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Cos’è la sociologia? Cosa studia? A che serve? Perché studiarla? Non ci serve studiare la
sociologia per fare l’esame, sarebbe inutile e insignificante. Bauman dice che studiarla
aiuta a rendere l’individuo meno manipolabile e più libero, perché fa vivere la realtà
da prospettive diverse. Stiamo studiando una sociologia che è la trasposizione
dell’entroterra sociologico, che si è costruito nel tempo attraverso alcuni sociologi importanti.
Ciò che impareremo è parziale, cioè non può essere identificata come una sociologia
tuculta, perché probabilmente un altro professore potrebbe fornici un’idea diversa della
sociologia rispetto a quella del nostro professore. Tuttavia c’è chi sostiene che la sociologia
deve essere una scienza, è oggettiva nella misura in cui riesce ad individuare la relazione
di una variabile su un’altra; mentre altri, come il nostro professore, sostengono che la
sociologia può supporre, con un ragionevole grado di certezza, un fenomeno A improbabile
e anche il fenomeno B. Sono due impostazioni diametralmente. C’è chi sostiene che la
sociologia deve essere una scienza oggettiva, quindi critica, per cui si può sostenere che
alcuni testi di Pasolini abbiano una valenza sociale allo stesso livello di uno studio
sociologico. Alcuni non direbbero una cosa del genere, ma il prof ne è convinto! Quella che
noi studiamo è una rappresentazione di una certa sociologia, che è quella critica. La
sociologia può essere utile, inutile e pericolosa; ma non tutta la sociologia, una certa
sociologia, quella che il corso spero ci possa trasmettere, ossia quella che guarda alla
relazione tra biografia individuale e contesto storico – sociale nel quale quella biografia
individuale è inserita. È Bauman che dice questa cosa. Egli ad un certo punto dice che il
fatto che tutti siano disoccupati viene spacciato come un fallimento individuale. Ci spiega
che il fatto di è essere disoccupati è un problema politico, è un problema che è una
conseguenza di un problema sociale e non di quello individuale. Pierre Bourdieu ha
scritto un libro straordinario, che si intitola il “dominio maschile”. È un libro ostico. È utile per
capire la potenza di invasività dei processi di socializzazione e di strumenti di dominio
simbolico che vengano interiorizzati al punto che le stesse donne pensino che sia naturale
la differenza. Ad esempio paradossalmente alcune ragazze hanno un fidanzato più
presentante di lui. Pierre Bourdieu spiega che questo paradossalmente è un meccanismo
di interiorizzazione delle differenze considerate naturali: una donna, ad esempio, si sente
più protetta dalla presenza di un compagno che è più prestante di lei.
2. È più probabile che a commettere reati siano i giovani della classe interiore
piuttosto che quelli della classe media;
7. La nostra società è più violenta di quella del passato. Ci fanno credere che sia
così. Alcuni infatti, anche i nostri familiari, pensano che la società attuale sia più
violenta. Tutto questo deriva dal fatto che in passato poiché non c’erano mezzi di
comunicazione come oggi (Telegiornali, internet) non si veniva a conoscenza di cosa
succedeva. Anche i social sono un pericolo, infatti fanno parte di un bagaglio che
dobbiamo riempire, dobbiamo riuscire ad avere, ma sono anche degli strumenti che
ci aiutano a comprendere il funzionamento di alcune cose, oppure ci aiutino a
disvelare i meccanismi talvolta dichiaratamente occulti con cui alcune persone
esercitano su di noi un certo potere. Se riusciamo a fare questo, il cerchio si chiude,
probabilmente diventeremo grazie al supporto anche della sociologia individui più
consapevoli e più liberi e dunque meno manipolabili.
L’ILLUMINISMO
La sociologia è fortemente influenzata dall’illuminismo, tanto è vero che a Montesquieu,
considerato a tutti gli effetti da alcuni sociologi come uno dei padri fondatori della sociologia
(Pre-sociologo), la Sociologia deve un merito importante. La sociologia in quanto “Scienze
della società” può nascere nel momento in cui si ragiona, si confrontano le ipotesi dedotte
con le prove empiriche, ma Montesquieu è un percussore poiché ancora non ha
acquisito il metodo rigoroso, il metodo sociologico, non ipotizza qualcosa e poi
formula una teoria che successivamente viene rafforzata da alcuni dati. Infatti, il
primo vero sociologo (secondo il prof) è Durkheim, prima del quale siamo nell’ambito
della pre- sociologia, dei contributi importanti che hanno fatto sì si affermasse. Si può
definire uno dei fondatori della sociologia perché teorizza che il tasso di suicidi dei paesi da
lui analizzati dipenda dal grado di integrazione sociale degli individui e lo dimostra. È anche
il primo poiché riesce a fare in modo che la sociologia diventi una disciplina insegnata
all’università.
SOCIOLOGIA E POSITIVISMO
Di conseguenza Durkheim dice che l’appartenenza ad una morale comune è quella che lega
i membri all’interno della società. Egli quindi tenta di costruire questo sistema perché è
interessato a creare una società pacifica, quindi ha grande interesse a sviluppare un’idea di
società armonica, che funziona perfettamente, che si sviluppa sulla scorta di una morale
comune.
Che cosa sono le norme dal punto di vista della sociologia? Sono – secondo Durkheim
– dei fatti sociali (modi di agire, di pensare, di sentire) che esistono al di fuori delle
coscienze individuali. (…). Questi tipi di condotta o di pensiero non sono soltanto esterni
all’individuo, ma sono anche dotati di un potere imperativo e coercitivo (…)». Individua
nelle norme, che considera dal punto di vista sociologico “fatti sociali”, dei modi di
pensare che sono esterni a noi e che si impongono nel momento in cui veniamo
inseriti in un contesto, come quello familiare, scolastico…
Esempio: nel volume “I leoni di Sicilia” una ragazza nell’800 gira da sola. La voce fuori
campo paragone il suo comportamento al modo di fare degli stranieri. Ciò è un esempio
significativo, vi è infatti un paragone tra stranieri e i non stranieri. Ciò non significa che un
comportamento sia sbagliato, ma riconoscono che in un contesto si fa un modo, in un altro
diverso.
I fatti sociali sono dei fenomeni che non si possono spiegare (ritorna lo smarcamento
della sociologia alla psicologia) ricorrendo all’analisi delle azioni dei singoli o all’analisi
psicologica delle loro motivazioni. I fatti sociali si impongono ai singoli. Hanno una
sorte di esistenza indipendente, autonoma. È questo che la sociologia deve studiare (fatti
sociali). Un fatto sociale tipico è il linguaggio. Esso non è creato da nessun singolo,
ciascun individuo dopo la nascita all’interno della società se lo ritrova; e questo, che
rappresenta una norma, un codice linguistico, è trascendente, si impone. La società non è
la somma degli individui che la compongono (società più importante degli individui),
è un’unità di livello superiore. Simmel, invece, dice il contrario: la società non esiste
se non a partire dagli individui. La società parla, la cui voce si impone ai suoi membri
attraverso le norme morali, le credenze religiose e i riti che sanciscono le regole della
collettività. Quindi la sociologia – per Durkheim - è la scienza che studia l’insieme dei
fatti sociali. Mentre Durkheim è proiettato verso una società media; allo stesso piace l’uomo
medio, quello che si adegua, quello che passivamente accetta tutto questo, perché la sua
idea nasce dalla volontà di costruire anche attraverso lo studio della sociologia una società
pacificata, in cui non ci siano contrasti. Max, però, dirà che il conflitto, lo scontro, è il motore
della storia. Ci dice che siamo esseri influenzati (in molti casi è così), dall’altra parte però
siamo consapevoli che Durkheim ha una visione che non ci piace.
Durkheim fa, inoltre, una differenza tra società semplice e quella complessa. La società
semplice (tribù primitive, le comunità di un piccolo paese, i rom, una fetta di evangelisti) si
basa su una bassa divisione del lavoro, mentre quelle complesse (le nazioni moderne)
si basano su un’ampia divisione del lavoro e sono differenziate tra di loro, ma al suo
interno esistono anche istituzioni (famiglia. vicinato, scuola ecc.) che mediano
l’appartenenza del singolo alla società. In entrambi tipi di società la coscienza collettiva
tende a ricoprire quella individuale, i valori della comunità tendono a imporsi ai valori dei
singoli individui, tanto è vero che all’interno delle piccole comunità la pensano molto simile
tra di loro, hanno uno stesso pensiero. Nelle società semplici i comportamenti diversi da
quelli incorporati nella vita comune non sono tollerati, vengono tollerati solo i comportamenti
“normali”, basati sui valori di una determinata comunità. Le norme (non giuridiche) morali,
sociali ed etiche che caratterizzano queste piccole comunità tendono a vincolare ogni
aspetto del comportamento e ogni infrazione è considerata attentato alla coesione del
gruppo. Se una donna dicesse al proprio padre di andare a convivere con il proprio ragazzo,
il padre la prima cosa che direbbe è “ma che diranno i vicini?”; opporre se fosse lesbica e
andasse a convivere con la propria ragazza, i genitori non la prenderebbero bene,
guarderebbero al giudizio che i compaesani darebbero non solo su di lei ma anche sui
genitori. Ciò li farebbe sentire dei genitori falliti perché non le hanno fatto sviluppare quei
“valori sani” (presunti tali) quali quelli di sistemarti (sposarsi e fare la madre).
Lezione 04.11.20
L’ANOMIA
Nella società complesse c’è il rischio dell’anomia (termine che deriva da greco e
letteralmente significa “assenza di leggi”) che nell’ottica durkheimiana viene interpretata
come una momentanea assenza di norme morali condivise. Una situazione anomica
potrebbe essere, per esempio, una situazione nella quale qualcuno si viene a trovare privo
dei punti di riferimento che aveva precedentemente. Durkheim fin da sempre era
interessato all’ordine, a una società coesa; quindi nella sua ottica la condizione
anomica è una situazione patologica all’interno del sistema sociale, mentre per Max
il conflitto è il motore della storia, genera cambiamenti (verrà ripreso da Lenin). Se
per Max il conflitto tra la classe operaia e la borghesia era importante, perché – secondo lo
stesso - avrebbe, dopo aver sconfitto il capitalismo, la classe borghese, portato a una
società socialista e comunista, per Durkheim tutto questo costituisce una patologia del
sistema sociale. Proprio per questa ragione egli assegna ai processi di socializzazione
un’importanza fondamentale, perché rappresenterebbero quelle istituzioni che possono
contribuire a eliminare il più possibile questa condizione patologica. Questa posizione è
fortemente conservatrice; egli vuole spiegare come la sociologia può far funzionare i
processi di socializzazione e come può curare situazioni anomiche. Da un lato ci fa riflettere
sul perché i processi di socializzazione ci condizionano in questo modo, che tentano di
costruirci cittadini che condividono le norme sociali; dall’altro lato però ha una posizione
conservatrice, vorrebbe che la società si riproducesse perfettamente come quella del
passato; tanto è vero che Durkheim, all’interno di un saggio dedicato all’importanza dei
processi di educazione scolastica, definisce la socializzazione un vero e proprio
addestramento della generazione passata nei confronti di quella futura in modo che la prima
possa tramandare i valori fondanti di quella società. Durkheim, quindi, si concentra a
capire come funziona la società (funzionalismo); la società funziona come un organo
complesso e armonico. Però per fare funzionare una società in modo pacificato e
importante occorre insistere sui processi di socializzazione perché è all’interno della
famiglia e della scuola che l’individuo viene addestrato ad essere “un buon cittadino”.
Egli però non è sempre tradizionalista, conservatore, si rende conto come il
comportamento deviante può senz’altro unire i membri della società, quindi creare
solidarietà. Però capisce anche che l’essere deviante è un comportamento che rinnova
rispetto alle tradizioni che invece vanno cambiate, mutate. Si rende conto quindi che vi
sono delle derive della propria società che mettono l’individuo in una condizione di
solitudine, quindi provava a capire le ragioni attraverso le quali risaldava la comunità, la
società sia pur complessa. C’è una presunzione che la sociologia contemporanea ha
abbandonato, ovvero quella di spiegare, attraverso lo studio di una disciplina, come può
funziona correttamente la società. Questa è una macroanalisi; i sociologi nel momento in
cui nasce la sociologia hanno un’ansia e delirio di onnipotenza di cercare di spiegare e
comprendere il funzionamento della società, ma gli sfuggono tante cose, cioè il micro che
verrà preso in considerazione da altri. Anticipa l’idea di quella che oggi individuiamo come
“dissoluzione dei legami sociali”; Durkheim aveva già intuito che la società man ma non
diventa più complessa contribuisce alla distruzione dei legami sociali. La sua non aveva
un’ottica di tipo economico, cambia, la introduce Max, che non è un sociologo ma – come
si definisce lo stesso – è un economista; Durkheim concentra l’attenzione principalmente
come la società si imponga agli individui e dovrebbe funzionare sulla scorta delle norme
sociali; quindi conservatore ma anche furbo, precursore; secondo Max, invece, è il sistema
economico che configura la società in un certo modo, altro che armonia; è il conflitto il
motore della storia. La storia è stata sempre lotta di classe (patrizi e plebei; borghesi e
proletari). Immaginava, in un’ottica utopistica, che queste contraddizioni sarebbero state
superate nel momento in cui il proletariato, dopo aver preso coscienza di sé, avrebbe
scatenato una rivoluzione, che avrebbe precostituito una società socialista. In Weber,
invece, non sono le istituzioni che si impongono agli individui e cambiano la società, non è
il sistema economico che la determina, ma sono i valori delle persone che cambiano il
mondo; in altre parole inserisce, nell’ambito di un uno studio a tutto tondo dei sociologi, il
tema della dimensione culturale; è essa che trasforma le società. Il capitalismo come
dimensione culturale – secondo Weber- si afferma in virtù di una dimensione culturale che
è quella dell’etica protestante. (etica protestante è spirito del capitalismo).
IL SUICIDIO
Per Durkheim l’individuo isolato non esiste. Quindi se riuscisse a dimostrare che un fatto
notoriamente considerato come fatto individuale dipendesse da alcune determinanti sociali
dimostrerebbe l’importanza della sociologia e la necessità di rendere la sociologia una
disciplina autonoma rispetto alla psicologia, avrebbe dignità di scienza sociali al pari della
psicologia. L’oggetto della ricerca di Durkheim sul suicidio non è quello dei singoli
individui, ma prende in considerazione il tasso di suicidi che ogni società da lui presa
in considerazione offre costantemente ogni anno. Raccoglie dei dati, li metti insieme
utilizzando i mezzi della statistica (è il primo che lo fa) - utilizza la statistica come ancella
della sociologia - e scopre che il tasso di suicidi resta costante nel tempo, in Francia,
in Germania, in Italia. Da qui, proprio perché il tasso di suicidi rimane costante nel
tempo dice che il suicidio non dipende solo da fattori soggettivi ma da elementi
sociali. Ipotizza che questo tasso di suicidi sia correlato con il grado di integrazione sociale,
cioè come si è inseriti all’interno della società, in quale fascia; è il primo tentativo di mostrare
scientificamente (empirico) qualcosa che è stato elaborato in teoria, è un certo tipo di
approccio sociologico. La sociologia cerca di spiegare/ comprendere: spiegare è tipico di
Durkheim, il secondo invece è tipico di Weber, ma si dipanano anche due approcci
metodologici diversi. Approccio quantitativo o qualitativo? Oggi l’approccio più frequente è
l’utilizzo di entrambi (qualiquantitativo). Non è una risposta corretta, non è questa quella
migliore, il problema dipende dall’obiettivo conoscitivo, cioè la metodologia viene scelta in
funzione dell’obiettivo conoscitivo.
1. Egli, nella prima parte della sua opera, prova a mettere in crisi, a confuta le teorie che gli
studiosi precedenti avevano elaborato in riferimento al suicidio, alcune delle quali avevano
uno sfondo psicologico, come ad esempio i fattori climatici, la pazzia (aspetto psicologico),
consumo alcolico. Studia dunque tutto quello che gli studiosi avevano scritto i sociologi
precedenti, per questo è il primo vero sociologo.
2. A un certo punto analizzando questi dati scopre che esiste una correlazione positiva tra
il tasso di suicidio e l’appartenenza religiosa. La religione influenza in qualche modo il tasso
di suicidio perché i cittadini dei contesti territoriali nei quali prevaleva la religione protestante
mostravano nel tempo un tasso di suicidi più elevato rispetto ai territori in cui prevaleva una
confessione di tipo cattolica ed ebraica. Inizia quindi a sostenere probabilmente che nelle
società in cui prevale il protestantesimo (Germania ad esempio) il tasso di suicidi sembra
essere costantemente più elevato rispetto a contesti territoriali in cui prevale il cattolicesimo
o l’ebraismo. Prova a spiegare questa cosa, come? Dicendo che il basso tasso di
integrazione sociale dei membri è dovuto a delle caratteristiche tipiche della religione
protestante, cioè per esempio all’importanza che essa assegna rispetto al libero arbitrio
rispetto a una maggiore responsabilità segnata all’individuo sulla propria coscienza, perché
il protestante a differenza del cattolico o dell’ebreo è molto più libero, non è mediato dal
sacerdote o dal rabbino, quindi è meno vincolato ai dettami della tradizione; la religione
cattolica o ebrea ha un sistema di tradizioni, di riti, di lettura del testo che sono molto più
forti e che possono dare una maggiore condivisione con l’intero gruppo di riferimento, quindi
una maggiore coesione sociale. Il protestante, invece, che si confronta direttamente con
Dio, sente su di sé un maggiore senso di solitudine, e quindi un basso grado di integrazione.
(tasso di suicidi correlato col grado integrazione).
Durkheim individua tre tipi di suicidi specifici (i primi due dipendono da un basso grado di
integrazione sociale, mentre l’ultimo dipende dal grado massimo di integrazione):
Attraverso la dimostrazione del nesso tra il tasso di suicidi e il grado di integrazione mostra
che le determinati sociali sono al pari di quelle di tipo individuale e psicologico, sennò il tasso
di suicidi non sarebbero costanti nel tempo.
CRITICHE AL SUICIDIO
1. IL CONTROLLO DELLE FONTI DI DATI: occorre interrogarsi sull’utilizzo dei dati che
non sono raccolti di prima mano ma raccolti da fonti diverse (fonti statistiche ufficiali). Il
problema non è tanto la fonte che consulta (è attendibile), ma chi le ha prodotti. Rispetto al
suicidio si può lavorare guardando i dati relativi a questo, ma devo considerare che
probabilmente alcuni dati non sono emersi perché alcune famiglie hanno convinto i medici
o le istituzioni a far passare quel suicidio come fatto accidentale. Durkheim raccoglie dati
che gli vengono rilasciati dalle fonti ufficiali (autorità). Il suicidio è considerato peccato dalla
chiesa, infatti non fa svolgere i funerali, quindi probabilmente si cerca di far passare quel
dato come fatto accidentale. Tuttavia occorre ragionare rispetto a chi costruisce i dati.
Quando ci troviamo di fronte ad analisi di tipo secondario, occorre stare attenti rispetto a chi
quel dato l’ha costruito.
Marx era un economista, non un sociologo (non si sarebbe mai definito come
quest’ultimo). Ha un’influenza talmente intensa che i sociologi l’hanno considerato uno dei
padri fondatori della sociologia, poiché oltre ad aver esposto alcuni concetti ancora oggi
chiavi di lettura dei fenomeni contemporanei, è l’iniziatore dell’approccio conflittualista: la
visione dello stesso è totalmente diversa da quella di Durkheim, è una visione della società
basata non sull’armonia, sul funzionalismo ma sul conflitto per la locazione delle risorse,
cioè i gruppi all’interno della società lottano e competano per acquisire risorse. Egli studia
le mutazioni della società moderna legati allo sviluppo del capitalismo: un modo di produrre
diverso che si articola in due elementi:
Il rapporto tra entrambi definisce i rapporti sociali di produzione che generano il profitto.
Marx è il primo a parlare di alienazione (rappresentato in tempi moderni). Egli parla della
catena di montaggio delle fabbriche che rende l’operaio alienato perché non fa altro che
avvitare bulloni. Ha una capacità di individuare le contraddizioni (tipica del conflittualismo),
è consapevole che il sistema scolastico è incardinato nella sovrastruttura economica: La
scuola è nelle mani di chi detiene il potere (élite), ma è anche vero che è all’interno della
scuola si possono individuare le contraddizioni e per contrapposizione sviluppare un’idea
alternativa. È contradditorio perché sa che il sistema scolastico è gestito dal potere, ma
dall’altro lato solo all’interno di questo si può comprendere quali sono le contraddizioni e
agire su queste distruggendo il sistema. Inoltre, individua nella famiglia borghese lo stesso
meccanismo di potere che si afferma nelle due classi principali della società. In essa viene
esplicitato quello che nella società più ampia accade, cioè il predominio, l’affermazione della
classe capitalista sulla classe proletaria così come all’interno dell’élite borghese viene
sottolineato il ruolo di dominio dell’uomo sulla donna, e individua nella famiglia operaia il
preludio di quella che sarà la futura emancipazione dei ruoli. Fa una differenza quindi tra la
famiglia elitaria e quella operaia. In quest’ultima in quanto la donna usciva per lavorare vi
era un rapporto dal punto di vista delle relazioni sociali più paritario. Max individua due classi
sociali, Weber successivamente aggiungerà qualcosa in più (il ceto). Il capitalismo è un
sistema classicista e il sistema capitalista si divide in due classi:
Problema del metodo nelle scienze sociali (anche Durkheim si è occupato delle regole
del metodo sociologico, del metodo della sociologia) e dei rapporti tra il sapere scientifico
e il giudizio di valore (aspetto importante all’interno del metodo);
Problema della genesi, della specificità e del destino della civiltà occidentale moderna
(anche Durkheim si occupato della Genesi e della civiltà moderna e Max, il quale ha
cercato di far diventare oggetto di interesse scientifico le trasformazioni che hanno
determinato la società contemporanea o il passa dalla società pre-moderna a una
società – per i loro tempi – considerata aperta);
Problema di una definizione sistematica dei concetti della sociologia e coerente dei
concetti della sociologia (con molti concetti i sociologi attuali lavorano; infatti quella di
Weber è un’eredità straordinaria, così come quella di Durkheim e Max, l’approccio del
quale è forse, guardandolo col senno di poi, quello che più ha una grande importanza
rispetto a quello degli altri sociologi dal punto di vista del modo di pensare
sociologicamente).
Tuttavia a differenza di Marx, per Weber l’influenza di idee e valori sul cambiamento
sociale è pari a quella delle condizioni economiche. Gran parte dell’opera di Weber,
soprattutto laddove parla della genesi della società moderna occidentale, è in gran parte
contrapposizione all’idea di Max (esempio di ciò è Etica protestante e Spirito del
capitalismo). Il pensiero marxista metteva in risalto la struttura economica, mentre Weber
parte da un punto di vista completamente opposto: non sono le trasformazioni
economiche che determinano un tipo di assetto societario, ma è l’influenza delle idee
e dei valori che trasformano il mondo. Ha un’analisi proiettata su una dimensione di tipo
economico, ma aggiunge un’analisi in più, ossia quella incentrata sulla dimensione
culturale. Weber ad un certo punto fa una distinzione netta, costruisce una frattura rispetto
alla sociologia di Durkheim, che è quella influenzata dal positivismo: si allontana
completamente e definitivamente da questo. Non a caso, infatti, in Durkheim l’approccio
sociologico aveva la pretesa di immaginare che la sociologia potesse arrivare al pari delle
scienze esatte, dell’individuazione di leggi universamente valide, come la fisica, la biologia,
la chimica… (critica principale). In altre parole se mentre Durkheim pensa che la scienza
sociologica può arrivare allo stesso livelle della fisica (scienza esatta) che ha delle
sue leggi universalmente valide, Weber si distacca completamente da questa idea e
fa la differenza tra scienze esatte (scienze naturali) e comprendenti (scienze sociali).
Si può ascrivere nel primo contenitore (Problema del metodo nelle scienze sociali) poiché il
suo metodo è diverso rispetto a quello del sapere scientifico; si può ascrivere anche
nell’ultimo contenitore (Problema di una definizione sistematica dei concetti della sociologia
e coerente dei concetti della sociologia).
Inoltre c’è un'altra abissale differenza tra Weber e Durkheim: il secondo tralasciava
appositamente le motivazioni soggettive (tralascia l’approccio psicologico), invece Weber si
concentra sull’individuo, sul dato psicologico. Un’altra frattura che possiamo individuare è
che Durkheim tendeva a una spiegazione universalmente valida, per Weber la spiegazione
nelle scienze sociali non è mai completa, non è mai possibile essere certi di aver esaurito
tutte le cause che spiegano un certo fenomeno sociale, tanto è vero che dice:
Questo significa che anche la terminologia che utilizza è diversa rispetto a quella di
Durkheim, che presuppone l’idea che la sociologia ha una causa: una spiegazione
sociologica non può mai essere esaustiva. Qui ci lascia un’immagine più realistica delle
potenzialità della sociologia, anche nell’esposizione di ciò che riesce a fare la sociologia;
per questo l’influenza di Weber è straordinaria: non arriva a formulazioni di leggi, alla
spiegazione esaustiva di un fenomeno. Le cause che possono influenzare i fenomeni
sono troppe, pertanto non possono definirsi una scienza oggettiva. In genere Durkheim
dà una definizione di tipo mono causale, mentre Weber è più proiettato a dare
spiegazioni multi causali, tanto è vero che preferisce parlare utilizzando termini
diversi, tipo “influenze” e “condizioni” che possono spiegare un fenomeno, che
possono farci avvicinare approssimativamente e non con certezza assoluta alla
causa di un certo fenomeno, provocato da certe condizioni, da un insieme di
fattori. La sociologia di Weber, inoltre, rispetto a quella di Durkheim (quest’ultimo
spiega) è più completa, perché cerca di comprendere il significato dell’azione
sociale; ma vuole anche spiegare, solo che questo termine non è interpretabile con il
termine che utilizzava Durkheim.
Uno dei lavori più importanti di Weber è “Letica protestante e lo spirito del capitalismo”, che
ha reso lo stesso uno studioso che ha avuto un’influenza clamorosa. Anche qui Weber sta
annesso, diviso tra l’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Questo titolo ricorda anche
Max e Durkheim (quest’ultimo nella questione suicidio). Quest’opera in particolare non è
comprensibile se non come sforzo di Weber teso a riprendere i problemi formulati da Max,
ma con delle caratteristiche completamente diverse; non c’è una critica al sistema di
produzione del capitalismo, ma Weber parla di spirito del capitalismo; non ha infatti interesse
di criticare un sistema di produzione, ma quello scientifico, cioè di capire la genesi del
sistema capitalistico del mondo occidentale moderno (entra nel secondo contenitore
spiegare le trasformazioni del sistema occidentale moderno):
Diversamente da Durkheim, Weber studia gli individui; dà voce a chi non ne ha. Tuttavia,
rispetto a questo inserisce l’aspetto psicologico. Quando parla dello spirito del capitalismo
e dell’etica protestante, così come nelle azioni, contempla la psicologia: l’individuo che può
influenzare altre determinanti sociali.
Weber inserisce varie dimensioni (economica, culturale, politica), fa un’analisi a tutto tondo.
La dimensione politica è legata soprattutto al tipo di potere. Egli fa una distinzione a mo’ di
introduzione tra:
- Ciò che è il potere: la possibilità che un comando trovi obbedienza presso certe
persone. In questo caso la situazione è quella di qualcuno che obbedisce ad un
comando perché ritiene legittimo il potere da cui il comando proviene.
Tutto questo è un’introduzione rispetto ad un tema che Weber affronta in modo esaustivo,
cioè le forme di legittimazione del potere. Si pone il problema: come un comando può essere
considerato legittimo? Si preoccupa di comprendere le ragioni e le modalità attraverso le
quali un comando può essere considerato legittimo. Lo stesso distingue tre tipi di potere (in
Comte l’umanità passava per tre stati di conoscenza: teologico, metafisico, positivo. Nella
sua idea c’era uno sviluppo lineare). Per Weber l’Ideal tipo è uno strumento conoscitivo, un
tipo ideale di potere. Dal punto di vista metodologico ci dice che questo strumento è tipico
del lavoro del sociologo, il quale si deve basare sul tentativo di costruire tipi di azione. Questi
tipi di potere sono:
1. Tradizionale: basato sulla credenza del carattere sacro di tradizioni ritenute sempre
valide (Il re, il padre di famiglia, le donne rom). La legittimazione del potere
tradizionale era più sviluppata nei secoli precedenti, ma, attraverso le caratteristiche
tra parentesi, veniamo a conoscenza dell’Ideal tipo, poiché il comando può essere
legittimato anche oggi dal fatto che si crede nel carattere sacro, importante (es: padre
di famiglia);
2. Carismatico: basato sulla dedizione al carattere sacro o alla forza eroica o al valore
esemplare di una persona (Profeti, condottieri). Questo tipo di potere è esercitato da
qualcuno che viene interpretato come una persona che ha delle caratteristiche
carismatiche. Esso è anche un Ideal tipo, che serve a comprendere i tipi di potere
che si possono configurare all’interno di un assetto sociale. (es: oggi potremmo
aggiungere in questo senso anche Salvini, la Meloni, Trump e anche i personaggi
dello spettacolo: Barbara D’Urso). Weber rispetto al potere carismatico aggiunge che
il rischio è quello di centralizzarlo su una persona e si può verificare la
“routinizzazione del carisma”, un’accezione negativa rispetto a quello che può
succedere alla morte di chi può essere considerato carismatico (es. Lenin è stato
artefice della più importante rivoluzione, ma poi il suo carisma si è routinizzato
manifestando degli assetti negativi laddove è succeduto qualcun altro che ha
manifestato delle conseguenze negative, come la dittatura).
3. Legale – razionale: sulla credenza nella legalità di ordinamenti statuiti e nel diritto di
coloro che sono chiamati ad esercitare il potere in base ad essi (L’obbedienza non è
prestata a persone, ma a leggi. L’obbedienza, ad esempio, non la presto a Mattarella
in quanto persona ma all’autorità che rappresenta, perché è il Presidente della
Repubblica). Il potere legale – razionale è, ad esempio, quello che nasce all’indomani
della Rivoluzione francese. L’obbedienza non è prestata alle persone ma all’autorità.
LA STRATIFICAZIONE SOCIALE
Il volume Sociologia, scritto nel 1908 e pubblicato nel 1909, è stato sicuramente letto da
Bauman. Gran parte del pensiero di questo, soprattutto in alcuni aspetti, è frutto di una
lettura intelligentissima di Simmel, il quale ha scoperto una serie di aspetti tipici della società
contemporanea (si può definire il primo sociologo moderno). Bauman leggendo questo ha
recuperato, in modo intelligente, un sociologo per molto tempo dimenticato (secondo il
professore). Nelle pochissime pagine del saggio intitolato “breve excursus sullo straniero”,
contenuto nel volume Sociologia, individua una serie di caratteristiche che poi sarebbero
state individuate con la sociologia contemporanea, che sarebbero state individuate quando
le immigrazioni nazionali stavano diventando particolarmente visibili (1990), mentre Simmel
tutto ciò l’aveva individuato molto prima rispetto alla caratteristiche socio-psicologiche degli
stranieri e di ciò che provocano, così come aveva intuito l’importanza della moda: metteva
in evidenza come attraverso questa si potessero mettere in evidenza delle dinamiche sociali
dei vari ceti.
Per Simmel “la società non esiste”. Ciò si pone in contraddizione a Durkheim, secondo
cui invece la società si impone agli individui, non è possibile immaginare gli individui come
singoli se non inseriti all’interno di un contesto societario. Non esiste la società, ma esistono
gli individui; la società si costruisce attraverso un rapporto di reciprocità, attraverso
l’interazione tra gli individui. Quest’ultima pone gli individui in una posizione in cui
costruiscono azioni, alcune delle quali si solidificano, diventano forme sociali stabili, ossia
istituzioni. L’oggetto della sociologia non sono le istituzioni, la società in quanto tale, non è
società (non esiste) ma le forma di interazione, di influenza reciproca che gli uomini hanno
e che pongo in esse attraverso esso la società. La società è l’etichetta che indica individui
legati sotto varie forme di reciprocità; pertanto per Simmel LA SOCIOLOGIA ALTRO NON
È CHE INTERAZIONE. Simmel non è solo il primo che si sofferma su aspetti
contemporanei, sui fenomeni che poi sono diventati fulcro della ricerca dei sociologi
contemporanei, ma per l’aver rappresentato la società come interazione è anche
considerato il primo che ha formulato l’integrazionismo, cioè l’approccio che va di pari passo
ai sociologi funzionalisti e conflittualità, apre quindi la strada alla terza tradizione.
(funzionalismo – conflittualismo – integrazionismo). Egli mette in evidenza come la
sociologia sia quella scienza formale che si occupa di descrivere le relazioni di reciprocità
tra gli individui che assumo in tempi differenti, talvolta solidificandosi in istituzioni (la tribù, lo
Stato), mentre in alcuni casi le relazioni diventano più fuggevoli. Il primo che ha considerato
i rapporti familiari, pone attenzione a delle dinamiche familiari individuando modelli moderni
già allora. Simmel è il primo tra tutti studia le relazioni composte da due persone, che si
alterano quando interviene la terza persona. Quindi è importante questo ultimo aspetto per
comprendere il passaggio dal micro alla macro. Intuisce quanto sia importante non solo lo
studio dei grandi aggregati ma arrivare anche a studiare allo stesso modo di come le scienze
studiano l’atomo, ossia col microscopio; quindi lo studio della coppia (due persone), del
rapporto tra uomini e donne, dei rapporti all’interno della famiglia. Egli si rende conto come
all’interno della famiglia si sviluppano delle dinamiche individuando elementi di grande
modernità rispetto a quello che sarebbe successo successivamente. Ha una grande
capacità analitica al punto che individua un tema, che poi sarò al centro dei dibattiti
sociologici successivi (Beck e Bauman: tema processi socializzazione e atomizzazione),
nonché il processo di individualizzazione (di atomizzazione dell’individuo in un contesto
sociale complesso). Intuisce che uno dei problemi delle società è il processo di
individualizzazione: l’individuo paradossalmente è sempre più isolato pur avendo la
sensazione di essere inserito nel circuito sociale (metropoli). Si rende conto anche di come
il tempo diventa sempre più misurabile (cambia la ciclicità tra le società agricole (aveva a
che fare con le stagioni) e premoderne (tempo lineare, sempre più complicato, diventa
sfuggevole).
Intuisce come nelle società moderna le relazioni siano sempre più mediate dal denaro.
Capisce come questo apra il proprio marchio sui rapporti sociali, come il denaro assuma un
valore simbolico e possa determinare i rapporti o renderli ipocriti. Individua anche degli
elementi importanti rispetto a temi che oggi sono al centro degli studi di moltissimi sociologi
e psicologi, come la frettolosità o lo stress. Oggi chi non è stressato non vale niente, tutti noi
nel nostro piccolo siamo stressati; è un male della società contemporanea tale per cui se
sei rilassato e tranquillo ti escludono, non vali niente.
PER CONCLUDERE
Ha ancora senso interrogare il pensiero dei classici per leggere i sociologi contemporanei?
Certo che sì! Perché parliamo di sociologi contemporanei ripetendo e sottolineando aspetti
che sono pertinenti al loro ambito scientifico?Questo ci deve interrogare nell’analisi dei
fenomeni contemporanei, ci deve spingere a cercare nuove chiavi di lettura nella sociologia
classica (Anomia, burocrazia, differenza tra società semplici e complesse, la forma morale
della società, la dimensione economica e politica, l’alienazione, la complessità della struttura
sociale…). Tanto è vero che Bauman, Beck e Bourdieu riprendono certi temi classici
alterandoli e guardandoli da una prospettiva diversa. Bauman parlando dell’olocausto e
della modernità rovescia un’impostazione tipicamente Durkheniana, cioè della forza morale
della società, quindi parte da Durkheim ma lo guarda da un altro punto di vista. Quando
Bauman parla dell’Olocausto parte da Durkheim ma rovescia il suo punto di vista. I classici
possono essere una fonte autorevole per ragionare su tematiche come società globalizzate,
le trasformazioni del capitalismo, le relazioni sociali e le soggettività contemporanee.
Rispetto alle relazioni sociali abbiamo visto l’importanza di Simmel e anche di Durkheim (per
questo gli individui sono manifestazione di ciò che sono perché inseriti in un certo contesto
sociale). I classici servono a rileggere la questione del sociale, i problemi sociali per come
l’hanno trattata i sociologi precedenti, mettendola a confronto con l’interpretazione corrente
della società che enfatizza la sua individualizzazione.
GLI ELITISTI
Pareto, Mosca, Michels, che sono degli elitisti, hanno svolto un ruolo importante
nell’utilizzare la sociologia come strumento di controllo sociale in quanto eredi di una
concezione che considerava la società guidata da una classe superiore (Durkheim). Ricorda
la sociologia che può essere utile, inutile e pericolosa. Questo ruolo in parte l’ha avuto
Talcott Parsons nella sociologia statunitense; è il continuatore di ciò che è stato Durkheim,
a differenza del quale inserisce la psicologia nell’ambito della sociologia. È l’esponente
principale dell’America WASP (White Anglo-Saxon Protestant), nonché la middle class
americana. Affermava che le differenze di genere fossero giuste (differenza “cosa naturale”)
perché la donna era proiettata verso una dimensione di tipo espressivo (allevatrice di figli e
moglie), mentre l’uomo doveva svolgere la funzione strumentale (assicurare ai membri della
famiglia il benessere economico). Se per un verso Parson e Wright Milss (non elitista,
utilizza la sociologia in modo strumentale) sono contemporanei, dall’altro lato nell’ottica di
una sociologia più strumentale utilizzata per mantenere l’ordine, governata dall’idea a
vantaggio della classe dirigente, sarà un punto di svolta negli USA nel 1959, così come
Weber nella sociologia classica, che risulta fondamentale (autore di immaginazione
sociologica). Egli si muove in un’America dello spettro del fascista, del comunista, della
discriminazione, della caccia alle streghe ma inizia a sviluppare una critica sociologica sulla
classe dirigente, sull’ sistema politico economico, iniziando a maturare una critica sul
sistema capitalistico in particolare. Al di là del quale, nel volume immagine sociologica, egli
riporta una critica a Parsons sulle otto pagine dichiarando l’inutilità di quella sociologia, che
potevano essere sintetizzato in poche righe. Critica l’intero sistema sociale e anche gli
empiristi astratti (coloro che utilizzava una sociologia alla Durkheim che mete in risaltalo la
sociologia come scienza). È punto di svolta poiché il PENSIERO CRITICO – lo afferma
Wright Millss - è “scomodo; costringe a guardare lontano, ad assumere responsabilità, (ad
essere cittadino, sociologo responsabile), a scrutare le tenebre dell’ignoranza (più grande prigione
che possa esistere). Ciò richiede studio, impegno e intelligenza. Il ruolo del sociologo è quello di
farsi “rivelatore” della realtà, anche di quegli aspetti che non sono visibili o che sono stati occulti.
Si deve cercare di risvelare ciò che è occulto, ciò che non è visibile, ciò che ci passano per “verità”.
1. ZYGMUNT BAUMAN (1925 – 2017)
Come fanno gli Stati per ricostruire la propria immagine di sovranità? Gli Stati
convogliano l’attenzione sul tema dell’insicurezza e incolumità personale, anziché
concentrarsi sui problemi causati dall’economia globale. A un certo punto Bauman
svela alcuni aspetti della nostra contemporaneità: come è possibile che oggi viviamo in
un’epoca in cui la sicurezza personale non è mai stata così sicura come in passato? Il tasso
di delitto si va abbassando costantemente nel tempo, ma nonostante ciò percepiamo
pericolo. Questo è un paradosso, la sociologia si muove anche nel paradosso. Occorre
demistificare l’allarme sicurezza, il panico da migrazione. Ad esempio basti pensare alle
campagne elettorali. Esse si vincono giocando sulla pelle dei migranti perché i cittadini, che
vengono resi insicuri, delegano al Governo rinunciando alla propria libertà.
Altri temi di Bauman sono Nuovi poveri, Homo consumens e Vite di scarto, che rientrano
nell’ambito della crisi politica.
- I nuovi poveri aumentano costantemente. Ci sono sempre più poveri. Oggi i dati
relativi ai poveri, per di più aggravata è accelerata dalla pandemia, che erano l’anno
appartenevano alla media borghesia, è aumentato, si è ampliato sempre di più.
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