora la propria identità a quella dei membri del gruppo a cui appartiene. La
comunanza delle soggettività è conseguentemente assicurata dalla struttura polare del significato. Poiché
in tutte le famiglie sono salienti più di una polarità, i sé risultano molteplici come le posizioni generate
dalle polarità

Le polarità semantiche sono costruite dalle emozioni. Molte delle polarità semantiche famigliari si esprimono
in modo esclusivo o prevalente attraverso pattern conversazionali non verbali. Non ci sono significati
puramente cognitivi, così come non esistono emozioni prive di cognizioni. Anche una polarità semantica come
“intelligente-ottuso” è emotivamente pregnante: la percezione di se come intelligenti o stupide è inseparabile
da emozioni di efficacia personale o di impotenza. Proprio perché sono espressione di emozioni, le polarità
semantiche svolgono un ruolo importante per la psicopatologia.

ORIGINE DEL CONCETTO DI POLARITA’ TRA OCCIDENTE E ORIENTE

Il concetto di polarità risale in occidente al pensiero In oriente l’idea di opposizione ha avuto e ha tutt’ora
presocratico, infatti, le principali teorie una rilevanza maggiore che in occidente. In oriente
cosmologiche si basano sugli opposti. A differenza ogni aspetto della realtà rimanda al suo contrario e
dei presocratici che si focalizzano sui principi gli opposti possono esistere solo in rapporto l’uno
costitutivi, gli opposti, Aristotele pone al centro del con l’altro. Le tecniche elaborate dal misticismo
divenire il sostrato, l’ente individuale, a cui orientale hanno lo scopo di raggiungere uno stato di
privazione e forma si applicano. Aristotele per primo coscienza non ordinario, dove si sperimenta l’unione
ha delineato una tipologia di forme di opposizione. con l’ambiente e l’unità degli opposti.
OPPOSIZIONE POLARE E INTERSOGGETTIVIA’
L’idea proposta da Ugazio è l’ipotesi che il significato, in virtù della sua struttura polare, contribuisca ad
assicurare l’intersoggettività. I contrasti semantici presenti in tutte le lingue costituirebbero un universale il cui
scopo è rendere gli individui interdipendenti, anche a livello semantico, oltre che pragmatico. Proprio perché
la struttura del significato è polare, un individuo non può posizionarsi o essere posizionato come “generoso”
o “intelligente” se non c’è un altro individuo nel suo contesto relazionale che ricopre la posizione opposta di
“egoista” o “stupido”. Questa ipotesi differenzia ciò che la Ugazio chiama polarità semantiche familiari dai
costrutti personali di Kelly. Anche Kelly considera la polarità del significato un universale; tuttavia, per Kelly,
l’irriducibile dualità che caratterizza il significato esprime una legge del funzionamento della mente. La
dicotomia è un aspetto essenziale del pensiero stesso. Per Ugazio invece, le polarità semantiche non esprimono
leggi o tendenze del funzionamento del pensiero, non sono rappresentazioni mentali, sono proprietà della
conversazione. In questa prospettiva, la struttura polare del significato fornisce una matrice che rende
disponibili posizioni entro le quali vengono costruite, mantenute e decostruite nella conversazione soggettività
interdipendenti. Come mai la struttura del significato è organizzata in modo da richiedere la collaborazione di
due termini polari?
- Per Kelly la dicotomia aumenta la capacità di previsione dell’uomo. Il poter disporre di costrutti polari
consente al soggetto un ampliamento nella costruzione di scenari possibili assimilabile all’incremento di
informazioni che deriva dalla visione binoculare rispetto a quella monoculare: nuove dimensioni si aprono.
- Per Ugazio i contrasti semantici costituirebbero un “universale”, la cui funzione è rendere interdipendenti
gli individui anche a livello del significato. In una specie dove ciascun individuo può realizzarsi soltanto
all’interno di strutture di gruppo, il fatto che i contrasti semantici vincolino gli individui gli uni agli altri
rappresenta un vantaggio da un punto di vista evoluzionistico.
L’idea che l’organizzazione del significato in polarità antagoniste fondi l’intersoggettività spiega perché la
famiglia presuppone al proprio interno l’esistenza di profonde differenze e di conflitti che non comportano
necessariamente la sua dissoluzione. In conflitto non genera lo scioglimento di un gruppo se è all’interno della
stessa trama narrativa. Il concetto di polarità semantiche familiari è per molti aspetti diverso e complementare
a quello dei costrutti personali di Kelly: i due concetti si riferiscono a fenomeni diversi. Inoltre, sottendono
una differente concezione del significato. I costrutti personali di Kelly esprimono una concezione costruttivista
del significato, essenzialmente mentalistica; le polarità semantiche sono invece coerenti con una concezione
sociale delle persone di tipo costruzionista.

CONVERSAZIONE CON TRE POSIZIONI


L’idea di opposizione evoca i due termini polari, che ne sono l’essena. In realtà, il concetto di polarità
semantiche familiari contempla tre posizioni: le due polari e una serie di possibili posizioni intermedie
riassumibili in quella di mezzo. Anche dal punto di vista formale, le polarità semantiche familiari sono una
classe di costrutti triadici: sono rappresentate da contrari che presentano tra i due estremi una gamma di termini
intermedi; ad esempio tra amore e odio c’è una gamma di sentimenti intermedi. Sono triadiche anche quelle
polarità semantiche familiari che sembrerebbero escludere la posizione di mezzo: sincero/bugiardo; si potrebbe
pensare che questa polarità dia luogo a due solo posizioni relazionali, ma la conversazione non segue
necessariamente le regole della logica. Accanto a chi è sincero e chi è bugiardo si rende disponibile un terzo
positioning di chi evita di essere sincero, ma non vuole neppure essere bugiardo. Quando qualcuno si presenta
in terapia in questa posizione Ugazio tende a chiedere “chi sono i sinceri e chi sono i bugiardi nella sua
famiglia?”. Chi si colloca in questa posizione di messo ha sperimentato che la sincerità può offendere, può
creare discordie, ma anche la bugia è pericolosa per i rapporti con gli altri.
Anche per questa natura triadica, il concetto di polarità semantiche familiari rientra nella tradizione sistemica.
Triangoli e triangolazioni sono infatti al centro dell’elaborazione clinica della terapia familiare; basti pensare
al “gioco triadico di Losanna”: questo gioco ha dimostrato che molti bambini già a tre mesi sono in grado di
alternare lo sguardo tra i due genitori e che a nove mesi tutti i bambini sono
capaci di interazioni triadiche. I risultati di questo programma ribaltano la
visione tradizionale dello sviluppo, che presupponeva per il bambino un
percorso evolutivo dalla diade alla triade. Questi studi confermano l’ipotesi di
Ugazio, in quanto dimostrano che non appena il bambino entra nel significato è
in grado di interagire in contesti triadici, è in grado di operare posizionamenti
taciti che tengano conto contemporaneamente di due partner.

I terapeuti sistemici si caratterizzano per la tendenza ad ampliare le loro analisi alle generazioni precedenti.
Questo però non è sempre vantaggioso: coinvolgendo in seduta generazioni precedenti il terapeuta
inevitabilmente altera i confini della famiglia nucleare, movimento che può comportare effetti negativi anche
se neutralizzabili nel corso della terapia. Il campo di interferenza, quindi, deve essere ampliato solo quando è
necessario per la comprensione del problema e per la sua trasformazione. Il concetto di polarità semantiche
familiari suggerisce di estendere l’analisi fino a includere le posizioni ai due estremi delle polarità semantiche
ritenute importanti per la situazione interpersonale che si intende analizzare.

In alcune famiglie nucleari ritroviamo positioning su In altre famiglie invece, i positioning di tutti i
entrambi gli estremi delle dimensioni semantiche più membri entro le dimensioni semantiche ritenute
importanti. Si tratta di famiglie dove troviamo la cruciali si si dispongono entro uno stesso estremo. In
compresenza di individui opposti al nucleo di questi casi circoscrivere il focus alla famiglia
convivenza. In questi casi è possibile limitare nucleare più essere sviante. Il terapeuta, quindi,
l’attenzione alla famiglia nucleare, in quanto dovrà includere nella propria analisi famiglie estese
contenendo al proprio interno le posizioni opposte di dove si trovano persone che hanno costruito il
ciascuna polarità risulta un contesto proprio positioning all’estremo opposto delle
sufficientemente ampio per poter dare significato polarità.
agli eventi.

Può accadere che la coppia coniugale si collochi in posizione mediana su tutte le polarità semantiche connesse
al problema. Il problema dovrà, quindi, essere contestualizzato fino ad includere i due estremi. I tre poli delle
polarità diventano quindi oggetto della conversazione terapeutica. Esempio:
“Costanza e Guglielmo avevano sempre voluto figlio, ma dopo la nascita di Alessandro, sentivano che
questo aveva interrotto i loro progetti di vita. Alessandro era aggressivo e prepotente, voleva dominare
sugli altri, li picchiava se gli altri non facevano ciò che lui voleva. Questo era ciò che lo distingueva
dai suoi genitori, i quali invece si presentavano gentili, romantici, teneri. Non avevano mai avuto
contrasti perché entrambi non amavano ne comandare ne ubbidire. Per Costanza e Guglielmo
comandare/ubbidire era una polarità centrale nella loro posizione e nella loro identità; avevano
entrambi alle spalle una storia familiare dove uno dei genitori prevaricava sull’altro; in rapporto ai
propri genitori era mutato il loro progetto di vita, con lo scopo di fare l’opposto di quello che avevano
fatto loro. In questo modo quando interagivano con Alessandro, contemporaneamente si rivolgevano ai
loro genitori; il campo di inferenza genitori-bambino includeva sempre anche i nonni. Con la sua
aggressività e prepotenza Alessandro esprimeva la rabbia per non essere l’effettivo interlocutore dei
suoi genitori, sfidava le loro identità mediane.”

ARMONIA ED ECCELLENZA: AI LIMITI DEL NAUFRAGIO


Processi conversazionali fra le persone che occupano le varie posizioni rede disponibili dalle polarità
semantiche salienti: i due estremi e la posizione mediana. Tali processi concorrono a costruire le identità
plurime dei partner conversazionali. Ricoprire una posizione in un contesto conversazionale significa disporre
di una gamma di strategie comunicative verbali e non verbali coerenti con quella posizione. Proprio perché
ciascuno occupa una gamma limitata di posizioni (quante sono le polarità semantiche salienti) alcune storie gli
saranno permesse, ovvero facili da costruire e da vivere, altre gli saranno proibite, difficili.
Bateson sosteneva che i tratti individuali che alimentano il carattere siano l’esito di processi interattivi, in
particolare di interazioni schismogenetiche simmetriche e complementari.

Studiando gli Iatmul venne colpito dalla rigida opposizione che divide vita maschile e vita femminile.
Agli uomini spettavano le attività spettacolari, violente, le donne invece erano dedite alla cottura del
cibo, alla casa e ai figli. Gli uomini erano chiassosi, ironici, violenti, le donne invece tranquille e private.
Mentre gli uomini si comportavano come se la vita fosse una rappresentazione teatrale, le donne si
comportavano come se la vita fosse un allegra routine.
Bateson legge questa opposizione di comportamenti tra i sessi e l’uniformità di comportamenti
all’interno di ciascun sesso attraverso concetti di interazione complementare e simmetrica e di
schismogenesi, cercando di dimostrare l’interdipendenza dei comportamenti che caratterizzavano la
comunità. Ciò che rendeva cos’ interdipendenti i tratti del carattere di uomini e donne Iatmul era uno
specifico pattern interattivo a cui Bateson diede il nome di “schismogenesi”

Per Bateson la schismogenesi era un processo di differenziazione nel comportamento individuale risultante
dall’interazione cumulativa fra individui. Si tratta di un processo potenzialmente progressivo che può
verificarsi nelle interazioni complementari e in quelle simmetriche. Nel caso della schismogenesi
complementare i due soggetti o gruppi in interazione manifestano comportamenti sempre più opposti; nel caso
della schismogenesi simmetrica i soggetti coinvolti, individui o gruppi, esibiscono comportamenti sempre più
simili.
Riprendendo Bateson si può affermare che:
- quando in un contesto una dimensione semantica è saliente, tra i membri che occupano i poli opposti della
dimensione in questione la relazione sarà complementare, cioè basata sullo scambio di comportamenti
comunicativi opposti: uno comanda e l’altro ubbidisce, uno insegna e l’altro impara.
- Tra coloro che si collocano nella stessa polarità, invece, la relazione sarà simmetrica, cioè basata
sull’uguaglianza: uno si esibisce e anche l’altro si esibisce, uno comanda e anche l’altro comanda.
Esiste tuttavia anche la posizione mediana, di cui Bateson non si è occupato. Per Ugazio la posizione di mezzo
è costruita da processi conversazionali diversi da quelli che alimentano le due posizioni polari contrapposte. I
processi conversazionali che alimentano la posizione di mezzo sono apparentemente simili ai processi che
costruiscono le due posizioni polarmente contrapposte. Tra chi si pone nella posizione mediana e coloro che
si contrappongono polarmente, la relazione è complementare. Analogamente, le relazioni fra coloro che
occupano la posizione mediano sono simmetriche, in quanto basate sull’uguaglianza. Le relazioni
complementari che alimentano la posizione di mezzo hanno caratteristiche ben diversa da quelle che
concorrono a costruire i due estremi: le relazioni che alimentano la posizione di mezzo sono speculari, perché
sono l’esito di un continuo bilanciamento, le relazioni che alimentano le posizioni estreme sono sempre
parziali. La differenza tra queste due posizioni si vede maggiormente nei loro esiti sull’identità: le relazioni
alimentate dalle posizioni polari contrapposte stimolano l’esteriorizzazione delle qualità individuali, invece, le
relazioni che costruiscono la posizione mediana danno luogo ad un processo opposto la centralizzazione.

L’individuo, collocato a uno dei due estremi, con- Le relazioni alimentate dalla posizione di mezzo
ponendosi per differenza o per uguaglianza con innescano un processo opposto rispetto
gli altri, esteriorizza, esprime specifiche qualità. all’esteriorizzazione: la centralizzazione. Grazie
Proprio perché la sua attenzione è diretta all’altro, a questo processo la posizione mediana si
egli acquista sempre più una sua specificità costruisce e si mantiene attraverso un continuo
individuale: non c’è un io senza un tu. Le bilanciamento nei confronti di chi si colloca ai
posizioni agli estremi implicano un pieno due estremi. L’individuo, in questa posizione,
riconoscimento del partner conversazionale, alleandosi o entrando in conflitto con chi occupa
come uguale, simile a sé, o come diverso, opposto gli estremi, si sposta sensibilmente verso uno o
a sé. Esse sono espressione e generano sia l’altro polo, ma questi spostamenti sono contenuti
alleanza sia conflitti, nella quale l’altro è centrale e bilanciati, in un arco temporale breve. Proprio
nella sua posizione di alleato o antagonista perché la sua con-posizione in termini di alleanza
è parziale, la definizione di sé rispetto alla
dimensione semantica saliente sarà altrettanto
parziale.

I processi di esteriorizzazione e quelli di centralizzazione sono massimi allorché si verificano fenomeni di


polarizzazione. Bateson ha studiato, attraverso il concetto di schismogenesi, un tipo di polarizzazione, quella
che riguarda i due estremi. L’esito di questo processo sulle identità dei soggetti coinvolti è l’eccellenza → gli
individui massimizzano il tratto messo in gioco dalla polarità entro cui ha luogo l’interazione schismogenetica,
sviluppando una sorta di iperspecializzazione. Se la dimensione in questione è, ad esempio forza/debolezza,
alcuni impareranno sempre meglio ad essere forti, mentre altri diventeranno esperti di debolezza. Si tratta di
un processo rischioso in termini di adattamento individuale e sociale.
- Chi si colloca nell’estremo valorizzato di una dimensione semantica culturalmente saliente sviluppa una
vera e propria eccellenza, in quanto massimizza una qualità socialmente apprezzata: il garbo, la
gentilezza… tuttavia è esposto al rischio di unidimensionalità: ogni eccellenza si accompagna a qualche
deficienza. Per massimizzare certe qualità l’individuo deve trascurarne altre.
- I pericoli sono più netti per coloro che si trovano nel polo con una connotazione culturale negativa. Anche
questi individui esteriorizzano qualità ben definite. La loro posizione richiede dispendio di energie e molto
apprendimento specialistico. Chi si colloca all’interno dell’estremo connotato negativamente, oltre ad
essere esposto a tutti i rischi, riceve una valutazione negativa di sé: la sua eccellenza è di segno negativo.
- I fenomeni di polarizzazione investono anche chi si trova nella posizione di mezzo. Essi sono il prodotto
di processi implogenetici, che rendono estrema la centralizzazione. L’esito di questi processi è l’armonia,
ma anche l’indifferenziazione. Quando la centralizzazione rispetto a una dimensione semantica è massima,
l’individuo è perfettamente bilanciato rispetto alla dimensione in questione. Se l’individuo si avvicina a
questa posizione per tute le dimensioni semantiche salienti risulta armonico, ma può rischiare
l’indifferenziazione.
I contesti polari mettono in gioco tre punti pericolosi, non due. Accanto al rischio rappresentato dalle due
posizioni estreme polari c’è un altro azzardo: la zona di naufragio dell’armonia perfetta. L’eccellenza è
rischiosa per la sua unilateralità, ma anche l’armonia contiene in se i rischi del naufragio.
Le famiglie che valorizzano gli estremi e in cui prevalgono processi di esteriorizzazione, tendono a favorire la
differenziazione (individuazione) degli individui; al contrario le famiglie che valorizzano la posizione mediana
e in cui prevalgono i processi di centralizzazione, favoriscono lo sviluppo della multidimensionalità. Di
conseguenza l’identità degli individui che si collocano in posizione mediana può avvicinarsi a un ideale di
armonia.

CON-PORRE UNA NUOVA POSIZIONE CONVERSAZIONALE


In che modo il bambino entra a far parte della trama condivisa di polarità semantiche della sua famiglia?
stabilendo quelli che la letteratura chiama legami di attaccamento. Ugazio sottolinea, però, che questi legami
di attaccamento sono diversi in rapporto alle polarità semantiche salienti nella particolare famiglia in cui il
bambino entra a far parte. La nostra specie non può prescindere dal significato e per questo non può privilegiare
un unico modello di attaccamento. L’ipotesi di un modello universale di attaccamento, avanzata da Bowlby, è
stata dimostrata empiricamente attraverso l’individuazione di una serie di pattern comportamentali del
bambino, definiti come attaccamento sicuro, ansioso, evitante e disorientato-disorganizzato. Tale tesi, secondo
Ugazio, risulta scarsamente sostenibile.
Secondo Ugazio, al contrario, madre e bambino devono essere programmati a strutturare non semplicemente
un unico tipo di relazione, ma una gamma di possibili relazioni a seconda delle circostanze. Non ci si occupa
quindi di madri normali o devianti, ma di una gamma di stili e delle capacità di scegliere appropriatamente tra
essi.
Anche in rapporto al significato, la tesi di un modello universale di attaccamento risulta fuorviante: i bambini
stabiliscono legami con i membri della famiglia, si con-pongono con loro secondo una gamma di strategie
coerenti con i significati polari salienti nel loro contesto familiare.
- Una bambina che allunga la mano verso la madre: tale gesto è ambiguo. Una madre potrà prenderlo come
un gesto affettuoso, un'altra come un gesto intelligente, un'altra come un gesto scherzoso.
- Una madre che chiede al figlio di invitare un amico a casa: una madre potrà dire di invitare quel bambino
perché generoso, un’altra perché gentile, un’altra perché sveglio
In tutte queste situazioni è l’adulto ad attribuire significati agli aventi. A livello semantico non esiste una bi-
direzionalità adulto-bambino, che è invece presente, già dalla nascita, negli scambi interattivi. Sul piano del
comportamento il bambino socializza l’adulto non meno di quanto l’adulto socializza il bambino, nel senso
che esiste un circuito retroattivo; a livello semantico la situazione è diversa: tutti gli adulti, interagendo con il
bambino si comportano come se il bambino avesse intenzioni e scopi che di fatto non ha, gli adulti sovra-
interpretano il comportamento attribuendogli un senso, anche quando ne è sprovvisto. In questo modo l’adulto
fornisce al bambino una sorta di impalcatura semantica, all’interno della quale il bambino inizierà a con-porsi
con i membri della famiglia, definendo così la propria posizione.
→se la madre si con-pone con sua figlia interpretandone il comportamento come aggressivo, non significa che
la bambina costruisca la propria posizione in questi termini, ma la polarità semantica aggressività/dolcezza
risulterà per lei saliente.

IL CAMBIAMENTO: INTERAZIONI ENIGMATICHE


Il concetto di polarità semantiche è compatibile con le principali ipotesi del cambiamento. Il concetto prevede
che il soggetto è in grado di mettere in atto cambiamenti di posizione che richiedono la capacità di con-porsi
entro giochi semantici nuovi, entro dimensioni semantiche prima sconosciute. Questo tipo di cambiamento,
secondo Ugazio, è stimolato dagli “episodi enigmatici” e dalle “relazioni enigmatiche”. Ciascuno, per entrare
in una relazione significativa con una persona che non appartiene ai suoi contesti di riferimento, deve
condividere uno o più giochi semantici. L’avvio di una relazione di lavoro, di amicizia, avviene sempre sulla
base di qualche gioco semantico noto ad entrambi i partner.
Esempio: libro Kundera. Franz e Sabina provengono da contesti culturali diversi, lui professore, lei un’artista.
Franz aveva amato la madre e l’amava anche nel ricordo; per lui la fedeltà è la prima virtù. A sabina,
la parola fedeltà ricordava suo padre, il quale le aveva insegnato che tradire è la cosa peggiore.
Nonostante contesti diversi, Franz e Sabina hanno un gioco semantico in comune
“tradimento/fedeltà” e su questa dimensione, avviano una storia su posizioni polari contrapposte. Ma
come possono realizzare una con-posizione in grado di indurli a sperimentare nuove posizioni?
Alcune ricerche dimostrano che il cambiamento è innescato da situazioni interattive che presentano qualche
affinità con quelli che Ugazio chiama episodi enigmatici. Bambini che in fase pre-test mostravano di non
possedere certe nozioni del pensiero operatorio, acquisivano queste nozioni nel corso dell’interazione con
l’altro.

POSIZIONING DIFFICILI
Ciascuna delle quattro organizzazioni psicopatologiche è caratterizzata dal prevale di alcune polarità
semantiche: della libertà, della bontà, del potere e dell’appartenenza, perché le polarità caratterizzanti sono
alimentate dalle stesse emozioni e quindi formano un insieme coerente di opposizioni polari. In queste
semantiche sono coinvolti tutti i membri della famiglia, ma solo un partner conversazionale, di regola, presenta
un’organizzazione psicopatologica. Ciò che sembra favorire lo sviluppo della psicopatologia è la posizione
che il soggetto assume entro la semantica critica. Per comprendere i positioning difficili in cui si trovano coloro
che sviluppano una psicopatologia bisogna analizzare il processo di costruzione dei significati che è gerarchico
e mette in gioco più livelli.
Il primo ad introdurre l’idea che la comunicazione è organizzata gerarchicamente è stato Bateson.

Mentre osservava allo zoo le scimmie che giocavano si rese conto che esibivano comportamenti
identici a quelli che utilizzavano durante un combattimento. Da questo intuì che i morsi e gli altri
comportamenti comunicativi dell’attacco che caratterizzavano la sequenza (livello di contenuto)
dovevano essere accompagnati da altri messaggi, di livello gerarchico superiore, che segnalavano in
che modo dovessero essere intrepretati: “questo è un gioco” (livello di relazione).

Cronen, Johnson e Lannmann ritengono che accanto al livello di contenuto di ogni messaggio e al livello di
relazione del meta-messaggio che indica il significato da attribuire, devono essere inclusi l’episodio, la
relazione fra i comunicanti, il sé o biografia personale e i modelli culturali. Tutti questi livelli sono costruiti
nel corso della conversazione e sono organizzati gerarchicamente. → il significato di un messaggio è definito
non solo dal meta-messaggio, ma anche dall’episodio di cui è parte e dalla relazione tra i partner, oltre che dai
rispettivi sé e dai modelli culturali. Normalmente, i messaggi sono contestualizzati dai livelli superiori che
rappresentano la “forza contestuale”, finché ciò accade l’episodio, il sé, la relazione e i modelli culturali
vengono confermati dal messaggio. Ma può accadere che la “forza implicativa” prevalga. In questo caso un
singolo messaggio capovolge l’episodio.
I positioning difficili che caratterizzano la posizione dei soggetti che sviluppano una psicopatologia fobica,
ossessiva, depressiva e i disturbi alimentari riguardano due dei livelli: il sé e le relazioni. Tra di essi la
riflessività diventa massima: il soggetto oscilla tra prospettive inconciliabili.

CIRCUITI RIFLESSIVI BIZZARRI E DILEMMI IMPLICATIVI


Cronen, Johnson e Lannmann ritengono che la riflessività in quanto tale non sia un elemento perturbante il
processo comunicativo. Al contrario è una sua componente normale e indispensabile. Vi è riflessività quando
due elementi in una gerarchia sono organizzati in modo tale che ciascuno di essi è contemporaneamente il
contesto in cui l’altro va inserito e il contenuto di cui l’altro il contesto. Possiamo individuare la presenza di
un circuito riflessivo in un sistema gerarchico quando percorrendolo dall’alto verso il basso, o viceversa, ci
troviamo al punto di partenza.
I circuiti riflessivi sono intrinseci all’interazione sociale. Se gli individui, percorrendo un’unità di significato
dall’alto verso il basso e viceversa, non si trovassero mai al punto di partenza, non sarebbe neppure possibile
il cambiamento. L’esperienza della riflessività, alla base dei messaggi di doppio legame che Bateson considera
patogeni, è invece, secondo Cronen, Johnson e Lannmann, un conditio sine qua non del cambiamento, della
crescita e dell’evoluzione.
Riprendendo l’analisi di Bateson: Per permettere che l’episodio possa trasformarsi in una rissa, deve esserci
tra le scimmie che si mordono per gioco un certo grado di riflessività tra la
forza contestuale del morso (questo è un gioco) e quella che gli autori
chiamano forza implicita (questo è un attacco). Normalmente durante il
gioco la forza contestuale prevale. Sebbene la forza contestuale abbia la
meglio, agisce sempre nel corso del gioco anche una forza implicativa, più
debole, operante dal basso verso l’alto, che definisce i comportamenti
aggressivi come attacchi. Nel processo che conduce le scimmie a passare dal
gioco alla rissa, la forza implicativa diventerà sempre più potente, fino a
trasformarsi in forza contestuale. Nel corso di questo processo ci sarà un
momento in cui la riflessività sarà totale: le due forze, implicativa e
contestuale, avranno la stessa potenza. → l’ambiguità tra le due scimmie
risulterà massima ed esse oscilleranno nel dare significato agli eventi, fra
due prospettive inconciliabili, “è un gioco”, “è un attacco”.

Il fatto che la riflessività sia un attributo normale dei processi comunicativi, non significa che non abbia nulla
a che fare con la patologia. Accanto ai circuiti “armonici” che non sono problematici, ci sono secondo questi
autori, i circuiti “bizzarri”, che creano disagio e patologia psicologiche. Sono di questa natura i circuiti in cui
finiscono intrappolate le persone con organizzazione fobica, ossessiva, depressiva e tipica dei disturbi
alimentari. I circuiti di transitività e intransitività consentono di distinguere i due tipi di circuiti:

I due livelli di significato sociale hanno una I due livelli di significato hanno una relazione
relazione transitiva quando ciascuno può diventare intransitiva quando non è possibile che ciascuno
il contesto dell’altro senza che si modifichi il dei due diventi il contesto dell’altro senza che
significato di nessuno dei due questo cambi il significato

La transitività o intransitività fra i livelli di significato è definita nell’esperienza soggettiva da “metaregole”


che sono il prodotto di modelli culturali e familiari e della posizione occupata da ciascuno entro i propri contesti
di appartenenza; esse variano tra le culture e tra gli individui di uno stesso contesto culturale. Di conseguenza
non esiste alcun messaggio a cui possano essere universalmente attribuite le caratteristiche del circuito
ricorsivo bizzarro. Circuiti autoriflessivi del tipo “questa affermazione è falsa” sono problematici per
l’occidente, che ha sempre considerato il linguaggio uno strumento per organizzare i fenomeni e per ottenere
il controllo; per le culture orientali, invece sono circuiti armonici, in quanto confermano l’inaffidabilità del
linguaggio, considerato un ostacolo all’illuminazione.
Esempio 1: Jane e Bob coppia sentimentale. In terapia Bob rievocò una vicenda in cui senti un profondo
turbamento. Al loro terzo appuntamento Bon sentiva che la loro relazione stava diventando seria
e si dichiarò, ma Jane lo prese in giro. Bob rimase confuso: se partiva dal presupposto che la sua
relazione era seria, interpretava la presa in giro come una prova che “siamo sicuri di noi quindi
posso prendersi in giro”, ma non poteva essere sicuro che anche Jane avesse definito la loro
relazione come seria. Quindi la presa in giro poteva essere interpretata come una presa di distanza.
Perché per Bob questo circuito riflessivo è problematico?
- Per quanto riguarda il livello di relazione, le alternative sono due: o è un rapporto serio o un
flirt
- Per quanto riguarda l’episodio può essere interpretato come un tentativo di presa di distanza o
un episodio di conferma.
L’alternativa rappresenta per Bob un vero e proprio circuito riflessivo bizzarro: i due livelli di
significato non potevano scambiarsi le posizioni senza che si modificasse il significato di uno di
essi. La cultura di Bon gli aveva dettato una meta-regola per la quale c’è intransitività tra un
episodio di presa di distanza e una relazione seria. Ma chiunque si fosse trovato nei panni di Bob
avrebbe sperimentato un circuito riflessivo bizzarro?
Non tutti. Per molti il circuito riflessivo poteva essere armonico, non problematico. La nostra
cultura ammette che una relazione seria si sviluppi attraverso l’alternarsi di episodi di conferma e
di allontanamento. Una relazione di questo tipo non è prototipica, ma non è nemmeno anomala.

Esempio 2: Barone scopre il tradimento della moglie. Questo episodio genera in lui un circuito riflessivo
bizzarro. Il barone non sente odio o vendetta; fra il tradimento e la sua relazione non c’è
intransitività, episodio e relazione formano un circuito armonico, il barone sente di amare sua
moglie. Perché allora si infila in un vicolo cieco o circuito riflessivo bizzarro? Per il barone
perdonare significa disprezzarsi; ma rompere il matrimonio significa distruggere la propria vita.
In lui vi è una frattura tra il sé sociale e il sé individuale.
- Se la relazione con la moglie contestualizza il suo sé, egli sarà indotto a perdonare, distruggendo
la propria immagine
- Se sono i modelli culturali a contestualizzare il suo sé, porrà fine al matrimonio, violando i propri
sentimenti.

I due esempi coinvolgono livelli diversi. Nel primo caso il circuito bizzarro riguarda il livello
episodico/relazionale, mentre nel secondo investe i livelli superiori di significato. Cronen, Johnson e
Lannmann ipotizzano che l’entità del danno prodotto dai circuiti riflessivi bizzarri irrisolti sia tanto maggiore
quanto più sono coinvolti i livelli di significato superiori. Anche la posizione dei soggetti con organizzazione
fobica, ossessiva, anoressica e depressiva all’interno della semantica dominante assume i contorni del circuito
bizzarro che coinvolge i livelli del sé e della relazione come per il Barone.
Per Ugazio due esigenze imprescindibili per l’essere umano, disporre di relazioni soddisfacenti e mantenere
un’autostima accettabile, diventano autoescludenti rispetto ai significati centrali per il contesto
conversazionale di cui il soggetto è parte. Questo dilemma riguarda tutte e quattro le organizzazioni, anche se
con caratteristiche specifiche.
LA SEMANTICA DELLA LIBERTA’
I DISTURBI FOBICI

I soggetti fobici si sentono sull’orlo di un baratro pauroso. La sensazione di allarme di fronte a un futuro
segnato dal presentimento di accadimenti che si sentono inadeguati ad affrontare, li accompagna sempre. È
importante per loro disporre di punti di riferimento come un matrimonio, un genitore, un lavoro. Ma i punti di
riferimento, per quanto rassicuranti, sono vissuti come barriere. La compresenze della paura di fronte ad un
mondo considerato pericoloso e il desiderio di disfarsi di ancoraggi è la caratteristica delle organizzazioni
fobiche. È il frutto di un particolare positioning in una conversazione familiare in cui è dominante un insieme
coerente di polarità che Ugazio chiama “semantica della libertà”

Le polarità principali di questa semantica sono “libertà-dipendenza” e “esplorazione-


attaccamento”. I sé e le modalità con cui vengono costruite le relazioni sono intessuti dai
significati creati da queste due polarità e da “paura-coraggio”, le emozioni che le alimentano.
A causa di eventi drammatici verificatisi nella vita familiare il mondo esterno è visto come
minaccioso e i familiari sono visti come fonte di protezione. Libertà e indipendenza sono intese
in questa semantica come libertà e indipendenza dalla relazione e dei suoi vincoli.

La conversazione in queste famiglie si organizza attorno a episodi dove la paura, il coraggio, il bisogno di
protezione e il desiderio di esplorazione svolgono un ruolo centrale. I membri di queste famiglie verranno
definiti come timorosi, cauti o, al contrario, coraggiosi, temerari. Si sposeranno con persone fragili, dipendenti
o con individui liberi e indipendenti. Soffriranno per la loro dipendenza, cercando di conquistare l’autonomia
o saranno orgogliosi della propria indipendenza e la difenderanno.
Esempio:
- Francesco colloca entrambi i genitori nei poli libertà ed esplorazione della semantica critica. Il padre
Amedeo caratterizzato dalla libertà di mantenere le proprie scelte, la madre, Eleonora, ricordata per
l’eccezionale indipendenza. La madre studentessa di filosofia, brillante, era livera di vivere sola per
dedicarsi ai suoi studi, solo Amedeo riuscì a convincerla ad accettare una normale vita coniugale.
Francesco è fobico da quando ha 17 anni. La moglie ha anch’essa un positioning particolare: è abituata
ai viaggi e ad una vita libera, che è stata costretta a ridimensionare a causa dei sintomi del marito.
- Raniero, un altro paziente fobico, ha nella famiglia un solo membro della famiglia (padre) con
un’indipendenza marcata. Fisicamente attraente, lavoratore, si sposò con una donna buona, ma brutta.
La tradiva regolarmente, ma erano avventure solo erotiche. Per Raniero il padre non sembrava aver
bisogno di alcun affetto.
- Romeo, esploratore, autore di documentari, allontanarsi e vivere avventure era per lui come rinascere.
Quando la moglie, Ermia, sviluppò gravi attacchi di panico in concomitanza delle sue assenze.
Eleonora, Amedeo, Elena, il padre di Raniero, Romeo sono del tutto diversi, ma tutti sono simboli di un alto
grado di indipendenza dalle relazioni.

I genitori delle persone con organizzazione fobica presentano ai figli il mondo come pericoloso, sono
iperprotettivi e limitano la libertà della prole. La semantica di queste famiglie esprime un ordine modale in cui
liberà, indipendenza, esplorazione sono costruiti come valori, mentre i legami di attaccamento sono sentiti
come espressione di bisogno di protezione da un mondo pericoloso e di conseguenza associati a una grado di
dipendenza. I membri di queste famiglie sentono l’amicizia, l’amore e altre forme di attaccamento in termini
parzialmente negativi, perché le costruiscono come forme di dipendenza. Gli episodi in cui l’individuo riesce
a far fronte da solo alle circostanza sono avvertiti come manifestazioni di libertà e indipendenza. In queste
famiglie, in virtù del prevalere della semantica della libertà persone libere e indipendenti, si oppongono e si
compongono con membri della famiglia dipendenti, bisognosi di protezione.

DILEMMA CHE MINACCIA UNA TRAMA NARRATIVA


La presenza della semantica della libertà è una condizione necessaria, ma non sufficiente per lo sviluppo della
psicopatologia fobica. È il positioning che i soggetti assumono dentro questa semantica a contribuire in modo
decisivo allo sviluppo della psicopatologia. Tutti i soggetti fobici, pur essendo diversi tra di loro, sono
accomunati all’inizio della terapia da una posizione nella semantica della libertà che li induce a sperimentare
un dilemma specifico.
Il soggetto fobico tenta di trovare un equilibrio tra due esigenze ugualmente irrinunciabili: il bisogno di
protezione da un mondo percepito come pericoloso e il bisogno di liberà e indipendenza.
- Da un lato il soggetto costruisce la realtà come minacciosa e sé stesso come affetto da una forma di
debolezza e per questo non può fare a meno della relazione con figure rassicuranti. Ogni allontanamento
da tali figure lo pone di fronte al rischio di trovarsi in balia della propria fragilità
- Dall’altro lato il mantenimento di una relazione con figure protettive si accompagna a un senso di
costrizione e limitazione.
Alla base dei problemi del paziente vi è il dilemma di esplorare liberamente trovandosi soli, in balia dei
pericoli, oppure essere soffocati dalla protezione rassicurante della famiglia. Questo dilemma condivide,
secondo Ugazio, le caratteristiche di un circuito riflessivo bizzarro che investe i livelli del sé e della relazione.
La relazione diventa intransitiva con l’autostima. Disporre di una relazione coinvolgente significa per il
soggetto essere protetto, ma si traduce in una dipendenza che restituisce al soggetto un’immagine negativa di
sé. Dall’altra parte, acquisire un immagine positiva di sé richiede essere autonomo, indipendente dagli altri.
Quando episodi e situazioni rendono massima la riflessività del circuito bizzarro, il soggetto non ha più una
trama narrativa entro la quale con-porsi: la sua posizione è intrappolata in una serie di prospettive inconciliabili.
Se il soggetto cerca di mantenere la relazione e quindi si sente protetto, è soffocato dalla dipendenza; se cerca
di raggiungere l’autonomia è sopraffatto dalla paura del mondo pericoloso. Con lo sviluppo dei sintomi,
l’individuo mantiene la relazione protettiva, ma ciò non costituisce più un attacco all’autostima, in quanto la
dipendenza dalla relazione ora è giustificata da un evento esterno, non voluto e incontrollabile: la malattia.
Ipotesi di Haley: i sintomi hanno la funzione di manipolare l’andamento delle relazioni. La strategia
interpersonale fobica è manipolatoria perché è un tentativo occulto, in parte intenzionale, di
indurre l’altro a coinvolgersi e a essere sempre disponibile, senza che il soggetto si impegni
a sua volta nella relazione. Per questo i soggetti con questa organizzazione prediligono
aspetti non verbali, tra i quali rientrano i sintomi.
STORIE PERMESSE E STORIE PROIBITE
Quando i terapeuti incontrano i soggetti con organizzazione fobica, il grado di riflessività del circuito bizzarro
è sempre elevato. Prima dello sviluppo della psicopatologia i soggetti fobici avevano un buon adattamento al
loro ambiente: la ricostruzione mette in evidenza che alcune storie risultavano a queste persone permesse, nel
senso di facili da vivere, altre proibite, cioè difficili e generatrici di ansia. È possibile ricondurre la gamma dei
modi di funzionamento precedenti all’esordio sintomatico a un continuum con agli estremi due strategie:
1) Strategia del distanziamento emotivo
I soggetti con questa strategia prima dell’esordio sintomatico, si sentono libere, indipendenti. Essi si
collocavano nel polo positivo della semantica della libertà e la loro autostima era abbastanza alta. Per
mantenere tale posizione avevano escluso i comportamenti emotivi o espansivi. I legami emotivi erano
tuttavia sentiti, a differenza delle personalità narcisistiche, anche prima dell’esordio sintomatico, come
disturbanti il proprio funzionamento e quindi l’autostima. Le storie proibite erano per queste persone quelle
che implicavano un coinvolgimento emotivo, le storie permesse, invece, quelle in cui potevano esprimere
la loro autonomia.
le persone con questa strategia non sono grandi amanti: un comportamento di questo tipo richiederebbe un
coinvolgimento emotivo, che fa paura. Le loro storie sono per lo più incontri sessuali o amicizie prive di
pathos. Per queste persone lo stringersi di un legame risulta ancora più inquietante per l’estrema difficoltà
di romperlo: una volta stabilita una relazione significativa, per loro è difficile uscirne emotivamente.
Trasformare la natura delle relazioni è invece una storia permessa: l’ex partner diventa un amico, con il
quale non si ha un coinvolgimento sentimentale, ma comunque un legame di attaccamento.

2) Strategia della vicinanza limitante:


le persone con questa strategia, di regola agorafobici, prima dell’esordio sintomatico, si collocavano nel
polo svalutato della semantica della libertà: si definivano come dipendenti, deboli. Avevano costruito
relazioni affettive strette, in grado di fornire protezione. Un’altra caratteristica era la tendenza controllare
le figure di riferimento, a sottoporle a continue verifiche. Sebbene anche prima dell’esordio si collocassero
entro i poli di dipendenza, attaccamento, valorizzavano libertà a indipendenza: non erano quelli che
avrebbero voluto essere. La gelosia è una caratteristica che contraddistingue i pazienti agorafobici; essa è
una risposta appropriata elle fantasie di fuga e di liberazione, che non realizzano, ma che sono presenti. I
soggetti con questa strategia tendono attraverso i comportamenti non verbali, a sollecitare la gelosia e il
controllo del partner perché temono, se lasciate libere, di perdere il controllo. Ciò che contraddistingue
questa strategia è il tentativo del soggetto di ancorarsi a legami protettivi per ridurre i rischi a cui sarebbe
esposto se il suo desiderio di libertà prevalesse.

Entrambe queste strategie permettono di superare il dilemma caratteristico di questa organizzazione: la


riflessività del circuito ricorsivo bizzarro viene contenuta. L’una ottiene questo privilegiando il sé a danno
della relazione; nell’altra è la relazione a essere anteposta al sé.

CONTESTO INTERSOGGETTI NEL PRESENTE: POSITIONING IN EQUILIBRIO PRECARIO


Gli eventi critici scatenanti l’esordio sintomatico acquistano significato all’interno del contesto relazionale in
cui si sviluppano. Quali caratteristiche del contesto relazionale in cui si sviluppano i disturbi fobici rendono
critici gli eventi?
Secondo Byrne, Carr e Clark essi condividono l’ipotesi di un’unione complementare tra paziente agorafobico
e il suo partner. Entrambi i coniugi trarrebbero vantaggio dai reciproci positioning complementari. Il prezzo è
un matrimonio che diventa compulsivo: il paziente non può fare a meno del partner per fronteggiare il mondo,
mentre il partner sano non può sottrarsi al bisogno del coniuge.
Secondo Ugazio, l’attenzione alla sola coppia è il limite principale di questi modelli. Questa scelta risulta
inopportuna in un’organizzazione come quella fobica che privilegia le relazioni verticale rispetto a quelle
orizzontali. Una relazione coniugale totalizzante non rischia solo di essere soffocante, è intrinsecamente
pericolosa: un eventuale abbandono ti lascia allo sbaraglio.
Rotture, minacce di separazioni, la nascita di un figlio, e tutti gli eventi che innescano l’esordio sintomatico
negli adulti, diventano critici perché alterano la posizione del soggetto fobico nella semantica della libertà in
equilibrio precario fra due sistemi di relazioni altrettanto importanti. L’esordio sintomatico produce l’effetto
pragmatico di consentire al paziente di mantenere relazioni strette con entrambi i sintemi da cui dipende,
evitando la minaccia che l’uno escluda o ridimensioni troppo l’altro.

CONTESTO INTERSOGGETTIVO ORIGINARIO


- Bowlby ha ricondotto la patologia fobica a specifici pattern di interazione familiare. La sua ipotesi è che i
disturbi fobici derivino da pattern di attaccamento ansioso sviluppati in risposta agli stessi modelli
interattivi riscontrati nei bambini che rifiutano la scuola. La fobia scolastica è infatti, per lui, un precursore
dell’agorafobia. Individua situazioni prototipiche diverse, ma con un esito comune: generare un
attaccamento del bambino ai genitori così insicuro e ansioso da non consentirgli il normale distacco
richiesto dalla scuola. Secondo Guidano alla base dell’organizzazione fobica vi è una limitazione indiretta
del comportamento esplorativo del bambino da parte della figura di attaccamento principale. Individua
all’origine delle organizzazioni fobiche, due pattern di attaccamento disfunzionali: comportamento
iperprotettivo della madre e un comportamento rifiutante dei genitori. L’esito è, in accordo con Bowlby,
lo sviluppo nel bambino di un attaccamento ansioso alimentato dalla paura della scomparsa della figura di
attaccamento.
Queste spiegazioni sono in contrasto con i presupposti su cui si fondano le psicoterapia sistemiche.
Per l’approccio sistemico i bisogni sono socialmente definiti e le deprivazioni sempre relative. La loro
percezione dipende dal confronto sociale e dai criteri che tale confronto mette in gioco. L’insoddisfazione per
il modello di Bowlby è dovuta a diversi aspetti:
- Non è specifico. Ricerche hanno dimostrato che esperienze memorizzate di attaccamento ansioso
caratterizzano non soltanto l’agorafobia e gli altri disturbi dello spettro fobico, ma anche altre
psicopatologia, come i disturbi post-traumatici, i disturbi ossessivi, la depressione e il disturbo borderline
- Questo modello non rende ragione del bisogno di libertà e indipendenza caratteristico dell’organizzazione
fobica. Anche chi soffre di agorafobia, pur legandosi ad una figura di attaccamento, mantiene nella fantasia
costanti desideri di evasione e fuga.
- Trascura la specificità dell’organizzazione fobica, in cui il bisogno di attaccamento è vissuto in
antagonismo con il desiderio di libertà e indipendenza.

Il modello di Ugazio è capace di dar ragione a ciò che caratterizza l’organizzazione fobica: la costruzione di
attaccamento ed esplorazione come reciprocamente escludenti. Tale modello convalida l’ipotesi che il
bambino abbia una relazione di attaccamento preferenziale quale quella descritta da Bowlby e da Guidano. Il
punto è che la figura di attaccamento è coinvolta in un legame affettivo particolarmente intenso con un membro
della famiglia che si colloca nel polo “libertà-indipendenza” della semantica critica. Di regola questa persona
è meno coinvolta nella relazione di quanto la madre desidererebbe: è fuggitiva, tanto da generare nella madre
sentimenti di insicurezza.
La relazione nella quale è coinvolto il bambino con la madre prevede una riduzione dei comportamenti
esplorativi, ma questi comportamenti, che la madre stessa scoraggia, sono invece caratteristici della figura
emotivamente importante per lei→ mantenere la relazione con la madre significa quindi per il bambino
ricevere una definizione negativa di sé, dove la negatività di tale
definizione è data dal fatto che la madre valorizza un membro della
famiglia che ha un comportamento opposto a quello sollecitato nel
bambino.

Questo contesto intersoggettivo triadico contiene gli ingredienti che strutturano un vero e proprio dilemma,
dove attaccamento e autostima diventano intransitivi. Vi sono tre aspetti importanti in tale contesto:
1) Posizione della madre
2) Dimensione temporale
3) Le differenze tra il contesto intersoggettivo che genera la strategia della vicinanza limitante e quello
all’origine della strategia del distanziamento emotivo.
Cosa accade? Accade che la madre, essendo fortemente coinvolta in una relazione affettiva con un partner
indipendente e fuggitivo, sviluppa sentimenti di insicurezza e desideri di rassicurazione. Il bambino, che è
organizzato in modo da adattarsi all’adulto che si prende cura di lui, percepisce questo stato emotivo della
madre e sviluppa comportamenti a esso complementari.
A partire dai quattro o cinque anni il bambino può porre le premesse per la costruzione di una gamma di
strategie adattive a orientamento fobico. Queste strategie sono l’esito di un processo: inizialmente privilegia
la relazione, fino ai sette otto anni. In questi anni si posizionerà nel polo “attaccamento”, diventando un
bambino molto attaccato, appiccicoso, poco incline all’esplorazione e alle nuove esperienze. Progressivamente
diventerà consapevole che la persona emotivamente importante per la madre ha comportamenti opposti ai suoi
e questo lo condurrà a sviluppare una bassa autostima. Con l’adolescenza, quando i problemi di autostima
acquistano centralità, la riflessività tra sé e la relazione diventa crescente. La situazione assume la forma di un
dilemma e il soggetto inizia a sviluppare strategie.
Tale contesto intersoggettivo è stato individuato da Ugazio in tutte le organizzazioni fobiche, siano esse a
prevalenza agorafobica o claustrofobica. L’unica differenza nella storia relazionale dei soggetti claustrofobici,
rispetto agli agorafobici, è un brusco cambiamento di alleanze nella fanciullezza: il bambino passa dalla figura
di attaccamento a un membro della famiglia che si colloca nel polo della libertà. Tale ribaltamento è di solito
causato da una delusione in eventi specifici o da ripetute frustrazioni. Il bambino da questo momento:
1) Cerca di assumere le caratteristiche del recente alleato, senza però sviluppare in questa nuova relazione un
coinvolgimento emotivo profondo
2) Muta drasticamente la sua relazione con la figura originaria di attaccamento: abbandona gli atteggiamenti
appiccicosi e assume un comportamento autonomo.

Esempio:
Emilio con sintomatologia agorafobica. Ha paura di uscire da solo e degli spazi aperti. Per rendersi autonomo
decide di dare un viaggio a Londra, ma dopo l’arrivo inizia ad avere crisi di panico; lascia Londra, ma anche
il viaggio di ritorno fu un inferno. La riflessività del circuito riflessivo bizzarro è massima: l’idea di tornare
a casa era un attacco alla sua autonomia e autostima, ma rimanere a Londra era diventato impossibile a
causa dei sintomi. È il primogenito di 4 figli. La madre è una donna emotiva, ansiosa e un punto di riferimento;
il padre è autoritario e distaccato. Nonostante la madre fosse il suo legame di attaccamento principale, essa
era contemporaneamente coinvolta in un legame affettivo maggiore con il marito, nonostante fosse fuggitivo.
In questa situazione Emilio aveva assunto un ruolo consolatorio, ascoltando le lamentele della madre. Un
momento drammatico fu la nascita dell’ultimo fratello, che ha dato origine al cambiamento di alleanze: non
si legò al padre, che odiava troppo, ma ad una zia indipendente e ricca. Nello stesso tempo iniziò ad ostentare
disprezzo per la madre. In realtà il nuovo legame non soppiantò quello originario, anzi ebbe la funzione di
coinvolgere la madre suscitandone la gelosia; egli infatti continuava ad avere una relazione di dipendenza
con la madre.

Molte persone, pur non avendo un orientamento fobico, sperimentano lo stringersi di un legame come
minacciante la loro autonomia. Esiste infatti nella nostra cultura un grado di intransitività fra il mantenimento
dei legami e l’autostima che abbiamo di noi stessi come indipendenti. Nelle strategia ad orientamento fobico
l’intransitività di questo circuito raggiunge livelli elevati rispetto alle altre organizzazioni. Perché si sviluppi
un positioning come quello del soggetto con organizzazione fobica è necessaria una storia familiare che rende
centrale e schismogenetica la dimensione semantica “dipendenza-libertà”, così come è necessario che si crei
uno specifico contesto intersoggettivo.
LA SEMANTICA DELLA BONTA’
I DISTURBI OSSESSIVI

In queste famiglie al centro della dinamica emotiva vi è la contrapposizione fra bene e male. La polarità
semantica critica è “buono/cattivo”, “puro/impuro”, a cui si associano una serie di significati che concorrono
a creare quella che è definita la semantica della bontà. La conversazione in queste famiglie si organizza intorno
a episodi che mettono in gioco la deliberata volontà di fare il male, egoismo, ma anche bontà, purezza. I membri
di queste famiglie si sentiranno buoni, puri o al contrario cattivi, egoisti. Incontreranno persone che li
salveranno, li eleveranno o al contrario persone che li inducono al vizio, a comportamenti scorretti.
La conversazione fra bene e male che domina la conversazione in queste famiglie è opposta a quella
agostiniana: agostino diffonde un’idea ottimistica; come le tenebre sono mancanza di luce, il male è solo
privazione di bene. Per le famiglie di cui ci occupiamo, invece, al contrario, è il bene ad essere privazione del
male → la bontà è “astinente”, perché non è altro che un assenza del male. Buono è chi rinuncia all’espressione
dei propri desideri e alla difesa dei propri interessi, chi si sacrifica, chi si allontana dalla dinamica
pulsionale e non chi è garbato e gentile con gli altri. Cattivo è chi esprime la propria sessualità, le
proprie pulsioni aggressive. La polarità semantica si intreccia con vita e morte e la vita sta dalla parte
del male. Le istanze vitali, sessualità, affermazione di sé, sono il luogo in cui si esplica il male; mentre
sacrificio, rinuncia agli eccessi, vengono identificati con il bene. Le emozioni che stanno alla base di
questa semantica sono “colpa/innocenza” e “disgusto/godimento”. Proprio perché la sessualità e
l’affermazione sono congiunte a violenza e sopraffazione, la loro espressione genera senso di colpa e
disgusto; mentre la rinuncia pulsionale, l’abnegazione è associata a purezza e innocenza.

Guidano e altri cognitivisti hanno sottolineato troppo la freddezza emotiva di questi nuclei. Come per i contesti
fobici, questi autori evidenziano solo un lato della medaglia. Nelle famiglie con disturbo ossessivo osservate
da Ugazio, accanto a persone che contengono emozioni e che sono connotate positivamente, ci sono persone
che vivono emozioni, passioni, impulsi, il punto è che si tratta di impulsi egoisti, malvagi. Il problema di questi
contesti familiari non è quindi la carenza di emotività, ma il modo prepotente, aggressivo che accompagna le
emozioni, laddove e quando sono espresse. Sullivan sostiene che i pazienti ossessivo-compulsivi sanno che i
loro genitori non erano felici, e che almeno uno di essi era nei loro confronti crudele.
Esempio:
Salvatore con grave disturbo ossessivo-compulsivo. Ricorda di aver assistito a scene dove il padre picchiava
la madre, lui e i suoi fratelli. Il padre era incapace di controllare la sua aggressività e sessualità (toccava il
sedere alle donne). Il genitore pulsionale, il padre, esteriorizza i propri impulsi colpevoli verso il partner
astinente, la madre e verso il futuro paziente ossessivo.

ALLE ORIGINI DEL DUBBIO


Anche nelle organizzazioni ossessive, come in quelle fobiche, si stabilisce un circuito riflessivo bizzarro che
coinvolge i livelli del sé e della relazione. Il circuito ha, però, una struttura più complessa e da luogo ad una
situazione psicologica più drammatica, rispetto ai disturbi fobici. Il soggetto fobico quando la riflessività è
massima, oscilla fra due prospettive: mantenere i legami di attaccamento ed essere soffocati dalla dipendenza,
o raggiungere l’autonomia ma essere di fronte ad un mondo pericoloso. Di queste due una privilegia la
relazione, l’altra il sé.
Nei soggetti ossessivi la fluttuazione, esito del circuito riflessivo bizzarro, è invece interna al sé:
il soggetto, entrando in relazioni significative, diventa preda di percezioni di sé stesso discrepanti. Il
coinvolgimento erotico, l’affermazione personale, rompono il sentimento di unità del sì, perché generano
percezioni antitetiche, generano una scissione tra la parte buona, giusta che deve essere confermata e la parte
cattiva, sbagliata che deve essere controllata. Quando la riflessività è massima oscilla tra percezioni. di se
stesso totalmente dicotomiche: il coinvolgimento erotico e l’affermazione personale diventano intransitivi con
una percezione unitaria del sé. Le immagini dicotomiche che scandiscono il circuito bizzarro derivano da due
alternative inaccettabili:
1) Essere coinvolti in relazioni gratificanti, esteriorizzarsi, affermare se stessi entrando in relazioni pulsionali
con il mondo. Per le persone con organizzazione ossessiva questa alternativa significa sporcare o sporcarsi,
infettare o essere infettati; implica diventare cattivi, disgustosi e di conseguenza esporsi al rischio sia al
rischio di perdere le relazioni di attaccamento sia di essere puniti. Di qui l’importanza del tabù del contatto
corporeo nei disturbi ossessivi.
2) Rispettare il tabù del contatto, essere puri, buoni significa si essere amabili, ma richiede anche il ritiro, la
rinuncia a ogni coinvolgimento gratificante con gli altri e il sacrificio del sé.
Esprimere la propria sessualità e aggressività significa essere cattivi e indegni di amore; mentre essere amabili
e degli di amore richiede l’annullamento e il sacrificio del sé. Di qui l’oscillazione continua fra un immagine
di sé buona, ma sacrificale e un immagine vitale, ma malvagia. Essere buoni e amabili significa fare un passo
indietro rispetto alla vita, morire; ma vivere equivale ad essere malvagi. Di fronte a questa alternativa
drammatica, il dubbio, la ricerca di certezze e la paralisi decisionale sono le strategie di sopravvivenza. Gli
altri membri della famiglia sono in grado di fronteggiare questo dilemma insito nella semantica della bontà ,
posizionandosi fra gli astinenti o tra i pulsionali: gli astinenti si sentono orgogliosi della loro purezza e provano
disgusto per chi induce ai piaceri; i pulsionali, invece, godono per la soddisfazione dei loro impulsi.

Due condizioni emotive rendono impossibile alle organizzazioni ossessive di posizionarsi con gli uni o con gli
altri o collocarsi in posizione mediana: una è segnata da paura/angoscia, mentre l’altra è segnata da
mortificazione/avvilimento.

Sono avvertite quando si rinuncia: sentirsi puro, La paura viene sperimentata da soggetti con
corretto significa per queste persone essere organizzazione ossessiva quando entrano nella
sopraffatti da sentimenti di mortificazione e di vita, esprimono i propri impulsi e quindi sentono
annullamento che generano rabbia e rancore. di essere cattivi. Si tratta spesso di angoscia, in
quanto non si riferisce a qualcosa di preciso.

Sono questi due stati emotivi a impedire al soggetto di collocarsi nell’uno o nell’altro polo. Questi stati emotivi
non riguardano solo le organizzazioni ossessive: la paura è centrale anche per le famiglie con organizzazione
fobica; ciò che contraddistingue le organizzazioni ossessive sono i contesti specifici in cui sono sperimentate
tali emozioni. Il soggetto con organizzazioni ossessiva è l’unico, all’interno della famiglia, a sperimentare
queste due condizioni emotive.
- Alla base delle paure e delle angosce degli ossessivi vi sono pericoli ben precisi: perdere il legame con le
figure di attaccamento e il rischio di punizioni alla propria integrità fisica e sessuale.
- I sentimenti di mortificazione/avvilimento derivano dalla rinuncia agli impulsi e desideri. Per il soggetto
ossessivo astenersi dal coinvolgimento pulsionale significa annientarsi.

Anche quando la riflessività del circuito non produce l’oscillazione critica tra percezioni di sè buono e sé
cattivo, il soggetto con organizzazione fobica si trova in quella posizione mediana tra i due estremi. Si tratta
di una peculiarità specifica di questa organizzazione. I soggetti fobici tendono a costruire la propria identità
privilegiando o l’estremo della libertà o l’estremo dell’attaccamento; oscillano tra i due solo quando la
riflessività è massima. Il soggetto ossessivo invece non si costruisce né all’interno della polarità purezza, ne
all’interno della polarità cattiveria: si mantiene in posizione mediana.

Chi si colloca nella posizione mediana si esprime sbilanciandosi verso l’uno e verso l’altro estremo;
solo così si definisce come partner e partecipa alla conversazione. Per le persone con
organizzazione ossessiva, spostarsi nella direzione della purezza significa avvertire mortificazione,
rabbia e rancore; spostarsi nella direzione cattiveria comporta il rischio di punizione. Questi
spostamenti e oscillamenti sono contenuti e bilanciati. Quando però la riflessività del circuito è
massima, qualsiasi oscillazione diventa inaccettabile e il soggetto entra nella zona di naufragio di
mezzo. A questo punto il dubbio, la ricerca di certezze e la paralisi decisionale diventano invasivi.
Di fronte all’impossibilità di trovare un positioning accettabile sia nel polo astinente che in quello
pulsionale, l’ossessivo si attesta sulla propria immobilità. La funzione dei dubbi è quindi quella di
paralizzarlo. È in questa posizione di mezzo e di immobilità che compaiono i sintomi:
- Ossessioni: esprimono impulsi proibiti (pensieri e immagini sessuali, impulsi aggressivi)
- Compulsioni: comportamenti ripetitivi, finalizzati a placare l’angoscia (lavarsi le mani …)

Con lo sviluppo dei sintomi il paziente fa quello che faceva prima: si sbilancia tra i due estremi. Il
bilanciamento ora è però egodistonico, non è più il soggetto a decidere, sono i sintomi a imporsi contro la sua
volontà. Grazie ai sintomi, la riflessività del circuito è contenuta e il soggetto evita sia la punizione sia la
rinuncia totale. La mancanza di naturalezza e di spontaneità è attribuibile alla posizione mediana. La persone
con questa organizzazione esprimono l’assenza di naturalezza nella postura, nel linguaggio, nello stile del
pensiero: il bambino ossessivo è infelice, forzato, privo di naturalezza e di spontaneità; così come l’adulto
appare cupo, triste.

LA VITA: UNA STORIA PROIBITA?


Anche nei soggetti ossessivi non siamo di fronte a nulla che possa essere assimilato a un piano o a un
programma dotato di qualche intenzionalità. Ciò che il soggetto sperimenta è che alcune storie gli sono
“permesse”, quindi facili da vivere; e altre “proibite”, ovvero pericoloso.
Per i soggetti con organizzazione ossessiva la vita in quanto tale sembra essere una storia proibita, ma allo
stesso tempo è qualcosa di ambito. È possibile ricondurre e due le strategie con le quali i soggetti con
organizzazione ossessivo-compulsiva tentano, prima dell’esordio sintomatico, di contenere la riflessività del
circuito bizzarro.
1) Strategia della purezza:
attraverso questa strategia il soggetto cerca di evitare la percezione dicotomica di sé, coinvolgendosi in
attività pulsionalmente neutre e, contemporaneamente, prestigiose. Tali persone cercano di mantenere
un’immagine positiva di sé che, coerentemente con la semantica, si identifica con il sentirsi e con l’essere
considerati persone buone, pure e corrette. La minaccia che emerga una percezione dicotomica di sé è
tenuta lontano attraverso un coinvolgimento prevalente in aree che implicano un distanziamento
dall’interazione e che, nello stesso tempo, sono prestigiose, come ad esempio la religione, la scienza, la
legge, la politica, l’arte, la letteratura. Anche se tali soggetti non sono completamente privi di calore
emotivo, presentano un certo grado di coartazione delle emozioni. A differenza delle personalità
narcisistiche, l’intimità è avvertita dai soggetti con questa organizzazione come gratificante ed è
intensamente desiderata. Tuttavia, i legami emotivi sono sentiti come pericolosi perché li inducono a
percepirsi come indegni e cattivi.
Esempio: Angela insegnate. Il suo lavoro è il suo investimento prioritario, non una vocazione ma un
privilegio. Non si è mai occupata della casa, ma a sempre delegato i lavori domestici al marito.
La maternità è sempre stata vissuta come un peso. Da piccola è stata iscritta dalla madre in un
collegio molto caro, ed è stata esentata dai lavori domestici; in questo modo la madre l’aveva
messa in una condizione di superiorità, a differenza del marito e dell’altra figlia
In questa strategia è essenziale che l’area pulsionalmente spoglia su cui il soggetto canalizza le sue
energie, mentre non è indispensabile che abbia una natura etica. Attraverso questo il soggetto acquista
superiorità. La componente essenziale di questa strategia è proprio la superiorità: se non morale,
intellettuale. I desideri di affermazione aggressiva di sé e gli impulsi sessuali sono fortemente inibiti.
L’inibizione si esprime sia nella priorità assegnata alle aree neutre, sia nel modo con cui queste persone
si esprimono entro tali aree. Il soddisfacimento degli impulsi che questa strategia permette è comunque
indiretto: i desideri originari sono mortificati, inibiti. Il soggetto con questa strategia difficilmente ottiene
affermazione di sé, il successo; ma rimane sempre in una situazione di secondi rispetto agli altri. Anche
la scelta dei partner rispecchia questo: scelgono partner ambizioni, aggressivi o sessualmente aggressivi;
attraverso il partner possono vivere in modo vicario quello che a loro è proibito.

2) Strategia della gerarchizzazione del male:


questa strategia è etica nella sua essenza. I soggetti che la esprimono tendono ad esteriorizzare
maggiormente, rispetto alla strategia della purezza, gli aspetti cattivi del sé. Anche queste persone danno
la priorità ad aree neutre, che presentano distanziamento dall’interazione, ma queste aree devono avere
una rilevanza etica. Ciò che è essenziale per questi soggetti è disporre di principi che consentono loro di
segmentare giustamente il mondo in buoni e cattivi. L’individuo attraverso questa differenziazione può
esprimere odio e sadismo verso la parte del mondo identificata come cattiva. Le persone con questa
strategia inibiscono meno gli impulsi, l’odio e l’aggressività rispetto ai soggetti con la prima strategia. La
riflessività del circuito viene contenuta sottomettendo tali impulsi a una visione etica: il sé cattivo viene
gerarchizzato dal sé buono; il secondo indica al primo persone e situazioni nei confronti delle quali può
legittimamente esprimersi. La gerarchizzazione su cui si fonda questa strategia è esterna e rigida. Il
soggetto si affida a principi, idee esterne a lui. A causa della riflessività del circuito bizzarro il soggetto
diffida di sé, per evitare incertezza, e si affida a principi e autorità esterne.
Questa strategia è generativa di personalità più espansive rispetto alla strategia della purezza: esprimono i
loro impulsi sessuali colpevoli verso donne degradate, traendone godimento, mentre non vivono la donna
amata e rispettata come una partner eroticamente stimolante.
Esempio: Don Ruggero ha crisi intrusive, ansia e insonnia. Tutti nel suo paese lo stimavano. Nei suoi
viaggi al terzo mondo esteriorizzava la sua sessualità con ragazzi del terzo mondo. Al rientro
dai suoi viaggi la madre lo accoglieva con aria severa. L’ultima crisi è stata preceduta da due
episodi critici: 1) la madre lo aveva accolto in modo dolce, 2) la madre una sera gli ha detto
“non sarà eterna, prima o poi dovrò andarmene. La madre era sempre stata il suo punto di
riferimento e questi due episodi hanno provocato in lui forti emozioni di disorientamento: si era
sentito in balia di se stesso.

Queste due strategie tendono ad essere messe in crisi da eventi abbastanza diversi. La prima da episodi che
rendono obbligatoria l’espressione dei sentimenti proibiti, nella seconda strategia assumono il valore di eventi
critici tutte quelle situazioni che mettono in crisi i principi che consentono al soggetto di segmentare il mondo
in buoni e cattivi.
TRIANGOLO ORIGINARIO
1) Come mai il soggetto non può abbracciare la via dell’ascesi? Perché deve vivere come mortificazione la
rinuncia ai propri impulsi?
2) Che cosa impedisce alle persone ossessive di essere cattive, di dedicarsi al vizio?
Alcuni membri di queste famiglie scelgono la via del sacrificio senza per questo essere colti da sentimenti di
annientamento, altri vivono le loro pulsioni senza essere minacciati da paura e angoscia. Perché queste strade
sono invece, ineludibili e bloccate per il paziente ossessivo?
La psicoanalisi classica risolve questi interrogativi all’interno della dinamica intrapsichica. Si pensi al caso
“dell’uomo dei topi”: Freud prende in esame eventi dell’infanzia e della vita attuale del paziente; non
trascurando il qui ed ora. Nel ricostruire le cause della malattia prende il considerazione
l’ostilità del padre all’unione del figlio con la donna amata, arrivando ad avanzare il
concetto di effetto pragmatico del sintomo.

Ugazio non è incline a riconoscere al complesso edipico l’universalità e l’importanza che la psicoanalisi
classica gli attribuisce, tuttavia nei soggetti ossessivi i desideri edipici sono spesso palesi; quindi, quali
caratteristiche della configurazione di relazioni familiari in cui si sviluppano le organizzazioni ossessive
sollecitano i desideri edipici?
La tesi che i disturbi ossessivi siano connessi a specifici pattern di relazione madre-figlio è stata avanzata da
diversi studiosi sia psicodinamici che cognitivisti:

Per Adams i genitori dei bambini ossessivi sono Ipotizzano nell’infanzia dei soggetti ossessivi
ambivalenti verso i figli e ne svalutano gli impulsi pattern di attaccamento resistente-ambivalente o
sessuali e aggressivi. Sviluppano pratiche ansioso-evitante. La connotazione negativa, da
educative fondate su regole sociali rigide. Sono parte dei genitori, di sessualità e aggressività è
determinati ad ottenere un’ubbidienza vista come un pattern di svalutazione dei
automatica, senza rispetto per ciò che il bambino comportamenti emotivi, espansivi e spontanei, a
sente e comprende. Sono incapaci di assumere il vantaggio di atteggiamenti pseudo-maturi.
punto di vista del bambino e di adeguare le loro
richieste all’età del piccolo.

Secondo Ugazio il quadro fornito da questi psicoterapeuti non fornisce una spiegazione adeguata a spiegare il
dilemma dei soggetti ossessivi, con la loro oscillazione tra paura/angoscia e mortificazione/avvilimento. Le
ipotesi avanzate da psicodinamici e cognitivisti si limita alla figura principale di attaccamento, la loro è
un’analisi diadica, perché non differenzia la posizione dei due genitori. Per Ugazio, invece, entrambi i genitori
sono essenziali per la comprensione di questa organizzazione. Dall’analisi di Ugazio emerga un contesto
intersoggettivo triadico, entro il quale prende forma e acquista significato la posizione difficile del paziente
ossessivo e il dilemma che la caratterizza.

- Padre e madre si trovano ai due estremi della semantica critica, e la relazione di coppia è caratterizzata da
processi schismogenetici complementari che rendono il conflitto acuto. Spesso il conflitto è esplicito e la
madre è in una posizione sacrificale, mentre il padre è identificato come cattivo. (es. Raffaella con pensieri
e immagini intrusive: descrive la madre appassionata di cinema, lettrice. Il padre invece commerciante,
volgare e prepotente)
In alcuni casi la madre si trova nella polarità negativa della semantica critica (es. nella famiglia di
Francesca la madre è indice di carnalità e trivialità, mentre il padre era emotivo, un letterato)

- La figura principale di attaccamento del soggetto che svilupperà un organizzazione ossessivo-compulsiva


si colloca di regola nell’estremo “bontà, purezza” (genitore astinente). Questa figura con cui il futuro
ossessivo sviluppa un attaccamento intenso, offre al bambino una posizione di parità o superiorità rispetto
all’altro genitore. La barriera generazionale è così infranta.

- La posizione di superiorità che gli è attribuita stimola il bambino al confronto e alla competizione con
l’altro genitore. Il bambino è dichiarato dalla figura di attaccamento superiore all’altro genitore. Per questo
motivo è indotto a pretendere per sé, dalla figura di attaccamento, lo stesso trattamento che è concesso al
genitore pulsionale. Più il bambino è in posizione di superiorità, tanto più la pretesa di uguaglianza con il
genitore pulsionale aumenta. Il genitore pulsionale, del frattempo, da un’interpretazione malevola dei
comportamenti del bambino: legge come seduzione sessuale la ricerca di vicinanza del bambino con il
genitore preferito o come prepotenza le sue richieste. Inoltre, la sua malevolenza è acuita dalla gelosia e
dall’irritazione per la posizione di superiorità che il partner accorda al figlio. Questi aspetti contribuiscono
a indurre il bambino a percepire in sé pulsioni sessuali e aggressive.

- Il dramma nasce non appena il bambino tenta di esprimere le sue pulsioni. Il genitore astinente, figura di
attaccamento, lo rifiuta perché vede in lui i comportamenti odiati nel coniuge. Si tratta di un rifiuto astioso
e violento. Il genitore astinente, che sopporta i comportamenti egoisti o cattivi del partner, perché ne è
attratto, non è disposto a subire analoghi comportamenti da parte di un bambino. La ripulsa della figura di
attaccamento ferisce la figura di attaccamento per diversi motivi:
a) È carica di un astio proporzionato al gesto che l’ha suscitata. È quindi incomprensibile per il bambino.
b) Esprime disgusto per il fatto che il bambino provi impulsi colpevoli. Non si tratta di un rifiuto di certi
comportamenti del bambino e della loro proibizione, ma di una ripulsa del bambino come persona
c) Riporta il bambino, improvvisamente e incomprensibilmente, in una posizione gerarchica inferiore
Come risultato di questa configurazione relazionale, per il bambino mantenere la propria posizione di
privilegio nei confronti della figura principale di attaccamento significa disconoscere in sé, negare, quegli
impulsi che proprio il confronto paritario con l’altro genitore, prodotto dalla posizione di privilegio, alimenta
e rende ineludibili. Questa configurazione spiega perché al futuro ossessivo la via dell’ascesi e quella
dell’espressione degli impulsi siano, nello stesso tempo, ineludibili e bloccate. Il confronto paritario con il
genitore pulsionale e l’interpretazione malevola che questi da del suo attaccamento al genitore preferito
inducono il bambino a riconoscere e a sperimentare in sé i desideri colpevoli. Non gli è quindi possibile
collocarsi nella stessa polarità semantica del genitore preferito e seguirne la via della bontà astinente, senza
sperimentare sentimenti di mortificazione. Tuttavia, anche l’espressione degli impulsi genera nel futuro
ossessivo livelli di angoscia inaccettabili.
Quando il genitore preferito è del sesso opposto i desideri proibiti assumono di regola valenze edipiche. Ma il
contesto relazionale è ben più complesso della costellazione interpersonale di tipo edipico. Nella costellazione
edipica la gerarchia fra le generazioni è minacciata dai desideri sessuali del bambino verso il genitore del sesso
opposto; al contrario, nella configurazione triangolare i desideri edipici minacciano di ristabilire, in modo
drammatico, il confine tra le generazioni, togliendo al bambino la posizione di privilegio di cui gode.

DIFFERENZE TRA IL CONTESTO INTERSOGGETTIVO FOBICO E OSSESSIVO:


Il soggetto fobico sa che la figura di attaccamento, sebbene nutra verso di lui affetto, gli antepone un altro
membro della famiglia. egli non gode di alcuna posizione di superiorità; al contrario è in una posizione di
svantaggio rispetto alla persona verso la cui madre mantiene il coinvolgimento emotivo prioritario. Nel
contesto triadico delle organizzazioni fobiche il confine tra le generazioni è rigidamente mantenuto.
Nonostante queste, le configurazioni triadiche che accompagnano lo sviluppo delle organizzazioni fobiche e
ossessive presentano un’importante analogia: tutte stimolano nel bambino l’ambivalenza verso la figura di
attaccamento; anche se le ragioni che sostengono l’ambivalenza sono diverse:

La collega, la rabbia che il futuro paziente ossessivo Ciò che scatena l’odio del paziente ossessivo verso
sviluppa verso l’adulto con cui ha il legame la figura principale di attaccamento sono le rinunce
preferenziale e i sentimenti di colpa che lo a cui deve sottostare per essere approvato e amato da
affliggono, derivano dalle frustrazioni e questa figura e le invalidanti ripulse di cui è oggetto
dall’impotenza che il bambino esperisce nel suo non appena esprime le proprie pulsioni.
ruolo di partner consolatorio: la madre non si Il genitore preferito di tali soggetti è una figura meno
consola. Il bambino non è in grado di colmare i vuoti espansiva, ma capace di tenerezza e benevolenza.
e le sofferenze prodotti dal partner fuggitivo. Il Inoltre, fornisce al figlio una notevole gratificazione.
genitore preferito di tali soggetti è affettuoso ed
empatico
Esempio 1: Salvatore:
Salvatore, soggetto con ossessioni e compulsioni sempre più invasive (paura di investire qualcuno, di essere
contaminato). Quando stava bene era oppresso e bloccato dalla paura e dall’angoscia; quando si comportava
in modo irreprensibile era devastato da sentimenti di avvilimento.
Contesto intersoggettivo originario:
è il quinto di sei figli maschi. I genitori sono in posizioni polarmente opposte rispetto alla semantica critica e
alle altre polarità semantiche salienti nella famiglia (forza/debolezza, impulsività/riflessività). Il padre è
sessualmente vivace, caldo, con il vizio di toccare il sedere alle donne; la madre buona e affettuosa. È in
rapporto all’opposizione polare dei genitori rispetto a quasi tutte le dimensioni semantiche che Salvatore e i
suoi fratelli avevano costruito la loro posizione nella famiglia. 3 di loro erano più vicini alla semantica della
bontà, 2 alla semantica della cattiveria: solo Salvatore aveva sviluppato un disturbo ossessivo. L’altro
paziente della famiglia era il fratello Rosario, paranoico che dall’età di 12 anni assumeva antipsicotici.
Pur essendo legato alla madre Salvatore non era mai riuscito a condividere con lei la scelta della bontà
astinente per tre ragioni:
1. Il rapporto con Rosario: Rosario trasmetteva a Salvatore tutte le angosce e lo ha stimolato precocemente
alla sessualità e all’aggressività.
2. Il padre: era aggressivo verso tutti i figli, ma maggiormente con Salvatore. Lo infastidiva la sua vicinanza
con la madre, per lui questo attaccamento era sospetto.
3. Somiglianza fisica tra Salvatore e il padre: questa somiglianza aveva stimolato i genitori a interpretare i
comportamenti di Salvatore come animati dalle intenzioni e pulsioni paterne e fu all’origine delle ripulse
e offese della madre.
L’insieme di questi fattori ha fatto si che Salvatore non poté mai percepirsi come buono e puro.
Salvatore, inoltre, aveva fruito, rispetto ai fratello, di una posizione privilegiata. La madre lo aveva sempre
considerato un interlocutore interessante e più affidabile del marito. Tuttavia, salvatore, a causa della sua
indole, si scontrava spesso con le ripulse della madre, rischiando di passare da una posizione di privilegiato
ad una di infetto.
Qual è l’esordio sintomatico?
L’esordio sintomatico avvenne quando egli si trasferì al nord. Era innamorato di Iole, ma si sentiva anche in
colpa in quanto la madre non accettava molto questa relazione. Inoltre, si sentiva minacciato dal padre, il
quale si era innamorato di Iole. Quando si trasferì fu felice perché avrebbe salvato la relazione con Iole e
senza perdere quella con la madre. Fu felice, ma si trovò in un campo minato: non riusciva ad avere il
controllo, la madre lanciava messaggi di opposizione, non riusciva a contenere l’ansia e la paura e Iole lo
lasciò.

Esempio 2: Natascia
Natascia è una bambina di 11 anni che fino a tre mesi prima era serena e socievole. Oggi Natascia sente in
sé una parte buona e una parte cattiva. Sta vivendo emozioni perturbanti: la sofferenza ha addirittura
modificato i suoi lineamenti, la sua voce e la sua postura. La parte cattiva che se ne frega di tutto sta per avere
la meglio.
Contesto intersoggettivo:
quando Natascia nasce i suoi genitori sono in crisi per la depressione della moglie; ed è proprio la depressione
della moglie a introdurre nella famiglia la semantica della bontà. La madre era sempre stata sorridente, solare
e piena di energie, ma dopo il primo trasferimento cadde in depressione. Non si occupa più della famiglia, ne
delle figlie. I problemi vengono risolti dal padre, così come l’accudimento delle figlie. Quando esce dalla
depressione non recupera più il rapporto con le figlie, ma si occupa solo di se stessa. È in questa situazione
che Natascia è cresciuta. Tra lei e il padre si sviluppa un rapporto molto stretto: lei non ha mai avuto una
madre e lui ha una moglie assente. Padre e figlia fanno diversi viaggi insieme, la figlia fa trovare il caffè al
padre quando torna dal lavoro, e il padre si sente molto aiutato da lei → la barriera generazionale è infranta,
anche se non c’è erotizzazione tra padre e figlia. Natascia cerca di essere una partner conversazionale
adeguata per il padre; è orgogliosa del suo positioning prestigioso. Nonostante finisce per assumere una
posizione gerarchicamente superiore alla madre e un rapporto prioritario con il padre, non le viene spiegato
che sua madre è depressa: Natascia pensa che sua madre è cattiva (come lei), mentre il padre è buono.
Quando l’esordio sintomatico?
Oggi Natascia non riesce più a stare nel polo della bontà come suo padre. Con l’arrivo a Milano iniziano i
suoi disagi: non va più bene a scuola e continua a lamentarsi. La madre non si è accorda di niente, il padre
ammette di essere stato poco attento perché cercava di ricostruire il rapporto con la moglie. La nuova
atmosfera familiare con l’arrivo a Milano ha cambiato il positioning di Natascia nella famiglia: la Natascia
buona che prepara il caffè al padre non c’è più perché non è più necessaria; il padre è aiutato dalla madre.
Negli ultimi mesi Natascia è ostile verso il padre: l’idillio è infranto. Qual è l’episodio critico che ha innescato
l’esordio sintomatico? Il padre per cercare di risolvere i problemi chiama la sorella chiedendo di tenere
Natascia a Salerno, visto che a Milano non si trovava bene. Ascoltando questa telefonata Natascia ne rimane
agghiacciata. È per lei una ripulsa immotivata e ingiusta. Già il padre ha ritrovato la madre, facendole
perdere la posizione elevata di cui godeva, ora si vede rifiutata e spedita dalla zia. La rabbia verso il padre
esplode, allontanandola dal polo della bontà.

LA BONTA’ ASTINENTE
Alla base delle organizzazioni ossessive vi è una premessa presente nella nostra cultura: l’idea che il bene sia
privazione di male. Per la psicoanalisi il bene è astinenza di male, Freud non segue Agostino e Tommaso
d’Aquino, per i quali il bene è assenza di male; la sua fonte di ispirazione è Schopenhauer, il quale esprime nel
modo più radicale l’idea di bontà “astinente”. Per lui il mondo è volontà insaziabile di vivere, è il crudele,
egoistico, irresistibile impeto che pervade e agita tutto l’universo. Il bisogno di dolore, e il suo appagamento
ci libera da una privazione per restituirci a una nuova sofferenza, o ci fa piombare nella sazietà e nella noia.
La vita, di conseguenza, oscilla tra il dolore e la noia. Proprio come nelle organizzazioni ossessive, l’istinto
sessuale e l’affermazione di sé sono considerati da Schopenhauer come intrinsecamente malvagi. La prima
manifestazione della volontà di vivere è l’istinto sessuale: i genitali costituiscono il fulcro della volontà di
vivere. Per lui la volontà di vivere, e quindi il male, possono essere superati attraverso l’arte e l’ascesi:
nell’esperienza estetica l’individuo si stacca dalle catene della volontà, si allontana dai suoi desideri; l’arte è
liberatrice perché porta fuori dal mondo delle pulsioni. Ma la liberazione offerta dall’arte è provvisoria, legata
ai momenti della contemplazione estetica. Al contrario, nell’ascesi, la volontà di vivere, radice del male, viene
fronteggiata direttamente; con questo termine intende l’annientamento intenzionale della volontà. La voluntas
diventa noluntas: castità, che libera l’uomo dalla più primitiva realizzazione della volontà di vivere. La rinuncia
all’impulso a generare, il sacrificio e tutte le forme di mortificazione del volere sono strumenti
che procurano la pace più profonda.

La via della bontà astinente è difficile, non attribuendo al bene una realtà positiva, Schopenhauer finire per
conferire alla volontà di vivere un ruolo prioritario: sia come impeto che muove l’universo, sia come nemico
da abbattere. Tra Agostino e Tommaso da un lato, e Schopenhauer dall’altro c’è di mezzo la filosofia dell’io
pensante. L’identificazione della vita con il male e l’idea di bontà astinente si fondano sulla stessa concezione
individualista dell’uomo che è alla base della libertà come indipendenza dalle relazioni.
LA SEMANTICA DEL POTERE
I DISTURBI ALIMENTARI

Il contesto familiare in cui si sviluppano anoressia e gli altri disturbi alimentari psicogeni introduce ad un
universo semantico completamente diverso da quello delle organizzazioni fobiche e ossessive. L’idea di libertà
dalla relazione è estranea in queste famiglie, così come è assente il conflitto tra bene e male. Quello che domina
la conversazione è la semantica del potere: dove c’è chi vince e chi perde, chi ha successo, chi sa imporsi in
famiglia e chi invece si arrende. Accanto a vincente/perdente,
un’altra polarità che caratterizza queste famiglie è quella di
volontà/arrendevolezza, la quale è subordinata gerarchicamente
alla prima secondo un rapporto mezzo-fine: si è vincenti perché si
è volitivi, determinanti, efficienti; mentre si è perdenti perché si è
passivi, arrendevoli. Vincente/perdente è una dimensione con una
peculiarità che la distingue dalle polarità delle altre organizzazioni:
il suo contenuto è puramente relazionale; è possibile considerarsi
vincenti o perdenti solo rispetto agli altri. Non è una polarità
percepibile come un tratto individuale, essa è l’esito di un
confronto.

Le famiglie entro le quali si sviluppano le psicopatologie alimentari sembrano confermate l’ipotesi di Festinger
che esiste nell’uomo un impulso a valutare le proprie opinioni e abilità in base a quelle degli altri; l’uomo
avrebbe una sorta di istinto al confronto sociale. In queste famiglie il confronto, con i criteri di riuscita e i
conflitti competitivi che ne conseguono, guida sia le relazioni interne al nucleo, sia quelle con la parentela. La
ragione dell’attenzione selettiva che queste famiglie attribuiscono alla semantica del potere va spesso ascritta
a una storia di caduta e di riscatto sociale o differenze di “rango” tra le famiglie di provenienza.
Esempio:
Viola, sedicenne anoressica. I suoi genitori sono entrambi laureati, eppure nella percezione della famiglia
appartenevano a due razze diverse: la madre era colta, raffinata come i suoi genitori con i quali condivideva
la passione per il cinema, la musica, il teatro. Il padre, invece, era l’unico laureato nella propria famiglia di
origine, era rozzo e campagnolo.

Poiché la polarità che è al centro della semantica di queste famiglie è puramente relazionale, la relazione con
l’altro è percepita, in ogni momento e in ogni circostanza, come centrale per la definizione del proprio sé. In
queste famiglie sono tutti attenti al giudizio degli altri, ai criteri di riuscita sociale, alle appartenenze sociali.
Questa attenzione all’alto e al suo giudizio rende i membri etero-attributori: essi tendono a considerare i propri
comportamenti come una risposta a quelli degli altri. Questa tendenza è massima nell’anoressia-bulimia. Le
anoressiche secondo la loro esperienza, agiscono solo in risposta a richieste provenienti dagli altri, non hanno
mai la sensazione di fare le cose perché le vogliono fare.
La polarità critica vincente/perdente rende la definizione della relazione tra i membri del nucleo e i conflitti
relativi assolutamente centrali. La lotta per la definizione della relazione è un argomento costante della
conversazione in queste famiglie: l’oggetto del contendere, i contenuti del conflitto sono di regola irrilevanti,
mentre chi ha la supremazia è ciò che conta. I processi schismogenetici, le competizioni non lasciano tregua
ai membri di queste famiglie, c’è chi riesce e chi soccombe, chi ha successo e chi è sconfitto: nessuno sfugge
al confronto e di conseguenza nessuno può adagiarsi nella propria posizione.
Proprio perché il confronto regola le relazioni, la definizione delle relazioni tra i membri della famiglia è
instabile e di conseguenza le identità dei membri sono insicure; un’identità sicura richiede una stabilità nelle
relazioni fra i vari membri della famiglia:

Nei contesti familiari in cui si sviluppano nevrosi Al contrario, nelle famiglie in cui si sviluppano i
ossessive-compulsive anche i membri che si disturbi alimentari chi è nella posizione perdente non
collocano nell’estremo della malvagità accettano la accetta la resa. Nessuno può accettare che lo scacco
definizione di sè conseguente: si considerano loro definisca la propria identità. Accettare la propria
stessi egoisti e arroganti e spesso esibiscono queste posizione, per chi si colloca nella polarità “perdente”
caratteristiche con piacere. Anche nelle famiglie con equivarrebbe ad ammettere “io sono la mia
organizzazioni fobiche chi si colloca nell’uno o sconfitta”. Per questo motivo coloro che si trovano
nell’altro estremo non rifiuta la definizione in questa posizione, se non hanno possibilità di
conseguente. È solo il soggetto fobico che fatica a scalzare i vincenti, ridefiniscono la propria sconfitta
trovare una collocazione in uno degli estremi come sacrificio, sviluppando con coloro che si
collocano nella stessa polarità e con gli stessi
vincenti, escalation sacrificali

Proprio perché i perdenti non possono accettare la propria sconfitta, i vincenti non possono mai cessare di
lavorare alla conservazione della propria superiorità. Tutte le loro energie saranno dedicate a mantenere e a
esibire i segni e i simboli che li rendono superiori. Soprattutto in famiglia, la via seguita dai vincenti consiste
nel presentare se stessi e i comportamenti che li rendono superiori in termini di oblatività: lavorano tutto il
giorno per il bene della famiglia, sono attivi nella comunità, mantengono contatti sociali. Nessuno in famiglia,
però, crede alle loro buone intenzioni, tanto che anche loro dubitano di loro stessi.
Le persone che appartengono a queste famiglie desiderano differenziarsi gli uni dagli altri. Il processo di
esteriorizzazione delle caratteristiche individuali risulta però ostacolato: dato che ogni definizione di sé è
connotata in termini di più o meno, le differenze con gli altri sono subito colte, ma temute, negate e osteggiate.
Le differenze non sono al servizio della cooperazione, al contrario, servono all’affermazione della propria
superiorità di contro gli altri membri del nucleo, alla prevaricazione o sono un indizio del proprio scatto, della
propria disfatta. Per questo motivo, in queste famiglia la differenziazione individuale è ostacolata.
Minuchin, Rosman e Baker hanno definito con il termine “invischiamento” questa dinamica famigliare, che
ostacola l’emergere del sentimento di essere separati, favorendo una scarsa demarcazione fra sé e gli altri.
Questa semantica familiare è la conseguenza della particolare organizzazione semantica di queste famiglie,
centrata sul confronto competitivo. quando la competizione raggiunge livelli estremi, le differenze individuali
scatenano escalation competitive e quindi devono essere ostacolate perché rappresentano una minaccia alla
coesione del gruppo. La rilevanza che assume in questa famiglia la semantica del potere spiega anche un
aspetto caratteristico della comunicazione di questi nuclei: l’elevatissima frequenza dei rifiuti

In queste famiglie raramente un membro conferma quanto l’altro sta


dicendo e come si definisce nella relazione, solitamente lo contraddice.
Tale rifiuto non riguarda l’invito gerarchico a comunicare, il quale è
ricambiato; esso colpisce il messaggio in sé, sia a livello di contenuto che
a livello di definizione della relazione. Eppure, tutte queste famiglie
temono il rifiuto come la peggiore invalidazione e ambiscono alla
conferma più che a ogni altro bene. Ma confermare la definizione che
l’altro propone significherebbe esporre se stessi al rischio di perdere la
propria posizione di vincente o equivarrebbe a confermare il proprio
scacco. La paralisi decisionale è totale: anche le scelte più banali risultano
impossibili.
Esempio:
Brunilde e Matteo, genitori di Alba, sedicenne anoressica. I due non erano d’accordo su niente e continuavano
a litigare, ciò che uno amava l’altro lo detestava a viceversa. Non erano nemmeno d’accordo sulla
collocazione dei quadri in casa. Alba con la sua anoressia, regolava la vita dei genitori: preparava il cibo,
decideva cosa guardare in tv e così via.

L’anoressia con la sua emaciazione consente alla famiglia di trovare una leadership: la malattia rappresenta un
potere più grande in grado di governare finalmente la famiglia.
Le escalation simmetriche tra i genitori sono presenti anche nelle famiglie con altri disturbi alimentari
psicogeni. A volte si tratta di schismogenesi simmetriche tra genitori vincenti, in altri casi i genitori sono
entrambi perdenti e alimentano le escalation sacrificali. Anche quando i genitori si collocano su due polarità
opposte, uno vincente e l’altro perdente, la schismogenesi non è mai complementare, ma simmetrica: la
superiorità del coniuge vincente non è di regola riconosciuta dal coniuge perdente, per il quale si tratta di
superiorità illegittima. I successi del partner non sono negati, ma destituiti di valore: chi è vincente ha una
posizione importante al lavoro, in politica perché ha trascurato completamente la famiglia, perché è furbo. Il
partner perdente fa spesso appello a un ordine morale.

IL DILEMMA E LE TRAME PERMESSE


La posizione delle persone con un’organizzazione tipica dei disturbi alimentari assume, rispetto alla semantica
critica, le caratteristiche di un dilemma o di un circuito riflessivo bizzarro, che coinvolge i livelli del sé e della
relazione. Il dilemma non prefigura, come accade nelle organizzazioni fobiche, l’eventualità di
un’indipendenza dalla relazione; né la possibilità, come avviene nelle organizzazioni ossessive, di investimenti
sostitutivi su dimensioni svincolate dalla relazione come l’arte, la letteratura. Per quanto determinate e
intelligenti, le persone con organizzazione tipica dei disturbi alimentari raramente figurano tra coloro che
forniscono contribuiti allo sviluppo delle scienze e delle arti, perché un impiego in questo campo richiede la
capacità di staccarsi dal qui ed ora della relazione. Non è così per la danza, la recitazione, in cui l’artista è
sempre accompagnato dallo sguardo del pubblico→ è qui che eccellono i soggetti con questa organizzazione,
in quanto per loro, per esistere bisogna essere in relazione.
Di regola in occidente il sé funge da contesto per la formazione e la regolazione dei legami con le persone
significative; ma la tendenza del sé a contestualizzare la relazione non sempre è ubiquitaria: fra le donne le
relazioni interpersonali fungono spesso da contesto per il sé, così come nei bambini e nei ragazzi la relazione
tende a contestualizzare il sé.
La maggior parte delle patologie alimentari, infatti, riguardano il sesso femminile e
insorgono nell’adolescenza. L’anoressica e la bulimica sono di regola giovani e nel
90% dei casi sono donne.
Ugazio sostiene che la relazione contestualizza il sé in tutti i membri di questi nuclei, non solo in chi soffre di
disturbi alimentari. L’organizzazione semantica in queste famiglie, dipendente da una polarità puramente
relazionale come vincente/perdente, i conflitti laceranti e la conseguente cronica instabilità nelle relazioni
rendono le identità di tutti insicuri e bisognose di continue conferme da parte degli altri. Per questo motivo
l’esordio sintomatico del paziente con disturbi alimentari è preceduto da un disagio generalizzato e da una
sofferenza diffusa in tutto il nucleo.
Il dilemma mette in gioco la modalità privilegiata di porsi in relazione di questi soggetti: adeguarsi/opporsi.
La semantica critica induce i membri di queste famiglie a costruire le relazioni come forme di adeguamento
all’alto e alle sue richieste, oppure come forme di opposizione.

Adeguarsi/opporsi risulta cruciale soprattutto per coloro il cui positioning dipende


maggiormente dai membri adulti del gruppo, come le adolescenti. Chi desidera mantenere la
propria superiorità, o migliorare il proprio positioning, sente di doversi adeguare a coloro che
detengono una posizione vincente nel gruppo familiare. Chi invece è perdente si oppone ai
vincenti cercando di delegittimarne la superiorità.

Il dilemma, che assume le caratteristiche del circuito riflessivo bizzarro, si verifica quando sia adeguarsi sia
opporsi diventano inconciliabili con il mantenimento di una percezione definita di sé. Uniformarsi alle
aspettative degli altri, significa per la persona che sperimenta il dilemma, essere passivo, perdente. Opporsi
comporta recuperare un senso di efficacia personale, ma equivarrebbe ad essere rifiutati, e quindi implica
perdere la conferma dell’altro e con essa il sentimento della propria individualità. Più la riflessività del circuito
aumenta, più l’uniformarsi alle aspettative delle figure significative è sentito come un cedimento, una sconfitta.
Ma anche opporsi, entrare in escalation simmetrica, comporta la perdita della percezione definita di sé che
soltanto la conferma è in grado di assicurare. Quando la riflessività del circuito è massima l’individuo oscilla
tra “adeguarsi” e “opporsi senza trovare una validazione del proprio sé: adeguarsi equivarrebbe ad essere
sopraffatti, umiliati, ma opporsi equivarrebbe a privarsi della conferma della figure di riferimento
Questo momento di enorme disagio coincide con l’esordio sintomatico. La riflessività del circuito viene, grazie
ai sintomi, contenuta: attraverso il vomito e il digiuno, le anoressiche e le bulimiche, si oppongono alle figure
principali di attaccamento intensificandone contemporaneamente il rapporto. Il cibo
diventa un’area di scontro e di combattimento dove la paziente non si adegua alle
richieste. Vomito e digiuno rappresentano una sfida ai genitori perché questo è il
significato attribuito loro dalle famiglie in cui si manifestano i disturbi alimentari. I
genitori si sentono messi in discussioni, colpevolizzati, umiliati da anoressia e obesità.
In virtù della semantica del potere, il disturbo del figlio è vissuto dai genitore come una
sconfitta personale. La condizione del figlio riporta l’anoressica nel ruolo di figlia e la
coppia in quello di genitori anche se la ragazza è in una fase del ciclo di vita nella quale
la relazione con i genitori dovrebbe ridefinirsi in modo più paritario e allentarsi per
lasciare spazio alla costruzione di nuovi legami.

Il dilemma può essere elaborato in modo adattivo; è quanto accade nel periodo pre-morboso. L’assetto di vita
attuale di queste persone rivela la presenza di modelli di funzionamento svariati con stili di adattamento
riassumibili in due tipi, sono stili che consentono ai soggetti un adattamento del tutto normale, spesso
soddisfacente, a volte limitante:

lo stile, definito stile conformista, riscontrato nelle L’anticonformismo caratterizza lo stile di


donne divenute anoressiche o anoressico- adattamento opposto, che è riscontrato
bulimiche in età adulta si caratterizza per frequentemente negli obesi. Queste persone
un’adesione totale ai valori del proprio gruppo tendono a smascherare coloro che si trovano in una
familiare. Volitive, determinate, queste donne posizione superiore; nei confronti di chi ha uno
assumono, sia in famiglia che al lavoro, i status gerarchico superiore ambiscono a porsi
comportamenti attesi e premiati dai membri come antagonisti e a sviluppare quella specie di
autorevoli del gruppo e perseguono mete condivise parità di cui gode l’oppositore. Con un autostima
con le figure di riferimento. La tendenza a bassa mantengono i residui di un’identità positiva
dipendere dalla conferma dell’altro fa si che si abbassando gli altri. Non hanno difficoltà a
impegnino in progetti a lunga scadenza, in cui il raggiungere l’orgasmo, tuttavia la paura di
risultato è incerto. La conferma è attesa soprattutto confrontarsi con l’altro entro una relazione
dalle persone in posizione gerarchica superiore. Il sessuale è a volte maggiore di quella delle persone
coinvolgimento emotivo e sessuale è in genere con uno stili di adattamento opposto. Una
temuto: accettarlo significherebbe essere in balia relazione sessuale intima rischia di far emergere
dell’altro, lasciarsi andare e perdere il controllo; quella negatività che il loro con-porsi entro gli
per questo motivo queste donne difficilmente estremi negativi della semantica critica alimenta.
raggiungono l’orgasmo. Sentono l’esigenza di un Per questo scelgono più che partner veri e propri,
partner stabile e il compagno diventa il centro delle persone che hanno bisogno di loro e del loro aiuto
loro attenzioni.

L’ADOLESCENZA: UN PERIODO CRITICO


L’infanzia nella maggioranza delle anoressiche e delle bulimiche, ma anche degli obesi, non sembra essere
teatro di tensioni e conflitti che possano essere letti come precursori della psicopatologia, come invece accade
per gli ossessivi e per i fobici. Il loro dilemma emerge nell’adolescenza o nella pre-adolescenza.
I conflitti per la definizione della relazione, se laceranti anche prima dell’esordio sintomatico, rendono insicure
le identità; tutte le posizione relazionali diventano precarie e instabili: i vincenti si sentono minacciati, i
perdenti, ritenendo illegittima la loro inferiorità, si adoperano per ridefinire la polo posizione → un bambino
che partecipa a questa conversazione sarà più vulnerabile, il suo sé risulterà insicuro e bisognoso di conferme;
sarà indotto a restringere la gamma dei possibili modi di con-porsi con gli altri, tuttavia il bambino finché
rimane tale non sperimenta il dilemma ipotizzato dalla Ugazio. Prenderà posizione collocandosi tra i vincenti
o tra i perdenti, nonché in posizione mediana rispetto alle polarità critiche, ma il suo positioning non appare
problematico nell’infanzia:
- Se attivo, determinato e si identifica con i valori di successo del gruppo (come accade per le anoressiche e
bulimiche) cercherà di eccellere nelle prestazioni scolastiche, sarà disciplinato e cercherà di non deludere
le aspettative dei genitori. La tendenza a competere sarà circoscritta ai fratelli e ai coetanei.
- Se è più vicino ai perdenti (come accade per gli obesi) sarà un bambino incostante nel rendimento
scolastico, indisciplinato, poco incline ad ubbidire. Potrà essere esuberante e ribelle, oppure assente e
passivo. Sarà un bambino che ama il gioco e stare con i coetanei. Non essendo competitivo con i compagni,
difficilmente sarà isolato, come invece accade per le future anoressiche.

Con la preadolescenza e con l’adolescenza un equilibrio si rompe:

Coloro che si collocano nel polo vincente, come le L’adolescenza è difficile anche per chi si colloca nel
anoressiche e bulimiche, per mantenere la loro polo dei perdenti, come accade ai futuri obesi. questa
posizione si trovano ora a competere con le stesse fase non è però così critica come per chi si colloca
figure della cui conferma hanno bisogno. Inizia nel polo valorizzato della famiglia. Anche per questi
una rivalità con i genitori: il terreno del contendere ragazzi i controlli posti dagli adulti sono
può essere la bellezza, le capacità sportive, comportamenti prevaricatori. Tuttavia, il conflitto
l’intelligenza, l’eleganza. I contenuti sono con gli adulti, soprattutto quelli in posizione
irrilevanti quando prevale la semantica del potere, autorevole, non è per loro così destabilizzante,
quello che conta è chi vince. Non sono solo i figli perché opponendosi a queste figure definiscono la
a competere con i genitori, anche questi ultimi propria individualità. Con l’adolescenza il dissenso
vivono i figli come minaccianti: abituati a proporsi verso gli adulti attivi, vincenti, da indiretto diventa
come modelli, si sentono detronizzati della loro palese, trasformandosi in ribellione. Spesso questi
importanza. Inoltre, i genitori, come di norma, adolescenti esibiscono in famiglia comportamenti
controllano le frequentazioni dei figli per tutelarli, provocatori e a volte assumono con i coetanei il ruolo
così come impongono limiti di libertà. Controlli e di leader negativi. In questo contesto, dove i rifiuti
limiti sono fastidiosi per gli adolescenti, in quanto sono frequenti, i ragazzi sono di fronte al pericolo di
sono interpretati come sopraffazioni. Il controllo è ritrovarsi con una percezione di sé così negativa da
visto come un tentativo di dominio. La relazione risultare inaccettabile. Questo rischio è mitigato da
viene quindi letta in termini di inferiorità e due aspetti del loro positioning: non sono
superiorità. Accettare una relazione minaccianti non ambiscono a ottenere un ruolo tra i
complementare è sentito come passività e vincenti; intensificano il conflitto con gli adulti
comporta intransitività con l’immagine positiva di vincenti ma non perdono il legame con la figura di
sé, ma opporsi significa perdere le conferme. attaccamento collocata nel polo perdente.

Il dilemma ipotizzato da Ugazio, come caratteristico dei disturbi alimentari, quindi, non sembra emergere
nell’infanzia. Esso si delinea nell’adolescenza o nella preadolescenza. L’adolescenza, con i normali compiti
evolutivi che la caratterizzano e gli inevitabili cambiamenti nella relazione genitori-figli, è tale da alimentare
i conflitti fra sé e relazione tipici del circuito bizzarro. Questi conflitti diventano dirompenti per chi si colloca
nel polo valorizzato della semantica del potere. La lotta per la definizione della relazione con i vincenti
minaccia di privarsi delle loro identità, li induce ad adottare comportamenti oppositivi che mettono in pericolo
la loro collocazione nella famiglia. Queste ragioni contribuiscono a spiegare come mia anoressia e bulimia
insorgano più frequentemente nell’adolescenza di quanto accade per l’obesità.

CONTESTO INTERSOGGETTIVO NEL MOMENTO PRESENTE


Le persone con organizzazione tipica dei disturbi alimentari sono in grado di elaborare in modo adattivo il
dilemma, se possono fare affidamento su una figura di attaccamento che funge da contesto per la definizione
dei confini del loro sé. Ugazio chiama questo attaccamento preferenziale “legame confermante”.

I casi con uno sviluppo della sintomatologia relativamente tardivo indicano che il mantenimento
anche di un solo legame confermante fornisce a queste persone la sicurezza necessaria per
fronteggiare adattivamente il dilemma tra sé e relazione. Finché la configurazione relazionale
consente il mantenimento di ameno un legame confermante, la riflessività del circuito bizzarro si
mantiene entro limiti tali da evitare slittamenti psicopatologici. È solo a un certo punto della storia
familiare che la riflessività del circuito assume proporzioni tali da generare nel soggetto una vera
e propria psicopatologia.
- La figura confermante delle anoressiche e delle bulimiche a peso ideale si colloca di regola
nella polarità vincente: come loro è attiva e volitiva. Essa coincide per le anoressiche con la
madre o con un altro membro della famiglia con funzioni accudenti
- per le bulimiche questa funzione confermante è assunta dal padre, o da un altro familiare che
non svolge funzioni accudenti.
- L’adulto che garantisce ai futuri obesi il legame confermante è invece in posizione perdente.
Non ha un ruolo di accudimento, tuttavia fornisce al soggetto supporto emotivo

Gli eventi che accompagnano l’esordio vedono il paziente al centro di un processo istigatorio il cui esito è una
doppia delusione: sia la figura bersaglio dell’istigazione, sia chi con le sue critiche ha indotto il paziente ad
allontanarsi da questa figura lo deludono. Il paziente si trova solo, senza legami in grado di fornire conferme
per la validazione del proprio sé.
Il processo che conduce le persone alla psicopatologia conclamata può essere segmentato in 5 fasi:

1) Il bersaglio dell’istigazione è un genitore collocato in posizione vincente, quindi attivo e determinato. Per
le anoressiche e per le bulimiche coincide con il legame confermante. Il futuro paziente viene istigato
contro questo genitore da familiari in posizione perdente (nonni, zii, fratelli); può accadere che questo
ruolo sia svolto anche da persone esterne alla famiglia, accreditate dal genitore confermante

2) Nel corso dell’istigazione, il futuro paziente diventa un interlocutore privilegiato per l’istigatore e per lo
schieramento dei perdenti. Inizialmente questa posizione ha un valore confermante non solo per i soggetti
collocati nella polarità negativa, ma anche per quelli posti tra i vincenti. I primi si trovano al centro di
attenzioni di cui non erano avvezzi, i secondi sono lusingati dalla nuova posizione di interlocutore
privilegiato (l’istigatore anche se perdente è pur sempre un adulto). In questa fase il soggetto riceve
conferme da entrambi gli schieramenti
3) L’istigatore non coincide, di regola, con uno dei genitori. Le sue critiche sono però sostenute,
indirettamente o direttamente dall’altro genitore. Quest’ultimo svolge nel processo una funzione di
appoggio all’istigazione

4) L’istigazione trova terreno perché il genitore che ne è il bersaglio conferma le critiche che gli vengono
rivolte con la sua intolleranza verso gli attacchi del figlio. I comportamenti emotivi che avvalorano agli
occhi del futuro paziente la visione negativa che sta acquisendo del genitore oggetto di critica possono
essere diversi. L’esito è invece comune: il soggetto deluso prende le distanze dal genitore vincente e si
oppone attivamente a lui.

5) Il soggetto, che è ormai diventato paziente, viene deluso dal nuovo alleato e da tutto lo schieramento dei
perdenti. Le ragioni possono essere diverse: il paziente si accorge del malanimo dell’istigatore, scopre di
essere usato contro il genitore. L’esito è univoco: il paziente si allontana dai nuovi alleati ed è solo, avendo
subito una delusione da entrambi gli schieramenti. A questo punto la riflessività del circuito bizzarro
diventa massima. Il paziente, dalla condizione iniziale in cui riceveva conferma da entrambi gli
schieramenti, è precipitato in una situazione in cui la sua esperienza non può più essere validata da alcuna
relazione.

Gli attori coinvolti e l’importanza di ciascuna fase varia in rapporto al tipo di disturbo:
a) Nel caso dell’anoressia è centrale la fase 4, in cui la paziente è delusa dal genitore vincente. Il fatto che
l’istigatore e l’opposto schieramento deludano a loro volta (fase cinque) è emotivamente meno devastante.
La delusione del genitore vincente è invece atroce: quel genitore, di solito la madre, è stato un esempio su
cui la ragazza ha modellato la propria personalità e organizzato il suo universo morale. L’emaciazione
allude a quanto sia centrale per l’anoressica la relazione con la madre: a lei si oppone, ne rifiuta il cibo,
ma nello stesso tempo, attraverso la sua incapacità di alimentarsi, la invita ad assumere verso di lei un
ruolo accudente. Nonostante sia stata disillusa, continua a rimanere ancorata ai comportamenti e ai valori
vincenti.

b) Per le bulimiche sia la disillusione confermante che è di solito il padre (fase 4), sia quella successiva degli
istigatori (fase 5), hanno una risonanza emotiva ugualmente forte. L’allontanamento del padre la porta a
riavvicinarsi alla madre o alle figure accudenti che si collocano in una posizione perdente (come accade
nelle anoressiche l’esordio sintomatico le riporta nel positioning originario). Il sintomo esprime un disagio
più contenuto: rifiutano il cibo, ma di regola non mettono a repentaglio la loro vita. tentando di mantenere
il loro corpo in un’eterna adolescenza, le bulimiche a peso ideale respingono l’identificazione con la
madre: non si lasciano andare come la loro madre, non si rassegnano di fronte alle prevaricazioni, ma lotta
contro la propria debolezza e arrendevolezza

c) Per gli obesi la fase emotivamente più destabilizzante è la fase 5, perché li priva del legame confermante.
Il paziente non aveva mai fatto veramente affidamento sul genitore vincente. Anche l’obeso non si stacca
dei valori della figura di attaccamento: continua a essere anticonformista e ribelle. Tuttavia, il sintomo
allude alla disillusione. L’obesità è una resa ai vincenti. Con il suo grasso l’obeso riconosce di essere dalla
parte sbagliata: passivo, si lascia andare agli impulsi. L’obesità è anche una difesa: mettendo tra sé e gli
altri un muro di grasso l’obeso si preclude una normale vita sentimentale, proteggendosi da coinvolgimenti
emotivi intensi che potrebbero deluderlo.

Le modalità attraverso le quali, nel corso del processo istigatori, si consuma la delusione verso l’adulto
confermante sono diverse nell’anoressia e nella bulimia, rispetto all’obesità.

Mettono alla prova il genitore preferito, verificano Non provocano la delusione dei nuovi alleati né
le critiche che gli istigatori suggeriscono loro. dell’adulto confermante preferito. L’inaffidabilità
Entrambe provocano attivamente la delusione di questa figura e la conseguente delusione sono
mettendo in atto comportamenti che inducono il costruite come eventi esterni annientanti. L’obeso
genitore oggetto di critiche a uscire allo scoperto o non ha avuto alcun controllo su tali eventi.
andando alla ricerca di prove

Le famiglie in cui si originano le organizzazioni del significato tipiche dei disturbi alimentari sono un vivaio
fertile per lo sviluppo delle dinamiche istigatorie, e nello stesso tempo sono vulnerabili a tali dinamiche. In un
universo semantico scandito dalla polarità vincente/perdente l’istigazione appare una mossa inevitabile, ma
anche funesta. Queste famiglie non attrezzano i propri componenti a far fronte a uno degli esiti della dinamica
istigatoria: la perdita dei legami confermanti. In un contesto in cui la dimensione semantica critica è
relazionale, la scoperta dell’inaffidabilità e inattendibilità delle persone in cui il soggetto provava fiducia è
particolarmente destabilizzante.

STORIA FAMILIARE TRIGENERAZIONALE


Esempio: famiglia in cui due figlie presentano psicopatologie alimentari diverse: una è obesa, l’altra è
Anoressica. Esempio di come all’interno della stessa famiglia ed entro la stessa semantica, si possono
costruire positioning diversi connessi a psicopatologie alimentari differenti.

Famiglia composta da 4 figlie: la primogenita, non ha alcuna patologia, anche se mortifica il suo fisico con
l’abbigliamento, Mara è obesa da tre anni, Sabina è anoressica, mentre l’ultima non ha alcuna patologia ed
è l’unica a mostrare interessi sociali e per i ragazzi. Il disinteresse per l’altro sesse delle prime tre figlie è
importante per la ricostruzione del contesto intersoggettivo che accompagna all’esordio.
- La famiglia sta vivendo una transizione difficile, si sta trasferendo in Italia dopo una permanenza nel terzo
mondo. La madre vive a Milano con le tre sorelle grandi, mentre il padre in Arabia Saudita per lavoro
con la più piccola. Questa è la trama narrativa entro la quale si verificano gli esordi sintomatici di Mara
e Sabina.
- Dinamica di coppia: i genitori provengono da famiglie molto diverse, nelle quali domina la semantica del
potere.
- Permanenza all’estero: vi erano continui conflitti tra i genitori, la madre voleva che il marito lottasse per
la carriera e lui di contro di irritava e rispondeva attraverso il tradimento. Il contesto entro il quale
ciascuna figlia costruisce il proprio positioning era rappresentato, oltre che dal conflitto di coppia, dalle
escalation simmetriche delle famiglie di origine. La prima era come la madre, schietta e diretta
nell’esprimere aggressività; Mara era legata al padre ed era l’avvocato difensore di tutti i perdenti;
Sabina era più sicura della madre, era autoritaria e schietta; la più piccola come il padre detestava gli
scontri.
- Esordio sintomatico di Mara: le figlie non erano a conoscenza dei tradimenti del padre. I genitori strinsero
amicizia con una coppia, Monica e Franco. Monica diventò soprattutto per Mara una sorella maggiore,
una anti-mamma in quanto criticava la madre e si confidava con le ragazze. Le ragazzi si allontanarono
dalla madre, la quale invece si legò sempre di più a Sabina. Monica rivelò a Lucia e a Mara di avere
avuto una storia con il loro padre. Fu un colpo duro per Mara che ingrasso di 20 chili e si sentì delusa
dal padre, con il quale era particolarmente legata.
- Istigazione delle sorelle: le due sorelle si allontanarono dal padre. Quando la madre si accorge del
tradimento alla fine perdona il marito. Il padre, per porre fine ai litigi, accettò il lavoro in Medio Oriente
e la moglie decise di seguirlo, nonostante le figlie erano decise a rimanere a Milano. Lucia e Mara, visto
la scelta della madre, cominciarono ad istigare Sabina, dicendo che la madre era inaffidabile e che per
lei esisteva solo il marito. Sabina decise quindi di mettere alla prova la madre: non sarebbe partita ma
sarebbe rimasta con le sorelle e vinse la battaglia, in quanto la madre decise di rimanere a Milano.
Nonostante questo, la madre era devastata dall’assenza del marito e diventò ostile verso le figlie. Questo
comportamento fu per Sabina una conferma di quanto avevano insinuato le sorelle: per la madre solo il
marito era importante. A questo punto sabina si sentì sola: la madre l’aveva delusa e le sorelle anche per
la loro gelosia: precipitò nell’anoressia.
IDEA DI UGUAGLIANZA COME ABBATTIMENTO DELLE DIFFERENZE
Un grande numero di ricerche epidemiologiche ha documentato che il 10% delle donne soffrirebbe nel corso
della vita di anoressia, bulimia o Bed, mentre per quanto riguarda l’obesità vi è il 33% negli Usa e l’8% in
Europa. In Europa, quindi, soffrirebbero di disturbi alimentari, nell’arco della vita, circa il 25% della
popolazione, mentre in America il 43%. La tendenza temporale delinea che l’obesità continua a crescere,
anoressia e bulimia invece si sono stabilizzate dopo aver raggiunto il picco negli anni ’70,’80,’90.
Sia anoressia e bulimia continua a caratterizzarsi come patologie femminili dell’età giovanile, con una
proporzione fra i due sessi minore di 1 a 9. L’incidenza maggiore per anoressia e bulimia è fra i 12 e i 25 anni.
Si tratta, inoltre, di patologie prevalentemente urbane, più diffuse nelle grandi città e la loro diffusione sembra
riguardare tutti gli strati sociali. Qual è il conflitto che la diffusione dei disturbi alimentari esprime?
- Palazzoli sosteneva l’ipotesi che l’anoressica esprime uno degli errori epistemologici caratteristici delle
società occidentali, la convinzione che esiste un Sé capace di trascendere il sistema dei rapporti sociali di
cui fa parte; si tratta dell’idea di potere e controllo “se la morte è il prezzo da pagare in cambio del potere,
lo pagherò”
- Secondo Gordon attraverso il loro aspetto fisico le anoressiche esprimono un messaggio di rifiuto delle
aspettative sessuali “le mie linee sono dure, non sono morbida, non ho nulla da darti”. I disturbi alimentari
si sviluppano in contesti dove la gerarchia e le differenze sono vissute come illegittime.

I disturbi alimentari portano alle estreme conseguenze conflitti connessi al radicarsi dell’idea di uguaglianza
come abbattimento delle differenze. La diffusione delle patologie alimentari è concomitante con il radicarsi
nella vita dell’ideologia egualitaria. Alcuni studiosi hanno messo in discussione il concetto di uguaglianza:
Dumont e Biral. Per entrambi l’idea di uguaglianza rappresenta una sfida alla comunanza tra gli uomini, perché
spacca le configurazioni d’insieme all’interno delle quali l’uomo per secoli si è pensato. L’uguaglianza da
attributo dell’uomo in quanto figlio di dio e destinato alla comunione con lui, diventa progressivamente un
tratto dell’uomo nel mondo. Ma fu la Rivoluzione francese a segnare lo spartiacque: l’uguaglianza diventò
politica. Si trasforma da contributo dell’uomo in quanto figlio di dio, a dato di fatto.

La polarità semantica vincente/perdente appartiene a un livello diverso dalle altre polarità semantiche. Rispetto
a queste, polarità vincente/perdente è semanticamente povera, il suo contenuto è puramente relazionale, essa
è l’esito di un confronto ed esiste solo nel confronto. La semantica della libertà (organizzazioni fobiche) e la
semantica della bontà (organizzazioni ossessivo-compulsive) rimandano rispettivamente all’idea di libertà e
di bontà astinente. Queste idee, proprio perché guidano le azioni, sono anche valori; essi organizzano i
comportamenti in un universo morale. La semantica del potere, invece, prescinde dai valori: il bene si identifica
con la superiorità in quanto tale e con la volitività che coincide con la determinazione nel raggiungere una
preminenza disancorata dai contenuti. Non stupisce che i disturbi alimentari si siano diffusi via via che i valori
venivano relegati a una dimensione accessoria: ciò che conta è cercare di non essere vinti.
SEMANTICA DELL’APPARTENENZA
LA DEPRESSIONE

QUELLO CHE LA SERATONINA NON SPIEGA


La depressione solleva molti interrogativi.
- Questa psicopatologia tende a risolversi autonomamente e a ripresentarsi, quando diventa cronica, dopo
un periodo di totale o parziale remissione. I farmaci, nella migliore delle ipotesi, accelerano una remissione
che il naturale decorso della malattia prevede. Se si esclude la distimia (depressione cronica per almeno
due anni) le altre forme sono caratterizzate da un pattern on-off. La depressione c’è o non c’è. I pazienti
descrivono sia l’uscita che l’ingresso nella malattia come evento improvviso, a volte inaspettato. Le altre
psicopatologie, invece, quando si cronicizzano tendono a perdurare nel tempo
- Il nesso tra depressione e arte solleva un altro interrogativo. Come mai persone inclini alla depressione,
caratterizzate da un autostima bassa, sono in grado di creare opere importanti? I più grandi artisti infatti,
hanno sono stati nel corso della loro vita depressi. Per Beck e altri cognitivisti, ciò che contraddistingue le
persone vulnerabili alla depressione è una triplice visione negativa: di se stessi, del mondo e del futuro.
Bowlby a altri psicoanalisti, non attribuiscono così tanta importanza agli schemi cognitivi negativi, ma
concordano che l’autosvalutazione sia un aspetto caratteristico delle persone depresse.

Se la carenza di serotonina fosse davvero la causa della depressione, come sostenuto dalla psichiatrica
biologica, questi interrogativi non riceverebbero risposta. Infatti, le ricerche di cui disponiamo, non dimostrano
che la carenza di serotonina eserciti un effetto causale sulla depressione.
L’idea che la causa della depressione risiede in uno squilibrio biochimico endogeno, derivante da carenze di
serotonina, ha dominato la psichiatria negli corso degli anni ’90. Un altro aspetto indiscusso è stato il corollario
secondo cui i trattamenti farmacologici rivolti alla serotonina, gli inibitori selettivi della ricaptazione della
serotonina (SSRI), finalizzati a correggere questo squilibrio chimico, sarebbero stati la risposta appropriata ai
disturbi depressivi. I dati di cui disponiamo dimostrano che circa il 25% dei pazienti depressi presenta balli
livelli di serotonina → se l’ipotesi delle deficienza di serotonina fosse corretta, spiegherebbe solo una parte
dei casi. Ma non è corretta. I balli livelli di serotonina riscontrati in questi pazienti possono essere la
conseguenza, anziché la causa della depressione. Nessuna evidenza empirica ha dimostrato che lo squilibrio
chimico sia la causa della depressione.
I risultati di diverse ricerche hanno dimostrato che i farmaci antidepressivi (Prozac e SSRI) hanno effetti
identici o di poco superiori al placebo. Il dato più preoccupante riguarda gli effetti collaterali dei SSRI: questi
antidepressivi aumentano il rischio di suicidio già elevato nei disturbi depressivi. Questo risultato è stato
dimostrato maggiormente per bambini, adolescenti e giovani adulti. Inoltre, è emerso che questi farmaci
provocano impotenze e altri disturbi sessuali.

Un altro interrogativo riguarda l’inquietante incremento della depressione. Non sono aumentate le persone
depresse, ma le diagnosi e i trattamenti farmacologici per questa psicopatologia perché sono cambiati i criteri
diagnostici. Il DSM-II ha introdotto criteri poco discriminativi e decontestualizzati per la diagnosi di
depressione maggiore che confluiscono in questa categoria diagnostica tanto persone normalmente tristi a
causa di eventi negativi, quanto pazienti affetti da depressione clinica.
- La distinzione psichiatrica fra depressione endogena, causata da processi interni, in assenza di eventi
esterni negativi e la depressione reattiva, scatenata da perdita e altri eventi sociali negativi è ignorata. →
tentando di definire il tipo di sintomi caratteristici, senza far riferimento al contesto entro il quale si
verificano, la psichiatria contemporanea ha caratterizzato la normale sofferenza intensa come un disturbo
psichico. Umore depresso, perdita di interesse, insonni, difficoltà concentrazione possono verificarsi per
un periodo di 2 settimane, a seguito della scoperta di un tradimento, della perdita di una persona cara. In
quanto adeguati al contesto, questi comportamenti non sono sintomi ma reazioni normali
- Anche la differenza tra depressione grave unipolare e quella che si chiamava psicosi maniaco-depressiva
è stata infranta attraverso la creazione di due sottotipi di disturbi bipolari, nel secondo del quale (disturbo
bipolare II) finiscono per rientrare le depressioni unipolari. Non è necessario che il paziente metta in atto
comportamenti maniacali per ricevere diagnosi di disturbo bipolare II, sono sufficienti quattro giorni di
umore irritabile, diminuito bisogno di sonno e aumento di loquacità per soddisfare i criteri di un episodio
ipomaniacale e avere quindi diagnosi di disturbo bipolare.
Non siamo quindi di fronte a un implosione dell’Occidente nella depressione. Le depressioni gravi, unipolari
o bipolari, continuano ad essere infrequenti. Sono cambiati i criteri diagnostici: la tristezza si è trasformata in
un disturbo mentale e la depressione clinica è confluita nell’erede della psicosi maniaco-depressiva.

Le depressioni prese in considerazione da Ugazio sono depressioni gravi che presentano oltre ad umore
depresso, anedonia, ideazioni suicidarie e insonnia persistente (sintomi che distinguono depressione da
tristezza). Tutti i casi presi in considerazione non presentano comorbilità con altra psicopatologia e non sono
inquadrabili in altre organizzazioni psicopatologiche.
La depressione, intesa come sintomo, passa trasversalmente fra le organizzazioni del significato. Difficilmente
ne soffrono le anoressiche, ma molto spesso le persone obese; I fobici possono manifestare disturbi depressivi,
specialmente gli agorafobici, la cui autostima è bassa perché soffrono per la loro dipendenza; fra gli ossessivi
la depressione è molto frequente, spesso chiedono la terapia per la depressione e non per le ossessioni o le
compulsioni; la principale ragione che porta persone con disturbo narcisistico in terapia è la depressione.
Ugazio non si occupa di queste forme di depressione. La semantica e i positioning che il paziente e le persone
per lui importanti assumono dentro la semantica riguardano solo un tipo di depressione, quello delle
organizzazioni depressive unipolari.

CONVERSAZIONE DOVE C’E’ CHI APPARTIENE E CHI E’ ESCLUSO


Nelle famiglie da cui provengono le persone con organizzazione depressiva la conversazione rende saliente la
“semantica dell’appartenenza → i significati centrali fanno capo a due polarità: inclusione/esclusione, onore/
onta e sono alimentate da gioia/allegria – rabbia/disperazione, emozioni che
caratterizzano questa semantica. L’essere incluso nella famiglia, nella
comunità è per i membri di queste famiglie la cosa più importante proprio
perché nello stesso nucleo c’è chi è escluso, emarginato. L’espulsione dal
gruppo, la mancanza di un’appartenenza sono vissute come un’onta
irreparabile, mentre il bene più grande è quello di essere onorati dentro i propri
gruppi di appartenenza. L’onore è quindi in queste famiglie un valore
fondamentale quanto l’appartenenza. Le rotture con i propri genitori, con la
comunità sono frequenti in questi nuclei: a volte sono definitive, altre volte
vengono ricomposte. Non mancano membri della famiglia segregati in
manicomi, in prigione o in situazione in cui viene rinchiuso chi è ritenuto
indegno di far parte della comunità a cui dovrebbe appartenere. Le tragedie
non sono necessariamente presenti, non manca invece mai la contrapposizione
tra chi è al centro del mondo e chi invece è solo e isolato.
Esempio:
Rodolfo, paziente gravemente depresso. Viveva mentalmente nel mondo di suo padre, un uomo che l’aveva
sempre respinto. Il padre di Rodolfo era una persona attraente e magnetica, che aveva ricoperto incarichi
politici, era presente a tutte le manifestazioni e tutti in città lo conoscevano. Moglie e figlio erano esclusi dal
suo mondo. La centralità di cui il padre di Rodolfo godeva non è frutto, agli occhi del paziente con
organizzazione depressiva, di impegno e fatica, ma di grazia divina.

IL DILEMMA E LA FUNZIONE ADATTIVA DELLA DEPRESSIONE


In analogia con le altre organizzazioni è il positioning assunto dal paziente nella semantica dominante a
contribuire allo sviluppo di un’organizzazione depressiva. Si tratta di un positioning che fa sperimentare al
paziente questo dilemma: appartenere equivale a essere indegni di rispetto e stima, ma essere esclusi, soli
significa rinunciare allo statuto di esseri umani. Due dimensioni irrinunciabili dell’esistenza, l’appartenenza e
la propria dignità, rischiano di escludersi reciprocamente. Sono gioia/gratitudine e rabbia/disperazione a
scandire il dilemma: l’appartenenza genera inizialmente gioia e gratitudine. Le persone con organizzazione
depressiva conoscono queste emozioni positive anche se le sperimentano per periodi brevi. Capaci di
coinvolgimenti emotivi intesi, sanno gioire per l’appagamento di un amore o amicizia profonda. L’aprirsi di
una storia sentimentale chiude, di regola, una depressione clinica.
Appartenendo, questo persone, si trovano finalmente nella posizione bramata, di chi è incluso, riconosciuto
come membro di un gruppo. Di fatto, finiscono per sentirsi indegne proprio a causa dell’agognata
appartenenza→ la gioia si converte alla rabbia e risentimento che rischiano di degenerare in episodi di violenza
verbale o fisica in grado di distruggere proprio le relazioni che garantiscono loro l’inclusione.
Il presso pagato al mantenimento dell’appartenenza è altissimo: la propria onorabilità.

Quando il dilemma raggiunge il suo acme, il soggetto oscilla fra due alternative altrettanto inaccettabili:
continuare a mantenere la relazione equivale a essere spregevole, romperla significa uscire dal consorzio
umano. Solitamente, comportamenti aggressivi provocano lacerazioni e rotture, ma allentano la riflessività del
circuito: il soggetto rischia di perdere tutto, ma la riflessività del circuito si è ridotta perché il paziente ha
salvato la propria onorabilità. Sfortunatamente, però, non appena la rabbia si stempera, la disperazione per la
perdita e la conseguente solitudine irrompono.

Per il depresso la solitudine è una condanna, uno stigma. A differenza delle persone con disturbo
narcisistico, più vulnerabili agli attacchi alla loro immagine grandiosa che al vuoto in cui sono
immersi, i soggetti con depressione soffrono terribilmente per il loro isolamento affettivo. Non
provano orgoglio per la loro capacità di cavarsela da soli. Riuscire a stare da soli non è una
conquista, come per i soggetti fobici, è una triste necessità. Finché, però, il soggetto riesce a mettere
in atto comportamenti di riparazione, che gli consentono di ristabilire le relazioni che gli assicurano
l’inclusione, non si ha lo sviluppo delle depressione clinica.

Le situazione che alimentano il dilemma possono essere diverse e alcune ricorrenti:


- La gelosia: il paziente pensa di essere tradito, o di non essere amato. Questi tradimenti, reali o immaginari,
hanno un esito comune: il soggetto si sente scartato, abbandonato, vive il mantenimento della relazione
come un’onta.
- Il denaro: se benestanti si sentono sfruttate, se in condizione disagiate ritendono di essere state depredate.
Convinti di non essere amabili elargiscono denaro ai familiari per non perderli, ma proprio per questo si
sentono indegni, dei “mendicanti di amore”.

La forte presenza nella dinamica emotiva dei soggetti depressi di un’emozione attiva come la rabbia
contribuisce a spiegare perché è difficile che queste persone siano palesemente tristi o avvilite nel periodo pre-
morboso. Questo tipo di atteggiamento è di regola ritrovato nelle persone con organizzazione ossessiva, nella
fase in cui rinunciano alle proprie pulsioni. Al contrario, le persone depresse, sono di regola attive, energiche;
quando irrompe la depressione, però, la disperazione prende l’intera scena. Allegria e attività cadono e le
persone, diventate ormai pazienti, sono così disperate da non riuscire nemmeno ad alzarsi dal letto.
L’esordio sintomatico avviene a seguito di rotture, separazioni o fallimenti. A volte la risposta depressiva è
immediata, altre insorge più tardi. Rabbia e comportamenti aggressivi provocano nel mondo relazionale del
depresso conflitti, rotture e allontanamenti da relazioni significative.
Il fatto che la depressione conclamata interrompa un ciclo di comportamenti interpersonali distruttivi è stato
documentato da diverse ricerche: accreditano per la depressione l’ipotesi, avanzata da Bateson per l’alcolismo,
che il sintomo abbia una funzione auto-curativa. La depressione avrebbe
quindi un valore adattivo. Costringe il paziente a mettere fine a
comportamenti interpersonali negative. Gli autori attribuiscono funzioni
diverse ai sintomi depressivi: per Hammen si tratta di meccanismi di arresto
della conflittualità; per Prince e Gardner sono espressione di una strategia
involontaria di subordinazione. Al di la delle funzioni diverse, questi
ricercatori concordano nel sostenere che la depressione conclamata inibisce
i comportamenti interpersonali distruttivi e spesso avvia meccanismi di
riconciliazione. Purtroppo, nelle depressioni croniche, la remissione dei
sintomi riapre un nuovo ciclo di comportamenti interpersonali negativi che
provocano una ricaduta.
L’ipotesi che la depressione faciliti il ristabilimento di rapporti interpersonali lacerati dai conflitti spiega come
mai questa psicopatologia sia ciclica. Il paziente, una volta ristabilitosi può ricominciare a creare situazioni
conflittuali che possono degenerare fino a dare luogo a rotture che aprono la strada ad un nuovo episodio
depressivo. Se la funzione adattiva della depressione è ristabilire il legame, una volta raggiunto lo scopo deve
risolversi.

IL CONTESTO INTERSOGGETTIVO NEL MOMENTO PRESENTE


I pazienti depressi adulti, sebbene diversi, quando inizia la terapia si trovano in una situazione relazionale
analoga: emotivamente distanti dalla propria famiglia di origine, con cui a volte avevano interrotto la
frequentazione, coinvolti in una relazione fortemente conflittuale con il partner o reduci di una rottura
sentimentale recente. In entrambi i casi la relazione con il partner aveva una posizione centrale nella loro
dinamica emotiva. Quello che bramano è una relazione affettiva profonda, ma difficilmente riescono a crearla
e mai a mantenerla. Come emerge da molte ricerche tra depressione e conflitto coniugale c’è una relazione
significativa.
- Il partner può essere estremamente valorizzato: il paziente nella fase iniziale della relazione l’ha adorato,
idealizzato e amato. In questo caso più facilmente la relazione diventa esplosiva, a volte violenza.
- A volte il partner può essere svalutato: è considerato una persona non degna, con cui il paziente sembra
essere coinvolto pur di non rimanere solo. La relazione in questo caso è meno conflittuale, perché
possessività e gelosia sono meno acute.

Ugazio individua due configurazioni relazionali ricorrenti nel periodo precedente all’esordio sintomatico;
queste non riguardano i pazienti in cui l’esordio è giocato all’interno della famiglia di origine:

1) La prima vede il paziente in una posizione di 2) Nella seconda configurazione il futuro depresso
esclusione mentre il partner è al centro di tutte le non solo è nella posizione di chi si trova escluso
relazioni. Questa configurazione, presente nella propria famiglia nucleare, ma assiste
soprattutto quando il partner è valorizzato, è contemporaneamente all’inclusione del proprio
l’esito di un processo conversazionale a volte partner nella propria famiglia di origine,
lungo a cui il paziente contribuisce con inclusione della quale non ha mai potuto fruire.
l’aspettativa di una relazione totalizzante con il Generalmente il compagno non ha
partner e la conseguente gelosia e possessività. intenzionalmente cercato di conquistare la
Il desiderio di un rapporto fusionale, famiglia del partner, nondimeno il paziente si
l’insofferenza verso chiunque si inserisca nella sente da questi depredato della sua stessa
coppia, pongono il futuro depresso in una famiglia di origine. Esempio:
posizione marginale rispetto a tutte le relazione Carlo. I suoi genitori gli offrono di vivere in una
famigliari ad eccezione di quella di coppia. casa con loro. Inizialmente era felice, in quanto
Figli, parenti e amici sono considerati come finalmente condivideva qualcosa con i suoi
minaccianti: sentendo il futuro depresso distante genitori. La compagna era entusiasta del
e ostile, i figli sviluppano un attaccamento progetto; era grata ai suoi suoceri. Quando si
intenso con l’altro genitore. Quando si incrina la trasferiscono i rapporti tra chiara e i suoceri
relazione di coppia, il soggetto con diventano molto stretti. Si crea una sorta di
organizzazione depressiva si ritrova alleanza, rispetto alla quale Carlo era ai
completamente solo. Il suo mondo relazionale margini.
risulta desertificato perché era connesso agli altri
attraverso il partner. Esempio:
Ferdinando. Escluso totalment4e dalla sua
famiglia. il suo sogno era quello di comprare una
grande casa. La moglie non sopportava di aver
perso la sua autonomia, sentiva la casa come
una prigione. Ferdinando, deluso dal
comportamento della moglie diventa sempre più
aggressivo. L’esito è che la moglie e figli lo
evitano sempre di più.

Queste due configurazione possono essere comprese meglio se lette alla luce della frattura del soggetto
depresso con la sua famiglia di origine. Alcuni non hanno interrotto i rapporti, ma questi erano solo formali;
altri erano nella posizione di pecora nera, censurati dal nucleo.
La distanza emotiva del paziente con la sua famiglia di origine contribuisce a spiegare il conflitto di coppia.
Fa temere l’abbandono: se la relazione di coppia non funziona, non c’è una famiglia di origine che lo accolga
e lo sostenga. La frattura con la famiglia di origine comporta per il paziente un coinvolgimento e un impegno
eccessivo nella relazione di coppia e lede la sua capacità di negoziare le regole della relazione con un partner
che ha invece spesso relazioni solide con genitori e fratelli. Apre inoltre la possibilità che il partner, qualora si
avvicini alla famiglia del compagno, sviluppi con questa un legame più intenso di quanto il paziente sia mai
riuscito a realizzare. Perché hanno consumato una frattura tanto radicale con la famiglia di origine? Per
rispondere bisogna esaminare il contesto intersoggettivo originario

CONTESTO INTERSOGGETTIVO ORIGINARIO


Clinici e ricercatori sono d’accordo sul fatto che l’esperienza relazionale delle persone con grave depressione
è segnata da un fallimento nelle relazioni primarie. Anche Bowlby sostiene che l’esperienza di non essere mai
stato in grado nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza di stabilire un legame di attaccamento dei genitori è
considerata l’origine delle gravi depressioni. Tale ipotesi è condivisibile, ma aspecifica: forme di attaccamento
mancato evitante caratterizzano anche altre psicopatologie.
La ricostruzione in terapia, svolta da Ugazio, ha messo in evidenza una configurazione complessa
caratterizzata da tre componenti:
1) Il contesto familiare del futuro depresso è caratterizzato da una coppia che non lascia spazio alle relazioni
verticali genitore-figlio. Nell’infanzia e nell’adolescenza non ha potuto di conseguenza sviluppare
momenti di inclusione nella coppia. Il figlio, futuro paziente, non solo non è in alcun modo triangolato dai
genitori, ma si sente sostanzialmente ignorato. La coppia dei genitori può essere coesa e funzionante: in
questo caso i suoi confini sono troppo rigidi per lasciare spazio al figlio che non trova un positioning di
qualche rilievo fra i genitori. Altre volte la coppia non è unita: in questi casi il paziente monopolizza le
attenzioni del coniuge, a volte adorante. Le difficoltà della coppia assorbono tutta la sua emotività e l’esito
è che il futuro depresso non trova spazi per sé
2) L’esclusione da una coppia che accentra su di sé la dinamica emotiva della famiglia, il disimpegno dei
coniugi verso le proprie funzioni genitoriali, generano nel figlio rivalità, gelosia e invidia verso uno o
entrambi i genitori. Questi sentimenti non sono ai loro occhi giustificati perché i genitori non mettono in
atto comportamenti ostili verso di loro, ma verso il coniuge. Il futuro depresso è quindi indotto da queste
emozioni a sviluppare una percezione di sé negativa. Aggressività, odio, rancore verso uno e entrambi i
genitori sono ai suoi occhi ingiustificati, contribuiscono quindi a restituirgli un immagine di sé come
persona indegna di amore.

3) In questa situazione relazionale si apre di fronte al futuro depresso, durante l’infanzia e l’adolescenza la
possibilità di prendere posto tra gli “eletti”. Stabilire una relazione potenzialmente esclusiva e gratificante
con uno dei genitori sembra finalmente possibile. La risposta ricevuta dall’adulto presso cui ricerca
l’inclusione è invece una ripulsa indignata. L’offerta relazionale del bambino è censurata. Il futuro
depresso si trova in una posizione relazionale che gli restituisce un’immagine negativa di sé: mantenere
una posizione di esclusione significa sperimentare sentimenti di rivalità, invidia e gelosia. Tentare di
spostare il proprio positioning tra coloro che sono amati e inclusi comporta essere indegno e ignobile.

Esempio:
Giulia. Intelligente e vivace, con alle spalle tentativi di suicidio e una diagnosi di disturbo bipolare. È
considerata dal suo ex marito e dai suoi suoceri “puttana, alcolista, pazza”. Non è alcolista, ha però abusato
per alcuni periodi di alcol. Non è promiscua, ma ha avuto relazioni extraconiugali.
- Contesto intersoggettivo originario: nella famiglia di Giulia ha un ruolo dominante il ramo paterno. Le
donne godono della benevolenza degli uomini se ne seguono le regole (come la compagna del padre,
Beatrice). Ha una famiglia allargata, dove rimane fino a 19 anni, come pecora nera, nel tentativo di
trovare un’appartenenza. Giulia è emarginata ed esclusa da tutti i rapporti: è la figlia più piccola ed è
femmina; la nonna non vuole saperne di lei, la madre pensa solo al fallimento coniugale, il padre invita
solo il fratello, il nonno è morto. Giulia ha una relazione incestuosa con il fratello, attraverso la quale
riesce a rompere l’esclusione e la solitudine. Il prezzo pagato è però la costruzione, tipica delle
organizzazioni depressive, di un’intransitività fra appartenenza e onorabilità: essere esclusa è per lei
intollerabile, ma l’unica inclusione possibile, l’incesto, la rende indegna. Dopo la rottura della relazione
incestuosa, si apre per lei un periodo positivo e il padre la inserisce nell’azienda. Questo dura poco: un
mese dopo il padre le presenta beatrice, di cui Giulia non sapeva niente. Da questo momento
ricontestualizza i rapporti con la madre, iniziandola a vedere come una donna distrutta dal marito. Alla
luce di questo, appartenere al mondo del padre, significa per lei distruggere la madre; si schiera quindi
dalla sua parte e tra padre e figlia vi è una rottura. Con l’episodio sintomatico la rottura padre-figlia è
ricomposta. Per Giulia inizia un periodo di instabilità: due tentativi di suicidio. L’incontro con il marito
chiude questa fase tormentata. L’unione però dura poco: il marito non le concede il divorzio perché vuole
un controllo sulla figlia e Giulia rimane sola a Milano.
- L’esordio sintomatico: l’ingresso nella patologia è giocato nella famiglia di origine. Giulia sente di non
farcela più, soffre di insonnia, ha un ansia fortissima. Chiama la madre, la quale le dice che lei sta più
male e non può aiutarla. Il ricovero segna il recupero con il padre, ma perde sua madre. Non perdona la
madre per averla lasciata sola ed è grata a suo padre per aver tenuto sua figlia, quando lei scappa in
india. Rimane ai margini, non può essere inclusa nell’azienda perché significherebbe essere indegna in
quanto darebbe il colpo finale a sua madre. Ciò che la vincola è la sofferenza della madre, unita
all’aggressività che ha sempre provato nei suoi confronti; un’aggressività ingiustificata perché la madre
non ha mai avuto atteggiamenti sbagliati verso di lei, era solo troppo infelice per prendersi cura di Giulia;
per questo può avvicinarsi al padre solo quando è depressa.

LE RISORSE DELLE ORGANIZZAZIONI DEPRESSIVE


Questa psicopatologia sembra sottendere la premessa squisitamente premoderna che l’individuo sia
irrevocabilmente legato a un fascio di relazioni, di regola quelle con la propria famiglia di origine. La persona
con organizzazione depressiva costruisce la propria esclusione del gruppo come un’onta, un danno irrevocabile
che lede la propria dignità. L’esclusione sperimentata nella famiglia di origine permette alle persone con questa
organizzazione di vivere un’adolescenza meno problematiche dell’infanzia. Non avendo avuto legami stretti,
lo svincolo dalla famiglia di origine che nell’adolescenza è necessario è per loro una storia permessa. L’uscita
di casa, che di regola rappresenta una fase difficile per i fobici, è per le organizzazioni depressive esaltante.
Questa disponibilità a coinvolgersi in contesti esterni alla famiglia può, però, rivelarsi pericolosa. Il soggetto
può finire per dipendere dal gruppo di amici fino a compiere azioni autolesive per assicurarsi l’appartenenza.
Ciò che il soggetto cerca di creare è una coppia; non avendo avuto legami importanti con la famiglia, entra in
relazioni intime, spesso totalizzanti. L’amore romantico, fusionale è il centro dell’universo emotivo del
paziente.
SEMANTICA FAMILIARE E RELAZIONE TERAPEUTICA

Il terapeuta e la stessa esperienza terapeutica finiscono per con-porti nella semantica dominante nella
conversazione familiare. Non avremo di conseguenza un unico modo di costruire la relazione terapeutica, ma
tanti modi diversi quante sono le semantiche. La variabile cruciare che modella la relazione terapeutica non è
la psicopatologia, ma la semantica dominante nei contesti conversazionali del paziente.

TERAPEUTA TRA ESPLORAZIONE E PROTEZIONE


Quando domina la semantica della libertà, come accade nei pazienti fobici e nelle loro famiglia, il terapeuta si
troverà inizialmente collocato nel polo della libertà. Finirà nella posizione di chi stimola il paziente ad
emanciparsi da legami soffocanti o a superare limiti; per questo dovrà confrontarsi con la paura del paziente,
in quanto il paziente fobico, che si colloca nel polo dell’attaccamento, teme l’esperienza terapeutica, in quanto
nuova. Come conseguenza di queste preoccupazioni, la richiesta avanzata si configura come una cauta
esplorazione, spesso seguita da un rapido allontanamento.
L’alleanza terapeutica può nascere solo quando il paziente sarà sicuro di poter entrare e uscire dalla terapia
senza incrinare la relazione con il terapeuta. Per i pazienti con questa semantica la terapia inizia quando il
terapeuta funge da base sicura.

TERAPEUTA TRA ANTAGONISTA E ALLEATO


Quando la conversazione è dominata dalla semantica del potere, difficilmente il terapeuta è sentito come una
persona intenta a trovare insieme al paziente e alla famiglia una via di uscita. Difficilmente i membri di queste
famiglie vedono il terapeuta come impegnato a trasformare insieme a loro i vincoli in risorse. L’ostacolo è
rappresentato dall’asimmetria che caratterizza la relazione paziente-terapeuta, che viene letta attraverso la
metafora del potere. La relazione terapeutica è sentita come umiliante; il setting può essere sentito come abuso
di potere. Sviluppare l’alleanza è con questi pazienti un’impresa ardua. Accanto alla posizione di antagonista,
si apre per il terapeuta, quella di alleato. Il paziente è anche disposto ad accettare una relazione che in quanto
asimmetrica gli è sgradita pur di conquistare un alleato.

TANTE TERAPIE QUANTO SONO LE SEMANTICHE


Le quattro semantiche illustrate offrono vincoli e possibilità diversi per la terapia perché modellano la relazione
terapeutica in modo peculiare. Sebbene i principali indirizzi clinici si occupino di tutte le forme di disagio
psichico, in pratica, ciascuno di essi è centrato solo su alcune psicopatologie: dei disturbi fobici si sono occupati
soprattutto i cognitivisti; la nevrosi ossessivo-compulsiva è un prodotto della psicoanalisi; la psicopatologie
alimentari sono un elemento delle psicoterapie familiari; la depressione è stata la patologia di elezione della
psichiatria biologica.
Il concetto di polarità semantiche familiari, alla base del modello psicopatologico presentato da Ugazio,
prevede che le organizzazioni del significato siano sistemi aperti a possibili modificazioni. In tutte le famiglie
vi sono più semantiche salienti. La terapia contribuisce al processo di amplificazione della semantica familiare
critica; spesso il paziente sceglie una modalità di trattamento che è consona alla semantica critica. È un
processo inevitabile, al quale il terapeuta inizialmente non può sottrarsi. Affinché altre storie possono essere
raccontate, il terapeuta deve mettere tra parentesi anche le propri conoscenze psicopatologiche.

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