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PSICOPATOLOGIA DEI DISTURBI ALIMENTARI

L’adolescenza è un periodo di transizione, di cambiamenti, di ridefinizioni, di instabilità e


creatività. È un periodo che mette in tensione i legami familiari e prevede la morte dell’identità
infantile per lasciare spazio all’adolescenza, che traghetta verso la dimensione adulta. Quando il
processo adolescenziale si arresta, si produce un sintomo. Il soggetto, il suo mondo interno, le sue
relazioni con i genitori e con gli altri, sono tutti implicati nella costruzione di una sintomatologia
che si manifesta nell’adolescente ma che ha origini multifattoriali.

Spesso la clinica tratta i disturbi alimentari come una patologia dell’alimentazione, ponendo molta
attenzione al sintomo e tralasciando le dinamiche psichiche relazionali, consce e inconsce, alla
base. Questo perché il sintomo è un’entità più facilmente indagabile rispetto alla complessità della
persona.

L’essere umano è un essere sociale che nasce e si sviluppa nei gruppi: la famiglia, la scuola, il
gruppo dei pari. Già Freud aveva messo in rilievo l’importanza del gruppo familiare nello sviluppo
dell’identità, parlando del complesso edipico. Melanie Klein, con la teoria delle relazioni
oggettuali, spiega come non solo il soggetto da subito sia immerso in un campo relazionale, ma
che quelle relazioni avranno un’importanza enorme per il suo sviluppo.

Parlando di relazioni, ci riferiamo anche al rapporto contenitore-contenuto di Bion e al concetto di


reverie (termine con cui si indica la capacità della madre di contenere le proiezioni emotive del
bambino e di elaborarle restituendole al neonato in una forma che la sua psiche possa assimilare).
Con la reverie, la madre mette la propria mente al servizio di quella del bambino. Così facendo, il
bambino introietta, oltre alle proprie esperienze emotive, anche un oggetto-madre accogliente
con cui identificarsi. La reverie risponde al bisogno di amore e comprensione del bambino e alla
sua necessità di tradurre in contenuti pensabili degli elementi angoscianti.

Winnicott sostiene che nessun bambino può crescere al di fuori della relazione con l’oggetto di
cura primario. È fondamentale la qualità di questi primi scambi, poiché permette lo sviluppo dei
legami di attaccamento, sicurezza e affetto che sono alla base della capacità di creare relazioni
umane buone.

L’essere umano quindi attraversa diversi ambienti relazionali: dalla diade simbiotica primaria, alla
coppia, al triangolo edipico, al piccolo gruppo al gruppo sociale. La mente è una mente gruppale,
nasce e si sviluppa nei gruppi di appartenenza e deve stabilire un contatto con la vita emotiva del
gruppo per poi differenziarsene ed evolversi. Temere il rifiuto della matrice di appartenenza
genera patologia.

L’appartenenza ad un gruppo soddisfa il bisogno primario dell’essere umano di “sentirsi parte di”:
per Freud questo tipo di appagamento è una dimensione fondante dell’essere umano. Come se il
narcisismo primario si proiettasse sul gruppo che ne diventa naturale ricettacolo. In questo senso il
rifiuto può diventare trauma e va contro alla fiducia di base di essere accolti.

Di fronte a famiglie patologiche in cui un membro porta un sintomo, ci si trova di fronte


all’impossibilità di tollerare una diversità di pensiero sentita in contrasto con la matrice famiglia di
base. Il soggetto diventa il luogo in cui la conflittualità della rete disturbata si esprime. Si
instaurano così le patologie dell’adolescenza, in una dinamica relazionale che non permette
l’evoluzione di una soggettivazione. L’adolescenza può diventare il teatro nel quale si
drammatizzano i traumi trans generazionali attraverso sintomi che mettono in campo un non
detto che proviene da un passato e che ingombra la mente e colonizza il mondo interno
ostacolando la spinta evolutiva.

Si risponde a ciò introducendo modalità di funzionamento regressive e arcaiche che negano il


passare del tempo, i cambiamenti e le individualità. L’adolescenza dei figli mette a dura prova
l’onnipotenza genitoriale.

Il corpo è uno dei mediatori fondamentali della relazione che il soggetto ha con il mondo, oltre ad
essere il luogo dove le emozioni trovano la loro origine. È luogo dell’inconscio, ma anche
dell’incontro con l’esterno e con la realtà.

Gli adolescenti sono soggetti sociali, pulsionali, alla ricerca di un gruppo di pari in cui rispecchiarsi e
riconoscersi. Essi hanno bisogno di simbolizzare, di trasformare in pensieri e parole dotate di senso
il caos delle trasformazioni puberali che stanno attraversando, producendo un’immagine mentale
coerente con la nuova identità genitale. Il corpo cerca di dare significato alla sessualità,
all’aggressività e alla spinta sociale. Le attuali forme di patologie dell’adolescenza (dca e ritiro
sociale) sono espressione di un grave scacco evolutivo che coinvolge diverse aree della crescita.

L’assenza di relazioni di amicizia, solitudine e lontananza dal mondo dei coetanei mostrano la
mancata realizzazione del compito di nascita sociale e lo stallo del processo di separazione e
individuazione. Queste sono forme di disagio tipiche della fragilità narcisistica di questi adolescenti
alle prese con i cambiamenti del loro corpo e della crescita; ma sono anche espressione di una
relazione, di una dinamica familiare che per qualche motivo non ha funzionato sufficientemente
bene.

CAPITOLO 1: L’EVOLUZIONE TEORICA DEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO


ALIMENTARE
L’interpretazione psicodinamica dei disturbi del comportamento alimentare è molto complessa ed
ha avuto nel tempo, letture eterogenee. Per esempio:

- Anoressia è stata considerata come una forma di isteria dai primi psicoanalisti (c’è una
conversione del corpo e di aspetti psichici rimossi – il corpo è lugo dove si manifesta il
conflitto)
- Anoressia come disturbo ossessivo (spesso sintomi sono di controllo irrefrenabile)
- Anoressia come delirio ipocondriaco (i fenomeni dissociativi – corpo percepito come altro
da sé, da sconfiggere o da eliminare)
- Anoressia come formazione reattiva a un difetto dello sviluppo dell’IO
- Altri autori più recentemente l’hanno considerata come una forma del disturbo ossessivo,
un delirio ipocondriaco, poi come formazione reattiva a un difetto dello sviluppo dell’IO

Docente pensa che tutti questi aspetti abbiano a che fare con ANORESSAI

Generalmente hanno esordio in preadolescenza o adolescenza. Sembrano essere risultati di un


intreccio di fattori che vanno dall’individuale al gruppale (ambito sociale-famiglia).

1.1 CENNI STORICI


La ricerca psichiatrica sui disturbi del comportamento alimentare viene fatta risalire agli studi di
Gull e Lasegue ma la presenza dell’anoressia è stata documentata anche in epoche precedenti. Si
narra di alcune sante che hanno provato l’esperienza dell’anoressia mistica: Caterina da Siena. È
da evidenziare il rifiuto del cibo come espressione di protesta contro un’autorità ( maschile o della
Chiesa). Il rifiuto del modello del femminile è l’elemento che accomuna le sante anoressiche, le
giovani pazienti isteriche di Freud e le anoressiche odierne.

La prima documentazione clinica si deve a Marton nel 1686, quando parla di Atrophia Nervosa;
descrivendone non solo i sintomi fisici ma anche il pertugio perturbamento della psiche, tristezza E
preoccupazione come tratti psicologici associati.

Marcè descrive uno specifico delirio ipocondriaco che porto anche giovani rifiutare di alimentarsi
e propone come terapia allontanamento delle pazienti all’ambiente familiare. Lasegue delfinì
l’anoressia come una perversione intellettuale causata dalla negazione o rimozione di un aspetto
motivo e alimentata dalla preoccupazione dell’ambiente familiare. Egli individua i tratti di
onnipotenza controllo manipolazione tipici dell’anoressia. Gull la descrive come una malattia
determinata dall’alterazione delle funzioni psichiche causata da un’anomalia dell’IO. Entrambi gli
studiosi notarono insorgenza tra i 16 e i 23 anni. Charcot differenziò l’anoressia dall’isteria
sostenendo che nella prima non compariva nessun sintomo specifico dell’isteria come il campo
visivo e anestesia. Janet definisce l’anoressia con una sindrome caratterizzata da vergogna per il
proprio aspetto fisico. Thomas illustra l’anoressia come sindrome comune alla malinconia,
all’ipocondria, alla paranoia.

Comincia ad emergere idea che la malattia sia determinata da un profondo disturbo psichico, di
cui rifiuto del cibo è espressione manifesta.

La bulimia viene definita in epoca moderna da Russel come quadro clinico caratterizzato da
abbuffate e vomito auto-indotto.

1.2 I disturbi del comportamento alimentare dal versante psicanalitico.

Si è partiti da una visione che considera l’anoressia

1. come espressione di una regressione nel funzionamento psichico alla fase orale dello
sviluppo
2. come difesa agli impulsi sessuali attivati dallo sviluppo adolescenziale
3. ad una visione che analizza l’Influenza del polo relazionale dell’ambiente familiar

Queste problematiche rivelano delle aree di fragilità narcisistica chiama che fare con la mancata
metallizzazione del corpo e con l’impossibilità di strutturare un’identità autonoma e indipendente
a causa di relazioni primarie non adeguate.

Sia nell’anoressia che nella bulimia una mancata integrazione nello psichismo del sé corporeo
perché è alla base di una disorganizzazione identitaria, potrebbero essere considerate delle
strategie difensive contro la trasformazione puberale del corpo. Il tema dell’anoressia viene
collocato da Freud all’interno dell’isteria: Freud Considera anoressia una manifestazione del
quadro dell’isteria in cui spesso la connessione tra sintomi e gli Eventi traumatici risulta chiara.
Freud descrive una serie di elementi associabile all’anoressia come l’esasperato senso del dovere,
l’angoscia, l’isolamento E l’inibizione della sessualità. Freud si accorge che il motivo che spinge la
paziente gettare il cibo era il timore che questo le avrebbe fatto male. Nel 1914 Freud fa
riferimento all’anoressia nel caso dell’uomo dei lupi Dove viene messa in luce importanza
dell’origine infantile della patologia, a partire dalla fase orale è coinvolta nel processo di
incorporazione dell’oggetto d’amore E della successiva identificazione con esso. Tutto ciò legato
alla nutrizione che nei primi anni di vita è associato alla diade Madre bambino. Per Freud una fase
fusionale caratterizzata da investimento narcisistico della madre sul figlio.

Abrham sostiene che vi sia una gradualità intellettiva all’interno delle fasi dello sviluppo postulate
da Freud /Tre saggi sulla teoria sessuale/ , descrivendone non solo il livello pulsionale ma anche la
relazione d’oggetto implicata. Rispetto allo stadio orale, la libido è ancorata al succhiare. In questo
periodo la relazione oggettuale È caratterizzata da invece indifferenziazione e fusione tra sé e
oggetto. (il succhiare ha anche funzione recitatoria il cui soddisfacimento porta a benessere che si
manifesta nell’addormentamento. Poi c’è passaggio da succhiare a mordere, dimostrando il
predominio di impulsi ostili su quelli d’amore verso oggetto. Nasce ambivalenza: Ostilità e amore
coinvolte verso stesso oggetto. Se però avviene FISSAZIONE a fase orale, la libido subisce un
arresto, questo provoca sintomi che diventeranno simili a quelle di una dipendenza.

Queste ipotesi verranno riprese da Fenichel che punta attenzione proprio sull’aspetto di
dipendenza specifica di questa condotta, come reazione a stato psichico di vuoto e di sofferenza.
Questo vuoto subisce costante tentativo di oggetto che lo colmi.

Klein ipotizza che ci sia origine psichica dell’anoressia. La definisce attraverso paura di stampo
paranoide di essere avvelenato a causa di introduzione di cibo potenzialmente dannoso. Secondo
la Klein nella primissima infanzia si struttura il funzionamento del soggetto. La Klein sostiene che
per uno sviluppo affettivo e mentale sano sia necessario un rapporto soddisfacente con l’oggetto
primario. Secondo la Klein la costruzione della realtà del bambino parte dal rapporto con il seno
materno: istinto di vita alimentato da presenza di seno è minacciato da quello di morte che si
scatena in sua assenza. Klein afferma che le difese non si limitano a proteggere Io da sentimenti
dolorosi ma rappresentano veri e propri principi organizzativi della vita psichica che differenziano il
funzionamento mentale normale da quello patologico. Normalità dello sviluppo avviene se c’è
possibilità di differenziare il proprio sé da quello della madre. Di fatti Klein collega le difficoltà
alimentari all’esperienza dello svezzamento durante la quale il bambino potrebbe sperimentare
separazione dal senso come conferma del timore di aver distrutto l’oggetto.

Winnicot giunse alla psicoanalisi attraverso pediatria, Influenzato della Klein, tuttavia il suo
pensiero sviluppò in modo autonomo e originale dando un apporto significativo al pensiero
psicoanalitico. Ambiente delle relazioni primarie che ne favoriscono o ne impediscono lo sviluppo.
Le esperienze di soddisfacimento dei bisogni primari come ad esempio fame, frustrazioni di tali
bisogni sono fondamentali per la costruzione di fiducia di base che permette di maturare e
crescere. Freud sostiene che è nel rapporto con il proprio corpo che si costituisce il fondamento
della struttura psichica dell’individuo, secondo Winnicot, il corpo da solo non esiste, esiste corpo
del bambino in relazione con il corpo della madre ed è da questa relazione primaria che il neonato
impara a riconoscere i propri bisogni.

È proprio nell’ambito di quella relazione che secondo Winnicot si ha lo sviluppo del sé e lo


svolgersi di quei processi integrativi che condurranno il bambino verso la costruzione di una
identità separata. Winnicot sottolinea come nei primi anni di vita si abbia massima dipendenza
dall’ambiente affettivo, il rapporto privilegiato con lei caratterizzato dalle funzioni di holding e
handing. (tenere in braccio, cure e pulizia). È importante rispondere ai bisogni dei bambini con il
giusto timing. Realizzare che quella parte della madre che egli aveva ritenuto essere parte del
proprio corpo non era in verità tale può essere un trauma che secondo Winnicot può portare a
due tipi di conseguenze:

- conseguente arresto della crescita psicologica


- terrore della crescita e cambiamento

(mamma è altro da me, questa consapevolezza la sento come trauma).

Un’altra fondamentale caratteristica della relazione primaria è la giusta distanza affinché


interazione risulti affettivi ma non intrusiva. (falso sé).

Bion concentra la sua teorizzazione dello sviluppo psichico a partire da organi di senso come
strumenti di impercezione e organizzazione della realtà. Bion ritiene che la mente cominci a
svilupparsi grazie all’esperienza emotiva e all’apprendimento che avvengono nelle prime
esperienze relazionali. Lo sviluppo come il risultato dell’incontro con altro e delle capacità
dell’oggetto (mamma) di accogliere le emozioni provenienti dal soggetto (neonato) che sono
ancora immaturi, formati da elementi beta, elementi grezzi. Bion attraverso questa funzione di
digestione chiamata reverie messa in atto dalla mamma accoglie questi elementi grezzi e li
ripropone al neonato in maniera più adatta a lui. Così facendo rende ancora più complessa la
teoria della Klein: la mente della madre è il luogo del contenimento delle proiezioni caotiche del
figlio.

REVERIE: processo di traslazione che rende più pensabili gli elementi altamente angoscianti. Grazie
alla reverie il prendere diventa apprendere, la madre contiene le proiezione del bimbo e
restituendole al bambino in una forma che la sua psiche possa assimilare. E’ necessaria una mente
insatura che possa accogliere e riconoscere le specificità del bambino e che possa offrirgli il
riconoscimento della sua originalità e unicità. La madre è organo recettivo del dolore emotivo del
neonato. Nella relazione primaria l’intrapsichico e l’inter psichico sono connessi, grazie alla
funzione alpha nella madre, il bambino può digerire e assimilare ciò che è ancora indigesto, dando
il via alla strutturazione dell’ apparato psichico. Se il bambino non incontra una mente grado
attuare un contenimento sufficientemente adeguato delle sue proiezioni, viene introiettata
l’angoscia.

Bion ritiene dunque che rapporto contenitore/ contenuto possa essere sano, di tipo regressivo-
simbiotico, di tipo parassitario. In questa chiave la psicopatologia dei disturbi alimentari è
caratterizzata non solo da una carenza della funzione di Reverie il contenimento ma anche dalla
esperienza precoce di essere il ricettacolo delle proiezioni genitoriali. Quando il genitore non è in
grado di entrare negli stati mentali del bambino, la risposta del bambino alle proprie esperienze
corporee ed emotive sarà frammentata. (=dolore mentale)

Le prospettive di Brunch, Mara Selvini Palazzoli e Minuchin

Brunch parla dell’eziologia psichica dell’anoressia (anni ’40); decide di spostare l’attenzione
portando ad una visione più strettamente psicoanalitica. Il nucleo della sindrome è dunque da
ricercarsi nel grave disturbo dell’immagine corporea e nell’estrema fragilità dell’autostima
accompagnata da una sensazione di inefficienza e incapacità. L’ambiente è caratterizzato dalla
presenza di una madre non sufficientemente capace di riconoscere i suoi bisogni che rafforza la
sua incapacità a distinguere le diverse sensazioni, queste ragazze possono fallire nel riconoscere e
accettare istinti sessuali.

L’aspetto scheletrico, sembrano essere motivi di profondo orgoglio e producono l’idea di essere
speciale e perfetta in un sentimento di trionfo onnipotente. Lo stato di malnutrizione è
responsabile di un’alterazione delle funzioni cognitive che impedisce secondo la Brunch un lavoro
terapeutico. Sostiene che è possibile intervenire psicoterapeuticamente solo nel momento in cui il
peso si sia normalizzato.

Le pazienti incontrate dalla studiosa erano ragazze provenienti da ceti sociali agiati e da famiglie
caratterizzate da un clima carico di aspettative di successo. I familiari delle pz. Raccontano
l’ambiente domestico come un luogo privo di problematiche, dove l’infanzia è stato un momento
sereno e tranquillo e che sottolineano l’indiscussa perfezione della famiglia dove ogni conflittualità
viene proibita e negata. Questi sembrano essere questi elementi responsabili del vissuto di
fallimento, di scarsa autostima e di impotenza, inducendo lo sviluppo di una versione falsa di sé, a
discapita di un’immagine di sé autentica, creativa, autonoma. (perfezione)

Selvini Palazzoli interpreta il rifiuto del cibo delle anoressiche come una lotta per il potere in cui il
corpo viene utilizzato per vincere la battaglia individuale per l’esistenza per raggiungere la propria
autonomia. Il cardine della sintomatologia è l’alterazione delirante dell’immagine corporea che
rende la sindrome una psicosi monosintomatica. L’autrice sostiene che alla base del disturbo vi sia
una particolare forma di scissione tra l’atto di alimentarsi e il rapporto con il cibo. Il pericolo
puberale sembra essere il momento di esordio della sintomatologia poiché riattualizza i vissuti
traumatici di impotenza sperimentati durante l’infanzia. Lei rivolge l’attenzione in un’ottica
sistemica, alle dinamiche relazionali delle famiglie delle pazienti. Quello che la Selvini rileva è che
spesso in queste famiglie si assiste a un intricato intreccio di alleanze che impedisce il percorso
evolutivo della figlia. Queste alleanze sono un matrimonio a 3: questo legame renderebbe
impossibile il processo di separazione-individuazione adolescenziale che provoca rottura del
sistema.

Minuchin colloca l’origine della patologia nelle dinamiche relazioni disfunzionali che si instaurano
all’interno delle famiglie. L’invischiamento nei legami consiste nella modalità intrusiva di
relazionarsi tra i membri della famiglia determinando labilità dei confini. In queste famiglie “con le
porte aperte” non c’è autonomia né spazio soggettivo. È evidente come il sintomo diventi il
catalizzatore principale attorno a cui si snodano le relazioni della famiglia.

Gli studi psicoanalitici moderni: dai Kestemberg a Elena Riva

Hanno permesso di formulare importanti teorizzazioni in merito al funzionamento psichico dei


DCA. Il versante psicotico è spiegato dai massicci meccanismi di scissione e di investimenti
narcisistici, mentre gli aspetti perversi hanno a che far e con la negazione, la manipolazione
feticista del proprio corpo e con una modalità relazionale basata sul disconoscimento e
sull’estremo controllo dell’altro.

Questa relazione fusionale con l’immagine materna arcaica imbriglia il soggetto in un legame
senza possibilità di svincolo.
Jeammet fa riferimento alle problematiche narcisistiche e definisce l’anoressia un disturbo da
dipendenza rappresentato da un conflitto tra l’esterno bisogno di vicinanza, di fusione e la paura
di essere invasi e occupati dall’altro. J. Considera i DCA come una variante dei comportamenti
addiction =dipendenza. L’esordio adolescenziale, momento in cui è massima la dinamica tra
dipendenze e indipendenza, spiegherebbe il sintomo che diventa unico modo possibile per
svincolarsi da una relazione eccessivamente intrusiva, ma che lega indissolubilmente.

Brusset studia il legame dinamico tra anoressia e tossicomania precisandone i punti in comune le
differenze. Per l’autore nell’anoressia si configura un godimento della rinuncia; è la dimensione del
piacere e della autosufficienza narcisistica indotti dal digiuno che accomuna anoressia con la
tossicomania in un paradosso in cui il rifiuto della dipendenza finisce per alimentarla in un circuito
MORTIFERO.

Elena Riva vede l’anoressia come espressione di disagio contemporaneo che mette in luce i
problemi di identificazione con il modello di femminile imposto dalla società moderna. Ciò
indurrebbe l’adolescente a utilizzare il corpo per separarsi da una figura materna con la quale non
ci si vuole identificare e che risulta essere eccessivamente ingombrante .

Attaccamento, mentalizzazione e la no entry syndrome

Studi successivi correlano i DCA a uno stile di attaccamento disfunzionale e a un disturbo della
funzione della mentalizzazione.

La responsività materna corrisponde alla disponibilità emotiva e alla capacità di capire e di


rispondere ai segnali e ai bisogni emotivi. Un contesto di accudimento insensibile produrrà uno
scambio affettivo privo di reciprocità. Tale situazione si può dimostrare disorganizzante per lo
stato mentale e affettivo. La mentalizzazione è dunque il frutto di un processi interpersonale e il
suo sviluppo dipende dalla qualità dell’attaccamento e dall’esperienza di rispecchiamento. Questo
processo si realizza nelle prime relazioni di attaccamento, nel rapporto di rispecchiamento tra il
bambino e la madre ed è alla base dell’organizzazione del sé e della regolazione affettiva. Se il
genitore non è sufficientemente capace di rispondere in modo adeguato e coerente, il figlio
introietterà l’esperienza e la rappresentazione dello stato interno del bambino non corrisponderà
allo stato costitutivo del sé, predisponendo strutturazione di personalità narcisistica; creazione del
falso sé di Winnicot.

L’impossibilità di mentalizzare il corpo risale alle precoci difficoltà di rispecchiamento incontrate


nel rapporto con una madre orientata a proiettare i contenuti personali piuttosto che accogliere e
rispecchiare gli stati d’animo della figlia.

Secondo Gianna Williams l’intrusione degli elementi proiettivi nell’apparari psichico del bambino
produce danni molto gravi che possono manifestarsi con atteggiamento di chiusura nei confronti
di chiunque = l’autrice la definisce No entry syndrome fino alla destrutturazione dell’apparato
mentale, a causa dell’introiezione di un oggetto materno che invece di fornire contenimento dei
contenuti proiettati dal figlio (BION), genera caos e angoscia interna nel bambino. L’autrice ha
formulato una FUNZIONE OMEGA opposta a quella alfa, di cui parla Bion:

- funzione alfa di Bion; produce nutrimento emotivo motore dello sviluppo psichico
- funzione omega di Williams produrrà effetti intossicanti dovuti all’invasione indiscriminata
di proiezioni dalle quali il bambino non è in grado di proteggersi.
Sintomatologia e criteri diagnostici

Non bisogna incorrere nel pericolo di considerare i DCA come patologie solo legate
all’alimentazione, dimenticando le dinamiche psichiche e relazionali, consce e inconsce che si
muovono alla loro base.

I criteri diagnostici sono inseriti nel DSM-5

In adolescenza spesso si trovano comportamenti altalenanti nei confronti del cibo; in genere
condotte di questo tipo svelano l’esistenza di un conflitto nei confronti dell’ ambiente familiare E si
possono esprimere con delle repentine modificazioni delle abitudini alimentari (=diventare
vegetariano).

I DCA sono caratterizzati da “un persistente disturbo dell’alimentazione o comportamenti inerenti


alimentazione che hanno come risultato inalterato consumo o assorbimento di cibo che
compromettono significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale”.

Anoressia Nervosa

(vedi criteri diagnostici per anoressia nervosa)

l’età di insorgenza si suddivide in due aree:

- quella preadolescenziale con un esordio intorno ai 11 12 anni


- quella adolescenziale 14 18 ann

Il quadro clinico è caratterizzato da:

1. desiderio rigido costante di dimagrire


2. restrizione alimentare regolare e progressivamente crescente + eventuali crisi bulimiche
3. Grandi sensi di colpa, disgusto, vergogna E portano il soggetto ad attuare condotte
compensative (vomito autoindotto, lassativi, troppo esercizio fisico)
4. Una caratteristica fondamentale è l’amenorrea (no ciclo).
Sessualità che viene influenzata, attraverso la negazione delle trasformazioni puberali
attuate nel tentativo di rimanere ad un corpo infantile privo di istinti.
5. Iperattività fisica o intellettuale
6. Iperinvestimento nello studio, nelle performance scolastiche
7. Distorsione dell’immagine corporea sempre presente (gambe, braccia, addome),
alimentano il timore ossessivo di essere grasse

Bulimia Nervosa

I criteri sono:

1. Ricorrenti episodi di abbuffata: mangiare in un determinato periodo di tempo la quantità


di cibo maggiore di quella che la maggior parte degli individui assumerebbe nello stesso
periodo
2. Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio ( pensare di non riuscire a smettere di
mangiare)
3. ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso
(vomito, lassativi..)
4. le abbuffate e le condotte compensatorie inappropriate si verificano entrambe in media
almeno una volta alla settimana per tre mesi
5. i livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso del corpo
6. L’alterazione non si manifesta esclusivamnete nel corso di episodi di anoressia nervosa

E’ necessario specificare se la bulimia è_

- In REMISSIONE PARZIALE: successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri


per la bulimia nervosa, alcuni ma non tutti i criteri sono stati soddisfatti per un consistente
periodo di tempo
- In REMISSIONE COMPLETA: successivamente alla precente piena soddisfazione dei criteri
la la bulimia nervosa, nessuno dei criteri è stato soddisfatto per un consistente periodo di
temo

Il livello di gravità:

- Lieve (1-3 episodi di condotte compensatorie a settimana)


- Moderata (4-7)
- grave (8-13)
- estrema (+ di 14)

A livello epidemiologico il rapporto femmina maschio è di 10:1. Generalmente la bulimia non si


accompagna una significativa modificazione del peso, ma la svalutazione della propria immagine
corporea è sempre presente ed è accompagnata dal desiderio di modificare le proprie forme
fisiche. Le crisi bulimiche sembrano essere la dimostrazione di una difficoltà nella regolazione degli
impulsi e di un deficit nella funzione di contenimento degli affetti. Lo stile relazionale di queste pz.
Sembra seguire andamento dello stile alimentare che è ambivalente: abbuffate e rifiuto del cibo.

CAPITOLO 2: PSICODINAMICA
È Bene ricordare che la sintomatologia dei DCA può essere la medesima in persone diverse, ma le
origine e lo sviluppo si diversifica a seconda del soggetto, della sua storia e dell’ambiente di
appartenenza. Tutti i DCA hanno a che fare con un disagio che sebbene si esprima attraverso il
cibo rivela una difficoltà nella costruzione dell’identità, andando a svelare una fragilità psichica
sottostante.

Dobbiamo distinguere anoressia come sindrome e anoressia come sintomo, espressione di un


disturbo evolutivo dell’adolescente.

- Nel primo caso: complessità del quadro e gravità del disturbo è tale da compromettere
intero funzionamento psichico del soggetto e comportare anche morte
- Nel secondo casi se disturbo è sintomo è una sorta di difesa di breackdown.
Il disturbo è segnale di fallimento di alcuni processi evolutivi che hanno a che fare con mancata
integrazione delle parti della personalità. Il cibo può rappresentare una rapida soluzione alla
tensione generata da tali conflitti interiori; questo arresta il processo di sviluppo. Il quadro è reso
più complesso da una dimensione familiare carica di meccanismi di proiezione e identificazioni
narcistiche. Tali meccanismi negano gli aspetti di conflitto, escludono tutte quelle rappresentazioni
che potrebbero rompere il legame e che vengono rimosse, all’interno del soggetto e poi
trasformate in sintomo.

I sintomi rappresentano modalità relazionale invischiante messa in atto al fine di conservare un


legame patologico che non permette il cambiamento e la crescita. =fragilità dell’identità, al cui
centro c’è vuoto incolmabile. Secondo Bion la matrice originaria del pensiero prende vita solo se
all’alba dell’esistenza da un altro capace di prendersene cura. Il fallimento di questo incontro con
adulto capace di significare i vissuti caotici del neonato comporta perdita di possibilità di un
funzionamento armonico tra corpo e mente. Ecco allora che il corpo si trasforma in un insieme di
sensazioni fisiche scisse e persecutorie. E la mente si allontana dal contatto con la realtà.

La difficoltà nello stare a contatto con i propri vissuti psichici comporta dei meccanismi difensivi
come la scissione il diniego la dissociazione la somatizzazione. Secondo Freud questi meccanismi
sono alla base della teoria secondo cui l’anoressia è caratterizzata dal letto per la perdita della
libido.

- Anoressia può essere considerata una patologia del controllo: dietro il rifiuto ostinato del
cibo e si sta realtà un desiderio profondo di mangiare. L’anoressica ha fame di relazioni-
emozioni
- La Bulimia può essere invece considerata una patologia della dipendenza in quella sostanza
il cibo mentre l’anoressica mangia niente, la bulimica cerca di riempirsi e colmare il vuoto
che ha a che fare con mancanza originaria ed inconscia.

I sintomi hanno la funzione di contenere un vuoto generato quando l’Io non era ancora in grado
di difendersi dall’angoscia causata dalla mancanza affettiva. Tale carenza genera un blocco
evolutivo. Come mancanza si intende una carenza di lavoro di alfabetizzazione primaria che
impedirà lo sviluppo della capacità di mentalizzare e di simbolizzare lasciando la mente nello
stato di caos e metterà a repentaglio il processo di soggettivazione (identità).

La relazione primaria, il cibo e i difetti di contenimento (Bion)

Quando incontro le pazienti con disturbo alimentare, sostiene Borsetto, noto un vuoto
caratterizzato la stati affettivi disorganizzati non mentali disabili attraverso delle rappresentazioni
di senso.

Per tentare di comprendere cosa determina l’origine dei disturbi del comportamento alimentare,
è necessario prendere in considerazione quello che accade all’inizio della vita di ogni essere
umano.--> ogni persona si trova in una condizione di esperienze vissute che necessitano di essere
pensate solamente all’interno di una relazione con un altro significativo che la mamma (Reverie di
Bion). Il neonato sperimenta delle sensazioni ma non possiede ancora una mente in grado di
rappresentare quello che accade; all’adulto che attribuendo significato vissuti dell’altro fornisce
l’occasione per comprenderli. Questo modello contenitore contenuto che BION costruisce a
partire dal modello di identificazione proiettiva della Klein. Tale concetto si avvicina quello di
HOLDING di Winnicot, ma si differenzia in quanto comprende anche la funzione di digestione e di
trasformazione degli elementi proiettati (madre “pensa” al posto del bambino, se è
sufficientemente buona). All’inizio c’è una condizione di stati indifferenziati (bisogni del corpo)
che vengono man mano differenziati attraverso la REVERIE materna. Da qui, da questa funzionalità
con la madre, si costruisce un sei unitario e separato ( all’inizio corpo e mente sono indifferenziati,
man mano si differenziano molto grato graduale, grazie alla relazione mamma bambino. 
Mahler ipotizza che il processo di separazione/ identificazione avvenga contemporaneamente al
processo di differenziazione corpo/mente.

Il processo di soggettivazione non può avvenire se non con ciao un graduale distanziamento dal
corpo della madre. Tale relazione è dunque necessaria non solo alla sopravvivenza fisica ma anche
a quella mentale perché consente di creare il pensiero.

Il cibo è oggetto complesso che non ha solo funzione di nutrimento ma assume significato
simbolico e relazionale; allattamento è momento relazionale con la mamma: attraverso latte passa
anche altro nutrimento quello che ha a che fare con accudimento. La capacità della madre di
prendersi cura del figlio in modo adeguato alle esigenze non ha a che fare solo con il nutrirlo in
modo corretto, ma anche entrare in sintonia con lui instaurando una relazione di scambio emotivo
che va a costruire relazione di scambio emotivo.

Alla luce di tutto ciò risulta chiaro come cibo e comportamento alimentare siano immersi
all’interno di uno scambio relazionale e abbiano legame con dinamica affettiva che li caratterizza.

Questione dell’oralità

Nei primi momenti di vita (fase orale), il cibo e il soddisfacimento della fame con il seno materna;
quindi viene attribuito all’amore. La dimensione dell’oralità caratteristica dei DCA è determinata
dalla fissazione della libido a fase dell’oralità.

La libido inzialmente si appoggia su nutrimento e si lega all’esigenza del corpo e ai bisogni di


soddisfacimento e dall’altra il piacere che questo crea. Questo meccanismo implica nelle fasi
iniziali della vita, la presenza di un oggetto esterno che possa rispondere ai bisogni del bambino
atto che attraverso la nutrizione veicola anche esperienza affettiva.

Il distino delle pulsioni, della relazione, dell’esperienza sono strettamente connesse fin dall’inizio
della vita. Fase orale va da nascita ai 18 mesi. A seguito della nutrizione al seno permane l’oralità,
succhiando del pollice o di oggetti sostitutivi. Inizialmente l’attività sessuale non è ancora separata
dall’assunzione del cibo: la meta sessuale consiste nell’incorporazione dell’oggetto che
successivamente si manifesterà con meccanismo di identificazione.

E’ evidente che se la cavità orale è un organo che è servito per succhiare inizialmente il seno e che
poi serve per mangiare, parlare, baciare non è strano che una di queste funzioni possa portare
sintomi qualora lo sviluppo psico-affettivo sia stato disturbato causando FISSAZIONE e successiva
REGRESSIONE.

Altro modo di vedere oralità: incorporazione di qualcosa di esterno (latte) che viene distrutto ma
permette anche di conservalo assimilandone la qualità. L’INCORPORAZIONE preannuncia quei
meccanismi più sofisticati futuri che sono di introiezione e identificazione = introiezione è a livello
psichico quello che è l’incorporazione a livello corporeo. Sono alla base di differenziazione
io/altro; tipico dell’Adolescente. Nell’anoressica la sintomatologia è opposta all’incorporazione; si
pensi al vomito.

F. Ipotizza che primi momenti della vita sono caratterizzati da narcisistico causato da fusione
simbiotica del bimbo con la mamma. In questa situazione il bambino è in grado distinguere solo
esperienze buone o cattive ma non discrimina sé dall’altro__> sembra che anoressiche
mantengano questa relazione connotata da dimensione narcisistica per cui altro non esiste se non
come oggetto all’interno di una relazione.

ORALITA’ è divisa in sottofasi la fase orale:

- Sotto-fase primitiva caratterizzata da ancoraggio alla libido di succhiare (latte)


rappresentate dall’incorporazione. Non c’è differenziazione tra sé o oggetto (fusione con
seno, implica che non esistono odio opposto a amore dal momento che oggetto non esiste
ancora nella mente del neonato)
- Fase successiva vede passaggio da succhiare a mordere in coincidenza con la dentizione.
Mordere rappresenta il primo impulso sadico. Nasce così il concetto di ambivalenza, il
primo conflitto cioè tra amore e odio nei confronti dell’oggetto anche se questo non è
ancora totalmente differenziato. Il bisogno è quello di possedere l’oggetto e la frustrazione
che deriva dalla negazione di questo bisogno scatena aspetti di intensa aggressività.

Se la fissazione è molto forte, la libido subisce un arresto e non potrà essere convogliata e investita
sull’oggetto ma si esprimerà sintomatologicamente l’assunzione di sostanze (tossicomania).
L’arrivo della pubertà prevede che le pulsioni parziali si organizzano sotto primato della genitalità
al fine del raggiungimento di sessualità matura e adulta.

Nell’anoressia allo struggente desiderio regressivo di ritornare alla relazione simbiotica con la
madre, corrispondente alla disperata avidità di cibo, che si contrappone il bisogno di negare
questo stesso desiderio attraverso il rifiuto di nutrirsi. La regressione riattiva AGGRESSIVITA’
ORALE trasportando sul cibo, rappresentante dell’oggetto, i primi impulsi sadici. Tale dinamica
attiva senso di colpa per la paura di distruggere l’oggetto e ciò che è inibito è l’atto di alimentarsi.

Fase orale dello sviluppo in cui cibo e affetto si uniscono è caratterizzata da una modalità
relazionale in cui sono compresenti l’amore, l’aggressività, ambivalenza, dipendenza e rifiuto.

La sessualità e il femminile

Il bambino qualunque sia il suo sesso, si identifica in primo luogo con la madre a causa della loro
iniziale relazione simbiotica caratterizzata da intenso contatto e scambio fisico. Questo processo di
identificazione apre la strada ad altre identificazioni che seguono l’andamento della maturazione
del soggetto e della sua strutturazione edipica e prevedono numerosi rimaneggiamenti.
L’identificazione automatica porta a costituire una precoce immagine femminile, un nucleo
identitario idealizzato sostenuto dall’imago materna. In adolescenza poi incontro trasformativo
con il gruppo dei pari, portatore di valori diversi e codici generazionali che promuovono nuove
identificazioni, il gruppo femminile sostiene emancipazione del modello materno e introduce la
crisi tra le interiorizzazioni infantili e la cultura della generazione di appartenenza.
La scoperta dei genitali che avviene durante infanzia è processo diverso nei maschi e nelle
femmine. Mentre il pene è un organo esterno che si esplora facilmente esplorabile e fonte di
immediato piacere derivato dalla sua manipolazione, nelle bambine l’organo non è facilmente
visibile ed esplorabile.

Quando arriva la pubertà, che rappresenta una svolta nella sessualità del soggetto e le
modificazioni che produce possono essere fonte di turbamento nello sviluppo psichico
dell’individuo. Adolescenza è periodo di transizione, in questa fase il soggetto deve liberarsi
dall’attaccamento ai genitori rinunciando all’amore nei confronti dell’oggetto primario per
rivolgersi ad oggetti esterni al mondo dei pari progredendo verso sessualità adulta. Per questi
motivi: adolescenza come fase di rottura: l’adolescente mette in atto comportamenti che lo
portano a separarsi; associati a grandi cambiamenti fisici. Tali cambiamenti comportano un
complesso processo di rielaborazione dell’immagine di sé, che non sempre corrisponde con
accettazione di sé.

Immagine corporea è l’insieme di percezioni e rappresentazioni che servono per pensare il corpo
e di considerarlo non solo in quanto oggetto dotato di determinate qualità fisiche ma anche parte
integrante di noi, portatore di sensazioni e affetti.

Nei DCA le trasformazioni somatiche producono una frattura nella relazione tra mente e corpo e si
attivano delle difese inconsce che hanno l’obiettivo di controllare i cambiamenti in manifestando
un rifiuto del corpo, della sessualità e della femminilità. (esempio di caso p.59; ragazza con DCA
vede il suo corpo come oggetto deformato, non sopporta il suo seno, le sue gambe, i suoi fianchi..
a 12 anni menarca, l’ha destabilizzata e sviluppa ostilità nei confronti della mamma. Quando la
psiche non ha gl strumenti per integrare la trasformazione del corpo a causa delle angosce di
frammentazione, l’Io è costretto a negare o rinnegare il cambiamento fisico poiché il corpo viene
vissuto come persecutore. Ma attraverso sintomo difensivo come nell’anoressia si può mantenere
la fantasia di un controllo onnipotente sul corpo. Come se i segni femminili sul corpo vengano del
tutto cancellati attraverso il controllo mentale sul corpo: dimagrimento e annullamento delle
forme.

Quindi, i cambiamenti biologici hanno influenza significativa sulla modificazione dell’IO e del
SUPER-IO dell’adolescente e quindi sui sentimenti relativi al sé e la formazione dell’identità. Può
accadere che le trasformazioni generino sentimenti di vergogna, relativi al fatto che nuovo corpo
rappresenta sessualità e ciò è visibile dall’esterno. A ciò si aggiungono le passionalità sessuali,
tipiche dell’adolescenza, che però non possono essere raggiunte attraverso un corpo che non mi
appartiene, di cui mi vergogno; viene quindi attivata una scissione tra corpo reale (oggetto di
diniego) e corpo ideale (oggetto di desiderio). L’ideale estetico delle anoressiche esprime
incapacità di accettare identificazione con sesso femminile nell’adulto mentre la repressione delle
pulsioni genitali si trasformerebbe nell’eccesso di intellettualizzazione e nella negazione delle
esigenze.

Il processo di separazioni dal modello materno l’adolescente gli adolescenti si rivolgerebbero a


modello paterno considerato come indipendente. Il tentativo è quello di acquisire un corpo fallico,
che però negando lo sviluppo rimane un corpo bambino testimoniando il conflitto tra desiderio di
emancipazione del legame materno e il ritorno alla fusione originaria, procrastinando un’infanzia
senza fine.
Per le ragazze si aggiunge il fattore AMENORREA, per alcune la mestruazione significa distacco e
fine della relazione con la mamma, nel senso che le mestruazioni segnano il passaggio che porta a
diventare grandi. Quindi, il controllo esercitato sul corpo e su di sé sembra essere un mondo per
controllare e manipolare altro: i sintomi espressi attraverso il rifiuto del cibo, dimagrimento e
rifiuto della femminilità, sono espressioni della rottura di aspetti pericolosi provenienti dal mondo
interno e dalla realtà esterna e di un resto nel processo evolutivo adolescenziale.

CAPITOLO 3: ADOLESCENZA
È durante la preadolescenza o l'adolescenza che di norma si instaurano i disturbi alimentari ed è
per questo che risulta fondamentale avere una conoscenza dello sviluppo adolescenziale per poter
comprendere i meccanismi che sono alla base della patologia.

I sintomi hanno il loro esordio, generalmente, durante la pubertà, nel momento in cui la maturità
sessuale diventa una realtà. Si tratta di ragazze che alla soglia dell'adolescenza, per qualche
motivo, non sono in grado di farsi carico dei propri processi psichici, spaventate dalla necessità di
crescere, dall' emergere della sessualità e dai cambiamenti del corpo attivati dalla maturazione
pubertaria.
Allora rifugiarsi regressivamente in un sintomo permette loro di difendersi dal faticoso lavorio che
lo sviluppo adolescenziale richiede.
Adolescenza deriva dal latino adolescentia, dal verbo adolescère, e significa crescere. Tale termine
identifica un processo organizzativo che prepara la mente alla dimensione adulta.

Un adolescente è una persona che ha una sua storia e una sua competenza nello stare al mondo. È
una persona con un bagaglio che proviene dal mondo dell'infanzia, che deve integrare con i codici
che la nuova età gli richiede, in una dinamica di equilibrio tra il conosciuto e l'ignoto, tra le spinte
evolutive e quelle regressive.

I compiti evolutivi che il ragazzo deve affrontare sono molteplici e riguardano tutte le aree del
funzionamento psichico, come vedremo successivamente, e hanno a che fare con l'aspetto
relazionale, pulsionale e con il vissuto corporeo. La separazione dalle identificazioni infantili con gli
oggetti parentali, l'integrazione del nuovo corpo sessuato, la relazione con i pari, sono aree che
impegnano l'adolescente nel raggiungimento della nuova identità.

COMPITI EVOLUTIVI
Lo studio psicoanalitico dell'adolescenza è stato inaugurato da S. Freud nei Tre saggi sulla teoria
sessuale dove viene descritta la pubertà in termini di cambiamenti che conducono la vita sessuale
infantile alla sua definitiva strutturazione, in cui i processi di cambiamento riguardano lo
strutturarsi del primato della zona erogena genitale su quelle parziali dell'infanzia e la spinta verso
nuovi oggetti sessuali al di fuori del contesto familiare.

Anna Freud riprende e approfondisce il tema dell'adolescenza nel testo Infanzia e adolescenza nel
quale la descrive, in termini intrapsichici, come lotta dell'Io per padroneggiare e modulare le
spinte derivanti dai moti pulsionali riattivati dalla pubertà, dopo il periodo di latenza. Per poter
accogliere le modificazioni che l'età impone e l’arrivo della sessualità genitale, è necessario che le
strutture psichiche siano sufficientemente plastiche e che l'angoscia, stimolata dal cambiamento,
non sia eccessivamente intensa. Qualora il mondo interno sia caratterizzato da un'estrema rigidità,
si attiveranno diversi meccanismi di difesa che avranno lo scopo di bloccare il processo di sviluppo
e di inibire la maturità sessuale.

Tali difese si strutturano sia nei confronti dei legami oggettuali infantili, i genitori, che nei confronti
degli impulsi provenienti dal mondo interno. Vediamone le caratteristiche salienti.

Le difese contro i legami oggettuali infantili si articolano in quattro dimensioni. La prima è la difesa
per spostamento della libido. In questa situazione l'angoscia provocata dall'attaccamento agli
oggetti infantili viene gestita attraverso uno spostamento improvviso della libido da tali oggetti
all'ambiente esterno alla famiglia. Una fuga che non consente il processo graduale di
disinvestimento dai genitori e che lascia un bisogno di trasferire la libido su dei sostituti parentali,
non sempre idonei.

La seconda modalità riguarda la difesa mediante inversione dell'affetto per la quale l'Io trasforma
le emozioni provate verso i genitori, nel loro contrario come, ad esempio, l'amore in odio, la
dipendenza in ribellione, il rispetto in disprezzo. In realtà questa formazione reattiva tiene bloccato
l'adolescente all'interno dei legami parentali, poiché l'investimento non viene spostato all'esterno
delle mura domestiche, e ciò non permette il normale processo di crescita.

Un'evoluzione di ciò è la difesa mediante il ritiro della libido verso il Sé, per cui l’Io e il Super lo
vengono iperinvestiti facendo apparire idee di grandezza, onnipotenza e perfezionismo.
L'investimento può anche riguardare unicamente il corpo, favorendo lo sviluppo di angosce
ipocondriache nei confronti dei cambiamenti pubertari che spesso si ritrovano nei disturbi del
comportamento alimentare.

L'ultima difesa vede la messa in campo della regressione. In questa situazione i confini dell'Io
diventano talmente labili da mettere a repentaglio l'esame di realtà, impedendo la distinzione tra
il mondo esterno e quello interno e comportando una caduta del funzionamento dell'Io con
sensazione di perdita di identità.

Per quanto riguarda le difese nei confronti degli impulsi, la Freud descrive una forma di ascetismo,
che spesso si riscontra nelle pazienti anoressiche, attraverso la quale viene messo in atto una lotta
contro tutti gli impulsi sessuali e aggressivi, fino ad arrivare a negare i bisogni fisiologici del corpo
come la fame, il sonno e il benessere più generale. Sembra che questa difesa sia messa in atto da
un lo terrorizzato dai movimenti pulsionali provenienti dall'Es e che cerca di allontanarsi da
qualsiasi forma di piacere.

Dunque comincia a essere chiaro come l'adolescenza abbia a che fare con il processo di
cambiamento e con il divenire, con la necessità di acquisire una nuova forma. L'apparato psichico,
però, tende a rimanere nell'omeostasi e a bloccare le variazioni repentine prodotte dai moti
pulsionali, che possono attivare delle angosce di frammentazione suscitate dalla paura di perdere
quella parte di sé costituita dalle identificazioni infantili.

Tali identificazioni, che avevano contribuito alla costruzione del Sé infantile, si devono
necessariamente integrare con le nuove necessità, interne ed esterne, della fase evolutiva. Tale
integrazione va a definire il processo di soggettivazione il cui risultato è la costruzione di uno
spazio psichico personale, caratterizzato da un movimento dinamico tra l'appropriarsi dell'identico
e l'emergere del nuovo.
In questo processo è necessario che vengano anche integrate la dimensione del biologico e quella
sociale. La dimensione biologica ha a che fare con la pubertà che comporta delle modificazioni
corporee e fisiologiche. Quanto allo psichico si trova a dover mediare tra le spinte pulsionali
provenienti dal corpo e le richieste dell'ambiente esterno. Nel mondo interno, invece, vi è sia la
pressione dei desideri incestuosi, ora realizzabili, attivati dalla riedizione del complesso edipico, sia
dalla necessità di porsi come soggetto-altro, diverso, dai membri della famiglia.

La psiche dell'adolescente deve allora elaborare questo nuovo statuto del corpo, dell'identità e del
mondo in un processo di trasformazione che comprende l'elaborare l'antico per fare spazio al
nuovo.

R. Cahn ci parla di processi di slegamento e rilegamento intendendo la possibilità di sciogliere i


sistemi di rappresentazione utilizzati fino a quel momento dall'Io per rimpastarli con nuovi
elementi creando un'organizzazione inedita dei meccanismi di difesa, delle identificazioni e dei
sistemi di rappresentazione. In questo spazio psichico occupato da continue interferenze tra
modalità antiche e infantili e eccitamenti attuali emerge il senso del perturbante che con la sua
"ripetizione dell'identico che deriva dalla vita psichica infantile" entra in risonanza con la nuova
realtà che ha a che fare con la comparsa sulla scena del corpo genitale.

La soggettivazione prevede, allora, che vi sia un secondo processo di separazione e individuazione


che consente una differenziazione dalle immagini genitoriali e 'appropriazione del corpo sessuato.
Può accadere che un eccesso di angoscia depressiva legata alla separazione dagli oggetti primari
attivi aspetti regressivi che lottano contro il cambiamento e ciò si manifesti in un blocco del
processo adolescenziale.
In questo senso la patologia può essere considerata come l'espressione di una resistenza al
cambiamento o di un arresto dello sviluppo.

IL PROCESSO DI SOGGETTIVAZIONE
Considerare l'adolescenza come una ricapitolazione dell'infanzia sottolinea come essa contenga
elementi delle fasi precedenti dello sviluppo e, come qualunque altra fase dello sviluppo
psicosessuale, ne sia influenzata.

La capacità di contenere e rappresentare i desideri attivati dalla pubertà e i conflitti del passato è
un nodo fondamentale del processo adolescenziale. Un eccesso di eccitazione o l'impossibilità di
gestire questi processi producono degli effetti traumatici sullo psichismo che cerca di attivare delle
difese, più o meno funzionali e adattive, al fine di riequilibrare la situazione. La dimensione
genitale che caratterizza questa fase richiede al soggetto di integrare il nuovo corpo nella sua unità
psichica e comporta una ridefinizione dell'immagine di sé. La crisi adolescenziale è correlata con le
profonde trasformazioni pubertarie, che non riguardano sono i cambiamenti somatici, ma anche il
funzionamento mentale e le modalità relazionali.

L'adolescenza è dunque l'età di passaggio dall'infanzia all'età adulta. Diventare adulti comporta
uscire dalla famiglia, prima di tutto simbolica, cosa che non si può realizzare se non si sono
acquisiti dei limiti definiti e stabili riguardo alle rappresentazioni di sé e dell'oggetto attraverso la
risoluzione del processo di separazione/individuazione che richiede di distaccarsi emotivamente
dagli oggetti primari per rivolgersi al gruppo dei pari.
Il compito è quello di crescere: lo sviluppo puberale si caratterizza come una spinta emancipativa
dai genitori, ma l'adolescenza è anche l'età nella quale si ripresenta e si elabora in modo evolutivo
o regressivo quanto di traumatico e irrisolto ha lasciato in eredità l'età infantile.

L'adolescenza prevede dunque un duplice movimento che caratterizza l'essenza stessa del
processo: da una parte il rinnegamento dell'infanzia e, dall'altra, la ricerca di uno statuto adulto, in
una dinamica tesa al raggiungimento di un assetto nuovo e originale.

È proprio questo "nuovo e originale" che può essere causa di turbamenti che si manifestano
nell'angoscia di perdere, nella trasformazione, l'unità dell'Io con il timore di ricadere
nell'impotenza infantile. Questa paura di frammentazione è causata dal cambiamento in atto
dell'identità psico-fisica e dai processi di lutto che adolescente deve affrontare e che hanno a che
fare con la rinuncia delle idealizzazioni delle immagini genitoriali, del proprio corpo e della propria
identità infantile.

È proprio questo uno dei compiti più difficili che l'adolescente si trova ad affrontare e cioè quello
di mantenere un senso di continuità di sé diversificando il passato, il presente e il futuro ma anche
tenendoli in relazione e integrandoli fra di loro. In questa sospensione, tra passato e futuro, si
evidenziano elementi progressivi che tendono al raggiungimento dell'indipendenza, e elementi
regressivi che esprimono un bisogno arcaico di dipendenza infantile. È questa condizione di
bilanciamento tra aspetti di dipendenza e autonomia che è assimilabile al processo di separazione-
individuazione vissuto nei primi anni di vita.

La spinta alla sperimentazione si ripropone nuovamente nel campo delle relazioni e si rivolge al
gruppo dei pari, così come si possono assimilare molti comportamenti a quelli presenti nella fase
di riavvicinamento, rintracciabili soprattutto nell'ambivalenza che caratterizza la relazione con gli
adulti e soprattutto con i genitori.

La famiglia è un ponte tra il mondo interno, rappresentato dalle immagini genitoriali interiorizzate
e dal tipo di relazione oggettuale e il mondo esterno, il campo sociale. Parlare del processo
adolescenziale come una seconda fase del processo di separazione e individuazione, indica, anche,
come la famiglia possa strutturare, organizzare o impedire l'evoluzione del figlio adolescente.

Così come il bambino si distacca dalla madre interiorizzando la sua immagine, allo stesso modo
l'adolescente deve distaccarsi dai propri oggetti interni per rivolgersi verso il mondo esterno.

In preda ai moti pulsionali, 'adolescente deve allontanarsi dai propri genitori, la cui vicinanza
riattiva, attraverso la riedizione del conflitto edipico, la minaccia dell'incesto che è ora realizzabile
grazie alla maturità sessuale. È questo uno dei motivi che spinge l'adolescente a guardare al
mondo esterno per ricercare degli oggetti su cui spostare i propri moti pulsionali. L'uccisione,
simbolica, delle immagini parentali è alla base dell'aggressività e del conflitto che gli adolescenti
esprimono nei confronti dei genitori e che devono attraversare al fine di differenziarsene per
procedere verso lo sviluppo del proprio Sé. Questo graduale distacco dall'autorità genitoriali e
dagli oggetti infantili produce degli aspetti depressivi assimilabili a un processo di lutto causato
dalla perdita dell'oggetto primario, materno e di quello edipico investito di amore, di odio e di
ambivalenza.

L'adolescente deve scegliere nuovi oggetti, esterni, ma deve anche scegliere se stesso in quanto
oggetto di interesse, aumentando l'investimento libidico su di sé attraverso lo sviluppo di un
aspetto narcisistico sufficientemente adeguato. Il riferimento al narcisismo rende evidente
l'importanza del ruolo dell'Ideale dell'Io nel processo adolescenziale. Possiamo definire l'Ideale
dell'Io come quella parte del Super Io che contiene le caratteristiche che l'Io dovrebbe acquisire
per preservare l'equilibrio narcisistico. Esso è derivato da tre fonti principali: l’idealizzazione dei
genitori, l'idealizzazione del bambino da parte dei genitori e lidealizzazione di sé del bambino
stesso.

Al fine di ritrovare l'equilibrio narcisistico che in adolescenza è messo in scacco dalla modificazione
del mondo interno, l'Ideale dell'Io dovrà assumersi il compito di modificare le relazioni interne con
gli oggetti primari e favorire l'utilizzo del mondo esterno, il gruppo dei pari, come nuovo punto di
riferimento per l'identificazione e la gratificazione narcisistica.
Ma tale processo è messo duramente alla prova perché l'Ideale dell'Io da un lato cercherà di agire
compiacendo gli oggetti edipici, dall'altro dovrà cercare di staccarsene ricorrendo all'
idealizzazione di nuovi oggetti al fine di favorire nuove identificazioni.

Il bisogno dell'adolescente di essere in gruppo risponde a queste esigenze intrapsichiche e il


gruppo dunque funge da intermediario e da mediatore dei sistemi di identificazione e di identità.
Tutto ciò comporta la necessità di reinvestire narcisisticamente i nuovi aspetti di sé, disinvestendo
le identificazioni passate: autoerotismo, onnipotenza, iper-valutazione del sé a spese dell'esame di
realtà, egocentrismo fino all'isolamento, sono alcune delle manifestazioni delle difese narcisistiche
che hanno la funzione di definirsi, conoscere il proprio corpo, conoscere, insomma, questo
sconosciuto perturbante nel quale l'adolescente si sta trasformando.

L'adolescenza è, allora, l'incontro con il principio di realtà dettato dal cambiamento del corpo e la
metamorfosi pubertaria è il principio regolatore della crescita, fonte di creatività ma anche di caos.

Questo processo comporta una complessa elaborazione di diversi vissuti che devono integrare, in
un’immagine unitaria, la primitiva percezione corporea, l'immagine corporea, e l'immagine
corporea idealizzata.
Questa trasformazione è alla base del dubbio che ogni adolescente vive: il rapporto tra il suo Io e il
suo corpo può generare la sensazione di non avere una percezione sicura della propria identità.

Per ostacolare l'angoscia che questa situazione può comportare, l'Io dell'adolescente può utilizzare
diversi tipi di difesa: la rimozione, la scissione, l'identificazione proiettiva, fino al deterioramento
dell'Io.

La patologia del vissuto corporeo è una manifestazione dei disturbi più gravi dell'adolescenza e
può manifestarsi in diverse forme: attraverso un disinvestimento e una negazione del corpo
nell'anoressia, un suo utilizzo come oggetto nella bulimia o come un feticcio nel narcisismo, come
un oggetto da distruggere nelle forme suicidarie, o attraverso la sua sparizione nel ritiro sociale o
negli hikikomori.

Accanto a queste situazioni che rappresentano delle gravi forme patologiche, si possono
riscontrare tra gli adolescenti forme più lievi di disagio legate al vissuto corporeo qualora questo
sia irrigidito all'interno di schemi idealizzati e irraggiungibili come ad esempio la magrezza
assoluta. Queste problematicità si possono esprimere con una sensazione di vergogna nei
confronti del proprio corpo ritenuto grasso, brutto o non adatto a essere presentato agli altri, o
attraverso fobie ipocondriache o disturbi psicosomatici che rappresentano non solo un malessere,
ma anche una domanda, implicita, di aiuto.
Il ruolo giocato dall'ambiente può essere determinante: una famiglia in grado di adattarsi e di
rispettare i cambiamenti del figlio adolescente ne agevolerà la crescita; al contrario la rigidità, la
negazione dei cambiamenti, rafforzano la crisi adolescenziale rendendola ancora più complessa e
difficile da gestire. La conseguenza sarà una grave crisi narcisistica che si manifesterà con dubbi
che riguardano il proprio corpo, la sessualità, il rapporto con gli altri e, più in generale, l'identità.

DAL LINGUAGGIO ALLA SENSAZIONE: LE AVVENTURE DELLE EMOZIONI IGNORATE E IGNORANTI


L'emozione è concepita come il risultato dell'integrazione tra sensazione, sentimento e pensiero.
Matte Blanco riscontra nella natura dell'emozione l'espressione di qualche stato corporeo che si
manifesta come tale o come spinta all'azione, e definisce sensazione-sentimento l'elaborazione
psicologica degli eventi corporei: su questa prima manifestazione mentale dello stato fisico
dell'emozione si possono sviluppare pensieri che possiamo considerare parte costitutiva
dell'emozione stessa.

Ma in alcune situazioni ci si può trovare di fronte a emozioni ignorate-ignoranti.

Con ignorate-ignoranti si fa riferimento a un difetto di mentalizzazione degli stati emotivi,


emozioni che non possono essere sentite né tanto meno pensate e che usano il corpo come luogo
di rappresentazione. Emozioni che non conoscono parole per essere rappresentate e che si
incarnano nel corpo trasformandolo in un corpo "parlante". Il corpo allora diventa contenitore di
emozioni non elaborate e teatro di rappresentazione del sé e delle sue vicende emotive.
Come se ci trovassimo in presenza di emozioni senza pensatore che non hanno trovato accoglienza
nella mente del soggetto.

Il processo di formulare pensieri che partono dallo sperimentare, a livello somatico e psichico, le
tensioni pulsionali, è rimesso in discussione nel momento della pubertà ed è alla base del
sentimento di identità e la sua ricerca è il compito più importante dell'adolescenza.

Da un punto di vista metapsicologico la definizione dell'identità ha a che fare con due movimenti
intrecciati: uno slegamento dei sistemi di rappresentazione utilizzati fino a quel momento dall'Io, e
un rilegamento e riorganizzazione dei meccanismi di difesa, delle identificazioni e dei sistemi di
rappresentazione.

Dunque la partita dell'adolescenza si gioca in uno spazio psichico diviso da due frontiere: la prima
tra il dentro e il fuori, la seconda tra conscio e inconscio. Ed è uno spazio definito da due limiti: il
soma verso l'interno e l'azione verso l'esterno che sono messi in relazione attraverso un'azione
rappresentativa. Ma la rappresentazione della realtà pulsionale ha bisogno, per essere "pensata",
di vestirsi di parole conoscibili. Scrive Quidonoz che con pazienti che presentano difficoltà in
questo senso si debba usare un linguaggio che non si limiti a parlare ma che deve "toccare": un
linguaggio incarnato che non comunichi solo pensieri ma anche sentimenti e sensazioni e che
rimetta in discussione il reciproco movimento di organizzazione e disorganizzazione fra emozioni e
pensiero nella relazione corpo e mente. La funzione del terapeuta in questi casi è anche quella di
fungere da mediatore che possa facilitare, attraverso la rêverie, una connessione: "
ricongiungimento della mente con la pancia", una progressiva messa in contatto, cioè, tra il corpo
e le sue emozioni, con la possibilità di imparare a riconoscerle e a discriminarle al fine di
permettere la costruzione di uno spazio mentale per avvicinare sensazioni ed emozioni, prima
vissute come intollerabili.
La preoccupazione del terapeuta è quella allora di fungere da contenitore e da schermo anti-
stimolo, di ristabilire i limiti e la capacità di mentalizzazione delle emozioni e di favorire
l'emergenza di una parola più vera. Come se prima di poter pensare le emozioni, queste dovessero
transitare sul sé del terapeuta che le trasforma e le digerisce per aiutare i pazienti a sentirle e a
discriminarle all'interno del proprio corpo come precondizione indispensabile per accedere allo
sviluppo psichico e a una processualità relazionale. (CASO DI VERA)

IL CORPO
Il corpo è protagonista assoluto dell'adolescenza: le trasformazioni puberali producono nuove
sensazioni che modificano la rappresentazione di Sé, mettendo in crisi l'identità infantile.

Il modo in cui adolescente attraverserà le trasformazioni puberali sarà determinato dal tipo di
investimento affettivo nei confronti del suo corpo prepubere, investimento che si è costruito a
partire dalle vicende della relazione primaria.

La teoria psicoanalitica ha messo in luce come la mente nasca e si sviluppi attraverso un processo
di apprendimento che avviene nell'esperienza relazionale-emotiva che il bambino ha con la madre
e con la sua capacità di rêverie.

Ciò che sta alla base delle teorie di Freud è la scoperta di una connessione tra il fatto fisico e gli
accadimenti mentali. Sin dall'origine della psicoanalisi dunque, si costruisce un modello della
mente che parte dal corpo e dalle sue sensazioni per arrivare alle emozioni e ai pensieri che vi
sono connessi.

Nei Tre saggi su una teoria sessuale (1905) appare evidente come Freud considerasse
fondamentale il condizionamento del corpo, e nello specifico della sessualità, sulla vita mentale: la
sessualità e gli affetti associati coordinano la relazione tra corpo e mente in una dimensione che
pone il corpo non solo come punto di partenza per la costruzione dell'Io, ma anche come oggetto
degli investimenti libidici. Freud infatti sostiene che tale investimento rappresenti una fase
intermedia tra autoerotismo e amore oggettuale e può essere considerato come un aspetto
strutturante del funzionamento mentale.

Sostenendo che l’Io sia prima di tutto un fatto corporeo che si costruisce sulla base di sensazioni
che provengono dalla superficie del corpo, Freud si avvicina a quello che autori successivi hanno
definito come immagine corporea che si forma attraverso le percezioni sensoriali che prendono
vita nelle prime esperienze relazionali. È proprio a partire da queste, e dalla percezione della
propria pelle al contatto con quella della madre che si sviluppa gradualmente un Io-pelle da cui
successivamente cominciano a nascere i pensieri.

La sensazione iniziale di essere fusi con il corpo materno procederà verso una graduale
differenziazione che porterà a una individuazione dei confini del proprio corpo. Questo sviluppo è
possibile, dunque, se si è alla presenza di un'altra mente, quella della madre, che, attraverso le sue
cure e la rêverie, sostiene la possibilità del bambino di cominciare a dare senso all'esperienza. È
anche attraverso il rispecchiamento nello sguardo materno, che il bambino impara a sentirsi reale
e a sperimentare un senso di continuità all'esistenza di Sè nel corpo. È infatti all'interno della
relazione tra la madre e il bambino che il corpo si costituisce come "oggetto interno libidinizzato"
integro e con dei confini definiti, base sicura per i futuri sviluppi dell'Io.
È in questo senso che le prime esperienze infantili gettano il fondamento dell'installarsi della
psiche nel corpo e ne lasciano una memoria somatica che sarà decisiva in pubertà quando
l'emergere delle pulsioni renderanno presente il corpo alla mente dell'adolescente. Dunque il
piacere sensoriale primario, sperimentato nel contatto con il copro materno, e la pulsionalità
adolescenziale sono in connessione con le orme lasciate dagli affetti-sensazioni sperimentati in
quei primi scambi corporei. Se queste esperienze sono state deficitarie, l'adolescente non sarà
sufficientemente attrezzato per mentalizzare il suo corpo pubere che diventerà fonte di angoscia e
verranno attivati dei meccanismi di difesa che andranno ad alterare la relazione tra la mente e il
corpo fino, nelle forme più gravi, al disinvestimento di quest'ultimo.

Le trasformazioni della pubertà hanno una qualità intrinsecamente traumatica poiché comportano
una frattura nella continuità dell'essere, perciò è necessario un legame emozionale
sufficientemente buono con il proprio corpo per poterle attraversare preservando il senso di sé
attraverso il tempo.

La transizione tra sensazione ed emozione, cioè tra processi legati al corpo e processi psichici,
dunque, implica procedure mentali di percezione ed elaborazione che danno significato emotivo
all'esperienza.

L'emozione è dunque il ponte che collega il somatico con il mentale andando a formare
l'integrazione psicosomatica attraverso un processo che, nel bambino, è garantito dalla mente
della madre. Difficoltà a questo livello, nel processo di mentalizzazione delle emozioni, producono
una scissione tra il funzionamento mentale e quello corporeo e costituiscono la genesi dei disturbi
psicosomatici.

La dissociazione psicosomatica è uno dei nuclei dei disturbi del comportamento alimentare che ha
come suo effetto, nei da, la separazione della mente dal corpo con il predominio della prima sul
secondo comportandone la sua negazione o la sua manipolazione.

L'incapacità di mentalizzare i conflitti interni ed esterni e l'impossibilità di elaborare emozioni,


sono alla base di un funzionamento del pensiero operatorio che consiste in una estrema
razionalizzazione del pensiero e una scissione dei contenuti emotivi rendendo il vissuto del
soggetto appiattito sul piano concreto.

IL CORPO SESSUATO
La pubertà comporta una riattivazione della libido, silente durante la fase di latenza, che spinge il
soggetto a ricercare una scarica della tensione pulsionale. Il rapporto tra il desiderio sessuale e la
possibilità di realizzazione dello stesso, per le dinamiche edipiche implicate, è generalmente fonte
di angoscia e questo rende fragile l'Io nella sua possibilità di controllo degli impulsi.

L'ambivalenza tra aspetti di passività e attività che sono da sfondo alla dinamica pulsionale è uno
degli assi centrali attorno a cui si snodano lo sviluppo e le lotte dell'adolescente. Tale ambivalenza
nasce dai profondi cambiamenti corporei che hanno luogo con la pubertà: lo sviluppo degli organi
genitali e la maturazione sessuale connessa a uno psichismo ancora ancorato a un modello di
funzionamento infantile.

La teoria freudiana postula che lo sviluppo psicosessuale si svolga in due tempi separati della fase
di latenza che è caratterizzata dalla rimozione della sessualità infantile. Secondo Freud le
trasformazioni della pubertà sono determinate dalla riorganizzazione delle zone erogene e delle
pulsioni parziali che si mettono al servizio della genitalità che, grazie alla rinuncia edipica, porterà a
reperire gli oggetti sessuali al di fuori della famiglia, spingendo l'adolescente verso il gruppo dei
pari.

Le nuove sensazioni che vengono attivare dallo sviluppo del corpo, permettono all'adolescente di
accedere alla masturbazione e alle fantasie a esse connessa. La masturbazione permette di
indagare quali fantasie, pensieri o soddisfacimenti siano «accettati dal Super-Io o quali non
possono far parte dell'immagine che l'individuo ha di sé come sessualmente maturo». Se le
fantasie contengono dei desideri regressivi, vissuti come eccessivamente vergognosi, impediranno
all' adolescente di sperimentare la sessualità e le sensazioni a essere connesse verrano negate.

Può accadere, anche, che le trasformazioni somatiche producano una frattura nella relazione con
sé stessi e con gli altri, in particolare i genitori. Se non c'è un Sé ben distinto, l'intimità e la
sessualità possono essere vissute come perdita di identità; quando l'angoscia di affrontare il
rimaneggiamento della propria identità è troppo alta, adolescente può bloccarsi o regredire in un
assetto infantile più sicuro e meno perturbante.

Durante l'infanzia, infatti, i desideri e le fantasie avevano un sapore innocuo, ma con l'avvento
della pubertà e la riattivazione dell'Edipo, gli stessi desideri assumono un significato realmente
incestuoso. È dunque necessaria una rinuncia progressiva ai primi oggetti d'amore affinché
avvenga l'integrazione del nuovo corpo sessuato nell'immagine di sé. La minaccia che questo
lavoro comporta nell'equilibrio psichico può portare a un breakdown evolutivo che, in questo
senso, può essere definito come un rifiuto inconscio della sessualità. Tale rottura può manifestarsi
in diversi modi.

Un'altra modalità disfunzionale, che si incontra sempre più frequentemente oggi, ha a che fare con
la necessità degli adolescenti di vivere delle esperienze basate sullo sperimentare sensazioni
piuttosto che formare delle relazioni. Sembra che oggi il rapporto sessuale e la relazione affettiva
siano sempre di più scisse e che le esperienze sessuali siano caratterizzate da incontri one shot,
con estranei incontrati a una festa o in discoteca, piuttosto che appartenenti a una relazione
sentimentale.

Spesso gli adolescenti descrivono le esperienze sessuali come delle attività che non hanno nessuna
valenza affettiva, ma sono solamente dei modi per provare esperienze e sensazioni nuove.

Il continuo agito sessuale, il primato della sensazione a scapito della relazione, fanno pensare a un
funzionamento in cui il sentire si sia sostituito al pensare e in cui il corpo viene usato come oggetto
che sembra non avere uno spazio nella mente del soggetto. Come se vi fosse in atto una scissione
tra l'affettività e la sessualità e gli "agiti sensoriali" si mettessero al posto del pensare e della
elabora- zione psichica. Una sorta di dissociazione affettiva dal corpo in cui l'adolescente si guarda
come se fosse estraneo al sé nell'impossibilità di integrare gli aspetti del suo mondo interno (CASO
DI JENNY).

LA DISSOCIAZIONE MENTE-CORPO
Lo sviluppo primario del bambino è definito da un corpo che, attraverso la relazione con l'altro,
sviluppa la capacità di pensare, contenere e simbolizzare; nel bambino la mente nasce dal corpo.
In adolescenza questo processo è molto diverso, come abbiamo visto precedentemente, perché
esiste già una mente che sembra non conoscere il nuovo corpo che abita e deve riscoprirlo.
Durante i primi mesi di vita, le interazioni tra la madre e il bambino e le esperienze sensoriali che
avvengono tra loro vanno a determinare la percezione e la successiva immagine corporea del
soggetto, gettando le basi del pavimento psichico su cui si innesterà l'identità.
Le cure materne producono esperienze sensoriali, legate all' essere toccati, che innescano un
processo complesso che porterà alla costruzione del confine del sé e alla distinzione tra Io e non-Io
e all' investimento libidico del bambino sul suo corpo. Il rapporto con l'altro è dunque centrale nel
processo di integrazione delle sensazioni che stanno alla base dello sviluppo dell'identità. La
patologia della percezione corporea si determina quando c'è una situazione relazionale non
sufficientemente buona che costringe il bambino a operare un continuo meccanismo di scissione
che comporta l'impossibilità di mantenere la propria integrità.

Le carenze o l'assenza delle cure materne hanno come conseguenza una distorsione dello sviluppo
in grado di compromettere la relazione mente-corpo, fino ad arrivare a una dissociazione dal
corpo. Con questo termine si intende una situazione in cui il corpo scompare dalla mente, così
come il bambino non era stato contenuto nella mente della madre.

L'insufficienza di rêverie materna influenza la possibilità dell'adolescente di attuare il processo di


simbolizzazione. La qualità della relazione affettiva della madre nei confronti del corpo del
neonato sembra avere un ruolo fondamentale nell'influenzare l'investimento del bambino sul
proprio corpo.
Questo implica che la madre sia capace sia di un certo grado di fusionalità che di separatezza
potendo distinguere, fin dalla nascita, il suo corpo da quello del figlio.

Deve esserci, dunque, anche una certa capacità di cogliere i segnali di questa diversità e una
curiosità nello scoprire la nascente alterità del bambino, al fine non solo di riconoscerla ma anche
di rispecchiarla al figlio stesso in modo da poter gettare le basi per la costruzione della sua
percezione del corpo. La relazione con il corpo della madre nei primi scambi relazionali andrà
formare un substrato inconscio di esperienze sensoriali e affettive che costituiranno l'immagine
corporea e determineranno la sua capacità di gestire e contenere le sensazioni di angoscia e di
dolore provenienti dal mondo interno. In condizioni sufficientemente buone si svilupperà nel
mondo interno una rappresentazione dell'investimento affettivo della madre nei confronti del
corpo del bambino che definirà il corpo come un oggetto interno libidinizzato, necessario all'Io per
il suo sviluppo e per la relazione con il mondo esterno. Tale base sicura sarà necessaria affinché il
soggetto possa mantenere un investimento libidico-affettivo sul suo corpo al fine di preservare la
sensazione di continuità del senso del sé pur attraversando i cambiamenti somatici che il tempo
impone. E proprio la qualità di questo legame affettivo con il corpo che permetterà o meno
all'adolescente di affrontare in modo sufficientemente adeguato l'avvento della pubertà.
Se ciò non avviene, e la diversità del figlio viene disconosciuta, verrà compromessa precocemente
la sua capacità di fidarsi delle proprie sensazioni e, di conseguenza, del corpo, che via via potrà
assumere le caratteristiche di un oggetto ostile da sconfiggere.

Il corpo pubertario, inquietante ed estraneo, minaccia il sentimento di integrità e la continuità


identitaria: il nuovo corpo genitale è inizialmente vissuto sia come appartenente al Sé che, allo
stesso tempo esterno al Sé, in una dimensione di confine tra l'essere e l'avere.
Potremo dire che il corpo anatomico non coincida da subito con la sua rappresentazione mentale
e che occorra un lavoro psichico di simbolizzazione, che comporta una rielaborazione del corpo
come oggetto interno, affinché l'adolescente prenda contatto con il suo corpo sessuato,
trasformandolo in un oggetto psichico.

Questo processo di simbolizzazione è graduale e richiede dei tempi piuttosto lunghi per approdare
alla sensazione di essere il corpo che si ha e affinché i confini della psiche coincidano con quelli
corporei.
Senza questo processo di elaborazione simbolica, il corpo non può che essere vissuto come un
oggetto esterno pericoloso, da controllare e, nelle situazioni più gravi, da attaccare.

Anche se gli attacchi al corpo sono un elemento naturale dell'adolescenza, essi dimostrano
comunque una difficoltà di simbolizzazione nel processo di integrazione del corpo genitale.

Tali situazioni si situano lungo un continuum che va da alcuni lievi aspetti dismorfofobici al bisogno
regressivo di controllare le trasformazioni in atto, fino ad arrivare a veri e propri atti autolesivi; essi
esprimono, da un lato, la fisiologica ambivalenza dell'adolescente verso il cambiamento del
proprio corpo e dall'altro, una grave forma di rifiuto.
Si manifestano anche gravi perturbazioni nella relazione con il corpo sessuato nei casi in cui la
rinuncia al corpo infantile a vantaggio di quello genitale sia vissuta come troppo rischiosa sia per le
angosce suscitate dai fantasmi edipici-incestuosi riattivati dalla pubertà che per quelle di
annichilimento per la perdita di Sé.
È questo il caso dei disturbi alimentari in cui il desiderio di bloccare la crescita del corpo
corrisponde al desiderio di tenere ferma la realtà e il tempo che passa e che impone la crescita.

In queste situazioni, se l'angoscia supera le possibilità elaborative dell'adolescente, vengono


mobilitate intense difese contro il corpo sessuato o contro la sua rappresentazione, che possono
provocare possono una scissione tra la psiche e il corpo, che diventa ricettacolo degli aspetti scissi
e rifiutati del sé. Può anche accadere che, se il processo di separazione-individuazione è
incompiuto, sia il conflitto con i genitori a essere spostato sul corpo, vissuto come un loro
rappresentante.
Il corpo viene, allora, disinvestito fino a essere escluso dalla rappresentazione di sé portando a
un'alterazione del rapporto dell'adolescente con la realtà.
Allora, a seconda dell'intensità dell'angoscia e delle difese prevalenti, il corpo pubere verrà
disinvestito, negato, aggredito o eccessivamente idealizzato.
La clinica dell'adolescenza ci racconta di quanto sia sfaccettata la sintomatologia espressa
attraverso il corpo, rendendoci consapevoli di quanto questi sintomi rappresentino un linguaggio
che narra il tormentato processo adolescenziale di integrazione tra psiche, soma e mondo esterno.

La capacità dell'adolescente di elaborare le angosce generate dalle trasformazioni pubertarie è


determinata anche dalla possibilità dell'ambiente di svolgere una funzione di contenimento
sufficientemente adeguata. La carenza di rispecchiamento e di sostegno al sé del bambino
determinerà dei vuoti nella costituzione del Sé che influenzeranno il modo in cui verranno gestite
le problematiche puberali, specificamente quelle legate al corpo.

Le sintomatologie connesse alle patologie del vuoto, come anoressia, bulimia ma anche le
tossicomanie e le dipendenze in generale testimoniano le carenze nella capacità di appropriazione
simbolica del corpo e mettono in scena un corpo "vuoto" di significati simbolici e affettivi, che deve
essere, costantemente, concretamente riempito. I vuoti rappresentano sia l'assenza di uno
sguardo materno riflettente ma che trasmette un eccessivo investimento narcisistico, sia l'assenza
della funzione paterna nel suo ruolo di rappresentante della realtà e di limiti e di confini.

CAPITOLO 4: CRISI, TRUMA E TRANSGENERAZIONALE


CRISI IN ADOLESCENZA
L'adolescenza diventa patologica quando l'estensione della crisi e la sua profondità invadono
l'intera sfera del soggetto, come spesso accade nell'anoressia o nelle gravi forme di ritiro sociale.

Ci si trova allora di fronte a una spaccatura del processo di crescita che mette a nudo le difficoltà
evolutive. Lo scatenarsi del breakdown è la rappresentazione di un concatenarsi di diversi fattori
come l'impossibilità di stabilire dei confini flessibili del sé e costruire la propria individuazione, le
dinamiche transgenerazionali, le identificazioni alienanti, il fallimento dello schermo protettivo,
l'impossibilità di effettuare il lutto degli oggetti parentali, insomma tutti ostacoli alla
soggettivazione. L'adolescente vive allora dei momenti di intenso turbamento che agisce per
evitare l'angoscia di pensare, ne sono un esempio l'uso di alcol e droghe. Altre volte quello che è
attaccato è il corpo, che può essere deformato, martorizzato o trattato come un feticcio come nei
dca.
L'adolescenza che fa crisi è caratterizzata da dinamiche simili a quelle che si possono osservare
negli stati limite o borderline in cui si riscontra una estrema fragilità dell'Io, un'incertezza riguardo
alla propria identità e una lotta continua contro gli aspetti depressivi.

Tuttavia la crisi è fondamentale per la formazione dell'identità e presentifica al soggetto una scelta
tra il permanere nella sicurezza della situazione infantile e la possibilità di avventurarsi verso un
futuro nuovo e sconosciuto. Questa scelta sarà influenzata e determinata dalla situazione
complessiva dello sviluppo psichico raggiunto fino a quel momento. Ciò che è avvenuto nelle fasi
precedenti avrà una influenza determinante: è in questa fase che gli equilibri e i disequilibri
dell'infanzia dovranno essere integrati per abbracciare la dimensione adulta.

Questo processo di integrazione porta a una crisi adolescenziale "normale" oppure può
slatentizzare una difficoltà evolutiva che trova espressione con diverse modalità sintomatologiche
che riguardano tre aree: quella pulsionale, quella del vissuto corporeo, e l'area relazionale.

La prima riguarda fondamentalmente la gestione della sessualità e dell'aggressività. Se non c'è un


Sé sufficientemente distinto, l'intimità e la sessualità, che attivano angosce fusionali, possono
essere vissute come perdita dei confini identitari e dunque verranno attivate delle difese a
protezione dell'angoscia di frammentazione che si manifesteranno attraverso diversi sintomi,
come ad esempio il diniego del corpo genitale nell'anoressia.
Le istanze aggressive, funzionali al processo di separazione, possono essere accompagnate da
intensi vissuti di colpa qualora l'ambiente familiare si presenti come eccessivamente rigido e
incapace ad accettare le spinte evolutive del figlio che inibirà, quindi, il processo di crescita
innescando un movimento regressivo.

L'area del vissuto corporeo richiede un'intensa mentalizzazione del nuovo corpo pubere che deve
essere integrato nell'immagine di Sé.

L'area relazionale riguarda la capacità di separarsi e distinguersi dalle identificazioni genitoriali,


passando da una situazione di dipendenza all'autonomia, ritirando l'investimento libidico dai
genitori e dalla loro rappresentazione interna per investirlo sul sé e sul mondo dei coetanei.

Il processo di separazione è collegato al tipo di relazione che caratterizza la famiglia; una dinamica
relazionale fortemente invischiante, ad esempio, può rendere impossibile il passaggio evolutivo
negando la crescita del figlio. Accade spesso che i genitori entrino in crisi quando i figli si affacciano
all'adolescenza, soprattutto quando manifestano dei sintomi che testimoniano un disagio o il
fallimento della coppia. Come se l'adolescenza rompesse degli argini che fino a quel momento
avevano garantito un funzionamento familiare che necessita di modificarsi per accogliere e
favorire il cambiamento. La famiglia deve mettere in discussione la stabilità precedente che
assegnava a ogni attore della scena il suo ruolo ed essere sufficientemente plastica per adattarsi a
nuovi copioni (CASO DI BRUCE).

TRAUMA
L'esplosione del trauma in adolescenza e i comportamenti traumatofilici (l'uso di droghe, la
violenza, gli incidenti, la promiscuità sessuale, in generale i comportamenti a rischio) possono
essere considerati come il tentativo del soggetto di padroneggiare l'angoscia che l'esperienza del
trauma originale, avvenuto in un tempo più antico, ha prodotto lasciando dei buchi nella barriera
protettiva dell'Io.

Quando l'ambiente è deficitario, il bambino non ha l'energia sufficiente per organizzare le sue
difese e resta immerso in un'angoscia primitiva che minaccia l’unità del Sé generando la
sensazione di perdita della realtà che lo spinge all'unione psicosomatica con la madre. Questa
condizione rende il soggetto particolarmente vulnerabile e indifeso nei confronti di ogni
esperienza potenzialmente traumatica in tutte le fasi successive dello sviluppo.

Gli aspetti traumatici originari non possono essere mentalizzati ed elaborati come esperienze
integrabili nello psichismo ma restano presenti come dei vissuti che, nelle fasi successive della vita,
devono essere "espulsi" attraverso degli agiti o coattivamente ripetuti.
Tuttavia la ripetizione del trauma può avere una valenza positiva nella misura in cui può
rappresentarne un tentativo di elaborazione nella posteriorità.

Il re-enactment è dunque una occasione per esprimere, padroneggiare, digerire e integrare gli
aspetti traumatici infantili e permette di trasformali in una forma più attiva e metabolizzabile.
Tuttavia, nonostante il tentativo di gestire il trauma originario possa rappresentare una modalità
evolutiva per elaborarne gli affetti distruttivi, in altre circostanze esso può determinare la
strutturazione di un funzionamento mentale gravemente disturbato.

Dunque, lo scatenarsi del breakdown rappresenta un coagulo di numerose vicissitudini, come


l'impossibilità di stabilire frontiere del Sé flessibili e costruire la propria individuazione, le
dinamiche transgenerazionali, le identificazioni alienanti, il fallimento dello schermo protettivo,
l'impossibilità a effettuare il lutto degli oggetti parentali, insomma tutti ostacoli alla
soggettivazione.

Per individuare le situazioni traumatiche che possono bloccare il processo evolutivo, oltre a agli
aspetti relazionali, è necessario prendere in considerazione altre situazioni che si riscontrano nelle
anamnesi delle pazienti, che possono essere distinte tra eventi concreti e aspetti
transgenerazionali che rappresentano un trauma per il soggetto che li ha subiti.

IL TRAUMA SESSUALE
Il trauma sessuale riguarda tutte quelle situazioni in cui un adulto coinvolge, o permette che il
bambino sia coinvolto, in attività di natura sessuale che minano integrità corporea e il suo sviluppo
psichico. L'abuso sessuale è un evento che impatta nello psichismo del soggetto, che spesso viene
rimosso, ma che va a costituire un nucleo interno depositario degli aspetti perversi degli abusanti.
Tali eventi possono essere considerati rilevanti nella genesi dei da nel momento in cui
rappresentano un trauma che può portare, tra le altre cose, al diniego della femminilità e del
corpo sessuato. Montecchi sostiene che la logica perversa perseguita dal sintomo anoressico sia il
risultato di un'identificazione del soggetto con la perversione familiare. Non è solo l'abuso, infatti,
a essere determinante nell'eziologia traumatica, ma sono anche le caratteristiche di
incomprensibilità e di non pensabilità dell'evento a rendere la situazione catastrofica.
Possiamo definire come perversione familiare tutte quelle situazioni che prevedono un
occultamento, un superamento dei limiti e dei confini, non solo fisici, ma anche psichici, tra le
generazioni. Dunque le regole vengono scardinate, la barriera protettiva viene a mancare e la
dinamica relazionale non vieta l'incesto: il figlio è usato come oggetto di godimento perverso dei
genitori.

Ferenczi sostiene come in queste situazioni vi sia una confusione di linguaggi, dove la tenerezza del
bambino viene fraintesa dall'adulto che la interpreta e la traduce nel linguaggio della sessualità.
L'incesto è una rappresentazione della confusione dei limiti tra i soggetti, è un'irruzione improvvisa
della sessualità dell'adulto nella mente e nel corpo del bambino che produce effetti traumatici
ostacolanti lo sviluppo di una sana identità e di un equilibrio relazionale.

Per abuso sessuale non si deve intendere solamente una violenza agita, ma rientrano in questa
categoria quelle situazioni incestuose che si riscontrano nelle famiglie in cui è presente una
dinamica relazionale di stampo narcisistico.

LA PERVERSIONE NARCISISTICA E LE ALLEANZE INCONSCE


Con perversione narcisistica si intende una dinamica psichica caratterizzata dal bisogno di mettersi
al riparo dai conflitti interni e da particolari vissuti dolorosi nella quale l'altro è utilizzato come un
oggetto necessario per confermare il proprio valore. Nella perversione il partner, sia esso
compagno o figlio, non viene riconosciuto come soggetto differenziato e differente, ma viene
attuata una negazione ontologica dell'esistenza dell'altro come persona separata.

Ogni bambino viene al mondo con il compito di assicurare la continuità della generazione secondo
un particolare contratto tra il soggetto, la sua famiglia e il sociale in cui sono immersi. Ogni
soggetto deve creativamente svolgere questo compito interpretandolo a modo suo ma è
fondamentale che venga investito narcisisticamente dai genitori come portatore del futuro per la
famiglia stessa. Quindi il contratto narcisistico deve assicurare un'origine, stabilire una continuità e
assicurare al bambino «il diritto di occupare un posto indipendente dal verdetto genitoriale» per
poter individuarsi come soggetto unico e originale. Questa partita si gioca in particolar modo
durante l'adolescenza, quando i valori familiari sono messi in discussione al fine di trasformarli in
una dimensione che integri il passato, abbracciando il nuovo, per aprire al futuro. In una famiglia i
cui legami sono caratterizzati da un aspetto perverso, verrò messo in atto un diniego del conflitto
al fine di evitare il cambiamento che potrebbe a una rottura dei patti e delle alleanze inconsce tra i
membri.

La relazione col neonato e le cure del suo corpo mobilitano nella madre complessi moti pulsionali
inconsci connessi alla propria sessualità che verranno trasmessi al figlio e che si insedieranno nel
suo mondo interno. Sto facendo riferimento alla "seduzione originaria".

L'aspetto libidico dell'adulto è generalmente rimosso e trasformato nel processo di cura necessario
alla sopravvivenza del figlio. È, tuttavia, all'interno dello scambio asimmetrico tra l'inconscio
formato dell'adulto e quello in formazione del neonato che può avvenire un'infiltrazione intrusiva
dei desideri inconsci dei genitori.

Se i genitori non sono in grado, inconsciamente, di desiderare il figlio come soggetto e non come
oggetto-sé, l'individuazione non avrà spazio né luogo e l'identità del bambino sarà denegata e con
essa tutti i vissuti psichici che potrebbero causare una separazione, in una dinamica di negazione
violenta dell'alterità.

La funzione genitoriale di sostenere il figlio nel difficile compito di svincolarsi dai loro desideri per
essere se stesso sarà destinata al fallimento e il bambino diventerà un loro completamento
narcisistico. Questo porterà alla negazione del conflitto tra dipendenza e autonomia e
l'adolescente rimarrà incastrato in un'appartenenza familiare di tipo fusionale.

La coppia incestuale è una coppia narcisistica, onnipotente, escludente tutto ciò che è altro, dove
la separazione è vissuta come un presagio di morte ed è sostentata e alimentata da potenti
alleanze inconsce.

L'alleanza inconscia è la formazione psichica intersoggettiva di un legame, che viene costruita dai
soggetti per rinforzare alcuni processi e che porta un vantaggio tale per cui il legame stesso diviene
determinante per la sopravvivenza psichica. Questo legame si struttura sui bisogni e
sull'investimento narcisistico dei soggetti, su patti inconsci che mantengono i partner imprigionati
in una dimensione di costrizione e di passività. L'oggetto dell'alleanza è costituito da ciò che
rimosso, negato, rifiutato nell'uno e proiettato nell'altro con l'obiettivo di impedire che il soggetto
entri in contatto con i propri desideri.
Tali alleanze, basate sul diniego, sul rifiuto dei limiti e dei tabù generazionali, producono effetti
perversi e destrutturano l'apparato psichico, imbrigliando il soggetto in una dimensione incestuale,
e si possono sviluppare anche come difesa da tutto ciò che minaccia il legame stesso, come
l'estraneo, il diverso o la crescita. Il patto è garantito anche dalla impossibilità di entrare a contatto
con i propri sentimenti di rabbia che potrebbero muovere verso un cambiamento che viene
interpretato sempre come qualcosa di catastrofico. Il processo adolescenziale, che dovrebbe
portare alla formazione di un'identità separata, è vissuto dalla famiglia come un momento
pericoloso da evitare per proteggere l'identità familiare che non può essere messa a rischio.

Nella dinamica incestuale vi è una trama psichica in cui vi sono due complici che trovano nel
rapporto un rendiconto reciproco. Si tratta di una relazione di stampo narcisistico in cui l'altro, in
genere il figlio, è adorato, segretamente, come un idolo che incarna un ideale e ha la funzione di
illuminare e di procurare al genitore un godimento di tipo sessuale, anche se non concretamente.
L'oggetto incestuale è dunque prigioniero di una proiezione narcisistica e svolge la funzione di
incarnare gli oggetti interni che mancano all'altro e che gli sono necessarie per la sopravvivenza.
Serve per colmare un vuoto interno. Ed è per questo motivo che il soggetto non si può muovere
dalla relazione, che deve rimanere immutabile e che contamina tutta la famiglia.

I legami si strutturano sul segreto, sullo sforzo di mantenere i patti celati che instaurano un blocco
alla possibilità di pensare. La famiglia si impregna di un'aria incestuale invischiata e invischiante
che lega e tiene insieme ma si ritrasforma in un patto alienante e mortifero che lacera l'Io. Ma il
segreto trasuda quando si strutturano dei sintomi, come nei dca, che testimoniano la presenza di
movimenti interni in contraddizione con il legame (CASO DI ADELE).

L’OGGETTO AGGLUTINATO E LA SIMBIOSI


Bleger ipotizza che l'essere umano nasca in una comunicazione totale con l'ambiente col quale è in
contatto: esiste una relazione primitiva tra l'Io e l'ambiente in cui l'Io si evolve e lo sviluppo
psichico è il risultato di una graduale differenziazione dall'oggetto.

Per Bleger già dalla nascita esiste una relazione Io-mondo caratterizzata da una fusionalità
primitiva. Questo tipo di relazione è il prodotto di un modo di esperire la realtà che egli chiama
posizione glischro-carica corrispondente a uno stadio in cui l'Io non è distinto dall'oggetto (oggetto
agglutinato), e si caratterizza per la presenza di specifiche angosce (di tipo catastrofico,
confusionale) e specifiche difese (scissione, proiezione). Secondo l'autore il neonato parte da uno
stato indifferenziato ed è il contatto con il mondo esterno che ne favorisce lo sviluppo progressivo
fino alla differenziazione.

L'ipotesi di Bleger, dunque, è che esista una terza posizione, glischro-carica, anteriore alle due
supposte da M. Klein, quella schizoparanoide e depressiva, caratterizzata dalla relazione con
l'oggetto agglutinato, da ansie catastrofiche, da difese come la scissione, la proiezione e
'immobilizzazione, che funzionano con intensità e violenza estreme. Il passaggio alla posizione
schizoparanoide avviene grazie a una lenta e progressiva discriminazione all'interno dell'oggetto
agglutinato che coincide con una graduazione della scissione e della proiezione.
L'oggetto agglutinato comprende la struttura più primitiva della personalità, nelle quale non sono
presenti i confini tra interno ed esterno, ma è caratterizzata da una fusione indiscriminata tra
dentro e fuori. Dalle dimensioni di questo nucleo psicotico dipende l'intensità e il carattere della
dipendenza simbiotica.

La simbiosi è un vincolo che permette 'immobilizzazione e il controllo dell'oggetto agglutinato che


è un concentrato di formazioni molto primitive dell'Io in relazione a oggetti interni o con parti della
realtà esterna, senza discriminazione, ma anche senza confusione, poiché la confusione sorge
quando viene a mancare la discriminazione mentre nell' agglutinazione non è ancora stata
raggiunta.
Quando si instaura il vincolo simbiotico, la comunicazione avviene a livello concreto e regressivo,
in cui la parola ha il senso diretto di un agito: un ruolo simile lo svolgono il rapporto sessuale, il
rafforzamento della situazione persecutoria e l'aggressione. Si possono comprendere le
vicissitudini di una relazione simbiotica vedendole come una fluttuazione tra claustrofobia e
agorafobia. La separazione richiede l'elaborazione della relazione simbiotica che avviene in modo
molto graduale e si ottiene grazie a un progressivo sminuzzamento dell'oggetto agglutinato
attraverso una diversificazione dei vincoli con altri oggetti o depositari. Quando si rompe la
simbiosi in maniera brusca ci si può trovare di fronte al pericolo di una crisi psicotica; quando si
perde il controllo sull'oggetto agglutinato e questo invade la mente può apparire uno stato di
confusione, che insorge quando l'Io viene invaso. L'oggetto agglutinato che non è controllato
diventa un oggetto che confonde.

La confusione, dunque, è il prodotto dell'invasione del nucleo agglutinato nella struttura dell'Io più
maturo e la sua comparsa indica che si sta verificando una regressione verso i livelli meno
differenziati della personalità. La mancanza di un depositario affidabile all'inizio della vita
impedisce 'instaurarsi di quel periodo di simbiosi necessario per poter evolvere verso la
separazione. È una concezione che ricorda quella di Winnicott, il quale ipotizza uno stadio primario
di non-integrazione e uno sviluppo emotivo verso l'integrazione ottenuto sulla base di cure
materne sufficientemente adeguate.
Bleger sostiene che anche se non mancano le cure e le attenzioni indispensabili, può mancare
un'esperienza continuativa con un unico depositario. L'invidia e l'aggressività non possono essere
quindi contrastate poiché non c'è una persona che sostenga l'elaborazione di tali affetti
funzionando come un Io ausiliario.

Il concetto di vincolo simbiotico comprende il soggetto, l'oggetto o parti di esso e le qualità della
relazione tra entrambi; esso include il concetto di relazione interpersonale e di relazione
oggettuale. La relazione terapeutica può strutturarsi come vincolo simbiotico perché, stimolando
una regressione, permette una riattivazione del nucleo agglutinato e perché, in un unico
depositario, cioè il terapeuta, si concentrano esperienze estremamente varie che interessano le
diverse parti dell'Io. Il grado di bisogno, proprio al soggetto, di dipendenza simbiotica si correla
così alla permanenza del nucleo agglutinato, o meglio alle dimensioni relative di resti arcaici,
irrisolti, di fusione indiscriminata dell'Io con l'oggetto. A tali livelli psicotici della personalità,
caratterizzati da intensi bisogni simbiotici, è assegnato il compito di proteggere dalla separazione.

L'assunto principale di Bleger è che la relazione analitica sia essenzialmente simbiotica e debba
supplire a una simbiosi mancata o distorta, e che la terapia consista in un percorso graduale di de-
simbiotizzazione o riduzione del nucleo agglutinato. Sarebbe l'organizzazione del setting a dar
modo alla relazione primitiva e indifferenziata con l'oggetto di ripresentarsi sulla scena perché
questo processo evolutivo possa compiersi. Per il senso di sicurezza che deriva dall'insieme delle
regole che lo definiscono, il setting è la parte della situazione analitica che più si presta a fare da
depositario e da garante della simbiosi. Una delle sue funzioni è proprio quella di fornire una pelle
ancora in contatto adesivo, che svolga un ruolo d'integrazione, in attesa di percepire, così come
accade al bambino con il touching, primi ed elementari fenomeni di discontinuità tattile, micro-
aree di spazio-tempo, di non-contatto; per arrivare, poi, a forme più mature ed estese di
simbolizzazione.
La ripetizione dà senso e ordine alle cose. Le rotture o discontinuità di setting producono effetti di
spaesamento, d'inquietudine. Fanno avvertire un senso, doloroso, di perdita di familiarità, una
vertigine che può mutarsi in vera angoscia. Irrompe qualcosa di estraneo. Un luogo sicuro d'un
tratto si fa irriconoscibile, inospitale. È ciò che Bleger descrive come effetto catastrofico della
perdita improvvisa del nucleo agglutinato. E, tuttavia, è solo esponendosi a questi rischi che è
possibile integrare il nuovo, cambiare, adattarsi e apprendere dalla realtà ritrovando ogni volta le
proprie condizioni di equilibrio (CASO DI VITTORIA).
IL TRANSGENERAZIONALE
L'esperienza clinica porta a considerare che certi sintomi, quelli dell'adolescenza in particolare,
non possono essere compresi solamente considerando la storia individuale del soggetto, ma che
devono essere interpretati considerando il soggetto come anello di una catena alla quale
appartiene, riconoscendo in tal modo i processi di ripetizione legati alle generazioni precedenti. Un
trauma non elaborato, non pensato, che resta segreto e indicibile condizionerà i legami familiari
che risulteranno permeati di ambiguità e finzioni. Un non detto che proviene da un passato
ingombra la mente e colonizza il mondo interno trasformandosi in una sintomatologia che
ostacola, e talvolta impedisce, la spina evolutiva. L'adolescenza diventa così il teatro nel quale si
drammatizzano i traumi transgenerazionali.

Quando il dolore non è pensabile può essere trasferito nel mondo esterno, in altri soggetti che se
ne fanno, inconsciamente, carico e, dunque, soffrire al posto di un altro diventa possibile
soprattutto se l'altro è un membro di un'altra generazione. In queste situazione può avvenire una
trasmissione inconscia tra gli psichismi, di contenuti grezzi privi di elaborazione provenienti da
altre generazioni, che alienano e perturbano.
Per cui l'uomo non solo è governato dal suo inconscio, ma anche da quello altrui.

Kaès ipotizza che la trasmissione transpsichica sia caratterizzata dalla assenza di separazione tra i
soggetti e da potenti meccanismi di suggestione, induzione e contagio psichico.
Normalmente il campo familiare svolge una funzione nutriente e strutturante che stimola lo
sviluppo attraverso il riconoscimento dell'identità del bambino, permettendogli di intrecciare la
propria storia con i miti familiari. Ma in un contesto impregnato di traumi e di segreti non elaborati
dalla generazione direttamente implicata, si instaurano fantasie e angosce molto primitive che
impediscono l'integrazione degli aspetti identitari del bambino.
I genitori trasmettono ciò che non sono in grado di elaborare, quello che ha a che fare con le loro
carenze, insufficienze strutturali e esigenze narcisistiche; lo spazio individuale viene allora limitato
e manca lo spazio transizionale che permette la trasformazione dei contenuti ricevuti in elementi
propri e si viene a formare una trasmissione ripetitiva.

La prospettiva transgenerazionale considera che l'identità sia fondata sulle aspettative e le fantasie
che i genitori avevano immaginato del figlio prima della sua nascita, che rendono il bambino
portatore di un'eredità familiare, di stampo narcisistico, che va integrata con la sua dinamica
psichica. Se questa integrazione non è possibile, il soggetto si troverà schiacciato dai fantasmi
genitoriali e si produrrà una indifferenziazione tra le generazioni. Se ciò che è depositato
all'interno del soggetto ha a che fare con dei contenuti traumatici, non elaborati, il figlio sarà
portatore degli antichi traumi che gli impediranno di evolversi e di soggettivarsi.

L'adolescenza, momento in cui le antiche appartenenze sono messe in crisi a favore di una nuova
l'identità, può rappresentare il momento in cui i contenuti transgenerazionali si manifestano come
arresto del percorso evolutivo.

Dunque il transgenerazionale è il punto di incontro di almeno due vettori, uno dei quali riguarda
il passato remoto del soggetto, della sua famiglia e di quelle antecedenti, l'altro ha a che fare con il
funzionamento nel qui e ora della famiglia, delle sue relazioni e dinamiche interne.
CAPITOLO 5: LA FAMIGLIA
UNO SGUARDO PSICOANALITICO SULLA FAMIGLIA
«la psicoanalisi come una teoria che trascende la dicotomia individuo-gruppo familiare». La
rivoluzione portata infatti da Freud e la scoperta dell'inconscio teorizzano che nessun uomo può
crescere senza l'esistenza degli altri e che il mondo interno di ognuno si costruisce a partire dal
gioco di proiezioni e introiezioni esterne. Ogni persona quindi si struttura a partire da una matrice
gruppale di origine e anche la sua patologia dovrà essere letta non solo considerando le dinamiche
individuali, ma addentrandosi nella fitta rete di relazioni che la famiglia rappresenta e contiene.

Melanie Klein, con i concetti di relazione d'oggetto e di fantasia inconscia, è colei che comincia a
disegnare l'apparato psichico come macchina relazionale, e a definire, sebbene in modo
embrionale il concetto di legame.

Wilfred Bion, è invece tra i primi a postulare che la dimensione gruppale precede in qualche modo
quella individuale. In Esperienza nei gruppi descrive la matrice protomentale del gruppo (mentalità
di gruppo come espressione unanime alla volontà di gruppo) nel quale il bambino nasce e radica la
sua identità, differenziandola dal concetto di cultura di gruppo «per descrivere quegli aspetti del
comportamento del gruppo che sembrano nascere dal conflitto tra mentalità di gruppo e desideri
del singolo».

Winnicott nei suoi studi mette bene in evidenza che la madre e il neonato sono un agglomerato
unico e indissolubile distinguendo, però, la funzione di madre-ambiente che serve da sostegno
(holding) al neonato dalla madre-oggetto che permette di stabilire la prima relazione con l'altro. In
La famiglia e lo sviluppo dell'individuo egli introduce il concetto di ambiente circostante favorevole
descrivendo la necessità da parte del neonato di avere le garanzie minime per poter sviluppare le
proprie potenzialità. Un'altra teorizzazione rivoluzionaria di Winnicott ha a che fare con il
significato intersoggettivo dei sintomi: anche se l'espressione sintomatologica ha a che fare con un
solo membro della famiglia (spesso il più debole), il suo significato sembra avere una matrice e una
cornice gruppale in cui tutti membri garantiscono la sua complessità.

Enrique Pichon Riviere abbraccia questa prospettiva, introducendo il concetto del malato come
portavoce della sofferenza familiare, come oggetto emergente attraverso cui è possibile vedere la
confusione e la conflittualità di tutto il gruppo. Secondo l'autore il sintomo è il rappresentante
della malattia di base della famiglia che risulta dal raffronto tra gruppo interno (ampliamento del
concetto kleiniano di mondo interno) e i gruppi esterni.
I contenuti inconsci, quindi, non avranno solamente una dimensione interpersonale, ma
esisteranno dei livelli più primitivi che avranno appunto a che fare con il gruppo e le sue funzioni.
Da questa prospettiva è facile capire come il lavoro con l'adolescente portavoce del disagio spesso
non possa in alcun modo prescindere dal lavoro con la coppia genitoriale e, a volte, con tutto il
gruppo famiglia.

LA FAMIGLIA: IL CONTENITORE ENTRO CUI CRESCERE


Interessante poter usare la schematizzazione di Meltzer e Harris che suddividono in due gruppi le
otto funzioni della famiglia. Il primo raggruppamento è costituito dalle funzioni che generano
sviluppo e crescita: generare amore, infondere speranza, contenere la sofferenza depressiva (e
paranoide) e pensare. Sono definite dagli autori "introiettive" nel senso che nascono dal
movimento di fare proprie cose che vengono dall'esterno. Il secondo gruppo comprende le
funzioni che generano blocco e impossibilità di crescere, cioè: suscitare odio, seminare
scoraggiamento e disperazione, trasmettere angoscia persecutoria e creare confusione e
menzogne. Queste sono chiamate "proiettive" nel senso che si è protesi a espellere ciò che è
doloroso.

Quando arriva un figlio nella coppia si tratta di un fenomeno molto particolare che segna la
transizione da due a tre, si diventa un gruppo.

Il bisogno principale di un neonato è quello di essere protetto dall'irrompere del mondo esterno.

Il corpo della madre diventa quindi quella barriera fisica e mentale affinché egli si senta legittimato
a compiere delle incursioni verso l'ignoto. All'inizio della vita, quindi, la madre rappresenta per il
bambino il mondo intero, tanto da non poterla riconoscere come un qualcosa di intero e di diverso
da sé.
La teorizzazione di questa modalità di relazione così importante e particolare attraversa come un
filo rosso gran parte del pensiero psicoanalitico, che dalla sua nascita a oggi continua a osservare e
a studiare con diversi metodi e tecniche questo particolare tipo di relazione, base per quella che
sarà l'evoluzione psichica dell'individuo.

Colei che per prima ha riformulato la concezione di rapporto tra madre e bambino, passando da
una visione intrapsichica a una relazionale è senza dubbio Melanie Klein. Il corpo della madre, per
Melanie Klein, è il primo oggetto con cui il neonato instaura delle relazioni che vengono colorate
intensamente di sensazioni, di sentimenti e desideri del bambino stesso.
Il seno diventa quindi quell'oggetto parziale che, poiché riesce a ratificare e soddisfare i suoi
bisogni viene dal bambino introiettato e andrà a creare in lui quel senso di fiducia necessario che
farà da base alla sua identità; al contrario, il neonato cerca di organizzare tutte le esperienze
negative e frustranti che ha vissuto dando loro la forma di un oggetto cattivo che cerca di
allontanare proiettandolo fuori da sé.

Un altro contributo importante alla teorizzazione della relazione mamma-bambino è senza dubbio
quello di Donald Winnicott che, a partire da osservazioni dirette, costruisce un vero e proprio
apparato tecnico e linguistico per declinare e descrivere la peculiarità di alcuni fenomeni.
Winnicott teorizza che al momento della nascita «l'infante non esiste», se non come un essere
totalmente dipendente dal suo ambiente, il quale è costituito fondamentalmente dalle cure
materne. Da qui sorge l'esigenza di sentirsi unico nel rapporto con l'altro, percependosi
riconosciuto e confermato nella propria identità, nella propria continuità dell'esistenza.
Winnicott riassume nel concetto di holding la modalità con cui queste cure giungono a soddisfare i
bisogni del bambino, garantendo un buon grado di identificazione e di adattamento. Questo
bisogno di onnipotenza espresso dal bambino e garantito dalla madre è, quindi, un passaggio
fondamentale per la costruzione dell'identità, in quanto garantisce la possibilità del bambino di
riconoscersi nella figura materna, esperienza che gli permetterà successivamente di differenziare il
dentro dal fuori, il soggetto dall'oggetto.

Parallelamente a quello che Winnicott definisce muto rispecchiamento, un altro autore che
introduce senza dubbio un caposaldo nello studio della relazione mamma-bambino è Wilfred Bion
con il concetto di rêverie. Bion definisce rêverie (fantasticare a occhi aperti) quello stato mentale
della madre di cui il lattante ha bisogno. E quel processo per cui la mamma dà un senso alle
sensazioni del neonato (angosce, tremore) che egli avverte come intollerabili. Se la madre non è in
grado o non ha la possibilità di offrire questa rêverie, il bambino prova una sensazione di angoscia,
di terrore di fronte allo spaventoso ignoto. Bion lo definisce come un terrore senza nome. La
mente materna è la componente più importante per il lattante. La mamma dovrà però trovarsi in
uno stato di calma ed essere recettiva per accogliere le emozioni grezze del piccolo,
trasformandole in qualcosa di pensabile. Assolvendo dentro di sé questa funzione, all'esperienza
del bambino viene conferito un significato che gli permetterà di sviluppare una capacità riflessiva
sugli stati mentali. La rêverie materna quindi garantisce al bambino di poter dapprima imparare a
tollerare la cosa sconosciuta (la non-cosa) senza farsi totalmente annientare dalla sua angoscia, e
successivamente di poterla conoscere.
Al contrario, il fallimento della funzione alfa, non attivata data l'assenza di rêverie, impedisce al
bambino di maturare la capacità di conferire significato emotivo agli oggetti e alle relazioni
generando, conseguentemente, comportamenti patologici.

Winnicott (Winnicott, 1970) sostiene che la famiglia sana è in grado di attraversare il continuum
che va dalla dipendenza assoluta a quella relativa per approdare, dopo l'adolescenza, a una
interdipendenza adulta. Infatti più o meno dalla metà del primo anno, il rapporto tra la mamma e
il suo bambino inizia a mutare in maniera radicale, e sostanziale. Il bambino comincia a interagire
in modo più attivo e consapevole con il mondo esterno, sfoggiando tutta la sua curiosità e la sua
capacità di scoprire le cose e i legami tra di esse. Tutto ciò quasi in un processo di rêverie al
contrario, riesce a tranquillizzare e a dare fiducia ai genitori che ora possono imparare a conoscere
il loro bambino: ne osservano i progressi, e sono gratificati dai suoi movimenti che li rendono
sempre più consapevoli della sua unicità. La relazione dinamica con il loro figlio è in grado, inoltre,
di rassicurarli sul loro ruolo, poiché possono toccare tangibilmente i risultati della loro interazione.
In questa fase, il padre, che fino a quel momento era stato relegato ai margini della coppia
primaria (madre e bambino) e aveva avuto la funzione indiretta di protezione, permettendo tutte
le dinamiche descritte in precedenza, ora entra prepotentemente in scena. E solo infatti attraverso
la funzione di separazione, possibile grazie alla sua posizione più esterna alla coppia, che egli può
far sperimentare, in un contesto protetto, i primi sentimenti di frustrazione e di attraversamento
del dolore al bambino. La funzione maschile permette quindi di ristabilire l'ordine naturale
all'interno della famiglia, e in questo senso di far sperimentare come il conflitto, esattamente
come l'amore, sia un ingrediente essenziale affinché sia possibile la crescita.

Solo infatti dalla capacita di attraversare il conflitto e di non farsi annichilire dal dolore che la
frustrazione comporta, il bambino saprà sostare nell' incertezza del triangolo edipico, tanto in
infanzia quanto nella sua riedizione adolescenziale.se tutto questo non accade, il ragazzo non avrà
gli strumenti per accettare la sfida che l'adolescenza impone e sarà costretto a nascondersi, a
scappare, terrorizzato dagli effetti che i suoi mutamenti possono generare. E se non accetterà
questa si da sarà costretto a produrre sintomi, come compromesso evolutivo, di un mondo interno
che non può crescere e non può fantasticare di creare progetti che autenticamente lo possano
"gettare in avanti"' lontano dai suoi genitori, fiducioso della sua unicità e della sua potenzialità.

LA FAMIGLIA ADOLESCENTE
Partendo da una concettualizzazione della famiglia come gruppo primario è evidente che questa
cambi forma e dimensione a seconda delle fasi di vita dei suoi membri. L'adolescenza è senza
dubbio un momento di cambio pelle individuale e gruppale importante che rimette in gioco tutto il
sistema. Questa mutazione è senza dubbio repentina e radicale tanto che i genitori stentano a
riconoscere il proprio figlio. I mutamenti che si manifestano in questo periodo, infatti, sembrano
mettere in completo subbuglio il faticoso equilibrio che ogni famiglia ha tentato di raggiungere
fino a quel momento, mettendo tutto il sistema in una forte tensione giustificata dal fatto che uno
dei suoi membri sta cambiando forma.

Le trasformazioni di un adolescente, quindi, hanno il compito di differenziarlo e allontanarlo dal


suo nucleo di origine, ma, contemporaneamente, di iscrivere il suo nome in un anello della catena
intergenerazionale, a pieno titolo. Se riuscirà a passare le turbolenze della trasformazione il
ragazzo diverrà a pieno titolo un adulto.

È questo che caratterizza l’adulto: la possibilità di scegliere, di coltivare progetti che gli permettano
di immaginarsi come un'identità unica al mondo. E per questo motivo che non è la stessa cosa
funzionare da adulti anagraficamente e risultarlo mentalmente: anche se sono i grandi che
decidono di far venire al mondo un bambino, offrendogli un modello educativo attraverso il modo
in cui si prendono cura di lui, a volte, purtroppo, i piccoli sono, di fatto, più adulti dei loro genitori.

Lo stato mentale infantile si manifesta sul corpo: le sue forme di pensiero infatti non sono
complesse e hanno un carattere tangibile e immediato. Melanie Klein parla della comparsa
dell'oggetto combinato come strumento di superamento delle fantasie edipiche, che permette al
bambino di effettuare il passaggio dalla relazione con gli oggetti parziali a quella con l'oggetto
totale. Mi sembra importante sottolineare questo concetto nel parlare di adolescenza, periodo in
cui tutto si trasforma ed è necessario trovare una nuova via per poter crescere. Ogni cambiamento
infatti comporta una rielaborazione, e ciò è importante specialmente nell'adolescenza ove il totale
processo di trasformazione si potrà avverare solamente attraversando il dolore della perdita e
quindi elaborando il lutto della separazione. Le zone genitali diventano nuovamente importanti e
si ripropone un reinvestimento libidico degli antichi oggetti familiari e incestuosi, dando vita a
intrecci intensi e processi emotivi nell'individuo.

L'adolescente deve fare i conti con un'altra triangolazione che lo mette di fronte a una dimensione
sociale, mentre nella fase edipica infantile il conflitto era stato tutto intra-familiare. L'adolescenza
è quindi una rivisitazione della vita vissuta, dei traumi e delle separazioni, e la maniera per poterli
superare dipenderà dalla quantità e dalla qualità degli strumenti che il ragazzo avrà potuto
mettere nella sua cassetta degli attrezzi. Lo sviluppo dell'identità del soggetto non potrà, quindi,
che nascere da cosa egli ha potuto esperire nei suoi primi anni di vita, dalla qualità delle sue
identificazioni che garantiranno al soggetto di poter attraversare l'ambiguità e la vulnerabilità che
le dinamiche familiari comportano: quelle più sane garantiranno il presidio di uno spazio mentale,
nel quale l'individuo si sentirà libero di crescere e di formare una propria pelle psichica) originale e
unica. Se invece ci sarà una predominanza di identificazioni patogeniche, come avviene all'interno
di una famiglia disfunzionale, il soggetto si troverà invischiato in una sorta di riproposizione
stereotipata e alienata dei comportamenti familiari, senza che sia possibile anteporre il pensiero
all'azione. Diventa chiaro, allora, come la famiglia, il gruppo primario, sia il contenitore dentro cui
il bambino prima e l'adolescente poi, hanno la possibilità di crescere e diventare adulti.

DISTURBI ALIMENTARI E FAMIGLIA


I dca sono disturbi strettamente legati all’adolescenza e alle problematiche relative all’involucro
esterno, al corpo, allo specchio. L’adolescenza e le sue modificazioni mettono in gioco le
introiezioni e proiezioni che i legami genitoriali e familiari hanno creato. Questi disturbi quindi non
possono essere visti come eventi intrapsichici del singolo, ma come una patologia transculturale.

L’oscillazione tra l’impotenza di poter possedere un corpo maturo e sessualizzato indipendente da


quello della madre e l’onnipotenza di controllare tutto con una tirannia esasperata è il terreno su
cui la struttura perversa nidifica. La confusione dei confini tra le generazioni è l’emergente che
spesso delinea l’ambiente patologico in cui la famiglia vive come un magma simbiotico. In queste
famiglie è difficile trovare orientamento o cardini fissi su cui fare affidamento per consentire
l’individuazione. Spesso ci troviamo di fronte ad una inversione di ruoli e delle funzioni tra
genitori-figli che determina un’inversione della relazione contenitore-contenuto. Il sintomo
anoressico dunque non emerge come un fulmine a ciel sereno in adolescenza, ma radica in modo
strutturale. Il sintomo familiare anoressico nasce prima del figlio, della struttura dei genitori e della
particolarità disfunzionale della loro relazione di coppia.

“La separatezza e la differenziazione in queste famiglie sembrano impensabili in quanto


minacciano il fragile equilibrio genitoriale e il conflitto nascosto che li caratterizza e rimandano al
rancore nei confronti dei propri genitori, con i quali si vuole mantenere una relazione idealizzata”

Se i genitori non hanno saputo sostenere la tensione e la forza del conflitto nel loro sviluppo
evolutivo, le loro angosce separative si riattiveranno nel momento in cui il figlio cercherà di
individuarsi. Il terzo, viene escluso perché è insopportabile sostare nell’ambiguità che la
competizione genera. È impossibile attraversare il dolore che la separazione comporta. Pur di non
maneggiare l’ambiguità che il corpo sessualizzato del figlio introduce nel sistema familiare, si è
disposti a banalizzare la situazione non riuscendo a volte nemmeno a riconoscere l’evidente
dimagrimento.

“La struttura che caratterizza queste famiglie è in genere narcisistica. C’è una tendenza al
perfezionismo e alla compiacenza che nega e nasconde bisogni e desideri, impedisce che vengano
espressi paure, dubbi, incertezze, congelando l’elemento affettivo ed emotivo”

La negazione del conflitto garantisce a questi genitori di non affrontare la dimensione trans
generazionale dei propri aspetti ambigui. Identificarsi con una madre che non ha potuto elaborare
i propri vissuti conflittuali con la figura materna, spesso da vita al sintomo anoressico che si
configura come costitutivo dell’identità.

L’assenza di limiti e confini sembra essere la dimostrazione di un fallimento delle dinamiche


triangolari all’interno di queste famiglie, in cui è assente la funzione separativa del padre. Questo
determina l’impossibilità introiettata, creando relazioni in cui è necessario invadere lo spazio
dell’altro per essere sicuri di poter tenere l’oggetto dentro di sé. Spesso questi genitori portano
storie dove la dimensione sessuale, complice, creativa, è assente.
Con l’arrivo dell’adolescenza, il complesso edipico torna in auge e diventa il passaggio essenziale
per la definitiva definizione dell’identità. L’assenza di una dimensione triangolare su cui investire
libidicamente le proprie pulsioni e contro cui proiettare paure e aggressività costringe la ragazza a
continuare a sostare all’interno del suo involucro infantile senza avere la possibilità di aprirsi al
futuro

“la seduzione viene vista pericolosamente. Il padre maneggia con difficoltà l’idea che la figlia sta
cambiando e divenendo un’adolescente sessuata. Non aiutato dalla moglie, in difficoltà su questo
piano, resta solo e senza strumenti e spesso l’unica soluzione è rifiutare la figlia, negare le
trasformazioni che stanno avvenendo dentro di lei, negare la novità della sua sessualità e
respingerla in una dimensione infantile e asessuata”

L’ALTRO LATO DELLA MEDAGLIA


Lavorare con i genitori in consulenza significa delineare un setting particolare entro cui poter
costruire dei pensieri. La coppia genitoriale può trovare uno spazio di confronto e pensiero
assieme ad un professionista. È importante definire con esattezza il compito e le modalità con cui
tutto ciò accade. Contro transfer, transfer, interpretazioni non possono essere usate in modo
usuale: è importante tracciare i confini.

I genitori catapultati in questa situazione sono spesso spaesati, pietrificati dal giudizio, non sanno
dove hanno sbagliato. Bisogna accogliere i genitori cosi come sono, nella consapevolezza che solo
prendendosi cura delle loro parti più fragili e bambine, sarà possibile far sbocciare quelle capacità
educative che fanno parte del corredo cromosomico relazionale.

Non colludere con l’aggressività manifesta, poter stare con loro nell’incertezza dell’imperfezione,
permettere loro di raccontare la propria storia.

“relazione” condivide la radice con “relativo”  non esiste un solo vertice da cui guardare un
fenomeno, ma che appunto il campo relazionale si forma di due o tre persone, è un qualcosa di
progressivo e continuo cambiamento, nel quale non c’è alcun oggetto assoluto, perfetto, totale,
ma ognuno deve fare i conti con i punti di forza e di debolezza dell’altro, non dando mai per
scontata l’asimmetria dei ruoli che contraddistingue una famiglia.

Essere genitori vuol dire prendersi cura del proprio figlio, pensare a quel tessuto relazionale
all’interno del quale ogni bambino prima e ogni adolescente poi, deve poter radicare e muovere i
primi passi verso un’adultità strutturalmente solida. Creare un setting per mamme e papà vuol dire
immergersi nelle loro storie di figli, di bambine che non hanno saputo domare la paura e la
frustrazione davanti alle conflittualità e le ambiguità dei propri genitori, non fidandosi poi dei
propri strumenti interni capaci di promulgare il movimento di reverie, e quindi di attraversare la
crisi e il dolore per affrontare l’ignoto.

Non bisogna quindi categorizzare qualcosa come giusto o sbagliato, ma svelare loro attraverso le
narrazioni quanto le dinamiche delle famiglie siano impregnati di non detti, di scontati, di
aspettative che non permettono a nessuno dei membri di muoversi liberamente all’interno del
proprio ruolo.

L’impossibilità di trovare una coppia coniugale solida, che si desidera, è il terreno su cui il ragazzo
può far nascere il desiderio di uscire dalla sicurezza del triangolo familiare per avventurarsi alla
ricerca della propria strada. Se mamma e papà sono due persone che sanno spendere le loro
risorse più evolute al servizio dei figli, allora le pulsioni aggressive e sessuali potranno essere
incanalate all’esterno, nascerà un autentico interesse e sarà possibile per questi ragazzi passare
all’età adulta. In alternativa rimangono ancorati all’infanzia facendo finta però di essere grandi

I disturbi alimentari sono un’ottica esemplificazione simbolica di questo meccanismo difensivo


finalizzato a rimanere dipendente da una coppia genitoriale inconsistente: faccio finta di diventare
grande, decidendo in autonomia di cosa alimentarmi, ma in verità dipendo totalmente da loro
tanto da costringerli a sorvegliarmi per non essere lasciata sola.

Nella stanza di consultazione spesso si fa riferimento a dati fisici importanti, numeri, amenorrea,
sintomi. Tutti vogliono sapere cosa fare, cos’è giusto per non fare danni.

Tutte le dinamiche inter e intra psichiche si snodano sul continuum di due verbi fondamentali: fare
e amare. Nella vita di queste famiglie la qualità dei sintomi di queste ragazze sbilancia in modo
pesante il sistema, obbligando a postulare quale sia l’azione giusta per sovvertirlo, senza avere
quasi la possibilità di costruire pazientemente un pensiero che riannodando i fili del passato possa
dare delle autentiche prospettive per il futuro.

Il compito dei genitori non è quello di risolvere i problemi del figlio, ma seguire i suoi movimenti
con lo sguardo vigile e amorevole di chi tifa e sa che per quanto difficile sia diventare adulti, anche
il proprio figlio ce la può fare, affrontando ciò che lo paralizza e andando a prendersi un posto nel
mondo.

Smettere di fare e cominciare a pensare.


CAPITOLO 6: GRUPPO, CORPO, ADOLESCENZA
Diversi autori hanno sintetizzato la condizione dell’adolescenza attorno a tre gruppi di interrogativi
che definiscono i compiti evolutivi di questa fase della vita:

1. La maturazione intellettuale e la percezione della potenza del pensiero e delle possibilità


che questo implica di poter essere usato come strumento per vari scopi: dalla
comprensione alla programmazione, dall’attività illimitata della fantasia alla sua
utilizzazione a scopo consolatorio e antidepressivo.
2. La relazione, l’impatto dell’adolescente con il mondo adulto, la molteplicità delle figure
adulte che deve incontrare, il significato che egli deve dare a queste persone che gli
permetta di aprire una finestra futuro, ma anche l’incontro con il gruppo dei pari, la ricerca
di uno spazio di socializzazione che possa soddisfare i bisogni narcisistici e identificatori
3. La dimensione attinente al proprio corpo e al significato da attribuire alle mutazioni
corporee, alla luce non solo dei cambiamenti, ma anche delle nuove possibilità e capacità
che l’adolescente viene ad acquisire. In questo gruppo di interrogativi che attendono
risposte si pongono anche la crescita e le trasformazioni puberali, l’acquisizione di una
identità sessuale, la progressiva consapevolezza della capacità di scambio d’intimità con
l’altro, il piacere dello stare assieme, l’accettazione dell’altro come sufficientemente
separato.

Lavorare con gli adolescenti e con le loro famiglie, implica fare riferimenti a questi tre
raggruppamenti e valutare caso per caso il livello evolutivo raggiunto, i compiti realizzati, quelli in
divenire e quelli totalmente inespressi. Bisogna definire un modello di intervento che risponda ai
bisogni “normali” dell’adolescente come alle situazioni problematiche. Gli adolescenti di oggi
presentano, a differenza delle generazioni precedenti, caratteristiche molto diverse, dovute
soprattutto ai cambiamenti sociali che hanno investito l’istituzione-famiglia e il rapporto genitori-
figli. L’eccesso di codice materno che satura la famiglia attuale rende difficile analizzare quello che
per l’adolescente è un compito imprescindibile: pervenire da una visione più realistica e critica
delle figure genitoriali perché solo ridimensionando le idealizzazioni precedenti può iniziare il
processo di crescita che porta allo sviluppo di funzioni autonome e di valori individuali. I ragazzi
fanno fatica ad abbandonare l’immagine idealizzata dei genitori dell’infanzia, soffrono sempre più
di disturbi narcisistici e di personalità con irrisolti problemi di dipendenza. I ragazzi sono
accomunati dalla difficoltà a stabilire legami affettivi con i coetanei e dalla tendenza a manifestare
attraverso il corpo la propria sofferenza psichica e la propria difficoltà a portare avanti quel
processo di svincolo e di autonomia dalla famiglia. È un corpo che sembra avere la funzione di
assorbire la loro attenzione per distoglierli da ciò che proviene dal mondo interno e che allo stesso
tempo chiede l0’attenzione e l’equilibrio tra presenza e assenza di genitori spesso fragili o presi da
problemi personali irrisolti da non essere in grado di comprendere e accogliere il malessere dei
figli anche se evidente dalle varie manifestazioni somatiche.
GRUPPO, GRUPPI, ADOLESCENZA
Miglietta: “dare una casa al drago equivale ad offrire un contenitore, affinché poco alla volta le
cariche emozionali invece di essere evacuate possano essere canalizzate e diventare pensiero” 
il coinvolgimento nel gruppo diventa la prima casa in grado di accogliere il drago, ossia l’insieme di
emozioni esplosive dei bambini e dei ragazzi.

Enrico, un ventenne partecipante ad un gruppo disse “i miei obiettivi per questa esperienza sono
un libro bianco aperto in mezzo al cerchio di questa stanza”  i libri raccolgono storie, il libro
bianco segnala da subito l’esigenza di costruire una storia in un sé che si presenta vuoto ma
disponibile ad accogliere e raccogliere in gruppo. il gruppo diventa quindi un’occasione
strutturante la pensabilità.

Il gruppo terapeutico in adolescenza, può essere quindi inteso come uno spazio mentale adeguato
a sostenere e contenere il dispiegarsi di una narrazione della propria storia, dei propri sogni,
dotata di senso attraverso più persone competenti: i pari e l’adulto.

Fin dalla prima seduta s’impone la presenza organizzatrice del gruppo e una delle sue opportunità:
essere un contenitore dove poter inserire aspetti di progettualità e dove poter cercare la
possibilità di una narrazione attraverso una visibilità. La co-narrazione corale è la cassa di
risonanza degli eventi dei personaggi principali con l’arricchimento di pensieri, commenti,
rispecchiamenti.

È importante però porre attenzione al momento evolutivo dell’adolescenza. L’adolescente, ad un


certo punto, si allontana dal gruppo familiare e si appoggia al gruppo dei pari per trovare uno
spazio di socializzazione che soddisfi i suoi bisogni narcisistici e identificatori e faciliti il distacco
dalla famiglia. L’identità dell’adolescente si costruisce sempre meno in rapporto al modello
genitoriale, e sempre più in rapporto al modello dei pari. Tra la vita del gruppo e l’adolescenza ci
sono degli importanti legami strutturali:

- Gli adolescenti hanno difficoltà a porsi in una dimensione temporale e ad accettare che il
tempo passi significa accettare la perdita delle idealizzazioni infantili. Cercano quindi di
controllare l’ansia dovuta allo scorrere del tempo, annullandolo. Vivono in un eterno
presente. Il gruppo dei pari favorisce questa atemporalità: nel gruppo non si fanno progetti
a lungo termine.
- L’adolescente ha bisogno di sentirsi in un suo spazio: il gruppo dei pari facilita la
concretizzazione del territorio, non sottoposto ai doveri adulti.
- L’adolescente rifiuta le differenze, le gerarchie: siamo tutti uguali. Il gruppo facilita i vissuti
di fusione, di cui l’adolescente ha bisogno per ricreare una situazione di contenimento e
fiducia, che rafforza il narcisismo individuale, minacciato dalla perdita di ideali infantili.

Il gruppo quindi è uno strumento che può aiutare l’adolescente a far fronte ai compiti evolutivi che
lo aspettano: il gruppo dei pari è contenitore delle esperienze di passaggio dalla posizione infantile
a quella adulta, in una fase evolutiva caratterizzata da una forte spinta all’esterno, verso il sociale,
rappresentato dai coetanei.

L’adolescente può sentire la proposta di terapia di gruppo come molto vicina alle esigenze di
condividere con altri coetanei le difficoltà connesse allo sviluppo, con il sostegno di un adulto di cui
sente di avere ancora bisogno. Nel momento in cui l’adolescente deve affrontare un
cambiamento, desiderato in parte e subito, imposto dall’altro (dall’interno per la maturazione
sessuale del suo corpo e dall’esterno per le richieste dell’ambiente di prestazioni adulte),
l’adolescente è privo di ancoraggio ad un mondo specifico: non appartiene più al mondo infantile,
ma non ancora a quello adulto. Il gruppo dei pari diventa quindi uno spazio transazionale che gli
consente un nuovo ancoraggio: al suo interno, a contatto con i coetanei, può tollerare i sentimenti
di discontinuità e di solitudine, vivere esperienze di fusione, d’identificazione, ricercare e
ricostruire nuovi modelli e valori generazionali, realizzare relazioni con l’altro sesso.

Il gruppo dà la possibilità di provare emozioni in sicurezza, favorendo la possibilità di


simbolizzazione, che aiuta l’adolescente a riprendere la capacità di elaborazione psichica. È quindi
una modalità funzionale al trattamento degli adolescenti. Il setting del lavoro proposto è quello
gruppo-analitico che, valorizzando l’analisi delle relazioni nel qui e ora della seduta, si costituisce
sia come uno strumento ricostruttivo rispetto al passato riattualizzato nel campo transferale, sia
come uno spazio creativo rispetto al presente e al futuro.

Il set del lavoro utilizza le modalità di co-conduzione, omogeneità per età e macrocategorie
psicopatologiche (ambiti nevrotici, disturbi alimentari borderline e psicotici), la temporalità
(prevalentemente gruppi a termine). Il gruppo offre all’adolescente la possibilità di vivere due tipi
di relazione: la relazione con il terapeuta ordinata su un asse verticale che è giocata su un piano di
disparità come quella con i genitori; la relazione con i coetanei, ordinata su un asse orizzontale,
ambito nel quale l’adolescente vive un’attività mentale diversa rispetto a quella con gli adulti. Lo
specifico del gruppo terapeutico è che queste relazioni possono essere vissute
contemporaneamente.

Il pensiero/scelta di co-condurre in coppia, due terapeuti maschio e femmina, comporta con forza
movimenti in due direzioni: di allontanamento e differenziazione legati all’assonanza con le imago
parentali e, all’opposto, di avvicinamento e identificazione legati all’immagine di due adulti, uomo
e donna, convocati a svolgere un compito delicato e difficile.

Per quanto riguarda l’omogeneità, parlare di gruppi omogenei significa parlare di raggruppamenti
in base a caratteristiche comuni: una diagnosi psichiatrica, una specifica patologia organica, una
certa finalità da conseguire, una fase evolutiva, un range d’età.

Il fattore omogeneità e il fattore tempo devono essere pensati in interazione: i gruppi pensati
come omogenei sono caratterizzati dalla facilitazione nei confronti dei movimenti di fusione e
condivisione a tutti i possibili livelli e da una maggior lentezza e resistenza nei confronti di
movimenti di separazione-individuazione. Questo può stimolare l’emergere del senso di una
comune appartenenza e processi di reciproca identificazione. Il rischio però è quello di creare una
situazione di stallo dove è molto difficile imparare a differenziarsi. Il tempo limitato può aiutare a
controbilanciare il rischio di eccessiva fusionalità, di idealizzazione del gruppo.

La consapevolezza del termine necessita dell’elaborazione della separazione e questo stimola il


movimento verso l’individuazione riducendo la possibilità di stasi, a volte difensiva rispetto al
cambiamento, che caratterizza l’area della fusionalità. Lavorare sul qui e ora e valorizzare
l’intenzionalità verso il futuro aiuta a mobilitare precocemente i processi terapeutici. Più il gruppo
sarà omogeneo, più sarà necessario il tempo limitato e viceversa. Fare un gruppo a tempo limitato
vuol dire proporre un’esperienza relazionale che presenta una durata dall’inizio. Nel momento in
cui il gruppo parte, c’è già prescritta una fine. Il fattore tempo è molto importante perché
consente un’elaborazione condivisa in ambito relazionale accogliente che permette di rendere
parlabili i temi della separazione e della fine.

Gli adolescenti non sono quasi mai convinti di andare in terapia: il gruppo, può essere percepito
quindi come meno minaccioso e maggiormente sostenibile rispetto ad una psicoterapia
individuale (salvo eccezioni come fobie sociali e grave ansia)

DENTRO AI GRUPPI
I momenti più significativi all’interno dei gruppi vanno ricercati nell’esperienza di rispecchiamento,
nell’accoglienza reciproca, la fatica del pensare, la difficoltà del mantenere integro il contenitore
gruppale, le angosce, gli attacchi alle regole, i grandi ritardi, i silenzi, le frequenti assenze.
L’andamento dei gruppi con adolescenti sembra proporre tendenze ben specifiche.

Nella prima fase emerge la difficoltà nella formazione del gruppo, dopodiché il campo gruppale si
costituisce, ma rimane sempre in molte sedute la stessa modalità di difficoltà iniziale, che lascia
poi posto ad una comunicazione circolare che fa sentire il gruppo presente, e che serve per
lasciare a ognuno la ripetizione di un’esperienza di un gruppo minacciato, che però regge e alla
fine esiste, permettendo di rivivere un’esperienza di nascita relazionale minacciata, ma poi
sopravvissuta come oggetto buono che permette di continuare ad esistere, per poi arrivare alla
fine con il ricordo buono, che consente di tornare. Come se il ripetere questa dinamica fosse
funzionale a sperimentare e rafforzare la possibilità di una speranza, per questi ragazzi spesso
minacciata.

Nei gruppi a tempo definito, verso la fine dei percorsi, questo scenario si modifica, costruendo un
silenzio che con fatica lascia spazio a discorsi in comunicazione circolare. L’inizio è spesso difficile,
poiché ci si chiede il senso del gruppo. la formazione del gruppo spesso oscilla tra identificazioni e
negazioni.

Un tempo l’aggregazione giovanile veniva vista come tollerata e incoraggiata dal mondo degli
adulti, e non vista come un tradimento. Le nuove generazioni giungono alla pubertà con numerose
esperienze gruppali extra familiari promosse dai genitori fin dalla più tenera età.

Charmet:”il compito che i gruppi ora si danno non è sociale o politico, e non concerne l’esecuzione
di un’azione trasformativa sugli stati del mondo. Si tratta invece di un compito che ha a che fare
con il mondo interno, con l’apparato psichico del gruppo e con la qualità delle relazioni che i
singoli membri intrattengono tra di loro e con il gruppo nel suo insieme. Il gruppo adolescenziale
attuale non nasce per cercare nemici, occupare il territorio, difenderlo, attaccare l’autorità, la
famiglia lo stato, ma ilo suo interesse è rivolto ad approfondire i sentimenti di lealtà, affetto,
identificazione, disponibilità.

La storia di un gruppo inizia fin dalla prima seduta, se non dalla sua fondazione, e crea la positiva
consapevolezza della propria continuità, permettendo il ricordo, che è la base del pensare.

Inizialmente il gruppo ha funzione prevalentemente difensiva dall’adulto, mentre in seguito


diventa un canale privilegiato d’accesso alla vita sociale nella misura in cui l’adolescente procede
nel suo processo di soggettivazione, che comporta il potersi pensare nell’alterità e il confrontarsi
con il mondo esterno. E ciò si può costituire solo attraverso la propria autonomizzazione,
distanziandosi dall’adulto.
Molto importanti sono le assenze: anch’essere sono una forma di comunicazione, a volte l’unica
possibile, da leggere senza interpretarle unicamente come una resistenza al lavoro terapeutico. Il
ritmo dei gruppi è segnato da continue oscillazioni e ritiri. Spesso le assenze si alternano, come se i
ragazzi si dessero il turno per bilanciare momenti di fatica e bisogni di tutti, permettendo di vivere
contemporaneamente l’espressione della propria individualità e di realizzare la costruzione della
coesione gruppale.

A volte ci sono assenze dopo sedute imbarazzanti, dopo le quali si ha bisogno di riflettere sui
contenuti emersi, altre volte dopo essere scoppiati, dopo essersi fatti conoscere troppo. L’uso
delle assenze nei percorsi terapeutici permette agli adolescenti di vivere contemporaneamente
l’espressione della propria individualità r di realizzare la coesione gruppale. Lo scopo della
conduzione del gruppo diventa quello di mantenere il gruppo vivo e di farlo lavorare anche sulle
assenze. Per l’adolescente alle prese con l’incertezza del sé, è fondamentale l’essere visto, e nel
gruppo gli adolescenti si vedono meglio che individualmente.

Meltzer: “bisognerebbe creare un posto dove il lavoro terapeutico possa svilupparsi nel modo più
sistematico possibile e al tempo stesso permettere all’adolescente sufficiente mobilità in modo
che egli possa sfuggirvi quando per lui diventa insopportabile”

È possibile definire il gruppo come campo, luogo di rappresentazioni e affetti, che lungo il percorso
diviene opportunità per simbolizzare di fronte alla frequente condizione di perdita di pensiero
simbolico, di perdita di confine fra interno ed esterno nell’adolescente. È interessante anche
notare il silenzio e come esso si modifica in espressione di assenza piuttosto che di presenza
durante tutto il percorso. Nelle prime sedute è il silenzio dell’imbarazzo, dell’angosciosa
sensazione di ignoto, di difesa. Nelle fasi centrali è un silenzio di rabbia contro una conduzione che
non da risposte certe e che li costringe a partecipare. È rabbia anche verso il gruppo stesso, che in
certe fasi sembra indeciso sul lasciarsi andare. Nel finale, il silenzio diventa una comunicazione
circolare, dove contemporaneamente c’è il pensiero che scorre, che chiede tempo per guardarsi
dentro e poi costruire una risposta. Ma è anche il silenzio grave della fine che arriva, quando ci si
prepara a congedarsi.

GRUPPO, CORPO, ADOLESCENZA


Nei gruppi di adolescenti con disturbo del comportamento alimentare assume una particolare
rilevanza quanto accennato precedentemente sulle assenze.

“ho un disturbo alimentare con il quale ho una sorta di antagonismo. La considerazione di me


stessa dipende dalla mia capacità di morire di fame. Un equazione strana e una convinzione
troppo diffusa: il valore di una presenza cresce in modo esponenziale con il progredire della sua
scomparsa”  emerge la paradossalità, centrale per l’anoressica e fisiologica per l’adolescente,
che impone necessaria la scomparsa del corpo per far vivere una presenza.

Il corpo in adolescenza diviene strumento per l’accesso al simbolico. La comunicazione che si


esplica attraverso il cropo diventa prevalente e vicariante di altre funzioni del pensiero. Corpo e
psiche manifestano il loro legame in quanto il corpo è lo spazio sacro della nostra personalità, è
quello spazio reale, presente nel qui e ora, che rimanda all’interiorità, ma quest’ultima a sua volta
si riflette sull’immagine corporea in un movimento circolare espressione di significativi
collegamenti.
Il gruppo, il corpo diventa anche il principale accesso al simbolico, diventa comunicazione con gli
altri. L’accento viene posto proprio sulle potenzialità trasformative insite nel corpo e nella psiche
adolescenziali, che il setting gruppale amplifica permettendo il passaggio da un luogo pregno di
fisicità, ad uno spazio simbolico di pensabilità.

Importante è il peso della corporeità espressa dagli adolescenti durante gli incontri. Corpi che
parlano di crescita, rabbia, sofferenza, sessualità, voglia di fuggire, bisogno di solitudine, ricerca di
abbracci, di contatto, cibo mangiato e offerto. Soprattutto nelle prime sedute, il corpo prevale
come tematica emergente delle sedute, diventa comunicazione. Nella terza, le ragazze attraverso
il corpo si raccontano e raccontano, si ascoltano e ascoltano le altre ascoltando loro stesse.

È proprio a partire dal corpo che attraverso i processi di gruppo, si riescono a dare nuovi significati
e condividere nuovi o difficilmente dicibili pensieri. L’utilizzo delle azioni fisiche, del corpo come
strumento, in psicoterapia ha spesso il valore del non-significato, dell’agito. Al di là di uno spazio
pensato ed elettivo per l’azione al posto della parola, è anche funzione del terapeuta distinguere,
nel momento in cui il gruppo o un suo membro realizza un agito, se l’agito ha valore difensivo
rispetto al progetto terapeutico o se, al contrario, può contribuire all’evolversi del processo
analitico. Il corpo è quindi impaccio e ostacolo all’espressione del vero sé, ma continua a fornire la
misura di sé. Spesso il corpo preso di mira dall’anoressica viene zittito nelle sue richieste e bisogni
fondamentali, viene ridotto all’osso e rigidamente disciplinato. Zittire il corpo però significa anche
far tacere le emozioni che nel corpo si esprimono, e inaridire le relazioni con gli altri e con il
mondo. Nell’ottica di un assunto di base anoressico, consistente nel ritorno al mortifero, trova
senso l’approccio terapeutico gruppale. Il gruppo fornisce uno spazio-tempo in cui il vuoto diventa
visibile e contattabile dal gruppo nel suo insieme. Il vuoto del corpo svuotato dall’anoressica non
appare più solo come qualcosa di statico, ma come dinamico, in dialogo con psiche e gruppo.

Nel gruppo omogeneo la sintomatologia anoressica è centrale, pubblica e custodita in uno spazio
d’ascolto sicuro: questo permette alle partecipanti di scambiare e condividere esperienze, di
vedere finalmente accolte parti di sé eclissate dalle dinamiche familiari e dalle modalità relazionali
in genere. Ha la funzione quasi di assorbire l’attenzione per distogliere da tutto ciò che proviene
dal mondo interno e che chiede attenzione. Dai vissuti delle pazienti spesso emergono sentimenti
di esclusione, non ricnonscimento. Sono bloccate dall’oissessione per il cibo. Il gruppo opererà
gradualmente una rivisitazione del sentimento di onnipotenza, relativizzando la problematica
centrata sul corpo, iniziando a pensare ai sintomi e ai suoi significati, sentendosi impotenti. Nelle
anoressiche la necessità paradossale di farsi vedere scomparendo assume livelli concreti spesso
drammatici: qui emerge la questione dell’assenza.

I termini “corpo” e “mente” rimandano strutturalmente a qualcosa di complesso, ad un gruppo. e


dato che esiste una mente gruppale, intesa come organizzazione diversa dalla somma degli
individui che formano un gruppo, si può pensare anche ad un corpo gruppale. Quando una parte
del corpo gruppale è assente, il gruppo sente mancare una parte di sé e vede modificate le
dinamiche gruppali.

Lavorando con gruppi di ragazze con dca, è ancora più evidente rispetto al lavoro con gruppi
eterogenei che il lavoro nel gruppo può permettere un’evoluzione nella percezione del sintomo e
del corpo, che vengono narrati soprattutto nei loro aspetti ritualistici e ambivalenti inizialmente,
per essere espressi nel senso del vissuto e del significato successivamente: il sintomo così,
occasione di benessere ma soprattutto di malessere, comunica e dà sfogo al’implicito e sofferto
legame di dipendenza, nonché alla necessità di essere riconosciuti e di ricercare la propria
specifica identità.

CONCLUSIONI
Per i ragazzi, fare una psicoterapia non è quasi mai una richiesta propria, spontanea. Proporre
queste occasioni però diventa un elemento vitale e necessario per autorizzarsi alla cura, in ambiti
dove serve davvero una giustificazione per autorizzarsi, e dove è richiesto un nostro specifico
interpretare la domanda per trasformare un lavoro che a volte parte da un’urgenza, dove non si
chiede un intervento terapeutico perché è richiesto un fare rapido e non differibile, in un lavoro
sull’emergenza.

Winnicott ci ricorda che un deficit nella capacità di condivisione porta ad un deficit nello sviluppo
dell’indipendenza o interdipendenza, che è la capacità dell’adulto di dare il proprio contributo
all’interno delle relazioni, come anche il ricevere dagli altri. La condivisione e la partecipazione
sono i nodi cruciali per co-costruire interventi che possano permettere il necessario passaggio
dall’urgenza di bisogno all’espressione dell’intenzionalità e del desiderio.

Spesso si parte dalla consapevolezza di una difficile accettazione, che arriva ad avere un primo
riconoscimento: della propria patologia, della propria diversità, del proprio vuoto, della propria
aggressività, impossibile da pensare e accettare. Questo passaggio si attiva nel momento in cui il
gruppo diventa luogo di incontro che attiva o riattiva la capacità di pensare e sognare.

Al di là dell’origine del disagio, molti partecipanti spesso partono da un nucleo dominato da un


vissuto di emarginazione per la loro situazione: il gruppo diventa occasione strutturante un nuovo
margine, uno spazio prima impossibile, in cui conflitto interpersonale può diventare via d’accesso
al conflitto intrapsichico.

Se si riesce a rendere pensabile e narrabile la propria storia attraverso qualcuno, il gruppo, la


comunità, che la ascolta e te la racconta, dove il conduttore, che è la comunità stessa, diventa
garante del valore della narrazione, per permettere quindi l’espressione e il riconoscimento di
quelle emozioni ignorate che, se rimangono ignorate, rischiano di tradursi negli atti, negli agiti e
negli attacchi al corpo purtroppo spesso distruttivi.
CAPITOLO 7: HIKIKOMORI E DCA
HIKIKOMORI
Il termine HIKIKOMORI è stato coniato dallo psichiatra giapponese Tamaki Saito per definire i
soggetti adolescenti o giovani adulti che per un certo periodo di tempo non escono di casa,
richiudendosi nelle loro stanze e isolandosi dal mondo esterno. È un fenomeno frequente in
Giappone che sta prendendo piede anche in Italia.

Le motivazioni alla base sono eterogenee e dipendono dalle problematiche del singolo ma anche
dalle richieste sociali e dalle norme culturali giapponesi. In Giappone, gli hikikomori sono
solitamente primogeniti maschi che hanno un ruolo fondamentale per il nucleo familiare.

I sintomi descritti sono molteplici: ritiro sociale, fobia scolare e ritiro scolastico, agorafobia, sintomi
ossessivo-compulsivi, aspetti paranoidi, comportamenti regressivi, evitamento sociale, apatia,
umore depresso, pensieri di morte e tentato suicidio, inversione del ritmo sonno-veglia e
comportamento violento verso la famiglia (in particolare verso la madre).

Ci sono varie ipotesi sulla patogenesi di questo fenomeno, a partire dalle dinamiche del sistema
familiare, caratterizzato da un legame simbiotico con la madre e l’assenza della figura paterna, o al
sistema scolastico improntato alla competitività.

È il risultato del passaggio dal campo edipico a quello narcisistico: il campo edipico è caratterizzato
dalla rinuncia e dal senso di colpa, c’è una rimozione del desiderio a favore dell’inclusione nel
contesto sociale; nel campo narcisistico invece gli aspetti ideali sottopongono il soggetto a una
cultura esibizionistica. Una cultura che obbliga ad esibire il corpo che deve essere privo di difetti: il
corpo diventa manifesto delle crisi.

L’adolescenza è come una seconda nascita: c’è un nuovo soggetto sessuale e sociale che intreccia
relazioni e ridefinisce il senso del sé. Viene ricercata l’approvazione del pari. I futuri hikikomori
sono legati a modalità infantili che non permettono di esplorare il campo relazionale
adolescenziale. Lo sguardo del gruppo è visto come critico, espulsivo, che crea inadeguatezza. Ciò
blocca il processo adolescenziale generando un profondo senso di vuoto. Le energie relazionali
ritirate dal mondo esterno possono essere investite nel web, dove possono proteggersi dalla
vergogna narcisistica attraverso delle maschere.

La rete ha così funzione difensiva, poiché permette di rifugiarsi dalla possibilità di affrontare il
mondo reale. Attraverso il gioco virtuale, l’adolescente sperimenta le esperienze e le emozioni che
non ha potuto vivere nella vita reale.

Il caso di TSUKURU e HARRY

L’essere umano cresce e si sviluppa a partire da e nei gruppi. Attraverso l’incontro con i pari il
bambino supera l’egocentrismo, si individua. Lo sviluppo però non implica solo la partecipazione
ad un gruppo o a una comunità che lo accolga e lo riconosca, è necessario che qualcuno aiuti il
soggetto a sciogliere il sistema di appartenenza familiare che lo intrappola e che non gli permette
di separarsi ed individuarsi. Per questo il gruppo ha una funzione essenziale per lo sviluppo. È
necessario un movimento oscillatorio dalla dimensione individuale a quella gruppale e viceversa.

Molti pazienti sembrano essere senza desideri, isolati, ritirati. L’impossibilità di accedere al gruppo
dei pari non permette il loro passaggio all’individuazione-separazione. L’adolescente da solo non è
in grado di usufruire del pensiero gruppale.

I disagi manifestati sia nei dca che negli hikikomori sono espressione di una relazione, di una
dinamica familiare che non ha funzionato correttamente. Ad oggi, rispetto ad una volta, c’è una
sorta di analfabetismo emotivo e relazionale che impedisce di sentire e sen tir-si di desiderare.

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