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UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE

SEDE DI MILANO

FACOLTÀ DI ECONOMIA

CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E GESTIONE DEI BENI CULTURALI E

DELLO SPETTACOLO

“L’industria discografica: analisi concreta delle dinamiche di


settore”

Relatore:
Chiar.mo Prof. LEONARDO PREVI

Tesi di Laurea di:


Giangrazio Tagarelli
Matricola n.4709571

Anno Accademico 2018/2019


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Ringraziamenti
Desidero ringraziare innanzitutto il relatore, il Ch.mo Prof. Leonardo Previ, per la passione e le
conoscenze trasmesse e per il suo costante e paziente supporto nella redazione del presente
elaborato. Desidero ringraziare la mia famiglia, mio padre Mario e mia madre Daniela per avermi
incoraggiato e sostenuto, credendo in me durante tutto il percorso di studi, sostenendo le mie
passioni e i miei progetti e insegnandomi il valore dell’equilibrio. Desidero ringraziare mia sorella
Claudia per avermi insegnato il valore della sharing economy in tempi prematuri e per aver
contribuito notevolmente al mio percorso di crescita. Desidero ringraziare lo staff di TQ, che ha
facilitato il mio ingresso nel mondo del lavoro. Desidero ringraziare i colleghi con cui ho condiviso
gioie e dolori del percorso di studi e gli amici del tempo libero, i fratelli da sempre al mio fianco nel
cammino della vita. Desidero ringraziare il mio amico Riccardo che grazie alle sue conoscenze di
statistica avanzata mi ha prestato consiglio nella terza fase dell’elaborato. Desidero ringraziare gli
artisti emergenti con i quali ho avuto il piacere di collaborare e quelli affermati che continuano ad
ispirarmi costantemente, questo lavoro è dedicato soprattutto a loro.
Infine desidero ringraziare la vita, che trasmette giorno dopo giorno occasioni di crescita e spunti
di conoscenza.
Il SETTORE DELLA DISCOGRAFIA: ANALISI
CONCRETA DELLE DINAMICHE DI SETTORE

Indice:

Abstract ………………………………………………... …2

1. Evoluzioni e sviluppi storici della discografia………. …3


1.1 Cenni storici di muisca occidentale………………………………... …3
1.2 La musica oggi……………………………………………………... …6
1.3 L’industria discografica fino agli anni 2000………………………… …11
1.4 L’industria discografica oggi: la musica liquida e la musica dal
vivo…………………………………………………………………. …16
1.5 L’industria discografica oggi: composizione del mercato…………. …19
1.6 L’industria discografica oggi: trend………………………………... …21

2. L’industria discografica: analisi di settore…………… ...28


2.1 Consumo di prodotti leisure: l’industria M&E e il settore musicale. …28
2.2 La supply chain dell’industria discografica………………………... …29
2.2.1 La supply chain: i processi produttivi della musica
registrata…………………………………………………… …29
2.2.2 La supply chain: i processi della musica dal vivo………… …37
2.2.3 La supply chain: i servizi connessi………………………... …40
2.3 Gli stakeholder coinvolti…………………………………………… …41
2.4 I 3 tipi di etichetta discografica: modello delle 5 forze di Porter e
RBV…………………………………………………………………. …51
2.5 Risorse distintive: la comunicazione………………………………… …61

3. Analisi empirica: musica, tecnologia, comunicazione


e media ………………………………………………… …69

4. Il settore della discografia: considerazioni sulla


gestione di successo di un’impresa
musicale………………………………………………… …77

Sitografia……………………………………………….. …85
Bibliografia……………………………………………... …86
Abstract

Questo lavoro di ricerca, nato dall’incontro tra le aspirazioni e le passioni personali con

il percorso di studi prescelto, punta a chiarire le dinamiche caratterizzanti il complesso

settore della discografia; è suddiviso in due sezioni, una descrittiva delle evoluzioni

storiche e delle tendenze più rilevanti ed una analitica, comprensiva di un modello

statistico e di considerazioni finali sull’industria. In dettaglio, il primo capitolo

dell’elaborato sarà incentrato sulla genesi dell’industria discografica così come intesa

oggi e sulle evoluzioni del prodotto oggetto del mercato, la musica (con maggior riguardo

per quella registrata piuttosto che per quella eseguita dal vivo). Si passerà poi, nel secondo

capitolo, all’analisi più concreta delle dinamiche di settore attraverso lo spacchettamento

della supply chain, spostando il focus sugli stakeholder e sui processi in cui questi sono

coinvolti fino alla valutazione competitiva delle imprese musicali attraverso l’impiego

del modello delle 5 forze di Porter e del RBV, assumendo il punto di vista di queste

complesse organizzazioni. Successivamente, verrà presentato un modello di regressione

lineare multipla per dimostrare prima l’esistenza e poi l’intensità e la natura della

correlazione positiva tra l’impiego di tecnologia, le strategie di comunicazione, l’utilizzo

di media di varia natura e il consumo di musica, in particolare verificando le tendenze

riguardanti due categorie di soggetti, gli ascoltatori attivi e gli ascoltatori passivi. Infine

saranno svolte delle considerazioni riassuntive circa la gestione complessiva delle

imprese produttrici di musica, considerando quali possano essere i fattori critici di

successo.

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1. Evoluzioni e sviluppi storici della discografia

Il punto di partenza di questa analisi della discografia è la musica, l’oggetto dei processi

produttivi e di consumo di arte in questo settore, e gli intrecci che questa ha avuto nel

corso del tempo con società e cultura; successivamente, con la nascita dell’industria

discografica, così come è intesa oggi, saranno analizzati gli aspetti prettamente economici

ad essa collegati.

1.1 Cenni di storia della musica occidentale

Se al giorno d’oggi dovessimo immaginare di voler “consumare”, per qualsiasi esigenza,

un prodotto musicale, sarebbe facilissimo accedervi; il progresso tecnologico, infatti, se

da un lato ha sicuramente stimolato la crescita degli autori permettendone una maggiore

accessibilità ai processi produttivi, ha, dall’altro, facilitato i consumi, attraverso la

capillarizzazione distributiva dei prodotti. Se pur con delle accelerazioni, ovviamente, la

nascita del prodotto musicale, come lo conosciamo oggi, e del complesso settore, che lo

caratterizza, non è stata istantanea, ma frutto di un processo di costante evoluzione.

Quando si parla di musica, ci si riferisce alla scienza di poter arrangiare suoni, rumori e

silenzi in una sequenza specifica e ben definita ma anche all’arte di riuscire, tramite

l’espressione individuale o collettiva, a comunicare determinate emozioni attraverso il

suono. Questa duplice natura della musica era già stata individuata dagli antichi Greci;

infatti, Pitagora fu uno dei pionieri dell’analisi delle relazioni tra rapporti frazionari e

suono, divenendo fautore di una scienza basata sul suono stesso, mentre Platone sosteneva

che la musica servisse ad arricchire l’anima, esaltandone così gli aspetti emotivi.

Furono proprio i Greci ad inventare un proprio metodo di notazione, finalizzato al

trasferimento dei brani creati, offrendo così un grande contributo alla letteratura musicale;

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si trattava, tuttavia, di creazioni molto rudimentali, tipicamente caratterizzate da un’unica

linea sonora (unico strumento/ unica voce).

Nell’antica Roma, la cultura musicale si mostrò particolarmente evoluta, soprattutto

grazie alle influenze che l’Impero subiva costantemente dai territori dominati; la musica

incominciò ad assumere un particolare significato, coerentemente con il contesto in cui

questa veniva eseguita: nacquero, così, i primi generi musicali, catalogati, come tali, in

relazione alla loro funzione, dal filosofo Boezio, i cui studi costituiscono un vero e proprio

trampolino di lancio verso la cultura musicale medioevale.

In questo periodo storico, caratterizzato dall’accentramento del potere da parte della

Chiesa, la musica incomincia ad acquisire il significato specifico celebrativo/liturgico, a

discapito della mera espressione artistica, limitando in tal modo lo stimolo alla

produzione individuale, che risultava, pertanto, priva di uno scopo ben definito. Tuttavia,

è proprio nel medioevo che vengono creati alcuni espedienti determinanti per la

trasmissione nel tempo della musica: a seguito della riforma gregoriana, infatti, si passò

dal trasferimento orale allo studio dei testi musicali, soprattutto grazie alla nascita della

notazione diastematica, ancora utilizzata, che meglio si adattava alle esigenze di

complessità che i brani musicali stavano incominciando ad acquisire, ma che, al

contempo, sacrificava l’improvvisazione strumentale.

Per lungo tempo la musica è stata circoscritta a commesse, prima della Chiesa, e poi della

nobiltà, che la utilizzava come uno strumento per ostentare la propria ricchezza, creando

uno status symbol: è la nascita del mecenatismo, pratica che ha caratterizzato la quasi

totalità della produzione musicale fino al ‘700, epoca in cui furono creati i primi teatri

popolari. Da ciò è facile desumere che la libertà espressiva degli artisti fosse fortemente

limitata, e, soprattutto, fortemente influenzata e dipendente dalle esigenze dei

committenti, anche in considerazione della estrema difficoltà della vita dell’artista dal

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momento che gli strumenti non erano prodotti in serie e quindi erano numericamente

pochi e molto costosi, così come lo erano le lezioni di musica. Conseguentemente l’unica

strada praticabile per molti degli artisti, almeno fino alla seconda metà del Seicento, fu

rappresentata dalla vita di corte, con vitto e alloggio a carico del mecenate e uno stipendio

in media più alto di quello degli altri membri della corte.

È possibile affermare che il mercato del libero scambio della musica, così come lo

intendiamo oggi, sia nato quando finalmente la musica si slegò dal meccanismo del

mecenatismo, grazie alla nascita primi spazi popolari di esecuzione musicale.

Ovviamente, non è difficile immaginare, che le dinamiche che caratterizzavano il mercato

allora erano ben lontane da quelle attuali ma, allo stesso tempo, hanno dato origine ai

presupposti necessari al suo sviluppo: la libera circolazione di artisti e prodotti musicali

e un’ampia accessibilità a questi costituiscono quelli più importanti.

Fu però tra il XIX e il XX secolo che la maggior parte della creatività ebbe il suo picco;

infatti, la sperimentazione condusse i compositori a delineare un nuovo sistema, la

dodecafonia, ritenuto da alcuni così all’avanguardia da costituire il vero e proprio inizio

della musica contemporanea. Di pari passo con gli studi accademici (sviluppo della

musicologia e della teoria musicale), progredirono quelli sul suono e sulle onde sonore,

permettendo così ai compositori di ampliare le loro possibilità creative, che ora avevano

la possibilità di intervenire sulle frequenze. In questo stesso periodo, inoltre, sorgono in

tutto il mondo le prime società di gestione del diritto d’autore, che giocano tutt’oggi un

ruolo molto importante in questa industria, come avremo modo di analizzare in seguito.

Gli inizi del ‘900 costituirono un ulteriore momento chiave per il progresso musicale,

perché negli Stati Uniti sorsero nuovi generi, destinati a dar vita alla maggior parte di

quelli moderni, continuando ad influenzare lo scenario nel corso del tempo.

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L’incontro e lo scontro tra la cultura musicale degli schiavi africani, raggruppati nei ghetti

americani, con le contaminazioni della musica tradizionale delle popolazioni bianche del

vecchio continente, diedero origine al jazz e al blues. L’apporto che questi generi

fornirono al panorama musicale fu di indiscutibile rilevanza poiché furono destinati a

cambiare alcuni paradigmi basilari; per la prima volta nella storia della musica, la

conoscenza musicale e la padronanza degli strumenti e i relativi virtuosismi non erano

più basati sullo studio dei testi, ma sull’improvvisazione, e fu solo grazie all’invenzione

del fonografo e della radio che si verificò la possibilità per questi generi di avere una

diffusione capillare sul territorio statunitense prima e di portata internazionale dopo.

Cambiarono per sempre modalità, tempi e luoghi d’ascolto, tradizionalmente circoscritti

alle serate di teatro e di salotto, ma soprattutto la musica divenne, sempre grazie alla

tecnologia, un prodotto fruibile da tutti, senza barriere al consumo, né di reddito, né di

cultura: così, dal filone del jazz/blues prima e del rock n roll dopo, nasce la musica pop,

musica leggera per eccellenza, che oggi domina l’intero panorama musicale.

1.2 La musica oggi

La società odierna è permeata da musica che, intrecciandosi nelle sue varie forme con gli

altri aspetti della vita quotidiana, ne influenza inevitabilmente l’andamento. Piuttosto che

provare ad enumerare e a descrivere stilisticamente la vastità di generi e forme musicali

esistenti al giorno d’oggi, appare molto più interessante, ai fini di questo elaborato,

spiegare le relazioni che questi hanno con i loro fruitori e gli ambienti entro i quali sono

prodotti e consumati.

Una prima distinzione fondamentale è quella che concerne il concetto stesso di musica e

che spiega esaustivamente i sopracitati parametri:

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• Suono - come già accennato, si tratta probabilmente della definizione più

comune per identificare la musica come la capacità di organizzare suoni e

silenzi per produrre un determinato significato o evocare una specifica

sensazione.

• Esperienza soggettiva – parte dal presupposto che la musica debba essere

melodica e di conseguenza la sola organizzazione dei suoni non è necessaria;

è esperienza soggettiva perché le definizioni di melodia cambiano nel tempo

e nello spazio e da cultura a cultura.

• Linguaggio – partendo dalle evoluzioni stilistiche nel corso della storia,

cambiano le modalità e le motivazioni con cui si fa musica che, essendo frutto

di una cultura, riescono a veicolare determinate sensazioni universalmente

riconosciute: basti pensare alle colonne sonore dei film.

• Percezione – definizione nata dal filone delle scienze cognitive, identifica la

musica come una proiezione interna creata da ciò che viene percepito e

ricordato.

• Cultura – la musica ha valore solo in relazione al contesto in cui è presente e

talvolta, l’etnomusicologia, ovvero lo studio della tradizione culturale

musicale, è in grado di spiegare ciò che altri studi di antropologia non riescono

a spiegare.

• Musicoterapia – utilizzo della musica come strumento comunicativo

finalizzato all’educazione, la terapia e la riabilitazione.

Fornite queste definizioni concettuali, va ricordato che se si parla di musica non ci si

riferisce solo al prodotto discografico fisico e tangibile, ma anche alla possibilità che

questo possa essere riprodotto dal vivo e le dinamiche nella gestione di questi due tipi di

prodotto è molto differente, come avremo modo di analizzare in seguito.

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Partendo dalla definizione di musica come prodotto della cultura, un’altra importante

distinzione è quella tra musica colta e musica leggera; in questo senso è possibile

distinguere cultura alta da cultura popolare e folklore e individuare i prodotti musicali

derivanti da questa categorizzazione, come descritto nello schema sottostante:

CULTURA ALTA CULTURA POPOLARE FOLKLORE

Cultura legata alla Mercato di massa, logiche Cultura locale non


tradizione storica di consumo condizionata dai media e
dall’industria
MUSICA COLTA MUSICA POPOLARE MUSICA FOLK

Classica, concettuale • Nicchia Etnica, tradizione locale


• Pop

Fonte: Musica colta e musica leggera, elaborazione propria

La prima categoria è quella che riguarda gli utenti con un alto bagaglio culturale: i

prodotti artistici ad essa collegati sono definiti, appunto, come di elevato spessore; la

musica classica, infatti, è quella che meglio riflette la tradizione storica, affondando le

proprie radici in un arco temporale che si estende dall’ XI al XX secolo. Ha un bacino di

utenza abbastanza ampio ma presenta delle barriere all’accesso costituite dalla possibilità

degli utenti di comprendere culturalmente i suoi prodotti e, pertanto, non segue delle

logiche di mercato tradizionali, di massa. È questo il motivo principale di intervento delle

istituzioni che, con il fine di preservare la tradizione storica, artistica e culturale,

raccolgono ed impiegano fondi per il sostegno di enti che altrimenti sarebbero

strutturalmente in perdita. In Italia, per esempio, le 14 Fondazioni Lirico-Sinfoniche, che

operano con scopi di mantenimento culturale, e anche quelle caratterizzate dalla gestione

più efficiente, come La Scala di Milano (che nel 2017 era addirittura il secondo brand

italiano con la notorietà più alta) e l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma, non

sopravvivrebbero senza i sussidi di Comini, Regioni e Ministero dei Beni Culturali.

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Agli antipodi si trova la musica etnica-folkloristica, che rispecchia le tradizioni locali di

piccoli gruppi di individui e che, pertanto, non solo non segue logiche di mercato ma allo

stesso tempo non è influenzata dai media e dal resto dell’industria musicale, rimanendo

circoscritta ad un piccolo bacino di utenza. Le possibilità in questo ambito sono le più

disparate perché tali sono le tradizioni che compongono il mosaico culturale della Terra.

Tra questi due opposti si colloca la musica popolare, definita anche leggera, quella che,

nata nella seconda metà del XX secolo, costituisce quella più largamente diffusa, con cui

è più facile entrare in contatto; si tratta della musica con il più largo bacino d’utenza e

che segue le logiche del mercato di massa e, per questi motivi, è la prescelta al fine delle

spiegazioni fornite in questo elaborato. È possibile suddividere la musica popolare in due

sottocategorie, la musica di nicchia e la musica pop. La prima ha la caratteristica di

adempiere alle esigenze espressive comuni a molte cerchie ristrette che si identificano in

una cultura underground, tipicamente controcorrente e anche molto sperimentale; la

maggior parte dei generi contemporanei ha una genesi di nicchia ma, con il passare del

tempo e con l’intervento delle major discografiche (la natura di queste etichette sarà

approfondita in seguito), interessate tipicamente alla generazione di ampi margini di

profitto, questi stessi tendono a commercializzarsi, finendo per rispondere a delle

esigenze di mercato piuttosto che di espressione delle realtà da cui hanno avuto origine.

La musica pop, infatti, è largamente ritenuta come quella di più facile ascolto, con il

maggior bacino di utenza e con il più ampio impiego e questa tendenza è riscontrabile per

almeno due fattori che tendono ad alimentarsi a vicenda: la standardizzazione e il

plugging.

La standardizzazione consiste in una pratica che fa corrispondere all’impiego di

determinate soluzioni armoniche e ritmiche un determinato impatto emotivo e l’utilizzo

di concetti di facile apprezzabilità nella musica cantata (tipicamente l’amore romantico),

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non fanno che accentuare l’accoglienza di un brano e la sua diffusione presso il grande

pubblico. Tipicamente, quando degli artisti danno origine ad un nuovo genere capace di

avere una forte presa sul mercato, i produttori discografici, iniziano ad incubare talenti

che possano essere in grado di emulare i pionieri, cavalcando l’onda del successo

mediatico del mainstream; mantenendo gli stessi schemi, è possibile, tramite l’aggiunta

di stravaganze in linea con i trend del momento, offrire un prodotto che dia l’impressione

di essere innovativo e originale, pur rimanendo, di fatto, sempre lo stesso. In aggiunta va

considerato il plugging, termine coniato dal filosofo, sociologo e musicologo Theodor

Adorno, che indica l’insistente riproposizione di un brano, da parte dei media, affinché

questo non venga accettato e che costituisce una pratica molto dispendiosa, in quanto

possono accedervi solo le etichette o gli artisti dotati di grossi capitali e/o con un grande

network di relazioni alle spalle.

Che la musica dipenda dal gusto di chi l’ascolta non vi è dubbio, perché si tratta della

capacità di riuscire a recepire empaticamente le emozioni comunicate dall’artista, a

immedesimarsi nella sua persona, condividendo stati d’animo, emozioni e sentimenti.

Tuttavia è palese che vi siano delle barriere di accessibilità che non permettono di

comprendere le esigenze espressive, sottostanti ad un prodotto artistico o, al contrario,

che vi siano forme di espressione artistica di “facile portata”, che possano essere

facilmente condivise da un gran numero di utenti; ad un gran numero di ascoltatori

corrisponde un gran ritorno economico, soprattutto considerando le attività collegate al

plugging.

Va sottolineato come queste categorizzazioni siano ancora dibattute e, pertanto, non siano

da considerare come assolute e, allo stesso modo, siano assai labili, poiché numerose sono

le possibili contaminazioni tra culture e tipi di prodotti, da queste derivati.

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1.3 L’industria discografica fino agli anni 2000

Si potrebbe affermare che la vera e propria genesi dell’industria discografica si ebbe con

la diffusione di strumenti adeguati alla registrazione dei brani musicali, nonostante alcuni

attrezzi rudimentali fossero di origine antecedente; il primo fonografo, infatti, venne

costruito solo nel 1888, prodotto dall’azienda statunitense Bell Telephone Company, su

un progetto brevettato da Thomas Edison. Originariamente questo strumento fu pensato

per facilitare la dettatura negli uffici e fu indirizzato per il mercato di Washington, dove

vi erano più uffici, senza però ottenere il successo sperato; parallelamente il fonografo fu

impiegato come attrazione dei circhi ambulanti e delle fiere, suscitando l’interesse delle

classi sociali più basse. Nel frattempo, un altro inventore tedesco, Emile Berliner, inventò

il grammofono, una macchina che, analogamente al fonografo di Edison, permetteva la

registrazione e la riproduzione di brevi tracce audio; tuttavia, se il fonografo sfruttava un

moto circolare verticale e i cilindri come supporto alle tracce sonore, il grammofono,

invece, era basato su moto orizzontale e si serviva di dischi piatti, all’epoca molto più

versatili (il grammofono costituisce, di fatto, l’antenato dei moderni giradischi).

Iniziò così una lunga battaglia legale circa la registrazione dei corrispettivi brevetti poiché

Edison mosse le accuse sulla possibilità che il grammofono fosse una copia del fonografo

a livello progettuale; egli, in realtà, non riusciva ad accettare che qualcun altro fosse stato

in grado di trovare, attraverso il disco, una soluzione migliore della sua, riuscendo a

comprendere meglio le esigenze di mercato. Entrambi, tuttavia, compresero l’importanza

innovativa che questi strumenti avrebbero costituito nella formazione di un mercato

discografico ed iniziarono ad aprire, dopo aver operato esclusivamente in America, delle

divisioni produttive in Europa. Quando, poi, scaddero i brevetti nel 1914 sorsero

numerose imprese competitor nella produzione di macchinari per la riproduzione sonora,

che si differenziavano tra loro esclusivamente per l’offerta musicale: ogni casa

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produttrice aveva, infatti, una propria orchestra dedicata all’incisione. Questi fattori

permisero al mercato, nel primo dopoguerra, di raggiungere dei volumi molto elevati, con

una quantità venduta di fonografi/grammofoni per 2 milioni di unità e circa 140 milioni

di dischi/cilindri nei soli Stati Uniti. A questa crescita, tuttavia, segui un forte crollo nei

primi anni ’30 per un duplice ordine di ragioni: infatti, se da un lato l’intera economia

americana si trovò a fronteggiare una delle crisi peggiori della storia mondiale, dall’altro

cambiarono radicalmente le condizioni sottostanti il consumo di prodotti musicali e

questo successe anche a causa della nascita della radio e del cinema sonoro. La prima

conseguenza fu un calo drastico dei volumi di vendita, che passarono da 104 a 6 milioni

di unità di dischi e a 40.000 unità di strumenti di riproduzione, seguita dal fallimento della

maggior parte delle numerose piccole imprese operanti nel settore grazie al boom dei

primi anni ’20.

Di fatto, si costituì così negli Stati Uniti un oligopolio presieduto dalle tre principali

compagnie, la EMI, la Decca e la American Record Corporation, le uniche abbastanza

grandi da potersi permettere ingenti investimenti in marketing che garantissero la

sopravvivenza; allo stesso modo furono intraprese delle iniziative volte all’integrazione

dei dischi con altri media, quali la radio e il cinema e proprio queste strategie posero le

basi per i successivi sviluppi del settore. Fortunatamente, una ripresa economica ebbe

luogo nei primi anni ’40, stavolta grazie alla diffusione dei jukeboxes, che nel ’39

raggiungono le 300.000 unità prodotte annualmente; tuttavia, bisognerà aspettare gli anni

’50 per tornare allo splendore che aveva preceduto gli anni della crisi.

L’egemonia americana della produzione musicale, il sempre più frequente consumo da

parte delle generazioni giovani e l’affermarsi delle strategie di marketing e cross-

medialità, perseguite dalle poche etichette che trainano il mercato, contribuiscono alla

nascita del concetto di musica pop (quella diffusa su larga scala) che permise al mercato

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di stabilizzarsi. Fino alla prima metà degli anni ’50 questo rimase concentrato in pochi

operatori e le prime quattro major (sono definite così le principali etichette che si dividono

le quote di mercato) si spartivano l’89% del market share, anche grazie alla pratica della

“payola” (la Music Publishers Protective Association stimava un flusso di 400.000$

annui), successivamente divenuta illegale, che consisteva nel pagare una somma in

denaro alle radio, in cambio della diffusione e della promozione di determinati brani. I

grandi cambiamenti che travolsero il settore si registrarono sul finire degli anni ’50,

quando la ripresa economica (l’aumento della vendita di dischi si attesta tra il 7% e il

25%) permise l’ingresso nel mercato di nuovi player indipendenti, dalla struttura più agile

e più capaci di intercettare la domanda: come conseguenza anche le major optarono per

un tipo di governance differente dal passato. Queste, infatti, iniziarono a decentrare le

proprie attività, soprattutto attraverso la creazione di diverse sotto-etichette, indipendenti

dal punto di vista artistico-produttivo ma non da quello finanziario e distributivo;

attraverso queste organizzazioni di piccole dimensioni e di conseguenza più snelle, le

major riuscirono a diversificare la propria proposta di valore. Così, agli inizi degli anni

’70, l’industria discografica diviene il settore dell’intrattenimento più redditizio, con un

volume d’affari di circa 1,6 miliardi di dollari.

Nonostante ciò, i primi anni ’80 furono caratterizzati da un’altra forte crisi, paragonabile

a quella del’29, e molte major furono costrette a fondersi con altre multinazionali

dell’intrattenimento per sopravvivere; infatti, nel 1979 la EMI si fonde con la Thorn,

compagnia di ingegneria elettronica, la Decca viene ceduta alla Polygram nel 1980,

mentre nell’86 la RCA e la Columbia sono acquisite rispettivamente da BMG e Sony.

Contestualmente, ha inizio l’“era della riproducibilità elettronica”, con l’introduzione dei

primi compact disc e la riedizione, nel nuovo formato, delle produzioni precedenti; questa

costituisce per le major una via di salvezza dalla crisi, potendo così evitare di sostenere

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costi di produzione troppo elevati (ovviamente a discapito di nuova produzione). Quella

che fu una scappatoia dalla crisi, tuttavia, si trasformò, alcuni anni dopo, in un nuovo

crac; si diffonde, infatti, nella prima metà degli anni ’90, la pratica della pirateria che nel

1997 sottrae alle imprese discografiche ben 2 miliardi di dollari (secondo le stime

dell’International Federation of the Phonogrphic Industry). La digitalizzazione del settore

continuò a perfezionarsi con l’implementazione della comunicazione digitale da parte

delle etichette e con la nascita del formato MP3 per la compressione del suono e di quello

Realaudio relativo allo streaming, che alimentarono lo scambio di musica online. Le

grandi imprese del settore non aveva inteso bene le potenzialità di internet e si limitavano

a svolgere digitalmente solo il marketing, lasciando così un gap di mercato di cui alcuni

nuovi player seppero invece approfittare; nasce così, nel 1999, Napster, un servizio di

condivisione musica online peer-to-peer completamente gratuito. La nascita di questa

società fu molto discussa e costituì un caso legale di risonanza mondiale; infatti, Napster,

non disponeva dei diritti delle tracce condivise tramite i suoi server e le major si

schierarono così per boicottarla, dapprima attraverso una causa legale che portò alla

chiusura della piattaforma nel 2001, e, in seguito creando MusicNet e Duet, dei servizi

con analoghe dinamiche di funzionamento.

Agli inizi degli anni 2000 l’industria discografica si configurava come molto concentrata,

con le cinque major principali a spartirsi il 77% delle quote di mercato.

Box n°1 CASO NAPSTER

Nell’estate del 1999, il programmatore Shawn Fanning, allora studente della

Northeastern University di Boston, con il supporto di Sean Parker (uno dei primi

sviluppatori di Facebook) diede vita a Napster, un servizio di condivisone di file MP3

peer-to-peer completamente gratuito. Il sistema di funzionamento della piattaforma era

molto semplice: si poteva accedere a qualsiasi tipo di brano musicale si volesse, come

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in una libreria virtuale, in cui però gli scaffali erano costituiti dai computer degli altri

utenti, che usufruivano del servizio, passando da un server centrale. Dopo appena due

anni però, Napster fu costretta a chiudere i battenti a causa della violazione del

copyright, accertata in seguito alle accuse mosse dalla Record Industry Association of

America (RIAA, quella che certifica le vendite di dischi attraverso le diciture “oro”,

“platino”). Le critiche mosse da quest’associazione riguardavano principalmente il

fatto che Napster, violando il diritto d’autore, stesse promuovendo il messaggio che la

musica dovesse essere libera e gratuita, e questo servì alla stessa piattaforma come una

vetrina pubblicitaria, almeno per i primi tempi. Tuttavia la difesa legale di Napster,

imperniata sulla diffusione della musica come strumento di promozione delle stesse

etichette e sul fatto che, in realtà, erano gli utenti a trasferirsi i file, non resse le pesanti

accuse e la piattaforma fu costretta a liquidare le proprie attività per pagare i debiti

derivanti dalla violazione del copyright. La sua esperienza, tuttavia, avrebbe posto le

basi per la nascita di piattaforme di filesharing come kazaa ed eMule; dalle sue ceneri

sarebbe nata, nel 2013, un’omonima piattaforma di streaming del tutto legale.

Questo è un caso molto dibattuto perché nella cultura di massa la lotta della RIAA al

peer-2-peer è stata vista come un comportamento lesivo degli interessi degli artisti e

dei consumatori finali, in favore di quelli delle major, camuffandoli come lotta alla

pirateria. Più volte l’associazione è stata al centro di polemiche di lobbismo e ha subito

per questo motivo numerosi attacchi informatici e l’indignazione dei consumatori ha

coinvolto per i medesimi motivi anche la MPAA (Motion Picture Association of

America), paragonate ad una mafia e individuate, appunto, con l’acronimo MAFIAA

(Music And Film Association of America).

15
1.4 L’industria discografica oggi: la musica liquida e la musica dal vivo

Fino a venti anni fa, esistevano solo due modi per ascoltare musica: ascoltare la radio o

andare a comprare un disco (i canali tv musicali erano molto poco utilizzati ma

costituivano comunque una terza via). La sempre più dirompente avanzata di internet, la

diffusione dei lettori MP3 e dei social media hanno drasticamente cambiato lo scenario:

è nata la musica liquida. La possibilità di poter ascoltare la musica senza un supporto

fonografico fisico, ha radicalmente cambiato i paradigmi del mercato, non solo dal punto

vista del consumo, che è più che mai incentivato, ma anche dal punto di vista della

produzione. In primo luogo, è necessario considerare il cambiamento del concetto stesso

di musica, che da prodotto fisico è diventato “ servizio”, che, acquisendo sempre più

natura esperienziale, non può contare solo sulla propria struttura per catturare e trattenere

l’attenzione degli utenti, ma deve comprendere diverse appendici connesse, che

concorrono alla formazione di una proposta di valore da considerarsi unica,

irrinunciabile: l’utente/ascoltatore è posto così al centro delle strategie operative dei

produttori musicali. L’avvento di youtube e delle piattaforme di streaming, infatti, ha

posto il controllo nelle mani degli ascoltatori che, differentemente da quanto avvenisse

vent’anni fa con le radio, non si limitano ad interagire passivamente con un prodotto

musicale, e ciò anche grazie al moltiplicarsi degli strumenti di contatto; basti pensare che

oggi, secondo uno studio della Musica Business Association, lo strumento prediletto per

l’ascolto di musica è lo smartphone. Dal punto di vista dei produttori, lo spiazzamento

tecnologico generato dalla diffusione del web come veicolo principale per l’ascolto, ha

generato delle stagnazioni critiche che si sono riflesse in momentanei cali, in termini di

ricavi, come hanno dimostrato le battaglie legali al peer-2-peer e alla pirateria di cui

abbiamo già discusso. Quando il mercato discografico è riuscito a metabolizzare i

cambiamenti apportati dalla digitalizzazione, tuttavia, ci si è accorti che vi fossero in

16
realtà molte più opportunità che rischi, e che si trattasse solo di adeguare l’antiquata

macchina dell’industria discografica alle nuove esigenze degli utenti. Prima di tutto, mai

come ora, le possibilità comunicative delle etichette hanno avuto a disposizione tanti

strumenti e modalità; poi la rapidità e la possibilità di costante informazione, come

conseguenza della capacità di raccogliere grandi quantità di dati in poco tempo, ha

permesso di snellire i processi e di renderli più efficaci, oltre che efficienti: ad una

domanda sempre più specifica corrisponde un’offerta sempre più personalizzata,

soprattutto, considerando il crescente sviluppo di algoritmi, in grado di anticipare i gusti

degli utenti (è chiaro il riferimento alle playlist suggerite da Spotify o ai “video

consigliati” di Youtube). Se questi vantaggi riguardano principalmente le major, a questi

si uniscono quelli indiretti derivanti dalle attività svolte dalle aziende fornitrici di servizi

collegati, che offrono numerose opportunità soprattutto agli artisti emergenti; uno degli

esempi più caratteristici è quello delle piattaforme di crowdfunding musicale (Musicraiser

è una delle realtà più importanti e conosciute) che permettono di raccogliere fondi sul

web da chiunque fosse interessato al progetto che gli artisti intendono sviluppare.

Tutti questi fattori hanno permesso al settore di acquisire una portata sempre più globale,

dando la possibilità a numerosi artisti di abbattere le barriere linguistiche e di creare

fandom in giro per il mondo; come testimoniato dalle interviste rilasciate a IFPI

(Internationa Federation of the Phonographic Industry) dai CEO di Sony, Universal e

Warner, la cura per lo sviluppo di creazione artistica sempre più innovativa ed eterogenea

è una prerogativa strategica per i futuri sviluppi del mercato.

L’effetto della tecnologia, se da un lato ha apportato questi numerosi benefici, stimolando

notevolmente l’offerta di prodotti artistici, dall’altro ha reso sempre più “freddo” il

contatto con questi. Walter Benjamin, nel suo saggio “L’opera d’arte nell’era della sua

riproducibilità”, descrive come il lavoro artistico, una volta divenuto riproducibile, sia

17
svalutato a causa del cambiamento di atteggiamento che artisti e pubblico hanno nei

riguardi dell’arte stessa. Il valore dell’arte, infatti, era tipicamente legato alla sua esistenza

“hic et nunc” e quindi ogni sua forma di riproduzione (che rientra nella logica dialettica

di autentico/falso) svaluta non solo l’opera d’arte in quanto tale, ma anche le modalità

con cui ci si entra in contatto, ovvero in un contesto diverso da quello originariamente

individuato per la sua fruizione. Il passaggio logico compiuto dall’autore è quello della

trasformazione dello spettatore in pubblico e della fruizione in consumo, in una società

in cui i prodotti sono sempre più standardizzati ed il consumo di massa è la prassi. L’arte

viene recepita, così, in un modo nuovo per due ordini di ragioni principali: in primo luogo,

dà al consumatore l’impressione del possesso dell’opera e, in secondo luogo, si trasforma

da evento unico ed irripetibile in un bene di consumo, perdendo via via valore con

l’aumentare delle riproduzioni. Nonostante si tratti di un saggio del 1936, i presupposti

su cui esso si basa si dimostrano ancora molto attuali (l’ultima riedizione aggiornata è

del 2011) perché, come precedentemente accennato, gli artisti e le etichette discografiche,

nel caso specifico della musica, inseguono la continua innovazione e puntano ad offrire

un prodotto che sia in grado di coinvolgere sensorialmente il pubblico, e che riesca ad

essere sempre più accattivante, anche grazie all’uso di media diversi come strumento di

comunicazione.

Un discorso a parte, è quello della musica eseguita dal vivo perché la sua caratteristica

principale è proprio quella dell’irriproducibilità, non catturabile da un supporto

tecnologico. Sono queste le motivazioni che la rendono speciale, unica ed imprevedibile,

così come lo è il comportamento umano: l’interprete, nel pieno della sua esecuzione, così

come il pubblico che ne prende parte, è di volta in volta condizionato dall’ambiente

esterno e dal proprio stato psico-fisico. Questo permette di istaurare un rapporto

comunicativo bidirezionale dagli spalti al palco, ogni volta differente, che concorre alla

18
formazione di un’esperienza unica ed irripetibile, in cui il fruitore diviene parte integrante

del processo produttivo: è questo il vero valore aggiunto dello spettacolo, quello portare

il singolo a partecipare attivamente ad un qualcosa di collettivo, vincendo sul suo

isolamento individuale. È per questi motivi che la musica dal vivo, se pur con qualche

cambiamento dei paradigmi, è considerata immutabile e immortale e gli interventi

compiuti per rendere i processi più efficienti si limitano solo alle attività collegate, ovvero

i servizi aggiuntivi e quelli complementari (i cosiddetti peripherals).

1.5 L’industria discografica oggi: composizione del mercato

Fino al dicembre del 1998, le major che esercitavano il controllo sul mercato, erano 6, le

cosiddette “big six”: Sony Music, Universal Music Group, EMI, Warner Music Group,

BMG e PolyGram. Nel 2000 PolyGram e Universal si fusero sotto il marchio di

quest’ultima e quattro anni dopo avvenne lo stesso tra BMG e Sony decretando così

l’esistenza di sole quattro major a spartirsi il 71,7% del mercato (IFPI, 2005). Infine,

l’ultima grossa operazione finanziaria M&A del settore discografico risale al 2011,

quando la EMI fu sciolta e assorbita in parte da Universal e in parte da Sony, sancendo

l’inizio dell’era delle “big three” che condividono con le etichette indipendenti un

mercato dal valore di 19,1 miliardi di dollari. Il market share calcolato in volumi di

vendita a settembre 2018 era il seguente:

19
Market Share %

Indipendenti Warner Music • Warner Music


Group
29% Group 25.1%
25%
• Universal
Music Group
24.3%

Universal Music
• Sony
Corporation
Sony Corporation Group 22.1%
22% 24% • Indipendenti
28.5%

Warner Music Group Universal Music Group Sony Corporation Indipendenti

Fonte: Rielaborazione propria, IBIS World report, 2018

Le major posseggono più di 100 etichette controllate, ognuna specializzata in una nicchia

di mercato target e solo gli artisti più popolari stringono accordi con le major; tuttavia,

questa tendenza è in calo perché l’avvento di internet ha permesso alle piccole etichette

indipendenti di essere più competitive.

L’accentramento dei capitali finanziari nelle mani di pochi players determina, di fatto, il

controllo da parte di questi dell’intero settore; si tratta dell’inevitabile conseguenza della

portata globale che il settore ha raggiunto nel tempo che, se da un lato ha facilitato la

crescita di artisti da ogni parte del mondo, dall’altro ha creato dei profondi squilibri non

solo nelle decisioni operative ma anche nella gestione dei prodotti musicali.

Box n°2 INCENDI DEL 2008

Il primo giugno del 2008, degli incendi di cui tutt’ora non si conosce la causa,

investirono alcuni edifici degli Universal Studios di Hollywood. In particolare fu

colpito un capannone conosciuto come “edificio 6197” o “magazzino dei video” e

questa dicitura era in parte vera perché ospitava per i due terzi della sua estensione

videocassette e pellicole ma in meno di 200 mq erano conservati numerosi nastri

20
musicale della Universal Music Group. Allora i media e la Universal stessa, per evitare

una grossa risonanza mediatica, tesero a minimizzare l’accaduto, ma dopo dieci anni

di indagini venne fuori che si trattava, in realtà, del più grande deposito di registrazioni

master della costa occidentale degli Stati Uniti. La gravità dell’evento, conosciuto

attualmente come “il più grande disastro dell’industria musicale”, consiste nel fatto che

avesse coinvolto dei master originali, ovvero quelli da cui poi derivano, perdendo la

qualità, tutte le registrazioni su supporti fisici e digitali, e che coinvolgono un processo

non reversibile (trasformando una traccia master in un file compresso delle

informazioni sono necessariamente perse per esigenze di spazio fisico). In aggiunta il

deposito conteneva l’esperienza musicale accumulata dagli anni ’40 al 2008 e non solo

della Universal ma anche delle sue controllate come la Decca, la Interscope e la Geffen

e che quindi comprendevano artisti come John Coltrane, Chuck Berry, Muddy Waters,

ma anche gli Eagles, i Police, i Guns n Roses e 2Pac; si stimano circa 175mila asset

distrutti per un valore di 150milioni di dollari di perdite, oltre che alcune tracce inedite

di cui il mondo non potrà mai godere.

Se la gestione fosse stata divisa tra più etichette, è molto probabile che “il giorno che

bruciò la musica” (definito così da Jody Rosen, la giornalista che ha indagato

sull’accaduto) non avrebbe mai avuto luogo, perché il controllo sulla gestione, così

come i rischi a questa connessi, sarebbero stati distribuiti tra più agenti.

1.6 L’industria discografica oggi: trend

L’ International Federation of the Phonographic Industry (IFPI) è un’organizzazione

internazionale che cura gli interessi dell’industria discografica mondiale fornendo servizi

di tutela del diritto d’autore, antipirateria, di marketing e pubbliche relazioni. Il suo

compito più importante, svolto a partire dal 1997, è quello di tracciare i dati per

21
monitorare lo stato di salute dell’industria, pubblicando contestualmente un report

annuale che evidenzia i principali trend. L’edizione del 2019 si è resa testimone del quarto

anno consecutivo di crescita del mercato, che nel corso del 2018 ha incrementato del 9,7%

il valore in termini di ricavi, una crescita più alta che nel 2017 (7,4%) e mai testimoniata

da quando IFPI ha iniziato la sua elaborazione dei dati.

Fonte: Global Music Report 2019, IFPI

Tale crescita si attribuisce ai continui investimenti delle etichette e alle numerose

partnership che queste sviluppano continuamente con gli artisti, soprattutto quelli dei

paesi in via di sviluppo, che, in continua espansione in termini di grandezza e di

opportunità, di recente stanno contribuendo notevolmente alla crescita dell’intero settore.

Per ottenere un quadro generale e completo delle tendenze in questa industria, è utile

analizzare in dettaglio questo fenomeno di crescita attraverso in relazione al tipo di

formato impiegati per il consumo (l’ascolto) e all’ambiente geografico contestuale.

22
Formato

Fonte: Global Music Report 2019, IFPI

In totale i ricavi derivanti dal digitale hanno avuto durante il 2018 una crescita del 21,1%

e costituiscono il 58,9% dei ricavi di settore, per un valore complessivo di 11,2 miliardi

di dollari. Con digitale ci si riferisce soprattutto agli abbonamenti alle piattaforme di

streaming, che con una crescita del 32,9% rispetto all’anno precedente costituiscono il

driver principale dei ricavi di settore (il 37%). Sarebbero, infatti, più di 110 milioni gli

abbonati: Spotify conta 50 milioni di iscritti, Apple Music 20, Deezer 7 e Pandora e

Napster 4,5 ciascuno. Ci sono poi le piattaforme di streaming gratuite che includono

l’advertising (il 10% del mercato) e ai download che hanno testimoniato ad un declino

del 21,2%.

In contrapposizione alla musica liquida, la musica fisica, che comprende CD, vinili e

cassette, ha subito un ulteriore calo nei volumi (il 10,1% con precisione) e costituisce il

24,7% del totale del mercato essa. Nonostante tutto, ancora un piccolo numero di mercati

presenta la tendenza opposta: India (+21,2%), Giappone (+2,3%) e Sud Corea (+28,8%)

continuano a manifestare la crescita, mentre in altri mercati la musica fisica costituisce

ancora una percentuale significativa (in Giappone, Polonia e Germania questa costituisce

23
rispettivamente il 71%, il 47% e il 34%). Se è pur vero che la morte del CD è prevista per

il 2022, a 40 anni dal lancio sul mercato da parte della giapponese Sony, il mercato dei

vinili ha testimoniato il tredicesimo anno consecutivo di crescita, che quest’anno si attesta

al 6%. Tali livelli di crescita non si vedevano dal 1990 e indicano che si tratti di una vera

e propria nicchia di mercato, piuttosto che una ristretta cerchia di nostalgici: l’undicesima

edizione del Record Store Day, evento internazionale dedicato ai retailer indipendenti, ha

contato la vendita di 580mila vinili in soli sei giorni. Vista la sempre più crescente

domanda, la stessa Sony, ha riattivato gli impianti per offrire al mercato, prima della fine

del 2019, i primi vinili HD.

Tornando alla composizione dei ricavi di settore, non vanno trascurati quelli derivanti dai

diritti di performance e da quella che in gergo viene definita “sincronizzazione”.

Con il termine “diritti di performance”, ci si riferisce a quelli derivanti dall’uso di musica

registrata dalle emittenti e nei luoghi pubblici, che nel corso del 2018 hanno manifestato

una crescita del 9.8%, e che, occupando il 14% del mercato, hanno raggiunto un valore

di 2,7 miliardi di dollari. La sincronizzazione, invece, riguarda l’utilizzo di musica in

film, pubblicità, giochi e TV e che mantiene il 2,3% del mercato, nonostante la crescita

del 5,2% manifestata nel 2018 sia inferiore rispetto a quella dell’anno precedente

(14,6%).

Box n°3 ESTERNALITA’ DI RETE

Una delle ragioni del successo dello streaming è da ricondurre alle funzioni social

network implementate da queste. Infatti, sulle piattaforme streaming principali è

possibile lo scambio tra utenti di playlist o ancora di funzioni di messaggistica o di

condivisione della propria attività di ascolto. Queste funzioni permettono di sfruttare il

meccanismo delle esternalità di rete (anche conosciute con il termine di economie di

rete), che consistono nell’aumento di valore di un prodotto al crescere del numero di

24
utenti che lo utilizzano. In particolare, l’utilizzo di queste funzioni, permette il

verificarsi di economie di rete dirette, mentre le possibilità d’integrazione con gli altri

social network genera un circolo virtuoso che permette l’aumento di valore non solo

della piattaforma ma anche del social network (in questo caso ci si ritrova nella

fattispecie delle economie di rete indirette).

Regioni

Fonte: Global Music Report 2019, IFPI

Dai dati di IFPI, il Nord America ha registrato un altro anno di crescita a doppia cifra che,

attestandosi al 14%, è di poco inferiore a quella dell’anno precedente (17,1%). La forte

crescita dello streaming (+33,4%) compensa di gran lunga il declino della musica fisica

(-22%), che presenta dei tassi di decrescita superiori rispetto a quelli dell’anno precedente

(-4,3%). Mentre il Canada ha mostrato un aumento dei consumi pressoché piatto (+0,5%),

gli Stati Uniti si sono confermati primi in quanto a vastità di mercato musicale, con un

tasso di crescita del 15%; esso rappresenta, pertanto, una buona stima dei trend globali,

con il 74,2% costituito da musica liquida, di cui il 59,4% è costituito da abbonamenti a

piattaforme di streaming. Un dato molto interessante è quello che riguarda l’America

Latina, che con un tasso di crescita del 16,8%, è anche quest’anno il mercato a crescere

più velocemente, riflettendo le tendenze globali con un declino del fisico (-37,8%) e del

25
download (-45%) e ottimi risultati nello streaming (+39,3%). Nello specifico, il Brasile è

il principale mercato dell’America Latina e che, con una crescita del 15,4%, si aggiudica

il decimo posto per dimensioni di mercato, anche grazie a una delle più rapide crescite

del digitale (+38,5%). Anche per Cile, Messico e Colombia è stato un anno di sviluppi,

con dei tassi di crescita rispettivamente del 16,3%, del 14,7% e del 9%.

Asia e Australasia (la regione che comprende Australia, Nuova Zelanda e le vicine isole

del Pacifico), con una crescita dell’11,7%, rappresentano la seconda regione geografica

per ricavi di fisico e digitale insieme. Una forte crescita della musica liquida (+26,8%),

trainata dalle piattaforme di streaming (+29,5%), hanno compensato il declino dei

download (-7,1%). Nello specifico, la Cina, che l’anno precedente era entrata nella top

10, si è aggiudicata la settima posizione, mentre il Giappone rimane il paese con il

mercato più ampio della regione (ed il secondo nel mondo) con una crescita del 3,4% in

contrapposizione al declino dell’anno precedente (-2,9%); in particolare (e

paradossalmente) la musica fisica e liquida sono cresciute simultaneamente. Infine Sud

Corea e Australia, con un tasso del +17,9% e del +11% hanno manifestato una forte

crescita, aggiudicandosi rispettivamente il 6° e l’8° della classifica.

Un discorso a parte, invece, è quello relativo al vecchio continente, che non solo ha

presentato la crescita più bassa, ma anche una composizione del mercato molto

eterogenea. Si è verificata una consistente crescita nei paesi del Nord Europa, mentre la

Germania è stata l’unica regione europea della top 10 a manifestare un declino dei ricavi

(-9,9%), parzialmente dovuto alla continua transizione dal fisico al digitale ed è stata

sorpassata dal Regno Unito che, con una crescita del 3,1%, si è aggiudicato la terza

posizione a livello globale per grandezza di mercato; Austria, Irlanda, Svezia e Norvegia

hanno seguito il trend con dei tassi rispettivamente del 20%, 7%, 2,8% e 1,7%.

26
Complessivamente il mercato europeo ha assistito ad una crescita degli abbonamenti

streaming del 29,2%, compensando il calo del 19,4% del fisico e del 24,3% dei download

anche se il più significativo calo è stato quello del 6,7% dei diritti di performance, il più

ripido tra tutte le regioni e il più incidente sul rallentamento complessivo della crescita.

Analizzando i dati sopra riportati si evince che si tratti di un settore complessivamente in

crescita, sicuramente molto competitivo e nel quale bisogna saper cogliere le opportunità

giuste, al tempo giusto.

27
2. L’industria discografica: analisi di settore

2.1 Consumo di prodotti leisure: l’industria M&E e il settore musicale

La crescita di tempo libero derivante dall’aumento della produttività del lavoro, sta

manifestando un forte aumento del consumo di prodotti leisure, ovvero quelli consumati

al di fuori dell’attività lavorativa come il turismo (hotel e servizi connessi), i parchi a

tema, i casinò, i locali ecc. Tra questi il più rilevante ai fini di questo lavoro di analisi, è

quello M&E (media and entertainment) che comprende l’industria musicale. Ancora una

volta gli Stati Uniti, che producono un valore di 703 miliardi di dollari, costituiscono il

mercato più grande al mondo (con uno share di mercato del 33%, pari ad un terzo di

quello mondiale) e quello con la crescita più rapida che, secondo le previsioni di

PriceWaterhouseCoopers, una delle quattro società di consulenza più importanti al

mondo, arriverebbe a raggiungere un valore di 804 miliardi di dollari nel 2021. Il business

M&E comprende film, TV, editoria dei libri, video games, musica e presenta la seguente

composizione:

VOLUMI % MEDIA & ENTERTAINMENT


Film TV Editoria Video Games Musica

Musica
6%
Video
Games
8%

Editoria
Film
12%
40%

TV
34%

Fonte: Investment Banking, sintesi dei report Deloitte e PWC, 2017

28
Nonostante il valore da 19,1 miliardi di dollari e la crescita del 4,37% registrata rispetto

al 2017 e dell’11,05% rispetto al 2016, l’industria musicale costituisce la porzione più

piccola del mercato M&E; tuttavia, come evidenziato in precedenza, la sincronizzazione

(che ricordiamo essere l’impiego di musica in altri tipi di media) ha recentemente

mostrato essere una tendenza crescente, offrendo numerose opportunità al settore

musicale.

2.2 La supply chain dell’industria discografica

Al fine di comprendere nel concreto il funzionamento delle dinamiche caratterizzanti la

produzione e l’esecuzione di musica, conviene percorrere ordinatamente tutti i passaggi

che costituiscono il processo produttivo, ovvero dall’ ispirazione (spinta) creativa

dell’artista all’ascolto del consumatore finale. Esistono fondamentalmente due prodotti

finiti in ambito musicale, un registrato in studio e uno eseguito dal vivo e, nonostante

comprendano attività strettamente collegate tra loro, richiedono una gestione molto

differente.

2.2.1 La supply chain: i processi produttivi della musica registrata

L’industria musicale è un complesso sistema di organizzazioni, aziende ed individui; la

rivoluzione del digitale ha profondamente cambiato le dinamiche del settore ma non il

suo funzionamento o i ruoli giocati all’interno di questo. Il punto di partenza di questa di

analisi è la casa discografica (etichetta), sede (fisica o meno) in cui sono prese tutte le

decisioni operative relative al prodotto finale “musica registrata”; è la principale

finanziatrice dell’opera musicale dell’artista ed è la struttura attraverso la quale viene

prodotta la registrazione master, la cui cessione attraverso i vari canali di distribuzione

costituisce la maggior parte dei profitti, generati attraverso le royalties. Un’indagine

condotta da Techdirt, un blog di reportistica tecnologica, economica e legale (encomiato

da Bloomberg e Forbes come uno dei migliori nel suo ambito), ha calcolato le percentuali

29
di profitto tra gli attori coinvolti derivanti dalle piattaforme di streaming, che

costituiscono la maggiore fetta del mercato per quanto riguarda i ricavi (e quella più in

crescita). Al 2016, gli share nello streaming erano i seguenti:

SHARE DEI RICAVI IN %


Artisti
7%
Autori/Editori
10%

Etichette
Tasse 45%
17%

Piattaforme
21%

Fonte: Rielaborazione propria, Techdirt report, 2016

Come si evince dal grafico, la maggior parte delle entrate è di competenza delle etichette,

evidenziando il ruolo chiave che possiede la distribuzione di un master. Gli introiti

generati dalle royalties dipendono dal grado di proprietà coinvolto. Ci sono, infatti, tre

livelli di proprietà: la composizione, la registrazione e i media. La composizione

comprende la canzone, il testo e la musicalità (melodia, ritmica ecc.), la registrazione

l’audio e il video, mentre i media lo strumento attraverso il quale questi sono distribuiti e

quindi vinili, CD, MP3, DVD ecc.; tipicamente esistono molte registrazioni di una singola

composizione e una singola registrazione è distribuita attraverso diversi media. Un

esempio concreto del funzionamento di questa dinamica è la canzone “My Way”, i cui

diritti appartengono ai suoi compositori, Paul Anka e Claude Francois; la registrazione

della canzone di Frank Sinatra è di proprietà dell’etichetta Capitol Records e quella della

30
cover della stessa canzone di Sid Vicious appartiene invece alla Virgin Records, mentre

i milioni di supporti contenenti la stessa canzone appartengono a chiunque avesse

acquistato un CD, un vinile, una cassetta o si fosse iscritto ad una piattaforma streaming.

Prima di analizzare in dettaglio i processi, è utile ricordare che l’organizzazione delle

etichette cambia radicalmente in base alla loro struttura: le major sono delle vere e proprie

multinazionali che puntano principalmente al profitto, che seguono delle policy ben

precise e che sono parcellizzate in divisioni e sottogruppi (ricordiamo che tre brand

detengono il 71,5% del market share per ricavi), mentre le etichette indipendenti puntano

più alla crescita artistica ed hanno, tipicamente, delle dimensioni di molto più ridotte.

È possibile suddividere il processo di realizzazione di musica registrata in quattro fasi

principali: registrazione, realizzazione del prodotto finito, marketing e distribuzione e

retailing. Partendo da tali classificazioni individuate da Kozul-Wright e Standbury nel

loro paper analitico del 1998, analizzeremo questi processi in dettaglio soffermandoci su

alcune tematiche attualmente di rilievo.

• Registrazione

La prima fase del processo consiste nella realizzazione della registrazione

master, ovvero quella pronta per essere trasferita su supporti fisici, che

presenta una certa coerenza sonora nelle sue componenti (è equalizzata in

modo tale che risulti “ascoltabile”) e che dispone della migliore resa sonora

possibile indipendentemente dal supporto che si intenda utilizzare per

ascoltarlo (dall’impianto stereo agli speaker del telefono cellulare). Per la

realizzazione di un master è necessario che cantanti, strumentisti, autori,

ingegneri del suono e almeno un produttore discografico si riuniscano in uno

studio di registrazione. Al termine della registrazione, il produttore

discografico diviene proprietario della registrazione master ma non della

31
canzone in sé, che in genere resta proprietà del creatore. Lo sfruttamento

commerciale permette di generare profitti attraverso le royalties che però sono

suddivise in base alla proprietà di cui ciascuno dispone; produttore e artisti

vantano diritti patrimoniali sulla registrazione master mentre editore e autore

godono dei diritti patrimoniali della canzone. Lo sfruttamento commerciale

della musica dipende da un passaggio molto importante in questa fase, quello

della gestione delle relazioni con le agenzie di copyright, di cui è incaricato

l’editore. Queste agenzie possono avere differenti strutture e governance in

relazione alla giurisdizione all’interno del quale operano, nonostante di

recente siano state emanate direttive sovranazionali per l’armonizzazione del

diritto d’autore.

Box n°4 TRIPS – Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights

Gli accordi TRIPS furono siglati contestualmente all’incontro GATT

(General Agreement on Tariffs and Trades) del 1994 finalizzato alla

creazione della WTO (World Trade Organization), l’organizzazione

mondiale di regolamentazione del commercio di cui gli accordi GATT sono

successivamente diventati parte. Nello specifico, l’obiettivo del TRIPS era

quella di colmare le lacune nel modo in cui il diritto di proprietà intellettuale

era gestito nei paesi membri WTO, fissando il livello minimo di protezione

da concedere a tale diritto, dai disegni industriali ai brevetti. Le aree

tematiche coperte dagli accordi TRIPPS riguardano principalmente:

• L’applicazione dei principi base di difesa della proprietà intellettuale;

• Come fornire protezione adeguata a tali diritti;

• Come le nazioni membri devo applicare le direttive in merito;

32
• Come gli stati membri devono risolvere le dispute sulla proprietà

intellettuale.

Il produttore esecutivo, in quanto rappresentante dell’etichetta, è la figura

predisposta all’accollo del rischio d’impresa, poiché tutte le sessioni concorrenti

alla creazione del master sono finanziate da questo soggetto; è altresì sua premura

coordinare lo staff durante tutto il processo, dalla parte creativa a quella tecnica.

In questa fase l’impatto della tecnologia nel tempo è stato determinante, sia per

quanto riguarda gli strumenti impiegati che per quanto riguarda i processi; basti

pensare alle registrazioni prima dell’invenzione del multitracking (un processo di

registrazione brevettato dal chitarrista Les Paul che consisteva nella cattura dei

suoni su più canali audio per poter, in fase di post-produzione, lavorare su

ciascuno di essi) che oltre ad aver contribuito alla creazione di prodotti di qualità

maggiore, ha sicuramente apportato una maggiore flessibilità e una drastica

riduzione dei tempi di processo. Al giorno d’oggi, infatti, è possibile produrre un

album utilizzando solamente pochi software digitali su personal computer e poche

ore di tempo (ad esempio “Plastic Beach”, album della nota band inglese

“Gorillaz” è stato prodotto interamente su iPad).

• Realizzazione del prodotto finito

Una volta ottenuto il master, inizia la fase di trattativa tra il produttore

discografico e i manifatturieri e i distributori che si conclude con la cessione del

diritto di trasferire la traccia audio master su supporti fisici quali CD, vinili,

cassette ecc. per poi distribuirli (Kozul-Wright e Standbury parlano in tal caso di

prodotto finito). Tipicamente questa seconda fase del processo è esternalizzata e

realizzata presso altri impianti ma sono presenti casi di imprese così verticali da

33
includere questa stessa funzione, che termina con la produzione su vasta scala di

migliaia di copie fisiche della traccia master; questa seconda fase viene

considerata come la meno dispendiosa se si considera il costo di prodotto unitario

di un impianto adibito a tale produzione, altrimenti, renderlo completamente

operativo partendo da zero, richiederebbe ingenti investimenti di capitale.

Una delle considerazioni che Kozul-Wright e Standbury non avrebbero potuto

compiere è che l’effetto della tecnologia sul mercato, oggi, permette di bypassare

questa fase; infatti, sebbene siano ancora prodotti dischi e ancor di più vinili su

larga scala, è possibile distribuire un prodotto esclusivamente attraverso delle

piattaforme di streaming e gli stores digitali. Il mercato della “musica solida”,

infatti, sta volgendo al suo inevitabile tramonto ed è tenuta in vita esclusivamente

dalle nicchie di consumatori appassionate di vintage che però, dimostrando allo

stesso tempo un maggiore interesse per il suo valore storico piuttosto che per il

prodotto in sé, di conseguenza finiscono per alimentare il mercato secondario. Un

evento rilevante a riprova di questa tendenza è stata la chiusura nel 2018 da parte

di Sony, dell’impianto produttivo di compact disk in Indiana, il primo ad essere

stato istituito nel 1984 negli Stati Uniti (che come anticipato, costituiscono uno

stimatore puntuale dei trend di mercato); il verificarsi di un calo delle vendite di

CD del 18% nel corso del 2017, ha addirittura portato Best Buy, il più grande

rivenditore al dettaglio di elettronica di consumo, a rimuovere i CD dai propri

scaffali (discorso a parte vale per i vinili che continueranno ad essere distribuiti

dalla catena, visti i recenti trend di crescita delle vendite). Queste evoluzioni

hanno portato le case discografiche ad indirizzare l’attenzione e a concentrare le

forze sulla terza fase.

34
• Marketing e distribuzione

La terza fase del processo produttivo riguarda il marketing e la distribuzione (da

intendere in questo caso come relazione) del prodotto finito e queste due attività,

tipicamente, sono svolte dalla stessa entità. L’obiettivo è quello di costruire

strategie di comunicazione coerenti e specifiche, che siano in grado di creare un

collegamento tra il prodotto da vendere e il consumatore finale attraverso

l’utilizzo della promozione e della pubblicità come veicolo. Si tratta di una fase

tanto delicata quanto costosa, perché promozione e pubblicità presentano i costi

unitari più alti di tutto il processo ma delle strategie comunicative all’avanguardia

e a basso costo sono in continuo sviluppo (il tema sarà approfondito in seguito).

• Retailing

L’ultima fase è quella della vendita al dettaglio, tradizionalmente svolta

all’esterno dell’etichetta, da distributori di varia dimensione. La peculiarità è la

vicinanza al consumatore finale che determina una grossa sensibilità alla domanda

di mercato e che per questo può influire notevolmente le scelte compiute durante

la terza fase.

È soprattutto nel retailing che gli effetti tecnologici precedentemente descritti

hanno avuto un impatto determinante, testimoniando l’affermazione delle

strutture digitali a scapito di quelle fisiche. Infatti, al giorno d’oggi la maggior

parte dei produttori discografici predilige l’esclusivo utilizzo delle piattaforme

streaming come strumento distributivo per almeno due motivi: in primo luogo,

garantisce un consistente abbattimento dei costi di distribuzione che permette di

accorciare il processo di raggiungimento dei consumatori finali e, in secondo

luogo, assicura la possibilità di poter reperire dati in tempo reale utili al calcolo

degli indici di andamento, necessari per l’indirizzamento delle strategie future.

35
Il seguente grafico rappresenta schematicamente i processi appena descritti.

Fonte: “Unbundling the Supply Chain for the International Music Industry”, Stanislas Renard, 2010

36
2.2.2 La supply chain: i processi della musica dal vivo

Se le dinamiche che caratterizzano l’industria e i prodotti discografici sono assimilabili a

delle merci fisiche, la musica dal vivo è da considerare, almeno formalmente, come un

servizio che in quanto tale dispone di caratteristiche ben precise: intangibilità,

inseparabilità tra erogazione e consumo, variabilità che dipende dalle modalità di

erogazione e fruizione e impossibilità di immagazzinamento. Consegue, da questa

distinzione, che la gestione di questi due tipi di prodotto sia molto differente.

Da un punto di vista economico, pur trattandosi di un servizio dal carattere evanescente

il cui valore d’uso risiede nella forma e nel contenuto culturale, emotivo e pedagogico, è

comunque da considerare un prodotto che deve incontrare un mercato costituito da spazi

in cui questo possa essere acquistato e consumato. Il valore di scambio in questo caso

consiste nel costo della forza lavoro necessaria non solo alla sua produzione ma anche

alla sua riproduzione e alla gestione che questa richiede; se nella musica registrata i costi

di produzione sono sostenuti fino alla realizzazione del prodotto finito (registrazione

master), nella musica dal vivo, ogni riproduzione ha dei costi considerevoli. Tali costi

sono definiti in gergo costi vivi e comprendono:

• Stipendi del personale artistico e tecnico indispensabile alla realizzazione

materiale dello spettacolo (notevole l’effetto del cosiddetto morbo di Baumol,

Box n°5);

• I costi logistici: trasporto, vitto, alloggio, diarie ecc.

Per i caratteri di irriproducibilità che lo differenziano dalla musica registrata, i costi vivi

dello spettacolo costituiscono la porzione più grossa dei costi totali, proprio perché il

valore dello spettacolo si annulla al termine di ogni riproduzione ed è per questo che

l’abbonamento ad una piattaforma di streaming o di un CD ha un costo

considerevolmente ridotto (unitariamente parlando) rispetto ad un concerto.

37
È possibile suddividere il processo che caratterizza la musica dal vivo in 4 passaggi:

• Produzione

Tutte le attività che concorrono alla creazione di uno spettacolo dal vivo e che

coincidono in gran parte con il processo descritto per la musica registrata. Uno

spettacolo di musica, per essere eseguito dal vivo, va tuttavia implementato con

delle componenti aggiuntive che possano ottenere una migliore efficacia emotiva

presso il pubblico che ne fruisce.

• Esercizio

Riguarda le attività di programmazione e organizzazione necessarie a presentare

uno spettacolo in un determinato spazio, i luoghi fisici in cui avviene il contatto

tra prodotto e consumatore finale. È importante considerare che la riuscita di

qualsiasi tipo di spettacolo dipenda molto dalle variabili ambientali in cui questo

è presentato: parafrasando il Prof. A. Cognata, docente di “Economia delle

Istituzioni Culturali”, non si possono portare i Rolling Stones a Canicattì (perché

è sempre la domanda a creare l’offerta).

• Distribuzione

Comprende in questo caso tutte le attività svolte dagli organismi di mediazione

tra produzione ed esercizio con la finalità di distribuire lo spettacolo. Consiste

nella promozione dell’evento diretta non al consumatore finale ma ai gestori degli

spazi di esecuzione con l’obiettivo di inserire lo spettacolo in quante più

programmazioni possibile, coerentemente con le strategie di posizionamento dei

produttori.

• Promozione

Comprende le attività finalizzate alla massimizzazione della visibilità di uno

spettacolo presso i consumatori finali. In questa fase la scelta del timing è

38
essenziale, perché una comunicazione troppo precoce e non adeguatamente

sollecitata nel tempo rischia di disperdere l’attenzione degli utenti; al contrario

una comunicazione troppo prossima all’evento rischia di peccare di efficacia,

raggiungendo un numero di consumatori potenziali troppo basso. Anche in questo

caso l’utilizzo di internet e soprattutto dei social network, favorisce di parecchio

i processi comunicativi e offre importanti strumenti di controllo attraverso la

raccolta dei dati.

Box n°5 MORBO DI BAUMOL

Definita anche come “malattia dei costi”, prende il nome dall’economista William

J. Baumol che, insieme al suo collega William G. Bowen, teorizzò per primo il

fenomeno nel saggio “Performing Arts: The Economic Dilemma”. Questa legge

indica l’impossibilità di contenere i costi nei settori in cui non è possibile

modificare la tecnologia senza snaturare la produzione (sono pertanto definiti a

tecnologia stagnante). Tutti gli altri settori, infatti, riescono ad aumentare la

produttività grazie all’impiego di tecnologie migliori e, riducendo nel tempo i costi

medi, riescono a pagare salari più alti senza intaccare produttività e profitti. Nei

settori stagnanti come quello dello spettacolo, in cui la maggior parte dei costi è

composta da forza lavoro e in cui la tecnologia non ha alcun effetto sull’aumento

della produttività, è comunque necessario che gli stipendi aumentino, altrimenti si

verificherebbe una crisi di carenza del personale, che scegliendo di continuare a

lavorare in tale settore, sarebbe costretto a pagare un costo opportunità troppo alto

(in questo caso costituito dalla rinuncia ad un salario più alto). La malattia dei costi

è anche il motivo principale dell’intervento pubblico nel finanziamento dello

spettacolo dal vivo che, come precedentemente accennato, è un settore

strutturalmente in perdita.

39
Come è possibile notare, se ci si riferisce allo spettacolo dal vivo in generale, molto

raramente le relazioni commerciali tra produttori e consumatori finali sono dirette ma

intervengono nella maggior parte dei casi degli intermediari. Infatti, in questo sistema in

cui la norma è il tour, la relazione commerciale è intrattenuta tra produttore e gestore

dell’esercizio.

Le relazioni di mediazione appena descritte sono riportate nel grafico sottostante:

Fonte: Economia e Management dello Spettacolo dal vivo, A.Gallina, 2019

2.2.3 La supply chain: i servizi connessi

Parallelamente a queste fasi del processo produttivo, ci sono una serie di attività collegate

che terminano con l’erogazione di servizi connessi. Questi posso essere divisi in tre

categorie principali:

• Servizi creativi – che comprendono i servizi connessi all’esecuzione di musica

dal vivo forniti da artisti e ingegneri del suono in sede d’esecuzione;

• Servizi tecnici – comprendono principalmente il noleggio degli spazi esecutivi

nelle performance dal vivo e degli studi nelle fasi di registrazione e coinvolgono

gran parte dello staff tecnico;

• Servizi rappresentativi – riguardano una vasta gamma di attività non

necessariamente collegate al core business; si tratta di tutte quelle funzioni

amministrative eseguite al fine di mantenere le imprese musicali in economicità.

40
Il settore dei servizi gode di una certa autonomia di movimento attraverso l’economia

globale dal momento che chi li eroga ha la possibilità di muoversi pressoché liberamente

nel mondo; infatti, nonostante la maggior parte delle registrazioni master sia prodotta in

poche aree concentrate in Nord America, Europa Occidentale e Giappone, molte etichette

indipendenti o comunque piccole etichette controllate da major e i servizi da queste

erogati, sono distribuiti nel mondo, anche nei paesi in via di sviluppo, per la facilità di

reperire personale e stringere relazioni interpersonali che possano influenzare nuovi

prodotti discografici che aiuterebbero le etichette stesse a diversificare il proprio business.

2.3 Gli stakeholder coinvolti

Come anticipato, le forme che la supply chain può assumere nel settore della discografia

possono essere molto eterogenee poiché è complesso il prodotto oggetto di questi processi

ed è ampio il numero di stakeholder coinvolti. La prima distinzione utile è quella da

compiere tra stakeholder interni, definibili anche “staff”, ed esterni all’organizzazione. I

primi posso essere suddivisi a loro volta tra staff creativo e staff tecnico. Come suggerito

dal nome stesso, i primi hanno incidenza sugli aspetti creativi della produzione musicale,

mentre i secondi contribuiscono in varia misura alla sostenibilità dell’impresa, in

relazione alla grandezza dell’organizzazione considerata: nella sua forma più semplice,

un artista può svolgere autonomamente tutte le funzioni, almeno in teoria.

Partendo dalla precedente classificazione, analizziamo ora gli stakeholder interni ad

un’etichetta e le loro mansioni.

Staff creativo

A questa categoria appartengono pochi addetti ai lavori dal valore inestimabile qualunque

sia la dimensione dell’organizzazione che opera nel mercato, perché la capacità di

reperire dei “funzionari” sostituti può incidere notevolmente sull’attività di produzione di

41
un’etichetta e può costituire per questa un grosso costo da supportare, soprattutto in

termini di immagine. Nello specifico ci si riferisce a:

• Artisti: Performer e Autori – musicisti e cantanti (performer, più in generale) e

scrittori e compositori (autori) sono il punto di partenza del processo produttivo

di musica: è la loro volontà espressiva che si manifesta nella creazione dei brani

musicali. Performer e autori sono figure che tipicamente coincidono, soprattutto

nelle realtà discografiche più piccole o comunque indipendenti, mentre quelle più

grandi, che devono comunque assicurarsi della riuscita economica di un brano,

dispongono di team di autori che si occupano della scrittura di testi e musica e di

performer incaricati di eseguirla. Essendo la creatività una capacità strettamente

personale, questa categoria di stakeholder è quella con la più bassa probabilità di

essere rimpiazzata (ovviamente a parità di competenze) poiché tutto il lavoro di

un’etichetta gira attorno allo stimolo creativo, opera degli artisti.

• Produttori artistici e ingegneri – entrambi accompagnano gli artisti nella fase di

produzione. I primi lo fanno attraverso una meticolosa guida nel processo,

permettendo al prodotto finale di raggiungere un determinato mercato in coerenza

con gli obiettivi stabiliti dall’etichetta: tipicamente, mentre le major sono

interessate a grossi ritorni economici e quindi a creare un prodotto altamente

commerciabile, le etichette indipendenti puntano piuttosto alla creazione di un

prodotto innovativo e alternativo rispetto a quelli che sono gli standard di mercato.

Il compito di un bravo produttore è quello riuscire a coniugare le esigenze

espressive di un artista con la sua commerciabilità senza snaturarne la creatività.

Gli ingegneri del suono, invece, prestano la propria creatività nell’affinamento del

prodotto finale, ricoprendo un ruolo a metà tra la tecnica e la creatività. Come

anticipato, il missaggio e mastering sono essenziali per la riuscita di una traccia e

42
anche in questo caso, l’impiego di tecniche creative e all’avanguardia (senza

entrare troppo nel merito della tecnica) possono fare la differenza in maniera

consistente nella realizzazione del prodotto finale.

Staff tecnico

Si tratta del personale responsabile della gestione della società discografica, ovvero le

funzioni aziendali comuni alla maggior parte delle imprese, seppur comprensivo di alcune

funzioni specifiche per il settore che, pertanto, richiedono non solo una conoscenza

specifica della loro attività ma anche delle dinamiche, delle tendenze e degli sviluppi che

il mercato discografico presenta nel tempo.

In relazione alle dimensioni dell’etichetta, i ruoli e le mansioni del personale posso essere

molte e molto eterogenee, possono essere svolte da pochi membri dello staff o addirittura

da interi team. Ai fini di questo elaborato, saranno presentate le più caratteristiche ed

esplicative del funzionamento di un’etichetta:

• Artist manager – costituisce la prima interfaccia con l’artista e si occupa della

sua gestione in quanto personaggio pubblico, decidendo le strategie e la loro

traduzione operativa col fine di inserire l’artista nell’ambiente musicale e non.

Cura le relazioni con tutti gli altri organismi coinvolti e contribuisce

considerevolmente alla formazione dell’immagine dell’artista. Ad un buon

manager, inoltre, è richiesto un alto livello di empatia e delle spiccate capacità di

leadership per guidare l’artista nei momenti più complicati e stressanti; essendo

quello dell’artista un lavoro nel quale la produzione dipende molto dalle sue

condizioni emotive, è necessario che il manager favorisca la formazione di un

ambiente ottimale che stimoli tale produzione artistica. Si tratta di una figura le

cui mansioni dipendono molto dal grado di notorietà dell’artista e del giro d’affari

in cui questo è coinvolto.

43
• A&R manager – la divisione Artist & Repertoire, svolge una funzione

fondamentale (ancora più di rilievo nelle grandi etichette o in quelle già ben

avviate), quella di ricercare e scritturare nuovi artisti con il fine di aiutare

l’etichetta a diversificare la propria offerta: costituisce un vero e proprio head-

hunting per artisti. Nelle grandi etichette ha principalmente la funzione di

alimentare questi processi di diversificazione, mentre in quelle più piccole,

quest’attività è finalizzata allo sviluppo artistico. Ovviamente, per svolgere questa

funzione, è richiesta una profonda conoscenza del settore e non solo per provare

ad anticipare le tendenze di mercato ma anche perché è compito dell’A&R

manager assegnare ad ogni artista la composizione adeguata dal momento che,

come accennato in precedenza, autori ed interpreti non sempre coincidono.

• Marketing manager e Ufficio Stampa – i marketing manager, prestano la

propria creatività per trasmettere il valore dei prodotti musicali al pubblico e per

questo si tratta di una categoria boarderline tra i due tipi di staff: infatti,

manifestata l’attuale competitività in questa attività, il loro ruolo è fondamentale

per la creazione di campagne creative ed accattivanti. Rientrano nei compiti del

marketing, le operazioni relative alla gestione degli strumenti internet,

dall’acquisizione di dati utili al reindirizzamento delle campagne di

comunicazione. Se la funzione del marketing è finalizzata alla promozione

artistica attraverso la comunicazione rivolta al grande pubblico, l’Ufficio Stampa,

invece, è responsabile della comunicazione istituzionale, quella indirizzata alla

stampa, alla critica e alle istituzioni con cui dovesse eventualmente entrare in

contatto l’artista. Nonostante svolgano mansioni differenti, Ufficio Marketing ed

Ufficio Stampa collaborano col fine di creare una campagna di comunicazione

coerente nei suoi punti e con gli obiettivi dell’etichetta e il loro lavoro termina con

44
la produzione di incontri promozionali (in collaborazione con il management e le

agenzie di booking) con media (radio, TV, giornali) ma anche con il pubblico: ad

esempio il cosiddetto firmacopie, l’evento in cui l’artista si dedica alla firma delle

copie fisiche della sua opera o di altri oggetti promozionali.

• R&D manager – una funzione della quale nessuna impresa oramai può più fare

a meno e, considerato l’alto rischio di spiazzamento tecnologico del settore nelle

fasi finali della catena del valore, questa assume un ruolo ancora più determinante.

• Publisher/Editore – si tratta di una funzione che può essere svolta internamente

o esternamente all’etichetta, da una società di editoria (in gergo l’attività è definita

publishing). L’editore svolte funzioni molto varie: in primo luogo si assicura che

autori e performer ricevano gli adeguati proventi dalla commercializzazione delle

proprie opere dell’intelletto assegnando a ciascuno una determinata quota di

copyright, monitorando le modalità di impiego dell’opera stessa. Parimenti si

occupa di massimizzare i canali di distribuzione dell’opera, come i media e le reti

telematiche, intrattenendo relazioni con gli operatori del settore, oltre che con gli

enti incaricati della gestione dei diritti d’autore.

Queste figure sono coordinate dall’amministrazione centrale che, coadiuvata dalla

produzione esecutiva che costituisce il principale finanziatore, cura tutti gli aspetti

strettamente economici collegati all’etichetta.

Parallelamente al personale interno, ci sono stakeholder esterni il quale lavoro è

indispensabile all’attività di un’etichetta. I principali sono:

• Agenzie di booking – Sono quelle organizzazioni incaricate di promuovere e

vendere le esibizioni dell’artista, dalla singola performance all’ intero tour,

svolgono quella particolare funzione di intermediazione tra etichette, o comunque

45
case di produzione, e spazi di esecuzione; possono essere specializzate in un

determinato genere musicale o lavorare con artisti in base alla loro notorietà.

• Società di gestione del diritto d’autore – Si occupano principalmente di tutela e

di sorveglianza sulla proprietà intellettuale di artisti, autori ed editori; riscuotono

e corrispondono ad autori ed editori i proventi derivanti dall’impiego di terzi delle

loro opere. Ogni Stato, in base alla normativa che lo regola e agli accordi

internazionali in materia, dispone di almeno una sua società incaricata di tutelare

gli autori e gli editori: in Italia queste funzioni sono state svolte fino al 2016

esclusivamente (in formula di monopolio legale) dalla SIAE (Società Italiana

degli Autori ed Editori), a differenza degli altri paesi europei, ad esempio, dove il

mercato è regolato dalla libera concorrenza. Fondata nel 1882 a Milano con il

nome di SIA (Società Italiana Autori), divenne, con una legge del 2008, un ente

pubblico economico a base associativa e pertanto sottoposta a sorveglianza del

Consiglio dei ministri e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Turismo.

Opera in divisioni distinte occupandosi, oltre che di musica, anche di cinema e di

spettacolo e ha 10 sedi sparse per la Nazione.

Box n°6 CONTROVERSIE LEGATE ALLA SIAE

Per lungo tempo, la SIAE è stata detentrice di un monopolio legale in Italia,

suscitando numerose critiche a riguardo. Secondo gli studi del 2010 condotti

dal centro di ricerca “Istituto Bruno Leoni”, il monopolio avrebbe generato ben

13,5 milioni di euro di perdite l’anno, paragonato ad altri Stati europei in cui il

mercato era regolato da logiche di concorrenza, presentando anche dei costi

imposti agli iscritti più alti rispetto a quelli della media europea. Anche la

Federazione Industria Musicale Italiana (FIMI), promotrice della tutela degli

interessi della discografia italiana, si espresse in favore di un mercato più

46
concorrenziale. Lo scenario subì delle modifiche quando l’UE approvò, nel

2014, la Direttiva Barnier (che prende il nome dal commissario UE Michael

Barnier che la promosse), che stabiliva che i creativi avrebbero potuto affidare

la tutela della loro proprietà intellettuale a qualsiasi società svolgesse tale

attività, purché operasse sul suolo europeo. L’applicazione di questa direttiva

da parte del Senato nel 2016 ha decretato la fine del monopolio legale della

SIAE e nello stesso anno, numerosi artisti contrari all’operato di questa società,

decisero di rivolgersi ad altre organizzazioni per la gestione dei loro diritti

d’autore. La più gettonata è stata Soundreef, fondata a Londra da due italiani

(in Italia vige ancora il divieto di costituire questo tipo di società), più volte

elogiata dagli artisti per la propria gestione, ritenuta molto più trasparente. Lo

scandalo più eclatante, venuto fuori nel giugno del 2018, collegherebbe proprio

questa società alla SIAE; infatti quest’ultima avrebbe investito ben 400.000€

per indagare segretamente sulla gestione di Soundreef, portando alla luce delle

ipotetiche incongruenze con la Direttiva Barnier, di cui però gli amministratori

di Soundreef non si dicono preoccupati.

• Merchandiser – Sono organizzazioni che creano prodotti collegati all’industria

musicale acquisendo i diritti d’immagine degli artisti: poster, t-shirt, ma anche

superalcolici, tazze e qualsiasi tipo di prodotto rechi la firma dell’artista o la sua

immagine. Molti artisti danno vita a delle partnership con aziende produttrici,

ricevendo proventi derivati dalle royalties, o addirittura avviano in proprio dei

brand (l’abbigliamento è l’esempio più gettonato), sfruttando la propria immagine

pubblica e la fanbase acquisita attraverso la loro musica e puntando ad una

diversificazione molto redditizia. Infatti, secondo la Licensing Industry

47
Merchandisers’ Association, la vendita di merchandise collegato al mondo della

musica avrebbe raggiunto, nel 2016, il valore di 3,1 miliardi di dollari (circa il

16% dell’intera industria musicale) con un tasso di crescita del 10% rispetto

all’anno precedente. Appare chiaro come un artista che intenda affermare la

propria immagine sul mercato non possa prescindere da questa attività.

• Retailer – Costituendo il touchpoint tra ascoltatori e prodotti discografici, sono i

rivenditori al dettaglio di musica. Tradizionalmente potevano avere varia natura:

dai piccoli negozi specializzati alle grandi catene di distribuzione di hi-tech. Come

anticipato, la tecnologia ha radicalmente cambiato i processi di consumo di

musica e, contestualmente, anche quelli di acquisto/vendita di prodotti

discografici. Se i supporti fisici sono destinati ad estinguersi, eccezion fatta per il

vinile che però occupa solo una nicchia del mercato, lo streaming è diventato il

modello di riferimento. Sicuramente il player principale dello streaming globale

è Spotify, con un numero di utenti abbonati pari a 110 milioni, ma sulla scia di

questa, sono nate numerose altre piattaforme concorrenti che condividono con

questa un mercato da 8,98 miliardi di dollari. Ogni piattaforma cerca di

specializzarsi per l’esperienza di consumo offerta, basandosi su almeno due

direttrici: in primo luogo, per gli artisti, disponibili in base all’acquisto da parte

delle piattaforme dei diritti di distribuzione, e in secondo luogo per i servizi

connessi, come la possibilità di integrazione con i social network o la presenza di

algoritmi in grado di consigliare ad ogni utente quale possa essere il prodotto

musicale indicato, in base all’acquisizione di dati cache: all’aumentare

dell’utilizzo, aumenta così la qualità del servizio offerto. Ciò che accomuna tutte

le piattaforme è la strategia di vendita, definita freemium (contrazione di free-

gratuito- e premium) e consistente nell’offerta di un periodo di prova gratuito in

48
cui gli utenti possono provare l’applicazione, per poi essere invitati a sottoscrivere

un contratto di abbonamento oppure continuare a fruirne gratuitamente, seppur

con una riduzione delle funzionalità e con la presenza di pubblicità (non presente

nella versione a pagamento); i profitti sono generati, così, con le quote di

iscrizione al servizio premium e con gli spazi pubblicitari venduti nelle versioni

gratuite. Uno dei possibili motivi di successo dello streaming è anche il prezzo.

Infatti, in media, l’abbonamento a una piattaforma costa 9,90€ al mese (arriva fino

a 19,90€ per quelle che offrono la possibilità di ascoltare file in qualità FLAAC,

la migliore disponibile per il formato digitale) e dà la possibilità di accedere

istantaneamente a più di 50milioni di brani; la spesa sostenuta per l’acquisto di

dischi contenente l’equivalente numero di brani non avrebbe paragone (e la

pirateria è ancora una pratica illegale).

• Fornitori di strumenti audio – Il ruolo dei fornitori di strumenti audio è

fondamentale perché questi offrono i mezzi necessari affinché la musica possa

essere suonata e registrata. Comprendono le aziende coinvolte nei processi di

produzione e distribuzione di strumenti musicali, supporti audio fisici e digitali.

Storicamente la prima categoria di prodotti è sempre esistita e, sviluppandosi, ha

raggiunto nel 2018 un volume di 7,5 miliardi di dollari (Grand View Research,

2019). Il 63% degli utenti di questo settore è costituito da hobbisti, in particolare

teenager che dalla giovane età manifestano l’attitudine all’apprendimento di

musica, mentre i professionisti acquistano tipicamente pochi strumenti di

altissimo livello e alimentano il mercato attraverso la manutenzione necessaria a

questi ultimi. Con supporti audio fisici ci si riferisce a quella categoria di strumenti

complementare alla prima e di più recente sviluppo (XX secolo), in particolare

microfoni di vario genere (wireless, cablati e sistemi audio congressuali), mixer e

49
monitor. Il valore di questo settore ha raggiunto ad inizio 2019 la cifra di 3,7

miliardi di dollari ma ci si aspetta, a fronte di un tasso di crescita annuo (CAGR)

del 4,7%, raggiunga un valore di 4,88 miliardi di dollari nel 2024 (Analytical

Research Cognizance). A queste due categorie di prodotto si uniscono i supporti

audio digitali, definiti in gergo DAW (Digital Audio Workstation), dei software

che permettono, anche grazie agli strumenti fisici precedentemente descritti, di

registrare, mixare e modificare il suono per creare delle composizioni musicali.

L’impiego sempre più frequente di queste interfacce è dovuto innanzitutto al

cambiamento del gusto musicale, indirizzato al consumo di musica più elettronica

che quindi stimola la produzione di questi generi in digitale, e poi perché

attraverso l’impiego di questi software si può bypassare l’acquisto di grosse e

costose attrezzature da studio, soprattutto per i principianti o gli artisti e le

etichette indipendenti. Al 2017 il volume in ricavi del settore delle DAW è stato

di 2,12 miliardi di dollari, con una crescita attesa che dovrebbe portare questo

valore a 6,26 miliardi nel 2022 (Technavio, “Global Music Production Software

Market 2018-2022”).

• Società rappresentative del mercato discografico – Sono quelle organizzazioni

che si occupano di tutelare gli interessi dell’industria discografica. Nello specifico

sono incaricate del miglioramento delle leggi sul diritto d’autore, del

monitoraggio di internet e della raccolta di informazioni oltre che alla promozione

delle pubbliche relazioni nel settore discografico. La più importante, poiché

operante a livello internazionale, è la già citata International Federation of the

Phonogrphic Industry (IFPI), che annualmente produce un report informativo

sugli sviluppi del mercato, evidenziando i trend che hanno caratterizzato l’anno.

Ha l’headquarter a Londra e sedi a Hong Kong, Atene, Mosca, Miami e Bruxelles

50
e, parallelamente e in collaborazione con questa, ci sono numerose altre

organizzazioni che operano svolgendo delle funzioni analoghe per il mercato

dello Stato in cui agiscono. In Italia, ad esempio, vi è la Federazione Industria

Musicale Italiana che, monitorando le vendite sul suolo italiano, è anche incaricata

di fornire le certificazioni ufficiali (Disco d’oro, Disco di platino…).

2.4 I 3 tipi di etichetta discografica: modello delle 5 forze di Porter e RBV

Dopo aver evidenziato i processi della filiera produttiva dell’industria discografica e i

diversi stakeholder coinvolti in questi processi, è necessario concentrarsi sulle relazioni

che questi costruiscono nel settore, assumendo una prospettiva strategica. Lo strumento

di analisi principale della competitività di un settore, uno dei più usati dalle aziende e

nella letteratura economica, è il modello delle 5 forze di Porter (che prende il nome da

Michael E. Porter che lo creò nel 1979). Il modello, a differenza di molti altri con

analoghe finalità che si incentrano sulla singola azienda oggetto di analisi (come il

modello SWOT) o sulla semplice rivalità tra aziende, assume una prospettiva più ampia,

considerando le dinamiche e le relazioni che coinvolgono non solo i concorrenti diretti

ma anche quelle che caratterizzano la filiera produttiva a valle e a monte, i rischi derivanti

dall’ingresso di nuovi players o dallo spiazzamento dovuto dai prodotti sostituti. Nel

tempo sono state apportate al modello alcune importanti modifiche come l’aggiunta da

parte della School of Management di Yale, alla fine degli anni ’90, della sesta forza,

ovvero le imprese produttrici di beni complementari, e dell’effetto del governo nazionale

e locale, che come è possibile immaginare avrebbero un impatto rilevante sul mercato;

nonostante tutto Porter stesso confutò le asserzioni delle altre forze riferendosi ad

innovazione, governo e prodotti e servizi complementari come fattori influenti sulle 5

forze stesse.

51
Considerato che nel business della musica l’apporto dei beni complementari è poco

rilevante (perché genera effetti solo a monte e a valle della filiera) e le regolamentazioni

dei governi intaccano il settore limitatamente alla gestione del diritto d’autore che, come

evidenziato in precedenza a seguito dei trattati TRIPS, tende all’armonizzazione, il

modello delle 5 forze di riferimento è quello originale, come riportato nel seguente

grafico:

Fonte: Elaborazione propria, Medello delle 5 Forze, Michael E. Porter, 1979

Il punto di partenza è la rivalità competitiva, il mercato vero e proprio (rettangolo

azzurro), ovvero l’insieme delle imprese che attualmente operano in concorrenza

all’interno del mercato stesso. Se avere una chiara idea di chi siano competitors diretti è

fondamentale per assumere una determinata immagine che permetta al pubblico di

differenziare un’azienda sul mercato, l’attenta analisi delle strategie adoperate da questi

permette invece di elaborare delle risposte repentine riducendo il rischio di spiazzamento

(seppur l’imitazione resti comunque una delle strategie perseguibili, nei limiti legali

previsti per la fattispecie di confusione nella concorrenza sleale). Alcuni dei fattori di

maggior rilievo possono essere: il mantenimento del vantaggio competitivo attraverso

52
l’innovazione, i tassi di concentrazione del mercato (calcolabili ad esempio con il market

share) e gli investimenti in marketing.

A monte ci sono i fornitori, ossia tutte quelle imprese che forniscono ad un’azienda input

di varia natura, dalle materie prime all’esperienza lavorativa del capitale umano, e che

pertanto ricoprono un ruolo fondamentale per la sua attività. Questo tipo di relazione è

caratterizzata per natura dagli equilibri del potere contrattuale reciproco che, in base al

business o alla struttura delle aziende, può essere a favore del fornitore o dell’acquirente.

L’equilibrio può dipendere da fattori come il grado di differenziazione degli input forniti,

la loro specificità e il loro prezzo o ancora dal grado di concentrazione di imprese

fornitrici o dalla capacità dell’impresa acquirente di riuscire ad integrarsi verticalmente.

A valle, invece, si trovano gli acquirenti le quali relazioni, anche in questo caso, sono

mediate dall’equilibrio della forza contrattuale, indipendentemente dal business in cui si

operi (B2B – vendita ad altre imprese o B2C – vendita al consumatore finale). Il potere

contrattuale risente in questo caso da fattori quali il grado di dipendenza dai canali

distributivi, gli switching cost dei compratori (quelli da sopportare nel caso in cui si

volesse consumare un prodotto differente, di cui il prezzo è solo una delle variabili),

l’esistenza di prodotti sostituti e la presenza diffusa di informazioni. Su entrambe le

relazioni verticali appena descritte influisce, inoltre, l’elasticità ai prezzi.

Le relazioni orizzontali descritte dal modello, invece, riguardano il rischio derivato dai

prodotti sostituti e la minaccia di ingresso nel mercato di nuove imprese. Con prodotti

sostituti si intendono quei prodotti che sfruttano una diversa tecnologia ma che soddisfano

le medesime esigenze economiche e che potrebbero permettere alle aziende produttrici di

sottrarre quote di mercato alle imprese operanti nello spazio economico di riferimento. In

questo caso i vantaggi competitivi mantenuti da queste ultime imprese sono minacciati

dai bassi switching costs per il passaggio a prodotti sostituti, da migliori rapporti

53
qualità/prezzo, dalla percezione del loro grado di differenziazione e dalla loro

disponibilità sul mercato.

Infine, un’importante aspetto da non sottovalutare è il potenziale ingresso di nuove

imprese che potrebbero, grazie ad un modello di business differente, sottrarre quote di

mercato a quelle già operanti nel settore. Le variabili incidenti in questo caso sono il grado

di concentrazione del mercato (le percentuali di market share), il brand equity, le alte

barriere all’ingresso, dovute ad esempio a dei brevetti, il modello di strategia impiegato

e la differenziazione di prodotto (perché se due imprese producessero lo stesso prodotto

o impiegassero la stessa strategia la competizione si declinerebbe in una guerra di prezzo)

e la struttura dei costi, ovvero il rapporto tra costi fissi e variabili.

Nonostante la sua diffusa applicazione, il modello delle 5 forze non è stato esente da

critiche perché costruito tenendo conto di assunzioni molto forti, ovvero:

• Competitors, acquirenti e fornitori non sono collegati tra loro e non colludono;

• Il livello di incertezza è considerato basso (alta circolazione di informazioni) e

permette alle aziende di indirizzare le strategie in relazione ai comportamenti

degli altri agenti (eliminando i problemi di selezione avversa e azzardo morale

derivanti dall’asimmetria informativa);

• Le fonti del valore sono un vantaggio competitivo perché creano barriere

all’ingresso.

Tuttavia il modello è comunque considerato valido dalla letteratura economica,

soprattutto se utilizzato in combinazione con altri complementari come il Resource Based

View che, al contrario del primo, costituisce uno strumento di analisi interna finalizzato

all’identificazione delle risorse distintive necessarie al mantenimento del vantaggio

competitivo. Il processo previsto da tale modello è il seguente:

1. Identificazione delle potenziali risorse chiave dell’impresa;

54
2. Verificare che tali risorse soddisfino il cosiddetto criterio VRIN:

a. Valutabili – permettano all’impresa di implementare strategie che ne

migliorino efficienza ed efficacia

b. Rare – ovvero non disponibili ai competitors

c. Imperfettamente imitabili – non facilmente implementabili dagli altri

player

d. Non sostituibili – da altre risorse meno scarse presenti sul mercato;

3. Elaborare strategie per alimentare, sviluppare e proteggere le risorse che avessero

eventualmente soddisfatto i precedenti requisiti.

I modelli appena descritti possono essere utilizzati per comprendere l’industria

discografica in una prospettiva strategica, evidenziando le relazioni di mercato e i legami

tra gli stakeholder che lo popolano. Per analizzare l’applicazione dei modelli, conviene,

in condivisione con le teorie descritte dall’economista Cvetkovski in “The Political

Economy of the Music Industry” del 2004, dividere le realtà discografiche in tre

categorie:

• Etichette major

• Etichette indipendenti

• Micro-etichette

Si evidenzierà come, ordinatamente dal primo all’ultimo caso, la capacità di acquisire un

vantaggio competitivo e di mantenerlo diventa per le etichette/artisti sempre più difficile,

poiché si affievolisce il potere contrattuale nelle relazioni verticali ed aumentano i rischi

connessi all’ingresso di nuovi competitors diretti e quelli relativi ai prodotti sostituti.

In aggiunta, lo studio della storia evolutiva dell’industria discografica ha evidenziato la

tendenza all’acquisizione da parte delle major delle etichette indipendenti che tipicamente

iniziano la propria attività autonomamente, acquisendo visibilità, prestigio e

55
riconoscibilità presso il pubblico ma che prima o poi, quasi inevitabilmente, sono

destinate ad essere acquistate da un’etichetta più grossa. La conseguenza più evidente è

che, con il tempo, i capitali finanziari convergono nelle mani di pochi player e questo,

nell’attuale economia globale, indica il controllo del mercato stesso. Per questo motivo il

caso delle major, fenomeno di convergenza del settore, sarà quello più approfonditamente

analizzato.

Etichette major

Fonte: Elaborazione propria, Medello delle 5 Forze, Michael E. Porter, 1979

Assumendo il punto di vista di un’etichetta major, si ottiene un quadro ampio e completo,

caratterizzato da relazioni riconducibili a quelle mostrate nel grafico sovrastante. Il

mercato è fortemente concentrato dal momento che le tre etichette principali si dividono

il 71,5% delle quote di mercato e, di fatto, lo influenzano notevolmente puntando a

mantenere l’equilibrio competitivo. Un controllo finanziario così accentrato, fa sì che si

vengano a formare delle grosse barriere all’ingresso che renderebbero impossibile

l’ingresso di nuovi player, almeno nel breve-medio periodo, e di conseguenza il rischio

di entrata di nuovi competitors diretti è molto basso. Allo stesso modo, il rischio di

56
spiazzamento dovuto a prodotti sostituti è da considerarsi basso dal momento che l’alto

grado di diversificazione di prodotto in termini di offerta artistica delle major, attuata

attraverso l’acquisizione delle etichette indipendenti, la disponibilità di ingenti capitali

finanziari e di una grossa rete di conoscenze, permette loro di elaborare prontamente delle

risposte operative in grado di ristabilire l’equilibrio di mercato nell’immediato (in questo

caso il prodotto sostituto è costituito da un nuovo genere musicale/artista ad esempio). I

fornitori delle major sono gli artisti non collegati ad altre etichette o addirittura intere

etichette, dal momento che i costi da sostenere per la rescissione del contratto di un artista

potrebbero essere più alti di quelli necessari all’acquisto dell’etichetta intera. Anche in

questo caso il potere contrattuale delle major è a loro favorevole, dato che possono

permettersi di offrire ingaggi molto elevati e curare gli aspetti distributivi grazie alla fitta

rete di stakeholder di cui si avvalgono. Tradizionalmente l’acquisizione di un artista o di

un’etichetta era la prassi e nella maggior parte dei casi lo è tutt’ora, ma la rivoluzione

digitale e la facilità di raggiungere le piattaforme di distribuzione che questa ha generato,

unito alle più tradizionali esigenze di non sottoporre la propria offerta artistica al veto

delle major, spiega perché alcune etichette decidano di rimanere indipendenti.

Il passaggio caratterizzato dal maggior grado di incertezza è quello a valle, costituito dalla

relazione con i distributori e il pubblico. Se i primi interlocutori (da intendere come

qualsiasi canale selezionato per il contatto con la musica) possono essere controllati

affinché non generino squilibri rilevanti nel medio-lungo periodo (si veda il caso della

pirateria che ha destabilizzato il mercato per un periodo di tempo limitato, trasformandosi

poi nel fenomeno dello streaming), i secondi rimangono sempre un’incognita, in quanto

il gusto degli ascoltatori non può essere previsto; tuttavia anche in questo caso, però, i

cambiamenti possono essere arginati da strategie mirate a ristabilire gli equilibri. Va

comunque considerato che, come in ogni settore, il potere del brand costituisce un

57
elemento molto influente, una garanzia per il consumatore costantemente alimentata dagli

ingenti investimenti in comunicazione adoperati grazie alla solidità finanziaria sulla quale

le major possono fare affidamento.

In base a questa analisi è possibile affermare che la posizione competitiva tenuta dalle

major nel mercato discografico sia molto solida e poco sensibile alle minacce o ai rischi;

storicamente è evidente che le uniche crisi riscontrate siano da ricondurre allo

spiazzamento tecnologico al quale queste non furono in grado di rispondere

repentinamente ma dal quale sono state tuttavia in grado di riprendersi, mantenendo il

controllo delle quote di mercato. La disponibilità di grossi capitali finanziari che ne

aumentano il potere contrattuale, la presenza capillare sul territorio mondiale, sia diretta

che tramite etichette controllate, che si trasforma in una fitta rete di collaboratori e

nell’estrema diversificazione nell’offerta, costituiscono le fonti alla base del vantaggio

competitivo delle etichette major.

Etichette indipendenti

Fonte: Elaborazione propria, Medello delle 5 Forze, Michael E. Porter, 1979

58
Lo scenario cambia radicalmente assumendo la prospettiva di un’etichetta indipendente.

Queste infatti sono molto più numerose in quantità ma contribuiscono ai ricavi di settore

solo per il 28,5% insieme agli artisti, indicando un’elevata rivalità competitiva tra i

players e una profonda diversità delle dinamiche che lo caratterizzano. Il potere

contrattuale con i fornitori, in questo caso artisti o comunque le figure professionali

tecniche (p 2.3), è naturalmente più debole rispetto a quelle delle major e dipende molto

più dal prestigio dell’etichetta, in termini o di proposta artistica o di opportunità di

crescita, e anche in questo caso il livello di competizione è molto elevato, dal momento

che un artista può “fornire” le proprie prestazioni solo ad un’etichetta per volta. A valle,

invece, la forza contrattuale delle indipendenti si è recentemente rafforza; infatti, grazie

alla diffusione di internet e alla nascita di programmi digitali che svolgono la funzione di

intermediario, è possibile per queste raggiungere molto facilmente e a basso costo le

piattaforme di streaming, i distributori principali. Per quanto riguarda il pubblico e major,

invece, l’equilibrio del potere contrattuale dipende molto dall’offerta artistica

dell’etichetta: ad una proposta di valore percepita come unica ed inimitabile (grazie anche

alla capacità dell’impresa di comunicare questo valore), aumenta la forza contrattuale e

assieme a questa il pubblico di utenti e la probabilità di acquisto da parte di una major

come conseguenza. I rischi connessi all’ingresso di nuove etichette o di prodotti sostituti

(da intendere in questo caso come nuovi generi o proposte artistiche radicalmente

differenti) sono molto elevati e la possibilità di mantenere nel tempo un vantaggio

competitivo dipende quasi esclusivamente dall’offerta di musica che un’etichetta è in

grado di proporre; l’attività di A&R risulta di conseguenza fondamentale. Risulta

evidente, infine, come l’individuazione di artisti di rilievo, la loro ritenzione e la capacità

di implementare strategie di marketing efficaci siano fattori determinanti al

mantenimento di un vantaggio competitivo.

59
Micro-etichette

Fonte: Elaborazione propria, Medello delle 5 Forze, Michael E. Porter, 1979

Con micro-etichette si indicano quelle realtà costituite quasi esclusivamente dall’artista,

che autonomamente decide di compiere tutti i passaggi necessari a far raggiungere la

propria musica ad un pubblico. Questo scenario si presenta come il più competitivo non

solo perché caratterizzato da più giocatori ma anche perché le relazioni verticali sono

molto difficili da stringere in maniera favorevole per gli artisti, i rischi connessi

all’ingresso di nuovi artisti sono molto elevati e i prodotti sostituti, di fatto, sono già quelli

più consumati. Le dinamiche che permettono agli artisti di sopravvivere in un mercato

così concentrato e competitivo dipendono in primo luogo dalla possibilità di usufruire di

strumenti tecnologici che possano permettere di sviluppare un progetto senza il supporto

di un’etichetta, ma la sua riuscita commerciale dipende (oltre che dalla qualità artistica

del prodotto) da numerose esternalità di difficile quantificazione. Tuttavia quasi tutti gli

artisti sono destinati a firmare con un’etichetta (indipendente o meno) per ottenere

privilegi economici e operativi.

60
2.5 Risorse distintive: la comunicazione

Tralasciando la capacità creativa degli individui, di difficile quantizzazione e di

soggettiva apprezzabilità, l’analisi del modello delle 5 forze e del RBV evidenzia come

uno dei cardini della competitività delle imprese/artisti operanti nel settore sia la

comunicazione. Questa si dimostra tanto fondamentale nelle relazioni interne, data la

numerosità degli attori coinvolti nella filiera del settore, tanto in quelle esterne, dove si

palesa la necessità di comunicare al mercato il valore artistico dei prodotti musicali.

Per comprendere l’importanza dell’attività di networking, è necessario tenere a mente lo

schema riportato di seguito, elaborato dal Prof. Andrew Leyshon in relazione alla

compressione generata dalla tecnologia nell’industria musicale.

Creatività

Riproduzione

Distribuzione

Consumo

Fonte”Reformatted: Code, Networks and the trasformation of the Music Industry”, Andrew Leyshon, 2014

Come è possibile notare i collegamenti interni all’industria sono numerosi (indicati dalle

freccette) e di molteplice natura (le quattro aree) ed è chiaro come costruire delle solide

61
relazioni basate sulla fiducia reciproca e improntate alla collaborazione possa permettere

di ottenere delle condizioni favorevoli di mercato e di conseguenza un vantaggio

competitivo. Elaborazione di piani efficaci ed efficienti, sviluppo dell’innovazione e

maggiori opportunità di business sono solo alcuni dei benefici derivanti dal network.

Ancora più rilevante è l’effetto generato sull’area creativa, quella caratteristica

dell’apporto di maggior valore aggiunto nel settore, dove la collaborazione tra gli attori,

di fatto, permette una fluida trasmissione delle informazioni, in particolare quelle definite

“codificate”, il know how più puro che può essere trasmesso solo attraverso

l’osservazione e/o la pratica (i cosiddetti learning by watching e learning by doing).

L’importanza della comunicazione tra gli agenti del settore e il loro scambio di

informazioni codificate spiega il perché della formazione, nel corso della storia della

musica, di veri e propri cluster musicali: la Vienna di Mozart agli inizi dell’800, la Londra

rock degli anni ’60 o Atlanta che attualmente domina la scena rap sono solo alcuni degli

esempi più importanti. Le cause economiche e sociali che hanno permesso la nascita dei

cluster musicali sono state sempre differenti nel corso del tempo ma, assumendo una

prospettiva più ampia, è possibile spiegare come il fenomeno delle economie di scala

esterne, quelle di agglomerazione, che rispecchiano le più recenti esperienze, siano una

conseguenza diretta dell’apertura globale dei mercati nel post-fordismo, quando fu

chiesto alle imprese di scegliere se delocalizzare gli impianti produttivi, mantenendo un

certo livello di integrazione verticale, o intraprendere la specializzazione flessibile.

Infatti, se da un lato l’economia globale ha condotto all’accentramento del controllo

finanziario, dall’altro ha testimoniato la dispersione di numerose realtà organizzative nel

mondo e la loro sopravvivenza è da ricondurre alla loro capacità di collaborare

scambiandosi beni e servizi, formando degli agglomerati industriali in grado di competere

globalmente; il cluster infatti è definito da Myrdal e Perroux come unica via di

62
sopravvivenze per le piccole e medie imprese, il vero e proprio antidoto alla crisi

dell’economia post-fordista. In linea generale e nella sua forma più semplice, la genesi di

un cluster è la seguente: un’impresa (tipicamente una realtà di grosse dimensioni) decide

di aprire uno stabilimento produttivo (o di delocalizzarne uno) in un’area in cui è possibile

usufruire di alcune condizioni di mercato favorevoli (un grande disponibilità di materie

prime o manodopera ad esempio) o caratterizzato da una particolare cultura lavorativa e,

successivamente, attratte dalle opportunità di business, sorgono intorno a questa

numerose altre realtà con le quali la prima è legata attraverso delle relazioni di mercato

in un’ottica competitiva indirizzata alla collaborazione. Superficialmente, i vantaggi

rincontrabili nell’immediato riguardano l’abbattimento dei costi di transazione (dovuti

alla vicinanza fisica delle aziende) ma nel medio-lungo periodo, lo scambio di know how

e di risorse, genera una crescita simultanea di tutti gli attori coinvolti nel cluster. La storia

economica degli ultimi 50 anni è piena di esempi di cluster (il più rilevante è sicuramente

la Silicon Valley) e se si considera l’applicazione di questo schema alle industrie creative

e culturali i benefici di crescita e sviluppo ottenuti sono ancora più importanti perché

possono riguardare anche intere regioni; si tratta dell’effetto spillover che consiste nella

diffusione dei benefici ottenuti dai cluster alle aree più periferiche e non direttamente

operanti nel settore, seguendo la logica del trickle down. È così che nell’industria

musicale, l’apertura di una singola etichetta in una determinata area conduce al complesso

schema di relazioni descritto da Leyshon.

D’altro canto, l’affermazione dell’economia globale, la diffusione di internet e la crescita

del settore dei media e dell’entertainment spiegano, invece, perché la comunicazione

rivolta al pubblico sia così rilevante. Ancora una volta, i dati IFPI del 2017 indicano

investimenti in marketing da parte delle etichette per un valore di 5,8 miliardi di dollari

(il 30,37% dei ricavi totali di settore), con una crescita del 28,89% rispetto al 2015.

63
È interessante notare come la disciplina abbia seguito delle linee evolutive di grossa entità

proprio in quanto prodotto sociale strettamente interconnesso alla società e ai mercati,

ovvero il ponte attraverso cui transitano le informazioni dall’impresa al consumatore.

Nonostante ciò, alla base delle attività di marketing si sono sempre riscontrate due

esigenze prioritarie: la soddisfazione del cliente e l’offerta di un prodotto superiore

rispetto a quello della concorrenza. Queste linee direttrici hanno condotto nel tempo

all’individuazione di quattro approcci di marketing:

1. Marketing transazionale

2. Marketing basato sulla relazione

3. Marketing basato sull’esperienza

4. Marketing non convenzionale

1. Marketing transazionale

Si tratta dell’approccio più ampliamente utilizzato e, nonostante sia il più vecchio,

fornisce comunque degli importanti strumenti operativi di attuale applicabilità. Rimasto

l’unico vero approccio fino agli anni ’80, è basato sul principio di mercato, ovvero

l’incontro tra la domanda e l’offerta che prende luogo con la transazione da costruire e

monitorare attraverso l’utilizzo del cosiddetto marketing mix, le 4P, che rappresentano

uno strumento da cui un addetto al marketing non può prescindere. Le 4P sono:

• Prodotto – riguarda le attività di analisi della domanda, i controlli di ciclo di vita

del prodotto e le aspettative dei consumatori circa il prodotto da

commercializzare. Come ci si può aspettare, in questa fase è richiesto agli addetti

al marketing una stretta collaborazione con i dipartimenti produttivi e con quelli

responsabili della ricerca e dello sviluppo.

64
• Promozione – comprende le attività di analisi dell’ambiente esterno all’impresa

che culminano con la suddivisione del mercato in diversi segmenti; lo step

successivo è quello della trasmissione di un messaggio specifico a ciascuna delle

categorie precedentemente individuate con l’intento di massimizzare la visibilità

prima e poi l’interesse dei consumatori nei prodotti offerti.

• Prezzo – si tratta delle delicate attività di selezione del prezzo del prodotto,

rilevanti sia per l’immagine che il prodotto ricoprirà al momento del suo lancio

che per consentire all’impresa di acquisire dei ritorni economici consistenti.

Anche in questo caso la scelta di questa leva del mix deve essere coerente con la

strategia intrapresa: ad esempio una strategia di costo, definita così perché

l’impresa che la applica è capace di produrre a costi più bassi rispetto a quelli dei

competitors, prevede un prezzo del prodotto finale inferiore a quello della media,

facendo leva su una logica di posizionamento del tipo “miglior rapporto

qualità/prezzo”, mentre la strategia di prezzo, al contrario, fa corrispondere ad

un’immagine di prodotto premium un prezzo più elevato rispetto alla media di

mercato, facendo leva sulle caratteristiche di unicità del prodotto offerto.

• Posto – riguarda le attività di collocamento fisico del prodotto attraverso i canali

di distribuzione, il primo contatto tra prodotto e il cliente. È di sicuro l’attività che

dipende di più dalle altre ed è richiesta una grande coerenza tra le altre variabili

per poter posizionare con successo un prodotto sul mercato.

Questo approccio così schematico alla disciplina potrebbe risultare ormai obsoleto per un

mercato come quello della musica, ma costituisce comunque uno strumento di analisi

preliminare da utilizzare, in coerenza con gli obiettivi strategici, in combinazione con gli

altri approcci.

65
2. Marketing basato sulla relazione

Costituisce un approccio nato per contrastare le mancanze e le debolezze dell’approccio

basato sulla transazione perché, proprio a differenza di questo, il focus è posto sulla

relazione tra l’impresa e il cliente, la sua soddisfazione e la sua lealtà. Lo scopo è quello

di costruire una solida e duratura relazione con il consumatore finale che sia in grado non

solo di produrre benefici economici per l’impresa ma che massimizzi anche la

soddisfazione del cliente. Alcune delle attività richieste da questo approccio:

• Brand management – massimizzando il valore dell’immagine dell’impresa

percepita dal mercato.

• Sistema di informazioni – la raccolta dati finalizzata all’analisi dei

comportamenti dei clienti.

• Ritenzione dei clienti – mantenere un collegamento costante con i clienti,

alimentando di volta in volta il rapporto con questi.

• Comunicazione bilaterale – per costruire una relazione solida e duratura è

necessario un costante scambio di informazioni specifico e mirato che non solo

informi il cliente delle iniziative dell’impresa, ma che possa anche permettere a

quest’ultima di rimanere aggiornata sugli sviluppi evolutivi dei bisogni e dei

comportamenti dei primi.

L’applicazione di questo approccio di marketing al settore della musica si manifesta nel

fenomeno del fandom, ovvero l’interesse costante ed incondizionato di un ascoltatore nei

confronti di un artista/etichetta.

3. Marketing basato sull’esperienza

Si tratta di un approccio molto recente basato sulle capacità di un prodotto o servizio, e

le attività a questo collegate, di creare un’esperienza per il consumatore.

66
Secondo un modello presentato nel 2008 dal Prof. Clinton Lanier dell’Università di St.

Thomas, le caratteristiche in grado di incidere sulla formazione di un’esperienza sono le

seguenti:

• Narratività – ovvero le modalità in cui è comunicata l’importanza del prodotto;

fornire una chiara idea dei temi, degli obiettivi e degli ideali risulta fondamentale

per la creazione di un framework all’interno del quale il cliente possa elaborare la

propria esperienza.

• Connettività – ossia la capacità d’esperienza prodotto/servizio di essere connessa

tra le reti, i media e gli utenti; in questo modo non solo si consoliderà la memoria

dell’esperienza, ma sarà maggiore la riconoscibilità tra i consumatori.

• Liminalità – la capacità di portare il consumatore in una dimensione liminale,

ovvero che trascenda dalla percezione creando un ingaggio basato sulla

partecipazione e l’interazione.

• Molteplicità – la caratteristica di coinvolgere allo stesso momento più sensi,

l’intelletto, l’immaginazione e il corpo, determinando così un impatto memorabile

per il consumatore.

Il prodotto musicale, in quanto frutto dell’espressione artistica, costituisce per

definizione un consumo esperienziale ma se si pensa alle logiche della musica dal

vivo questo paradigma acquisisce ancora maggiore validità.

4. Marketing non convenzionale

Costituisce l’approccio più recente e per la propria natura, non esiste una metodologia o

un processo da seguire per la sua implementazione, a differenza delle altre strategie: la

sua riuscita potrebbe costituire un grande successo ma anche un grande fallimento. La

logica alla base dell’approccio è quella di riuscire ad ottenere risultati migliori rispetto a

67
quelli delle campagne tradizionali dei competitors, tipicamente utilizzando un budget più

ristretto e per raggiungere questo obiettivo sono richiesti un elevato livello di flessibilità

e una grande creatività. I due principali orientamenti di quest’approccio di marketing sono

il societing, cioè l’analisi degli aspetti sociali sottostanti un mercato e il guerrilla

marketing (come ad esempio l’utilizzo dei meme del viral marketing o il real time

marketing). Se praticati in maniera coerente e con un’ampia conoscenza delle dinamiche

di mercato, questi espedienti possono terminare in una campagna di successo.

Box n°7 STRATEGIE NON CONVENZINALI: Promuovere musica tramite App

Un’importante esempio di strategia di marketing non convenzionale è fornita dalla

recente esperienza dell’artista Moby, che ha deciso di pubblicare il suo ultimo album

attraverso l’app digitale “Calm”. L’applicazione offre ai propri utenti dei programmi

di meditazione e Moby, polistrumentista di fama mondiale, è noto per le sue

composizioni dai ritmi blandi e psichedelici. La sua strategia è consistita nella

diffusione del suo ultimo album attraverso Calm in anteprima mondiale, con

un’esclusiva di 30 giorni ed è risultata tanto efficace quanto poco convenzionale: prima

di tutto ha puntato un target di sicura acquisizione, offrendo loro un prodotto che

avrebbero gradito sicuramente in quanto allineato con i loro gusti e in esclusiva, e in

secondo luogo perché ha di fatto distribuito la sua musica su una piattaforma che con

la musica ha ben poco a che fare.

68
3. Analisi empirica: musica, tecnologia, comunicazione e media

Per provare a spiegare in concreto il modo in cui il consumo di musica è influenzato da

altre variabili è necessario ricorrere a degli strumenti statistici e, tra questi, quello che

meglio rispecchia queste esigenze di indagine è la regressione lineare multipla. Il

modello, indica le variazioni registrate da una variabile dipendente al variare delle

variabili indipendenti. Nella sua forma lineare si presenta così:

Dove:

y = rappresenta la variabile dipendente, quella della quale si vogliono conoscere le

dinamiche, il risultato previsto dal modello

beta0 = è l’intercetta, ovvero il valore che la y assume quando tutte le variabili

indipendenti (x) sono pari a 0

beta1, …, n = è un indice di variabilità, il coefficiente relativo alle variabili x1, …, n che

spiega quanto una variazione unitaria di questa variabile influisca sulla variabile

dipendente y

x1, …, n = le variabili indipendenti del modello, quelle le quali variazioni influenzano la

variabile dipendente y

Nel caso specifico sarebbe interessante verificare come i tre aspetti più rilevanti incontrati

nel corso delle analisi di settore, ovvero la tecnologia, la comunicazione e gli altri media,

producano effetti sul consumo di musica. Per costruire il modello è stato necessario

raccogliere dati da un campione di 150 individui (e quindi un campione statisticamente

rilevante), ottenuto attraverso la diffusione sui social network (Facebook e Whatsapp

69
nello specifico) di una survey costruita utilizzando la piattaforma opensource di Google.

È stato richiesto al campione in questione di rispondere alle seguenti domande:

• Età?

Suddividendo le risposte in tre classi di valori, 0-17, 18-35, >35, l’intento è quello di

profilare il campione per verificare le differenze di comportamento in base all’età;

tuttavia, i risultati dell’indagine hanno testimoniato una netta maggioranza di individui

con età compresa tra i 18 e i 35 anni (88.7%) e addirittura alcuna appartenenza al

segmento relativo all’età 0-18, dimostrando inutile un’analisi basata sulle differente

riscontrate nella classificazione del campione per età quanto piuttosto incentrata sul

segmento moda (quello al quale appartiene la maggior parte degli individui).

Elaborazione propria, Consumo di musica, Google Survey

• Sesso?

Poco rilevante ai fini della ricerca, offre comunque uno strumento di profilazione, utile

per comprendere le differenze di comportamento di queste categorie di soggetti. I risultati

hanno evidenziato la prevalenza del sesso maschile nella risposta al questionario (58%).

70
Elaborazione propria, Consumo di musica, Google Survey

• Ascoltatore passivo o ascoltatore attivo?

È stato chiesto di indentificarsi in una delle due categorie, da intendere in questo modo:

ascoltatore attivo è colui che partecipa con interesse ad eventi musicali, si informa circa

tutte le novità del panorama o suona uno strumento, al contrario degli ascoltatori passivi.

In sintesi, l’ascoltatore attivo è colui che raggiunge il prodotto musicale di sua sponte,

mentre il passivo fa in modo che sia la musica a raggiungerlo. Anche in questo caso è

interessante analizzare le differenze tra le due categorie di soggetti.

I dati hanno evidenziato una maggioranza di ascoltatori attivi (60%).

Elaborazione propria, Consumo di musica, Google Survey

• Quante ore passi ad ascoltare musica in media al giorno?

In un range che va da 1 a 10, di scelta arbitraria, indica la percezione di ore di musica

ascoltata al giorno dagli individui del campione. Il valore in questione rappresenta la

71
variabile dipendente del modello y, quella di cui si vuole analizzare l’andamento e

l’indagine ha riportato una media di ore di musica ascoltata al giorno pari a 2,44.

Elaborazione propria, Consumo di musica, Google Survey

• Attraverso quale strumento ascolti musica con più frequenza?

È stata data la possibilità di scegliere tra “Analogico (vinili e cassette)”, “Radio”,

“Digitale (CD e download di Mp3)”, “Youtube (o piattaforme simili come SoundCloud)”

e “Piattaforme streaming (Spotify ecc.)”, con l’intento di rappresentare il livello di

tecnologia impiegato nell’ascolto di musica. Poiché non si tratta di una variabile numerica

ma descrittiva, è stato assegnato ad ogni supporto tecnologico un valore che va da 1 a 5,

arbitrariamente attribuito, rappresentativo del livello di tecnologia (e così “analogico”=1,

…, “piattaforma streaming”=5). Nel modello di regressione, questi valori rappresentano

la prima variabile indipendente x1.

Elaborazione propria, Consumo di musica, Google Survey

72
• Come sei entrato in contatto con gli ultimi dieci brani che ti sono piaciuti?

Le soluzioni proposte sono state le seguenti: “Passaparola (il consiglio di un amico)”,

“Evento pubblico”, “Radio”, “Suggerimento di internet (consigli di YouTube o Spotify

ad esempio)” e “Pubblicità (TV o internet)”. L’intento è quello di verificare l’esposizione

del campione agli investimenti in comunicazione delle imprese discografiche. Anche in

questo caso è stato affidato arbitrariamente e rispettivamente a ciascuna risposta, un

valore in un range che va da 1 a 5, rappresentativo della notorietà che un determinato

brano ha acquisito in relazione agli spazi e alle modalità con cui il campione vi è entrato

in contatto. Nel modello di regressione i valori rappresentano la seconda variabile

indipendente x2.

Elaborazione propria, Consumo di musica, Google Survey

• Quali attività preferisci svolgere nel tempo libero?

In questo caso, sono state fornite delle risposte standard ma è stata data anche la

possibilità di rispondere apertamente, essendo l’oggetto dell’indagine l’esposizione del

campione ai media. Nello specifico ci si trova in presenza di una variabile dummy, ovvero

una variabile che può assumere solo valore 1 (rispetta una particolare caratteristica –

esposizione ai media positiva) o 0 (non la rispetta - esposizione ai media negativa). Nel

modello di regressione costituisce la terza variabile indipendente x3.

73
Elaborazione propria, Consumo di musica, Google Survey

Va comunque considerato che la statistica è pur sempre un’approssimazione della realtà,

che di conseguenza potrebbe non rispecchiarla a pieno e che dipende dal numero, dalla

qualità e dall’interpretazione dei dati raccolti; in questo caso agli indicatori individuati è

stato assegnato un valore arbitrario, senza tener conto di una base numerica

universalmente valida che potesse spiegare la differenza tra i valori attribuiti alle variabili.

Per quest’ordine di ragioni il modello statistico oggetto di studio non è da considerarsi

una fedele rappresentazione della realtà, pur costituendo una approssimazione utile

all’analisi delle tendenze riscontrate.

I risultati ottenuti dalla ricerca sono i seguenti:

Elaborazione propria, Consumo di musica, Microsoft Excel

74
Nella sua versione lineare, il modello può essere espresso (approssimando alla quarta

cifra decimale) come segue:

Y = 1,5543 + 0,1606 X1 + 0,0215 X2 + 0,1363 X3

Come è possibile riscontrare, ciascuna delle variabili influisce positivamente sul consumo

di musica perché tutti i coefficienti delle variabili X sono positivi. Nello specifico, un

aumento di un’unità di “tecnologia” (X1, ovvero il passaggio ad un supporto tecnologico

con un ranking più alto tra quelli riportati) genera un aumento del consumo di musica pari

a 0,1606, un aumento di un’unità di “comunicazione” (X2, ovvero il passaggio da un

metodo di comunicazione ad un altro con ranking più alto) produce un aumento pari a

0,0215 e l’esposizione ai media genera un aumento di 0,1363 ore di musica ascoltate al

giorno.

L’aspetto più rilevante, tuttavia, è quello da ricondurre alle variazioni riscontrate

analizzando singolarmente i risultati delle due categorie di soggetti precedentemente

individuati, gli ascoltatori attivi e gli ascoltatori passivi. Nel caso dei primi, il modello

assume la seguente forma:

Elaborazione propria, Consumo di musica, Microsoft Excel

I coefficienti assumono valori molto diversi ad eccezione dell’esposizione ai media,

primo tra tutti l’intercetta, che in assenza di intervento delle variabili indipendenti

(quando le X sono uguali a 0) assume un valore pari a poco più del doppio che nel caso

75
precedente. Sicuramente il dato più interessante è la dipendenza negativa (pari a -0,1366)

dai supporti tecnologici, in contraddizione con il caso standard, che potrebbe essere

spiegato con dei fenomeni come il fandom e quindi con il collezionismo di musica su

supporti fisici o la recente tendenza al revival dei vinili. Un ascoltatore attivo, quindi,

risulta in media meno influenzato dalla tecnologia del supporto impiegato per l’ascolto di

musica.

Per quanto riguarda invece gli ascoltatori inattivi, i risultati ottenuti sono i seguenti:

Elaborazione propria, Consumo di musica, Microsoft Excel

Tutti i coefficienti hanno un effetto meno significativo sul consumo di musica giornaliero

e addirittura gli strumenti di comunicazione hanno un impatto negativo, esplicativo della

mancanza di interesse da parte di questa categoria di soggetti nell’informazione

riguardante tale tipo di prodotto.

76
4. Il settore della discografia: considerazioni sulla gestione di successo

di un’impresa musicale

Alla luce dei risultati ottenuti e delle analisi svolte è possibile affermare che, come del

resto in ogni settore economico, non esista una formula universalmente valida per il

successo di un’impresa, nonostante ci siano sicuramente alcuni aspetti rilevanti dai quali

non si può prescindere se si vuole ottenere e mantenere una posizione competitiva di

vantaggio sul mercato. Primo tra tutti, la componente distintiva per eccellenza di

un’impresa musicale è la proposta artistica, il prodotto musicale in sé: ma come è

possibile creare un prodotto che abbia successo in un mercato così concentrato e così

soggetto alle mode?

Il successo di una produzione, nel lungo periodo, sicuramente si può ottenere coniugando

commerciabilità e mercato mainstream con la creatività, l’avanguardia e il mercato di

nicchia; per comprendere le modalità con cui questo processo può avere luogo è utile

paragonare quest’industria e i suoi prodotti con il settore tecnologico, con cui condivide

un elevato impiego di creatività e di innovazione.

Se uno dei fattori di principale successo consiste nell’anticipare le tendenze di mercato,

cercando di comprendere in anticipo quali siano le esigenze inespresse di determinate

nicchie di utenti, la strategia di posizionamento implementata da un’etichetta musicale

corrisponde al tipo technology push, come avviene per i settori della tecnologia ad alto

valore aggiunto, in netta contrapposizione ai settori ad elevata standardizzazione dei

prodotti, definiti demand (o market) pull; Henry Ford a proposito diceva: “se avessi

dovuto ascoltare il mercato avrei allevato cavalli più veloci”.

E ancora, generi musicali e prodotti tecnologici condividono un analogo ciclo di vita,

rappresentato dalla “Law Diffusion of Innovation” (sviluppata da E.M. Rogers nel 1962,

derivata dalla “Adoption Theory”), riportata qui di seguito:

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Fonte: Innovation Theory, E. M. Rogers

Il modello pone in relazione l’impiego di un’innovazione e il tempo con il fine di

evidenziarne la diffusione sul mercato e di spiegarne il ciclo di vita, suddiviso nelle

seguenti fasi:

• Il punto di partenza sono gli innovatori, circa il 2,5% della popolazione, coloro

che prendono parte al processo creativo e che pertanto sono i primi a sperimentare

l’impiego dell’innovazione;

• Ci sono poi gli early adopters, circa il 13,5% della popolazione, ovvero i primi

utenti sul mercato a sperimentare l’innovazione. Si tratta di veri e propri opinion

makers e per questo vengono definiti anche “lighthouse customers” (clienti faro),

perché il loro feedback si dimostra fondamentale non solo per l’impresa, che così

ha l’opportunità di verificare l’efficacia dei propri prodotti, ma anche per il

mercato, trainato da questa categoria di soggetti;

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• Il momento più critico di questo processo viene definito “Crossing the Chasm”

(attraversando l’abisso) e si trova in corrispondenza del punto in cui

l’innovazione/prodotto cessa di essere circoscritta ad una nicchia (quella degli

early adopters) ed inizia ad essere diffusa in massa sul mercato per opera di quegli

utenti definiti early majority, circa il 34% degli individui. Si tratta di un passaggio

delicato perché una volta “attraversato l’abisso”, il successo del prodotto è

assicurato, determinando il successivo impiego dell’innovazione da parte del resto

della maggioranza, quei soggetti definiti late majority (un altro 34% di individui).

• Infine, l’ultima fase del ciclo di vita, coinvolge quei soggetti restii al

cambiamento, tipicamente caratterizzati da un’età avanzata e da basse condizioni

socio-economiche, ovvero i laggards (circa il 16% della popolazione), gli utenti

ultimi di una tecnologia in genere forzati dal mercato ad utilizzarla.

Il processo appena descritto può essere assimilato al ciclo di vita di un nuovo genere

musicale, dapprima circoscritto ad un numero ristretto di sperimentatori

all’avanguardia, poi diffuso in una nicchia di mercato fino a raggiungere la maggior

parte degli utenti (in questo caso gli artisti), divenendo un fenomeno mainstream

proprio poco prima di cadere in disuso; e il modo in cui questo avviene è ancora una

volta riconducibile al modello della discontinuità tecnologica.

79
Performance
della
tecnologia

Tempo
Fonte: Innovation Theory, E. M. Rogers

Quando una tecnologia si afferma sul mercato, le imprese investono affinché le sue

performance migliorino (si parla in questo caso di innovazione incrementale) fino al

raggiungimento del limite naturale della tecnologia stessa che così non può essere più

sfruttata. Solo un’innovazione radicale, ovvero una nuova tecnologia, sarà capace di

ottenere performance migliori soddisfacendo le medesime esigenze. La stessa dinamica

investe i generi e i sottogeneri dell’industria discografica. Quando è prodotto un nuovo

tipo di musica capace di ottenere una presa rilevante sul mercato, le etichette

cominceranno ad investire in questo genere (cambiamento incrementale), dando origine

alle derivazioni musicali più disparate, finché il mercato non ne sarà saturo; a questo

punto sarà inventato un nuovo genere (cambiamento radicale) che darà nuovamente vita

al processo ciclico appena descritto.

A tal proposito è utile ricordare, inoltre, l’immortalità del pop, comunemente inteso come

un genere piuttosto che come una condizione d’essere di un genere (allo stesso modo

dell’indie) che presiede il picco della curva della “adoption theory” e che è disposto ad

assumere l’una o l’altra sonorità in virtù dei risultati economici che questo può generare

(infatti il pop degli anni ’70 e quello di oggi hanno stili completamente diversi). Se i

fenomeni di diffusione e di commercializzazione di un genere sono riconducibili

80
direttamente all’influenza che le major generano sul mercato, è altresì utile ricordare che

sono proprio questi player, tipicamente descritti come delle “macchine da soldi”, a tentare

la sperimentazione più spesso, puntando a dei segmenti di mercato inesplorati attraverso

l’impiego di un’etichetta controllata. E così, lo sfruttamento commerciale dei prodotti

mainstrem, costituisce la fonte necessaria al finanziamento dei progetti più

all’avanguardia. Questa strategia di diversificazione dei prodotti musicali può essere

spiegata attraverso la matrice costruita negli anni ’70 dalla BCG, riportata di seguito:

Fonte: Matrice di prodotto, BCG

Esistono, in relazione alla quota di mercato posseduta e del tasso di crescita, quattro tipi

di prodotto:

• Dog, a bassa crescita e diffusione; per esempio può essere il caso di un genere

musicale che non ha presa sul mercato e sul quale non vale la pena investire.

Se si fossero già impiegati dei fondi converrebbe sicuramente disinvestirli.

• Question mark, ad alta crescita ma con bassa quota di mercato costituiscono

un'incognita; è il caso di quei generi particolarmente innovativi e sperimentali

su cui varrebbe la pena investire per aumentarne le quote di mercato.

• Star, ad alta crescita ed alta quota di mercato; comprende quei generi che nel

loro ciclo di vita hanno appena coinvolto la early majority e sui quali conviene

investire poiché sono ancora in crescita (prima che si trasformino in cash

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cow). Questo passaggio di investimento in un genere (da intendere come la

crescita del numero di artisti che lo esegue), testimonia la sua

commercializzazione, l’apertura al mercato mainstream.

• Cash cow, a bassa crescita ma alta quota di mercato; comprende quei generi

pop che coinvolgono la late majority e che di sicuro consentono elevati ritorni

economici ma sui quali investire potrebbe risultare superfluo a causa del loro

basso tasso di crescita.

L’utilizzo di questo modello è fondamentale per un’impresa produttrice di musica perché

permette di identificare i prodotti in portafoglio e contestualizzarli in relazione al mercato,

ma quale potrebbe essere la strategia da perseguire nel caso di prodotti (generi)

innovativi? Come è possibile trasformare un “question mark” in uno “star”? Come è

possibile “attraversare l’abisso” determinando il successo del proprio genere?

La risposta consiste nella capacità di comunicare valore, soprattutto nelle fasi iniziali del

ciclo di vita del prodotto/genere musicale. Una delle teorie di comunicazione con maggior

applicazione nelle industrie creative è il “Golden Circle” del saggista statunitense Simon

Sinek, basata sull’assunto che i consumatori non comprino il “cosa” di un’impresa, ma il

suo “perché”.

Fonte: The Golden Circle, Simon Sinek

La circonferenza più esterna del grafico rappresenta la totalità del mercato: tutte le

imprese, al 100%, sanno che cosa producono. Di queste una più piccola parte riesce ad

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ottenere un vantaggio competitivo perché non solo sa svolgere la propria attività ma sa

anche come farlo in maniera migliore degli altri (possiede delle risorse uniche ad

esempio). Tra queste, infine, un’ancora più piccola parte, conosce a fondo il perché della

propria attività. Secondo Sinek, l’errore più grande delle imprese e la causa principale del

fallimento delle loro iniziative consiste proprio nel modo errato di comunicare, ovvero

dall’esterno verso l’interno (dal “cosa” al “perché”), mentre il vero successo è

determinato dal processo inverso (lo stesso saggista propone l’esempio di mercato più

evidente, quello della Apple). La scoperta più rilevante, però, è quella che ciascuna

sezione del “cerchio d’oro” corrisponda al cervello umano, suddiviso anch’esso in tre

sezioni se visto dall’alto. Infatti, al “cosa” corrisponderebbe la neocorteccia, quella parte

del cervello responsabile dell’assimilazione e dell’analisi di una grande quantità di dati,

mentre la sezione interna, il cervello limbico, sarebbe quella responsabile delle emozioni

e del “decision making”: proprio per questo è importante iniziare il processo

comunicativo partendo dalla spiegazione delle intenzioni, della mission e della vision,

facendo in modo che queste siano condivise emotivamente dai clienti e di cui il prodotto

finale ne costituisca soltanto la prova tangibile. Sempre secondo Sinek, questo è quello

che permette ad un prodotto di “attraversare l’abisso” perché gli individui che

compongono il mercato avvertiranno l’esigenza di “acquistare” l’idea di essere i primi, i

pionieri del prodotto stesso, condividendo gli ideali e gli obiettivi di chi li produce; si

tratta della stessa dinamica che lega un artista ai suoi fans.

Per le ragioni appena esposte, è impossibile prevedere quale sarà il futuro della musica,

perché il gusto delle persone è mutevole in relazione a troppe variabili; qualsiasi soggetto

potrebbe essere in grado di creare un nuovo genere molto più efficace che nel giro di poco

tempo potrebbe imporsi nel panorama mondiale della musica, proprio come succede con

le innovazioni tecnologiche “radicali”.

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È quindi rilevante saper osare, investendo ogni risorsa possibile la sperimentazione e

l’innovazione, anticipando le necessità del mercato e comunicando nel modo adeguato i

valori alla base del proprio lavoro; seguire i trend di mercato, anche quelli più recenti,

può consentire al prodotto di presiedere, al più, la sezione di mercato relativa agli early

adopters.

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SITOGRAFIA

STORIA
http://www.paomag.net/sociologiamusica/tesi1/1_2.htm
http://xoomer.virgilio.it/geogr/economia/industria_cinematografica.htm

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https://www.fimi.it/mercato-musicale/dati-di-mercato/mercato-discografico-globale-cresce-del-9-
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http://www.pianomirroring.it/portfolios/la-musica-oggi/

INCENDI DEL 2008


https://www.ilpost.it/2019/06/15/incendio-universal-master-musica/

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MUSIC INDUSTRY RESEARCHES


https://www.researchgate.net/publication/301174360_The_Music_Industry_Boom_Until_1920

CHIUSURA IMPIANTI PRODUTTORI DI DISCHI


https://www.ilmattino.it/spettacoli/musica/compact_disc_addio_chiude_ultima_fabbrica_degli_stati
_uniti_e_bestbuy_smette_di_venderli-3558508.html

FANDOM
https://www.theodysseyonline.com/fandom-most-successful-industry-world

COMPOSIZIONE MERCATO
https://www.tafterjournal.it/2012/08/31/filiera-dellindustria-musicale-e-nuovi-modelli-di-business-
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MUSIC INDUSTRY
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https://www.fastcompany.com/3061256/youtube-music-copyright-royalties-war

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https://investmentbank.com/media-and-entertainment-industry-overview/

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indagato-su-rovazzi-e-fedez-1.324086

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https://www.grandviewresearch.com/industry-analysis/musical-instruments-market
https://www.wirerealm.com/guides/best-music-production-software-daw
https://www.audioxpress.com/news/global-music-production-software-market-to-triple-in-value-in-
the-next-five-years
https://www.reuters.com/brandfeatures/venture-capital/article?id=87159

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STATISTICHE E DATI SULL’INDUSTRIA MUSICALE


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ELEMENTI DI MARKETING
“Marketing delle arti e della cultura”, Fracois Colbert, Rizzoli, 2009

MUSICA DAL VIVO


Corso di “Economia e Management dello Spettacolo dal Vivo”, A. Gallina

STORIA DELLA MUSICA OCCIDENTALE


“Storia della Musica Occidentale”, M. Carrozzo, Armando Editore, 2001

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