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LA SOCIETA’ PARANOICA: SOGGETTIVAZIONE E RADICI DELL’ODIO

I discorsi d’odio uniscono due elementi: il linguaggio e l’emozione dell’aggressività.


Non esiste oggetto esterno che autonomamente possieda caratteristiche oggettive e
intrinseche per suscitare aggressività e odio, ma questi sono sempre il frutto
mascherato di una identificazione proiettiva.
La radice dell’odio è sempre una radice paranoica, cioè uno spostamento di qualcosa
che appartiene al proprio io verso un oggetto esterno: il simile, l’altro.

Il 2015 è stato l’anno in cui si è avuta una impennata improvvisa degli hate speech, i
discorsi d’odio. Estremismi politici e religiosi, nazionalismi esasperati e xenofobi,
sessismo e omofobia, sentimenti di intolleranza nei confronti di donne, migranti,
profughi, disabili, minoranze religiose, LGBT, poveri, bullismo e cyberbullismo,
diffusione del fenomeno degli haters e body-shaming sui social media .
Il fenomeno degli hate speech è in costante ascesa, soprattutto durante gli appuntamenti
elettorali.
I discorsi d’odio paiono essere un evento che ritorna a fasi alterne nella storia, una sorta
di deja-vu, ma è davvero casuale?
Secondo gli studiosi vi è un’ipotesi causale: con causalità psichica, Lacan intendeva
l’insieme dei processi che costruiscono il soggetto attraverso le esperienze emotive e le
relazioni affettive che hanno delineato il suo romanzo familiare: quindi l’uomo si forma
attraverso gli incontri che fa nella sua vita.
Il fatto di aver incontrato parole di riconoscimento o di disapprovazione, di amore o di
odio, di accoglienza o di rifiuto, fabbrica la nostra esistenza e fa sì che nella vita adulta
ripetiamo quelle parole che si sono sedimentate in noi.

Ci sono tre elaborazioni del fenomeno dell’aggressività all’interno del percorso di Freud.
- In una prima fase l’aggressività viene concepita quasi solo come un aspetto della
libido: essa sarebbe un derivato della pulsione sessuale frustrata o non canalizzata.
- In una seconda fase l’aggressività viene concepita come indipendente dalla libido
- In una terza fase l’aggressività viene concepita come manifestazione di una
autonoma pulsione di morte
Aggressività e identificazione narcisistica vengono sempre pensate all’interno dello
stesso contenitore di senso.

Freud afferma che la strutturazione della psiche individuale avviene attraverso l’incontro
con due oggetti (oggetto = obiettivo finale di un investimento libidico/affettivo):
- il corpo della madre, come prima ricerca della dimensione della cura, del
soddisfacimento dei bisogni corporei e del sostegno, che da origine alla forma d’amore
anaclitica
- il proprio corpo, l’immagine del proprio corpo, che da origine alla forma d’amore
narcisistica.
Secondo Lacan l’incontro con l’immagine ideale del nostro corpo permette che si
costituisca il primo abbozzo della soggettività, l’Io.
Il bambino, nei primi mesi di vita, è un corpo in frammenti, confuso nel caos post-
nascita, inconsapevole della propria immagine corporea.
Tra i 6 e i 18 mesi subentra un momento logico, in cui il bambino ha un anticipazione
della totalità e della morfologia del proprio corpo.
Lacan usa la metafora dello specchio: il bambino, posto dinnanzi a uno specchio,
riconosce la figura che vede come la sua immagine corporea, ricevendone gratificazione.
Questa immagine esterna viene interiorizzata, idealizzata ed erotizzata, costituendo la
prima identificazione del soggetto: quest’ultima è la prima di una lunga serie.
L’esperienza di queste identificazioni è strutturante per il soggetto, ma anche
problematica, perché non segnerà mai una perfetta aderenza tra il soggetto e le sue
identificazioni.
L’io è paradossale perché, mentre rappresenta il prodotto di un riconoscimento a opera
della restituzione di una immagine esterna, allo stesso tempo crea un misconoscimento,
una alienazione all’interno della soggettività, perché ci sarà sempre un’impossibilità di
aderire perfettamente all’immagine di noi che la realtà esterna ci rimanda.
Questa impossibilità causa una frustrazione che alimenta i meccanismi del
narcisismo e dell’aggressività.

Lacan afferma che l’odio sia un rifiuto di parti di sé non accettate inconsciamente e
perciò ingovernabili, che diventano un oggetto fobico da esternalizzare.
L’odio per il simile è odio paranoico, un’emozione in cui elementi rifiutati della propria
psiche vengono allontanati attraverso il fenomeno dell’espulsione.
Il fenomeno della paranoia è quindi una separazione di queste parti di sé, che vengono
proiettate su un oggetto esterno, divenuto improvvisamente minaccioso e persecutorio,
perciò meritevole d’odio.
La paranoia è un meccanismo di difesa, in cui il soggetto paranoico si percepisce
come innocente e de-responsabilizzato dal dolore che porta addosso e lo proietta
all’esterno.
Essa è il risultato di processi proiettivi dell’Io a causa dei quali il soggetto non pensa “il
mio mondo interiore va in pezzi” ma “il mondo fuori va in pezzi”, “la gente fuori mi
minaccia”. Il soggetto non accetta e non prende responsabilmente in carico le
proprie parti problematiche e si sente vittima di un Altro maligno, colpevole e
minaccioso.

Cosa dovrebbe fare l’educazione?


Se la tendenza paranoica di questo tempo è data da un deficit di assunzione di
responsabilità nei confronti del proprio mondo emotivo, l’educazione dovrebbe
impedire la costruzione di un “Io forte”. I processi formativi devono insistere sulla
perdita, sulla fragilità, sull’accettazione delle parti deboli della propria soggettività.

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