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PSICOLOGIA DINAMICA DEI GRUPPI E DELLE ISTITUZIONI

Giovanna  Borsetto

Partiamo dal presupposto che il gruppo ha un ruolo importante:


-      Gruppo come cura
-      Gruppo anche come modello di funzionamento psichico del soggetto. Gruppo come
teoria della mente
 
(esame forma scritta, avrà domande teoriche ma anche clinica, analizzare situazione clinica)
 Giulia Rossetto ci parlerà di istituzioni e analisi istituzionale. Con parte anche esperienziale.

LEZ 1: LE ORIGINI 
Come si è sviluppato pensiero da individuo a gruppo? Come si è sviluppato pensiero teorico?
Cornice teorica di riferimento:
-      Psicoanalisi (Freud e successori)
-      Teoria delle relazioni oggettuali
-      Teoria della relazioni soggettuali
-      Gruppoanalisi (Sigmund FOULKES) tenta di fondere aspetti dinamici e aspetti sociali.

Grazie alla continua sperimentazione degli psicoanalisti post freudiani che si è sviluppata la teoria.
C’è stata graduale perdita di teoria pulsionale a favore di aspetti in cui conta molto l’ambiente.
Ci si è spostati su aspetto relazionale.
Non solo transfer (Freud) ma anche controtransfert. Si è sempre tenuti più in conto la relazione. Il
percorso che da psicoanalisi è passato a gruppo analisi, è passato attraverso Bion e Foukles; con
passaggio da teoria delle relazioni oggettuali alla teoria delle relazioni soggettuali
 
Il passaggio dalla teoria pulsionale a quella delle relazioni soggettuali costituisce un radicale
cambiamento di prospettiva: dalla visione di un uomo chiuso in sé stesso (uomo freudiana) ad uno
che si forma grazie alle interazioni con il mondo  esterno.
 
 
PSICOANALISI:
Freud e idea di apparato psichico. La teoria psicoanalitica classica ha sottolineato il primato delle
pulsioni nel determinare lo sviluppo del soggetto ponendo sullo sfondo aspetto relazionale. (non è
che non le considera, parla di madre, di complesso di edipo ecc.. ma come conseguenza delle
pulsioni che sono gli istinti). Ogni sfaccettatura della personalità, la psicopatologia e le relazioni
oggettuali derivano direttamente dalle pulsioni e dalle loro trasformazioni. Il ruolo degli oggetti è
quello di inibire, facilitare o essere bersaglio delle pulsioni. (relazioni serve per soddisfare pulsioni)
Secondo Freud l’essere umano si struttura attraverso il conflitto tra le spinte pulsionali interne e le
richieste della cultura (società) esterne, creando una complessa dinamica tra dentro e fuori che
vedrà il primato delle parti intrapsichiche, del mondo interno rispetto a quello esterno e che
arriverà a considerare il campo sociale, come epifenomeno della dinamica interna. (se io ho
pulsione, che viene castrata, che società non accetta porterà a nevrosi, isteria in senso classico).
Freud sostiene che la società (politica, strutturazione delle masse..) siano delle sublimazioni delle
pulsioni dell’ individuo non potendo soddisfare pulsioni primitive, tipo complesso edipo, ovvero

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andare a letto con mamma che però deve tenere conto del padre, che è società, che castra
pulsioni dell’essere umano, ecco il ruolo della società.
Nonostante Freud parli di relazione, dà importanza sempre ad aspetti interiori. Però al ruolo
esterno dà due ruoli: inibire o soddisfare le pulsioni.
Nella prima topica (inconscio, preconscio, inconscio) forza motrice è il desiderio, il desiderio
implica un oggetto. Se lo desidero significa che preesiste rispetto a me (!). quindi qualcosa qui non
torna. Freud cambia nel corso degli scritti, perché lui fa teoria sperimentale, per la prima volta
nella storia.
 
Freud esamina le dinamiche inter e intra gruppali osservando come si formino i gruppi e cosa
accade tra di loro.
Nei suoi scritti:
-      Totem e tabù 1912-13
-      Psicologia delle masse e analisi dell’io 1921 (Freud ebreo, periodo pre nazista)
-      Il disagio della civiltà 1929
 
Freud affronta il tema della psicologia delle masse studiando i comportamenti che si realizzano
nell’interazione delle persona in un gruppo.
Freud affronta il tema della psicologia delle masse, studiando i comportamenti che si realizzano
nell’interazione delle persone in un gruppo. E scrive “dal punto di vista psicologico la massa è un unione di
singoli che hanno assunto nel loro super io la stessa persona (quindi si sono identificati con la stessa
persona, e questo è facile vederlo nei regimi totalitari, per cui il leader diventa un ideale che noi in qualche
modo interiorizziamo) e si sono identificati tra loro nel proprio io, in base a questo elemento comune” →
quindi a guardare quel leader come qualcuno che diventa una parte integrante del proprio ideale dell’io.

 
Nella massa il soggetto regredisce ad uno stato primitivo sia nel senso del pensiero primario sia dal
punto di vista della sviluppo poiché viene associato ad un infante ma anche alle popolazioni
primitive. Le pulsioni imperversami pertanto quando gli individui si trovano riuniti in una massa le
inibizioni individuali scompaiono e tutti gli istinti crudeli, brutali, distruttivi si ridestano e aspirano
al libero soddisfacimento pulsionale.
Processi primari: sono i processi dell’inconscio, quindi sono caratterizzati dal libero fruire della pulsione,
dell’energia psichica, che alla ricerca di un soddisfacimento immediato. Vi è l’assenza di contraddizione e la
temporalità. Questo è il funzionamento dell’inconscio. Quindi secondo Freud nella massa vi è una
regressione dell’individuo ad uno stato primitivo dove imperversano i moti pulsionali.
In Psicologia delle masse e analisi dell’Io la sua affermazione: «la psicologia individuale è anche, fin
dall'inizio, psicologia sociale» introduce l’apertura degli apparati psichici gli uni agli altri e apre ad
una prospettiva nuova, più relazionale, in cui l’identificazione è la manifestazione del primo
legame emotivo e costituisce l’asse attorno al quale si organizza la struttura libidica dei legami
intersoggettivi

Video Micheal Jacksonà c’è una compattezza, tutti fanno così, come se fosse fanatismo. Alla vista
dell’ossessione, dell’idolo, si perde controllo, non c’è inibizione dei freni. Leader, pretesto di
comportarsi in un certo modo.
È la massa che determina quei comportamenti o il contesto stesso?
Le pulsioni sono legittimate, sono dipendenti dal contesto? à è il contesto che induce a
comportarsi così oppure è un mio bisogno che è quello di sfogarmi, che mi porta a comportarmi in
determinati modi.
Luogo che determina certi comportamenti (concerto)

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“Nella vita psichica del singolo l’altro è regolarmente presente come modello come oggetto come
soccorritore come nemico e pertanto in quest’accezione più ampia ma indiscutibilmente legittima,
la psicologia individuale è al tempo stesso, fina dall’inizio psicologia sociale" (FREUD) 
 
Da Totem e Tabù per i 50 anni seguenti, si svilupperanno le maggiori teoria per un approccio
psicoanalitico al gruppo fino al testo di BION “Esperienze nei gruppi” (1961) NEL QUALE L’AUTORE
DESCRIVE ESPERIENZE di trattamento analitico sui gruppi e sviluppa una teoria innovativa sulla
dinamiche inconsce dei gruppi.
 Teoria del campo di Lewy 
 Bion 
 Foulkes 
 è in questo mezzo secolo che cambia radicalmente il modo di intendere il gruppo 

RELAZIONI OGGETTUALI (Klein e Winnicot)


Risalto alle relazioni.
-      No uomo freudiano chiuso in sé stesso
-      Le pulsioni emergono nelle relazioni con il mondo esterno (madre-bambino), è
impossibile essersi separati da tale contesto.
L’elaborazione di queste relazioni struttura la personalità del soggetto: quello che viene
interiorizzato non è un oggetto ma l’intera relazione con lui. (noi scegliamo alcuni partner non solo
la relazione che io avevo con mamma e papà ma anche la relazione tra di loro.. noi a livello
inconscio, riproponiamo il livello interno oggettuale ma il modello relazionale interno. Non in
modo identico, a meno che non ci sia trauma, che quindi è riproposto pari pari).
Il concetto di relazioni oggettuali si riferisce alla interazioni dei soggetti con altre (reali e
immaginarie) ed alle relazioni tra i loro mondi oggettuali esterni e interni.
 
RELAZIONI SOGGETTUALI
Ribadendo importanza delle relazioni oggettuali, ci chiediamo se non serve anche relazioni
SOGGETTUALI
Una teoria che descrive i rapporti soggetto-soggetto tra due individui che si influenzano l’un l’altro
a livello inconscio di reciproca relazione a affettività con effetti elaborativi diretti dell’uno verso
l’altro e viceversa.. di un inconscio verso l’altro e viceversa. Un’ottica che guarda non solo alle
relazioni oggettuali ma anche relazioni tra soggetto e soggetto. Ovvero ci interessa non solo quello
che persona interiorizza (interiorizzano dell’altro e relazione con altro, teoria oggettuale), questa
teoria invece guarda alla relazione che viene collocata nel mondo interno. L’interiorizzazione delle
relazioni non si ferma solo al contesto familiare ma che interiorizzazione delle relazioni si espanda
al contesto più ampio, che ha a che fare con ambito sociale giungendo a concetto INTER PSICHICO
(ciò che accade tra psichismi dei soggetti)
 
Tale prospettiva guarda alla famiglia come una trama di significazione che nel tempo e attraverso
le generazioni crea i modelli mentali attraverso i quali individuo entra in relazione con la realtà.
Per il formarsi della identità personale, non possiamo fermarci a solo pulsioni o solo rapporto con
mamma/famiglia. Ma ci determina anche il gruppo sociale di cui facciamo parte, interiorizziamo
relazioni che ci trasmettono contenuti. Da qui, interferisce anche codice culturale. (interpretare
atteggiamento di una mamma secondo nostri codici culturali, mamma africana sembra ai nostri
occhi inadeguata).

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La famiglia rappresenta un vero e proprio “universo identificatorio” all’interno del quale e ciascun
individuo sviluppa la sua identità come complesso di relazioni interiorizzate. La soggettività viene
considerata come prodotto di un processo che inizia del campo mentale transgenerazionale e la
relazione è dunque vista come fenomeno complesso.
Ogni soggetto implicando esistenza dell’altro, dei molteplici altri dentro si sé è il deposito di aspetti
intersoggettivi. L’identità viene definita come la ricerca di un proprio modo di essere che si
sviluppa a partire da impronte simboliche che le vengono conferite all’interno del gruppo primario
(la famiglia) e successivi gruppi sociali. Ogni soggetto quindi implicando l’esistenza dell’altro porta
in sé il deposito di una tradizione inter-soggettiva.
L’identità di sviluppa dunque all’interno di una cornice gruppale e da questa non può essere
separata.

L’identità viene definita come la ricerca di un proprio modo di essere che si sviluppa a partire dalle
impronte simboliche che le vengono conferite all’interno del gruppo primario (la famiglia) e
successivi gruppi sociali. Ogni soggetto quindi, implicando l’esistenza dell’altro, porta in sé il
deposito di una tradizione intersoggettiva L’identità si sviluppa dunque all’interno di una cornice
gruppale e da questa non può essere separata

SOGGETTUALI: ampliano la relazione al contesto. Accento è posto su quello che accade tra
soggetti, su psichismi dei due. Viene tenuta conto della psiche del nascente ma anche della psiche
di colui che la fa nascere. (=psiche del genitore non può essere indifferente alla psiche del figlio,
ma non solo della mamma, non solo della famiglia, ma gruppo più ampio).
OGGETTUALI: Limitano alla diade madre-bambino + il focus è ancora su intrapsichico, si va a
guardare quello che viene interiorizzato. Tutto un movimento che avviene con mamma ma ancora
determinato da pulsioni.
 
Quindi individuo investito da un grande bagaglio del passato, ma ha comunque un ruolo, che può
agire.

L’idea di una mente multi-personale o gruppale equivale a concepire il soggetto come punto
nodale intrecciato tra le maglie di una rete collettiva che lo pre-concepisce, lo attraversa, lo
intenziona.
TRANSPERSONALE à si trasmette da una generazione all’altra in un ambiente relazionale familiare.
Esso è costituito da una serie di elementi che investono un nascente, in modo inconsapevole,
automatica, inconscia a livello culturale, etnico, biologica..
Veicola vissuti psichici elaborati o elaborarli, pensieri e rappresentazioni identitarie, costruzioni
mitiche e costruzioni e ricostruzioni della storia familiare, ma anche dalle storie familiari che ogni
membro della famiglia racconta. Il TRANSPERSONALE è veicolato attraverso la relazioni.
 
Il TRANSPERSONALE: Rappresenta insieme delle relazioni che investono il soggetto, l’impersonale
collettivo che attraverso la nostra identità; è la rete di relazioni inconsce nella quale è sedimentato
il patrimonio biologico e culturale della specie e attraverso la quale di fonda la vita psichica
dell’uomo.
Il TRANSGENERAZIONALE: indica un attraversamento, un passaggio tra le generazioni, tra gli spazi
psichici, di contenuti la cui elaborazione e trasformazione non è stata possibile.
Oltre ad essere un ponte tra le generazioni esso rappresenta una  forma agita di memoria che lega
i membri della famiglia senza che essi ne siano consapevoli.

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(in adolescenza dove c’è impossibilità di soggettivazione della matrice personale, si manifestano i
sintomi, i più importanti disturbi alimentari, ritiro sociale) à i sintomi si manifestano quando la
matrice familiare è satura, non si crea identità, non facilitano identità e quindi distacco dalla
famiglia d’origine. Ci deve essere rielaborazione. Anche il bambino piccolo, attua processo di
identificazione-separazione, in modo funzionale allo sviluppo psichico.
Per esempio anoressia, è legata a identificazione papale con mamma, mi voglio distinguere da lei
perché sono uguale a lei, elimino i miei tratti femminili, le mie forme.  Quello che impedisce a
bambino di soggettivarsi, è il ruolo che lui ha in famiglia à se io sono lì perché sono collante tra due
genitori che si sarebbero separati io sarò lì; se io sono in quella famiglia per desiderio narcisistico
di mia mamma di identità, e il diventare mamma l’ha aiutata in questo processo identificativo,
allora resterà lì, inconsciamente si sente questa responsabilità.
LA Responsabilità del soggetto è quella di evolvere, di ri-narrazione della propria soggettività,
tenendo conto di quello che vuole lui. Facendo sintesi tra le proprie passionalità, i propri bisogni e
quello che arriva da famiglia.
 
Di quali contenuti è formato il transpersonale:
-      Livello biologico-genetico, ciò che attraverso patrimonio genetico vien trasmesso
ad ognuno di noi. Da quello che la specie ci ha tramandato in milioni di anni. (DNA). Ci
viene trasmessa identità
-      Livello etnico-antropologico: codici antropologici.
-      Livello istituzionale: si riferisce a aspetti psicosociali del vivere comune, codici di
comportamento sociale, codici di ruoli, gerarchia, di modelli..
-      Livello comunicativo: ha a che fare con linguaggio e apprendimento del linguaggio,
codici interpretativi
-      Livello transgenerazionale, tutto ciò che riguarda famiglia, gruppi interni della
famiglia, fino ad arrivare ad IO centrale. Questo livello ci indica attraversamento (TRANS),
passaggio tra generazioni, di contenuti-
 
 
Il tema della trasmissione transgenerazionale ha permesso la comprensione di molte patologie:
certi sintomi non possono essere compresi solamente considerando la storia individuale del
soggetto. = se in una generazione c’è stato un trauma, che ha impattato molto nella dinamica della
famiglia, questo trauma non può essere elaborato, trauma rimarrà silente ma influenzerà
dinamiche di quella famiglia e riemergerà in cerca di elaborazione.
Devono essere interpretati considerando il soggetto come anello di una catena alla quale
appartiene, riconoscendo in tal modo i processi di ripetizione legati alle generazioni precedenti.
Nella trasmissione transgenerazionale ciò che è trasmesso non è trasformato, esso non viene
perciò introiettato, ma viene piuttosto incorporato. 

Un trauma non elaborato non pensato, che resta segreto ed indicibile condizionerà i legami
familiari che risulteranno permeati di ambiguità e finzioni. Un non detto che proviene da un
passato ingombra la mente e colonizza il mondo interno trasformandosi in una sintomatologia che
ostacola e talvolta impedisce, la spina evolutiva.
Quando il dolore non è pensabile può essere trasferito nel mondo esterno, in altri soggetti che se
ne fanno, inconsciamente, carico e dunque soffrire al posto di un altro diventa possibile
soprattutto se l’altro è membro di un’altra generazione.

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In queste situazioni può avvenire una trasmissione inconsapevole tra gli psichismi di contenuti
grezzi, privi di elaborazione provenienti da altre generazioni, che alienano e perturbano.
 
Allora per esempio ragazza anoressica, con sintomatologia strana, emerge dopo un bel po’ che
mamma ha avuto abuso sessuale da parte del nonno, lavoro sull’ambiente, sulla famiglia, cambia il
suo sintomo, il suo disturbo sessuale. Però emerge il collegamento. Emerge quel trauma che cerca
risposta. Un non detto, dal passato, ingombra.
Un altro esempio, paziente, adulto, sintomatologia ossessiva grave, voleva capire se fosse o meno
serial killer, lui aveva visioni in cui uccideva persone, sembravano molto reali, lui aveva dubbio
ossessivo di consultare notizie per sapere se è stato lui.
per il resto funziona bene, vita sociale, lavoro, relazione ecc à non è psicotico che delira, quindi
questa cosa è qualcosa che lui non riesce a mentalizzare. Sembra che membro della sua famiglia,
fosse componente della mala del Brenta, questa è storia ignota. Cose di cui lui non sapeva ma che
lo riguardano. Prendere possesso di questa info sta alleviando la sua sintomatologia.
Nella sua mente elementi grezzi.
 
Se ciò che è depositato all’interno del soggetto ha a che fare con dei contenuti traumatici, non
elaborati, il figlio sarà portatore degli antichi traumi che gli impediranno di evolversi e di
soggettivarsi. La dinamica riguarda tutto il gruppo familiare nella misura in cui i fallimenti difensivi
delle generazione precedenti ricadono sui figli e il trauma viene trasmesso alle diverse generazioni.
Questo può portare a compromettere il funzionamento mentale dell’adolescente che cercherà,
attraverso i sintomi, di differenziarsi e difendersi da un mondo interno popolato da altri. 
 
Dunque il transgenerazionale è il punto di incontro di almeno due vettori uno che riguarda passato
remoto del soggetto, della sua famiglia e di quelle antecedenti, uno ha a che fare con il
funzionamento nel qui ed ora della famiglia odierna, delle loro relazioni e del tipo di legame alla
base della dinamica familiare. 
(testo incesto incestuale, relazione famigliare con dinamiche di stampo narcisistico)
 
Secondo il paradigma della complessità gli eventi della vita di un soggetto vengono messi in
relazione e valutati per quello che è il loro valore psicodinamico e immersi in un contesto spazio-
temporale.
E’ fondamentale considerare il soggetto con punto nodale di una rete sociale di relazioni che si
sviluppa in una matrice: il gruppo è la matrice della vita mentale del soggetto.
Il concetto di relazione è l’elemento fondante dell’essere umano, senza il quale la mente e il corpo
sarebbero delle astrazioni: mente/corpo/relazioni sono i vertici di uno stesso triangolo che in
un’ottica circolare non possono essere scissi gli uni dagli altri.
L’esistenza di ogni vertice è vincolata dall’azione degli altri due.
Non ci potrebbero essere uno sviluppo della sfera corporei o psichica senza la relazione con
esterno.
 
 
 
GRUPPONALISI
Contesta distinzione tra individuo e gruppo facendo di questo il presupposto della teoria
gruppoanalitica e del funzionamento della mente

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Una delle sue idee più importanti è che non può esistere un individuo separato dal sociale e al di
fuori di esso. La vita psichica si fonda sul rapporto di identificazione con alterità in primo luogo la
famiglia e il suo concepimento del nascente.
 
-      Gruppalità interna
-      Campo psichico familiare
-      Transpersonale
 
Foukles dice → «Noi non condividiamo la giustapposizione psicoanalitica di una realtà psicologica
interna ed una realtà esterna, fisica o sociale, che per la psicoanalisi ha un grande significato. Ciò
che è all’interno è all’esterno, il sociale non è esterno ma profondamente interno e penetra
l’essere più interno della personalità individuale.» –Foulkes, 1973

COS’E’ UN GRUPPO?
I gruppi sono formati da un insieme di soggetti che si riuniscono o i soggetti sono sedimenti dei
gruppi?
-           Insieme di persone, obiettivo comune, la relazione tra loro procede a partire da aspetto
comune
 
Considerare gruppo come insieme di individui, si parte da presupposto implicito che persona sia
prima del gruppo, implica dare per scontato cos’è soggetto.
I gruppi sono formati da insieme di soggetti? O i soggetti sono sedimenti del gruppo?
Il rapporto con altri fonda vita psichica, attiva connessioni cerebrali, consente al neonato di
concepire e dare significato al mondo. Senza di ciò il bambino non nasce dal punto di vista
psichico.
L’oggetto della gruppoanalisi non è l’individuo isolato ma l’individuo in relazione con ambiente di
cui è parte integrante. Non è che gruppoanalisi non consideri le pulsioni, le tiene conto, c’è da
indagare come funziona apparato psichico-
L’identità dell’ambiente familiare (transgenerazionale= è la continuazione di un modo di essere
mentale condiviso di generazione in generazione. Il sistema transgenerazionale è un struttura
gerarchica di valori fondativi che unisce più generazioni in termini di legami affettivi. 
La coppia coniugale è il centro del sistema di legami affettivi per il suo compito di creazione di
nuove generazioni. 
 
MENTE GRUPPALE:
È merito della gruppoanalisi l’aver sottolineato come la mente abbia una fondazione relazionale. 
Il concetto di mente indica che l’individuo viene concepito come un punto nodale intrecciato tra le
maglie di una rete collettiva che lo pre-concepisce, attraversa e intenzione (= lo plasma)
Questo vuol dire che la soggettività evolve all’interno di una relazione tra un soggetto nascente,
con la sua predisposizione biologica ad un apprendere (ossia prendere stabilmente dentro di sé) e
un campo mentale familiare che a sua volta è iscritto e si collega con la più ampia cultura
collettiva.
NOI ABBIAMO MENTE GRUPPALE
In gruppoanalisi non sono più solo i fatti intrapsichici a essere indagati  ma la relazione tra i fatti
intrapsichiche quelli collettivi. Ciò che è esterno al soggetto diviene interno e attraverso di lui
nuovamente esterno. Una serie di presenze alloggiano dentro al soggetto senza che questo ne
abbia consapevolezza. (la famiglia in primis)
 

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BURROW TRIGANT
Negli anni ’20 si sviluppa con il pioniere di Burrow in America, precursoere della sua evoluzione
nell’orientamento relazionale, pubblica un articolo sul giornale internazional di Psicoanalisi: è il
primo ad usare il termine gruppoanalisi. 
Il termine matrice è usato per la prima volta da lui nel 1913 per indicare una fase primaria dello
sviluppo che chiama “mondo preconscio” e che precede la formazione della coscienza, anticipando
il concetto di sistema protomentale di Bion e di psiche-soma di Winnicot.
Questa fase preconscia è caratterizzata dall’identificazione primaria del bambino con la madre che
si sviluppa nei processi vitali che avvengono tra madre bambino. Questa fase affettiva primaria in
cui si pongono le basi preconsce dell'esperienza umana, costituisce la matrice biologica dello
sviluppo successivo. 

Il gruppo non va inteso come applicazione della psicoanalisi ai gruppi ma designa un fondamento
collettivo transpersonale dell’identità individuale.
La sua prospettiva comporta un radicale capovolgimento dell’antropologia individualistica che
aveva prevalso in freud e che implica una scelta di campo anche sul piano epistemologico: la
psicologia ha un fondamento relazionale e quindi il concetto di relazione è un elemento essenziale
di sviluppo.
La concezione relazionale dell’essere umano assegna un ruolo di primo piano nell’insorgenza del
conflitto e della psicopatologia ai processi trangenerazionali e transpersonali dove il campo
familiare, fungendo da cassa di risonanza del proprio ambiente, inconsapevolmente veicola valori,
modelli relazionali e di comportamento interiorizzati individuali e collettivi cosiddetti “normali” ma
non corrispondenti alla vera realtà dell’individuo; la conseguenza è un adattamento snaturante,
un’espropriazione della soggettività del singolo. 

Burrow postula dunque che il gruppo sia alla base dello sviluppo normale e patologico. La
patologia origina da un conflitto non intrapsichico (Freud) ma sociale, dovuto cioè al rapporto
conflittuale tra individuo e i gruppi.
 
 
FOULKES (1898-1976)
Nasce come psicoanalista e muore come gruppoanalista-
Froukles si discosta, dice che dimensione pulsionale non può spiegare soggettività.
“l’essere umano è un animale sociale, non può vivere in isolamento. Per vederlo come un tutto
bisogna guardarlo in un gruppo, sia in quello nel quale vive e nel quale emergono i suoi conflitti sia
al contrario in un gruppo di estranei dove piò ristabilire i suoi conflitti in una cultura pure. Il gruppo
è lo sfondo, l’orizzonte, la cornice di rifermento della situazione totale.”
 
Foukles inizia a guardare i soggetti in un’ottica circolare à noi siamo parti di più gruppi.
Adolescenza: transazione da gruppo famiglia a gruppo di pari. Questo fonda identità
 
“ciascun individuo è determinato da mondo in cui vive, dalla comunità, dal gruppo di cui egli
costituisce una parte. La vecchia contrapposizione tra mondo interno –esterno, individuo e
società, fantasia e realtà corpo e mente, non può essere mantenuta. “
 
Adolescente trasgredisce per separarsi, per conoscere i propri limiti.

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Per soggettivarci, noi possiamo apprendere dall’esperienza. Il compito dell’adolescente è quello
dell’esperire, per capire i limiti, per capire che c’è altro rispetto a quello che c’è in famiglia, per
sbagliare.
Se non la vivi, la vivi da adulto, a 40-50 anni.
Innamoramento è esperienza da vivere.  Se io genitore, dico che che ho bisogno di te per sentirmi
persona, per rendere tale la sua identità allora non si innamorerà mai.
Genitori hanno dovere di fare buona educazione sessuale ai figli, ci si deve proteggere. Esperienza
serve. “Genio Ribelle” film- c’è differenza tra conoscere e vivere una cosa.
 
 RIASSUNTO DELLA TEORIA DI FOUKLES
• Priorità al gruppo rispetto all’individuo. 
• Il gruppo ha senso solo in relazione con ciò che sta fuori di esso: le cose hanno bisogno di essere
contestualizzate per essere visibili. 
• Priorità al tutto rispetto alla parte: la patologia è localizzata nel singolo ma è una disfunzione del
gruppo.
• Priorità all’esterno piuttosto che all’interno: i meccanismi interni sono interiorizzazioni di
meccanismi e dinamiche di gruppi esterni. 
• Priorità al sociale rispetto al biologico: il sociale è considerato parte sia della struttura che del
contenuto della psiche. Non c’è parte della psiche che sia asociale. Il sociale penetra all’interno
dell’Es stesso 
• Priorità alla trasmissione rispetto all’ereditarietà. R
 
 (Sapere passaggio da Psicoanalisi a Gruppoanalisi)
 

LEZ 2: LA GRUPPOANALISI
La società di Gruppoanalisi nasce a Londra nel ’52 con Foukless e più o meno nello stesso periodo
comincia anche in Italia l’interesse nei confronti de gruppi: i Fratelli NAPOLITANI fondano i primi
istituti di Gruppoanalisi in Italia.
In veneto nasce l’ASVEGRA, associazione Venta per la ricerca e la formazione in psicoterapia i
Gruppo e Analisi istituzionale. (che si occupa di teorizzazione della pratica di gruppi; in realtà in
quasi tutte le regioni italiane ci sono queste associazioni che poi si uniscono in una
confederazione).

Nel 1982 nasce la Confederazione di Organizzazioni Italiane per la ricerca Analitica sui Gruppi
(COIRAG) istituendo nel 1993, la scuola di specializzazione, all’epoca unica scuola italiana, di
formazione alla psicoterapia analitica di gruppo diffusa in tutto il territorio nazionale.
La COIRAG fa parte dell’International Association of Group Psychoterapy (IAGP) che raggruppa le
associazioni di psicoterapia di gruppo di tutto il mondo.
(è corrispettivo di IPA: associazione italiana psicoanalisi)

GRUPPOANALISI; c’è passaggio da terapia individuale a terapia di gruppo, in realtà anche in setting
duale, ci si riferisce comunque al gruppo.
Gruppoanalisi dice che terapia non consiste nell’analisi dei soggetti dal terapeuta, ma il terapeuta
è immerso nel campo, quello si crea è una correlazione di esperienze in cui il terapeuta è inserito e
non si chiama fuori dall’analisi, che è un analisi di gruppo.
Il terapeuta è immerso nel campo, anche se ovviamente ha ruolo diverso dai pz.

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Teoria psicoanalitica supera dicotomia individuo-gruppo e viene fatto emergere, risaltare il gruppo
come contesto di cui ogni persona fa parte.

Al momento della nascita l’uomo sperimenta un primo e rilevante cambiamento del suo sistema
di appartenenza: dalla dipendenza biologica del suo ambiente fetale alla dipendenza del suo
ambiente familiare. Alla nascita, il bambino è immerso in un mondo di desideri e di aspettative
altrui, che lo intenzionano e lo orientano mediante determinati insegnamenti o comportamenti
della famiglia. (=noi veniamo al mondo non in un campo neutrale)
C’è a partire da questo anche un’influenza a livello organico, dimostrato dalle neuroscienze.

La storia di ogni uomo è la storia delle sue appartenenze gruppali e che la sua cultura personale è
sedimentazione delle sue esperienze relazionali.
Fin dai primi giorni di vita, la relazione con il caregiver e gli eventi della realtà contribuiscono a
“modellare” in modo indelebile e permanente le strutture cerebrali si da influire sullo sviluppo
della personalità per tutto l’arco della vita.
All’interno del contesto socio-familiare il bambino sviluppa e impara la regolazione degli affetti
E questa la prima di un’ininterrotta serie di esperienze di appartenenza come l’essere parte di un
insieme strutturato e organizzato che va dall’appartenenza al corpo materno a quella del sistema
familiare e del contesto sociale nelle sue varie articolazioni.

La persona e la sua personalità è all’interno del contesto specifico in cui vive, della famiglia
inizialmente poi comunità più sociale, gruppo dei pari in adolescenza in cui soggetto è inserito:
l’essere umano assume in sé i tratti mentali, affettivi e comportamentali del suo ambiente
originario e li considera come è qualità proprie.
Il soggetto introietterà e nelle migliori delle ipotesi si identificherà con la comunità di cui fa parte.

(INTROIEZIONE diverso IDENTIFICAZIONE: Introiezione assumere dentro di noi, IDENTIFICAZIONE:


Mettersi dentro l’altro e identificarsi). In ogni caso, essere umano introietta e si identifica con
elementi e persone che lo circondano. Con quello con cui facciamo esperienza.

COSTRUTTI TEORICI DELLA TEORIA GRUPPOANALITICA

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Rete, matrice, plexus e mente di gruppo sono strettamente tra loro connessi.

RETE: il concetto di rete sostiene che il soggetto costituisca un punto nodale all’interno della rete
sociale in cui emerso e che le connette ad altri individui; vero punto di snodo di processi
transpersonali su di lui convergenti e a partire da lui divergenti. La rete si estende sia lungo asse
verticale storico, cioè tutto il passato biologico e culturale, ma anche orizzontale cioè del presente
relazionale.
(gruppo analisi vede gruppo come rete, ogni rete è un nodo, ognuno è collegato all’altro da una
relazione, con relazioni che possono essere più o meno forti). Noi consideriamo essere umano
come punto nodale della catena ed è influenzato dal resto della catena.

Essere umano è snodo delle trame transpersonali che lui riceve e che manifesterà essendo nodo,
ma che poi trasmetterà alle generazione successive quello che ha ricevuto da generazioni
precedenti (TRANSPERSONALE e TRANSGENERAZIONALE). Questo è asse storico, verticale,
inconscio. Quello relazionale, orizzontale sarà invece asse più conscio.
Noi siamo molto influenzati di più da alcuni punti della rete; per esempio, la famiglia è un punto
focale.

“la famiglia originaria è la rete primaria in cui si forma in modo decisivo la personalità del soggetto,
questa rete costituita dalla famiglia, vista come gruppo, agisce come una complessa formulazione
totale. Ha un asse verticale diretto al passato, ai genitori, alla loro infanzia, al loro rapporto con i
propri genitori, e tutto questo entra nel nucleo profondo del bambino in formazione” Foukles

PLEXUS: porzione di RETE abbastanza rete, che comprende quello che sta intorno al soggetto
(famiglia di origine e la famiglia allargata, possiamo inserire le relazioni più significative ovvero
relazioni strette).
Si intende un numero relativamente piccolo di persone che comprende la famiglia, che si
raggruppa dinamicamente attorno alla persona centrale, il paziente soprattutto in connessione ai
suoi conflitti. Quindi il plexus è determinante a livello sintomatologico.
Comprende quindi le reti dinamiche attuali che concernono la sfera centrale della vita delle
persone; include la famiglia e un numero relativamente piccolo di persone che gravitano attorno al
soggetto.

La rete e il plexus poggiano su una MATRICE.

MATRICE: è un concetto teorico, è l’insieme di tutti i processi mentali, individuali e gruppali in cui
noi siamo immersi; è simile al concetto di rete ma rete è relativa a quello che succede al soggetto
mentre la matrice ci dice quello che ha che fare con universalità in cui vengono descritte trame
psichiche di connessione e di relazione, consce e inconsce da cui traggono senso le vicende dei
singoli e in cui si formano le reti.

Le relazioni che siano familiari o collettive, fondano l’esperienza psichica in una matrice, intesa
come una rete di tutti i processi mentali individuali, il mezzo psicologico nel quale si incontrano
comunicano ed interagiscono. La matrice è un costrutto teorico che mette in luce l’esistenza di
trame psichiche comuni da cui traggono senso le vicende dei singoli.
Il gruppo è la matrice mentale del soggetto.

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Foukles dice che matrice è contenitore di elementi ancora non nati, sviluppati, che possono
prendere forma. (=terreno seminato che ancora non ha prodotto frutti ma che potenzialmente
può sviluppare qualcosa; questa è la matrice)
mentre quello che nasce, da questo terreno sono le reti.
Quindi, se la domanda fosse “qual è la tua matrice”? È qualcosa di culturale: con idee,
atteggiamenti, valori, del gruppo in cui siamo immersi.

FOUKLES distingue 4 tipi di MATRICI:


1. MATRICE DI BASE  fondata sulle proprietà biologiche della specie ma anche sui valori e
sulle relazioni radicate e trasmesse culturalmente: gli esseri umani condividono le stesse
qualità come specie. E’ statica a persistente. Riguarda il fatto che siamo esseri umani.
2. MATRICE DINAMICA,  un costrutto sovrapersonale che si costituisce all’interno del
gruppo e si genera ogni volta che un piccolo gruppo di persone entra in relazione intima; è
mutevole e sarà soggetta a continue trasformazioni in base alle dinamiche del gruppo
considerato. E’ riferita al gruppo terapeutico e si rivolge agli aspetti dinamici e inconsci del
processo gruppale.
Ovvero la matrice dinamica si crea quando persone entrano in contatto tra di loro cioè
quando creano un gruppo dinamico, sarà precisa di un certo gruppo, in cui si creeranno
aspetti di quel gruppo che però sono inconsci. Essa sarà diversa in base al guppo.
3. MATRICE PERSONALE  è l’insieme dei processi soggettivi che riguardano gli individui a
partire dalla loro esperienza costitutiva di componente di un gruppo, quello culturale di
appartenenza di cui ha incorporato l’intero insieme di rapporti. Riguarda il soggetto a
partire dalla sua esperienza di membro appartenente al gruppo originario.
4. MATRICE FAMILIARE  è la sedimentazione della storia transgenerazionale della famiglia.
Ovvero, vengono trasmesse i miti di quella famiglia, le vicende che hanno caratterizzato
quella storia familiare.

Questi elementi costituiscono una trama simbolica che organizza le strutture cognitive-affettive
della famiglia; il neonato cresce assimilandone i codici, condividendoli spontaneamente con il suo
gruppo e sentendoli propri.
Questo ha a che fare con la dimensione transpersonale nella sua parte transgenerazionale che si
riferisce alla trasmissione inconscia di tutto ciò che riguarda la famiglia e i gruppi interni di coloro
che ne fanno parte, alle reti di parentela e ambientali con cui il bambino è a contatto direttamente
o indirettamente tramite le strutture relazionali inconsce della famiglia.

Quando entriamo a fare parte di un gruppo dinamico, entriamo con tutte le matrici e tutte
contribuiranno a sfociare in quella dinamica, essa si attiva solo in gruppi, che lavorano in un
determinato modo.
(a proposito di Matrice, in questa settimana che è scoppiata guerra in Ucraina; i sogni dei pazienti
della docente, sono cambiati. I contenuti avevano ha a che fare con grave instabilità, con
retroscena di angosciante. Come se ci fosse matrice, attivazione universale in ognuno di noi. (come
anche attentati di Parigi, che sono grande catastrofi che sono umane, si sente una connessione)

Rimodellare i sistemi simbolici, trasformare cioè interiormente la cultura familiare e il senso delle
relazioni è il compito di ogni individuo ai fini della soggettivazione. Tale compito implica l’individuo
ma richiede anche la partecipazione del gruppo.

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Nelle matrici familiare sane o insature è consentito il rimodellamento simbolico in modo
reciproco e condiviso. La matrice insatura permette al bambino di
identificazione autonoma e creativa all’interno della quale i codici
familiari possono essere trasformati dall’unicità individuale. E’
caratterizzata dalla trasformazione inconscia dei temi
transgenerazionali a livello di un’identità personale originale
creativa.

CARTA Del gioco da tavolo DIXIT: Indica sismologicamente


passaggio, tipico dell’adolescenza. Potersi muovere, fare mondo
proprio, verso qualcosa di nuovo, un pò mi spaventa ma procede, è
una famiglia che contribuisce a passaggio che consente di creare
identità.

Famiglia satura= piena di traumi e materiale transgenerazionali


non risolti,

CHE COSA SUCCEDE AD UN SOGGETTO CHE CRESCE ALL’INTERNO DI UN CAMPO MENTALE


FAMILIARE SOFFERENTE O CON MATRICE SATURA, NON DISPONIBILE AD ALCUN
RIMODELLAMENTO DELLE SUE TRAME SIMBOLICHE E DELLE STRUTTURE COGNITIVE-AFFETTIVE?
Succede che il soggetto diventerà espressione della sofferenza del gruppo familiare attraverso una
particolare sintomatologia. La matrice satura relega il soggetto in un’emanazione della famiglia,
imprigionandolo in una ripetizione identica di un copione non trasformabile. In questo caso la
famiglia progetta il figlio come depositario di aspettative, ruoli e copioni che incastra individuo in
una soggettivazione impossibile che schiaccia l’intima identità della persona. Tale matrice annulla
le proprietà innovative ed originali del soggetto, istituendo la coazione a ripetere del passato.

LEALTA’ INVISIBILE
Aspettative di gruppo, delega intesa come trasmissione transgenerazionale delle aspettative, dei
legami di alta fedeltà che si traducono in pesanti obblighi interiorizzati: cose a cui non ci può
sottrarre pena la colpevolezza esistenziale.
All’origine della psicopatologia si colloca il rapporto con la matrice familiare che si riproduce senza
lasciare spazio al nuovo determinando una predominanza fantasmatica del passato che rende
instabili i confini tra mondo interno e pensiero familiare.
Patologia: perturbazione, tra lui e tra la sua relazione. Non è possibile pensare al sintomo solo in
termini individuali.

MENTE GRUPPALE
La soggettività evolve all’interno di una relazione tra un soggetto nascente e un campo mentale
familiare che, a sua volta è iscritto e si collega con la più ampia cultura collettiva
Esiste un NOI che abita un IO rendendolo un NOI

Possiamo riassumere l’identità psichica è caratterizzata dunque dall’acquisizione dei tratti mentali,
affettivi, comportamentali dell’ambiente primario attraverso processi di trasmissione
transgenerazionale e processi identificativi, trasformati in modo originale dal processo di
soggettivazione
(quello che siamo è il risultato di tante cose, ritrasformata in modo originale e dinamico)

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Nella mente è presente una gruppalità interna che è “la conservazione in vivo, le proprio mondo
interno, della molteplicità delle voci, desideri, intenzioni storicamente presenti nel suo originario
ambiente familiare” (Napolitani, 1987)
La GRUPPALITA’ INTERNA si riferisce alle relazioni interiorizzate che albergano dentro ciascun
individuo. L’incontro tra soggetti è dunque incontro tra più gruppalità.

Ogni soggetto durante adolescenza deve ricercare le parti autentiche del proprio sé, generando
nuovi significati a partire da quelli già esistenti, creando una discontinuità con ciò che viene in-
segnato (messo dentro) dalla propria cultura rileggendolo in chiave personale.
Soltanto emancipandosi dalle proprie matrici vi è la possibilità di essere altrimenti si rimane chiusi
tra le maglie soffocanti delle proprie matrici transpersonali.
La psicopatologia insorge quando la casa è talmente popolata da non lasciare alcuna autonomia al
soggetto di poter abitare gli spazi interni e arredarli in modo diverso. Dunque essa costituisce un
irrigidimento della rete di significazione che non consente al soggetto di ri-significare la matrice
che lo ha concepito impedendogli di trasformare la cultura familiare e promuovere una
discontinuità rispetto alla cultura degli antenati storicamente data. (MATRICE SATURA)

(Foukles; IL BAMBINO USA ELEMENTI DEL MONDO ESTERNO A STRUTTURA DEL PROPRIO MONDO
INTERNO DIVERSAMENTE DA KLEIN, CHE DESCRIVE NEONATO CHE A PARTIRE DAL MONDO
INTERNO SI CREA PENSIERI SU QUELLO ESTERNO)

GRUPPO E INDIVIDUO: ESTERNO E INTERNO


L’individuo ha origine nella relazione e ne è permeato. Gli esseri umani vivono sempre in gruppi,
che a loro volta non possono essere compresi se non in relazione ad altri gruppi e nel contesto
delle condizioni in cui esistono.

Cioè per quanto possa manifestarsi in un individuo, in realtà il disturbo è sempre il disturbo di un
gruppo più esteso. Si tratta del concetto di localizzazione per cui anche se un sinonimo viene
riscontrato in un soggetto occorre chiedersi sempre quale e dove sia il disturbo reale che lo
provoca. Lo SCOPO della gruppoanalisi è individuare la causa di un disturbo nella rete
contemporanea. Si occupa di capire di come si modifichino i soggetti e di cosa impedisca loro di
modificarsi.

IL MODELLO DI SVILUPPO DI FOUKLESLui introduce due concetti istinto sociale e di inconscio e


sociale.

ISTINTO SOCIALE: la spinta primaria è l’appartenenza, spinta ad appartenere a qualcosa, perché


di base è animale sociale. Il sociale non è esterno ma interno e penetra l’essenza più profonda
della psiche individuale. L’elemento che viene interiorizzato è la relazione sociale.
Senza relazione sociale moriamo  hikikomori, sempre vicini a morte sociale, a morte psichica.
(vicini al suicidio)

ES, IO E SUPER-IO sorgono da una matrice comune che ha inizio dalla nascita e della vita prenatale.
L’es nasce dalla prima esperienza relazionale, ovvero un insieme di info che riceviamo nella

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relazione con l’altro. Lui più che di pulsionalità in senso stretto, parla di TRASMISSIONE
INTRAPSICHICA, BASATA SU ESPERIENZA BIOLOGICA E CULTURALE.

INCONSCIO SOCIALE
Con la gruppoanalisi si amplia il concetto di inconscio: l’IO entra in relazione con il mondo (con
altro) attraverso l’introiezione, ne consegue che il mondo esterno non è solo esterno ma anche
interno nella misura in cui ci attraversa e intenziona il nostro vivere. (=l’IO introietta l’altro e man
mano si identifica). Si chiama sociale perché ha a che fare con l’altro.

- Inconscio collettivo presuppone che ci sia qualcosa che connetta inconsci delle persone
- Inconscio sociale invece mette in luce la presenza di relazione (rete che circonda individuo)
 L’Inc collettivo contiene l’eredità filogenetica ed è il deposito di tutte le esperienze
umane fino alla preistoria. È la sede della memoria di tutta la specie umana
conservata dalla antichità; è costudito da archetipi che sono contenuti universali che
appartengono a tutte le culture e a tutte le epoche. L’archetipo fa parte del codice
genetico ed è di natura biologica, si eredita con la struttura cerebrale.
Gli archetipi sono le immagini a carattere arcaico proprie di tutta l’umanità, che si
manifestano, a livello individuale, nei sogni e nelle fantasie e, a livello collettivo, nei
miti, nelle fiabe e nelle opere artistiche.
Per Jung l’inconscio ha quindi due livelli: quello personale e quello collettivo.
L’inconscio personale e quello collettivo che rimanda ad immagini originarie, a
quelle forme di rappresentazione più antiche e generali dell’umanità. Dunque, per
Jung, l’inconscio non contiene solo elementi personali, ma anche impersonali,
collettivi in forma di categorie ereditate o, appunto, archetipi.
L’inconscio sociale postulato dalla gruppoanalisi, è inconscio ma non determinato
dall’eredità o dalla biologia, ma dall’esperienza relazionale: è strutturato dall’esterno,
dall’incontro con l’altro. È sociale in questo senso, ma potremmo benissimo sostituire
il termine sociale con “relazionale”. Ha a che fare con l’incoscio non rimosso ossia
quella parte dell’Es preesistente e transpersonale da cui trae sviluppo l’apparato
psichico.

La gruppalità interna è l’esito della internalizzazione attraverso processi identificativi dell’insieme


delle relazioni delle quali il soggetto fin dalla nascita ha fatto esperienza e del transpersonale.

Far riferimento ad un modello di sviluppo della psiche infantile centrato prevalentemente


sull’importanza delle interazioni precoci madre bambino, fa porre l’accento sulla dimensione
intersoggettiva e pre-simbolica dell’inconscio. Questo inconscio è composto da affetti, difese e
fantasie che si sviluppano nell’incontro con la mente dell’altro ed è in diretto rapporto con quanto
percepito dal soggetto nelle relazioni primarie, cioè la memoria delle esperienze sensoriali precoci.

QUINDI L’INCONSCIO INTERSOGGETIVO O SOCIALE È INCONSCIO NEL SENSO CHE È PARTE


DEL TESSUTO DELLA PSICHE E NE FORMA LA STRUTTURA STESSA.
LE RELAZIONI O MEGLIO IL SOCIALE, PERMEANO LA PSICHE!

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Inconscio sociale ha due componenti:
- Il peso della storia delle tradizioni: inteso come tutto ciò che stiamo dicendo adesso
- La realtà presente ed attuale: che prende le sembianze di quei due specifici genitori lì.
Quindi Foukles, afferma che è l’esperienza a creare le nostre strutture interne. Il campo
esperienziale. Il movimento è dall’esterno verso l’interno e che poi diventa di nuovo
esterno, è un cerchio, è un flusso.

La Famiglia d’origine è la rete fondamentale in cui si forma in maniera decisiva la personalità del
soggetto. E’ costituita da un asse verticale che indica il passato, i genitori, la loro infanzia, il loro
rapporto con i genitori e tutto entra a far parte del nucleo più antico del bambino in formazione.
Quindi il sociale è la materia che entra a far parte di tutte le istanze psichiche dell’essere umano.

Foukles dice che ESPERIENZA crea la nostra psiche, è il nostro campo esistenziale. Quindi: il
movimento è dall’esterno verso l’interno. (=non come Klein)

“quando in psicologia consideriamo il gruppo come quadro essenziale di riferimento, ci rendiamo


conto che l’individuo è inevitabilmente un frammento plasmato dinamicamente dal gruppo in cui
è originariamente cresciuto, un pezzo di un puzzle. Quando si toglie questo frammento individuale
dal suo contesto, esso è plasmato e formato o deformato secondo il posto che ha occupato e le
esperienze che ha ricevuto in questo gruppo. Il primo gruppo è di norma la famiglia. Questa
famiglia volente o nolente riflette la cultura a cui appartiene e a sua volta trasmette le norme i
valori culturali.” Foukles, 1974

LA CLINICA DELLA GRUPPOANALISI


Ogni evento e comportamento e sintomo sono considerati come una comunicazione non solo del
livello inconscio ma anche della rete di relazioni di cui il soggetto fa parte.

Accanto allo sviluppo libidico (non dobbiamo dimenticarlo) si sottolinea l’importanza del contesto
familiare e culturale in cui inserire le basi della psicopatologia. Quindi avere un atteggiamento
gruppo-analitico equivale a acquisire la consapevolezza che la sofferenza è l’espressione di un
equilibrio disturbato della rete di appartenenza e il gruppo è lo strumento elettivo di cura. Accanto
allo sviluppo libidico si sottolinea l’importanza del contesto familaire e culturale in cui inserire le
basi della psicopatologia.

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Attraverso il concetto di RETE e di MATRICE è possibile concepire la patologia come patologia della
relazione e il disturbo psichico si trova nella relazione il disturbo psichico si trova nella relazione e
nell’interazione tra le persone.

E’ necessario quindi valutare il contesto relazionale del soggetto per comprendere il sintomo e
differenziare:
1. Matrice insatura che racchiude la possibilità di sviluppo e creatività
2. Matrice satura implica impossibilità di movimento e di svincolo dai legami familiari
La patologia è leggibile come l’impossibilità di pervenire ad un autentico e creativo scontro con la
cultura familiare.

LA PSICOPATOLOGIA DAL VERSANTE GRUPPOANALITICO

Il sintomo rappresenta un equilibrio disturbato nel campo relazionale: la psicopatologia è da


intendersi come “insieme di anelli concentrici”: il più piccolo dei quali rappresenta il soggetto e
man mano che si procede verso l’esterno gli anelli che comprendono il gruppo familiare.
Questa modalità di concepire il disturbo come un fatto relazionale permette il trattamento di tutte
quelle sintomatologie legate alla difficoltà del rapporto con altro. (es: DCA, Hikikomori, disturbi di
ansia, problematiche sessuali e in generale le difficoltà relazionali.)

La personalità in gruppoanalisi è concepita come identità che si forma mediante i legami con i
gruppi esterni, in primo luogo con la famiglia. Il DDP è un disturbo della relazione tra mondo
interno e il gruppo esterno familiare e implica un disturbo dell’are del sé. La trama del pensiero
familiare fonda la persona.

IL PRESUPPOSTO è CHE OGNI SITUAZIONE CLINICA POSSA ESSERE LETTA A TRE LIVELLI:
1. Quadro sintomatico
2. Disturbo di personalità
3. Disturbo evolutivo

a. L’organizzazione narcisistica caratterizzata da una forte contrapposizione tra il sé e l’altro e


da legami affettivi privi di capacità relazionale.
b. L’organizzazione schizoide caratterizzata da una chiusura nel proprio universo
intrapsichico. In tutto il tessuto gruppale vi è una altro invischiamento che impedisce i
processi di soggettivazione.
c. L’organizzazione isterica in cui vi è l’incapacità di trasformare il transgenerazionale

LA CURA IN GRUPPOANALISI
Curare non equivale soltanto alla risoluzione sintomatica ma significa occuparsi della situazione
sofferente che spesso va oltre il singolo.
Ci si prende cura dell’altro inteso in tutta la sua complessa costituzione con la consapevolezza che
la patologia del singolo è portavoce di un’organizzazione familiare inadeguata. La meta della
psicoterapia non è solo la liberazione dai sintomi ma di ciò impedisce, nel mondo interno del
paziente, di cambiare.

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(gruppi di auto muto aiuto sono gruppi utili che mettono in campo funzioni specifiche del gruppo,
empatia, non sentirsi unici in quello che si prova, condivisione, rispecchiamento. Però è uno
strumento potente ma anche pericoloso, tanto training. Non improvvisare. Non sono
trasformativi, vanno ad agire su sintomo

LEZ 3: UNA LETTURA GRUPPOANALITICA DEI SINTOMI


DELL’ADOLESCENZA
Entriamo nella pratica per capire come gruppoanalisi spiega sintomi adolescenziali, per esempio
ritiro sociale.
In Italia psicopatologia dell’adolescenza del ritiro sociale è abbastanza nuovo, il soggetto
adolescente si ritira in casa arrestando il suo processo evolutivo, interrompendo l’andamento
verso fuori e non utilizzando i pari come base da cui partire identità e confliggendo la famiglia.

“il problema psicoanalitico è il problema dello sviluppo e dell’armoniosa risoluzione nel rapporto
fra il contenitore e il contenuto ripetuto nell’individuo, nella coppia e infine nel gruppo (interno ed
extra fisico” (Bion 1970)

Implica un allontanamento dal mondo esterno e muove verso lo spazio domestico alla ricerca di
un rifugio (stanza-camera), che diventa unico spazio vitale. Un blocco che ha a che fare con una
perturbazione del rapporto tra individuo e gruppo di appartenenza. Blocco a livello identitario: è
un movimento che ha a che fare con arresto e con ritirarsi, rifugiarsi. C’è perturbazione a livello di
ambiente familiare, di relazione tra adolescente e la sua famiglia. Specifiche difficoltà nell’area
della dipendenza.

Hikikomori: Hiku  tirarsi indietro + kikomori essere confinato all’interno. (già anni ’80 in
Giappone)

ASPETTI PSICODINAMICI: nel caso di famiglie patologiche (MATRICE SATURA); esse Non tollerano
la CRESCITA in quanto portatrice di cambiamenti che rompono equilibrio. (ci troviamo di fronte ad
un blocco che si manifesta in un sintomo, che ci dice che qualcosa non funziona sufficientemente
bene; adolescenza porta rottura del campo; c’è ristrutturazione della famiglia).
Il SINTOMO dell’adolescente è il mezzo attraverso cui si esprime la patologia del legame familiare.
Il sintomo ci racconta come disturbi a livello di relazioni sociali. Se famiglia è contenitore
insufficiente per elaborare le conflittualità interne del figlio oppure se è troppo rigido e non
consente il conflitto.
Adolescente è in un limbo che non può esprimere il suo istinto nuovo, né vuole restare a
comportarsi come bambino.

Adolescente è impegnato in tre lutti:


- Lutto del corpo (cambiamenti)
- Immagini idealizzate dei genitori (per i bimbi i genitori sanno tutto, sono come supereroi) –
adolescente invece capisce che si può porre in modo simmetrico
- Identità che non può più essere quella del bambino.
Il sintomo del ritiro evita alla famiglia di affrontare questi lutti, ma arresta sviluppo
dell’adolescente.
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I sintomi del ritiro si instaurano in una dinamica relazionale che non permette la soggettivazione;
pericolosa per l’equilibrio familiare e che portano l’adolescente ad un arresto evolutivo.

Sostare nello spazio domestico-familiare fa mettere in campo modalità di funzionamento


regressive che negano il tempo, il cambiamento e e le individualità.

Alcuni sintomi più gravi: si isolano, senza alcun relazione nemmeno virtuale, zero relazioni. Altri
invece mantengono le relazioni virtuali sono cioè meno gravi. Questi ragazzi vedono stanza come
utero materno, e dipendono totalmente dal materno; le mamme accudiscono loro proprio come
se fossero bimbi piccoli, gli portano cibo in camera- nei casi più gravi, si arriva anche alla simbiosi.
La vicinanza simbiotica è qualcosa che è ricercata ma dall’altro lato viene respinta con aggressività,
con violenza perché non sono aspetti tipici dell’adolescenza.

 Da un lato c’è una persona (adolescente) che non è stata riconosciuta dal contesto
familiare.
 Dall’altro un gruppo famiglia (matrice satura) che teme il cambiamento.
Un gruppo incastrato dal mantenere una posizione al di qua del lutto e della separazione. 
MATRICE SATURA
Si viene a creare uno scenario in cui il soggetto rimane ancorato alla mentalità familiare alla ricerca
di una protezione che gli garantisca la sopravvivenza. Come se si creasse ASSOCIAZIONE
INCONSCIA tra separazione e morte che porta alla reclusione come difesa all’angoscia di morte.
(adolescente ha compito di identificarsi, soggettivarsi proprio come in infanzia c’è individuazione-
separazione dopo fase simbiotica).
Una famiglia che non permette separazione, identificazione perché percepita dalla famiglia come
troppo pericolosa, l’adolescente sentirà la separazione come una morte del campo.
Un suicidio psichico che produce emozioni che mancano di vitalità, caratterizzato da una
identificazione massiccia con un oggetto genitoriale devitalizzato e devitalizzante.
Quello che ne emerge è un vissuto interno di vuoto incolmabile.
Il ritiro nel campo familiare offre una difesa da tutto questo che illusoriamente elude l’angoscia ma
fa sostare il ragazzo in una dimensione al confine tra L’ESSERE VIVO E L’ESSERE MORTO.
La mente cioè rimane ancorata all’appartenenza famigliare ed è assolutamente inadeguata al
gruppo dei pari. Può accadere quindi che vadano molto d’accordo con adulti e quindi si
relazionano con loro, ad esempio con i genitori oppure al contrario proprio non ci sanno stare.

Vi è anche un’altra dimensione che riguardata angoscia degli adolescenti. L’angoscia degli
Hikikomori ha a che fare con campo familiare che invece di fungere da schermo paraeccitatorio,
(BION) utilizza il figlio come CONTENITORE delle proprie cose indigerite (campo
transgenerazionale).  MINACCIA ALL’ESISTENZA  MATRICE INSATURA
Questo figlio sarà depositario di tutto quello che nel campo familiare è stato non elaborato,
traumatico, non digerito che le generazioni precedenti non hanno gestito e sono depositate
dentro di lui. Tutto ciò rappresenta una minaccia all’esistenza psichica. Questo riguarda una
matrice satura. Essere abitati nel mondo interno da tutti questi contenuti transgenerazionali è una
grande minaccia all’esistenza psichica (a volte anche quella fisica). Quindi se l’ambiente primario
non può tollerare le differenze perché sentito troppo pericolose per la sua pelle psichica, la
persona spesso avrà paura e disconoscerà le proprie diversità e si identificherà in modo massivo
alla mentalità familiare.
Questo tipo di relazione, per cui il figlio diviene depositario del transgenerazionale della famiglia è
una relazione a stampo narcisistico, che in qualche modo va a negare tutti i confini tra i soggetti a

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negare le diversità e l’unica cosa che accade è che il figlio viene idealizzato dal campo familiare
come il portatore di aspetti rinnegati, inconsci e che in qualche modo illusioramente lui dovrà in
qualche modo risolvere (tutto ciò che è insocnio, non a livello consapevole). È chiaro quindi che se
la persona è lì per risolvere e rielaborare ciò che non hanno fatto gli altri non se ne potrà andare,
altrimenti queste cose depositate nel soggetto ritornerebbero di personalità di chi le ha
depositate. Poiché quindi tutto deve rimanere identico, l’adolescente si ritira, così in questo modo
può garantire status quo ovvero che nulla cambi.

Una dimensione relazionale che non favorisce lo sviluppo di un contenitore psichico sufficiente a
tenere assieme i pezzi del sé e che produce il ritorno allo stato primario, fusionale e indifferenziato
che elimina i confini, minando il pensiero e le pulsioni vitali.

Una dimensione traumatica che si esplicita nella morte psichica nella forma sia di disinvestimento
(Es-senza = senza l’es) ma dall’altro parte eccesso di eccitamento (ES-posti) come se non avessero
una pelle psichica protettiva e contenitiva che ricerca nelle pareti della camera. C’è angoscia vera
di stare con altri.
Quindi queste due posizioni ES-SENZA ES-POSTI si traducono da un lato in un’assenza totale di
desiderio (SVUOTAMENTO) e dall’altra in un’assenza di schermi protettivi che li rende senza pelle
e particolarmente sensibili ad ogni stimolo.

La psicopatologia è dunque conseguenza di un fallimento della matrice familiare nella sua


funzione di spazio transazionale ossia di elaborazione e trasformazione di significati passati che
diano progettualità al processo evolutivo.
Emergono funzionamenti del gruppo familiare basati su alcune precise dinamiche che vanno dalla
confusione dei confini generazionali, all’invischiamento, al segreto, all’inversione dei ruoli, alla
difficoltà dei processi di separazione-individuazione, alla negazione die conflitti, all’idealizzazione
delle relazioni familiari.
= tutto questo è di matrice NARCISISTICA. Perché quando si arriva in adolescenza viene messa in
dubbio, l’identità perfetta del genitore, se il genitore fino ad allora si è considerato solo con
identità di genitore faticherà ad accettarlo; si sentirà vuoto. È bene che genitore continui a crearsi
anche altre identità (lavoratore, donna ecc).

Rêverie _ funzione del campo familiare per cui vengono accolte e restituire al figlio tutte le parti
grezze che il figlio ancora non ha capacità di elaborare per via della sua mente immatura.
Attraverso identificazione proiettiva i contenuti inconsci del bambino, mamma contiene, e
restituisce al bambino in forma digerita. BION

Es_ il lattante quando nasce è immerso in insieme di vissuti a cui non s a dare nome e che come
risposta usa il pianto. La mamma riesce a differenziare il pianto e in base alle risposte che darà il
bambino, lo aiuterà a capire che cos’è la sensazione.
(fame, pinago mamma risponde con seno, io inizio a capire dopo un po’ che è quella è fame; se
altro pianto è causato da freddo e verrò coperto allora capirò che quella era sensazione di freddo).
Tutte le mamme sanno fare quello?

REPORT ; GRUPPO DI SOSTEGNO ALLA GENITORIALITA’

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Il gruppo è uno spazio che permette l’elaborazione psichica e permette di costruire ponti tra
interno e esterno e consente di esperire la giusta temperatura, la giusta distanza nelle relazioni, in
un gioco oscillatorio di avvicinamento e allentamento in un contesto protetto.
E’ uno spazio transazionale dove poter sperimentare le emozioni protette dal contenimento della
pelle gruppale e dove l’attenzione è centrata più che sui comportamenti dei singoli, sui legami reali
e simbolici della rete relazionale messi in scena nel campo.

Non ci concentriamo su singoli comportamenti del gruppo ma sui legami reali e simbolici della
rete. Un lavoro che si svolge con i genitori e non sui genitori. Le richieste a volte implicite o
esplicite sono spesso di “come aggiustare il figlio che è rotto, per ristabilire equilibrio familiare”;
inizialmente quello che i genitori arrivano a chiedere “cosa dobbiamo fare?”
È molto difficile transitare dal fare a quello che invece devono essere. Uno degli obiettivi del
gruppo è acquisire consapevolezza tra il saper fare e il saper stare in relazione con il figlio.

Nel gruppo è facilitata la rielaborazione individuale grazie al fatto di essere all’interno di uno
spazio protetto e tutelato dalla COPPIA DI CONDUTTORI (simbolicamente come i genitori). La
relazione tra i due conduttori che fa girare il gruppo e le sue dinamiche, aiuta a mostrare nuovo
modo di relazionarsi. Ci vuole spazio di pensiero: prima del gruppo, dopo il gruppo per tenere in
mente il gruppo.
I conduttori non danno una risposta alle domande del cosa fare, anche perché non lo sanno
nemmeno loro ma aiutano ad aprire scenari di senso.

I due conduttori rappresentativo simbolicamente una coppia sufficientemente buona, facilitano la


dinamica del gruppo permettendo una rielaborazione dei vissuti.

IPER-IDENTIFICAZIONE AL RUOLO GENITORIALE (sono mamma di..)


“se mio figlio non ha più bisogno di me, che senso ha la mia esistenza?”
cosa accade alla coppia, nel momento in cui figlio cresce? Rimane unita? si disgrega?

Cosa presiede la sua presenza in casa del figlio?


 spesso sono coppie che si sono dimenticate di essere coppia da tempo, non c’è sessualità per
esempio ma stanno insieme per il figlio.

Uno degli scopi del gruppo è quello di comprendere i mandati transgenerazionali al fine di
differenziare tra persona e ruoli, al fine di recuperare la propria soggettività.

Il riconoscersi come persone e non più solo come genitore di tizio, getta le basi per un altro
movimento fondamentale: il riconoscimento del figlio come altro da sé. (si vede inoltre che
chiamano “Mio figlio” per molto tempo, e solo dopo un bel po’ lo chiamano Francesco.. come un
LUI)
Durante prime fasi del gruppo c’è difficoltà a creare distanza. Usano il “noi” come famiglia, non
esistono i figli come persone reali nelle menti dei genitori.
Esistono degli elementi relazionali che invadono tutto il campo. Le camere diventano quello spazio
concreto che simboleggia la necessità di mettere una distanza ad una eccessiva presenza vicinanza
relazionale.
È necessario uno spazio insaturo, psichico, che possa favorire la nascita dell’identità del figlio
adolescente e nuove modalità di stare in relazionale. Questo implica un altro passaggio che è
quello che porta dalla colpa alla responsabilità.

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(Prima colpa di internet; poi colpa mia; ci deve esser passaggio a responsabilità intesa come cura)
Dal sentirsi in colpa per aver commesso qualche cosa di sbagliato e di irrimediabili, al prendersi la
responsabilità di una relazione e avere cura.
Il gruppo dunque permette di transitare da una ricerca delle cause nel mondo esterno, alla
possibilità di poter pensare alle dinamiche relazionali implicate nel disagio del figlio che diventa ed
è simbolo di una disfunzione del gruppo famiglia.

ORA VEDIAMO REPORT DI UN GRUPPO di una seduta di gruppo per il sostegno alla genitorialità:
Co-condotto dalla professoressa Borsetto e Rossetto; durata per 3 anni e mezzo; genitori di figli ritirati. I
genitori partecipavano ad un gruppo, che era mediano. Il tetto massimo dei partecipanti è di 20. C’è un
osservatore che simboleggia il figlio (giovane studente); anche simbolicamente trio familiare. (due genitori
e figlio – a livello simbolico)
Si invita a partecipare la coppia, anche se a volte va solo la madre.
Ogni 15 gg, 1 ora e tre quarti: i conduttori si trovano post gruppo, a caldo e poi in un pre-gruppo si guarda il
report della volta prima.
Ci sono, all’interno, dei genitori veterani e dei genitori nuovi. I conduttori sono seduti in modo opposto,
così hanno la possibilità di vedersi sempre. I partecipanti si siedono in modo casuale. È un gruppo di
sostegno. Senza conduttori e osservatore sono in 15.

Papà C arriva ed è un nuovo membro, si presenta dicendo che è il papà di C e c’è anche mamma C, sono
seduti vicini. Mentre marito L ed L sono due storici del gruppo, che un po’ si sono già individuati e si
differenziano proprio anche nel modo in cui si parlano e descrivono nel gruppo. loro possono stare
tranquillamente seduti separati.
Molti di loro sono veterani del gruppo. Il gruppo si trova ogni 15 giorni, Mar ed M si siedono sempre così.
Chi scrive è l’osservatrice.
Questo incontro di sostegno è stato svolto in data 1 Ottobre di qualche anno fa.

Sembra che i genitori si siano suddivisi in due sottogruppi: da un lato ci sono tutti i genitori nuovi
(arrivati oggi o iscritti da dopo l’estate) e dall’altro invece ci sono tutti i genitori navigati, che hanno
frequentato il gruppo anche lo scorso anno. L’Inizio del gruppo è movimentato: c’è chi entra e chi
esce, chi parla. Si fa fatica a cominciare. L illustra gruppo ai nuovi genitori, definendolo come una
preziosa occasione per farsi delle domande e per orientarsi ad osservare, un modo per sentirsi

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meno isolati e soli. A questo punto arrivano i genitori di C. con 15 min di ritardo. Si scusano
dicendo che c’era molto traffico. Qualcuno chiede loro se abbiano fatto autostrada, dicono di no.
Penso sia importante riportare questo dettaglio perché mi ha fatto molto pensare, mentre venivo mi sono
chiesta se sarebbero arrivati in ritardo anche oggi, pensando soprattutto a quello che avevano portato la volta
scorsa. Perché prendere la strada normale in un orario di punta sapendo che si rischia di non arrivare in tempo.
Faccio un collegamento con la volta scorsa quando hanno detto che ci hanno messo due anni a capire che il
figlio non stava bene. Forse sono genitori che arrivano in ritardo sulle cose, con una modalità di risparmio per
cui, pur sapendo che forse c’è una strada più veloce, che però richiedere un pedaggio e comunque un impegno
di risorse maggiore- scelgono di fare quella lenta, arrivando in ritardo. Allo stesso tempo penso che comunque
sono arrivati meno in ritardo della volta scorsa, quindi forse se vogliono, possono. Anche il fatto che ogni volta
S debba andare a prenderli dove parcheggiano mi fa pensare hanno bisogno di essere presi, portati e
accompagnati come dei piccoli?

C’è molto brusio nella stanza, i partecipanti parlano tra loro e c’è un po’ di confusione.
La dottoressa Borsetto prende parola, rimandando al gruppo che sente molto movimento stasera
e che si chiede come mai, se stia ribollendo qualcosa. M1. propendendosi in avanti sul bordo della
sedia, dice che il figlio ha cominciato la scuola serale che per lei questo è positivo, anche se
comunque i ritmi quotidiani irregolari sono rimasti gli stessi: il figlio arriva a casa dalla scuola e si
mette a computer tutta la notte, poi si addormenta la mattina presto e dorme tutto il giorno, si
sveglia poco prima di andare a scuola la sera dopo. Ciò che la rende particolarmente scontenta
sono i momenti in cui sente che il figlio le manca di rispetto perché le risponde male e le sembra
sempre che le metta i piedi in testa, le fa male vedere che non coglie il limite.
Stasera M rimane spesso seduta sul bordo della sedia, protesa in avanti, girata verso la parte del
gruppo davanti e alla sua sinistra: talvolta penso che non veda chi c’è dietro di lei (Mar, R e dott
Rossetto), ogni tanto si accorge che c’è Mar quando parla ma la tendenza è quella di darle le spalle
e di rimanere rivolta verso gli altri. Mar interviene dicendo che lei cerca di assorbire quello che la
figlia dice e fa anche quando si arrabbia.
Mi chiedo anche come mai non consideri molto queste figure, soprattutto la dott.ssa Rossetto, forse
inconsapevolmente sa che quando lei parla, colpisce, e magari la sta evitando.

(forse non va qui.. bo) Mi chiedo che "colpa"/responsabilità si senta questa mamma, che ora sembra assecondare la
figlia in ogni modo, mi chiedo se sia autentica o se si stia un po' forzando. Sarebbe legittimo comunque non
condividere tutto, mi chiedo se si sia passati da un "no" totale, assoluto, edipico, ad un "si vai" che sdogana ogni
barriera e che ribalta la situazione; allo stesso tempo, rispetto al primo incontro mi faccio la fantasia che più o meno
consciamente Mar. stia cercando di dare un contributo buono, col suo atteggiamento, ad una situazione che è sfuggita
al suo controllo. Penso alla relazione tra il marito e la figlia, al fatto che recuperare un rapporto con la figlia sia forse
un primo passo per sentirsi meno tagliata fuori da quella "coppia". Penso anche che forse inconsapevolmente sente
che è stata proprio lei a non mettere un confine e un limite (valido, oltre all'urlarsi contro) all'amore edipico tra la
figlia e il padre: ora quest'ultimo si trova a far ruotare la sua vita amorosa attorno alla figlia (e non alla moglie) e la
figlia si trova incastrata in questa situazione senza sapere come poter uscire (metaforicamente e concretamente).
Paradossalmente il fatto di non metterle un limite adesso, potrebbe essere controproducente, perché magari la figlia
cerca anche questo; a cosa rischia di dare il via libera approvando ogni cosa? È delicato riuscire a veicolare il
messaggio di approvazione della figlia come tale in questo modo, perché il rischio di scivolare sul fare e stare sul
comportamento c'è. Penso anche al padre, mi chiedo come mai ci sia solo lei stasera, non posso non pensare che
comunque questo messaggio di valore personale della figlia, debba essere veicolato da entrambi, anche perché mi
danno l'impressione di non agire come coppia genitoriale unita al fronte ma come singoli che hanno poco a che
spartire. Sento queste parole come uno schiaffo al gruppo, ai genitori che sono li da soli, alle famiglie in difficoltà.
Davvero sento che questo papà pensa di essere stato sfortunato ad essere in questa situazione, loro che sono sempre
stati una famiglia perfetta vengono "improvvisamente" colpiti da questa cosa. Mi fa molta rabbia, perché ho
l'impressione che il figlio non venga proprio visto e che sia più importante salvaguardare

Ad un certo punto (come se arrivasse in gruppo adesso), interviene un nuovo membro del gruppo
X chiedendo (brutale quasi sprezzante) che differenza ci sia tra un depresso e un HK che lui ha
fatto delle ricerche su “persone di questo genere” e ha trovato che è un fenomeno nati in
Giappone ma che è presente anche in Finlandia ecc.. gli risponde il marito di L dicendo che
1
M è una media veterana

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fondamentalmente questi ragazzi sono ritirati che manca loro l’aspetto sociale. S poi dice che ha
avuto la depressa ed è una cosa diversa da quello di suo figlio.
SI specifica che Mar è l’unica partecipante al gruppo che ha figlia femmina tutti gli altri hanno figli
maschi. Il ritiro infatti in generale appartiene più ad una dimensione maschile.

L. aggiunge che rispetto agli adolescenti “classici” che vanno dappertutto e sono liquidi, il loro
figlio pian piano era cambiato aveva cominciato con degli aspetti depressivi che poi sono
proseguiti in un isolamento ed un uso assiduo del computer.
La mamma di C aggiunge che questi ragazzi hanno paura mentre un depresso non ha paura ma è
“Morto dentro” lei è stata depressa per brevissimo tempo ora lavora con un anziano depresso e a
volte si chiede se non somigli a suo figlio. Però dice anche C fa volentieri le cose che gli piacciono,
quindi nota delle differenze. Mentre racconta queste cose sembra su di giri, ha una mimica molto
espressiva e sembra molto carica. Il marito invece sorride sempre e guarda in giro per la stanza.
Sarebbe interessante approfondire questo aspetto: le chiederei quando è stata depressa come mai, cosa
vuol dire per lei “brevissimo tempo”. La fantasia che mi faccio senza sapere che periodi di né tempi è che
questi aspetti depressivi possano essersi trasferiti su qualcun altro. Come fa a scomparire la depressione
in cosi poco tempo senza lavorarci sopra? Rispetto al marito, mi chiedo se sia con noi o altrove, parliamo
comunque di cose che lo riguardano e di argomenti seri ma lui mantiene questa espressione sorniona per
la maggior parte del tempo.

X ritorna all’attacco chiedendo cosa ne pensino i partecipanti dell’aspetto farmacologico, il figlio


non è mai stato da uno psichiatra, lui dice “se ci fosse un farmaco che funziona basterebbe
farglielo prendere per tutta la vita e saremmo a posto dovrei solo convincerlo ad andare dallo
psichiatra. Che la malattia cala improvvisamente e che la pillola la risolve”. Ci si chiede nel gruppo
se effettivamente questa sia la soluzione. I genitori “veterani non concordano” e si crea una
discussione su questi due polarità.
Interviene la Dott Rossetto dicendo che questa posizione (del farmaco cura tutto) ci toglie dal
campo e inevitabilmente toglie anche altre cose.
Qui vi è un momento di perplessità e di silenzio nel gruppo così interviene anche la prof Borsetto.
La dottoressa Borsetto aggiunge che la polarità che si è creata nel gruppo forse ha a che fare con
la difficoltà di sostare in una dimensione di incertezza: le risposte diagnostiche rassicurano da un
lato, ma forse non bastano dall’altro.
Che stiamo parlando di persone, nello specifico di ragazzi adolescenti, che c’è differenza tra avere degli
aspetti depressivi ed essere depressi che fare diagnosi a questa età è rischioso, perché si rischia di
etichettarli

M dice che definire serve a capire. S le risponde che probabilmente aiuta loro come genitori a
stare meglio ma non i ragazzi. M ribatte chiedendosi se è lei L’ antidepressivo, se deve assorbire.
Pericolosissimo rischio incastro.

L dice che siamo mente e corpo e che le due sono cose non possono essere separate anche nel
caso dei farmaci, che quindi un farmaco funziona nel momento in cui c’è qualcosa che cambia
anche ad altri livelli non solo a quello biologico, dice poi che se il farmaco ha fatto passare
l’aggressività di suo figlio, ma si chiede dove sia finita se sia scomparsa o se sia stata solo messa a
tacere.
La dottoressa Rossetto prende la parola e chiede “perché siete qui?”
X risponde che sono qui per il figlio qualcuno aggiunge che ci tiene al figlio e alla relazione.
Penso sia molto difficile per loro dire che sono li anche perché il disagio del figlio rimanda degli aspetti di
loro come genitori che non funzionano

24
Rispetto alla relazione col figlio, M riprende la parola e continua a raccontare lamentando che lui
sta finendo la scuola solo perché è d’obbligo che vorrebbe già lavorare che lei si preoccupa perché
lui non si preoccupa del suo futuro.
Stasera sembra un fiume in piena, partecipa e scarica molto, in modo quasi teatrale talvolta, ho la
percezione che non voglia davvero cogliere degli aspetti che possano aiutarla a svoltare, ma vorrebbe
solo scaricare questo peso sul gruppo e lasciarlo li.

Gli altri genitori si mobilitano, si agitano e le rispondono che rispetto ai propri figli questi già dei
traguardi, cercando anche di contenere la sua preoccupazione ma lei continua a pensare (e
parlare) rispetto al futuro.
Interviene C dicendo che il figlio non pensa al futuro perché ci pensa lei (sua madre). Rischiamo di
perderci questo commento perché nel gruppo si è attivata una grande confusione e tutti parlano
contemporaneamente, quando lo ripete fa un certo effetto sui genitori, perché segue qualche
attimo di silenzio. Poi riprende e racconta la sua esperienza quando ha capito che il figlio non stava
bene, è venuta al gruppo per sé, per capire quale rapporto aveva con il figlio e come aiutarlo.
Questo l’ha aiutata a cambiare atteggiamento, tanto che ha iniziato a prendere lezioni di ballo e a
uscire la sera. Lo faceva con il peso sul cuore, ma con l’obiettivo di dimostrargli con il suo esempio
che la vita fuori è bella e merita di essere vissuta, è rimasta molto contenta quando dopo la
nevicata di marzo ha visto la neve ed è uscito di casa dopo 5 mesi. Poi ha lavorato questa estate,
ha fatto il bagnino e ha potuto anche recitare in un film, stando via di casa cinque giorni. Aggiunge
con la voce un po’ tremante (ma anche soddisfatta) che bisogna agire su sé stessi per modificare
anche la relazione con i figli.

Pensieri in aula: madre si sente un po’ onnipotente nel pensare che dando l’esempio al figlio starà
meglio e la madre quindi fungerà da modello per lui? Ci si chiede e si riflette in aula su questo
oppure vien visto da qualcuno anche come una capacità di ansare avanti con la sua vita e anche di
fare un percorso di introspezione, non per forza quindi solo come metodo per controllare anche in
questo senso il figlio, la prof afferma che secondo lei possono e potrebbero effettivamente esserci
entrambi questi aspetti  ragionare sempre in un’ottica di e/e  insieme a questo vi è anche una
dimensione di onnipotenza che è importante ma anche da questa madre vengono mossi dei
movimenti diversi e di differenziazione dal figlio e quindi anche come si diceva un movimento di
introspezione e di lavoro su se stessi e di riappropriassi della propria vita
- Oscillazione del gruppo tra individuo (singolo membro) e gruppo
- Si percepisce una invadenza della veterana che presentava il gruppo, cioè qualcuno che
voleva quasi “Mettersi al posto” dei conduttori/dei professionisti anche perché se si è in
quel gruppo è dirle sarebbe compito dei conduttori/degli professionisti anche perché se si
è in quel gruppo è perché si ha lo stesso problema di tanti altri  forse troppo sentirsi
saccenti, troppo voler mettere parola su tutto e su tutti.
- Marco con questo intervento che è stato appena scritto qui sopra, secondo la prof si è
sintonizzato con un certo clima che c’era nel gruppo, da una sua parte e che X che è un
papà interessante portava una certa quota di ansia e di aggressività anche se non qui
verbalizzata ma comunque agita in una qualche maniera. X ha utilizzato un modo molto
provocatorio
- L che è una pz storica spesso si costituisce ai conduttori e questi ultimi glielo lasciano fare
finché questo in un certo senso “va bene” fino ad un certo punto  i conduttori ad
esempio possono rimandargli però sempre parlando e riferendosi al gruppo forse sta
tagliando fuori i conduttori  in un certo senso tutto questo è permesso anche dal gruppo
perché se L taglia fuori i conduttori il gruppo tutto glielo sta consentendo in realtà

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La dottoressa Borsetto conclude la frase dicendo che siamo qui non per lavorare su chi non c’è ma
per lavorare con chi c’è (ovvero i genitori). M è la prima che vorrebbe vedere il figlio autonomo
che non ha mai deciso per lui, è che lui prende impegni e non li porta a termine non è costante e si
tira indietro e lei ha paura che succede di nuovo che lui molli S. le chiede se abbia mai chiesto a
suo figlio come ma molla.
Io mi chiedo se i progetti che il figlio non ha portato a termine fossero suoi (di lui) o della madre, e
soprattutto cosa poteva significare concluderli, se erano qualcosa che lo allontanava da casa, che
implicazioni avrebbero avuto sulla sua presenza o meno in casa e sulla sua relazione con la madre

Qui sembra che alcuni interventi vengano fatti un po’ come superiorità come se qualcuno fosse più
avanti di altri e quindi facesse anche interventi quasi per dare consigli,. O fare osservazioni
“perspicaci”.
Qui poi non si è all’inizio del gruppo, ma molte persone sono qui da tanto e quindi hanno un po’
imparato a fare un certo tipo di lavoro, anche si risoluzione su se stessi. Questo un po’ smuove il
gruppo.
La dottoressa Borsetto dice che talvolta questi ragazzi sono trattati come se fossero piccoli e che
quindi come genitori si insiste, però allo stesso tempo come testimoniava C.s opra se ci si sottrae
pur col pensiero e col peso sul cuore – si può trasmettere loro il messaggio che sono abbastanza
grandi per fare alcuni passaggi da soli. Dev’essere una modalità autentica, non meccanica.
Mar dice che si è resa conto attraverso il gruppo, che come genitore ha una grande responsabilità
perché non ha trasmesso a sua figlia la fiducia in sé stessa, ora ha capito che la figlia ha bisogno lei
la approvi totalmente in ogni scelta quotidiana che le rimandi che va bene, sempre.
Mi chiedo che “colpa” responsabilità si sente questa mamma che ora sempre assecondare la figlia in
ogni modo mi chiedo se sia autentica o se si stia un po’ forzando. Sarebbe legittimo comunque non
condividere tutto mi chiedo se sia passati da un no totale, assoluto, edipico ad un “si vai” !che sdogana
ogni barriera e che ribalta la situazione, allo stesso tempo rispetto al primo incontro mi faccio la fantasia
che più o meno consciamente Mar stia cercando di dare un contributo buono con il suo atteggiamento
ad una situazione che è sfuggita al suo controllo. Penso alla relazione tra il marito e la figlia, al fatto che
recuperare un rapporto con la figlia sia forse un primo passo per sentirsi meno tagliata fuori da quella
coppia. Penso anche che forse inconsapevolmente sente che è stata proprio lei a non mettere un confine
e un limite (valido, oltre all’urlarsi contro) all’amore edipico tra la figlia e il padre; ora quest’ultimo si
trova a far ruotare la sua vita amorosa attorno alla figlia (e non alla moglie) e la figlia si trova incastrata
in questa situazione senza sapere come poter uscire (metaforicamente e concretamente).
Paradossalmente il fatto di non metterle un limite adesso potrebbe essere controproducente perché
magari la figlia cerca anche questo a cosa rischia di dare il via libera approvando ogni cosa? È delicato
riuscire a veicolare il messaggio di approvazione della figlia come tale, in questo modo perché il rischio di
scivolare sul fare e stare dul comportamento c’è.
Penso anche al padre, mi chiedo come mai ci sia solo stasera, non posso non pensare che comunque
questo messaggio di valore persone della figlia debba essere veicolato da entrambi anche perché mi
danno l’impressione di non agire come coppia genitoriale unita al fronte ma come singoli che hanno
poco a che spartire.

Lei ha notato che con questa modalità negli ultimi 5/6 mesi le cose vanno meglio non si urlano più
contro, differenza del marito che non ha accettato questa situazione.
La dott Borsetto rimanda che forse il senso di queste parole sta nel fatto che i figli vorrebbero
essere “approvati” non tanto per quello che fanno perché si può anche non essere d’accordo ma
per quello che sono.
L dice che loro forse non riuscivano ad accettare il figlio per quello che è, ora ci stanno provando.
La differenza riguarda la delusione delle aspettative. X interviene dicendo che il figlio ha fatto
diversi incontri con psicologi ed esperti e che lui si chiede se abbia avuto sfortuna a trovare
sempre persone sbagliate, poi apre la riflessione alla famiglia, dice che ci sono tanti genitori soli,
tante famiglie in difficoltà e loro, tutto sommato non sono così male.

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sento queste parole comq uno schiaffo al gruppo, ai genitori che sono li da soli, alle famiglie in difficoltà.
Davvero sento che questo papà pensa di essere stato sfortunata ad essere in questa situazione, loro che
sono sempre stati una famiglia perfetta vengono improvvisamente colpiti da questa cosa. Mi fa molta
rabbia perché ho l’impressione che il figlio non venga proprio visto e che sia più importante
salvaguaradre l’apparenza di perfezione piuttosto che provare a cambiare qualcosa.

Interviene la dott Rossetto dice che sembra che ci si stia chiedendo come poter guarire i prorpi
figli ma forse il compito di un genitore non è guarire il proprio figlio, ma prendersene cura.
R. dice che il figlio ha degli interessi e li persegue; nei giorni scorsi ha creato delle cose a mano
mentre lei era via (è stata via due giorni), le ha portate da un negoziante e quest’ultimo gliene ha
chiesti 10 pezzi. Dà speranza al gruppo questa mamma riflettendo sul fatto che questi ragazzi
possono trovare la propria strada e anche quando sembra che siano fermi in realtà stanno
lavorando dentro.
M non ci sta, ribatte che con figlio hanno passato una buona domenica, hanno fatto una gita e
sono stati bene.
usa sempre il noi quando parla delle cose che fanno insieme come fossero una cosa sola, mi chiedo cosa
spinge un ragazzo adolescente a passare la domenica in montagna con la madre se questo noi abbia un
peso metaforico anche a livello di coppia coniugale per queste due persone.

Poi riporta l’attenzione sul fatto che le dà fastidio che lui si spenda i suoi soldi in sigarette e
monate.
S prontamente le risponde che è come tutti gli adolescenti e questa cosa invece che rincuorarla
sembra mettere M ancora più in agitazione
R aggiunge che quando lei è a casa il figlio fa un casino mentre quando lei non c’è è tutto
ordinato: è tornata da questi due gg e lui aveva lavato i piatti e lasciato tutto sistemato.
Molto interessante il commento di questa mamma, cosa significa esserci? Ed esserci “giusti” lasciando
spazi di manovra e di crescita? Ci sono spazi nelle altre famiglie per mettere in ordine le cose a modo
proprio per fare pulizia? Mi vengono in mente i programmi di Real time “sepolti in casa” queste persone
che tra tonnellate di rifiuti hanno scavato una strada per arrivare alla porta, ho pensato a delle case così,
buie e cupe (quella di Mar e F ad esempio la immagino così) dove questi ragazzi si muovono quasi
trascinandosi nei corridoi: la casa si R la immagino luminosa, pulita con le superfici bianche e lucide e
allo stesso tempo vissuta, abitata, accogliente sia per chi la abita che per gli ospiti.

X dice finalmente qualcosa sul figlio (unico figlio della coppia) che ha 23 anni, c’era un periodo in
cui usciva sempre stava fuori tutta la notte, non ascoltava mai ed era “sregolato” adesso invece è
chiuso in casa, a volte porta delle amiche in camera, che ogni tanto dice “mi uccido” ma che sta
bene a casa non gli manca niente, ha la tv in camera, play station, un letto grande….
sembrerebbe un albergo a cinque stelle questa casa solo che come ogni albergo c’è il lusso ma manca la
familiarità, il calore, il clima di casa. Ci credo che non manca niente a livello “oggettistica” ha tutto ma a
livello di relazioni forse qualcosa manca forse semplicemente è abituato a relazioni con oggetti e non con
i genitori. La moglie lo guarda senza espressione, non riesco a capire cosa pensi e cosa senta lei rispetto
a questa situazione a volte ho come l’impressione che si sia ben accorta che qualcosa non va ma che
faccia un pò l’osservatore silenzioso delle dinamiche del marito con il figlio.

La dott Rossetto riporta il tema sul guarire e sul senso di quanto detto.
Ho come l’impressione che sia necessario tenere forte le redini di questo gruppo perché potrebbe andare
alla deriva nel senso he ognuno potrebbe perdere la propria tangente da un momento all’altro. I nuovi
soprattutto mi danno l’idea di essere molto HK anche loro, ognuno un po’ per conto proprio chiuso nelle
4 mura di sicurezza con un mondo dentro in realtà, da esplorare e da tirare fuori come punto di partenza
che come risorsa.

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M a questo punto dice che una delle cose che le recrimina il figlio con violenza è che lei non sa
scegliere; lui e la sorellina sono figli di due papà diversi, lui non vede suo padre che se l’è data a
gambe e ora anche l’altro uomo non c’è più..
A questo punto la dottoressa Borsetto prende la parola le dice che forse il figlio si sente di
rimanere a casa perché magari si chiede “chissà quanti altri figli con quanti altri uomini fa mia
mamma se io vado via?” segue un attimo di silenzio per tutti.
io sento che mi salgono le lacrime agli occhi in due secondi.. non so se siano mie (di gratitudine per
espresso qualcosa che stava girando anche nei miei pensieri) o di M. che accusa il copo, rimanendo poi
impietrita. Questo intervento è stato come una bombe nucleare lanciata sul gruppo, sicuramente da qui
in poi il registro di interventi e di riflessioni è cambiato anche se è probabilmente stato percepito a livelli
diversi da ognuno. Penso che possa aiutare M a ridimensionare il suo sguardo esterno per portarlo verso
sé e verso la sua modalità di relazinarsi di relazionarsi con il figlio: mi chiedo cosa sia cambiato per lui
quando è nata la sorellina quali puare non sono state ascoltate e quanto si possa essere sentito
sostituito. Forse sono state adelle aurare così grandi che l’idea di un nuovo uomo è più spaventosa che
sacrificare la propria individualitò,c crescita, adolescenza per stare vicino alla mamma. Allo stesso tempo
mi chiedo come questa donna veicoli la solitudine nel legame con i figli: lamenta di essere sola?

Fa pesare il fatto di non avere un uomo (e magari di non poter uscire a cercarlo perché deve stare
a casa con loro, soprattutto con questa situazione “delicata”)?
Riesce a fare delle cose per sé a curarsi come donna, ad essere portatrice del messaggio che non si
è donne-principesse che aspettano di essere salvate ma donne-donne in grado di fare delle sclete e
cavarsela da sole?

La dottoressa dice che il compito di cura come genitori riguarda anche il domandarsi in che
implicazioni si è con i propri figli in che relazione si sta. Inoltre aggiunge che questi ragazzi
rimangono a casa per presidiare qualcosa.
mi fa ripensare all’inizio del gruppo quando M parla di orari sballati del figlio che resta sveglio tutta la
notte e si addormenta durante il girono, considerando che la note è buia e imprevedibile e leggendo
questo comportamento nell’ottica di dover presidiare qualcosa, questo ragazzo forse si è eretto a
guardiano della casa, colui che di notte la protegge da eventuali e possibili attacchi e di giorno può
riposare (la mamma è a lavoro)

Segue un denso silenzio. La dott Rossetto prende parola dicendo che ognuno di loro ha tessuto
una tela di relazione con i propri figli e che ora ci si trova in un limbo tra il mantengo e ti mollo i
due capi della relazione dove la vera grande frustrazione risiede nel fatto che non è possibile
vivere per i propri figli sostituirsi a loro e fare scelte e azioni per loro.
Molti annuiscono, concordano forse sarebbe più facile per tutti se questa fosse una soluzione.

X dice che lui ha solo questo grande problema (il figlio). La moglie a questo punto lo guarda e gli
rimanda che quando il figlio è fuori lui ha paura, quando è in casa invece è sereno. Il marito
risponde che il figlio non ha nulla da presidiare e la Dottoressa dice: forse la sua ansia.
che pacca! Dopo questo commento il papà si è ritirato per un attimo se avesse ricevuto una bastonata
per la prima volta sembra riflettere su quello che gli viene rimandato. Quanto più pesare sulla situazione
del figlio l’ansia del padre? Forse il figlio sta cercando di essere “come tu mi vuoi” ma si scontra col fatto
che, in ogni caso, il padre gli rimanda che non va bene. Mi chiedo cosa voglia davvero questo uomo, se
sia sia capace a sua volta di sentire quello che prova e che vuole, di trovare un equilibrio tra essere “tutto
dentro” e “Tutto fuori”, se la sua dirompenza (e talvolta maleducazione) non lo proteggano dallo
spezzarsi da un momento all’altro.
Mi chiedo anche se incastro di coppia abbiamo queste due persone, forse il figlio deve rimanere in casa
per tenerli insieme, un po’ perché è figlio unico e un po’ perché penso che questa donna non sopporti più
il marito (e la sua ansia).
Mi chiedo come sia questo uomo a casa e con lei, ho come l’impressione che lo guardi come se venisse
da un altro pianeta.

28
Apro una parentesi di riflessione sul fatto che è già il secondo papà che mostra questa grande fragilità
all’interno del gruppo, per un attimo penso che sia quasi una fortuna che non ci sia anche F. perché forse
invece che “specchiarsi” l’uno nell’altro potrebbero sostenersi e tirare verso il basso le spinte progressive
del gruppo. Questi due uomini mi fanno riflettere anche sul ruolo del maschile oggi partendo dal
principio culturalmente condiviso “di uomo che non deve chiedere mai! Che però non riesce ad adattarsi
ai tempi, ai cambiamenti culturali e sociali, sento che fanno proprio fatica. Come se fossero state
“tramandate” e “Insegnare” loro le caratteristiche che devono “avere” come padri, come i loro padri,
all’antica, ma l’esigenza più che mai oggi è quella di essere padri., di vivere la paternità come una
propria modalità di essere e non come un vestito stretto da farsi stare bene. Questa fragilità mi sembra
lo specchio dell’impossibilità di vestire questo ruolo, delle difficoltà di rinnovarsi e di stare al passo con i
cambiamenti e on i tempi e di trovare delle nuove strategie e per esserci davvero.

L interviene dicendo che forse quando sono fuori tutta la notte questi ragazzi presidiano la città,
ma che è difficile capirli e cogliere questi aspetti se non si lavora su di sé. M sembra molto assorta
e persa nei suoi pensieri, non ha più nulla detto. X confronta la situazione del figlio con quella di
altri disturbi e difficoltà giovanili, come l’uso di sostanze e l’abuso di alcolici: dice che forse ci sono
delle predisposizioni, delle tendenze, delle famiglie disastrate e in difficoltà.
Sembra che riprenda il discorso di prima, come se ponesse in una scala di guaribilità questi oggetti-
pazienti-adolescenti (e penso che questo figlio e questa donna devono avere una grande pazienza a
sopportare un uomo così) e faccia la gara a chi sta peggio.

S gli dice che lei ha due figli e ha avuto esperienze diverse uno rimane chiuso in casa e l’altro no.
Questo per dire che ogni genitore è la stessa persona con i due figli ma che intesse relazioni e che
può sbagliare delle cose con uno e fare diversamente con l’altro.
L aggiunge che non si sta parlando di sbagli ma di cercare di vedere la realtà così com’è, che
accorgersi delle cose significa starci.
La dottoressa Rossetto interviene portando un esempio nel discorso e chiedendo a C se lui sia
ansioso per genetica. Lui tergiversa, non risponde e dice solo che si sente una persona che non è
all’altezza di risolvere i problemi. Che è stato parecchio burrascoso in adolescenza e che aveva
preso una brutta piega, anche se adesso è diverso.
Mi chiedo cosa abbia visto/vissuto nella sua adolescenza e come mai impedisca al figlio di vivere la sua.
In cosa sono diversi e in cosa questo papà ha paura che siano simili?

Il marito di L. gli chiede se voglia un figlio perfetto, lui risponde che prova ansia con i figli, perché
non si sa mai cosa sia bene e cosa no, che tutti sono stati adolescenti.
M. è più quieta dei precedenti interventi, si chiede a voce alta cosa spinga questi ragazzi a
chiudersi in casa, che vorrebbe capire.
Ho la percezione che stia lavorando qualche pensiero nella sua testa e che l’affondo di prima l’abbia
scalfita in qualche modo

La dottoressa Borsetto rilancia la domanda che ci si pone: ma se io sto a casa, che problema cerco
di risolvere?
X fa un paragone con gli alcolisti anonimi, solo che, dice, noi non siamo anonimi.
La dottoressa Borsetto dice che finalmente ci stiamo dicendo qual è il focus della questione: non
possiamo lavorare su chi non c’è, ma piuttosto stare con chi c’è.
L aggiunge che ci si deve allenare, sia come genitori che come partner, ma fa tanto male.
La dottoressa Rossetto aggiunge che il gruppo c’è e serve per sapere se si può stare in quel dolore
e che si può parlarne.
X è proteso in avanti, con i gomiti sulle ginocchia e sembra che stia pensando, per una volta
rimane silenzioso.
R dice che questi ragazzi sono come bambini piccoli e la dottoressa Rossetto aggiunge che i
bambini piccoli cadono, si rialzano e poi si guardano indietro per vedere chi c’è. S dice che forse

29
questi ragazzi sono stati tirati su da terra un po’ troppe volte, che forse bisogna lasciare che
cadano e che provino a rialzarsi. La dottoressa Borsetto aggiunge che poi quando si voltano
cercando lo sguardo del genitore, l’approvazione o la preoccupazione fanno la differenza su come
si comporterà poi il bambino, se piangerà o se si sentirà sicuro di riprovare di nuovo.
Il tempo del gruppo finisce su questo tema.

PENSIERI: Si possono avere delle modalità miste (lavoro in gruppo + colloquio personale singolo
tra terapeuta e paziente che ha fatto anche il lavoro in gruppo)
Il fluire della dinamica del gruppo deve un po’ ricostruirsi a causa di nuovi ingressi o di recenti
ingressi nel gruppo, per cui vi sarà un’alternanza tra narrazione e il poter stare in una circolarità di
associazioni, di rimandi e di pensieri  mix di queste cose. Spesso questi gruppi sono così perché
non sono gruppi terapeutici in senso stretto, quindi vi è spesso spazio alla narrazione e quello che
succede, soprattutto inizialmente, alla descrizione dei figli, ecc.
Loro in questo gruppo, anche se è normale, cercano di stare sul cognitivo, ma le due conduttrici do
cui una è la prof, cercano di riportare sull’emotivo. L’emotivo in ogni caso è emerso, e
nell’osservatore di solito precipita tutto l’aspetto emotivo del gruppo: osservatore silente come il
filtro che assorbe tutte le cose emotive: con i suoi rimandi mette in parola e in luce la parte
emotiva del gruppo.
I conduttori devono avere una funzione digestiva nei confronti del gruppo. si può rimandare al
gruppo ciò che si sente, dicendolo in maniera riformulata e quindi non vomitando addosso al
gruppo ciò che si sente come conduttori. La differenza tra conduttori e genitori sta nella funzione: i
conduttori non devono subito reagire, ma svolgere una funzione digestiva e mettere tutto in
parola.
Se un genitore non parla per diverse sedute del gruppo, ad un certo punto ci si può confrontare tra
conduttori e decidere ad un certo punto della seduta di dire ad esempio “chissà che cosa pensa…
che non sta parlando”.

ALTRA SEDUTA DI GRUPPO


Stesso gruppo, stessi partecipanti, cambia solo come si sono seduti. Questa seduta è avvenuta 15
giorni dopo. Anche l’osservatore è sempre lo stesso.

SCHEMA DEL SETTING

All’inizio del gruppo si percepisce un clima decisamente teso. X prende subito parola e dice che
non si capacita di come gli psicologi di Padova non sappiano che esistano gli hikikomori e che
quindi tocca venire fino a Mestre. Si chiede se non sia possibile avere un gruppo anche a Padova ..
Loro vengono al gruppo genitori perché il figlio ha detto di essere “HK” ma si chiede che senso
abbia il venire qui. S. sussurra “io no” dice che non vuole ripetersi dato che ne ha parlato anche
prima, ma che le conduttrici gli rimandano che loro prima non c’erano e che anche loro
vorrebbero sapere che domande si pone e che risposte si dà (qualche minuto prima si erano
incontrate fuori dal gruppo e avevano parlato) Lui dice che l’altra volta non si è concluso niente se
non il fatto di sentirsi parte di un gruppo: il suo problema è suo figlio.
S dice che venire al gruppo la fa sentire diversa anche se non è sempre facile. M dice che non lo
pensa anzi esce rasserenata e ha visto che il rapporto con suo figlio è cambiato in qualche cosa,
parlano di più anche se lui dice le cose in modo crudele, vede altri punti di vista e si è fatta un
esame di coscienza.
Mar..
Prende parola N

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…………….

P e G si alterano nel descrivere la loro situazione: il loro figlio è chiuso in casa da due anni. Si
agganciano al discorso di N e dicono che il figlio ha un’attenzione quasi maniacale per l’aspetto
fisico, convengono sul fatto che quando deve uscire con gli altri vuole sentirsi perfetto ma non gli
basta mai (L dice che anche suo figlio è cosi). Il suo problema è che non riesce a rimaner in classe,
aveva provato a ritornare quest’anno ma non è riuscito, l’ha vissuta come una sconfitta
drammatica.
Per lui o per loro?

Non ha molti amici, la maggior parte venivano dal mondo del Basket ma ognuno poi ha preso la
sua strada, il padre dice che ha provato ad agire con le maniere forti e una volta gli ha tirato un
ceffone, ma non è servito a nulla. Dice che si dà tanta attenzione a questi ragazzi, c’è una difficoltà
a lasciarli diventare adulti, a fargli commettere degli errori.
Nel mentre, la dottoressa Rossetto si strofina più volte le mani, sembra che le prudano.. non è che a
parlare di tutti questi ceffoni e maniere forti forse vorrebbe usarle anche lei con questi genitori?

Interviene la Dott Borsetto dicendo che vuole mettere accento su tre cose sono emerse finora: la
prima è il corpo un corpo che cambia e che si sente il bisogno di manipolare per far fronte alle
difficoltà di crescere e affrontare il cambiamento. Poi si guarda intorno e chiede: che cosa manca?
Uomini, sono pochi. Il secondo punto apre quindi una riflessione sul fatto che non c’è un maschile
che riesca a stare in una relazione di un certo tipo con i figli. La terza riflessione sul fatto che non ‘è
un disegno sulla parete, c’è un aereo che è trattenuto da alcuni fili: la dottoressa dice che questi
ragazzi forse sono come l’avevo trattenuto dai filtri, ci sono paura e difficoltà di lasciarli andare e
quindi sono tenuti.
Mia fantasia e riflessione: il tema del corpo richiama anche il corporeo, inteso come qualcosa che
riguarda il corpo ma anche il corpo come reo, quindi come colpevole di tutti questi cambiamenti che
stanno accadendo con l’adolescenza. Ecco quindi che l’accanimento sotto forma di mancanza di
alimentazione o abbuffate, o di eccessivo sport prende un taglio relativo alla punizione di questo corpo
che si permette di cambiare e di sfuggire al controllo consapevole. È come se diventasse un capro
espiatorio, sul quale e attraverso l quale scaricare l’angoscia del conflitto della crescita, della
trasformazione e del cambiamento. In questo modo non viene percepito come parte di sé ma come
qualcosa di esterno, non proprio, che si può manipolare, maltrattare e punire, scindendolo da sé-
Cala il silenzio. Tutti si guardano e Mar fa il gesto di un pugnale che affonda nella pancia, dice che
ci vuole un attimo per riprendersi. Riprende il discorso N che dice che loro hanno sempre mandato
il figlio in colonia e lui piangeva, non voleva essere lasciato là ma loro hanno sempre mandato il
figlio in colonia e lui piangeva, non voleva essere lasciato là ma loro hanno sempre cercato di farlo
crescere. Lei muore ogni volta che lui va via ma l’ha sempre lasciato andare.
Aver sempre cercato di far crescere vs lasciare che cresca con il suo tempo (e desiderio); forse davvero il
gioco di triangolo tra lei, il marito e il figlio è un incastro perfetto: ogni tanto il figlio va via, viaggia e poi
torna, potrà davvero lasciare la madre da sola con il padre (uomo che con lui è stato violento?). mi faccio
anche la fantasia che in qualche modo “i calci in culo” e le reazioni violente possano essere state un
tentativo violento di risolvere l’Edipo, che però ha avuto l’effetto contrario, perché invece che andare via
definitivamente, questo ragazzo continua a tornare e per di più si prende anche le attenzioni della
madre. Mi chiedo dove sia stasera questo papà, come viva questa situazione, se sia arrabbiato o abbia
sensi di colpa e soprattutto se non ci sia sotto qualcos’altro che impedisce di risolvere questa situazione.

L racconta un episodio avvenuto diversi anni fa, il figlio aveva scritto un compito in seguito ad un
episodio che li vedeva entrambi protagonisti. Una mattina L aveva detto loro “oggi diventiamo
indipendenti”, andate a fare la spesa da soli; lui aveva 7 anni e ha scritto nel tema che la mamma

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era impazzita, perché tutt’un tratto voleva che loro diventassero indipendenti. Si chiede se questo
desiderio di indipendenza non nasconda in realtà la paura che diventino indipendenti davvero,
dice anche che forse loro sono più ansiosi dei loro genitori, quando lei era piccola doveva
occuparsi di tutto e aveva più libertà di crescere, ora invece si è troppo attenti.
Interessante questo aneddoto, riporta la riflessione sulla non-possibilità di decidere quando il figlio
diventerà indipendente e allo stesso tempo sul bisogno dietro al voler controllare il momento in cui
crescerà. Forse il discorso di L. ha un fondamento in due paure: la prima, quella della solitudine e del
nido vuoto quando il figlio va via; la seconda, mi fa pensare alla paura di non essere più indispensabili,
collegata al fatto che se il figlio va nel mondo e se la cava da solo forse io (generico) come genitore (e
come persona?) non servo più? Che senso ha la mia esistenza? Ciò potrebbe avere alla base una
iperidentificazione con il ruolo del genitore senza considerarsi anche donna, amica, sorella (con il
corrispettivo maschile) e quindi il fatto di non vedersi altro che genitore rende il figlio l’unico garante
della mia identità, che non può separarsi altrimenti io mi disintegro.

La dottoressa Rossetto riprende la domanda iniziale, dice che ci vediamo, ci riconosciamo, stiamo
meglio, non è che visto che siamo genitori così attenti veniamo anche a curarci per loro?
M dice che il figlio quando era piccolo non andava neanche a prendersi il gelato da solo in spiaggia,
anche altre mamme annuiscono e dicono sottovoce “anche il mio/la mia”, lei si chiede quando
sarà autonomo, ha paura che non lo sia mai.
Ripenso a: e se ti dimentichi di me se me ne vado? Questa mamma sembra essere molto ambivalente, da
un lato non vede l’ora che il figlio diventi autonomo, dall’altro sembra rimandare il messaggio contrario,
forse anche lei è un po’ adolescente in questo periodo, vorrebbe uscire dalla coppia e magari scoprire
altro, altri uomini. E il figlio che l’ha percepito sta in casa e presidia il territorio, come se ricoprisse non
solo il ruolo di compagno ma anche il ruolo paterno in generale.

La dottoressa Rossetto ripone la domanda “siete qua per voi o per loro?”
Penso sia molto difficile per questi genitori rispondere alla domanda e stare su quanto portato dalle
conduttrici, il discorso della dottoressa Borsetto ha lasciato tutti spiazzati e poi è passato in secondo
piano, la…

X dice che tutti hanno fatto degli errori, non ci sono genitori perfetti: “non siamo qua per parlare di
noi ma parliamo di noi, alla fine il problema è per tutti lo stesso, ovvero il figlio”

Apre il discorso della scuola, dice che a volte i professori non ti trovavano giusto così come sei, suo
figlio ha 23 anni, ha avuto problemi a scuola sin dalle elementari, secondo loro era iperattivo, la
madre passava il pomeriggio a fare i compiti in più che gli davano per la sua irrequietezza, insieme
a lui. È andato alle medie e poi alle superiori, non è un ragazzo stupido, “è questo il problema”: il
ragazzo voleva andare da solo a scuola ma lui lo accompagnava ogni giorno, poi hanno scoperto
che appena svoltava l’angolo non entrava, “era peggio per tutti se entrava” perché era considerato
un leader negativo.
La dottoressa Rossetto chiede cosa significhi essere un leader negativo, ma la sua domanda cade
nel vuoto e rimane senza risposta.
Il padre voleva fargli prendere a tutti i costi un diploma; mentre parla ad un certo punto ha un
lapsus, al posto di “figlio” dice “fratello” e la dottoressa Rossetto glielo rimanda, chiedendogli che
rapporto ci sia stato in passato tra loro due. L’uomo nega il lapsus e dice che fino agli 8 anni del
figlio era come un cane, e lui lo mandava via. Da quel momento fino ai 18 invece hanno avuto un
rapporto conflittuale, aveva scoperto che il mondo senza suo papà era brutto, talvolta violento,
usciva sempre con brutte compagnie. Dopo si è chiuso in casa, “il suo unico riferimento sono io”,
parla solo con lui. Ci sono solo loro nel suo mondo, il resto fa schifo, l’unico ottimista in questa
situazione è lui, il padre. Sono passati da essere un sacco amici a nulla, con un cambio repentino;
una sera il ragazzo ha avuto “determinati problemi”, deve aver capito che ha fatto molto male
anche ai genitori, la moglie dormiva ma lui no. Si apre una parentesi di riflessione rispetto ad un
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possibile pensiero del figlio: se sei stato male, papà, ora ti ripago stando a casa così stai bene. Allo
stesso tempo il ragazzo mantiene il contatto con il mondo esterno, perché si informa di tutto e sa
molte cose; ha una ragazza che viene ogni tanto a trovarlo ma non ha amici. La sua maestra
dell’asilo diceva che era turbolento, negli ultimi mesi del terzo anno tutti i bambini imparavano a
scrivere il proprio nome ma lui si era rifiutato di scrivere il suo; la maestra a quel punto aveva
detto che avrebbe avuto problemi anche dopo. È a questo punto che, su domanda della dottoressa
Borsetto, scopriamo il nome del figlio.
Mi colpisce questa cosa del nome, lo chiamano sempre “il figlio”, cosa è successo all’asilo di così grave
da non voler scrivere il proprio nome?

Questa osservazione dell’osservatrice è molto interessante.

Pensieri in aula:
- Si nota che vi è una descrizione asettica, senza emozione
- Il figlio è il problema
- Qui vi è un padre che parla, ma la madre zitta, ed il padre inoltre non dice neanche “noi”
riferendosi alla coppia coniugale, ma parla di sé
- Si sottolinea ancora che vi sono molti accaduti e vissuti che sono riportati e vissuti nel
gruppo senza emozioni
- Nell’incontro prima sembrava come se si stesse passando la palla, qui si nota invece che ci
sono delle persone che parlano ed intervengono nel gruppo e altri che fanno da contorno
- Si nota anche che si percepisce che L voglia dire un po’ la sua sugli argomenti trattati e
quindi di mettersi in mezzo un po’ sempre, come se si sentisse sminuita nella sua
esperienza perché non è lei che sta parlando
- Si nota una certa insistenza di ripetere alcuni concetti e anche come qualcuno cerchi di
rompere le sue barriere per entrare nella fragilità della situazione  riferito ad un papà
che parla ed interviene nel gruppo, che continua a ripetere ed ad intervenire  emerge
che questo papà è come se fosse un adolescente, ripetendo lo scontro e quasi andandolo
a cercare  anche quando nega il lapsus ma poi fa tutto un racconto in cui conferma
quanto negato precedentemente  mette barriere e forse spera che qualcuno le abbatta
 quando alcuni genitori hanno parlato  forse esigenza di condividere il proprio vissuto,
di non sentirsi soli, di uscire dal ritiro in cui LORO sono  oltre che anche un po’ un
desiderio di attenzione
- Si sottolinea anche che il papà che ha parlato un po’ vuole che si rompano le sue barriere e
dall’altra parte è come se voglia, ripetendo i suoi schemi, cercare una situazione in cui un
altro gli risponde male  sta facendo l’adolescente in questa modalità
- La prof afferma che il gruppo diviene n po’ isomorfo ovvero si comporta allo stesso modo
delle patologie che tratta, in questo modo questo gruppo (ad esempio quando si
sottolineava che non vi è molto l’aspetto emotivo in questo gruppo) questi genitori si
stanno comportando quasi come gli adolescenti di cui ci si dovrebbe occupare, ovvero i figli
 questi genitori sono un po’ ritirati ed in difficoltà ad attraversare l’aspetto emotivo 
sono adolescenti, la dinamica che si mette nel gruppo è adolescenziale, in particolare
questo papà  nel corso della seduta la prof ci rivela che questo papà sarà un elemento
prezioso per questo gruppo, che farà un grande cambiamento passando però attraverso
uno scontro che ha ricercato con la prof Borsetto e, si nota che la prof non gli ha mai dato
modo di continuare  proprio come fanno gli adolescenti.
- Si nota che questo papà ha descritto il figlio come un cane  comportamento brutto e
brutto anche da dire e poi emerge un rapporto “come se fosse un fratello”

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Nel frattempo la mamma vicino a me, A., è inquieta e si muove sulla sedia, non ha mai parlato e
forse sta aspettando il suo turno, non guarda mai gli altri e sta sulle sue. M. dice che lei non alza
mai la voce per paura di sbagliare, anche lei sente di essere stata un po’ hikikomori da giovane, è
uscita con i genitori fino ai 15 anni e capisce suo figlio. Apertamente il figlio le ha detto che la vede
come una bambina, perché non ha saputo scegliere il padre giusto,per due volte.
Dice che non è adulta, si fa aiutare dai nonni e non sa scegliere, non riesce a mantenere la
famiglia; inoltre, secondo lui non p stato il padre che non voleva accudirlo ma lei che si è fatta
lasciare. In realtà lui è sparito, non pagava neanche il mantenimento. Davanti a queste
affermazioni alcuni genitori si indignano e S le risponde che lei ha cercato di fare del suo meglio,
come ha potuto, la sostiene.

Interviene X che chiede se l’”hikikomoro” sia un segnale o un simbolo; tutti scoppiano a ridere e
Mar gli rimanda che sta continuando a cercare soluzioni, cerca di capire come sbloccare il figlio.
Per la sua esperienza lei ha imparato che deve stare in un atteggiamento di apertura totale, per
cogliere ogni segnale che la figlia le manda sa che non può risolvere il problema per sua figlia, ma
fa quello che può dal suo ruolo; dice “devo vederla, non per quello che voglio che sia ma per
quello che è, posso aprirmi per farla arrivare”. Il marito invece la stordisce, inventa ogni giorno
nuove modalità per entrarci in contatto perché ragiona con una modalità causa-effetto, lei gli dice
di smetterla e lui pian piano ci arriva; lei è sempre pronta a cogliere e a vedere. M. dice che anche
lei si sente così, ma non è lo stesso perché non ha pazienza. Mar dice che c’è anche l’adolescenza
di mezzo, non solo l’hikikomori.
Il gruppo si interroga sulla definizione di Hikikomori, finchè la dottoressa Borsetto non specifica
che forse si sta perdendo di vista la relazione, che l’Hikikomori non è un virus che si prende o no e
che si rischia di diventare un po’ specialisti nel definire i ragazzi e di farsi a turno portavoce della
domanda “ma si guarisce?”. La dottoressa Borsetto continua dicendo di provare a mettere da
parte la parola hikikomori e di pensare ai figli. Chiede quale immagine i genitori abbiano di loro.
Può essere infatti che, quando i figli sono bambini, ci siano idee e fantasie più o meno consapevoli,
pensieri, aspettative e desideri che poi, soprattutto in adolescenza, vengono confrontati con la
persona reale e con il fatto che ha delle caratteristiche diverse, e forse sono li che subentrano le
difficoltà, non negli hikikomori.
G commenta dicendo che lei non si aspetta più nulla. Si è adattata man mano che i figli crescevano
e ogni giorno si aspetta una fioritura diversa. Questo la aiuta a vivere nella realtà e non nei sogni.
Mar aggiunge che lei insisteva nel creare una mini-sé, ma che ora la guarda e va bene così com’è.
Ogni giorno fa qualcosa di nuovo e di più rispetto al giorno prima.
La dottoressa Borsetto chiede cosa sia cambiato e P. risponde che è cambiata la considerazione
nei loro confronti, che ha dovuto annullare i suoi desideri e annullarsi, perché tende a proiettare
ed imporre il proprio modo di essere. Ha avuto l’impressione di bloccare le figlie; vorrebbe invece
stimolarlo senza toglierli la voglia di fare da solo.
Interviene la dottoressa Rossetto riprendendo un discorso di qualche giorno precedente. Dice che
le risuona una frase detta da G sul fatto che i fratelli origliano come falchi quando i loro genitori
sono in camera a parlare. Si chiede di quali relazioni stiamo parlando. Relazione tra chi?
Qualcuno commenta dicendo che si parla della relazione con i figli, altri della relazione di coppia,
qualcuno dice che sono tutti incroci perché dentro la famiglia ogni membro ha delle relazioni
diverse con gli altri.
La dottoressa Borsetto specifica che la relazione primaria, senza la quale non ci sarebbero i figli, è
quella di coppia.
Segue un attimo di silenzio.
Sono tutti un po’ spiazzati e si riflette su quanto i figli osservino i genitori.

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Conclude la dottoressa Rossetto dicendo che forse si può cominciare a pensare che il ruolo dei
genitori non è quello di dare una soluzione, che c’è anche una coppia e che pur nella diversità, si
può trovare un equilibrio: bisogna essere solidi, perchè è questo che fa la differenza. I figli si
accorgono di tutto. Poi vanno al cinema con la mamma, mentre il marito dorme.

PENSIERI:
- Devastante l’ultima frase  inversione di ruoli, confusione, fusione identitaria, mancano i
confini, il genitore non è l’adulto veramente, forse è ancora adolescente
- Si sottolinea come l’Edipo sia molto presente, cosi tanto presente: forse si è immersi in
queste situazioni e non ci si accorge neanche guardandosi intorno
- Ad un certo punto si è spostata l’attenzione dagli hikikomori come malattia da curare alla
prospettiva relazionale  cambio di punto di vista e lo allarga anche - il figlio hikikomori
è anche altro
- In un gruppo psicoeducazionale gli esperi arrivano e dicono che gli hikikomori sono in un
certo modo  in questo tipo di gruppo si lavora in un altro tipo di setting e di pensiero,
interessa lavorare sul campo, non interessa definire i genitori degli hikikomori con delle
caratteristiche, si lavora sull’aspetto relazionale.
- Si sottolinea che i conduttori non intervengono sempre e molto  prima ascoltano e poi
intervengono, però lasciano fare molto al gruppo
- Si sottolinea anche che in questo gruppo in realtà non vi erano solo genitori di hikikomori,
ma che questo termine era un termine ombrello dove in realtà venivano inseriti figli
psicotici, o comunque con alte problematiche non prettamente legate alla definizione di
hikikomori
- Da un intervento che viene fatto si chiarisce che, in questo caso con figli hikikomori, ma
anche in generale con gli altri figli, non sarebbe possibile fare gruppo con sia i genitori e sia
i figli perché già ciò che si vive è un problema di amalgama fusionale tra questi e separarli
dal punto di vista terapeutico è un passaggio importante, oltre al fatto che in questo
specifico caso gli hikikomori difficilmente uscirebbero di casa, soprattutto per venire in un
gruppo.

I GRUPPI PSICOANALITICI
PSICOTERAPIE DI GRUPPO
- ANALISI IN GRUPPO Slavson, Wolf e Schwartz
- ANALISI DI GRUPPO  Bion
- ANALISI MEDIANTE IL GRUPPO  Foukles

Le differenze sono la connessione o differenziazione con gruppi psicoanalitici e anche delle


differenze di come si utilizza l gruppo

ANALISI IN GRUPPO è in continuità con psicoanalisi accetta la teoria, e la tecnica e consegue il


gruppo come luogo altro dove praticare la psicoanalisi dei singoli soggetti. Si tratta di una sorta di
trattamento circolare che prendeva in considerazione i singoli individui costituenti il gruppo,
ignorandone le reciproche relazioni interpersonali.

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È psicoanalisi applicata
Non attribuisce, questo filone, un vero valore terapeutico al gruppo in quanto tale ma interpreta
sempre il singolo paziente in termini intrapsichici il gruppo viene considerato con un aggregato di
individui privo di caratteristiche psicodinamiche per cui il gruppo è solo un ambiente in cui
effettuare una terapia rivolta al singolo. La metodologia è quella di trasferire la tecnica
psicanalitica nel gruppo attraverso interpretazioni dirette ai pazienti e l’attenzione è focalizzata sui
transfert verticali (tra i singoli e il terapeuta) piuttosto che su quelle orizzontali (tra i pz). Assetto
gruppale non considerato.
Un esempio è su il seguente passaggio
“M a questo punto dice che una delle cose che le dice il figlio è che lei non sa scegliere, lui e la
sorellina sono figli di due papà diversi, lui non vede suo papà. A questo punto la dottoressa
Borsetto prende la parola: permettendo che farà un affondo, le dice che forse il figlio si sente di
rimanere a casa perché pensa “chissà quanti altri figli con quanti altri uomini fa mia mamma se io
vado via?” segue un attimo di silenzio per tutti. La dottoressa continua dice che il compito di cura
come genitori riguarda anche il domandarsi in che implicazione si è con i propri figli in che
relazione si sta. Inoltre aggiunge che questi ragazzi rimangono a casa per presidiare qualcosa.”
In questo passaggio la dott. Borsetto non ha agito su gruppo ma sul singolo. Questo è una
psicoterapia in gruppo.
Approccio di questo tipo è molto ingenuo. E’ lineare.
In questa metodologia si trasferisce in gruppo i metodi classici della psicoanalisi,

PSICOTERAPIA DI GRUPPO
Fondata da Bion riconosce una specifica dimensione psichica al gruppo che viene trattato come se
fosse individui, come organismo che ha specifiche caratteristiche, specifiche capacità di agire sui
soggetti. Il focus non è più sui singoli ma le dinamiche interattive sono focalizzate su analisi del
gruppo in quanto tale che assume valenza in sé. A partire dalle teorie di LEWIN.

Lewin, definisce il gruppo come una totalità che agisce sugli individui e sui loro conflitti inconsci.
Ovvero come qualcosa di più della somma dei suoi membri: ha una struttura propria, fini peculiari
e relazionali particolari con altri gruppi. Quel che ne costituisce l’essenza non è la somiglianza o la
dissomiglianza riscontrabile tra i suoi membri bensì la loro interdipendenza. Esso può definirsi
come totalità dinamica. Ciò significa che un cambiamento di stato, di una sua parte o frazione
qualsiasi, interessa lo stato di tutte le altre. Il grado di interdipendenza dipende, tra gli altri fattori,
dall’ampiezza, dall’organizzazione e dalla coesione di gruppo”.

Secondo L. il gruppo è un campo costituito da forze interagenti che si influenzano a vicenda e


comportano cambiamenti intrecciati. Se parte del gruppo cambia, cambierà il gruppo. Interpretare
il gruppo come campo ci fa capire che movimenti che gruppo fa, influenza in modo importante
tutti i partecipanti del campo. Il gruppo è più della somma dei partecipanti, che ha struttura
propria e che ha relazioni particolari all’interno del gruppo.

BION fa teorizzazione complessa del funzionamento dinamico dei gruppi.


Il presupposto di partenza è che nessun individuo può evitare di essere parte di un gruppo
(=gruppoanalisi, parlava di mente gruppale)
Il modello analitico Bioninao si caratterizza per attenzione che pone al gruppo in quanto entità
sovraordinata rispetto agli individui che la compongono rispetto alle dinamiche individuali e
relazionali e ai relativi movimenti di transfert-controtrafsert.

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Il gruppo è un insieme unitario dotato di attività mentale propria e funziona come un apparato che
consente la condivisione di aspetti individuali; gli elementi caotici, le parti non integrate della
mente dell’individuo, vengono convogliati in un contenitore comune, il gruppo, che diviene un
campo trans-personale.
Il gruppo condivide elementi primitive, grezzi, elementi beta che vengono convogliati nel
contenitore gruppale, gruppo è contenitore TRANSPERSONALE.

Pur non negando che il gruppo sia visibile anche come una rete di interazione, Bion ritiene che il
gruppo si costituisca per un afflusso di aspetti che dall’individuo fluiscono in un contenitore
gruppale, perdendo quindi la loro matrice individuale L’esperienza gruppale trascende il piano delle
relazioni e si costituisce non come una rete, ma come un oggetto integrato e funzionante La
rappresentazione del gruppo come rete descrive un piano più evoluto della vita del gruppo, mentre
Bion sembra più interessato a cogliere il piano più primitivo della confluenza dell’individuo in un
apparato sovra-individuale.

L’individuo in gruppo per mezzo di una forte regressione, utilizza dei meccanismi mentali primitivi
attraverso i quali perde la propria individualità e accetta di far parte del gruppo che diventa
qualcosa di diverso dalla somma degli individui al suo interno. L’obiettivo di Bion è quindi la cura
del gruppo. Ciò non vuol dire che la psicoanalisi di gruppo non curi gli individui: è diverso il vertice
di osservazione.
Questo vuol dire che è necessario per cogliere l’aspetto più significativo dell’esperienza gruppale,
vedere non tanto quello che avviene nell’individuo, ma in che modo ogni individuo porta un
contributo alla modifica, alla trasformazione, all’evoluzione della scena gruppale condivisa.
In questo modo è possibile indagare come le parti non integrate della mente di ciascuno
contribuiscono all’esperienza gruppale. In questo modo il singolo può riappropriarsi degli aspetti
non integrati della propria mente che prima gli erano imperscrutabili.

La grande innovazione apportata da Bion in questo campo consiste nell’aver intuito che
l’esperienza gruppale è qualcosa che mette in luce una parte molto specifica della mente,
sempre attiva nell’individuo ma riconoscibile soltanto nel gruppo, che possiamo definire come
parte gruppale della mente, e che ha a che vedere con aspetti molto primitivi e specifici del
funzionamento mentale.

Quando le persone si riuniscono èer svolger un compito possono essere individuari due tipi di
tendenza:
1. una diretta alla realizzazione del compito  GRUPPO DI LAVORO
2. l’altra che sembra opporsi ad essa. L’attività di lavoro è ostacolata da un’attività più
regressiva e primaria.  ASSUNTO DI BASE

GRUPPO DI LAVORO: è la prima tendenza di quando gruppo lavora per realizzare il compito.
Questo funzionamento del gruppo ha obiettivo di “fare qualcosa” e questo va a costruire l’aspetto
del funzionamento mentale del gruppo che riguarda obiettivo cosciente. Dal momento che questa
attività è collegata ad un compito è fondata sulla realtà e le sue caratteristiche sono simili a quelle
di FREUD attribuibili all’IO

Nel raggiungere obiettivi del gruppo di lavoro, gli individui talvolta vengono ostacolati e talvolta
favoriti da tendenze emotive molto potenti, gli ADB che insorgono in forma involontaria e
automatica in un gruppo di lavoro e cambiano la direzione del gruppo. Possono essere definiti

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come meccanismi di difesa del gruppo, poiché hanno lo scopo di proteggere il gruppo dalle ansie
primitive che il partecipare al gruppo attiva.
(in terapia, coloro che sono volenterosi nel cambiare, anche il gruppo attiverà difese per evitare il
cambiamento perché è difficile cambiare)  tali difese sono ASSUNTI DI BASE che sono situazioni
emozionali che insorgono in un dato momento in forma involontaria, automatica ed inevitabile
all’interno di un gruppo cambiandone la direzione e determinandone il funzionamento.
Caratterizzati da emozioni intense e primitive tendenti ad evitare la frustrazione
dell’apprendimento attraverso l’esperienza e l’esame di realtà.
essi esprimono le FANTASIE DEL GRUPPO di tipo onnipotente e magico sulla modalità di
raggiungere i suoi scopi o soddisfare i suoi desideri ed hanno l’effetto di non far pensare il gruppo.
Si possono riconoscere dalla qualità dei sentimenti dei presenti e sono come il cemento, il collante,
che lega il gruppo. (se un qualcuno all’interno del gruppo non è sintonizzato con assunto di base
del gruppo, e prova qualcosa di diverso, chi è dissonante può diventare capro espiatorio; il
terapeuta deve fare questo). All’interno della stessa seduta possono esserci diversi assunti di base,
ne esistono tre; ma non possono mai essere presenti assunti di base contemporaneamente.
(= ASSUNTI DI BASE sono anche considerabili come gli elementi grezzi del gruppo)

In un gruppo quindi vi sono due aspetti coesistenti:


1- Quello del gruppo di lavoro che porta il gruppo verso la razionalità e l’efficienza (funzioni
dell’Io)
2- Quello fondato sugli assunti di base che implica una notevole regressione da parte dei
membri che ricercano gratificazione emotiva e sollievo dalle tensioni (Funzione dell’es)

Il comportamento del gruppo in ogni momento è l’espressione dell’equilibrio raggiunto tra questi
due aspetti

Gli assunti di base sono 3: essi sono inevitabili e vanno accolti. Cosi come difese che mette in atto il
singolo in terapia, gli accogliamo e dobbiamo però come terapeuti saperli riconoscere e aiutare a
transitare da assunti di base e portarli verso gruppo di lavoro.
- ADB DI DIPENDENZA
- ADB DI ACCOPPIAMENTO
- ADB DI ATTACCO-FUGA

1. ASSUNTO DI BASE DI DIPENDENZA: il gruppo è rette dalla segreta e inconsapevole


convinzione di essere riunito affinché qualcuno da cui il gruppo dipende in modo assoluto
provveda a soddisfare tutte le sue necessità e i suoi desideri. Il gruppo si riunisce allo scopo
di essere sorretto da un capo, da quale dipendere per ricevere nutrimento e protezione. Il
vissuto è la colpa o la depressione. (il gruppo è convinto che tutto dipenda dal leader, sono
in totale dipendenza dal leader che viene venerato: paura di non essere all’altezza del
leader e aspetto depressivo ovvero non riuscirò mai a raggiungere il leader, idealizzazione
del leader. La posizione del leader qui è scomoda, è stimolata in lui aspetto narcisistico
(rischio di aspetto seduttivo)

2. ADB DI ACCOPPIAMENTO: la credenza collettiva e inconscia che qualunque siano i


problemi e le necessità attuali del gruppo essi saranno risolti da un particolare
avvenimento futuro; la nascita di un figlio ancora non concepito che sarà salvatore del
gruppo. (AVVENIMENTO FUTURO CHE RISOLVE PROBLEMI ATTUALI). La leadership è
connessa ad una coppia che si spesa farà nascere un nuovo leader. È sorretto dalla

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speranza che una persona, un’idea o altro salverà il gruppo. Il vissuto è l’attesa messianica.
(come se vivessero il gruppo come esp religiosa). (è un gruppo che si lava le mani del suo
problema ma spera in qualche cosa che accadrà e che risolverà la soluzione che no è
terapeuta)
Non si modifica il campo perché restano in attesa.
(= es: in un gruppo di lavoro; in azienda, c’è un problema e si pensa “tanto ci pensa l’azienda”; in
realtà sono i lavoratori stessi l’azienda)

1. ADB DI ATTACCO-FUGA
Il gruppo si riunisce in base alla fantasia che esista un nemico che è necessario attaccare o da cui è
necessario fuggire. È necessario credere che qualcosa fuori o all’interno del gruppo minacci
l’incolumità di ciascun membro o di tutto il gruppo. Il vissuto è l’odio (=pensa come esempio ai no
vax; nella pandemia essi ci hanno permesso di convogliare verso di loro parte aggressiva a causa
della pandemia, hanno avuto funzione importante a livello psico-sociale di inconscio sociale, si
sono fatti carico di aspetti grezzi e noi abbiamo scaricato in loro rabbia dovuta da covid, son buon
capro espiatorio). Il leader è un leader con caratteristiche paranoidi.

RIASSUMENDO: ASSUNTI DI BASE


- Sono fantasie onnipotenti circa il modo magico in cui si risolveranno i problemi.
- Sono stati emotivi tendenti ad evitare la frustrazione inerente all’apprendimento attraverso
l’esperienza, che implica sforzo, dolore e contratto con la realtà.
- Sono reazioni difensive inconsce di gruppo di fronte alla ansie psicotiche che si attivano nel
momento in cui si partecipa ad un gruppo, cosa che attiva aspetti regressivi.

Il comportamento del gruppo in ogni momento è l’espressione dell’equilibrio raggiunto tra questi
due aspetti : GRUPPO DI LAVORO E gruppo in ASSUNTI DI BASE.
L’oscillazione e il conflitto tra questi due stati è il motore della trasformazione: è solo quando
aspetto evolutivo entra in contatto e in conflitto con aspetto primitivo che vi è il reale sviluppo del
gruppo e della personalità del singolo. Il gruppo attraverso la sua attività di pensiero opera una
trasformazione del non detto, del non ancora pensato ma esperito ad altri livelli.

PROTOMENTALE: parte più primitiva della mente, è matrice da cui possono emergere e trarre
forza gli assunti di base e ha a che fare con i livelli più primitivi della mente in cui fisico e psichico
non sono differenziati.
I «fenomeni» allo stato protomentale sono insieme fisici e mentali, somatici e psichici: consistono
in processi psicosomatici rudimentali, primitivi, che hanno a che fare con qualcosa che non è
ancora pienamente mentale. Un’attività successiva, a partire dalla rêverie materna, li promuove ad
un livello di differenziazione e permette la nascita del pensiero.
Bion ipotizza che la vita gruppale possa attivare delle situazioni in cui l’esperienza acquista dei
caratteri di primitività, di non strutturazione e che corpo e mente funzionano a questi livelli come
qualche cosa di indifferenziato. Il gruppo stimolerebbe con particolare intensità questo piano, in
quanto l’individuo immerso nel gruppo, non avendo un’esperienza di contatto con parti così
primordiali della sua mente, tenderebbe ad attivare, per l’espressione di queste parti
indifferentemente, aspetti corporei o aspetti mentali.

IL GRUPPO DI TERAPIA

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Il gruppo di terapia viene ad essere rappresentato strutturalmente “non come somma di individui,
ma bensì come un insieme unitario, che funziona mediante attività mentali transindividuali. Il
gruppo di terapia Analogamente alla funzione alfa che si attiva tra madre e neonato, nel gruppo si
attiva la funzione gamma, quale capacità di metabolizzare gli elementi sensoriali ed emotivi
primitivi dispersi nel campo analitico (elementi protomentali) in elementi gamma, necessari per la
formazione del pensiero di gruppo. Anche gruppo fa funzione di REVERIE (detta funzione gamma)
ovvero aiuta a digerire elementi grezzi del gruppo così come fa la mamma con il bambino.

Tendere verso il pensiero, la ricostruzione di senso, la verbalizzazione condivisa di ciò che


apparentemente è solo un’atmosfera impercettibile, ma che in realtà condiziona profondamente
l’agire dei membri del gruppo, è il fondamento del lavoro del gruppo terapeutico.
Terapeuta è parte del campo e osservatore del campo. È una continua oscillazione.
Terapeuta aiuta a transitare attraverso protomentale, senza essere travolto; ma l’obiettivo del tr,
non è solo interpretare quello che avviene nel gruppo ma anche fare in modo che non si perda
circolarità di lavoro del gruppo. Tr. Si deve concentrare su esperienza che in quel momento il
gruppo sta vivendo. I gruppi esperienziali sono molto utili nella formazione della psicoterapia.
Compito del terapeuta è evitare stagnazione del gruppo, aiutare il gruppo a oscillare tra gruppo di
lavoro e assunto di base, questa è la circolarità. Se si fissa solo su assunti di base

Nel modello bioniano, la funzione analitica è collocata nel gruppo stesso e non nel conduttore. Il
suo ruolo non è solo quello di interpretare ma di creare, mantenere e promuovere la comunicazione
nel gruppo. Per il conduttore è necessario sospendere l’interpretazione individuale, l’attenzione ai
singoli transfert e concentrare invece l’attenzione maggiormente sugli aspetti condivisi
dell’esperienza e sulle caratteristiche che assume lo scenario.
(VEDI Più AVANTI CONTINUAZIONE DI TEORIA, CON IL TERZO MODELLO)

REPORT:
REPORT POSSIBILE ESAME – CIALDA ILLY
Questo è uno scorcio di una seduta di un gruppo esperienziale che conduco da due anni. Il gruppo
è composto da studenti in formazione in psicoterapia, per cui tutti partono da un livello comune,
omogeneo, l'essere allievi in formazione. Questo status non ha solo una funzione di ruolo ma
porta con sé tanti vissuti, molto intensi, e per contrasto anche degli elementi esterni, ad esempio il
fatto di non essere solo terapeuti in formazione, che li differenzia e con i quali il gruppo dovrebbe
confrontarsi. Fin dalle prime fasi del gruppo sono evidenti due elementi contrapposti: da una parte
una sensazione di passività, di attesa che la conduttrice proponga gli argomenti e li sviluppi,
dall'altra una sorta di posizione di sfida verso la posizione di potere che mi viene attribuita in
quanto conduttrice e unica detentrice del sapere. Il gruppo oscilla molto tra l'assetto di lavoro e
l'essere in assunto di base, con movimenti emotivi estremamente intensi e dolorosi che richiedono
molti passaggi elaborativi.
È un gruppo esperienziale, non terapeutico e ha il focus su il divenire psicoterapeuti. Si tratta
quindi di un gruppo che lavora insieme per 4 anni con questo focus. Il gruppo parte insieme e
finisce insieme, non ci sono persone che escono o si aggiungono eil campo di lavoro è la
trasformazione identitaria. Ovviamente, all’interno del campo succedono tante cose e il gruppo
oscilla moltissimo negli assetti di: stare sul compito (gruppo di lavoro) ed essere pervasi da tutta
una serie di emotività che ora vediamo.
Lo stralcio di seduta che propongo è situata ad un anno di inizio del gruppo.

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Seduta del 16.01.21
Il gruppo inizia in modo un pò movimentato. C'è brusio e confusione.
A: «ho sognato che lanciavo una cialda di caffè Illy, era una bomba ma non moriva nessuno»
D: possiamo lanciare delle bombe senza farci male?
M: le cialde Illy mi fanno pensare a delle bombe di piacere! Forse sì.
Segue un lungo silenzio.
Tr: sembra che ci sia la necessità di svegliarci.
Ma: in una serie tv che ho visto recentemente veniva lanciata una bomba contaminate che
infettava i
più deboli.
C: il pericolo in questo caso è di non conoscere le proprie difese immunitarie
CI: ma la bomba va sganciata altrimenti ti esplode in mano. Oppure va disinnescata.
G: la bomba è forse una proiezione? Il bisogno di buttare sul gruppo qualcosa che circola anche qui
ma che non ci diciamo.
Eli: per sopravvivere alla contaminazione, dobbiamo sviluppare gli anticorpi.
A: forse ci stiamo dicendo che la nostra relazione sta evolvendo.
E: io non sono d'accordo. Io sento che non ci conosciamo. Mi chiedo se la parte dormiente in
realtà sia morta. Forse qualcosa è morto e dobbiamo fare il lutto.
C: dobbiamo per forza conoscerci?
E: non conoscerci ha provocato rabbia.
A: ma cosa intendiamo per conoscerci? Forse abbiamo bisogno di una definizione di NOI? Di
creare dei confini?
M: io sento che ho ancora bisogno di tempo.
Ar: i nostri tempi si dovranno sincronizzare con quello del gruppo. Io non conosco il tempo del
gruppo.
B: forse più che conoscerci dobbiamo viverci.
C1: abbiano bisogno di una definizione per sentirci un gruppo?
C: ognuno di noi è libero di non investire e di rimanere sulla soglia per tutto il tempo.
A: a me sembra che appena circola un po’ di aggressività sembra che tutto si rompa.
D: noi dovremmo essere un gruppo di lavoro. Fin dove possiamo arrivare? Mi trovo in conflitto tra
il voler appartenere e il distaccarmi per stare sul compito.
G: un gruppo di lavoro non può avere un 'emotività!!!
M: per costruire il gruppo di lavoro forse dobbiamo prima costruire fiducia e stima di traverso lo
scambio di esperienze
GI: forse l'obiettivo è arrivare a capire che l'identità del gruppo non è minacciata dalle diversità
individuali, Forse dobbiamo confrontarci su un altro piano.
G: eppure qui ci raccontiamo molti sogni, se non ci fosse intimità penso che questo non sarebbe
possibile.
C: penso che implicarci significhi «perderci». Perdere la nostra individualità. Forse non ci
conosciamo come individui, ma ci stiamo conoscendo come gruppo.
Ar: io spesso qui mi sento un'aliena. Una goccia nel mare che si perde. Questo gruppo ha una forte
cassa di risonanza per me. Forse bisogna «viverlo». Spesso mi sento travolta. Capisco che non
possiamo parlare davvero delle bombe.
A: mi sento dispiaciuta per questo sentimento di esclusione, io di certo sono una di quelle che
nega il lato brutto delle cose. Faccio fatica con i contenuti negativi delle cose.
G: adesso mi sento molto angosciata.

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Tr: forse il gruppo si sta chiedendo come stiamo nel gruppo e qual è la nostra responsabilità
rispetto a questa posizione.
Ar: mi fa venire in mente un sogno: «ero su una sedia a rotelle ma io potevo camminare. Fingevo.
Rubavo il posto ad un vero invalido in un parcheggio, mi scoprivano e fuggivo.»
Penso che a volte mi creo un alibi in gruppo, mi sento esclusa o mi autoescludo? Tiro fuori la sedia
a rotelle: non è colpa mia, sono invalida... ma non è vero.
Eli: per ogni cosa mi sento esclusa. È veramente cosi o sono io che voglio escludermi e trovarmi un
albi?
A: la sedia a rotelle... forse non vogliamo fare fatica. Ma è grazie alla fatica che cambiamo.
M: mi viene in mente un'immagine: come si cuoce la rana? La fregano.
CR: la rana muore per incapacità di scegliere quando uscire dalla pentola: è questione di
responsabilità. Io trovo un sacco di alibi e mi de-responsabilizzo.
G: responsabilità-autosabotaggio. Ho fatto questo negli ultimi anni, me ne rendo conto solo ora.
Tr: mi viene in mente una canzone di MJ: Man in the Mirror. «I'm gonna make a change For once
in my life…”
Crl: io mi guardo allo specchio e non so più chi sono. Mi chiedo: come ti senti? Sento molta
confusione. Non so chi sono e se quello che sento sia un alibi. E se la sedia a rotelle fosse vera? E
se dovessimo fare i conti con i nostri deficit?
C’erano state tutta una serie di lamentele ecc come se lo si aspettassero che la prof avesse il
potere magico di far finire la pandemia, di farli tornare in presenza 

Divenire psicoterapeuti è focus di questo gruppo seguito dalla docente, campo di lavoro è
trasformazione individuale, divenire terapeuti. Non è gruppo esperienziale ma gruppo terapeutico.
Stralcio di seduta, situata a anno da inizio del gruppo. Gruppo di 20 persone, condotto da docente;
il gruppo non si modifica nel corso del tempo sono sempre le stesse persone.
La seduta è di inizio gennaio 2021 (periodo pandemico).

Sembrano parlare di cose assurde, sconnesse ma che in realtà sono libere associazioni.
E’ come se terapeuta non esistesse; il gruppo lavorava da solo.
Tutta la conversazione è partita da cialda illy, poi si passa ad anticorpi e contaminazione, si vede.
Non sembra esserci possibilità di mentalizzare altro. Sono in ASSUNTO DI BASE.
Focus: identità terapeutica, interpersonale, diventare terapeuti. Ovvero protomentale.

MEDIANTE/ATTRAVERSO IL GRUPPO: LA GRUPPOANALISI  FOUKLES


Si basa sulla concezione della mente come fenomeno intrinsecamente e originariamente gruppale,
la mente è una mente relazionale, si basa sulle relazioni.
In questo modello il gruppo viene considerato come un modello di rete in cui tutte le persone
immerse nel campo sono collegate tramite un legame tra loro e con la rete nel suo complesso.
Soggiacente alla rete vi è la MATRICE del gruppo, da cui la rete promana.
La metodologia si basa sul considerare la struttura della psiche fondata sulle relazioni e
sull’appartenenza del soggetto ai gruppo della sua storia per cui l’equilibrio intrapsichico

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individuale è legato all’equilibrio intrapsichico individuale è legato all’equilibrio delle relazioni
interpersonali.

Il lavoro non si concentra sugli individui ma sul campo collettivo e sulla matrice gruppale condivisa
in una dialettica costante tra la “gruppalità esterna” che si va via via sviluppando e la gruppalità
interna, fino a produrre una costruttiva comunicazione circolare e un pensiero collettivo di tipo
collaborativo/operativo.
Uno dei suoi obiettivi è quello di favorire la consapevolezza che il disagio psichico è il risultato
dell’interazione di più aspetti che vanno dal singolare al plurale e viceversa.
Mentre la psicoanalisi lavora sulla relazione duale basata su transfert e controtransfert. La
gruppoanalisi osserva e opera relazioni MULTIPERSONALI basate su transfert multipli e fattori che
emergono “qui ed ora” nel setting di gruppo: cioè rispecchiamento, risonanza, esperienza emotiva
correttiva, socializzazione. La metodologia si incentra sulle libere associazioni, la comunicazione
dei sogni, l’esplorazione nel qui ed ora, interpretazione e elaborazione, analisi transfert ,
controtransfert e dell’identificazione proiettiva (=PSICOANALISI)
Il paradigma è quello della COMPLESSITA’  non c’è indirizzo al singolo ma indirizzo è il campo
ovvero matrice comune che deriva da matrice del singolo

CONCETTI SU CUI SI FONDA GRUPPOANALISI:


- LA RELAZIONE  è la dimensione più rilevante di un gruppo. Ci si ammala nelle relazioni e
ci si cura attraverso le relazioni. È proprio grazie alle relazioni che si dipanano nel setting
del gruppo che emergono fenomeni consci e inconsci che rendono viva e possibile la terapia.
- LA CIRCOLARITA’  implica che qualunque fenomeno si verifica in un gruppo coinvolge
tutti i partecipanti, conduttore compreso
- LA TRASFORMAZIONE  implica il passaggio da semplici narrazioni a esperienze
dotate di senso. Attraverso una nuova significazione il paziente può trasformarsi e imparare
a ri-guardare con occhi diversi il mondo che lo ri-guarda.
- LA MOLTEPLICITA’  ha a che fare con la complessità che si genera nell’incontro di
diversi soggetti, ognuno con la propria peculiarità e storia, che deve essere guardata e
analizzata.

La meta della psicoterapia non è solo la liberazione dai sintomi ma di ciò che impedisce nel mondo
interno del pz. Di cambiare. È necessario procedere dal sintomo al conflitto sottostante. Il gruppo
può essere vissuto come fonte di angoscia perché diviene il luogo dell’attraversamento e della
messa in discussione della matrice familiare satura.
(il sintomo non si tocca mai nemmeno in terapia individuale, i sintomi ci dicono che qualcosa che
non funziona e quell’espressione è di un conflitto sottostante, finché esso non viene risolto e allora
si sistemerà il sintomo) ma il sintomo fino ad allora servono come stampella.

Nel gruppo è possibile riattraversare tutte le tappe fondamentali della maturazione persone e
riaffrontare in modo costruttivo le problematiche rimaste irrisolte fino al poter provare modalità
nuove e più evolute rispetto al proprio consuetudinario modo di essere e quindi di proiettarsi nel
futuro attraverso l’assunzione di ruoli, utili a presentificare posizioni emotive mai assunte
precedentemente il tutto ovviamente attraversando momenti di crisi, resistenze e desideri di fuga.
Il dispositivo gruppoanalitico riattiva nella situazione gruppale tutti i modi di funzionamento
psichico in una costellazione interpersonale e transpersonale interdipendente che fa del gruppo

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una nuova rete con originali e specifiche potenzialità terapeutiche. I fenomeni transpersonali
intesi sia in senso diacronico, influenzano il vissuto temporale sia individuale che gruppale.

I FENOMENI TRANSPERSONALI
In senso sincronico sono collegati a modalità di funzionamento arcaico dell’io, pre-verbali, i cui
presupposti sono la non separazione fra sé e gli oggetti e che compaiono nell’hic et nunc della
situazione gruppale sia come difesa dell’angoscia di frammentazione e di separazione, sia come
potenzialità evolutiva per il soggetto e per il gruppo.
Si identificano negli EFFETTI DELLA MENTALITA’ PRIMITIVA E ADB.
I fenomeni transpersonali (matrici più arcaiche che si esprime nell’inconscio sociale), si presentano
nel gruppo non come oggetti narrati ma come vissuti. Aspetti emotivi arcaici che hanno a che fare
con assunti di base.
In senso diacronico si presentano come un conflitto nel qui ed ora le modalità relazionali apprese
nella matrice familiare e quelle messe in campo nella scena gruppale: tali modalità vengono
rispecchiate nel gruppo e quindi riconosciute, comprese, elaborate o integrate.

Gli scopi quindi da perseguire all’interno di un gruppo sono:


- la trasformazione del Sé;
- la riattivazione del processo di separazione/identificazione;
- il riuscire a comprendere e distanziarsi dalle proprie gruppalità interne;
- il riuscire ad aprire un dialogo con le matrici familiari sature

Quindi il riattraversamento delle proprie matrici, il riconoscimento della propria gruppalità interna,
la simbolizzazione e la soggettivazione nel gioco transferale, rappresentano la specificità di questo
approccio.

ALTRO REPORT:

Seduta di 8 persone. Specializzandi in Psicoterapia.


Giorgio a causa del suo assetto narcisistico si pone nel gruppo in modo provocatorio e vessatorio,
spesso aggressivo e svalutante nei confronti del gruppo. Soprattutto nei confronti di Elena che è pz
rimessa, sempre ai margini del gruppo. Le sedute di questo gruppo sembrano essere un campo di
battaglia. I vissuti sono difficili da digerire e vivere nel gruppo.
Elena non reagisce mai perché si va invadere da modalità prevaricatrice di Giorgio. Elena si è
sempre identificata nel ruolo di vittima, anche dai suoi partner e in cui veniva maltratta in diversi
momenti (considerati sadici aguzzini). Nella vita lavorativa, Giorgio ha dei problemi, e in una
seduta Elena inverte i ruoli e inaspettatamente lo guarda con disprezzo, rivolge parole offensive
(inetto, non vali nulla), tutto il gruppo rimane sorpreso anche prof che è conduttore.
Elena si tramuta in qualcosa che non le sembra appartenere. Alcuni dicono di non riconoscerla. La
prof dice “Mi sembra che si stia mettendo in atto qualcosa del passato”, Elena a questo si fa in
silenzio e poi si mette a piangere e riconosce che quell’aggressività che ha messo in atto è quella
del papà che agiva quando lei era piccola. Che aveva visto in Giorgio quello che erano stati i suoi
partner per lei.

Cosa pensiamo su quanto letto?


Matrice di Elena ricalca la famiglia in testa.

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Il copione qui è il fatto che sta ripetendo quello che ha vissuto. C’è stato bisogno del momento di
debolezza di Giorgio perché lei potesse cambiare ruolo. E lei ne ha approfittato.

Ci sono due matrici attive in questo senso! Quella di elena e quella di Giorgio. È passata in primo
piano quella di elena sicuramente. Elena ha fatto cambiamento più evidente. In quel momento lei
era qualcun altro, stava incarnando un’altra persona che però non è estranea lei, ma è dentro di
lei.
Messa in scena della matrice di Giorgio che ha visto Elena come aguzzino della sua infanzia, la sua
infanzia si è caratterizzata da relazioni svalutanti che lui sta riportando e riproponendo.

Come si è sentito Giorgio nel momento in cui si è visto attaccare da Elena.


Silenzio ha ruolo importante. Perché c’è silenzio? Come è questo silenzio? Imbarazzo?
Inversione dei ruoli: lui si è comportato come coloro che lo aggredivano da piccoli. Elena ha
incarnato la figura del suo padre, che ha vissuto in prima persona (figura di riferimento) – Giorgio
haa vissuto la sua figura bambino ed Elena la sua figura genitore.
Giorgio ha portato contenuti dolorosi

nel gruppo poi la scena procede cosi: gruppo è concentrato su Elena e gruppo sta tagliando fuori
dal gruppo Giorgio. è stato il gruppo stesso a rivolgere lo sguardo verso Giorgio chiedendo come è
stato.
Qui emerge il TRANSPERSONALE. Si attiva matrice satura all’interno di un gruppo.
Altro aspetto importante: da questo conflitto si è sconfitto

Le modalità di Elena (matrice passiva) è di copiare la situazione familiare violenza-passività dove il


violento era il padre e la vittima lei. Questo riattivandosi nel gruppo ha portato prima al sentito
(emotivo), poi compresa e poi elaborata con e attraverso il gruppo. Si è lavorato sul significato del
passato ma che quando viene elaborato non è più necessariamente visto come gabbia che ti
inchioda a riproporre dinamiche ma sbloccando la matrice emerge come vivere presente e futuro,
attraverso una sana individuazione della rete dinamica.
Questo è possibile se prima vi è un processo in cui elena è stata vittima di Giorgio. Questo ha
potuto far sentire a elena e giorgio la propria matrice satura.

SCOPI DA PERSEGUIRE ALL’INTERNO DI UN GRUPPO:


- Perseguire il Sé
- Riattivazione processo separazione/identificazione (muoversi dalla matrice satura, staccarsi
da identificazione massiva che è primaria)
- Distanziarsi da proprie gruppalità interne che sono disfunzionali
- Riuscire ad aprire dialogo interno con matrice familiari sature

METTERE I PROPRI PENSIERI CON ANALISI DELLO STRALCIO CLINICO E TEORIA.

CHE DIFFERENZA C’è TRA FOUKLES E BION?


- BION gli individui nel gruppo spariscono, manca individualità – in Bion c’è stato
protomentale che si attiva
- Foukles; individui si sommano e formano gruppo – Foukles è più centrato su dinamiche
avvenute nel passato e vje vengono riproposte nella realtà.

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(sirius doppia intervista in cui è ben spiegata differenza Bion e Foukles (Correale e Neri)

ELEMENTI DI TECNICA
Oggi parliamo di come strutturare un gruppo.

Il gruppo gruppoanalitico è concepito come co-transferale al quale appartengono i pz e il


conduttore. Il gruppo diviene il luogo del transfert relazionale all’interno del quale vengono
condivise storie familiari, sogni, esperienze dei pz in una continua attivazione di rispecchiamenti
tra le relazioni interne ed esterne. Il tempo da questo punto di vista invece sia il qui ed ora della
seduta che il lì ed allora connesso alla storia del soggetto.

(questo era riassunto di ciò che abbiamo detto fino ad ora)

Un gruppo può essere_


- CHIUSO: I pz iniziano e finiscono assieme. Il termine del gruppo è predeterminato  sono
gruppi omogenei (=specializzandi in psicoterapia)
- SEMI APERTO O SLOW OPENED: Il gruppo non ha un termine e si alternano ingressi e
conclusioni all’interno del processo gruppale (sempre stessa numerosità ma con persone
diverse che escono ed entrano). Questo è gruppoanalitico classico.
Il tempo non si decide a priori. (Hikikomori)
- APERTO rapida rotazione dei pz (gruppo di reparto o in ct  dipende da ricovero, durata di
esso per esempio).

(+ MISTA, I singoli pz vengono seguiti individualmente oltre al gruppo, terapia fatta dal conduttore
non da un esterno) è poco frequente, crea grande complessità di campo. Rende difficile
all’interno del gruppo il rapporto, perché alcuni pz hanno un certo privilegio.
ersona esce dal gruppo (?)

DIMENSIONE
- PICCOLO GRUPPO da 4 a 10/12 pz- (è il modello classico)
- GRUPPO MEDIANO da 10/12 a 20/25 persone (utilizzato nella formazione, per esempio
specializzandi)
- GRANDE GRUPPO O LARGE GROUP, più di 30 pz. (Usato non tanto ai fini terapeutici ma in
altre circostanze; qui rientra social dreaming, è esperienza che attiva MATRICE SOCIALE
delle persone)

Un gruppo analitico classico è UN piccolo gruppo (4-12pz), slow opened, eterogeno per tipologia
di pz e sintomi. L’unica omogeneità è data da età (non posso mettere adolescente in un gruppo di
adulti).

GRUPPI OMOGENEI:
con il termine omogeneo si fa riferimento alla presenza di una caratteristica che accomuna tutti i
membri del gruppo (il gruppo di sostegno ai genitori di Hk, un gruppo per pz con DCA).
Sono gruppo con un tempo determinato e chiuso. Il tempo è indispensabile per controbilanciare
il rischio dell’eccessiva fusionalità data dall’identificazione dei membri tra loro per l’aspetto
sintomatologia comune. La fine definita, con la consapevolezza della separazione, facilita il
movimento verso l’individuazione.

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La caratteristica del processo gruppale è quella della immediata creazione di un clima di
condivisione e coesione che consente un forte senso di appartenenza e di disponibilità all’ascolto.
Ma il riconoscerci in un “NOI SINTOMATICO” può comportare il rischio che diventi un elemento di
chiusura che può lasciare poco spazio alle differenze individuali.
La conduzione è in genere più attiva rispetto a quella del gruppo eterogeneo con lo scopo di far
procedere il gruppo dalla fusionalità alla differenziazione. I fattori che si attivano maggiormente
sono: il rispecchiamento, l’universalità, l’autismo.

il fatto che sintomo sia lo stesso, (es DCA) e questo fa si che si identificano con altri, a volte
sostituiscono identità della persona con la malattia (sono anoressica). Il tempo determinato
(almeno un anno di lavoro) – aiuta a non far in modo che le pz attivino una fusione tra di loro.
Questo determinare un limite promuove già dall’inizio graduale separazione. (il NOI non è solo
sintomo che condividiamo ma SOGGETTIVITà DI OGNUNO).

ALTRO TIPO DI GRUPPO PSICOTERAPEUTICO è PSICODRAMMA


Fondato da Moreno, terapeuta rumeno, che fonda teatro terapeutico che aveva notato come
esternare aspetti emotivi, affettivi rendendoli dei dramma, fungeva da CATARSI, da purificazione.
Tutt’ora è utilizzato questo modello classico, ma ci sono tante nuove tecniche che partono da qui
ma che si distinguono.
Lo psicodramma si pone come obiettivo la CATARSI ed è una tecnica attiva in quanto dà spazio al
movimento, al corpo e all’azione.
La tecnica per lo psicodramma prevede una “SCENA”, spazio interno al cerchio del gruppo che
delimita una zona rappresentazionale dove agiscono pochi soggetti attorno ai quali si dispongono
gli altri partecipanti che assistono. Il pz protagonista è posto al centro dell’azione come attore ed
autore, egli rappresenta le sue esperienze passate, attuali o future scegliendo liberamente un
ruolo.
Ci sono diverse forme di psicodramma:
1. Psicodramma analitico che fonde la tecnica originaria con la psicoanalisi
2. Psicodramma junghiano
3. Psicodramma classico o Moreniano

ALTRA FORMA NON STRETTAMENTE TERAPEUTICA è SOCIAL DREAMING  pone in primo piano il
sogno, fa si che sogno possa offrire la realtà sociale che i sogni esprimono. Viene messa in luce no
matrice personale ma matrice sociale/culturale.
È una tecnica gruppale che valorizza il contributo che i sogni possono offrire alla comprensione
non del mondo interno dei soggetti ma della realtà sociale in cui sono immersi. Permette di
esplorare il significato sociale dei sogni.

Da 20 a 50 persone, non a cerchio, ma a spirale e le persone non si devono vedere in faccia, esser
connessi ma non con lo sguardo. Compito è associare in modo libero, a partire dai sogni, si attiva
un pensiero orinoide. Viene messo in scacco pensiero razionale e attraversa per il pre-conscio. Non
sono sogni che vengono interpretati dal conduttore ma che hanno scopo di far emergere matrice
sociale. Può esser molto utile in luoghi istituzionali, in cui vivono esperienze di conflitto per
esempio, esperienze di social dreaming possono aiutare a creare clima più efficace. Nei sogni
transitano aspetti traumatici sociali, molto violenti, che si depositano nella nostra psiche anche se
non ne siamo completamente consapevoli (=covid, guerra).
Come avviene? Conduttore chiede di essere più liberi possibile di esprimere contenuti, senza
giudizio. Viene chiesto di associare sui sogni.

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(VEDI SCHEDA TIPOLOGIE DI GRUPPO SU SIRIUS)

(differenza GRUPPO SUPPORTIVO e differenza ESPRESSIVO:


- Terapia espressiva: è psicoanalisi classica, si vanno ad indagare parti profonde della
personalità (inconscio ecc)
- Terapia supportiva: più orientata alla sintomatologia.  (gruppi di sostegno alla
genitorialità che abbiamo visto, non vanno ad analizzare in profondità dinamiche psichiche
profonde di quei soggetti).
(il supportavo dura meno, rispetto all’espressivo)

Nei gruppi di AUTO-AIUTO c’è forte identificazione “io sono alcolista”  evoluzione dal singolo al
soggetto.

USCITA: Chi si sente arrivato alla fase conclusiva normalmente lo dice e da lì si lavora su
conclusione. A volte esistono interruzioni per altri motivi. Nella migliore delle ipotesi la persona lo
dice, se ne parla (con il gruppo). Possono passare anche mesi per elaborare la conclusione.
Conclusione è volontaria. Se qualcuno lo sostituisce, il gruppo viene preparato all’ingresso del
nuovo membro.

SETTING: CONDUTTORE di gruppi terapeutici, è sempre il medesimo. Non come in gruppi altri
informativi.

GRUPPO PSICOANALITICO CLASSICO, ETEROGENEO, SLOW OPEN


Ci sono delle fasi che portano alla costruzione del gruppo

1. FASI PRELIMINARI: il terapeuta comincia ad immaginare nella mente il gruppo, non


dall’oggi al domani (molto simile a come accade prima di concepire un figlio). Nasce in
primis dalla mente del terapeuta. Allo stesso modo di un figlio che prima di esistere nasce
nella mente dei genitori, prima come desiderio e poi come progettualità, il GRUPPO SORGE
prima della sua concreta realizzazione nella mente del terapeuta.
Prima di avviare il tr di pone delle domande:
- Che gruppo voglio?
- Perché?
- Lo conduco da solo o con un collega?
- Ci sarà osservatore?
- Sarà omogeneo o eterogeneo?
- Quale cadenza?

2. SELEZIONE DEI PAZIENTI: Perché un pz andrebbe inserito in un gruppo piuttosto che


terapia individuale.
Per decidere eventuale indicazione per una psicoterapia di gruppo, generalmente vengono
svolti dei colloqui individuai che come nel caso della consultazione classica, hanno obiettivo
di comprendere quale tipo di trattamento è più idoneo per quella persona. Come per la
terapia individuale nei COLLOQUI DI CONSULTAZIONE è importante farsi un’idea della

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persona che abbiamo di fronte, non solo tenendo conto degli aspetti sintomatologici e
diagnostici che presenta, ma soprattutto del suo funzionamento dinamico.

Dovremmo rispondere a queste domande:


- Perché proporre al pz una psicoterapia di gruppo?
- Alla luce di quali elementi emersi durante la consultazione decidiamo di inserirlo in un
gruppo?
- È il setting di gruppo adeguato per quel paziente?

La consultazione deve portare ad una formulazione psicodinamica del pz. E del suo funzionamento
psichico in base al quale si deciderà il piano terapeutico.

3. FORMULAZIONE PSICODINAMICA
E’ un insieme di ipotesi in merito a come il pz pensa, sente e si comporta: riguarda le aree
del funzionamento e i livelli di esperienza della persona, incluso quello inconscio.
È fondamentale per la formulazione: l’anamnesi che consiste nella raccolta della storia
evolutiva del pz, la descrizione della fam di origine e delle dinamiche che l’hanno
caratterizzate in tutte le fasi della vita del pz: infanzia, adolescenza, età, adulta fino al
momento presente.
(parto, gravidanza, fasi psico-sessuali della persona)
sarà anche importante cercare di capire come il transpersonale abbia attraversa e
attraversi la vita del pz.
Alla fine della consultazione: devo avere idea abbastanza chiara. Devo capire se posso
lavorare con lui: se non mi piace, se non lavoro con una certa categoria (depressione,
narcisistico) perché attivano in me aspetti controtansferali non efficaci.
(3-4-5 incontri)

CONSULTAZIONE:

Prima fase:
- Osservazione del funzionamento generale del pz (modalità di invio, come il pz ha preso il
contatto, come si presenta ecc)
- Ascolto della domanda di aiuto: la problematica che ha spinto il pz a chiedere aiuto in
questo momento
- Anamnesi
- Esplorazione aspettative del pz

Seconda fase
- Descrizione del funzionamento del pz nelle seguenti aree: psicodinamica (diagnosi
strutturale: principali meccanismi di difesa e funzionamento dell’io), cognitiva, integrazione
del livello cognitivo-affettivo
(l’io funziona bene? È adeguato? Pz ha deficit cognitivo? Chi ho davanti? Borderline,
depresso ecc? quali sintomi ha?
a livello affettivo? Vive le emozioni’ come? Ecc..
- Struttura della rete di relazione de pz (familiare e sociale) – ha avuto problemi relazionali
nella loro vita (per ese HK vivono fin da piccoli esperienze relazionali particolari)
- Funzionamento del pz nelle relazioni significative

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Fase conclusiva
- Formulazione dell’ipotesi circa i sintomi e il collegamento con la storia evolutiva del pz. Per
decidere il trattamento più adeguato.

VEDI SCHEDA DEL COLLOQUIO DIAGNOSTICO


- DATI DEMOGRAFICI (classici dati anagrafici) + precedente esperienza di psicoterapia
(quante esperienze? Con quali esperienza? Positiva? Negativa..?
Chi invia? (= se lo invia collega, oppure se arriva da altre fonti. A volte c’è idealizzazione di
noi, se ci ritengono in i migliori nel campo, poi ci possono svalutare dopo poco.)
- PROBLEMI ATTUALI E LORO INSORGENZA (secondo lei cosa le sta succedendo? Che idea si
fa di quello che sta attraversando?..) + farmaci + terapia perché richiesta ora ?
- STORIA PERSONALE
(genitori, fratelli..)
o Prima infanzia
o Latenza (problemi separazione, sociali, scolastici..)
o Adolescenza
o Età pubertà (esp sessuali..)
o Età adulta

- Presentazione attuale (stato mentale) – sogni, suicidio..


- CONCLUSIONE Chiedere al pz se gli viene in mente qualche info importante su cui non gli è
stata fatta domanda..
- DEDUZIONE  che mi porta a FORMULAZIONE PSICODINAMICA

INCLUSIONE NEL GRUPPO


Alcuni criteri per l’inclusione dei pz in gruppo sono:
- Possedere un livello minimo di capacità interpersonali;
- Essere sufficientemente motivati al percorso di terapia;
- Presentare problemi relativi alla sfera relazionale;
- Mostrare disponibilità al cambiamento del comportamento interpersonale;
- Essere disponibili a dare aiuto agli altri;
- Essere aperti nell’accogliere i feedback degli altri membri del gruppo.

Il dispositivo di gruppo è adatto in particolare ai pazienti con disturbi legati alla scarsa
individuazione di sé e alla mancanza di soggettivazione. La rievocazione, stimolata dal gruppo,
delle matrici originarie fallimentari o traumatiche che hanno impedito il processo di nascita
psicologica del soggetto, favorisce, all’interno del gruppo, la loro rielaborazione.
La TdG è particolarmente indicata per quelle persone che potrebbero trovarsi in difficoltà in un
percorso a due, poiché la relazione troppo stretta, porterebbe causare eccessive angosce
caustrofobiche

CONTROINDICAZIONI

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Inserire pz particolarmente distruttivo (area borderline, soprattutto a basso funzionamento che
sono molto vicini alla psicosi) possono portare a distruzione del gruppo intero. In altri casi inserire
soggetto non adatto porta a abbandono recente della terapia

Aspetti dinamici che portano all’esclusione:


- Pz considerati ad alto rischio (es_ che non tollerano di condividere l’attenzione del tr o che
hanno paura del contagio emotivo )  borderline, a basso funzionamento
- Pz in crisi acuta (situazionale: lutto recente, separazione, licenziamento, fallimento..
oppure psichica: fase delirante o stato ansioso invalidante)
Questo se gruppo è eterogeno; Per esempio se gr è omogeneo ovvero elaborazione dei
lutti, a doc. o sostegno per genitori che si sono appena separati.
- Pz con scarso controllo degli impulsi

(inserendo pz di questo tipo, nei gruppi potrebbero accadere due cose:


- Drop out immediato, se ne va dal gruppo
- Rimane all’interno del gruppo incarnando aggressività del gruppo che verrà portata verso
di lui (capro espiatorio; se i conduttori se ne rendono conto, possono lavorarci, reintegrarlo
in modo sano nel gruppo)
- Il gruppo viene talmente destabilizzato dal pz con meccanismi proiettivi inconsci del gruppo
fino a distruggerli

Ci sono CONTROINDICAZIONI relative a categorie diagnostiche, che sono da escludere, perché


tendono a impedire ogni rete di gruppo
- Depressione grave
- Ipomaniacalità (= ipomania-depressione; nel bipolare parte 2)- fatichi a trattener impulsi,
persona è attivata, non riconosce necessità
- Impulsività
- Disturbo narcisistico di personalità
- Gravi psicopatie o paranoia
- Sintomi psicotici attivi

QUESTE cose relative a indicazioni e controindicazioni, sono relative alle dinamiche private di
studio, nell’istituzione è difficile . l’istituzione funge da garante del setting. Normalmente
istituzione decide a priori di fare i gruppi, composti da tot ecc

Una volta deciso che pz entrerà in gruppo perché va adatto, passaggio delicato che va spiegato al
pz e va preparato, perché di solito vengono in terapia convinti di fare terapia singola
Senza questa fase di motivazione, spiegazione rischiamo che pz faccia drop out immediato
C’è rischio che pz nuovo non venga accettato, se terapeuta non fa elaborazione buona nel campo,
è normale che la dinamica sia di esclusione.
Funzionamento terapeutico avviene stessa dinamica, il conduttore deve preparare il gruppo ad
accogliere il nuovo e perché il nuovo può essere fonte di timore (si lavora su resistenza del
cambiamento, su dinamica di accettazione)
Se stiamo partendo da zero questo non si pone come problema

COMPOSIZIONE E DISPOSIZIONE
- COMPOSIZIONE. Ideale di un gruppo di 8 pz, eterogenei per genere e sintomi (= non 7
donne e un uomo, abbastanza omogenee)

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- DISPOSIZIONE delle sedie è in cerchio, numero delle sedie corrisponde al numero dei pz, in
caso di assenza di un pz, la sedia rimane vuota permettendo al gruppo di ricordare che
anche se assente fisicamente il pz è comunque presente simbolicamente, la sedia va tolta
solo in caso di conclusione del pz.
Vediamo dove si siedono (=sempre vicino al terapeuta indica dipendenza.. ; sempre
lontano come sfida).

PRINCIPI DI CONDOTTA
Si riferiscono al comportamento richiesto ai pz
- REGOLARITA’ la partecipazione deve essere continuativa e i pz devono avvisare per tempo
della loro assenza
- PUNTUALITA’
Altra cosa da notare arriva in anticipo o sempre in ritardo.(?) – ci dicono molto del pz
- DISCREZIONE: I fatti narrati nel gruppo non devve essere riportati altrove
- ASTINENZA; I PZ non devono avere altri contatti al di fuori delle sedute di gruppo

SET(TING)
La gruppoanalisi concepisce il setting come SPAZIO anzi, vero e proprio altro luogo di simulazione,
estremamente reale, in cui si produce il continuo confronto tra esperienza storica-personale e
quella attuale del gruppo.
Il setting può essere definito come insieme di aspetti formali e mentali costanti grazie ai quali può
avere luogo il processo psicoanalitico. È solo grazie a tali elementi fissi, che garantiscono
continuità che può essere messo in moto il processo che porta il cambiamento.

SET (cornice organizzativa)


È la cornice materiale all’interno della quale avviene il processo. I suoi elementi sono: spazi
(stanza, arredamento, contesto), tempi (orari, durata), la presenza o meno di co-conduttori o
osservatori, le regole di condotta, il tipo di contatto terapeutico  da far firmare! (onorario, cosa
succede se salta seduta, la pagano o no ? ecc)

E’ la cornice o scenografia all’interno della quale il processo di gruppo può svolgersi.

SETTING (Processo)
È il campo mentale costituito dalla relazione (matrice, campo) duale o gruppale. Nel setting sono
le storie personali (matrice personale) ad assumere la veste di catene associative che favoriscono
attivazione cotrasferale.

SET(TING)set e setting non possono essere concepito separatamente in quanto non può esserci il
primo senza il secondo e viceversa. Si parla allora di SET(TING) per far riferimento a quella
situazione terapeutica all’interno della quale assistiamo alla compresenza di variabili relative sia al
set che al setting, oltre che al campo mentale condiviso. Dunque il SETTING o un organizzatore
psichico di carattere transpersonale mentale condiviso che consente di pensare i fenomeni e i
sintomi dando loro significato e di creare nuove connessioni e relazioni. Il setting gruppoanalitico è
concepito come un campo co-trasferale ovvero i processi in esso presenti riguardano sia il
soggetto, sia le sue gruppalità interne, sia le relazioni tra tutti i soggetti presenti-partecipanti, sia il
gruppo nel suo insieme, compreso il conduttore (Napolitani 1987)
E’ una dimensione co-partecipativa che trova la sua massima espressione nello SGUARDO: il
MIRRORING gruppale rappresenta il rispecchiamento di parti di sé nell’altro.

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PROCESSO

«La terapia di gruppo consiste nel sedersi in cerchio per parlare insieme con alcune persone. E'
necessario fare il possibile per sentirsi liberi di affrontare qualsiasi argomento venga in mente,
sospendendo il giudizio critico su ciò che si sta esprimendo. Oltre a ciò, è anche necessario cercare
di comunicare le emozioni e gli affetti sperimentati durante l'incontro, anche nei confronti degli
altri e dei loro interventi.»
Il gruppo rende possibile la creazione di uno spazio in cui le circostanze che avevano prodotto il
sintomo, il transpersonale familiare, crollano insieme all’illusione dell’immobilità. Il processo di
gruppo crea un movimento in cui il presente non è più attuale ma il futuro non c’è ancora: questo
produce vissuti di sbigottimento e vergogna per il passato che si associano al terrore per il futuro.
Questo movimento rende possibile la messa in funzione della matrice dinamica che comincia a
funzionare nel gruppo come strumento di analisi, in seguito all’abbandono della matrice
personale, tramite l’attraversamento critico dei sintomi, dei fantasmi e della coazione a ripetere.
Ma affinché si crei la matrice dinamica è necessario un processo che il gruppo deve attraversare e
che si articola in diversi fasi

STATO NASCENTE
Il gruppo nel suo stato nascente produce dei potenti vissuti che hanno a che fare con la speranza,
quasi messianica, che il gruppo risolva magicamente tutti i problemi. In questa fase il gruppo ha una
funzione di difesa contro le angosce di frammentazione e diviene il luogo dell’illusione gruppale
cioè della ricerca di una fusione collettiva in cui gli individui si aspettano la realizzazione
immaginaria dei loro desideri rimossi. L’illusione gruppale è un particolare stato per cui i membri
sono convinti di costituire un buon gruppo e di avere un buon conduttore. Il gruppo diviene così un
oggetto investito libidicamente e può funzionare per i partecipanti come un Io ideale.
Una seconda caratteristica dello state nascente è una sorta di depersonalizzazione che pervade tutti i
partecipanti: quello che viene percepito è una sorta di perdita dei confini di Sè: Anche una
sensazione di blanda ubriachezza è avvicinabile allo stato del gruppo nascente: la mente produce
con facilità immagini, vissuti corporei ed emozioni che la persona vive come riferibili non tanto a
sé, quanto al campo in cui è immerso.
Questi fenomeni sono ovviamente transitori verso altre condizioni: in alcuni casi sfociano in
un’impossibilità di pensare: i pz sono inglobati in una situazione totalizzante e confusa con
conseguente perdita della capacità di pensare e di stabilire una vera relazione con gli altri.
Generalmente però quello che accade è il transitare verso la trasformazione: il pensiero diventa
sempre più associativo e il gruppo si prepara per lo stadio successivo.

LO STADIO DELLA COMUNITA’


Si realizza quando i membri hanno preso consapevolezza delle potenzialità del gruppo come
soggetto collettivo, come comunità capace di pensiero. Generalmente questo stadio si realizza dopo
aver attraversato diversi momenti di fusionalità e l’elaborazione della stessa. In genere i passaggi
sono i seguenti: - le persone sentono che la loro appartenenza al gruppo non è più in discussione; -
divengono maggiormente capaci di mettersi in gioco; -diminuisce la dipendenza nei confronti del
conduttore; -i pz non si rivolgono più solo al conduttore, ma interagiscono tra loro

Il passaggio allo stadio della cdf, non corrisponde solo ad un cambiamento nel gruppo, ma anche
nelle posizioni dei singoli partecipanti. Ad esempio in gruppo esperenziale da me condotto, una pz
che chiamerò A, per tutta la fase dello stadio nascente aveva svolto, un pò difensivamente, il ruolo
di accoglimento di tutti, tanto che era chiamata «la mamma del gruppo», nella fase della cdf ha

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assunto una posizione diversa. Tale passaggio è avvenuto transitando attraverso una lunga fase di
silenzio, ricomparendo poi in un ruolo in cui si permetteva di dimostrare i suoi bisogni.
In questa fase del gruppo i pz prendono consapevolezza di essere contemporaneamente pazienti e
agenti attivi nella terapia degli altri. Ogni membro diventa consapevole del fatto che deve
impegnarsi non solo per raggiungere la sua meta, ma anche per creare e mantenere le condizioni per
un buon funzionamento del gruppo nel suo insieme. In questa fase si sviluppa e diventa più
articolato il pensiero di gruppo

PENSIERO DI GRUPPO
Il pensiero di gruppo corrisponde all’esperienza di pensare insieme attraverso lo sviluppo di catene
associative. Il discorso si sviluppa a ruota libera, una parola evoca un pensiero che evoca un sogno e
così via. Il risultato è una ricco articolarsi di immagini, emozioni e idee. La catena associativa è un
modo attraverso cui possono essere espresse delle fantasie dei singoli e del gruppo nel suo insieme
che altrimenti sarebbe difficile far emergere.

Corrisponde all’esperienza di pensare insieme attraverso lo sviluppo di catene associative. Il


discorso si sviluppa a ruota libera, una parola evoca un pensiero che evoca un sogno e così via. Il
risultato è un ricco articolarsi di immagini, emozioni, idee.
La catena associativa (vedi report lezione precedente, cialda illy), è un modo attraverso cui
possono essere espresse delle fantasie dei singoli e del gruppo nel suo insieme che sarebbe
altrimenti difficile da far emergere.

CONDUZIONE
Il terapeuta è un co-pensatore che attiva e sostiene il processo del gruppo: deve evitare che
l’attenzione dei pz si concentri su di lui: non deve centrare l’interpretazione su di sé o sui singoli
membri. Deve rivolgersi all’insieme del gruppo: i suoi interventi devono riguardare la situazione
totale del gruppo. Sarà in genere poco direttivo e tenderà a facilitare la processualità gruppale
mettendosi sullo sfondo per lasciare che sia il gruppo ad agire come strumento terapeutico. Dovrà
saper ascoltare in modo ricettivo.
Nelle prime fasi deve assumere un ruolo direttivo per favorire la costruzione della matrice gruppale,
dovrà fare in modo cioè che ciò che dice un paziente possa risuonare negli altri al punto che questi
possano connettersi emotivamente. Ad esempio stimolare il gruppo con domande tipo: - cosa vi
attiva il discorso fatto da Mario? Cosa vi ha fatto pensare? Credete che possa riguardare anche voi?
Dopo che si è costituta la matrice gruppale, la direttività deve allentarsi per consentire al gruppo di
funzionare autonomamente
Ha la duplice mansione di amministratore responsabile del gruppo (la sua presenza assicura il set), e
di facilitatore del processo. Il gruppo rimane attore, regista e sceneggiatore di quanto avviene al suo
interno, mentre il conduttore assume la funzione di guida facilitante seguendo le tendenze del
gruppo, piuttosto che quella di leader che lo dirige verso un percorso prestabilito.

CONTROTRANSFERALE – COTRANSFERALE
È lo spazio mentale ed esperienziale che coinvolge i transpersonale —non si crea transfer verticale
con il conduttore, ma si crea transfer orizzontale tra i pz.

- Il gruppo è il luogo del transfert relazionale.

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- Il campo controtransferale è lo spazio mentale ed esperenziale che coinvolge i transpersonali
di tutti i soggetti presenti nel campo.
- Il gruppo è il luogo di attivazione del transpersonale cioè un transfert relazionale che
comprende sia fatti edipici che le antiche modalità identificatorie, i miti familiari, i rapporti
tra i membri della rete familiare. Con questo concetto si intende dunque uno spazio mentale
ed esperenziale che coinvolge gli universi soggettivi e transpersonali dei soggetti coinvolti
nel gruppo, compreso il tr.

TEMPO
Il tempo viene concepito sia nella prospettiva verticale, lì e allora (il tempo della narrazione clinica
che si sviluppa lungo l’asse passato-presente), sia nella prospettiva orizzontale cioè nell’attualità
della relazione clinica della matrice dinamica del gruppo, qui ed ora. Per cui il gruppo si configura
come luogo a partire dal quale è possibile distinguere nello spazio (qui/altrove) e nel tempo
(ora/allora) ciò che è proprio (autentico) e ciò che non lo è (falso sé o coazione)

Il gruppo è attraversato da un movimento dialettico tra fusione-condivisione e separazione-


individuazione che determina il tempo gruppale. La figura a spirale ci consente di visualizzare la
dimensione e il movimento che costituisce l’esperienza temporale del gruppo: in ogni seduta si
procede ma con la possibilità di tornare allo stesso punto relativamente alla distanza dall’asse
centrale, anche se su piani diversi dal momento che sono sempre presenti molteplici piani di realtà.

DROP OUT
La cause più frequenti:
- una scelta sbagliata rispetto all’inserimento nel gruppo;
- conflitto insanabile tra la matrice familiare e la matrice del gruppo;
- ripetizione della modalità relazionale patologica che prende il posto del cotransfert
condiviso e della relalazione autentica

gruppoanalisi è in primis teoria della mente, quindi nella terapia individuale la docente legge il
sintomo, indagando matrice disfunzionale, ottica è sempre orientata a qualcosa di più ampioo del
soggetto. (=gruppoanalisi non solo applicata al gruppo, ma anche nella terapia individuale).

OGNUNO di noi ha matrice PERSONALE; associata a matrice CULTURALE, che è universale.


E che ci fa stare preoccupati, per la questione della guerra. Che sentiamo molto vicini e che attiva
in noi questo senso. Rispetto a guerra in Afghanistan.

GRUPPI OMOGENEI
Un gruppo è omogeneo quando si riunisce attorno ad una particolare caratteristica. Es: gruppi
composti da pz con DCA, vittime di traumi, persone malate di cancro, cardiopatici.. ma anche da
persone “Omogenee” rispetto all’essere tutti adolescenti, immigrati, o all’essere tutti i giorni di
adolescenti ritirati.. si tratta insomma di individuare un livello di omogeneità e di aggregare in
maniera esplicita il gruppo sulla base di quel livello.

IN AMBITO CLINICO:
L’omogeneità più immediata è costituta in base alla diagnosi. Accanto a gruppi omogenei per
diagnosi si possono costituire gruppi omogenei per identità di genere, per fase della vita o per

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specifiche problematiche relazionali o anche per omogeneità di formazione (gruppi omogenei di
formazione per infermieri, assistenti sociali, educatori,etc.).

E’ IMPORTANTE DISTINGUERE DIFFERENTI OMOGENEITA’ O DIVERSI LIVELLI DI OMOGENEITA’


1. Omogeneità che viene istituita dalla condivisione di un sintomo specifico (dca o attacchi di
panico);
2. Omogeneità stabilita sulla base di una diagnosi strutturale (es: gruppi per pz border).

Gruppi omogenei sono accomunati dallo stesso sintomo, per esempio anoressia o accomunati
dalla stessa diagnosi strutturale_>borderline. In ambito clinico è la più comune.
Accanto a gruppi omogenei per DIAGNOSI (DCA, bipolare, ansia e attacchi di panico); ci sono anche
i gruppi omogenei per identità di genere (donne vittime di violenza) per specifiche fasi della vita
(<adolescenti) o per professione..

In un gruppo omogeneo un aspetto dell’identità dei partecipanti viene posto in primo piano e
diventa l’elemento che definisce il senso di appartenenza e l’identità del gruppo stesso. (Gruppo
per le anoressiche; chi fa parte del gruppo si riconosce per questo motivo, il noi, ma non va bene
se il noi diventa noi anoressiche..  si crea condivisione, si crea senso di appartenenza)
Il gruppo si compatterà in un’unica identità, è una sorta di FUSIONE, se gruppo rimane a lungo in
fase di fusione e rimangono così in un ancoraggio a sintomo anoressia (siamo tutte anoressiche).
Fusionalità non è funzionale.
Il sostare a lungo in queste fasi tuttavia trasformarsi in una resistenza verso i processo di
separazione- individuazione.

il modo più facile per controbilanciare il rischio di una stagnazione fusionale è quello di porre un
limite temporale. Il termine del tempo aiuta a rendere esplicita la separazione. Per questo motivo
ogni gruppo in cui vengono accentuati aspetti di omogeneità a scapito della predominanza di una
composizione eterogenea dovrebbe essere a tempo limitato. Quindi possiamo parlare di
OMOGENEITA’ per quei gruppi che hanno obiettivo di DISIDENTIFICARE il soggetto dal sintomo per
ridare voce alla sua identità più complessa e reale.  la mia identità è “io sono un’anoressica”, per
aiutare la persona a togliersi il sintomo di dosso e far emergere la sua identità
Il limite temporale aiuta a tenere in mente che le persone si devono separare. TEMPO
DETERMINATO.

Possiamo creare gruppo omogeneo per sintomo o per diagnosi strutturale.


(omogeneità funziona molto bene con alcuni sintomi: dca, tossicomania, .. ovvero dipendenze).
Gruppi omogenei sono accomunati dallo stesso sintomo, per esempio anoressia o accomunati
dalla stessa diagnosi strutturale_>borderline. In ambito clinico è la più comune. Per la diagnosi
strutturale meglio se gruppi eterogenei.

Una delle caratteristiche specifiche è l’immediata creazione di un clima di condivisione e coesione


data dalla comunanza dei sintomi che consente un forte senso di appartenenza e una grande
sensibilità all’ascolto. Il NOI però può diventare un elemento di chiusura per cui uno degli obiettivi
deve essere quello di far comprendere che il NOI può avere diversi significati: sia come un
contenitore protettivo ma anche come un insieme che può contenere diverse specificità. Ciò che
stimola il movimento verso l’individuazione è proprio il senso del limite temporale che permette di

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esplorare la dimensione temporale in tutte le sue sfaccettature e consente di affrontare il tema della
separazione.

Conduzione gruppo omogeneo è un pochino più attiva. C’è responsabilità fusione-individuazione


che è responsabilità del conduttore.

3 MACROFUNZIONI DELL’OMOGENEITA’
1. contenitore: si ipotizza che omogeneità equivalga ad un contenitore che rende possibile il
processo attraverso un’iniziale identificazione fusionale e speculare dei membri grazie al
sintomo comune (es: siamo tutti genitori di ragazzi HK, siamo tutte anoressiche); questo
contribuisce a formare un’unità e una coesione particolari che creano legami speciali
all’interno del gruppo e con il terapeuta che è sentito come facente parte del gruppo a sua
volta.
La composizione omogenea facilita e stimola più direttamente le identificazioni fra i
partecipanti al gruppo, sviluppando un accadere psichico ravvicinato e condensato
all’interno del suo processo

2. risonanza: riguarda la possibilità per il gruppo di organizzare la comunicazione al proprio


interno come quella data dal sintomo e favorisce la certezza di essere accettati e compresi.
La risonanza crea accelerazione della creazione del campo di gruppo inteso come stato
mentale e emotivo comune che crea un ancoraggio coesivo e mediato dai sintomi. (Neri
1995)
3. commuting, tradotto è il commutare che fa si che all’interno del campo del gruppo ci sia
costante oscillazione tra paura di perdere statuto di gruppo, perdendo specificità personale
per risuonare con il gruppo. Ma dall’altro lato, c’è movimento da gruppo a singolo.
Descrive attività di trasformazione dei contenuti del campo del gruppo: dall’individuo verso
il gruppo e dal gruppo verso il singolo.

Il gruppo omogeneo di pz anoressiche è allora rappresentabile come un insieme di persone che già
esprimono una posizione vicina ad un assunto di base attacco-fuga. Le pazienti avrebbero quindi
già una posizione di gruppo al momento in cui iniziano un gruppo terapeutico, e la loro posizione è
omogenea, non solo per il sintomo, ma per la loro relazione con il gruppo familiare. Il gruppo
terapeutico è già, al momento del suo inizio, in assunto di base attacco-fuga. Il lavoro del gruppo
assume significato nel trovare gli scarti fra l’omogeneità come malattia familiare e le posizioni
soggettive dei singoli individui, spesso cancellate, congelate o uccise.

Sul piano della tecnica, l’assunto di base di attacco-fuga, va accolto e integrato con le parti “sane”;
ciò si traduce in una necessità di non bonificare troppo gli elementi di opposizione e di lotta in
modo da dare spazio ad una funzione pensante in grado di rappresentarli mentalmente e
verbalmente al fine di una elaborazione che possa portare ad una soggettivazione. Questo vuol dire
fare transitare il gruppo dall’ ADB al gruppo in assetto di lavoro.

ESEMPIO DI Gruppo: GRUPPO OMOGENEO DELL’ANORESSIA

STAFF DI CONDUZIONE conduttore Borsetto co-conduttore e osservatore che è importante


perché consente ai conduttori di di concentrarsi su altri. Osservatore si occupa di parte emotiva.
Prima del gruppo: PREGRUPPO 30 min, per conduttori e osservatori in cui si legge e si riflette su
incontri precedenti; poi POSTGRUPPO a caldo in cui si riflette sul dopo, come ci siamo sentiti, cosa
abbiamo notato.
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La durata del gruppo: termine2 anni
1 seduta di 1 ora e mezza a settimana
Composizione: 9 pz donne, dai 18 ai 22 anni, non adolescenti con DCA. Maggior parte
sintomatologia non in fase acuta, sintomi in via non di remissione totale ma avevano tutte alle
spalle colloqui individuali, che erano state inviate dalla psichiatra del centro.
A tutte, è stato fatto un COLLOQUIO INDIVIDUALE per capire se è idonea nel gruppo (=lezione
precedente). In questi colloqui individuali la docente ha somministrato STRUMENTO che si chiama
CARTA DI RETE: individuare le relazioni di quella persona. Il loro ambito relazionale.

Caratteristiche generali delle pz Bisogno di essere perfetti. Di avere sempre controllo sulle
situazioni, rifiutando le proprie debolezze, colpevolizzandosi, passando da estremo all’altro,
idealizzazione e assoluta svalutazione. No tollerabilità alla frustrazione.
Obiettivo primario del gruppo: far vedere alle pz possibilità di passare dal sintomo alla
soggettivazione
Obiettivi altri: rientrare in contatto con sé. Elaborando idea di perfezione, con il rispecchiamento,
strumento utile per ridefinirsi. Superare il pensiero arcaico del tutto o niente tipico dei disturbi
alimentari, passando dalla logica o/o all’idea gruppo-analitica e/e.
“O sono perfetta e prendo tutti 10 a scuola, se prendo un 8 faccio schifo, rinuncio alla scuola”.
L’impossibilità a tollerare le sfumature. Quindi predomina intolleranza, noi lavoriamo
sull’accettare gradi di imperfezione, tollerarli.

Mandato: non si parla dei sintomi! Ai conduttori non deve interessare del sintomo
Assetto spontaneo: è possibile parlare di tutto e affrontare tutto.

Seduta dell’inizio del secondo anno. Inizialmente oscillazione delle pz da idealizzazione a


svalutazione del gruppo, passaggio da essere bambino all’essere adulto. Estrema dipendenza
dall’altro, sensazione di essere invaso da altro, possibilità di legame che non è simbiotico.
Altro aspetto su cui lavorare: incapacità di pensare i pensieri, di dare un nome a ciò che si prova e
incapacità di gestire quello che si prova, sfociando in sintomo. Incapacità di fare funzione alfa, di
poter pensare e elaborare pensieri e vissuti.
Importanti meccanismi di difesa: PROIEZIONE sulla coppia di conduzione, che rappresentano i
genitori, posizione schizo-paranoidea dove uno è seno buono e altro è seno cattivo, uno
conduttore buono e uno no. SCISSIONE
C’è anche tendenza delle pz, come in altri gruppi per lo più omogenei, che si verifichi la presa in
carico ISOMORFA rispetto ai meccanismi interni: il gruppo funzionava assolutamente in modo
speculare con il funzionamento del mondo interno delle pz. (alcune pz incarnavano parti buoni e
altri ruoli cattivi). Quindi può essere che chi conduce incarni
SPAZIO DI PENSIERO TRANSIZIONALE ALLA WINNICOT CHE FAVORISCE MENTALIZZAZIONE DELLE
PZ. Questo avviene se prima abbiamo mentalizzato noi conduttori, questo serve per far capire che
le pz possono mentalizzare ovvero processo che aiuta a spostarsi dal sintomo alla persona.
= ovvero creare stati mentali aperti, a cui posso dare significati altri.

Partiamo dall’ipotesi gruppoanalitica per cui diventare anoressica significhi passare da una
posizione di dipendenza dal gruppo familiare ad una posizione di opposizione e di lotta verso il
gruppo familiare stesso. Pensiamo cioè che queste posizione non si riferiscano esclusivamente alla
posizione individuale delle pz verso un genitore ma che si riferiscano al rapporto che la pz ha con i

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genitori in quanto gruppo, con la famiglia in quanto gruppo, oppure con le precedenti generazioni
in quanto famiglie transgenerazionali.
Secondo questo tipo di ipotesi l’opposizione che la pz anoressica esprime con il sintomo somatico
del dimagrimento riflette i bisogni di distanziamento da un gruppo familiare che le impedisce la
soggettivazione.

(=rifiuto cibo è rifiuto di una relazione primaria, rifiuto dell’altro, per cui sintomo). Rifiuto del cibo
è espressione de distanziamento da gruppo famiglia che non mi consente IDENTIFICAZIONE,
soggettivamento)

TEMI TRATTATI nel corso delle sedute:


- timori delle pz: di essere giudicate, non sentirsi capite, difficoltà ad accettare proprie
debolezze, difficoltà inziale ad esporsi, ad aprirsi, senso di vergogna.
- Nel giro di tre sedute: speranze verso il gruppo: sviluppo del noi diversi da altri, sviluppo di
pensiero funzionerà o non funzionerà
- Emersione di matrici familiari, che vedevano genitori intrusivi o pesanti. Difficoltà di
emancipazione da famiglie che ti tengono dentro.
- Differenze tra le pz. Non siamo tutte anoressiche,
PROCESSI EMERSI NEL TEMPO
- Oscillazione tra poli opposti:
o Idealizzazione-svalutazione
o Essere bimbo-diventare adulto
o Bisogno dell’altro- paura di esserne invaso
o Separazione-legame
- Incapacità di pensare i pensieri: di elaborare le emozioni, e il biosgno di espellere o
fuggirle.

Obiettivo primario: favorire nelle pz la possibilità di transitare dal sintomo alla soggettivazione
Obiettivo corollari:
- Imparare ad accettare i propri limiti, riformualndo l’idea di sé, elaborando l’idea di
perfezione attraverso l’introiezione dei rimandi degli altri membri del gruppo
- Superare il pensiero arcaico del “tutto o niente” promuovendo cosi il pasaggio dalla logica
dicotomica dell’ aut aut alla logica della complementarietà dell’ et – et, dall intolleranza alla
tolleranza.

Meccanismi di scissione:
importanti proiezione sulla coppia terapuetica, rappresentante di una coppia genitoriale, reale e
fantasmatica con la quale le pz avevano la possibilità di rivivere ed esplorare i vissuti inelaborati
con le proprie figure genitoriali interne.
Tendenza delle pz ad indurre una presa in carico isomorfa alla struttura del proprio mondo
interno, creando una scissione tra noi conduttori, alternativamente idealizzati o svalutati.

Questa dinamica è stata utilizzata dallo staff di conduzione per elaborare ed integrare la
situazione: nei momenti di post gruppo, spazio terzo di pensiero, condivisione e riflessione, è stato
possibile lavorare per integrare i due opposti, “accordarci” sia l’una all’altro, sia il ritmo creato
insieme al gruppo, riconoscendo le dinamiche attiavte dal gruppo e le ripercussioni che esse
avevano sui terapueti, attraverso un’analisi introspettiva dei vissuti controtarsnferali.

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ESEMPIO DI REPORT, GRUPPO di pz anoressiche
SEDUTA;
3 pz assenti, co-conduttore assente. Da tenere bene in mente.
INFORMO LE PZ CHE ANCHE QUESTA SERA IL COLLEGA NON CI SARA’ perché INFLUENZATO, LE PZ
ASSENTI HANNO AVVISATO DELLA LORO IMPOSSIBILITA0 PER ESSERCI.  manca il co-conduttore.
Parlano tra di loro. Riflettendo su importanza del silenzio nei gruppi.
- Interviene Silvia dicendo che per un mese non potrà venire perché ha dei corsi importanti
all’università che può saltare
- Il gruppo non reagisce e resta qualche secondo in silenzio. Arriva clara scusandosi per il
ritardo.
- Pamela sorridente ed emozionata dice di aver scoperto una cosa interessante: la psichiatra
le ha detto che il gruppo serve per affrontare il silenzio.
- Susanna la interrompe dicendo che anche a lei l’ha scoperto oggi. Tutte ridono.
Pamela continua dicendo che è rimasta perplessa perché pensava che dovessero sempre e
solo parlare, stare li a scannarsi ed additarsi..
Anche susanna dice che ci è rimasta un po’ male perché il silenzio non le piace. Le viene da
parlare di tutto.

Rimando che nelle sedute precedenti era vissuto come pesante, ma che spesso vivono silenzio,
Susanna dice che lei predilige scambio di parole per tutte, ma se il gruppo è stato fatto per stare in
silenzio dovrà stare in quell’ottica.
Silvia dice di aver pensato al suo stare in silenzio quando stava male. Usciva con amiche e passava
la serata in silenzio, non le sembrava di avere nulla di interessante da dire. Tornava in auto e
piangeva. Aveva il pensiero fisso di non essere partecipe. Pensa che il silnzio c’è in gruppo sia
dovuto a questo, non a menefreghismo. Tutte sono lì perché stanno male e tentano di fare
qualcosa per stare meglio. Introduce poi una visione del silenzio visto come condivisione di tra
persone che si conoscono e non hanno bisogno di parlare perché si capiscono lo stesso.
Lei però sente che ultimamente tende a parlare tanto e a riempire tutto come difesa per stare
bene.
Parlare come riempire un vuoto, difesa per stare bene.

Riflessioni: silenzio di silvia, che prima aveva detto che non ci sarà per un mese. Quello che accade
nel gruppo, comunicazione inziale che co-conduttore è ancora assente e questo significa che pezzo
di contenitore non c’è. Chi dice non verrò per un mese  non deve passare inosservato. Questo ci
fa capire delle cose.
Il gruppo diventa isomorfo al sintomo che tratta, in gruppi con pz anoressiche il silenzio è vissuto
come estremamente angosciante e pesante infatti tutte loro non apprezzano silenzio, devono
colmare un vuoto. Tappare quello che viene mondo interno perché fa male, tappare con tanto
cibo nella bulimia o tappare con rifiuto di cibo come nell’anoressia.
Nei DCA c’è costante tentativo di colmare un vuoto, che fa paura.

Nel gruppo si nota anche come si parli di NOI: difficoltà nella soggettivazione.

“rimando le possibili difficoltà che si possono sperimentare nel gruppo in cui forse si sentono
costrette ad affrontare delle questioni che in altri momenti telefono ad evitare”
Mara racconta che ha fatto 2 gg in montagna con amici e si è dovuta comportare come non
sarebbe per farsi accettare da persone che non consce e che la giudicano cosi.

60
I suoi amici (fumavano e sigarette), lei che non faceva queste cose si è sentita considerata una
sfigata. In parte riconosce di essersi lei giudicata cosi però è questa l’impressione che ha avuto.
Dice di non riuscire a capire tale superficialità. Perché devono essere tutti uguali? La gente non va
oltre a queste cazzate.
Quindi ha dovuto bere birra e ballare… ma è anche contenta perché è riuscita ad andare oltre un
suo limite. Per certi aspetti è andata anche bene però ha fatto fatica ad essere quella che non è. Si
chiede perché ha dovuto fare così.
Borsetto dice “chissà come mai a volte ci si deve comportare in modo diverso da come sisente”.
Mara dice che l’ha fatto per farsi accettare da persone che non conosce e che la giudicano così.
Qui la docente dice che stare in gruppo a volte faccia sentire di doversi adeguare per non sentirsi
esclusi. Gioia dice di aver paura di essere essere dimenticata e sostituita dal suo gruppo di amiche.
Domenica loro si sono trovate e lei perché è andata dal suo ragazzo. Adesso in gruppo sta
entrando una nuova ragazza e lei ha paura che prenda il suo posso. Silenzio.
Non possono essere sostituite con altri perché lei è lei. E l’altra è l’altra.
Si ricollegano a parlare di come a volte sono state abbandonate dalle amiche quando si sono
ammalate.

 siamo di fronte a due GRUPPALITA’ DIVERSE: gruppo di amici in cui mi devo adeguare e non in
quello di terapia, che è protetto, in cui mi posso esprimere. Ma è qualcosa che avviene
implicitamente, cogliendo che non saranno giudicati. Non serve dire, ma tante cose sono da far
esperire,
spesso queste famiglie di queste pz tendono a dire di restare in famiglia. Il rischio di evidenziare
“qui si sta bene” c’è rischio d far cadere assunto di base.
attenzione a non cadere nell’assunto di base della dipendenza.

Silvia riconosce che non è facile accettare che persone vengono e vanno . lei però da un po’ non
sente più niente, le va bene tutto. Non sente la mancanza di nessuno. sente che non sta bene. Si
rende conto che le accadono delle cose oggettivamente brutte, ma lei non sente nulla.
Per stare male deve pensare all’unica cosa che le fa stare male. Per esempio oggi ha fatto un
esame ed ha preso 20. Non aveva studiato niente. Volendo poteva prendere anche di più.
Dovrebbe provare senso di colpa, ma adesso non prova niente come se non fosse successi niente.
L’unica cosa che sente è che le manca Luca (ex ragazzo). In realtà sa di non provare più niente per
lui, è diventato un’ossessione.
Oggi dovrebbe star male perché invece che studiare 30 pagine ne ha fatta mezza ed invece pensa
che ha voglia di chiamare Luca, solo perché sapere di vederlo chiamare e non poterlo fare la stare
un po’ male. Inoltre si rende conto di comportarsi male con le persone. Se qualcuno prima stava
male era disponibile, cercava di capirlo, adesso invece evita. Quando lei è stata male tante
persone non ci sono state.
Forse adesso vuole farla pagare a tutti.
Pur di non provare più quelle sensazioni, se una persona c’è per uscire bene, altrimenti non
importa.

Come conduttore del gruppo: devo fungere da contenitore, per contenuti che pz non riescono a
tollerare.
Non rimando l’aspetto direttamente ad una pz ma cerco di far circolare l’emozione, essendo in un
contesto gruppale.

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Gioia dice di aver avuto un momento in cui non sentiva niente, nel periodo in cui stava peggio. Si
commuove dicendo che le fa tanto male ricordarlo. La prof evidenzia che è emersa l’importanza
della relazione, del rapporto con gli altri. Gli altri sono cosi importanti al punto che bisogna
sforzarsi per entrare in un gruppo, mostrarsi diversi da ciò che si è realmente ma allo stesso tempo
gli altri possono ferire, trascurare e abbandonare. Allora chiedo al gruppo perché abbiamo bisogno
degli altri.
Pamela dice che per un periodo si è isolata, provava solo apatia, non piangeva più, era
prosciugata. Però si è accorta che il rapporto con le persone arricchisce, dà tantissimo, ti aiuta a
riprendere i contatti con te stesso e con la vita. Quando si è resa conto dell’importanza del
rapporto interpersonale l’ha cercato sempre di più. All’inizio è stato difficile ma poi è arrivata da
sola.
Borsetto evidenzia il rischio di instaurare rapporti ed esporsi, anche venire in gruppo è rischioso
ma si può avere qualche beneficio a lungo termine.
Rimanda la Borsetto che più volte è emersa la paura di essere abbandonate, dalle amiche ecc.. e
chiede se questo aspetto può essere legato al fatto che Silvia ha detto che non verrà più-
Si riprende quello che è successo all’inizio.
Silvia dice che teme se quando tornerà si sentirà fuori dal gruppo, Pamela dice che le mancherà
silvia e la sua personalità, che è una di quelle che parla di più. Come oggi le manca Monica che è
assente e che stimola il gruppo.
Gioia dice che ha paura della distanza e del tempo per esempio, non partirebbe mai per l’Erasmus,
perché dovrebbe stare lontano da tutto e da tutti, anche ora che studia fuori sede, torna sempre
nel weekend per tenere i rapporti, se mio moroso fa erasmus io lo lascio. Una volta bastava a sé
stessa, teneva gli altri fuori, non li lasciava entrare, Dice che per un periodo ha creduto di non aver
bisogno di nessuno, di essersi bastata da sola. Ma per stare bene ha avuto bisogno della famiglia e
delle amicizie. Si chiede se sta migliorando perché ci sono loro.. quindi non è così forte

Poi Borsetto chiede se effettivamente bastiamo noi a noi stessi per stare bene. E se esser
autosufficienti sia una dimostrazione di forza. Silvia dice che di natura siamo portati a vivere con
altri, per cui abbiamo bisogno di altri. Solo eremiti vivono da soli. Nessuno basta a se stessi.
Mara dice che è rischioso affidarsi all’altro, con le relazioni strette lei ha sempre problemi. Poi dice
che quando stava male e ha allontanato tutti si sentiva arida e vuota. Con le relazioni profonde ha
sempre qualche problema, c’è dose di rischio.
Rimando che molte volte abbiamo parlato della giusta distanza, per non scottarsi e per non essere
troppo lontani.

Borsetto rimanda che durante anno più volte si è parlato di giusta distanza tra il troppo e il troppo
poco. Pamela si ricollega a Gioia, che aveva parlato del ragazzo che lascerebbe se andasse
all’estero, dicendo che sono esperienze uniche per imparare a capire se persona ti manca.
Borsetto dice che autonomia e dipendenza fanno parte di un continuum, che ha a che fare con
accettare limiti in un senso o nell’altro.

Gioia si trova in un ASSUNTO DI BASE: una volta bastava a se stessa. (= i suoi interventi ci dicono
che prima non faceva entrare nessuno, la glaciazione tipicamente anoressica per cui l’altro stava
fuori. E però ora porta tutto dentro, legandosi morbosamente (=suo moroso non può andare in
Erasmus), tutto giocato su dinamica di POTERE: Distanza – vicinanza.
Si apre dibattito tra pz per Erasmus: mancanza delle persone. Per alcune non la sentono mai per
altri anche troppo.

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Clara dice di aver pensato all’erasmus ma se ci andasse ora si sentirebbe stupida perché ha trovato
un equilibrio con la famiglia, lo studio e gli amici. Non esclude però che in futuro quando avrà
acquisito maggiore stabilità interna potrà cambiare la sua vita e trasferirsi anche all’estero. Dice
poi a Silvia che non si dovrebbe sentire in colpa per il 20 perché è riuscita ad affrontare l’esame.
Silvia dice che in erasmus andrebbe subito. Una volta aveva paura della lontananza. Ora quando è
lontana non sente che le mancano le persone. Si accorge che le sono mancate dopo mezz’ora che
è di nuovo con loro. Quindi forse andare via più tempo le farebbe sentire la mancanza perché un
conto è non vedere qualcuno per due settimane un conto per mesi.
Borsetto rimanda che Forse si sentirà mancanza del gruppo, in questo periodo di lontananza. Tutte
sorridono

Borsetto rimanda che presenza di sedie vuote quel giorno (assenti), ha permesso di parlare di
relazioni e di cosa voglia dire assenza/presenza. Distanza/vicinanza.
Dopo questo intervento Susanna sta male, piange, ha capito le mancano le amiche che ha perso e
si è accorta di non potersi fidare ad altro. Dice che non è vero che è indifferente. Borsetto
sottolinea che capisce questo. Che è difficile accettare perdite.
Anche il gruppo cambierà, che anche i rapporti si modificheranno con la crescita e il
cambiamento. Può essere difficile accettarle le perdite e le nuove conquiste, i propri cambiamenti
a quelli degli altri. Anche questo gruppo prenderà altra forma con assenza di Silvia, questo fa si
che il gruppo possa essere visto come luogo incerto e suscettibile di imprevisti non voluti, sarà
importante questo sapere vivere questi cambiamenti nel gruppo anche se potrebbero sentirsi
spaesate. Prof conclude la seduta.

Finale può essere visto come un troncare. Ma non è così. “sarà importante vivere questi
cambiamenti”, è anche da un lato incoraggiante.
Stile di conduzione: anche il conduttore era abbandonato.

Questo caso sono emerse cose, perché si può parlare di queste cose, se non c’è altro conduttore?
È importante ricordare che mancava il co-conduttore.

ISTITUZIONE
CHE Cos’è L’ISTITUZIONE?
- Prof Rossetto

L’istituzione è un pz, nella visione di oggi. È qualcosa che si può curare


Dal p di v sociologico, si forma da un corpo, dotato da organi differenti, ognuno con propria
funzionalità e con il proprio ruolo. (regole definite, ruoli definiti). Il corpo è l’istituzione, formata
da organi.
È insito il concetto di gerarchia e di manifestazione del compito. Tutti in collaborazione per
raggiungere scopo primario.

APPROCCIO SOCIOLOGICO
A. Il modello è rappresentabile come fondato sull’idea dell’organismo
B. L’istituzione è concepita come un corpo, dotato di organi differenti e distinti, ognuno di èer
sé funzionante secondo modalità proprie ma ognuno riconducibile ad un’unità di intenti e
compiti.

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C. Implicita l’deia di gerarchia e fondante l’idea di compito manifesto dell’istituzione,
- L’analisi sociologica privilegia, l’indagine delle strutture e delle funzioni
- Indaga le regole che governano questo complesso sistema
- Cogliere questo scarto permette di modificare gli assetti e avviare un cambiamento. (=
cambio aspetto che non va e gruppo riparte, licenzio colui che rallenta la produzione e le
cose si sistemano)
- L’istituzione è un insieme di ruoli relegati da rapporti predeterminati la legge che regola tali
rapporti diventa rappresentativa dell’istituzione stessa
- Identità tra norme e funzionamento istituzionale reale che viene considerate come
interamente determinato dalla legge che lo governa
- Il cambiamento della legge modifica gli altri fattori e ingloba dentro di sé il cambiamento
dell’istituzione (concezioni intellettualistica e razionalizzante). Se cambia la legge cambia
l’istituzione,
- Se l’istituzione un già dato, stabilito per legge, al singolo rimane la vita dell’adesione
conformistica o della ribellione.

PSICOANALISI E ISTITUZIONE
“ […] tre fonti da cui proviene la nostra sofferenza: la forza soverchiante della natura; la fragilità
del nostro corpo e le le inadeguatezza delle istituzioni che regolano le reciproche relazioni tra gli
uomini della famiglia nello Stato e nella società […] Circa la terza fonte di sofferenza, quella
sociale, assumiamo un atteggiamento diverso. Non vogliamo ammetterla, non riusciamo a
comprendere perché le istituzioni da noi stesse create non debbano essere piuttosto una protezione e
un beneficio per tutti. A ben vedere, se consideriamo che proprio in questo riguardo la prevenzione
del dolore si è rivelata maggiormente fallace, ci viene il sospetto che anche qui potrebbe celarsi la
natura invincibile, in qualche suo aspetto, cioè nella nostra costituzione psichica.”  Freud,il
disagio della civiltà, 1929

= l’istituzione come descritta fin qui manca della parte emotiva


inizialmente psicoanalisi ha ragionato oltre che su individuo, oltre che su gruppo anche su ist. A
partire già da Freud.
La prima istituzione di FREUD sono incontri del mercoledì  F + 4 medici, che si trovano per
parlare e nel 1908 di …
Freud leggerà tutti i fenomeni che lo costituiscono non solo in veste di gruppo
Anni ’30, i gruppisti tentano di capire quale cambiamento la psicoanalisi porta all’interno del
mondo delle istituzioni.

Ogni istituzione ha:

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- Compito PRIMARIO per cui l’istituzione nasce appartiene al mondo della consapevolezza e
riproducibilità. Ci sono procedure/regole/ordine.

(se penso all’uomo è difficile a livello psicoanalitico pensare a istituzione è molto difficile,
significa parlare di qualcosa di interno e di qualcosa di esterno. Ci rende incapaci di
- C’è una relazione molto stretta tra individuo e istituzione che condividono una parte dello
spazio psichico vitale
- Bion ci insegna che la vita di un gruppo che si riunisce attorno a obiettivo, compito è ben
lontana dalla consapevolezza poiché si è radicata in stati emozionali
intensi/condivisi/inconsci che gli individui tendono ad attivare non appena si ritrovano
accumunati da qualcosa (questi sono assunti di base).
Quindi non è vera la regola “se cambio la legge cambio il gruppo”
- Lo sviluppo del pensiero si attiva venendo in contatto ed elaborando questi stati emotivi in-
elaborati. = compito secondario dell’istituzione

Il passaggio fondamentale che permette di iniziare a comprendere il ruolo e il compito delle


istituzioni nella vita psichica sociale e individuale è cominciare a interessarsi alle funzioni
secondarie che svolge oltre a quelle primarie.

NASTRO DII MOEBIEUS


Un 8 dove vanno formiche: capiamo che nell’inconscio quello che sembra interno e quello che
sembra esterno. Come se interno ed esterno non bastassero più.

Questo è ciò che Kaes definisce “inestricabile” perché non esiste un netto e definito confine tra il
dentro e il fuori.
Quando parliamo di istituzione in verità parliamo per forza anche di realtà interna ed esterna a
noi.
(= non sempre mettendo i paletti abbiamo i confini)
noi possiamo parlare di istituzione senza tener conto del fatto che esistono livelli diversi che si
compenetrano. (quando guardo una cosa in realtà ce ne sono tante altre che stanno interagendo
tra di loro. Le cose sono ricoperte da membrana che però non li divide completamente.)
(Kaes; psicoanalista francese che ha sviluppato il suo modello di psicologia gruppale, a Kaes si rifà
la teoria del transgenerazionale. Un individuo vive dentro una catena di gruppi famiglia che
attraversano albero genealogico).
Unica soluzione è avere in mente che una buona parte dello psichismo individuale può esistere ed
essere mossa, solamente nel legame intersoggettivo con gli altri.

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“Non è possibile far a meno dell’istituzione perché il gruppo istituzionalizzato e cioè il gruppo di
lavoro è essenziale allo sviluppo dell’individuo” Bion 1970.

Non posso stare fuori dall’istituzione mentale.


Istituzionalizzare è contenere un processo di divenire.
Solo quello che sta fuori all’istituzione

Contenitore – contenuto di BION è qui applicabile

ELLIOT JACQUES (padre della socioanalisi, che parte da sociale)


- Applicazione della psicoanalisi alle organizzazioni sociali
- La spina dorsale del suo pensiero è : Freud- Klein – relazioni oggettuali, meccanismi di
difesa dell’angoscia- Winnicot (holding spazio transazionale), Bion (assunti di base)
- Secondo Jacques le istituzioni funzionano come difesa dalle angosce schizoparanoiche e
depressive di coloro che le abitano.
(= scissione oggetto buono oggetto cattivo, posizione schizo-paranoidea, dove i due oggetti
non possono stare vicini, troppa angoscia che oggetto cattivo mangi quello buono.
Approdo nella posizione depressiva quando capsico che i due oggetti possono coesistere.
Seno buono e seno cattivo
Secondo la KLEIN).
Stesso meccanismo per chi vive istituzione: essi appggiano in essa che è il contenitore gli
oggetti sociali parziali che in qualche modo riuscirò a prendere oggetto macro istituzionale)

JOSE BLEGER
- Istituzione è parte integrante dell’identità individuale(come la mamma). In essa la persona
trova sicurezza e appartenenza. Il livello di maturazione soggettiva modula il livello di
dipendenza dall’istituzione. L’istituzione si fa deposito sincretico della personalità
- Il dinamismo e il conflitto sono connaturati all’istituzione e la patologia non sta all’assenza
del conflitto ma la sua negazione o mancanza di strumenti per gestirlo. La maggior difesa è
la stereotipia che ne impedisce il movimento.
Il conflitto è inevitabile e non va evitato.
Se c’è stereotipia non avviene dinamismo e conflitto.

Sempre Bleger dice


“ne consegue quindi che dinamizzare l’organizzazione significa rimettere in circolo quelle ansie
psicotiche che si depositano sul setting,” – sull’istituzione vengono depositate le parti psicotiche di
coloro che le abitano. (cfr Reverie di Bion)
le istituzioni tendono ad adottare la stessa struttura dei problemi che devono affrontare. Allo
stesso modo in cui gli individui manifestano sul corpo ciò che non può essere elaborato nella
mente.

KAES
L’inconscio nasce negli spazi psichici del legame.
L’individuo come soggetto diventa un soggetto del gruppo e l’inconscio non è più una realtà
intrapsichica ma intersoggettiva ovvero è collocata negli spazi psichici del legami.
L’apparato psichico gruppale è alimentato dal bisogno di supporto narcisistico (contenimento e
protezione dell’ignoto) e è mosso da ciò che si chiama negativo ovvero la differenza tra quello che
il soggetto cerca e quello che il gruppo può dargli.

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Kaes parla di fantasmi originari come struttura gruppale verso cui l’individuo tende. Questa
organizzazione strutturale è inconscia ed è uno dei fondamenti della realtà psichica del legame
intersoggettivo. (fantasmi originari sono fantasmi su cui si basa tutta la famiglia, che è istituzione,
sono cose non elaborate che saltano da gruppo famiglia all’altro, dove tutti stanno dentro,
materiale non sottoposto a Reverie, a livello gruppale. Quindi la Reverie che fa la mamma, deve
tenere conto della sua reverie che la sua mamma ha fatto o non ha fatto con lei, rigiurdata il
grippo. A livello terapeutico questi fantasmi ).
La tendenza connaturata al legame è primaria perché si radica nei fantasmi originari della nascita
nel gruppo familiare ma rimane negativamente connotata dal lavoro dell'intersoggettività inteso
come costo psichico necessario a garantire la soddisfazione pulsionale e il mantenimento delle
difese

Anche istituzioni hanno parte inconscia!

IL METODO DELL’ANALISI ISTITUZIONALE


Definizione: “la psicologia istituzionale s’interessa dunque di quell’insieme di organismi che hanno
un’esistenza fisica concreta e un certo grado di durata in qualche campo o settore specifico
dell’attività o della vita degli uomini per studiare in essi tutti i fenomeni umani che si verificano in
relazione alla struttura, alla dinamica, alle funzioni e agli obiettivi dell’istituzione”.

Le istituzioni vengono viste come sistemi complessi di relazioni in cui manifesto è il


raggiungimento del compito primario, quello per cui istituzione è nata e ha ragione di esistere,
mentre il latente riguarda la funzione implicita dell’istituzione.

TEORIA DEI SISTEMI APERTI

Il concetto chiave di organizzazione come un sistema aiuta a chiarire le la complessa rete di


interdipendenze che tra interno ed esterno e tra individuo gruppi /istituzione /ambiente. L'individuo
il gruppo l'organizzazione possono essere descritti come sistemi delimitati da una membrana
confine che li separa l'un l'altro ma il contempo ne permette gli scambi reciproci operando come
matrice dell'identità dell’individuo, della coesione gruppale, del sentimento di appartenenza
all'organizzazione.
Un sistema è tale per cui se si tocca un elemento del sistema tutte le sue parti ne subiscono le
conseguenze. Il battito delle ali di una farfalla a Roma scatena una tempesta a New York

Un sistema è molto più della somma delle sue parti. In un sistema possiamo distinguere:

- La struttura è l’insieme delle parti che compongono un sistema  rispetto alla sua
struttura il sistema complesso è aperto nel senso che le sue varie parti in teoria possono
essere sempre sostituite.
- L’organizzazione è il sistema di relazioni che definiscono un sistema complesso. Essa
coincide con l’identità del sistema. Rispetto all’organizzazione il sistema è chiuso e i suoi
cambiamenti sono finiti, cioè sono quelli che l’organizzazione stessa consente. Quelli che
vanno oltre determinano la fine del sistema stesso.

1. ORGANIZZAZIONE: Classicamente intesa come luogo della razionalità con funzione di


evitamento del conflitto.

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2. ISTITUZIONE. Dinamica gruppale profonda contrapposta all’aspetto manifesto e razionale
per il quale si fa riferimento all’organizzazione. È la relazione tra le due cose. Una non
cambia Parlo di aspetto conscio e di aspetto inconscio..
o Aspetti consci: cosiddetti “dichiarati”, cartacei o verbali, regolamenti,
organigrammi, progetti, valutazione.
o Aspetti inconsci: il presunto da attraversare per giungere all’effettivo
tanto più sarà lo scarto del conscio e dell’inconscio tanto più istituzione non funziona.
3. GRUPPO: ambito micro-sociale in cui si manifesta concretamente e la possibilità di operare
un cambiamento
Quanto più alto è lo scarto tra il livello dei dichiarati e quello dell’effettivo, tanto maggiore sarà il
grado di sofferenza diffusa e tanto minore la possibilità di perseguire il compito primario.

Ipers-pecializzazione, esalta individuo e dimentica il gruppo. VS troppa confusione, porta a non


divisione dei gruppi.

COSA NON DEVE DIMENTICARE IL CLINICO


- Ogni istituzione ha i suoi obiettivi espliciti e impliciti, cioè contenuti manifesti e latenti
- Il motivo di una consultazione non è mai il vero problema, ma un sintomo di esso
- La sua presenza (come terzo) provoca ansia di diverso tipo e grado
- Il controllo delle resistenze, delle contraddizioni e delle ambiguità fa parte
necessariamente del suo compito
- Ha il compito di esplicitare l’implicito (interpretare)
- Dovrà negoziare tra i propri obiettivi professionali e gli obiettivo dell’istituzione

ANALISI DELLA DOMANDA


È essenziale. Come strumento di lavoro. Si tratta di capire cosa ci sta chiedendo l’organizzazione.
Nella gestione del colloquio è fondamentale effettuare l’analisi della domanda, intesa come
strumento di lavoro, una forma di relazione che si instaura a partire dai primi scambi fra il
professionista e utente. (devo capire chi è l’utente e che cosa chiede)
Si tratta di DECODIFICARE LA DOMANDA DI PRESTAZIONE PROFESSIOANLE CHE VIENE EFFETTUTA
da parte del committente sia nelle sue parti consce che in quelle inconsce.
L’analisi della domanda può esser definita come “analisi dei problemi irrisolti di un’organizzazione”
Gagliardi 1988, 1991.

L’Analisi della domanda è il compito primario dell’intervento.


- strumento: il gruppo che lavora su un compito manifesto che si incrocia a quello latente
- attività: sono di due tipi

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o formazione: specifica modalità di progettazione ed organizzazione dell’intervento
clinico nelle istituzioni allo scopo di favorire “apprendimento dall’esperienza”
o supervisione istituzionale: interventi istituzionali che riguardano accompagnamento
dell’istituzione in passaggi e trasformazioni che se non opportunamente curati,
rischiano di causare troppi lutti e perdite.
Essi non solo sono difficili da assorbire ma possono addirittura vanificare anche quei
cambiamenti che sono necessari alla sopravvivenza del sistema istituzione.
- Setting; va progettato di volta in volta in funzione delle esidenze di realtà proprie del
contesto in cui si iscrive (partecipanti, obiettivi, territorio, luoghi, tempi ecc)
- Ruolo del conduttore/formatore; interpretazione degli emergenti = leggere il latente di
quel determinato gruppo a partire dai segnali (emergenti) messi in atto dal gruppo stesso
(difese, episodi, fenomeni).

ANALISI DELLA DOMANDA E VALUTAZIONE SONO UN TUTT’UNO

UNA GITA AL MUSEO- IL CENTRO DIURNO PER DISABILI – REPORT!


Report dell’incontro con istituzione.
La docente viene contatta per centri diurno per disabili “le componenti dell’equipe sono brave, ma
molto rigide e non fanno supervisione.”
Molto lontano e scomodo per la docente
Ma chiede appuntamento per analizzare la domanda, legge la mission “diffondere cultura di
inclusione e solidarietà”, strumenti indispensabili, vocazioni, volontariato, competenze delle
diverse professionalità, vogliono diventare esempio di integralità e garantire benessere utenti.

Organigramma:
CDA: Consiglio di amministrazione.
Ci sono due comunità residenziali, due centri diurni (9-16), bar.
Lavorano psicologi, educatori, oss, infermieri e fisioterapisti
Ci sono distanze considerevoli per i diversi centri.
Sede centrale ha stessa distanza da altri. Il territorio è montuoso. Pieno di tronanti.
CDD: centro diurno: 8 persone formano equipe.

Perché chiedete supervisione? (colloquio è tra docente Rossetto e quello delle risorse umane)
Risp: da 10 anni c’è rifiuto di fare supervisione, sono teste dure, alcune sono in questo servizio da
10 anni. Figure storiche mandano via i nuovi coordinatori che non durano più di 2 anni.
I coordinatori vengono dall’esterno grazie a dei bandi.
La coordinatrice di ora è in gamba. È lei che ha chiesto supervisione. Chi è del CDA non è

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In che modo utenti vengono inseriti utenti?
Sono privati.
A volte famiglie molto difficile.

CDD QUALI ATTIVITA’ SVOLGONO?


c’è pulmino che f a giro della valle e li prende la mattina. Non si aspetti granché di attività

PROPOSTA: contratto di un anno. Chiede tempo la docente per formulare ipotesi, onorario bo e
poi non pagherebbero loro. Lei è frastornata.
Si sente costretta per stare una situazione scomoda.
E pensa che operatori potrebbero sentirsi cosi

La docente accetta e propone contratto di un anno: 11 incontri da tre ore per tutti i servizi. Poi
chiede se alla fine degli 11 mesi, un incontro con CDA di valutazione. Tutto questo è il setting.
Cooperativa accetta

Pensieri: RISORSE UMANE: si sente impotente. È Demotivante. Non ha controllo né potere. Perché
il tutto è gestito da queste operatrici storiche che sanno le dinamiche e che hanno controllo.
Poi: il focus sembra su professionisti. Non su utente.
Perché accetta? Ci volesse grande distanza (venendo da situazione lontana dai centri disabilità) – si
potrebbe lavorare su vicinanza e distanza.

Solo un incontro al mese di una giornata non è poca? Si.. però è evidente che anche a causa della
distanza, non fosse possibile muovere il paletto.
La docente cambia un po’ le carte in tavola.
Lui stesso, quello delle risorse umane. Si rende vittimizzato perché non può controllare il centro
diurno, perché ci sono operatori storici che dominano e predominano ma al tempo stesso è lui
stesso a controllare sull’altro, facendo in prima battuta: dando lui i prezzi, il setting ecc.. non
facendo fare questo passaggio alla docente che è colei che fornisce il lavoro.
Cose importanti vanno delegate alla figura esterna: coordinatore che chiede supervisione non lui,
soldi che non vuole pagare lui in modo diretto e chiede che ci sia un altro passaggio.
Iniziano a dare obiettivo molto alto (leggendo la mission, appare questo), ma poco di concreto.

Nel quadro sociale: c’è idealizzazione. Coloro che vanno aiutati che fanno tenerezza. È mission
idealizzata e però le attività sono svalutate.
Talvolta senso di repulsione, relativo all’ambito dell’igiene. (quasi schifo),

Quindi CDD – INCONTRO per la prima volta. Accolta da operatrici la docente, stanno facendo
pausa, e sembra un mondo ideale.
Si capisce quali sono le figure storiche da come si muovono negli spazi che trattano il posto come
fossero casa loro. Specialmente le due operatrici più storiche.
Sono anche coloro che vanno incontro alla docente che si chiamano nello stesso modo. Tutti
sorridono, tutti si vogliono bene. Ok.
Quando entra nel CDD la docente, odore di medicinale, disinfettante. Che stona con il quadretto
bucolico del giardino. La docente definisce metodologia di lavoro: lei lavorerà in setting di GRUPPO
OPERATIVO.
L’Incontro è così suddiviso:
- Ognuno decida di portare in gruppo un caso (con un pz, con utente, con collega ecc)

70
- Lei lavora da sola 40 min con la persona che porta il caso. Il gruppo si silenzia e ascolta
(=questo è metodo di lavoro)
- Poi al gruppo viene chiesto “ditemi tutto ciò che vi viene in mente” LAVORARE in assetto
gruppale- (solitamente, una delle due operatrici storiche, vomita la sua versione del caso.
Aspettasse allo start per poter andare). Coordinatrice al contrario non apre e conclude
incontri, in nessun modo contribuisce in modo attivo, è abbastanza marginale.
Si sta tanto sul livello del pensiero e poco sull’emotivo. (per i primi 5 incontri il racconto è
relativo ai casi, mamme o famiglie o rapporto con CDA). Non utenti.
(per es: mamma dell’Ale, pensa che non vengano usate giuste pratiche, che cibo non è
tritato ecce cc, mamma che si lamenta del lavoro di CDD) operatrice che porta il caso
dice “eppure io oggi ero felice, ho fatto con ale lavoro su percezione sensoriale, ad
accarezzare una superficie, per un’ora. Poi ho cambiato superficie e ho passato un’altra
ora. Lui era contenta perché ha cercato di stringermi la mano.”
alla docente questo è pesante e dice “certo che deve esser proprio difficle lavorare con la
morte. Chissà se ne siete consapevoli che state lavorando sulla morte”
(di che morte sta parlando?) – persone vive che mettono in atto solo parziale, che c’è parte
morta. Significa che devono essere orgogliose di saper lavorare con persone vive che però
hanno morte psichica, simbolica. È possibilità per fare interpretazione, dire una cosa in
maniera molto forte.
Si attiva il controtransfert. La docente sente il mal di stomaco.
C’è mancanza a entrare in contatto con emotività . si sta sul cognitivo.

Nel CDD tutti si vogliono bene, non c’è conflitto. I cattivi sono sempre fuori dal CDD: sono le
famiglie, sono i supervisori, è il CDA. Ecc.
Il mese successivo a questo intervento, succede che prima di inziiare il corso, prima che parta il
gruppo una delle due operatrici storiche si rivolge alla coordinatrice “perché scrive?” – silenzio, lei
cerca delle giustificazioni, mette via il taccuino.. e dice che è abituata così-
Rossetto cerca di indagare ma c’è silenzio. Non verbalizzazione. Ci deve essere stato un non detto
importante.
Dopo quell’incontro: il coordinatore chiama la Rossetto: che è quella che scrive e le dice che si
licenzia. E la docente le dice “viene al prossimo incontro?” – visto che è ancora nell’incontro
successivo il suo contratto e riesce a convincerla a venire.
In questo incontro C’è del verbalizzato, in maniera autentica. Si parte dal fatto che mi licenzio per
mio figlio piccolo che voglio seguire, poi si dice non sto benissimo.
Un’altra operatrice dice “ a me piacerebbe candidarmi nuova coordinatrice” . succede che
dall’interno del gruppo qualcuno si propone ed era colei che parlava di Alessandro. Di solito il
coordinatore veniva eletto dall’esterno e secondo bandi. Questo è importante in termini di
dentro/fuori.
Dall’interno è stata mossa una risorsa per assumere condizione scomoda. È un andare contro a
quel dire si è sempre fatto così. Stereotipia alla lunga ammala la situazione (Blegere).
Il fatto che ci sia una rottura nella dinamica sembra passaggio vivificante. È un movimento
azzardato.
I coordinatori vengono fatti fuori.
In teoria deve essere successo qualcosa del tipo, piuttosto che uno esterno è meglio che si candidi
uno interno. Questa che si propone è uscita dall’assunto di base di dipendenza
Questo da vita al movimento. Le due anziane non vanno contro la candidatura anzi la accettano e
opetrice diventa coordinatrice. Si vuole rimanere in quello

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La accettano anche perché da fuori noi dobbiamo dare immagine perfetta, non ci devono essere
conflitti ecc (idealizzazione interna). (va detto, voi fate cose essenziali, siete brave, voi tollerate di
stare un’ora in silenzio con Ale, per un movimento della mano e quindi le vostre attività non sono
banali):
Ma questo è avvenuto in modo inconscio partendo dal fatto che si è potuto confliggere e questo
ha mosso un movimento. Un cambiamento di quello che è sempre stato. Un’uscita dalla
stereotipia.

Negli incontri successivi: ci si comincia a confliggere. Perché ci sono delle scatole sensoriali che una
delle due operatrici storiche aveva custodito in modo maniacale, che dovevano essere usate e
riposte in un certo modo. Assoluto rigore di queste scatole.
Un’operatrice si dimentica una scatola e usano l’incontro per confliggere e da lì emergono le cose
che non si erano mai potute dire.
Che c’era lato creativo del gruppo tarpato, che il pensiero di qualcuno prevaricava ecc..
Succede che le due vecchie operatrici erano le educatrici di riferimento dello stesso utente da 20
anni. Quando lei ha chiesto come mai? Sbottano. C’era qualcosa di indicibile, perché erano
argomenti di cui non si può parlare.
In un altro incontro: operatrice dirà che abbandona il suo utente di riferimento. Una delle due
anziane. Questo è un cambiamento molto importante. Si era potuto pensare che se utente fosse
stato abbandonata dall’operatore di riferimento non succedeva nulla e poteva essere una chance
per utente.
Questo ha si di costruire un progetto molto bello: stanza multisensoriale. Premiati anche. Questo è
risultato di potenziale cambiamento. = GENERATIVITA’
Una volta avviato il progetto: CDA dice che supervisione non può più essere finanziata e quindi il
progetto si ferma.
La Rossetto dice sarebbe meglio che supervisione fosse fatta da CDA. Non solo operatori Del CDD:
ma importante il CDA.

Lezione ultima: parliamo di sogni. Anche in merito al social dreaming che abbiamo svolto in aula
l’ultima lezione.
WE HAVE A DREAM
Preconscio-sogno-gruppo.
Sogni articolati nella dimensione gruppale. Affinché il pensiero possa emergere nel gruppo, non è
necessario aspetto razionale ma RELAZIONALE.

Abbiamo visto che affinché il pensiero possa emergere nel gruppo terapeutico, non è sufficiente che
questo abbia un assetto razionale (Gruppo di Lavoro), ma è necessario che il gruppo abbia anche
un assetto relazionale. Non vi è relazione senza affetti. Non vi è pensiero senza relazioni.
Il gruppo non è un oggetto  Il gruppo è un soggetto collettivo capace di pensiero e di
elaborazione, che non esiste a priori, ma che si crea quando i i membri del gruppo iniziano ad avere
una consapevolezza di se stessi in quanto gruppo, in quanto «comunità dei fratelli».

Come avviene passaggio da pensieri e fantasie dei singoli a creazione di situazione collettiva?

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Sulla funzione di pensiero del gruppo si insatura la sua funzione analitica. Dal punto di vista
psicoanalitico, il gruppo capace di pensiero è un gruppo capace di pensiero sognante, è un gruppo
capace di elaborare, di operare trasformazione tra ideazione ed emozione.

Le catene associative gruppali, attivare e organizzate dalla funzione gamma del gruppo
(corrispettiva di funzione alfa della mamma nella relazione primaria), costituiscono le prime,
originarie tappe evolutive del pensiero di gruppo, poiché attivano e facilitano la creazione di
legami e connessioni tra i contenuto nella mente individuale e della della mente gruppale, ne
consentono l’esperienza consapevole, ma anche la loro rielaborazione e trasformazione evolutiva
nell’attualizzarsi del lavoro di gruppo, e si sviluppano anche a vantaggio dei processi di
differenziazione e individuazione dei singoli.

Le caratteristiche del PENSIERO DI GRUPPO.


Il pensiero de gruppo ha alcune caratteristiche particolari:
1. la prima ha a che fare con la possibilità di poter far coesistere più verità senza che alcuno
prevalgano sulle altre, (non c’è unica verità all’interno del gruppo ma possono coesistere
più verità e/e, ovvero ottica della complessità)
2. la seconda ha a che fare con il piano esperienziale e cioè la capacità mimetica ovvero la
capacità di gruppo di rendere presente ciò di cui i membri stanno parlando: ad esempio
non basta parlare di sessualità ma nel campo del gruppo devono essere presenti pulsioni e
sentimenti, questo non vuol dire che si fa sesso in gruppo ma che si sentono le puslioni (nel
social dreaming nostro è iniziato con un sogno di angoscia, il parto raccontato da
Alessandra .. che sentimenti circolavano? Si sentiva angoscia nel gruppo)
(= esperienza che facciamo noi in gruppo, mi riattiva esperienze che sono arcaiche e che
sono nel pre-cosncio, a livello personale, della storia del soggetto: questo passaggio da
personale a gruppale è il MOVIMENTO A SPIRALE. Questo permette di fare oscillazione tra
vecchio e nuovo, tra attuale e antico e tra consncio e incosncio e permette all’inconcsio di
rendersi palese. Questo è un gioco continuo che nel gruppo avviene. Aspetti non pensabili
diventano pensabili.)

o mimesi: da greco imitazione, riproduzione


o essere immersi nel campo gruppale stimola la creatività, oggetto di pertinenza del
preconscio.

IL PRECONSCIO:
sistema dell’apparato psichico nel quale si effettuano i processi di trasformazione alcuni contenuti
e processi inconsci perché possano arrivare alla coscienza.
A questo sistema è legata la capacità associativa, figurativa, interpretativa della psiche. (è l’area a
cui appartiene area del gioco, a cui appartengono i sogni..)
L’area del preconscio è enzima effettivo che attiva inconscio. È importante indagarla nella terapia.

È un sistema che affonda la sua origine nella primitiva area relazionale madre-infante dove la
madre “preconsciamente” appunto tramite la funzione alfa, riesce a dare accoglimento e
pensabilità alle diverse tensioni emergenti nell’infante.

Corrao dice che nel gruppo avvien la stessa funzione della funzione alfa, che sia chiama funzione
gamma. Alla funzione gamma si attribuisce la capacità di eseguire operazioni trasformative,

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analoghe a quelle rese possibili dalla funzione alfa. IL GRUPPO HA FUNZIONA ELABORATIVA E
TRASFROMATIVA.

Citazione di KAES, 1998


«La formazione e l’attività del preconscio ha per condizione di essere inscritta nell’intersoggettività.
Nei processi associativi e specialmente nelle sue modalità gruppali, l’attività del preconscio di un
soggetto si attiva o si inibisce al contatto dell’attività psichica preconscia dell’altro: come nei primi
tempi di differenziazione dell’apparato psichico, la formazione del preconscio è tributaria dell’altro,
essenzialmente nella sua attività di rappresentazione di parole indirizzate ad un altro. Questa
funzione è primitivamente sostenuta dalla madre che si costituisce come portaparola di fronte alle
stimolazioni interne ed esterne dell’infante: in questo modo e su questo modello la formazione del
preconscio è fondamentalmente legata all’intersoggettività».

quindi nessuna trasformazione psichica può attivarsi se non in aree di confine del nostro mondo
interno, è confine tra antico e nuovo. Niente può attivarsi solamente attivando aspetto relazionale
e conscio.

perché GRUPPO ATTIVA PRECONSCIO PORTANDO A STIMPLARE LE Capacità CRATIVE DI OGNI


MEMBRO, TERAPEUTA COMPRESO E DEL GRUPPO TUTTO?

Ecco alcuni pensieri in aula.


 importanza nel gruppo di risonanza, passaggio da inconscio a sfera emotiva, qualcosa che sento
emotivamente in men, che però sta avvenendo nell’altro può risvegliare qualcosa in me.
Attivandomi qualcosa dentro di me, io posso verbalizzare all’interno nel gruppo,.
Qualcosa che è nel preconscio e che non ha ancora trovato possibilità di esprimersi.
 rimando a esperienze gruppali con figure originarie, attiva le nostre dinamiche gruppali interne.
L’aspetto relazionale che insito in ognuno di noi,

QUINDI: l’essere immersi in un campo gruppale attiva le nostre gruppalità interna, lasciare spazio a
preconscio che solitamente è area spenta, non diamo spazio a vita preconscia. E anche è vero
l’aspetto relativo alla risonanza.

Certamente Nel gruppo dello spazio e del tempo a spirale (=far esperienza di qualcosa che è attivo
nel gruppo e che permette riattivazione di esperienze antiche del soggetto) permetter i cogliere la
profonda continuità tra ciò che è più profondo e ciò che è più in superficie fra ciò che è arcaico e
ciò che è attuale e questo apre nuovi orizzonti alla creatività.
Il libero fluire del moto a spirale che è gioco fra pre-conscio e coscienza che nel gruppo si esplicita
ad esempio nella catena associativa (associazioni nel pensiero di gruppo), amplia la mente e la sua
possibilità di sognare (non solo ad occhi chiusi…), e dà origine al cambiamento.
CATENA ASSOCIATIVA ELEMENTOE SSENZIALE DEL PESNIERO DI GRUPPO .
Essa apre nuovi orizzonti alla mente e dà origine al cambiamento. Cambiamento che sta anche nel
rendere pensabili cose non pensabili, perché contenute nell’inconscio.

La catena associativa, le associazioni costituiscono un elemento fondamentale del pensare di


gruppo, infatti da essa dipende al possibilità che gli aspetti non pensabili, possono prendere forma
e divenire pensabili generando pensieri nuovi. Infatti attraverso lo stare in gruppo, il pensare
insieme può accadere che i vissuti del singolo pensati come irrisolvibili possano stemperarsi e
trovare soluzioni, non solo grazie al terapeuta ma anche grazie al contributo di tutti i componenti
del gruppo.

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Possono fungere da co-terapeuti.
Il gruppo stimola il cambiamento !!
(es hikikomori..)
il nuovo, il cambiamento suscita resistenze dei soggetti, rigidità di pensiero, tutti abbiamo paura di
cambiare.. noi dobbiamo pensare che maggior parte dei pz è caratterizzata da matrice satura che
ostacola il processo trasformativo. (HK matrice satura che impedisce soggettivazione) – il pensiero
creativo è bloccato, per restare bloccato nelle dinamiche familiari. Da un lato c’è desiderio di
uscire da una matrice familiare che è satura, dall’altra c’ paura a farlo. Se si soggettivano, cade il
patto di lealtà. Accorgersi di poter cambiare, per poter perdere equilibrio, può stimolare angoscia.
Infatti questo è motivo per cui nel gruppo si attiva angoscia nei lavori a gruppo.

Quanto più il gruppo sarà trasformativo per l’individuo e/o per il gruppo stesso, tanto più si avranno
resistenze per paura di dover abbandonare matrice familiare e il ricorso a difese consolidatesi nella
storia del singolo e del gruppo tutto.

Accorgersi di poter cambiare (HK) proprio per il fatto di perdere un equilibrio disfunzionale ma
acquisito può stimolare un certo livello di angoscia. In questi momenti che la coazione a ripetere
(del singolo o del gruppo) rischia di attivarsi e rischia di attivarsi assunto di base allor si proietta il
già noto, si rischia di proiettare le aspettative genitoriali sul terapeuta e/o sul gruppo e si rischia di
tornare alla compiacenza mortifera e/ all’inautenticità che è tipico di coloro che hanno falso sé e
questo imprigiona la creatività, impendendo l’attivarsi dell’area preconscia.
(= motivo per cui il gruppo a volte è disturbante).
“ogni cosa buona è stata cattiva in quanto nuova” (Nietsche-Umano troppo umano)

Anche il nostro social dreaming ha stimolato livello di angoscia perché probabilmente si è


verificato qualche piccolo cambiamento che ha mosso qualcosa di inconscio.

Ma è proprio il continuo sperimentare di queste oscillazioni del movimento a spirale che si genera
il cambiamento e che il processo del gruppo diviene terapeutico: l’esperienza rende possibile una
elaborazione profonda e trasformativa. GRAZIE AL PROCESSO A SPIRALE SI ARRIVA ALLA
TRASFORMAZIONE, SOLO GRAZIE ALL’ESPERIENZA.

(scopo: continuare a viver oscillazioni, essere consapevoli di esse e accogliere anche resistenze
inconsce. Quando si attiva oscillazione siamo già in fase terapeutica. Se ci areniamo all’assunto di
base tutto si arresta. Ma il dipanarsi e l’elaborazione dell’assunto di base, scioglimento di assunto
di base per passare a gruppo di lavoro. Questo movimento tra assetto di lavoro e assunto di base
è il lavoro terapeutico.
(anche in terapia individuale,, più si procede, più si va nel fondo, più si attivano le resistenze,
proprio nello scioglimento delle resistenze avviene il lavoro terapeutico..)

nel social dreaming momenti di questo tipo si sono verificati nel passaggio:
- da momento di lavoro associativo, di preconscio
- a momenti di razionalizzazione, di difesa, di non lavoro. A volte richiamare la docente ha
dovuto richiamare al compito il gruppo che talvolta si discostava dalla consegna.
Per poi ritornare a momenti associativi e cadere in un altro assunto di base..
(“ogni volta che i motori si accendono poi si spengono”)

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Un’altra area di trasformazione e che attiva il preconscio è l’area del SOGNO:
IL SOGNO
Nel setting di gruppo il lavoro con i sogni non è affidato unicamente al tr ma rientra nel lavoro
svolto dal pensiero del gruppo. (nel momento in cui un pz in gruppo racconta un sogno è che altri
elelmenti del gruppo associno sul sogno del pz 1). Questo spesso prende forma in catene di
associazione che coinvolgono tutti i membri. I sogni di un memrbo diventano sogni di tutti
 I sogni in gruppo non vengono dotati di un solo significato, ma di molti significati: quelli
che corrispondono al punto di vista ed al modo di risuonare delle persone presenti.
 I sogni del gruppo esprimono contemporaneamente sia l’universo del gruppo che quello
personale: le due componenti «personale» e «gruppale» sono presenti in ogni sogno con
prevalenze diverse.

(associazioni non solo con la propria esperienza ma anche con associazione con altri sogni,. Il
sogno di un membro diventa un sogno condiviso.)

nel setting tradizionale, duale, il pz porta un sogno e si attiva un processo di associazione (cosa le
fa venire in mente, cosa le suscita ecc)
nel gruppo questo è diverso perché il sogno non viene cosi analizzato nel singolo ma si lavora in
molti significati che sono quello che risuona alle persone presenti. I sogni raccontati in gruppo si
differenziano per un’altra questione da quelli detti singolarmente perché rappresentano sia
l’universo del soggetto e sia l’universo del gruppo.
(sogno di Marco. Nel social dreaming: lui in stazione che sente i bombardamenti e però gli amici
vogliono far e la festa: viene raccontato sia il vissuto soggettivo di Marco, il sognatore (la sua
angoscia) e anche il desiderio del gruppo: “la sua volontà di uscire dal gruppo che bombardava e
scappare, e generare vissuti di angoscia più inconsci che consci di marco che era quell’angoscia che
si viveva nel gruppo. Angoscia=bombardamenti.
Il sogno raccontato mi dà temperatura di quello che sta accadendo in gruppo: ma io posso
chiedermi “Lui non ha sognato ora, però riporta in gruppo quel sogno e questa è un’attivazione
preconscia..”
Ma lo ha raccontato in gruppo che è una scatola che amplifica il concetto, non è la stessa cosa che
raccontarlo in un gruppo di amici.

Il sogno di Angelica: riprende molto angoscia del gruppo. Che si attiva nel gruppo. Che era
presente nel gruppo.
Il sogno di apertura di Alessandra: desiderio del nascituro. È quello che è accaduto nel social
dreaming. Di cui non sappiamo l’esito è effettivamente il del gruppo, di quello che è accaduto nel
social dreaming.
Il fatto che Alessandra non fosse badata, rimanda timore che conduttore non fosse accogliente nei
confronti del gruppo. E così è stato. È stato fatto fuori più volte il conduttore.

I membri del gruppo spesso comunicano pensieri, emozioni e fantasie raccontando i loro sogni: è
un tipo di comunicazione efficace anche quando il racconto del sogno non porta ad alcuna
interpretazione, perché il sogno agisce come un enzima che provoca un’accelerazione della catena
associativa e del pensiero di gruppo.

NEL GRUPPO
1. il sogno del gruppo non riguarda nolo il sognatore: ogni sogno raccontato non appartiene
più solo al sognatore..

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2. al lavoro dell’interpretazione in gruppo si aggiunge quello di amplificazione. Gli altri
partecipanti portano associazioni e racconti di nuovi ogni: il sogno viene dotato di molti
significati che corrispondono al modo di risuonare di ogni persona che è intervenuta nel
discorso.
(ponte libertà che cade: interpretazione sono state varie e questo aiuta il sognatore ad
avere pensieri poliedrico in merito, più punti di vista.)

I sogni del gruppo si parlano tra di loro e evocano ricordi, piacevoli e non, vicende quotidiane, libri,
canzoni, frasi (tutto ha a a che far con il preconscio). Questo stare in gruppo stimola stato mentale
di reverie. Costante reverie.
Questo mio sogno viene rimbalzato nelle menti del gruppo, quando racconto il sogno. È un
enorme reverie.
Quindi il setting gruppale è opportuno affiancare al termine interpretazione quello di “donazione
di senso”. I sogni più che essere significati, aprono a nuovi pensieri nascenti in un processo
continuo.
Pensieri che rispecchiano la condivisione di paure, angosce, terrori, speranze, progetti vitali in una
dimensione di significati generata dall’incontro fra sogni e associazioni, nell’contro tra menti
diverse che suonano assieme anche se sono tra loro dissonanti. Verità diverse contrastanti tra loro
permette apertura a nuove interpretazioni.

(spazio di pensiero transizionale di Winnicot  oggetto transizionale di cui parla Winnicot )

Ma cos’è l’oggetto transizionale?: esso sostituisce seno della mamma. Permette al bambino di fare
esperienza dell’intrapsichico e anche dell’esterno, favorisce questa divisione.
È un oggetto di transizione che permette al bambino di passare da dipendenza a indipendenza e
permette di separarsi dal corro della mamma avendone rappresentazione non conscia. Essa è
qualcosa che le permette di avere vicino la mamma senza la mamma fisicamente. Pian piano,
procedendo verso autonomia, il b abbandonerà oggetto transizionale.

Quell’oggetto è come se fosse la mamma – questo ha molto a che fare con possibilità del bambino
di creare attraverso oggetto, la relazione con la mamma, di presentfiicarla dentro si sé. Attraverso
oggetto concreto, questo avviene con il gioco, si raggiunge uno step successivo: spesso i bambini
ricreano la situazione che loro vivono a casa (gioco della famiglia), tras-posizionano lì qualcosa.

Il gruppo in qualche modo è un pò come oggetto transizionale in questo senso; facilita un


passaggio: spazio transizionale di Winnicot, si sperimentano cose “come se”. Hanno a che fare con
cose antiche ma anche con il qui ed ora. (Infatti nel gruppo si presentano sia dinamiche attuali che
parti arcaiche che ogni soggetto porta).
(“Gioco e realtà” di Winnicot)  si vede che con il gioco si attiva are preconscia e anche da adulti
deve restare attivo il gioco, il rimare creativi è fondamentale.

Ciò che è più importante del prodotto del sogno (i significati che non sono mai assoluti) è il
processo per arrivare alla gamma di significati possibili. Questo atto di creatività è il segno
caratteristico del lavoro del gruppo che incoraggia il processo di dare un senso alla esperienze.
Dunque sognare per comprendere e per imparare a pensare in modo creativo.

Dei sogni possiamo fare USO INFORMATIVO O uso FORMATIVO DEI SOGNI:

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INFORMATIVO:
è composto da due livelli:
1. il primo livello di informazione è quello sulla struttura del sogno: il sogno può essere
considerato come la mesa in scena dell’apparato psichico del sognatore, indicandoci
degli importanti elementi diagnostici sul sè. (questo è quello che succede in terapia
individuale)
Il sogno dà senso della temperatura del livello intrapsichico di quella persona (se una
persona fa sempre sogni angosciosi? Mi dirà qualcosa di quel soggetto..)
2. il secondo livello è sui CONTENUTI del sogno. Il sogno è considerato come un testo, con
i suoi contenuto manifesti e latenti.
Negli approcci informativi possiamo includere Freud, Klien ferenczi, Jung e Bione cc
Questo livello di lavoro sui sogni non si fa nei gruppi perché ci si concentrerebbe troppo sul
singolo, perdendo la sfera gruppale. È invece tipica del lavoro individuale.

FORMATIVO è quello che accade nel gruppo. Come accade nel social dreaming,
Si avvale di una modalità non interpretativa e considera la scena del sogno come espressione della
dimensione emotiva dello stare in gruppo in quel momento.
L’USO formativo rimane ancora ancorato al livello manifesto permettendo che nel gruppo si
stabilisca uno spazio in cui tutti possano GIOCARE con il sogno.
Parlare, fantasticare, reagire con umori diverse e mettono in comune aspetti diversi attraverso i
propri pensieri e vissuti.
In questo spazio si tratta di introiettare la storia del sogno e di elaborarne le proiezioni vivendole
piuttosto che di approfondire e interpretarle. È in questo modo che il sogno farà iniziare il
movimento emotivo del gruppo.  movimento a spirale nel gruppo.. eccolo qui.

Per valutare la STRUTTURA DEL SOGNO non serve andare a interpretare il contenuto, ma se una
persona porta sempre sogni di angoscia capiamo che la temperatura è quella e quindi non serve
interpretazione (classica) se il mio scopo è capire la temperatura interna del soggetto, il suo
psichico.

Nel SOCIAL DREAMING la matrice fornisce un luogo dove possono crescere delle cose ma anche il
luogo dove «...possono crescere delle cose...», ma anche il luogo dove la natura dei sogni può essere
esplorata come una funzione dei cambiamenti esterni - interni., come i sogni, cioè, si comportano
nei periodi di traumatizzazione e crisi sociale.

QUADRO DI MAGRITT: IL FALSO SPECCHIO. Al moma di new york. Proviamo a fare varie
interpretazioni:
- (il mondo dentro di noi non corrisponde al mondo esterno).
- Ognuno percepisce diversamente la realtà.
- Nell’associazione ci basiamo su interpretazioni, associazioni nel gruppo.

Cerchiamo di cogliere questo qualcosa che sta dentro all’altro , ma è quello che sta fuori (ovvero il
cielo).
Il contesto individuale sia gruppale - Inteso in una gruppalità

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Associazione: simpson anticipando la società e rispecchiano la società. Rimanda per qualcuno a
sigla dei simpson. Per altri Dinamica interno/esterno. Dentro e fuori ecc..

Social Dreaming del 11.04.22 Restituzione


Osservazione Conduttore: prof.ssa Giovanna Borsetto Osservatore: Dott.ssa Alessandra Mozzon
che scrive il report.

Chiudo gli occhi e in un attimo sono di nuovo lì: c’è una stanza, c’è un gruppo, aspettiamo dei
sogni. La matrice comincia con un travaglio, dolorosissimo e angosciante, in una stanza buia dove
nessuno presta attenzione. Anche noi siamo in una stanza, semi-buia con qualche spiraglio di luce; è
la prima volta che questo gruppo si incontra dal vivo tutto intero (almeno per questo corso) ma
anche che si affaccia ad un’esperienza di Social Dreaming: sarà un travaglio dolorosissimo? Nel
sogno il bambino non nasce e non si sa di che sesso sia, è tutto in potenza, tutta potenzialità, tutta
incertezza. Subito dopo arriva un altro sogno, nel quale c’è un bombardamento da cui scappare; c’è
qualcuno che scappa e qualcuno che fa festa, emerge una domanda forte: dove stiamo andando? Il
torrente del terzo sogno travolge e fa sentire impotenti, qualcuno nomina il controllo e la sofferenza,
“non siamo immuni” alle cose che fanno paura. Nel tentativo di trovare qualcosa che protegga
arriva l’immagine del bunker, ci siamo dentro ma c’è anche qualcosa dentro da nascondere, da
tenere per sé, che viene messo in pericolo nel quarto sogno, nel quale ci sono dei ladri che portano
via e che tengono in ostaggio. Si sente tanta angoscia girare nel gruppo, qualcuno associa i vissuti ai
petardi – di festa o di guerra? – sono bombe emotive che portano a fare i conti con ciò che è
imprevedibile e fuori controllo. Questo crea paura e angoscia così forti da spostare il pensiero del
gruppo su un piano razionale e interpretativo, dove si sente forte il bisogno di spiegare quello che
sta succedendo forse per sentire un po’ meno. Dall’impotenza ci si sposta sull’onnipotenza, sembra
prendere forma un aspetto performante, un’aspettativa di saper fare che non permette di sognare e di
far emergere l’inconscio: rabbia, sofferenza, sguardo. Ma chi è che ci guarda? Quello degli altri, che
poi siamo noi, sembra uno sguardo ricercato ma non voluto, che si chiede se davvero ci si può
lasciar andare per generare, un bambino o un sogno, se ci si può fidare. Un partecipante lancia la
bomba, vorrebbe uscire, stare qui è faticoso: sembra che si possa uscire dallo stallo solo lanciando
bombe, che sia l’unico modo per separarsi. Poco dopo mi sento sollevata, “c’è qualcuno in mezzo
ad un gruppo che cerca di dire la sua ma non riesce a parlare”, il quinto sogno sembra parlare
dell’inconscio, che finora si poteva esprimere solo nel far sentire freddo e caldo allo stesso tempo,
insieme ad una improvvisa voglia di correre. Qualcosa è ripartito e arriva il sesto sogno: la
conduttrice sta arrivando da Venezia e crolla il Ponte della Libertà; qualcuno preoccupato si chiede
se il gruppo stia crollando, qualcuno si immagina che la conduttrice muoia, qualcun altro cita la
vertigine come voglia di volare. Ma cosa siamo disposti a perdere, per volare? Il gruppo sembra non
riuscire a togliersi il preservativo, il desiderio si alterna all’angoscia e fa emergere una sensazione di
pericolo, a volte cercato come nel settimo sogno. Qualcuno si chiede se questo sia un film horror o
un film porno e d’istinto penso: “un po’ tutti e due”. Da qui si comincia ad associare, sembra che si
stia prendendo il volo dicendosi che si può provare il pericolo ma in modo controllato: forse il
controllo lo dà proprio il setting, perché sulle ultime associazioni, libere, si conclude il tempo della
prima sessione. La parte silenziosa del gruppo apre la seconda sessione: sembra necessario mettere
il silenziatore affinché ci sia spazio per tutti. Mi colpisce come il dolore del travaglio venga
associato ad un dolore di stomaco ma anche ad una pesantezza piacevole: mi fa pensare al pranzo di
Natale che fa sentire pieni e anche scomodi, dove ci sono cose che ancora non sono state digerite e
bisogna fare i conti col tempo che questo processo richiede. Emerge anche la paura di esporsi e di
essere attaccati, non si vorrebbe essere nei panni di chi lancia le bombe e “si prende la briga” di
aprire il conflitto. A poco sembra servire sapere che non è il singolo che parla per sé ma che assume
un ruolo nel gruppo, perché molti portano la sensazione di essersi esposti nel personale, anche
troppo, e ora si sente l’esigenza di difendersi, spiegando. Ci si muove tra le polarità, il gruppo

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riflette i conflitti del singolo ma anche della società, qualcuno ricorda che si chiama social
dreaming. E allora su questa scia lascio andare liberi i miei pensieri sul perché sia così difficile
associare e penso che si stia cercando di uscire da due anni di pandemia, durante i quali la
mancanza di contatto è stata la clausola che poteva limitare la paura del contagio, della malattia. Mi
chiedo se oggi non si stia parlando anche della paura di un contagio emotivo, nel quale le cose
dell’altro diventano anche proprie e si sentono, senza riuscire a proteggersi e a mettere un confine:
non è più un contatto, qualcosa di delicato, rispettoso e voluto, ma diventa qualcosa di violento che
irrompe, come le bombe, a rovinare la festa.2 L’incertezza delle associazioni e dei sogni diventa
quasi intollerabile perché ciò che non può essere controllato arriva e non si sa quali conseguenze
potrebbe avere. La necessità di spiegarsi tutto e di sapere tutto, forcludendo l’autorità – la
conduttrice – assomiglia molto al dibattito che avviene sui social network, dove l’esperto viene
messo da parte perché si sa già tutto leggendo su internet. Sempre di social si parla e qui il gruppo
lo sta mettendo in scena. L’unico modo in cui l’autorità può essere accettata è come totem, se
muore, o come istanza autoritaria, superegoica, che dica cosa fare e come stare. Insieme alla
matrice della guerra, sembra quindi emergere una matrice legata alla pandemia e alle tracce,
profondamente inconsce, che ha lasciato in ciascuno. Forse non potersi togliere il preservativo,
come non ci si può togliere la mascherina, diventa il prezzo da pagare per essere qui a fare
un’esperienza, accettando di portare a casa qualcosa di filtrato e allo stesso tempo poco digerito. È
materiale vivo: entusiasmante e nuovo, ma anche sporco e imperfetto; il gruppo si muove su diverse
posizioni, c’è chi osserva dalla punta dell’iceberg e chi ha messo occhiali e muta e prova a scendere
un po’. Qualche pensiero si spegne davanti al cambiamento, arriva la noia ma anche la difficoltà di
tollerare che qualcosa di proprio venga lasciato andare e diventi qualcosa del gruppo. Il conflitto
che emerge dal gruppo però non riesce a girare, viene messa in scena una partita di tennis tra due
giocatori: c’è aggressività ma anche confusione, forse serve una rete che separi e protegga, ma
anche che delimiti. Mi sembra di essere in un frullatore, sento il desiderio di estraniarmi e mi chiedo
se sia qualcosa che riguarda anche gli spettatori del gruppo, chi parla meno e osserva ciò che
accade. È angosciante stare su quello che c’è, qualcuno nomina il protomentale e mi fa pensare a
Bion e alla necessità di fare esperienza per apprendere; qui si fa esperienza di qualcosa di gruppale,
di un gruppo che riproduce delle dinamiche proprie ma anche della società, di qualcosa che è vita
ma è anche travaglio perché l’esperienza, affinché si possa ap-prendere, va attraversata. Se ne esce
trasformati in ogni caso, in un cambiamento che per essere tale accende il conflitto non solo fuori
ma anche dentro di sé. Arriva infine l’immagine delle montagne russe: questa esperienza ha
rimescolato un po’ di cose dentro e lascia il gruppo in bilico tra il desiderio di trattenere e il bisogno
di vomitare. Penso però che solo dalla confusione, che genera ambivalenza e incertezza, si possa
creare: poco importa adesso che sia maschio o femmina, il gruppo ha lavorato e ha fatto nascere
qualcosa.

PENSIERI:
con il report è stato dato senso a quegli input che erano stati lasciati così. Dare senso a quello che
abbiamo fatto. Noi abbiamo fatto matrice “one shot” ovvero una sola seduta.
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bisogno di empatia, di rtornp all’empatia. Senza farsi troppo coinvolgere. Born out.
O mi faccio prendere troppo oppure polo opposto, me ne frego. È importante trovare giusta via di mezzo.
Contato con altro è diventato pericoloso, a partire da contagio malattia, per passare a contagioo emotivo.
Recuperare relazione che non ci spaventi.
Siamo stati immersi in un grande trauma collettivo.
Ci vorranno tempi lunghi affinché psiche possa digerire questi trauma (covid e guerra).
In aula: sempre pochi studenti, come se si fosse perso aspetto che stare fisicamente insieme genera altri pensier ed
altri vissuti.
Fare online non è la stessa cosa.
Cosa ci perdiamo di esperienza online che invece offline viviamo?

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Noia: permette di andare incontro il cambiamento. Paradossalmente.
Metto schermo, metto muro e crea noia perché mi escludo e resto passivo,
la noia genera – questo è passaggio difficile da analizzare. La noia è contraria al pre-conscio ha a
che fare con l’identico, con lo star nella stessa cosa, con la monotonia.
attraverso Alice che aveva espresso noia, si può creare processo trasformativo che è timore di
parte del gruppo che ha bisogno di rimanere nell’identico perché il diverso spaventa,
il modo di confligger del gruppo è stato social.
Non abbiamo parlato di pandemia perché era il sottofondo silenzioso del gruppo. Ma non si può
escludere che fosse presente.

QUANDO ABBIAMO FATTO FUORI IL CONDUTTORE?


Nel gruppo, fin dall’inizio. Solo consegna. Poi eslsa
Poi quando ha portato il gruppo l’attenzione è caduta su di lei.
Le indicazioni su di lei date, venivano eslcuse,. Perché? Perché eravamo in diffifcolà
Prof come nemico da cui fuggire, assunto di base, in cui eravamo dentro.
Noi non sapevamo come era il social dreaming.
Non avendo indicazioni, tutto si è mosso naturalmente.
Questo è scopo per cui il conduttore nel social dreaming non fa grandi interventi. Ma fornisce solo
cose evocative, riporta al compito.
Movimento dinamico e involontario del gruppo è stat la difesa de gruppo che non voleva star nel
compito.

Quello che si è creato tra di noi è quello che sta accadendo in società

“immuni alle cose che fanno paura..” è già un richiamo alla terminologia della pandemia.
Questo rimando al sociale alcune volte sono forzature. Per alcuni essendo molto salienti è facile
fare metafore, ma forse interiormente non siamo collegati a quello che sta fuori?
Chissà … Non c’è risposta.
Tutto perché era un lavoro di associazione . c’è interpretazione..

PENSIERI SUL CORSO?


Porre attenzione alla matrice gruppale e non sui singoli individui.

Sempre due livelli: uno personale e uno gruppale. Matrice personale e matrice sociale e gruppale.
Vengono toccate dalla pandemia quelle matrici che ognuno di noi ha.

E’ emerso forte un altro livello: il livello istituzionale!! Istituzione IUSVE era evidente: il discorso
performante in cui l gruppo voleva razionalizzare. Interpretare.
La performance NON ha niente a che fare con il piacere.

Sembra che sia appena iniziato qualcosa. Ha toccato qualcosa.


Entrati nella clinica.

Risvolto pratico. Siamo entrati nell’inconscio

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Non solo pensieri ma è tato accolto l’inconscio. BION diceva che si apprende per l’esperienza.
Perché abbiamo vissuto qualcosa e non solo pensato a qualcosa. Per questo motivo resteranno in
noi i contenuti.

(All’esame: vedere che abbiamo imparato a pensare che non ripetiamo i contenuti del libro a cui
non frega.
Per la formazione i libri.
non contenuti teorici.
Pezzo di report analizzato insieme e su quello fare riflessione che parte dalla teoria. Mi pare che ci
sia assunto di base e motivare il perché abbiamo pensato questo. Con i nostri ragionamenti.
“secondo noi cosa sta accadendo nelle sedute di gruppo?” “che interventi fare come conduttori in
quel momento..”

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