Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Lacan afferma che “noi siamo il risultato delle parole che gli altri ci hanno detto”
La costruzione del sé ha a che fare con l’immagine costituente che il soggetto realizza
attraverso il rapporto con il linguaggio, con l’altro e coi vettori del desiderio.
Ogni processo educativo è una sorta di transfert, ha a che fare con una trasmissione del
sapere. Il vettore che unisce un sapere a un soggetto passa attraverso l’irripetibilità della
ricezione che ogni soggetto possiede e che attraverso l’attivazione di quelle dinamiche
pedagogico-comunicative (parola piena), staccano il soggetto da una dimensione
omologante e gli presentano la possibilità di accedere alla sua più autentica visione del
mondo.
SOGGETTO PER LACAN
“Sono dove non penso, penso dove non sono”. Il soggetto è sempre un soggetto
barrato.
L’individuo quindi è semplicemente il portatore del discorso dell’inconscio, e
l’inconscio è il vero soggetto. La nostra parte razionale rappresenta solo il contenitore
nel quale l’inconscio compie le sue rappresentazioni ed esprime la sua verità, il suo
desiderio.
L’io rappresenta un mero sintomo dell’inconscio; tra l’essere e il pensiero Lacan
inserisce il linguaggio, chiave di accesso all’inconscio e dunque la sua espressione
discorsiva.
In sostanza, per Lacan la soggettività è una struttura barrata che la divide in una maniera
tale per cui non è possibile pensare l’identità tra soggetto ed io.
IO = per Lacan è come una cipolla: un insieme di identificazioni stratificate che non
giungono a nessun nucleo coeso, in quanto sono semplici interiorizzazioni
dell’immagine di noi stessi, che l’altro ci ha restituito. L’Io rappresenta la risposta alla
domanda: Chi ti credi di essere?
CAPITOLO 1: I REGISTRI
L’inconscio per Lacan, più che rappresentare un vaso di Pandora dell’irrazionalità
umana, è pensato come un’altra forma di razionalità, un’altra ragione, come un
discorso che va interpretato con altri strumenti e con altri vocaboli che non
appartengono al lessico della coscienza.
Lacan afferma che l’inconscio è strutturato come un linguaggio, cioè più che
nascondersi, esso parla. Quindi l’Io è strutturato come un linguaggio, ovvero esprime e
rende visibile l’oggetto di un discorso mascherato.
Il soggetto lacaniano è incollocabile perché la sua strutturazione non è protesa verso un
traguardo finale.
REGISTRI: sono degli ordini generali di organizzazione dell’intera vita psichica
dell’individuo, delle esperienze psichiche, dei contenitori di senso che caratterizzano la
nostra vita.
Essi sono:
- Immaginario
- Simbolico
- Reale
IMMAGINARIO
Categoria psichica alla base della formazione della propria immagine.
Per capire cos’è il soggetto dobbiamo prima capire cos’è l’Io, e la sua costruzione
avviene proprio nel registro dell’Immaginario.
Freud afferma che la costituzione del soggetto avviene attraverso l’incontro con due
oggetti:
- il corpo della madre, che da origine alla forma d’amore detta anaclitica
- il proprio corpo, che da origine alla forma d’amore detta narcisistica
Lacan formula la Teoria dello stadio dello specchio: se per Freud la genesi del
narcisismo risiedeva nel rapporto del soggetto con la propria immagine, Lacan afferma
che proprio questa immagine ideale di se stessi svolge una funzione morfogena, cioè
forma l’io.
Quindi l’incontro con l’immagine ideale del nostro corpo, quando ancora non siamo
consapevoli del suo perimetro e della sua conformazione, permette che si costituisca ciò
che Lacan definisce il primo abbozzo della soggettività: l’Io.
Lacan spiega che per la vita di ognuno c’è stato un tempo in cui non esisteva la
consapevolezza della propria immagine corporea: il bambino, nei primi mesi di vita, è
un corpo in frammenti, confuso nel caos post-nascita.
Tra i 6 e i 18 mesi subentra un momento logico in cui il bambino ha una anticipazione
della totalità e della forma del proprio corpo.
Qui Lacan usa la metafora dello specchio = il bambino, posto davanti a uno specchio,
riconosce la sua immagine corporea, ricevendone gratificazione.
SIMBOLICO
Categoria psichica che ha a che fare con il superamento dell’alienazione immaginaria e
che arriva a strutturare il soggetto, il Je.
Se l’immaginario coincide con l’ordine dello sguardo, dell’immagine corporea,
dell’altro, il simbolico coincide con l’ordine della parola, del linguaggio, del
significante, inteso come vettore del linguaggio, trascendente rispetto all’altro.
Lacan per differenziare l’altro inteso come simile e l’altro inteso come linguaggio, usa
per quest’ultimo la A (Grande Altro).
Secondo Lacan l’uomo è il prodotto dell’azione della cultura sulla natura, e la sua
conformazione istintuale è castrata dall’azione del Grande Altro, inteso anche come
sistema culturale, istituzioni, miti, riti, visioni del mondo, che alimentano il legame
sociale.
Mentre in Freud l’Edipo veicola attraverso tre termini, ovvero bambino, madre e padre,
in Lacan ve ne sono 4: il bambino, la madre, il Nome del Padre e un altro
significante, il Fallo. Il bambino non vuole semplicemente avere la madre, ma vuole
essere ciò che manca alla madre, e questo è proprio il Fallo.
I tre tempi dell’Edipo lacaniano:
- il bambino desidera essere la mancanza della madre, e si identifica col Fallo
- l’interdizione paterna, cioè l’entrata in scena di una terza figura scinde il maternage
(rapporto madre-figlio) con la legge della castrazione simbolica.
- il bambino passa dall’identificarsi col Fallo della madre al desiderare di avere un Fallo.
Qui egli smette di pensarsi esclusivamente nel maternage e, accedendo al Nome del
Padre, cessa di essere un fallo e comincia ad avere un fallo.
Quindi il soggetto accede al Grande Altro attraverso la castrazione simbolica del Nome
del Padre, si stacca dal maternage e può cominciare la sua vita all’interno del legame
sociale.
REALE
E’ il registro del corpo come sostanza godente, è un ordine di irrapresentabilità del
senso, è l’impossibile da simbolizzare, costituisce il carattere ripetitivo della pulsione
di morte. Il Reale non può essere rappresentato in nessun modo, è fuori dalla struttura
ed è muto. L’Edipo castra il soggetto dal maternage, ma questo non basta: c’è un resto,
uno scarto che non si lascia culturalizzare dal Grande Altro che, per questo, arriva a un
punto di inconsistenza, rimanendo anche esso barrato.
Lacan quindi afferma che il Grande Altro non è una struttura rigida e chiusa, ma anche
esso ha un punto di frattura, un limite segnato dall’impossibilità di simbolizzare tutto.
Questo punto di fuga è il non-senso, l’irrazionale, e il Reale è il luogo di questa
inconsistenza dell’Altro, il luogo dell’A barrato.
Il reale è ciò che torna sempre allo stesso posto.
Quando parliamo di Reale ci tiriamo dietro altri due elementi della Teoria di Lacan:
- quello di Das ding (La Cosa)
- quello di oggetto piccolo a
Da dove si origina questo godimento del corpo pulsionale?
Das Ding è una idea rimossa e irrappresentabile dell’oggetto perduto del
soddisfacimento primitivo, pallido ricordo inconscio della vita prenatale, del godimento
fusionale col corpo della madre.
Questo oggetto è cancellato dalla castrazione simbolica, ma la sua cancellazione lascia
sempre un residuo, gli oggetti piccoli a, che sono un derivato della Cosa, ma non sono la
Cosa. Sono oggetti presenti nella vita reale, oggetti causa del desiderio, sebbene la loro
natura sia quella di alludere a una mancanza del godimento materno, che non può essere
rappresentato né ricordato, ma che torna nella ricerca di suoi sostituti sempre inadeguati
a colmare quella falla.
Gli oggetti piccoli a sopravvivono alla Cosa cancellata, mettono in atto una continua
ricerca di sostituti che in realtà è una inconscia nostalgia del godimento della Cosa.
La Cosa è:
- fuori significato, è un buco al centro del Reale, come un buco nella ciambella (senza
quel vuoto la ciambella non avrebbe senso)
- perduta, perché cancellata dalla castrazione simbolica del Nome del Padre
- ritrovata in altre cose, perché dopo la sua cancellazione rimangono i piccoli oggetti a
Quella di Lacan potrebbe essere pensata anche come una pedagogia dell’incontro: la
formazione della soggettività avviene infatti attraverso una serie di incontri decisivi, che
potrebbero essere ricondotti a tre tipologie.
Il nostro rapporto con l’Altro ci struttura come soggetti, ci forma:
- incontriamo l’Altro come doppio, come nostro simile (registro immaginario)
- incontriamo l’Altro come terzo (registro Simbolico)
- incontriamo l’Altro come unità irrappresentabile col nostro corpo pulsionale
(registro Reale)
Lacan afferma che l’analista, così come l’educatore, dovrebbe far poggiare il suo
operato sulla pratica taoista del Wu-wei, che significa diminuzione, che consiste nel
fare un passo indietro nei confronti della assoluta irriducibilità e differenza dell’altro,
abbandonando le pretese di volerlo assimilare a un modello prestabilito.
Il soggetto deve essere lasciato libero di assumere su di sé quella che Lacan definisce
rettificazione soggettiva, ossia il momento in cui l’individuo si fa carico della
responsabilità di “fare qualcosa della propria vita”, dei propri desideri, delle proprie
aspirazioni, delle proprie fragilità, dei propri dolori e dei propri sintomi.
Nell’Odissea, uno dei passaggi più incisivi che ci dà la misura del concetto della hybris è
legata alla vicenda dei Proci, i 109 giovani nobili di Itaca i quali, non credendo alla
possibilità di un ritorno di Ulisse da Troia, aspiravano alla mano di Penelope e al
conseguente trono di Ulisse.
I Proci vengono presentati da Omero come parassiti di Itaca, giovani che per anni si
installano di forza nella città e gozzovigliano giorno e notte aspettando che Penelope ne
scelga uno come nuovo marito.
Prima e dopo la virulenza simbolica dell’Odissea, la tracotanza è legata all’infelicità, al
destino di solitudine che accompagna chi si è macchiato di hybris, destino che subiranno
anche i Proci.
La loro vicenda rappresenta però un attualissima metafora del nuovo imperativo
categorico che caratterizza la nostra epoca dell’eccesso: il “tu devi godere!”
Siamo quindi condannati a un imperativo sociale che ci inchioda al godimento senza
lasciare spazio al desiderio. E’ come se l’uomo ipermoderno avesse lasciato impoverire
il proprio inconscio, inteso come giacimento del desiderio, per lasciarlo colonizzare da
un Super Io sociale che, invece di stabilire regole e strutturare il rapporto con la Legge,
condanna l’umanità a godere.
Possiamo dire che la castrazione simbolica in Lacan rappresenta anche una allegoria
pedagogica: la rappresentazione dell’antidoto alla hybris umana.
L’incesto rappresenta l’idea di potere-tutto, quindi l’esperienza del superamento dei
limiti dell’agire umano.
Ciò che rimane ancorato all’incesto è tutto quello che giace nella soddisfazione
immediata di un piacere non collegato al desiderio, ossia il godimento, la jouissance.
La jouissance è fuori simbolizzazione, ossia fuori dalla possibilità di essere filtrata dalla
struttura del linguaggio, perciò Lacan la colloca nel registro del Reale.
Il desiderio rappresenta la condizione umana fondamentale, caratterizzata da una spinta
verso un oggetto che per sua natura è perduto e irraggiungibile (alludendo all’oggetto
materno).
Il desiderio quindi è ciò che spinge a vivere e a produrre relazioni.
La jouissance è il godimento, che può significare sia benessere che malessere, sia
pulsione di piacere che di dolore, ma comunque sempre soddisfazione finale.
Il fatto che sia proprio Ulisse a uccidere i Proci non è un avvenimento casuale. Non
accade solo perché Ulisse è l’eroe e il protagonista.
Ogni volta Ulisse perde un po’ di quella hybris iniziale e prende coscienza dei suoi
limiti.
Quindi, solo colui che si trasforma umanamente, riconoscendo l’appello del suo
inconscio e facendo esperienza della dialettica tra desiderio e godimento, è in grado di
fare giustizia della hybris.
Solo colui che ha sperimentato su se stesso la Legge della castrazione, la Legge della
parola che umanizza la vita, può scorgere e debellare il godimento mortale.
La Legge resta oggi l’unico antidoto alla pura vita degli istinti, alla dimensione pre-
culturale che ha fondato la civiltà e permesso lo sviluppo della storia dell’uomo.
L’elemento fondamentale che il SsS deve avere per essere tale è l’oggetto-àgalma.
La posizione del SsS e quella del soggetto che a lui si rivolge sono dissimetriche, non
sono paritarie: il transfert avviene solo se uno dei due (SsS) mette in atto uno
sbilanciamento, dovuto al fatto che il suo sapere è annodato attorno a un oggetto
feticcio, non razionalizzabile, l’àgalma.
Agalma vuol dire addobbo, ornamento, l’oggetto àgalmatico è quell’oggetto parziale
che si desidera possedere quando lo si incontra, cioè qualcosa che simbolicamente
trasforma in desiderio la domanda di sapere.
L’etica di cui parla Lacan non è un’etica dell’avvicinamento progressivo al bene da parte
dell’individuo; al contrario, il soggetto, più che uscirne rinvigorito, ne esce spaesato.
L’etica dell’inconscio è un’etica del desiderio, del desiderio della Cosa, che è esterna a
qualsiasi ragionamento sui valori morali.
Ciò non significa che Lacan si sbarazzi di tutto l’armamentario morale per auspicarsi
una deriva degli appetiti.
Se La Cosa è ciò verso cui tende l’inconscio, se essa è dunque la rappresentazione del
desiderio, la sua presenza è garantita dalla Legge.
La Cosa, senza la Legge, sarebbe morta: è solo attraverso l’interdetto della Legge che
l’uomo riconosce il desiderio e incontra la violazione.
In conclusione, mentre l’etica tradizionale si fonda su una identificazione della legge
universale col Bene, Lacan sposta il discorso sulla singolarità del desiderio del
soggetto, per il quale chiaramente non si può dare una legge universale valida per tutti.
L’ethos è il soggiorno dell’uomo, l’uomo soggiorna nella sua dimensione etica, cioè non
la possiede ma ne è responsabile.
“Lo statuto dell’inconscio non è ontico ma etico”
Significa che il soggetto non è qualcosa di concretamente esistente, esso non esiste come
ente; non si viene al mondo ereditando la propria soggettività come qualcosa di già dato.
Il soggetto si produce attraverso l’incontro con l’altro, come dice Lacan, l’inconscio
bisogna meritarselo, occorre costruirlo perché non è già dato.
E come costruzione, la sua natura è etica, in quanto compito del soggetto, costruzione in
itinere.
Diventare soggetti attraverso l’incontro col proprio inconscio è etica.