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IL SOGGETTO BARRATO

UMBILDUNG = Teoria educativa dell’autoformazione del soggetto


Detta anche Pedagogia trasformativa: costituisce una sorta di autodeterminazione di
un “io in svolgimento”, non trasmette un modello, un sapere, una linea di condotta, ma
attiva un riconoscimento delle dinamiche emotive, affettive, relazionali, che ci
costituiscono per come siamo fatti.

Lacan afferma che “noi siamo il risultato delle parole che gli altri ci hanno detto”
La costruzione del sé ha a che fare con l’immagine costituente che il soggetto realizza
attraverso il rapporto con il linguaggio, con l’altro e coi vettori del desiderio.

PSICO = scelta metodologica della disciplina


PEDAGOGIA = si riferisce al terreno di applicazione della disciplina
PSICOPEDAGOGIA = studio di tutti i comportamenti che possono essere stimolati e
osservati in situazioni psicopedagogiche, cioè di istruzione, quindi in situazioni di
apprendimento e insegnamento.
PSICOPEDAGOGIA TRADIZIONALE = studi rivolti alle pratiche dell’apprendimento
e dell’insegnamento per indagare sulle tecniche e sulle strategie più utili al buon esito
dei processi didattici (gestione della classe, istruzione programmata)

PSICOPEDAGOGIA LACANIANA = preferisce una metodologia psicodinamica a una


comportamentista e cognitivista. Ha a che fare con una rivoluzione del concetto stesso di
soggetto, che si distingue dal concetto di Io.
Questa psicopedagogia si costituisce su una posizione anaclitica = ogni processo di
soggettivazione e di costituzione di un sé autentico è sempre etero-fondato.
Il soggetto si costituisce solo attraverso la causalità psichica, cioè da una precedente
identificazione con l’altro.
Qui vi è la natura paradossale del soggetto lacaniano, che diventa autentico solo dopo
aver assorbito un’immagine di sé alienante, perché deriva dall’esterno.

Ogni processo educativo è una sorta di transfert, ha a che fare con una trasmissione del
sapere. Il vettore che unisce un sapere a un soggetto passa attraverso l’irripetibilità della
ricezione che ogni soggetto possiede e che attraverso l’attivazione di quelle dinamiche
pedagogico-comunicative (parola piena), staccano il soggetto da una dimensione
omologante e gli presentano la possibilità di accedere alla sua più autentica visione del
mondo.
SOGGETTO PER LACAN
“Sono dove non penso, penso dove non sono”. Il soggetto è sempre un soggetto
barrato.
L’individuo quindi è semplicemente il portatore del discorso dell’inconscio, e
l’inconscio è il vero soggetto. La nostra parte razionale rappresenta solo il contenitore
nel quale l’inconscio compie le sue rappresentazioni ed esprime la sua verità, il suo
desiderio.
L’io rappresenta un mero sintomo dell’inconscio; tra l’essere e il pensiero Lacan
inserisce il linguaggio, chiave di accesso all’inconscio e dunque la sua espressione
discorsiva.
In sostanza, per Lacan la soggettività è una struttura barrata che la divide in una maniera
tale per cui non è possibile pensare l’identità tra soggetto ed io.

COGITO ERGO SUM


Il soggetto sta nell’ERGO
Il soggetto lacaniano è scisso, diviso, ha tratti confusi, non possiede un centro, ed è
barrato perché è segnato da una divisione.

JE (SOGGETTO) + MOI (IO) costituiscono la struttura barrata della soggettività.


Il soggetto lacaniano non è il soggetto che parla e che sa che cosa dice, ma ha a che fare
con l’enunciazione, cioè con le modalità di comunicazione che non procedono per
significati ma per significanti.
Il Je è il soggetto che non sa cosa dice, la sua verità appartiene a una discorsività che si
manifesta attraverso le formazioni dell’inconscio (sogni, lapsus, dimenticanze) = in
esse è contenuta la verità del soggetto, la sua natura autentica.
Il vero protagonista della soggettività barrata è l’inconscio.

IO = per Lacan è come una cipolla: un insieme di identificazioni stratificate che non
giungono a nessun nucleo coeso, in quanto sono semplici interiorizzazioni
dell’immagine di noi stessi, che l’altro ci ha restituito. L’Io rappresenta la risposta alla
domanda: Chi ti credi di essere?

CAPITOLO 1: I REGISTRI
L’inconscio per Lacan, più che rappresentare un vaso di Pandora dell’irrazionalità
umana, è pensato come un’altra forma di razionalità, un’altra ragione, come un
discorso che va interpretato con altri strumenti e con altri vocaboli che non
appartengono al lessico della coscienza.
Lacan afferma che l’inconscio è strutturato come un linguaggio, cioè più che
nascondersi, esso parla. Quindi l’Io è strutturato come un linguaggio, ovvero esprime e
rende visibile l’oggetto di un discorso mascherato.
Il soggetto lacaniano è incollocabile perché la sua strutturazione non è protesa verso un
traguardo finale.
REGISTRI: sono degli ordini generali di organizzazione dell’intera vita psichica
dell’individuo, delle esperienze psichiche, dei contenitori di senso che caratterizzano la
nostra vita.
Essi sono:
- Immaginario
- Simbolico
- Reale

IMMAGINARIO
Categoria psichica alla base della formazione della propria immagine.
Per capire cos’è il soggetto dobbiamo prima capire cos’è l’Io, e la sua costruzione
avviene proprio nel registro dell’Immaginario.
Freud afferma che la costituzione del soggetto avviene attraverso l’incontro con due
oggetti:
- il corpo della madre, che da origine alla forma d’amore detta anaclitica
- il proprio corpo, che da origine alla forma d’amore detta narcisistica

Lacan formula la Teoria dello stadio dello specchio: se per Freud la genesi del
narcisismo risiedeva nel rapporto del soggetto con la propria immagine, Lacan afferma
che proprio questa immagine ideale di se stessi svolge una funzione morfogena, cioè
forma l’io.
Quindi l’incontro con l’immagine ideale del nostro corpo, quando ancora non siamo
consapevoli del suo perimetro e della sua conformazione, permette che si costituisca ciò
che Lacan definisce il primo abbozzo della soggettività: l’Io.
Lacan spiega che per la vita di ognuno c’è stato un tempo in cui non esisteva la
consapevolezza della propria immagine corporea: il bambino, nei primi mesi di vita, è
un corpo in frammenti, confuso nel caos post-nascita.
Tra i 6 e i 18 mesi subentra un momento logico in cui il bambino ha una anticipazione
della totalità e della forma del proprio corpo.
Qui Lacan usa la metafora dello specchio = il bambino, posto davanti a uno specchio,
riconosce la sua immagine corporea, ricevendone gratificazione.

Questa immagine esterna viene interiorizzata, idealizzata ed erotizzata, costituendo la


prima identificazione del soggetto: quest’ultima è la prima di una lunga serie.
L’Io è la struttura ortopedica del corpo in frammenti, ed è etero-fondato perché è un
oggetto mutuato dall’esterno.
L’Io è paradossale perché rappresenta il prodotto di un riconoscimento grazie
all’immagine esterna, e allo stesso tempo scatena un misconoscimento, un alienazione
all’interno della soggettività, perché ci sarà sempre un’impossibilità di aderire
perfettamente all’immagine dello specchio.
Oggetto della relazione che ogni soggetto intrattiene con l’immagine dell’altro
(specchio, madre) = a

IO ( MOI) → stratificazione di identificazioni (cipolla) → Costituzione del SOGGETTO


( JE)

SIMBOLICO
Categoria psichica che ha a che fare con il superamento dell’alienazione immaginaria e
che arriva a strutturare il soggetto, il Je.
Se l’immaginario coincide con l’ordine dello sguardo, dell’immagine corporea,
dell’altro, il simbolico coincide con l’ordine della parola, del linguaggio, del
significante, inteso come vettore del linguaggio, trascendente rispetto all’altro.
Lacan per differenziare l’altro inteso come simile e l’altro inteso come linguaggio, usa
per quest’ultimo la A (Grande Altro).

Il simbolico ha un primato rispetto all’immaginario perché permette all’uomo di dis-


identificarsi da quella immagine condannata a descriverlo, gli dona un nome e lo mette a
contatto col suo Je.
Il Grande Altro, luogo della parola intesa come ordine anonimo e uguale per tutti,
paradossalmente singolarizza l’uomo, facendolo accedere alla sua verità più profonda.
Questa dialettica tra Immaginario e Simbolico avviene all’interno della fase dell’Edipo.

Secondo Lacan l’uomo è il prodotto dell’azione della cultura sulla natura, e la sua
conformazione istintuale è castrata dall’azione del Grande Altro, inteso anche come
sistema culturale, istituzioni, miti, riti, visioni del mondo, che alimentano il legame
sociale.

Il passaggio dall’autoerotismo del rapporto con la propria immagine alla relazione


intersoggettiva con l’Altro è possibile solo grazie all’Edipo.
In Freud esistono due formulazioni dell’Edipo:
- come complesso = desiderio del bambino per uno dei due genitori e ostilità per l’altro
- come struttura normativa = modo in cui il soggetto sottomette il desiderio a una
legge
In Lacan è più rilevante la seconda = il padre serve al bambino per liberarlo dalla
relazione fusionale con la madre, e questo padre non è necessariamente inteso in senso
biologico, ma è rappresentato da una funzione, detta metafora paterna, che è un
significante, ed è definita da Lacan come Nome-del-Padre.

Mentre in Freud l’Edipo veicola attraverso tre termini, ovvero bambino, madre e padre,
in Lacan ve ne sono 4: il bambino, la madre, il Nome del Padre e un altro
significante, il Fallo. Il bambino non vuole semplicemente avere la madre, ma vuole
essere ciò che manca alla madre, e questo è proprio il Fallo.
I tre tempi dell’Edipo lacaniano:
- il bambino desidera essere la mancanza della madre, e si identifica col Fallo
- l’interdizione paterna, cioè l’entrata in scena di una terza figura scinde il maternage
(rapporto madre-figlio) con la legge della castrazione simbolica.
- il bambino passa dall’identificarsi col Fallo della madre al desiderare di avere un Fallo.
Qui egli smette di pensarsi esclusivamente nel maternage e, accedendo al Nome del
Padre, cessa di essere un fallo e comincia ad avere un fallo.

Quindi il soggetto accede al Grande Altro attraverso la castrazione simbolica del Nome
del Padre, si stacca dal maternage e può cominciare la sua vita all’interno del legame
sociale.

REALE
E’ il registro del corpo come sostanza godente, è un ordine di irrapresentabilità del
senso, è l’impossibile da simbolizzare, costituisce il carattere ripetitivo della pulsione
di morte. Il Reale non può essere rappresentato in nessun modo, è fuori dalla struttura
ed è muto. L’Edipo castra il soggetto dal maternage, ma questo non basta: c’è un resto,
uno scarto che non si lascia culturalizzare dal Grande Altro che, per questo, arriva a un
punto di inconsistenza, rimanendo anche esso barrato.
Lacan quindi afferma che il Grande Altro non è una struttura rigida e chiusa, ma anche
esso ha un punto di frattura, un limite segnato dall’impossibilità di simbolizzare tutto.
Questo punto di fuga è il non-senso, l’irrazionale, e il Reale è il luogo di questa
inconsistenza dell’Altro, il luogo dell’A barrato.
Il reale è ciò che torna sempre allo stesso posto.

La pulsione di morte è una spinta libidica contraria al principio di piacere.


Quest’ultimo è l’unica forza che regge la vita degli altri esseri viventi che non siano
parlesseri: ma la vita psichica dell’uomo non è organizzata solo da questa razionalità
biologica. Essa è abitata da un’altra pulsione, cioè quella di morte = la sua struttura è
quella della ripetizione: una forza che tende a riprodurre dei comportamenti che giocano
un ruolo di godimento per l’inconscio, anche quando essi ledono la vita.
Il sintomo sta nella ripetizione, siamo portati a ripetere ciò che provoca godimento.
Quest’ultimo ha a che fare col piacere, ma anche con le dipendenze da sostanze,
sintomatologia ossessivo-compulsiva, angoscia, panico, fantasie depressive o
paranoiche, la compulsione dei disturbi alimentari.
Il godimento è l’energia libidica del Reale.

Quando parliamo di Reale ci tiriamo dietro altri due elementi della Teoria di Lacan:
- quello di Das ding (La Cosa)
- quello di oggetto piccolo a
Da dove si origina questo godimento del corpo pulsionale?
Das Ding è una idea rimossa e irrappresentabile dell’oggetto perduto del
soddisfacimento primitivo, pallido ricordo inconscio della vita prenatale, del godimento
fusionale col corpo della madre.
Questo oggetto è cancellato dalla castrazione simbolica, ma la sua cancellazione lascia
sempre un residuo, gli oggetti piccoli a, che sono un derivato della Cosa, ma non sono la
Cosa. Sono oggetti presenti nella vita reale, oggetti causa del desiderio, sebbene la loro
natura sia quella di alludere a una mancanza del godimento materno, che non può essere
rappresentato né ricordato, ma che torna nella ricerca di suoi sostituti sempre inadeguati
a colmare quella falla.
Gli oggetti piccoli a sopravvivono alla Cosa cancellata, mettono in atto una continua
ricerca di sostituti che in realtà è una inconscia nostalgia del godimento della Cosa.

Struttura del Reale = irrappresentabilità


Attributo clinico del Reale= ripetizione
Campo psichico del Reale = Das Ding

Il peso specifico riservato al Simbolico lascia il posto al Reale.


Lacan comincia a parlare di etica, differenziando l’etica filosofica da quella
psicoanalitica.
Se per la filosofia l’etica ha come obiettivo il raggiungimento del Sommo Bene, per la
psicoanalisi il Bene del soggetto è La Cosa.
Lacan definisce la Cosa come l’Altro preistorico, l’Altro indimenticabile, oggetto
perduto, cosa materna. Il Bene, per la psicoanalisi, coincide con l’avvicinamento che
ognuno tenta di avere nei confronti della sua Cosa, la sua idea di appagamento.
Essa è un godimento idiota.

La Cosa è:
- fuori significato, è un buco al centro del Reale, come un buco nella ciambella (senza
quel vuoto la ciambella non avrebbe senso)
- perduta, perché cancellata dalla castrazione simbolica del Nome del Padre
- ritrovata in altre cose, perché dopo la sua cancellazione rimangono i piccoli oggetti a

La Cosa quindi è la fonte generatrice del godimento.


Per Lacan il godimento è come la Botte delle Danaidi, un’attività che non finisce mai.
Non ci sentiamo soddisfatti degli oggetti piccoli a, li rincorriamo e ne cerchiamo sempre
altri a causa della struttura stessa del godimento, cioè la ripetizione della pulsione di
morte.
Il soggetto lacaniano è un soggetto sempre in bilico tra titanismo e autodistruzione, tra
autocompiacimento e inadeguatezza, se così non fosse non ci sarebbe bellezza
dell’umano.
CAPITOLO 2: LA METODOLOGIA LACANIANA NEGLI STUDI SULLA
FORMAZIONE

Quella di Lacan potrebbe essere pensata anche come una pedagogia dell’incontro: la
formazione della soggettività avviene infatti attraverso una serie di incontri decisivi, che
potrebbero essere ricondotti a tre tipologie.
Il nostro rapporto con l’Altro ci struttura come soggetti, ci forma:
- incontriamo l’Altro come doppio, come nostro simile (registro immaginario)
- incontriamo l’Altro come terzo (registro Simbolico)
- incontriamo l’Altro come unità irrappresentabile col nostro corpo pulsionale
(registro Reale)

Lacan ha ridefinito la psicoanalisi freudiana attraverso l’innesto con la linguistica


strutturalista.
Egli non intendeva sovrapporre il fine ultimo della pratica analitica con un ideale di
padroneggiamento e di controllo della coscienza, ma come un’assunzione del proprio
sintomo in quanto verità del soggetto.
Per Lacan il sintomo non è qualcosa di cui sbarazzarsi per portare il paziente in una
dimensione di normalità psichica. In questo senso il termine paziente viene sostituito
con “analizzante”.
Per lo studioso la psicoanalisi non è una semplice terapia che aggiusta la psiche, ma è
una pratica trasformazione attraverso la parola. “L’inconscio è strutturato come un
linguaggio”.

Lacan afferma che l’analista, così come l’educatore, dovrebbe far poggiare il suo
operato sulla pratica taoista del Wu-wei, che significa diminuzione, che consiste nel
fare un passo indietro nei confronti della assoluta irriducibilità e differenza dell’altro,
abbandonando le pretese di volerlo assimilare a un modello prestabilito.
Il soggetto deve essere lasciato libero di assumere su di sé quella che Lacan definisce
rettificazione soggettiva, ossia il momento in cui l’individuo si fa carico della
responsabilità di “fare qualcosa della propria vita”, dei propri desideri, delle proprie
aspirazioni, delle proprie fragilità, dei propri dolori e dei propri sintomi.

Lacan ammonisce l’installazione perché l’analista tende a cristallizzarsi in una


posizione che eroga soluzioni, perciò la contrappone all’innovazione, cioè l’invenzione
del metodo educativo di cura uno-per-uno.
Questo perché secondo Lacan non esiste un cura-tipo come non esiste una educazione-
tipo, valida sempre per tutti.
La soggettivazione è:
- il processo attraverso cui viene prodotto un soggetto
- il processo attraverso cui un soggetto si costituisce nella propria singolarità
Chi o cosa ha il potere di produrre soggettivazione?
L’effetto di un discorso sul corpo.
Ma il soggetto è anche il percorso di una individuazione singolare di un individuo
all’interno di questo discorso.
Il soggetto è effetto della struttura ma, in quanto singolarità irriducibile, essa non lo
contiene del tutto.
Lacan afferma che la dimensione del soggetto è eteronoma, cioè dipende da ciò che
avviene nell’Altro.

CAPITOLO 3: LA METAFORA DEI PROCI. LEGGE E JOUISSANCE


L’insegnamento di Lacan procede spesso attraverso il parallelismo con figure celebri
della letteratura e della mitologia.
Sia nel mito classico che nella tragedia greca, vi sono dei concetti-metafora, e tra questi
vi è quello di hybris.
La hybris è tracotanza: sentimento legato all’eccesso, alla prevaricazione e alla
superbia, superamento della misura e dei limiti dell’uomo. La hybris è quanto di
meno auspicabile possa esistere nel rapporto tra uomini e dei.
Essa è contrapposta a Dike, Giustizia, non in senso giuridico, ma come
rappresentazione di ciò che tiene conto dei limiti dell’uomo.

Nell’Odissea, uno dei passaggi più incisivi che ci dà la misura del concetto della hybris è
legata alla vicenda dei Proci, i 109 giovani nobili di Itaca i quali, non credendo alla
possibilità di un ritorno di Ulisse da Troia, aspiravano alla mano di Penelope e al
conseguente trono di Ulisse.
I Proci vengono presentati da Omero come parassiti di Itaca, giovani che per anni si
installano di forza nella città e gozzovigliano giorno e notte aspettando che Penelope ne
scelga uno come nuovo marito.
Prima e dopo la virulenza simbolica dell’Odissea, la tracotanza è legata all’infelicità, al
destino di solitudine che accompagna chi si è macchiato di hybris, destino che subiranno
anche i Proci.
La loro vicenda rappresenta però un attualissima metafora del nuovo imperativo
categorico che caratterizza la nostra epoca dell’eccesso: il “tu devi godere!”
Siamo quindi condannati a un imperativo sociale che ci inchioda al godimento senza
lasciare spazio al desiderio. E’ come se l’uomo ipermoderno avesse lasciato impoverire
il proprio inconscio, inteso come giacimento del desiderio, per lasciarlo colonizzare da
un Super Io sociale che, invece di stabilire regole e strutturare il rapporto con la Legge,
condanna l’umanità a godere.

Possiamo dire che la castrazione simbolica in Lacan rappresenta anche una allegoria
pedagogica: la rappresentazione dell’antidoto alla hybris umana.
L’incesto rappresenta l’idea di potere-tutto, quindi l’esperienza del superamento dei
limiti dell’agire umano.
Ciò che rimane ancorato all’incesto è tutto quello che giace nella soddisfazione
immediata di un piacere non collegato al desiderio, ossia il godimento, la jouissance.
La jouissance è fuori simbolizzazione, ossia fuori dalla possibilità di essere filtrata dalla
struttura del linguaggio, perciò Lacan la colloca nel registro del Reale.
Il desiderio rappresenta la condizione umana fondamentale, caratterizzata da una spinta
verso un oggetto che per sua natura è perduto e irraggiungibile (alludendo all’oggetto
materno).
Il desiderio quindi è ciò che spinge a vivere e a produrre relazioni.
La jouissance è il godimento, che può significare sia benessere che malessere, sia
pulsione di piacere che di dolore, ma comunque sempre soddisfazione finale.

Il fatto che sia proprio Ulisse a uccidere i Proci non è un avvenimento casuale. Non
accade solo perché Ulisse è l’eroe e il protagonista.
Ogni volta Ulisse perde un po’ di quella hybris iniziale e prende coscienza dei suoi
limiti.
Quindi, solo colui che si trasforma umanamente, riconoscendo l’appello del suo
inconscio e facendo esperienza della dialettica tra desiderio e godimento, è in grado di
fare giustizia della hybris.
Solo colui che ha sperimentato su se stesso la Legge della castrazione, la Legge della
parola che umanizza la vita, può scorgere e debellare il godimento mortale.
La Legge resta oggi l’unico antidoto alla pura vita degli istinti, alla dimensione pre-
culturale che ha fondato la civiltà e permesso lo sviluppo della storia dell’uomo.

CAPITOLO 4: AL DI LA’ DI TELEMACO. LA QUESTIONE


PSICOPEDAGOGICA DELL’EREDITA’ PATERNA
In questo capitolo viene trattato un estratto della Telegonia, un poema del Ciclo Troiano:
la scena è quella della sepoltura di Ulisse. Nè Ulisse né Telegono (figlio di Ulisse e
Circe) sanno di avere un legame padre-figlio, questo perché Ulisse non lo ha mai saputo
e Telegono non lo riconobbe.
Telegono, dopo Agrio e Latino, era l’ultimo di tre figli concepiti da Circe ed Ulisse, ma
è solo Telegono che impugna il suo destino di figlio non riconosciuto.
Egli era l’unico con cui Circe avesse un rapporto di condivisione: la madre gli rivela il
nome del padre e gli consegna un’arma con cui difendersi nel viaggio per ritrovarlo.
Quello di Circe potrebbe essere pensato come un maternage illuminato, nel senso che
il figlio non è inghiottito dal desiderio di unione fusionale con la madre, ma al contrario
Circe è una donna autonoma e indipendente, non rimugina sull’abbandono da parte di
Ulisse, non cerca vendetta tramite il figlio.
Anzi, lei rinuncia al figlio, comprende la sua necessità di mettersi in viaggio alla ricerca
del padre, dandogli la possibilità di confrontarsi con quella eredità simbolica che non gli
era stata data. Circe, a causa dell’assenza della funzione paterna, introduce al figlio
l’idea della presenza di un mondo esterno, di un terzo all’interno del rapporto madre-
figlio: così Telegono può desiderare un padre, può ereditare un desiderio.
Differenze tra Telemaco e Telegono:
- Telemaco è più fortunato: può contare sul lascito di un padre osannato in ogni angolo
del mondo, è il figlio giusto, che attende che qualcosa gli ritorni dal mare
- Telegono rappresenta tutti quei figli che non hanno potuto contare sull’attesa di una
eredità. Egli è il non-erede, figura pedagogica molto più complessa e interessante, e ha
davanti a sé un bivio: il lamento dell’abbandono, avere atteggiamenti autocommiserativi,
o mettersi in viaggio per conoscere il padre.
Mette in atto la cosiddetta rettificazione soggettiva, ossia assume su di sé la
responsabilità della sofferenza che porta addosso.
Quindi non soccombe all’orfanaggio perché possiede delle risorse per poterlo
elaborare, risorse che provengono da Circe e dal suo mondo culturale, che nonostante
l’assenza di un padre, è riuscita a trasmettergli il tema del padre simbolico, del padre
inteso come funzione.
Telegono costruisce la sua eredità simbolica, non fatta di beni materiali, ma della
facoltà di re-immaginare la propria vita assumendo su di sé il significante del Nome-del-
Padre.
Dall’incontro tra il mito della Telegonia e la psicopedagogia di Lacan emerge una
riflessione sulla modificazione della figura paterna: quella del padre come funzione
non necessariamente fisica e reale.
Per Lacan infatti più che parlare di padre bisognerebbe parlare di funzione paterna,
cioè un terzo che permette al soggetto di ereditare un desiderio, ovvero di pensare la
propria vita come degna di essere vissuta al di là del godimento immediato e primario
del maternage. La funzione paterna consente di passare dal mondo della natura al mondo
della cultura. Ci può essere funzione paterna in un contesto in cui manca un padre reale
(famiglie monogenitoriali), e può esserci carenza di essa in una famiglia in cui esiste un
padre reale che però non assolve alla sua funzione di testimonianza.
Cos’è un padre? Il padre è colui che permette di ereditare qualcosa (un desiderio).

CAPITOLO 5: AGALMA: IL TRANSFERT LACANIANO NELLA RELAZIONE


EDUCATIVA
Il bene comune che fonda una comunità è legato a un compito dei suoi appartenenti: la
comunità si costruisce sancendo e onorando un patto che impegna chi ne fa parte a
metterci qualcosa, senza remunerazione.
L’obiettivo della comunità pedagogica è il processo formativo, che poggia su una
condizione imprescindibile: la relazione educativa.
La caratteristica della relazione educativa è proprio il fatto che, paradossalmente, porta
trasmissione di sapere da una premessa emotiva.
Nella trasmissione del sapere generata dalla relazione educativa siamo in presenza della
“epistemologia erotica”, ossia lavoro pedagogico determinato da una crescita del Sé
attraverso la pulsionalità.
Quindi il compito della comunità pedagogica è trasmettere un sapere e permettere
che avvenga la soggettivazione.
Come avviene la trasmissione del sapere?
Ogni insegnamento passa attraverso un rapporto transferale.
Il transfert è un termine clinico freudiano e si riferisce alla carica emotiva che un
soggetto proietta su un altro soggetto.
Freud afferma che è un trasferimento di desideri inconsci infantili nell’attualità delle
relazioni e della vita psichica del soggetto.
E’ un fenomeno che si instaura spontaneamente in tutte le relazioni umane.

Il transfert per Lacan è un fenomeno che fonda l’intersoggettività.


C’è da dire innanzitutto che Lacan sottrae il sintomo dalla sua accezione di disturbo,
diventando un testo: un libro in cui è presente la storia emotiva della nostra vita.
Il soggetto non comprende la lingua con cui è scritto il libro della sua vita psichica, e
alcuni passi si trasformano in esternazioni (sintomi appunto) che necessitano una
trascrizione, una decodifica.
Per ogni soggetto esiste qualcuno che dà la possibilità di trasformare il suo sintomo in
un senso, a condizione che a questo qualcuno gli si attribuisca il sapere necessario
(transfert).
Questo qualcuno viene definito Soggetto supposto Sapere (S.s.S.)

L’elemento fondamentale che il SsS deve avere per essere tale è l’oggetto-àgalma.
La posizione del SsS e quella del soggetto che a lui si rivolge sono dissimetriche, non
sono paritarie: il transfert avviene solo se uno dei due (SsS) mette in atto uno
sbilanciamento, dovuto al fatto che il suo sapere è annodato attorno a un oggetto
feticcio, non razionalizzabile, l’àgalma.
Agalma vuol dire addobbo, ornamento, l’oggetto àgalmatico è quell’oggetto parziale
che si desidera possedere quando lo si incontra, cioè qualcosa che simbolicamente
trasforma in desiderio la domanda di sapere.

Il destino dell’educatore è quello di accendere la fiammella del desiderio di imparare,


non quello di imporre il proprio desiderio.

CAPITOLO 6: ETICA E PEDAGOGIA NEL PENSIERO LACANIANO


Lacan detronizza il Sommo Bene e lo sostituisce con La Cosa.
La Cosa è la misura di tale etica, ed è fuori dai parametri di giudizio morale classici.
Il campo dell’etica ha a che fare con il rapporto tra il soggetto e La Cosa, e questo
rapporto avviene nell’ordine dell’irrappresentabile, dato che La Cosa è irrappresentabile.

L’etica di cui parla Lacan non è un’etica dell’avvicinamento progressivo al bene da parte
dell’individuo; al contrario, il soggetto, più che uscirne rinvigorito, ne esce spaesato.
L’etica dell’inconscio è un’etica del desiderio, del desiderio della Cosa, che è esterna a
qualsiasi ragionamento sui valori morali.
Ciò non significa che Lacan si sbarazzi di tutto l’armamentario morale per auspicarsi
una deriva degli appetiti.
Se La Cosa è ciò verso cui tende l’inconscio, se essa è dunque la rappresentazione del
desiderio, la sua presenza è garantita dalla Legge.
La Cosa, senza la Legge, sarebbe morta: è solo attraverso l’interdetto della Legge che
l’uomo riconosce il desiderio e incontra la violazione.
In conclusione, mentre l’etica tradizionale si fonda su una identificazione della legge
universale col Bene, Lacan sposta il discorso sulla singolarità del desiderio del
soggetto, per il quale chiaramente non si può dare una legge universale valida per tutti.
L’ethos è il soggiorno dell’uomo, l’uomo soggiorna nella sua dimensione etica, cioè non
la possiede ma ne è responsabile.
“Lo statuto dell’inconscio non è ontico ma etico”
Significa che il soggetto non è qualcosa di concretamente esistente, esso non esiste come
ente; non si viene al mondo ereditando la propria soggettività come qualcosa di già dato.
Il soggetto si produce attraverso l’incontro con l’altro, come dice Lacan, l’inconscio
bisogna meritarselo, occorre costruirlo perché non è già dato.
E come costruzione, la sua natura è etica, in quanto compito del soggetto, costruzione in
itinere.
Diventare soggetti attraverso l’incontro col proprio inconscio è etica.

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