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AGING PSYCHOLOGY

Prof CANIGLIA
Psicologia dell’invecchiamento.
Invecchiamento è fisiologico e va promosso un invecchiamento che sia di benessere. Training di
potenziamento per la memoria, per un invecchiamento attivo.
Esiste anche un invecchiamento PATOLOGICO per esempio quello relativo alle demenze,
decadimento cognitivo lieve o grave.

Affronteremo invecchiamento fisiologico e invecchiamento patologico.


Libro: “psicologia dell’invecchiamento e della longevità ” De Beni.
Esame orale  argomento a piacere.
Lo psicologo aiuta anche operatori delle case di riposo per non entrare nella sindrome di born
out; gli operatori si trovano di fronte a continui lutti.
TEMA DELLA FRAGILITA’: L’Arte di essere fragili  Alessandro D’Avenia
L’incontro con l’anziano è incontrare la fragilità ; la fragilità va coltivata. Anche se noi viviamo in
una società che allontana la fragilità, come se dovesse sempre andare bene e dovessimo essere
sempre felici; la vita è fatta di cose positive e negative.. grazie al negativo ci accorgiamo del
positivo. La nostra cultura mira alla perfezione e il resto deve essere allontanato come se non
esistesse. In realtà dobbiamo accettare il fatto che siamo fragili, e così riusciamo ad accogliere la
fragilità dell’altro.
SIAMO TUTTI FRAGILI.
La fragilità dell’anziano si scontra con la fragilità di noi operatori, che dobbiamo vivere per
sapere aiutare l’altro. Io sono fragile (come psicologo) e paradossalmente sono chiamata a
parlare della FORZA della fragilità . La condizione degli anziani (soprattutto con forme di
demenza) è una situazione di grande fragilità interiore che la distrazione e la leggerezza.
“la gioia come il dolore si deve conservare e si deve trasformare”  NICOLO’ FABI, cantautore,
canzone “costruire”.
La fragilità è un concetto molto complesso e ampio. Sono tante le fragilità che ci accompagnano
infatti ogni giorno noi affrontiamo piccole grandi fragilità . Dunque è un concetto presente e
manifesto al di là dell’invecchiamento. E dobbiamo essere coscienti che le nostre fragilità si
manifestano, si palesano, ci condizionano e si intersecano soprattutto in contesti dove ci si
prende cura della fragilità .
In un moderno dizionario fragile è descritto in vari modi, tutti negativi. Che si rompe facilmente,
poco robusto, debole. Passeggero, inconsistente. Nel dizionario vecchio stile, troviamo
estensione del significato e li si pare un mondo di parole flessibili: i significati sembrano meno
rigidi (vulnerabile, delicato sensibile.. )
Man mano la parole fragile si svincola dalla gabbia della negatività per diventare anche
qualcos’altro: delicato, vulnerabile, sensibile. Siamo nella logica dell’apertura di significato: non
una cosa o l’altra (il mono pensiero) ma invece una cosa e l’altra ( i pensieri diversi che abitano
nella stessa persona). Occuparsi di fragilità vuol dire anche questo, ovvero guardare il pz. non in
senso traversale (quel pz. con quel problema in quel dato momento), bensì in senso
longitudinale (quel paziente con la propria storia di vita di salute e di malattia).
Come dice Andreoli, il materiale che meglio rappresenta la fragilità della condizione umana è il
vetro. Il rischio del vetro non è rovinarsi o ammaccarsi ma di frammentarsi, andare in pezzi,
schegge tanto minuscole quanto taglienti in ogni caso impossibili da Ri- assemblare. In fisica dei
materiali, è fragile ciò che tende a rompersi bruscamente e senza preavviso: molto spesso è
l’effetto collaterale di un indurimento e di una diminuzione di plasticità . Tanto più un materiale
+ capace di essere duttile, plastico tanto meno è fragile. Nei materiali è una caratteristica quella
che per umani è una virtù : RESILIENZA. Secondo Andreoli uomo è di vetro ma può imparare ad
essere duttile, avendo possibilità di attutire il colpo per non frantumarsi.
Il nostro corpo è fragile e come ci ricorda Simone WEIL (disse di sé stessa “sono tutta da rifare”),
può essere trafitto da qualsiasi pezzo di materia in movimento eppure può inceppare per
sempre uno dei suoi congegni interni. E non solo.. anche la nostra interiorità è fragile,
vulnerabile perché soggetta a continui cambiamenti d’umore, in balia delle cose e di altri
persone che come noi sono altrettanto fragili. La nostra personalità, la trama delle relazioni
sociali da cui dipendiamo e che ci costituisce, è sostanzialmente esposta al caso: tutto può ferirci
e mettere in discussione la rappresentazione che abbiamo di noi stessi e degli altri.
Oggi si parla di FRAGILITA’ SOCIALE ovvero uomo ha perso capacità di vivere in armonia con sé
stesso e con l’altro. Gli antichi si sentivano parte di un sistema, di un cosmos, e accettavano
pertanto di avere un ruolo, una storia, una fine. L’homo consumer moderno non sa più cos’è la
storia; non sappiamo più cos’è il Cosmos che ci accetta e finiamo per avere paura della nostra
fine, non li accettiamo più . La tecnica ha allontanato l’uomo dalla sua fragilità. Heidegger ci
ricorda che la tecnica è un farmaco che da un lato fa l’uomo più potente ma al tempo stesso, in
realtà lo rende ancora più fragile.
Pensiamo ad esempio alla potenza di internet, da un lato possiamo comunicare con il mondo
intero ma dall’altro lato ci porta ad essere più soli, isolati nel virtuale. Esempio: Hikikimori in
Giappone, i giovani che hanno deciso di auto recludersi, di estromettersi dal mondo reale per
vivere esclusivamente nel mondo virtuale. Sembra che più ci sia facilità a parlare con il mondo
virtuale, più si crea una difficoltà a parlare con il proprio IO.
Che cos’è la fragilità ?
Tra la domanda e la risposta ognuno di noi potrebbe scrivere il racconto della propria vita in
tutti quei momenti in cui hai incontrato la fragilità e si è sentito fragile. Quella fragilità che di
solito tendiamo a nascondere agli altri e a noi stessi. Il mondo attuale purtroppo ci incita
continuamente ad un cammino di rimozione della nostra fragilità. Ma negarla significa
sprecare un pezzo essenziale della nostra persona.
Invece i nostri pensieri dovrebbero essere sempre inspirati all’idea di crescere, di mutare,
liberandosi dalla necessità (disfunzionale) di apparire non fragili. Tutto è fragile. Da un’idea di
cui eravamo convinti fino all’arroganza e alla supponenza, a un sentimenyo che sbiadisce con
l’usura del tempo. Noi possiamo e dobbiamo contenere: gioia e malinconia, fiducia e
scoramento, salute e malattia, forza e fragilità , vita e morte.
La fragilità è in noi, in mezzo a noi e attorno a noi! E non possiamo fare altro che guardarla e
accoglierla.
Anziani, Famiglia e Fragilità
LA DEMENZA è una delle fragilità che psicologo incontra, è una malattia che coinvolge tutta la
famiglia sia per l’impegno assistenziale che per gli aspetti emotivi e relazionali. Il Caregiving è
un’attività difficile e destabilizzante. Il caregiver esperisce rabbia, stanchezza, senso di colpa

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(per il timore di essere inadeguato al compito) o percepisce una propria supposta inutilità . Dal
punto di vista psicologico i sintomi depressivi e i problemi di ansia sono il vissuto più diffuso dal
caregiver. Qui il caregiver è inteso come FAMILIARE che si prende cura dell’anziano con
demenza. La tensione del caregiver finisce per manifestarsi anche sul piano fisico ed è quindi
più facile trovare in queste persone problemi gastrici, mal di testa,.. dovuti anche alle manovre
pesanti che attuano e tutta una serie di disfunzioni immunitarie e problematiche che spesso
derivano dal non avere più tempo per se stesso di qualità o per non avere sufficienti risorse
interne o esterne per poter meglio fronteggiare la situazione.
Sono soprattutto loro le “VITTIME NASCOSTE” della demenza. Assistere una persona affetta da
demenza significa affrontare i suoi continui cambiamenti, comportamentali e cognitivi. Questo
obbliga il caregiver a sperimentare un continuo stato di ansia, frustrazione e preoccupazione.
Bisogna favorire nel caregiver l’accettazione e la consapevolezza della malattia e dei
cambiamenti ad essa connessi, attraverso percorsi di aiuto e supporto, attribuendo un “senso” al
proprio ruolo.
Il caregiver tende a provare nei confronti del proprio caro emozioni diverse anche tra loro
contrastanti: dalla tenerezza, amore, compassione, alla rabbia irritazione, stanchezza, senso di
colpa. Vedere che la madre non riconsoce più i figli o ha bisogno di essere assistita per mangiare
o per lavarsi, suscira reazioni emotive profonde e contrastanti.. è sbagliato pensare che non sia
normale. È un continuo riadattarsi ai bisogni nuovi dell’anziano, riorganizzare le giornate in
base alle nuove esigenze, poi la malattia cambia e devono cambiare le abitudini.
DAL CURARE AL PRENDERSI CURA
Prendersi cura della persona non è così facile, soprattutto se fragile. Perché vuol dire prendersi
cura da diversi punti di vista, sia sotto il profilo fisico che mentale. Ma che cosa vuol dire CURA?
la parola cura discende dalla più antica parola “coera” che veniva usata nelle relazioni di amore
e amicizia. Serviva ad esprimere quella PREMURA, attenzione, nei confronti di una persona
amata. Cura significa presenza, attenzione, delicatezza.
Anni fa, uno studente chiese all’antropologa Mead quale riteneva fosse il primo segno di civiltà
nella storia. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di armi, pentole di terracotta ecc ma
non fu così la Mead disse che il primo segno di civiltà era un femore rotto e poi guarito: spiegò
quindi quesro: nel regno animale se ti rompi una gamba muori.. non puoi scappare da pericolo,
andare al fiume o cercare cibo. Nessun animale, in poche parole sopravvivea una gamba rotta
abbstanza a lungo perché l’osso guarisca. Unfemore rotto che è guarito invece è la prova che
qualcuno su è preso il tempo di stare con colui che è caduto. Ne ha bendato la ferita, lo ha
portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi. Mead disse che aiutare qualcun altro
nelle difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia. Noi siamo al nostro meglio quando
serviamo gli altri, essere civile è questo.
IL MITO DELLA CURA
Mentre Cura stava attraversando un certo fiume,, vide del fango argilloso. Lo raccolse pensosa e
cominciò a dargli forma. Ora mentre stava riflettendo su ciò che aveva fatto si avvicinò Giove.
Cura gli chiese di dare lo spirito di vita a chi che aveva fatto e Giove acconsentì volentieri. Ma
quando cura pretese di imporre il suo nome a ciò che aveva fatto, Giove glielo proibì e volle che
fosse imposto il proprio nome. Mentre Cura e Giove disputavano sul nome, intervenne anche
Terra reclamando che a ciò che era stato fatto fosse imposto il proprio nome perché essa la
Terra gli aveva dato il proprio corpo. I disputatanti elessero Saturno, il Tempo, a giudice, il quale
comunicò ai contendenti la seguente decisione : “Tu Giove, che hai dato lo spirito, al momento
della morte riceverai lo spirito, tu Terra che hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu
Cura che per prima diede forma a questo essere finché esso vive lo custodisca la cura. Per
quanto concerne la controversia sul nome, si chiami homo poiché è stato tratto da humus. La

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cura dunque precede sia lo spirito (Zeus), sia il corpo (Terra). Ciò vuol dire che la Cura si trova
all’origine di ogni esistenza umana.
Per tutta la vita, rimane sempre il concetto di cura.
HEIDEGGER all’interno del paragrafo 42 di “Essere e Tempo” offre una chiave di lettura
filosofica del mito. Il filosofo dice che uomo non solo si prende cura di altro ma è esso stesso
cura. L’uomo avverte il filosofo non è uno che “ha” cura ma “è” cura. L’essenza più
autentica delle relazioni umane risiede “nell’avere cura” degli altri e nell’attenzione
amorevole da parte degli altri. Nella Cura (e nella fragilità) ci riscopriamo Uomini,
riscopriamo la civiltà e la solidarietà.
“una delle qualità essenziali che deve avere un operatore è l’interesse per umanità, per L’UOMO E
NON PER LA SUA MALATTIA”
Prendersi cura dell’altro, nel senso pieno della parola, vuol dire impegnarsi, interessarsi,
rivolgergli attenzioni e considerazioni e non solo impostare una strategia terapeutica.
Anche Luigina Mortari (nel suo libro “Filosofia della cura”) afferma che si tratta di un concetto
che è alla base della stessa condizione umana. Gli esseri umani sono incompleti, vulnerabili: per
questo tutti noi abbiamo bisogno di qualcuno che prenda cura di noi.
Le persone capaci di importanti gesti di cura quando spiegano i motivi del loro agire, forniscono
risposte semplicissime “ho fatto quel che dovevo chiunque avrebbe fatto lo stesso, non c’era
altro da fare” il che non significa che dietro l’azione non ci un pensiero “il pensiero c’è ma è
semplice, nel senso che centra l’essenziale, ovvero: da dov’è l’essenza delle cose”. Questo
pensiero è passione per il bene dell’altro e questo orienta il suo essere”.
La cura non è un’idea ma un ATTO. Riprendendo Heidegger, gli esseri umani “sono ciò che
vanno facendo”, allora si può dire che il modo di fare la cura rivela il modo di essere.

Benessere e ben agire sono coincidenti: il modo in cui mi prendo cura dell’altro mi dice come
sono.
Nel prendersi cura dell’uomo è importante non dimenticare che dietro ogni malato c’è un
UOMO con i suoi bisogni, le sue paure, il suo vissuto, le sue ansie.
DIETRO OGNI ANZIANO C’è UN UOMO CHE CHIEDE DI ESSERE ASCOLTATO E DI ESSERE VISTO.
E CHE VUOLE COMUNICARE! “Se parlo vuol dire che esisto..” comunicare con altro lo fa sentire
vivo, gli fa sentire che ancora qualcuno si interessa a lui.
Se un anziano non parla, allora comunica con il non verbale; il non verbale sono i
comportamenti che a volte sfociano nei disturbi del comportamento. Che non sono altro che una
comunicazione che l’acqua con cui mi lavi non mi va bene, la manovra che usi non mi va bene
ecc.. bisogna lavorare sul bisogno dell’anziano e sulle reazioni dell’operatore, ciò che deve
mettere in atto.

“Diventando più emotivi e meno cognitivi, noi ricorderemo il modo in cui ci parlate, non quello che
ci dite. Conosciamo i sentimenti ma non la trame. Il vostro sorriso , la vostra risata, il vostro tocco
sono le cose con cui possiamo entrare in relazione. L’empatia è la cura, Amateci per come siamo.
Siamo ancora qui, con le nostre emozioni e con il nostro spirito, se solo riuscirete a trovarci”
(Christine Bryden 2005)
= anziano anche se catatonico e ha sguardo nel vuoto, c’è ancora la persona, che manda
messaggi e che ci sta comunicando con noi. Psicologo si interpone per comprendere messaggio
dell’operatore e trasmetterlo agli operatori, che hanno tanti aspetti da gestire.

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CORTOMETRAGGIO “OGNII GIORNO”  Racconta la malattia dell’ Alzheimer, ogni giorno Carlo
si scopre innamorato della stessa donna Elena e la corteggia timidamente sebbene lei sia già sua
moglie e lui non lo ricordi.
William UTERMHOLEN, pittore prese la decisione di documentare l’evoluzione della sua
malattia con degli autoritratti. Un’azione che lo stesso pittore ha voluto intraprendere per
capire meglio la sua malattia. Mano a mano che il morbo di Alz. Progrediva WIllia, perdeva
qualcosa e lo documentava forse inconsapevolmente attraverso i suoi autoritratti. Modificava il
suo auto ritratto in base all’avanzare della malattia.
Osservandoli è facile intuire una sorta di disgregazione mentale ed emotiva, una progressiva
perdita della cognizione di sé. Ed è proprio questo che William ha voluto documentare, la
perdita di se stesso. Gli autoritratti coprono cinque anni, fino al 2000. Da quel momento in poi,
la sua malattia ha preso il controllo e dipingere è diventato impossibile. William è deceduto
pochi anni dopo, nel 2007, lasciando in eredità i suoi autoritratti, definiti come la riproduzione
artistica della malattia di Alzheimer.

- Autoritratto al momento della diagnosi


- Cambia la motricità
- Nell’ultimo si perde il senso del volto (dopo 5 anni, a distanza di poco tempo, molte
perdite)
QUANDO UN FAMILIARE INCONTRA LA DEMENZA
Il percorso e i meccanismi difensivi vengono messi in atto sono molto simili a quelli attuati dopo
il lutto; attraversano le stessi fasi del lutto. Una diagnosi di demenza scatena le stesse dinamiche
fasi:
- Prima fase: NEGAZIONE, è la prima e la più spontanea reazione che il malato e la
famiglia mettono in atto di fronte alla diagnosi. A seguito della diagnosi è comune nelle
persone non credere a quello che realmente sta accadendo e si pensa che la diagnosi sia
frutto di errore del medico. Questo tipo di reazione è di tipo difensivo in quanto malato e
la famiglia cercano di mantenere inalterato il loro equilibrio.
Passare da uno specialista all’altro per cercare diagnosi alternative, questo peggiora la
situazione di ansia, sposta momento dell’accettazione, test, viene somministrato loro il
mini mental in giro per le cliniche, con domande personali.. questo demolisce il lato
emotivo, peggiora lo stress per la persona e ai suoi occhi risulta come una richiesta dei
familiari di tornare come era prima.
- Seconda fase: L’ANSIA e per coinvolgimento; man mano che il familiare comincia ad
accettare la malattia, il dolore per la diagnosi accompagnato da un senso di
disorientamento che crea ansia. SI sostituiscono all’anziano e alle sue cose, pensando di
fare del bene ma in realtà si fa male all’anziano e anche a chi si prende cura che si stanca
moltissimo. E non permettiamo all’anziano di utilizzare le sue capacità residue. Essere
molto coinvolto e iperprotettivo nei confronti del malato è un meccanismo di difesa, per
sè. Per evitare il dolore di vedere che il proprio familiare inizia ad avere dei problema a
svolgere determinate attività da solo.
Questo comportamento è dannoso per entrambi, per il malato perché non mantiene in
allenamento le competenze residue; per il caregiver perché a causa del continuo
affaccendarsi, si stanca molto e più velocemente.
- Terza fase: LA RABBIA con il progredire della malattia e la degenerazione delle
condizioni del malato, il caregiver si rende conto che il suo affaccendarsi no è servita
rendere il familiare di nuovo “sano”.
E’ in questi momenti che la frustrazione, la delusione e il fallimento si fanno più sentire
sfociando in un sentimento di rabbia.

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Il caregiver ha già una vita sua a cui subentra assistenza, che comporta rinunciare a
qualcosa.
- Quarta fase: IL SENSO DI COLPA: spesso accade che il sentimento di rabbia lasci spazio
al senso di colpa. Il senso di colpa può provenire dal sentimento di impotenza poiché
non si può migliorare la condizione in cui si trova il malato, ma solamente alleviarla; può
essere dovuto alla vergogna che si prova quando il malato compie certi comportamenti;
può essere dovuto al comportamento che il caregiver ha tenuto nei confronti del malato,
magari sgridandolo.
Il senso di colpa non è un sentimento tipico solo della fase di accettazione della malattia,
ma come la rabbia, si ripresenta in tutte le fasi. È un sentimento comune anche tra i
caregiver che si vedono costretti a ricoverare definitivamente il proprio familiare.
- Quinta fase: ACCETTAZIONE, si arriva quI attraverso la presa di coscienza delle difficoltà
del malato e dei cambiamenti che inevitabilmente ci saranno. Si ha una completa
accettazione quando il caregiver si rende disponibile al cambiamento che porta a una
ristrutturazione delle dinamiche familiari e delle modalità organizzative che
modificheranno il vecchio equilibrio per arrivare a uno nuovo. Il nuovo equilibrio sarà
funzionale al compito di assistenza del malato che prevede, oltre all’assistenza vera e
propria, anche l’accoglimento delle emozioni del malato e quelle proprie del caregiver.
I familiari attraversano progressivamente questi passaggi con tempi e modalità
differenti, anche se non tutti riescono a concludere con l’accettazione dell’evento, ma
alcuni si fermano alla negazione, altri alla rabbia o alla disperazione.

LE TESTIMONIANZE
Testimonianza n.1  mi chiamo Michela Morutto sono la moglie caregiver di Paolo Piccoli
malato di Alz. Presenile con diagnosi genetica a 46 anni ed esordi della malattia a 43 anni.
Attualmente Paolo è struttura da 6 mesi perché dopo il lockdown e la conseguente chiusura a
tutte le opportunità di inclusione che gli avevo trovato (stimolazione cognitiva domiciliare,
basket con squadra di disabili..) la sua malattia ha avuto una crescita. Paolo ha iniziato ad esser
aggressivo verbalmente soprattutto nei confronti del nostro bimbo più grande. Mattia di 11 anni
ad avere crisi e fuggire quotidianamente da casa perché non riconosceva più la nostra dimora.
Mi sono risvegliata nel mio ruolo di MADRE e non più solo moglie caregiver (quasi due anni di
aspettativa dal lavoro) e ho deciso per una RSA apposita. Vivo il mio stato di vedova bianca con
una tristezza infinita per quello che ci è stato tolto dalla vita, per la mancanza del mio compagno
e per il futuro incerto dei miei figli con un patrimonio genetico grave.
Ho dovuto accettare la malattia in qualche modo per non impazzire del tutto, vedere
l’indifferenza delle persone soprattutto di chi non ti aspetti. Paolo, prima che ammalato, è stato
il piccolo caregiver del proprio padre malato a sua volta di demenza precoce a 48 anni. L’ultimo
atto di amore che abbiamo fatto e voluto io e Paolo, è stato raccogliere la nostra storia, in una
sorta di diario per i nostri due bimbi (“Un Tempo Piccolo” di Serenella Antoniazzi, Gemma
Edizioni), Mattia e Andrea (8 anni).

LIBRO: UN TEMPO PICCOLO che è il poco tempo che hanno potuto vivere assieme.
+ intervista a Paolo nella fase iniziale della malattia prima che peggiorasse, “non sono più la
persona di prima, mi sento spaesato come in una pagina bianca”.

Testimonianza n. 2  anna è figlia di padre con Alz., ha scritto una lettera


Cosa mi ci vuole per scattare un’istantanea degli ultimi 12 anni della mia vita? Una storia di cui
non conosco né l’inizio né la fine, ma di cui ho vissuto e vivo intensamente ogni giorno con
dolore, paura, rabbia, fatica, solitudine, curiosità, ostinazione. Facile perdersi in questo

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guazzabuglio di emozioni. “Devo andare a fare un po’ di spesa” disse babbo mentre mettevo a
posto quella che avevamo appena fatto. Il tempo si è dilatato in quel momento e si è
cristallizzato nella mia memoria.
Non ricordo dove posi le mele che avevo in mano ma ricordo la sostanza incommensurabile
anche eravamo ad un metro. Non so dire con precisione quando quel processo abbia avuto
inizio, 50 km di distanza e la cocciutaggine di due anziani mi hanno impedito di cogliere i primi
segnali quotidiani. E mi sono trovata direttamente a decidere quanti scatoloni avrebbero
occupato i ricordi della mia infanzia e della mia adolescenza, riempiendoli ad una velocità molto
superiore a quella delle mie emozioni, emozioni che mi soffocavano la gola. La malata di casa era
sempre stata mamma, con il suo eterno male di vivere in un corpo pieno di acciacchi. Babbo era
il motore di tutto: faceva la spesa, mandava avanti la casa, accudiva sua moglie. Ora non restava
più nessuno. O meglio, restavo io, figlia unica di genitori non autosufficienti, come li definisce la
USL. Ho cominciato a raccogliere la documentazione in 2 raccoglitori, blu per babbo e verde per
mamma, ed ho continuato raccogliendo i miei pezzi ad ogni peggioramento della malattia. Allora
non immaginavo neppure lontanamente che sarebbe stato il mio futuro. Il muro che ho dovuto
attraversare per trovare il mio binario. Ho dovuto combattere con i fantasmi del mio passato,
guardare negli occhi dei miei genitori che non mi riconoscevano più e mi davano del lei e
specchiarmi nelle loro paure.
E ad un certo punto.... Ciao Babbo. Difficile dire se mamma se ne sia resa conto, non ce l’ho la
risposta alla domanda che tante persone mi hanno fatto. A volte chiama il suo nome. “Com’è
brava lei” “Grazie. Mi chiamo Anna” Silenzio. Mi trito il cuore cercando di cogliere
un’espressione diversa sul volto al suono del mio nome, un lampo negli occhi, un gesto. Ma
nulla.

+ canzone “non ricordo” di MOMO che ha scritto per sua mamma che soffre di Alz.

PSICOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO
DEFINIZIONI.
1. GERIARTRIA è quella parte della medicina che studia le condizioni, patologiche e non
proprie della vecchia stabilendo le modalità di cura e di assistenza agli anziani
2. GERONTOLOGIA studia invece i fenomeni propri dell’invecchiamento
3. GERAGOGIA (educatore dell’invecchiamento) è l’educazione all’invecchiamento in
pratica un mezzo per aiutare le persone ad appropriarsi di strumenti che possono
servire a favorire adattamento a diversi bisogni che via via si presentano nelle varie fasi
della vita soprattutto con l’età matura
4. PSICOGERONTOLOGIA ovvero la scienza che studia invecchiamento dal punto di vista
psicologico. Ha come obiettivo un invecchiamento ottimale. Cosa fa? Promuove la salute
(training di memoria e di attenzione in cui si spiega come funziona invecchiamento
psicologico, e si dice che sono fisiologici dei vuoti di memoria, perché le dimenticanze, i
vuoti di memoria si spaventano.. perché si associa al giorno di oggi invecchiamento =
demenza; strategie di memorizzazione, tecniche per tenersi attivi – seminari per
operatori, medici per favorire approccio relazione sana)
o Fa prevenzione
o Si occupa del benessere del caregiver non si preoccupa solo di anziano ma anche
di chi lo accudisce
o Educa attraverso la psico-educazione ovvero la persona anziana e il caregiver -
imparano a gestire meglio i propri pensieri comportamenti e emozioni / corsi
che lo psicologo struttura per il caregiver per insegnare strategie per la gestione
di situazioni critiche a casa

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o Fa ricerca ovvero studia tutte le variabili collegate alla terza età
o Struttura progetti e interventi
o Protegge i diritti
o Fa formazione
o Fa consulenze

FALSE CREDENZE:
1. Tutti gli esseri viventi in ogni temo e in ogni luogo sono soggetti ad
invecchiamento  medusa che non muore mai, nasce cresce e poi torna indietro nella
sua evoluzione, sarebbe un processo infinito se non fosse che muoiono per predazione
2. Il deteriorarsi progressivo col tempo è intrinseco alla natura di qualsiasi cosa o entità
compresi esseri viventi
Non si ha notizia di uomini che non siano invecchiati e ciò è altrettanto vero per moltissime
specie di esseri viventi ma già nel 1925 (!) Bidder aveva rilevato come: Per molte specie di
vertebrati inferiori la mortalità non aumenta affatto con l’aumentare dell’età (a parte le
conseguenze dell’accumulo di ferite). Ad esempio, vi sono molte specie di meduse (medusa
immortale) per le quali vi è accrescimento corporeo continuo e con il passare degli anni non
risulta perdita di vigore fisico né alcun segno di deterioramento e la morte alla fine
sopraggiunge per predazione.
Noi ad oggi invecchiamo, aspettative di vita con avanzare del tempo sono aumentate. Nel 1900
aspettativa di vita 49 anni; nel 2000 a 78, nel 2021 83 in media.
DEFINIZIONE DI INVECCHIAMENTO
“Processo biologico progressivi caratterizzato da cambiamenti che comportano per l’organismo
una diminuzione progressiva e continua della capacità di adattamento all’ambiente e una
riduzione delle riserve funzionali”

“indica il complesso delle MODIFICAZIONI cui l’individuo va incontro nelle sue strutture e nelle sue
funzioni, in relazione al progredire dell’età” (CesaBianchi) è valida perché descrive sia
invecchiamento patologico che fisiologico, parlando di modificazione e non di peggioramento.
Ma esiste una vera definizione?
Nell’uomo definire l’invecchiamento è reso complicato da importanti differenze individuali sulle
modalità di invecchiare che rendono l’età anagrafica soltanto grossolanamente indicativa. Si
devono chiamare in causa le altre “età ”: l’età psicologica, l’età sociale, l’età biologica.
È attorno ai primi anni ’70 che, in Italia, gli anziani e la loro condizione cominciano ad essere
oggetto di attenzione e di riflessione. I “vecchi” diventano visibili e la loro dimensione
quantitativa pone il problema in tutta la sua “ampiezza”. Questo porta alcuni studiosi a riflettere
sugli anziani e la loro condizione, avviando ricerche attente e mirate. In Italia grazie al
contributo di Agostino Gemelli e Martello Cesa-Bianchi (1952-1987)

o ETA’ BIOLOGICA  Secondo Cesa-Bianchi (’87) l’età biologica è strettamente collegata


al concetto di “durata di vita”. Si avvicina notevolmente all’età cronologica ma non si
identifica con essa.
o ETA’ PSICOLOGICA  “come mi sento”. Si riferisce alle capacità di adattamento di una
persona e dal comportamento che mette in atto. È collegata sia all’età cronologica che a
quella biologica, ma non è pienamente desumibile dalla loro combinazione. Essa
dipende da tutte le caratteristiche individuali

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o ETA’ SOCIALE  si riferisce alle abitudini, ai ruoli sociali, alle aspettative del gruppo di
appartenenza e della società. E’ collegata ma non completamente definita, all’età
cronologica, biologica e psicologica.
COSA INFLUENZA INVECCHIAMENTO SANO? Esistono numerosi elementi in grado di
condizionare l’invecchiamento “fisiologico”:
- Non uso o cattivo uso di una funzione durante la crescita o durante l’età adulta (es:
scarsa o eccessiva attività fisica)
- Fattori di rischio (dieta ipercalorica, fumo, alcol, stress)
- Malattie fisiche o psichiche intercorrenti (fattori che accelerano invecchiamento)

 FATTORE GENETICO: definisce il ritmo, le fasi, la durata del processo di invecchiamento


 FATTORE EDUCATIVO – CULTURALE: (influenza significativamente il processo di
senescenza. Un buon livello educativo e un’adeguata situazione culturale sembrano
agire positivamente sull’invecchiamento, mentre una situazione opposta è, spesso,
chiamata in causa quale condizione favorente un rapido decadimento delle funzioni
della persona).
 FATTORE ECONOMICO: (molte ricerche, fra le quali quelle di J. Birren, documentano una
vera e propria dicotomia nel modo di svolgersi dell’invecchiamento fra gli appartenenti
alle classi socio-economiche più fortunate e quelli appartenenti alle classi più
svantaggiate, per questi ultimi la senescenza si attua molto più frequentemente con
modalità esclusivamente negative).
 FATTORE SANITARIO (opera in stretta interdipendenza con il fattore economico.
L’insorgenza di patologie, specie se di carattere cronico e progressivo, influenzano
negativamente il processo di invecchiamento fino a farlo precipitare. Tale influenza
negativa diventa più incisiva se si realizza in un quadro di inadeguate risorse
economiche
 FATTORE DI PERSONALITA’: Bisogna prendere atto della diversità che la senescenza
assume negli individui chiusi e in quelli aperti negli attivi e nei disimpegnati, nei tenaci e
nei labili e così via. A differenti tipologie caratteriologiche corrispondono diverse
modalità di invecchiare. In ogni caso la personalità è in stretta connessione con
l’ambiente e le modalità adattive della persona dipendono da questa interdipendenza.
(forza d’animo; positività )
 FATTORE FAMIGLIA: (l’invecchiamento varia notevolmente se un individuo vive solo, in
coppia, o in un gruppo più numeroso).
 FATTORE AMBIENTE: (ormai è un dato di fatto che l’invecchiamento è espressione di
un’interazione fra l’individuo e il suo ambiente, interazione nella quale l’individuo
modifica continuamente l’ambiente e l’ambiente modifica continuamente l’individuo)
INVECCHIAMENTO =MALATTIA?
Esiste una relazione fra patologia ed età , nel senso che molte malattie prediligono determinate
fasce di età. Per quanto riguarda l’età senile è possibile riconoscere che alcune patologie si
riscontrano più frequentemente rispetto ad altre. Gli antichi dicevano “senectus ipsa morbus”.
L’affermazione sosteneva che la vecchiaia comportasse di per sé la patologia; che questa fosse
un evento ineliminabile e irreversibile. Le concezioni e i dati più recenti respingono questo
modo di intendere il rapporto tra patologia ed età .
L’anziano si sente più esposto alla malattia e quindi è meno sicuro di sé e delle proprie capacità
di assolvere ai ruoli sociali e familiari. Gli anziani temono meno la morte rispetto alla malattia,
perché la prima porrebbe fine alle sofferenze, mentre la seconda le aumenterebbe. Essere
malato significa per l’anziano essere di peso alla propria famiglia.

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Con l’invecchiamento l’uomo si trova ad affrontare una serie di “Perdite” che incidono
notevolmente sul benessere psicologico, ci sono perdite FISIOLOGICHE non solo per coloro che
hanno patologie:
- A livello biologico vi è un invecchiamento esteriore, una diminuzione delle forze
fisiche, della funzione degli organi di senso (occhi-orecchio) con ripercussioni anche sul
vissuto della sessualità . Sono quindi perdite oggettive
- A livello mentale e cognitivo subiscono importanti modificazioni alcuni aspetti
rilevanti dell’intelligenza e della memoria
- A livello sociale perdono il ruolo sociale
- A livello familiare si verifica la perdita del ruolo di capofamiglia, del ruolo di
coniuge in caso di vedovi, del ruolo genitoriale in quanto i figli sono ormai usciti di
caso e hanno vita autonoma.
TRE TIPI DI INVECCHIAMENTO
Birren e Schroots distinguono l’invecchiamento in invecchiamento primario, secondario,
terziario:
1. L’invecchiamento primario riguarda il cambiamento tipico della maggior parte delle
persone, intendendo quindi quel cambiamento inevitabile per ogni persona, garantendo una
piena autonomia malgrado cambiamenti di tipi biologico, psicologico, cognitivo e affettivo.
Caratteristiche:
- Perdita di velocità nel processamento ed elaborazione delle informazioni
- rallentamento abilità visuo-spaziali
- Intelligenza Fluida vs Intelligenza Cristallizzata
INTELLIGENZA FLUIDA E CRISTALIZZATA:
- L’intelligenza fluida è la capacità di pensare logicamente e risolvere i problemi in
situazioni nuove, indipendentemente dalle conoscenze acquisiste. L’intelligenza fluida
raggiunge il suo massimo potenziale in adolescenza. Con la vecchiaia, cade.
- L’intelligenza cristallizzata è la capacità di utilizzare, competenze, conoscenze ed
esperienze. E’ più classica dell’anziano: anziano saggio. Tutti diventiamo anziani, ci
riguarda tutti.
2. L’invecchiamento secondario può anche essere definito patologico in quanto, rispetto
all’invecchiamento primario, si aggiungono alcune malattie.
3. L’invecchiamento terziario si riferisce al declino rapido e irreversibile dell’organismo,
in quanto connesso all’ipotesi del declino terminale, e quindi indipendente dall’età
cronologica. Ad esso si associa un calo improvviso delle prestazioni fisiche e cognitive
dell’individuo, caratterizzato da perdite significative in ogni area. Questo stadio può
durare mesi o anni ed è conosciuto anche come terminal drop
Invecchiamento non viene misurato come distanza dalla nascita ma dalla morte.
TEORIE (anche nel libro)
Ce ne sono tante, ma ne vediamo 3.
1. TEORIA DEL DISIMPEGNO: nata intorno agli anni ’60. Descrive la vecchiaia come un
periodo in cui la persona sente la necessità di un ritiro sul piano fisico, psicologico e
sociale. Vi è un disimpegno fisico, causato da una riduzione e da un rallentamento delle
varie attività fisiche allo scopo di mantenere intatte le ultime energie; un disimpegno sul
piano psicologico, caratterizzato da una chiusura e una concentrazione su se stessi. Un
disimpegno dal punto di vista sociale, caratterizzati dall’allontanamento dalle attività , e

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dagli impegni sociali. Tuttavia tale teoria non può essere ricondotta all’epoca attuale in
quanto l’anziano ora può ricoprire nuovi ruoli s
2. TEORIA DELL’ATTIVITA’: la teoria elaborata da Havighurst nel 1960, sostiene che un
anziano ha le stesse caratteristiche delle persone della mezza età, di conseguenza egli ha
gli stessi bisogni sociali e psicologici. Si tende pertanto a condurre uno stile di vita il più
simile possibile a quello dell’età lavorativa, sostituendo la mansione svolta durante
Si ritiene infatti che un invecchiamento sereno dipenda dalla capacità di mantenersi
attivi attraverso esercizi fisici e mentali. Tali attività permettono di mantenere una
buona autostima di sé e dei rapporti sociali, determinando soddisfazione personale e
serenità .
3. TEORIA DELL’INVECCHIAMENTO DI SUCCESSO (=ATTIVO) . nasce anni ’80. Essa si
realizza con le indicazioni strategiche di selettività, ottimizzazione, compensazione.
Si selezionano alcune competenze, quelle più esercitate in passato e si mantengono ad
un buon livello, ottimizzandole. Nella vecchiaia, la quantità di abilità e attività si riduce
(selezione), tuttavia le abilità e le competenze che rimangono possono essere potenziate
(ottimizzazione) e possono compensare le perdite.
MODELLO SOC= selettività, ottimizzazione, compensazione
Es: pianista, molto attivo che suona bene perché  seleziono i brani che ancora mi
vengono bene, in base alle mie capacità ; poi ottimizzo la composizione e la adatto alle
mie abilità e difficoltà che ho, al fine quindi di compensare la difficoltà cioè
invecchiamento.
È ’ possibile nella vecchiaia richiedere a se stessi nuovi livelli di aspirazione, nuovi tempi in cui
fare le cose, essere flessibili e accomodare i propri obiettivi di via a nuove circostanze.
Se invecchiare è comune a tutti, invecchiare bene significa avere la capacità di
selezionare, ottimizzare e compensare con soddisfazione.
Ci sono tanti esempi di persone che hanno invecchiato bene. Come? Utilizzando la loro
intelligenza cristallizzata e hanno saputo risolvere i problemi.
Piccaso, Einstein, Verdi, Montalcini. Queste e tante altri grandi hanno lavorato in campi molto
diversi fra loro ma hanno tutti condiviso un aspetto eccezionale: sono stati creativi e produttivi
in tarda età. Essi hanno contraddetto il comune convincimento che l’invecchiamento porti
sempre ad un pronunciato declino e a perdita delle capacità cognitive. Oggi i neuroscienziati
credono che il cervello può rimanere sano e funzionante anche quando invecchia.
In Giappone, uomo che ha vissuto più a lungo al mondo, 120 anni. Questa da quanto se ne sa, è la
massima durata della vita di cui si abbia una conoscenza certa. Appartiene ad un uomo
giapponese vissuto appunto 120 anni e 237 giorni e morto nel ’86 per una polmonite.
Lei è Kane Tanaka, la persona più vecchia al mondo oggi e la terza per longevità nella storia.
Classe 1903 Kane compirà 118 anni il prossimo gennaio e avrebbe dovuto portare la torcia
olimpica per gli ultimi 100 mt ai Giochi olimpici di Tokyo, ma l'aumento dei casi covid l'ha fatta
desistere dall'impegno per precauzione.
“Apprendere lungo tutto l’intero arco di vita”
Non esiste un’età o un omento destinato ad imparare e altri nei quali si applica ciò che è
imparato. In ogni momento si apprende e si applica contemporaneamente e da ciò che si
sperimenta si attivano sempre nuovi processi di apprendimento. (=università della terza età )
Invecchiamento attivo
Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Invecchiamento Attivo è “un
processo di ottimizzazione delle opportunità relative alla salute, partecipazione e sicurezza, allo
scopo di migliorare la qualità della vita delle persone anziane“

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Le politiche per l’invecchiamento attivo in Italia sono essenzialmente:
- La transizione graduale al pensionamento che consiste nel ridurre gradualmente
l’orario di lavoro, al fine di rendere meno traumatico il passaggio dallo stato di
lavoratore a quello di pensionato. Tuttavia nel solo il 3,5% dei lavoratori tra i 55 e 69
anni ha utilizzato tale opzione. (=ridurre da 40 a 20 ore magari l’orario di lavoro)
- Il prolungamento dell’attività lavorativa che prevede incentivare i pensionati a
continuare a rimanere attivi nel mercato del lavoro
Anziano che si guarda allo specchio e si scopre vecchio e ha nostalgia del ragazzo che era. Uno si
scopre vecchio per
1. Auto-attribuzione : ho dolori, non ci vedo ecc
2. Per attribuzione dell’altro che ti dice tuo figlio, la società che ti fa entrare nei musei
perché hai raggiunto età cronologica anziché per come si è realmente
La vecchiaia appare come l’età in cui aumentano la probabilità di ammalarsi anche di più
patologie contemporaneamente (comorbilità ). La dimensione biologica e fisica
dell’invecchiamento è la più facilmente percepibile a livello soggettivo, essa quindi ha un grande
peso nel determinare l’inizio della vecchiaia. Oltre al dato percepito della salute fisica, ci sono
anche una vecchiaia percepita e una vecchiaia attribuita. Dal punto di vista soggettivo la
vecchiaia può anche essere negata. Tuttavia non si tratta di una negazione in senso assoluto,
tant’è vero che le persone che non si sentono vecchie non hanno difficoltà a riconoscere vecchie
altre persone della loro stessa età o addirittura più giovani.
PERCHE’ INVECCHIAMO?
Il processo di invecchiamento inizia prima dei 60 anni.
Anatomia 
La perdita neuronale distribuita in modo diffuso è responsabile di molti deficit cognitivi
associati all’invecchiamento normale. È normala andare incontro a perdita neuronale. I neuroni
sono le cellule più vecchie e più lunghe dell’organismo. I neuroni si mantengono per tutta la vita:
mentre le altre cellule muoiono e vengono rimpiazzate, questo non si verifica per i neuroni. Da
vecchi abbiamo meno neuroni che da giovani e quelli che rimangono sono gli stessi di quando
eravamo piccoli. Ciò nonostante, almeno in una regione del cervello (l'ippocampo), nuovi
neuroni possono crescere nell'uomo adulto. I neuroni possono essere anche molto grandi. In
alcuni casi, come per i neuroni corticospinali (che si portano dalla corteccia motoria al midollo
spinale), i motoneuroni si possono raggiungere lunghezze di diverse decine di centimetri, fino al
metro e più !
Nel cervello degli anziani si evidenzia una riduzione della ramificazione dendritica e un declino
di neurotrasmettitori quali acetilcolina, dopamina, noradrenalina. Più che spopolamento c’è
DEPURAMENTO (=dispersione di capacità produttive, di rendimento, di efficienza)
APOPTOSI: morte programmata delle cellule – è una forma ordinata di eliminazione di una
cellula. In effetti, apoptosi fu scoperta per la prima volta nel fegato dei soggetti adulti normali
(Kerr et al. 19729. E’ stato
E’ stato calcolato che in un adulto normale ogni giorno muoiono e sono sostituiti fra 50 a 70
milioni di cellule. Le “perdite” possono essere in parte contrastate e compensate dal
fenomeno della plasticità neuronale.
LA PLASTICITA’ ad ogni età . Infatti studi di visualizzazione cerebrale mostrano l’esistenza di
“guadagni” e non solo di “Perdite” anche in età adulta avanzata. Meccanismi di compensazione

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che mantengono un elevato livello funzionale nonostante la presenza di perdite fisiologiche. Il
cervello si può ri-organizzare.
Si era visto con una serie di studi negli anni ’80 che a parità strutturale di danno, stessa quantità
e stessa posizioni ma con manifestazioni molto diverse (in alcune persone si manifestavano i
disturbi e in altri la malattia solo sotto forma di difficoltà ma lieve). Perché questo processo?
Perché c’è differenza individuale?
Entra qui in gioco il concetto di riserva cerebrale, hanno visto che le persone che avevano
manifestazioni cliniche meno importanti, avevano cervelli più ampi e più spessi con maggiore
cellule che potevano aiutare a ridurre la manifestazione (=differenza anatomica)
Il concetto di riserva: a partire dalla dine degli anni ’80 numerosi studi hanno dimostrato come
i cambiamenti patologici nella demenza di Alz. Non producono necessariamente manifestazioni
cliniche. La non diretta relazione fra il grado di severità del danno cerbrale – sia esso acquisito o
dovuto all’invecchiamento o all’insorgenza della patologia degeneerativa – e le sue
manifestazioni cliniche ha portato a proporre e ad adottare la nozione di riserva.
La riserva cerebrale o «soglia» indica la quantità del danno che il cervello può accumulare
prima di tradursi in espressione clinica. Questo modello presuppone l'esistenza di un limite
fisso che, una volta raggiunto, inevitabilmente annuncia la comparsa delle manifestazioni
cliniche. Una sorta di resilienza del nostro cervello. Il primo studio in cui si utilizzò il termine di
«riserva», risale a Katzman et al. (1988). Gli autori, esaminando post-mortem il cervello di 137
anziani, hanno trovato che c'erano alcuni individui con una discrepanza tra i danni patologici
presenti e la loro manifestazione clinica. Si notò che individui senza manifestazione clinica
avevano un cervello più pesante e una più grande quantità di neuroni. Questo risultato ha
portato gli autori a proporre che l’assenza di manifestazione clinica poteva essere dovuta a una
maggiore «riserva» grazie alle dimensioni del cervello e alla maggior presenza di neuroni.
Quindi individui con una circonferenza cranica più larga, un volume cerebrale più ampio, una
più forte densità sinaptica manifestano più tardi i deficit associati ai processi degenerativi
rispetto ad individui con valori inferiori rispetto ai suddetti indicatori, grazie a un substrato
neurale sufficiente per supportare un funzionamento non patologico.
La riserva cognitiva fa riferimento a differenze di natura qualitativa rispetto a come l’individuo
gestisce le sue risorse. Si tratta dell’abilità del cervello di improvvisare e trovare modi
alternativi per completare un lavoro. La sua capacità di compensare i danni per poter
funzionare in modo adeguato. Due individui a parità di riserva cerebrale possono infatti
distinguersi nel modo di reagire ai danni cerebrali. In altre parole, se due individui hanno una
medesima quantità di riserva cerebrale, l’individuo con più riserva cognitiva può tollerare delle
lesioni più estese prima che appaia un disturbo clinico rispetto all’altro individuo.
si è passati da concetto di RISERVA CEREBRALE (livello strutturale) A RISERVA COGNITIVA
(mantenere attivo il cervello).

Quanto è sviluppata la riserva nel cervello dipende da noi; a quanto abbiamo esercitato il nostro
cervello, a quanto è stato usato, come a livello di dieta e esercizio fisico come per il corpo. Tanto
per il cervello quanto per il corpo.
L’individuo con più riserva cognitiva può tollerare delle lesioni più estese prima che appaia un
disturbo clinico rispetto all’altro individuo. = è importante utilizzare il cervello, mantenersi
attivo è fondamentale per la nostra psicologia (autostima) ma anche a livello fisiologico (=se
avviene una malattia).

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- Ricerca tassisti  nuovi neuroni nascono nell’ippocampo, c’è maggiore ramificazione
dendritica, maggiori sinapsi. Il fatto che vi sia neuorgenesi è qualcosa in corso di studio
ma non definitivo.
Molta di questa riserva cognitiva è influenzata da fattori ambientali che possono essere
sviluppati e ampliati nel corso della vita. Gli aspetti che influenzano la nostra riserva cognitiva
sono:
- livello di scolarità – la socialità – stile di vita – attività fisica
Per es. il mini mental, è un test neuropsicologico, che va corretto in base al livello scolastico.
Cosa SUCCEDE nel cervello a LIVELLO ANATOMICO?
- Riduzione dei dendriti e delle sinapsi
- Riduzione della plasticità neuronale
- Riduzione del numero e della funzionalità dei ricercatori
- Ridotta sintesi dei neurotrasmettitori
- Aumento sclerosi cerebrale
- Ridotto flusso sanguigno (= - ossigeno)
A causa di questi cambiamenti il cervello può funzionare meno bene. Gli anziani possono reagire
e svolgere compiti in modo leggermente più lento, ma a parte il tempo, riescono a portare a
termine tali compiti con precisione.
Manifestazioni funzionali dell’invecchiamento fisiologico a livello cognitivo:
- Rallentamento psicosensoriale e motorio, ul quale si traduce in un allungamento tempi
di reazione
- Rallentamento nel processare le informazioni
- Aumento della componente cristallizzata dell’intelligenza
- Graduale compromissione delle capacità fluide
- graduale compromissione delle capacità di apprendimento. Un fattore fondamentale per
contrastare in parte il deterioramento mentale resta quello della stimolazione
dell’esercizio
- difficoltà a ritenere nuove informazioni e nozioni apprese da poco tempo
- flessione abilità visuo-spaziali: in termini pratici ciò implica…
- riduzione delle abilità visuo-prassiche con conseguente difficoltà di coordinamento tra
la visione e la esecuzione dei movimenti
Dal p. di v. queste variazioni, associate ad una riduzione dei tempi di reazione
compromettono alcune attività motorie tra cui in particolare la guida dell’auto.
(=perdita di autonomia – spesso vissuto come trauma).
(la paura dell’anziano non è la morte ma è la perdita di autonomia; devo chiedere a mia
figlia un passaggio ma tutto dipende da rapporto che si ha con lui-lei)
- invece la memoria episodica e semantica non presentano riduzioni significative (=non
vanno peggiorando)
- non vi sono evidenti alterazioni del linguaggio
Modifiche comportamentali: è possibile osservare nell’età senile alcune turbe
comportamentali tra cui le più frequenti sono rappresentate da aletazioni del ritmo sonno-
veglia, labilità emotive e tendenza alla depressione. Contrariamente a quando comunemente si
pensa la durat atitale del sonno nel corso delle 24 ore si modifica di poco: gli anziani dichiarano
di dormire poco durante la notte, ma in genere compensano con alcuni sonnellini durante il
giorno. Si modifica invece più sostanzialmente la struttura del sonno, con riduzione e
frammentazione del sonno Rem.

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A livello motorio: esistono le seguenti alterazioni
- postura in lieve flessione, andatura incerta a piccoli passi
- riduzione forza fisica, poiché i nervi tendono ad autoripararsi ma in modo lento e
incompleto. Ciò porta l’anziano a sentire insicurezza, debolezza, instabilità
Sensibilità dolorifica; mostra tendenza alla riduzione durante invecchiamento. Questo
fenomeno dipende da alterazioni del sistema nervoso centrale e assume la massima evidenza in
soggetti con grave atrofia cerebrale e demenza senile. Dal punto di vista clinico la riduzione
della sensibilità comporta una descrizione anamnestica del sintomo dolore con termini vaghi e
indistinti. Anche molti quadi clinici gravi (infarto micro-cardiaco acuto, pancreatite, diverticolite
cc) possono manifestarsi senza il sintomo “dolore”:
Organi di senso:
1. orecchio: ridotta sensibilità alle alte frequenze – una ridotta percezione acustica (specie
in presenza di rumore di fondo: cocktail party) – una ridotta capacità di localizzazione
dei suoni – si manifestano inoltre disturbi posturali e insicurezza e instabilità .. specie nei
movimenti al buio.
2. Occhio: - la lacrimazione si riduce – la pressione endo oculare aumenta – elasticità del
cristallino diminuisce – la percezione dei colori può essere alterata . difficoltà di
adattamento nel passaggio da ambienti luminosi ad ambienti bui- ridotta
discriminazione visyo-spaziale
Queste alterazioni morfologiche e funzionali favoriscono la comparsa di tipiche
patologie quali presbiopia, glaucoma, cataratta e degenerazione maculare.
3. Cute: - la cute appare sottile, rugosa, a macchie, fragile, depigmentata e secca; - vi è
ridotta secrezione sudorale che compromette la termoregolazione - capelli imbiancano
(ridotta produzione di melanina) ed appaiono più radi e fragili, fenomeni degenerativi si
osservano anche a carico delle unghie che appaiono sottili, fragili, rigate e con crescita
rallentata. – ridotta capacità di sintesi della Vitamina D, la quale favorisce la osteoporosi.
4. Sistema immunitario:
- Le cellule del sistema immunitario agiscono in modo più lento. Queste cellule
identificano e distruggono le sostanze estranee come i batteri, altri microbi infettanti e
probabilmente le cellule tumorali.
- Alcune infezioni come la polmonite e l’influenza, sono più comuni tra gli anziani e
provocano la morte con maggiore frequenza
- Con il rallentamento del sistema immunitario, le malttie autoimmuni diventano meno
comuni
- I sintomi di allergia possono diventare meno gravi
L’immaginazione
La Creatività e capacità di inventare. E’ il vedere ciò che non appare, il poter descrivere ciò che
non c’è ma potrebbe esserci. L’anziano ha una grande potenzialità creativa, perché
distaccandosi progressivamente dal mondo del concreto, si ritrova a poter creare ciò che non
c’è.
Aspetti psicodinamici
Il carattere diventa più rigido, alcuni tratti caratteriali diventano fissi. Egocentrismo. Labilità
emotiva (lutti – ingresso in in casa di riposo, disturbi dell’umore depressione). Ipersensibilità
alla frustrazione (non sono più quelli che erano prima). Ferita narcisistica (sentire che non
siamo più quelli di prima). Centralità del corpo. Ideazione prevalente su prossimità della morte.
Aspetti psicosociali

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- Lutti – Nido vuoto (perdita di ruolo di coniuge, genitoriale, professionale) –
pensionamento: dal tempo libero al tempo vuoto – riduzione dell’autonomia –
isolamento – ristrettezze finanziarie
Le relazioni con i nipoti
I legami diventano ancora più importanti e per questo si fanno essenziali veri, senza finzioni,
senza maschere. La vecchiaia è l’età dei legami puri. L’anziano oltre i figli, ha anche nipoti. E’
anche questo, uno strano rapporto, poiché i piccoli rappresentano l’unica realtà sulla quale di
crede ancora di poter incidere. Di fatto, quello di nonno è il titolo a cui l’anziano tiene di più .
Sente che il ruolo di nonno è l’ultimo dovere che ha, ultimo ruolo.
Desideri
Se il cuore è il motore del nostro corpo, i desideri lo sono per la nostra mente. Si è soliti pensare
che i desideri appartengono ai giovani, agli uomini impegnati, alle fasi dell’esistenza per le quali
il futuro è la grande risorsa, il tempo che verrà . In realtà gli anziani hanno altrettanto bisogno di
desiderare di quanto ne avevano nel passato, perché i desideri danno uno scopo alla vita.
(i desideri non sono più quelli di fare, diventare, di avere ,.. i desideri degli anziani sono diversi
da quelli del giovane, il primo fra tutti desiderano che qualcuno parli con loro, gli faccia visita, a
cui poter raccontare ecc – desiderano e sperano in una telefonata di un nipote; diminuiscono di
grande le possibilità di poter parlare con qualcuno)
È certo che il loro contenuto cambia con l’età; i desideri dei vecchi sono piccoli, e non
necessariamente si legano al fare, al protagonismo, alle grandi aspirazioni. Non sono i
desideri dell’Homo faber, della voglia di fare, di avere, ma il sogno che venga qualcuno a
trovarti e che ti abbracci. Che un lontano amico di passaggio si fermi e ti riporti con la
memoria in un tempo perduto e amato.

NORMALITA’ O PATOLOGIA? 10 MANIFESTAZIONI DA TENERE SOTTO CONTROLLO


1. PERDITA’ DI MEMORIA: è normale dimenticarsi una volta ogni tanto, appuntamenti, i
nomi dei colleghi, i numeri di telefono di amici e ricordarseli più tardi. Una persona con
demenza potrebbe dimenticarsi queste cose molto spesso è soprattutto non ricordarsele
neppure a distanza di tempo. La perdita della memoria riguarda soprattutto gli eventi
successi di recente.
2. DIFFICOLTA’ NELLE ATTIVITA’ QUOTIDIANA: a tutti può capitare di essere distratti e
di lasciare per esempio l’insalta nel lavello e di servirla solo alla fine del pasto. Una
persona con demenza può invece essere totalmente incapace di cucinare oppure
dimenticarsi di mangiare (=non ti spaventare se dimentichi le chiavi ma se non sai più a
cosa servono le chiavi)
3. PROBLEMI CON ILLINGUAGGIO: a tutti può capitare di avere parole sulla punta della
lingua. I malati di alz. Però possono dimenticare parole semplici, di uso comune oppure
utilizzare una parola al posto dell’altra, rendendo così il proprio discorso di difficile
comprensione.
4. DISORIENTAMENTO SPAZIO-TEMPORALE: per un breve momento può essere
normale chiedersi: che giorno è oggi? Ma una persona con la malattia di Alz. Può perdere
completamente la dimensione spazio temporale: si può perdere in luoghi abituali non
sapere più come tornare a casa.
5. DIMINUZIONE DELLA CAPACITA’ DI GIUDIZIO: i malati di Alz, non riconoscono la
presenza di un disturbo, né si fanno visitare. La mancanza delle capacità di giudizio li
spinge ad avere comportamenti insoliti come il vestirsi in modo inappropriato, esempio
il cappotto in una giornata estiva
6. PROBLEMI CON CONCETTI ASTRATTI (denaro)

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7. LA COSA GIUSTA LA POSTO SBAGLIATO: i malato di Alz. Spesso ripongono oggetti nei
posti più strani: il ferro da stiro nel freezer, l’orologio da polso nella zuccheriera cosi’
via.
8. CAMBIAMENTI NELL’UMORE E NEL COMPORTAMENTO: Tutti quanti siamo
soggetti a cambiamenti d’umore. Ma nei malati di Alzheimer questi cambiamenti
sono particolarmente repentini: possono passare dalla calma più totale alla
rabbia più esplosiva senza nessuna ragione apparente.
9. CAMBIAMENTI DI PERSONALITA’: La malattia di Alzheimer comporta spesso
profondi cambiamenti di personalità : la persona può diventare estremamente
confusa, sospettosa, apatica, timorosa.
10. MANCANZA DI INIZIATIVA: una caratteristica tipica della malattia di ALz. È la
mancanza di iniziativa: la persona malata può diventare molto passiva e richiedre molti
stimoli esterni prima di agire
LEGGE DEL 5X50
L’Alz. Association stima che se si potesse ritardare di 5 anni l’onset della malattia (la comparsa)
si avrebbe una riduzione del 50% delle diagnosi di ALz.
Demenze solitamente iniziano dai 65 anni, fatta a parte alz precoce. Se riuscissimo a portarli a
70 sarebbero molto meno le diagnosi, in confronto con aspettativa della vita-

LA MEMORIA NELL’INVECCHIAMENTO SANO


MEMORIA: capacità di ricordare ciò che si è appreso, è tipica di noi esseri umani.
PROCESSO DI MEMORIZZAZIONE:
1. Da uno stimolo esterno parte la PERCEZIONE
2. I dati vengono registrati dai SENSI
3. Avviene la CODIFICAZIONE dei dati
4. C’è APPRENDIMENTO
5. I dati vengono riposti della MEMORIA A BREVE TERMINE
6. Ma per durare nel tempo devono poi essere messi nella MEMOTI A LUNGO TERMINE
MODELLO DI ATKINSON E SHRIFFIN NEL 1968
1. SENSORIALE legata ai sensi (uditiva, visiva, olfattiva, tattile..)
2. A BREVE TERMINE (nella quale si fissano le cose, ma per breve tempo, se queste poi
non vanno nella memoria a lungo termine, le perdiamo)
3. A LUNGO TERMINE: lo studio, la memoria autobiografica ..
COSA RICORDIAMO PIU’ FACILMENTE?
- Ciò che è piacevole
- Ciò che è spiacevole (=hanno forte impatto emotivo e si sedimentano)
- Quello che facciamo più spesso
COSA DIMENTICHIAMO Più FACILMENTE?
- Ciò che non ci interessa
- Quello a cui non prestiamo attenzione

MEMORIA SENSORIALE _ durante questa prima fase di memorizzazione le info sensoriali


provenienti dall’ambiente esterno vengono trattenute per pochissimi instanti: poco più di

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mezzo secondo per quanto riguarda info visive e 3 o 4 secondi per quelle sonore. La creazione di
un ricordo inizia quindi sempre con la sua percezione: può trattarsi di un info visiva, di un
suono, di una sensazione tattile. Il ricordo dell’olfatto e del gusto sono i due più evadenti
ignoranti dalla memoria sensoriale.
MEMORIA A BREVE TERMINE _ può contenere solo poche informazioni alla volta. Presenta
alcune catatteristiche:
1. Breve durata: massimo 30 secondi
2. Capacità limitata: memory span da 5 a 9
In base al contenuto la distinguiamo in:
 MBT VERBALE
 MBT VISUO-SPAZIALE mantiene e manipola immagini visive
 MEMORIA DI LAVORO: indica un sistema cognitivo che permette il mantenimento
temporaneo e la successiva elaborazione di info nel cervello, una sorta di coscienza
momentanea (le informazioni che una persona sta elaborando in quel momento)
Mentre la memoria a breve termine mantiene poche informazioni, verbali o spaziali per un
tempo breve, la memoria di lavoro mantiene le informazioni verbali o spaziali, al fine di
poterle utilizzare per l’esecuzione di compiti (quando per esempio si ascolta una lezione). Tale
concetto, connesso alla memoria a breve termine, è stato introdotto da Baddeley e Hitch. La
memoria a breve termine subisce lievi cambiamenti, al contrario, processi di elaborazione più
complessi riscontrano significative differenze dovute all’età .
Essa richiede più energia, perché richiede di doppio compito e quindi risente di un
rallentamento nell’invecchiamento fisiologico.

MEMORIA A LUNGO TERMINE


Una volta che abbiamo deciso cosa ricordare si manda nella memoria a lungo termine composta
da più tipologie di memoria:
 PROCEDURALE IMPLICITA  si manifesta in modo automatico, senza necessità di un
laborioso richiamo (camminare, ballare, andare in bici, sciare)
 DICHIARATIVA O ESPLICITA necessita di uno sforzo attentivo per essere evocata.
Certamente decade con invecchiamento

 SEMANTICA (fa parte della dichiarativa) – I significati . le informazioni sul mondo, le


nostre conoscenze. La memoria del sapere.
 EPISODICA  episodi della nostra vita quotidiana (cosa hai mangiato ieri?) – decade
anche nell’invecchiamento fisiologico
MEMORIA AUTOBIOGRAFICA (la storia): La memoria autobiografica non e’ concettualizzabile
come un sistema di memoria isolato, bensì come un’integrazione tra la memoria episodica e la
memoria semantica. I ricordi della memoria autobiografica si riferiscono non ad eventi comuni
(come ad esempio “ieri sono andato al cinema”) ma esperienze di vita specifiche, rilevanti e
fondamentali nella costruzione della rappresentazione di se’ stessi, degli altri e del mondo.
Sembra che i problemi di oblio siano dovuti principalmente non tanto ad un decadimento o ad
una cancellazione della traccia mnestica, quanto al mancato accesso delle informazioni,
difficoltà quindi di recupero. Infatti i test mnemonici di riconoscimento sono più facili dei test
mnemonici di richiamo. (=c’è difficoltà di recupero se quando do il LA l’anziano mi segue).
(Lavoro con anziano su memoria procedurale)  fatica nel recupero.

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Ora proviamo a vedere se riuscite a ricordare a rirordare più parole se vi do degli spunti per il
recupero:
- Animali, utensili, frutta, mobili, colori, vestiti
Mela arancia pera banana rosso verde giallo blu cucchiaio forchetta coltello pistola bomba
carbone gas legna insegnante dottore avvocato dentista lana cotone rayon sega martello chiodi
letto divano sedia tavolo mucca cavallo padella fucile
Calcio baseball basket
La differenza mnestica è dovuta ai mancati recuperi.
RECUPERO O RICORDO: può avvenire in modo VOLONTARIO e INVOLONTARIO
- Volontario come nelle interrogazioni cerco di recuperare ciò che so
- Involontario quando i ricordi riaffiorano per associazione di idee
Provare a ricordare la parola, è utile ragionare per categorie, serve per rendere ordinato quello
che è nel nostro cervello.
Nell’anziano non c’è problema di memorizzazione ma RECUPERO, nell’invecchiamento
fisiologico fisiologico serve da input per recuperare; nell’invecchiamento patologico non
avviene questo.
Perché si ricordano meglio i ricordi del passato?
Si è riscontrato che glia anziani ricordino con maggiore vigore episodi del passato, soprattutto
in età adolescenziale piuttosto che episodi recenti. Il ricordare con più facilità episodi accaduti
quando avevano tra i 10 e 30 anni, viene definito BUMP. Tale aspetto è condizionato dalla
buona capacità di memorizzate che si aveva quando era avvenuto l’evento in un momento
quindi, in cui il sistema cognitivo era al massimo della sua efficienza (massimo sviluppo
cognitivo). Altra teoria è quella del LEOPARDISMO ovvero che per uomo è una funzione
difensiva, perché i ricordi del passato hanno valenza identitaria e hanno la capacità di tenere un
filo nella tua storia. Altra teoria è che in questo periodo avvengono eventi importanti (inizio
università , trovare lavoro ecc)
La variabile significativa che stimola i ricordi è il fatto che fino all’età adulta la vita è
caratterizzata da eventi importanti e positivi in termini di sviluppo sociale, relazionale e
lavorativo, stimolando la memorizzazione di determinati ricordi. Inoltre la propensione
a tenere vivi i propri ricordi è influenzata da una particolare caratteristica
dell’individuo, chiamata leopardismo (per ricordare l’amore che il poeta Leopardi aveva
per il ritorno al passato) o sensibilità alla memoria.

MISINFORMATION EFFECT
Un effetto da considerare, causato dal processo dell’invecchiamento, riguarda la
veridicità degli eventi raccontati. Loftus, Miller e Burns hanno introdotto il paradigma
del misinformation effect.

MEMORIA PROCEDURALE: è una memoria automatica, non richiede energia al nostro cervello e
quindi non risente con l’invecchiamento e nemmeno con invecchiamento patologico. Perciò è
una cosa su cui lo psicologo può e deve lavorare.
Non richiede un accesso consapevole da parte dell’individuo alle informazioni si è dimostrato
come tale memoria rimanga indenne con l’avanzare dell’età, anche se in presenza di patologie
cognitive degenerative.

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MEMORIA PROSPETTICA: è il ricordare di ricordare, non è semplice, richiede uno sforzo quindi
nell’invecchiamento è inficiata.
Permette di “programmare le azioni future e di rievocarle nel momento in cui devono
essere compiute.” Essa si divide in memoria prospettica basata sul tempo ("devo
prendere una medicina alle ore 20.00") e in memoria basata sugli eventi ("quando
suona la sveglia devo prendere la medicina").

Il ricordarsi di compiere un’azione comporta un piano complesso che Brandimonte


(1991) ha distinto in fasi:
- formazione delle intenzioni; (programmazione)
- ricordare che cosa fare;
- ricordare quando farlo;
- ricordarsi di compiere l’azione nel modo stabilito;
- ricordarsi di avere compiuto l’azione per non ripeterla. (se faccio azione in modo
automatico, mi sfugge se ho fatto l’azione oppure no) (ho preso la pillola o no?)
E' un tipo di memoria che risente dell'avanzare dell'età (sia invecchiamento fisiologico
che invecchiamento patologico)

FATTORI CHE OSTACOLANO LA MEMORIA


Si ricordano le cose a cui si presta attenzione, ma ci sono molti fattori che influiscono e
non ci fanno ricordare:
1. LO STRESS, LA STANCHEZZA
2. ll CONTRASTO: si fatica a ricordare ciò di cui non si è convinti.
3. I DISTURBI DELL’ATTENZIONE: se non si presta attenzione non si memorizza.
4. L’ANSIA: in uno stato d’ansia o emotività , si possono avere vuoti di memoria.
5. La MOTIVAZIONE: se non si è interessati si fatica a ricordare.
6. L’INCOMPRENSIONE: se non si capisce si fatica a memorizzare.
7. LA MANCANZA DI ORGANIZZAZIONE: è importante organizzare il materiale da
ricordare.  Si insegnano anche delle tecniche di memorizzazione nie training di
potenziamento: una strategia è la categorizzazione

Dunque nell’invecchiamento primario non tutte le componenti della memoria subiscono


un declino all’unisono. La performance di memoria declina con l’avanzare dell’età ,
tuttavia tale decadimento dipende dal compito di memoria assegnato: mentre la
performance degli anziani si abbassa notevolmente per alcuni compiti, per altri il
declino è lieve o nullo. La memoria semantica, al contrario della memoria episodica,
conserva maggiormente i suoi processi fino ai 55- 60 anni, cominciando a decadere a
partire dai 65 anni. Essa è quella in cui conserviamo i significati delle cose, delle parole,
degli oggetti… è la nostra cultura e più si va avanti con l’età e più si accumula. (anziano
saggio)
A riguardo Rö nnlund, attraverso uno studio compiuto su mille persone dai 35 agli 80
anni, dimostrò come negli anziani, la prestazione in prove di memoria semantica, come
il vocabolario, migliora con l’avanzare dell’età .

Con l’avanzare dell’età diminuiscono anche risorse importanti come la velocità di


elaborazione e la capacità di inibizione:
 Velocità di elaborazione: è generalmente testata con prove in cui viene chiesto di dare
una risposta il più velocemente possibile o di dare il maggior numero di risposte entro
un determinato limite di tempo. L’allungamento dei tempi di reazione è dovuto alla
difficoltà di decisione rapida

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 Inibizione: la prestazione cognitiva degli anziani sarebbe influenzata da una
maggiore difficoltà a selezionare le rappresentazioni appropriate per i fini
dell’attività da svolgere e a inibire le rappresentazioni percettive, mnestiche e le
risposte non pertinenti all’attività . Birren sostiene che con l’aumentare dell’età si
sviluppa e cresce sempre di più un deficit inibitorio, tale per cui risulta
maggiormente difficile ignorare le informazioni non pertinenti.
Inibizione delle cose che non ci interessano, che sono poco rilevanti ovvero
accettare che tutto entri in memoria senza fare una selezione.

LA MEMORIA NELL’INVECCCHIAMENTO
 Calo poco significativo nella capacità della MBT: Gli studi hanno dimostrato che la
riduzione è strettamente legata al tipo di compito proposto: laddove si richiede una
ricerca attiva in memoria (compiti di rievocazione) le prestazioni sono sicuramente
peggiori rispetto ai compiti di riconoscimento. Ciò ha indotto alcuni autori a pensare
che le difficoltà amnestiche dell’anziano si situino a livello di recupero
dell’informazione e non di codifica. Numerose sono le variabili che possono influire
sulle prestazioni mnestiche: il livello di istruzione, il tipo di professione, lo stile di
vita, l’esercizio relativo a quella funzione, il tipo di compito (artificiale oppure legato
a situazioni di vita quotidiana), il contenuto del compito.
 La WM presenta un funzionamento peggiore (Craik et al., 1990).
 La memoria procedurale e la memoria semantica (concetti, significati, regole)
appaiono integre;
 La MLT per eventi vicini peggiora (m. episodica), la MLT per eventi lontani è
preservata;
 È presente il fenomeno della reminiscenza: Si tratta del lasciarsi andare
spontaneamente alla emersione di ricordi, anche molto remoti. E’ una funzione
importante per il benessere psicologico della persona anziana e per il mantenimento
della sua identità. Rinforza il senso di identità ed è un momento elaborativo su aspetti
importanti della propria esistenza.

ATTENZIONE
Nei corsi “di potenziamento della memoria” si lavora moltissimo sull’attenzione, perché da essa
dipende la memoria.
“Il miglioramento dell'attenzione costituisce il presupposto per il training di altre
funzioni cognitive ed ha un significato fondamentale nel trattamento dei disturbi della
memoria.” (A .Mazzucchi)
L'attenzione è quella funzione che permette di indirizzare la maggior parte dell'energia che ci
permette di elaborare l'informazione verso un solo stimolo. In questo modo si evita di
disperdere energia per analizzare materiale non rilevante, e si migliora l'elaborazione del
materiale di interesse. Sappiamo bene tutti, per esperienza personale, che non è sempre facile
mantenere a lungo l’attenzione su qualcosa; che ciò diventa tanto più difficile quanto più
numerosi sono gli stimoli, ma anche quando gli stimoli sono poco attraenti e interessanti.
L’attenzione su uno stimolo ha comunque sempre una durata limitata (circa 20 minuti) e, man
mano che si invecchia, questo tempo di concentrazione si abbrevia fisiologicamente e diventa
sempre più difficile filtrare gli stimoli quindi si diventa più “distraibili”.

L'attenzione può essere:


- selettiva: sapersi concentrare su caratteristiche che catturano la nostra attenzione, non
badando a stimoli che ci distrarrebbero fortemente ("distrattori forti"); capacità di

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ignorare informazioni non rilevanti. (=Seleziono solo lo stimolo a cui sono interessato e
lascio da parte il resto)
- divisa: prestare attenzione a più compiti contemporaneamente;  richiamo con la
memoria di lavoro, doppio compito. Fa parte delle funzioni esecutive. Trial test B è un
test che consente di tracciare linee alfabeto e numeri in ordine 1-A, 2-B ecc
- sostenuta: attenzione protratta nel tempo;
- spaziale: capacità di orientare la nostra attenzione nello spazio
Gli anziani hanno difficoltà maggiori rispetto i giovani, tanto più il compito richiede loro
controllo e/o velocità.
Con l’invecchiamento sorgono problemi nell’attenzione, in particolare:
- L’attenzione divisa è meno efficiente (Craik, 1977) soprattutto se legata alla WM
(Salthouse & Fristoe, 1995);
- Nell’attenzione sostenuta è presente una maggiore distraibilità (Parasuraman, 1998)

IL LINGUAGGIO
E’ un’area che non subisce grandi modifiche con invecchiamento, sia nella produzione che nella
comprensione. A volte si manifestano con “parole sulla punta della lingua”, è normale anche
nell’invecchiamento fisiologico.

Il linguaggio è un sistema di comunicazione che permette di trasmettere informazioni da una


persona all’altra ed è una delle funzioni cognitive più complesse in cui l’attenzione, la memoria e
l’integrità dei recettori uditivi giocano un ruolo importante al punto che le abilità linguistiche
possono essere considerate dei buoni indicatori dello stato generale dell’invecchiamento
cognitivo dell’anziano.
- comprensione del linguaggio: Il processo dell’invecchiamento comporta un declino lento
rispetto alla comprensione del linguaggio parlato (anche a causa delle ridotte capacità
attentive). Tuttavia è emerso che sia le persone anziane che hanno problemi di udito, sia
gli anziani senza tale deficit, utilizzano le informazioni di contesto al fine di
comprendere al meglio il discorso. La ricerca di Wingfield ha dimostrato infatti
l'importanza del contesto nella comprensione. Ovvero presentando una lista di parole
casuali e quindi senza un supporto del contesto, si ha un effetto negativo sulla
performance degli anziani, dovuta alla lentezza dell’elaborazione delle parole e pertanto,
della comprensione di esse. Il contesto aiuta ad elaborare più velocemente e in modo
automatico.
- produzione del linguaggio: Con l’avanzare dell’età si possono riscontrare difficoltà a
recuperare i nomi (anomia), parafrasie, fenomeni sulla punta della lingua; Rimangono
invece preservate le competenze narrative (il narrare un evento passato). Si potenzia la
capacità narrativa della persona.

EMOZIONI
Paradosso dell’invecchiamento. Nonostante all’aumentare dell’età ci siano dei cambiamenti a
livello fisico e cognitivo, l’elaborazione degli aspetti emotivi rimane efficiente o può addirittura
migliorare. All’aumentare dell’età , infatti, le emozioni vengono regolate in maniera più
efficiente. La maggior consapevolezza che il tempo che resta è limitato, motiverebbe l’anziano a
dare priorità alla ricerca di significati emotivi positivi agli avvenimenti, a rielaborare vicende
negative del passato in chiave positiva rispetto ai giovani, a prediligere ricordi positivi ai fini del
loro benessere. Evitano così inutili conflitti.

Anziani sono bravi a regolare le loro emozioni, per il loro benessere ricercano ricordi
positivi e sono bravi a rielaborare e rivedere eventi negativi del passato in una luce
positiva perché sanno che il tempo che hanno a disposizione è breve e non si perdono in
inutili conflitti.

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MOTIVAZIONE
CAUSE DELLO STILE ATTRIBUTIVO DISFUNZIONALE DELL’ANZIANO
- ambiente demotivante e controllante: figli o caregiver che attribuiscono insuccessi a
mancanza di impegno o abilità e che frenano. Se abbiamo un figlio care giver troppo ed
eccessivamente presente, mina la sua autonomia se io mi sostitusico a lui e non gli
consento di utilizzare le sue capacità residue.
Questo aumenta invecchiamento fisiologico e patologico.
- sostituzione
- stereotipi
PERSONALITA’  noi parliamo in linea generale ma ci sono delle differenze individuali che
dipendono dalla personalità . Se persona è sempre stata ottimista avrà da anziano alcune
strategie di coping che gli consentiranno un tipo di invecchiamento. Invece chi è di personalità
negativo, passivo invecchierà diversamente.
“Faber est suae quisque fortunae”
La Persona è artefice del proprio processo di invecchiamento:
- adottare buone abitudini comportamentali;
- coltivare i propri interessi;
- porsi sempre nuovi obiettivi, fare progetti;
- mantenere buone relazioni sociali.

BENESSERE E INVECCHIAMENTO
Negli ultimi anni, il campo d’interesse, si è allargato ad aspetti relativi alla qualità della vita e al
funzionamento psicologico ottimale, anche in età avanzata. L’obiettivo è quello di individuare le
forze e le virtù di ciascun individuo, promuovendo risorse e potenzialità .
Il modello che maggiormente rappresenta questo approccio è quello di Ryff che delinea il
benessere psicologico secondo alcune dimensioni:
1. Autoaccettazione: riconoscere e accettare le proprie qualità sia positive che negative
avere sentimenti positivi per la vita;
2. Crescita personale: vedere se stessi in continuo sviluppo;
3. Relazioni positive con gli altri;
4. Autonomia, autodeterminazione e indipendenza;
5. Dominio sull’ambiente: come senso di padronanza e competenza nel gestire l’ambiente;
6. Scopo di vita: avere un senso di direzionalità, sensazione che la propria vita passata e
presente abbia un significato.

IL BEN-SSC
Adottando un’ottica multidimensionale, è stato standardizzato uno strumento di
valutazione-comprensione del benessere psicologico percepito: il BenSSC. Il Ben-
SSC permette di esaminare i seguenti aspetti:
- soddisfazione personale: relativa alla propria vita passata, a ciò che si è
realizzato, includendo anche difficoltà e dispiaceri incontrati e alla propria vita
attuale;
- strategie di coping: affrontare piccoli o grandi problemi quotidiani;
- competenze emotive: riconoscere e comprendere le emozioni proprie e altrui e la
soddisfazione di avere e gestire delle soddisfacenti relazioni sociali
A riguardo sono nati interventi di potenziamento (ES. DEL LABIEMPOWERMENT EMOTIVO-
MOTIVAZIONALE). Tali interventi si focalizzano sul potenziamento di componenti come:
competenze emotive, la soddisfazione di vita, la resilienza e la pratica di un pensiero ottimista.

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Lo scopo di questi interventi è favorire il passaggio da una condizione di languishing (assenza di
benessere) al flourishing (prosperità ) ossia un’espansione delle proprie potenzialità e degli
scopi di vita.
A partire da questo test possiamo pensare a degli interventi emotivo-emozionali che sono le
componenti in cui noi abbiamo potenzialità e potere di lavorare.
“Non occorre alcuna abilità per invecchiare ma occorre abilità per saperla affrontare”
Gothe
Questo è lo scopo dello psicologo.

INVECCHIAMENTO PATOLOGICO
BORNA.. sull’alzheimer
“Ci sono alcune cose che dovremmo ricordarci di fare quando la vita ci porta anche solo per un
attimo dinanzi ad una persona con demenza: guardarla negli occhi con tenerezza, tenerla vicina,
darle la mano, sorriderle, sondare...ma non la memoria cronologica, la memoria dei fatti, dei
nomi e dei numeri, che angoscia e lacera il cuore, ma la memoria vissuta, la memoria
involontaria, la memoria emozionale, dalla quale rinascono i ricordi, le schegge dei ricordi, che
hanno dato un senso alla vita, alla propria vita e a quella degli altri...”

Cortometraggio “ti ho incontrato domani” Marco Toscani  caregiver vive un lutto in vita,
emozioni sono pesanti da gestire, è devastante psicologicamente difficile da sopportare.
Maurice Ravel, pianista e compositore francese, autore del famosissimo "Boléro", sviluppo una
forma di demenza precoce. I primi sintomi comparvero a 52 anni e colpirono principalmente il
linguaggio ma Maurice continuò ancora per anni a comporre e suonare. Le ultime opere
risalgono al 1933, 6 anni dopo l'esordio dell'afasia. Di lui scrisse l'amico Igor Stravinsky "I suoi
ultimi anni furono crudeli, perché stava gradualmente perdendo la memoria e alcune delle sue
capacità di coordinamento e ne era del tutto consapevole."

_ inizialmente il paz. Di Alz, è consapevole delle proprie perdite quindi vivono il lutto di loro
stessi. -
PAZIENTE HM
Grazie a lui è cambiata la storia della neuropsicologia moderna. Ma non hai mai potuto
ricordarlo.
Henry Molaison è stato uno dei più famosi pazienti amnesici nella storia delle neuroscienze.
Nato nel 1926 a Brooklyn e morto nel 2008. Il signor Molaison era affetto da una grave forma di
epilessia, forse a causa di una caduta da bicicletta risalente alla sua infanzia. Nel 1953 fu preso
in cura dal dottor William Scoville, il quale riuscì a localizzare l’origine dei suoi attacchi epilettici
nel lobo temporale mediale. Il dottore decise di operare Molaison, asportando 8 centimetri di
entrambi i lobi temporali mediali, compresi i due terzi anteriori dell’ippocampo, le cortecce
entorinale e peririnale e l’amigdala. L’intervento ebbe un esito positivo, per quanto concerne
l’epilessia. Gli attacchi epilettici si ridussero notevolmente. Purtroppo, fu subito chiaro che H.M.
non sarebbe stato più lo stesso. H. M. risultò affetto da una grave forma di amnesia. Non riusciva
a riconoscere i dottori e gli infermieri che aveva conosciuto pochi minuti prima, non riusciva a
ricordare ciò che aveva mangiato nel momento stesso in cui aveva finito di mangiare. Qualsiasi
cosa facesse veniva cancellata dalla sua memoria nel momento esatto in cui era stata compiuta.
La memoria dichiarativa riferita al passato era tuttavia intatta. Ricordava la sua infanzia, la sua
adolescenza. Molaison era quindi affetto da una grave amnesia anterograda: era capace di
ricordare tutto il suo passato, ma non riusciva a ricordare ciò che era successo dopo

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l’intervento. H.M. era incapace di ricordare le vicende della vita di ogni giorno, i gesti appena
compiuti, le parole appena pronunciate, i discorsi appena ascoltati. Cancellava dalla sua mente
qualsiasi episodio immediatamente dopo il suo accadimento. Sembrava che i medici, insieme al
tessuto cerebrale, avessero rimosso la sua capacità di formare nuovi ricordi (memoria
anterograda, relativa alle informazioni acquisite dopo l’insorgenza del disturbo). Il deficit di
memoria ha naturalmente inciso moltissimo sulla vita di H.M., condizionandola in molti aspetti.
Ad esempio, poco tempo dopo l’intervento, la sua famiglia traslocò , ma egli non fu mai in grado
di trovare da solo la strada di casa, né ricordava il nuovo indirizzo, continuando a fornire quello
precedente. Non riusciva ad imparare dove fossero riposti gli oggetti che usava
quotidianamente. Ad esempio sua madre doveva ricordargli ogni volta dove fosse il tosaerba,
anche se lo aveva usato il giorno precedente. Quando, nell’aprile del 1955, all’età di 29 anni, nel
corso di una valutazione psicologica gli fu chiesto che giorno fosse egli rispose che era un giorno
di marzo del 1953 e che aveva 27 anni. Era come se il tempo si fosse fermato per H.M. ed egli era
a mala pena consapevole di aver subito un intervento chirurgico. Nel 1953 entra nella sua vita la
dottoressa Brenda Milner. È lei che seguirà H.M. fino alla morte di quest’ultimo. Purtroppo,
come ha raccontato in seguito la dottoressa, Henry non riuscì mai a riconoscerla davvero.
Continuò a presentarsi a lei come se fosse il primo giorno in cui l’avesse vista. Tuttavia,
nonostante la sua sfortunata condizione, Henry fu di grandissimo aiuto per la ricerca scientifica.
Brenda Milner, studiando il caso di H.M. capì che la capacità di immagazzinare ricordi è legata a
una funzione cerebrale specifica, situata nella parte mediale dei lobi temporali. In passato,
infatti, si credeva che aree come l’ippocampo e il lobo temporale mediale non fossero la fase
finale del processo di immagazzinamento dei ricordi. Grazie agli studi su H.M, si è capito che la
perdita di strutture come il lobo temporale mediale, ma soprattutto l’ippocampo, distruggono la
possibilità di rendere la nuova memoria a breve termine nuova memoria a lungo termine.
Inoltre, venne fatta una scoperta fondamentale anche per quanto concerne la memoria
procedurale. H.M. era in grado di diventare sempre più abile nei compiti di memoria
procedurale, pur svolgendoli come se fosse la prima volta ad ogni esercizio.

BRENDA MILNER (medico che prende in carico il paziente HM – nel 1953 – è ancora in vita ha 103
anni)
Pioniera nel campo delle neuroscienze cognitive, considerata da molti la fondatrice della
neuropsicologia, Brenda Milner ha dato un contributo fondamentale alla comprensione delle
basi cerebrali che sottendono al funzionamento della memoria umana. “La gente pensa che,
essendo molto anziana, dovrei assumere il ruolo di professoressa emerita. Be’, non ne ho alcuna
intenzione. Sono una ficcanaso, sapete, una persona molto curiosa”. La neuropsicologa anglo-
canadese Brenda Milner, 103 anni, tuttora in vita, non ha lasciato che lo scorrere del tempo
potesse condizionare la sua vita. Brenda Milner Ancora oggi lavora attivamente presso il
dipartimento di Neurologia e Neurochirurgia della McGill University di Montreal, dove oltre 70
anni fa ha avuto inizio la sua carriera. Membro della Royal Society e dell’Accademia nazionale
delle Scienze, in quasi settant’anni di carriera ottiene oltre venti lauree honoris causa e riceve
svariati riconoscimenti

IL PAZIENTE PHINEAS CAGE


Il 13 settembre 1848, una sbarra di ferro trafisse il volto e il cranio di Phineas Gage, operaio del
Vermont. Gage era addetto alla costruzione di una ferrovia: era un uomo gentile e affidabile. Un
giorno, mentre era impegnato a intasare una carica di esplosivo con una barra di ferro, fece
inavvertitamente scoccare una scintilla: l’esplosione spinse indietro la barra, che gli trapassò il
cranio. L’infortunio aveva lesionato il suo lobo frontale sinistro, mostrando come i danni a
specifiche parti del cervello possano influenzare personalità e comportamento. Quello di Gage fu
il primo caso di sindrome frontale riportato in letteratura. L’uomo incredibilmente sopravvisse,
ma da amabile e cordiale che era divenne blasfemo, iroso, privo di freni inibitori. Le lesioni ai
lobi frontali provocano disturbi di personalità , mancanza di autocontrollo, incapacità di giudizio,

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disinteresse per le opinioni altrui, indolenza. Il danno può derivare da lesioni (traumi, ictus),
tumori, infezioni o demenza. Da questo celebre caso si è dedotto che il lobo frontale (la zona
danneggiata dall’incidente di Gage) è la sede delle nostre capacità esecutive, organizzative, di
adattamento sociale.

DEMENZE
Esperimento: nei cinema le persone andavano per vedere un film e però veniva
proiettato un altro film; per far capire per esempio come si sente una persona che
inizialmente è consapevole di quello che sta vivendo e prova ansia, disorientamento
eccc. Vedi lezioni del pubblico del cinema.  disorientaemnto – smarrito per 750.000
malati di Alz. In Italia provano questi  processo di sensibilizzazione.
Tra il 21 e il 25 settembre 2016, gli spettatori che si sono recati nei cinema italiani aderenti al
consorzio UniCi (Unione Cinema) si sono trovati di fronte a un apparente errore: il film che
cominciava sullo schermo non era quello per cui avevano pagato il biglietto. Un imprevisto che
ha creato sconcerto in sala. Smarrimento, disorientamento: sono queste le sensazioni con le
quali una persona con Alzheimer è costretta a convivere. Per far avvicinare a questa condizione,
aiutando persone comuni a mettersi nei panni di una persona con demenza, la Federazione
Alzheimer Italia ha realizzato un esperimento nelle sale cinematografiche italiane.

IDENTITA’ PERSONALE E DEMENZA

Scrive Oliver Sacks  “Si deve cominciare a perdere la memoria, anche solo brandelli di ricordi,
per capire che in essa consiste la nostra vita. Senza la memoria la vita non è vita. La nostra
memoria è la nostra coerenza, la nostra ragione, il nostro sentimento, persino il nostro agire”.
Ognuno di noi ha una propria storia di ciò che ha vissuto, un racconto interiore, la cui continuità ,
il cui senso è la nostra vita. Questo racconto corrisponde a noi stessi, è la nostra identità . Per
essere noi stessi, dobbiamo possedere la storia del nostro vissuto. Identità personale e
demenza.
Youtube esperimento sociale: hai mai pensato che cosa prova una persona con alzheimer ogni
giorno.

L’essere umano ha bisogno di questo racconto, per conservare (e sviluppare) la sua identità , il
suo sé”. Oliver Sacks.  “L’Uomo che scambiò sua moglie per un cappello” è un libro scritto da
lui.

«Noi siamo quelli che siamo per via di ciò che impariamo e di ciò che ricordiamo»: è così che con
questa frase lo psichiatra e neuroscienziato.

Eric Kandel, premio Nobel nel 2000 per le sue ricerche sulla memoria, sintetizza i suoi 50 anni
di studi e di sperimentazioni. La memoria è l’impalcatura che sostiene la nostra storia
personale. Dunque un malato di alzheimer è come se dovesse fare i conti con un lento
lutto di se stesso.

PERRDENDO PEZZI DI NOI, PERDIAMO PEZZI DELLA NOSTRA IDENTITA’  care giver manifestano “non
sono più loro” ma noi dobbiamo aiutare a far capire che dietro alle manifestazioni cliniche c’è sempre e
comunque lui e che va ri-agganciato.
L’identità personale è un problema peculiare nella malattia di Alzheimer. Il paziente demente
perde parti della sua identità, parti di sé; tuttavia, a volte, anche se temporaneamente, ritrova

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condizioni di coscienza di sé, facendo ricorso alla sua creatività che non è altro che un modo per
vedere, interpretare il mondo esterno e per comunicare il mondo interiore, la sua soggettività :
quindi, mentre la parte cognitiva lentamente e progressivamente si estingue, una parte
dell’apparato psichico, quella che fa riferimento alla dimensione affettivo-emotiva e alla
creatività, in parte vive ancora. Un esempio di tutto ciò sono proprio i disturbi comportamentali
(che vedremo più avanti). Attraverso una nuova riorganizzazione creativa cognitiva ed emotiva,
il demente cerca un nuovo modo di esistere, una nuova trama di sé, una nuova memoria che,
però , dà continuità a ciò che rimane della sua identità . È questa la funzione della produzione
fantasiosa dei falsi ricordi: essi, attingendo a diversi frammenti mnemonici dell’esperienza
passata e agli stimoli dell’ambiente, “riempiono” le lacune mnesiche sia del passato recente sia
di quello meno vicino, nel tentativo di mantenere la continuità del sé nel tempo, condizione
essenziale per il senso di sé. Gli stessi familiari ripetono con frequenza: "Non è più lui! Non è più
lei'." Sì, è vero "Non è più lui! Non è più lei!". Però la domanda corretta è questa: "Anche se non è
più lui o lei, giacché non è com'era prima, conserva ancora un'identità ?

Si può parlare di Demenza quando la perdita delle funzioni cognitive coinvolge la memoria e le
altre funzioni (parlare, muoversi, pensare e ragionare, riconoscere ed orientarsi) ed è così
severa da interferire con in modo significativo con le attività lavorative, sociali, relazionali e con
la qualità della vita. =in TOTO
A questi sintomi possono associarsi anche modificazioni del carattere, dell'affettività e della
personalità .

Per demenza si intende un “decadimento globale delle funzioni cognitive, progressivo, che
interferisce con le attività sociali e lavorative” (American Council of Scientific Affairs).

CRITERI DIAGNOSTICI – DSM IV


A. Presenza di deficit cognitivi multipli caratterizzati da:
1. compromissione mestica (deficit delle abilità ad apprendere nuove informazioni o a
richiamare informazioni precedentemente apprese)
2. uno (o più ) dei seguenti deficit cognitivi:
a. afasia
b. aprassia
c. agnosia
d. deficit del pensiero astratto e delle capacità di critica (pianificare, organizzare,
fare ragionamenti astratti)
B. I deficit cognitivi dei criteri A1 e A2 interferiscono significativamente nel lavoro, nelle
attività sociali o nelle relazioni con gli altri, con un peggioramento significativo rispetto
al precedente livello funzionale
C. I deficit non si manifestano esclusivamente durante un delirium

Immagini di demenza lieve, moderata e severa  si assottigllia la corteccia.

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CLASSIFICAZIONE DELLE DEMENZE
Esistono varie classificazioni delle demenze:
in base alla sede della lesione
- Corticali/Sottocorticali
- Demenze primarie/secondarie

NB: Per demenza derivante da causa accertata (tumore, infezione, trauma, ecc...).

Demenza primarie o degenerative


A- DEMENZE CORTICALI
o Demenza di Alzheimer (AD)
o Demenze fronto-temporali
B- DEMENZE SOTTOCORTICALI (sono relative ad aree più profonde del cervello)
o Parkinson – demenza
o Demenza dei corpi di Lewy
o Paralisi sopranucleare progressiva
o Degenerazione cortico-basale
o Paralisi sopranucleare progressiva
o Degenerazione cortico-basale
o Malattia di Huntington
Demenze secondarie (ovvero sono dovuute ad altro, esempio dopo un tumore, dopo abuso di
alcool ecc)
A) DEMENZA VASCOLARE ISCHEMICA
B) DISTURBI ENDOCRINI E METABOLICI (ipo e iper-tiroidismo, ipo e iperparatiroidismo,
malattie dell’ asse ipofisi-surrene -s. di Cushing, m. di Addison-, encefalopatia portosistemica in
corso di epatopatia, insufficienza renale cronica, ipoglicemia, disidratazione)
C) MALATTIE METABOLICHE EREDITARIE
D) MALATTIE INFETTIVE ED INFIAMMATORIE DEL SNC (meningiti ed encefaliti – batterica,
neurosifilitica, micotica, virale, sclerosi multipla e m. demielinizzanti, connettiviti, m. di
Creutzfeld-Jakob, AIDS dementia complex)
E)STATI CARENZIALI
F)SOSTANZE TOSSICHE (alcol, metalli pesanti, farmaci) G) Processi espansivi intracranici
H) MISCELLANEA (traumi cranici, sindromi paraneoplastiche)

Dal film “Rughe”  Cosa gli dici per farlo sorridere?

ALZHEIMER
La Malattia di Alzheimer rappresenta la metà circa di tutti i casi di demenza ed è seguita, come
frequenza, dalla demenza vascolare (VD). La scoperta della malattia di Alzheimer, risale
all’inizio del 1900 quando il dr. Alois Alzheimer e il dr. Gaetano Perusini descrissero per la
prima volta il caso di una donna, Auguste D., ricoverata a Francoforte presso un ospedale
psichiatrico per una sindrome in cui a disturbi di tipo psichiatrico si associava un quadro di
demenza. Alla morte della signora l’autopsia evidenziò delle particolari alterazioni nel cervello,
mai osservate in precedenza (i medici le definiscono “placche amiloidi” e “gomitoli
neurofibrillari”).
Perusini morì durante la Prima Guerra Mondiale dopo aver descritto, insieme ad Alzheimer,
altri casi simili a quelli di Auguste D; da allora una malattia senza nome, ovvero inserita

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nell’ambito delle demenze, cominciò ad essere chiamata dapprima malattia di Alzheimer-
Perusini, in seguito più semplicemente malattia di Alzheimer.
Le caratteristiche della signora erano: una forte gelosia verso il marito, persecuzione,
allucinazioni uditive, perdita della memoria e disorientamento nello spazio.
Alzheimer e Perusini entrambi scoprono e studiano la patologia.

26 NOVEMBRE 1901 - colloquio di Alzheimer con Auguste

MEDICO: Come si chiama? PAZIENTE: Auguste. MEDICO: Cognome? PAZIENTE: Auguste.


MEDICO: Come si chiama suo marito? PAZIENTE: Ah, mio marito? MEDICO: È sposata?
PAZIENTE: Con Auguste. MEDICO: Signora D.? PAZIENTE: Sì, sì, Auguste D. Alla fine non fu più
possibile alcuna forma di comunicazione con la malata. (Siamo agli inizi del 900, ora come
ora è possibile però comunicare con loro attraverso vari canali e quindi non è più possibile
pronunciare frasi di questo tipo. Dietro la malattia c’è molto più )
Aloise Alzheimer

La patologia è caratterizzata dalla formazione di placche senili, che sono accumuli


extracellulari di un peptide chiamato ‘beta-amiloide’. Questi accumuli sono inizialmente visibili
nell’ippocampo, poi si estendono a tutta la corteccia. La malattia è caratterizzata anche da
degenerazioni neurofibrillari, con conseguente accumulo di proteine tau nei neuroni. Queste
microfibrille comprimono i neuroni e ne inibiscono il funzionamento assonale.

Le placche senili sono studiate ma non sappiano tutto su questo, sappiamo poco, non c’è cura,
anche se ci sono farmaci che hanno solo lo scopo di ridurre sintomi, non si capisce se queste
placche emergono come conseguenze o come causa. A volte ci sono queste placche ma non c’è
sintomatologia.

TAC

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PET
ANATOMIA PATOLOGICA
1. L’encefalo si presenta atrofico e il peso è ridotto,
2. le circonvoluzioni sono assottigliate,
3. le scissure ed i solchi allargati con ampliamento dei ventricoli laterali.
4. Diffusa rarefazione neuronale (soprattutto nel sistema dei grandi nuclei colinergici del
nucleo basale di Maynert);
5. Dendriti più corti e meno ramificati e quindi meno connessioni
6. Presenza di placche senili o amiloidee;
7. Degenerazione neurofibrillare.

Tutto questo porta ad un particolare QUADRO CLINICO


• La malattia ha un inizio insidioso con decorso cronico progressivo.
• All’inizio la sintomatologia è sfumata tanto da non poter stabilire con certezza il momento di
inizio. Inizialmente si manifesta solo con alcune dimenticanze, si tende a negare, si tende a si
tende a sottovalutare e non andare dal medico.

Pazienti affetti dalla malattia vivono in media 8 anni, anche se alcuni sopravvivono anche 20
anni dalla diagnosi. Dipende anche dell’età in cui si manifesta la malattia se precoce tende a
durare di più .

STUDI RECENTI  Non in tutti i pazienti la presenza di queste strutture è associata ai sintomi
della demenza: placche amiloidi sono state trovate anche nel cervello dei "superager", adulti
arrivati a 90 anni con la memoria di un cinquantenne. Non è chiaro se il loro accumulo sia una
delle cause o piuttosto l'effetto.
FASE INIZIALE – CAMPANELLI DI ALLARME
È necessario un approfondimento quando si ha di fronte una lieve perdita della capacità di
ricordare avvenimenti o fatti recenti, che progredisce gradualmente e alla quale si associano
alterazioni della personalità e deficit delle altre funzioni cognitive. In alcuni casi la malattia si
manifesta con una difficoltà nella denominazione degli oggetti oppure con un impoverimento
del linguaggio e il ricorso a frasi stereotipate (utilizzo di brevi frasi fatte e tendenza a ripetere,
senza consapevolezza, le ultime parole o i suoni uditi). FASE INIZIALE CAMPANELLI
D'ALLARME Le capacità di ragionamento e di giudizio risultano impoverita, spesso
precocemente, cosicché il paziente manifesta un ridotto rendimento lavorativo e può essere
incapace di affrontare e risolvere problemi anche semplici relativi ai rapporti interpersonali o
familiari. I caratteri pre-morbosi della personalità (cioè i tratti caratteriali precedenti la
malattia) sono spesso esagerati: compaiono atteggiamenti ossessivi, aggressività , sospettosità ;
in altri casi, invece, vi è un cambiamento della personalità , per cui soggetti solitamente
controllati e misurati diventano impulsivi, intrattabili e talvolta anche violenti. Altre volte il
sintomo che si associa al disturbo di memoria può essere rappresentato dalla difficoltà nella

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guida dell’automobile. Questo sintomo è dovuto alla difficoltà che i pazienti con malattia di
Alzheimer manifestano nel collocare gli oggetti nello spazio e nell’avere una visione unitaria di
ciò che li circonda. -un paziente aveva danneggiato una fiancata della propria auto poiché nella
manovra per collocarla in garage non riusciva a prendere correttamente le misure; -Un altro
paziente, in passato provetto meccanico per hobby, non era stato in grado di aggiustare la
gomma forata della bicicletta.

LIEVE
Sintomi cognitivi:
- Difficoltà ad imparare cose nuove
- Difficoltà di memoria
- Disorientamento temporale (confondere i giorni della settimana)
- Disorientamento spaziale (perdersi fuori casa)
- Anomia (difficoltà nel reperimento delle parole)
- Difficoltà nell’eseguire compiti complessi
Sintomi non cognitivi
- Ansia e depressione
- Negazione di malattia
- Apatia, abulia (mancanza di volontà )
- Irritabilità
- Deliri (generalmente di tipo persecutorio)  pensano che qualcuno sia andato a casa
loro a rubare
Deficit funzionali
- Necessità di supervisione o minio aiuto nel vesitrisi e nell’igiene personale
- Difficoltà nello svolgimento delle attività lavorative e nella vita sociale
- Difficoltà nell attività domestiche (es: far funzionare elettrodmestici)
MODERATA
Sintomi cognitivi
- Si accentuano i disturbi di memoria recente e remota
- Difficoltà ad orientarsi anche luoghi conosciuti
- AFASIA: difficoltà sia nel produrre discorsi articolati sia nel comprendere
- APRASSIA: difficoltà ad eseguire azioni complesso e cje richiedono programmazione
delle sequenze motorie
- AGNOSIA: difficoltà nel riconoscere gli oggetto amici e parenti o avere falsi
riconoscimenti
Sintomi non cognitivi
- Peggiorano i disturbi comportamentali
- Compaiono “vagabondaggio” e “affaccendamento” (persona non riesce a stare ferma)
- Compaiono disturbi dell’appetito (inappetenza) e del sonno (insonnia)
Deficit funzionali
- Incapacità di svolgere alcune attività indipendenti fuori casa (acquisti, uso di mezzi di
trasporto)
- Incapacità a cucinare o a svolgere altre faccende domestiche
- Necessità di molta assistenza o supervisione per igiene personale o cura della persona.

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GRAVE
Sintomi cognitivi
- Gravissima perdita di memoria (restano solo frammenti di ricordo) lavoro su memoria
del passato, tramite foto rievoco i ricordi,
- Incapacità a riconoscere i volti dei familiari più stretti (prosopoagnosia)
- Linguaggio incomprensibile, limitato ad una decina di parole, fino al mutismo (assenza
completa di linguaggio)
- Difficoltà a capire o interpretare gli eventi
Sintomi non cognitivi
- Comportamenti stereotipati (affaccendamento, vocalizzazioni)
- Agitazione, irritabilità
- Inappetenza, alterazioni del ritmo sonno-veglia
Sintomi – deficit funzionali
- Incapacità a uscire fuori casa se non accompagnato
- Difficoltà a camminare autonomamente, frequenti cadute, rigidità diffusa
- Necessità di molta assistenza nelle attività di base della vita quotidiana
- Difficoltà ad alimentarsi da solo
Quando la malattia raggiunge uno stadio avanzato, la maggior parte della corteccia è
compromessa.
Recentemente soprattutto per focalizzare l’attenzione sulla fasi finali della demenza, si parla
anche di demenza terminale (durata 6-12 mesi), che viene affrontata con “cure di tipo
palliativo”. In questa fase la persona è generalmente allettata, richiede assistenza totale, è
incontinente. Vi è generalmente difficoltà nella deglutizione e può essere necessario il ricorso
alla alimentazione artificiale.
(passaggio da seduti dialogano, seduti ma passivi, sdraiati con sondino e non parlano, morte)
LOST PROPERTY
Quando la memoria svanisce.. consigli
La perdita progressiva della memoria: sorgono notevoli difficoltà nell’apprendimento e il deficit
di memoria porta a ripetere continuamente domande ed attività già compiute. L’insicurezza, la
sensazione di perdita di controllo, la confusione, la frustrazione, l’umiliazione e la vergogna
sono sentimenti che inducono la persona a nascondere la sua perdita di memoria fino ad
arrivare a colpevolizzare qualcun altro.
(centro di sollievo sono per colore che hanno la demenza lieve e che non hanno bisogni uguali a
quelli gravi)
Ci sono tante differenze peculiari, non possiamo dire quanto è il lasso di tempo tra alz. Lieve a
quello moderato. Di media parliamo di 10 anni:
Cosa fare?
- Mantenere un atteggiamento positivo e rassicurante
- Tentare di distrarre alla persona per evitare l’eccessiva ripetitività
- Non considerare i suoi comportamenti come rivolti contro di noi (Ad affermazione
negativa, non deve rispondere anche se ci resta male, circolo vizioso)
- Evitare di sottolineare gli errori
- Utilizzare biglietti promemoria (nella fase iniziale)

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- Costruire un ambiente adatto evitando inutili cambiamenti e organizzazione la casa in
modo da poter rispondere ai suoi bisogni cognitivi e di autonomia (piuttosto togliamo le
cose inutili che a lui non servono più come elettrodomestici, e lasciare solo le cose utili,
in modo che la sua attenzione sia direttamente su quello che deve fare, pillole e acqua,
l’anziano vede solo quello e non si confonde, ce la fa nel compito e si sente capace)
- Creare una routine
TERAPIE FARMACOLOGICHE
I farmaci attualmente disponibili per attenuare i sintomi della malattia di Alzheimer sono
soprattutto gli anticolinesterasici (rivastigmina, donepezil, eptastigmina e galantamina) e la
memantina: i primi agiscono aumentando la concentrazione cerebrale dell'aceticolina (una delle
sostanze implicate nei meccanismi di memorizzazione) e sono utili in fase iniziale; la seconda
riduce la stimolazione dei recettori NMDA del glutammato (un altro neurotrasmettitore
cerebrale) ed è indicata nelle forme intermedie e avanzate della malattia. Terapie
farmacologiche Composti ad azione antipsicotica e sedativa possono, inoltre, essere talvolta
necessari in associazione agli anticolinesterasici per attenuare i disturbi comportamentali, in
particolare, l'agitazione e l'aggressività o l'apatia, che in alcune fasi della malattia possono
creare notevoli problemi di gestione a familiari e caregiver, oltre che ai pazienti.

«Fu come un fulmine. L'avevo invitata a pranzo e non era stato facile fissare un appuntamento
nella sua agenda sempre pienissima di impegni. Avevo scelto il Mandarin Oriental che si affaccia
su Hyde Park, un posto di lusso e lei con delicatezza materna, per farmi risparmiare, aveva
chiesto di mangiare alla caffetteria dell'hotel invece che al ristorante. Non è facile neanche per
una figlia decidere di che cosa parlare a tavola con una madre abituata a discutere di affari
internazionali con i leader del mondo.
Sapevo che recentemente aveva incontrato il comandante inglese del nostro contingente nei
Balcani: pensai di chiederle della situazione in Bosnia e mi aspettavo già una lezione sulla ex
Jugoslavia, uno dei suoi monologhi pieni di dati. Ma all'improvviso si perse, confuse le guerre
balcaniche con altre guerre. Ero pietrificata: la guardavo mentre stentava a trovare le parole e a
coordinare i pensieri. Non potevo crederci: aveva 75 anni ma avevo sempre guardato a lei come
a una persona senza età, inattaccabile dal tempo e forgiata nell'acciaio». (dall'intervista a Carol,
la figlia di Margaret Thatcher, sulla Malattia di Alzheimer della mamma, 2008)

DEMENZA VASCOLARE: è la seconda forma più comune di demenza, dovuta a mancanza


di sangue ovvero di ossigeno nel cervello, creando dei traumi nel cervello e variano di zona in
zona. In base alla zona, il quadro sintomatologico è diverso. Ogni persona con demenza
vascolare può manifestare sintomi e decorso della malattia molto diversi a seconda del danno
vascolare alla base della demenza e delle aree colpite.
I sintomi possono includere; confusione, perdita del senso dell’orientamento, difficoltà di
comunicazione (parlare-comprendere), perdita della vista.
In altri casi i sintomi possono comparire più lentamente con l’accumulo di danni a livello
cerebrale. Questi possono includer;
- Deficit di memoria
- Capacità alterate di ragione, prendere decisioni, programmare, concentarsi, prestare
attenzione
- Difficoltà ad iniziare azioni o mansioni
- Pensiero rallentato
- Cambiamenti di umore e di personalità
- Afasia

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NB: differenza tra alz, e demenza vascolare è dato dell’esordio, per il primo l’esordio è insidioso
e lento e riguarda solo area di memoria mentre per la demenza vascolare l’insidio è brusco e
riguarda tante aree.
DIAGNOSI:
- Evidenza clinica di demenza (quadro tipico: fluttuazioni e deterioramento “a scalini”)
- Evidenze cliniche e di neuroimaging (tac, rmn) di malattia cerebrovascolare
Fattori di rischio: diabete, ipertensione, APO4
Quadro patologico: microangiopatia, vascolare con atrofia cortico sottocorticale.
Visto che i fattori di rischio sono questi, è bene lavorare sulla PREVENZIONE. La prevenzione
sembra per questa patologia particolarmente importante, poiché il ruolo dei fattori di rischio
nell’infarto cerebrale coinvolti nell’insorgenza della demenza vascolare è abbastanza chiaro. A
riguardo è molto importante tenere presente: storia di pregressi TIA, anomalie del ritmo
cardiaco, ipertensione, diabete mellito, alti livelli di colesterolo, fumo di sigaretta, esagerato
utilizzo di alcool.

A differenza della malattia do ALz., la demenza vascoalre (VD) presenta le seguenti


caratteristiche:
- Esordio brusco
- Progressione a scalini (esordio lento – progressivo)
- Deficit a scacchiera (tanti sintomi diversi)
- Consapevolezza della malattia (insight) da parte del soggetto e quindi ansia e
depressione
- Conservazione relativa della personalità
- Disturbi della deambulazione
TIPO DI DEMENZA CARATTERI CLINICI NEUROIMAGING FREQUENZA
SALIENTI
Malattia di esordio insidioso con Atrofia temporo- 50-60&
alzheimer deficit mnesico e parietale, talora
precoce asimmetrica, alla TC
coinvolgimento e RM. Ipoperfusione
globale delle funzioni nelle stesse aree alla
cognitive. Possibile PET.
coesistenza di
alterazioni
comportamentali
all'esordio; più
frequenti nelle fasi
intermedie e
avanzate.
Progressione
graduale.

Demenza vascolare esordio acuto Infarti singoli in aree 15-20%


ischemica (subdolo nella forma strategiche (ad
sottocorticale) esempio infarti
spesso con sintomi talamici, lobo
"focali" e temporale infero-
progressione "a mediale), multipli in

34
gradini". aree di confine,
Compromissione lacune dei gangli
irregolare delle varie della base, lesioni
funzioni cognitive. estese della sostanza
bianca
periventricolare alla
TC o RM. Alla PET
ipoperfusione
irregolare.

DEMENZA FRONTO-TEMPORALE
È caratterizzata da un precoce disturbo delle FUNZIONI ESECUTIIVE, definite come capacità di
pianificare, organizzare e regolare un comportamento mirato a raggiungere un obiettivo,
disturbi del ragionamento e del linguaggio in assenza di gravi disturbi di memoria. Si presenta
con cambiamenti di personalità che possono precedere l’insorgenza della sintomatologia
neuropsicologica: il comportamento diventa anomalo nelle situazioni sociali, nella condotta e
nelle scelte personali.

La persona diventa DISINIBITA nel linguaggio e nei comportamenti manifestando condotte


socialmente inappropriate, iperoralità , comportamenti ossessivo compulsivi, apatia, irritabilità ,
depressione, giocosità, euforia, deliri, difficoltà di critica e giudizio.

DEMENZE FRONTO-TEMPORALI CON VARIABILI COMPORTAMENTALI


È una delle caratteristiche e più diffuse di demenza frontotemporale. I sintomi si manifestano
con cambiamenti nel comportamento e nella personalità , uniti a possibili cambiamenti nel
comportamento e della personalità , uniti a possibili cambiamenti emotivi e difficoltà di giudizio.
Ad esempio, possono emergere difficoltà nel mantenere l’autocontrollo o nel gestire la propria
aggressività , con tendenze all’irritabilità. Spesso le persone che ne sono colpite non sono
consapevoli di questi cambiamenti o dimostrano poca considerazione rispetto all’impatto che il
loro comportamento provoca sugli altri.

Con il progredire della malattia è possibile osservare sempre meno coinvolgimento nelle attività
quotidiane e una tendenza a chiudersi in sé stessi. La degenerazione cerebrale può anche
causare comportamenti eccessivi – ad esempio la smoderatezza nel bere o mangiare, la
tendenza a parlare di continuo e a dire cose oscene o imbarazzanti, l’impulsività e la
disinibizione. Alcune persone possono diventare molto apatiche mentre altre diventano
disinibite.
Quindi;
- Nella demenza vascolare e ALZ. C’è consapevolezza della sintomatologia
- Nella Fronto-temporale non ha consapevolezza
All’interno delle demenze fronto-temporali con variabili comportamentali c’è la malattia di
pick : può comporre tra i 40-80 anni ma più frequentemente l’esordio è presenile, e con una
frequenza leggermente maggiore nel sesso femminile. Da un punto di vista anatomo-patologico
è presente atrofia dei LOBI FRONTALI E TEMPORALI associata alla presenza, visibile a livello
microscopico, di ammassi intracellulare della proteina TAU, noti anche come corpi di Pick.

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In base alla localizzazione della degenerazione neuronale corticale, si possono osservare quadri
clinici diversi.

Proteina TAU – in base a dove si formano  quadri clinici diversi.


Questa malattia si distingue in 2 varianti:
- FRONTALE
o Sindrome apatica: depressione, apatia, abulia, mutismo
o Sindrome disinibitoria: agitazione psicomotoria, iperssessualità
o Sindrome ossessivo-compulsiva: ripetizione di parole e gesti (rituali mentali e
motori), ansia generalizzata e angoscia panica.
- TEMPORALE: può comparire una sindrome di Kluverbucy, caratterizzata dalla tendenza
ad esplorare per via orale oggetti, anche non edibili, dall’irresistibile impulso a prestare
attenzione e a reagire ad ogni stimolo visivo; da ipersessualità.
I deficit cognitivi, che solitamente compaiono dopo le manifestazioni comportamentali,
riguardano soprattutto il dominio della memoria e del linguaggio. Le abilità
visuospaziali, invece, contrariamente a ciò che accade nella malattia di Alzheimer,
possono essere a lungo risparmiate. Ovviamente con il progredire della demenza, il
deterioramento cognitivo diventa diffuso.

Se ci sono disturbi comportamentali, è più collocabile qui (fronto-temporali) che nell’alz. +


abilità visuo-spaziali qui sono conservate = per diagnosi differenziali
DEMENZE FRONTO-TEMPORALI CON DECLINO DELEL CAPACITA’ DI COMUNICAZIONE
1, AFASIA PRIMARIA PROGRESSIVA: mettono insieme frasi sgrammaticate.
Si manifesta con cambiamenti nella capacità di parlare, leggere, scrivere. Le persone che ne sono
affetta comprendonio ciò che sentono o leggono ma il loro vocabolario e le risorse per
esprimersi sono sempre più limitati, costringendoli a parlare in modo stentato e sgrammaticato,
usando parole sbagliate, magari in assonanza con quelle che vorrebbero pronunciare. Ma
sembrano conservare il significato delle parole.

Nell. Alz il disturbo del linguaggio si manifesta molto avanti, qui invece c’è fin da subito.
I primi sei casi sono stati descritti nel ’82 Dal NEUROLOGO E NUROPSICOLOGO Mesulam, che ha
individuato i caratteri necessari per effettuare diagnosi di PPA:
- I sintomi sono stabili per almeno due anni dall’inizio della malattia
- Per i primi due anni la sintomatologia comportamentale è assente (se no dovrei parlare
della variabile comportamentale)
- Non ci sono segni di demenza generalizzata (sarebbe vascolare)
La PPA è caratterizzata da un disturbo isolato del linguaggio, con progressiva difficoltà a trovare
le parole, aumento della pausa tra una parola e l’altra, balbuzie e infine afasia non fluente. Può
esserci aprassia ideomotoria e bucco-facciale.

E’ conservata la capacità di svolgere attività quotidiane e la consapevolezza della malattia,


2, DEMENZA SEMANTICA (sanno fare la frase sogg-verbo-complemento ma senza significato)
anche in questo caso le aree cerebrali colpite sono deputate al linguaggio. Tuttavia a differenza
dell’afasia prima progressiva, le persone con demenza semantica parlano, leggono e scrivono

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fluentemente e correttamente da un punto di vista grammaticale ma non sanno più chiamare le
cose con il loro nome, non afferrano il significato delle parole e non riconoscono più rumori e
oggetti. Progressivamente perdono uso del linguaggio. Inizialmente possono fare logopedia,
rallenta esordio, attutisce ma non risolve.
= c’è consapevolezza dei sintomi e di avere patologia.
L’esordio della malattia è classicamente caratterizzato da un importante deficit del linguaggio,
che è fluente ma con parole prive di significato. Sono frequenti le parafasie semantiche e
l’ecolalia. È anche presente una compromissione delle abilità di riconoscimento di oggetti o
facce. Le altre funzioni cognitive per molto tempo sono conservate. Possono esserci disturbi del
comportamento (compulsività , disinteresse, apatia).

DEMENZE FRONTO-TEMPORALI CON DISTURBI PROGRESSIVI


1, SINDROME CORTICO-BASALE: caratterizzata dalla perdita delle cellule nervose e dalla
riduzione di più aree del cervello tra cui la corteccia cerebrale e i gangli della base. Provoca
perdita progressiva dei movimenti e insorge tipicamente intorno ai 60 anni. Il sintomo
principale è l’inabilità di utilizzare mani o braccia per svolgere movimenti. I sintomi possono
insorgere dapprima solo in una parte del corpo per poi estendersi nel tempo anche nell’altra
parte.
Un sintomo caratteristico di questo tipo di demenza è la difficoltà a muovere gli occhi,
soprattutto nel guardare verso il basso, e costringono la persona a uno sguardo fisso. Possono
anche emergere alterazioni di comportamento.

Qui i sintomi sono per lo più motorio.


2, PARALISI SOPRANUCLEARE PROGRESSIVA: Motorio (equilibrio), parola e deglutizione ..
Caratterizzata da una perdita progressiva e selettiva di neuroni responsabili del controllo dei
movimenti oculari, dell’equilibrio, della parola e deglutizione. Le persone con questa malattia si
muovono lentamente, cadono spesso, perdono la capacità di espressione facciale, hanno rigidità
nel corpo soprattutto nel collo e nella parte superiore del corpo. Tali sintomi sono simili a quelli
della malattia del Parkinson.
Devono spesso usare addensanti per addensare il liquido per non soffocarsi. C’è somiglianza con
Parkinson.
Un sintomo caratteristico è la difficoltà a muovere gli occhi, soprattutto nel guardare verso il
basso e costringono la persona ad uno sguardo fisso. Possono anche emergere alterazioni di
comportamento.
Occhi + espressione facciale rigida sono tipiche solo di questa sotto-tipologia.
3, DEMENZA FRONTOTEMPORALE CON PARKINSONISMO: possono includere problemi di
equilibrio, movimento e rigidità del corpo simile a quelli della malattia di Parkinson. Possono
anche emergere alterazioni di comportamento o deficit di linguaggio.
4, DEMENZA FRONTOTEMPORALE CON SCLEROSI AMIOTROFICA LATERALE (SLA): i
sintomi includono sia alterazioni di comportamento e linguaggio e sia un progressivo
indebolimento muscolare tipico della sclerosi amiotrofica laterale. All’inizio possono emergere
solo i sintomi di una o dell’altra malattia; successivamente i sintomi di entrambe le malattie
emergono con progressiva gravità .

L’ESORDIO E LA PROGRESSIONE DELLA FRONTO-TEMPORALE

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Nei primi stadi di tutte le forme di demenza fronto-temporale, la memoria a breve termine e la
capacità di orientarsi nello spazio sono essenzialmente meno compromesse rispetto alla
malattia di Alzheimer. Inoltre la demenza fronto-temporale ha spesso un esordio più precoce
rispetto all’alzheimer. Circa il 60% dei casi si verifica in persone di 45-64 anni. La malattia è
progressiva e terminale. Il suo decorso medio è variabile dai 5 ai 10 anni, ma in alcuni casi può
anche protrarsi per oltre 20 anni,
Le più recenti scoperte scientifiche in ambito genetico riguardano l’isolamento di alcuni geni
associati alla demenza fronto-temporale, che possono influenzare la suscettibilità alla malattia.
La più recente scoperta vede protagonisti i ricercatori Rosa Rademakers, della Mayo Clinic degli
Stati Uniti e Bryan Traynor, del National Institutes of Health, i quali, in maniera indipendente,
hanno entrambi individuato una mutazione in un gene nel cromosoma 9, il gene C9ORF72.
miQuesta mutazione è la più comune causa familiare identificata non solo per la DFT, ma anche
per la sclerosi laterale amiotrofica.
La scoperta è risultata particolarmente significativa perché ha individuato un collegamento
genetico fra due malattie che clinicamente appaiono molto differenti tra loro e può quindi
fornire informazioni chiave per nuove strategie terapeutiche; nella sclerosi laterale amiotrofica
il deterioramento è prevalentemente a carico dei muscoli, mentre nella demenza fronto-
temporale sono il comportamento e la personalità a cambiare drasticamente.
Tutte queste entità istopatologiche hanno in comune il fatto di essere caratterizzate, all’interno
del quadro clinico, da significativi cambiamenti del comportamento, della condotta sociale, della
personalità e da precoci disturbi del linguaggio.

RICAPITOLANDO: E' caratterizzata da un iniziale disturbo delle funzioni esecutive (definite come
capacità di progettare e regolare un comportamento mirato a raggiungere un obiettivo),
disturbi del ragionamento e del linguaggio in assenza di gravi disturbi di memoria. Essa si
manifesta con cambiamenti di personalità che possono precedere l’insorgenza della
sintomatologia neuropsicologica: il comportamento diventa anomalo nelle situazioni sociali,
nella condotta e nelle scelte personali.
Di frequente la persona diventa disinibita nel linguaggio e nei comportamenti manifestando
condotte socialmente inappropriate, iperoralità , comportamenti ossessivo compulsivi, apatia,
irritabilità, depressione, giocosità , euforia, deliri

DEMENZA DEI CORPI DI LEWY


Per molti anni questo particolare tipo di demenza è stato considerato una forma di malattia di
Alzheimer con associati disturbi del comportamento e sindrome parkinsoniana.
Successivamente studi anatomopatologici hanno dimostrato la presenza di lesioni corticali, i
cosiddetti corpi di Lewy. Si tratta di corpuscoli che si trovano all’interno della cellula nervosa,
descritti per la prima volta nel 1912 da F.H. Lewy, medico anatomopatologo. Anche se è
possibile trovare queste lesioni nella malattia di Alzheimer, tuttavia in assenza di placche senili
e di aggregati neurofibrillari, la sola presenza dei corpi di Lewy identifica una sindrome clinica
autonoma rispetto alle altre forme di demenza degenerativa primaria.

Caratteristica: sono presenti dei corpi di Lewy, lesioni tipiche. Questi ci possono essere anche
nell’alz. Ma non ci sono placche – gomitoli che ci sono nelle formazioni tipiche dell’alz.
Quadro clinico (simile all Alz. Ma non va confuso)
- Insorgenza deterioramento cognitivo progressivo fluttuante
- Prevalente deficit dell’attenzione
- Allucinazioni visive

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- Deficit visuo-spaziale
- Sindrome extra-piramidale
- Disordini del sonno REM
Inizialmente il deficit di memoria può essere lieve, ma nel tempo peggiora rapidamente. Gli
stadi di grave compromissione funzionale vengono raggiunti in un periodo variabile da uno
a cinque anni.
E’ una demenza che ha delle analogie con la malattia di Alzheimer e il morbo di Parkinson,
essa però si caratterizza per la progressiva difficoltà di attenzione e problemi all’apparato
motorio, allucinazioni ed episodi confusionali. Durante lo stadio iniziale la memoria è ancora
ben conservata. Tuttavia fin dall’inizio insorgono difficoltà nella programmazione,
nell’organizzazione, nell’adattabilità e nella motivazione. A differenza del morbo di
Parkinson, il quale nelle fasi successive della malattia può anche portare alla demenza, nella
demenza a Corpi di Lewy il decadimento cognitivo si manifesta fin dall’inizio, ossia ancora
prima che dei disturbi di movimento.

Con cosa distinguiamo Lewy e Parkinson?


- Nel Parkinson la demenza è una possibile conseguenza ma non è detto  in caso sfocia
nelle fasi finali della malattia
- Se fin da subito, assieme ai sintomi di rigidità di Parkinson ci sono sintomi di demenza
cognitivi, di attenzione  allora penso ai corpi di Lewy
VASCOLARE ALZHEIMER FORNTO- TEMPOARLE CORPI DI LEWY
- Improvvisa - Esordio - Esordio più - Sintomi
- Progressione a insidioso precoce dell’Alzheimer
scalini - Si dell’Alzheimer perché ci sono
- Sintomi diversi consapevolezz - Cambiamento di defict funzioni
- Si a all’inizio personalità esecutive ma
consapevolezza - Memoria memori è
inizialmente non attaccata in
attaccata maniera leggera
- Non c’è - Problemi nelle
consapevolezza zone posteriori
(visuo-spaziali)
- (rigidità motoria
ma non
Parkinson
perché ho anche
demenza solo
nella fase finale

Questo tipo di La malattia di Alz. è Una delle forme Questa forma di


demenza può la forma più comune meno comuni di demenza condivide i
insorgere in di demenza demenza, colpisce sintomi della
qualcuno che ha degenerativa individui da 45 a 65 demenza di
avuto un ictus grave progressivamente anni e può essere Parkinson e di
o di una serie di mini invalidante con difficile da Alzheimer.
ictus. Questi ictus esordio diagnosticare. E’ spesso scambiata

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silenziosi, spesso prevalentemente in Di solito implica per queste malattie. I
passano inosservati età presenile (oltre i perdita di inibizione sintomi
fino a che non 65 anni, ma può o giudizio, comprendono
portano alla manifestarsi anche in cambiamenti di problemi con il
demenza. Un ictus epoca precedente). Si personalità e disturbi controllo motorio e
interrompe l’afflusso stima che circa il 50- del linguaggio. l’equilibrio,
di ossigeno al 70% dei casi di A differenza di altre allucinazioni e
cervello. Quando le demenza sia dovuta a forme di demenza, la problemi di vista,
cellule cerebrali tale condizione, demenza disordini del sonno.
muoiono per mentre il 10-20% a frontotemporale di Nelle fasi successive,
mancanza di demenza vascolare. solito non causa la demenza a corpi di
ossigeno, potrebbe problemi di memoria. Lewy imita
verificarsi la Il sintomo precoce Alzheimer di fase
demenza vascolare. più frequente è la avanzata, con sintomi
difficoltà nel che possono
I sintomi della ricordare eventi includere confusione
demenza vascolare recenti. Con e agitazione.
dipendono da quale l’avanzare dell’età
zona del cervello è possiamo avere
stata colpita sintomi come afasia
dall’ictus. (disturbo del
Il giudizio o la linguaggio),
memoria a breve disorientamento,
termine di una cambiamenti
persona e può anche repentini di umore,
causare deliri o depressione,
allucinazioni. incapacità di
prendersi cura di sé,
problemi nel
comportamento. Ciò
porta il soggetto
inevitabilmente
isolarsi nei confronti
della società e della
famiglia. A poco a
poco, le capacità
mentali basilari
vengono perse.
Anche se la velocità
di progressione può
variare l’aspettativa
media di vita dopo la
diagnosi è dai tre ai
nove anni.

MALATTIA DI PARKINSON
Le strutte coinvolte nella malattia di Parkinson si trovano in aree profonde del cervello note
come gangli della base (nuclei caudato, putamen, pallido), che partecipano alla corretta
esecuzione dei movimenti. La malattia di Parkinson si manifesta quando la produzione di
dopamina nel cervello cala consistentemente. I livelli ridotti di dopamina sono dovuti alla
degenerazione di neuroni, in un'area chiamata Sostanza Nera.

40
Il quadro sintomatico di Parkinson varia molti da persona a persona con manifestazioni che
possono variare sensibilmente per tipo e frequenza:
- impaccio nei movimenti (bradicinesia – acinesia) : man mano che il tempo avanza risulta
sempre meno facile compiere movimenti fluidi. I malati hanno impressione che i loro
arti siano “come paralizzati” e soffrono spesso di crampi dolorosi
- rigidità
- tremore a riposo: all’inizio in tremore a riposo (che compare nel 75% dei malati) è
unilaterale
- Instabilità posturale; una conseguenza pericolosa di questo è rappresentato dalle cadute
- Altri sintomi frequenti sono: alterazioni psichiche (ad es. depressioni), le anomalie del
ciclo sonno/veglia e le turbe del sistema nervoso vegetativo (regolazione della pressione
sanguigna, digestione e regolazione della temperatura)
(non ci sono funzioni cognitive alterate come nel parkinsonismo, casomai possono sfociare in
demenza nella fase finale ma non nell’esordio)
Una ricerca recente ha fatto emergere che le persone con Parkinson che hanno problemi visivi
hanno maggiori probabilità di demenza . I test della vista potrebbero fornirci una finestra di
opportunità per prevedere la demenza prima che inizi, il che può aiutarci a trovare dei modi per
fermare il declino cognitivo prima che sia troppo tardi. (vista associata a tremore mi suggerisce
parkinson)

Riassunto

DEMENZE RARE

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 ATROFIA CORTICALE SUPERIORE (PCA): conosciuta anche come sindrome di Benson è
considerata una variante atipica dell ALz, (AD). Rispetto ad altre forme di demenza
spesso colpisce in età precoce a partire da 40 anni provocando atrofia della parte
posteriore della corteccia cerebrale, con conseguente progressiva interruzione
interruzione dell’elaborazione visiva complessa. In alcuni casi la PCA può manifestarsi
insieme ad altre forme di demenza, come la demenza a Corpi di Lewy e la malattia di
Creutzfeldt-Jakob.
 COREA DI HUNTINGTON: viene definita come affezione ereditaria degenerativa del
sistema nervoso centrale che determina una distruzione di neuroni in particolare a
livello di gangli della base e della corteccia cerebrale. E’ caratterizzata da declino
inteollettivo e movimenti irregolari ed involontari degli arti e dei muscoli facciali.
Movimenti incontrollati.
Decorso:
1. Lieve e progressiva riduzione della performance intellettiva (ad esempio difficoltà
ad affrontare compiti nuovi o anche usuali mansioni in ambito lavorativo, o lievi
difficoltà di memoria) e alterazioni comportamentali. Queste ultime possono
includono momenti di depressione, irritabilità, ansia ed apatia.
2. Nello stadio intermedio, il quadro clinico è caratterizzato dalla corea ossia da
movimenti involontari veloci, aritmici e afinalistici. I movimenti possono essere
appena percettibili oppure molto violenti che interessano tutti i segmenti corporei
e risultano particolarmente disabilitanti.
3. Nelle fasi avanzate il quadro neurologico è caratterizzato da una marcato
rallentamento, dalla rigidità e dalla presenza di posture distoniche. I pazienti
necessitano di aiuto nelle attività della vita quotidiana, come la deambulazione, la
capacità di vestirsi o di alimentarsi. Anche il linguaggio diventa molto
problematico. I pazienti possono mantenere un grado significativo di lucidità e
quindi comprendere la loro condizione percependo lo stato di realtà .

 SINDROME DI GERSTMANN – STRAUSSLER – SCHEINKER: di natura ereditaria, è una


malattia neurodegenerativa i cui sintomi includono perdita dell’equilibrio e scarsa
coordinazione muscolare. I sintomi della demenza si presentano negli ultimi stadi della
malattia.
 CADASIL: è un acronimo che sta per “Cerebral Autosomal Dominant Arteriopathy with
Subcortical Infarcts and Leukoencephalopathy”, cerebropatia autosomica dominante a
infarti lacunari sottocorticali e leucoencefalopatia. Il termine fu coniato nel 1993 quando
se ne scoprì la causa genetica. Prima di allora la malattia era conosciuta sotto il nome di
“demenza ereditaria multi-infartuale”.
CADASIL è, infatti, una malattia con un elevato fattore di ereditarietà associata alla
mutazione genetica che colpisce il gene NOTCH3. È caratterizzata da una progressiva
occlusione delle arteriole cerebrali che causano ictus ischemici e lesioni cerebrali che
compromettono il funzionamento del SNC. Si tratta di una malattia così rara che risulta
sconosciuta anche a molti medici.
Nonostante la bassa casistica, recentemente la malattia ha attirato l’interesse sia in
ambito clinico che di ricerca in quanto può nascondersi dietro patologie molto più
frequenti, come gli attacchi ischemici. Infatti, come scrive la Dott.ssa Anna Bersano, che
lavora presso l’Unità Operativa di Malattie Cerebrovascolari della Fondazione I.R.C.C.S.
Istituto Neurologico “Carlo Besta” di Milano, si ritiene che circa l’1-5% degli ictus possa
essere associato a CADASIL.
Nell’80% dei casi, il principale sintomo della CADASIL si tratta proprio dell’ictus, ma
essa può manifestarsi anche attraverso emicranie, disturbi di memoria, decadimento
cognitivo, convulsioni, manifestazioni psichiatriche e disturbi dell’umore. A volte, la
CADASIL può evolvere in un deterioramento cognitivo progressivo, caratterizzandosi di

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fatto come una forma di demenza su base vascolare multi-infartuale che può causare
anche gravi disabilità .
La CADASIL è una condizione lenta e progressiva con una variabilità molto alta a livello
individuale. E’ caratterizzata da 5 sintomi principali: attacchi ischemici transitori (TIA) e
ictus ischemici ricorrenti; declino cognitivo, emicrania con presenza di aura; disturbi
dell’umore; apatia. È una malattia che può presentarsi a varie età nella persona adulta.
L’età media di inizio degli eventi ischemici è di 47 anni, con un esordio variabile dai 20
ai 70 anni (Opherk et al 2004). Al momento non esiste una terapia risolutiva o un
trattamento specifico che consente di guarire dalla CADASIL; esistono invece
trattamenti che permettono di gestirne i sintomi.

Ci sono analogie con demenza vascolare: perché ci sono tanti infarti, e quindi la
sintomatologia è diversa in base alla zona colpita e quindi sintomatologia diversa da
persona a persona. Si manifesta il CADASIL sotto forma di ictus che si accompagnano a
forti emicrania, disturbi di memoria, decadimento cognitivo, convulsioni, manifestazioni
psichiatriche, disturbi dell’umore. A volte il CADASIL può evolvere in un deterioramento
cognitivo progressivo caratterizzandosi di fatto come una dorma di demenza su base
vascolare multi-infartuale che può causare gravi disabilità.
(se si manifesta a 40 anni ictus con disturbi cognitivi allora è più probabile che sia
cadasil piuttosto che demenza vascolare)
La CADASIL è una condizione lenta e progressiva con una variabilità molto alta a livello
individuale. Caratterizzata da 5 sintomi principali:
1- Attacchi ischemici transitori (TIA) e ictus ischemici ricorrenti,
2- Declino cognitivi
ALL’ESAME SAPERE VARIE DIFFERENZE E SINTOMATOLOGIE DELLE DEMENZE

IL PROCESSO DIAGNOSTICO
Vediamo i test che dovremmo saper somministrare per fare diagnosi, screening per la memoria,
ogni tot di cadenza vengono somministrati agli anziani i test.

Tutti i cambiamenti che compromettono sempre di più autonomia del pz. fino ad interferire sul
normale svolgimento delle attività quotidiane di cura persona, sulla attività lavorativa e sulle
relazioni interpersonali, devono essere documenti sta storia clinica. Questa consiste…
ANAMNESI
- Anamnesi familiare: Accertare eventuale presenza della ricorrenza familiare di un
disturbo cognitivo
- Anamnesi fisiologica: indaga abitudini di vita (fumo, alcol, alimentazione,
stupefacenti..)
- Anamnesi patologica remota mira a reperire informazioni relative a eventuali malattie
contratte in passato (trauma cranico, malattie professionali, ecc)
- Anamnesi patologica prossima è volta all’analisi dei disturbi recenti e mette in luce
l’esordio della sindrome clinica
- anamnesi farmacologica riveste importanza per escludere eventuali stati confusionali
da farmaci o effetti indesiderati da poli-farmacoterapia
- anamnesi neuropsicologica valuta la modalità di esordio dei disturbi cognitivi,
caratteristiche temporali (epoca di esordio, andamento di evoluzione), la presenza de

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deficit focali di linguaggio, di altri deficit focali corticali o sottocorticali, di disturbi
comportamentali
- La valutazione delle abilità funzionali nelle attività della vita quotidiana (di base-
ADL e strumentali complesse-IADL) è parte integrante della valutazione complessiva
del paziente
- anamnesi psichiatrica infine accerta eventuali precedenti di patologia psichiatrica e la
comorbilità con depressione o psicosi
- anamnesi neurologica indaga presenza di deficit motori o sensitivi e la loro
correlazione temporale con i disturbi cognitivi
- valutazione della comorbilità riveste importanza non solo al momento della diagnosi
ma anche durante tutto il decorso della demenza ed è un importante fattore predittivo
di mortalità
ESAME OBIETTIVO
Esame clinico generale ( somministrazione test, che da solo senza anamnesi non mi dice nulla)
ESAMI LABORATORISTICO – STRUMENTALI : il paziente che accede al CDCD dovrebbe aver
effettuato un esame radiologico di neuroimaging di base e uno screening ematochimico
TEST BIOLOGICI
 analisi liquorale: L’analisi standard del CSF non apporta specifiche informazioni, ma
può essere eseguita se si sospetta una causa infiammatoria della demenza (es. vasculite),
una patologia ematologica, una malattia demielinizzante, neurosifilide, borreliosi, HIV-
AIDS o cause paraneoplastiche (Evidenza di classe II). Biomarcatori liquorali (A-B 42, T-
TAU e P-TAU) non dovrebbero essere considerati un test di routine e la loro valutazione
dovrebbe essere considerata aggiuntiva all'esame clinico.
mi consentono di escludere che alcuni esami rilevano patologie che portano alla demenza
 analisi genetica: si propone un caso di malattia di Alzheimer ad insorgenza precoce
oppure in caso di chiara ricorrenza familiare. È importante che questa indagine sia
affiancata da opportuna consulenza specialistica del genetista

QUALI SONO GLI STRUMENTI?


MINI MENTAL STATE EXAMINATION: E’ sicuramente lo strumento più diffuso per la rapidità e
facilità di applicazione. Indaga sommariamente la memoria immediata e differita di materiale
verbale, il linguaggio, l’orientamento spazio-temporale, l’attenzione, il calcolo e la prassia. E’ un
buon strumento di screening sulla cognitività globale ma non consente l’approfondimento di
alcuna componente e soprattutto non rende possibile una adeguata differenziazione dei profili
cognitivi.
Valuta memoria, linguaggio, movimento, prassia. È veloce e poco invasivo, quindi è molto
utilizzato.
Si parte orientamento temporale (anno, stagione, che giorno è oggi?)
Poi orientamento spaziale? (nazione, regione – dove si trova in quel momento)
Esercizio di parole “pane – casa- gatto” -> da ripetere, fino ad un massimo 6 volte. Anticipare che
queste tre parole vanno memorizzate e serviranno dopo, poi si distrae la persona con un corso
di memoria. Se non completa con questa prova, allora far sillabare all’indietro la parola
“MONDO”. L’attenzione si è spostata su altri compiti e io chiedo di ricordare le tre parole viste in
precedenza.

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Mostrare penna e orologio e chiedere di denominarlo. (da portare)
Far ripetere “tigre contro tigre”
Poi “comprensione del testo”  “prenda questo foglio con la mano destra, lo pieghi, e lo metta
sul tavolo”, se fa i tre passaggi, è stato attento a ciò che ho detto, e assegno i punteggi.
Poi vediamo se prassia è conservata e se è conservato aspetto grammatica (frase che abbia
senso e che sia giusta a livello grammaticale)
Poi comprensione di qualcosa che è scritto “Legga questa frase ed esegua quanta scritto “chiuda
gli occhi”.
Poi viene chiesto di copiare un disegno, si assegna un punto se ci sono 5 angoli e due angoli
intersecati.
Punteggio arriva a massimo a 30 /grezzo/ da correggere in base a età e scolarità /punteggio
corretto/.
Cut – off 24, sotto di esso c’è la demenza
Da solo il Mini-mental non è sufficiente per diagnosi, per diagnosi è necessario avere vari test
anche per esempio sull’umore ecc.
E’ un test che indica che c’è o non c’è demenza ma non quale. E’ la bravura del clinico che capisce
e valuta in cosa è andato male.
E’ somministrabile anche per coloro per cui abbiamo sospetto di demenza precoce.  anche se
non possiamo correggere perché non abbiamo standardizzazioni per età così basse. (di solito ce
l’abbiamo dai 65 in su). Dura circa 20 minuti
MODA MILAN OVERALL DEMENTIA ASSESMENT  sempre utile per screening, dura 30
minuti
E’ una breve batteria testistica che fornisce una valutazione più articolata di: attenzione,
intelligenza, memoria, linguaggio, cognizione spaziale e percezione visiva. Permette di
differenziare le competenze nelle diverse aree cognitive al fine di strutturare un intervento
mirato ma anche di ottenere un punteggio globale indicativo del livello di compromissione
complessiva. La s
ua somministrazione richiede un tempo approssimativo di circa 30 minuti.

SIB  SEVERE IMPAIMENT BATTERY Viene utilizzata con pazienti giudicati moderato-severi
che non riuscirebbero ad essere adeguatamente testati con gli strumenti precedenti. Richiede
un tempo relativamente breve di somministrazione (20 minuti) ed è composta da richieste
semplici che prevedono risposte sia verbali che non verbali. Permette di valutare lo stato
dell’attenzione, dell’orientamento, il linguaggio, le abilità visuospaziali e prassiche. E’ uno
strumento attendibile e permette valutazioni ripetute nel tempo, prima e dopo gli interventi
riabilitativi.
c’è già la demenza, si vede, non sa disegnare, quindi non ha senso il mini mental; è questo più
discorsivo e di quotidianità quindi ha più senso un test così. E’ più lungo. È più dialogato: mi
chiedo sta subendo quello che sta facendo oppure è cosciente? Per capire se si accorge che sta
- avvicinarsi al soggetto e porgere la mano, vedo se lui mi saluta e si presenta come ho
fatto io oppure se resta inerme.
- “qual ‘è quella cosa con cui si prende il caffè?” vediamo se risponde “tazzina”
- “si ricorda come mi chiamo?”
- gli si danno in mano degli oggetti e si chiede se sa simulare azione di quell’oggetto “come
si usa questo”  forchetta, cucchiaio.

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ADAS ALZHEIMER DISEASE ASSESMENT SSCALE E’ uno strumento solitamente non utilizzato
in fase diagnostica ma utile per valutare l’efficacia di un intervento terapeutico o riabilitativo.
Consente di sondare diverse funzioni cognitive (apprendimento immediato e differito,
riconoscimento, orientamento, prassie, comprensione, qualità del linguaggio spontaneo). La
somministrazione richiede un tempo medio di circa 30 minuti

TSI: TEST FOR SEVERE IMPAIRMENT prove per la valutazione del livello di deterioramento
cognitivo utilizzate con soggetti molto compromessi cognitivamente, di Albert e Cohen (1992)
Si usa quando c’è compromissione molto importante
Sono tanti i test, poi scegli quello con cui ti trovi meglio. Anche in base a quello che vedo dal
colloquio, se linguaggio è conservato faccio test per capire quanto effettivamente è conservato e
quanto no. Se non ha manualità , non lo faccio disegnare la figura complessa di Ray. Questi sono
tutti relativi alla VALUTAZIONE COGNITIVA GENERALE.
Poi se mi viene chiesto di fare approfondimento di valutazione neuropsicologica sono i seguenti
test utili:
o Digit span (taratura Carlesimo et al, 2013)
o Test di Corsi (taratura Carlesimo et al, 2013)
o 15 parole di Rey (versione in MDB)
o Fig.complessa di Rey-Osterreith- recall (Cafarra et al. 2002)
o Memoria di Prosa (taratura Carlesimo et al, 2002)
o Trail Making Test (taratura Giovagnoli et al, 1996)
o Test delle Matrici Attentive (taratura Della Sala et al.,1992)
o Test di Stroop (taratura Caffarra et al, 2002)
o Denominazione visiva (Versione Sartori et al, 1988, 1992)
o Fluenza verbale fonemica (taratura Costa et al, 2013)oni,1987)
o Fluenza verbale semantica (taratura Costa et al, 2013)
o Frontal Assessment Battery (taratura Appollonio et. al, 2005)
o Matrici Progressive Colorate di Raven (PM-47)Versione in MDB
o Test dell’Orologio (Vers. Freedman, taratura Caffarra et al, 2011)
o Weigl’s Sorting Test (taratura Laiacona et al, 2000)
o Copia di disegni Spinnler e Tognoni (taratura Spinnler e Tognoni)

- memoria di prosa (storiella, chiedo all’anziano di ricordare il contenuto della storia in


modo sommario; scriversi quello che lui dice)
- Trail making test (prova A test di memoria ci sono lettere e numeri, da collegare in
ordine per l’attenzione 1-a, 2-b ecc.. in 100 secondi. Poi c’è la parte B che oltre
esecuzione, vediamo funzioni esecutive, per memoria di lavoro tipo il doppio compito ha
tempo massimo di 300 secondi per la B.. oltre questi tempi la prova non è valida, si
possono correggere finché siamo dentro a questi tempi
- Test di stroop (“verde” scritto in arancione e viene chiesto di dire arancione)
- Denominazione visiva, Boston test: serie di immagini comuni che loro devono dire come
si chiamano le figure
- Fluenza verbale semantica, chiedere di dire in un minuto tutte le parole della categoria
frutta-animali
- Fluenza verbale fonemica (tutte le parole che iniziano con C,T…)

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Lo psicologo può lavorare tramite screening oppure all’interno di istituzioni (casa di riposo,
ospedale, reparto di neurologia ecc) e qui però fa valutazione più approfondita a livello
neurologico.

LO STATO FUNZIONALE (per sondare lo stato funzionale uso i seguenti test)


(test che valutano gli aspetti di vita quotidiana, scala e questionari che somministriamo
direttamente ai caregiver)
- Activities of daily ADL: composto da domande che sondano autonomia dell’anziano, se sa
lavarsi, se cade, se si veste in modo autonomo. In base ai punteggi che ne derivano e
l’osservazione dell’anziano serve per indicare al caregiver quale sia il centro più adatto per
lui.
Fornisce un punteggio indicativo della capacità della persona di compiere in modo
autonomo alcune funzioni basilari della vita quotidiana (alimentazione, abbigliamento,
igiene personale, fare il bagno, uso dei servizi igienici, capacità di spostamento).
- Instrumental activities of daily living IADL: sonda se sa usare denaro, telefono, se si
ricorda di prendere le pastiglie o no: se necessita di supervisione oppure no. Analizza la
capacità di svolgere in modo autonomo attività complementari più complesse di quelle
analizzate dale ADL (uso del telefono, fare la spesa, preparare il cibo, cura della casa,
bucato, uso dei trasporti, assunzione di farmaci, gestione del denaro).

Questi due vanno somministrati assieme.


Ci sono anche altri test
- Disability assesment for dementia (D.A.D)
- Barthel Index (stabilisce il grado di autonomia)
- Bedford Alzheimer Nursing Severity Scale (BANSS) (per le fasi avanzate)
- Scala di Tinetti (rischio caduta)
- Physical Performance Test (PPT) (scrivere, simulare l'alimentazione, indossare una
giacca ecc)
- Direct Assessment of Functional Status

Poi si valutano i sintomi non cognitivi sempre attraverso i caregiver


- UCLA Neuropsychiatric Inventory (NPI) – Consente di valutare attraverso un colloquio
strutturato con i caregivers più prossimi (operatori o famigliari) lo stato psichico e
comportamentale del soggetto in qualunque fase della malattia. Viene rilevato inoltre
l’impatto stressante che i sintomi producono nelle persone che si prendono cura del
malato.
- Scala dei Disturbi Comportamentali nella Malattia di Alzheimer (BehaveAD) – Lo
strumento rileva la presenza e la qualità dei sintomi neuropsichiatrici che caratterizzano
la demenza, in particolare di tipo Alzheimer. E’ uno strumento che si presenta sotto
forma di questionario e che può essere compilato anche autonomamente dal caregiver.
- - Cornell Scale, scala di osservazione dei sintomi depressivi in soggetti con demenza
severa, di Alexopulos et al. (1988).
- Geriatric Depression Scale (GDS)
- Scala per la valutazione dell’insight - CIR
- Cumulative Illness Rating Scale (CIRS): per la Valutazione della comorbidità somatica
- Caregiver burden Inventory (CBI): per la Valutazione dei caregivers (permette di capire
se operatore e caregiver è in born out)
- Clinical Dementia Rating Scale: per la Valutazione complessiva della gravità

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Concentrati sul CBA
Per uno screening cosa uso? Mini mental
Per stadio funzionale? ADL
Per sapere come caregiver sta? CBI
Per fare valutazione più precisa? NPI

DISTURBI DEL COMPORTAMENTO


Sintomi comportamentali BPSD
“Quando il cervello subisce dei cambiamenti che impattano la memoria, il ragionamento, il
linguaggio e le altre forme di comunicazione, il comportamento diventa il metodo primario di
espressione non verbale..”
i disturbi comportamentali sono una grande causa di “stress” per chi assiste in particolare
aggressività e vocalizzazioni.
Le persone BPSD (in istituzione) sono a rischio di ricevere contenzione fisica e essere costretti a
trattamenti anti-psicotici.

- Nella demenza vascolare (VAD) la gravità della demenza non sembra avere alcun
impatto sulla frequenza dei BPSD eccetto per apatia e attività motoria aberrante
- Nella demenza a corpi di Lewy (LBD) la frequenza di deliri, allucinazioni,
disinibizione e disturbi del sonno aumenta con la severità della demenza;
- Nella malattia di Azheimer (AD) la severità della demenza è spesso associata con un
aumento della frequenza dei BPSD clinicamente rilevanti.

Nell’Alzheimer e nei corpi di Lewy, ci sono questioni comportamentali. (disinibizione, disturbi


del sonno)
Invece nella demenza vascolare non sono molto frequenti, si manifesta a scacchiera, a meno
che non ci siano tanti problemi concentrati nell’area frontale
I sintomi non cognitivi, BPSD, sono espressione del tentativo di adattamento ai sintomi cognitivi
ed al deficit di funzionamento che ne consegue. I BPSD includono:
- alterazioni dell’umore: depressione, labilità emotiva, euforia;
- ansia
- deliri, allucinazioni e misidentificazioni o falsi riconoscimenti;
- sintomi neurovegetativi: alterazioni del ritmo sonno-veglia, dell’appetito, del
comportamento sessuale;
- disturbi della personalità: disinibizione, irritabilità ; agitazione, aggressività verbale o
fisica, vocalizzazione persistente, perseverazioni.
- disturbi dell’attività psicomotoria: vagabondaggio, affaccendamento afinalistico, acatisia
(non riesce a stare nella stessa posizione neanche pochi istanti);

Caratteristiche dei BPSD


 Modificazioni della personalità è frequente che la demenza si manifesti precocemente
con alterazioni del carattere, generalmente nel senso di un’accentuazione dei tratti
caratteristici della personalità , talvolta con la comparsa di caratteristiche opposte. Dal
punto di vista psicopatologico, si può interpretare:
o Accentuazione di caratteristiche

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oComparsa di tratti opposti come tentativo di ADATTAMENTO ad una situazione
mutata con la ricostruzione di nuove identità . (sono sempre stato attivo, divento
apatico, il cervello vuole compensare la difficoltà creando identità opposta
 Alterazione dell’umore: la depressione è il sintomo più frequente; si possono osservare
anche disforia, euforia, ansia spesso associata a fobie, irritabilità.
 Aggressività può essere verbale o fisica, diretta contro cose o contro persone. In genere
è espressione di rabbia, paura, frustrazione, talvolta non immediatamente
comprensibili, dovuti ad erronea interpretazione delle situazioni o dei comportamenti
altrui. Raramente il paziente rivolge verso se stesso l’aggressività (autoaggressività ). Il
fatto di non comprendere la propria situazione attuale disorienta il paziente, è questo
determina ovviamente ansia e spavento.
COSA LO RENDE AGGRESSIVO? I sintomi comportamentali sono espressioni di qualcosa
che loro non riescono a dire. C’è da capire cosa c’è dietro a quell’aggressività (ti stanno
dicendo “non voglio lavarmi”) ma non dobbiamo rispondere in modo simmetrico ovvero
con la stessa aggressività ; si innesca un circolo vizioso.
Oppure può essere dovuto dal dolore e dalla sofferenza fisica.

Cosa fare?
1. Cosa ha scatenato aggressività ?
2. Se è concreta, si aggiusta il tiro, non rispondo aggressività , do quello che gli serve o
quello che cerco
Se non si vuole lavare, torno da lui quando è più calmo, lo distraggo e approfitto della sua facile
distrazione. Riuscire ad individuare la causa scatenante esatta aiuterà a trovare la soluzione
ottimale per il comportamento aggressivo: il malato generalmente reagisce generalmente ad
una situazione che gli incute paura, senso di pericolo o di frustrazione.
- Può spaventarlo una posizione sbagliata di chi lo assiste, o un atteggiamento che vive
come troppo dominante, autoritario.
- Altre volte, la causa va ricercata in un insuccesso nelle attività di vita quotidiana:
allacciare i bottoni di un vestito, aprire i cassetti di un armadio: l’incapacità gli genera
un’insopportabile frustrazione.
- Anche cambiamenti improvvisi dell’ambiente possono esserne causa: rumori acuti e
troppo forti, oscurità o luce eccessive, stimolazioni allarmanti. In alcuni casi,
l’aggressività può costituire il segnale che il malato ha un problema fisico: dolore,
stitichezza, un’infezione.
È fondamentale ascoltare attentamente il paziente, mostrare di volere innanzitutto sentire quale
sia il suo problema, e solo successivamente rispondere. Un tentativo di calmarlo a tutti i costi
viene immediatamente respinto dal paziente aggressivo, che reagisce a tali tentativi come
oppositivi e a lui ostili.
Spesso il paziente risponde con aggressività al fatto di sentirsi smarrito e non ascoltato e
rispettato nei suoi bisogni. Frequentemente i comportamenti aggressivi del malato compaiono
in concomitanza con la richiesta di compiere alcune manovre assistenziali: l’igiene della
persona, il bagno, il vestirsi, lo svestirsi. Queste operazioni implicano un contatto con il corpo
della persona con demenza che può essere vissuto come un’invadenza e una violazione: se
infatti nel malato è andato smarrito il concetto di lavarsi e se l’acqua non è più riconosciuta, ma
viene avvertita come qualcosa di estraneo e incomprensibile, e così si può capire quanto difficile
sia per il malato lasciarsi fare una serie di cose, prive di senso per lui, sul proprio corpo.
Analogamente, il vestirsi prima e lo spogliarsi più avanti, divengono manovre prive di significato
per la persona con demenza che ne coglie soltanto gli aspetti di invadenza e violazione nei

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confronti del proprio corpo quando vengono eseguiti da altri. Si può ricorrere alla distrazione
del malato per compiere le manovre necessarie a tali operazioni ammortizzando, se non
eliminando in buona parte, le sue reazioni aggressive. Occorre cioè fare leva sul deficit
dell’attenzione proprio della demenza: spostando, attirando l’attenzione del malato su uno
stimolo per lui piacevole, che gli produce benessere, che lo interessa, diminuiamo la quantità di
attenzione a disposizione per seguire le manovre assistenziali che noi dobbiamo compiere.
Per ogni persona con demenza esiste qualcosa di interessante e attraente: si tratta di
individuare uno o più di questi stimoli, farne tesoro e impiegarli al momento opportuno: può
trattarsi di una canzone dei vecchi tempi, di una filastrocca, di un ricordo che il malato recupera
senza eccessiva fatica così da non badare a quei gesti o manovre che stiamo compiendo su di lui.
Oppure potremmo provare a dargli da tenere in mano qualcosa che lo interessa. Anche non
insistere, rinviando a un secondo momento la proposta che ha provocato una prima risposta
irritata, può essere una buona soluzione la facile distraibilità dell’anziano che non ha più livello
attentivo al massimo

 Affaccendamento: toccano, piegano, nascondono cose ma senza senso; lo fanno in modo


afinalistico è per nascondere un’ansia. è l’aumento dell’attività motoria afinalistica, fino
alla manipolazione inconcludente di tutti gli oggetti che capitano sottomano.
L’irrequietezza motoria può sfociare in un incremento deambulatorio continuo, senza
scopo, con impossibilità di stare fermo. Tipica è la “spinta verso casa” che si osserva
quando il soggetto si trova in ambienti non familiari e che lo induce a raccogliere tutto
ciò che trova e a farne fagotto per “andare a casa”. La spinta verso casa è una reazione
comprensibile tenendo conto del disorientamento spazio-temporale e dei deficit
mnesici.
 Vocalizzazioni persistenti: il soggetto dice o domanda le stesse cose più volte o si
lamenta in maniera continua. È conseguenza del deficit di memoria e di capacità critica
 Allucinazioni le allucinazioni sono percezioni sensoriali non corrispondenti alla reale
presenza di un oggetto esterno. Non rare le allucinazioni ipnagogiche soprattutto
quando il ritmo sonno-veglia è alleato. Le allucinazioni sono più frequenti nella demenza
con corpi di Lewy. (signora, che vede nipoti morti, vado a capire perché li vede? Se li
vede? Quando li vede?
 Deliri; sono idee non corrispondenti al reale, ma fermamente ritenute vere dal paziente.
Non è possibile convincere il paziente della loro falsità. Il carattere di immodificabilità è
ciò che caratterizza il delirio. Quando un paziente mostra un comportamento delirante è
inutile cercare di modificarlo. Esprimono spesso delle preoccupazioni comprensibili (il
delirio di latrocinio si collega al tema della perdita, spostato su oggetti materiali e
vissuto in chiave paranoica, anziché depressiva. Il malato non ritrova gli oggetti di uso
quotidiano a causa dei suoi disturbi di memoria.
Ma non ricordando di soffrire di questo problema, non imputa il mancato ritrovamento
alla sua malattia ma al fatto che qualcuno possa aver rubato le sue cose. Quindi va a
nascondere le cose a cui tiene di più e di conseguenza gli oggetti saranno sempre più
introvabili; il delirio di gelosia esprime il timore di perdere le persone care; il delirio di
nocumento/veneficio ed il delirio ipocondriaco si collegano al timore della perdita della
salute ed al timore della morte)

Delirio che gli rubino oggetti in casa, sono convinti che ci sia un ladro, a volte pensano
che ci sia un ladro ma in realtà nell’affacendamento sono loro stessi a nasconderli.
 Sindrome di Capgras: convinzione che una persona familiare sia stata rimpiazzata da
una copia esatta;
 sindrome di Fregoli: (agnosia visiva): convinzione di riconoscere una persona familiare
in soggetti che, invece, sono estranei.

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 delirio d’intermetamorfosi: convinzione che persone note si tramutano fisicamente e
psicologicamente in altri soggetti;
 delirio di “sosia soggettivo”: idea che un proprio sosia agisca in modo indipendente da
sé;
 il delirio di Cotard esprime la negazione del timore della morte. E' caratterizzata dalla
convinzione di essere morti o di avere perso tutti gli organi vitali. Chi soffre di questa
patologia arriva a negare totalmente di esistere.

Cosa fare con i deliri?


- Capire che cosa ha costruito la realtà nuove? La nuova realtà funge da compensazione
È possibile intervenire sui deliri, ma per ottenere risultati discreti bisogna innanzitutto cercare
di capire quale sia la loro origine:
1. Delirio come tentativo di ricostruzione di una realtà solo parzialmente percepita,
ricordata e rappresentata, a causa dei disturbi cognitivi: talvolta il delirio può nascere da
un’errata interpretazione della realtà, situazione che spesso si verifica nei malati di AD,
che sono cognitivamente compromessi su almeno tre livelli di elaborazione cognitiva
necessari per la comprensione della realtà : la percezione, il ricordo e la
rappresentazione.
La costruzione della realtà è l’unico modo che l’uomo ha per relazionarsi con essa.
2. Delirio come metafora del paziente per rappresentare se stesso e la sua situazione a se
stesso, e per comunicarla agli altri: Con il delirio la persona rappresenta i propri disagi.
Bisogna adeguarsi al paziente piuttosto che attendersi che sia il paziente ad adeguarsi
alla realtà . Il caregiver dovrà ascoltare il paziente per capire i significati del
paziente, veicolati col linguaggio del suo delirio, e rispondergli utilizzando il suo stesso
linguaggio, esattamente come ad uno straniero bisogna parlare nella sua lingua. (se ha
delirio ipocondriaco è inutile riportarlo alla realtà negando quello che lui sente, le
malattie che sente di avere; piuttosto chiedermi che cosa vuole comunicare?)
3. Delirio come meccanismo di difesa: Il delirio può infine avere anche un ruolo diverso da
quello dell’autorappresentazione e della comunicazione. Esso permette di approfittare
dei problemi di memoria per coprire realtà angoscianti a cui il paziente non saprebbe
come far fronte perché non ha più sufficienti risorse mentali per far fronte a realtà
particolarmente dolorose. Per questo insieme di ragioni il comportamento delirante non
va ulteriormente contrastato, ma piuttosto deve essere rispettato.
Gli elementi del delirio costituiscono il linguaggio che l'operatore stesso dovrà usare
rispondendo al paziente, con l'obiettivo di risolvere i suoi timori, volgere in positivo un
vissuto sgradevole, condividere le sue gioie e mantenere integre le sue difese.

Gli elementi del delirio costituiscono il linguaggio che l’operatore stesso dovrà usare
rispondendo al paziente, con l’obbiettivo di risolvere i suoi timori volgere in positivo un vissuto
sgradevole condividere le sue gioie e mantenere integre le sue difese.
Dobbiamo prendere il delirio non nel suo contenuto, ma capire cosa c’è dietro la manifestazione
ovvero il linguaggio e la metafora che c’è dietro. Spesso è BISOGNO DI ASCOLTO e di
RASSICURAZIONE.
Va eliminata infantilizzazione, essa è deleteria; l’anziano non va ritrasformato in un bambino.
Oliver Sacks, celebre neurologo, professore alla New York University School of Medicine, è
morto nel 2015 e qualche anno prima aveva festeggiato i suoi ottant’anni pubblicando sul New
York Times, un elogio della vecchiaia, da lui vissuta come l’inizio di una nuova era. Sacks è
divenuto famoso anche come autore di molti libri che mescolano l’esperienza fra pazienti affetti
da danni neurologici alle vicende autobiografiche e alla sensibilità dello scrittore. I titoli più noti

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sono Risvegli (che nel ’90 divenne un film con Robin Williams e Robert De Niro, candidato a tre
Oscar) e L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello.
RICAPITOLANDO:
Innanzitutto capire la natura del delirio (a. comprensione lacunosa della realtà b. necessità di
rappresentare se stessi o di esprimere problemi non altrimenti comunicabili con funzioni
cognitive carenti, c. meccanismo di difesa):
a. Fornire al paziente gli elementi mancanti che gli permettono di formarsi una migliore
interpretazione della realtà
b. Utilizzare i medesimi elementi del delirio del paziente per aiutarlo ad elaborare il
problema che egli cerca di esprimere
c. Rispettare le convinzioni erronee, sapendo che queste rispondono ad esigenze emotive
altrimenti non gestibili in presenza dei gravi deficit cognitivi

 Misidentificazione (interagiscono con tv, radio, specchio come se fossero reali, ci


parlano, si spaventano). La misidentificazione è un tipo particolare di delirio che viene
spesso confuso con un comportamento allucinatorio. Il paziente tratta stimoli non
viventi (figure, fotografie immagini televisive, immagini riflesse allo specchio, bambole)
come se fossero realtà.
In questi casi gli ambienti vanno curati. (togliere gli specchi) . Si tratta di false
convinzioni basate su stimoli reali, ma che vengono interpretate in maniera scorretta.
Oppure non si riconoscono nello specchio e pensano che ci sia qualcun altro nella stanza,
(per questo è importante prestare attenzione all’arredamento)
o “phantom boarder”: presenza di estranei (fantasmi) che vivono nella propria
casa
o “picture sign”: la televisione come “vissuto concreto” con cui il paziente si
misura ed interagisce
(si guardano allo specchio e non si riconoscono. È preferibile togliere gli specchi)

 Fenomeno del tramonto: deve esserci buona illuminazione, le ombre creano paura- al
calar del sole i sintomi si accentuano o si manifestano perché le ombre create possono
fare brutti scherzi. Ci deve essere quindi una buona illuminazione
 Vagabondaggio (wandering): è il continuo girovagare senza meta tipico dei malati di AD.
Questi pazienti camminano per moltissime ore, anche per l’intera giornata,
incredibilmente senza mostrare mai segni di stanchezza. In istituto, se vi sono reparti
appositamente allestiti per ospitare pazienti con demenza, sono predisposti ampi spazi
privi di ostacoli e pericoli che permettano al paziente di girovagare agevolmente. Non si
conoscono le cause del wandering, ma questo comportamento, se permesso in spazi
protetti, non è pericoloso né nocivo. Questi comportamenti possono anche essere
interpretati come una modalità di autostimolazione fisiologica. Potrebbero, inoltre,
avere la valenza di occupazione o di scarica dell’ansia
Vagabondaggio: cosa fare?
L’intervento migliore è quello di liberare spazi sufficientemente ampi per permettere al
paziente di camminare in un luogo privo di ostacoli potenzialmente pericolosi (mobili spigolosi,
tappeti scivolosi, ecc.) e non reprimere il comportamento. Se si desidera che il paziente
rimanga seduto, per esempio per seguire attività riabilitative, è comunque preferibile non
contenerlo, ma invitarlo a rimanere, magari offrendogli cibi o bevande, lasciandolo comunque

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libero di tornare a camminare negli spazi appositi (camminare nella sala delle attività sarebbe
di disturbo per gli altri partecipanti).
Il vagabondaggio può iniziare anche in seguito all’impulso di alzarsi per andare a fare qualcosa:
andare in bagno, bere, mangiare. Pochi istanti dopo l’avvio del cammino, però , il malato non
ricorda più il motivo per cui si è mosso e, forse con l’intenzione di cercare qualcosa che gli
ricordi l’intenzione iniziale, continua a camminare senza riuscire più a fermarsi.
Non esistono attualmente farmaci specifici in grado di ridurre l’impulso a camminare in
maniera incessante o a svolgere attività senza scopo apparente. Anzi, i normali farmaci ad
azione sedativa spesso peggiorano la performance motoria: l’ammalato continua ad avere lo
stimolo a muoversi, ma lo fa in modo meno sicuro e con più alto rischio di caduta.

SERVONO I FARMACI?
Si servono, ma possono essere ridotti se il disturbo comportamentale viene trattato così
come indicato sopra, con consapevolezza.
Non esistono attualmente farmaci specifici in grado di ridurre l’impulso a camminare in
maniera incessante o a svolgere attività senza uno scopo apparente. Anzi, i normali farmaci ad
azione sedativa spesso peggiorano la performance motoria: l’ammalato continua ad avere lo
stimolo a muoversi, ma lo fa in maniera meno sicura e con più alto rischio di caduta.

LIMITI E CONDIZIONI PER RICORRERE ALLA CONTENENZA FISICA


Se malattia è avanzata e si sa che cadono appena si alzano, se sono troppo aggressivi per sé o
per loro, si possono usare contenimento fisico; ma in modo limitato. Il vagabondaggio e
l’affaccendamento non devono costituire motivi per l’uso della contenzione fisica se non in casi
estremamente limitati quando queste attività risultano essere oggettivamente pericolose per il
soggetto. Va considerato che l’applicazione del mezzo di contenzione aumenta i rischi di cadute,
il livello di ansia, agitazione, aggressività del malato.

 Disturbi del sonno: difficoltà nell’addormentamento, risvegli precoci o frequenti durante


la notte, inversione del ritmo sonno-veglia. L’insonnia iniziale può rientrare in un
quadro ansioso, l’insonnia terminale può essere manifestazione di una sindrome
depressiva.
 Disturbi dell’appetito: riduzione dell’appetito, meno frequentemente ipergrafia ed
iperoralità
 Disturbi di sessualità ; ipersessualità anche con comportamenti socialmente inopportuni
nei quadri di euforia e disinibizione.
 Disinibizione: La disinibizione è un disturbo comportamentale tipico dei pazienti
frontotemporali, ma presente anche nei malati di AD. Il paziente con disinibizione si
spoglia in pubblico e si esibisce in modo inappropriato nelle situazioni più varie. La
consapevolezza dell’inadeguatezza di questi comportamenti è generalmente molto
bassa. (non si spoglia ma spoglia gli altri)
Cosa fare con disinibizione?
Cercare di capire se il paziente abbia bisogno del bagno, ed eventualmente accompagnarlo;
Invitare il paziente ad interrompere il comportamento distogliendone la sua attenzione; Evitare
di rimproverarlo: in genere la disinibizione si accompagna a basso livello di
autoconsapevolezza.

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Cosa fare con alterazione del ciclo sonno-veglia; cosa fare?
o Tenere il paziente molto impegnato di giorno, affinché si stanchi
o Mantenere alti livelli di illuminazione ambientale possibilmente con luce naturale
o Svolgere attività all’aria aperta
o Somministrare possibilmente in orario serale farmaci che possano causare sonnolenza

 Reazioni catastrofiche: sono improvvise esplosioni emotive verbali e fisiche in risposta


ad eventi stressanti e non comprensibili al soggetto di qualsivoglia origine (ambientale,
somatica, etc). Sono spesso innescate da deliri, allucinazioni, dispercezioni, ansia. Si
manifestano come crisi di pianto, urla e bestemmie, minacce aggressive, dare morsi e
calci, picchiare.
 Collezionismo: è la continua ed incessante raccolta ed accumulo di oggetti, generalmente
irrilevanti e di nessuna necessità . Rappresenta il tentativo di reazione al timore della
perdita, alimentato dalle perdite reali e dai deficit mnesici.
 Confabulazione: è la produzione di falsi ricordi a riempimento delle lacune mnesiche del
passato recente. Questa neoproduzione, accurata e fantasiosa, attinge a diversi
frammenti mnemonici dell’esperienza passata ed agli stimoli dell’ambiente; è
tipicamente influenzabile per via suggestiva. Rappresenta un tentativo di mantenere la
continuità nel tempo, e quindi il senso di sé, nonostante i deficit mnesici

IGIENE GESTIONE DEL CAMBIO D’ABITO


Per le persone con demenza è spesso difficile vestirsi a causa della perdita di memoria (ad es,
non ricordano in che ordine indossare gli indumenti) e di problemi fisici (ad es. difficoltà a
maneggiare i bottoni). Talvolta, per l'assenza di motivazione, perdono interesse a vestirsi bene o
addirittura si rifiutano di cambiare i loro indumenti. Questo atteggiamento può amareggiare il
familiare, tanto più quando il malato era una persona che teneva al proprio aspetto esteriore.
Inoltre, è probabile che ci voglia sempre più tempo per aiutarlo a vestirsi e questo può
interferire con i nostri impegni quotidiani.
Non comportarsi in maniera standardizzata ma cercare strategie individualizzate (acqua più
calda, spugnature ecc)
(far scegliere a loro due tipologie di vestiti, quale tuta vuoi indossare?) si sentono utili.

APPROCCI E INTERVENTI:
Le cure per i disturbi del comportamento dell’anziano demente oggi utilizzate sono
prevalentemente di tipo farmacologico. Ma l’approccio piu’ corretto ed efficace deve essere
prevalentemente di tipo comportamentale e ambientale. Fondamentale è anche la psico-
educazione del caregiver intesa come modificazione del suo comportamento è efficace e il
risultato dura nel tempo
APPROCCIO AMBIENTALE
In ogni “fase” della malattia l’ambiente può compensare o, al contrario, accentuare le
conseguenze del deficit cognitivo e pertanto condizionare sia lo stato funzionale sia il
comportamento del paziente. Lo spazio e l’ambiente vitale possono rappresentare perciò , per la
persona affetta da demenza, da un lato una risorsa terapeutica, purtroppo spesso sotto
utilizzata, dall’altra il motivo scatenante di alterazioni comportamentali apparentemente
ingiustificate. Le scelte degli interventi ambientali sono condizionate dalle caratteristiche del
paziente e, principalmente, dalla gravità della compromissione cognitiva e dalla natura dei
disturbi comportamentali.

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Ambiente ideale: Ambienti ben illuminati, colori tenui alle pareti, mobili e oggetti di colore
contrastante, spazi organizzati in modo semplice; cartelli ed effetti personali che facilitino
l’orientamento, luci notturne, togliere gli specchi, evitare televisore e radio. Evitare luoghi o
stanze disordinate affollate e rumorose; eliminare le fonti di pericolo, semplificare al massimo
l’ambiente e la disposizione degli oggetti (inclusa la tavola in cui si mangia), svitare o ridurre al
minimo i cambiamenti (cambiare disposizione ai mobili oppure ai quadri può comportare
problemi; lo spostamento del letto, ad esempio, può favorire la comparsa di incontinenza poiché
il paziente non riesce a trovare la via per il bagno). Eliminare le chiavi dalle porte, utilizzare
fornelli a gas con sistemi automatici di controllo

ambienti ben illuminati, colori tenui alle pareti, mobili e oggetti di colore contrastante, spazi
organizzati in modo semplice, cartelli ef effetti personali che facilitino l’orientamento, luci
notturne, togliere gli specchi, evitare televisione e radio.
Evitare luoghi o stanze disordinate affollate e rumorose, eliminare le fonti di pericolo..
Eliminare le chiavi dalle porte
Utilizzare fornelli a gas con sistemi automatici di controllo. (Casa a prova di anziano con
demenza)
APPROCCIO COMPORTAMENTALE
Prevede identificazione degli antecedenti di un comportamento o di un disturbo
comportamentale e cerca di modificarli, al fine di prevenire ed ottenere una reazione positiva o
un comportamento corretto.
Modello ABC: ricerca delle cause e analisi delle manifestazioni
Antecedenti: ciò che può aver scatenato il comportamento disturbante, anche i dettagli
apparentemente secondari (fattori scatenanti)
Comportamento manifestato: dove, come e quando è iniziato? Che tipo di comportamento?
Conseguenze: il risultato del comportamento sia sul malato sia sull’ambiente e le persone che lo
circondano

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Scheda di osservazione del comportamento: serve a operatori in cui segnano cos’è avvenuto e
scrivono quale strategia è stata messa in atto. È utile per capire le conseguenze, e fare in modo
che altro operatore non utilizzi nuovamente la strategia, che non ha funzionato.
Sicuramente la fretta della figlia, indaffarata nelle tante attività quotidiane, si è espressa in
atteggiamenti non verbali involontariamente coercitivi: immaginiamo degli atti rapidi e
contratti, un eloquio veloce e incalzante che culmina nel tentativo di farlo entrare in macchina
spingendolo per forzare le sue resiste. Gino con molta probabilità non sa dove sta andando e
non capisce il senso delle richieste che gli vengono fatte. Qualcuno lo forza a fare qualcosa che
non vuole, si sente costretto e violato nel suo spazio fisico, probabilmente ha paura quando
viene avvicinato all’automobile (non dimentichiamo che potrebbe non riconoscerla), e si
arrabbia. Non essendo in grado di elaborare le sue emozioni e trattenere gli impulsi Gino agisce
la rabbia attraverso comportamenti aggressivi. Il comportamento di Gino si ripercuote sulla
figlia che si sente scoraggiata, incapace e impotente. Decide di desistere dal tentativo di recarsi
alla visita medica. Nell’insieme questo episodio rinforza soprattutto il senso di inadeguatezza
della figlia che va invece supportata e indirizzata nell’utilizzare al meglio le sue capacità di
accudimento e di cura nei confronti del padre. Il comportamento aggressivo di Gino, d’altro
canto, viene involontariamente rinforzato poiché l’esito del suo gesto ottiene l’interruzione
dell’attività temuta.
Scheda valida per i caregiver, va spiegata negli incontri di PSICOEDUCAZIONE.

MODELLI PER GESTIRE LA DEMENZA


MODELLO RETROGENETICO: DI Reisberg (psichiatra e geriatra)
Il termine retrogenesi, coniato da Barry Reisberg (psichiatra e geriatra), implica il concetto che
la progressione della malattia di Alzheimer segue un decorso fisso e inverso allo sviluppo
nell’infanzia (sviluppo ontogenetico), per alcuni malati possono essere motivati e traggono
piacere quando si propongono loro attività creative che sono gradite anche ai bambini tra 2-5
anni.
La retrogenesi mira all’obiettivo realistico di minimizzare le conseguenze cognitive,
funzionali, emotive e comportamentali della malattia e di massimizzare le potenzialità
del suo ambiente. Attraverso alcune scale di stadiazione (GDS-Global Deterioration Scale;

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FAST- Fuctional Asessment Staging) sviluppate da Reisberg et al. (1982) per monitorare nel
tempo il decorso cognitivo e funzionale delle demenze, è stato possibile confrontare e far
corrispondere ogni stadio della malattia alle fasi dello sviluppo proposte da Piaget (stadio
senso-motorio, pre-operatorio, operatorio concreto e formale operatorio)
Di notevole interesse è il fatto che la quantità di tempo sufficiente ad un bambino per acquisire
ogni capacità è approssimativamente la stessa necessaria ad una persona con demenza per
perderla. Molti cambiamenti emotivi e comportamentali che si associano alla malattia di
Alzheimer ricordano quelli che si osservano nei loro “coetanei” in età evolutiva. Ad esempio, le
reazioni tipiche degli stadi avanzati della malattia (esplosioni verbali di rabbia, paura dell’acqua
o del buio) possono essere interpretati come il corrispettivo delle “crisi d’ira” di bambini in età
prescolare (Retrogenesi emotiva). I riflessi dello sviluppo (come il riflesso radicolare, di suzione,
di presa di mano e del piede, di estensione plantare di Babinski) che spariscono nei primi anni
di vita, ricompaiono negli stadi avanzati di malattia (Retrogenesi neurologica). Il modello
permette di fornire un indicatore dell’età evolutiva di una persona e questo consente
l’identificazione di attività congrue con la fase che l’adulto con demenza sta attraversando.

MODELLO MONTESSORI: teoria montessoriana applicata all’anziano con stessi principi di


autonomia, di esperienza.
Sviluppato originariamente per i bambini nei primi anni del 1900 dalla psichiatra italiana Maria
Montessori, è stato adattato ai malati di Alzheimer dal neuropsicologo americano Cameron
Camp; ha un approccio positivo e valorizza le capacità residue della persona, soprattutto
quelle che permangono anche nelle fasi avanzate della malattia e mette in secondo piano le
carenze associate alla perdita di memoria. Si tratta di un approccio comunicativo non verbale,
sensoriale e motorio che mira a ridurre i problemi comportamentali delle persone disorientate
APPROCCIO CAPACITANTE, è di Vigorelli nel 2000. Vanta una larga diffusione in Svizzera, Cile,
Argentina.
L’Approccio Capacitante è un approccio alle persone con demenza che si basa sull’ascolto e
sulla scelta delle parole con l’obiettivo finale una convivenza serena tra persone con
demenza, operatori e familiari. È un modo di rapportarsi che cerca di creare le condizioni per
cui la persona anziana possa svolgere le attività di cui è ancora capace, così come è capace,
senza sentirsi in errore. L’Approccio valorizza la dignità della persona.
La formazione è basata sull’analisi delle conversazioni professionali tra operatori e utenti così
come effettivamente avvengono. Nel lavoro di gruppo si cerca di capire se la conversazione
riportata è stata felice o meno, se ha potuto proseguire o si è interrotta, se ha creato irritazione

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o benessere; se ha permesso l’emergere delle Competenze elementari dell’ospite; se l’ospite ha
potuto scegliere ciò che voleva dire oppure se il colloquio è stato “guidato” dall’operatore, come
avviene nei colloqui mnestici e valutativi.
o La scelta delle parole  L’operatore capacitante impara a scegliere le parole che sono
seguite da risultati favorevoli (l’interlocutore parla e lo fa volentieri) e ad evitare le
parole che sono seguite da risultati sfavorevoli (la conversazione s’interrompe,
l’interlocutore reagisce con rabbia, aggressività , chiusura). L’Approccio capacitante
aiuta l’operatore a diventare consapevole degli effetti prodotti dalle proprie parole. In
base alla consapevolezza dei risultati ottenuti impara a scegliere le parole da dire.
L’operatore capacitante, quando si trova in situazioni di disagio, di difficoltà , non
reagisce in modo spontaneo (automatico), ma si ferma a riflettere qualche secondo per
poi scegliere di dire le parole che più probabilmente saranno seguite da risultati
favorevoli (in base all’esperienza precedente) utilizzando le tecniche capacitanti, per
esempio: Non fare domande, Non correggere, Non Interrompere, Fare eco,
Accompagnare nel suo mondo possibile.
Il metodo si basa sull'approccio conversazionale e sull'approccio capacitante, il primo si rifà al
Conversazionalismo di Giampaolo Lai, il secondo al concetto di Capacitazione che è imparentato
con il capability approach di Amarthia Sen.
Il Conversazionalismo è nato in Italia con l'opera di Giampaolo Lai nei primi anni 80. A partire
dal 1999 il Conversazionalismo è stato applicato allo studio e alla terapia dei malati Alzheimer.
In questo nuovo ambito viene utilizzato sia per la sua funzione originaria (conversazione
terapeutica), sia come punto di partenza per formare i caregiver. In tal modo si cerca di tener
viva nel paziente la capacità di utilizzare la parola, nella convinzione che conservare l'uso
della parola il più a lungo possibile sia un obiettivo terapeutico significativo e che sia
strettamente correlato col mantenimento della dignità e della felicità del malato Alzheimer e dei
suoi conviventi, almeno per quanto data la malattia. Le basi teoriche dell'approccio
conversazionale applicato alla cura del malato Alzheimer sono fondate sui concetti di riserva
funzionale, di motivazione e di facilitazione.
o LE IDENTITA’ MULTIPLE: Quando viene formulata la diagnosi di malattia di Alzheimer il
mondo interno del malato e quello intorno a lui tendono a cambiare in modo rapido e
radicale. Ciascuno di noi ha tante identità : psicologo, appassionata del mio lavoro,
madre, figlia a mia volta, compagna, amica, amante della natura, sorella....ecc. Anche i
malati hanno ancora tante identità, di madre, di figlia, di sorella, di giovane sposa, di
vedova, di amante della cucina, di amante del ricamo, di pescatore, di giardiniere, di
prigioniero di guerra, di grande lavoratore... La storia di ciascuno è sempre ricca di
esperienze e di identità .
l problema del malato Alzheimer è che non padroneggia più queste sue identità multiple.
In un certo momento è padre, in un altro momento è figlio e chi gli sta accanto resta
disorientato e contrariato perché vorrebbe vederlo sempre con un'identità unica e
immutabile. La terapia conversazionale invece riconosce cioè e accoglie le identità
multiple del paziente così come si manifestano e quando si manifestano.
o I MONDI POSSIBILI: Il concetto di identità multiple rimanda facilmente a quello di
mondi possibili. Quando un vecchio sente sbattere la porta e ha una crisi di agitazione
psicomotoria, è davvero terrorizzato perché ri-vive l'arrivo delle SS che lo strappano alla
famiglia e lo portano in campo di concentramento. L’approccio conversazionale si basa
sull'accogliere questi mondi possibili in cui vive il paziente, sul riconoscerli e
legittimarli. Il curante accompagna il paziente nei suoi mondi possibili, senza giudicare,
senza correggere, curioso di esplorarli con il paziente e contento di questa avventura.
L’Approccio Capacitante è una modalità di intervento che vuole creare nei luoghi di vita

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degli anziani fragili un ambiente in cui essi possano esercitare le Competenze elementari
così come effettivamente fanno, senza sentirsi in errore. Si invita a focalizzare
l’attenzione sulla sua capacità di parlare, sull’ascoltare senza interrompere e senza
correggere la persona, perché quelle parole hanno un senso dal suo punto di vista della
persona, anche se non sono comprensibili nell’immediato da chi ascolta. In questo modo
l’anziano non si scoraggia e mantiene più a lungo la sua vivacità, autonomia e
relazionalità.
o LE COMPETENZE ELEMENTARI
 la competenza emotiva: cioè provare emozioni, riconoscere quelle dell’interlocutore e a
condividerle
 la competenza a comunicare : si esprime anche con il paraverbale e non verbale
 la competenza a parlare: cioè a produrre e scambiare parole, indipendentemente dal
loro significato.
 la competenza a contrattare a decidere sulle attività della vita quotidiana. Si pensi ai
comportamenti ‘oppositivi’, cioè la persona che non vuole mangiare, non vuole alzarsi
dal letto, non vuole lavarsi, ecc. Certo questi comportamenti sono disturbanti, tuttavia
sono l’estrema manifestazione della competenza a contrattare di una persona che
purtroppo non può decidere più nulla.
 La competenza a decidere: anche in presenza di deficit cognitivi. I comportamenti
oppositivi, di chiusura relazionale e di isolamento possono essere letti come espressioni
estreme di questa ridotta competenza di libertà decisionale”.
Mediante l’Approccio capacitante si impara ad accompagnare gli ospiti nel loro mondo, a
riconoscere le loro competenze, a ascoltare la loro voce interiore (voice). Questa consuetudine
all’ascolto della voice, ha trasformato lentamente ma radicalmente il nostro approccio: prima
era prevalentemente tecnico – sanitario, poi si è progressivamente indirizzato verso l’ascolto
della parola e l'osservazione dei messaggi corporei degli ospiti.
In sintesi, gli obiettivi dell’Approccio capacitante sono:
 che l’anziano con demenza possa parlare, così come può e che si senta ascoltato;
 che si senta riconosciuto come persona, come interlocutore valido;
 che si possa realizzare una Convivenza sufficientemente felice tra i parlanti nel qui e ora
della conversazione.
“Il ricorso agli interventi capacitanti significa, in pratica, porsi in un atteggiamento sperimentale:
cercare di evitare le parole che producono risultati sfavorevoli (chiusura della conversazione,segni
di disagio) e scegliere, invece, le parole che producono risultati favorevoli ( il proseguimento della
conversazione, una Convivenza sufficientemente felice)”
Educatore: animazione, storie, libri.
Psicologo: aiuta nella strutturazione di attività in base a quei progetti.
Piano individualizzato PAI (piano assistenziale indivdualizzato) fatto da equipe di medici,
operatori ecc.

APPROCCIO CENTRATO SULLA PERSONA (PCC) Tom Kitwood


Il modello medico tradizionale considera la malattia e non la persona; nella PCC la persona è
l’elemento centrale: i sintomi legati alla malattia sono solo una parte di un insieme che è la
persona ma non la parte principale.
PCC= V+ I+ P+S
 V=valorizzazione della persona con demenza

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 I== tenere conto della sua “individualità ”
 P=prospettiva” della persona con demenza
 S=ambiente sociale “supportivo” ed inclusivo
L’obiettivo verso cui verte la PCC è di riconoscere le persone affette da demenza nella loro
umanità e globalità, dove l’assistenza riguardi la PERSONA e non la sua malattia. Se
enfatizziamo meno la funzione cognitiva e ci concentriamo sulla persona intera, riusciremo a
vedere la possibilità di una gamma di relativi stati di benessere anche in una persona con
demenza. La cura si basa sulla relazione. Attraverso la relazione viene supportata la
personhood.
Kitwood propone la sua concezione di demenza come risultato dell’interazione di 5 elementi:
Demenza = NI+H+B+P+SP (T. Kitwood, 1997; D. Brooker, 2007).
 Danno neurologico (Neurological Impairment), che può essere dato da alterazione
della struttura cerebrale o della funzione cerebrale. Sono presenti problemi di memoria,
di linguaggio e di comprensione, di eseguire le attività di vita quotidiana…
 Salute fisica (Helth and physical fitness), è importante prestare attenzione al benessere
fisico di una persona con demenza.
 Biografia (Biography or life history), la storia di vita di ciascun individuo è la struttura
iniziale della personalità .
 Personalità (Personhood); definita come “una posizione o grado che è conferita ad un
essere umano, da altri, nel contesto delle relazioni sociali e come essere sociale. Implica
riconoscimento, rispetto, e verità ”.
 Psicologia sociale (Social Psychology); come abbreviazione di ambiente socio -
psicologico ovvero tutte quelle relazioni interpersonali che per Kitwood può supportare
o danneggiare le persone con demenza
LA PSICOLOGIA SOCIALE MALIGNA (PSM)
È costituita da tutte quelle interazioni svalutanti da parte degli operatori, che possono
minare uno o più dei bisogni psicologici, e quindi la Personhood di chi è affetto da Demenza. La
PSM non implica una malevolenza consapevole da parte degli operatori, ma spesso l'agire
in modo inconsapevole e superficiale, senza rendersi conto del danno provocato e seguendo
schemi già collaudati ed accettati.
IL DCM (DEMENTIA CARE MAPPING)
È uno strumento di osservazione e valutazione che applica i principi dell'approccio centrato
sulla persona (PCC) coinvolgendo le persone con demenza nella loro interezza, per
migliorarne la qualità di vita attraverso un'attenzione profonda alla qualità dell'assistenza. È nel
contempo uno strumento ed un processo.
- Lo strumento è formato dai meccanismi di osservazione e di codifica
- Il processo è l'utilizzo del DCM come motore per lo sviluppo di una pratica assistenziale
di qualità , basata sui principi della Person Centred Care
Consiste nella registrazione puntuale di tutto ciò che accade nel setting assistenziale. Le azioni
del personale di cura sono fondamentali per sostenere (PE) ovvero minare (PD) la Personhood.
In questo ambito non esistono più i cosiddetti “comportamenti problematici” (BPSD), ma solo
azioni, generate da un contesto, che vanno interpretate.
REALIZZARE UN APPROCCIO PCC
1. Realizzare una formazione del personale centrata sui principi dell'approccio
2. programmare interventi personalizzati di assistenza e di attività
ricreative/occupazionali

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3. affiancamento sul campo per osservare le interazioni durante le attività . Gruppi di
lavoro per l’analisi dei casi osservati:
- identificazione delle modalità relazionali per sostenere la personhood
- elaborazione di Pai Person Centred
GENTLECARE- MOYRA JONES
Moyra Jones, terapista occupazionale (riabilitazione attraverso l’occupazione) canadese, alla
fine degli anni Novanta partendo dalla propria esperienza personale e professionale ha creato e
promosso il Metodo Gentlecare per la cura delle persone con demenza. La metodologia
“Gentlecare” ha lo scopo di promuovere il benessere del malato, ottimizzando il suo stato
funzionale e consentendo una buona qualità di vita rispetto al declino causato dalla
demenza. Questo modello aiuta i caregivers a sviluppare strategie che migliorano i disturbi
comportamentali ed eliminano lo stress, offrendo sostegno ai malati e a chi si prende cura di
loro. (=AMPIO LAVORO CON I CAREGIVER)
L’approccio protesico, termine coniato dalla stessa Jones, riguarda qualsiasi intervento che
tenta di compensare il deterioramento cognitivo del malato di demenza attraverso
l’adattamento dell’ambiente non solo fisico, ma anche interpersonale, per ridurre le
conseguenze della sua inabilità e per dare il massimo supporto alle capacità ancora presenti.
OBIETTIVI:
- Promozione del benessere della persona
- Ottenere il miglior livello funzionale possibile
- risoluzione o riduzione della gravità dei principali disturbi comportamentali
- riduzione dello stress di chi assiste sia esso caregiver formale o informale
- riduzione dell'utilizzo di mezzi di contenzione fisica e farmacologica
Obiettivi Il personale e i famigliari devono:
o identificare gli elementi di stress nell’ambiente del malato (e della famiglia) e
sviluppare metodi e programmi efficaci e creativi per rendere la vita di questi pazienti
più confortevole
o capire chiaramente i processi e le implicazioni cliniche delle demenze
o Integrare attività quotidiane con programmi utili e stimolanti che sfruttano le residue
capacità del malato per sviluppare schemi assistenziali efficaci.
Suggerire tecniche di comunicazione.
LA FORMULA GENTLECARE:
1. conosci la persona, la sua patologia, in che stadio di malattia si trova
2. comprendi il deficit e il suo comportamento
3. sviluppa l’intervento protesico (sia esso sulla persona o sull’ambiente)
Si sviluppa su tre elementi in continua relazione dinamica fra loro: spazio fisico, persone ,
programmi 
BENESSERE DEL SOGGETTO
1. Il primo elemento: le persone: tutta l’équipe adeguatamente e costantemente
formata. I familiari vengono coinvolti in modo attivo sulle scelte assistenziali del
proprio caro.
2. Il secondo elemento: i programmi/attività: Per la cura personale viene adottata la
tecnica del risveglio naturale e in generale vengono utilizzate strategie
personalizzate per riuscire nella vestizione, nell’igiene personale, ecc. Per le attività

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del tempo libero non vi è una programmazione rigida da rispettare ma uno schema
da poter seguire durante le mattine o i pomeriggi.
3. Il terzo elemento: l’ambiente:
- Considerato come spazio fisico e relazionale, come insieme di oggetti e arredamento, di
percorsi , di soluzioni tecnologiche.
- Creare un ambiente protesico semplice, domestico arricchito con oggetti familiari e
personali per essere facilmente vissuto.
- Dotazione di un giardino opportunamente attrezzato e direttamente raggiungibile dal
nucleo con percorso circolare e area per ortoterapia. L’illuminazione notturna ne
garantisce la fruibilità sia di giorno che di notte.
AMBIENTE ADEGUATO
Adattamento dell’ambiente domestico per persone con demenze che vivono a casa.
Posizionare gli oggetto di uso comune in punti dove possono essere facilmente visti e
identificati dalla persona con demenza
EFFICACIA DELL’INTERVENTO NON FARMACOLOGICO
L'efficacia dell’intervento non farmacologico dipende da come è stato strutturato: è
fondamentale venga infatti individualizzato e scelto in base alle caratteristiche del paziente
(funzionamento sociale, storia, preferenze), sulla patologia e sul livello di compromissione o
disturbo comportamentale.
OBIETTIVI: PROMUOVERE:
- Qualità della vita delle persone con demenza
- Qualità della vita delle persone che se ne prendono cura
- Uso ottimale delle risorse disponibili e delle capacità residue
TIPOLOGIE DI INTERVENTI SULL’ANZIANO
1. Centrati sulla cognitività
2. Centrati sulle emozioni
3. Centrati sul comportamento
4. Centrati sulla sensorialità
5. Interventi orientati all’ambiente
6. Interventi psicosociali sulla famiglia
INTERVENTI CENTRATI SULLA COGNITIVITA’
- STIMOLAZIONE COGNITIVA
- TRAINING COGNITIVI
- ROT
La riabilitazione cognitiva ha come obiettivo il ristabilire il funzionamento cognitivo il più vicino
possibile a com'era prima dell'insorgenza della compromissione. In questo caso si mira ad un
recupero delle abilità cognitive danneggiate. E' rivolta a soggetti di qualunque età che hanno
subito una lesione cerebrale.
LA STIMOLAZIONE COGNITIVA
Per stimolazione cognitiva (SC) si intende un programma mirato in cui si cercano di migliorare
il funzionamento cognitivo globale ed il funzionamento sociale della persona con demenza. Essa
non ha come obiettivo il recupero delle abilità cognitive perse o danneggiate ma il
mantenimento di quelle funzioni che ancora non sono state compromesse dalla malattia. Si
parla di stimolazione cognitiva nelle patologie neuro-degenerative come nella demenza, dove

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non è possibile un recupero ma, attraverso un costante allenamento, si può cercare di
contrastare l'impatto della malattia. Il deterioramento cognitivo non si presenta in tutti i
soggetti con le stesse caratteristiche e con lo stesso livello di gravità . I soggetti si differenziano
per un diverso grado e qualità di capacità ancora presenti. Fare stimolazione vuole dire
anzitutto conoscere il livello di funzionamento complessivo e specifico e modulare la proposta
di attività in modo da promuovere l’utilizzo delle capacità ancora sufficientemente conservate.
La stimolazione cognitiva è quindi un’attività altamente strutturata, da non confondere con
qualsiasi tipo di proposta ludico-ricreativa!
SUGGERIMENTI:
- Scegliere le attività in modo da assecondare predisposizioni, attitudini, gusti e passioni
della persona. Per far questo è utile confrontarsi con la famiglia in modo da conoscere
più a fondo gli interessi passati dell’anziano.
- Non avere fretta ma calibrare il ritmo con cui si propongono le attività al tempo di
elaborazione richiesto dal malato. E’ solitamente consigliabile scegliere bene poche cose
da fare con molta calma.
- Non forzare la persona ad adeguarsi alle richieste, ma cercare il momento ed il modo più
giusto per agganciarlo nelle attività proposte.
- Non preoccuparsi di fare bene il compito.
- Non protrarre lungamente le attività poiché le risorse di attenzione delle persone con
demenza sono limitate e potrebbero stancarsi rapidamente.
- Rinforzare positivamente gli sforzi compiuti elogiando sempre ogni atto che manifesti il
tentativo di coinvolgersi nelle attività proposte e di esprimere le proprie risorse.
- Non rimarcare mai gli eventuali errori
L’obiettivo non è quello di ottenere una prestazione elevata, ma di coinvolgere la persona!
ESERCIZI:
- orientamento temporale
- orientamento spaziale
- orientamento sociale
- attenzione
- memoria
- linguaggio
- sensoriali
- prassici motori
- calcolo
CST  La Cognitive Stimulation Therapy (Spector, 2003): E’ un trattamento psico-sociale
validato e strutturato in sessioni a tema per stimolare diverse funzioni cognitive. Nasce in Gran
Bretagna ad opera di Aimèe Spector e dei suoi collaboratori nei primi anni del 2000. Si tratta di
un trattamento di gruppo (5/6 perosne) basato sull’evidenza, indirizzato a persone con
demenza di grado lieve e moderato. L’approccio sviluppato alla University College of London
consiste in incontri due volte alla settimana per 45 minuti, per un totale di 14 incontri.
All’inizio di ogni sessione viene ricordata la data, il luogo in cui ci si trova, eventuali ricorrenze
al fine di stimolare l’orientamento nei partecipanti, attraverso metodi impliciti che non
demoralizzino la persona. Ogni incontro è caratterizzato da un tema specifico intorno al
quale ruota l’attività principale:
- SESSIONE 1: giochi fisici
- SESSIONE 2: suoni
- SESSIONE 3: infanzia

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- SESSIONE 4: cibo
- SESSIONE 5: notizie di attualità
- SESSIONE 6: facce/scene
- SESSIONE 7: associazione di parole
- SESSIONE 8: creatività
- SESSIONE 9: categorizzazione
- SESSIONE 10: orientamento
- SESSIONE 11: utilizzo di denaro
- SESSIONE 12: giochi con i numeri
- SESSIONE 13: giochi con le parole
- SESSIONE 14: quiz a squadre
Ciascuna sessione è così articolata:
- Introduzione (10 minuti)
- Attività principale legata al tema caratterizzante l’incontro (25minuti)
- Conclusione e saluti (10 minuti)
Tra i numerosi interventi esistenti, la Terapia di Stimolazione Cognitiva (CST), è l’unico
intervento per anziani con demenza lieve-moderata con evidenze di efficacia.
Studi randomizzati hanno osservato, attraverso l’utilizzo di vari strumenti tra i quali il Mini-
Mental State Examination (MMSE) e l’Alzheimer Disease Assessment Scale-Cognition (ADAS-
cog), notevoli miglioramenti sia nel funzionamento cognitivo globale sia nella qualità della vita
delle persone con demenza, inoltre si è notato il miglioramento delle funzioni cognitive globali e
la qualità della vita tramite ripetute stimolazioni multisensoriali, riducendo la tendenza
all’isolamento e favorendo il livello di autostima.
PROGRAMMA DI MANTENIMENTO DELLA TERAPIA DI STIMOLAZIONE COGNITIVA (MCST)
Le sessioni e si svolgono una volta a settimana per ventiquattro settimane:
o SESSIONE 1: la storia della mia vita
o SESSIONE 2: notizie di attualità
o SESSIONE 3: cibo
o SESSIONE 4: creatività
o SESSIONE 5: giochi con i numeri
o SESSIONE 6: giochi e quiz di gruppo
o SESSIONE 7: suoni
o SESSIONE 8: giochi fisici .
o SESSIONE 9: categorizzazione di oggetti
o SESSIONE 10: antichità domestiche
o SESSIONE 11: rimedi della nonna
o SESSIONE 12: carte creative
o SESSIONE 13: slogan pubblicitari
o SESSIONE 14: arte
o SESSIONE 15: volti e luoghi
o SESSIONE 16: giochi di parole
o SESSIONE 17: slogan del cibo
o SESSIONE 18: associazioni di parole
o SESSIONE 19: orientamento
o SESSIONE 20: utilizzo del denaro
o SESSIONE 21: giochi di parole

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o SESSIONE 22: antichità domestiche
o SESSIONE 23: la mia vita lavorativa
o SESSIONE 24: consigli per una vita sana
Introduzione (10 minuti). Si inizia con un benvenuto a tutti i componenti del gruppo, chiamando
ciascuno per nome e tra le altre cose si canta la canzone scelta al primo incontro si discute del
giorno, mese, anno, stagione etc. in modo da dare un orientamento spaziotemporale
Attività principale di stimolazione cognitiva legata al tema dell’incontro (25 minuti)
Conclusione e saluti della durata di 10 minuti, durante i quali si fa un riassunto dell’attività
cogliendo i feedback, si ringrazia ciascun partecipante, si ricanta la canzone e si ricorda l’orario
e l’argomento dell’appuntamento successivo. (PAG 61 libro Pradelli Faggian).
IL TRAINING COGNITIVO
Il training cognitivo può essere definito come un processo di stimolazione cognitiva che mira
all'esercizio di specifiche funzioni cognitive attraverso l'utilizzo di un set standard di
compiti specifici. Il training cognitivo si avvale di due principi. Il primo è la ripetizione, ovvero
somministrare più volte la stessa tipologia di esercizi porta alla riorganizzazione delle funzioni
(riorganizzazione funzionale) vicariando le abilità perse a causa della lesione o rinforzando le
abilità preservate.
Il secondo principio è la gradualità , ossia consiste nel dover scegliere i compiti da presentare al
paziente tenendo conto delle sue capacità attuali e modulando man mano la difficoltà a seconda
dei risultati ottenuti e degli scopi terapeutici che si è posto. Il training può essere svolto in
gruppo o individualmente, utilizzando carta e matita oppure supporti informatici (computer,
tablet ecc.).
REALITY ORIENTATION THERAPY (ROT)
La Terapia di Orientamento alla Realtà è la più diffusa terapia cognitiva. Essa è stata ideata da
Folsom alla fine degli anni ‘50, presso la Veterans Administration (Topeka, Kansas), e
successivamente sviluppata da Taulbee e Folsom negli anni ’60.
OBIETTIVI:
- Finalizzata a riorientare il paziente rispetto a sé, alla propria storia e all’ambiente che lo
circonda.
- Modificare comportamenti disfunzionali e migliorare il livello di autostima della
persona facendola sentire ancora attiva dal punto di vista dei rapporti sociali
significativi e riducendone la tendenza all’isolamento.
- Attraverso una serie di molteplici stimolazioni multimodali di tipo musicale,
verbale, grafiche, visive, tale tecnica si propone di andare a rafforzare le informazioni
base del paziente rispetto alla sua storia di vita personale e alle dimensione spaziale e
temporale.
METODO:
Ripetute stimolazioni multimodali (verbali, visive, scritte, musicali), per rafforzare le
informazioni di base del paziente; indirizza l’attenzione del paziente verso il presente e sulle
informazioni fruibili dall’ambiente circostante.
- Verso sé: ri-orientare il soggetto per quanto riguarda gli aspetti importanti della sua
biografia personale (es. data di nascita) o chiamando in causa argomenti connessi alla
sua storia di vita.
- Verso l'ambiente: oppure chiedere l’orario e il luogo in cui si trova.

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- Maggiori evidenze di efficacia sui pz con deterioramento cognitivo lieve moderato.
(Spector et al, 2000).
LA STIMOLAZIONE COGNITIVA RIVOLTA AD ANZIANI ATTIVI
Sessioni di "ginnastica mentale": sono utili per allenare le funzioni cognitive anche di
persone che non hanno nessuna compromissione ma che vogliono sentirsi attive sul
piano cognitivo. Nel corso degli incontri vengono proposte nuove tecniche di memorizzazione,
vengono allenate le capacità di attenzione, di ragionamento, di memoria e di linguaggio
permettendo l'acquisizione di una maggiore fiducia nelle proprie capacità .
Assessment : BAC, batteria di valutazione del benessere e delle abilità cognitive
nell’adulto e nell’anziano. Due training
1) Lab-I Empowerment Cognitivo
2) Lab-I Empowerment Emotivo-Motivazionale
BAC: BATTERIA DI VALUTAZIONE DEL BENESSERE E DELLE ABILITA’ COGNITIVE
NELL’ADULTO E NELL’ANZIANO
Accertamento della Memoria:
- memoria di base verbale e visuo-spaziale (memoria a breve termine, memoria di lavoro,
inibizione)
- memoria personale (memoria autobiografica, sensibilità alla memoria, fallimenti
cognitivi).
- Prove di Comprensione del Testo Misura del Ben-essere
- soddisfazione personale
- senso di autonomia e autoefficacia e
- soddisfazione nella dimensione degli affetti e delle relazioni
LAB 1- EMPOWERMENT COGNITIVO/ EMOTIVO-MOTIVAZIONALE
Strumenti di riattivazione e potenziamento degli aspetti cognitivi, emotivo - motivazionali e di
ben-essere nell’adulto e nell’anziano per migliorare:
- le funzioni cognitive
- il sistema di memoria
- la percezione di sé
- le strategie di coping
- le competenze emotive
INTERVENTI ORIENTATI ALLE EMOZIONI
- Reminiscenza
- Counselling, supporto
- Validation Therapy
REMINESCENZA
La Reminiscenza è una delle tecniche psicosociali popolari e apprezzata anche da operatori e
partecipanti. Ha effetti molto positivi sull’umore, la cognizione e il benessere delle persone.
- Obiettivi: potenziare le abilità mnesiche residue, le associazioni logiche, la
comunicazione e migliorare il tono dell’umore/senso di autoefficacia
- Metodo: rievocazione di eventi del proprio passato, sfruttando la naturale
predisposizione dell’anziano

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Nella terapia di Reminiscenza, le situazioni passate rappresentano lo spunto per stimolare le
risorse residue della memoria e proprio queste vengono stimolate al fine di far riemergere
esperienze dal punto di vista emotivo piacevoli. Permette quindi alle persone ammalate di
mantenere la propria autostima, anzi di svilupparla ulteriormente quando sono ancora in grado
di ricordare, piuttosto che frustarli su quello che non possono tenere alla mente a causa della
patologia.
LA VALIDATION THERAPY
Non è vero che non si può comunicare con il malato di demenza, al contrario è possibile farlo
durante tutta la durata della malattia. La comunicazione con il malato è parte integrante
della cura, contribuisce a migliorare la qualità della vita, evitare o ridurre molti disturbi
comportamentali, dare dignità alla persona e a chi le sta vicino. (Naomi Feil)
Naomi Feil: Nasce a Monaco di Baviera, in Germania, nel 1932, cresce nella casa per anziani di
Montefiore di Cleveland, nell’Ohio, dove suo padre era direttore e sua madre a capo del servizio
sociale. Laureata alla Columbia University dello Stato di New York non è soddisfatta degli
approcci che comunemente vengono utilizzati nella relazione con i grandi anziani, in particolare
con gli anziani con deterioramento cognitivo, che comunemente venivano isolati, o ignorati,
perché troppo disturbanti e la relazione era considerata inutile, una perdita di tempo. Il suo
contatto continuo con quegli anziani intrappolati in un mondo parallelo, apparentemente
distante ed incomprensibile, le darà l’opportunità di capire che a nulla serve trattenerli nella
realtà , così come la concepiamo. Costruisce così il metodo “Validation”, che deriva dal verbo to
validate in inglese, legittimare, riconoscere che i sentimenti di una persona sono autentici.
La terapia di validazione si fonda sul rapporto empatico fra operatore e paziente laddove,
tramite l’ascolto, il terapista cerca di immedesimarsi e penetrare nella realtà distorta del
paziente (il cui deficit mnesico può portarlo a vivere, ad es. nella sua giovinezza), al fine di
creare contatti relazionali ed emotivi significativi. Tale terapia aumenta le capacità
comunicative, riduce ansia e stress, diminuisce la necessità di ricorso sedativi e
contenzione. Ritenuto adatto anche in fase avanza di malattia. Inoltre i benefici influiscono sul
personale di assistenza e sui famigliari.
METODO
Il terapista non tenta di riorientare il paziente alla realtà , ma tramite l’ascolto cerca di conoscere
la visione della realtà da parte del paziente, immedesimandosi nel suo mondo, per capirne
comportamenti, sentimenti ed emozioni
Utilizzata con pazienti con deterioramento cognitivo severo; poche evidenze (studi di bassa
qualità ), ma un approccio utile per migliorare la relazione con il paziente demente grave.
Immaginate di vedere ombre che si aggirano per casa, vi sembra ci sia qualcuno ma non ne siete
certi, poi un’immagine sembra più nitida, una figura si aggira nel vostro salotto, sicuramente un
ladro, qualcuno che potrebbe aggredirvi per svaligiare la vostra casa. Siete spaventati, vi si gela
il sangue, non sapete che fare. Gridate, qualcuno vi sentirà ! Arriva vostro figlio tutto
congestionato che vi dice: “Basta mamma, non c’è nessuno in casa, devi stare tranquilla!” e se ne
va…., lasciandovi in compagnia di questa presenza inquietante.
La comunicazione fra operatore o famigliare ed ammalato si trasforma frequentemente in una
sofferta parodia, in cui ciascuno degli interlocutori parla da solo in uno spazio inaccessibile
all’altro. Due persone parlano ma ciascuna delle due capisce cose diverse ed interpreta le
intenzioni dell’altro attraverso le proprie lenti, senza che si realizzi alcuno spazio di
sovrapposizione, di condivisione e di contatto.
Con il termine validazione emozionale si intende dunque un metodo per allenarci ad
entrare temporaneamente nel mondo mentale del malato. Possiamo penetrare, come

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attraverso una crepa, al di là del muro e giocare con l’ammalato sul suo terreno. Quando
riusciamo a trovare questo contatto e sentiamo che l’ammalato vuole comunicare con noi
qualcosa che riguarda i suoi desideri o i suoi stati d’animo, teniamo bene a mente che per
quanto bizzarri, deliranti ed inopportuni ci appaiano i contenuti della comunicazione, le
emozioni che la persona prova sono sempre vere.
BISOGNI EMOTIVI FONDAMENTALI
Solitamente i contenuti delle affermazioni, anche le più bizzarre ed improbabili, sono
riconducibili ad alcune grandi aree dell’esperienza emotiva:
- Il bisogno di difendersi dalle possibili aggressioni reali o immaginarie.
- Il bisogno di sentirsi accuditi e amati.
- Il bisogno di conservare una buona immagine di sé.
- Il bisogno di sentirsi utili.
E’ a questi bisogni fondamentali che dobbiamo cercare di fornire risposte validanti, accoglienti e
rassicuranti. In molti casi, soprattutto quando il deficit è più avanzato, non è utile cercare di
orientare l’ammalato alla realtà. Questo non farebbe altro che esacerbare il suo senso di
solitudine, incomprensione e rabbia
LE FASI DEL METODO VALIDATION
1. PRIMA FASE:RACCOGLIERE INFORMAZIONI SULL’ANZIANO
Per il metodo Validation è indispensabile conoscere la persona: il suo stadio di disorientamento;
i compiti e le emozioni; le relazioni umane e affettive del passato; la professione, i passatempi; il
rapporto con la religione; il modo in cui la persona affronta le difficoltà e le perdite; la storia
clinica. Tali informazioni potranno essere raccolte tramite domande all'anziano, fatte in
momenti diversi della giornata e per almeno due settimane; le domande sono state tratteggiate
dalla Feil, visto che debbono essere abbastanza precise, perché possano orientare l'operatore
2. SECONDA FASE: VALUTARE LO STADIO DI DISORIENTAMENTO
Gli stadi possono essere:
- Primo stadio: disturbi dell'orientamento
- Secondo stadio: confusione temporale
- Terzo stadio: movimenti ripetitivi
- Quarto stadio: vita vegetativa

3. TERZA FASE: INCONTRARE REGOLARMENTE LA PERSONA E USARE LE TECNICHE


VALIDATION
La durata di ogni incontro dipende dallo stadio di disorientamento nel quale si trova la persona:
si va da un minimo di uno a un massimo di quindici minuti, il tempo minore è dedicato a chi
presenta le problematiche maggiori. In ogni caso, non è tanto importante la quantità di tempo
impiegato, ma la qualità. La frequenza ideale, poi, dipende anch'essa dalle singole situazioni: si
va da più volte al giorno, ad alcuni incontri settimanali, o meno frequentemente ancora
E' importante sapere accorgersi in tempo della sensazione di disagio dell'anziano, che ci indica il
termine dell’incontro
Attraverso il metodo Validation si tenta di ridurre disturbi quali il vagabondaggio, l’agitazione,
l’aggressività , l’ansia e l’essere sospettosi che caratterizzano la persona con demenza.
INTERVENTI SUL COMPORTAMENTO

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- Tecniche di gestione del comportamento centrati sul comportamento individuale del
paziente; durano nel tempo (mesi).
- Psicoeducazione del caregiver intesa come modificazione del suo comportamento; è
efficace e il risultato dura nel tempo
TERAPIA CONTESTUALE (MILIEU THERAPY)
È un intervento cognitivo-comportamentale che sfrutta la tecnica del condizionamento operante
con l’obiettivo di adattare il contesto sociale-affettivo. Rientra nell’ambito degli interventi
cognitivo-comportamentali. Si propone di migliorare non tanto l’ambiente fisico quanto
l’atmosfera sociale ed affettiva; consiste nel modificare/modulare il contesto in cui vive il
paziente in modo da renderlo compatibile con le sue capacità funzionali
PSICOEDUCAZIONE DEL CAREGIVER
Alla base dell’approccio psicoeducazionale vi è il concetto di coping. Si ritiene infatti che
molti problemi siano peggiorati da modalità inadeguate di fronteggiamento. La psicoeducazione
familiare ha come obiettivi principali la riduzione dello stress familiare (considerato un
fattore di rischio per l’insorgenza di sintomi psicotici, depressivi e maniacali), e la
diminuzione/prevenzione delle ricadute e dei ricoveri dei pazienti (Massai V. et al., 2009).
Scopo di questi gruppi è di insegnare ai familiari come affrontare le modificazioni del
comportamento e della personalità che si presentano e fornire delle modalità di gestione della
quotidianità più efficaci
La demenza, infatti, colpisce non solo il paziente ma anche il suo sistema familiare
modificandone profondamente i rapporti interni. Il familiare deve essere quindi accompagnato
attraverso un percorso di comprensione della malattia e di ridefinizione della relazione con il
proprio caro, il quale non deve essere considerato solo una fonte di difficoltà a causa dei suoi
deficit, ma una persona con delle risorse ancora presenti che hanno bisogno di essere comprese,
mantenute e potenziate. Il Ben-essere e l’equilibrio del Caregiver è fondamentale quindi anche
per il ben- essere della persona malata
COS’E’ UN CORSO PSICOEDUCAZIONALE
- Costituito da un gruppo chiuso (8-10 persone)
- Sei-otto incontri di 2 ore a cadenza bisettimanale
- Durata fra 3-4 mesi
- Si parla delle proprie difficoltà nella gestione del paziente
- Si sfogano le proprie ansie e paure
- Si acquista consapevolezza della malattia del congiunto
- Si impara ad accettare la situazione
- Si apprendono nozioni di base sulla demenza
- Si imparano strategie per migliorare la gestione del paziente, a gestire e limitare i
sintomi, con un minor ricorso all’uso di farmaci contenitivi
- Si impara a conoscere e gestire le proprie emozioni (tristezza, paura, rabbia, sensi di
colpa…)
- Si migliorano i rapporti con gli altri familiari, amici, vicini
COSA NON E’ UN CORSO PSICOEDUCAZIONALE
- Un gruppo di self help o auto-muto aiuto
- Una psicoterapia di gruppo
- Un corso teorico di medicina sulle demenze

INTERVENTI CENTRATI SU SENSORIALITA’

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- Stimolazione multisensoriale (Snoezelen)
- Terapia occupazionale
- Touch therapy
- Aromatherapy
- Musica, arte, animali, danza,
- Esercizio, attività fisica, movimento
MUSICOTERAPIA
- Obiettivo: modificare lo stato emotivo, comportamentale e affettivo attraverso un canale
non verbale
- Metodo: utilizzo di strumenti musicali (musicoterapia attiva)/ascolti musicali
(musicoterapia recettiva)
- Modalità : individuale o di gruppo
- Evidenze cliniche di efficacia su agitazione, aggressività , wandering, irritabilità , difficoltà
emotive e sociali. Molti studi anche se con campioni di piccole dimensioni (Cochrane
Review, 2007; Raglio et al, Alz Dis Ass Disor 2008)
AROMATERAPIA
- Obiettivo: ridurre l’agitazione psicomotoria
- Metodo: applicazione oli essenziali sulla pelle (spesso accompagnato da massaggio),
posizionati in bagno, dispersi nell’aria con l’utilizzo di un fornellino brucia essenze
- Generalmente applicato sui pz con deterioramento cognitivo moderato-severo per
ridurre i BPSD
TERAPIA MULTISENSORIALE
- La “Snoezelen” nasce in Olanda negli anni ’70; il termine (neologismo) deriva dalla
fusione di due verbi olandesi: Snuffelen, “esplorare” e Doezelen, “rilassare”.
- Obiettivo: coinvolgere e stimolare le residue abilità sensomotorie delle persone. Dare
calma e tranquillità . Ridurre agitazione e disturbi comportamentali.
- Metodo: esposizione ad un ambiente “calmante” e “stimolante” sui cinque sensi.
- Risultati incoraggianti sulla riduzione dell’apatia nella demenza in fase avanzata.
AMBIENTI SNOEZELEN DELLA NURSING HOME- COME SONO FATTE
- Varie fonti luminose : tubo a bolle, proiettore di immagini, fibre ottiche ecc.
- Musica rilassante e/o intermittente
- Pavimento e/o soffitto multicolore o con fibre ottiche
- Pannelli “vibranti”o interattivi
- Superfici “tattili”
- Poltrone oscillanti e letti vibranti
- Diffusore di essenze profumate
AMBITI DI APPLICAZIONE:
- Disabilità cognitive
- Autismo
- Esiti da ictus e trauma cranico
- Turbe psichiatriche
- Disturbo da stress post-traumatico
- Demenza/Parkinson
- Controllo del dolore acuto e cronico

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Durante gli ultimi quindici anni, SNOEZELEN é cresciuto in un movimento universale in più di
30 paesi con migliaia di installazioni, una fondazione che organizza conferenze nazionali e
internazionali e progetti di ricerca internazionali. Tuttavia, siamo ancora all'inizio
dell’esplorazione di applicazioni per questa metodologia straordinaria ed efficace e della
comprensione dell’insieme delle risposte e dei benefici delle persone con invalidità e con altre
condizioni limitanti a questi ambienti sensoriali stimolanti e affascinanti.
Il nuovo Ospedale S. Agostino-Estense di Modena è tra i primi in Emilia Romagna a essersi
dotato della ‘stanza morbida’(2016). L’intervento viene somministrato da personale formato tre
volte alla settimana per 40 minuti e consiste nella la stimolazione del paziente attraverso
attività semplici, che coinvolgono sempre i cinque sensi. Ad esempio, guardare filmati, ascoltare
musica, annusare aromi, avvolgere gomitoli, toccare un peluche, piegare pezze di stoffa e così
via. La snoezelen room non è dunque solo una stanza, ma un vero e proprio modo di lavorare e
di assistere. Obiettivi di questa metodica sono la riduzione dell’uso di farmaci sedativi, il
miglioramento del ritmo sonno-veglia, lo sviluppo di competenze assistenziali nei familiari
attraverso percorsi formativi.
Potrà quindi capitare di vedere Luigi che, mentre riceve la terapia antibiotica per via
endovenosa, ascolta la sua canzone preferita e ne scrive a macchina il testo, di vedere Carla
impegnata a stirare delle stoffe o di trovare Gianna che accudisce una bambola per tenere la
maschera a ossigeno. Creme per massaggi, aromi e profumi, video, immagini, luci, musica, ma
anche gomitoli, carte da gioco, giornali e libri diventano alleati degli operatori nella cura dei
pazienti ricoverati
PROTOCOLLO PER LE SEDUTE INDIVIDUALI:
- FASE 1 Accoglienza / Adattamento
- FASE 2 Selezione stimoli adeguati
- FASE 3 Osservazione reazione paziente
- FASE 4 Compilazione schede di osservazione
- Durata intervento: dai 25 ai 60 minuti; Sedute settimanali: 2-4 sedute Stimoli sottoposti:
1-2 variabili
- Requisiti: agitazione psicomotoria (come wandering), aggressività fisica e verbale, deliri,
ansia.
- Obiettivi: riduzione contenzione farmacologica e fisica.
PROTOCOLLO PER LE SEDUTE DI GRUPPO:
- FASE 1 Selezione gruppo (3-4 persone)
- FASE 2 Accoglienza/adattamento
- FASE 3 Selezione stimoli adeguati
- FASE 4 Osservazione reazioni pazienti
- FASE 5 Compilazione schede di osservazione
- Durata intervento: dai 25 ai 60 minuti; Sedute settimanali: 1-3 sedute
- Stimoli sottoposti: 1-2 variabili
- Requisiti: apatia
- Obiettivi: stimolazione/riattivazione
TERAPIA ASSISTITA CON ANIMALI (AAT)
Molti studi non sono sperimentali, non tutti hanno gruppi di controllo e mancano di rigore
metodologico Assenza di valutazioni costo-beneficio e richiesta di preparazione adeguata dello
staff
Miglioramenti su apatia, depressione, interazione con l’ambiente ed aumento dell’appetito

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TERAPIA OCCUPAZIONALE
Obiettivo: ripristino del maggior grado di autonomia possibile, valorizzazione delle abilità
residue, aumento della qualità della vita
TERAPIA FISICA E ATTIVITA’ MOTORIA
Evidenze di efficacia sull’umore, disturbi del sonno, wandering, agitazione e funzioni cognitive.

TERAPIA DELLA BAMBOLA (Ivo Cilesi)


- Obiettivo: favorire la diminuzione di alcuni disturbi comportamentali attraverso
l’attivazione di relazioni tattili e di maternage mediante l’accudimento di una bambola
con caratteristiche particolari (peso, posizione delle braccia e delle gambe, dimensioni e
tratti somatici).
- Metodo: interazione con la bambola ed attività di accudimento
- Utilizzato in soggetti con demenza moderata-severa; i pochi studi indicano potenziali
effetti positivi nella riduzione dei disturbi comportamentali e nell’incremento della
partecipazione
COME AIUTARE IL MALATO A VESTIRSI
Cercare di aiutarlo, incoraggiarlo e rassicurarlo dandogli il tempo sufficiente per vestirsi. Ci
sono diversi modi in cui possiamo aiutarlo, ad es. incitandolo, spiegandogli quello che deve fare,
mostrandogli come, aiutandolo materialmente, porgendogli i vestiti nell'ordine in cui vanno
indossati, ecc. È importante dare soltanto l'aiuto necessario, così che il malato mantenga un
certo grado di indipendenza e non perda l'incentivo a provare. Se sbaglia ripetutamente, è
naturale che perda interesse a provare. Per questa ragione, è importante concedergli il tempo
sufficiente per vestirsi, incoraggiarlo ad andare avanti e rassicurarlo
Bisogna cercare di non sottolineare gli errori, ma può essere possibile, in certi casi,
sdrammatizzare con un sorriso. Se ha perso la motivazione, può essere d'aiuto un complimento
ogni tanto. Notare che ha fatto bene una cosa e darsi la pena di rilevarlo può aumentare
l'interesse del malato a provare. Limitare la scelta a non più di due abiti, può contribuire a
ridurre stress e confusione. Quando scegliamo un abito, dobbiamo tenere presente la
personalità , lo stile e le abitudini del malato. Per esempio, un uomo abituato a indossare giacca e
pantaloni può trovarsi a disagio con un paio di jeans o una tuta sportiva
Certi tipi di abbigliamento, di accessori e di chiusure possono essere difficili da usare per il
malato di demenza. Tuttavia, se riusciamo ad adattare gli abiti o a sceglierne di nuovi più facili
da indossare, egli avrà maggiori probabilità di arrangiarsi da solo e l'assistenza sarà più facile.
Se osserviamo che certi articoli di vestiario creano sempre problemi, dobbiamo trovare
un'alternativa. Per esempio, se il malato ha difficoltà con i lacci delle scarpe, potremmo
sostituire le scarpe con dei mocassini, oppure aiutarlo ad allacciarle. Se poi la persona ama
particolarmente le scarpe con i lacci, possiamo cercare un modello che le porti soltanto come
ornamento.

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ALTRO INTERVENTO: TIME SLIPS
Progetto innovativo, “il tempo scivola” consiste di presentare ad anziani con dmenza media,
delle immagini dalle qualitativamente una storia, loro devono far fluire le immagini sulla base
delle associazioni libere, si possono creare. Non è richiesta nessuna risposta corretta e rende
emozioni e pensieri assolutamente liberi. Poi il professionista da alcune indicazioni per dare
una struttura a quello che sta raccontando l’anziano ovvero, come potrebbe continuare. Si
possono poi creare a partire da questo libretto.
Il progetto TimeSlips, fondato nel Centro invecchiamento e comunità di Milwaukee
dell’Università del Wisconsin, è stato sviluppato dalla dottoressa Anne Basting nel 1998. Le
persone si mettono alla prova in un processo creativo, la produzione di storie, in cui non
vengono giudicate o corrette. Poiché nel processo creativo non ci sono risposte giuste o
sbagliate, inventare storie consente di partecipare, nonostante le difficoltà di memoria e il
linguaggio frammentato, senza sentirsi giudicato.
Le storie sono piene di fantasie poetiche che riflettono le loro paure, speranze, rimorsi, umori e
sogni e ci concedono un’occasione di capire chi sono e di condividere il loro sguardo sul mondo.
Il professionista pone alcune domande aperte circa le immagini mostrate al fine di avviare la
narrazione e incoraggiare i partecipanti a esercitare la loro immaginazione, del tipo: “Come
inizia la storia”? “Come può continuare?”

LA TERAPIA DEL TRENO


La terapia ideata dal professor Ivi Cilesi, simulla una viaggio immaginario ma che sul piano delle
emozioni e delle sensazioni è vissuto come reale e dunque in grado si stuimolare la memoria
affettivo-emozionale e quando possibile anche le capaicyà cognitive resdie delle persone malate.
Pensata per dare sollievo ai pazienti affetti da Alzheimer, la treno terapia fa riaffiorare ricordi
ed emozioni, calmando le persone e placando i tipici stati di agitazione della malattia. Un viaggio
virtuale di 45 minuti in una sala allestita come un vagone del treno con poltrone e un finestrino
attraverso il quale guardare le immagini di un paesaggio in movimento.
La terapia inizia in una finta sala d’attesa retrò , curata nei dettagli, dove i pazienti possono
vivere una situazione realistica che riporta a momenti già vissuti del loro passato. Si prosegue
poi spostandosi nel vagone dove uno schermo riproduce le immagini di paesaggi in movimento
che fanno riaffiorare emozioni e ricordi, calmando, ma anche stimolando le relazioni tra le

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persone presenti. Presente in sempre più strutture RSA (ma si usa anche con i bambini con
autismo o con persone che soffrono di depressione) risulta da subito evidente, riuscendo a
calmare le persone affette d’Alzheimer, cancellando il senso di ansia e agitazione.
OBIETTIVI:
o Il viaggio come momento di aggregazione, conoscenza e confidenza, “racconto”.
o Il viaggio come svago, rottura dalla routine, percorso di benessere per ritornare a
vedere paesaggi dal “finestrino”.
o Il viaggio come riattivazione dell’immaginazione della memoria, tornare bambini.
o Il viaggio come stimolo al mangiare.
o Il viaggio come rilassamento per il rumore e i suoni che esso produce

E’ importante a seguito del viaggio, tenere un diario così da evidenziare cambiamenti, reazioni
immediate dell’ospite. La terapia del viaggio è un’opportunità anche per gli operatori, infatti a
coloro che seguono il viaggio, vengono somministrati dei questionari per capire il loro vissuto
rispetto all’attività
Vecchia stazione deve essere riprodotta, più disponibilità economica c’è meglio è perché il tutto
viene reso più realistico. Può essere fatto in gruppo o in modo individuale.
IVO CILESI  Ivo Cilesi, psicopedagogista bergamasco, era uno dei massimi esperti di demenza
e studioso appassionato di metodi non farmacologici per affrontarla e ridurne gli effetti. Fu il
primo a utilizzare la bambola con i pazienti anziani con demenza. Fu l'ideatore della Doll
Therapy. Prese spunto da Britt Marie Egidius Jakobsson, psicoterapeuta, la quale creò una
specifica bambola per aiutare il suo bambino autistico. Ivo Cilesi è morto di coronavirus, in
ospedale a Parma nel marzo 2020. Lo chiamavano anche il dottore del Treno.
ARTE TERAPIA Per tutti con obiettivi diversi
COMUNICAZIONE VALIDANTE Compromissione cognitiva lieve o moderata
COPERTA TERAPEUTICA Compromissione cognitiva gravde di tipo
severo
DOLL THERAPY Compromissione cognitiva grave
GRUPPI REMEMBER Compromissione cognitiva lieve o moderata
MEMORY TRAINING Compromissione cognitiva lieve o moderata
MUSICOTERAPIA Per tutti con obiettivi diversi
PET THERAPY Per tutti con obiettivi diversi
REALITY ORIENTATION THERAPY Compromissione cognitiva lieve o moderata
SAND THERAPY Compromissione cognitiva lieve o moderata
TIME LIPS, IL TEMPO SCIVOLA Compromissione cognitiva moderata

ALTRE LETTURE (leggi velocemente)


o Martin Suter: Come è piccolo il mondo. Feltrinelli Editore. L'elegante sessantenne
Konrad Lang comincia a sragionare e a compiere azioni strane, finché un giorno dà fuoco
ad una villa: è affetto dal morbo di Alzheimer. Martin Suter scrive un romanzo sul tema
drammatico del morbo di Alzheimer, volgendo lo sguardo sulla buona società svizzero
tedesca.
o L'Isola dei senza memoria: Romanzo di Yoko Ogawa. un tempo non precisato, su un’isola
senza nome l’intera popolazione progressivamente smette di ricordare.
o Mordecai Richler: La versione di Barney. Edizione Adelphy 2007. Barney Panofsky è un
anziano ebreo canadese (un pò matto…) che decide di scrivere un’autobiografia. Il
romanzo è strutturato in tre parti, una per ciascuna delle tre mogli: la pittrice Clara,
morta suicida a Parigi; la ciarliera "seconda signora Panofsky", ricca ereditiera che
Barney sposa senza convinzione e dalla quale divorzia; Miriam, il vero grande amore di

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Barney. Nel corso della stesura i ricordi di diventano progressivamente confusi, fino a
quando non gli viene diagnosticata la malattia di Alzheimer. Le memorie di Barney
vengono pubblicate postume dal figlio Michael con l'inserimento di note a piè di pagina
(a correzione delle numerose sviste di Barney)
o Paco Roca: Rughe. Edizione Prospero’s Books 2007. Considerata una delle migliori opere
fumettistiche 2007-2008. Emilio, l’anziano protagonista è ricoverato presso una famiglia
che lo abbandona e sparisce dalla sua vista. Entrato in casa di cura Emilio tenta, assieme
ai propri compagni, una lotta contro il tempo per tenere viva la memoria cercando di
evitare di essere trasferito all’ultimo piano, quello dello stadio avanzato, ovvero, del
non-ritorno. L’autore riesce a descrivere le diverse fasi della M. di Alzheimer con grande
sensibilità ed espressività usando il fumetto come strumento di comunicazione. Paco
coglie l’essenza della malattia raffigurandola mediante l’originale espediente delle
“cartoline” che fuoriescono come ricordi impazziti, volando via dalla testa del
protagonista.

FINO A QUI, INTERVENTI NON FARMACOLOGICU,

CAREGIVERS
Tale termine deriva dalla letteratura anglosassone dei primi anni Ottanta del Novecento. In Gran
Bretagna, negli anni Cinquanta, un gruppo considerevole di donne lasciava il proprio lavoro
retribuito per prendersi cura del genitore anziano. Queste donne crearono un gruppo distinto
dai familiari: si definivano Caregiver.

- Concetto abbastanza recente


Essi possono essere
- FORMALI infermiere, OSS, medico
- INFORMALI è la persona all’interno della famiglia si assume in modo principale il
compito di cura e assistenza. La relazione che si instaura tra caregiver informale e
malato è connotata da difficoltà e sofferenza, ma coloro che tardano ad accettare che il
loro congiunto sia ora una persona diversa, insistendo a mantenere la routine di vita e la
relazione con il malato in modo simile a quelle utilizzate prima della malattia, andranno
incontro a molti più problemi nell’espletare i compiti assistenziali rispetto a coloro che
sanno modificare nel corso del tempo il proprio atteggiamento, in base al decorso della
malattia.
FAMIGLIA
Sulla famiglia grava gran parte del peso assistenziale e la maggior parte dei caregiver sono
donne (74%):
- In media ¾ della giornata il caregiver la passa ad assistere (il 30,6% di familiari di
pazienti con demenza severa è impegnato più di 10 ore al giorno nell’assistenza diretta e
il 31,7% oltre quindici ore nella sorveglianza).
- Per il 40% dei casi in cui il malato è ad uno stadio avanzato di malattia, il tempo libero
del caregiver non supera le 4 ore in media a settimana.

CONSEGUENZE:
A. Modificazione della routine familiare (ritmi, gestione vita quotidiana, necessità )
B. Modificazione della qualità delle relazioni familiari (spesso si creano attriti tra chi
assiste di più e chi di meno)

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C. Modificazione delle relazioni sociali: la famiglia si chiude, emergono invidie e critiche.
Capita anche che amici spariscano
D. Emergono difficoltà sul piano lavorativo, finanziario, di carriera. (possono prendere in
considerazione la badante ma è faticoso a livello mentale)
E. Importanti sono le conseguenze per i figli del caregiver che possono sentirsi trascurati.
In alcuni casi anche i figli vengono coinvolti come assistenti alla cura
F. La consapevolezza della comune base genetica con il malato può favorire aspettative di
malattia e tendenza ad interpretare in senso patologico ogni proprio momento di
confusione e ogni sintomo difficile da comprender (tanto lo so che finirò come lui)
Il circuito dell’aggressività
CAREGIVERS
1. Cercano di convincere che sta svalutando  Alimentano “confusione”
2. Mostrano che ha bisogno che non è capace  senso di umiliazione “non sono più
capace”
3. Correggono gli errori e sostituiscono  alimentano inadeguatezza, insicurezza
LE DINAMICHE DEL CAREGIVING ALLA LUCE DELLA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
Lo studio della storia di attaccamento del caregiver (come esempio paradigmatico viene quindi
considerata una figlia) rispetto al proprio genitore aiuta a trovare risposte alle difficoltà che
emergono. E’ altresì importante porre attenzione sulla storia di attaccamento dell’anziano
fragile stesso, per capire come la relazione passata con le proprie figure di riferimento lo renda
co-costruttore del tipo di cura che riceverà . Lo sguardo si amplia quindi, abbracciando tre
generazioni: l’anziano fragile, i suoi genitori e i suoi figli, ciascuno con una sua storia di
attaccamento.
Secondo la Teoria dell’Attaccamento (John Bowlby, 1979) l’individuo ha in sé uno specifico
sistema comportamentale che lo porta fin dalla nascita a sviluppare legami di attaccamento
verso le figure che si prendono cura di lui. Da queste prime esperienze significative
prenderanno forma nella persona degli schemi, detti modelli operativi interni di sé e delle figure
di attaccamento, che continueranno a funzionare in modo relativamente stabile per tutto il ciclo
di vita.
Mary Ainsworth (1978) ha descritto tre tipi di attaccamento:
- attaccamento sicuro,
- attaccamento insicuro-evitante
- attaccamento insicuro-ambivalente
Negli anni successivi sono state introdotte altre due tipologie:
- attaccamento disorganizzato-disorientato, descritto da Main (1985)
- attaccamento evitante-ambivalente, descritto da Crittenden (1997)
Nel 1985 George, Main e Kaplan, utilizzando uno specifico strumento (Adult Attachment
Interview, AAI) hanno classificato anche lo stile d’attaccamento dell’adulto. Gli stili
relazionali identificati sono quattro e sono correlabili ai pattern di attaccamento infantili
identificati dalla Ainsworth: o stile relazionale libero autonomo (free, corrispondente al B
sicuro, sono soggetti che mostrano valutazioni coerenti nella narrazione delle loro esperienze,
anche in presenza di un’infanzia difficile o segnata da eventi traumatici. Presentano
consapevolezza del passato e raccontano facilmente anche eventi spiacevoli).
- stile relazionale distanziante (dismissing, corrispondente all’A insicuro evitante, sono
soggetti che tendono a fornire descrizioni generalizzate dei propri genitori ma non
riescono a supportare tali definizioni con ricordi specifici e dai loro racconti è difficile
individuare le emozioni sottostanti).
- stile relazionale preoccupato (entangled, corrispondente al C ambivalente, descrivono
estensivamente ma con modalità incoerente e confusa. Dai loro racconti si evince

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un’inversione di ruolo con i propri genitori che non costituiscono pertanto una base
sicura. Presentano una seria difficoltà a definire le emozioni).
- stile relazionale irrisolto (unresolved, corrispondente al D disorganizzato, sono
soggetti che non hanno risolto le esperienze traumatiche legate all’attaccamento,
possono presentarsi coerenti nei loro racconti, ma fanno affermazioni decisamente non
plausibili a proposito delle cause e delle conseguenze di eventi traumatici).

L’attaccamento si ripropone nelle relazioni amorose, poi in quelle coniugali, poi in quelle
genitoriali e infine anche nell’invecchiamento.
La malattia crea insicurezza nell’anziano per la perdita d’autonomia e per la paura della
sofferenza e della morte, questi stati emotivi sono il movente che attiva il bisogno di vicinanza e
protezione da parte dell’altro, attivando il sistema di accudimento. Magai e Cohen (1998) hanno
messo in evidenza una correlazione fra stile di attaccamento e stile di regolazione emozionale di
soggetti con demenza, tipologia dei sintomi della demenza e livelli di burden del caregiver (il
carico assistenziale)
- uno stile di attaccamento premorboso di tipo evitante è associato con emozioni
premorbose di rifiuto, rabbia, inibizione e ritiro;
- uno stile di attaccamento premorboso di tipo ambivalente è associato ad emozioni
premorbose di ansia e tristezza.
I risultati dello studio mostrano che i soggetti dementi insicuri manifestano una
maggiore ideazione paranoidea rispetto ai soggetti dementi sicuri, mentre gli
ambivalenti manifestano maggiormente sintomi ansiosi.
Manifestazioni comportamentali disfunzionali di un anziano sono facilmente spiegabili con lo
stile di attaccamento. Se con genitori da bambino hai avuto attaccamento insicuro, ti occuperai
del tuo genitore in modo insicuro e inoltre se l’anziano ha sviluppato a sua volta, nella sua
infanzia attaccamento insicuro le cose si complicano. Tutto ciò influenza in modo marcato il
peso, burden emotivo del caregiver.
Sono stati descritti anche gli effetti sul piano sintomatologico comportamentale: soggetti
insicuri mostrano più frequentemente disturbi comportamentali e difficoltà nei ritmi quotidiani
rispetto a soggetti sicuri. Tutto ciò influenza marcatamente i livelli di burden dei caregiver.

INFLUENZE DELLA STORIA DI ATTACCAMNETO SULLO STILE DI CURA:


L’attaccamento può essere visto come una chiave di lettura per comprendere le dinamiche che
stanno alla base del riuscire a dare cure all’altro. Di fronte a situazioni trasformative forti come
le malattie croniche, un caregiver sicuro può avere un miglior adattamento alle situazioni di
stress. Viceversa si può ipotizzare che attaccamenti di tipo insicuro in un caregiver possano
sfociare in situazioni di maggior conflitto, ambivalenza e difficoltà ad affrontare e regolare le
emozioni. I nodi irrisolti e i conflitti presenti, mai sciolti, condizionano inevitabilmente la
capacità di prendersi cura.
Il caregiver non si prende cura di un estraneo, non svolge il ruolo in veste di professionista,
bensì si prende cura di una persona che è in relazione con lui da tutta la vita, di un genitore con
il quale ha legami affettivi che implicano conflitti passati e attuali, risolti e non risolti. Inoltre gli
stili di attaccamento risultano essere particolarmente rilevanti in tre aree:
- l’accettare la malattia,
- l’accettare di ricevere cure e di essere dipendenti dall’altro,
- il benessere percepito

Gli stili di attaccamento oltre ad influenzare relazione, influenzano anche malattia


dell’anziano, vanno ad influenzare il lutto che si vive con persona in vita (metafora che
considera la persona con demenza)

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LEGAMI FAMILIARI E CURA DEGLI ANZIANI IN EUROPA (RICERCA DEL 2017)
Caregiver in Italia è maggiormente la famiglia, verso nord Europa sono meno in figli, e sono più
curati da strutture o da efficienze di cure domiciliari. In Italia scarseggia rete che vada oltre la
famiglia.
Chi presta cura in Europa? Alla domanda “da quale familiare (vicino di casa o amico) ha ricevuto
assistenza nei 12 mesi precedenti l’intervista?” nel 57% dei casi il rispondente over 65, indica i
figli. Questa categoria include anche generi/nuore e figli del partner, anche se le ultime tre
tipologie incidono per una percentuale minima (4,5% in totale). A seguire vicini di casa (11,4%)
e amici (8,7%), mentre gli sposi/partner sono rappresentati per circa il 5%. All’aumentare
dell’età dei rispondenti, come prevedibile, i figli assumono un peso via via crescente nella cura
dei genitori, mentre si assottiglia la percentuale delle altre possibili fonti di supporto.
Se si confrontano i Paesi europei posti a diverse latitudini, emerge un gradiente geografico. I
Paesi dell’Europa meridionale come Spagna e Italia si distinguono per percentuali relativamente
alte di figli che forniscono supporto ai genitori, a conferma della visione familista dei Paesi
mediterranei. I Paesi del Centro e Nord Europa, invece, presentano percentuali minori per la
categoria dei figli, compensate da valori più alti di amici e vicini di casa. Questi ultimi si
distinguono soprattutto in Danimarca (23%) e Francia (17%), nazioni dove i figli caregiver sono
meno rappresentati rispetto agli altri Paesi.

L’eterogeneità nel legame fra genitori e figli che emerge fra diversi Paesi europei è in qualche
modo confermata da un’altra domanda che compare nel questionario SHARE: si tratta della
frequenza con cui i figli hanno un contatto (telefonico o personale) con i propri genitori. Si è
visto che in Italia i figli contattano la propria madre molto più frequentemente che in altri Paesi.
Ad esempio in Italia il contatto è giornaliero in 6 casi su 10, in Danimarca poco più che in 1 caso
su 10. Man mano che si procede dal Sud al Nord Europa si nota che la frequenza giornaliera di
contatti diminuisce, a rappresentazione di un legame più debole che unisce i figli ai propri
genitori anziani nell’Europa settentrionale.
Un’altra variabile determinante dei diversi legami che intercorrono fra genitori anziani e figli è
data dalla distanza tra le abitazioni dei figli e quelle dei genitori. Spesso la scarsa autonomia dei
genitori anziani e/o o la ricerca di un aiuto nella cura dei bambini da parte dei figli che hanno
ancora un ruolo genitoriale attivo, spinge una delle due parti ad avvicinarsi all’altra, ma anche
questa attitudine varia al variare dei Paesi Europei, con una probabilità maggiore che questo
evento si verifichi nei Paesi del Sud Europa. Per quanto riguarda le cure personali, sul campione
di anziani over-65 il dato per l’Italia è il 73% per le cure giornaliere e 18% per la frequenza
settimanale, invece per Francia e Svezia il dato giornaliero si abbassa rispettivamente a 48% e
25%.

Diverse evidenze empiriche mostrano che l’aiuto nell’assistenza personale, se fornito in via
informale, ovvero gratuitamente da parenti o amici, può – nel lungo periodo – impattare
negativamente sulla salute fisica e mentale del caregiver. Perciò̀ la posizione dell’Italia
rispetto agli altri Paesi europei suggerisce la necessità di misure che vadano incontro alle
esigenze di cura della popolazione che invecchia e che viene tuttora assistita in via
predominante dai familiari (soprattutto dai figli). Il trend demografico in atto suggerisce che ci
saranno sempre meno figli a disposizione per curare i genitori anziani. In particolare negli
ultimi decenni si hanno meno figli rispetto alle generazioni precedenti e ad una età più avanzata,
pertanto il numero di figli che accudiranno i genitori è destinato ad assottigliarsi e ad avere
meno tempo a disposizione per assistere gli stessi, a causa delle responsabilità verso i propri
figli non ancora autonomi. Tutto ciò suggerisce che le cure prestate dai caregiver informali
italiani su base giornaliera potranno non esser più disponibili negli anni a venire. Urge dunque
una riorgazzazione sociale e sanitaria.

BORN OUT

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Strumenti per valutare il Burden del caregiver, somministrare il born out del caregiver. Si
deve a Cristina Maslach una più chiara definizione della “sindrome del burnout” nell’ambito
delle professioni socio sanitarie. E' caratterizzato da un coinvolgimento emotivo ed un utilizzo
eccessivo delle proprie risorse affettive ed emotive, con conseguente sovraccarico ed
esaurimento emozionale. E' caratterizzato da un senso di inadeguatezza e dalla difficoltà di
stabilire un efficace relazione d’aiuto.
Cosa influenza il Burden?
a. Caratteristiche del paziente
b. Caratteristiche del caregiver
c. Caratteristiche della relazione caregiver - paziente
d. Caratteristiche del contesto sociale
Gli strumenti
 Caregiver burden inventory
 Scala di autovalutazione per l’ansia (ZUNG)
 Scala per la valutazione della depressione (ZUNG)
 Perceived stress scale
 Zain burden inventory
CAREGIVER BURDEN INVENTORY
La CBI di Novak e Guest è uno strumento che permette di approfondire le aree specifiche del
caregiver su cui il burder grava maggiormente. E' composto da 24 items, suddivisi in 5
dimensioni di burden:
1. Carico oggettivo (item 1-5): descrive il carico associato alla restrizione di tempo per il
caregiver;
2. Carico psicologico (item 6-10), inteso come la percezione del caregiver di sentirsi
tagliato fuori, rispetto alle aspettative e alle opportunità dei propri coetanei;
3. Carico fisico (item 11-14), che descrive le sensazioni di fatica cronica e problemi di
salute somatica;
 Carico sociale
 Carico emotivo
4. Carico sociale (item 15-19) che descrive la percezione di un conflitto di suolo
5. Carico emotivo (item 20-24) che descrive ii sentimenti verso il paziente, che possono
essere indotti da comportamenti imprevedibili e bizzarri.
Prevedono una modalità di risposta su scala likert da 0 a 4, con un punteggio minimo di 0 e uno
massimo di 96 in cui più il punteggio è alto maggiore è il burden del caregiver.
0=per nulla, 1=un poco, 2=moderatamente, 3=parecchio, 4=molto.
•Il mio familiare necessita del mio aiuto per svolgere molte delle abituali attività
quotidiane
•Il mio familiare è dipendente da me •Devo vigilarlo costantemente
•Devo assisterlo anche per molte delle più semplici attività quotidiane (vestirlo, lavarlo,
uso dei servizi igienici)
•Non riesco ad avere un minuto di libertà dai miei compiti di assistenza
•Sento che mi sto perdendo vita •Desidererei poter fuggire da questa
situazione
•La mia vita sociale ne ha risentito

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•Mi sento emotivamente svuotato a causa del mio ruolo di assistente
•Mi sarei aspettato qualcosa di diverso a questo punto della mia vita
•Non riesco a dormire a sufficienza
•La mia salute ne ha risentito ecc..
SCALA DI AUTOVALUTAZIONE DELL’ANSIA DI ZUNG (SAS)
La scala si riferisce al Disturbo di Ansia Generalizzato, è costituita da 20 domande ed ha lo scopo
di individuare l'intensità dell'ansia in soggetti adulti in fase pre-diagnostica. La scala si riferisce
ai sintomi della depressione maggiore e ha lo scopo di individuare l'insorgenza precoce di
sintomi depressivi. La scala è utilizzabile anche in autovalutazione in fase di prediagnosi.
PERCEIVED STRESS SCALE
E' uno strumento (self report) che può essere utilizzato al fine di misurare la componente di
stress autopercepito dal soggetto compilante (caregiver) in termini sia di incontrollabilità , sia
imprevedibilità e di sovraccarico (aspetti ripetutamente confermati come componenti centrali
dell'esperienza di stress). Può essere quindi utilizzato come strumento di approfondimento
della dimensione psicoaffettiva che orienta un intervento psicologico. Questo strumento
permette di misurare le credenze generali sullo stress percepito dal compilante senza fornire ai
soggetti una lista di specifici eventi di vita (per cui i punteggi non vengono influenzati dal
contenuto dell'evento o da un richiamo differenziale delle esperienze di vita passate). Il PSS-10,
sebbene non costituisca una misura della sintomatologia psicologica, può essere utilizzato per
identificare sia la risposta all'angoscia del caregiver sia la capacità di affrontare i fattori di stress
in soggetti possibilmente a rischio. Vari risultati di ricerche riflettono associazioni elevate tra
stress percepito e ansia, depressione. E' composto da 10 items su scala likert da 0 a 4 e maggiore
è il punteggio riscontrato, maggiore sarà il grado di stress percepito dal caregiver.
Quali sono le cause del bornout
Lo stress derivante dall’assistenza può essere catalogato secondo tre diversi criteri:
- Oggettivo, cioè causato da attività reali da svolgere. Rientrano tra queste la gestione della cura
della persona (pulizia, pasti...), la gestione delle terapie e degli effetti indesiderati, la gestione dei
sintomi e dei comportamenti problematici e la responsabilità nell’assistenza.
- Soggettivo, lo stress è causato dal modo in cui la singola persona vive la situazione in cui si
trova, considerando i propri sentimenti di rabbia e di perdita (per le rinunce personali),
l’angoscia dovuta alla sofferenza del proprio caro, l’instabilità emotiva legata all’andamento
della malattia.
- Istituzionale, cioè derivante dalla difficoltà nel trovare informazioni e supporto adeguati.
L’istituzionalizzazione definitiva del paziente non rappresenta la conclusione dei doveri
dell’assistenza: i familiari riferiscono ancora un coinvolgimento nelle responsabilità
assistenziali, per una media di 9 ore la settimana. L’istituzionalizzazione non è neppure un
sollievo all’angoscia. La percezione del carico quotidiano e del sovraccarico di ruolo diminuisce
leggermente, ma aumentano i sentimenti di colpa ed il ricovero non ha effetti positivi sulla
depressione del caregiver. Inoltre, i familiari spesso rimangono pesantemente coinvolti
nell’assistenza del proprio caro e, invece che ad una riduzione dei livelli di stress, si assiste
all’insorgenza di nuovi fattori stressanti creati dall’ambiente istituzionale.
In molti casi i coniugi manifestavano gli stessi livelli elevati di depressione per diversi anni dopo
la morte del paziente. Dopo il decesso del paziente sono stati anche riferiti: un sollievo dal
sovraccarico di ruolo, un aumento delle attività sociali e di svago e una maggiore percezione di
controllo sugli eventi. I familiari rimangono però a rischio di depressione prolungata, dato il

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lungo e difficile percorso del caregiving. In alcuni casi, la percezione del sollievo legato al
decesso del congiunto, e della conseguente maggiore disponibilità di tempo, di denaro e di
libertà , di movimento e di socializzazione, si associa ad intensi sentimenti di colpa.

ALZHEIMER CAFFE’. spazio per caregiver, tenuto da educatore, tenuto da psicologo anche con
presenza del medico talvolta, servono per trarre informazioni, per scambiarsi informazioni ecc.
utile per il confronto. Luogo che non sia formale ma setting di confronto Mentre i caregiver sono
in gruppo, gli anziani possono essere occupati in altre attività.
Nasce nel 1997 a Leida, Olanda, da un progetto della psicogeriatra Bere Miesen, che lo pensa
come spazio informale e de-istituzionalizzato per i malati ed i loro familiari: un luogo
accogliente, in cui trascorrere qualche ora insieme, socializzare, e parlare dei propri problemi,
con la presenza di operatori esperti. Nelle diverse esperienze che si sono succedute, il Caffè
Alzheimer ha avuto interpretazioni diverse: dall’occasione di formazione/informazione dei
familiari (tipico di un Centro d’Ascolto per familiari), a quella di animazione per i malati (tipica
di un Centro Diurno). Gli incontri, nello svolgimento pratico, presentano una duplice natura:
quella terapeutica, che dà spazio anche all’informazione, e quella della socializzazione, alla
quale è riservata una notevole considerazione.
La cadenza degli incontri negli Alzheimer Caffè del Coordinamento è settimanale: rispetto alla
organizzazione mensile, si è ritenuto più efficace e coinvolgente creare una maggiore frequenza
degli incontri. L’obiettivo è di creare un gruppo che si incontra costantemente, con maggiore
efficacia (il volontariato organizza anche il trasporto, se necessario). Ai partecipanti vengono
somministrati scale di valutazione standardizzate, all’inizio ed a distanza di 6 mesi
dall’intervento, con l’obiettivo di conoscere l’efficacia in diversi ambiti: cognitivo, affettivo,
funzionale e comportamentale.
Schematicamente, ogni incontro può essere suddiviso in 5 parti:
 la prima è naturalmente l’accoglienza, perché, come avviene in un normale Caffè, i
visitatori arrivano a poco a poco e deve essere lasciato loro il tempo di accomodarsi
e bere qualcosa, ambientarsi. In questa fase iniziale gli organizzatori accolgono i
nuovi arrivati, favorendo la socializzazione.
 Segue una parte “formale” per i familiari (presentazione di un video sulla malattia,
o conferenza da parte di un esperto) nella quale i caregiver possano apprendere
informazioni sulla malattia.
 Nella terza parte, un intervallo con musica e bevande, si lascia libera possibilità
all’interazione personale fra gli organizzatori, o l’esperto, ed i caregiver che
preferiscono non fare domande in pubblico. Mentre i caregiver sono impegnati, altro
personale si dedica ai malati, organizzando attività piacevoli.
 Al termine dell’intervallo si apre la discussione tra tutti coloro che vogliono dare il
proprio contributo: spazio aperto a commenti, considerazioni personali,
richieste.
 Al termine del dibattito inizia la fase conclusiva dell’incontro nella quale si lascia
spazio all’atmosfera informale del Caffè. Alcuni ospiti andranno via quasi subito;
altri, invece, approfitteranno di questo momento per parlare con altri familiari,
ascoltando le loro storie, o con gli specialisti, bevendo un drink. In alcuni Alzheimer
Caffè al termine dell’incontro si balla e si canta mentre in altri i visitatori possono
annotare le proprie impressioni sull’incontro su una sorta di “diario di bordo”. Ciò
può essere utile per valutare l’andamento del Caffè. Gli organizzatori possono anche
utilizzare questo momento per discutere con i visitatori relativamente ad eventuali
argomenti di futuri incontri.

81
Obiettivo:
- Terapeutico
- Informativo
- Socializzazione
Operatori e bornout
L’incontro con l’anziano è un incontro che mai lascia indifferenti. Ineluttabilmente l’anziano ci
costringe a specchiarci in lui, e cogliere, nel riflesso sul suo volto, echi del nostro passato,
premonizioni funeste del nostro futuro. Chi si relaziona con l’anziano non autosufficiente deve
avere ben presente che può condizionare la sua libertà , la sua dignità e la sua qualità della vita.
Lavorare con e per l'anziano, qualsiasi sia la figura, richiede una delicatezza di animo e pensiero
anche su ciò che è l’invecchiamento. Esso sottrae dei punti di riferimento su cui ci siamo
costruiti, mettendo in discussione la basi narcisistiche su cui ogni persona si fonda: modifica il
corpo, spoglia dei ruoli sociali di cui ci siamo vestiti e nutriti, sottrae gli affetti, rende estranei al
presente. Gli anziani infatti fanno fatica a riconoscersi allo specchio e non si riconoscono
negli altri anziani. Il lavoro con l’anziano inoltre ci porta ad affrontare il tema del lutto. Due lutti
in realtà : il loro e il nostro. Il nostro poiché per chi lavora quotidianamente con l'anziano fragile
è chiamato inevitabilmente ad accompagnarlo al proprio morire. La morte è un fantasma che
grava sull’esistenza degli anziani e sulle nostre relazioni con loro, condizionandole. La relazione
con l’anziano impone al curante di scontrarsi con vissuti di sofferenza, angoscia, rabbia,
impotenza. Queste risonanze controtransferali a volte prorompono in comportamenti estremi,
talvolta restano confinate nell’intimità , non sempre cosciente, della persona.
In ogni caso non lasciano indenni né curante, né Paziente.
“....Saper ascoltare chi muore significa saper ascoltare sé stessi nella relazione”.
Morire non è mai un evento, un processo solo del morente.
METAFORA DELLA BAMBOLA SPEZZATA (Manciaux)
Born out dell’operatore, metafora della “bambola spezzata”
Facendo cadere una bambola, essa si romperà più o meno facilmente a seconda:
• del materiale della bambola (rappresenta la resistenza dell’individuo ai traumi);
• della materia del suolo (rappresenta l’ambiente, la presenza o meno di reti di
sostegno);
• della forza con cui è stata gettata (rappresenta l’intensità del trauma e la durata
dell’evento).
L'elaborazione non può avere una dimensione solitaria, ma deve essere necessariamente
condivisa, questa fiamma può scaldare e confortare il gruppo, l’Equipe, ma può travolgere e
bruciare dolorosamente il singolo Operatore. Per questo motivo uno dei metodi, universalmente
riconosciuti come validi, per contenere e contrastare la combustione è quello di esternare, far
circolare e compartecipare le emozioni”.
Come può , in altri modi un gruppo trasformarsi in gruppo operativo?”
Non basta infatti mettere insieme le persone: c’è tutto un percorso da fare per passare da un
certo numero di Professionisti che lavorano nello stesso posto, ad una Equipe che lavora
insieme su di un medesimo compito. In un ambiente lavorativo che funzioni adeguatamente,
diventa possibile quella condivisione sociale delle emozioni che non è solo un fattore protettivo
della salute individuale, ma che può diventare una risorsa in più per le dinamiche relazionali,
l’investimento professionale e la produttività del gruppo stesso.

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TESTIMONIANZA: “Quando cerco di descrivere ad altri la mia esperienza, uso la metafora della
teiera. Come una teiera, ero sul fuoco e l’acqua bolliva; lavoravo sodo per gestire i problemi e
fare del mio meglio. Ma dopo vari anni l’acqua era tutta evaporata e tuttavia io ero ancora sul
fornello: una teiera bruciata che rischiava di spaccarsi” Carol, assistente sociale
VIRTUAL DEMENTIA TOUR (VDT)
Il VDT® è un metodo originale, innovativo e scientificamente provato per generare una
maggiore comprensione del tema della demenza, attraverso l’uso di istruzioni e strumenti
sensoriali brevettati. Il percorso esperienziale del VDT® è stato creato dalla specialista in
geriatria P.K. Beville, fondatrice di Second Wind Dreams®, un’organizzazione statunitense
internazionale no profit, con sede a Roswell (Georgia). Durante l’esperienza del VDT, facilitatori
qualificati guidano i partecipanti, equipaggiati con dispositivi brevettati che alterano i loro
sensi, mentre cercano di compiere comuni mansioni quotidiane ed esercizi.
Il VDT permette ai caregiver di provare in prima persona le difficoltà fisiche e mentali che le
persone con demenza devono affrontare quotidianamente e di usare a loro volta questa
esperienza per fornire una migliore assistenza centrata sulla persona (Person-Centred-Care). Il
progetto coinvolge gli operatori professionalmente deputati all’assistenza delle persone
anziane, le famiglie e il contesto sociale in cui la persona fragile vive. Un risultato molto
importante nella conduzione con regolarità del VDT è la riduzione nell’utilizzo di farmaci
psicotropi una volta che si ha una migliore comprensione del comportamento atteso. Ad oggi il
VDT è stato condotto da oltre tre milioni di persone in 20 Paesi nel mondo. In Italia, la diffusione
del VDT è affidata in esclusiva e per la prima volta all’Associazione InsiemeAte Onlus, che la
propone su tutto il territorio nazionale.
SERVIZI DI ASSISTENZA
ASSISTENZA DOMICILIARE: occasionale/estemporanea, intervento domiciliare di carattere
socio.sanitario dedicato ai pazienti che necessitano di prestazioni sanitarie complesse.
 Servizi a supporto della domiciliarità
o ADA servizi pasti/lavanderia a domicilio
o Servizio di trasporto (taxi sanitario)
o Servizio di telesoccorso
 Servizi diurni
o CDI (centri diurni integrali) che garantiscono anche ricoveri notturni
o CD (centri diurni)
o Centro sollievo: per anziani con decadimento cognitivo lieve/medio. Non ci sono
OSS. Psicologo, educatore e volontari. Se peggiora deve essere dimesso anziano
perché è richiesto che sia autonomo, sappia andare in bagno e non ci sono
disturbi comportamentali
 Servizi residenziali
o RSA (Residenze sanitarie assistenziali) ovvero la casa di riposo; al cui interno
troviamo anche nucleo alzheimer. Anche per ricoveri di sollievo.
o RSD (Residenze sanitarie disabili) per pazienti con demenza in età giovane-
adulta
o Strutture riabilitative per ricoveri temporanei legati ad un evento acuto
riabitabile

NUOVI PROGETTI. (vedi capitolo 13)

83
VILLAGGIO AD ALZHEIMER: piccolo villaggio, in cui c’è posto per fare la spesa, parrucchiere
ecc – in Italia c’è in Calabria, associazione Raggi. Cercare di creare normali life. È per chi ha
demenza lieve. Rischio è qiello della gettizzazione.
Il primo villaggio al mondo per i pazienti affetti da demenza è nato nel 2009 in un paese vicino
ad Amsterdam, Weesp. Da questa bellissima iniziativa hanno poi tratto ispirazione gli altri
Paese, compresa l'Italia. Il villaggio, gestito dalla Vivium Company, accoglie 152 persone con
demenza. Contiene al suo interno 23 appartamenti, e in ognuno di essi vi abitano dalle 4 alle 7
persone. La struttura dà la possibilità , a chi lo desidera, di poter entrare insieme al coniuge,
anche se uno dei due non ha un problema di Alzheimer, al decesso della persona con Alzheimer,
il coniuge/compagno, viene trasferito in altro tipo di struttura o torna a casa. Nel villaggio sono
presenti: ristorante, caffè, negozi, un salone di bellezza, un teatro e un cinema. Dal punto di vista
organizzativo, in ogni appartamento, c'è una fig. professionale tipo OSS che si occupa di circa 6
persone che: assiste e cucina, inoltre lava i vestiti e la biancheria nella lavanderia
dell’appartamento. I cibi cucinati vengono comprati dall'OSS, con i residenti che lo desiderano,
al market del villaggio. Il pagamento della spesa avviene con una card dell’appartamento che è
compresa nella retta giornaliera. Il turno degli OSS è dalle 7 alle 16 e dalle 16 alle 22. Per le
pulizie, vengono considerate 2 ore giornaliere ad appartamento. Viene previsto un infermiere
per ogni 3/4 appartamenti che svolge le funzioni dei nostri Infermieri (gestione-preparazione e
somministrazione terapia e gestione di altri bisogni). Ogni appartamento ha un armadio farmaci
non divisi per ospite. Il villaggio ha un unico accesso, costituito da doppie porte in entrata ed in
uscita, dove è presente un portiere sulle 24 ore. La retta è di € 190 giornaliere ed in base ad una
sorta di ISEE, gli ospiti possono essere esenti o pagano in quota parte. Nella retta non sono
comprese le attività, esse vengono pagate a parte dalle famiglie. Ci sono pacchetti di circa 8
attività (ascolto musica, bingo, cucina, etc.) ad ospite. Per chi ha difficoltà economiche il comune
paga 6 attività ad ospite. Un grande valore per il villaggio è il volontariato. Sono presenti circa
250 volontari che danno un enorme contributo nelle attività : il sistema olandese prevede che,
per avere il sussidio di disoccupazione, bisogna restituire in forma di volontariato il 50% delle
ore che si svolgevano da contratto di lavoro.
I VIAGGI ALZHEIMER IN ITALIA; I Villaggi sono pensati per lasciare più autonomia e
indipendenza ai malati e rallentare il decadimento cognitivo. Il paese ritrovato a Monza
(2018) e Villaggio Emanuele a Roma sono due esempi di una nuova modalità assistenziale
per le persone che soffrono di lieve e moderata forma di Demenza. Ci sono bar, cinema, orto,
parrucchiere, casette, chiesa, giardinetti, panchine, qualche negozietto che producono la
sensazione di non essere rinchiusi, ma di sentirsi in un piccolo paese, in cui si possono muovere
in tutta sicurezza e comodità sempre supportati dal personale medico ed infermieristico. Un
piccolo villaggio autosufficiente nel quale le persone, in tutta sicurezza, vivono in appartamenti
protetti ma possono muoversi anche in modo autonomo nelle strade e nella piazza, al caffè, nei
negozi ed al cinema, così da condurre una vita quasi normale, sentirsi a casa e ricevere nello
stesso tempo le necessarie attenzioni. Il villaggio è costruito su misura dei suoi abitanti; tutti i
lavoratori del villaggio: il barista, il giornalaio, la parrucchiera sono operatori socio-sanitari o
professionisti formati per entrare in relazione con le esigenze dei pazienti. Le porte dei
condomini sono sempre aperte e al posto degli appartamenti ci sono delle stanze singole su cui
c’è indicato all’esterno in nome del proprietario.
CRITICITÀ : Iniziative come quella del villaggio di Hogewey in Olanda, il primo villaggio
per malati di Alzheimer, possono fare la differenza?
Il villaggio è concepito per poche persone e per le fasi iniziali della patologia. Se da una parte
questo può rappresentare una risposta per una fase definita e ridotta della malattia, di fatto non
modifica in modo rilevante la presa in carico delle fasi più critiche, rischiando invece di spingere

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verso l’istituzionalizzazione persone che, se adeguatamente assistite, potrebbero permanere a
domicilio proseguendo la propria normal life (invece di una normal life artificiale).
Per ovviare questo, “comunità amiche della demenza” . Punto di rifereimento Treviso –
Conegliano. Anche perché qualsiasi cambiamento è per loro traumatico quindi restare nel paese
in cui hanno sempre vissuto e in cui la comunità è loro amica, perché è stata sensibilizzata.
Rendere quanto meno problematico il passaggio a nuovi habitat e nuove convivenze,
devono ri-abituarsi e quindi anche ri-adattarsi (riescono a regolarsi meglio dal punto di vista,
sono più propensi ad emozioni positive rispetto ai giovani perché consapevoli di avere poco
tempo e questo li porta ad avere maggiore facilità di adattamento). Altra faccia della medaglia,
l’attaccamento ai luoghi. A questo proposito è significativa la domanda che pone il professor
Marco Trabucchi nel libro I volti dell’invecchiare a proposito dei villaggi Alzheimer: “Una vita
più facile o un villaggio dei folli dove, sotto l’apparente rispetto, si cela di fatto una condizione di
segregazione tra sfortunati?”
Di ispirazione completamente diversa sono invece i progetti che discendono dall’idea delle
dementia friendly communities, che puntano all’inclusione delle persone con demenza nelle
attività comunitarie e nel contesto cittadino, senza la creazione di strutture protette ed
esclusive, che rischiano di diventare luoghi di solitudine. Ad oggi sono 14 le comunità al lavoro
per diventare amiche delle persone con demenza, come quelle di: Conegliano (TV),
Abbiategrasso (MI) e Torino (un' intera valle).
In Italia, non c’è omogeneità ma progetti diversi sparsi in giro per il mondo.
AFFIDO DELL’ANZIANO e dell’adulto in difficoltà : di qualsiasi anziano, solo in difficoltà . Si sta
lavorando per promuovere una legge.
LA COMUNITA’ AMICA
La “comunità amica” si adopera per preservare l’indipendenza e il vivere attivo dei malati e dei
loro familiari, coinvolgendoli per identificare gli aspetti della quotidianità da conservare e quelli
da migliorare, le difficoltà che incontrano nel vivere gli spazi pubblici, favorirne il benessere. Lo
scopo è quello di far sì che le persone si sentano sempre parte della comunità in cui vivono e
possano parteciparvi attivamente. L'obiettivo è quello di rendere i cittadini consapevoli,
aiutandoli a comportarsi nel modo migliore di fronte ad un anziano in difficoltà. Il progetto è
coordinato dalla Fondazione Santa Augusta. E' lo stesso gruppo promotore ad individuare le
strutture che potranno vantare il riconoscimento Dementia Friendly, sull'esempio di un
ristoratore stellato che esibisce il proprio certificato di eccellenza. La formazione in futuro
riguarderà tutti gli esercizi pubblici: uffici postali e banche, ma anche il personale delle forze
dell'ordine, la Protezione Civile, ad esempio, e i Vigili del Fuoco. Il progetto nasce nel 2012, in
Gran Bretagna, dall’Alzheimer’s Society. Numerose, in seguito, le sperimentazioni a livello
internazionale.
Federazione Alzheimer Italia è stata scelta come riferimento e guida del progetto nel nostro
Paese; Abbiategrasso (Milano) la città scelta per avviare il progetto pilota, seguita in ordine da
Giovinazzo (Bari), Scanzorosciate (Bergamo) e Conegliano, primo Comune ad aderire in tutto il
Veneto. Il progetto vuole combattere pregiudizi e discriminazioni, sensibilizzando l'opinione
pubblica ed evitando così che il malato ed i suoi familiari rimangano soli nell'affrontare il
dramma della malattia.
ALTRI ESEMPI DI ASSISTENZA AGLI ANZIANI
 Como: co-abitazioni per anziani e studenti. E' un progetto corrdinato dall 'Auser di
Como in collaborazione con il Comune. Permette di contrastare la solitudine e
ammortizza i costi per gli studenti (in quanto una parte dell'affitto è pagata dal
Comune). Stessi singoli progetti sono stati attivati anche in altre città come a Firenze.

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 Triste: l'infermiera di Comunità
 Co-hausing (il primo in Italia si chiama Aquarius in Lombardia)
 Condominio solidale (Torino): piani destinati ad anziani soli e piani destinati e
famiglie in condizioni di fragilità economica. Per promuovere anche lo scambio
intergenerazionale.
 La badante del condominio: iniziativa del comune di Milano
ATTACCAMENTO AD UN LUOGO
Non è facile per loro separarsi da un luogo perché ci sono da 50 anni, sono le tue radici. Non è
solo luogo in cui sei nato. Place identuty.
L’attaccamento a oggetti, luoghi, idee si rafforza con l’età ; indipendentemente dallo status socio-
economico, l’anziano riporta di essere fortemente legato all’abitazione e alla comunità in cui
vive, perché la propria casa permette di ottenere un senso di “comfort” fisico ed emotivo.
L’”invecchiare in un luogo” è un processo complesso, che non può essere circoscritto al
semplice attaccamento ad una particolare abitazione. Questo processo presuppone che
l’anziano continuamente si reintegri nell’ambiente e metta in discussione la propria identità
di fronte alle modificazioni sociali, politiche, culturali oltre che personali.
“Casa” è un processo costante di negoziazione di significati, incorporazione di elementi
personali e della comunità circostante.
- “place identity”: identità di luogo (ricordi, sentimenti, preferenze relativamente ad aspetti del
mondo fisico che derivano in gran parte dal “passato ambientale” dell’individuo, cioè dalla
relazione con i luoghi della sua vita che sono serviti alla soddisfazione dei suoi bisogni biologici,
sociali e culturali). L’età anziana è caratterizzata da stili di attaccamento di forte intensità e
lunga durata”, per tale motivo, qualora vi sia una rottura dell’attaccamento ai luoghi, così come
alle persone, può comportare per l’anziano un’esperienza molto dolorosa. La casa inoltre svolge
un’importante funzione di mantenimento delle capacità cognitive residue, in quanto permette di
ricordare eventi del passato, della storia individuale e delle relazioni affettive avute all’interno
di essa.
Per tale motivo, il trasferimento dell’anziano in un ambiente sconosciuto può rappresentare una
minaccia al benessere psicologico e fisico dell’anziano. Nel caso che il trasferimento avvenga
verso una casa di riposo, si devono aggiungere altri fattori stressanti:
 socializzazione forzata con gli altri ospiti;
 mancanza di controllo sulle proprie attività , a cominciare dagli orari delle normali
routine quotidiane;
 problemi di densità e di affollamento
L’inserimento di una persona anziana è un processo delicato, per l’anziano che ne è
direttamente coinvolto e per i famigliari, soprattutto quelli più vicini ed impegnati
nell’accudimento. L’ingresso di un anziano in una struttura assistenziale è uno degli eventi più
delicati e difficili dell’intera vita.
Da un punto di vista cognitivo la casa è un posto per te familaire e ti consente di mantenere
abilità residue perché riesci ancora ad orientarti. Spesso anziani che entrano in casa di riposo
decadono più velocemente.
I familiari sono un polo fondamentale dello spazio comunicativo e relazionale, e possono essere
coinvolti, nei modi giusti in base alla specifica situazione, per disporre di maggiori informazioni
e per qualificare meglio il rapporto con il paziente. Partire della conoscenza della vita delle
persone anziane, del loro vissuto con il bagaglio di esperienze negative e positive, delle loro
preferenze e della loro individualità , unica e per questo irriproducibile rappresenta la pietra

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miliare per garantire il supporto migliore a queste persone. La presa in carico da parte dei
servizi deve avere lo scopo di accompagnare l'anziano e la sua rete primaria all'interno di un
percorso di cura condiviso e partecipato affinchè vengano posti progetti e interventi
personalizzati volti a garantire il benessere globale del paziente fragile e dei suoi cari. Anche
loro infatti sono “attori fragili”.
FASI DELL’’INGRESSO
Si possono individuare 4 differenti fasi di accoglienza cronologicamente e logicamnete
susseguenti l’una con l’altra.
1. Pre-accoglienza
2. Ingresso
3. Osservazione
4. Presa in carico
PRE-ACCOGLIENZA  E’ soprattutto una fase informativa da parte dell’RSA e valutativa da
parte delle famiglie, alle quali deve essere lasciato un congruo lasso di tempo per formare
impressioni e valutazioni in merito alle possibili offerte residenziali presenti sul territorio. La
scelta è un momento critico per la famiglia dell’anziano che ha l’incombenza di decidere il luogo
in cui il genitore trascorrerà gli ultimi anni della sua esistenza. Proprio per questo motivo
la famiglia non deve sentirsi abbandonata e sovra-responsabilizzata, ma deve essere
accompagnata nella scelta.
L’INGRESSO  Il momento dell’"ingresso" è poi quello in cui l’ospite forma le sue impressioni
(positive o negative che siano) sul luogo in cui viene inserito; più che l’efficienza e l’abilità del
servizio, i fattori determinanti per la formazione di un positivo imprinting emotivo risultano
invece essere l’umanità e il calore dell’accoglienza.
OSSERVAZIONE Una volta terminati i primi giorni della fase di ingresso, l’attenzione può
essere riversata sugli aspetti prettamente clinici, ovvero sull'"osservazione" dell'ospite:
monitoraggio delle condizioni di psico-fisiche, e sul profilo relazionale dell’ospite, conoscendo
più a fondo le sue abitudini, i suoi gusti.
PRESA IN CARICO  Per garantire la massima qualità della "presa in carico" è dunque di
fondamentale importanza che le professionalità coinvolte si integrino tra di loro, si coordinino e
interagiscano. Un buon modo per far sì che ciò avvenga può essere quello di pianificare riunioni
d’equipe finalizzate alla stesura di un piano di assistenza individualizzato dell’ospite, che
sia in grado di descrivere il profilo dell’anziano da più punti di vista: anagrafico,
funzionale, cognitivo, emotivo.
Parallelamente occorrerà determinare idonei strumenti di valutazione delle condizioni
cognitive e funzionali dell’anziano, nonché sviluppare un sistema di controllo costante del
processo di erogazione e di monitoraggio delle non conformità alle procedure stabilite.
PROBLEMATICHE TRA FAMIGLIA DELL’ANZIANO E SERVIZI
1. capro espiatorio. L’anziano diventa il “capro espiatorio” , la persona all’interno della
famiglia nei confronti della quale gli altri membri fanno convergere le tensioni che per il
gruppo sono diventate insostenibili. L’anziano diventa “il colpevole” della rottura
dell’equilibrio .
2. Senso di colpa, limita nella possibilità di trovare soluzioni nuove e più adeguate. La
famiglia ritiene di non fare mai abbastanza per l’anziano. Qualsiasi cosa succeda è da
attribuirsi alla colpa di qualcuno (probabile causa: percezione di un debito
inestinguibile).
3. Esercizio del Controllo a necessità di essere sempre presente e di controllare ciò che
accade esprime la difficoltà di fidarsi nelle capacità dell’altro. Il parente controlla le

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attività degli operatori dando sempre un giudizio negativo del loro operato.
4. Oblio La rottura dei legami con il mondo esterno, compresi i familiari è un pericolo reale
conseguente all’istituzionalizzazione. La famiglia può elaborare una specie di lutto
parziale e preparatorio. Aiutare i familiari a prendere coscienza dell’importanza della
loro presenza.
LO PSICOLOGO IN RSA
Lo psicologo in RSA svolge diverse attività :
 favorisce l’accoglienza: accompagna gli ospiti ed i famigliari nel delicato momento
dell’inserimento, dell’adattamento e della convivenza in struttura. In particolare, lo
scopo del servizio psicologico all’interno delle residenze che ospitano persone anziane è
di favorire e promuovere il “ben-essere” e lo “stare bene” degli ospiti;
 esplora motivazioni e aspettative rispetto al ricovero;
 Supporta il percorso di consapevolezza (da parte soprattutto dei famigliari) nella scelta,
a volte sofferta, di questo servizio, indagando le relative ambivalenze (sensi di colpa
nell’affidare il proprio congiunto a persone estranee);
 compie valutazioni: indaga le funzioni cognitive, il tono dell’umore e i disturbi
comportamentali. Verifica l’adattamento della persona all’ambiente. Raccogli elementi,
insieme agli altri membri dell’equipe, per la costruzione del PAI (Piano Assistenziale
Individualizzato). Utilizza come strumenti clinici il colloquio, l’osservazione e
somministra test neuropsicologici;
 effettua esercizi per stimolare le funzioni cognitive;
 offre sostegno agli ospiti e ai famigliari: valorizza le risorse individuali e i bisogni
dell’ospite. Accompagna i famigliari durante la malattia del loro congiunto e ad
elaborare il lutto;
 offre suppporto, formazione e supervisione agli operatori: aumenta le competenze
relazionali e comunicative sia verso l’utenza e i famigliari sia tra gli operatori;
accompagna gli operatori per l'elaborazione del lutto;
 Lo psicologo può avere un ruolo specifico all’interno dei Nuclei Alzheimer (reparti che
accolgono persone affette da demenza con disturbi comportamentali), nei quali
supporta i famigliari nel gestire emotivamente le diverse problematiche, aiuta gli
operatori nel lavoro di cura e collabora con l’equipe per favorire una migliore qualità di
vita per gli ospiti.
In equipe
- Chi è questa persona?
- Qual è il decorso della sua malattia?
- Di quale deficit soffre?
- Quale informazione posso trarre dal suo comportamento?
- Quale protesi (relazionale-ambientale funzionale) può essere necessaria?
- Di fronte a un disturbo comportamentale chiedersi se è cambiato qualcosa
PROGETTI
La stesura di un progetto è un elemento indispensabile alla realizzazione di interventi mirati di
stimolazione cognitiva. Progettare con attenzione ci consente di verificare la qualità del nostro
operato in termini di efficacia ed efficienza.
Inizialmente descrivere il progetto
1. Definizione generale dell’obiettivo
2. Obiettivi specifici:
3. Destinatari

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4. Condizioni organizzative
5. Attività previste
6. Indicatori di efficacia
7. Valutazione (fase fondamentale)  Per vedere se c’è stato un cambiamento prima e
dopo
1. Definizione obiettivo generale
In questa parte si deve descrivere ciò che ci proponiamo di ottenere con l’ attuazione del
progetto. In altri termini, definisce la meta finale del progetto. Per esempio potrebbe essere
creare uno stato di svago e di benessere attraverso l’ascolto e l’accoglienza dei bisogni della
persona affetta da decadimento cognitivo.
L’ obiettivo generale di solito viene fissato in termini di:
- Promuovere
- Prevenire
- Valorizzare
2. Definizione degli obiettivi specifici
Gli obiettivi specifici di una attività consentono di definire con maggior dettaglio le
azioni da intraprendere, coerentemente con gli obiettivi generali. Essi descrivono, nel
modo più preciso possibile, i risultati attesi. Per esempio potrebbero essere: mantenere
e stimolare le capacità manuali, le capacità comunicative ancora presenti, le capacità
motorie, gli interessi coltivati nel passato, le capacità di attenzione e di concentrazione,
contenere la perdita di orientamento e facilitare l’adattamento al nuovo ambiente di
vita.
Gli obiettivi specific si prefiggono di
- Incrementare
- Aumentare
- Potenziare
- Diminuire
3. Destinatari
In questa sezione dobbiamo specificare a chi ci rivolgiamo. Es. Anziani con demenza di
grado lieve? Moderato? Severo?
4. Condizioni organizzative
Le condizioni materiali ed gestionali che rendono possibile il loro conseguimento:
- Risorse economiche (costi della realizzazione dell’intervento in termini di
personale e di materiali);
- Tipologia, numero di soggetti da coinvolgere e metodologia adottata:
piccolo/grande gruppo; rapporto individuale.
- Personale e altri soggetti da coinvolgere: medico, educatore, oss, fisioterapisti...;
integrazioni con altri soggetti (volontari, familiari...)
- Materiali che consentono di definire preventivamente il budget e permettono
una migliore organizzazione del lavoro di preparazione precedente all’attività
(carta, pennarelli, indumenti...);
- Luogo dell’attività che permette la programmazione ed evita la sovrapposizione
con altre attività assistenziali (es. soggiorno o spazi dedicati)
- Tempi previsti: durata (trimestrale, semestrale, annuale) e frequenza
ore/settimana)
5. Attività
Sono tutte quelle azioni che poniamo in essere per raggiungere un obiettivo specifico. Sono
progettate sulla base delle capacità del singolo utente destinatario del progetto e possono
coinvolgere le seguenti aree:

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- area cognitiva (orientamento alla realtà , reminiscenza, esercizi di vocabolario,
organizzazione logica di informazione, stimolazione sensoriale); - area del
comportamento (terapia occupazionale, rimotivazione, validazione emotiva);
- area delle abilità funzionali (programmi educativi sull’alimentazione, igiene,
abbigliamento);
6. Valutazione (fase fondamentale)
Ci sono 3 tipi di valutazione.
1. La valutazione ex post (iniziale) per avere un quadro pre intervento e per poter
poi fare i confronti al termine.
2. La valutazione in itinere viene effettuata durante il corso dell’ intervento. È
importante perché permette di monitorare costantemente l’ evolversi del progetto,
per vedere se il progetto si sta avvicinando al raggiungimento degli obiettivi. È una
fase che permette di apportare eventuali modifiche o aggiustamenti al progetto.
Per la valutazione in itinere ci si può avvalere di:
- griglie di osservazione
- osservazione diretta dei partecipanti e delle dinamiche per valutare l’interesse e le
modalità di conduzione delle attività
- discussioni di gruppo
3. La valutazione finale Serve per valutare l’ efficacia dell’ intero progetto: si verifica
se il progetto ha apportato un cambiamento nella situazione problema, se è stato
capace di raggiungere gli obiettivi che erano stati prefissati. Per la valutazione finale
ci si può avvalere di:
a. questionari per valutare la soddisfazione finale nei confronti dell’ intervento
complessivo e suggerire modifiche e dare suggerimenti
b. test adatti a cogliere i cambiamenti della prestazione cognitiva, esempio
Alzheimer’s Disease Assessment Scale - subscala cognitiva (ADAS-Cog)
(Rosen e coll., 1984).
Infine valutare il gradimento del progetto.
Indipendentemente dalla patologia, è importante condividere il progetto di cura con il paziente
ed i familiari per avere un’alleanza terapeutica, indispensabile alla riuscita dell’intervento sia
individuale che gruppale.
La stimolazione a qualsiasi area verrà rivolta si presenta sotto forma ludica in modo da
incentivare il gradimento e la partecipazione
ELEMENTI DA CONSIDERARE QUANDO SI PROGETTA
 il profilo cognitivo del paziente risultante da una valutazione neuropsicologica che
definisce il grado di deterioramento, le abilità residue e quelle compromesse.
 il setting (domicilio; Centri Diurni; ambulatorio medico o ospedale; strutture
residenziali, Casa Protetta / RSA). Il setting gioca un ruolo molto importante: per
esempio, il domicilio, che per per molti versi sembrerebbe rappresentare un ambito
ideale, rende problematico il controllo dei tempi e delle modalità degli interventi. Il
centro diurno facilita la socializzazione, che potrebbe avere effetti positivi sulla risposta
del paziente.
 le risorse disponibili (personale coinvolto e budget).

Capitolo 1 dalle slide. Non dal libro


Capitolo 2, solo caso del centenario e sessualità dal libro
Capitolo 3 solo slide (no libro

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Capitolo 4 non da fare libro
Capitolo 5,6,7 È da fare dalle slides
Capitolo 8 si libro.
Capitolo 9 dal libro
Capitolo 10 solo slides
Capitolo 11 si dal libro (transazione al pensionamento)
Capitolo 12 dalle slide, non dal libro
Capitolo 13 da fare nel libro (ambiente)
Capitolo 14 dalle slide, non libro
Capitolo 15: solo slide, le demenze sono più approfondite le slide. No libro
Capitolo 16: caregiving da leggere, e fare slide principalmente. Solo lettura
Capitolo 17: si dolore dell’anziano dal libro.
Capitolo 18: assolutamente si libro
ESAME: 20-30 minuti di esame, argomento a picere sui 10 minuti. Ma gestisce lei il tempo, se
parliamo troppo ci stoppa.

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