Sei sulla pagina 1di 30

Le teorie della personalità

gabriellagiudici.it/le-teorie-della-personalita/

November 15,
2017

γνῶθι σαυτόν

Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via,


tu potresti mai trovare i confini dell’anima:
così profonda è la sua essenza.

Eraclito

Indice

1. Una definizione
2. La personalità (o Io) nella psicanalisi
2.1 I meccanismi di difesa
2.1.1 La sublimazione
2.1.2 La rimozione
2.1.3 La proiezione
2.1.4 Le formazioni reattive
2.1.5 La razionalizzazione

3. La personalità nella psicologia analitica di Jung


3.1 Le componenti dell’identità junghiana
3.2 Lo sviluppo della personalità secondo Jung
1/29
4. La psicologia dell’Io di Erik Erikson
5. Le teorie socioculturali di Alfred Adler e Karen Horney
5.1 Sé creativo e complesso di inferiorità nella psicologia individuale di Adler
5.2 La teoria della personalità nevrotica in Karen Horney

6. La personalità nelle teorie umanistiche


6.1 La teoria dell’autorealizzazione in Maslow
6.2 La teoria del Sé in Rogers

7. Le teorie dei tratti

1. Una definizione

2/29
La personalità è un’organizzazione più o meno durevole di forze nell’ambito
dell’individuo.

Queste forze persistenti della personalità contribuiscono a determinare la risposta in varie


situazioni, e a queste si può quindi attribuire in gran parte la coerenza del comportamento,
sia esso verbale o corporeo.

Ma il comportamento, per quanto coerente, non è la stessa cosa che la personalità (vedi lo
studio di Richard Lapiere sulla percezione americana degli asiatici nel 1934, NDR) la
personalità sta dietro al comportamento e all’interno dell’individuo. Le forze della
personalità non sono risposte ma disposizioni alla risposta […]. Le forze della
personalità sono primariamente bisogni (spinte, desideri, impulsi emotivi) che variano
da un individuo all’altro per quanto concerne la qualità, l’intensità, il modo di
gratificazione e gli oggetti del loro attaccamento, e che interagiscono con altri bisogni in
modelli armonici o contrastanti.

Esistono bisogni emotivi primitivi, esistono bisogni di evitare la punizione e di


conservare il favore del gruppo sociale, esistono bisogni di mantenere l’armonia e
l’integrazione all’interno dell’ego [e bisogni evoluti di autorealizzazione (vedi sotto
Maslow), nota mia] la personalità è essenzialmente un’organizzazione di bisogni,
[essa] non dev’essere tuttavia ipostatizzata come determinante ultima.

Lungi dall’essere un dato iniziale che rimanga costante e agisca sul mondo circostante, la
personalità si evolve sotto l’influenza dell’ambiente sociale e non può mai venir
isolata dalla totalità sociale nella quale si manifesta.

Secondo la presente teoria, gli effetti delle forze ambientali nella formazione della
personalità sono in generale tanto più profondi quanto più presto esercitano la loro
influenza sulla storia di vita dell’individuo. Le influenze principali sullo sviluppo della
personalità si manifestano nel corso dell’educazione del bambino, in quanto condotta in
un ambiente di vita familiare. Ciò che accade a questo livello è profondamente influenzato
da fattori economici e sociali [T. W. Adorno, La personalità autoritaria, 1949].

3/29
La definizione di Adorno mette l’accento sul carattere fluido, dinamico della
personalità, descrittacome:

1. un’organizzazione di forze che contribuisce a determinare la risposta


comportamentale anche se non coincide mai completamente con essa
(atteggiamento e comportamento possono essere discrepanti);
2. un insieme di forze che non sono risposte, ma disposizioni alla risposta (ancora una
volta, il comportamento non è completamente determinato dalla personalità);
3. qualcosa che evolve nel tempo sotto l’influenza dell’ambiente sociale.

2. La personalità (o Io) nella psicanalisi

Freud nel suo studio – 1938

4/29
Secondo Freud, la personalità è il risultato – il punto di equilibrio raggiunto – del conflitto
che oppone coscienza e inconscio, Es e Super-Io e delle modalità attraverso cui l’Io
costruisce le proprie relazione con gli altri.

Per il padre della psicanalisi, la componente originaria della vita psichica è infatti l’Es
(o principio di piacere), il complesso di pulsioni e desideri che preme per esprimersi e
che lo psichiatra interpreta essenzialmente come energia erotica o libido. Ad esso si
oppone il Super-Io, sede dei valori etici e del codice morale interiorizzati attraverso
l’educazione in senso ampio, cioè l’inclusione dell’individuo nel sistema di regole, visioni,
comportamenti del suo ambiente (la socializzazione, l’inculturazione, in termini socio-
antropologici).

Dal conflitto tra l’istintualità primitiva dell’Es e i divieti posti dal Super-Io emerge l’Io (o
principio di realtà): la funzione psichica che ha il compito di mediare, trovare un
equilibrio tra le due istanze opposte, vale a dire di decidere se, quando e come
autorizzare l’espressione delle pulsioni individuali. E’ proprio il tipo di equilibrio che
l’Io riesce a stabilire a determinare lo stato psichico e a decidere se il suo funzionamento
sia normale o patologico.

Freud ha usato il mito di Edipo per spiegare la natura conflittuale dello sviluppo della
personalità e dell’identità di genere. Secondo Freud, la conquista della maturità
psicologica e dell’identità sessuale richiedono un duro lavoro che caratterizza l’età
infantile, durante la quale lo sviluppo della personalità procede parallelamente allo
spostamento dell’area del piacere sessuale da un’area erogena ad un’altra. Ciò
avverrebbe perché l’energia psichica, che Freud chiama libido, tende a scaricarsi su zone
erogene il cui valore altamente simbolico rappresenta proprio il grado di equilibrio
psichico o maturità dell’Io conquistato dal bambino ad ogni tappa del proprio sviluppo.

Il culmine dello sviluppo psicosessuale è la fase genitale alla quale si perviene a partire
dall’adolescenza, la cui caratteristica più importante è la comparsa dell’interesse per una
relazione reciprocamente gratificante con gli altri.

L’aspetto rilevante dell’intepretazione freudiana è che è la fase genitale non viene


conseguita automaticamente, ma rappresenta il compimento di uno sviluppo
armonico della personalità che può essere mancato. In questo modo, il padre della
psicanalisi sottolinea (kantianamente) che lo stato di immaturità cognitiva ed emotiva
(la personalità fallica, orale, o anale) può non essere superato e l’autonomia (etico-
morale) non essere raggiunta dall’individuo.

Il momento più critico dello sviluppo infantile si situa dunque proprio nella fase fallica e
nel tentativo infantile del suo oltrepassamento per approdare alla fase genitale, che è in
ogni caso un traguardo dell’età adulta. E’ durante la fase fallica, infatti, che il bambino
vive un passaggio edipico che, se irrisolto, si fissa in un vero e proprio complesso di
Edipo (nella bambina in un complesso di Elettra che ha però caratteristiche diverse). La

5/29
fase edipica è caratterizzata dall’attrazione sessuale del bambino per la madre e
dal timore della riprovazione del padre che il maschio vive come ansia di
castrazione.

La crisi edipica

Ne L’interpretazione dei sogni, Freud scrive:

Il caso più semplice si struttura, per il bambino di sesso maschile, nel modo seguente: egli
sviluppa assai precocemente un investimento oggettuale per la madre, investimento che
prende origine dal seno materno e prefigura il modello di una scelta oggettuale del tipo
“per appoggio”; del padre il maschietto si impossessa mediante identificazione. Le due
relazioni per un certo periodo procedono parallelamente, fino a quando, per il rafforzarsi
dei desideri sessuali riferiti alla madre e per la constatazione che il padre costituisce un
impedimento alla loro realizzazione, si genera il complesso edipico.

L’identificazione col padre assume ora una coloritura ostile, si orienta verso il
desiderio di toglierlo di mezzo per sostituirsi a lui presso la madre. Da questo momento
in poi il comportamento verso il padre è ambivalente; sembra quasi che l’ambivalenza,
già contenuta nell’identificazione fin da principio, si faccia manifesta. L’impostazione
ambivalente verso il padre e l’aspirazione oggettuale esclusivamente affettuosa riferita
alla madre costituiscono per il maschietto il contenuto del complesso edipico nella sua
forma semplice e positiva.

Secondo Freud, il principio di realtà (l’Io) in via di formazione permette al bambino di


rendersi conto che il desiderio sessuale che egli prova per la propria madre è
irrealizzabile a causa del padre che vanta i propri diritti su di lei. Il bambino si darebbe
allora una serie di spiegazioni magico-simboliche (tipiche dell’attività psichica
primitiva) della propria impossibilità di competere col padre, osservando la
sproporzione del proprio potere-fallo rispetto a quello paterno. Nella visione
freudiana, il bambino associa il pene al potere grazie all’osservazione della propria
supremazia domestica su sorelline e cuginette che, come sperimenta rapidamente, sono
considerate molto meno importanti di lui perché non hanno il pene. Il bambino dunque
6/29
teme che insistendo nella propria opposizione al padre per la conquista della madre, egli
sarà punito dal genitore con la privazione del pene, cioè con la riduzione allo stato di
impotenza femminile.

E’ proprio per tenere sotto controllo queste pericolose pulsioni che il bambino finisce
per vivere mediatamente, cioè attraverso il padre, la gratificazione sessuale
ricercata con la madre, identificandosi con il genitore del proprio sesso e
interiorizzandone gran parte dei valori, dando forma al super-Io. L’interiorizzazione
del divieto per eccellenza (che Lacan chiamerà, infatti, Legge) e la prima frustrazione del
desiderio vissuta dal bambino costituiscono quindi il primo elemento della costruzione
dell’Io, non solo perché attraverso la dinamica edipica la personalità infantile sviluppa
l’identità di genere, ma soprattutto perché l’emergere del super-Io e dei primi limiti
posti alla libido del bambino dà forma alla possibilità stessa della vita relazionale,
impossibile nella precedente fase di onnipotenza egocentrica del bambino, ancora privo
di senso di realtà o Io.

Oltre all’elaborazione del conflitto edipico, un ruolo fondamentale nella costruzione della
personalità individuale è giocato, secondo Freud, dai meccanismi di difesa, strategie
psichiche che l’Io mette in campo per controllare il disagio e i conflitti generati dalle
proibizioni riguardanti l’Es, pulsioni sessuali e aggressive incompatibili con la vita sociale
[vedi sotto Introduzione alla psicanalisi].

mappa

7/29
La psicanalisi

2.1 I meccanismi di difesa


Un ruolo fondamentale nella costruzione della personalità individuale è giocato, secondo
Freud, dai meccanismi di difesa, strategie psichiche che l’Io mette in campo per
controllare il disagio e i conflitti generati dalle proibizioni riguardanti l’Es, pulsioni
sessuali e aggressive incompatibili con la vita sociale.

2.1.1 La sublimazione
Si ha sublimazione quando l’io trasforma le energie sessuali e aggressive in motivi
socialmente accettabili che ne mascherano completamente le origini e la
motivazione: la pulsione sessuale può essere canalizzata in amore per l’arte o in
filantropia, le pulsioni aggressive possono essere sublimate nell’agonismo sportivo o
nell’attività dello spaccare la legna.

La sublimazione possiede la caratteristica, quindi, non solo di permettere la scarica


delle tensioni legate al mancato soddisfacimento delle tensioni, ma anche di legare
questo soddisfacimento ad attività che godono di approvazione sociale.
8/29
Sublimazione

2.1.2 La rimozione
Tutti i meccanismi di difesa mettono in
atto, in qualche modo, una rimozione in
quanto ci impediscono di esprimere
direttamente e in modo non mascherato i
nostri impulsi.

La rimozione è un meccanismo di difesa


che agisce in modo opposto alla
sublimazione: a differenza della
sublimazione, gli impulsi sessuali non
trovano infatti sbocco in attività Rimozione
socialmente lecite, ma vengono
negati. Secondo Freud, però, poiché l’energia della personalità è un sistema idraulico
chiuso, la tensione accumulata e non scaricata, deve alla fine sfociare in qualche
manifestazione psichica, cioè in una psicopatologia.

Ad esempio, il lapsus è per Freud una lieve psicopatologia, nella quale un pensiero
rimosso, torna a manifestare la sua presenza. Un esempio tratto da Psicopatologia
della vita quotidiana (1901):

«E’ per me una noia (gioia) ricordare i meriti del mio stimato predecessore» [Freud
in Psicopatologia della vita quotidiana, illustrando il lapsus di un professore alla sua
prolusione di insediamento].

9/29
Esempi di atti mancati offerti da Freud, sono il caso di
Jones che per qualche ragione aveva lasciato per
alcuni giorni sulla scrivania una lettera senza spedirla.
Quando si decise a spedirla, se la vide respingere
perché aveva dimenticato di scrivere l’indirizzo; la
portò di nuovo all’ufficio postale ma non riuscì ad
inviarla perché aveva dimenticato l’affrancatura. Prese
atto, a quel punto, delle ragioni della propria riluttanza
ad inviare la lettera. Un altro esempio è quello di chi
arrivato davanti alla porta di casa di una amico
fraterno, si cerchi in tasca le chiavi di casa, a significare
che là si sente proprio come a casa.

Il meccanismo della rimozione agisce anche quando il soggetto allontana dal pensiero
cosciente contenuti psichici dolorosi, instaurando un sistema durevole di difese contro di
esso da cui emerge solo il sintomo della nevrosi. Ecco perché il malato non può
raggiungere da solo la consapevolezza delle cause del suo disturbo, ma deve essere
curato con un metodo che gli consenta di far riemergere (a partire dai sintomi) le cause
del suo disagio. Il sintomo isterico è dunque la causa “mascherata” del disturbo,
spetta al terapeuta interpretare i “segni” del malessere psichico e rintracciarne la
causa rimossa dalla coscienza.

2.1.3 La proiezione

La proiezione
consiste nell’attribuire le proprie
qualità o desideri ad un’altra
persona. Ad esempio, chi è in
collera con il proprio datore di
lavoro, può attribuirgli intenzioni
aggressive e convincersi che è lui ad
essere arrabbiato (cioè che è lui ad
essere aggressivo), non viceversa.
10/29
In questo modo, il soggetto che si La paura dell’”uomo nero”
vede vittima, trova
giustificazione ai propri sentimenti aggressivi.

E’ uno dei meccanismi di difesa più densi di implicazioni sociali, particolarmente studiata
dall’allievo di Freud, Carl Gustav Jung che ha definito l‘ombra la parte oscura della
personalità, presente in ognuno di noi, ma negata e proiettata sugli altri (i criminali, gli
stranieri, gli ebrei, ecc.) o su qualche elemento esterno (il demonio), la cui
rappresentazione come esterna/estranea a noi ha funzione di rassicurazione.

Proprio questo elemento consolatorio,


ma ottundente la consapevolezza, spiega
l’interesse della (e per la)
televisione trash per la cronaca nera.

Curiosità morbosa sulla tomba di Avetrana

2.1.4 Le formazioni reattive


Come la proiezione, la formazione reattiva è
un modo inconscio per soddisfare pulsioni
inesprimibili. In questo caso, l’io trasforma la
pulsione nel suo esatto contrario.

Tra queste forme di falsa coscienza si possono


citare le forme d’odio che si trasformano in
amicizia, ma la cui espressione caricaturale
appare è falsa ed esagerata a chi osservi
oggettivamente. Così la madre che provi
sentimenti di ostilità per il figlio li muta in
iperprotezione, mascherandoli in sentimenti
socialmente accettabili che però tradiscono la
vera intenzione di schiacciare e soffocare il figlio.

Un altro esempio è il fanatismo verso le norme Iperprotezione


morali: il pervertito converte la sua ossessione
sessuale in predica contro il sesso, per potersi occupare permanentemente di ciò che
tanto lo attrae, ma in modo socialmente accettabile.

11/29
Il moralismo del pervertito

Un esempio ci è offerto dal raccontino zen che narra del viaggio lungo un fiume di due
monaci buddisti, durante il quale incontrano una ragazza che chiede loro di essere presa
a bordo. Attraversando le rapide la ragazza cade nel fiume e si pone ai religiosi il
problema di come aiutarla, stante il divieto assoluto per il monaco buddista di toccare
una donna. Uno dei due, si toglie allora rapidamente il mantello e tuffatosi in acqua aiuta
la ragazza a guadagnare la riva. Tornato sulla barca, però, l’altro non la finisce più di
discutere se abbia fatto bene o male a salvare la ragazza (formazione reattiva: il desiderio
sessuale si esprime attraverso un’ossessiva repulsione). Il salvatore risponde allora che,
si, lui ha toccato la ragazza, ma l’ha anche lasciata sulla riva, mentre il compagno la porta
ancora in braccio (la pulsione, apparentemente rimossa, è centrale nella dinamica del
monaco accusatore, mentre si mostra superata-sublimata nello spirito religioso del
monaco salvatore).

2.1.5 La razionalizzazione
Il meccanismo di razionalizzazione
interviene quando il soggetto
soddisfa un desiderio o timore
inconscio, ma ne offre una
spiegazione socialmente
accettabile che maschera il
motivo reale.

Quelli esposti, insieme


all’identificazione, sono sono alcuni Somatizzazione
dei meccanismi di difesa illustrati
dalla psicanalisi. Da ricordare anche la conversione (la ricomparsa a livello fisico di un
contenuto rimosso) e la somatizzazione, nella quale l’emozione viene immediatamente
deviata sul corpo, così che ne è impossibile l’elaborazione mentale.

12/29
3. La personalità nelle teorie neoanalitiche
Si tratta delle teorie elaborate dai primi
psicanalisti, allievi e colleghi di Freud che
si riunivano inizialmente nello studio di
Freud, dove avevano dato vita alla Società
Psicoanalitica Viennese (1902).

Dopo i primi anni di attività, l’elaborazione


della SPV iniziò a elaborare tesi divergenti
dal pensiero del maestro. Nel 1910 fu
eletto presidente Alfred Adler che stava
Lo studio di Freud
sviluppando una teoria della personalità
che attribuiva grande rilievo al
rapporto tra l’individuo e il suo ambiente, più che alle dinamiche
intrapsichiche. Avendo avanzato queste critiche di fondo al sistema freudiano, l’anno
dopo (1911) si dimise per fondare la scuola di psicologia individuale.

Nel 1913 lasciò la SPV anche Jung (1875-1961), lo psichiatra svizzero allievo prediletto di
Freud, il quale, oltre a considerare la psicanalisi astratta e priva di spessore storico (lo
sviluppo psichico di un aborigeno australiano obbedirebbe per Freud alle stesse
dinamiche “edipiche” proprie dell’individuo della società borghese patriarcale), negò la
natura sessuale dell’Es.

3. La personalità nella psicologia analitica di Jung


I primi impegni clinici di Jung furono con i pazienti schizofrenici. Colpito dalle analogie tra
i deliri dei suoi pazienti e i miti delle antiche civiltà, lo psichiatra si convinse che la
coscienza umana si estende ben al di là dei ricordi derivanti dalla coscienza
personale.

13/29
La sua ricerca lo portò ad incontrare Freud con il quale iniziò una intensa
collaborazione che si interruppe nel 1913
quando le divergenze erano ormai
insanabili. Jung infatti disconobbe la tesi
che l’energia umana sia di natura
sessuale. Secondo Jung, l’energia psichica
implica un’energia legata ai processi vitali di
cui quella sessuale è solo un esempio.

Gli altri aspetti di differenziazione della


psicologia analitica junghiana da quella di
Freud, marcatamente materialista, sono il
rilievo di elementi spirituali e mistici
nella descrizione del processo di crescita
individuale (o individuazione); il minor
rilievo attribuito da Jung alla Carl Jung (1875-1961)
psicopatologia e la scoperta del carattere
storico-culturale, non universale, dei
processi psichici.

3.1 Le componenti dell’identità junghiana


Tutto ciò che ci irrita negli altri
può portarci a capire noi stessi.

Per Jung, tutta l’energia psichica deriva dai conflitti che si vengono a creare fra i vari
elementi della personalità. Il fine dello sviluppo della personalità è quello di evitare di
attribuire troppa importanza a un unico aspetto e di ottenere, invece, un equilibrio o
integrazione fra i vari elementi (nel Sé).
14/29
Nell’immagine sottostante è rappresentato il complesso modello junghiano della
struttura della personalità. Al centro della coscienza si trova l’Io, che contiene i
pensieri consci, i ricordi e i sentimenti; il centro dell’esperienza individuale che
fornisce la sensazione di continuità e identi​tà.

Al di sopra dell’Io c’è la persona, le maschere o


ruoli che indossiamo per affrontare
efficientemente gli altri nel nostro
quotidiano (il termine maschera viene dal
teatro latino, nel quale indicava i personaggi
che gli attori impersonavano indossando
appunto delle maschere). Il pericolo che si ce​la
nella persona è che possa ipersvilupparsi e
tagliarci fuori dal contatto con il nostro
vero Sé.

Al di sotto dell’Io si trova, invece, l’inconscio


personale, che contiene le esperienze
individuali non più accessibili alla nostra
Il modello junghiano della personalità
coscienza. Ancora più nascosto è l’inconscio
colletti​vo, l’aspetto più controverso e mistico
della teo​ria junghiana.

Secondo Jung, infatti, a causa della no​stra comune ereditarietà evolutiva e delle strut​ture
cerebrali, noi ereditiamo la predisposizione a rispondere in un determinato modo a certe
esperienze. Questi temi universali, definiti archetipi, forniscono essenzialmente una
“me​moria” collettiva della nostra ascendenza evolu​tiva. Ne sono un esempio
l’archetipo madre-figlio, che guida su basi innate le madri a pro​teggere i figli e
l’archetipo di Dio che porta le persone che si trovano in condizioni ambigue o dense di
pericoli a creare l’immagine di una divinità onni​potente.

Un’altra componente inconscia della personalità è l’ombra, la parte oscura della


personalità che comprende sia quegli impulsi sessuali e aggressivi rimossi che Freud
incorporava nel​l’inconscio, sia i temi universali del male e del demonio .

L’incontro con se stessi è una delle esperienze più sgradevoli alle quali si sfugge
proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo circostante. Chi è in condizione di vedere
la propria ombra e di sopportarne la conoscenza ha già assolto una piccola parte del
compito.

Altri due temi universali sono l’ani​ma, l’archetipo femminile, e l’animus, l’arche​tipo
maschile che rappresentano l’immagine interiore del femminile e della virilità presente
ad ogni individuo. Dal punto di vista sessuale, Jung, come Freud, è convinto che uomini e
donne abbiano dentro di sé elementi bisessuali che ne​cessitano di essere integrati,
piuttosto che ne​gati.

15/29
La struttura più importante del sistema jun​ghiano è il Sé, non il semplice equivalente
dell’io freudiano (e del principio di realtà), ma una dimensione alimentata dalle
esperienze della nostra vita e dall’autocoscienza volta a tenere in equilibrio e ad
armonizzare in modo sempre più elevato parti opposte della personalità [per
approfondimenti, vedi Aldo Carotenuto, Identità e ipseità. Il principium individuationis.

3.2.2 Lo sviluppo della personalità secondo Jung


A differenza di Freud, Jung non ritiene che la
perso​nalità si fissi alla fine dell’infanzia. Per
Jung, l’individuazione, il processo che porta
allo sviluppo di un unico Sé che realizza le
potenzia​lità di un individuo, dura una vita
intera.

Nel processo di ricerca della propria perso​nalità,


gli individui adottano diversi atteggia​menti. Su
due di questi, l’estroversione e l’in​‐
troversione, si è focalizzata l’attenzione di Jung.
Un atteggiamento estroverso ci orienta verso
l’ambiente esterno, mentre un atteggiamento
in​troverso ci guida verso l’esperienza soggettiva,
interiore. Per quanto questi due aspetti siano presenti entrambi in ciascuno di noi, uno di
essi tende ad assumere un ruolo dominante nella coscienza. L’estroverso si adatta
facilmente ai nuovi ambienti in un modo espansivo, esplicito e a volte spontaneamente
fiducioso. L’introver​so, al contrario, si avvicina alle persone e alle si​tuazioni nuove con
esitazione, ritrosia e sfidu​cia. La meta cui tende lo sviluppo della persona​lità è la
conquista di un equilibrio fra gli elementi opposti.

Le crisi personali creano uno squilibrio fra gli atteggiamenti estroversi e quel​li
introversi, ma una crisi può essere benefica se il nuovo equilibro trovato è ad un livello
più elevato di equilibrio e di armonia. Il processo di individuazione, cioè di costruzione
della soggettività individuale, è dunque un percorso non facile che merita però la
sofferenza (umanizzante) che comporta.

16/29
Watch Video At: https://youtu.be/qWGGxGptLTY

Esercitazione

Guarda il video di Frankie Hi-Nrg (http://bit.ly/2xTdB63) e rispondi


alle domande sul testo cercando di analizzarlo in chiave
psicanalitica e junghiana.

17/29
Prendo le distanze da me perché non voglio avere niente a cui spartire con me,
da condividere con chi come me non fa nulla per correggersi : sono il mio nemico, il più
acerrimo.

Carceriere di me stesso con la chiave in tasca invoco libertà ma per adesso so che questa
cella resterà sprangata a triplice mandata dall’interno : sono l’anima dannata messa a
guardia del mio inferno.

Reprimo ogni possibile “me”, inflessibile, inarrestabile nel mio restare fermo immobile,
segno i giorni scorrere sul calendario, faccio la vittima, il mandante ed il sicario..

Sono l’Uomo Nero che turbava i sogni quando li facevo, credevo di esser libero ma non
mi conoscevo come adesso ed ego non mi absolvo neanche quando mi confesso dei
peccati che ho commesso – e guido un autodafè –

In cattiva compagnia soprattutto se sto solo, negativo come i G in una picchiata, prendo il
volo, salgo, stallo e aspetto il peggio, che non sta nella caduta ma nell’atterraggio come
dice Hubert. Malato immaginario più di quello di Molière, sono il mio gregario e mi
comporto da Salieri e non chiedermi il perché, che come il Tethered quando perdo il filo
poi non mi puoi più riprendere..

Caro amico non ti scrivo, non ti cerco e non ti chiamo mai, batti un colpo se ci sei e se stai
ascoltandomi, strappami da questo mio torpore atarassico, mi son perso dentro un parco
che è giurassico e non trovo vie d’uscita : vieni a prendermi o precipito, scivolo come
Maximillian verso il buco nero del fastidio: nel tedio per me non c’è rimedio e me ne
accorgo perché sono sotto assedio mentre tu mi fai l’embargo.

Critico, m’arrampico su cattedre che non mi spettano e mi accorgo solo dopo un attimo
che esagero : ma come al solito il danno fatto è irreparabile, la storia è irreversibile, la
mia memoria è labile e lavabile..

Abito quest’ombra con contratto ad equo-canone pagando la pigione all’abitudine e


prendendo l’eccezione come regola di vita : sto di casa a pianterreno e gioco a fare lo
stilita..
Vago, divago, come il dr. Zivago io mi sbraccio e non mi vedi, cerco mani e spesso trovo
piedi, cerco fumi e trovo lumi che mi bruciano, ed io so bene che le cicatrici restano.
Carta, penna e poco più per stare a galla, nella testa il mio pensiero è come un ragno in
una bolla : seduto in riva al fiume aspetta di veder passare il mio cadavere..
pazientemente…

4. La psicologia dell’io di Erik Erikson

18/29
Secondo la teoria psicanalitica classica, l’Io (o principio di realtà) ha il compito di mediare
tra le pulsioni sessuali e aggressive dell’Es e le proibizioni dia
Super-Io. Gli psicologi dell’Io, al contrario, ritengono che la
funzione dell’Io sia soprattutto quella di affrontare il mondo
esterno. Per questa ragione, rivolgono la loro
attenzione soprattutto ai processi di adattamento alla realtà
per un sano funzionamento della personalità.

Uno degli psicologi dell’Io più noti è Erik Erikson, allievo di Anna
Freud noto soprattutto per i suoi scritti sul ciclo della vita nei Erik Erikson (1902-
quali, a differenza di Freud, secondo cui l’influenza esercitata dai 1994)
genitori durante l’infanzia costituisce la causa più profonda dello
sviluppo della personalità, attribuisce un ruolo rilevante alla società che modella la
personalità nel corso della vita.

Come scrisse in Childhood and Society (1963) lo sviluppo dell’essere


umano passa attraverso otto stadi psicosociali, in ognuno dei
quali la realtà sociale o culturali presenta una nuova sfida che
l’Io deve affrontare e risolvere.

Al centro di ogni stadio c’è il principale conflitto psico-sociale che


l’individuo deve risolvere prima di affrontare quello
successivo.

19/29
Prendiamo la quarta sfida psicosociale che il bambino affronta tra i 7 e gli 11 anni: si
tratta della messa alla prova delle proprie capacità nel mondo esterno, oltre la casa
familiare, nel confronto con i propri coetanei. In questo momento il bambino può
apprendere di non aver controllo su ciò che gli accade, di non essere capace a svolgere i
compiti che gli altri affrontano con facilità sviluppando un senso di impotenza attraverso
il quale impara a non essere bravo, competente, capace e a rispondere con sfiducia alle
prove e alle sfide dell’età scolare [vedi Abbas Kiarostami, Compiti a casa]. La
conseguenza dell’impotenza appresa può essere la riduzione dell’autostima e
l’adozione di una postura incline alla depressione.

5. Le teorie socioculturali di Alfred Adler e Karen Horney


Partendo dalle obiezioni di Jung e degli psicologi dell’Io, i critici di Freud si opposero
alla tesi secondo la quale il modo di funzionare della personalità è spiegato dalle
pulsioni biologiche, sostenendo che altri fattori di natura emotiva, culturale e
spirituale, vi giocano un ruolo determinante.

20/29
Tuttavia, né Jung né gli analisti dell’Io, rigettarono la
premessa principale di Freud, secondo cui la personalità è
l’espressione di strutture e processi che si trovano all’interno
della persona. Di conseguenza, la teoria freudiana, quella
junghiana e la psicologia dell’Io possono essere definite
come teorie intrapsichiche. [vedi la critica alla psicanalisi
della scuola di Palo Alto o della “pragmatica della
comunicazione”]

Con il modello di Erikson (1963), viene avanzata l’idea che lo


sviluppo umano si verifica inevitabilmente in un
Alfred Adler (1870 – 1937)
contesto socioculturale. Alfred Adler (1929) e Karen
Horney (1937) arrivarono molto prima a conclusioni
analoghe, in quanto per entrambi
l’individuo è fondamentalmente
un essere sociale le cui
motivazioni ed esperien​ze sociali
sono fattori determinanti molto
effica​ci dello sviluppo della
personalità (teorie interpsichiche)

Karen Horney (1885 – 1952)

5.1 Sé creativo e complesso di inferiorità nella psicologia


individuale di Adler
Alfred Adler fu uno degli aderenti alla Società di
Psicoanalisi fondata a Vienna da Freud. Nel 1911,
evidenziate le forti divergenze dalla psicoanalisi e
da Freud, si dimise e fondò una nuova scuola cui
diede il nome di psicologia individuale.

Al centro della teoria adleriana è il concetto del


Sé creativo, un sistema personale e soggettivo
che consente di interpretare gli eventi della vita
e di attribuire loro significato.

Altro punto focale della sua teoria, che


comparve molto precocemente nella sua
elaborazione, è il concetto di complesso di Alfred Adler
inferiorità, un senso persistente di
inadeguatezza che affonda le radici nell’infanzia, quando il bambino si sente inetto e
impotente rispetto ai genitori.

21/29
Sono le prime esperienze sociali con chi si prende cura di lui a stabilire se gli sforzi
del bambino di superare il senso di inferiorità diventeranno uno stimolo alla crescita o
assumeranno la forma di una lotta per la superiorità. Il nevrotico è mos​so ad agire
dall’ipercompensazione, dal mo​mento che cerca di dominare e sopraffare gli al​tri
per potenziare il proprio Sé. La persona sa​na cerca di migliorare in quanto
individuo per portare il proprio contributo al bene comune.

Il meccanismo psichico dello sforzo verso la compensazione, in base al quale di regola


l’organo psichico reagisce al senso d’inferiorità con uno sforzo per compensare questo
penoso sentimento, ha un’analogia nella vita organica. È un dato di fatto dimostrato, che
organi vitali importanti quando presentano una debolezza finché sono ancora vivi,
incominciano a rispondere con un aumento straordinario delle loro prestazioni
energetiche.

Così quando la circolazione del sangue è minacciata, il cuore lavorerà con un aumento di
forza che prende da tutto l’organismo, si ingrosserà assumendo un volume maggiore di un
cuore che lavora normalmente. In modo simile l’organo psichico, sotto il peso della
pochezza, della debolezza, del senso d’inferiorità, tenterà con sforzi vigorosi di dominare
questo sentimento e di eliminarlo.

Secondo Adler, lo sviluppo dell’interesse socia​le, vale a dire del bisogno di contribuire al
mi​glioramento della realtà in cui si vive, è un aspetto essenzia​le di un sano processo di
maturazione. Gli inte​ressi sociali consentono all’individuo di supera​re l’auto-
assorbimento e di subordinare i fini personali al benessere collettivo.

5.2 Karen Horney, la teoria della personalità nevrotica


Allieva di Karl Abraham, a sua volta allievo di Freud, la
psicologa tedesca Karen (nata Danielsen) Horney si
stabilì negli Stati Uniti nel 1932, durante la grande
depressione economica. A differenza della maggior parte
degli psicoanalisti, che curavano ricchi borghesi, Horney
ebbe a che fare con larghi strati di disagio sociale e
psichico, legato dalla disoccupazione e da relazioni
interpersonali difficili, esperienza ben percepibile nella
sua teorizzazione.

Come Adler ed Erikson, anche Horney vide nella


relazione madre-bambino la dimensione sociale
piuttosto che quella sessuale. Le esperienze infantili
che fanno sentire il bambino solo in un mondo ostile
Karen Horney (1885-1952)

22/29
infondono un senso di insicurezza cronica rispetto al bisogno di ricevere una
gratificazione dei propri bisogni interpersonali. Poiché il bambino si sente insicuro
quando esprime sensazioni di angoscia e di ostilità nei confronti di chi si prende cura di
lui e da cui dipende, questi sentimenti permangono anche nell’età adulta.

Secondo Horney, quando cerca di ottenere sicurezza, l’adulto fondamentalmente


ansioso può mettere in atto tre stili disadattivi di relazione con gli altri.

1. L’adulto nevrotico che ha bisogno soprattutto di amore si avvicina agli altri e cerca
in ogni modo di piacere e così facendo sacrifica la propria crescita personale in cambio
di affet​to.

2. Un’altra soluzione disadattiva consiste nell’allontanarsi dagli altri. Il tipo solitario


cerca la libertà e la distanza, negando i propri bisogni emotivi.

3. Una terza soluzione nevrotica è quella di muoversi contro gli altri, sfruttandoli
aggressivamente per ottenere quello di cui si ha bisogno.

Horney, quindi, si è allontanata dall’orto​dossia freudiana ed stata fra i primi a descrivere


la complessità dei rapporti sociali adulti in termini non sessuali. La psichiatra evidenziò
ampiamente come il comportamento e lo psichismo individuale siano influenzati
molto più dalle condizioni socioculturali che da fattori innati o genetici.

Sia Adler sia Horney hanno enfatizzato il ruo​lo che i bisogni interpersonali frustrati
nell’in​fanzia svolgono nel determinare comportamenti disadattivi negli adulti ed
entrambi hanno studiato con attenzione la qualità delle relazioni sociali.

Questo approccio socioculturale contrasta nettamente con la tendenza freudiana a


descrive relazioni interpersonali come uno sfondo delle gratificazioni istintuali e per la
riduzione tensioni. Freud, perennemente pessimista circa la possibilità di conciliare le
pulsioni biologiche con i vincoli imposti dalla società, considerava ingenue e superficiali le
teorie di Adler e Horney. Il rilievo socioculturale attribuito alle prime relazioni sociali
preannuncia la teoria umanistica della personalità elaborata da Carl Rogers.

23/29
6. La personalità nelle teorie umanistiche
Il movimento che portò alla psicologia umanistica
iniziò nei primi anni ’60. Come reazione alla teoria
freudiana, gli psicologi umanistici formularono
un’ipotesi molto più positiva delle motivazioni di
base. Secondo questi autori, gli esseri umani sono
motivati principalmente a crescere e a realizzare le
proprie potenzialità. Dobbiamo a Kurt Goldstein
(1939, 1940) la prima formulazione teorica Secondo
Goldstein, il comportamento nor​male produce uno
stato di tensione

che rende l’organismo capace di realizzare se


stesso in at​tività sempre nuove, secondo la
propria natura e lo spinge in questa direzione.
Kurt Goldstein (1878 – 1965)
Nel 1954, Abraham Maslow ha descritto
l’autorealizzazione in modo molto differente, come il bisogno

di diventare sempre più quello che si è, di diventare ciò che si è capaci di diventare.

In analogia a quanto aveva detto due secoli prima Jean Jacques Rousseau e in contrasto
con quanto aveva sostenuto Freud, questi teorici ritengono che gli esseri umani siano
fondamentalmente buoni e che la loro psiche si ammali quando viene loro
impedito di seguire inclinazioni naturali.

24/29
Gli psicologi umanistici rifiutano la premessa freudiana secondo cui il comportamento
adulto è inevitabilmente il prodotto di esperienze passate e ritengono, più
ottimisticamente, che la personalità possa modificarsi anche in età adulta.

Secondo le teorie dell’autorealizzazione, le componenti dell’identità emergono da due


fonti: le nostre potenzialità in​trinsecamente uniche e le diverse modalità con le
quali affrontiamo gli impedimenti che incon​triamo nel nostro processo di crescita.

Abraham Maslow e Carl Rogers sono i più noti rappresentanti dell’approccio umanistico.
Maslow ha puntato soprattutto sulle caratteri​stiche della personalità che consentono
l’auto​realizzazione. Rogers, al contrario, si è occupa​to soprattutto degli eventi che
impediscono l’au​torealizzazione e degli effetti che tali eventi producono sullo sviluppo e
sul funzionamento della personalità.

6.1 Maslow, la teoria dell’autorealizzazione


La teoria di Maslow (1968) si basa sulla di​stinzione fra
due tipi di bisogni: i bisogni di base e i metabisogni.

I bisogni di base sono bi​sogni da carenza e sono


pressanti perché segna​lano che una persona manca di
qualcosa; sono organizzati secondo un sistema
gerarchico in cui al primo posto si trova quello più
potente. Una persona deve soddisfare i bisogni del
livello inferiore prima di essere in grado di dedicare le
proprie energie ai livelli superiori.

Come si può vedere sotto, i bisogni fisiolo​gici sono i più


pressanti: chi è privato del cibo o dell’acqua è
ossessionato dall’idea di come sopravvivere. Solo Abraham Maslow (1908-1970)
quando i bisogni fisiologici sono stati soddisfatti
emergeranno i bisogni di sicurezza, il desiderio di protezione e di ordine e i bisogni di
amore e di appartenenza emergono solo dopo che sono stati soddisfatti i bisogni
fisiologici e di sicurezza.

Secondo Maslow, tutti sentiamo il bi​sogno di sentirci amati o apprezzati dagli altri ma,
finché ci troviamo in questa condizione, non possiamo passare a un livello superiore di
amore, che implica interesse e sollecitudine per il benessere degli altri. L’ultimo dei
bisogni fon​damentali implica la stima: il bisogno di essere tenuto in alta considerazione
da sé e dagli altri.

Per riassumere, Maslow ha ipotizzato che sia i bisogni biologici sia quelli psicologici sono
fon​damentali e pressanti. Noi non possiamo dedica​re energie all’autorealizzazione finché
i nostri bisogni di base non sono stati soddisfatti.

25/29
Una volta che si sono affrontati i bisogni di base, emergono i metabisogni, che sono i bi​‐
sogni di crescita per autorealizzarsi, per svilup​pare completamente le nostre
potenzialità, che sono uniche.

I metabisogni, inoltre, implicano una ricerca di qualità spirituali o valori metafisi​ci,


quali la giustizia, la bontà, la bellezza e l’uni​tà. Secondo Maslow, i metabisogni sono
innati nella specie umana. Quando una persona non riesce a realizzarli, può succedere
che si senta alienata, angosciata, apatica e cinica. Quando riesce a soddisfarli in modo
appropriato, invece, crescerà fino a divenire un essere umano nella sua completezza.

A differenza dei suoi predecessori, Maslow ritiene che il vero campo di indagine
della psi​cologia umanistica sia lo studio di persone ecce​zionalmente sane. Per
comprendere l’autorealiz​zazione, Maslow ha compiuto delle ricerche su individui che, a
suo parere, avevano sviluppato al massimo le proprie potenzialità. I criteri di selezione
che ha adottato sono personali e si ba​sano sulle impressioni ricevute, enfatizzando
l’assenza di psicopalologia e la presenza di ten​denze ad autorealizzarsi . L’elenco
finale delle persone che si sono autorealizzate comprende gli amici, i conoscenti e
importanti figure stori​che quali Albert Einstein, Albert Schweitzer, Eleanor Roosevelt e
Abraham Lincoln.

Secondo Maslow, le persone autorealizzatesi hanno molte caratteristiche della


personalità in comune: percepiscono la realtà in modo effi​ciente e sono capaci di
fare emergere la verità, di smascherare la disonestà e di evitare il pre​giudizio nel
momento in cui formulano delle va​lutazioni. A proprio agio con se stesse, queste
persone accettano i propri limiti senza eccessivi sensi di colpa; inoltre, gioiscono
senza inibizioni o artificiosità. Affrancato dai sensi di inferiorità, chi si è autorealizzato
non si impantana in preoccupazioni concernenti la proiezione di un’immagine positiva di
sé, ma è centrato sul problema o sul compito, teso all’attuazione di quanto sta
compiendo, saldo su posizioni pro​fondamente etiche e impegnato nella ricerca di stabili
standard morali.

6.2 La teoria del Sé in Rogers


26/29
Come per Maslow, anche per Carl Rogers le persone sono per natura motivate a crescere
e a realizzare le proprie potenzialità. Il contri​buto principale dato da Rogers alla teoria
della personalità è stato, comunque, quello di mostra​re come
il concetto che una persona ha di sé che emerge
dall’esperienza, possa ostacolare l’autorealizzazione.

Per Rogers, l’esperienza — tutto ciò che è po​tenzialmente


disponibile alla consapevolezza di un organismo — è il
fondamento su cui poggia la personalità. Rogers ha definito
questa totalità dell’esperienza come il campo fenomenico
della persona.

All’interno del campo fenomenico si sviluppa un’area che Carl Rogers (1902-1987)
Rogers chiama il Sé o il concetto di sé, il quale fornisce

Affermazioni come “non sono attraente”, “sono onesto”, “sono intel​ligente” sono tutte
esperienze del Sé e sono au​tovalutazioni. Sfortunatamente, è possibile che queste
affermazioni non siano corrette, perché il concetto di sé subisce pesantemente
l’influen​za delle valutazioni formulate dalle altre perso​ne, soprattutto dai propri
genitori. Rogers de​finisce queste valutazioni condizioni di va​lore.

Quando le esperienze reali sono sostituite da valori assunti da altri, si genera una
frattura tra una falsa valutazione e un’esperienza autentica di sé, ciò che genera
tensione e inquietudine nel soggetto. Il metodo terapeutico proposto da Rogers
propone di fornire condizioni non minacciose per ristabilire il concetto di sé.

27/29
7. Le teorie dei tratti
Le teorie dei tratti assumono l’ipotesi che certe
unità fondamentali della personalità, i tratti,
appunto, siano fondamentalmente innati. Per
questa ragione, il loro interesse si focalizza sulla
descrizione e sulla misurazione a fini
previsionali, non sull’origine delle caratteristiche
personali.

Gordon Allport (1897-1967)

28/29
Sviluppate soprattutto negli Stati Uniti, paese in cui la psicologia ha sempre avuto una
marcata finalizzazione al controllo (si pensi a Skinner, Elton Mayo, Taylor), le teorie dei
tratti si sforzano di individuare gli elementi capaci di dare prevedibilità al
comportamento individuale, a partire da dinamiche interiori quali l’atteggiamento e la

Le teorie più note sono quelle di Gordon Allport, importante psicologo sociale ame​‐
ricano, e Raymond Cattel. Allport ha sostenuto che l’esame di documenti personali —
lettere, diari e autobio​grafie — rivela la personalità e ha difeso la tesi secondo cui i tratti
sono le uni​tà fondamentali della personalità, fondate su ba​si biologiche nel
sistema nervoso, e non già strutture ipotetiche.

La persona che possiede il tratto della sospettosità, ad esempio, vivrà molte situazioni
come potenzialmente pericolose. Il suo comportamento in tutti questi contesti sarà
equivalente dal punto di vista funzionale e cer​cherà di tenere lontano il pericolo.

Secondo All​port, sono solo i tratti decisamente caratteristici a rivelarsi importanti per
una persona. I tratti più incisivi predispongono ad esprimere queste caratteristiche con
una certa frequenza e intensità e in un’ampia gamma di situazioni.

Un tratto cardinale viene espresso con tanta coerenza da influenzare quasi ogni azione
compiuta dall’individuo che lo possiede. Ad esempio, probabilmente conosciamo tutti
una persona che contraddice sempre, qualsiasi cosa venga detta e che solleva sempre
delle obiezioni quando si dice qualcosa. Se ci si comporta in un certc modo, quasi
sempre vorrà l’esatto contrario. Se​condo Allport, tuttavia, sono poche le persone che
presentano dei tratti cardinali.

Sono più ricorrenti i tratti centrali, come la diffidenza, che vengono manifestati con
forte ma non totale, coerenza. Per quanto non siano cosi generali come i tratti cardinali, i
tratti centrali sono molto caratteristici nel comportamen​to di una persona.

Secondo Allport, la maggior parte delle persone può essere descritta con discreta
precisione ricorrendo a un numero sor​prendentemente ristretto di tratti centrali, pro​‐
babilmente da cinque a dieci. In una ricerca com​piuta sulle lettere scritte da una donna,
Allport (1965) trovò che la sua personalità poteva venire descritta da otto tratti centrali:
litigiosa-diffidente, centrata su di sé, indipendente, drammati​ca, artistica, aggressiva,
cinica e sentimentale.

Quando le persone si comportano in modo da contraddire i loro tratti centrali, ce ne


meravi​gliamo e a volte diciamo che stanno interpretan​do un personaggio. Un tratto
secondario si esprime in un am​bito più limitato rispetto a un tratto centrale. Ad esempio,
in alcune rare situazioni persone altrimenti generose si comportano in modo
egocentrico, anche se l’egocentrismo non è solitamente una caratteristica del loro
comportamento. Allport, in questo caso, parlerebbe di tratto secondario.

Raymond Cattel è noto soprattutto per aver sviluppato l’analisi fattoriale, una tecnica
empirica di rilevazione dei tratti, che distingue in originari e superficiali. I tratti originari,
nuclei fondamentali della personalità, fungono da poli di attrazione per le caratteristiche
29/29
secondarie, dando coerenza generale al comportamento.

Esercitazione
1. Illustra le ragioni per le quali, secondo Freud, la coscienza si difende dall’inconscio.

2. Spiega la differenza tra il disagio psichico affrontato dalla psicanalisi nella sua fase
classica (Freud) e le forme del disagio contemporaneo [serviti delle letture di Recalcati,
Adorno, Galimberti]

3. Illustra la fondamentale differenza tra la teoria della personalità di Freud e quelle della
psicanalisi post-freudiana, confrontandola brevemente con la visione di Alfred Adler.

4. Spiega che cos’è l’ipercompensazione e quale ruolo gioca nella personalità nevrotica
secondo Alfred Adler.

5. Illustra il concetto di archetipo nella teoria junghiana della personalità e spiegane


l’importanza.

6. Secondo Galimberti, nell’adolescente oggi «non si verifica più quel passaggio naturale
dalla libido narcisistica (che investe sull’amore di sé) alla libido oggettuale (che investe sugli
altri e sul mondo). In mancanza di questo passaggio, bisogna spingere gli adolescenti a
studiare con motivazioni utilitaristiche, impostando un’educazione finalizzata alla
sopravvivenza, dove è implicito che «ci si salva da soli», con conseguente affievolimento dei
legami emotivi, sentimentali e sociali». Commenta questa affermazione, soffermandoti
sugli aspetti psicologici della mancanza di motivazione (intrinseca) allo studio.

7. Spiega che cos’è l’individuazione nella teoria della personalità junghiana.

8. Illustra l’affermazione di Jung secondo la quale «l’individuazione non ha altro scopo che
di liberare il Sé, per un lato dai falsi involucri della Persona, per l’altro dal potere suggestivo
delle immagini inconsce» [usa Carotenuto].

9. Recalcati evidenzia una duplice tendenza presente nella società contemporanea: «da
una parte l’individuo staccato dalla comunità, atomizzato, ridotto a pura maschera sociale,
prodotto di una identificazione solida, disinserito dai legami per un eccesso di alienazione ai
sembianti sociali; dall’altra parte, la spinta della pulsione che rifiuta la castrazione simbolica
e la sua necessaria canalizzazione sublimatoria per imporsi come una spinta sadiana al
consumo dell’oggetto, come esigenza imperativa di ottenere un godimento senza passare
dall’Altro». Spiega cosa intende.

10. Galimberti scrive che «la mancanza di un futuro come promessa arresta il desiderio
nell’assoluto presente». Definisci le passioni tristi e spiegane il legame con l’assenza di
futuro.

30/29

Potrebbero piacerti anche