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L’industria del tempo libero e l’industria culturale

Per tempo libero si intende: “il tempo di vita complementare a quello dedicato al lavoro,
di cui l’individuo può disporre con discrezionalità di scelta in maniera più o meno attiva
per fine creativi o ricreativi”1.
È un fenomeno che sta assumendo per le economie avanzate sempre maggior peso; si sta
infatti assistendo ad un cambiamento del rapporto tra lavoro e tempo libero iniziato già
con la rivoluzione industriale e notevolmente amplificato con quella digitale.
La maggior produttività del lavoro, la riduzione e flessibilizzazione degli orari unita
all’aumento del reddito medio, ha generato un profondo cambiamento delle abitudini di
vita che porta con se un importante risvolto di carattere economico. L’aumento dei
consumi in attività edonistiche e di svago e l’insorgere di una domanda esigente, varia e
mutevole, ha condotto a delineare una vera e proprio “industria del tempo libero”, una
definizione ampia e comprensiva di settori tra loro molto diversi2, ma che risulta invece
funzionale a mettere in evidenza il potenziale economico che ha oggi il tempo libero in
termini di generazione di attività, investimenti, reddito e consumi.
È un settore basato sulla domanda, secondo un orientamento audience-focused, nel quale
è il cliente a determinare la diffusione di prodotti e servizi in relazione alle specifiche
esigenze
All’interno del macro-settore del tempo libero è possibile individuare tre aree: il settore
dei media si riferisce all’intrattenimento fornito dai mezzi di comunicazione di massa, i
Beni Artistici e culturali di cui, ad esempio, fanno parte i musei, e l’industria culturale
basata sulla riproducibilità tecnica del supporto di cui fa parte anche la discografia.
La definizione di “industria culturale” venne usata per la prima volta dagli studiosi della
scuola di Francoforte, tra cui figuravano sociologi, politologi, filosofi ed economisti.
Questi studiosi, muovendo una critica a questa industria, la descrivono come strumentale
agli interessi di dominio sociale del capitalismo e funzionale alla relegazione
dell’individuo nell’unica dimensione del consumo di massa.

1 Resciniti R . (a cura di) “Economia e marketing del tempo libero, profili e prospettive di un’industria”,
Biblioteca premio Philip Morris, Franco Angeli, 2002.
2“ L’omogeneità delle caratteristiche delle imprese oggetto di analisi e l’intensità dei rapporti che queste
imprese intrattengono, ovvero l’interdipendenza sono indice del fatto che fanno parte di uno stesso settore”
(cfr. G. Volpato “Concorrenza, impresa, strategia, Bologna Il mulino 1996; L. Barbarito “Il concetto di
settore nell’analisi concorrenziale”, rivista di Economia e Politica Industriale, 1993; Angela Besana
“Economia della cultura” – Led 2002).
La identificano come l’arte della fabbrica, che racchiude in se l’ideologia della moderna
società industriale; “se la fabbrica produce merci per i consumatori, il cinema è lo
strumento di produzione dei consumatori per le merci”3 .
Queste approccio critico puntava l’attenzione sui condizionamenti strutturali ai quali
sottosta la produzione di cultura nella società di massa, essendo organizzata secondo
criteri di tipo industriale ed essendo quindi direttamente condizionata dai vincoli del
mercato artistico. Gli autori tendenzialmente si trasformano in produttori salariati e i testi
sono standardizzati, elaborati in forme che ne assicurino la massima diffusione possibile;
anche il consumo da parte dei destinatari è di conseguenza assimilato alla stessa modalità
di fruizione dei beni di consumo, superficiale ed effimero.
Alla base di ogni produzione industriale c’è l’idea di performatività, di massima
redditività: di rapporto quanto più economico possibile tra i costi che devono essere
ridotti al massimo e i benefici che vogliono essere moltiplicati. La cultura che si è fatta
industria ha, quindi, organizzato tutta la sua produzione intorno a un fulcro fondamentale:
la serialità.4 La serialità si è affermata in tutte le arti - da quelle visive alle letterarie, le
musicali, le plastiche – manifestandosi differentemente a seconda dei contenitori, dei
media, dei generi, dei temi, delle famiglie di personaggi.
Per quanto riguarda l’Italia gli avvenimenti salienti che hanno portato alla nascita
dell’industria culturale, e che in particolar modo interessano quella discografica, sono la
nascita nel 1882 della SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori) predisposta alla
tutela del diritto d’autore sulle opere e il 1904, a quando risale l’incisione della prima
canzone di successo scritta appositamente per il grammofono. È la pionieristicaaaaaaa
industria del disco Gramoghone & Typewriter co, fondata da Emile Berliner, a fiutare le
possibilità commerciali della voce di Enrico Caruso che raggiunse il successo con “La
Mattinata” di Ruggero Leoncavallo, nel frattempo il grammofono inizia a diffondersi,
prima per uso collettivo, predisposto all’ascolto di musica nei locali, e poi ,dopo la prima
guerra mondiale, per uso individuale.

3 A. Abruzzese (2000), Davide Borrelli, L’industria culturale. Tracce e immagini di un privilegio, Carocci,
2001, Roma, p. 123-126.
4 Rielaborazione di un intervento presentato a «Que reste-t-il…? Rovine future.
Resti e rifiuti come depositi del possibile. Convegno internazionale», Università del Salento, Pic-
Ais
Sezione Processi e Istituzioni Culturali, Associazione Italiana di Sociologia, Palazzo Nervegna,
Brindisi, 6-7 novembre 2008
Era nata l’industria discografica di massa: “la produzione di cultura assumeva infatti
forme di realizzazione, diffusione, distribuzione, di stampo industriale capace in futuro di
adottare idonee strategie di promozione e di vendita. Il disco di Caruso fu il primo ad
essere riprodotto in migliaia di esemplari in un’epoca in cui l’ordine di misura era delle
centinaia destinate ad un pubblico di amatori”5.
Inizia quindi per l’industria della cultura l’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera
d’arte come la definisce Walter Benjamin, altro filosofo della già citata scuola di
Francoforte; come gli altri suoi colleghi ha una visione critica di questo aspetto, che fa
dell’oggetto artistico un semplice bene di consumo. Nonostante la creazione rimanga
elemento indispensabile alla genesi di qualsiasi processo produttivo e l’originalità
rimanga la base del valore delle opere, la riproducibilità è vista come svalutazione della
sua autenticità.
Di rilevante importanza per la nascente industria culturale è anche la presenza di un
pubblico di massa, l’insieme di gruppi sociali determinati capaci di generare una
significativa domanda di prodotti culturali tale da giustificare la produzione industriale.

Il prodotto culturale
Il prodotto culturale, frutto della nascente industria, fa quindi riferimento ad ambiti
disparati: il teatro, il cinema, il turismo, la radio e la musica. Tutti questi settori,
apparentemente molto diversi tra loro, hanno a ben vedere delle affinità che giustificano
una comune impostazione metodologica. Una prima affinità riguarda la natura stessa dei
prodotti del prodotti culturali, questi infatti agiscono sulla sfera delle emozioni e della
conoscenza più che sulla mera soddisfazione di un bisogno fisico e strumentale.
Altro aspetto che accomuna tutti i prodotti culturali è il tempo nel quale vengono fruiti, il
tempo libero appunto.
Ad un livello più strutturale possiamo dire che il prodotto culturale si compone di due
elementi fondamentali: le tecnologia e i contenuti. La prima componente può essere
definita “hardware”, e comprende la tecnologia, le piattaforme, i supporti ed i mezzi di
trasferimento dei prodotti; la seconda, il “software” si riferisce al contenuto del prodotto,
idee, suoni, immagini e tutto ciò che compone il prodotto.
5 Sorice M. “L’industria culturale in Italia” pag.9 Editori riuniti , 1998
Viene analizzato secondo tre dimensioni differenti, quella referenziale che ci permette di
catalogare e paragonare il prodotto secondo la categoria, il genere, la storia, i prodotti
concorrenti o sostituti; la dimensione tecnica invece si riferisce al processo di produzione
che sta a monte dell’opera e che viene acquistato con il prodotto (e soprattutto pagato).
La terza è la dimensione circostanziale, di cui fanno parte tutte quelle componenti
effimere come lo stato d’animo del consumatore che fruisce l’opera, dell’artista che la
esegue o il significato simbolico che può essere attribuitogli e che fanno sì che la sua
fruizione non sia mai al 100% identica a se stessa.
Altra caratteristica da mettere in evidenza per il settore dei prodotti culturali è
l’incertezza della domanda, quello che viene chiamato in America “nobody knows”.
Esiste infatti un’ elevata incertezza relativa a quello che sarà il valore assegnato dai
consumatori a un nuovo prodotto creativo data l’impossibilità di eseguire ricerche
qualitative e quantitative riguardo la gradevolezza e l’interesse del consumatore verso il
nuovo prodotto, come invece viene comunemente fatto per i prodotti tradizionali.
Quindi, nonostante il grado di crescita del mercato dei prodotti culturali sia costante ed
essi possano garantire introiti considerevoli, sono anche caratterizzati da un elevato grado
di rischio relativo all’apprezzamento del pubblico, potendo inoltre dirsi remunerativi in
termini di profitto soltanto a seguito di un’ elevata popolarità raggiunta.
In tal senso quello dell’industria discografica è un tipico esempio, si basa infatti su
prodotti “di catalogo” che, attraverso i loro alti profitti, sono in grado di tamponare le
perdite riscontrate per i molti “flop”.
Ma oltre ad una domanda incerta, il prodotto culturale deve far fronte ad una brevità del
ciclo di vita molto superiore ai prodotti tradizionali, infatti questo viene definito al
momento del lancio, soprattutto per quanto riguarda spettacoli, mostre e prodotti
cinematografici. Ma per quanto riguarda questo aspetto, più la produzione è ti dipo
tradizionale anzi che cultuale-artistica, e più è strutturabile la fase di lancio e messa in
commercio del prodotto.
Ad ogni modo il rischio permane, infatti parlando ad esempio di spettacoli di qualsiasi
genere, esiste un’impossibilità di conservare il prodotto che determina perdite non più
rimborsabili; pensiamo ad esempio ai biglietti invenduti per la proiezione di un film, quei
ricavi non potranno più essere recuperati ed incideranno quindi sul bilancio finale.
È proprio la necessità di raggiungere una certa popolarità unita alla brevità del ciclo di
vita di un prodotto culturale e alla sua impossibilità di conservazione, a rendere
fondamentale la fase di marketing e commercializzazione.
Questi costi infatti nell’industria culturale incidono in maniera più rilevante rispetto ad
altri settori e sono la causa alla base della struttura oligopolistica di questo mercato,
capeggiato da poche grandi aziende seguite da molte emergenti costrette spesso a
diversificare la propria offerta per sopravvivere.
Tale oligopolio è tuttavia mitigato dall’innovazione, dalla creatività assicurata dalla
natura stessa del prodotto e dall’inarrestabile evoluzione tecnologica in grado , ad
esempio, di creare network intersettoriali come quelli tra industria dei media e industria
musicale.
Ma se il ciclo di vita è normalmente breve, di lunga durata invece sono i guadagni
rappresentati dalla rendita continua che un’opera dell’ingegno darà, sotto forma di
Royalty dovute al creatore e all’esecutore. Il prodotto creativo può infatti definirsi
durevole nei termini stabiliti dalla legge sul diritto d’autore.
Gli enormi introiti che è in grado di generare un prodotto culturale, si pensi ad album
storici o film pluripremiati, sono da attribuire ad un’ altra sua caratteristica, accentuatasi
con l’era della rivoluzione digitale: la sua globalità. La cultura infatti, può servirsi di
media per abbattere i confini spazio-temporali che le permettono una capillare diffusione
in tutto il mondo; la possibilità di successo di un prodotto al di fuori dei confini nazionali
dipenderà, quindi, soltanto dalla coerenza dei messaggi e dei codici comunicativi con la
cultura locale.

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