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SOCIOLOGIA DEI PROCESSI CULTURALI

Cos’è la sociologia? Cosa studia? A che serve? Perché studiarla? Non ci serve studiare la
sociologia per fare l’esame, sarebbe inutile e insignificante. Bauman dice che studiarla
aiuta a rendere l’individuo meno manipolabile e più libero, perché fa vivere la realtà
da prospettive diverse. Stiamo studiando una sociologia che è la trasposizione
dell’entroterra sociologico, che si è costruito nel tempo attraverso alcuni sociologi importanti.
Ciò che impareremo è parziale, cioè non può essere identificata come una sociologia
tuculta, perché probabilmente un altro professore potrebbe fornici un’idea diversa della
sociologia rispetto a quella del nostro professore. Tuttavia c’è chi sostiene che la sociologia
deve essere una scienza, è oggettiva nella misura in cui riesce ad individuare la relazione
di una variabile su un’altra; mentre altri, come il nostro professore, sostengono che la
sociologia può supporre, con un ragionevole grado di certezza, un fenomeno A improbabile
e anche il fenomeno B. Sono due impostazioni diametralmente. C’è chi sostiene che la
sociologia deve essere una scienza oggettiva, quindi critica, per cui si può sostenere che
alcuni testi di Pasolini abbiano una valenza sociale allo stesso livello di uno studio
sociologico. Alcuni non direbbero una cosa del genere, ma il prof ne è convinto! Quella che
noi studiamo è una rappresentazione di una certa sociologia, che è quella critica. La
sociologia può essere utile, inutile e pericolosa; ma non tutta la sociologia, una certa
sociologia, quella che il corso spero ci possa trasmettere, ossia quella che guarda alla
relazione tra biografia individuale e contesto storico – sociale nel quale quella biografia
individuale è inserita. È Bauman che dice questa cosa. Egli ad un certo punto dice che il
fatto che tutti siano disoccupati viene spacciato come un fallimento individuale. Ci spiega
che il fatto di è essere disoccupati è un problema politico, è un problema che è una
conseguenza di un problema sociale e non di quello individuale. Pierre Bourdieu ha
scritto un libro straordinario, che si intitola il “dominio maschile”. È un libro ostico. È utile per
capire la potenza di invasività dei processi di socializzazione e di strumenti di dominio
simbolico che vengano interiorizzati al punto che le stesse donne pensino che sia naturale
la differenza. Ad esempio paradossalmente alcune ragazze hanno un fidanzato più
presentante di lui. Pierre Bourdieu spiega che questo paradossalmente è un meccanismo
di interiorizzazione delle differenze considerate naturali: una donna, ad esempio, si sente
più protetta dalla presenza di un compagno che è più prestante di lei.

CONTENUTI DELLE LEZIONI


Il corso, immaginato dal professore, si struttura in quattro parti:
1. PENSARE SOCIOLOGICAMENTE: significa esprimere a partire da una riflessione un
concetto, un po’ come già durante i primi incontri si è fatto;
2. I CLASSICI DELLA SOCIOLOGIA: è finalizzata alla ricognizione dei classici della
sociologia. Non si può dunque parlare di sociologi contemporanei senza parlare dei padri
fondatori della sociologia, almeno i più importanti: Marx, Durkheim, Simmel. Svilupperemo
alcuni temi che fanno parte del bagaglio di conoscenza della sociologia non per puro
esercizio di stile, ma su alcuni temi su cui si sono interrogati questi sociologi. La sociologia
si interroga ancora oggi, o meglio ancora noi tutti ci continuiamo ad interrogare su alcuni
temi, che sono stati già sviluppati in sede della fondazione del pensiero sociologico.
3. I SOCIOLOGI CONTEMPORANEI: è una parte un po’ più specifica che faremo sui
sociologi che troveremo sul testo, il primo che il professore ha consigliato. In questo testo
troviamo sociologi come Bauman, Beck, Bourdieu.
ALCUNI TEMI DEL DIBATTITO: Dopo aver fatto ciò, ci concentreremo e affronteremo
alcuni temi: Processi e agenti di socializzazione; movimenti migranti, migrazioni, razzismi:
Identità di genere e di costruzione sociale della sessualità; devianze ecc.

BRVE EXCURSUS SULLA PRIMA PARTE


Da questo momento in poi riprenderemo delle cose già abbondantemente dette e che
costituiscono la prima parte. Il primo argomento che affronteremo in questa prima parte è
un argomento che ci accompagnerà durante tutto il corso, cioè il rapporto, il nesso molto
stretto che esiste tra sociologia e senso comune. Un altro tema del quale già abbiamo
affrontato è quello dell’immaginazione sociologica; capiremo cosa significa immaginazione
sociologica, cosa intendiamo per immaginazione sociologica e di conseguenza qual è il
modo di pensare sociologicamente. Poi ci concentreremo su cos’ è la sociologia, che cosa
studia, che funzione può avere e del perché è utile studiarla. La sociologia è definita da
Bauman, nel libro “la sociologia come scienza della libertà”, come “la scienza della libertà”;
studiarla probabilmente è utile, perché se acquisiamo immaginazione sociologica, se si sa
distinguere la sociologia dal senso comune, se si inizia a pensare sociologicamente forse
riusciamo ad essere, ancor prima che studenti, cittadini più liberi e meno manipolabili.

I PARTE: SOCIOLOGIA E SENSO COMUNE


In che la sociologia differisce dal senso comune? La sociologia con il senso comune
ha un rapporto molto stretto. Se parliamo di famiglia, di Stato, di gruppi sociali, di
partiti politici, di classe sociale sono tutti concetti che fanno parte del nostro bagaglio,
sono concetti con i quali costantemente e quotidianamente ci confrontiamo. Il senso
comunque quindi è qualcosa che noi diamo per scontato, qualcosa che accettiamo
in modo acritico perché ci sembra che sia così: la famiglia è un’istituzione naturale!
È un’affermazione di senso comune che sentiamo dire spesso. Un’altra affermazione che
spesso sentiamo è che i ragazzi dei quartieri, come lo Zen, sono tendenzialmente più
delinquenti dei ragazzi che vivono in viali più elitari. Queste, dunque, sono affermazioni di
senso comune. Il senso comune è qualcosa che ha a che fare con i processi culturali
classici di un determinato gruppo culturale o di una società, cioè alcuni retaggi
culturali, preconcetti che abbiamo talmente sedimentato che ci sembrano normali e
corretti. Migrazioni, razzismi, omosessualità sono tutti, per così dire, già caricati di significati
di senso comune. Soprattutto chi non ha gli strumenti concettuali si adegua all’opinione della
massa. Alcuni sociologi mettono in evidenza questi aspetti. Noi siamo spesso imbevuti di
un sapere che proviene da altri, talvolta accettiamo queste cose come cose esatte e
certe, ma nel fare ciò trascuriamo alcuni aspetti. Ad esempio mettere in discussione la
scuola in un sistema democratico è una scuola democratica, cioè è un’affermazione di
senso comune; però c’è Bourdieu, il quale mettendo in rilievo paradossalmente la scuola,
anche se sia un sistema democratico (non è quello nostro ma nello specifico quello
francese, non fa altro che riprodurre le disuguaglianze, come? Facendo passare per doti
naturali quelle che in realtà sono – dice Bourdieu – doti “socialmente ascritte”. Es. Se un
ragazzo cresce in un quartiere periferico, in una famiglia che non parla bene l’italiano ma
prevalentemente il dialetto, e va a scuola e al contrario un altro che proviene da una famiglia
nella quale si parla l’italiano e frequenta un’altra classe, la maestra dirà che questo ragazzo
è dotato naturalmente, mentre l’altro ragazzo ha problemi: è iperattivo, non riesce a
raggiungere un livello di linguaggio adeguato. Ha dunque qualche problema, ma in realtà
non stiamo facendo altro che riprodurre la disuguaglianza che esiste nella società. La
sociologia quindi quando analizza le affermazioni di senso comune diventa un’arma
contro l’ignoranza. Dobbiamo dunque cercare di capire, partendo dal senso comune,
cosa c’è dietro, quanto sia falso. Es. possiamo correre il rischio di essere imbevuti di un
sapere tendenzioso perché costantemente sentiamo dire che gli immigrati ci stanno
invadendo. Tante sono le volte in cui si sente parlare di invasione, soprattutto quando in
televisione si parla di immigrati. La quota di stranieri sulla popolazione totale in Sicilia è il
6%, cioè nulla! I rom in Italia invece sono lo 0,5 %, in termini di valori assunti non superano
i 160.000 su 58 milioni. Parlare di invasione è senso comune, perché quando li vediamo
per strada non li tolleriamo. Gli sbarchi, che sono la spettacolizzatine del fenomeno, rispetto
agli arrivi complessivi di immigranti del nostro paese sono pari al 10 %, cioè solo il 10 %
arriva. Ma si ha l’idea di una Sicilia “invasa”. I termini che vengono utilizzati sono quasi da
guerra, non sono idonei a delle persone che hanno difficoltà, come quasi se si entrasse in
un conflitto. In realtà, infatti, il linguaggio non è mai neutrale. Questi slittamenti semantici,
queste immagini che servono a fornire una rappresentazione di un assedio, di un’invasione,
sono introduttive per attirare le persone su un determinato versante, su quel fronte, per
acquisire consenso (Ex Salvini). Alcuni esempi classici di affermazioni di senso comune
sono:
1. Gli esseri umani hanno un istinto naturale ad accoppiarsi con individui del
sesso opposto. Molti di noi, dell’opinione pubblica, direbbe che questa è
un’affermazione di senso comune, anche di buon senso. C’è addirittura chi sostiene
che questo sia naturale, che l’accoppiamento tra due persone del sesso apposto sia
normale.

2. È più probabile che a commettere reati siano i giovani della classe interiore
piuttosto che quelli della classe media;

3. Una cosa che si riscontra presso tutte le società è l’amore romantico;

4. Le persone che frequentano la chiesa hanno meno probabilità di nutrire


pregiudizi razziali delle persone che vanno in chiesa;

5. La famiglia è una istituzione naturale;

6. I rom rubano i bambini;

7. La nostra società è più violenta di quella del passato. Ci fanno credere che sia
così. Alcuni infatti, anche i nostri familiari, pensano che la società attuale sia più
violenta. Tutto questo deriva dal fatto che in passato poiché non c’erano mezzi di
comunicazione come oggi (Telegiornali, internet) non si veniva a conoscenza di cosa
succedeva. Anche i social sono un pericolo, infatti fanno parte di un bagaglio che
dobbiamo riempire, dobbiamo riuscire ad avere, ma sono anche degli strumenti che
ci aiutano a comprendere il funzionamento di alcune cose, oppure ci aiutino a
disvelare i meccanismi talvolta dichiaratamente occulti con cui alcune persone
esercitano su di noi un certo potere. Se riusciamo a fare questo, il cerchio si chiude,
probabilmente diventeremo grazie al supporto anche della sociologia individui più
consapevoli e più liberi e dunque meno manipolabili.

8. Il matrimonio combinato è ormai un retaggio del passato;

9. Un tempo i rapporti sentimentali erano più solidi di quelli di oggi;


Tutte queste affermazioni che abbiamo visto sembrano concordare con il senso comune,
possono essere accettate in modo acritico da alcuni, poi da altri no. Però la ricerca
sociologica di tutte le affermazioni di senso comune sopra elencate ha dimostrato
che sono tutte false. Tuttavia ciò non vuol dire che la sociologia non abbia nessun
aggancio con il senso comune, al contrario. L’intuizione da un lato è una fonte importante in
sociologia, perché tutti possono, partendo dal senso comune, effettuare delle ipotesi; il
problema è che queste ipotesi, queste informazioni ancora non provate, devono tuttavia
essere sottoposte alla prova di un metodo scientifico, di un metodo rigoroso.
1. Il primo elemento che ci permette di costruire una linea di marcazione tra la
sociologia e il senso comune è che la prima a differenza delle affermazioni di senso
comune deve cercare di sforzarsi alle regole di quello che Bauman chiama
“discorso responsabile”. Questo tentativo è uno, questo adeguarsi alle regole del
discorso responsabile è un attributo importante perché consente alla disciplina
sociologica di distinguersi da altre forme di conoscenza. Ciò sta a significare che
nel momento in cui ipotizziamo qualcosa o facciamo delle affermazioni deve essere
chiaro il confine che c’è tra affermazioni, che sono a livello di semplici ipotesi, dalle
affermazioni che sono invece corroborate da prove empiriche, prove disponibili.
Questo è il primo elemento importante che consente alla sociologia e a noi di capire
qual è il discrimine tra un’affermazione che resta a livello di ipotesi, idea, e
un’affermazione che si rifà alle regole di un discorso responsabile, ossia
affermazioni che possono essere scientificamente ed empiricamente
provate; provare quindi cosa vogliamo dire.

2. Il secondo elemento ci aiuta a costruire, a delineare, a tracciare questa linea di


marcazione tra la sociologia e le affermazioni di senso comune. La sociologia a
differenza del senso comune deve elevarsi – scrive Bauman – al di sopra dei
nostri interessi quotidiani e dei nostri mondi vitali. Se voglio costruire un
discrimine tra affermazione di senso comune e affermazione di tipo
sociologico mi devo elevare, non posso partire dal mio piccolo, dalla mia
singola esperienza, dal mio interesse di persona collocata in un certo
contesto, devo cercare di guardare in modo imparziale, devo cercare di
guardare, per esempio, all’esistenza di altri mondi vitali diversi da quello mio
in modo più possibile oggettivo, cioè non posso guardare al mio obiettivo.

ES: Se mi rubano un portafoglio e me l’ha rubato un ragazzino straniero o un rom, io non


posso generalizzare, quella è la mia singolare esperienza. Prima quindi di fare
un’affermazione sociologica o di costruire un discrimine devo verificare se queste
stesse esperienze che ho vissuto sono situazioni che anche altri attori sociali in altri
contesti hanno vissuto, sennò corro il rischio di fare un’affermazione di partire dalla
mia singola esperienza per fare di questa un’esperienza generalizzata. Tuttavia
bisogna guardare il più oggettivamente possibile a quanto accade in altri contesti.

3. Sociologia e senso comune differiscono anche per il modo, e l’abbiamo visto


quando abbiamo citato in causa il termine invasione, quando richiamavamo la
necessità di corroborare certi dati, in cui vengono comprese e spiegate le
circostanze. Cioè in linea di massima il tentativo della sociologia è quello di
opporsi alla visione per cui “le cose sono come sono”. Quindi se noi non
mettiamo il mondo in questione le cose restano come sembrano. Da questo
punto di vista se il compito della sociologia o di spirito dell’osservazione
sociologica è quello di mettere in discussione le cose talvolta può risultare
una funzione scomoda, perché una certa sociologia, la sociologia utile, ha il
potere fortissimo si disturbare le confortevoli certezze. In senso più ampio la
sociologia può svolgere un ruolo di rottura rispetto alla messa in evidenza di alcuni
dispositivi – direbbe Bourdieur- istituzionali del potere, di alcuni dispositivi simbolici
del potere.
ES: Nei regimi totalitari, per esempio, la sociologia non si è mai sviluppata. Durante il
fascismo (XX secolo) in Italia la sociologia non esisteva, si è sviluppata infatti all’indomani
della seconda guerra mondiale, intorno agli anni ’50, perché se la sociologia, o almeno una
certa parte della sociologia, ha una predisposizione, disposizione – dice Bourdieur – a
disturbare le confortevoli certezze, diventa una disciplina dirompente, cioè può rompere
degli schemi che invece i dominanti voglio imporre.
Baumann parla del “giardino d’Europa” (sul manuale sociologia contemporanea), e che tutti
una serie di meccanismi occulti ci stanno rendendo molto Orwelliani. In sintesi quando
facciamo un bancomat, compriamo su internet o facciamo la spesa ci controllano. Il
ragionamento non è quello – diceva Orwell – di un controllo sociale, ripreso da Baumann,
ma anche di un’idea di conformismo di massa che ci rende tutti molto controllabili, che ci fa
diventare tutti consumatori di bisogni che non sono primari ma indotti, mentre noi li
reputiamo fondamentali. Baumann dice che noi in realtà non siamo in grado e non vogliamo
fare la rivoluzione, perché se ci accorgessimo di tutte queste cose dovremmo scendere in
piazza con i forconi. Questa rivoluzione perché non la facciamo? Perché non sovvertiamo
l’ordine costituito rispetto a quello che è una società disuguale – dice Bauman?
Probabilmente perché ci consentono comunque di indebitarci per compare l’ultimo iPhone
che costa un botto di soldi, che dopo due anni non vale niente, ne esce un altro e ti inducono
la necessità di essere un cittadino perché hai la possibilità di consumare. Qui non fai più
una distinzione sulla base della cittadinanza. Quindi chi ha diritto di cittadinanza? Il cittadino
in quanto tale o il consumatore? Bauman dice che questo è il modo per cui trasformiamo il
diritto di cittadinanza in possibilità di consumo, tanto è vero che le dite di scarto sono
rappresentate da chi non è in condizioni di poter consumare.
Un altro tema, sempre inseribile in una parte introduttiva, è quello di imparare a sviluppare
immaginazione sociologica. Imparare a pensare sociologicamente significa coltivare un
potere di immaginazione, che alcuni di noi sembrano già avere. Il sociologo è colui che
riesce a liberarsi dai condizionamenti della sua situazione personale. Il lavoro sociologico si
basa su quella qualità, caratteristica, disposizione che è stata definita da Charles Wright
Mills, sociologo americano degli anni ’50, “immaginazione sociologica”. Cosa è
l’immaginazione sociologica? Cosa richiede? In realtà l’abbiamo visto quando abbiamo
fatto la distinzione fra affermazione sociologica e quella di senso comune.
L’immaginazione comune, dunque, implica la capacità di riflettere su noi stessi, liberi
dalle abitudini, dai preconcetti, da retaggi culturali, che appartengono alla nostra vita
quotidiana, cioè quando nel secondo punto di prima parlavamo della necessità di
andare al di là dei mondi vitali. L’immaginazione sociologica – scrive Wright Mills –
ci consente di afferrare le biografie individuali, la storia, ma soprattutto il rapporto tra
storia e biografie individuali in modo da capire, da renderci consapevoli, del fatto che
la nostra condizione, quello che noi siamo oggi, in parte dipende da forze più ampie
che sono esercitate dalla società, dalla storia su di noi. Chi siamo noi? Siamo noi,
abbiamo una parte molto individuale, però attraverso l’immaginazione sociologica bisogna
cercare di capire quanto la nostra condizione possa dipendere in parte da forze più ampie
che agiscono all’interno della nostra società. La nostra condizione – diceva Burdieur- può
dipendere da doti naturali, ma probabilmente dipende anche da doti socialmente ascritte.
ES: Se uno è figlio di un medico, se ha un tenore di vita di un certo tipo, se abita in un
quartiere piuttosto che in un altro, si comprende che l’individuo è condizionato. Siamo quello
che siamo, ma anche il prodotto di influenze che la società esercita su di noi. Wrigt Mill
ci fa riflettere su quanto siamo senz’altro quello che siamo perché abbiamo
metabolizzato, sedimentato certe cose, però siamo anche un prodotto di cose che
sono più forti di noi, cioè di una sorta di struttura sociale che si impone su di noi.
Burdieur sostiene che la sociologia non deve concentrarsi solo sulla produzione artistica di
un autore, ma deve cercare di collocare quest’ultimo all’interno del suo campo di pertinenza,
perché senz’altro può avere sviluppato delle cose di talento naturale, soggettive, ma è
sempre frutto di qualcosa che lo ha condizionato. Bourdieur scrive “le regole dell’arte”, ma
anche una cosa sul gusto, e spiega per esempio per quale ragione i ceti popolari piace di
più mangiare, per esempio, grandi quantità di cibo, fare tavolate in cui si mangia pesante;
invece nei ceti più elevati, più borghesi, c’è una maggiore attenzione alla quantità, perché
risponde a certi modelli che sono di distanziazione sociale, di differenziazione sociale, di
riproduzione di stili che Bourdier chiama “abitus” e fanno parte del ceto di appartenenza.
1. La nostra società è veramente democratica?
2. I nostri genitori sono commessi, operai, ingegneri, militari, disoccupati?
3. Viviamo in una metropoli o in un paese piccolo?
4. L nostra educazione è stata cristiana, musulmana, ebraica, laica?
Tutte queste domande servono per dire e sottolineare che il mutare delle condizioni sociali
nelle quali veniamo proiettati dalla nascita e nelle quali poi cresciamo cambia drasticamente
le nostre vite. Questa è una delle cose che dobbiamo tenere sempre presente. Questo
complica il ragionamento sociologico, sono elementi di problematizzazione dell’approccio
sociologico che ci portano a fare un passo indietro rispetto alla presunzione di certa
sociologia di arrivare il “verum et certum”, perché di tutti questi aspetti in teoria, sviluppando
immaginazione sociologica, dobbiamo tener conto nel momento in cui ipotizziamo un
percorso di ricerca per poi svilupparla nel tentativo di dare una risposta, e tutto questo lo
dobbiamo tenere in considerazione.
L’IMMAGINAZIONE SOCIOLOGICA
Pensare sociologicamente – dice Bauman – è un potere anti stabilizzante che può
rendere più flessibile la fissità delle relazioni sociali, può sovvertire e confutare le
affermazioni di senso comune se si vuole ampliare il ragionamento agli elementi che
abbiamo visto prima e aprire anche un mondo di possibilità o ti ipotesi, di ricerca. Da
questo punto di vista la sociologia non può mai raggiungere un risultato e darlo per scontato,
perché nel frattempo la società cambia, i valori cambiano, le persone cambiano, i diritti
cambiano. Quindi un lavoro fatto 20 anni fa forse potrebbe non essere più, oggi, adatto a
darci delle risposte. La ricerca sociologica tuttavia deve costantemente rinnovare, fermo
restando che deve partire dalle acquisizioni, da quel corpo di conoscenze che sono state
acquisite prima. Tutto questo per dire che pensare sociologicamente vuol dire anche
ampliare gli obiettivi e l’efficacia pratica della libertà; quindi l’individuo utilizzando il
modo di pensare sociologico, adottando un approccio critico, può diventare meno
manipolabile e più elastico. Oggi la vera gabbia è l’incultura, non è casuale se guardiamo
un programma televisivo scopriamo che la gran parte di questi sono una cagata, ad esempio
Grande Fratello, Non è la D’Urso, Uomini e Donne… perché questi programmi funzionano?
Perché ti destabilizza su alcuni aspetti, ti rende particolarmente facile da governare, e qual
è la giustificazione di molte persone quando le dicono “perché guardi questi programmi?”,
loro rispondono perché si rilassano. Non funziona! Questo probabilmente fa parte di un
progetto nel quale più ignorante sei, più acritico sei rispetto a certe cose, più ti affascinano
gli slogan, che fa presa su un pubblico molto manipolabile perché non ha gli strumenti per
riflettere criticamente su alcuni aspetti.
Qualunque gesto si può analizzare dal punto di vista sociologico, senza però ridurre la
sociologia a tuttologia. Imparare a pensare sociologicamente significa guardare da una
visuale più ampia. Per esempio: cosa si può dire, da un punto di vista sociologico, di
un gesto apparentemente così banale come bere una tazza di caffè? Anche un gesto
banale, come bere una tazza di caffè, può essere esplicitato, un esercizio di visuale
sociologico. Cosa si può dire su un gesto così apparentemente banale come bere una tazza
di caffè? In Italia ad esempio può voler dire molte cose, come un momento di socialità di
tipo economico ma anche gerarchico (pago io), un gesto riparatorio, un momento per
rilassarsi dopo il lavoro o lo studio. Intanto il caffè non è solo una bevanda, perché può avere
per esempio un valore simbolico nel quadro dei riti quotidiani: la mattina dopo che mi sveglio
e per connettere il cervello prendo il caffè. Ma il rituale della consumazione può essere più
importante della consumazione stessa, cioè le abitudini che ciascuno di noi ha sviluppato
col caffè può essere più importante della consumazione stessa. Oppure riflettere sul fatto
che il caffè è una droga “socialmente accettata”, per cui se io un giorno il professore ci
invitasse ad andare a prendere il caffè nessuno di noi avrebbe a che dire, ma se il professore
in quello stesso momento ci dice di farci una canna senza dubbio ci rifiuteremo di seguirlo.
Nessuno storce il muso quando si parla di caffè, ma se si parlasse di canna allora qualcuno
storcerebbe il muso, dicendo: “com’è pazzo?”.
Lezione 14/10/20
1. La sociologia è utile quando offre nessi e narrazioni che connettono l’epoca con
l’esperienza;
2. La sociologia è inutile se fornisce solo informazioni;
3. La sociologia è pericolosa quando viene venduta al potere;
 “la scienza sarebbe superflua se l’apparenza e l’essenza coincidessero”. (Marx)

 “Siamo imbevuti di un pensiero tendenzioso e non riusciamo più ad accostarci a una


questione, ad analizzarla nella sua essenza”.
Questa citazione ci concentra sul fatto che siamo concentrati su ciò che riteniamo più
conveniente e non riusciamo ad analizzare la situazione oggettivamente. Molto spesso ci
adeguiamo al pensiero degli altri e molto difficilmente riusciamo ad accostarci a una
questione analizzandola nella sua essenza.
 “Per noi le ipotesi assurgono a dogmi, i dogmi si irrigidiscono e lo spirito si chiude
nell’involucro fossilizzato delle opinioni altrui, il criticismo svapora, la scienza perde
la sua essenza e attraverso la spessa corazza dei falsi assiomi, non c’è modo di giungere
all’aria fresca”. (Paul Florenskij).
Molto spesso finiamo inconsapevolmente a fossilizzarci nelle opinioni altrui: l’ha detto
questo, l’ha detto l’altro, l’ha detto il telegiornale, e a un certo punto rischiamo pure di far
perdere lo spirito critico. Se perdiamo quest’ultimo rischiamo di non riuscire a giungere
all’aria fresca, di reiterare certe cose che i nostri retaggi culturali, la nostra tradizione, le
nostre credenze, le nostre famiglie, istituzioni c’hanno un po’ fossilizzato rispetto a questi
tipo di impostazione dogmatica. La sociologia deve essere fortemente anti dogmatica.
 “Una scienza reale non è un sistema di risposte. Al contrario è un sistema di
problemi che rimangono sempre aperti. Gli assiomi fondamentali di una scienza sono
le determinazioni parziali dei problemi”. (Paul Valery)
Qui la citazione parla di scienza reale, ma potremmo sostituire queste due parole con il
termine “sociologia” siamo in linea con quello che è quest’ultima. La sociologia, dunque, non
è un sistema di rispose; è un sistema di problemi che restano aperti. Il sociologo dunque
non ha una soluzione, può porre una serie di problemi. Quando si svolge un lavoro di ricerca
e si conclude, in cui si dovrebbe avere il risultato finale, l’obiettivo prefissato, si scopre che
tutto ciò che si è studiato non fa altro che porre tutta una serie di problemi sui quali si spera
di indagare in un successivo momento. Difficilmente riusciamo a dare delle risposte, ma
sicuramente fa parte della sociologia dare per forza delle risposte, ma di riaprire
costantemente problemi, delle domande di ricerca.
 “La sociologia fornisce agli esseri umani una conoscenza più ampia della loro situazione,
allargando l’ambito della loro libertà di scelta”. (Z. Bauman)
La sociologia è la “scienza della liberà”, fornisce una conoscenza più ampia della loro
situazione e li rende meno manipolabili.
 “Se il pensatore di professione (lo studioso, lo scienziato sociale) ha un dovere assoluto,
è quello di conservare la mente lucida di fronte agli idoli che imperano nel nostro tempo,
e se necessario nuotare contro corrente” (Z. Bauman)
Bisogna dunque andare controcorrente, non accettare i falsi idoli o allargare sempre di
più l’ambito della conoscenza. Se nel tentativo di allargare l’ambito della conoscenza ci
tocca andare controcorrente, Bauman e Bourdier suggeriscono che il compito della
sociologia è quello di andare controcorrente per fare di quest’ultima una scienza utile e
non pericolosa.
COSA STUDIA LA SOCIOLOGIA?
Una definizione che ci può bastare, che non è analitica, completa e ideale, ha una sua
ragion d’essere, cioè:
La sociologia ha per oggetto le relazioni (tra individui, gruppi sociali) e le istituzioni umane
(partiti politici, lo Stato, istituzioni educative). La società studia la relazione tra gli individui e
i gruppi sociali, tra famiglia e mercato, tra genitori e figli, tra famiglia e Stato. È in questa
sorta di triangolazione che si può collocare la sociologia. L’elemento che deve
accomunare non solo i sociologi ma anche gli studenti di sociologia è una sorta di
naturale curiosità, perché se non si ha questa predisposizione non si fa un passo avanti.
È dunque un elemento importante, perché se non sei curioso non puoi fare sociologia. Se
non sei non siamo curiosi viene difficile studiare sociologia, ci accontenteremo se non lo
fossimo di fare dei riassunti studiati sui libri, senza fare un passo ad altro, alla comprensione,
alla discussione, alla problemitizzazione. Cioè la verità è che se diamo il mondo per scontato
finiremmo per non interrogarci mai, restando prigionieri dei falsi assiomi, dei falsi idoli, o del
dogma, o del senso comune. La sociologia quando nasce? La sociologia nasce soltanto
quando riusciamo a mettere in discussione il mondo e cominciamo a chiederci
perché è così. Questa di mettere in discussione il mondo è una citazione ripresa dal testo
“il mondo il questione” di Paolo Jedlowski. La domanda che costantemente si pone la
sociologia è: perché è così? Questa è una domanda che ci deve sempre accompagnare,
quella che sostanzialmente costantemente accompagna la sociologia, è quello di tentare di
rispondere al perché delle cose.
Per comprendere ancora di più la sociologia occorre fare una differenza tra quest’ultima e
la filosofia. La filosofia in realtà aspira ad individuare a come dovrebbero essere le cose,
ha una predisposizione forse più “utopistica” rispetto a come dovrebbe funzionare il mondo,
mentre la sociologia si pone domande, ha una dimensione più ridimensionata rispetto
alle spiegazioni del perché le cose sono così e non in un altro modo, spiega le ragioni
per cui le cose sono come sono, ovviamente prendendo posizione, andando
controcorrente, denunciando le disuguaglianze (come dovrebbe essere il sistema
educativo? Perché il sistema educativo è così? Perché le cose sono così? Quali sono i
fattori che li hanno determinate? Quali sono le conseguenze che queste cose posso
avere?). Il tentativo di dare una risposta a questo “perché” è un tentativo complicato,
difficilmente riusciamo ad individuare un’univoca risposta al nostro perché, ma il qualche
misura dobbiamo provare il più possibile a dare risposta al perché le cose siano così.
 Es. Bauman parla della Shoah come un elemento della modernità. Egli sostiene che la
Shoah, cioè la carneficina degli ebrei, era non un neo della modernità ma un elemento
stesso, il prodotto stesso della modernità. Perché? Occorre dunque conoscere il perché
delle cose: perché Bauman sostiene che la Shoah sia un prodotto moderno?
La sociologia va intesa come una “conversazione con l’esperienza umana”. Essa
deve tenere conto sia di ciò che succede alle persone quando interagiscono con il
mondo, sia di ciò che le persone vivono sulla loro pelle nel corso di questa
interazione. Ciò richiama a quello che diceva Bauman rispetto ad elevarsi dai nostri mondi
vitali, per esempio. Richiama all’immaginazione sociologica, al fatto che dobbiamo guardare
alla nostra biografia individuale (quello che siamo noi) e partire da questa la colleghiamo
con le altre, facendo però attenzione a quanto queste biografie individuali siano influenzate
da forze più ampie, che sono forze sociali, la società che si impone agli individui, il contesto
sociale e quello di riferimento. Bisogna fare attenzione! C’è l’attenzione all’individuo e a
qualcosa di più oggettivo come le istituzioni. La sociologia evidentemente prova a
triangolare soggettivismo con oggettivismo, cioè come l’individuo (essere soggettivo) si
relazioni con delle istituzioni che sono lì, sedimentate, cristallizzate. Ci muoviamo in tutti e
due i sensi: sia l’influenza che l’individuo esercita o che può esercitare sulle istituzioni, sia
l’influenza a cui l’individuo è sottoposto rispetto alle forze più ampie che finiscono poi per
governarlo. Quindi per approcciarci alla sociologia dobbiamo pensare in un doppio senso.
La sociologia imbandisce una conversazione con la doxa (opinione), con le credenze non
addette ai lavori, quindi con il senso comune. La sociologia – secondo Bauman – dovrebbe
smantellare due credenze:
1. L’indomabilità dell’ordine delle cose. Le cose apparentemente sono così e restano
così, possono cambiare.
2. La rassegnazione all’impossibilità di cambiarle. Bauman è stato criticato da molti
sociologi poiché considerato particolarmente coinvolto, i quali consideravano la
sociologia diversamente come la stiamo facendo in questo corso, cioè come se fosse
una scienza più oggettiva che si limita a verificare la relazione di una variabile su
un’altra. Ragionando per grandi linee, per statistiche, ad un certo punto mi soffermo
sul fatto che all’aumentare dell’età cresce il reddito. Ciò me l’ha detto un software di
dati perché ho fatto dei questionari, ho ragionato da un punto di vista quantitativo, e
scopro che all’aumentare dell’età aumenta anche il redito, se invece non sei inserito
nel mercato nel lavoro il redito non può aumentare. Queste sono le scoperte inutili
della sociologia. Ma c’è chi sostiene che la sociologia è una scienza che deve
rimanere distaccata dalla possibilità di denunciare che le cose vanno male e
andrebbero cambiate, che viviamo in una società diseguale, che le crisi economiche
talvolta servono per giustificare le cose, il perché delle cose. Tante sono le volte che
abbiamo sentino che dobbiamo fare sacrificio poiché siamo in piena crisi economica,
una crisi economica (2007/2008) che ci costringe a dei sacrifici. Guardiamola da un
altro punto di vista: può essere che le cose stanno così? Perché ad un certo punto
invocando la crisi economica, in qualche modo trovo il grimaldello per avvantaggiare
un certo tipo di sistema produttivo che è il neoliberismo? e quindi in nome della crisi
economica decido di salvare il sistema economico – finanziario, le banche, piuttosto
che i marginali e i poveri? Perché c’è la crisi economica, abbiamo il pareggio di
bilancio, e purtroppo non possiamo aiutare le persone marginati, le dita di scarto
come le definisce Bauman. È allora possibile che possa svolgere la funzione di
mettere in evidenza delle incertezze (aporie) del sistema, dei meccanismi che
generano disuguaglianza, e dire che probabilmente la crisi economica va smitizzata,
demistificata perché dentro a richiamare costantemente il ruolo della crisi economica
ho utilizzato questa cosa come grimaldello, ad esempio, per distruggere ancora di
più lo statuto dei lavoratori per rendere quest’ultimi sempre più precari. La crisi
economica giustifica il fatto della flessibilità.
Per esempio: l’immagine della nostra società è un’immagina in cui ciascuno di noi
impara che deve vivere in una società competitiva, in un’economia competitiva (il
F7, il G8, la parità di bilancio…). L’immagine che ci viene fornita dall’attività
economica è quella di una corsa, in cui ci sono i corritori che partono dallo start e
devono arrivare primi. Perché le economie nazionali devono competere? Perché,
anziché fare una gara, non fanno una corsetta insieme? Perché, anziché rappresentare
il mondo come un’arena, non si rappresenta come un industrioso alveare? Di tutto
questo siamo ben consapevoli, i nostri genitori ci hanno iscritto in una scuola piuttosto
che in un’altra, la gara parte nel momento in cui già scegliamo la scuola elementare o
addirittura la sezione, e i figli vengono riempiti di attività perché devono arrivare primi,
devono essere più bravi degli altri e costruiamo un curriculum anzitempo fatto di attività
sportiva individuale, di attività sportiva di gruppo, cioè classicamente il calcio e il nuoto,
oppure di attività legate alla musica sperando che il proprio figlio diventi famoso, o lo
studio delle lingue. Tutto ciò, però, toglie del tempo sanamente libero ai bambini, perché
vengono a destrati ad accettare l’idea di una società competitiva, di una gara, di una
corsa, nella quale tutti devono arrivare primi.
Una comprensione basata sulla nostra esperienza personale non potrebbe esserci
d’aiuto, cioè potremmo correre il rischio di basarci solo sulla nostra esperienza, e questo
non va bene! Quindi non solo bisogna capire come percepiamo e comprendiamo il
mondo, ma anche come lo comprendono gli altri, come gli appare. Tuttavia
occorre verificare se altre esperienze conducono allo stesso risultato. Non basta
soltanto il nostro punto di vista, solo questo, ma occorre guardare anche i punti di vista
degli altri. Di conseguenza abbiamo bisogno di un metodo più rigoroso, più
sistematico, per indagare i modelli di comportamento o i processi che fanno parte
e strutturano la società, la vita sociale, cioè che dunque quello che ci serve è arrivare
ad una prospettiva, nel nostro caso un punto di vista sociologico.
Per esempio il crimine è uno dei tanti temi, delle tante prospettive, discussi da tanti ambiti
delle scienze sociali. Il crimine non è appannaggio esclusivo della sociologia, ma un
tema che può essere analizzato sotto molteplici punti di vista: ad esempio gli scienziati
politici potrebbero studiare come i politici utilizzino il problema della criminalità in
campagna elettorale, gli economisti potrebbero essere più proiettati a studiare l’impatto
del crimine sulla società, gli psicologi potrebbero essere maggiormente interessati a
comprendere le caratteristiche individuali dei criminali suggerendo che alcuni tratti della
personalità possono essere associati a determinate tipologie di comportamento
criminale, gli antropologi potrebbero ragionare in termini di crimini diverse società. I
sociologi, invece, potrebbero essere interessati a sottolineare il rapporto tra gli individui
e le più vaste forze sociali (praticamente è quello di cui parlava Bauman, ossia l’influenza
delle forze sociali sugli individui), oppure le interazioni tra le diverse istituzioni sociali,
come governo, economia, media e famiglia, o potrebbero essere interessati nel capire il
ruolo dei media nella percezione del crimine e del sistema di giustizia penale, attraverso
per esempio l’analisi dei notiziari, potrebbero essere interessati a studiare gli sforzi
compiuti dai vari governi per ridurre il crimine.

A CHE SERVE LA SOCIOLOGIA?


Prima abbiamo visto che cos’è, ora la domanda che ci poniamo è: a che serve la sociologia?
Serve dunque a spiegare/comprendere un certo fenomeno, non per forza individui,
semmai una collettività di individui, ma occorre fare attenzione perché anche le relazioni tra
individui e istituzioni. Quindi spiegare un certo fenomeno: la criminalità dei colletti bianchi,
minorile, dei migranti stranieri… cioè deve cercare sostanzialmente di individuare le
cause di un determinato fenomeno ricercandolo nell’ambito degli atteggiamenti, delle
scelte, delle presentazioni, senza però perdere di vista il contesto in cui l’individuo
appartiene. Per capire, comprendere, spiegare il fenomeno della criminalità minorile, ad
esempio, a Palermo, occorre contestualizzare i ragazzini criminali che provengono dalle
periferie, occorre collocarli perfettamente prima ancora di dare una spiegazione del
comportamento criminale: quali sono i loro processi di socializzazione? Quanto può influire
il rapporto genitoriale sulla genesi di un comportamento deviante/criminale? Quanto può
influire l’essere ragazzino proveniente da un quartiere malfamato (Zen) piuttosto che da un
quartiere più abbiente, agiato? Quindi tutto questo, se voglio dare una definizione di a che
cosa serve la sociologia, deve essere spiegato o compreso. Spiegare è un termine che
richiama una concezione durcheniana, una sociologia più positivista, cioè quello di una
scienza più tendenzialmente oggettiva, quando spieghi quanto un elemento possa influire
su un altro. Il termine invece comprendere richiama un approccio più deberiano, cioè
comprendere le azioni degli individui, mettendosi nella parte dell’individuo. In questo flash
spiegare/comprendere si dipanano due approcci metodologici diversi: una sociologia che
mira sostanzialmente a spiegare, dall’altro lato una sociologia che mira a comprendere. Essi
sono due approcci metodologici, una interessata alle relazioni tra variabili, cioè i metodi di
tipo quantitativo, una invece più interessata a comprendere le azioni degli individui, quindi
si basa su un metodo più qualitativo, non dei seminari somministrati a un campione ampio
di persone e poi raccolto in un database, i cui dati vengono analizzati e si ragiona per
variabili, ma una sociologia più proiettata verso la comprensione di alcuni aspetti attraverso,
per esempio, delle interviste in profondità fatte a testimoni privilegiati o agli oggetti della
nostra ricerca. Come se noi in qualche modo studiassimo un fenomeno in maniera non
giudicante: vestire i panni di per capire il perché. Un po’ come la situazione che è avvenuta
durante il lockdown, quando dei residenti dello Zen si sono messi a cucinare ed arrostire sui
tetti. Dietro questa situazione c’è tutto un contesto che certa gente critica, ma in realtà
potrebbe essere la norma. E quindi nel momento in cui si ragiona su quei aspetti occorre
tenere in considerazione il contesto di riferimento, l’influenza del vivere in un quartiere o in
un ambiente degradato, possibilmente l’inadeguatezza degli strumenti culturali utili a capire
che certi comportamenti sono pericolosi; ma non per questo devono essere condannati,
anzi occorre cercare di studiarli con oggettività, ricostruendo quindi il contesto nel quale
quegli individui sono inseriti. È inutile criminalizzare un ragazzino dello Zen perché ha
compiuto un furto di un motorino, ragionare di pancia: probabilmente questo ragazzo è il
prodotto di una serie di cose, probabilmente per integrarsi in quel quartiere deve essere
abile, ad esempio, a rubare piuttosto che a leggere un libro. Quindi immaginare di
condannarlo e buttare la chiave è un atteggiamento sbagliato, perché la sociologia aiuta a
comprendere quanto sia facile condannare un singolo individuo deresponsabilizzando le
istituzioni, le società, i partiti politici…
La sociologia contribuisce a:
1. Defamiliarizzare quel che è familiare, quel che noi riteniamo sia normale, sia
parte delle nostre conoscenza, del nostro bagaglio, sfatando ovviamente la
presunta autoevidenza, cioè la famiglia è un istituzione naturale o uomini e donne
sono diverse perché l’uomo ha una dimensione di tipo strumentale e la donna ha una
dimensione espressiva, tanto è vero che gli educatori scolastici, almeno in passato,
erano prevalentemente donne, perché sono più predisposte? Perché sono
naturalmente portate all’istinto materno? Probabilmente no, non è così!
2. familizzare con ciò che sembra familiare, con qualcosa che non è familiare,
non è nel nostro baglio culturale. Quindi la sociologia ci mette in un’ottica di
costante messa in discussione.
La sociologia, inoltre, serve a riflettere sul presente, comprendere l’attualità, ma anche
a ciò che è il passato. Per comprendere però il presente dobbiamo guardare al passato,
perché il presente è il prodotto del passato. Le domande provocatorie che il prof ci ha posto
sono:
Sposarsi; dove abitare; vivere con chi; che lavoro fare; che religione professare, sono
sempre scelte individuali?
Non sono scelte individuali, non lo sono state in passato e probabilmente oggi lo sono di più
che nel passato. Il fatto di essere figli di disoccupati o impiegati implica delle conseguenze
nella nostra identità sociale, oltre che individuale. Sposarsi è sempre una scelta individuale?
No, non l’ho è! Sicuramente a 30 anni nostra madre o ancor di più nostra nonna ci dirà: “ma
il nipotino quando me lo fai?”, “quando ti sistemi?”, con l’idea che la sistemazione sia
l’acquisizione di due status: matrimonio e un lavoro. Ma anche vivere con chi e dove abitare
dipende solo da noi, da una serie di condizionamenti, ma anche dal mercato del lavoro,
della potenza economica che avremo. Che lavoro fare? Dipende sempre da noi?
Lezione del 21.10.2020

II PARTE: SOCIOLOGI CLASSICI, PADRI FONDATORI DELLA SOCIOLOGIA


I sociologi contemporanei hanno iniziato a ragionare partendo dalla sociologia classica e
hanno rappresentato questa secondo il loro punto di vista. Facciamo un passo ritroso e ci
soffermiamo in questa seconda parte sull’origine della sociologia, sui sociologi classici. Nel
momento in cui parliamo delle origini della sociologia, dei classici della sociologia, non si
può parlare di immaginazione sociologica, di mettere in questione il ondo, di categorie della
sociologia acritica. Inoltre tra le righe delle argomentazioni di questa seconda parte
comprenderemo quali sono le correnti che hanno influenzato il pensiero sociologico e quali
sono le tradizioni sociologiche. Faremo un viaggio nel tentativo di creare un contesto storico,
sociale e culturale che consente alla sociologia di potersi sviluppare, poi continueremo con
alcuni sociologi che sono considerati i fondatori della sociologia (Comte, Durkheim, Max,
Weber e Simmel). Tra le righe di questa parte parleremo delle correnti che influenzato il
pensiero sociologico e poi delle tradizioni sociologiche, come il funzionalismo, il cui padre
fondatore può essere fatto risalire a Durkheim, il conflittualismo, un altro approccio
importante che nasce in particolare con Max e Weber, e poi l’interaziolismo che si può
condurre a Simmel. Questi autori oltre ad essere i padri fondatori della sociologia sono gli
iniziatori delle tre tradizioni sociologiche più importanti.

IL MONDO MODERNO E LE ORIGINI DELLA SOCIOLOGIA


Il pensiero sociologico ha origine soprattutto dalla unione della percezione del mutamento
sociale e dell’idea moderna di scienza. Un pensiero sui fatti sociali, sul vivere in società, vi
è sempre stato, è sempre esistito. Basti pensare ai filosofi greci e alle loro riflessioni sulle
leggi, sulla famiglia, sulla polis; tuttavia, la società in quanto tale diventa oggetto di scienza,
quindi scienza sociale, sono nell’800, ossia quando c’è qualcosa di nuovo da osservare,
durante il quale il mondo è cambiato. Ciò, questo cambiamento, è riconducibile a due eventi
storici fondamentali, due rivoluzioni che hanno trasformato il mondo, che:
1. Accentuano la percezione del mutamento: (secolo del cambiamento) le società ha
un’accelerazione nella storia, si sono sempre trasformate ma non così velocemente
come nell’800.
2. Rendono evidente come il mondo non possa più essere dato per scontato: il
mondo è diverso, è cambiato, si sviluppa dunque da parte di alcuni sociologi la
necessità di interpretare il mutamento della società repentino, cogliendo il senso delle
informazioni che si trasformano di gran lunga veloce rispetto al passato. È proprio da
qui che emerge la necessità di un sapere sociologico.
Le due grandi rivoluzioni che segnano l’inizio della modernità sono:
1. La prima rivoluzione industriale che si sviluppò in Inghilterra a partire dalla seconda
metà del ‘700 (XVIII secolo). Le persone iniziano a trasferirsi dalle campagne alle città,
avviene quindi una trasformazione delle abitudini, nel modo di vivere le famiglie. L’esistenza
di una nova classe sociale nuova (borghesia), la nascita dei lavoratori salariati all’interno
delle fabbriche, le fabbriche che richiamo un processo di urbanizzazione, l’artigianato che
perde forza rispetto alla produzione industriale, fornisce un’accelerazione alla storia. Nelle
società agricole per far funzionare la società svolgevano qualsiasi tipo di lavoro, mentre
nelle società moderne, grazie alle fabbriche, ognuno si specializza in un settore specifico.
Si assiste così ad una trasformazione culturale. Sorgono nuovi attori sociali che poi verranno
presi in considerazione dai padri fondatori della sociologia nel tentativo di spiegare le
trasformazioni, il mutamento: come avviene il mutamento? Quali sono le ragioni? Perché il
mondo cambia rapidamente? Questa è una rivoluzione evidentemente di tipo economico.
2. La rivoluzione francese che si afferma in Francia alla fine del ‘700 (1789 – 1799). È un
momento culminante di una serie di processi che conducono alla delegittimazione del potere
feudale. Tagliare la testa del re è qualcosa di eclatante ed epocale, perché il re era il potere
assoluto, è un elemento fondamentale in quanto si afferma l’idea che non esiste più il potere
assoluto riconducibile nelle mani di una singola persona (Monarchia), ma si afferma l’idea
del cittadino, dello Stato all’interno del quale non c’è il re (lo Stato sono io) bensì di uomini
con uguali diritti: libertà, uguaglianza, fraternità. Questo ci porta a capire che le leggi da
quale momento non sono più stabilite dagli uomini, non sono più immutabili, ma tutti i
cittadini hanno gli stessi diritti. Questa è una rivoluzione evidentemente di tipo politico. In
un sistema in cui il pensiero è fortemente dogmatico la riflessione sociologia non può
svilupparsi, una delle ragioni che porta la Sociologia ad affermarsi nell’800.
3. La rivoluzione scientifica, avvenuta prima (‘600, XVII secolo), permette lo sviluppo del
pensiero sociologico. Basti pensare a Bacono e Galileo che offrirono in quegli anni una
visione diversa, una visione della scienza basata sull’esperienza. Da ciò mutarono le carte
in tavola; Poi Newton (‘700) con i suoi principi della fisica moderna dette un contributo alla
nascita della sociologia. Sono tutti aspetti che influenzarono e caratterizzarono sia
l’Illuminismo francese, che l’empirismo inglese e scozzese i quali proporranno anche essi
una visione basata sull’osservazione applicata ai fenomeni sociali.

L’ILLUMINISMO
La sociologia è fortemente influenzata dall’illuminismo, tanto è vero che a Montesquieu,
considerato a tutti gli effetti da alcuni sociologi come uno dei padri fondatori della sociologia
(Pre-sociologo), la Sociologia deve un merito importante. La sociologia in quanto “Scienze
della società” può nascere nel momento in cui si ragiona, si confrontano le ipotesi dedotte
con le prove empiriche, ma Montesquieu è un percussore poiché ancora non ha
acquisito il metodo rigoroso, il metodo sociologico, non ipotizza qualcosa e poi
formula una teoria che successivamente viene rafforzata da alcuni dati. Infatti, il
primo vero sociologo (secondo il prof) è Durkheim, prima del quale siamo nell’ambito
della pre- sociologia, dei contributi importanti che hanno fatto sì si affermasse. Si può
definire uno dei fondatori della sociologia perché teorizza che il tasso di suicidi dei paesi da
lui analizzati dipenda dal grado di integrazione sociale degli individui e lo dimostra. È anche
il primo poiché riesce a fare in modo che la sociologia diventi una disciplina insegnata
all’università.

Tuttavia Montesquieu, ebbe un grande merito e diede un contributo significativo allo


sviluppo della Sociologia sia perché nelle “Lettere Persiane” (1721) racconta le differenze
tra la Francia e altri mondi sociali diversi. Pertanto immaginando un dialogo epistolare col
re di Persia racconta quanto siano differenti i mondi persiani da quelli francesi. Prova anche
a ragionare nel tentativo di scoprire le cause di questa diversità. In un’altra opera, “Lo spirito
delle Leggi” (1748), osserva una varietà di istituzioni umane, della quale, anche in questo
caso, cerca di spiegare le ragioni per cui sono diversi. La sociologia, nel tentativo di
definizione di cosa studia, studia gli individui, le relazioni tra individui ma anche le istituzioni
umane. Nelle Lettere Persiane “la costatazione della differenza e della relatività dei mondi
sociali” allude agli attori sociali, di individui diversi. Dentro c’è dunque l’essenza di cosa è la
sociologia.

EMPIRISMO INGLESE E SCOZZESE


L’empirismo inglese e scozzese ha, rispetto all’illuminismo, una connotazione leggermente
diversa rispetto alla fede cieca nei confronti della ragione. Quindi se da un lato l’empirismo
è meno convinto che la forza della ragione passa dal conto della complessità della realtà,
dall’altro lato l’empirismo inglese e scozzese ha nei confronti dell’illuminismo lo stesso
atteggiamento anti-dogmatico.
In questo senso Ferguson e Adam Smith (teorizzatore dell’importanza del mercato e della
divisione del lavoro (“La mano invisibile”)), possono essere considerato i percussori del vero
e proprio pensiero sociologico. Entrambi sono, per esempio, stati studiati da Max, che nelle
sue riflessioni chiama in causa molto spesso i lavori di questi due importanti figure.

SOCIOLOGIA E POSITIVISMO

La sociologia ha inizio nella seconda metà dell’800 (Comte) e si sfondo di un mondo


che si trasforma radicalmente, velocemente, specie rispetto al passato. La velocità con cui
le trasformazioni sociali si verificavano primi di queste rivoluzioni era più lenta rispetto all’età
modera. Queste rivoluzioni portano alla nascita di:

 I luoghi di lavoro (Fabbriche);


 Nuovi strumenti di prodizione (macchine);
 Nuovi soggetti sociali (proprietari di fabbriche, lavoratori salariati, le donne,
bambini, le condizioni di povertà);
 Nuovi materiali (ferro prodotto su scala industriale);
 Nuove fonti di energia (carbone utilizzato per macchine a vapore);
 Nuovi mezzi di trasporto (ferrovie);
 Nuovi mezzi di comunicazione (telegrafo).
I CLASSICI: LE MACRO – ANALISI DELLA SOCIETA’
In questa parte ci concentreremo sui padri fondatori della sociologia, i classici della
sociologia. Le macro – analisi caratterizzano la sociologia classica, cioè i sociologi del
periodo che va dalla fine del ‘700 e ‘800 si muovono nell’ambito di una analisi macro. C’è
una differenza tra sociologi classici e quelli contemporanei? Sì! alla nascita della
sociologia i primi sociologi (classici) si muovono nell’ambito di una riflessione di tipo
macro, cioè prendono in considerazione i grandi aggregati (la società; i sistemi
nazionali; i sistemi politici; le trasformazioni del modo di produzione), mentre i
sociologi contemporanei sviluppano sulla scia di quelli classici si occupano di aspetti
micro, di analisi particolari di una società diventata sempre più complessa. Tra i
sociologi classici sono:

1. Auguste Comte (1798 – 1857);


2. Emile Durkheim (1858 – 1917);
3. Karl Max (1818 – 1883);
4. Max Weber (1864 – 1920);
5. Georg Simmel (1858 – 1918). Egli segna un ponte tra la sociologia classica e quella
contemporanea. Sembra essere il più moderno dei sociologi classici poiché,
nonostante faccia parte della cerchia del tipo macro, è quello che fra tutti contempla
anche l’aspetto micro.

1. AUGUSTE COMTE (1798- 1857)

Auguste Comte nesce nel 1798 e muore nel 1857. il merito di


questo è solo quello di avere coniato il termine “sociologia”, di
averlo individuato: socio (riferimento alla lingua latina) logia
(logos, alla lingua greca), all’interno delle sue opere principali
intitolata “Corso di filosofia positiva”. Già di per sé il titolo
della sua opera ci conduce a collocarlo nell’ambito della
filosofia piuttosto che in quello della scienza vera e propria
della società. Il volume è così chiamato perché da una parte
la sua formazione, come abbiamo detto prima, è prettamente
filosofica, dall’altra poiché il positivismo si afferma in quel
periodo, una corrente per la quale si ha una cica fiducia nella
scienza, sviluppa l’idea delle scienze sociale poste ad arrivare
all’individuazione di leggi universalmente valide che
governano il mondo sociale. Parte da una sorta di
“scimmiottamento” delle scienze esatta. Il positivismo dell’800
si basa su: rivoluzione scientifica, fede nella ragione e nella scienza. Quindi i primi studiosi
in pieno clima positivista sono convinti che le scienze esatte, (ad esempio la fisica)
ricrescono ad individuare le leggi di funzionamento universalmente valide, sono al pari delle
leggi sociali, in particolare la sociologia (intesa come “scienza società”), sarà in grado di
svelare le leggi universali della società. Cioè la presunzione è quella di immaginare che
come esistono le leggi fisiche, vi sono anche delle leggi del sistema sociale che possono al
pari di quelle fisiche, governare e spiegare il funzionamento sociale. La sociologia viene
definita una “scienza positiva”, e quindi secondo Comte la stessa applica allo studio della
società gli stessi metodi scientifici delle scienze esatte (Chimica, Fisica). Nell’ottica
comtiana, inoltre, l’approccio positivista comporta una produzione di conoscenza sociale
basata sull’evidenza empirica ricavata dall’osservazione, dal confronto e dalla
sperimentazione. Tuttavia però tutta questa evidenza empirica non è contenuta nei suoi
lavori, però l’approccio rispente moltissimo del positivismo. Il contributo in qualità di
precursore di quello che poi sarà il pensiero sociologico è dato da Comte nella riformazione
dell’idea della legge dei tre stadi, dove secondo lo stesso gli sforzi umani per comprendere
il mondo sono passati attraverso degli stadi:

1. Teologico: la società è espressione di Dio;


2. Metafisico: la società è spiegata da principi astratti;
3. Positivo: la società è indagata con il metodo scientifico (metodo empirico).
Comte è interessato all’idea dell’ordine e del progresso, ripresa da Emile Durkheim il quale
respira anche questa aria positivista, e ha una visione statica e lineare della società. Comte
quindi ebbe sicuramente una grande influenza su Emile Durkheim. Diede, inoltre, un
contributo fondamentale alla sistematizzazione alla sociologia in vista di quella che sarà con
Emile Durkheim la sua professionalizzazione come disciplina accademica. Tuttavia, la
sociologia ha dovuto liberarsi di molte idee di Comte. L’idea di una scienza positiva, di una
visione statica della società o l’individuazione di riuscire ad individuare le leggi
universalmente valide ci devono far prendere le distanze.

2. EMILE DURKHEIM (1858 – 1917)

Emile Durkheim nasce nel 1858 e muore nel 1917. Egli ha


avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della sociologia, è
quindi il primo vero sociologo. L’influenza di questo sulla
sociologia, ma anche sull’antropologia, è profonda. Nel 1896
fondò “l’annèe sociologique”, una rivista dedicata agli studi
sociologici. Tra le opere importanti troviamo:

1. La divisione del lavoro (1893);


2. Le regole del metodo sociale (1895): da questo
comprendiamo che fu il primo a codificare alcune di quelle che
poi sono diventate le regole del metodo sociologico.
3. Il suicidio (1897) è l’opera più importante;
4. Le forme elementari della vita religiosa (1912).
In Emile Durkheim si propone l’idea di fondare la sociologia e anche di smarcare la
sociologia dalla psicologia, cioè la sociologia in quel periodo, prima di lui, non veniva
insegnata, mentre la psicologia era riconosciuta come una scienza autorevole. Si propone
anche l’obiettivo di liberarla dal predominio che la psicologia aveva sulle scienze sociali,
sulla sociologia. Il suo intento è quindi quello di dimostrate quanto la sociologia fosse una
disciplina importante che doveva essere insegnata nelle università perché riusciva a far
capire non solo il comportamento dei singoli (psicologia) ma il comportamento e il
funzionamento dell’intero sistema sociale. Riesce nel suo obiettivo, cioè a liberale la
sociologia dalla psicologia quando inizia a studiare il suicidio. Emile Durkheim vuole
dimostrare come il suicidio, considerato fino al suo tempo un fatto soggettivo ed
individuale (fattore considerato psicologico), sia un fatto sociale, cioè che esso è un
condizionamento che può produrre la società. In questo modo riesce a farla diventare
una disciplina accademica, utile a capire l’influenza della società sugli individui.
Quella di Emile Durkheim è una rivoluzione da questo punto di vista. L’aspetto cruciale
con cui annienta il predominio della psicologia sulla sociologia è il fatto che se lui
dimostra che il suicidio non è solo un fatto individuale ma un fatto sociale allora
dimostra l’importanza della sociologia per comprendere l’assetto sociale, il
funzionamento della società, la smarca dal predominio di una spiegazione sola di tipo
pedagogico. Come lo fa? Dimostrando, attraverso delle statistiche, che il tasso di
mortalità nei paesi che tiene in considerazione (Francia, Germania, Italia, Austria) è
costante nel tempo, cioè ogni società dà un contributo in termini di suicidi costanti
nel tempo, allora c’è una variabile, che è di tipo sociale, che influenza il tasso di
suicidi che ogni regione, Stato, città riesce a dare. Tutta la sua opera dice che i fattori
climatici non hanno nulla a che fare con i tassi di suicidi, dipende dal altro. I suicidi dipendono
– secondo lui – dai gradi di integrazione sociale. Quindi non è il fattore climatico, né
l’elemento psicologico, il suicidio viene scaturito dal fatto di essere più o meno integrare.

 Esempio: il sciadista che si fa esplodere ha un basso grado di integrazione con la


società di appartenenza o ha altro grado di integrazione? Alto! Non c’è distanziazione
tra l’individuo e la comunità di riferimento, tra l’individuo e l’islam.

Dimostra come sia fondamentale studiare la società in modo di comprenderne il


funzionamento, ma anche il modo di assicurare alla società ordine e armonia, cioè la
coesione e la riproduzione della società nel tempo. Durkheim viene da una situazione in cui
la Francia (Rivoluzione Francese terminata, la Restaurazione, la gente che lottava nelle
strade) e cerca di costruire una situazione armonica, coesa, che si possa riprodurre nel
corso del tempo senza grossi conflitti. Egli propone un prodotto, cioè la sociologia, che
si pone come una disciplina che può aiutare a comprendere come costruire una
società finalmente pacificata. Durkheim rifiuta la psicoanalisi, Freud è esponente di una
disciplina che ormai ha un suo status accademico, è affermata così come la psicologia.
Afferma anche che il comportamento di un uomo non è mai comprensibile se mai come
espressione del suo inserimento sociale precostituito. Ci sta dicendo che non possiamo
comprendere il comportamento di un individuo o il suo comportamento se non lo
inseriamo all’interno di un contesto, nel quale il comportamento è il prodotto
dell’inserimento dell’individuo in un sistema sociale. E nell’ottica di spiegare cosa
tiene insieme una società, Durkheim risponde: la morale! “La società non è
comprensibile muovendo dall’analisi del comportamento dei singoli”. Ci sta dicendo che
l’individuo – nell’ottica di Durkheim – è passivo, cioè la società si impone all’individuo.
L’individuo può essere concepito solo all’interno di un contesto, è come se considerasse
l’individuo un elemento passivo rispetto alla forza che la società ha su di lui. È un aspetto
dal quale da un lato prendiamo le distanze, perché al contrario Max Weber ci insegna
che l’individuo e le sue azioni, la cultura sono fondamentali nella spiegazione del
comportamento di alcune cose, però dall’altro ha in parte ragione che l’individuo è
un soggetto passivo perché lo possiamo capire solo se lo inseriamo in un certo
contesto sociale. Sono due aspetti, quelli di Durkheim e Weber, che con la sociologia
successiva teniamo conto dell’uno e dell’altro.
Lezione 28.10.20

La morale – secondo Durkheim – è un insieme di norme (non solo giuridiche ma anche


morali) alle quali ciascun membro della società è vincolato. Questi vincoli che l’individuo
subisce derivano sia dell’esterno che dall’interno:

 Dall’esterno in quanto se trasgrediamo una norma morale provocando delle


sanzioni (anche quelle esercitate su di noi dalla collettività). Se si vive in una società e
ti comporti male, agli occhi della gente sarai etichettata, come una di facili costumi, come
una che si fa le canne e beve troppe birre. Ciò deriva dal contesto in cui si è inseriti.

 Dall’interno in quanto avvertiamo una spinta “dentro di noi” a rispettare le norme.


Ad esempio se – nel contesto attuale – veniamo beccati senza mascherina rischiamo di
essere mutati dal punto di vista amministrativo. Tuttavia si può essere sanzionati anche
perché la gente critica (“guarda quanto è irresponsabile quella là”). Rispettiamo, dunque,
le norme perché abbiamo dentro di noi il senso della responsabilità.

Di conseguenza Durkheim dice che l’appartenenza ad una morale comune è quella che lega
i membri all’interno della società. Egli quindi tenta di costruire questo sistema perché è
interessato a creare una società pacifica, quindi ha grande interesse a sviluppare un’idea di
società armonica, che funziona perfettamente, che si sviluppa sulla scorta di una morale
comune.

Inoltre, le norme si impongono all’interno di una società ufficializzandosi come forme di un


insieme di credenze religiose, sacralizza alcune norme come i dieci comandamenti; ma è
anche chiaro che queste norme fanno parte della nostra cultura. Ad esempio gli islamici non
possono mangiare carne di maiale poiché è sancito dal punto di vista religioso, è un divieto!
Questa istituzionalizzazione delle norme nasceva da una cultura dei nomadi del deserto i
quali nei loro viaggi se avessero mangiato carne i loro organi sarebbero stati illesi poiché è
grassa, soprattutto quando si è in un contesto in cui la temperatura è elevata. Ogni società,
quindi, non può fare a meno di appoggiare la propria capacità di coesione su un insieme di
norme che esprimono valori comuni.

Che cosa sono le norme dal punto di vista della sociologia? Sono – secondo Durkheim
– dei fatti sociali (modi di agire, di pensare, di sentire) che esistono al di fuori delle
coscienze individuali. (…). Questi tipi di condotta o di pensiero non sono soltanto esterni
all’individuo, ma sono anche dotati di un potere imperativo e coercitivo (…)». Individua
nelle norme, che considera dal punto di vista sociologico “fatti sociali”, dei modi di
pensare che sono esterni a noi e che si impongono nel momento in cui veniamo
inseriti in un contesto, come quello familiare, scolastico…

Esempio: nel volume “I leoni di Sicilia” una ragazza nell’800 gira da sola. La voce fuori
campo paragone il suo comportamento al modo di fare degli stranieri. Ciò è un esempio
significativo, vi è infatti un paragone tra stranieri e i non stranieri. Ciò non significa che un
comportamento sia sbagliato, ma riconoscono che in un contesto si fa un modo, in un altro
diverso.

I fatti sociali sono dei fenomeni che non si possono spiegare (ritorna lo smarcamento
della sociologia alla psicologia) ricorrendo all’analisi delle azioni dei singoli o all’analisi
psicologica delle loro motivazioni. I fatti sociali si impongono ai singoli. Hanno una
sorte di esistenza indipendente, autonoma. È questo che la sociologia deve studiare (fatti
sociali). Un fatto sociale tipico è il linguaggio. Esso non è creato da nessun singolo,
ciascun individuo dopo la nascita all’interno della società se lo ritrova; e questo, che
rappresenta una norma, un codice linguistico, è trascendente, si impone. La società non è
la somma degli individui che la compongono (società più importante degli individui),
è un’unità di livello superiore. Simmel, invece, dice il contrario: la società non esiste
se non a partire dagli individui. La società parla, la cui voce si impone ai suoi membri
attraverso le norme morali, le credenze religiose e i riti che sanciscono le regole della
collettività. Quindi la sociologia – per Durkheim - è la scienza che studia l’insieme dei
fatti sociali. Mentre Durkheim è proiettato verso una società media; allo stesso piace l’uomo
medio, quello che si adegua, quello che passivamente accetta tutto questo, perché la sua
idea nasce dalla volontà di costruire anche attraverso lo studio della sociologia una società
pacificata, in cui non ci siano contrasti. Max, però, dirà che il conflitto, lo scontro, è il motore
della storia. Ci dice che siamo esseri influenzati (in molti casi è così), dall’altra parte però
siamo consapevoli che Durkheim ha una visione che non ci piace.

APPROCCIO FUNZIONALISTA, LA DEVIANZA

Stiamo entrando così nell’approccio funzionalista. L’approccio funzionalista consiste nel


fatto che Durkheim cerca di spiegare ogni elemento della società tentando di
individuare quali funzioni quell’elemento svolga all’interno della società. Ad esempio
la funzione religiosa è quella di sacralizzare le norme morali; la funzione del diritto è quella
di reagire a tali norme; la funzione dell’economia è quella di provvedere al sostentamento
della vita materiali dei membri della società. Ciascun elemento della società svolge una
funzione, come se la società fosse un corpo umano e ciascun organo svolgesse una
determinata funzione. Cerca di spiegare il funzionamento di alcuni elementi (religione, diritto
ed economia), ma allo stesso tempo l’approccio funzionalista di Durkheim è esemplificato
dalla considerazione che lui fa rispetto alla devianza. Anche la devianza svolge
paradossalmente una funzione, all’apparenza potrebbe risultare poco funzionale. È il primo
sociologo che parla di devianza. Essa è intesa dal punto di vista sociologico come
comportamento che si stacca dalla norma. Il crimine è devianza, ma è devianza anche
qualche comportamento che viene percepito come anormale (devianti per i nostri nonni
sono i tatuaggi, che in passato le donne non potevano andare al mare con il costume a due
pezzi o essere omosessuale). La devianza dipende dal contesto, può essere definita a
prima vista – nell’ottica di Durkheim – qualsiasi comportamento che si discosti da ciò
che per la popolazione sia normale. Questa non è la nostra ottica, dobbiamo riflettere da
un altro punto di vista, in termini di costruzione “presunta” normalità. Il crimine a prima vista
può sembrare poco funzionale, Durkheim tuttavia sa che il crimine svolge due funzioni
perché nel momento si viene puniti, attraverso la messa in opera di riti adeguati
(sanzione amministrativa, l’arresto, l’allentamento della comunità di colui che ha avuto un
comportamento deviante, anomalo), il crimine svolge la funzione di rinsaldare la
coscienza collettiva. Basti pensare all’immagine che ci danno de “criminali” in Tv:
l’invasione di massa, marocchino stupra una donna, rumeno ruba una signora… tutto questo
serve a costruire una solidarietà contro questi presunti criminali per costruire lo slogan
“prima agli italiani”. Una volta identificato il presumo responsabile costruiamo una solidarietà
interna verso il presunto o il vero nemico. Quando sappiamo che qualcuno è in libertà ci
tiene uniti, solidifica le basi della nostra condivisione. Quando, dunque, qualcuno viene
arrestato ci solidifichiamo di più perché crediamo che questo abbia ricontattato le fila.
Quando il criminale viene arrestato rinsalda le basi dei valori comuni, la società ha
visto. Rappresenta, anche, il ritorno alla normalità, a una società coesa. Durkheim
individua un’altra funzione (un po’ più progressista): colui che sembra paradossalmente
deviante perché va contro le norme condivise della società può essere il prodomo di una
sperimentazione della società rispetto a nuove norme, a, per esempio, alla rivendicazione
dei diritti: l’omosessuale era definito un malato, un deviante. Quando nel 1969 gli
omosessuali marciarono a Stonewall negli USA furono uccisi, oppure quando le suffragette
rivendicarono il diritto di voto anche per le donne erano considerate devianti, delle figure
che non stavano al loro posto. Ma in realtà Durkheim capisce come la devianza, quella
che in un certo momento viene considerato un crimine (ad esempio omosessualità),
a un certo punto si apre alle nuove sperimentazioni (divorzio, la legge sul diritto di
famiglia, l’aborto). Prima di attivare questo circuito di vendicazione dei diritti, queste norme
erano considerate dalla chiesa, dalla borghesia, delle devianze (in questo è moderno).
Laddove guardiamo a dei fenomeni che ci sembrano devianti, facciamo attenzione perché
è possibile che possano svilupparsi e diventare promotori di una trasformazione. Chi è
deviante e no? In questo senso occorre capire come viene costruita la normalità, quindi più
che ragionare su cosa è considerato deviante, occorre capire sociologicamente su come
viene costruita la normalità. Essa è costruita attraverso i dispositivi istituzionali del potere, i
processi di socializzazione, nell’idea di identità di genere, nelle differenze dell’essere
maschio e dell’essere femmina costruite a livello istituzionale durante i processi di
socializzazione ma non corrispondono alla differenza. Ad esempio il tasso di femminicidio è
costante nel tempo. Questo ci fa pensare che la nostra società è fortemente basata sulla
differenziazione di genere, tale per cui la donna diventa oggetto di possesso, che gli
individua ancora la pensano ad un certo modo; c’è ancora una differenza (perfino dal punto
di vista del lavoro) tra uomo e donna.

SOCIETA’ SEMPLICE E SOCIETA’ COMPLESSA

Durkheim fa, inoltre, una differenza tra società semplice e quella complessa. La società
semplice (tribù primitive, le comunità di un piccolo paese, i rom, una fetta di evangelisti) si
basa su una bassa divisione del lavoro, mentre quelle complesse (le nazioni moderne)
si basano su un’ampia divisione del lavoro e sono differenziate tra di loro, ma al suo
interno esistono anche istituzioni (famiglia. vicinato, scuola ecc.) che mediano
l’appartenenza del singolo alla società. In entrambi tipi di società la coscienza collettiva
tende a ricoprire quella individuale, i valori della comunità tendono a imporsi ai valori dei
singoli individui, tanto è vero che all’interno delle piccole comunità la pensano molto simile
tra di loro, hanno uno stesso pensiero. Nelle società semplici i comportamenti diversi da
quelli incorporati nella vita comune non sono tollerati, vengono tollerati solo i comportamenti
“normali”, basati sui valori di una determinata comunità. Le norme (non giuridiche) morali,
sociali ed etiche che caratterizzano queste piccole comunità tendono a vincolare ogni
aspetto del comportamento e ogni infrazione è considerata attentato alla coesione del
gruppo. Se una donna dicesse al proprio padre di andare a convivere con il proprio ragazzo,
il padre la prima cosa che direbbe è “ma che diranno i vicini?”; opporre se fosse lesbica e
andasse a convivere con la propria ragazza, i genitori non la prenderebbero bene,
guarderebbero al giudizio che i compaesani darebbero non solo su di lei ma anche sui
genitori. Ciò li farebbe sentire dei genitori falliti perché non le hanno fatto sviluppare quei
“valori sani” (presunti tali) quali quelli di sistemarti (sposarsi e fare la madre).

Lezione 04.11.20

L’ANOMIA

Nella società complesse c’è il rischio dell’anomia (termine che deriva da greco e
letteralmente significa “assenza di leggi”) che nell’ottica durkheimiana viene interpretata
come una momentanea assenza di norme morali condivise. Una situazione anomica
potrebbe essere, per esempio, una situazione nella quale qualcuno si viene a trovare privo
dei punti di riferimento che aveva precedentemente. Durkheim fin da sempre era
interessato all’ordine, a una società coesa; quindi nella sua ottica la condizione
anomica è una situazione patologica all’interno del sistema sociale, mentre per Max
il conflitto è il motore della storia, genera cambiamenti (verrà ripreso da Lenin). Se
per Max il conflitto tra la classe operaia e la borghesia era importante, perché – secondo lo
stesso - avrebbe, dopo aver sconfitto il capitalismo, la classe borghese, portato a una
società socialista e comunista, per Durkheim tutto questo costituisce una patologia del
sistema sociale. Proprio per questa ragione egli assegna ai processi di socializzazione
un’importanza fondamentale, perché rappresenterebbero quelle istituzioni che possono
contribuire a eliminare il più possibile questa condizione patologica. Questa posizione è
fortemente conservatrice; egli vuole spiegare come la sociologia può far funzionare i
processi di socializzazione e come può curare situazioni anomiche. Da un lato ci fa riflettere
sul perché i processi di socializzazione ci condizionano in questo modo, che tentano di
costruirci cittadini che condividono le norme sociali; dall’altro lato però ha una posizione
conservatrice, vorrebbe che la società si riproducesse perfettamente come quella del
passato; tanto è vero che Durkheim, all’interno di un saggio dedicato all’importanza dei
processi di educazione scolastica, definisce la socializzazione un vero e proprio
addestramento della generazione passata nei confronti di quella futura in modo che la prima
possa tramandare i valori fondanti di quella società. Durkheim, quindi, si concentra a
capire come funziona la società (funzionalismo); la società funziona come un organo
complesso e armonico. Però per fare funzionare una società in modo pacificato e
importante occorre insistere sui processi di socializzazione perché è all’interno della
famiglia e della scuola che l’individuo viene addestrato ad essere “un buon cittadino”.
Egli però non è sempre tradizionalista, conservatore, si rende conto come il
comportamento deviante può senz’altro unire i membri della società, quindi creare
solidarietà. Però capisce anche che l’essere deviante è un comportamento che rinnova
rispetto alle tradizioni che invece vanno cambiate, mutate. Si rende conto quindi che vi
sono delle derive della propria società che mettono l’individuo in una condizione di
solitudine, quindi provava a capire le ragioni attraverso le quali risaldava la comunità, la
società sia pur complessa. C’è una presunzione che la sociologia contemporanea ha
abbandonato, ovvero quella di spiegare, attraverso lo studio di una disciplina, come può
funziona correttamente la società. Questa è una macroanalisi; i sociologi nel momento in
cui nasce la sociologia hanno un’ansia e delirio di onnipotenza di cercare di spiegare e
comprendere il funzionamento della società, ma gli sfuggono tante cose, cioè il micro che
verrà preso in considerazione da altri. Anticipa l’idea di quella che oggi individuiamo come
“dissoluzione dei legami sociali”; Durkheim aveva già intuito che la società man ma non
diventa più complessa contribuisce alla distruzione dei legami sociali. La sua non aveva
un’ottica di tipo economico, cambia, la introduce Max, che non è un sociologo ma – come
si definisce lo stesso – è un economista; Durkheim concentra l’attenzione principalmente
come la società si imponga agli individui e dovrebbe funzionare sulla scorta delle norme
sociali; quindi conservatore ma anche furbo, precursore; secondo Max, invece, è il sistema
economico che configura la società in un certo modo, altro che armonia; è il conflitto il
motore della storia. La storia è stata sempre lotta di classe (patrizi e plebei; borghesi e
proletari). Immaginava, in un’ottica utopistica, che queste contraddizioni sarebbero state
superate nel momento in cui il proletariato, dopo aver preso coscienza di sé, avrebbe
scatenato una rivoluzione, che avrebbe precostituito una società socialista. In Weber,
invece, non sono le istituzioni che si impongono agli individui e cambiano la società, non è
il sistema economico che la determina, ma sono i valori delle persone che cambiano il
mondo; in altre parole inserisce, nell’ambito di un uno studio a tutto tondo dei sociologi, il
tema della dimensione culturale; è essa che trasforma le società. Il capitalismo come
dimensione culturale – secondo Weber- si afferma in virtù di una dimensione culturale che
è quella dell’etica protestante. (etica protestante è spirito del capitalismo).

IL SUICIDIO

Per Durkheim l’individuo isolato non esiste. Quindi se riuscisse a dimostrare che un fatto
notoriamente considerato come fatto individuale dipendesse da alcune determinanti sociali
dimostrerebbe l’importanza della sociologia e la necessità di rendere la sociologia una
disciplina autonoma rispetto alla psicologia, avrebbe dignità di scienza sociali al pari della
psicologia. L’oggetto della ricerca di Durkheim sul suicidio non è quello dei singoli
individui, ma prende in considerazione il tasso di suicidi che ogni società da lui presa
in considerazione offre costantemente ogni anno. Raccoglie dei dati, li metti insieme
utilizzando i mezzi della statistica (è il primo che lo fa) - utilizza la statistica come ancella
della sociologia - e scopre che il tasso di suicidi resta costante nel tempo, in Francia,
in Germania, in Italia. Da qui, proprio perché il tasso di suicidi rimane costante nel
tempo dice che il suicidio non dipende solo da fattori soggettivi ma da elementi
sociali. Ipotizza che questo tasso di suicidi sia correlato con il grado di integrazione sociale,
cioè come si è inseriti all’interno della società, in quale fascia; è il primo tentativo di mostrare
scientificamente (empirico) qualcosa che è stato elaborato in teoria, è un certo tipo di
approccio sociologico. La sociologia cerca di spiegare/ comprendere: spiegare è tipico di
Durkheim, il secondo invece è tipico di Weber, ma si dipanano anche due approcci
metodologici diversi. Approccio quantitativo o qualitativo? Oggi l’approccio più frequente è
l’utilizzo di entrambi (qualiquantitativo). Non è una risposta corretta, non è questa quella
migliore, il problema dipende dall’obiettivo conoscitivo, cioè la metodologia viene scelta in
funzione dell’obiettivo conoscitivo.

1. Egli, nella prima parte della sua opera, prova a mettere in crisi, a confuta le teorie che gli
studiosi precedenti avevano elaborato in riferimento al suicidio, alcune delle quali avevano
uno sfondo psicologico, come ad esempio i fattori climatici, la pazzia (aspetto psicologico),
consumo alcolico. Studia dunque tutto quello che gli studiosi avevano scritto i sociologi
precedenti, per questo è il primo vero sociologo.

2. A un certo punto analizzando questi dati scopre che esiste una correlazione positiva tra
il tasso di suicidio e l’appartenenza religiosa. La religione influenza in qualche modo il tasso
di suicidio perché i cittadini dei contesti territoriali nei quali prevaleva la religione protestante
mostravano nel tempo un tasso di suicidi più elevato rispetto ai territori in cui prevaleva una
confessione di tipo cattolica ed ebraica. Inizia quindi a sostenere probabilmente che nelle
società in cui prevale il protestantesimo (Germania ad esempio) il tasso di suicidi sembra
essere costantemente più elevato rispetto a contesti territoriali in cui prevale il cattolicesimo
o l’ebraismo. Prova a spiegare questa cosa, come? Dicendo che il basso tasso di
integrazione sociale dei membri è dovuto a delle caratteristiche tipiche della religione
protestante, cioè per esempio all’importanza che essa assegna rispetto al libero arbitrio
rispetto a una maggiore responsabilità segnata all’individuo sulla propria coscienza, perché
il protestante a differenza del cattolico o dell’ebreo è molto più libero, non è mediato dal
sacerdote o dal rabbino, quindi è meno vincolato ai dettami della tradizione; la religione
cattolica o ebrea ha un sistema di tradizioni, di riti, di lettura del testo che sono molto più
forti e che possono dare una maggiore condivisione con l’intero gruppo di riferimento, quindi
una maggiore coesione sociale. Il protestante, invece, che si confronta direttamente con
Dio, sente su di sé un maggiore senso di solitudine, e quindi un basso grado di integrazione.
(tasso di suicidi correlato col grado integrazione).
Durkheim individua tre tipi di suicidi specifici (i primi due dipendono da un basso grado di
integrazione sociale, mentre l’ultimo dipende dal grado massimo di integrazione):

1. Suicidio egoistico: (inteso come riflesso della maggiore responsabilità dell’individuo


in un tessuto sociale) fa riferimento al grado maggiore di responsabilità
dell’individuale rispetto al testo sacro; cioè l’individuo è molto più responsabile di
fronte a Dio. Questo suicidio è tipico dell’influenza del protestantesimo, è inserito in
un contesto in cui c’è bassa integrazione sociale. Dimostra come il basso grado di
integrazione è importante per spiegare il fatto che a suicidarsi siano i vedovi rispetto
alle persone sposate. Essere famiglia, essere sposati, in quei tempi, si inseriva in un
circuito di relazioni ampie; L* vedov*, invece, era estromess* da certi circuiti per una
questione di tradizione, di rispetto… quindi la vedova ha nella società in cui vive un
basso grado di integrazione sociale, ciò determina il suicidio. (tra questo possiamo
collocare il suicidio che nasce da un atteggiamento omofobo),
2. Suicidio anomico: si verifica quando gli individui sperimentano un allentamento
dalla vita collettiva, cioè sperimentano quell’incertezza rispetto alle norme che prima
lo facevano identificare con la società. È la situazione di chi si trova dalle stelle alle
stalle, una condizione in cui ha perso tutti i punti di riferimento che lo caratterizzavano
nella situazione precedente (esempio crisi economica di oggi causata dal Covid-19:
a che lavorava a che non ha più soldi per vivere). Anche qui c’è un problema di
integrazione sociale, una trasformazione dell’individuo che lo rende impossibilitato di
trovarsi nella condizione precedente.
3. Suicidio altruistico: si verifica nel momento in cui l’individuo si sente inserito nella
comunità (il soldato che si sacrifica per la patria, i jihadisti gamigazze). C’è una
fortissima coesione sociale al punto che non si distingue l’individuo dai valori
pienamente interiorizzati.

Attraverso la dimostrazione del nesso tra il tasso di suicidi e il grado di integrazione mostra
che le determinati sociali sono al pari di quelle di tipo individuale e psicologico, sennò il tasso
di suicidi non sarebbero costanti nel tempo.

CRITICHE AL SUICIDIO

Si possono muovere delle critiche a Durkheim, ed è bene che si facciano.

1. IL CONTROLLO DELLE FONTI DI DATI: occorre interrogarsi sull’utilizzo dei dati che
non sono raccolti di prima mano ma raccolti da fonti diverse (fonti statistiche ufficiali). Il
problema non è tanto la fonte che consulta (è attendibile), ma chi le ha prodotti. Rispetto al
suicidio si può lavorare guardando i dati relativi a questo, ma devo considerare che
probabilmente alcuni dati non sono emersi perché alcune famiglie hanno convinto i medici
o le istituzioni a far passare quel suicidio come fatto accidentale. Durkheim raccoglie dati
che gli vengono rilasciati dalle fonti ufficiali (autorità). Il suicidio è considerato peccato dalla
chiesa, infatti non fa svolgere i funerali, quindi probabilmente si cerca di far passare quel
dato come fatto accidentale. Tuttavia occorre ragionare rispetto a chi costruisce i dati.
Quando ci troviamo di fronte ad analisi di tipo secondario, occorre stare attenti rispetto a chi
quel dato l’ha costruito.

2. DEBOLEZZA DI ALCUNE SPIEGAZIONI: non ha tenuto in considerazione della variabile


territoriale (città – campagna), e quindi siccome la maggior parte dei protestanti si
ritrovavano in città, prevaleva l’aspetto proiettato verso la confessione piuttosto che la
differenza tra città e campagna. Alcune spiegazioni sono dunque deboli.
3. L’ANALISI QUANTITTIVA DI DURKHEIM LASCIA IN OMBRA LE MOTIVAZIONI
SOGGETTIVE: Durkheim è vero che vuole dimostrare che il suicidio sia un fatto sociale,
però il fatto di aver lavorato sulle statistiche lascia in ombra la soggettività dell’individuo. Il
suicidio è determinato da fattori sociali ma anche da un atteggiamento soggettivo nei
confronti di sé stesso (esclude questa parte), da un problema ti tipo psicologico, ciò è
determinato senza dubbio dall’ansia che egli ha nel cercare di smarcare la sociologia dalla
psicologia.

3. KARL MARX (1818 – 1883)

Karl Marx nasce a Trevieri nel 1818, allora provincia prussiana


del Granducato del Basso Reno, e morì nel 1883. Nato da una
famiglia ebraica di classe media, inizia ad appassionarsi alle
opinioni filosofiche dei giovani hegeliani quando frequenta
l’università. Seguace dell'illuminismo, in particolar modo di
Immanuel Kant e Voltaire, oltre che un convinto liberale, questi
fu spesso impegnato nelle svariate campagne di riforma
dell'assolutistico Stato prussiano, che a seguito della
celeberrima disfatta di Napoleone Bonaparte a Waterloo aveva
da poco annesso il territorio del Basso Reno (sino ad allora parte
integrante dell'Impero napoleonico) nell'alveo dei propri
possedimenti.

Tra le opere più importanti:

 Il capitale (1867 – 1894);


 Il manifesto del partito comunista (1848);
 Le lotte di classe in Francia (1850);
 Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte (1852);
 I manoscritti economico – filosofici del 1844 (1932);
 Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (1941).

Marx era un economista, non un sociologo (non si sarebbe mai definito come
quest’ultimo). Ha un’influenza talmente intensa che i sociologi l’hanno considerato uno dei
padri fondatori della sociologia, poiché oltre ad aver esposto alcuni concetti ancora oggi
chiavi di lettura dei fenomeni contemporanei, è l’iniziatore dell’approccio conflittualista: la
visione dello stesso è totalmente diversa da quella di Durkheim, è una visione della società
basata non sull’armonia, sul funzionalismo ma sul conflitto per la locazione delle risorse,
cioè i gruppi all’interno della società lottano e competano per acquisire risorse. Egli studia
le mutazioni della società moderna legati allo sviluppo del capitalismo: un modo di produrre
diverso che si articola in due elementi:

 Capitale: mezzi di produzione (macchinari delle fabbriche) che servono a produrre


merci;
 Il lavoro salariato: l’insieme dei proletari, di coloro che, privi dei mezzi di produzione,
vendono la propria forza lavoro in cambio di un salario.

Il rapporto tra entrambi definisce i rapporti sociali di produzione che generano il profitto.
Marx è il primo a parlare di alienazione (rappresentato in tempi moderni). Egli parla della
catena di montaggio delle fabbriche che rende l’operaio alienato perché non fa altro che
avvitare bulloni. Ha una capacità di individuare le contraddizioni (tipica del conflittualismo),
è consapevole che il sistema scolastico è incardinato nella sovrastruttura economica: La
scuola è nelle mani di chi detiene il potere (élite), ma è anche vero che è all’interno della
scuola si possono individuare le contraddizioni e per contrapposizione sviluppare un’idea
alternativa. È contradditorio perché sa che il sistema scolastico è gestito dal potere, ma
dall’altro lato solo all’interno di questo si può comprendere quali sono le contraddizioni e
agire su queste distruggendo il sistema. Inoltre, individua nella famiglia borghese lo stesso
meccanismo di potere che si afferma nelle due classi principali della società. In essa viene
esplicitato quello che nella società più ampia accade, cioè il predominio, l’affermazione della
classe capitalista sulla classe proletaria così come all’interno dell’élite borghese viene
sottolineato il ruolo di dominio dell’uomo sulla donna, e individua nella famiglia operaia il
preludio di quella che sarà la futura emancipazione dei ruoli. Fa una differenza quindi tra la
famiglia elitaria e quella operaia. In quest’ultima in quanto la donna usciva per lavorare vi
era un rapporto dal punto di vista delle relazioni sociali più paritario. Max individua due classi
sociali, Weber successivamente aggiungerà qualcosa in più (il ceto). Il capitalismo è un
sistema classicista e il sistema capitalista si divide in due classi:

 La borghesia: i proprietari dei mezzi di produzione (industrie);


 Il proletariato: la classe operaia priva di mezzi (la popolazione, gli operai)
 (le altre classi, come la piccola borghesia, possono essere definite come sotto –
proletariato)

Il rapporto fra le classi è conflittuale, fondato sullo sfruttamento e l’alienazione (parole


chiavi):

 La borghesia è la classe dominante;


 Il proletariato è la classe subalterna.

4. MAX WEBER (1864 – 1920)

Karl Emili Maximilian Weber, nato a Erfurt (Monaco) da Max


Weber (funzionario pubblico e uomo politico) e Helena Fallenstein
(calvinista moderata) nel 1864, è stato un sociologo, filosofo,
economista e storico tedesco. Considerato uno dei padri fondatori
della sociologia, cominciò la sua carriera accademica
all’Università Humbloldt di Berlimo e fu consigliere dei negoziatori
tedeschi durante il trattato di Versailles (1919) e della
commissione incaricata di redigere la Costituzione di Weimair. Tra
le sue opere maggiori che ricordiamo sono:

 Protestantesimo e lo spirito del capitalismo (1904 – 1905)


 Economia e società (1922);
La sua influenza è maggiore, fondamentale; è il primo che rompe con la tradizione
positivistica, che fornisce un approccio completamente diverso da Durkheim: per
quest’ultimo la sociologia ha lo scopo di spiegare, mentre per Weber di comprendere. Da
queste due visioni della sociologia si dipaneranno nel tempo due approcci metodologici che
volgarmente definiamo approccio di tipo quantitativo e qualitativo. È complicato
individuare un percorso lineare nel pensiero di Weber. L’opera di Weber, infatti, è vasta.
Possiamo tuttavia riassumerla in tre contenitori fondamentali (non corrispondono a fasi
distinte del suo pensiero, ma sono degli aspetti fondamentali che nascono col senno di poi),
all’interno dei quali sono inserire le chiavi di lettura che lo stesso ha fornito:

 Problema del metodo nelle scienze sociali (anche Durkheim si è occupato delle regole
del metodo sociologico, del metodo della sociologia) e dei rapporti tra il sapere scientifico
e il giudizio di valore (aspetto importante all’interno del metodo);

 Problema della genesi, della specificità e del destino della civiltà occidentale moderna
(anche Durkheim si occupato della Genesi e della civiltà moderna e Max, il quale ha
cercato di far diventare oggetto di interesse scientifico le trasformazioni che hanno
determinato la società contemporanea o il passa dalla società pre-moderna a una
società – per i loro tempi – considerata aperta);

 Problema di una definizione sistematica dei concetti della sociologia e coerente dei
concetti della sociologia (con molti concetti i sociologi attuali lavorano; infatti quella di
Weber è un’eredità straordinaria, così come quella di Durkheim e Max, l’approccio del
quale è forse, guardandolo col senno di poi, quello che più ha una grande importanza
rispetto a quello degli altri sociologi dal punto di vista del modo di pensare
sociologicamente).

Tuttavia a differenza di Marx, per Weber l’influenza di idee e valori sul cambiamento
sociale è pari a quella delle condizioni economiche. Gran parte dell’opera di Weber,
soprattutto laddove parla della genesi della società moderna occidentale, è in gran parte
contrapposizione all’idea di Max (esempio di ciò è Etica protestante e Spirito del
capitalismo). Il pensiero marxista metteva in risalto la struttura economica, mentre Weber
parte da un punto di vista completamente opposto: non sono le trasformazioni
economiche che determinano un tipo di assetto societario, ma è l’influenza delle idee
e dei valori che trasformano il mondo. Ha un’analisi proiettata su una dimensione di tipo
economico, ma aggiunge un’analisi in più, ossia quella incentrata sulla dimensione
culturale. Weber ad un certo punto fa una distinzione netta, costruisce una frattura rispetto
alla sociologia di Durkheim, che è quella influenzata dal positivismo: si allontana
completamente e definitivamente da questo. Non a caso, infatti, in Durkheim l’approccio
sociologico aveva la pretesa di immaginare che la sociologia potesse arrivare al pari delle
scienze esatte, dell’individuazione di leggi universamente valide, come la fisica, la biologia,
la chimica… (critica principale). In altre parole se mentre Durkheim pensa che la scienza
sociologica può arrivare allo stesso livelle della fisica (scienza esatta) che ha delle
sue leggi universalmente valide, Weber si distacca completamente da questa idea e
fa la differenza tra scienze esatte (scienze naturali) e comprendenti (scienze sociali).
Si può ascrivere nel primo contenitore (Problema del metodo nelle scienze sociali) poiché il
suo metodo è diverso rispetto a quello del sapere scientifico; si può ascrivere anche
nell’ultimo contenitore (Problema di una definizione sistematica dei concetti della sociologia
e coerente dei concetti della sociologia).

COS’E’ LA SCIENZA PER WEBER

La scienza di Weber è diversa; è una scienza che ha il compito di comprendere il


significato dell’azione sociale, ma per comprenderla – ne deriva – è necessario
utilizzare metodi che osservino e diano voce agli attori sociali; comprendere dunque
il senso di un’azione, cioè cercare di interpretare il significato che l’azione ha per
l’individuo che le compie. Quindi la sociologia deve astrarre da infinite azioni singolari che
poi vengono analizzate in ciò che risulta comune ad alcuni gruppi e produce certe tipologie
di fenomeno; il sociologo cerca di costruire dei profili o tipologie di comportamento, di azioni,
di individui. Nelle scienze naturali (esatte) i fenomeni non sono dati dagli individui (se cade
una pietra, l’azione la spiego con i principi della fisica, ma non ha coscienza), mentre se tiro
una pietra a qualcuno, il sociologo dovrebbe comprendere – secondo Weber - il senso
di quell’azione, del perché l’individuo l’ha compiuta. A partire dalla frattura e dalla
distinzione tra scienze naturali e sociali, Weber dice che tutte le scienze sociali sono
scienze comprendenti, cioè sono le scienze che hanno per oggetto l’agire degli individui
in quanto comportamento è dotato di significato. Fa anche alcuni esempi fino ad arrivare a
quello della sociologia:

 La storia si occupa della singolarità degli eventi (studia un determinato evento);


 La sociologia, invece, è una scienza che è orientata alla generalità: studia le azioni
degli uomini in quelle che anche esse hanno di tipico, cioè di ricorrente in più casi.
Ciò ricorda il discorso sul familiarizzare, anche l’elevarsi dall’esperienza quotidiana e
a comparala con quella di tanti altri (aspetti che troviamo in Bauman).

Inoltre c’è un'altra abissale differenza tra Weber e Durkheim: il secondo tralasciava
appositamente le motivazioni soggettive (tralascia l’approccio psicologico), invece Weber si
concentra sull’individuo, sul dato psicologico. Un’altra frattura che possiamo individuare è
che Durkheim tendeva a una spiegazione universalmente valida, per Weber la spiegazione
nelle scienze sociali non è mai completa, non è mai possibile essere certi di aver esaurito
tutte le cause che spiegano un certo fenomeno sociale, tanto è vero che dice:

- Se tutte le volte che compare il fenomeno B, precedentemente è comparso anche il


fenomeno A, è ragionevole supporre che il fenomeno B sia causato da A.
- Se però A compare a volte senza che si manifesti B, allora si può concludere che A
non è causa adeguata di B;
- A potrebbe essere un fenomeno che facilita l’insorgere di B, ma da solo non basta
spiegarlo.

Questo significa che anche la terminologia che utilizza è diversa rispetto a quella di
Durkheim, che presuppone l’idea che la sociologia ha una causa: una spiegazione
sociologica non può mai essere esaustiva. Qui ci lascia un’immagine più realistica delle
potenzialità della sociologia, anche nell’esposizione di ciò che riesce a fare la sociologia;
per questo l’influenza di Weber è straordinaria: non arriva a formulazioni di leggi, alla
spiegazione esaustiva di un fenomeno. Le cause che possono influenzare i fenomeni
sono troppe, pertanto non possono definirsi una scienza oggettiva. In genere Durkheim
dà una definizione di tipo mono causale, mentre Weber è più proiettato a dare
spiegazioni multi causali, tanto è vero che preferisce parlare utilizzando termini
diversi, tipo “influenze” e “condizioni” che possono spiegare un fenomeno, che
possono farci avvicinare approssimativamente e non con certezza assoluta alla
causa di un certo fenomeno, provocato da certe condizioni, da un insieme di
fattori. La sociologia di Weber, inoltre, rispetto a quella di Durkheim (quest’ultimo
spiega) è più completa, perché cerca di comprendere il significato dell’azione
sociale; ma vuole anche spiegare, solo che questo termine non è interpretabile con il
termine che utilizzava Durkheim.

L’ETICA PROTESTANTE E LO SPIRITO DEL CAPITALISMO (1904 – 1905)

Uno dei lavori più importanti di Weber è “Letica protestante e lo spirito del capitalismo”, che
ha reso lo stesso uno studioso che ha avuto un’influenza clamorosa. Anche qui Weber sta
annesso, diviso tra l’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Questo titolo ricorda anche
Max e Durkheim (quest’ultimo nella questione suicidio). Quest’opera in particolare non è
comprensibile se non come sforzo di Weber teso a riprendere i problemi formulati da Max,
ma con delle caratteristiche completamente diverse; non c’è una critica al sistema di
produzione del capitalismo, ma Weber parla di spirito del capitalismo; non ha infatti interesse
di criticare un sistema di produzione, ma quello scientifico, cioè di capire la genesi del
sistema capitalistico del mondo occidentale moderno (entra nel secondo contenitore
spiegare le trasformazioni del sistema occidentale moderno):

- Etica protestante: spinge l’individuo a impegnarsi per il successo delle proprie


iniziative economiche: Weber sta cercando di capire qual è la genesi, come mai e
cosa ha favorito il nascere e lo svilupparsi dello “spirito del capitalismo”. Di fatto parla
dell’agire di tipo capitalista (l’azione). È convinto che l’etica protestante abbia fornito
le basi dell’affermazione dello spirito capitalistico, perché spinge l’individuo ad
impegnarsi per il successo delle proprie iniziative economiche, che altro non è il
segno della predestinazione. Il protestante, come abbiamo visto in Durkheim, è
interprete diretto della parola di Dio, ha su di sé una maggiore responsabilità; e
nell’etica protestante c’è un’enfasi particolare sulla vita mondana, sul qui ed ora,
perché è completamente consapevole dell’imperscrutabilità del volere divino
(protestantesimo: Esso si assestò nel corso del ‘500 e del ‘600 con le tesi che Lutero
appese nel portone di ingresso della chiesa del castello di Wittenberg);

- Lo spirito del capitalismo: il dogma della predestinazione porta il protestante


ad essere convinto di non poter fare nulla per influenzare Dio, come se proprio
questa etica fosse la conseguenza psicologica. Qua c’è tutto l’interesse di
Weber ad individuare una dimensione psicologica. Il dogma della
predestinazione, Il fatto che l’uomo imperscrutabilmente non può conoscere il
volere di Dio, lo rende più attento a dedicarsi alla vita mondana, lo pressa
psicologicamente, perché glorifica il lavoro di Dio, nonché – nell’ottica del
protestantesimo - la creazione di Dio; il singolo protestante non può essere
certo della nefandezza; quindi nell’ottica Weberiana l’assolvere al proprio
dovere è un modo di rispondere alla pressione psicologia che il rapporto
diretto con Dio pone in essere. È proiettato verso un’attività lavorativa costante. La
condotta di vita del protestante – secondo Weber - è metodica, evita di
sperperare i guadagni, ma deve rinvestire quest’ultimi perché in questo modo
glorifica dio e si allontana dalle tentazioni che il guadagno potrebbe indurre a
fare. Non si può considerare una scelta positivistica perché sta mettendo insieme
delle condizioni tipiche di una religione che egli individua nell’etica protestante, le
quali sono state utili allo svilupparsi di un pensiero che produrrà il sistema
capitalistico. Mette quindi in evidenza come alcuni aspetti dell’etica protestante, in
particolare di quella Calvinista, si prestavano a costruire quello che lui definisce “lo
spirito capitalistico”, cioè a porre delle basi dell’agire economico. Questa disposizione
è di tipo culturale e va cercata in forme religiose, in particolare nella declinazione del
calvinismo. Max, al contrario, nella spiegazione del sistema capitalistico senza
dubbio non l’avrebbe preso in considerazione la dimensione culturale. Quest’ultima,
che è fatta di idee e i valori (i quali cambiano il mondo), può essere una condizione
che influenza, nell’ottica di Weber, l’agire economico di tipo capitalistico, lo spirito e
non il sistema. Quindi Weber oltre la dimensione economica, individua anche quella
culturale, più importante di quella economica, che è persino politica. Per cui l’analisi
della società di Weber è molto più articolata rispetto a quella dei sociologi precedenti.

Diversamente da Durkheim, Weber studia gli individui; dà voce a chi non ne ha. Tuttavia,
rispetto a questo inserisce l’aspetto psicologico. Quando parla dello spirito del capitalismo
e dell’etica protestante, così come nelle azioni, contempla la psicologia: l’individuo che può
influenzare altre determinanti sociali.

Questa predisposizione sembrerebbe molto simile quanto richiede non il sistema


capitalistico, bensì nello spirito capitalistico, quello che poi sarà l’agire economico di tipo
capitalista (La sociologia di Weber è testa alla spiegazione dell’agire dell’individui, delle loro
azioni). L’etica protestante, nella sua declinazione Calvinista, favorisce lo sviluppo di questa
mentalità, spirito, tensione, predisposizione… (Questo aspetto va inserito all’interno del
contenuto due).

LA VALALUTATIVITA’ DELLE SCIENZE SOCIALI

Il postulato sulla avalutatività viene al contrario confutato dai sociologi contemporanei; lo


rifiutano. Il primo a negarlo è proprio Bauman. I valori per Weber sono orientamenti
culturali di fondo che motivano le nostre condotte. Nell’ambito dell’articolazione di
questo tema, relativo al concetto di avalutatività delle scienze sociali, prima spiega cosa
sono i valori e poi che occorre distinguere i valori dal giudizio di valore. Tutto questo
ragionamento rientra nel contenitore dell’oggettività. Cosa determina l’oggettività della
scienza? Prende posizione: una cosa sono i valori, un'altra i valori di giudizio. Qualsiasi
scienziato sociale non può fare a meno di riferirsi a una sfera valoriale; prima ancora di
sociologo è una persona; una persona è fortemente orientata da i valori che motivano le
condotte dell’uomo. Lo stesso fatto di studiare determinati fenomeno da altri è determinato
dal suo orientamento valoriale, anche nella scelta di un oggetto di ricerca. Probabilmente
sono stati dei valori di fondo a farlo ragionare su alcuni ambiti. Tuttavia si pone un problema:
cosa garantisce l’oggettività nelle scienze sociali? Il fatto di essere consapevole dei propri
orientamenti soggettivi, valoriali. Però occorre mettere tra parentesi i propri riferimenti di
valore, come se li lasciassi al di fuori pur sapendo di essere posso dalla propria sfera
valoriale. Il problema lo risolve dicendo che senz’altro siamo mossi dall’orientamento
valoriale, però devo evitare, per essere corretto, di esprimere giudizi di valore rispetto ai
fenomeni che sto studiando; devo quindi essere quanto più oggettivo possibile
rinunciando a valutare. Questa è una visione di una sociologia che tenta di essere il più
oggettiva possibile, ma la sociologia contemporanea rifiuta questo postulato: Bourdieu e
Bauman in quanto studiosi, persone, e animati da una sfera valoriale, proprio perché lo
scienziato sociale è investito da una responsabilità sociale, devono rifiutare il postulato della
avalutatività, e laddove individuano le dinamiche che producono disuguaglianze tra gli
individui devono denunciarli, devono esprimere il loro giudizio negativo. La sociologia
contemporanea diventa così critica, mentre quella di Weber rimarca l’impossibilità di essere
completamente oggettivo. Con alcuni sociologi contemporanei la sociologia deve essere
critica, deve essere capace di denunciare i meccanismi della disuguaglianza acquista così
una forma politica che in Weber ancora non c’è. Ad esempio con Smith (autore
dell’immaginazione sociologica) vi è un passaggio fondamentale, comincia a fare una
riflessione sul fatto che la sociologia deve ritornare critica dopo anni di funzionalismo.

LE FORME DI LEGETTIMAZIONE DEL POTERE

Weber inserisce varie dimensioni (economica, culturale, politica), fa un’analisi a tutto tondo.
La dimensione politica è legata soprattutto al tipo di potere. Egli fa una distinzione a mo’ di
introduzione tra:

- Ciò che è la potenza: designa un qualsiasi comportamento che pone in essere la


propria volontà. Chi la subisce si trova costretto a seguire la volontà dell’altro;

- Ciò che è il potere: la possibilità che un comando trovi obbedienza presso certe
persone. In questo caso la situazione è quella di qualcuno che obbedisce ad un
comando perché ritiene legittimo il potere da cui il comando proviene.

Tutto questo è un’introduzione rispetto ad un tema che Weber affronta in modo esaustivo,
cioè le forme di legittimazione del potere. Si pone il problema: come un comando può essere
considerato legittimo? Si preoccupa di comprendere le ragioni e le modalità attraverso le
quali un comando può essere considerato legittimo. Lo stesso distingue tre tipi di potere (in
Comte l’umanità passava per tre stati di conoscenza: teologico, metafisico, positivo. Nella
sua idea c’era uno sviluppo lineare). Per Weber l’Ideal tipo è uno strumento conoscitivo, un
tipo ideale di potere. Dal punto di vista metodologico ci dice che questo strumento è tipico
del lavoro del sociologo, il quale si deve basare sul tentativo di costruire tipi di azione. Questi
tipi di potere sono:

1. Tradizionale: basato sulla credenza del carattere sacro di tradizioni ritenute sempre
valide (Il re, il padre di famiglia, le donne rom). La legittimazione del potere
tradizionale era più sviluppata nei secoli precedenti, ma, attraverso le caratteristiche
tra parentesi, veniamo a conoscenza dell’Ideal tipo, poiché il comando può essere
legittimato anche oggi dal fatto che si crede nel carattere sacro, importante (es: padre
di famiglia);
2. Carismatico: basato sulla dedizione al carattere sacro o alla forza eroica o al valore
esemplare di una persona (Profeti, condottieri). Questo tipo di potere è esercitato da
qualcuno che viene interpretato come una persona che ha delle caratteristiche
carismatiche. Esso è anche un Ideal tipo, che serve a comprendere i tipi di potere
che si possono configurare all’interno di un assetto sociale. (es: oggi potremmo
aggiungere in questo senso anche Salvini, la Meloni, Trump e anche i personaggi
dello spettacolo: Barbara D’Urso). Weber rispetto al potere carismatico aggiunge che
il rischio è quello di centralizzarlo su una persona e si può verificare la
“routinizzazione del carisma”, un’accezione negativa rispetto a quello che può
succedere alla morte di chi può essere considerato carismatico (es. Lenin è stato
artefice della più importante rivoluzione, ma poi il suo carisma si è routinizzato
manifestando degli assetti negativi laddove è succeduto qualcun altro che ha
manifestato delle conseguenze negative, come la dittatura).
3. Legale – razionale: sulla credenza nella legalità di ordinamenti statuiti e nel diritto di
coloro che sono chiamati ad esercitare il potere in base ad essi (L’obbedienza non è
prestata a persone, ma a leggi. L’obbedienza, ad esempio, non la presto a Mattarella
in quanto persona ma all’autorità che rappresenta, perché è il Presidente della
Repubblica). Il potere legale – razionale è, ad esempio, quello che nasce all’indomani
della Rivoluzione francese. L’obbedienza non è prestata alle persone ma all’autorità.

Questa forma potere, di legittimazione è tipica delle società moderne; ha favorito il


mutamento sociale. Anche qui la dimensione politica che si riscontra, il tentativo di chiarire
le forme di legittimazione del potere rientrano nella questione delle trasformazioni del
sistema occidentale moderno. Si favorisce un mutamento poiché le leggi cambiano e sono
stabilite dagli uomini. Qui torniamo nuovamente al pensiero sociologico: il mondo cambia
più velocemente dopo la rivoluzione francese, perché esistono le leggi che sono
espressione dei diritti dell’uomo. Prima, quando c’era il re e il potere era esercitato secondo
l’Ideal tipo di potere tradizionale, il mondo cambiava lentamente.

LA STRATIFICAZIONE SOCIALE

Weber complica l’argomentazione di Max. Lo stesso partendo dalla dimensione marxista


(economica) non riusciva a spiegare la complessità della stratificazione sociale. Rispetto a
Max, Weber decide di aggiungere un elemento in più: non è più quella basata sulla posizione
economica degli individui ma il ceto. Esso nasce dalla predisposizione di Weber ad inserire
nelle sue argomentazioni sociologiche la dimensione culturale. In altre parole il ceto è
qualcosa che ha a che fare non con la dimensione economica bensì con quella culturale; è
un insieme di individui che si riconoscono in un certo status sociale, in una condivisione di
intenti. Per cui è corretto parlare di ceto politico che di ceto sociale. Spesso riferendoci ai
politici parliamo di una “classe politica”, ma in realtà dovremmo utilizzare una chiave di
lettura diversa, un’etichettatura diversa per individuare gruppi di politici. La stratificazione
sociale qui si complica poiché tiene in considerazione la possibilità che gli individui possono
sentirsi parte di qualcosa indipendentemente della loro posizione economica. Max
immaginava la fine del capitalismo attraverso una rivoluzione che avrebbe sovvertito il
sistema di produzione capitalista a vantaggio di un sistema più equo e di una distribuzione
all’interno della società più uguale, mentre Weber in modo più lungimirante aveva capito
l’insistenza di questo sistema. Inoltre aveva previsto che la società moderna, nella quale
viveva, si sarebbe basata su un apparato burocratico fortissimo: Se da un lato individuava
nella nascita della burocrazia l’elemento di democraticità (burocrate rappresentava
l’istituzione. Io sono fedele a Mattarella non in quanto persona ma in quanto rappresentante
dell’istituzione), dall’altro era consapevole del fatto che questo sistema burocratico si
sarebbe ingigantito fino a diventare troppo rigido (per comprendere ciò si potrebbe leggere
Kafka). Intuì come ci fosse un conflitto, un’ambiguità, tra il calcolo economico di tipo
razionale (importante per le società competitive e contemporanee) e i desideri personali
delle persone (compare nuovamente l’attenzione di Weber all’individuo). In altre parole
mette in evidenza come siamo vincolati, sacrificando i nostri desideri personali, rispetto
all’idea di calcolo economico di tipo razionale, tipica – per citare Durkheim – delle società
complesse. Basti pensare alle scelte economiche che devono rispecchiare una certa
razionalità, ma allo stesso tempo opprimo altre fasce di popolazione. Siamo in una lotta
costante, conflittualista, tra ciò che produce benessere (calcolo razionale) e i desideri che
vengono sacrificati in mode di questo calcolo razionale. Tanto è vero che Weber utilizza la
metafora della gabbia di Acciaio, riferito all’apparato burocratico ma anche al fatto che i
desideri personali dei singoli individui sono “intrappolati” a causa della costante ricerca di
una razionalità economica e sociale che è importante per le società moderne. Se Durkheim
sbarca la sociologia dalla psicologia, Weber libera la sociologia dalla economia, poiché la
inserisce, a differenza di Marx, come scienze sociale comprendente che prende in
considerazioni diversi livelli analitici: economico, politico, culturale. È un’analisi più ampia,
una visione più realistica rispetto all’idea di Max e Durkheim.

Simmel (1858 – 1918)

Georg Simmel nacque nel 1858 a Berlino. Il padre, di religione


ebraica, si era poi convertito al cristianesimo. Simmel frequentò
l’università nella sua città natale e si laureò in filosofia, con una tesa
su Immanuel Kant. Egli scrisse:
- La differenziazione sociale (1890);
- Filologia del denaro (1900);
- Sociologia (1908);
- Problemi fondamentali della sociologia (1917):

Il volume Sociologia, scritto nel 1908 e pubblicato nel 1909, è stato sicuramente letto da
Bauman. Gran parte del pensiero di questo, soprattutto in alcuni aspetti, è frutto di una
lettura intelligentissima di Simmel, il quale ha scoperto una serie di aspetti tipici della società
contemporanea (si può definire il primo sociologo moderno). Bauman leggendo questo ha
recuperato, in modo intelligente, un sociologo per molto tempo dimenticato (secondo il
professore). Nelle pochissime pagine del saggio intitolato “breve excursus sullo straniero”,
contenuto nel volume Sociologia, individua una serie di caratteristiche che poi sarebbero
state individuate con la sociologia contemporanea, che sarebbero state individuate quando
le immigrazioni nazionali stavano diventando particolarmente visibili (1990), mentre Simmel
tutto ciò l’aveva individuato molto prima rispetto alla caratteristiche socio-psicologiche degli
stranieri e di ciò che provocano, così come aveva intuito l’importanza della moda: metteva
in evidenza come attraverso questa si potessero mettere in evidenza delle dinamiche sociali
dei vari ceti.

LA SOCIETA’ NON ESISTE

Per Simmel “la società non esiste”. Ciò si pone in contraddizione a Durkheim, secondo
cui invece la società si impone agli individui, non è possibile immaginare gli individui come
singoli se non inseriti all’interno di un contesto societario. Non esiste la società, ma esistono
gli individui; la società si costruisce attraverso un rapporto di reciprocità, attraverso
l’interazione tra gli individui. Quest’ultima pone gli individui in una posizione in cui
costruiscono azioni, alcune delle quali si solidificano, diventano forme sociali stabili, ossia
istituzioni. L’oggetto della sociologia non sono le istituzioni, la società in quanto tale, non è
società (non esiste) ma le forma di interazione, di influenza reciproca che gli uomini hanno
e che pongo in esse attraverso esso la società. La società è l’etichetta che indica individui
legati sotto varie forme di reciprocità; pertanto per Simmel LA SOCIOLOGIA ALTRO NON
È CHE INTERAZIONE. Simmel non è solo il primo che si sofferma su aspetti
contemporanei, sui fenomeni che poi sono diventati fulcro della ricerca dei sociologi
contemporanei, ma per l’aver rappresentato la società come interazione è anche
considerato il primo che ha formulato l’integrazionismo, cioè l’approccio che va di pari passo
ai sociologi funzionalisti e conflittualità, apre quindi la strada alla terza tradizione.
(funzionalismo – conflittualismo – integrazionismo). Egli mette in evidenza come la
sociologia sia quella scienza formale che si occupa di descrivere le relazioni di reciprocità
tra gli individui che assumo in tempi differenti, talvolta solidificandosi in istituzioni (la tribù, lo
Stato), mentre in alcuni casi le relazioni diventano più fuggevoli. Il primo che ha considerato
i rapporti familiari, pone attenzione a delle dinamiche familiari individuando modelli moderni
già allora. Simmel è il primo tra tutti studia le relazioni composte da due persone, che si
alterano quando interviene la terza persona. Quindi è importante questo ultimo aspetto per
comprendere il passaggio dal micro alla macro. Intuisce quanto sia importante non solo lo
studio dei grandi aggregati ma arrivare anche a studiare allo stesso modo di come le scienze
studiano l’atomo, ossia col microscopio; quindi lo studio della coppia (due persone), del
rapporto tra uomini e donne, dei rapporti all’interno della famiglia. Egli si rende conto come
all’interno della famiglia si sviluppano delle dinamiche individuando elementi di grande
modernità rispetto a quello che sarebbe successo successivamente. Ha una grande
capacità analitica al punto che individua un tema, che poi sarò al centro dei dibattiti
sociologici successivi (Beck e Bauman: tema processi socializzazione e atomizzazione),
nonché il processo di individualizzazione (di atomizzazione dell’individuo in un contesto
sociale complesso). Intuisce che uno dei problemi delle società è il processo di
individualizzazione: l’individuo paradossalmente è sempre più isolato pur avendo la
sensazione di essere inserito nel circuito sociale (metropoli). Si rende conto anche di come
il tempo diventa sempre più misurabile (cambia la ciclicità tra le società agricole (aveva a
che fare con le stagioni) e premoderne (tempo lineare, sempre più complicato, diventa
sfuggevole).

LA FILOSOFIA DEL DENARO

Intuisce come nelle società moderna le relazioni siano sempre più mediate dal denaro.
Capisce come questo apra il proprio marchio sui rapporti sociali, come il denaro assuma un
valore simbolico e possa determinare i rapporti o renderli ipocriti. Individua anche degli
elementi importanti rispetto a temi che oggi sono al centro degli studi di moltissimi sociologi
e psicologi, come la frettolosità o lo stress. Oggi chi non è stressato non vale niente, tutti noi
nel nostro piccolo siamo stressati; è un male della società contemporanea tale per cui se
sei rilassato e tranquillo ti escludono, non vali niente.

PER CONCLUDERE

- È il primo a definire la socialità moderna in termini di relazioni, esplorate a scala


microindividuale come forme pure (la coppia, il terzo ecc.)
- Celebre la sua analisi (1901) della metropoli come luogo di un peculiare stile di vita.
In essa gli individui appartengono ad una pluralità di cerchie che si intersecano in
modo non strutturato, ma contingente alle scelte dei singoli
- Attuali anche le sue analisi sul denaro, il segreto, la moda, lo straniero.
All’inizio del Novecento, Simmel sosteneva: “è venuto il momento per la scienza della
società di raggiungere il punto che per le scienze della vita organica ha rappresentato l’inizio
della microscopia”. Ad un certo punto frattura col pensiero precedente: per lui è arrivato il
momento in cui la sociologia dovrebbe guardare agli aspetti in modo più vicino come fa la
biologia. Tuttavia Simmel è stato trascurato e soprattutto non è stato ascoltato il suo
consiglio: guardare al microscopio alle interazioni che fanno parte del sistema sociale, infatti
il suo suggerimento non ha avuto molto seguito per molto tempo. Egli non parte da uno
sguardo macro, ma dalle relazioni che gli individui intersecano tra lo (interazione). Questo
costituisce la società; ribalta la posizione di Durkheim.

III PARTE: LA SOCIOLOGIA CONTEMPORANEA

Ha ancora senso interrogare il pensiero dei classici per leggere i sociologi contemporanei?
Certo che sì! Perché parliamo di sociologi contemporanei ripetendo e sottolineando aspetti
che sono pertinenti al loro ambito scientifico?Questo ci deve interrogare nell’analisi dei
fenomeni contemporanei, ci deve spingere a cercare nuove chiavi di lettura nella sociologia
classica (Anomia, burocrazia, differenza tra società semplici e complesse, la forma morale
della società, la dimensione economica e politica, l’alienazione, la complessità della struttura
sociale…). Tanto è vero che Bauman, Beck e Bourdieu riprendono certi temi classici
alterandoli e guardandoli da una prospettiva diversa. Bauman parlando dell’olocausto e
della modernità rovescia un’impostazione tipicamente Durkheniana, cioè della forza morale
della società, quindi parte da Durkheim ma lo guarda da un altro punto di vista. Quando
Bauman parla dell’Olocausto parte da Durkheim ma rovescia il suo punto di vista. I classici
possono essere una fonte autorevole per ragionare su tematiche come società globalizzate,
le trasformazioni del capitalismo, le relazioni sociali e le soggettività contemporanee.
Rispetto alle relazioni sociali abbiamo visto l’importanza di Simmel e anche di Durkheim (per
questo gli individui sono manifestazione di ciò che sono perché inseriti in un certo contesto
sociale). I classici servono a rileggere la questione del sociale, i problemi sociali per come
l’hanno trattata i sociologi precedenti, mettendola a confronto con l’interpretazione corrente
della società che enfatizza la sua individualizzazione.

LA SOCIOLOGIA DOPO I CLASSICI

Dopo i classici la Sociologia, da quando si è affrancata alla filosofia (a partire da Durkheim),


ha fatto molto strada; è partita dal positivismo, ma poi con Weber, vero e proprio punto di
svolta dal punto di vista metodologico, dei concetti chiave, delle azioni sociali degli individui,
non è più una disciplina condizionata dal pensiero dell’individuo. Dopo lo stesso e Simmel
ci sono state delle derive: la sociologia del XX è stata in gran parte (una sintesi estrema)
conservatrice, non tutta, infatti non lo è stata la scuola di Francoforte. Sono delle piccole
nicchie che si sviluppano in seno ad un ragionamento che è orientato alla conservazione e
che è proiettato alla risoluzione del problema per mantenere la stabilità sociale. Ciò ricorda
molto il funzionalismo di Durkheim. Esso infatti ha governato il pensiero sociologico fino ad
un certo punto, tanto è vero che è troppo conservatrice, nasce per risolvere i problemi.

GLI ELITISTI

Pareto, Mosca, Michels, che sono degli elitisti, hanno svolto un ruolo importante
nell’utilizzare la sociologia come strumento di controllo sociale in quanto eredi di una
concezione che considerava la società guidata da una classe superiore (Durkheim). Ricorda
la sociologia che può essere utile, inutile e pericolosa. Questo ruolo in parte l’ha avuto
Talcott Parsons nella sociologia statunitense; è il continuatore di ciò che è stato Durkheim,
a differenza del quale inserisce la psicologia nell’ambito della sociologia. È l’esponente
principale dell’America WASP (White Anglo-Saxon Protestant), nonché la middle class
americana. Affermava che le differenze di genere fossero giuste (differenza “cosa naturale”)
perché la donna era proiettata verso una dimensione di tipo espressivo (allevatrice di figli e
moglie), mentre l’uomo doveva svolgere la funzione strumentale (assicurare ai membri della
famiglia il benessere economico). Se per un verso Parson e Wright Milss (non elitista,
utilizza la sociologia in modo strumentale) sono contemporanei, dall’altro lato nell’ottica di
una sociologia più strumentale utilizzata per mantenere l’ordine, governata dall’idea a
vantaggio della classe dirigente, sarà un punto di svolta negli USA nel 1959, così come
Weber nella sociologia classica, che risulta fondamentale (autore di immaginazione
sociologica). Egli si muove in un’America dello spettro del fascista, del comunista, della
discriminazione, della caccia alle streghe ma inizia a sviluppare una critica sociologica sulla
classe dirigente, sull’ sistema politico economico, iniziando a maturare una critica sul
sistema capitalistico in particolare. Al di là del quale, nel volume immagine sociologica, egli
riporta una critica a Parsons sulle otto pagine dichiarando l’inutilità di quella sociologia, che
potevano essere sintetizzato in poche righe. Critica l’intero sistema sociale e anche gli
empiristi astratti (coloro che utilizzava una sociologia alla Durkheim che mete in risaltalo la
sociologia come scienza). È punto di svolta poiché il PENSIERO CRITICO – lo afferma
Wright Millss - è “scomodo; costringe a guardare lontano, ad assumere responsabilità, (ad
essere cittadino, sociologo responsabile), a scrutare le tenebre dell’ignoranza (più grande prigione
che possa esistere). Ciò richiede studio, impegno e intelligenza. Il ruolo del sociologo è quello di
farsi “rivelatore” della realtà, anche di quegli aspetti che non sono visibili o che sono stati occulti.
Si deve cercare di risvelare ciò che è occulto, ciò che non è visibile, ciò che ci passano per “verità”.
1. ZYGMUNT BAUMAN (1925 – 2017)

Zygmunt Buaman è stato un sociologo, filosofo e accademico


polacco. Nacque a Poznań nel 1925 da una famiglia ebraica.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale nel settembre del
1939, con il Paese trovatosi praticamente "diviso" tra due
potenze nemiche contrapposte militarmente (Germania nazista
da una parte e l'Unione Sovietica dall'altra), Bauman riparò con
la famiglia nella zona sott'occupazione dell'Armata Rossa, in
maniera tale da poter sfuggire alle forze d'occupazione naziste.
Tra le opere di questo ricordiamo:
- Modernità liquida; - Amore liquido;
- Paura liquida; - Stranieri alle porte;
- La solitudine del cittadino globale; - Scienze delle libertà;
Gli aspetti più rilevanti di Bauman sono tanti, alcuni dei quali sono:
1. La sociologia di Bauman si può definire una Sociologia umanistica. In quanto tale è in
accordo con l’umanesimo moderno e guarda ai valori umani fondamentali: autonomia,
libertà, giustizia e dignità che mescola riflessioni sociologiche in quanto tali alle prese di
posizione di natura morale, quasi sta dimenticando i giudizi di valore (Weber). Si
contrappone all’idea di avalutatività.
2. Sociologia impegnata: prende posizione nei confronti delle “misere del mondo” (libro di
Bourdieur) caratterizzata da fervida immaginazione sociologica.
3. Una sociologia che scava nell’esperienza quotidiana per portare alla luce
dinamiche e connessioni con i cambiamenti che investono la sfera pubblica, il nesso
tra le biografie individuali con le forze di natura più ampia (la storia). In altre parole quanto
la storia influenza la quotidianità.
4. Una sociologia che rifiuta il postulato metodologico della avalutatività a favore di
una sociologia critica del mondo sociale; la sociologia – nell’ottica di Bauman - diventa
strumento indispensabile per mettere in essere i problemi personali e questione di interesse
pubblico, per denaturalizzare la vita quotidiana, per distruggere il vero dell’ovvio. È quindi
una visione diversa dalla sociologia inutile, è invece una sociologia, quella di Bauman,
incentrata sulla condizione dell’uomo; condizione in cui vi sono ancora moltissime ingiustizie
e disuguaglianze. Non è una sociologia che si limita ad individuare le relazioni tra uno o più
variabili ragionando in termini di relazioni, ma oltre cerca di capire il perché di una certa
evidenza. L’analisi sociologica per Bauman consiste nell’individuare e denunciare dei
processi sociali che ostacolano la libera espressione dell’individualità. È una sociologia che
definisce, nel volume “la scienza della libertà”, la scienza che aiuta l’individuo ad essere
meno manipolabile e più libero. Per far ciò la sociologia deve essere in grado di svelare le
forme dell’esclusione e della dominazione da parte di chi costituisce il potere, deve disvelare
l’ipocrisia dei dispositivi istituzionali del potere come dirà Bourdieu, della famiglia, della
scuola (riproduce le disuguaglianze presenti nella società attraverso il meccanismo per il cui
il talento viene considerato una dote naturale, ma in realtà è una dote “socialmente ascritto”).
Bourdieu è critico nei confronti del sistema accademico, una critica nel campo nel quale
lavora lo stesso Bourdieu, rimprovera gli accademici che giudicano i lavori degli studenti
sulla base di un repertorio linguistico rigidamente scolastico favorendo quelli che in
apparenza scrivono in modo raffinato, quindi valorizzando gli studenti che hanno un registro
linguistico più elevato, cioè sulla base del contenuto e non sullo stile. Mette in evidenza che
il linguaggio non è solo uno strumento di comunicazione ma anche un meccanismo di
potere. Ad esempio tale meccanismo lo possiamo riscontrare nell’esperienza del bar.

LA TEORIA DELLA MODERNITA’


Bauman è una figura importante poiché studia la modernità, teoria che viene messa a punto
tra gli anni ’80 e ’90 del ‘900, e la definisce metaforicamente “modernità liquida” e poi come
“la lunga marcia verso la prigione”. In altre parole siamo monitorati anche oggi; per
Bauman, infatti, la modernità cerca di costruire una sorta di ordine e controllo sociale. È
dunque una chiave di lettura che dobbiamo applicare anche alla nostra contemporaneità,
che ce la fanno comprendere. Bauman mette in evidenza anche la presenta superiorità
dell’Occidente sull’Oriente, dei bianchi sui neri, degli uomini sulle donne, della
cultura “alta” sulla cultura “bassa”; quindi la modernità mira all’ideale della
perfezione umana e sociale. Vi è dunque una presunta idea civilizzatrice anche della
cultura cattolica rispetto a quella islamica. Senza sapere nulla parliamo del corano come di
un testo sacro che invita alla violenza, al terrorismo, ma sono cose che all’interno dello
stesso non si trovano, l’utilizziamo per mettere a fuoco chi ci sta convincendo che c’è uno
scontro di civiltà. Bauman parla anche della metafora del giardiniere, dell’Europa come
un giardiniere ben curato: estirpare le erbacce per creare un percorso chiaro e
armonico. Basti pensare agli ebrei (quando parla dell’Olocausto) come delle vittime che
devono essere estirpati o alle carceri forse che sono diventati delle discariche sociali, un
luogo di controllo sociale sempre più pressante che colloca alcuni come qualcosa da
estirpare (drogati, vagabondi, classi pericolose, un luogo dove la gente è socialmente
deprivata, che viene da ambienti degradati. Quindi forse il carcere svolge la funzione di
salvaguardare e di costruire una società nella quale le erbacce vengono estirpate o di
svolgere la funzione di discarica sociale dentro la quale inserire gli “scarti” della società. È
un caso che laddove c’è il maggior livello di benessere (Veneto, L’Italia delle piccole e medie
industrie) le carceri sono più piene? le gag community si proteggono estirpando potenziali
criminali? Sono delle riflessioni a partire dalla metafora del Giardino di Bauman, a partire
dall’idea che l’Europa, su scala macro-sociale, è un giardiniere, dove medici e polizia prova
a ripulire il giardino, tutto ciò che non si adegua (rom, studente rivoluzionario: graffitaro,
extracomunitario) Spesso questi vengono individuata e marginalizzati per tentare di
costruire un guardino apparentemente ben curato (richiama il tema della devianza, del
problema di chi etichetta devianti chi, quindi di ciò che può essere considerato deviante –
ritorna dunque Durkheim). Ci dice che dobbiamo stare attenti, seppur non prendendo un
atteggiamento antiscientista, rispetto al fatto che l’esperto in teoria potrebbe essere
portavoce di qualcuno, potrebbe essere stato convinto a dire certe cose per indirizzare la
popolazione su certi binari. Bauman, così come gli altri due sociologi contemporanei, disvela
il meccanismo delle strutture di potere, la quale chiave di lettura non guarda alla sociologia
come a una disciplina presunta oggettiva ma come disciplina in grado di rendere l’individuo
più elastico, consapevole di quanti dispositivi istituzionali del potere governano le nostre
vite. Le condotte su comando sono importanti, ci deve far riflettere rispetto alla funzione
di un assistente sociale o un insegnante che inconsapevolmente potrebbero riprodurre i
meccanismi che generano disuguaglianza. Come facciamo ad adeguarci a certi
comportamenti? All’adesione di certe regole? Mentre nelle società “io controllavo te e tu
controllavi me”, vi era un controllo reciproco tra i membri della società, nelle società
moderne l’ordine deve essere trovato per altre vie attraverso le “condotte su
comando”. Mentre una parte di popolazione si adegua serenamente ed è ritenuta idonea,
gli imperfetti (metafora) vengono presi in causa dalle autorità (giudici, polizia, medici,
insegnanti assistenti sociali) che rischiano di generare le condotte desiderate. Questa
riflessione ci porta a ragionare rispetto non al tema della devianza ma alla costruzione di ciò
che è considerato normale e di come alcuni di noi, nelle loro professioni, provano a generare
le condotte previste da questo progetto di ingegneria sociale. Ad esempio basti pensare al
ruolo dell’insegnante che rischia di etichettare e costruire l’idea deviante di un bambino che
viene definito iperattivo, quindi deve essere seguito dallo psicologo; diventa un bambino
difficile del quale bisogna cristallizzare alcuni comportamenti che possono proiettarlo verso
un circuito deviante, ma perché è stato etichettato in un certo modo. Bauman scava
nell’esperienza quotidiana (prima parte) per portare alla luce dinamiche e connessioni con i
mutamenti che investono la sfera pubblica: ci fanno pensare, ad esempio, che i guai
personali siano dei fallimenti personali, ma in realtà sono il prodotto di forze pervasive, sono
un prodotto nell’ambito di Bauman di tipo politico. (politico e non personale). Mescola
riflessioni sociologiche a prese di posizione di natura morale. Fa delle riflessioni
sociologiche, ma una volta che ha dato delle risposte (teoria sociologica) a un quesito
sociologico e individua meccanismi di diseguaglianza prende posizione. (il sociologo se si
rende conto di alcuni aspetti deve andare controcorrente).La sociologia serva a
familiarizzare con alcune cose e defamiliarizzate con ciò che non è ovvio e diamo per
scontato, è una sociologia centrata sulla condizione dell’uomo della società contemporanea,
quindi una sociologia opposta a quella di Durkheim poiché quella di quest’ultimo è più
proiettata a leggere i soggetti sociali come elementi passivi e la sociologia aveva il compito
di studiare il funzionamento della società. Bauman invece mette in evidenza come la
sociologia sia centrata sullo studio della condizione dell’uomo moderno a partire dalla
considerazione che la società contemporanea è una società che genera ingiustizie,
diseguaglianze. Pertanto la sociologia di Bauman è molto lontana da quella degli analisti.
Nelle scienze delle libertà, Bauman, così come Beck e Bourdieu, sostiene che attraverso
un’analisi sociologica compiuta si possono svelare le forme dell’esclusione per alcune fasce
di popolazione e della dominazione da parte dell’élite che prova a mantenere lo status.
METAFORA DELLA LIQUIDITA’
Anche la metafora della liquidità è un passaggio importante. Utilizza questo concetto
inizialmente per definire la società moderna: sostiene che l’incertezza nella società
moderna, a differenza dei filosofi precedenti secondo i quali l’individuo avevano punto di
riferimento, pervade le vite individuali: i legami sociali si liquefanno, non c’è più la solidità di
alcune certezze che c’erano prima, quindi Bauman mette in evidenza l’innesco di un
processo (individualizzazione) che procura delle conseguenza: una ricerca ossessiva di una
vita felice, analoga a quella che ci viene rappresentata sempre, anche nelle pubblicità (case
straordinarie, famiglia felice; l’aperitivo, il consumo). Nel senso che siamo molto più orientati
alla soddisfazione di tutto: abbiamo adottato un atteggiamento consumista che si viene a
manifestare non sono nella vita personale ma anche nelle relazioni sociali o amorose:
consumo un prodotto ma poi mi stanco di questo poiché siamo orientati al consumo di
qualcos’altro, un bisogno indotto. La politica della vita corrisponde a questo tentativo di
sbarazzarsi dalla dimensione collettiva, dimensione importate fino ad un certo punto:
narcisismo, neoliberismo, commercializzazione che pervadono in ognuno di noi, compresa
quella dei sentimenti (Tinder o Grinder). Bauman individua lo smantellamento costante di
una dimensione collettiva, pericoloso anche; un processo di individuazione che procura il
narcisismo, il neoliberismo, la commercializzazione. Si genera quindi la sensazione di Si
genera: provvisorietà; assenza di punti di riferimento; paure; allontanamento dall’impegno;
crescita dell’apatia politica. Tutti questi fenomeni rientrano nelle dinamiche di Bauman.
Anche Beck parla di un processo di individualizzazione seppur in modo diverso (mettere in
risalto le differenze tra i due).
LA CRISI DELLA POLITICA
Ci sono anche delle conseguenze rispetto all’ambito della politica; quindi Bauman ha
più dimensioni sociologiche (individuale, economica, culturale, politica). Nella fase
solida della modernità le minacce più forti provengono non dallo Stato ma dalla sua
crescente impotenza, della sua costante perdita della sua dimensione politica rispetto
altre sfere. Lo Stato, oggi, ha perso il controllo della sfera economica (le grandi
multinazionali ricattano lo Stato di chiudere la loro struttura se gli fanno pagare le tasse, al
quale ricatto lo Stato, che ha preso potenza e legittimità politica, deve scendere a
compromessi, allora toglie le tasse a questa sulla scorta del ricatto politico, quindi rischia di
avere consensi negativo, per metterle a chi è facilmente individuabile). Del resto lo stesso
monopolio della forza e il contrasto della criminalità organizzata è affidato a organismi
internazionali, ai gruppi che controllano i presunti terroristi.

Come fanno gli Stati per ricostruire la propria immagine di sovranità? Gli Stati
convogliano l’attenzione sul tema dell’insicurezza e incolumità personale, anziché
concentrarsi sui problemi causati dall’economia globale. A un certo punto Bauman
svela alcuni aspetti della nostra contemporaneità: come è possibile che oggi viviamo in
un’epoca in cui la sicurezza personale non è mai stata così sicura come in passato? Il tasso
di delitto si va abbassando costantemente nel tempo, ma nonostante ciò percepiamo
pericolo. Questo è un paradosso, la sociologia si muove anche nel paradosso. Occorre
demistificare l’allarme sicurezza, il panico da migrazione. Ad esempio basti pensare alle
campagne elettorali. Esse si vincono giocando sulla pelle dei migranti perché i cittadini, che
vengono resi insicuri, delegano al Governo rinunciando alla propria libertà.

Altri temi di Bauman sono Nuovi poveri, Homo consumens e Vite di scarto, che rientrano
nell’ambito della crisi politica.

- I nuovi poveri aumentano costantemente. Ci sono sempre più poveri. Oggi i dati
relativi ai poveri, per di più aggravata è accelerata dalla pandemia, che erano l’anno
appartenevano alla media borghesia, è aumentato, si è ampliato sempre di più.
-

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