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INTERSOGGETTIVI
QUATTRO STORIE
1) Esempio disturbo ossessivo:
Natascia, bambina di 11 anni, fino a tre mesi prima bambina modello ora devastata da emozioni che non
riesce a integrare, che chiama tentazioni: vuole farsi bella, pensa a truccarsi. In lei c’è una parte cattiva
che non riesce a controllare.
Natascia, Alessandro, Sabina e Giulia soffrono rispettivamente di un disturbo ossessivo, fobico, alimentare e
depressivo. Che cosa ha innescato in loro l’esordio sintomatico? Per questi disturbi le ipotesi biochimiche e
genetiche avanzate dalla psichiatria biologica non hanno ricevuto conferme; anzi le ricerche condotte,
dimostrano il contrario: sono le condizioni di disagio sociale a provocare l’abbassamento di serotonina.
PSICOPATOLOGIA E SIGNIFICATO
Un contributo della psicologia in termini di significato proviene dalle terapie cognitiviste. La psicologia dei
costrutti personali di Kelly anticipa le motivazioni con cui nascerà il cognitivismo. Pe Kelly ciascun individuo
costruisce attivamente il mondo in cui vive attraverso pattern semantici bipolari: i costrutti personali. Senza
questi pattern l’uomo sarebbe incapace di dar senso alla propria esperienza. Kelly accoglie un’accezione
restrittiva al concetto di falsificazione; l’invalidazione, entro la sua teoria, è l’incompatibilità tra una propria
predizione e le evidenze osservate. Il concetto di falsificazione svolge un ruolo importante nella spiegazione
della genesi della psicopatologia. Il disturbo psicologico viene definito da Kelly come “una costruzione che
viene usata ripetutamente a onta di significative invalidazioni”; è quindi una sorta di coazione a ripetere.
L’obiettivo della teoria dei costrutti personali è quello di delineare i processi fondamentali che stanno alla base
dei modi con cui le persone costruiscono l’esperienza e prospettare un nuovo metodo di analisi clinica e di
psicoterapia.
La psicopatologia e i suoi rapporti con il significato sono, invece, al centro dei modelli psicopatologici elaborati
in particolare da Guidano. Guidano assimila la psicopatologia a una scienza del significato. Per Guidano
esistono percorsi di sviluppo paralleli, le organizzazioni cognitive personali, caratterizzati da significati
personali diversi, che possono evolvere verso la psicopatologia o verso la normalità. Con l’espressione
organizzazioni cognitive personali si intende l’insieme di processi conoscitivi, sia taciti che espliciti, che prede
forma gradualmente nel corso dello sviluppo individuale e grazie al quale ciascuno di noi costruisce
attivamente il suo punto di vista dall’interno, unico ed esclusivamente soggettivo. Ciò che da unità alle
organizzazioni cognitive è il significato personale, formato da schemi emozionali ordinati secondo contenuti
semantici personali. Il significato personale è per Guidano organizzativamente chiuso, una sorta di vincolo
epistemologico. Attraverso queste due nozioni Guidano assimila la psicopatologia ad una scienza del
significato: le principali sindromi psicopatologiche deriverebbero da altrettante organizzazioni cognitive
personali che si sono strutturate sulla base di itinerari di sviluppo e di pattern di attaccamento differenti.
Ciascuna organizzazione è assimilabile a una struttura di personalità che può evolvere in modo normale,
nevrotico o psicotico. Esempio: per Guidano l’organizzazione cognitiva personale depressiva è caratterizzata
da un significato personale oscillante tra “rabbia, aggressività” e “disperazione, ritiro”
e da temi di perdita e solitudine. Il soggetto con questa organizzazione oscilla fra un
senso di solitudine subito (disperazione) e una condizione in cui il distacco dagli altri è
vissuto in modo attivo, autoprodotto (rabbia e aggressività). Questa circolarità emotiva
è presente sia nella normalità, sia nella dimensione nevrotica, sia in quella psicotica.
Nella normalità, a differenza della patologia, la ricorsività tra rabbia e aggressività, che
producono comportamenti diretti a stabilire il contatto interpersonale, e la disperazione,
che rispristina il distacco, non oltrepassa soglie critiche. L’esperienza di solitudine è di
conseguenza elaborata in modo generativo o creativo.
Al di la di questo, la presa di distanza da parte dell’Ugazio è netta e riguarda principalmente le ipotesi genetico-
evolutive. Guidano e altri cognitivisti riprendono la teoria di Bowlby: i quadri psicopatologici vengono
ricondotti a pattern di attaccamento disfunzionali. Questa spiegazione diadica non è in grado di dar ragione di
alcune caratteristiche cruciali con cui il soggetto ordina e costruisce la realtà. Inoltre, i pattern di attaccamento
disfunzionali non sono connessi in modo specifico con alcuna psicopatologia, al contrario sono trasversali a
più sindromi. Le altre prese di distanza riguarda la differenza tra il punto di vista costruzionista dell’Ugazio e
il punto di vista costruttivista dei cognitivisti. Le differenze riguardano:
Il modo con cui viene concepito il significato: per i cognitivisti il significato riguarda essenzialmente
l’individuo, il concetto di polarità semantiche familiari, invece, lo considera come un’impresa congiunta
a cui collaborano almeno tre soggetti in interazione.
- La transizione di un’organizzazione di personalità dalla condizione di normalità a quella di nevrosi/psicosi.
I cognitivisti attribuiscono una funzione determinante in tale transizione agli aspetti sintattici. La patologia
sembra definita da componenti formali, mentre la posizione del paziente nella semantica è ignorata.
- Un ultima differenza riguarda il fatto che i cognitivisti sono più attenti alle basi evoluzionistiche dell’uomo,
al suo essere parte di una storia naturale evolutiva che lo collega ai primati superiori, che alla dimensione
culturale del significato.
Nel modello proposto da Ugazio, invece, l’enfasi è posta sulla definizione culturale del significato e della
psicopatologia. Vi è l’ipotesi che ciascuna delle sindromi psicopatologiche sia l’espressione di uno specifico
contesto conversazionale familiare e di una posizione altrettanto particolare che il paziente e gli altri membri
della famiglia assumono rispetto alla dimensione semantica critica, ma contemporaneamente esprima alcune
premesse di un contesto culturale più ampio. Al centro delle organizzazioni psicopatologiche fobica, ossessivo-
compulsiva, anoressico-bulimica e depressiva è possibile individuare alcune premesse riassumibili
rispettivamente nelle idee di libertà come indipendenza dalle relazioni, di bontà “astinente”, di uguaglianza
come abbattimento delle differenze e di irrevocabile appartenenza a un gruppo di relazioni.
Da questo punto di vista Ugazio segue la via indicata da Bateson in “la cibernetica dell’io: una teoria
dell’alcolismo”: secondo Bateson il problema dell’alcolizzato non è l’intossicazione, ma la sobrietà. Sono le
premesse che guidano il suo stato di sobrietà a contenere un errore o una patologia.
L’intossicazione è una correzione delle premesse che guidano il comportamento
dell’alcolizzato quando è sobrio e che vengono rinforzate dalla società. Ma quali sono le
premesse? Secondo l’organizzazione Alcolisti Anonimi il principio su cui si fonda la vita
dell’alcolizzato è l’orgoglio simmetrico. L’enfasi non è sull’ “io sono riuscito...”, ma sull’ “io
sono capace...”. La sfida si organizza attorno alla frase “io sono capace di oppormi al bere”.
L’alcolizzato, quando è sobrio, concorda con i suoi amici e parenti che lo esortano ad essere
forte e a resistere alla tentazione; egli è convinto di dover essere il capitano della sua anima,
ma è proprio questa convinzione a perderlo. La sfida richiede un antagonismo continuo con
l’avversario, ma proprio perché la relazione con l’altro è organizzata entro uno schema di sfida,
un breve periodo di lotta vittoriosa indebolisce la determinazione di chi è all’interno di questo
schema: una vittoria totale equivarrebbe alla perdita della relazione con l’altro. Ed è proprio
ricascandoci che l’alcolizzato recupera l’altro e quindi la propria identità. Quando la situazione
si aggrava l’alcolizzato, ormai alienato da tutte le relazioni reali, diventa un bevitore solitario,
ma la dinamica descritta non cambia: la bottiglia diventa l’altro simbolizzato su cui continua
la sua battaglia. Entro questa battaglia l’ebrezza è una forma di autocorrezione perché è il
modo con cui l’alcolizzato trova una complementarità con il mondo. Bevendo un bicchiere e
dando via alla sbornia, la battaglia si conclude con la pace. Questa complementarità con il
mondo, però, dura un breve lasso di tempo, poiché la sbornia conferma all’alcolizzato quanto
sia disdicevole lasciarsi andare. Via via l’alcolizzato tocca più volte il fondo, ma non per
questo abbandona l’epistemologia dell’autocontrollo. Anche nelle psicopatologia trattate
accade qualcosa di simile: esse esprimono significati e la cultura del contesto familiare entro
cui si sono sviluppate, ma questi significati e questa cultura sono intrisi di credenze e concetti
carichi di teorie che ritroviamo nel contesto sociale più ampio.
POLARITA’ SEMANTICHE FAMILIARI
I significati ed emozioni cambiano da una famiglia all’altra e altrettanto frequenti sono le differenze polari che
oppongono i vari membri della famiglia. Il concetto di polarità semantiche offre una prospettiva costruzionista
al significato attenta alle differenze e alle somiglianze presenti nella famiglia. Il concetto prevede che la
conversazione nella famiglia sia organizzata entro polarità di significato antagoniste del tipo giusto/ingiusto,
buono/cattivo, chiuso/aperto, attraente/ripugnante. Il significato si costruisce attraverso polarità antagoniste
dandone un’accezione costruzionista, il cui background è la positioning theory di Harrè. Le polarità non sono
considerate come un qualcosa che sta dentro la mente delle persone, ma come un fenomeno discorsivo. Esse
si identificano con alcune proprietà della conversazione:
1) Trama condivisa di polarità:
ciascun membro della famiglia costruisce la conversazione all’interno di alcune polarità semantiche
specifiche rese prevalenti dalle pratiche discorsive di quella famiglia. Tali polarità costituiscono una sorta
di trama condivisa che genera specifiche narrative e intrecci. Le polarità definiscono ciò che è rilevante
per ciascun gruppo. Una famiglia si differenzia e acquista una sua identità in quanto coloro che vi
appartengono costruiscono gli episodi attraverso cui si articola la conversazione in modo diverso da altre
famiglie. All’interno di ogni famiglia risultano salienti soltanto alcune polarità semantiche. Una famiglia
è tale in quanto coloro che vi appartengono condividono una trama condivisa, formata da un certo numero
di polarità semantiche e dalle narrative che queste polarità alimentano. L’elemento di somiglianza tra i
membri della famiglia si limita a questa condivisione di una trama.
2) Positioning inevitabili:
tutti i membri di una famiglia devono necessariamente prendere posizione entro le polarità rilevanti nel
proprio gruppo. Le persone si posizionano sempre rispetto a qualche significato presente nella
conversazione. Il positioning non avviene entro significati impredicibili. Al contrario, questo processo si
dispiega dentro un repertorio di significati predefinito, anche se flessibile e mutevole: i pattern
conversazionali si posizionano e sono posizionati entro le polarità semantiche che le pratiche discorsive
della propria famiglia rendono via via rilevanti. L’interno processo è spontaneo e in gran parte non
intenzionale.
3) Interdipendenza dei molteplici sé:
ciascun partener conversazionale, posizionandosi con gli altri entro la trama di polarità semantiche
rilevanti nei propri contesti, ancora la propria identità a quella dei membri del gruppo a cui appartiene. La
comunanza delle soggettività è conseguentemente assicurata dalla struttura polare del significato. Poiché
in tutte le famiglie sono salienti più di una polarità, i sé risultano molteplici come le posizioni generate
dalle polarità
Le polarità semantiche sono costruite dalle emozioni. Molte delle polarità semantiche famigliari si esprimono
in modo esclusivo o prevalente attraverso pattern conversazionali non verbali. Non ci sono significati
puramente cognitivi, così come non esistono emozioni prive di cognizioni. Anche una polarità semantica come
“intelligente-ottuso” è emotivamente pregnante: la percezione di se come intelligenti o stupide è inseparabile
da emozioni di efficacia personale o di impotenza. Proprio perché sono espressione di emozioni, le polarità
semantiche svolgono un ruolo importante per la psicopatologia.
Il concetto di polarità risale in occidente al pensiero In oriente l’idea di opposizione ha avuto e ha tutt’ora
presocratico, infatti, le principali teorie una rilevanza maggiore che in occidente. In oriente
cosmologiche si basano sugli opposti. A differenza ogni aspetto della realtà rimanda al suo contrario e
dei presocratici che si focalizzano sui principi gli opposti possono esistere solo in rapporto l’uno
costitutivi, gli opposti, Aristotele pone al centro del con l’altro. Le tecniche elaborate dal misticismo
divenire il sostrato, l’ente individuale, a cui orientale hanno lo scopo di raggiungere uno stato di
privazione e forma si applicano. Aristotele per primo coscienza non ordinario, dove si sperimenta l’unione
ha delineato una tipologia di forme di opposizione. con l’ambiente e l’unità degli opposti.
OPPOSIZIONE POLARE E INTERSOGGETTIVIA’
L’idea proposta da Ugazio è l’ipotesi che il significato, in virtù della sua struttura polare, contribuisca ad
assicurare l’intersoggettività. I contrasti semantici presenti in tutte le lingue costituirebbero un universale il cui
scopo è rendere gli individui interdipendenti, anche a livello semantico, oltre che pragmatico. Proprio perché
la struttura del significato è polare, un individuo non può posizionarsi o essere posizionato come “generoso”
o “intelligente” se non c’è un altro individuo nel suo contesto relazionale che ricopre la posizione opposta di
“egoista” o “stupido”. Questa ipotesi differenzia ciò che la Ugazio chiama polarità semantiche familiari dai
costrutti personali di Kelly. Anche Kelly considera la polarità del significato un universale; tuttavia, per Kelly,
l’irriducibile dualità che caratterizza il significato esprime una legge del funzionamento della mente. La
dicotomia è un aspetto essenziale del pensiero stesso. Per Ugazio invece, le polarità semantiche non esprimono
leggi o tendenze del funzionamento del pensiero, non sono rappresentazioni mentali, sono proprietà della
conversazione. In questa prospettiva, la struttura polare del significato fornisce una matrice che rende
disponibili posizioni entro le quali vengono costruite, mantenute e decostruite nella conversazione soggettività
interdipendenti. Come mai la struttura del significato è organizzata in modo da richiedere la collaborazione di
due termini polari?
- Per Kelly la dicotomia aumenta la capacità di previsione dell’uomo. Il poter disporre di costrutti polari
consente al soggetto un ampliamento nella costruzione di scenari possibili assimilabile all’incremento di
informazioni che deriva dalla visione binoculare rispetto a quella monoculare: nuove dimensioni si aprono.
- Per Ugazio i contrasti semantici costituirebbero un “universale”, la cui funzione è rendere interdipendenti
gli individui anche a livello del significato. In una specie dove ciascun individuo può realizzarsi soltanto
all’interno di strutture di gruppo, il fatto che i contrasti semantici vincolino gli individui gli uni agli altri
rappresenta un vantaggio da un punto di vista evoluzionistico.
L’idea che l’organizzazione del significato in polarità antagoniste fondi l’intersoggettività spiega perché la
famiglia presuppone al proprio interno l’esistenza di profonde differenze e di conflitti che non comportano
necessariamente la sua dissoluzione. In conflitto non genera lo scioglimento di un gruppo se è all’interno della
stessa trama narrativa. Il concetto di polarità semantiche familiari è per molti aspetti diverso e complementare
a quello dei costrutti personali di Kelly: i due concetti si riferiscono a fenomeni diversi. Inoltre, sottendono
una differente concezione del significato. I costrutti personali di Kelly esprimono una concezione costruttivista
del significato, essenzialmente mentalistica; le polarità semantiche sono invece coerenti con una concezione
sociale delle persone di tipo costruzionista.
I terapeuti sistemici si caratterizzano per la tendenza ad ampliare le loro analisi alle generazioni precedenti.
Questo però non è sempre vantaggioso: coinvolgendo in seduta generazioni precedenti il terapeuta
inevitabilmente altera i confini della famiglia nucleare, movimento che può comportare effetti negativi anche
se neutralizzabili nel corso della terapia. Il campo di interferenza, quindi, deve essere ampliato solo quando è
necessario per la comprensione del problema e per la sua trasformazione. Il concetto di polarità semantiche
familiari suggerisce di estendere l’analisi fino a includere le posizioni ai due estremi delle polarità semantiche
ritenute importanti per la situazione interpersonale che si intende analizzare.
In alcune famiglie nucleari ritroviamo positioning su In altre famiglie invece, i positioning di tutti i
entrambi gli estremi delle dimensioni semantiche più membri entro le dimensioni semantiche ritenute
importanti. Si tratta di famiglie dove troviamo la cruciali si si dispongono entro uno stesso estremo. In
compresenza di individui opposti al nucleo di questi casi circoscrivere il focus alla famiglia
convivenza. In questi casi è possibile limitare nucleare più essere sviante. Il terapeuta, quindi,
l’attenzione alla famiglia nucleare, in quanto dovrà includere nella propria analisi famiglie estese
contenendo al proprio interno le posizioni opposte di dove si trovano persone che hanno costruito il
ciascuna polarità risulta un contesto proprio positioning all’estremo opposto delle
sufficientemente ampio per poter dare significato polarità.
agli eventi.
Può accadere che la coppia coniugale si collochi in posizione mediana su tutte le polarità semantiche connesse
al problema. Il problema dovrà, quindi, essere contestualizzato fino ad includere i due estremi. I tre poli delle
polarità diventano quindi oggetto della conversazione terapeutica. Esempio:
“Costanza e Guglielmo avevano sempre voluto figlio, ma dopo la nascita di Alessandro, sentivano che
questo aveva interrotto i loro progetti di vita. Alessandro era aggressivo e prepotente, voleva dominare
sugli altri, li picchiava se gli altri non facevano ciò che lui voleva. Questo era ciò che lo distingueva
dai suoi genitori, i quali invece si presentavano gentili, romantici, teneri. Non avevano mai avuto
contrasti perché entrambi non amavano ne comandare ne ubbidire. Per Costanza e Guglielmo
comandare/ubbidire era una polarità centrale nella loro posizione e nella loro identità; avevano
entrambi alle spalle una storia familiare dove uno dei genitori prevaricava sull’altro; in rapporto ai
propri genitori era mutato il loro progetto di vita, con lo scopo di fare l’opposto di quello che avevano
fatto loro. In questo modo quando interagivano con Alessandro, contemporaneamente si rivolgevano ai
loro genitori; il campo di inferenza genitori-bambino includeva sempre anche i nonni. Con la sua
aggressività e prepotenza Alessandro esprimeva la rabbia per non essere l’effettivo interlocutore dei
suoi genitori, sfidava le loro identità mediane.”
Studiando gli Iatmul venne colpito dalla rigida opposizione che divide vita maschile e vita femminile.
Agli uomini spettavano le attività spettacolari, violente, le donne invece erano dedite alla cottura del
cibo, alla casa e ai figli. Gli uomini erano chiassosi, ironici, violenti, le donne invece tranquille e private.
Mentre gli uomini si comportavano come se la vita fosse una rappresentazione teatrale, le donne si
comportavano come se la vita fosse un allegra routine.
Bateson legge questa opposizione di comportamenti tra i sessi e l’uniformità di comportamenti
all’interno di ciascun sesso attraverso concetti di interazione complementare e simmetrica e di
schismogenesi, cercando di dimostrare l’interdipendenza dei comportamenti che caratterizzavano la
comunità. Ciò che rendeva cos’ interdipendenti i tratti del carattere di uomini e donne Iatmul era uno
specifico pattern interattivo a cui Bateson diede il nome di “schismogenesi”
Per Bateson la schismogenesi era un processo di differenziazione nel comportamento individuale risultante
dall’interazione cumulativa fra individui. Si tratta di un processo potenzialmente progressivo che può
verificarsi nelle interazioni complementari e in quelle simmetriche. Nel caso della schismogenesi
complementare i due soggetti o gruppi in interazione manifestano comportamenti sempre più opposti; nel caso
della schismogenesi simmetrica i soggetti coinvolti, individui o gruppi, esibiscono comportamenti sempre più
simili.
Riprendendo Bateson si può affermare che:
- quando in un contesto una dimensione semantica è saliente, tra i membri che occupano i poli opposti della
dimensione in questione la relazione sarà complementare, cioè basata sullo scambio di comportamenti
comunicativi opposti: uno comanda e l’altro ubbidisce, uno insegna e l’altro impara.
- Tra coloro che si collocano nella stessa polarità, invece, la relazione sarà simmetrica, cioè basata
sull’uguaglianza: uno si esibisce e anche l’altro si esibisce, uno comanda e anche l’altro comanda.
Esiste tuttavia anche la posizione mediana, di cui Bateson non si è occupato. Per Ugazio la posizione di mezzo
è costruita da processi conversazionali diversi da quelli che alimentano le due posizioni polari contrapposte. I
processi conversazionali che alimentano la posizione di mezzo sono apparentemente simili ai processi che
costruiscono le due posizioni polarmente contrapposte. Tra chi si pone nella posizione mediana e coloro che
si contrappongono polarmente, la relazione è complementare. Analogamente, le relazioni fra coloro che
occupano la posizione mediano sono simmetriche, in quanto basate sull’uguaglianza. Le relazioni
complementari che alimentano la posizione di mezzo hanno caratteristiche ben diversa da quelle che
concorrono a costruire i due estremi: le relazioni che alimentano la posizione di mezzo sono speculari, perché
sono l’esito di un continuo bilanciamento, le relazioni che alimentano le posizioni estreme sono sempre
parziali. La differenza tra queste due posizioni si vede maggiormente nei loro esiti sull’identità: le relazioni
alimentate dalle posizioni polari contrapposte stimolano l’esteriorizzazione delle qualità individuali, invece, le
relazioni che costruiscono la posizione mediana danno luogo ad un processo opposto la centralizzazione.
L’individuo, collocato a uno dei due estremi, con- Le relazioni alimentate dalla posizione di mezzo
ponendosi per differenza o per uguaglianza con innescano un processo opposto rispetto
gli altri, esteriorizza, esprime specifiche qualità. all’esteriorizzazione: la centralizzazione. Grazie
Proprio perché la sua attenzione è diretta all’altro, a questo processo la posizione mediana si
egli acquista sempre più una sua specificità costruisce e si mantiene attraverso un continuo
individuale: non c’è un io senza un tu. Le bilanciamento nei confronti di chi si colloca ai
posizioni agli estremi implicano un pieno due estremi. L’individuo, in questa posizione,
riconoscimento del partner conversazionale, alleandosi o entrando in conflitto con chi occupa
come uguale, simile a sé, o come diverso, opposto gli estremi, si sposta sensibilmente verso uno o
a sé. Esse sono espressione e generano sia l’altro polo, ma questi spostamenti sono contenuti
alleanza sia conflitti, nella quale l’altro è centrale e bilanciati, in un arco temporale breve. Proprio
nella sua posizione di alleato o antagonista perché la sua con-posizione in termini di alleanza
è parziale, la definizione di sé rispetto alla
dimensione semantica saliente sarà altrettanto
parziale.
POSIZIONING DIFFICILI
Ciascuna delle quattro organizzazioni psicopatologiche è caratterizzata dal prevale di alcune polarità
semantiche: della libertà, della bontà, del potere e dell’appartenenza, perché le polarità caratterizzanti sono
alimentate dalle stesse emozioni e quindi formano un insieme coerente di opposizioni polari. In queste
semantiche sono coinvolti tutti i membri della famiglia, ma solo un partner conversazionale, di regola, presenta
un’organizzazione psicopatologica. Ciò che sembra favorire lo sviluppo della psicopatologia è la posizione
che il soggetto assume entro la semantica critica. Per comprendere i positioning difficili in cui si trovano coloro
che sviluppano una psicopatologia bisogna analizzare il processo di costruzione dei significati che è gerarchico
e mette in gioco più livelli.
Il primo ad introdurre l’idea che la comunicazione è organizzata gerarchicamente è stato Bateson.
Mentre osservava allo zoo le scimmie che giocavano si rese conto che esibivano comportamenti
identici a quelli che utilizzavano durante un combattimento. Da questo intuì che i morsi e gli altri
comportamenti comunicativi dell’attacco che caratterizzavano la sequenza (livello di contenuto)
dovevano essere accompagnati da altri messaggi, di livello gerarchico superiore, che segnalavano in
che modo dovessero essere intrepretati: “questo è un gioco” (livello di relazione).
Cronen, Johnson e Lannmann ritengono che accanto al livello di contenuto di ogni messaggio e al livello di
relazione del meta-messaggio che indica il significato da attribuire, devono essere inclusi l’episodio, la
relazione fra i comunicanti, il sé o biografia personale e i modelli culturali. Tutti questi livelli sono costruiti
nel corso della conversazione e sono organizzati gerarchicamente. → il significato di un messaggio è definito
non solo dal meta-messaggio, ma anche dall’episodio di cui è parte e dalla relazione tra i partner, oltre che dai
rispettivi sé e dai modelli culturali. Normalmente, i messaggi sono contestualizzati dai livelli superiori che
rappresentano la “forza contestuale”, finché ciò accade l’episodio, il sé, la relazione e i modelli culturali
vengono confermati dal messaggio. Ma può accadere che la “forza implicativa” prevalga. In questo caso un
singolo messaggio capovolge l’episodio.
I positioning difficili che caratterizzano la posizione dei soggetti che sviluppano una psicopatologia fobica,
ossessiva, depressiva e i disturbi alimentari riguardano due dei livelli: il sé e le relazioni. Tra di essi la
riflessività diventa massima: il soggetto oscilla tra prospettive inconciliabili.
Il fatto che la riflessività sia un attributo normale dei processi comunicativi, non significa che non abbia nulla
a che fare con la patologia. Accanto ai circuiti “armonici” che non sono problematici, ci sono secondo questi
autori, i circuiti “bizzarri”, che creano disagio e patologia psicologiche. Sono di questa natura i circuiti in cui
finiscono intrappolate le persone con organizzazione fobica, ossessiva, depressiva e tipica dei disturbi
alimentari. I circuiti di transitività e intransitività consentono di distinguere i due tipi di circuiti:
I due livelli di significato sociale hanno una I due livelli di significato hanno una relazione
relazione transitiva quando ciascuno può diventare intransitiva quando non è possibile che ciascuno
il contesto dell’altro senza che si modifichi il dei due diventi il contesto dell’altro senza che
significato di nessuno dei due questo cambi il significato
Esempio 2: Barone scopre il tradimento della moglie. Questo episodio genera in lui un circuito riflessivo
bizzarro. Il barone non sente odio o vendetta; fra il tradimento e la sua relazione non c’è
intransitività, episodio e relazione formano un circuito armonico, il barone sente di amare sua
moglie. Perché allora si infila in un vicolo cieco o circuito riflessivo bizzarro? Per il barone
perdonare significa disprezzarsi; ma rompere il matrimonio significa distruggere la propria vita.
In lui vi è una frattura tra il sé sociale e il sé individuale.
- Se la relazione con la moglie contestualizza il suo sé, egli sarà indotto a perdonare, distruggendo
la propria immagine
- Se sono i modelli culturali a contestualizzare il suo sé, porrà fine al matrimonio, violando i propri
sentimenti.
I due esempi coinvolgono livelli diversi. Nel primo caso il circuito bizzarro riguarda il livello
episodico/relazionale, mentre nel secondo investe i livelli superiori di significato. Cronen, Johnson e
Lannmann ipotizzano che l’entità del danno prodotto dai circuiti riflessivi bizzarri irrisolti sia tanto maggiore
quanto più sono coinvolti i livelli di significato superiori. Anche la posizione dei soggetti con organizzazione
fobica, ossessiva, anoressica e depressiva all’interno della semantica dominante assume i contorni del circuito
bizzarro che coinvolge i livelli del sé e della relazione come per il Barone.
Per Ugazio due esigenze imprescindibili per l’essere umano, disporre di relazioni soddisfacenti e mantenere
un’autostima accettabile, diventano autoescludenti rispetto ai significati centrali per il contesto
conversazionale di cui il soggetto è parte. Questo dilemma riguarda tutte e quattro le organizzazioni, anche se
con caratteristiche specifiche.
LA SEMANTICA DELLA LIBERTA’
I DISTURBI FOBICI
I soggetti fobici si sentono sull’orlo di un baratro pauroso. La sensazione di allarme di fronte a un futuro
segnato dal presentimento di accadimenti che si sentono inadeguati ad affrontare, li accompagna sempre. È
importante per loro disporre di punti di riferimento come un matrimonio, un genitore, un lavoro. Ma i punti di
riferimento, per quanto rassicuranti, sono vissuti come barriere. La compresenze della paura di fronte ad un
mondo considerato pericoloso e il desiderio di disfarsi di ancoraggi è la caratteristica delle organizzazioni
fobiche. È il frutto di un particolare positioning in una conversazione familiare in cui è dominante un insieme
coerente di polarità che Ugazio chiama “semantica della libertà”
La conversazione in queste famiglie si organizza attorno a episodi dove la paura, il coraggio, il bisogno di
protezione e il desiderio di esplorazione svolgono un ruolo centrale. I membri di queste famiglie verranno
definiti come timorosi, cauti o, al contrario, coraggiosi, temerari. Si sposeranno con persone fragili, dipendenti
o con individui liberi e indipendenti. Soffriranno per la loro dipendenza, cercando di conquistare l’autonomia
o saranno orgogliosi della propria indipendenza e la difenderanno.
Esempio:
- Francesco colloca entrambi i genitori nei poli libertà ed esplorazione della semantica critica. Il padre
Amedeo caratterizzato dalla libertà di mantenere le proprie scelte, la madre, Eleonora, ricordata per
l’eccezionale indipendenza. La madre studentessa di filosofia, brillante, era livera di vivere sola per
dedicarsi ai suoi studi, solo Amedeo riuscì a convincerla ad accettare una normale vita coniugale.
Francesco è fobico da quando ha 17 anni. La moglie ha anch’essa un positioning particolare: è abituata
ai viaggi e ad una vita libera, che è stata costretta a ridimensionare a causa dei sintomi del marito.
- Raniero, un altro paziente fobico, ha nella famiglia un solo membro della famiglia (padre) con
un’indipendenza marcata. Fisicamente attraente, lavoratore, si sposò con una donna buona, ma brutta.
La tradiva regolarmente, ma erano avventure solo erotiche. Per Raniero il padre non sembrava aver
bisogno di alcun affetto.
- Romeo, esploratore, autore di documentari, allontanarsi e vivere avventure era per lui come rinascere.
Quando la moglie, Ermia, sviluppò gravi attacchi di panico in concomitanza delle sue assenze.
Eleonora, Amedeo, Elena, il padre di Raniero, Romeo sono del tutto diversi, ma tutti sono simboli di un alto
grado di indipendenza dalle relazioni.
I genitori delle persone con organizzazione fobica presentano ai figli il mondo come pericoloso, sono
iperprotettivi e limitano la libertà della prole. La semantica di queste famiglie esprime un ordine modale in cui
liberà, indipendenza, esplorazione sono costruiti come valori, mentre i legami di attaccamento sono sentiti
come espressione di bisogno di protezione da un mondo pericoloso e di conseguenza associati a una grado di
dipendenza. I membri di queste famiglie sentono l’amicizia, l’amore e altre forme di attaccamento in termini
parzialmente negativi, perché le costruiscono come forme di dipendenza. Gli episodi in cui l’individuo riesce
a far fronte da solo alle circostanza sono avvertiti come manifestazioni di libertà e indipendenza. In queste
famiglie, in virtù del prevalere della semantica della libertà persone libere e indipendenti, si oppongono e si
compongono con membri della famiglia dipendenti, bisognosi di protezione.
Il modello di Ugazio è capace di dar ragione a ciò che caratterizza l’organizzazione fobica: la costruzione di
attaccamento ed esplorazione come reciprocamente escludenti. Tale modello convalida l’ipotesi che il
bambino abbia una relazione di attaccamento preferenziale quale quella descritta da Bowlby e da Guidano. Il
punto è che la figura di attaccamento è coinvolta in un legame affettivo particolarmente intenso con un membro
della famiglia che si colloca nel polo “libertà-indipendenza” della semantica critica. Di regola questa persona
è meno coinvolta nella relazione di quanto la madre desidererebbe: è fuggitiva, tanto da generare nella madre
sentimenti di insicurezza.
La relazione nella quale è coinvolto il bambino con la madre prevede una riduzione dei comportamenti
esplorativi, ma questi comportamenti, che la madre stessa scoraggia, sono invece caratteristici della figura
emotivamente importante per lei→ mantenere la relazione con la madre significa quindi per il bambino
ricevere una definizione negativa di sé, dove la negatività di tale
definizione è data dal fatto che la madre valorizza un membro della
famiglia che ha un comportamento opposto a quello sollecitato nel
bambino.
Questo contesto intersoggettivo triadico contiene gli ingredienti che strutturano un vero e proprio dilemma,
dove attaccamento e autostima diventano intransitivi. Vi sono tre aspetti importanti in tale contesto:
1) Posizione della madre
2) Dimensione temporale
3) Le differenze tra il contesto intersoggettivo che genera la strategia della vicinanza limitante e quello
all’origine della strategia del distanziamento emotivo.
Cosa accade? Accade che la madre, essendo fortemente coinvolta in una relazione affettiva con un partner
indipendente e fuggitivo, sviluppa sentimenti di insicurezza e desideri di rassicurazione. Il bambino, che è
organizzato in modo da adattarsi all’adulto che si prende cura di lui, percepisce questo stato emotivo della
madre e sviluppa comportamenti a esso complementari.
A partire dai quattro o cinque anni il bambino può porre le premesse per la costruzione di una gamma di
strategie adattive a orientamento fobico. Queste strategie sono l’esito di un processo: inizialmente privilegia
la relazione, fino ai sette otto anni. In questi anni si posizionerà nel polo “attaccamento”, diventando un
bambino molto attaccato, appiccicoso, poco incline all’esplorazione e alle nuove esperienze. Progressivamente
diventerà consapevole che la persona emotivamente importante per la madre ha comportamenti opposti ai suoi
e questo lo condurrà a sviluppare una bassa autostima. Con l’adolescenza, quando i problemi di autostima
acquistano centralità, la riflessività tra sé e la relazione diventa crescente. La situazione assume la forma di un
dilemma e il soggetto inizia a sviluppare strategie.
Tale contesto intersoggettivo è stato individuato da Ugazio in tutte le organizzazioni fobiche, siano esse a
prevalenza agorafobica o claustrofobica. L’unica differenza nella storia relazionale dei soggetti claustrofobici,
rispetto agli agorafobici, è un brusco cambiamento di alleanze nella fanciullezza: il bambino passa dalla figura
di attaccamento a un membro della famiglia che si colloca nel polo della libertà. Tale ribaltamento è di solito
causato da una delusione in eventi specifici o da ripetute frustrazioni. Il bambino da questo momento:
1) Cerca di assumere le caratteristiche del recente alleato, senza però sviluppare in questa nuova relazione un
coinvolgimento emotivo profondo
2) Muta drasticamente la sua relazione con la figura originaria di attaccamento: abbandona gli atteggiamenti
appiccicosi e assume un comportamento autonomo.
Esempio:
Emilio con sintomatologia agorafobica. Ha paura di uscire da solo e degli spazi aperti. Per rendersi autonomo
decide di dare un viaggio a Londra, ma dopo l’arrivo inizia ad avere crisi di panico; lascia Londra, ma anche
il viaggio di ritorno fu un inferno. La riflessività del circuito riflessivo bizzarro è massima: l’idea di tornare
a casa era un attacco alla sua autonomia e autostima, ma rimanere a Londra era diventato impossibile a
causa dei sintomi. È il primogenito di 4 figli. La madre è una donna emotiva, ansiosa e un punto di riferimento;
il padre è autoritario e distaccato. Nonostante la madre fosse il suo legame di attaccamento principale, essa
era contemporaneamente coinvolta in un legame affettivo maggiore con il marito, nonostante fosse fuggitivo.
In questa situazione Emilio aveva assunto un ruolo consolatorio, ascoltando le lamentele della madre. Un
momento drammatico fu la nascita dell’ultimo fratello, che ha dato origine al cambiamento di alleanze: non
si legò al padre, che odiava troppo, ma ad una zia indipendente e ricca. Nello stesso tempo iniziò ad ostentare
disprezzo per la madre. In realtà il nuovo legame non soppiantò quello originario, anzi ebbe la funzione di
coinvolgere la madre suscitandone la gelosia; egli infatti continuava ad avere una relazione di dipendenza
con la madre.
Molte persone, pur non avendo un orientamento fobico, sperimentano lo stringersi di un legame come
minacciante la loro autonomia. Esiste infatti nella nostra cultura un grado di intransitività fra il mantenimento
dei legami e l’autostima che abbiamo di noi stessi come indipendenti. Nelle strategia ad orientamento fobico
l’intransitività di questo circuito raggiunge livelli elevati rispetto alle altre organizzazioni. Perché si sviluppi
un positioning come quello del soggetto con organizzazione fobica è necessaria una storia familiare che rende
centrale e schismogenetica la dimensione semantica “dipendenza-libertà”, così come è necessario che si crei
uno specifico contesto intersoggettivo.
LA SEMANTICA DELLA BONTA’
I DISTURBI OSSESSIVI
In queste famiglie al centro della dinamica emotiva vi è la contrapposizione fra bene e male. La polarità
semantica critica è “buono/cattivo”, “puro/impuro”, a cui si associano una serie di significati che concorrono
a creare quella che è definita la semantica della bontà. La conversazione in queste famiglie si organizza intorno
a episodi che mettono in gioco la deliberata volontà di fare il male, egoismo, ma anche bontà, purezza. I membri
di queste famiglie si sentiranno buoni, puri o al contrario cattivi, egoisti. Incontreranno persone che li
salveranno, li eleveranno o al contrario persone che li inducono al vizio, a comportamenti scorretti.
La conversazione fra bene e male che domina la conversazione in queste famiglie è opposta a quella
agostiniana: agostino diffonde un’idea ottimistica; come le tenebre sono mancanza di luce, il male è solo
privazione di bene. Per le famiglie di cui ci occupiamo, invece, al contrario, è il bene ad essere privazione del
male → la bontà è “astinente”, perché non è altro che un assenza del male. Buono è chi rinuncia all’espressione
dei propri desideri e alla difesa dei propri interessi, chi si sacrifica, chi si allontana dalla dinamica
pulsionale e non chi è garbato e gentile con gli altri. Cattivo è chi esprime la propria sessualità, le
proprie pulsioni aggressive. La polarità semantica si intreccia con vita e morte e la vita sta dalla parte
del male. Le istanze vitali, sessualità, affermazione di sé, sono il luogo in cui si esplica il male; mentre
sacrificio, rinuncia agli eccessi, vengono identificati con il bene. Le emozioni che stanno alla base di
questa semantica sono “colpa/innocenza” e “disgusto/godimento”. Proprio perché la sessualità e
l’affermazione sono congiunte a violenza e sopraffazione, la loro espressione genera senso di colpa e
disgusto; mentre la rinuncia pulsionale, l’abnegazione è associata a purezza e innocenza.
Guidano e altri cognitivisti hanno sottolineato troppo la freddezza emotiva di questi nuclei. Come per i contesti
fobici, questi autori evidenziano solo un lato della medaglia. Nelle famiglie con disturbo ossessivo osservate
da Ugazio, accanto a persone che contengono emozioni e che sono connotate positivamente, ci sono persone
che vivono emozioni, passioni, impulsi, il punto è che si tratta di impulsi egoisti, malvagi. Il problema di questi
contesti familiari non è quindi la carenza di emotività, ma il modo prepotente, aggressivo che accompagna le
emozioni, laddove e quando sono espresse. Sullivan sostiene che i pazienti ossessivo-compulsivi sanno che i
loro genitori non erano felici, e che almeno uno di essi era nei loro confronti crudele.
Esempio:
Salvatore con grave disturbo ossessivo-compulsivo. Ricorda di aver assistito a scene dove il padre picchiava
la madre, lui e i suoi fratelli. Il padre era incapace di controllare la sua aggressività e sessualità (toccava il
sedere alle donne). Il genitore pulsionale, il padre, esteriorizza i propri impulsi colpevoli verso il partner
astinente, la madre e verso il futuro paziente ossessivo.
Due condizioni emotive rendono impossibile alle organizzazioni ossessive di posizionarsi con gli uni o con gli
altri o collocarsi in posizione mediana: una è segnata da paura/angoscia, mentre l’altra è segnata da
mortificazione/avvilimento.
Sono avvertite quando si rinuncia: sentirsi puro, La paura viene sperimentata da soggetti con
corretto significa per queste persone essere organizzazione ossessiva quando entrano nella
sopraffatti da sentimenti di mortificazione e di vita, esprimono i propri impulsi e quindi sentono
annullamento che generano rabbia e rancore. di essere cattivi. Si tratta spesso di angoscia, in
quanto non si riferisce a qualcosa di preciso.
Sono questi due stati emotivi a impedire al soggetto di collocarsi nell’uno o nell’altro polo. Questi stati emotivi
non riguardano solo le organizzazioni ossessive: la paura è centrale anche per le famiglie con organizzazione
fobica; ciò che contraddistingue le organizzazioni ossessive sono i contesti specifici in cui sono sperimentate
tali emozioni. Il soggetto con organizzazioni ossessiva è l’unico, all’interno della famiglia, a sperimentare
queste due condizioni emotive.
- Alla base delle paure e delle angosce degli ossessivi vi sono pericoli ben precisi: perdere il legame con le
figure di attaccamento e il rischio di punizioni alla propria integrità fisica e sessuale.
- I sentimenti di mortificazione/avvilimento derivano dalla rinuncia agli impulsi e desideri. Per il soggetto
ossessivo astenersi dal coinvolgimento pulsionale significa annientarsi.
Anche quando la riflessività del circuito non produce l’oscillazione critica tra percezioni di sè buono e sé
cattivo, il soggetto con organizzazione fobica si trova in quella posizione mediana tra i due estremi. Si tratta
di una peculiarità specifica di questa organizzazione. I soggetti fobici tendono a costruire la propria identità
privilegiando o l’estremo della libertà o l’estremo dell’attaccamento; oscillano tra i due solo quando la
riflessività è massima. Il soggetto ossessivo invece non si costruisce né all’interno della polarità purezza, ne
all’interno della polarità cattiveria: si mantiene in posizione mediana.
Chi si colloca nella posizione mediana si esprime sbilanciandosi verso l’uno e verso l’altro estremo;
solo così si definisce come partner e partecipa alla conversazione. Per le persone con
organizzazione ossessiva, spostarsi nella direzione della purezza significa avvertire mortificazione,
rabbia e rancore; spostarsi nella direzione cattiveria comporta il rischio di punizione. Questi
spostamenti e oscillamenti sono contenuti e bilanciati. Quando però la riflessività del circuito è
massima, qualsiasi oscillazione diventa inaccettabile e il soggetto entra nella zona di naufragio di
mezzo. A questo punto il dubbio, la ricerca di certezze e la paralisi decisionale diventano invasivi.
Di fronte all’impossibilità di trovare un positioning accettabile sia nel polo astinente che in quello
pulsionale, l’ossessivo si attesta sulla propria immobilità. La funzione dei dubbi è quindi quella di
paralizzarlo. È in questa posizione di mezzo e di immobilità che compaiono i sintomi:
- Ossessioni: esprimono impulsi proibiti (pensieri e immagini sessuali, impulsi aggressivi)
- Compulsioni: comportamenti ripetitivi, finalizzati a placare l’angoscia (lavarsi le mani …)
Con lo sviluppo dei sintomi il paziente fa quello che faceva prima: si sbilancia tra i due estremi. Il
bilanciamento ora è però egodistonico, non è più il soggetto a decidere, sono i sintomi a imporsi contro la sua
volontà. Grazie ai sintomi, la riflessività del circuito è contenuta e il soggetto evita sia la punizione sia la
rinuncia totale. La mancanza di naturalezza e di spontaneità è attribuibile alla posizione mediana. La persone
con questa organizzazione esprimono l’assenza di naturalezza nella postura, nel linguaggio, nello stile del
pensiero: il bambino ossessivo è infelice, forzato, privo di naturalezza e di spontaneità; così come l’adulto
appare cupo, triste.
Queste due strategie tendono ad essere messe in crisi da eventi abbastanza diversi. La prima da episodi che
rendono obbligatoria l’espressione dei sentimenti proibiti, nella seconda strategia assumono il valore di eventi
critici tutte quelle situazioni che mettono in crisi i principi che consentono al soggetto di segmentare il mondo
in buoni e cattivi.
TRIANGOLO ORIGINARIO
1) Come mai il soggetto non può abbracciare la via dell’ascesi? Perché deve vivere come mortificazione la
rinuncia ai propri impulsi?
2) Che cosa impedisce alle persone ossessive di essere cattive, di dedicarsi al vizio?
Alcuni membri di queste famiglie scelgono la via del sacrificio senza per questo essere colti da sentimenti di
annientamento, altri vivono le loro pulsioni senza essere minacciati da paura e angoscia. Perché queste strade
sono invece, ineludibili e bloccate per il paziente ossessivo?
La psicoanalisi classica risolve questi interrogativi all’interno della dinamica intrapsichica. Si pensi al caso
“dell’uomo dei topi”: Freud prende in esame eventi dell’infanzia e della vita attuale del paziente; non
trascurando il qui ed ora. Nel ricostruire le cause della malattia prende il considerazione
l’ostilità del padre all’unione del figlio con la donna amata, arrivando ad avanzare il
concetto di effetto pragmatico del sintomo.
Ugazio non è incline a riconoscere al complesso edipico l’universalità e l’importanza che la psicoanalisi
classica gli attribuisce, tuttavia nei soggetti ossessivi i desideri edipici sono spesso palesi; quindi, quali
caratteristiche della configurazione di relazioni familiari in cui si sviluppano le organizzazioni ossessive
sollecitano i desideri edipici?
La tesi che i disturbi ossessivi siano connessi a specifici pattern di relazione madre-figlio è stata avanzata da
diversi studiosi sia psicodinamici che cognitivisti:
Per Adams i genitori dei bambini ossessivi sono Ipotizzano nell’infanzia dei soggetti ossessivi
ambivalenti verso i figli e ne svalutano gli impulsi pattern di attaccamento resistente-ambivalente o
sessuali e aggressivi. Sviluppano pratiche ansioso-evitante. La connotazione negativa, da
educative fondate su regole sociali rigide. Sono parte dei genitori, di sessualità e aggressività è
determinati ad ottenere un’ubbidienza vista come un pattern di svalutazione dei
automatica, senza rispetto per ciò che il bambino comportamenti emotivi, espansivi e spontanei, a
sente e comprende. Sono incapaci di assumere il vantaggio di atteggiamenti pseudo-maturi.
punto di vista del bambino e di adeguare le loro
richieste all’età del piccolo.
Secondo Ugazio il quadro fornito da questi psicoterapeuti non fornisce una spiegazione adeguata a spiegare il
dilemma dei soggetti ossessivi, con la loro oscillazione tra paura/angoscia e mortificazione/avvilimento. Le
ipotesi avanzate da psicodinamici e cognitivisti si limita alla figura principale di attaccamento, la loro è
un’analisi diadica, perché non differenzia la posizione dei due genitori. Per Ugazio, invece, entrambi i genitori
sono essenziali per la comprensione di questa organizzazione. Dall’analisi di Ugazio emerga un contesto
intersoggettivo triadico, entro il quale prende forma e acquista significato la posizione difficile del paziente
ossessivo e il dilemma che la caratterizza.
- Padre e madre si trovano ai due estremi della semantica critica, e la relazione di coppia è caratterizzata da
processi schismogenetici complementari che rendono il conflitto acuto. Spesso il conflitto è esplicito e la
madre è in una posizione sacrificale, mentre il padre è identificato come cattivo. (es. Raffaella con pensieri
e immagini intrusive: descrive la madre appassionata di cinema, lettrice. Il padre invece commerciante,
volgare e prepotente)
In alcuni casi la madre si trova nella polarità negativa della semantica critica (es. nella famiglia di
Francesca la madre è indice di carnalità e trivialità, mentre il padre era emotivo, un letterato)
- La posizione di superiorità che gli è attribuita stimola il bambino al confronto e alla competizione con
l’altro genitore. Il bambino è dichiarato dalla figura di attaccamento superiore all’altro genitore. Per questo
motivo è indotto a pretendere per sé, dalla figura di attaccamento, lo stesso trattamento che è concesso al
genitore pulsionale. Più il bambino è in posizione di superiorità, tanto più la pretesa di uguaglianza con il
genitore pulsionale aumenta. Il genitore pulsionale, del frattempo, da un’interpretazione malevola dei
comportamenti del bambino: legge come seduzione sessuale la ricerca di vicinanza del bambino con il
genitore preferito o come prepotenza le sue richieste. Inoltre, la sua malevolenza è acuita dalla gelosia e
dall’irritazione per la posizione di superiorità che il partner accorda al figlio. Questi aspetti contribuiscono
a indurre il bambino a percepire in sé pulsioni sessuali e aggressive.
- Il dramma nasce non appena il bambino tenta di esprimere le sue pulsioni. Il genitore astinente, figura di
attaccamento, lo rifiuta perché vede in lui i comportamenti odiati nel coniuge. Si tratta di un rifiuto astioso
e violento. Il genitore astinente, che sopporta i comportamenti egoisti o cattivi del partner, perché ne è
attratto, non è disposto a subire analoghi comportamenti da parte di un bambino. La ripulsa della figura di
attaccamento ferisce la figura di attaccamento per diversi motivi:
a) È carica di un astio proporzionato al gesto che l’ha suscitata. È quindi incomprensibile per il bambino.
b) Esprime disgusto per il fatto che il bambino provi impulsi colpevoli. Non si tratta di un rifiuto di certi
comportamenti del bambino e della loro proibizione, ma di una ripulsa del bambino come persona
c) Riporta il bambino, improvvisamente e incomprensibilmente, in una posizione gerarchica inferiore
Come risultato di questa configurazione relazionale, per il bambino mantenere la propria posizione di
privilegio nei confronti della figura principale di attaccamento significa disconoscere in sé, negare, quegli
impulsi che proprio il confronto paritario con l’altro genitore, prodotto dalla posizione di privilegio, alimenta
e rende ineludibili. Questa configurazione spiega perché al futuro ossessivo la via dell’ascesi e quella
dell’espressione degli impulsi siano, nello stesso tempo, ineludibili e bloccate. Il confronto paritario con il
genitore pulsionale e l’interpretazione malevola che questi da del suo attaccamento al genitore preferito
inducono il bambino a riconoscere e a sperimentare in sé i desideri colpevoli. Non gli è quindi possibile
collocarsi nella stessa polarità semantica del genitore preferito e seguirne la via della bontà astinente, senza
sperimentare sentimenti di mortificazione. Tuttavia, anche l’espressione degli impulsi genera nel futuro
ossessivo livelli di angoscia inaccettabili.
Quando il genitore preferito è del sesso opposto i desideri proibiti assumono di regola valenze edipiche. Ma il
contesto relazionale è ben più complesso della costellazione interpersonale di tipo edipico. Nella costellazione
edipica la gerarchia fra le generazioni è minacciata dai desideri sessuali del bambino verso il genitore del sesso
opposto; al contrario, nella configurazione triangolare i desideri edipici minacciano di ristabilire, in modo
drammatico, il confine tra le generazioni, togliendo al bambino la posizione di privilegio di cui gode.
La collega, la rabbia che il futuro paziente ossessivo Ciò che scatena l’odio del paziente ossessivo verso
sviluppa verso l’adulto con cui ha il legame la figura principale di attaccamento sono le rinunce
preferenziale e i sentimenti di colpa che lo a cui deve sottostare per essere approvato e amato da
affliggono, derivano dalle frustrazioni e questa figura e le invalidanti ripulse di cui è oggetto
dall’impotenza che il bambino esperisce nel suo non appena esprime le proprie pulsioni.
ruolo di partner consolatorio: la madre non si Il genitore preferito di tali soggetti è una figura meno
consola. Il bambino non è in grado di colmare i vuoti espansiva, ma capace di tenerezza e benevolenza.
e le sofferenze prodotti dal partner fuggitivo. Il Inoltre, fornisce al figlio una notevole gratificazione.
genitore preferito di tali soggetti è affettuoso ed
empatico
Esempio 1: Salvatore:
Salvatore, soggetto con ossessioni e compulsioni sempre più invasive (paura di investire qualcuno, di essere
contaminato). Quando stava bene era oppresso e bloccato dalla paura e dall’angoscia; quando si comportava
in modo irreprensibile era devastato da sentimenti di avvilimento.
Contesto intersoggettivo originario:
è il quinto di sei figli maschi. I genitori sono in posizioni polarmente opposte rispetto alla semantica critica e
alle altre polarità semantiche salienti nella famiglia (forza/debolezza, impulsività/riflessività). Il padre è
sessualmente vivace, caldo, con il vizio di toccare il sedere alle donne; la madre buona e affettuosa. È in
rapporto all’opposizione polare dei genitori rispetto a quasi tutte le dimensioni semantiche che Salvatore e i
suoi fratelli avevano costruito la loro posizione nella famiglia. 3 di loro erano più vicini alla semantica della
bontà, 2 alla semantica della cattiveria: solo Salvatore aveva sviluppato un disturbo ossessivo. L’altro
paziente della famiglia era il fratello Rosario, paranoico che dall’età di 12 anni assumeva antipsicotici.
Pur essendo legato alla madre Salvatore non era mai riuscito a condividere con lei la scelta della bontà
astinente per tre ragioni:
1. Il rapporto con Rosario: Rosario trasmetteva a Salvatore tutte le angosce e lo ha stimolato precocemente
alla sessualità e all’aggressività.
2. Il padre: era aggressivo verso tutti i figli, ma maggiormente con Salvatore. Lo infastidiva la sua vicinanza
con la madre, per lui questo attaccamento era sospetto.
3. Somiglianza fisica tra Salvatore e il padre: questa somiglianza aveva stimolato i genitori a interpretare i
comportamenti di Salvatore come animati dalle intenzioni e pulsioni paterne e fu all’origine delle ripulse
e offese della madre.
L’insieme di questi fattori ha fatto si che Salvatore non poté mai percepirsi come buono e puro.
Salvatore, inoltre, aveva fruito, rispetto ai fratello, di una posizione privilegiata. La madre lo aveva sempre
considerato un interlocutore interessante e più affidabile del marito. Tuttavia, salvatore, a causa della sua
indole, si scontrava spesso con le ripulse della madre, rischiando di passare da una posizione di privilegiato
ad una di infetto.
Qual è l’esordio sintomatico?
L’esordio sintomatico avvenne quando egli si trasferì al nord. Era innamorato di Iole, ma si sentiva anche in
colpa in quanto la madre non accettava molto questa relazione. Inoltre, si sentiva minacciato dal padre, il
quale si era innamorato di Iole. Quando si trasferì fu felice perché avrebbe salvato la relazione con Iole e
senza perdere quella con la madre. Fu felice, ma si trovò in un campo minato: non riusciva ad avere il
controllo, la madre lanciava messaggi di opposizione, non riusciva a contenere l’ansia e la paura e Iole lo
lasciò.
Esempio 2: Natascia
Natascia è una bambina di 11 anni che fino a tre mesi prima era serena e socievole. Oggi Natascia sente in
sé una parte buona e una parte cattiva. Sta vivendo emozioni perturbanti: la sofferenza ha addirittura
modificato i suoi lineamenti, la sua voce e la sua postura. La parte cattiva che se ne frega di tutto sta per avere
la meglio.
Contesto intersoggettivo:
quando Natascia nasce i suoi genitori sono in crisi per la depressione della moglie; ed è proprio la depressione
della moglie a introdurre nella famiglia la semantica della bontà. La madre era sempre stata sorridente, solare
e piena di energie, ma dopo il primo trasferimento cadde in depressione. Non si occupa più della famiglia, ne
delle figlie. I problemi vengono risolti dal padre, così come l’accudimento delle figlie. Quando esce dalla
depressione non recupera più il rapporto con le figlie, ma si occupa solo di se stessa. È in questa situazione
che Natascia è cresciuta. Tra lei e il padre si sviluppa un rapporto molto stretto: lei non ha mai avuto una
madre e lui ha una moglie assente. Padre e figlia fanno diversi viaggi insieme, la figlia fa trovare il caffè al
padre quando torna dal lavoro, e il padre si sente molto aiutato da lei → la barriera generazionale è infranta,
anche se non c’è erotizzazione tra padre e figlia. Natascia cerca di essere una partner conversazionale
adeguata per il padre; è orgogliosa del suo positioning prestigioso. Nonostante finisce per assumere una
posizione gerarchicamente superiore alla madre e un rapporto prioritario con il padre, non le viene spiegato
che sua madre è depressa: Natascia pensa che sua madre è cattiva (come lei), mentre il padre è buono.
Quando l’esordio sintomatico?
Oggi Natascia non riesce più a stare nel polo della bontà come suo padre. Con l’arrivo a Milano iniziano i
suoi disagi: non va più bene a scuola e continua a lamentarsi. La madre non si è accorda di niente, il padre
ammette di essere stato poco attento perché cercava di ricostruire il rapporto con la moglie. La nuova
atmosfera familiare con l’arrivo a Milano ha cambiato il positioning di Natascia nella famiglia: la Natascia
buona che prepara il caffè al padre non c’è più perché non è più necessaria; il padre è aiutato dalla madre.
Negli ultimi mesi Natascia è ostile verso il padre: l’idillio è infranto. Qual è l’episodio critico che ha innescato
l’esordio sintomatico? Il padre per cercare di risolvere i problemi chiama la sorella chiedendo di tenere
Natascia a Salerno, visto che a Milano non si trovava bene. Ascoltando questa telefonata Natascia ne rimane
agghiacciata. È per lei una ripulsa immotivata e ingiusta. Già il padre ha ritrovato la madre, facendole
perdere la posizione elevata di cui godeva, ora si vede rifiutata e spedita dalla zia. La rabbia verso il padre
esplode, allontanandola dal polo della bontà.
LA BONTA’ ASTINENTE
Alla base delle organizzazioni ossessive vi è una premessa presente nella nostra cultura: l’idea che il bene sia
privazione di male. Per la psicoanalisi il bene è astinenza di male, Freud non segue Agostino e Tommaso
d’Aquino, per i quali il bene è assenza di male; la sua fonte di ispirazione è Schopenhauer, il quale esprime nel
modo più radicale l’idea di bontà “astinente”. Per lui il mondo è volontà insaziabile di vivere, è il crudele,
egoistico, irresistibile impeto che pervade e agita tutto l’universo. Il bisogno di dolore, e il suo appagamento
ci libera da una privazione per restituirci a una nuova sofferenza, o ci fa piombare nella sazietà e nella noia.
La vita, di conseguenza, oscilla tra il dolore e la noia. Proprio come nelle organizzazioni ossessive, l’istinto
sessuale e l’affermazione di sé sono considerati da Schopenhauer come intrinsecamente malvagi. La prima
manifestazione della volontà di vivere è l’istinto sessuale: i genitali costituiscono il fulcro della volontà di
vivere. Per lui la volontà di vivere, e quindi il male, possono essere superati attraverso l’arte e l’ascesi:
nell’esperienza estetica l’individuo si stacca dalle catene della volontà, si allontana dai suoi desideri; l’arte è
liberatrice perché porta fuori dal mondo delle pulsioni. Ma la liberazione offerta dall’arte è provvisoria, legata
ai momenti della contemplazione estetica. Al contrario, nell’ascesi, la volontà di vivere, radice del male, viene
fronteggiata direttamente; con questo termine intende l’annientamento intenzionale della volontà. La voluntas
diventa noluntas: castità, che libera l’uomo dalla più primitiva realizzazione della volontà di vivere. La rinuncia
all’impulso a generare, il sacrificio e tutte le forme di mortificazione del volere sono strumenti
che procurano la pace più profonda.
La via della bontà astinente è difficile, non attribuendo al bene una realtà positiva, Schopenhauer finire per
conferire alla volontà di vivere un ruolo prioritario: sia come impeto che muove l’universo, sia come nemico
da abbattere. Tra Agostino e Tommaso da un lato, e Schopenhauer dall’altro c’è di mezzo la filosofia dell’io
pensante. L’identificazione della vita con il male e l’idea di bontà astinente si fondano sulla stessa concezione
individualista dell’uomo che è alla base della libertà come indipendenza dalle relazioni.
LA SEMANTICA DEL POTERE
I DISTURBI ALIMENTARI
Il contesto familiare in cui si sviluppano anoressia e gli altri disturbi alimentari psicogeni introduce ad un
universo semantico completamente diverso da quello delle organizzazioni fobiche e ossessive. L’idea di libertà
dalla relazione è estranea in queste famiglie, così come è assente il conflitto tra bene e male. Quello che domina
la conversazione è la semantica del potere: dove c’è chi vince e chi perde, chi ha successo, chi sa imporsi in
famiglia e chi invece si arrende. Accanto a vincente/perdente,
un’altra polarità che caratterizza queste famiglie è quella di
volontà/arrendevolezza, la quale è subordinata gerarchicamente
alla prima secondo un rapporto mezzo-fine: si è vincenti perché si
è volitivi, determinanti, efficienti; mentre si è perdenti perché si è
passivi, arrendevoli. Vincente/perdente è una dimensione con una
peculiarità che la distingue dalle polarità delle altre organizzazioni:
il suo contenuto è puramente relazionale; è possibile considerarsi
vincenti o perdenti solo rispetto agli altri. Non è una polarità
percepibile come un tratto individuale, essa è l’esito di un
confronto.
Le famiglie entro le quali si sviluppano le psicopatologie alimentari sembrano confermate l’ipotesi di Festinger
che esiste nell’uomo un impulso a valutare le proprie opinioni e abilità in base a quelle degli altri; l’uomo
avrebbe una sorta di istinto al confronto sociale. In queste famiglie il confronto, con i criteri di riuscita e i
conflitti competitivi che ne conseguono, guida sia le relazioni interne al nucleo, sia quelle con la parentela. La
ragione dell’attenzione selettiva che queste famiglie attribuiscono alla semantica del potere va spesso ascritta
a una storia di caduta e di riscatto sociale o differenze di “rango” tra le famiglie di provenienza.
Esempio:
Viola, sedicenne anoressica. I suoi genitori sono entrambi laureati, eppure nella percezione della famiglia
appartenevano a due razze diverse: la madre era colta, raffinata come i suoi genitori con i quali condivideva
la passione per il cinema, la musica, il teatro. Il padre, invece, era l’unico laureato nella propria famiglia di
origine, era rozzo e campagnolo.
Poiché la polarità che è al centro della semantica di queste famiglie è puramente relazionale, la relazione con
l’altro è percepita, in ogni momento e in ogni circostanza, come centrale per la definizione del proprio sé. In
queste famiglie sono tutti attenti al giudizio degli altri, ai criteri di riuscita sociale, alle appartenenze sociali.
Questa attenzione all’alto e al suo giudizio rende i membri etero-attributori: essi tendono a considerare i propri
comportamenti come una risposta a quelli degli altri. Questa tendenza è massima nell’anoressia-bulimia. Le
anoressiche secondo la loro esperienza, agiscono solo in risposta a richieste provenienti dagli altri, non hanno
mai la sensazione di fare le cose perché le vogliono fare.
La polarità critica vincente/perdente rende la definizione della relazione tra i membri del nucleo e i conflitti
relativi assolutamente centrali. La lotta per la definizione della relazione è un argomento costante della
conversazione in queste famiglie: l’oggetto del contendere, i contenuti del conflitto sono di regola irrilevanti,
mentre chi ha la supremazia è ciò che conta. I processi schismogenetici, le competizioni non lasciano tregua
ai membri di queste famiglie, c’è chi riesce e chi soccombe, chi ha successo e chi è sconfitto: nessuno sfugge
al confronto e di conseguenza nessuno può adagiarsi nella propria posizione.
Proprio perché il confronto regola le relazioni, la definizione delle relazioni tra i membri della famiglia è
instabile e di conseguenza le identità dei membri sono insicure; un’identità sicura richiede una stabilità nelle
relazioni fra i vari membri della famiglia:
Nei contesti familiari in cui si sviluppano nevrosi Al contrario, nelle famiglie in cui si sviluppano i
ossessive-compulsive anche i membri che si disturbi alimentari chi è nella posizione perdente non
collocano nell’estremo della malvagità accettano la accetta la resa. Nessuno può accettare che lo scacco
definizione di sè conseguente: si considerano loro definisca la propria identità. Accettare la propria
stessi egoisti e arroganti e spesso esibiscono queste posizione, per chi si colloca nella polarità “perdente”
caratteristiche con piacere. Anche nelle famiglie con equivarrebbe ad ammettere “io sono la mia
organizzazioni fobiche chi si colloca nell’uno o sconfitta”. Per questo motivo coloro che si trovano
nell’altro estremo non rifiuta la definizione in questa posizione, se non hanno possibilità di
conseguente. È solo il soggetto fobico che fatica a scalzare i vincenti, ridefiniscono la propria sconfitta
trovare una collocazione in uno degli estremi come sacrificio, sviluppando con coloro che si
collocano nella stessa polarità e con gli stessi
vincenti, escalation sacrificali
Proprio perché i perdenti non possono accettare la propria sconfitta, i vincenti non possono mai cessare di
lavorare alla conservazione della propria superiorità. Tutte le loro energie saranno dedicate a mantenere e a
esibire i segni e i simboli che li rendono superiori. Soprattutto in famiglia, la via seguita dai vincenti consiste
nel presentare se stessi e i comportamenti che li rendono superiori in termini di oblatività: lavorano tutto il
giorno per il bene della famiglia, sono attivi nella comunità, mantengono contatti sociali. Nessuno in famiglia,
però, crede alle loro buone intenzioni, tanto che anche loro dubitano di loro stessi.
Le persone che appartengono a queste famiglie desiderano differenziarsi gli uni dagli altri. Il processo di
esteriorizzazione delle caratteristiche individuali risulta però ostacolato: dato che ogni definizione di sé è
connotata in termini di più o meno, le differenze con gli altri sono subito colte, ma temute, negate e osteggiate.
Le differenze non sono al servizio della cooperazione, al contrario, servono all’affermazione della propria
superiorità di contro gli altri membri del nucleo, alla prevaricazione o sono un indizio del proprio scatto, della
propria disfatta. Per questo motivo, in queste famiglia la differenziazione individuale è ostacolata.
Minuchin, Rosman e Baker hanno definito con il termine “invischiamento” questa dinamica famigliare, che
ostacola l’emergere del sentimento di essere separati, favorendo una scarsa demarcazione fra sé e gli altri.
Questa semantica familiare è la conseguenza della particolare organizzazione semantica di queste famiglie,
centrata sul confronto competitivo. quando la competizione raggiunge livelli estremi, le differenze individuali
scatenano escalation competitive e quindi devono essere ostacolate perché rappresentano una minaccia alla
coesione del gruppo. La rilevanza che assume in questa famiglia la semantica del potere spiega anche un
aspetto caratteristico della comunicazione di questi nuclei: l’elevatissima frequenza dei rifiuti
L’anoressia con la sua emaciazione consente alla famiglia di trovare una leadership: la malattia rappresenta un
potere più grande in grado di governare finalmente la famiglia.
Le escalation simmetriche tra i genitori sono presenti anche nelle famiglie con altri disturbi alimentari
psicogeni. A volte si tratta di schismogenesi simmetriche tra genitori vincenti, in altri casi i genitori sono
entrambi perdenti e alimentano le escalation sacrificali. Anche quando i genitori si collocano su due polarità
opposte, uno vincente e l’altro perdente, la schismogenesi non è mai complementare, ma simmetrica: la
superiorità del coniuge vincente non è di regola riconosciuta dal coniuge perdente, per il quale si tratta di
superiorità illegittima. I successi del partner non sono negati, ma destituiti di valore: chi è vincente ha una
posizione importante al lavoro, in politica perché ha trascurato completamente la famiglia, perché è furbo. Il
partner perdente fa spesso appello a un ordine morale.
Il dilemma, che assume le caratteristiche del circuito riflessivo bizzarro, si verifica quando sia adeguarsi sia
opporsi diventano inconciliabili con il mantenimento di una percezione definita di sé. Uniformarsi alle
aspettative degli altri, significa per la persona che sperimenta il dilemma, essere passivo, perdente. Opporsi
comporta recuperare un senso di efficacia personale, ma equivarrebbe ad essere rifiutati, e quindi implica
perdere la conferma dell’altro e con essa il sentimento della propria individualità. Più la riflessività del circuito
aumenta, più l’uniformarsi alle aspettative delle figure significative è sentito come un cedimento, una sconfitta.
Ma anche opporsi, entrare in escalation simmetrica, comporta la perdita della percezione definita di sé che
soltanto la conferma è in grado di assicurare. Quando la riflessività del circuito è massima l’individuo oscilla
tra “adeguarsi” e “opporsi senza trovare una validazione del proprio sé: adeguarsi equivarrebbe ad essere
sopraffatti, umiliati, ma opporsi equivarrebbe a privarsi della conferma della figure di riferimento
Questo momento di enorme disagio coincide con l’esordio sintomatico. La riflessività del circuito viene, grazie
ai sintomi, contenuta: attraverso il vomito e il digiuno, le anoressiche e le bulimiche, si oppongono alle figure
principali di attaccamento intensificandone contemporaneamente il rapporto. Il cibo
diventa un’area di scontro e di combattimento dove la paziente non si adegua alle
richieste. Vomito e digiuno rappresentano una sfida ai genitori perché questo è il
significato attribuito loro dalle famiglie in cui si manifestano i disturbi alimentari. I
genitori si sentono messi in discussioni, colpevolizzati, umiliati da anoressia e obesità.
In virtù della semantica del potere, il disturbo del figlio è vissuto dai genitore come una
sconfitta personale. La condizione del figlio riporta l’anoressica nel ruolo di figlia e la
coppia in quello di genitori anche se la ragazza è in una fase del ciclo di vita nella quale
la relazione con i genitori dovrebbe ridefinirsi in modo più paritario e allentarsi per
lasciare spazio alla costruzione di nuovi legami.
Il dilemma può essere elaborato in modo adattivo; è quanto accade nel periodo pre-morboso. L’assetto di vita
attuale di queste persone rivela la presenza di modelli di funzionamento svariati con stili di adattamento
riassumibili in due tipi, sono stili che consentono ai soggetti un adattamento del tutto normale, spesso
soddisfacente, a volte limitante:
Coloro che si collocano nel polo vincente, come le L’adolescenza è difficile anche per chi si colloca nel
anoressiche e bulimiche, per mantenere la loro polo dei perdenti, come accade ai futuri obesi. questa
posizione si trovano ora a competere con le stesse fase non è però così critica come per chi si colloca
figure della cui conferma hanno bisogno. Inizia nel polo valorizzato della famiglia. Anche per questi
una rivalità con i genitori: il terreno del contendere ragazzi i controlli posti dagli adulti sono
può essere la bellezza, le capacità sportive, comportamenti prevaricatori. Tuttavia, il conflitto
l’intelligenza, l’eleganza. I contenuti sono con gli adulti, soprattutto quelli in posizione
irrilevanti quando prevale la semantica del potere, autorevole, non è per loro così destabilizzante,
quello che conta è chi vince. Non sono solo i figli perché opponendosi a queste figure definiscono la
a competere con i genitori, anche questi ultimi propria individualità. Con l’adolescenza il dissenso
vivono i figli come minaccianti: abituati a proporsi verso gli adulti attivi, vincenti, da indiretto diventa
come modelli, si sentono detronizzati della loro palese, trasformandosi in ribellione. Spesso questi
importanza. Inoltre, i genitori, come di norma, adolescenti esibiscono in famiglia comportamenti
controllano le frequentazioni dei figli per tutelarli, provocatori e a volte assumono con i coetanei il ruolo
così come impongono limiti di libertà. Controlli e di leader negativi. In questo contesto, dove i rifiuti
limiti sono fastidiosi per gli adolescenti, in quanto sono frequenti, i ragazzi sono di fronte al pericolo di
sono interpretati come sopraffazioni. Il controllo è ritrovarsi con una percezione di sé così negativa da
visto come un tentativo di dominio. La relazione risultare inaccettabile. Questo rischio è mitigato da
viene quindi letta in termini di inferiorità e due aspetti del loro positioning: non sono
superiorità. Accettare una relazione minaccianti non ambiscono a ottenere un ruolo tra i
complementare è sentito come passività e vincenti; intensificano il conflitto con gli adulti
comporta intransitività con l’immagine positiva di vincenti ma non perdono il legame con la figura di
sé, ma opporsi significa perdere le conferme. attaccamento collocata nel polo perdente.
Il dilemma ipotizzato da Ugazio, come caratteristico dei disturbi alimentari, quindi, non sembra emergere
nell’infanzia. Esso si delinea nell’adolescenza o nella preadolescenza. L’adolescenza, con i normali compiti
evolutivi che la caratterizzano e gli inevitabili cambiamenti nella relazione genitori-figli, è tale da alimentare
i conflitti fra sé e relazione tipici del circuito bizzarro. Questi conflitti diventano dirompenti per chi si colloca
nel polo valorizzato della semantica del potere. La lotta per la definizione della relazione con i vincenti
minaccia di privarsi delle loro identità, li induce ad adottare comportamenti oppositivi che mettono in pericolo
la loro collocazione nella famiglia. Queste ragioni contribuiscono a spiegare come mia anoressia e bulimia
insorgano più frequentemente nell’adolescenza di quanto accade per l’obesità.
I casi con uno sviluppo della sintomatologia relativamente tardivo indicano che il mantenimento
anche di un solo legame confermante fornisce a queste persone la sicurezza necessaria per
fronteggiare adattivamente il dilemma tra sé e relazione. Finché la configurazione relazionale
consente il mantenimento di ameno un legame confermante, la riflessività del circuito bizzarro si
mantiene entro limiti tali da evitare slittamenti psicopatologici. È solo a un certo punto della storia
familiare che la riflessività del circuito assume proporzioni tali da generare nel soggetto una vera
e propria psicopatologia.
- La figura confermante delle anoressiche e delle bulimiche a peso ideale si colloca di regola
nella polarità vincente: come loro è attiva e volitiva. Essa coincide per le anoressiche con la
madre o con un altro membro della famiglia con funzioni accudenti
- per le bulimiche questa funzione confermante è assunta dal padre, o da un altro familiare che
non svolge funzioni accudenti.
- L’adulto che garantisce ai futuri obesi il legame confermante è invece in posizione perdente.
Non ha un ruolo di accudimento, tuttavia fornisce al soggetto supporto emotivo
Gli eventi che accompagnano l’esordio vedono il paziente al centro di un processo istigatorio il cui esito è una
doppia delusione: sia la figura bersaglio dell’istigazione, sia chi con le sue critiche ha indotto il paziente ad
allontanarsi da questa figura lo deludono. Il paziente si trova solo, senza legami in grado di fornire conferme
per la validazione del proprio sé.
Il processo che conduce le persone alla psicopatologia conclamata può essere segmentato in 5 fasi:
1) Il bersaglio dell’istigazione è un genitore collocato in posizione vincente, quindi attivo e determinato. Per
le anoressiche e per le bulimiche coincide con il legame confermante. Il futuro paziente viene istigato
contro questo genitore da familiari in posizione perdente (nonni, zii, fratelli); può accadere che questo
ruolo sia svolto anche da persone esterne alla famiglia, accreditate dal genitore confermante
2) Nel corso dell’istigazione, il futuro paziente diventa un interlocutore privilegiato per l’istigatore e per lo
schieramento dei perdenti. Inizialmente questa posizione ha un valore confermante non solo per i soggetti
collocati nella polarità negativa, ma anche per quelli posti tra i vincenti. I primi si trovano al centro di
attenzioni di cui non erano avvezzi, i secondi sono lusingati dalla nuova posizione di interlocutore
privilegiato (l’istigatore anche se perdente è pur sempre un adulto). In questa fase il soggetto riceve
conferme da entrambi gli schieramenti
3) L’istigatore non coincide, di regola, con uno dei genitori. Le sue critiche sono però sostenute,
indirettamente o direttamente dall’altro genitore. Quest’ultimo svolge nel processo una funzione di
appoggio all’istigazione
4) L’istigazione trova terreno perché il genitore che ne è il bersaglio conferma le critiche che gli vengono
rivolte con la sua intolleranza verso gli attacchi del figlio. I comportamenti emotivi che avvalorano agli
occhi del futuro paziente la visione negativa che sta acquisendo del genitore oggetto di critica possono
essere diversi. L’esito è invece comune: il soggetto deluso prende le distanze dal genitore vincente e si
oppone attivamente a lui.
5) Il soggetto, che è ormai diventato paziente, viene deluso dal nuovo alleato e da tutto lo schieramento dei
perdenti. Le ragioni possono essere diverse: il paziente si accorge del malanimo dell’istigatore, scopre di
essere usato contro il genitore. L’esito è univoco: il paziente si allontana dai nuovi alleati ed è solo, avendo
subito una delusione da entrambi gli schieramenti. A questo punto la riflessività del circuito bizzarro
diventa massima. Il paziente, dalla condizione iniziale in cui riceveva conferma da entrambi gli
schieramenti, è precipitato in una situazione in cui la sua esperienza non può più essere validata da alcuna
relazione.
Gli attori coinvolti e l’importanza di ciascuna fase varia in rapporto al tipo di disturbo:
a) Nel caso dell’anoressia è centrale la fase 4, in cui la paziente è delusa dal genitore vincente. Il fatto che
l’istigatore e l’opposto schieramento deludano a loro volta (fase cinque) è emotivamente meno devastante.
La delusione del genitore vincente è invece atroce: quel genitore, di solito la madre, è stato un esempio su
cui la ragazza ha modellato la propria personalità e organizzato il suo universo morale. L’emaciazione
allude a quanto sia centrale per l’anoressica la relazione con la madre: a lei si oppone, ne rifiuta il cibo,
ma nello stesso tempo, attraverso la sua incapacità di alimentarsi, la invita ad assumere verso di lei un
ruolo accudente. Nonostante sia stata disillusa, continua a rimanere ancorata ai comportamenti e ai valori
vincenti.
b) Per le bulimiche sia la disillusione confermante che è di solito il padre (fase 4), sia quella successiva degli
istigatori (fase 5), hanno una risonanza emotiva ugualmente forte. L’allontanamento del padre la porta a
riavvicinarsi alla madre o alle figure accudenti che si collocano in una posizione perdente (come accade
nelle anoressiche l’esordio sintomatico le riporta nel positioning originario). Il sintomo esprime un disagio
più contenuto: rifiutano il cibo, ma di regola non mettono a repentaglio la loro vita. tentando di mantenere
il loro corpo in un’eterna adolescenza, le bulimiche a peso ideale respingono l’identificazione con la
madre: non si lasciano andare come la loro madre, non si rassegnano di fronte alle prevaricazioni, ma lotta
contro la propria debolezza e arrendevolezza
c) Per gli obesi la fase emotivamente più destabilizzante è la fase 5, perché li priva del legame confermante.
Il paziente non aveva mai fatto veramente affidamento sul genitore vincente. Anche l’obeso non si stacca
dei valori della figura di attaccamento: continua a essere anticonformista e ribelle. Tuttavia, il sintomo
allude alla disillusione. L’obesità è una resa ai vincenti. Con il suo grasso l’obeso riconosce di essere dalla
parte sbagliata: passivo, si lascia andare agli impulsi. L’obesità è anche una difesa: mettendo tra sé e gli
altri un muro di grasso l’obeso si preclude una normale vita sentimentale, proteggendosi da coinvolgimenti
emotivi intensi che potrebbero deluderlo.
Le modalità attraverso le quali, nel corso del processo istigatori, si consuma la delusione verso l’adulto
confermante sono diverse nell’anoressia e nella bulimia, rispetto all’obesità.
Mettono alla prova il genitore preferito, verificano Non provocano la delusione dei nuovi alleati né
le critiche che gli istigatori suggeriscono loro. dell’adulto confermante preferito. L’inaffidabilità
Entrambe provocano attivamente la delusione di questa figura e la conseguente delusione sono
mettendo in atto comportamenti che inducono il costruite come eventi esterni annientanti. L’obeso
genitore oggetto di critiche a uscire allo scoperto o non ha avuto alcun controllo su tali eventi.
andando alla ricerca di prove
Le famiglie in cui si originano le organizzazioni del significato tipiche dei disturbi alimentari sono un vivaio
fertile per lo sviluppo delle dinamiche istigatorie, e nello stesso tempo sono vulnerabili a tali dinamiche. In un
universo semantico scandito dalla polarità vincente/perdente l’istigazione appare una mossa inevitabile, ma
anche funesta. Queste famiglie non attrezzano i propri componenti a far fronte a uno degli esiti della dinamica
istigatoria: la perdita dei legami confermanti. In un contesto in cui la dimensione semantica critica è
relazionale, la scoperta dell’inaffidabilità e inattendibilità delle persone in cui il soggetto provava fiducia è
particolarmente destabilizzante.
Famiglia composta da 4 figlie: la primogenita, non ha alcuna patologia, anche se mortifica il suo fisico con
l’abbigliamento, Mara è obesa da tre anni, Sabina è anoressica, mentre l’ultima non ha alcuna patologia ed
è l’unica a mostrare interessi sociali e per i ragazzi. Il disinteresse per l’altro sesse delle prime tre figlie è
importante per la ricostruzione del contesto intersoggettivo che accompagna all’esordio.
- La famiglia sta vivendo una transizione difficile, si sta trasferendo in Italia dopo una permanenza nel terzo
mondo. La madre vive a Milano con le tre sorelle grandi, mentre il padre in Arabia Saudita per lavoro
con la più piccola. Questa è la trama narrativa entro la quale si verificano gli esordi sintomatici di Mara
e Sabina.
- Dinamica di coppia: i genitori provengono da famiglie molto diverse, nelle quali domina la semantica del
potere.
- Permanenza all’estero: vi erano continui conflitti tra i genitori, la madre voleva che il marito lottasse per
la carriera e lui di contro di irritava e rispondeva attraverso il tradimento. Il contesto entro il quale
ciascuna figlia costruisce il proprio positioning era rappresentato, oltre che dal conflitto di coppia, dalle
escalation simmetriche delle famiglie di origine. La prima era come la madre, schietta e diretta
nell’esprimere aggressività; Mara era legata al padre ed era l’avvocato difensore di tutti i perdenti;
Sabina era più sicura della madre, era autoritaria e schietta; la più piccola come il padre detestava gli
scontri.
- Esordio sintomatico di Mara: le figlie non erano a conoscenza dei tradimenti del padre. I genitori strinsero
amicizia con una coppia, Monica e Franco. Monica diventò soprattutto per Mara una sorella maggiore,
una anti-mamma in quanto criticava la madre e si confidava con le ragazze. Le ragazzi si allontanarono
dalla madre, la quale invece si legò sempre di più a Sabina. Monica rivelò a Lucia e a Mara di avere
avuto una storia con il loro padre. Fu un colpo duro per Mara che ingrasso di 20 chili e si sentì delusa
dal padre, con il quale era particolarmente legata.
- Istigazione delle sorelle: le due sorelle si allontanarono dal padre. Quando la madre si accorge del
tradimento alla fine perdona il marito. Il padre, per porre fine ai litigi, accettò il lavoro in Medio Oriente
e la moglie decise di seguirlo, nonostante le figlie erano decise a rimanere a Milano. Lucia e Mara, visto
la scelta della madre, cominciarono ad istigare Sabina, dicendo che la madre era inaffidabile e che per
lei esisteva solo il marito. Sabina decise quindi di mettere alla prova la madre: non sarebbe partita ma
sarebbe rimasta con le sorelle e vinse la battaglia, in quanto la madre decise di rimanere a Milano.
Nonostante questo, la madre era devastata dall’assenza del marito e diventò ostile verso le figlie. Questo
comportamento fu per Sabina una conferma di quanto avevano insinuato le sorelle: per la madre solo il
marito era importante. A questo punto sabina si sentì sola: la madre l’aveva delusa e le sorelle anche per
la loro gelosia: precipitò nell’anoressia.
IDEA DI UGUAGLIANZA COME ABBATTIMENTO DELLE DIFFERENZE
Un grande numero di ricerche epidemiologiche ha documentato che il 10% delle donne soffrirebbe nel corso
della vita di anoressia, bulimia o Bed, mentre per quanto riguarda l’obesità vi è il 33% negli Usa e l’8% in
Europa. In Europa, quindi, soffrirebbero di disturbi alimentari, nell’arco della vita, circa il 25% della
popolazione, mentre in America il 43%. La tendenza temporale delinea che l’obesità continua a crescere,
anoressia e bulimia invece si sono stabilizzate dopo aver raggiunto il picco negli anni ’70,’80,’90.
Sia anoressia e bulimia continua a caratterizzarsi come patologie femminili dell’età giovanile, con una
proporzione fra i due sessi minore di 1 a 9. L’incidenza maggiore per anoressia e bulimia è fra i 12 e i 25 anni.
Si tratta, inoltre, di patologie prevalentemente urbane, più diffuse nelle grandi città e la loro diffusione sembra
riguardare tutti gli strati sociali. Qual è il conflitto che la diffusione dei disturbi alimentari esprime?
- Palazzoli sosteneva l’ipotesi che l’anoressica esprime uno degli errori epistemologici caratteristici delle
società occidentali, la convinzione che esiste un Sé capace di trascendere il sistema dei rapporti sociali di
cui fa parte; si tratta dell’idea di potere e controllo “se la morte è il prezzo da pagare in cambio del potere,
lo pagherò”
- Secondo Gordon attraverso il loro aspetto fisico le anoressiche esprimono un messaggio di rifiuto delle
aspettative sessuali “le mie linee sono dure, non sono morbida, non ho nulla da darti”. I disturbi alimentari
si sviluppano in contesti dove la gerarchia e le differenze sono vissute come illegittime.
I disturbi alimentari portano alle estreme conseguenze conflitti connessi al radicarsi dell’idea di uguaglianza
come abbattimento delle differenze. La diffusione delle patologie alimentari è concomitante con il radicarsi
nella vita dell’ideologia egualitaria. Alcuni studiosi hanno messo in discussione il concetto di uguaglianza:
Dumont e Biral. Per entrambi l’idea di uguaglianza rappresenta una sfida alla comunanza tra gli uomini, perché
spacca le configurazioni d’insieme all’interno delle quali l’uomo per secoli si è pensato. L’uguaglianza da
attributo dell’uomo in quanto figlio di dio e destinato alla comunione con lui, diventa progressivamente un
tratto dell’uomo nel mondo. Ma fu la Rivoluzione francese a segnare lo spartiacque: l’uguaglianza diventò
politica. Si trasforma da contributo dell’uomo in quanto figlio di dio, a dato di fatto.
La polarità semantica vincente/perdente appartiene a un livello diverso dalle altre polarità semantiche. Rispetto
a queste, polarità vincente/perdente è semanticamente povera, il suo contenuto è puramente relazionale, essa
è l’esito di un confronto ed esiste solo nel confronto. La semantica della libertà (organizzazioni fobiche) e la
semantica della bontà (organizzazioni ossessivo-compulsive) rimandano rispettivamente all’idea di libertà e
di bontà astinente. Queste idee, proprio perché guidano le azioni, sono anche valori; essi organizzano i
comportamenti in un universo morale. La semantica del potere, invece, prescinde dai valori: il bene si identifica
con la superiorità in quanto tale e con la volitività che coincide con la determinazione nel raggiungere una
preminenza disancorata dai contenuti. Non stupisce che i disturbi alimentari si siano diffusi via via che i valori
venivano relegati a una dimensione accessoria: ciò che conta è cercare di non essere vinti.
SEMANTICA DELL’APPARTENENZA
LA DEPRESSIONE
Se la carenza di serotonina fosse davvero la causa della depressione, come sostenuto dalla psichiatrica
biologica, questi interrogativi non riceverebbero risposta. Infatti, le ricerche di cui disponiamo, non dimostrano
che la carenza di serotonina eserciti un effetto causale sulla depressione.
L’idea che la causa della depressione risiede in uno squilibrio biochimico endogeno, derivante da carenze di
serotonina, ha dominato la psichiatria negli corso degli anni ’90. Un altro aspetto indiscusso è stato il corollario
secondo cui i trattamenti farmacologici rivolti alla serotonina, gli inibitori selettivi della ricaptazione della
serotonina (SSRI), finalizzati a correggere questo squilibrio chimico, sarebbero stati la risposta appropriata ai
disturbi depressivi. I dati di cui disponiamo dimostrano che circa il 25% dei pazienti depressi presenta balli
livelli di serotonina → se l’ipotesi delle deficienza di serotonina fosse corretta, spiegherebbe solo una parte
dei casi. Ma non è corretta. I balli livelli di serotonina riscontrati in questi pazienti possono essere la
conseguenza, anziché la causa della depressione. Nessuna evidenza empirica ha dimostrato che lo squilibrio
chimico sia la causa della depressione.
I risultati di diverse ricerche hanno dimostrato che i farmaci antidepressivi (Prozac e SSRI) hanno effetti
identici o di poco superiori al placebo. Il dato più preoccupante riguarda gli effetti collaterali dei SSRI: questi
antidepressivi aumentano il rischio di suicidio già elevato nei disturbi depressivi. Questo risultato è stato
dimostrato maggiormente per bambini, adolescenti e giovani adulti. Inoltre, è emerso che questi farmaci
provocano impotenze e altri disturbi sessuali.
Un altro interrogativo riguarda l’inquietante incremento della depressione. Non sono aumentate le persone
depresse, ma le diagnosi e i trattamenti farmacologici per questa psicopatologia perché sono cambiati i criteri
diagnostici. Il DSM-II ha introdotto criteri poco discriminativi e decontestualizzati per la diagnosi di
depressione maggiore che confluiscono in questa categoria diagnostica tanto persone normalmente tristi a
causa di eventi negativi, quanto pazienti affetti da depressione clinica.
- La distinzione psichiatrica fra depressione endogena, causata da processi interni, in assenza di eventi
esterni negativi e la depressione reattiva, scatenata da perdita e altri eventi sociali negativi è ignorata. →
tentando di definire il tipo di sintomi caratteristici, senza far riferimento al contesto entro il quale si
verificano, la psichiatria contemporanea ha caratterizzato la normale sofferenza intensa come un disturbo
psichico. Umore depresso, perdita di interesse, insonni, difficoltà concentrazione possono verificarsi per
un periodo di 2 settimane, a seguito della scoperta di un tradimento, della perdita di una persona cara. In
quanto adeguati al contesto, questi comportamenti non sono sintomi ma reazioni normali
- Anche la differenza tra depressione grave unipolare e quella che si chiamava psicosi maniaco-depressiva
è stata infranta attraverso la creazione di due sottotipi di disturbi bipolari, nel secondo del quale (disturbo
bipolare II) finiscono per rientrare le depressioni unipolari. Non è necessario che il paziente metta in atto
comportamenti maniacali per ricevere diagnosi di disturbo bipolare II, sono sufficienti quattro giorni di
umore irritabile, diminuito bisogno di sonno e aumento di loquacità per soddisfare i criteri di un episodio
ipomaniacale e avere quindi diagnosi di disturbo bipolare.
Non siamo quindi di fronte a un implosione dell’Occidente nella depressione. Le depressioni gravi, unipolari
o bipolari, continuano ad essere infrequenti. Sono cambiati i criteri diagnostici: la tristezza si è trasformata in
un disturbo mentale e la depressione clinica è confluita nell’erede della psicosi maniaco-depressiva.
Le depressioni prese in considerazione da Ugazio sono depressioni gravi che presentano oltre ad umore
depresso, anedonia, ideazioni suicidarie e insonnia persistente (sintomi che distinguono depressione da
tristezza). Tutti i casi presi in considerazione non presentano comorbilità con altra psicopatologia e non sono
inquadrabili in altre organizzazioni psicopatologiche.
La depressione, intesa come sintomo, passa trasversalmente fra le organizzazioni del significato. Difficilmente
ne soffrono le anoressiche, ma molto spesso le persone obese; I fobici possono manifestare disturbi depressivi,
specialmente gli agorafobici, la cui autostima è bassa perché soffrono per la loro dipendenza; fra gli ossessivi
la depressione è molto frequente, spesso chiedono la terapia per la depressione e non per le ossessioni o le
compulsioni; la principale ragione che porta persone con disturbo narcisistico in terapia è la depressione.
Ugazio non si occupa di queste forme di depressione. La semantica e i positioning che il paziente e le persone
per lui importanti assumono dentro la semantica riguardano solo un tipo di depressione, quello delle
organizzazioni depressive unipolari.
Quando il dilemma raggiunge il suo acme, il soggetto oscilla fra due alternative altrettanto inaccettabili:
continuare a mantenere la relazione equivale a essere spregevole, romperla significa uscire dal consorzio
umano. Solitamente, comportamenti aggressivi provocano lacerazioni e rotture, ma allentano la riflessività del
circuito: il soggetto rischia di perdere tutto, ma la riflessività del circuito si è ridotta perché il paziente ha
salvato la propria onorabilità. Sfortunatamente, però, non appena la rabbia si stempera, la disperazione per la
perdita e la conseguente solitudine irrompono.
Per il depresso la solitudine è una condanna, uno stigma. A differenza delle persone con disturbo
narcisistico, più vulnerabili agli attacchi alla loro immagine grandiosa che al vuoto in cui sono
immersi, i soggetti con depressione soffrono terribilmente per il loro isolamento affettivo. Non
provano orgoglio per la loro capacità di cavarsela da soli. Riuscire a stare da soli non è una
conquista, come per i soggetti fobici, è una triste necessità. Finché, però, il soggetto riesce a mettere
in atto comportamenti di riparazione, che gli consentono di ristabilire le relazioni che gli assicurano
l’inclusione, non si ha lo sviluppo delle depressione clinica.
La forte presenza nella dinamica emotiva dei soggetti depressi di un’emozione attiva come la rabbia
contribuisce a spiegare perché è difficile che queste persone siano palesemente tristi o avvilite nel periodo pre-
morboso. Questo tipo di atteggiamento è di regola ritrovato nelle persone con organizzazione ossessiva, nella
fase in cui rinunciano alle proprie pulsioni. Al contrario, le persone depresse, sono di regola attive, energiche;
quando irrompe la depressione, però, la disperazione prende l’intera scena. Allegria e attività cadono e le
persone, diventate ormai pazienti, sono così disperate da non riuscire nemmeno ad alzarsi dal letto.
L’esordio sintomatico avviene a seguito di rotture, separazioni o fallimenti. A volte la risposta depressiva è
immediata, altre insorge più tardi. Rabbia e comportamenti aggressivi provocano nel mondo relazionale del
depresso conflitti, rotture e allontanamenti da relazioni significative.
Il fatto che la depressione conclamata interrompa un ciclo di comportamenti interpersonali distruttivi è stato
documentato da diverse ricerche: accreditano per la depressione l’ipotesi, avanzata da Bateson per l’alcolismo,
che il sintomo abbia una funzione auto-curativa. La depressione avrebbe
quindi un valore adattivo. Costringe il paziente a mettere fine a
comportamenti interpersonali negative. Gli autori attribuiscono funzioni
diverse ai sintomi depressivi: per Hammen si tratta di meccanismi di arresto
della conflittualità; per Prince e Gardner sono espressione di una strategia
involontaria di subordinazione. Al di la delle funzioni diverse, questi
ricercatori concordano nel sostenere che la depressione conclamata inibisce
i comportamenti interpersonali distruttivi e spesso avvia meccanismi di
riconciliazione. Purtroppo, nelle depressioni croniche, la remissione dei
sintomi riapre un nuovo ciclo di comportamenti interpersonali negativi che
provocano una ricaduta.
L’ipotesi che la depressione faciliti il ristabilimento di rapporti interpersonali lacerati dai conflitti spiega come
mai questa psicopatologia sia ciclica. Il paziente, una volta ristabilitosi può ricominciare a creare situazioni
conflittuali che possono degenerare fino a dare luogo a rotture che aprono la strada ad un nuovo episodio
depressivo. Se la funzione adattiva della depressione è ristabilire il legame, una volta raggiunto lo scopo deve
risolversi.
Ugazio individua due configurazioni relazionali ricorrenti nel periodo precedente all’esordio sintomatico;
queste non riguardano i pazienti in cui l’esordio è giocato all’interno della famiglia di origine:
1) La prima vede il paziente in una posizione di 2) Nella seconda configurazione il futuro depresso
esclusione mentre il partner è al centro di tutte le non solo è nella posizione di chi si trova escluso
relazioni. Questa configurazione, presente nella propria famiglia nucleare, ma assiste
soprattutto quando il partner è valorizzato, è contemporaneamente all’inclusione del proprio
l’esito di un processo conversazionale a volte partner nella propria famiglia di origine,
lungo a cui il paziente contribuisce con inclusione della quale non ha mai potuto fruire.
l’aspettativa di una relazione totalizzante con il Generalmente il compagno non ha
partner e la conseguente gelosia e possessività. intenzionalmente cercato di conquistare la
Il desiderio di un rapporto fusionale, famiglia del partner, nondimeno il paziente si
l’insofferenza verso chiunque si inserisca nella sente da questi depredato della sua stessa
coppia, pongono il futuro depresso in una famiglia di origine. Esempio:
posizione marginale rispetto a tutte le relazione Carlo. I suoi genitori gli offrono di vivere in una
famigliari ad eccezione di quella di coppia. casa con loro. Inizialmente era felice, in quanto
Figli, parenti e amici sono considerati come finalmente condivideva qualcosa con i suoi
minaccianti: sentendo il futuro depresso distante genitori. La compagna era entusiasta del
e ostile, i figli sviluppano un attaccamento progetto; era grata ai suoi suoceri. Quando si
intenso con l’altro genitore. Quando si incrina la trasferiscono i rapporti tra chiara e i suoceri
relazione di coppia, il soggetto con diventano molto stretti. Si crea una sorta di
organizzazione depressiva si ritrova alleanza, rispetto alla quale Carlo era ai
completamente solo. Il suo mondo relazionale margini.
risulta desertificato perché era connesso agli altri
attraverso il partner. Esempio:
Ferdinando. Escluso totalment4e dalla sua
famiglia. il suo sogno era quello di comprare una
grande casa. La moglie non sopportava di aver
perso la sua autonomia, sentiva la casa come
una prigione. Ferdinando, deluso dal
comportamento della moglie diventa sempre più
aggressivo. L’esito è che la moglie e figli lo
evitano sempre di più.
Queste due configurazione possono essere comprese meglio se lette alla luce della frattura del soggetto
depresso con la sua famiglia di origine. Alcuni non hanno interrotto i rapporti, ma questi erano solo formali;
altri erano nella posizione di pecora nera, censurati dal nucleo.
La distanza emotiva del paziente con la sua famiglia di origine contribuisce a spiegare il conflitto di coppia.
Fa temere l’abbandono: se la relazione di coppia non funziona, non c’è una famiglia di origine che lo accolga
e lo sostenga. La frattura con la famiglia di origine comporta per il paziente un coinvolgimento e un impegno
eccessivo nella relazione di coppia e lede la sua capacità di negoziare le regole della relazione con un partner
che ha invece spesso relazioni solide con genitori e fratelli. Apre inoltre la possibilità che il partner, qualora si
avvicini alla famiglia del compagno, sviluppi con questa un legame più intenso di quanto il paziente sia mai
riuscito a realizzare. Perché hanno consumato una frattura tanto radicale con la famiglia di origine? Per
rispondere bisogna esaminare il contesto intersoggettivo originario
3) In questa situazione relazionale si apre di fronte al futuro depresso, durante l’infanzia e l’adolescenza la
possibilità di prendere posto tra gli “eletti”. Stabilire una relazione potenzialmente esclusiva e gratificante
con uno dei genitori sembra finalmente possibile. La risposta ricevuta dall’adulto presso cui ricerca
l’inclusione è invece una ripulsa indignata. L’offerta relazionale del bambino è censurata. Il futuro
depresso si trova in una posizione relazionale che gli restituisce un’immagine negativa di sé: mantenere
una posizione di esclusione significa sperimentare sentimenti di rivalità, invidia e gelosia. Tentare di
spostare il proprio positioning tra coloro che sono amati e inclusi comporta essere indegno e ignobile.
Esempio:
Giulia. Intelligente e vivace, con alle spalle tentativi di suicidio e una diagnosi di disturbo bipolare. È
considerata dal suo ex marito e dai suoi suoceri “puttana, alcolista, pazza”. Non è alcolista, ha però abusato
per alcuni periodi di alcol. Non è promiscua, ma ha avuto relazioni extraconiugali.
- Contesto intersoggettivo originario: nella famiglia di Giulia ha un ruolo dominante il ramo paterno. Le
donne godono della benevolenza degli uomini se ne seguono le regole (come la compagna del padre,
Beatrice). Ha una famiglia allargata, dove rimane fino a 19 anni, come pecora nera, nel tentativo di
trovare un’appartenenza. Giulia è emarginata ed esclusa da tutti i rapporti: è la figlia più piccola ed è
femmina; la nonna non vuole saperne di lei, la madre pensa solo al fallimento coniugale, il padre invita
solo il fratello, il nonno è morto. Giulia ha una relazione incestuosa con il fratello, attraverso la quale
riesce a rompere l’esclusione e la solitudine. Il prezzo pagato è però la costruzione, tipica delle
organizzazioni depressive, di un’intransitività fra appartenenza e onorabilità: essere esclusa è per lei
intollerabile, ma l’unica inclusione possibile, l’incesto, la rende indegna. Dopo la rottura della relazione
incestuosa, si apre per lei un periodo positivo e il padre la inserisce nell’azienda. Questo dura poco: un
mese dopo il padre le presenta beatrice, di cui Giulia non sapeva niente. Da questo momento
ricontestualizza i rapporti con la madre, iniziandola a vedere come una donna distrutta dal marito. Alla
luce di questo, appartenere al mondo del padre, significa per lei distruggere la madre; si schiera quindi
dalla sua parte e tra padre e figlia vi è una rottura. Con l’episodio sintomatico la rottura padre-figlia è
ricomposta. Per Giulia inizia un periodo di instabilità: due tentativi di suicidio. L’incontro con il marito
chiude questa fase tormentata. L’unione però dura poco: il marito non le concede il divorzio perché vuole
un controllo sulla figlia e Giulia rimane sola a Milano.
- L’esordio sintomatico: l’ingresso nella patologia è giocato nella famiglia di origine. Giulia sente di non
farcela più, soffre di insonnia, ha un ansia fortissima. Chiama la madre, la quale le dice che lei sta più
male e non può aiutarla. Il ricovero segna il recupero con il padre, ma perde sua madre. Non perdona la
madre per averla lasciata sola ed è grata a suo padre per aver tenuto sua figlia, quando lei scappa in
india. Rimane ai margini, non può essere inclusa nell’azienda perché significherebbe essere indegna in
quanto darebbe il colpo finale a sua madre. Ciò che la vincola è la sofferenza della madre, unita
all’aggressività che ha sempre provato nei suoi confronti; un’aggressività ingiustificata perché la madre
non ha mai avuto atteggiamenti sbagliati verso di lei, era solo troppo infelice per prendersi cura di Giulia;
per questo può avvicinarsi al padre solo quando è depressa.
Il terapeuta e la stessa esperienza terapeutica finiscono per con-porti nella semantica dominante nella
conversazione familiare. Non avremo di conseguenza un unico modo di costruire la relazione terapeutica, ma
tanti modi diversi quante sono le semantiche. La variabile cruciare che modella la relazione terapeutica non è
la psicopatologia, ma la semantica dominante nei contesti conversazionali del paziente.