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Riconoscimento.

Storia di un'idea
europea da pag. 11 a pag. 96 e da
pag. 117a 166
Filosofia Teoretica
Università degli Studi di Milano-Bicocca (UNIMIB)
6 pag.

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RICONOSCIMENTO
Francia
Hobbes: viene definito da Hont come padre fondatore della moderna teoria di
riconoscimento, aveva l’idea che esistesse un contratto sociale per cui tutti i
cittadini per sopravvivere accettano di sottomettersi ad un’unica autorità che
garantisce sicurezza e stabilità politica.
La Rochefoucauld: è il primo che si interroga sulle cause. Riprende il
concetto di Agostino che contrapponeva all’amore di sé, virtù approvata da
Dio, passione naturale dell’uomo. Nasce il concetto dell’amour propre che
spingerà gli individui a simulare qualità che non hanno perdendo di vista la
propria personalità. Mentendo agli altri e producendo un’immagine distorta di
sé stessi. Il suo scopo è smascherare i propri contemporanei, smascheramento
delle apparenze per ottenere il favore del sovrano e della corte.

Rosseau: quando cambia il vecchio ordine sociale anche i rapporti sociali e le


usanze relative all’appartenenza di classe iniziano ad allentarsi, viene meno la
gerarchia sociale come effetto di una volontà divina. L’uomo si domanda che
posizione ricoprirà all’interno della società. Questo crea il problema del
riconoscimento. Si sviluppa quindi in Francia una visione negativa. Inizia a
diffondersi la volontà di apparire migliore ed in una posizione più elevata della
realtà così riconoscere è faticoso, emerge il concetto di amor proprio usato dai
moralisti francesi che però pensavano facesse parte della natura umana.
Con lui il concetto di amour propre evolve così come evolve la nascita della
borghesia. Quindi esaspera anche la voglia di primeggiare sostenuta dal teatro
che forniva dei modelli da imitare, Rosseau lo definiva una palestra per l’amour
propre e lo detestava. Rosseau contrappone amore di sé e amour propre,
quest’ultima vista come vanità peccaminosa e smania di apparire superiore
agli altri. Seguendo l’amour de soi giudichiamo l’agire tramite dei criteri
individuali ovvero ciò che è giusto per noi. Secondo l’amour propre il giudizio è
orientato all’approvazione e riconoscimento dei simili che diventano giudici del
comportamento, non appartiene alla natura ma ad una seconda natura
culturale che abbiamo assimilato con il tempo. Il giudizio è un incentivo
all’impulso di primeggiare e mostrarsi superiori. Da un lato di vuole prevalere
nel confronto con gli altri e dall’altro è necessario che ci siano criteri su cui
confrontare ciò su cui si vuole prevalere. Il giudizio sociale per Rosseau è un
male possibile perché porta alla smania di fingere qualità che non si hanno e
che porti all’auto inganno. Nel contratto sociale c’è una visione diversa rispetto
al discorso, perché Rosseau dà il concetto di amour propre un senso di
plasticità. La smania di eccellere si può trasformare in un bisogno di rispetto e
nel riconoscimento della propria autonomia. Anche nell’Emile si allude ad una
metamorfosi dell’amour propre che posso assumere la forma di un rispetto tra
pari. Quindi la formazione di una volontà dei soggetti di riconoscersi
reciprocamente. Egli crede che la perdita di sé e la dipendenza dal giudizio

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degli altri ci sia solo nelle società dove non è possibile che ci sia inclusione e
partecipazione. L’ostacolo più grande è quello della dipendenza dal giudizio
dell’osservatore esterno. Eliminare i giudizi esterni per trovare e indentificare il
proprio sé è più complicato. O abbiamo tentato d’ingannare gli altri finendo per
auto ingannarci o abbiamo ingannato l’opinione degli altri entrando in un
circolo da cui non riusciamo ad uscire. L’amour propre dunque ha due pericoli
di fondo: da un lato il rischio di una gerarchia sociale ingiusta e dall’altro non
riuscire a riconoscere il proprio essere. La dipendenza dal giudice esterno e dal
riconoscimento sociale ci rende incerti su chi siamo.
Sartre: indaga su come si modifica l’esistenza di un soggetto dal momento in
cui incontra un altro soggetto. Sostiene che, il soggetto prima di incontra
l’altro, sia in uno stato ontologico di essere per sé, in costante rapporto con un
futuro aperto. Tra i soggetti entrambi per “sé” nascerà un incontro scontro,
preceduto da un riconoscimento. Il soggetto si rende conto di essere
osservato/interpellato dall’altro e acquisisce la consapevolezza di “essere con
altri. Il soggetto è consapevole di essere riconosciuto come essere per “sé”.
Questo essere “per sé” gli viene sottratto dallo sguardo esterno, perché lo
fissa ha determinato qualità che lo rendono un “in sé” , i soggetti si riducono
reciprocamente ad una schema fisso. Sia Sartre che Rosseau ritengono che
essere riconosciuti abbia una conseguenza negativa. Per Rosseau è incertezza
verso il proprio io. Per Sartre è perdita della propria libertà individuale e del
proprio essere “per se”. Per lui lo sguardo dell’altro non ha una connotazione
valutativa, prende solo atto dell’altra persona, della sua esistenza negandone
l’essere “per sé”.
Il riconoscimento non è necessariamente tra soggetti, può essere visto come
meccanismo operativo all’interno di un intero sistema sociale.
Althusser: la ragione per cui gli esseri umani sono disposti a svolgere delle
attività richieste a scopo di conservarsi e riprodursi. È una schiavitù volontaria,
in cui le istituzioni e le pratiche sociali fanno si che un individuo venga
riconosciuto come soggetto di cui ha bisogno l’ordine sociale. Il riconoscimento
in questo caso indirizza il soggetto ad assimilare delle qualità assegnate
diventando omologato agli altri e convinto di avere una libertà decisionale,
questo è un meccanismo funzionale al mantenimento del potere.
Lacan: anche lui parla di attribuzione di proprietà individuali, spostandosi
sull’ordine linguistico dominante partendo dalla trasformazione dei bisogni
silenziosi del neonato in parole da parte della madre, che porta il neonato a
desiderare di parlare.
Anche qui il riconoscimento è vuoto di moralità e valore cognitivo, ma è il gesto
della madre che proietta nel bambino alcuni degli attributi dell’ordine simbolico
dominante. È un gesto rinnovato per mantenere un ordine dato.

Gran Bretagna

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La gran Bretagna deve confrontarsi con il progresso delle pratiche tecnico
economiche, cresce il commercio esterno ed interno aumenta la circolazione
dei capitali e si diffonde la mentalità capitalistica. La preoccupazione principale
era che questo nuovo tipo umano avrebbe soppiantato, per un interesse
personale, tutti i vincoli morali che sino ad allora avevano regolato la
collettività. Il dibattito tra vantaggio e svantaggio di un comportamento
egoistico sfocia nella filosofia inglese e nel problema delle radici della morale
umana.
Bernard de Mandeville: elogia le proprietà benefiche dell’egoismo portando
la nascita di un contro movimento filosofico dove riconoscimento assumerà un
carattere contrario rispetto alla visione dei francesi.
Shaftesbury: l’uomo ha un carattere sociale che lo porta a preoccuparsi per il
bene comune e avere una spiccata sensibilità morale verso i propri simili,
arginando la naturale inclinazione egoistica.
Hutcheson: ribalta la concezione di Mandeville, e nasce la corrente filosofica
del senso comune. Il senso innato dell’uomo diventa fondamento per tutti i
principi morali, da qui prende vita il concetto britannico di riconoscimento.
Hume: lavora sul trattato della natura umana dedicata alla morale. Si occupa
di correggere la visione di Hutcheson. Il primo intervento è riferito alla tasi
secondo cui giudichiamo le qualità degli altri in base al criterio del vantaggio o
del danno, che essi arrecano al bene collettivo, ritiene che le reazioni
corrispondenti di favore o sfavore debbano essere ricondotte ai sentimenti
naturali di piacere e dispiacere. Hume trova la risposta nel termine sympathy,
ovvero la capicità di intuire e rivivere in noi gli stati mentali dei nostri simili.
Secondo lui noi tendiamo ad approvare qualità che vediamo avere effetti
positivi sugli altri. Si può dire che il rapporto tra umani è condizionato da una
istintiva partecipazione emotiva. Rivede il concetto di simpatia affermando che
può essere più o meno forte in base alla distanza che abbiamo con il soggetto
con cui ci relazioniamo, più il soggetto è vicino e famigliare più sarà intensa la
condivisione degli effetti positivi o negativi che le nostre azioni hanno sul suo
benessere. Simpatizziamo con chi ci è più vicino. Si riesce comunque a
riconoscere la stessa approvazione per determinate qualità morali
indipendentemente dalla distanza. Questa è la differenza tra stima e simpatia.
L’uomo è portato ad analizzare e correggere i propri giudizi morali cercando di
dare ascolto ad un proprio osservatore ideale ed imparziale e quindi, a renderli
oggettivi, osservatore neutrale. L’osservatore può essere una persona reale o
interiore che elimina pregiudizi ed è imparziale. È implicato il riconoscimento
dell’altro, io conferisco all’altro il ruolo di giudice. L’uomo vuole sempre sapere
come appare agli occhi degli altri, questo desiderio di reputazione lo spinge a
moderare giudizi e azioni per risultare socialmente accettabili. Per Hume il
riconoscimento è un coodirigere il proprio comportamento con un’autorità
normativa assegnata alla comunità, partorisce le sue idee in un periodo storico
dove si sta sviluppando l’economia.

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Smith: nelle sue opere si occuperà di morale ed economia. Proponeva di
limitare l’egoismo privato nella sfera del mercato. Critica i materialisti
accusandoli di fraintendere i rapporti interumani. Egli completa il progetto di
Hume mostrando come l’individuo apprenda gradualmente a far dipendere il
suo comportamento morale da forme più comprensive di riconoscimento
sociale. Si domanda su quale criterio formuliamo i giudizi morali sui
comportamenti degli altri individui e riprende l’idea di simpatia. Per egli la
simpatia non necessariamente permette di rivivere le emozioni altrui nel modo
in cui le hanno provate, ma è una capacità proiettiva di condividere stati
emotivi tramite l’immaginazione. Afferma che la nostra capacità proiettiva
nasce dal desiderio che gli altri condividano con noi i nostri/loro stati emotivi, e
che la simpatia si manifesti indipendentemente dalla distanza con l’altro se le
reazioni emotive sono uguali. La natura umana porta il desiderio di sentirsi uniti
e vicini con gli altri. L’uomo però non si limita a condividere gli stati emotivi ma
giudica se le espressioni esterne sono adeguate allo stato esteriore. Introduce il
concetto di propriety ossia appropriatezza ovvero il punto di vista normativo a
cui ci affidiamo per giudicare se l’emozione è adeguata alla causa. Si tratta di
una doppia reciprocità: si desidera la condivisione emotiva e anche
l’approvazione delle reazioni. L’adeguatezza viene valutata da se stessi, dal
soggetto che condivide con noi l’emozione e da un osservatore esterno. Questo
è detto schema della reciprocità emotiva. Smith amplia la visione di Hume
secondo cui ci si comporta in un modo per avere una buona reputazione
sociale, affermando che il comportamento e il controllo di quest’ultimo non
siano finalizzati a guadagnare l’approvazione ma a meritarla se ne siamo
degni. Ritiene necessario un riconoscimento di secondo grado per avvicinare i
soggetti sul piano della sensibilità emotiva. Questa si costruisce introiettando
più punti di vista dell’altro producendo così un giudice imparziale che armonizzi
le proprie emozioni. Se il primo riconoscimento si basa sul bisogno di
condivisione comunicativa, la seconda richiede una mediazione. Riguardo la
questione economica Hume si era interrogato affermando lo scetticismo verso
l’idea di un mercato che funzioni meglio se l’interessi egoistici non vengono
frenati dagli scrupoli morali. Smith è un teorico del mercato libero ma non è un
fautore dei vantaggi di questo: l’economia del mercato non deve, secondo lui,
lasciare fuori dalla porta il riconoscimento ma anzi includerlo sotto forma di
regole e vincoli morali.
Mill: anche lui dà peso alla sfera intersoggettiva, perché convinto che nessuno
sia artefice della propria fortuna. per Mill le riflessioni sul ruolo dell’altro non
hanno un ruolo primario. Nel suo testo utilitarismo si domanda fino a che punto
l’uomo possegga sentimenti sociali. Secondo lui ciascuno ha in sé quelle qualità
che deve usare nel corso della vita. È necessario che l’ordinamento liberale crei
presupposti giuridici economici culturali che permettano al singolo di
realizzarsi. Si introduce il diritto alla libertà di opinione. Introduce il concetto di
Harm Priciple che prevede che le esternazioni di un individuo possano essere
censurate se danneggiano o limitano i tentativi di autorealizzazione dell’altro.
Per egli il mezzo più adeguato per evitare in anticipo i conflitti consiste
nell’indurre i soggetti a considerare gli interessi dei propri simili. È con la

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pubblica approvazione o disapprovazione che la società può soffocare sul
nascere conflitti tra i diversi tipi di auto realizzazione. Chi viene ammonito agli
occhi degli altri ha paura di essere escluso dalla comunità e si rende disponibile
a seguire le norme raccomandate. La paura di dispiacere ai nostri simili ci porta
a seguire valori comunitari anche senza trarne vantaggi egoistici. Crede di
poter combattere l’avarizia e l’egoismo del suo tempo sottolineando
l’importanza della solidarietà sociale. Ogni essere umano diventa morale solo
se impara a comportarsi secondo le regole della comunità e le fa proprie.
Movimento neohegelista.
Green e Bradley: sostenevano questo nuovo movimento. Il processo di
autorealizzazione individuale coincide con il perfezionamento etico della
società. Proposte di riforme a favore della classe operaia. Questa nuova idea si
distacca da quella prettamente britannica.

Germania
Per la prima volta si sente parlare di riconoscimento come atto simultaneo e
reciproco tra due soggetti. Appare per la prima volta una vera teoria di
riconoscimento. La germania dell’epoca è frammentata in principati, poco
coesa.
Il problema principale era la frattura tra irrilevanza politica della borghesia e il
suo ruolo di spicco. A differenza di francia e Inghilterra, i pensatori tedeschi
venivano dalla media e piccola borghesia. La borghesia voleva emanciparsi,
avere diritti paritari, da qui nasce l’idea di riconoscimento.
Pufendorf: crede nella naturale socievolezza e uguaglianza negli uomini.
Leibniz: crede nell’innata inclinazione alla socialità, con fini utilitaristici.
Kant: con lui si ha una svolta del pensiero tedesco. Cercava di inquadrare
l’esperienza nella sua totalità dentro le categorie della ragione.
Il precursore è Kant, il teorico sarà Fichte, il culmine lo abbiamo con Hegel.
Il passaggio tra Fichte e Hegel consiste nella detranscentalizzazione del
riconoscimento.
Hegel: parlerà di fenomenologia dello spirito.
Il suo obiettivo non era capire le condizioni necessarie per l’autorealizzazione
della ragione umana, ma quella di ripercorrere come lo spirito di evolva per
liberarsi da ogni condizionamento e diventare autonomo. Prova una base
empirica in quanto lo spirito deve oggettivarsi per potersi realizzare. Paragona
il riconoscimento all’amore tra uomo e donna, una limitazione della propria
libertà a favore dell’altro. È l’amore per Hegel la forma più immediata di
rispetto reciproco e proprio con l’amore che si ritrova se stessi nell’altro. Tre
sono secondo Hegel le condizioni da soddisfare per rendere il riconoscimento
un fattore di libertà: deve essere reciproco, deve essere un’autolimitazione
complementare e deve avere carattere espressivo universalmente accettabile.

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Amare significa vedere nei desideri dell’altro e nei suoi interessi una
limitazione positiva del nostro agire. Per riconoscimento intende quelle forme
storiche di intersoggettività umana prodotte dallo spirito, che rispettano le tre
condizioni citate. Successivamente include anche ambiti più estesi. La svolta si
ha nella filosofia della spirito oggettivo, in cui illustra la realizzazione dello
spirito nelle situazioni storiche e sociali, estendendo sociologicamente la teoria
di Hegel, parlando di famiglia, società borghese e stato. Il riconoscimento
normativo e i suoi processi applicati nel concreto possano generare conflitti
sociali se l’ordine sociale attribuisce a soggetti diversi un diverso peso
valoriale. Nel capitolo “servo padrone” della fenomenologia dello spirito parlerà
di riconoscimento reciproco. Servo e padrone non possono riconoscersi in modo
paritario, perché le norme dominanti non permettono di avere un rapporto
speculare. A partire da questo Hegel penserà a un bisogno o desiderio di
riconoscimento. Nei suoi testi non si riferisce a un bisogno empirico o naturale.
Hegel parla di bisogno di riconoscimento, pensa ad un’esigenza profonda e
razionale di dare un’espressione alla propria capacità di autodeterminarsi
liberamente. Per far ciò serve un riconoscimento pubblico, mediato dalle
istituzioni, che riconoscano e legittimino la piena autonomia del soggetto.
Hegel vede il bisogno di riconoscimento come un interesse razionale e quindi
un interesse della ragione verso la propria realizzazione. Quest’esigenza
spirituale ha degli effetti concreti e sensibili. Quando parla di realizzazione di
rifà al concetto di autonomia, intesa come esigenza di autodeterminarsi. Hegel
così spiega il concetto di rispetto: se due soggetti si incontrano in un contesto
istituzionale, si riconoscono perché hanno imparato ad attenersi alle norme
sulla rispettiva esistenza. Se questi contesti di incontro sono angusti vincolanti
la voglia di autonomia creerà conflitti e porterà a nuove forme di
riconoscimento. L’incontro tra umani è condizionato dall’attesa reciproca di un
rapporto alla pari e ogni violazione di questo genera conflitti.

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