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Il narcisismo spiegato da quattro grandi: Freud, Kohut, Kernberg e Lowen.

INTRODUZIONE AL MITO DI NARCISO

Narciso era figlio di Liriope, una ninfa di fonte che per la sua bellezza venne rapita dal Dio fluviale Cefiso.
Figlio delle acque, egli era un giovane di straordinaria bellezza, cui Tiresia il veggente, aveva previsto lunga
vita a condizione che non conoscesse mai se stesso. A sedici anni contava già numerosi amanti di entrambi i
sessi, tutti immancabilmente respinti. Un giorno mentre era a caccia di cervi in una foresta, chiese a gran
voce se ci fosse qualcuno nei dintorni e la ninfa Eco, che si era innamorata di lui e lo seguiva di nascosto, gli
rispose ripetendo le sue ultime parole, tentando il desiderato abbraccio che Narciso respinse come di
consueto. Si narra che della bella ninfa siano rimaste soltanto le ossa tramutate in sassi e che la sua voce sia
tuttora vagante in valli solitarie. Un giorno però, una delle sue amanti respinte, la dea Nemesi, fece si che
anche Narciso venisse privato dell’abbraccio di colui che ama. Accadde così che quest’ultimo un giorno,
assetato, si affacciasse in prossimità di una sorgente e scorgendo la propria immagine riflessa se ne
innamorasse perdutamente. In principio non riconobbe se stesso, ma in seguito arrivò alla verità: “Io sono
te” e struggendosi d’amore per quello che ormai sapeva essere se stesso, si lasciò morire. Quando
cercarono di dargli degna sepoltura, coloro che lo amavano scoprirono, nel punto in cui scomparve, un
bellissimo fiore dai petali bianchi orlati di color zafferano, il narciso, che a livello di classificazione botanica,
appartiene alla specie della aamarillidacea bulbosa, un fiore contenente la narcisina, un potente alcaloide
tossico che causa decessi inspiegabili di animali da pascolo nelle zone mediterranee. Tuttavia il bulbo
essiccato è stato usato in medicina e ancora oggi si consiglia come sedativo, antispasmodico e antidiarroico.
Nella letteratura il mito di Narciso ha colto l’aspetto propriamente psichico di investimento pulsionale, per
cui Narciso è divenuto simbolo di un atteggiamento dell’Io che sa amare solo se stesso, escludendosi
totalmente dal resto del mondo.

FREUD

Il termine narcisismo fu adottato per la prima volta da Paul Nacke nel 1889 per descrivere l’atteggiamento
di chi tratta il proprio corpo allo stesso modo con cui viene trattato il corpo di un oggetto sessuale, per cui
lo contempla, lo liscia e lo accarezza finché queste manovre non gli procurano un soddisfacimento
completo. Freud prese in considerazione il narcisismo primario, ovvero partì dal presupposto che la mente
del neonato sia assolutamente e perversamente narcisistica. Secondo la sua visione Narciso, il fiore tossico
dai bei petali, o il giovinetto ambiguo che pago di sé respinge tutti, è il mito che più di tutti riguarda gli
esseri umani in quanto tutte le persone nascono narcisiste ed il costo che si paga, per abbandonare questa
dimensione nel corso dello sviluppo personale, è molto alto. Gli esseri umani di tutte le età utilizzano la
libido, per vivere, amare, e difendersi dalla vita, quando questa si fa insopportabile, dirigendola o sullo
stesso io, o su oggetti che di volta in volta appaiono degni di nota. Questo meccanismo di investimento
narcisistico genera angoscia, interesse, curiosità, vita e morte. Il neonato prova una sensazione di
narcisistica onnipotenza in quanto, non essendo capace di definire il confine tra io e non io, non si accorge
della presenza della mamma, o meglio, non arriva a considerare quella presenza come altro da sé: avverte
lo stesso piacere di Narciso, il piacere di bastare a se stessi. Nell’utero materno si vive, in un beato stato di
appagamento dove non c’è desiderio, in quanto la presenza del desiderio, come insegnavano i filosofi post-
socratici, era essa stessa motivo di conflitto ed instabilità. Attraverso l’esperienza della nascita però questo
stato di beata pacificazione cessa ed il senso di autosufficienza narcisistica viene meno: il neonato comincia
infatti a sperimentare la sensazione della fame e dell’abbandono. Seppur i genitori facciano di tutto per
restituirgli sicurezza ed appagamento, man mano che la vita procede, con essa avanza anche l’inesorabile
dolore della separazione: come un crudele paradosso per raggiungere un buon funzionamento psichico il
bambino deve avvertire se stesso come figura separata dagli altri, e più i confini tra io e non-io si fanno più
chiari e netti, più il bambino comincia a sentire di essere solo al mondo, scoprendosi dipendente dagli altri
e accorgendosi di essere impotente. Secondo Freud questa rappresenta un’esperienza terrificante e
angosciante, una delle cause di tutte le nostre possibili nevrosi future, anche perché inspiegabile per una
psiche non ancora formata e protetta di un neonato che si ritrova, dal’essere cullato e dal fluttuare in uno
stato di pace, all’essere esposto al freddo, alla fame ed alla minaccia dell’abbandono. Gran parte della vita
psichica del neonato, del bambino e del futuro adulto, secondo ciò che affermava Betelheim, consiste
nell’elaborare sempre più raffinate strategie di difesa nei confronti dei sentimenti d’abbandono. Una volta
scoperta la dipendenza dagli altri, iniziano i tentativi atti ad indirizzare la nostra libido sugli altri, o meglio in
termini freudiani, sugli oggetti. Questo meccanismo di indirizzare la libido per poter superare l’angoscia
della solitudine, o nei casi estremi per ripararsi dall’interferenza del mondo, come osservò Freud, è una
pratica comune anche nell’adulto che se ne serve di volta in volta per i suoi scopi. Osservando
l’atteggiamento affettuoso che mostrano i genitori verso i loro bambini, è possibile riconoscere che si tratta
di una ripetizione del loro proprio narcisismo, ormai da tempo abbandonato. Essi attribuiscono al bambino,
infatti, ogni virtù e perfezione, nascondendo e dimenticando tutti i suoi difetti; inoltre il bambino verrà ad
esaudire tutti quei sogni di desiderio che i genitori non hanno mai realizzato, ed infine troveranno la
sicurezza dell’immortalità dell’Io cercando rifugio nel bambino, cosicché l’amore dei genitori, commovente
ed infantile allo stesso tempo, non è altro che il loro narcisismo risorto.

Freud si è occupato della teoria del narcisismo primario nel tentativo di inglobare la schizofrenia nella
teoria della libido: egli considerava che i “parafrenici” fossero caratterizzati da megalomania e da una
deviazione dei loro interessi dal mondo esterno, dalle persone e dalle cose. Anche i nevrotici però si
allontanano in qualche modo dal rapporto con la realtà, ma a differenza degli schizofrenici, intrattengono
ancora relazioni erotiche con persone o cose nella loro fantasia, sostituendo quelli che sono gli oggetti reali
con oggetti immaginari, ma rinunciando a intraprendere quell’attività motoria che gli consentirebbe di
pervenire ai loro scopi connessi con quegli oggetti. I parafrenici invece hanno ritirato la libido dal mondo
esterno senza sostituirla con altri oggetti nella fantasia; considerando che una delle loro caratteristiche
principali è la megalomania, si perviene alla conclusione che la libido che è stata ritirata dal mondo esterno
viene indirizzata verso l’Io, dando origine a quell’atteggiamento che può definirsi narcisismo. Tuttavia il
meccanismo appena descritto è un narcisismo secondario, che viene a sovrapporsi ad un narcisismo
primario: mettendo a confronto i bambini con i popoli primitivi, si evince che questi ultimi possiedono
caratteristiche che se si presentassero isolatamente, potrebbero benissimo essere ascritte a megalomania,
come la sopravvalutazione della potenza dei desideri e degli atti psichici, onnipotenza del pensiero,
credenza nella virtù taumaturgica delle parole, e l’applicazione nella magia di tutte queste premesse. Nei
bambini si rinviene un atteggiamento molto simile nei confronti del mondo esterno, che indica l’esistenza
di un investimento libidico originario dell’Io, di cui una quota è in seguito ceduta agli oggetti, ma che
fondamentalmente persiste. Il narcisismo per Freud è quindi primario e si osserva con la crescita una
contrapposizione tra libido dell’Io e libido oggettuale: quanto più l’una è utilizzata, tanto più l’altra si
impoverisce, ma nella condizione di narcisismo le due energie sono indifferenziate e si differenziano
allorquando si manifesta l’investimento oggettuale. Freud prosegue la sua analisi del narcisismo portando
degli esempi di come le modificazioni dell’Io portano ad un cambiamento nella distribuzione della libido: i
malati organici perdono l’interesse per le cose del mondo esterno che non riguardano le loro sofferenze e
ritirano l’interesse libidico dai loro oggetti d’amore investendoli sul proprio Io, ovvero finché soffrono
cessano di amare, riportandoli all’esterno nel momento in cui guariscono; stessa cosa avviene nel sonno,
dove si ha un ritiro narcisistico degli investimenti libidici sulla propria persona, o meglio sul desiderio di
dormire. Anche l’ipocondria produce gli stessi effetti sulla distribuzione della libido, ritirandosi dal mondo
esterno e concentrandosi sull’organo che assorbe l’attenzione, solo che in questo caso le manifestazioni
organiche non sono dimostrabili. Freud si chiese cos’è che imponesse alla vita psichica di oltrepassare i
confini del narcisismo per investire la libido sugli oggetti. Questa necessità si presenta quando
l’investimento libidico dell’Io supera un certo livello: anche se una buona dose di egoismo è una sorta di
protezione contro la malattia, in fin dei conti per non rischiare di ammalarsi si deve cominciare ad amare e
se a causa di qualche frustrazione non ci è possibile amare, siamo destinati ad ammalarci. Tuttavia
l’elaborazione psichica delle eccitazioni è di notevole aiuto nell’assorbimento interno di quelle che sono
incapaci di una scarica diretta all’esterno o di quelle per cui tale scarica appare momentaneamente
inopportuna. Freud porta un’ulteriore prova dell’esistenza di un narcisismo primario, prendendo in
considerazione l’osservazione della vita erotica degli esseri umani: dopo una prima fase dove le pulsioni
sessuali sono appoggiate alle pulsioni dell’Io (autoerotismo), più tardi ne diventano indipendenti
dirigendosi alla persona che si prende cura del bambino, generalmente la madre (scelta analitica). Tuttavia
egli individua una tipologia di soggetti disturbati nello sviluppo libidico, che scelgono la loro persona come
oggetto d’amore, manifestando una scelta oggettuale narcisistica. Affermando che l’essere umano ha
originariamente due oggetti sessuali, se stesso e la donna che lo accudisce, Freud postula un narcisismo
primario in tutti, che in qualche caso può esprimersi in modo dominante nella sua scelta oggettuale. Ma
come evolve il narcisismo primario in soggetti adulti normali? Che fine ha fatto la libido dell’Io? E’ passata
in blocco nell’investimento oggettuale? Per rispondere a questi quesiti Freud ricorrse alla rimozione,
sostenendo che i moti pulsionali libidici subiscono tale sorte nel momento in cui entrano in conflitto con le
idee etiche e culturali dell’individuo; più precisamente la rimozione scaturisce dalla stima che l’Io ha per se
stesso. Ci sono individui che elaborano coscientemente sensazioni, esperienze, impulsi e desideri
edificando dentro di sé un Io ideale al quale commisurano l’Io reale, mentre altri non riescono in questo
compito e rimuovono prima ancora che tutto ciò possa arrivare alla coscienza; l’Io ideale diventa la meta
dell’amore di sé di cui si godeva durante l’infanzia, e fa quindi la sua ricomparsa il narcisismo del soggetto,
spostato su questo ideale che come l’Io infantile si considera dotato di ogni virtù e perfezione: in pratica
l’uomo, non essendo capace di abbandonare un soddisfacimento di cui ha goduto in passato, venendo
disturbato dalle osservazioni degli altri e dal risveglio della sua coscienza critica, tenta di recuperarla nella
nuova veste di un Io ideale. Tuttavia la formazione di un ideale non coincide con la sublimazione in quanto,
nel primo caso è l’oggetto che, senza subire alcuna modificazione nella sua struttura, viene esaltato nella
psiche dell’individuo, mentre la sublimazione si configura come una pulsione sessuale che prende una
nuova direzione ed una nuova meta su cui dirigersi; ora mentre la formazione di un ideale aumenta le
richieste dell’Io ed è tra i fattori più potenti che promuovono la rimozione, la sublimazione è una via
d’uscita che permette l’esaudimento delle richieste senza comportare la rimozione. E’ compito della
coscienza badare a che sia assicurato il soddisfacimento narcisistico dell’Io ideale, ed una volta postasi
questa meta, continuerebbe a controllare l’Io reale e a commisurarlo con l’Io ideale. Ciò che in effetti
sprona verso la formazione di un Io ideale, a favore del quale la coscienza agisce come un sorvegliante, ha
avuto origine dall’influenza critica esercitata dai genitori, dagli educatori e dall’opinione pubblica; in questo
modo grandi quantità di libido di natura essenzialmente omosessuale vengono ritirate per la formazione
dell’Io ideale narcisistico e trovano scarica e soddisfacimento nel suo mantenimento: il costituirsi della
coscienza è in fin dei conti l’incorporazione delle critiche dei genitori prima e della società poi. Infine, per
ciò che concerne l’autostima, Freud considera quest’ultima un’espressione della grandezza dell’Io, e tutto
ciò che un individuo possiede e conquista, ogni residuo del senso primario di onnipotenza, concorre ad
aumentarla; l’autostima è quindi strettamente dipendente dalla libido narcisistica, e l’investimento libidico
oggettuale ne produce un calo, in quanto chi ama ha rinunciato ad una parte del suo narcisismo, e tale
perdita può essere rimpiazzata solo dall’essere ricambiati in amore. I rapporti tra erotismo ed autostima
cambiano nel caso in cui gli investimenti erotici siano egosintonici, oppure abbiano subito la rimozione: nel
primo caso l’amore si afferma come qualsiasi altra attività dell’Io, ed amare abbassa l’autostima, mentre
essere amati la rialza; se la libido è rimossa, l’investimento erotico è avvertito come un grave svuotamento
dell’Io, il soddisfacimento amoroso è impossibile, e l’Io può di nuovo arricchirsi solo a patto di ritirare la
libido dai suoi oggetti. Il ritorno all’Io della libido oggettuale e la sua trasformazione in narcisismo
ristabilisce un amore felice, che corrisponde alla condizione originaria in cui libido dell’oggetto e dell’Io non
possono essere distinte. Freud sostiene quindi che lo sviluppo dell’Io consiste in un distacco dal narcisismo
originario, nonostante faccia sorgere vigorosi tentativi per riguadagnare quella posizione perduta; tale
distacco si compie tramite lo spostamento della libido su un Io ideale esterno, e l’appagamento si realizza
con l’esaudire tale ideale. Contemporaneamente l’Io ha appoggiato l’investimento libidico sull’oggetto e
così facendo si impoverisce, così come si impoverisce a beneficio dell’Io ideale; ma l’Io si arricchisce
nuovamente per il soddisfacimento ricavato dall’oggetto, proprio come si arricchisce quando esaudisce il
suo ideale: quindi una parte dell’autostima è primaria e corrisponde al residuo del narcisismo infantile,
un’altra parte scaturisce dall’esaudimento dell’Io ideale, ed una terza deriva dal soddisfacimento della
libido oggettuale.

KOHUT

Heinz Kohut ha descritto un sottotipo particolare di paziente narcisista definito “ipervigile”. Egli credeva
che gli individui narcisisticamente disturbati, si fossero arrestati da un punto di vista evolutivo ad uno stadio
in cui avessero bisogno di specifiche risposte dalle persone del loro ambiente per mantenere un Sé coeso
ed in mancanza di tali risposte essi tendessero alla frammentazione del Sé. Kohut spiegava questo stato di
cose come il risultato di fallimenti empatici dei genitori che, non avendo risposto alle manifestazioni di
esibizionismo del bambino, adeguate rispetto alla sua fase di sviluppo, con validazione e ammirazione, non
avevano offerto esperienze gemellari e non avevano fornito al bambino un modello degno di idealizzazione.
Queste carenze si manifestano nella tendenza del paziente a formare un transfert speculare, gemellare o
idealizzante. Per spiegare come nello stesso individuo possano coesistere bisogni narcisistici e oggettuali
Kohut elaborò la teoria del doppio asse, per la queale gli individui hanno bisogno nel corso della nostra vita,
di risposte di tipo oggetto-Sé da parte di coloro che li circondano, solo che ad un certo livello gli altri
vengono trattati non come individui separati, ma come fonti di gratificazione per il sé. Il bisogno delle
funzioni confortanti e validanti degli oggetti-Sé non si esaurisce mai, e per questo il fine del trattamento è
aiutare il paziente a superare il bisogno di oggetti-Sé arcaici ed acquisire la capacità di usare oggetti-Sé più
maturi e appropriati. In sostanza concettualizzò il Sé narcisistico non come difensivo, ma come un normale
Sé arcaico che è semplicemente stato congelato nel suo sviluppo, e vedeva l’individuo narcisista come un
bambino nel corpo dell’adulto, in quanto ha interiorizzato funzioni mancanti dalle persone del suo
ambiente. Egli riteneva per questo l’aggressività un fenomeno secondario, come rabbia narcisistica in
risposta alla mancata gratificazione dei propri bisogni di rispecchiamento e di idealizzazione, quindi una
risposta del tutto comprensibile alle mancanze genitoriali. Kohut considerava l’idealizzazione nel transfert
del paziente narcisista come la riedizione di una normale fase evolutiva piuttosto che un atteggiamento
difensivo, e la riteneva un modo per compensare una struttura psichica deficitaria. I narcisisti ipervigili sono
estremamente sensibili al modo in cui gli altri reagiscono nei loro confronti, e pertanto la loro attenzione è
costantemente diretta verso gli altri alla ricerca della pur minima reazione critica, sentendosi di continuo
offesi; sono generalmente timidi ed inibiti, ed evitano di mettersi in luce nella convinzione di essere rifiutati
ed umiliati. Nel nucleo del loro mondo interno vi è un profondo senso di vergogna connesso al loro segreto
desiderio di esibirsi con modalità grandiose: nella loro psicopatologia hanno un ruolo centrale i sentimenti
di umiliazione e di penosa esposizione che derivano dal confronto con i limiti delle proprie capacità o dal
riconoscimento di bisogni insoddisfatti, e molte delle difese che tali individui sviluppano sono dirette a
evitare una consapevolezza dei sentimenti associati a queste esperienze. Per questo il narcisista ipervigile
tenta di mantenere la stima di sé evitando le situazioni di vulnerabilità e studia attentamente gli altri per
apparire come si deve; inoltre attribuisce proiettivamente agli altri la disapprovazione che nutre nei
confronti delle sue fantasie grandiose. Kohut pensava che la psicanalisi fosse il trattamento d’elezione per
la maggior parte dei pazienti narcisisti ed individuava l’empatia come chiave della tecnica: il terapeuta deve
empatizzare col paziente per tentare di riattivare una fallita relazione genitoriale, andando incontro al
bisogno del paziente di affermazione, di idealizzazione o di essere come il terapeuta; inoltre l’analista ed il
terapeuta dovrebbero interpretare, non troppo maturamente, il bisogno del paziente di essere confortato,
e non gratificare attivamente tale bisogno, quindi il suo approccio non implica una tecnica prevalentemente
supportiva. Egli consigliava ai terapeuti di prendere il materiale analitico in modo diretto, il più vicino
possibile all’esperienza del paziente, evitando in questo modo la ripetizione dei fallimenti empatici dei
genitori, che spesso cercano di convincere il bambino che i suoi reali sentimenti sono diversi da quelli che
lui descrive. Kohut era molto attento ai segni di frammentazione del Sé che potevano emergere nel corso
della seduta: in presenza di tali frammentazioni il terapeuta deve incentrare la propria attenzione
sull’evento precipitante piuttosto che sul contenuto della frammentazione stessa; ciò è in linea con una
premessa generale della psicologia del Sé, per cui i terapeuti devono continuamente sorvegliare le modalità
con cui riproducono i traumi infantili nei loro pazienti. Egli pensava d’altronde che il paziente avesse
sempre ragione e quindi se si sentisse trascurato o ferito fosse ragionevole presumere che il terapeuta
avesse commesso un errore. Inoltre è sempre stato sensibile alla vulnerabilità del paziente narcisista nei
confronti del senso di vergogna: il terapeuta deve evitare di scavalcare l’esperienza soggettiva consapevole
del paziente aggiungendo materiale inconscio che è al di fuori della sua consapevolezza, in quanto le
interpretazioni delle motivazioni inconsce faranno solo sì che si senta colto in fallo, incompreso e pieno di
vergogna. Sottolineava anche l’importanza di rilevare l’aspetto positivo dell’esperienza del paziente,
evitando commenti che potevano essere vissuti come duramente critici; il fine del trattamento
psicoterapeutico e psicanalitico del disturbo narcisistico di personalità era per Kohut aiutare i pazienti ad
identificare e a ricercare oggetti-Sé appropriati. L’approccio di Kohut rispetto al narcisismo è stato
duramente criticato, in particolare la sua riduzione della psicopatologia a deficienze empatiche dei genitori
è stata vista come una colpevolizzazione semplicistica nei confronti dei genitori stessi; l’enfasi che poneva
sullo stare vicino all’esperienza del paziente, sebbene sia in un certo senso vicina alla tecnica gestaltica, è
stata messa in discussione da diversi psicanalisti in quanto porta a trascurare tematiche inconsce che
dovrebbero essere affrontate durante il trattamento. Infine qualche parola relativa ai vissuti
controtransferali, che con i pazienti narcisisti sono in genere molto intensi; il terapeuta coinvolto in un
transfert idealizzante con un paziente narcisista può infatti compiacersi di godere di un calore e di un
amore così intenso da portarlo a colludere con il desiderio del paziente di escludere la rabbia e l’odio dalla
terapia. Un’evoluzione frequente nel trattamento dei pazienti narcisisti è che essi inizialmente
idealizzeranno il loro attuale terapeuta mentre svaluteranno tutti quelli incontrati precedentemente; se il
terapeuta non considera tale processo come una manovra difensiva, molto probabilmente accetterà di
essere idealizzato come espressione del fatto che egli possiede pregi che altri suoi colleghi non avevano. I
terapeuti che non riescono a riconoscere i propri bisogni narcisistici, e quindi utilizzarli per rendere il
trattamento più efficace, possono invece disconoscerli ed esteriorizzarli, creando la visione erronea del
paziente come l’unico membro della diade paziente-terapeuta che presenta segni di narcisismo. Inoltre un
problema controtransferale tipico del narcisista ipervigile descritto da Kohut è che spesso il terapeuta si
sentirà controllato, ed è pertanto utile in questi casi affrontare e discutere la questione apertamente .
KERNBERG

Kernberg ha descritto una tipologia di pazienti narcisisti che si può definire “inconsapevole”. E’ bene
evidenziare che i pazienti studiati da Kernberg, essendo per la maggior parte ospedalizzati, presentavano
caratteristiche più primitive, con aggressività, grandiosità, arroganza, tratti antisociali e differivano
nettamente rispetto a quelli studiati da Kohut che erano pazienti ambulatoriali che presentavano un
funzionamento relativamente buono e potevano permettersi una terapia). In realtà la tipologia di Krenberg
coincide con la descrizione del DSM IV per il disturbo narcisistico di personalità: un quadro pervasivo di
grandiosità, necessità di ammirazione e mancanza di empatia che compare nella prima età adulta ed è
presente in una varietà di contesti, come indicato da cinque o più dei seguenti elementi: senso grandioso di
importanza; assorbimento da fantasie di illimitato successo, potere, fascino, bellezza, e di amore ideale;
credere di essere speciale e unico, e di dover frequentare e potere essere capito solo da altre persone
speciali e di classe elevata. Richiedere eccessiva ammirazione, avere la sensazione che tutto gli sia dovuto e
la irragionevole aspettativa di trattamenti di favore o di soddisfazione immediata delle proprie aspettative;
sfruttamento interpersonale, ovvero approfittarsi degli altri per i propri scopi; mancanza di empatia; invidia
nei confronti degli altri, o credere che gli altri siano invidiosi; mostrare comportamenti o atteggiamenti
arroganti e presuntuosi. Kernberg considerava l’organizzazione difensiva della personalità narcisistica simile
al disturbo borderline di personalità, e la distingueva in base al Sé grandioso del narcisista, integrato ma
patologico; egli considerava tale struttura una fusione tra Sé ideale, oggetto ideale e Sé reale, che da luogo
ad una svalutazione distruttiva delle immagini dell’oggetto. I pazienti con disturbo narcisistico di
personalità si identificano nelle loro idealizzate immagini di sé al fine di denegare la loro dipendenza dagli
oggetti esterni e dalle immagini interne di questi oggetti; nello stesso tempo negano gli aspetti inaccettabili
delle proprie immagini di sé proiettandoli negli altri. Il Sé grandioso patologico spiega dunque il paradosso
del funzionamento egoico relativamente buono in presenza di difese primitive come scissione,
identificazione proiettiva, onnipotenza, svalutazione, idealizzazione e diniego; praticamente, mentre il
paziente borderline tende ad avere rappresentazioni di sé alterne che lo fa apparire diverso di giorno in
giorno, il paziente narcisista ha un livello di funzionamento che lo fa apparire più regolare e coerente,
anche se fondato su un Sé patologico integrato. Inoltre la personalità borderline è più soggetta a problemi
connessi alla debolezza dell’Io come uno scarso controllo degli impulsi ed una ridotta tolleranza dell’ansia,
mentre tali debolezze sono molto meno comuni nelle personalità narcisistiche grazie ad un funzionamento
più uniforme della struttura del Sé. Tuttavia Kernberg considerava che alcuni pazienti narcisisti, quelli che
occasionalmente richiedono un’ospedalizzazione, funzionano ad un livello borderline, presentando
contemporaneamente la grandiosità e l’altezzosità della personalità narcisistica, sia il deficitario controllo
degli impulsi e le caleidoscopiche relazioni d’oggetto caratteristici degli individui borderline. A differenza di
Kohut che concettualizzava il Sé narcisistico come un normale Sé arcaico che è semplicemente stato
congelato nel suo sviluppo, Kernberg vedeva il Sé di questi pazienti come una struttura altamente
patologica che era priva di somiglianza con il normale sviluppo del Sé del bambino. In particolare
l’espressione esibizionistica del bambino è affascinante e tenera, e non ha nulla a che vedere con l’avidità e
le pretese del Sé patologico del narcisista. Egli considerava il Sé patologicamente grandioso come una
difesa contro l’investimento negli altri, ed in particolare contro la dipendenza negli altri; questa
caratteristica può manifestarsi come una pseudo autosufficienza, attraverso la quale il paziente nega
qualsiasi bisogno di accudimento e contemporaneamente tenta di impressionare gli altri e di ottenerne
l’approvazione; aveva inoltre una visione più primitiva dell’aggressività di questi pazienti, che li porta ad
essere distruttivi nei confronti degli altri. Quest’aggressività originerebbe dall’interno e non può essere
concettualizzata come una reazione comprensibile di fronte a insufficienze altrui; una sua manifestazione è
una cronica e intensa invidia che induce a voler rovinare e distruggere le cose buone degli altri: Kernberg
descrisse questi pazienti come individui costantemente impegnati a confrontarsi con gli altri, solo per poi
ritrovarsi tormentati da sentimenti di inferiorità e da un’intensa brama di possedere ciò che gli altri hanno.
La svalutazione degli altri nel tentativo di gestire l’invidia provata nei loro confronti è associata con un
impoverimento del mondo interno delle rappresentazioni oggettuali, e lascia i pazienti con una sensazione
di vuoto interiore che può essere compensato solo da un’ammirazione ed un plauso costanti da parte degli
altri, oltre che da un controllo onnipotente nei loro confronti, così che la loro libertà, la loro gioia e la loro
autonomia non producano ulteriore invidia. Kernberg considerava l’idealizzazione non come un tentativo di
compensare una struttura psichica deficitaria, ma come una difesa contro sentimenti negativi come rabbia,
invidia, disprezzo e svalutazione. I pazienti da lui descritti sembravano avere solo le forme più superficiali di
relazione d’oggetto, e dimostrano uno scarso interesse per ciò che gli altri dicono, a meno che non si tratti
di commenti lusinghieri nei loro confronti; sembrano non avere alcun tipo di consapevolezza del loro
impatto sugli altri, parlano come se si rivolgessero ad un vasto pubblico, stabilendo raramente un contatto
visivo. Parlando al cospetto degli altri e non con gli altri, sono ignari del fatto che sono noiosi e che di
conseguenza alcuni abbandoneranno la conversazione per cercare compagnia altrove; mostrano un
evidente bisogno di essere al centro dell’attenzione ed i loro discorsi sono ricchi di riferimenti ai loro
successi; sono insensibili ai bisogni delle altre persone, fino al punto di non permettere che altri
contribuiscano alla conversazione: vengono percepiti come se avessero un trasmettitore ma non un
ricevitore. Con questo comportamento i pazienti narcisisti inconsapevoli tentano di impressionare gli altri
con le loro qualità e di preservarsi al contempo dalla ferita narcisistica eludendo le loro risposte.

Anche Kernberg considerava la psicanalisi come il trattamento d’elezione per i pazienti narcisisti; il suo
approccio parte dal presupposto che il Sé grandioso del paziente viene proiettato ed introiettato in modo
alterno, in modo che nella stanza d’analisi sono sempre presenti due figure, una idealizzata e l’altra
svalutata all’ombra di quella idealizzata: essendo l’idealizzazione del terapeuta un modo per difendersi da
sentimenti scissi di disprezzo, invidia e rabbia, andrebbe interpretata piuttosto che essere accettata come
un normale bisogno evolutivo. La sua tecnica è molto più dialettica e meno empatica di quella di Kohut:
essendo convinto che l’avidità e la mancanza d’impegno tipici del disturbo narcisistico non fossero aspetti
di uno sviluppo normale, riteneva che questi tratti dovessero essere affrontati ed esaminati partendo dal
loro impatto sugli altri, pertanto lo sviluppo precoce di un transfert negativo deve essere sistematicamente
esaminato ed interpretato. Il terapeuta deve quindi focalizzarsi sull’invidia e sul modo in cui impedisce al
paziente di ricevere o riconoscere l’aiuto: quando i pazienti ricevono qualcosa di positivo dal loro terapeuta,
spesso la loro invidia aumenta poiché ciò genera sentimenti di inadeguatezza o di inferiorità rispetto alle
capacità di cura e di comprensione del terapeuta. Kernberg pensava che una comprensione cognitiva
attraverso il processo interpretativo fosse cruciale per il successo terapeutico, ed individuava negli
obbiettivi della terapia lo sviluppo della colpa e della preoccupazione nei confronti degli altri e
l’integrazione dell’idealizzazione e della fiducia con la rabbia ed il disprezzo. Egli riteneva che i pazienti
narcisisti fossero i più difficili da trattare in quanto ogni loro sforzo mira a fare fallire il terapeuta; affinché
la terapia abbia successo, questi pazienti devono confrontarsi con intensi sentimenti di invidia verso colui
che ha qualità positive che a essi mancano. Il paziente usa difensivamente la svalutazione ed il controllo
onnipotente per tenere a distanza il terapeuta, e queste difese devono essere affrontate continuamente. I
pazienti con accentuati tratti antisociali possono essere di fatto incurabili, mentre vi sono dei fattori che
depongono per una prognosi favorevole: capacità di tollerare la depressione e la tristezza, maggiore
propensione verso la colpa rispetto alle tendenze paranoidi nel transfert, una certa capacità di sublimare le
pulsioni primitive, un controllo degli impulsi relativamente buono ed una buona motivazione. Per pazienti
caratterizzati da eccessiva crudeltà e sadismo, con spiccate caratteristiche antisociali, che non hanno
nessun coinvolgimento con gli altri, con intense reazioni paranoidi verso gli altri e con una rabbia cronica
razionalizzata come colpa degli altri, Kernberg suggeriva una terapia supportiva, dove un’identificazione
con il terapeuta li potrebbe aiutare a funzionare meglio, ma è opportuno che il processo rimanga non
interpretato. Uno dei problemi controtransferali con i pazienti narcisisti inconsapevoli è la noia, dovuta al
fatto che parlano come se si trovassero di fronte ad un vasto pubblico, e che non considerano il terapeuta
come una persona separata con pensieri e sentimenti propri; questa sensazione di essere esclusi dal
paziente può essere il prodotto di un processo di identificazione proiettiva in cui il paziente ignora il
terapeuta come in passato i suoi genitori avevano ignorato lui. Dato che i pazienti narcisisti tendono a
considerare l’analista come un prolungamento di sé, spesso evocano nel terapeuta stati che riflettono i loro
conflitti interiori: un aspetto del paziente è proiettato nel terapeuta che si identifica con quel Sé prima di
aiutare il paziente a reintroiettarlo. Il contenimento di questi aspetti proiettati del paziente può essere una
parte importante del trattamento psicoterapeutico dei pazienti narcisisti e comprendere questo può
aiutare il terapeuta a non allontanarsi dal paziente, a non affrontarlo sadicamente e a non provare la
sensazione di sentirsi ferito e violentato da lui.

LOWEN

Lowen condivide la definizione di Kernberg della personalità narcisistica come una combinazione di intensa
ambizione, fantasie grandiose, sentimenti di inferiorità, ed eccessiva dipendenza, accompagnati da
incertezza cronica, insoddisfazione di sé stessi, crudeltà e sfruttamento nei confronti degli altri. Questa
analisi descrittiva permette di identificare i soggetti narcisisti, ma per capirli è necessario penetrare sotto la
superficie per vedere il disturbo della personalità che dà origine a quel comportamento. In ottica
psicanalitica il problema si sviluppa nella prima infanzia, come risultato della fusione tra sé ideale, oggetto
ideale e immagini reali di sé, difesa necessaria per fare fronte alla realtà intollerabile del mondo
interpersonale. I narcisisti in pratica sono assorbiti dalla loro immagine e non sono in grado di distinguere
tra l’immagine di chi credono di essere e l’immagine di chi effettivamente sono, di modo che
l’identificazione con l’immagine idealizzata porti alla perdita della reale immagine di sé. Secondo la
psicanalisi però, tutto ciò che avviene nella psiche determina la personalità, trascurando di considerare che
tutto ciò che avviene nel corpo influenza pensiero e comportamento quanto ciò che avviene nella psiche; la
coscienza è in rapporto con le immagini che regolano le nostre azioni, che implicano l’esistenza dell’oggetto
che rappresenta: l’immagine di sé deve avere un qualche rapporto con il sé, che è qualcosa di più di
un’immagine. E’ doveroso quindi risalire al sé corporeo che viene proiettato sull’occhio della mente come
immagine ed il senso di sé dipende dalla percezione della vita del corpo, che è a sua volta una funzione
della mente che crea immagini. Quindi se il corpo è sé, l’immagine di sé reale deve essere un’immagine
corporea, e si può abbandonare l’immagine di sé solo se si rifiuta la realtà di un sé incorporato. I narcisisti
non negano di avere un corpo, però lo considerano come uno strumento della mente, soggetto alla loro
volontà e l’attività del corpo è basata in questo modo su delle immagini anziché su delle emozioni. In
sostanza per Lowen la negazione dei sentimenti è il disturbo principale della personalità narcisistica, che
può essere definita come una persona la cui condotta non è motivata dai sentimenti. A questo proposito
egli fa un paragone con l’isteria dell’epoca vittoriana: ai tempi di Freud l’abitudine di tenere a freno
l’eccitazione sessuale comportava lo sviluppo nelle persone di un superio rigoroso e severo che creava
ansia e forti sensi di colpa. Oggi al contrario sono pochi a soffrire coscientemente di sensi di colpa ed a
provare ansie per problematiche legate al sesso, semmai può esserci una più diffusa inclinazione nel
lamentarsi per non essere all’altezza, in merito alle proprie prestazioni. Il narcisista quindi sembra mancare
di quello che potrebbe essere considerato un normale superio, e non avendo il senso del limite, ha la
tendenza ad agire i propri impulsi e si sente libero di ricercare il proprio stile di vita al di fuori delle regole
sociali. A livello affettivo quindi, mentre l’isterico è iperemotivo ed esagera la manifestazione dei propri
sentimenti, predisponendosi all’ansia, il narcisista invece li minimizza ed è pervaso da un senso di vuoto che
lo porta spesso alla depressione. Nell’isteria è presente una paura più o meno cosciente di essere
sopraffatti dai sentimenti, mentre nel narcisismo questo timore è per lo più inconscio. Queste distinzioni
sono per lo più teoriche in quanto poi nella clinica l’ansia e la depressione possono essere presenti
contemporaneamente, soprattutto nelle personalità borderline; tuttavia possono essere utili a configurare
come il cambiamento di una serie di valori dominanti possa portare verso l’affermazione di diverse
patologie. Oggi prevale la tendenza a considerare i limiti come restrizioni non necessarie al potenziale
umano e potere, efficientismo e produttività hanno preso il posto di virtù ormai desuete come la dignità,
l’integrità ed il rispetto di sé stessi. Il narcisismo non è certo però apparso nella nostra epoca, per Freud
infatti, il termine si riferiva a quei soggetti che derivavano una soddisfazione erotica dalla contemplazione
del proprio corpo e che potesse fare parte del normale decorso dello sviluppo sessuale degli uomini. Lowen
invece non credeva al concetto di narcisismo primario, e ritenendo che ogni forma di narcisismo fosse
secondaria e venisse determinata dalle difficoltà nel rapporto genitore-figlio, da una distorsione dello
sviluppo, considerando che occorresse cercare qualcosa che i genitori avessero fatto al bambino, piuttosto
che indagare semplicemente su ciò che avevano tralasciato di fare, anche se poi in realtà i bambini sono
spesso soggetti ad entrambi i tipi di trauma. I genitori, non riconoscendo e non rispettando l’individualità
del figlio, non gli danno un affetto ed un appoggio sufficienti ed allo stesso tempo, con la seduzione,
cercano di farli corrispondere all’immagine che se ne sono fatti. La mancanza di cure e di rispetto aggrava la
distorsione, ma è quest’ultima a causare il disturbo.

Lowen individua diversi gradi di disturbi e di perdita del Sé, e distingue cinque tipi di turbe narcisistiche che
si differenziano per caratteristiche e per gravità; in ordine crescente di gravità elenca:

1) il carattere fallico-narcisistico; nel quale il divario tra immagine e Sé è minimo, e si configura come un
investimento dell’Io degli uomini nella seduzione delle donne; il loro narcisismo consiste nell’esagerazione
della propria immagine sessuale e nella preoccupazione per essa. Si manifesta con l’ostentazione di un
senso di superiorità e di una dignità esagerata. La controparte femminile del maschio fallico-narcisistico è il
carattere isterico che identifica una donna preoccupata della propria immagine sessuale, sicura di sé,
spesso arrogante e vigorosa, dalla forte presenza. Il suo narcisismo è evidente nelle tendenza a essere
seduttiva e a misurare il proprio valore in base alla capacità di attrarre sessualmente con il suo fascino
femminile.

2) Proseguendo nella classificazione evidenzia il carattere narcisistico che ha un’immagine dell’Io più
grandiosa, ed una necessità di sentirsi perfetto e di essere considerato tale anche dagli altri; spesso ha un
apparente successo e si dimostra abile a cavarsela nel potere e nel denaro, è tenuto in grande
considerazione dagli altri, però ha un’immagine grandiosa in quanto è contraddetta dalla realtà del Sé: i
caratteri narcisistici sono totalmente fuori posto nel mondo dei sentimenti e non sanno come rapportarsi
alle altre persone in maniera reale e umana.

3) Al terzo posto vi è la personalità borderline, che può anche non manifestare i sintomi caratteristici del
narcisismo; alcuni di loro possono proiettare un’immagine di successo, di competenza e di autorità che
però si frantuma facilmente quando è sottoposta a stress emotivo, rivelando in questo modo il bambino
impaurito e bisognoso di aiuto che vi sta dietro. Altri si propongono come deprivati, enfatizzano la propria
vulnerabilità e si appoggiano spesso agli altri, nascondendo la grandiosità e l’arroganza che non potrebbero
essere confermate da adeguati riconoscimenti. Molte volte l’ostentazione dei caratteri narcisistici è una
difesa efficace contro al depressione, però in questo caso l’esibizione di un successo non garantisce tale
protezione e spesso questi pazienti iniziano il trattamento affermando di essere depressi, in quanto spesso i
sensi di superiorità e di inferiorità coesistono. Rispetto alle altre due tipologie individuate
precedentemente, nelle personalità borderline si riscontra una minore forza dell’Io, e sono meno motivate
da un senso autentico del Sé.

4) La quarta classificazione riguarda la personalità psicopatica caratterizzata da un grado ancora maggiore


di grandiosità manifesta o latente. Si considera superiore agli altri e dimostra un’arroganza che rasenta il
disprezzo per l’umanità, nega i sentimenti ed ha la tendenza all’acting out in forma antisociale, un tipo di
comportamento che non tiene conto degli altri ed è generalmente distruttivo degli interessi più autentici
del Sé; i soggetti psicopatici mentono, imbrogliano, rubano, uccidono, senza dare segno di provare colpa o
rimorso, e questa estrema mancanza di solidarietà umana li rende molto difficili da trattare. In genere gli
impulsi impliciti in questi comportamenti hanno origine da situazioni infantili così traumatiche da non poter
essere integrate nello sviluppo dell’Io, di modo che i sentimenti associati a questi impulsi slittino al di là
della percezione dell’Io; l’azione viene compiuta in assenza di sentimenti consci. Vengono individuati nella
descrizione delle personalità psicopatiche una serie di caratteristiche legate al narcisismo, come il bisogno
di gratificazione istantanea, e l’incapacità di contenere i desideri e di sopportare le frustrazioni, le cui origini
vanno ricercate nell’insufficienza del senso di Sé.

5) Infine, al livello più alto della scala vi è la personalità paranoide, caratterizzata da una vera e propria
megalomania. I soggetti paranoidi sono convinti di essere al centro degli sguardi e di ogni discorso, e che la
gente cospiri contro di loro, in quanto si sentono speciali e molto importanti, e possono credere di avere
poteri straordinari; si alienano a tal punto da non riuscire più a distinguere tra fantasia e realtà. Sebbene
assomigli di più ad una psicosi, si possono ritrovare nella personalità paranoide molte caratteristiche legate
al narcisismo come estrema grandiosità, un marcato divario tra l’immagine dell’Io ed il Sé reale, arroganza,
insensibilità verso gli altri, negazione e proiezione.

IMMAGINE

Il narcisista dimostra mancanza di interesse per gli altri, così come per i suoi più veri bisogni, mettendo
spesso in atto un comportamento autodistruttivo. Il narcisismo denota un investimento nell’immagine
invece che nel Sé ed i narcisisti amano l’immagine che si sono costruiti; avendo un Sé debole ed incapace di
dirigere le proprie azioni, si comportano al fine di incrementare l’immagine, spesso a scapito del Sé. Molte
persone, naturalmente, investono sulla propria immagine facendo molti sforzi per dare agli altri ed a se
stessi una buona impressione. La differenza però è tra un interesse sano per una apparenza basato sul
senso di Sé, e al contrario lo spostamento di identità dal Sé all’immagine, caratteristico dello stato
narcisistico. L’essere umano ha una duplice identità che deriva in parte dall’identificazione con l’Io;è
un’organizzazione mentale che si sviluppa con la crescita, ed in parte dall’identificazione con il corpo e con
ciò che sente. Dal punto di vista dell’Io, il corpo è un oggetto da osservare, studiare e controllare
nell’interesse di una prestazione che sia all’altezza della propria immagine. Dall’altro punto di vista, giacché
l’uomo è mosso dai sentimenti così come dalla volontà, il corpo svolge un ruolo attivo ed informa la mente
delle sue necessità e dei suoi desideri, determinando così la direzione e lo scopo delle azioni del soggetto.
In una persona sana le due identità sono congruenti, mentre quando manca la congruenza tra Sé ed
immagine di Sé, la personalità è disturbata ed il grado di questo disturbo è direttamente proporzionale al
grado di incongruenza. Nella schizofrenia l’immagine non ha quasi alcun rapporto con la realtà. Nei disturbi
narcisistici l’incongruenza è minore, ma sufficiente a produrre una scissione dell’identità, con conseguente
confusione, che i narcisisti evitano negando l’identità basata sul corpo senza dissociarsi da esso, e
concentrando l’attenzione e l’interesse esclusivamente sull’immagine. Impedendo che qualsiasi sentimento
o sensazione intensa raggiunga la coscienza, i narcisisti possono trattare il corpo come un oggetto che
dipende dal controllo della volontà, ritirando quindi la libido dal corpo ed investendola sull’IO.

Sostanzialmente quindi il narcisista vive in funzione della propria immagine che, non trovando riscontro e
non essendo sostenuta dai vissuti del corpo, ha un bisogno continuo di essere alimentata e gonfiata dal
riconoscimento da parte degli altri. In conseguenza di ciò la personalità narcisistica per poter funzionare
diventa dipendente dall’ambiente, e questo la porta ad allontanarsi sempre di più dal suo vero sé che
corrisponde alle emozioni ed ai sentimenti che trovano sede nel corpo. Quindi nel momento in cui
l’immagine si costituisce come forza dominante della personalità, l’individuo sopprimerà qualsiasi
sentimento che la contraddica, facendo diventare il vero sé che sta sotto ribelle e rabbioso, in quanto
nascosto e negato. Tuttavia questa ribellione e questa rabbia non possono mai essere del tutto soppresse
poiché sono espressione della vitalità della persona; non potendo essere espresse direttamente, si
riveleranno nell’acting out, e ciò può essere molto pericoloso. Lowen è convinto che l’immagine può
raggiungere una posizione dominante solo in assenza di sentimenti forti, ed è proprio questa negazione dei
sentimenti che costituisce la base della personalità narcisistica.

Tutti i nevrotici utilizzano il meccanismo di anestetizzare alcune parti del corpo per reprimere i sentimenti,
però nel caso del narcisismo è in gioco una difesa tipica, proprio la negazione dei sentimenti. Questi
consistono nella percezione di un evento o di un movimento interno al corpo, e nel caso della negazione dei
sentimenti ciò che viene bloccato è proprio la funzione della percezione. La necessità di proiettare e di
mantenere un’immagine costringe a impedire che qualsiasi sentimento contrario ad essa raggiunga la
coscienza, e spesso il comportamento evidente che potrebbe contraddire l’immagine viene razionalizzato.
Nell’individuo narcisista le azioni non sono associate ai sentimenti che le motivano, ma sono giustificate
dall’immagine. La conseguenza della negazione dei sentimenti propri è l’insensibilità a quelli degli altri,
infatti i narcisisti possono essere spietati, sfruttatori, sadici e distruttivi a causa del fatto che mancano di
empatia, e non vedono gli altri come persone reali, ma solo come oggetti da usare. In sostanza quindi senza
la negazione dei sentimenti l’immagine non diventerebbe dominante, ma solo quando lo diventa i
sentimenti vengono continuamente negati. Lowen a proposito della negazione dei sentimenti fa un
interessante paragone con la guerra, in cui si insegna a vedere i nemici non come persone reali, in quanto
uccidere una persona reale non risulterebbe facile, ma come immagini che è loro dovere distruggere. La
vittoria e la sconfitta sono questioni di vita o di morte e non c’è spazio per i sentimenti. I soldati devono
obbedire agli ordini, combattere senza discutere ed agire senza sentire, in quanto entrare in contatto con la
propria paura, dolore o tristezza li indebolirebbe e li renderebbe inefficaci. Spesso l’immagine attraverso la
quale il narcisista vede gli altri è intrisa di aspetti rifiutati dal proprio Sé, e l’aggressione verso gli altri ha in
parte origine dal desiderio di distruggere questi aspetti respinti; se ha un’immagine di forza, proietterà sugli
altri un’immagine di vulnerabilità e di debolezza che deve essere distrutta. Altro aspetto legato al
narcisismo è la menzogna; l’inconsistenza e l’inadeguatezza dell’immagine, essendo dovute ad una
negazione della realtà, caratterizza i narcisisti come persone inclini a mentire, avvicinandoli per certi aspetti
a quelle che sono le personalità psicopatiche a cui manca completamente il Super-Io portandoli con il
tempo a perdere la capacità di distinguere tra menzogna e verità, identificandosi completamente con la
propria immagine che ormai è divenuta reale. Per Lowen inizialmente la negazione è consapevole in quanto
la percezione selettiva ci permette di distogliere l’attenzione da un problema la cui soluzione non è in
nostro potere. Non si decide di negare la realtà di una situazione, ma si è consapevoli della sua
sgradevolezza e del desiderio di evitarla. Col tempo però la negazione diventa inconsapevole e non si prova
più dolore, e si crea al suo posto l’immagine di una situazione piacevole e felice, che permette di andare
avanti come se tutto andasse bene. In questo modo la negazione si struttura nel corpo sotto forma di
tensioni croniche localizzate muscolarmente. Lowen riconosce comunque che nei narcisisti vi siano
sentimenti potenzialmente presenti, che si manifestano di tanto in tanto in forma distorta ed assumono
due forme:

- una rabbia irrazionale, che corrisponde ad un’esplosione distorta di collera

- un lacrimoso sentimentalismo che è un sostituto dell’amore.

La spiegazione che dà di questo fatto è che se da un lato è vero che l’Io riesce a controllare i sentimenti
simulandoli o limitandone l’intensità è anche vero che le emozioni sono risposte del corpo nella sua
totalità, pertanto non è possibile sopprimere o negare la paura senza sopprimere nello stesso tempo un
sentimento di collera. Lowen nella sua pratica terapeutica cerca di mettere in contatto i narcisisti con i
propri sentimenti ed particolarmente con la propria tristezza. Tristezza e paura sono infatti le emozioni che
sono soggette a severe inibizioni da parte dei soggetti narcisisti, in quanto la loro espressione rende
vulnerabili. Esprimere la tristezza conduce, infatti, alla consapevolezza di una perdita e rievoca il desiderio,
esponendo pertanto alla possibilità di un rifiuto e di un’umiliazione, quindi non volere e non provare
desideri è una difesa contro possibili ferite; se non si prova paura non ci si sente vulnerabili e si può pensare
di non venire colpiti. La negazione della tristezza e della paura consente quindi di proiettare un’immagine di
indipendenza, di coraggio e di forza, nascondendo a se stessi ed agli altri la propria vulnerabilità.
L’immagine però è solo una facciata, è impotente, e di per sé non ha forza reale, che risiede invece nei
sentimenti dell’individuo.

CONTROLLO

Altra tematica legata al narcisismo è quella del controllo, che protegge da una possibile umiliazione. I
narcisisti controllano in primo luogo se stessi, negando quei sentimenti che li renderebbero vulnerabili, e
devono controllare anche le situazioni in cui si trovano coinvolti, accertandosi che non ci sia possibilità che
altri abbiano potere su di loro; potere e controllo sono quindi due facce della stessa medaglia, ed insieme
concorrono a proteggere l’individuo dal sentirsi vulnerabile ed incapace di prevenire una possibile
umiliazione. Lowen è convinto che la maggior parte dei pazienti narcisisti fossero in qualche modo stati
umiliati dai genitori nel corso della loro infanzia, che avevano usato il potere come mezzo per controllarli.
Molte volte il potere si configura come maggiore forza fisica che costringe il bambino alla sottomissione,
mentre altre volte prende la forma di una critica che lo fa sentire senza valore, inadeguato e stupido, altre
volte ancora nei bambini più grandi subentra la seduzione con promesse di trattamenti speciali e di
maggiore intimità a condizione che il bambino si adegui ai desideri dei genitori. Una spiegazione di questi
comportamenti, è che gli adulti ripetano sui figli il trattamento che hanno ricevuto dai loro stessi genitori, in
quanto i bambini sono gli oggetti più a portata di mano, quelli su cui è più facile sfogare risentimenti e
frustrazioni; in sostanza quindi entrare in una logica di potere comporta il ricorso alla ribellione o alla
sottomissione. Il bambino che si sottomette impara che i rapporti sono governati dal potere e questa è una
premessa perché da adulto lotti per ottenerlo. I bambini imparano presto a giocare lo stesso gioco dei
genitori, ed il miglior modo per avere potere su di loro è fare qualcosa che li turbi; i genitori di fronte ai
comportamenti distruttivi tesi a turbarli, promettono al bambino, se cede, di dargli ciò che vuole, e dal
momento che cedere implica una perdita di potere, la minaccia della ribellione deve essere sempre
presente. Molto spesso la lotta di potere tra un genitore ed un figlio è parte di una più grande lotta per il
potere che è in atto tra marito e moglie, ed il bambino che viene portato con la seduzione a sentirsi
speciale diviene il centro di questa lotta. In fin dei conti non può esserci amore in un rapporto quando il
potere ha un ruolo determinante e le battaglie familiari per il potere finiscono per essere estremamente
distruttive.

Lowen è convinto che se ai bambini venisse consentito di esprimere la collera verso i genitori tutte le volte
che sentissero di avere un risentimento legittimo, nel mondo ci sarebbero molte meno personalità
narcisistiche. Per arrivare a conoscere se stessi i narcisisti devono ammettere la loro paura della follia e
sentire la rabbia omicida che hanno dentro e che identificano con la follia ed è utile in fase terapeutica
indicargli che ciò che credono follia, ovvero la loro collera, è in realtà una cosa normale se riescono ad
accettarla, mentre la vera follia è ciò che loro considerano un segno di equilibrio mentale, cioè la mancanza
di emozioni. Lowen propone un’interessante differenza tra il narcisista e le personalità schizoide: il primo
mette a fuoco la realtà esterna escludendo in parte il mondo interno del sentimento, mentre il secondo si
ritira dal mondo esterno e si rifugia nella realtà interiore perché non è in grado di tenere testa alle forze ed
alle pressioni del mondo esterno. I narcisisti sanno quindi affrontare bene la realtà, anche se non sono in
grado di rispondere emotivamente alle situazioni ed avendo ridotto tutti gli oggetti ad immagini, finiscono
per manipolare le persone e le cose.

Proteggere l’organismo dagli stimoli che non può governare, è parte della funzione di adattamento dell’Io
designata a proteggere l’integrità della persona e ciò si configura come negazione di alcuni aspetti della
realtà esterna. Tuttavia questa difesa valida, diventa una nevrosi nel momento in cui, protraendosi nell’età
adulta, rimane operante in situazioni in cui la persona non è indifesa. La negazione è ottenuta rendendo la
superficie insensibile agli stimoli, ed il suo effetto è quello di irrigidire l’Io che diventa così incapace di
rispondere emotivamente alla realtà o di modificarla secondo i propri sentimenti. Se l’individuo quindi, si
viene a trovare in una situazione di eccesso o di eccitazione che non riesce a sfogare entra in difficoltà, in
quanto vive la stessa come un dolore e dispiacere e quando la tensione aumenta al punto da diventare
intollerabile il soggetto si anestetizza. Più grande è la minaccia dello sfogo, maggiore sarà l’energia investita
nella facciata esposta al mondo che serve all’individuo per controllare e negare i sentimenti; l’effetto finale
quindi, sarà l’imprigionamento del vero sé, il sé sensibile.

BIBLIOGRAFIA:

Sigmund Freud (1914) “Introduzione al narcisismo. Newton.

Heinz Kohut (1977) “Narcisismo e analisi del sé”. Bollati.

Otto F. Kernberg (1978) “Sindromi marginali e narcisismo patologico”. Bollati.

Alexander Lowen (2003) “Il narcisismo, l’identità rinnegata”. Feltrinelli.

Fonte – Articolo gentilmente segnalato da Domizia Parri

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