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Gazzillo

30/03/2021

Ronald Fairbairn
-Ha vissuto e ha lavorato in Scozia, fa parte del middle group (indipendentisti britannici)
-Autore molto importante ma che non ha avuto uno spazio grande nella psicoanalisi

Importante perché:
- Crea il primo modello unicamente relazionale sullo sviluppo della mente e della
psicopatologia
- Riformula la teoria psicoanalitica freudiana in chiave esclusivamente relazionale
- I traumi alla base della psicopatologia nascono dalle relazioni che il bambino instaura, ed è
una visione ancora oggi valida

Lavora tra gli anni 30 e gli anni 60 sempre in Scozia, isolato dalla vita psicoanalitica inglese
(isolamente geografico)
La sua formazione è freudiana, ma è infuenzato anche dalle teorie kleiniane e dagli studi filosofici
e teologici:
la filosofia lo ha influenzato per il grande rigore delle sue teorie
la teologia per le metafore che utilizza per spiegare la psicopatologia

Fairbairn non fonderà mai una sua scuola, e solo negli anni 80 quando si afferma il modello
relazionale prima negli USA e poi in Europa, che ci sarà la riscoperta di Fairbairn nella psicoanalisi.

A un certo punto lui fa una descrizione sintetica del suo modello in sole 2 pagine (e schematizza i
punti portanti della sua teoria in varie sinossi).

Concetti portanti della prospettiva di fairbairn:

- Afferma che un “io” è presente fin dalla nascita (vicino alla Klein ≠ Winnicott e Anna freud
che invece ritenevano che l’io si sviluppasse solo in seguito alla nascita).
Con questa affermazione, lui voleva dire che i bambini anche molto piccoli (con poche ore
di vita) hanno delle capacità di percezione della realtà sofisticate e interagiscono con la
realtà fin da subito ma ovviamente con le limitate capacità motorie, linguistiche, cognitive

Affermando questo, la rilevanza dell’es è messa in discussione; e questo implica la


necessità di mettere al centro della psicopatologia e dello sviluppo del bambino qualcosa di
diverso dalle sole pulsioni (regolate appunto dall’es), e che vedremo dopo

LA LIBIDO

- La libido è una funzione dell’io e non più dell’es. Fairbairn capovolge con questa
affermazione la visione feudiana ( in cui invece la libido era regolata dall’es).
Secondo lui, l’idea dell’io che deve scendere a patti con le richieste che gli arrivano dall’
interno e cioè dall’es, che è espressione della sua natura primitiva infantile e animale, non
funziona. Questo perché la stessa libido è gestita dell’io  l’essere umano NON è vittima di
forze impersonali interne di retaggio animale e primitivo.

- Punto 5 della sua sinossi: l’io (e quindi la Libido) è fondamentalmente alla ricerca
dell’oggetto. Egli ci dice che fin dall’inizio il bambino ha bisogno di rapporti con gli altri,
non perché questi rapporti gli permettono di soddisfare le sue pulsioni, ma è perché prova
un piacere naturale da questi rapporti.
Per crescere e stare bene noi abbiamo bisogno di relazionarci con gli altri esseri umani.
QUESTO BISOGNO DI RELAZIONARSI LO CHIAMA LIBIDO.

La libido non è vista più come un’energia psichica, come la definiva Freud.

Per fair. la libido è semplicemente il bisogno intrinseco, tipicamente umano, che abbiamo
nel creare rapporti con gli altri, che è un’espressione della natura umana. Ognuno di noi ha
bisogno di essere amato e ha bisogno di vedere che il suo amore venga riconosciuto
dall’oggeto al quale lui si rivolge.

L’AGGRESSIVITA’

Fair. si chiede quale sia il ruolo dell’ aggressività e se esistono pulsioni che si contrappongono alla
libido?
Punto 3 della sinossi:
Non esiste la pulsione di morte che si contrappone alla pulsione di vita l’aggressività nasce come
conseguenza della frustrazione provata dalla deprivazione delle relazioni con gli altri, e cioè
quando le relazioni di cui il soggetto ha bisogno gli vengono sottratte.

- L’aggressività è dunque REAZIONE data dalla deprivazione di un bisogno naturale


dell’individuo (cioè di relazionarsi con gli altri)

- Dato che la libido è una funzione dell’io e l’aggressività è solo una conseguenza del non
appagamento di queste relazioni, non può esistere un’entità come l’es.

L’essere umano ha a che fare per tutta la vita con i suoi bisogni naturali di avere rapporti on
gli altri essere umani, e tutte le sofferenze che ne seguono sono causate dall’impossibilità
di avere questi rapporti.

-Fairbairn dunque nega la presenza dell’es come parte della mente disorganizzata e primitiva nella
quale ci sono pulsioni di vita (libido) e pulsioni di morte.

L’ANGOSCIA DI SEPERAZIONE

La prima forma di angoscia più primitiva sperimentata dal bambino è l’angoscia di separazione:
perdere gli oggetti che gli danno ciò di cui ha bisogno causa angoscia

2 premesse importanti:

1) Il primo a parlare di angoscia di separazione è stato Freud (cfr. paura di perdere l’oggetto
come prima angoscia provata dal bambino nello sviluppo psicosessuale)
2) L’immagine che emerge dell’essere umano secondo Fair. e il suo modo di concettualizzare
l’apparato psichico (privo di sé e dominato dall’io) è molto vicina alla psicoanalisi
contemporanea, e ancora oggi trova spazio nei psicoanalisti odierni (ancora oggi gli
psicoanalisti non parlano di es, e spesso si usa il termine “sé” per riferirsi all’io)

I traumi relazioni per Fairbairn sono reali: - confronto con gli altri autori-
- Freud ci diceva che l’angoscia di perdere l’oggetto è più che altro una paura di trovarsi
invasi e allagati da pulsioni inappagabili perché ci manca l’oggetto pulsionale, e questo
causerebbe il trauma.
- Per la klein, la perdita dell’oggetto si riferisce a molte cose: 1) alla perdita della relazione
intrauterina con la madre appena si nasce, 2) al fatto che se perdiamo l’oggetto buono
questo non ci fornirà protezione e saremo esposti agli attacchi degli oggetti cattivi, 3) un
qualcosa legato alle angosce depressive (angoscia di aver distrutto per sempre l’oggetto
buono per la troppa aggressività).
- Per Winnicott invece questa perdita dell’oggetto fa riferimento alla privazione di
esperienze che permettono al bambino di scoprire chi è veramente, e ciò causa angosce
primitive nel bambino.
- Anna freud concettualizza questo tema in linea con la teoria del padre.
- Per Fairbairn, visto che noi per vivere e crescere abbiamo bisogni di rapporti con gli altri,
l’angoscia di perdere l’oggetto è data dalla paura di separarsi dall’oggetto, ed è come se
perdessimo ciò che ci permette di esistere, crescere, essere vivi ed essere considerati come
degli essere umani.
Quindi l’angoscia di separazione è molto reale per Fairbarin, è un qualcosa di fisoco, non
come Freud che la vedeva più come un allagemento mentale.

Concetti centrali della teoria: L’interiorizzazione dell’oggetto

- Punto 7 della sinossi: “l’interiorizzazione dell’oggetto è una manovra difensiva adottata dal
bambino contro l’oggetto originario (madre e suo seno) in quanto viene reputato
insoddisfacente; inoltre questa interiorizzazione è un processo psicologico distinto”.

Spiegazione: abbiamo visto come Freud distingueva identificazione (processo attraverso il


quale un soggetto inizia a pensare e vedere come un altro, iniziando così a comportarsi come,
ed è un processo tipico nel lutto) introiezione (processo per mezzo del quale un oggetto
esterno viene collocato all’interno di sè, ex: introiezione delle rappresentazioni genitoriali che
sfociano nella creazione del super io), Interiorizzazione (processo di assimilazione di funzioni
che originariamente sono svolti da un’altra persona e che ci insegna a gestirle ex: fare propri gli
insegnamenti di Gazzillo per comprendere la psicologia dinamica, oppure imparare da un
maestro di canto come si diventa intonati).

Per Fairb., invece, questo processo di interiorizzazione dell’oggetto ha a che fare sia con
l’identificazione sia con un processo di attribuzione causale (=attriuire su se stesso cose non
vere):
Come arriva a questa visione? :
Fairbairn, parlando con i bambini in orfanotrofio che erano stati fortemente traumatizzati (ex.
Da mamma violente, papà abusatore…) gli chiedeva “certo che tua mamma è proprio cattiva
per averti abbandonato qui in orfanotrofio”. I bimbi rispondevano “nono sono stato io ad
essermi comportato male ecco perché mi hanno portato qui”.
L’interiorizzazione dell’oggetto, allora, per Fairbairn diventa il fatto che di fronte all’oggetto
cattivo violento e abusatore, il bambino non dice mamma è cattiva o papà è cattivo ma IO
SONO CATTIVO, il bimbo attribuisce su di sè le colpe dell’oggetto e la responsabilità dei brutali
trattamenti ricevuti, e fa questo per vari motivi:
1) Per sviluppare maggior controllo sulla realtà esterna
2) per preservare i rapporti con i genitori, attribuendosi le loro colpe. (il bimbo cambia sè
stesso pur per preservare i rapporti con i suoi genitori anche se essi sono stati violenti e
cattivi con lui, proprio perché l’essere umano non può fare a meno di questi rapporti)

Gli oggetti buoni, ti permettono di crescere, di diventare te stesso; non devi modificarti di
fronte a loro, non devi distorcere il tuo modo di essere per adattarti a loro.

VS

Viceversa, in presenza di relazioni con oggetti cattivi, tu sei costretto a modificarti, adattarti a
loro: ragion per cui cambi te stesso attribuendoti le colpe pur di preservare le relazioni. Inizi a
pensare di essere tu quello cattivo, di essere tu quello sbagliato e che gli altri sono sempre
giusti, il bimbo inizia a pensare che anche se mi abusano mi menano o sono violenti con me la
colpa è solo la mia.

Inoltre, l’interiorizzazione dell’oggetto è per Fairbairn un processo psicologico distinto, cioè che
finisce per modificare il mondo interno e l’apparato psichico della persona.

L’APPARATO PSICHICO SECONDO FAIRBAIRN

CAUSE DEL TRAUMA NEL BABINO:


Fairbairn introduce un nuovo concetto che poi sarà confermato empiricamente da Bowlby; egli
ritiene che le esperienze traumatiche hanno una struttura molto simile tra di loro: il bambino
si relazione a un oggetto che all’inizio sembra buono, che può appagare i suoi bisogni e che
genera in lui speranza; ma poi quest’oggetto in maniera improvvisa finisce col non essere più
buono, inizia a maltrattare e rifiutare il bambino, e ciò causa dolore rifiuto, delusione nel
bimbo.
Questa situazione è molto difficile da gestire per il bambino.
Un bimbo molto piccolo non sarebbe in grado di gestirlo, e l’unica cosa che può fare per
gestirla , dopo aver interiorizzato l’oggetto come abbiamo visto, è sviluppare dei meccanismi di
scissione: il bimbo scinde l’oggetto in 3 parti:

1) OGGETTO IDEALE: fa riferimento alla parte dell’oggetto sufficientemente buona, cioè quei
momenti in cui l’oggetto forniva al bambino ciò di cui aveva bisogno, lo sosteneva (cfr.
ideale dell’io di Freud), sono quelle esperienze che all’inizio sembrano buone ma che poi
diventeranno traumatiche.
L’oggetto ideale ed è in relazione con l’io centrale.
Quando ci troviamo in relazione con certi oggetti, queste esperienze infatti non riguardano
soltanto l’altro (= l’oggetto), ma anche a come noi ci relazioniamo, quello che noi proviamo
nella relazione (che in questo caso è appunto l’io centrale).
Questo oggetto ideale non deve essere rimosso, in quanto non ci causa particolare dolore
ma anzi ci da possibilità di crescere, e anzi diventa l’agente della rimozione delle altre 2
parti dell’oggetto che ora vediamo.

Le altre 2 scissioni dell’oggetto sono connesse invece alla parte traumatizzante e come tali
vengono rimossi:

2) OGGETTO ECCITANTE: insieme delle relazioni con l’oggetto nelle quali il bimbo ha ancora
una forte speranza di credere di poter ottenere ciò di cui ha bisogno dall’oggetto, di
crescere bene grazie alle sue cure.
Questo oggetto è in relazione con una parte dell’io chiamato l’io libidico (quella parte
dell’io che ha creduto alle promesse dell’oggetto apparentemente buono e che poi si è
rilevato un oggetto cattivo)
(l’io libidico è quello che freud concettualizzava come es).
L’oggetto eccitante viene rimosso perché causa molta sofferenza nel bimbo, che si trova
deluso.

3) OGGETTO RIFIUTANTE: cioè l’insieme degli aspetti dell’oggetto attraverso i quali il bimbo si
è reso conto che l’oggetto non è in grado di appagare i suoi bisogni e ad aiutarlo a crescere
bene; il bimbo inizia a sentirsi molto tradito dall’oggetto che da buono è diventato ccattivo.
Questo oggetto è in relazione con l’io anti-libidico anche detto “io sabotatore interno”: è
quella parte dell’io piene di dolore, disperazione, rabbia e risentimento proprio perché
continua ad essere in relazione con l’oggetto rifiutante.
Questo oggetto viene rimosso.
Qui hanno luogo le dinamiche aggressive dell’io contro l’oggetto cattivo (cfr. posizione
depressiva della klein)

Sono queste 3 parti dell’io (io centrale+io libidico+ io antilibidico), causate dalla scissione
dell’oggetto in 3 parti, a creare la struttura psichica, di cui le ultime due (io libidico e io
antilibidico) sono rimosse perché troppo dolorose.

Una volta interiorizzato l’oggetto il bambino può gestire l’interiorizzazione dell’oggetto


rifiutante e di quello eccitante in 4 modi, sviluppando 4 possibili psicopatologie:
Paranoia / ossessione / isteria / fobia

Inoltre, Fairbairn aggiunge che l’io libidico e l’io antilibidico sviluppano relazioni reciproche tra
di loro. In particolare, L’ io antilibidico attacca l’oggetto eccitante e l’io libidico perché è come
se l’io antilibidico volesse far capire al bambino di non credere che esista un rapporto buono
con quell’oggetto perché ne verrà deluso e si rivelerà come un oggetto violente e cattivo
(processo di rimozione secondario)
Ecco perché L’io antilibido funge da sabotatore interno e come coscienza morale.

 super io: per fairbairn è formato da oggetto ideale (che costruisce l’aspetto buono del
super io), io anti-libidico (che costruisce il ruolo di coscienza morale del super io che si
oppone all’io libidico perché già sa che diventerà cattivo, come abbiamo appena visto)
oggetto rifiutante (che è la componente sadica del super io che prova piacere dal
dolore inferto all’io)
 Es: non esiste, il suo ruolo viene sostituito dall’io libidico
 Io: esiste fin dalla nascita

Questa triplice scissione costituisce l’analogo della pos. Schizoide della klein (schizo=scissione
appunto): Se il conflitto principale dell’essere umano è un conflitto schizoide (la paura di
distruggere l’oggetto col proprio amore, idea che è la propria natura più vera ad essere tossica,
cattiva), è come se questo nucleo schizoide noi lo ritrovassimo a livello esperienziale sia nella
relazione tra io libidico e oggetto eccitante ma, più in generale, fosse il nucleo strutturale
dell’intera personalità; per f. la struttura psichica è costruita da oggetti e parti dell’io scisse fra di
loro. Dall’altra parte la componente depressiva del conflitto descritta da Melanie Klein la
ritroviamo nei rapporti tra oggetto rifiutante e io antilibidico perché è lì che hanno luogo
dinamiche aggressive e distruttive che contrappongono l’Io a un oggetto vissuto come frustrante.

Ma il complesso edipico che fine fa in tutto ciò?

Tutto ciò che abbiamo visto accade nello stadio di dipendenza assoluta (prima fase dello sviluppo
psicosessuale così come era chiamato da Winnicott, e rirpeso poi da Fairbairn), in cui il bimbo più
che a dare è orientato verso al prendere, al ricevere l’amore dal suo caregiver (la mamma)

Dopo, subentra anche la figura del padre e con lui si verificano le stesse dinamiche che sono
successe con la mamma.

Durante il c.e., il bambino cerca di dare un ordine al suo mondo interno, e per fare ciò farà
coincidere con uno dei due genitori l’oggetto eccitante e con l’altro l’oggetto rifiutante:

nel c. e. + : la madre è l’oggetto eccitante (capace di appagare le sue pulsioni) e il padre è visto
come l’oggetto rifiutante che potrebbe causargli traumi e delusioni
nel c. e. -- : succede l’esatto opposto; il padre diventa l’ oggetto eccitante e la madre l’oggetto
rifiutante che potrebbe fargli del male.

Ruolo della morale nel conflitto psichico:

L’origine dei problemi psichici deriva da relazioni reali traumatiche esterne.

Nella relazione violenta, il male è l’oggetto che è trascurante e traumatizzante verso il bambino.

La posizione di base è data dall’accettare i sentimenti di dolore e impotenza connessi a questi


traumi originali vissuti, questo perché il bimbo non può pensare che i suoi genitori siano cattivi e
malvagi con lui. Allora, finisce con lo sviluppare l’idea che è lui ad essersi comportato male con i
genitori e quindi che si meritava la loro punizione (primo livello di difesa).
La difesa morale consiste nell’idea di concentrarsi sui conflitti interni soggettivi relativi alla
propria capacità di funzionare all’altezza di standard e di valori ideali.
Soffrire (di qualche psicopatologia) in conseguenza dell’idea di aver violato un valore morale e di
essersi comportato male, questa è già di per sé una difesa.
È una difesa perché pone al centro dell’esperienza soggettiva la morale del soggetto e la violazione
di alcuni valori.
A conti fatti: il senso di colpa connesso alla consapevolezza di aver violato dei propri valori
morali, può essere un modo per allontanare dalla consapevolezza l’idea di essere stati alla
mercé di oggetti cattivi.

Fairbairn parla di difesa morale: per difendersi dall’esperienze traumatiche originali, il


bambino deciderà di pensare che la violenza dell’oggetto derivano da un errore da lui
commesso e non dall’oggetto cattivo.
Quindi il senso di colpa diventa una difesa morale contro la sensazione di impotenza che il
bambino può provare quando capisce che l’oggetto primario non lo ama, non gli sta più vicino
e che se gli attribuirebbe le cause della violenza, lo perderebbe; ragion per cui preferisce
prendersele lui, colpevolizzandosi ingiustamente

Processo terapeutico

- Per Freud, la psicoterapia aveva come scopo il far diventare cosciente ciò che era inconscio
(far subentrare l’io dove ristagnava l’es)
- per la Klein si usava il gioco con i bambini e la psicoanalisi permetteva di scendere a patti
con la distruttività che il bambino esercitava anche verso l’oggetto buono, per evitare di
perderlo definitivamente
- per Winnicott, l’analisi serviva per regredire alla fase della dipendenza assoluta per
appagare quei bisogni rimasti inappagati in quella fase dalla mamma che non ha
adempiuto correttamente ai suoi ruoli
- per Anna Freud la tecnica è uguale a quella del padre ed è utile rieducare i bambini

- Fairbairn rivoluziona la psicoanalisi:


Secondo lui, durante la terapia il paziente cerca inconsciamente di portare il terapeuta nel
sistema chiuso del suo mondo interno: cioè e come se il paziente inconsciamente
percepisca l’analista come simile ai suoi due io scissi rimossi (io libidico e io anti libidico) e il
compito dell’analista è di liberarsi da queste rappresentazioni del paziente per instaurare
con lui un rapporto diverso: l’analista deve creare una relazione reale, umana con il
paziente.

L’obiettivo dell’analisi è che per mezzo delle relazioni reali, umane e affettive tra paziente-
analista, si può trasformare il mondo interno del paziente e correggerlo

Quindi, per Fairnbairn, l’analista non deve essere freddo distaccato e anaffettivo ma
piuttosto deve essere caloroso e umano con i pazienti.

Fairbairn non usa il lettino e ritiene che la durate delle sedute si possa adattare alle esigenze
del paziente, proprio per creare ancora di più questa relazione umana:
Questi concetti di plasticità del setting analitico saranno ripresi dalla cmt (control mastery
theory), sdoganandosi dall’obbligo ancora oggi presente in psicoanalisi di usare il lettino e del
prefissare sedute con un orario stabilito e inamovibile.

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