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DIVENTARE MUSICISTA
Indagine sociologica
sui Conservatori di musica in Italia
Clementina Casula
Diventare musicista
Indagine sociologica
sui Conservatori di musica in Italia
UNIVERSITAS
STUDIORUM
© 2018, Universitas Studiorum S.r.l. - Casa Editrice
via Sottoriva, 9 - 46100 Mantova (MN)
P. IVA 02346110204
www.universitas-studiorum.it
ISBN 978-88-3369-009-4
Alla passione musicale che si tramanda,
in forme vecchie e nuove,
di generazione in generazione.
Indice
I. L’indagine:
problema, teoria, strumenti 9
1. Una tardiva riabilitazione della professione musicale in Italia? 9
2. Le premesse teoriche dell’indagine 14
3. Metodologia, fonti e strumenti dell’indagine 18
5
IV. Interagire nel campo:
vecchie e nuove logiche regolative dei Conservatori 153
1. La resilienza istituzionale del vecchio ordinamento 155
1.1 Il reclutamento: il primato dell’offerta sulla domanda 156
1.2 La formazione: il modello della bottega artigiana 197
1.3 La professionalizzazione: il miraggio del concertismo solistico 246
2. La frattura dell’habitus del musicista classico nel nuovo ordinamento 270
2.1 Il reclutamento: il primato della domanda sull’offerta 271
2.2 La formazione: il modello accademico 287
2.3 La professionalizzazione: flessibilità, credenzialismo, precarietà 312
V. Riformismi irresponsabili:
l’orizzonte negato ai Conservatori di musica italiani 329
Bibliografia 335
6
Ringraziamenti
7
Conservatorio è usato dall’indagine in senso inclusivo - che mi han-
no offerto la loro fiducia e dedicato il loro tempo, partecipando al
questionario, scrivendomi o concedendomi interviste che mi hanno
insegnato tanto, dal punto di vista scientifico e umano.
Un ringraziamento speciale a Paolo Troncon, già presidente del-
la Conferenza dei direttori dei Conservatori, per la generosità con
la quale ha sostenuto l’iniziativa e condiviso la sua estesa esperienza
sul campo, e ai direttori di ISSM che, tra le tante incombenze,
hanno trovato il tempo per rispondere alle mie reiterate richieste di
collaborazione, specialmente Bruno Carioti, Alessandro Melchior-
re, Giandomenico Piermarini, Elisabetta Porrà, Luciano Tristaino.
Sebbene la responsabilità di quanto scritto sulla Riforma sia
mia, per la ricostruzione del processo di approvazione e imple-
mentazione sono stati preziosi gli incontri con due tra i suoi prin-
cipali protagonisti, ovvero Dora Liguori e Giorgio Bruno Civel-
lo, che ringrazio per la disponibilità mostrata.
Un ringraziamento anche a colleghi, amici e familiari che, in
modi differenti, mi hanno sostenuto nel percorso di ricerca - ap-
poggiando la scelta di un tema che è parso a molti altri marginale
o facilitandomi nella sua realizzazione. Tra loro voglio ricordare:
Aldo Accardo, Francesco Bachis, Enrico Baiano, Gianfranco Bot-
tazzi, Wilma Campitelli, Andrea Coen, Paolo Dal Molin, Massi-
mo De Bonfils, Sara Frau, Toni Geraci, Filippo Gianfriddo, Al-
varo Lopez Ferreira, Ignazio Macchiarella, Alessandro Mongili,
Roberto Pellegrini, Elisa Perra, Marco Pitzalis, Antonello Podda,
Mariano Porcu, Eros Roselli, Luisa Salaris, Marco Santoro, Iza-
bela Wagner. Ringrazio Sergio Loi per la preziosa assistenza nella
predisposizione del questionario online e Serena Serra perché rie-
sce a rendere leggero il sempre più pesante carico di adempimenti
amministrativi. Un ultimo ringraziamento va a Ida Allegretto,
per gli insegnamenti e la passione musicale che ha trasmesso ai
suoi allievi e allieve.
8
I
L’indagine: problema, teoria, strumenti
9
Dal punto di vista storico, il tragitto che nella moderna società
occidentale ha visto il musicista affermare la propria autonomia
come professionista2, liberandosi del suo ruolo di erogatore di servi-
gi per le classi abbienti, è stato graduale, accidentato e diversificato
(De Nora 1995, Carrozzo e Cimagalli 2009). La letteratura accade-
mica3, inoltre, ha evidenziato come tale processo sia stato successi-
vamente frenato dall’affermarsi della civiltà industriale, che associa
il lavoro alla sfera della produttività tangibile, riservando alla sfera
del tempo libero le attività ritenute improduttive (Turner 1974):
ancora oggi, tanto i musicisti quanto gli artisti in generale, devono
spesso fare i conti con un diffuso senso comune, che non include
le attività associate al piacere nella categoria del lavoro retribuito.
In Italia, più che in altri paesi, il tragitto della professione
musicale si è rivelato storicamente incompiuto, tanto che il rico-
noscimento della sua utilità sociale resta tutt’oggi assai limitato
e prevalentemente riportato all’interno della sfera dello spetta-
tina (…) e regalò al padre del ragazzo un consiglio benedetto: -Nol xè bòn a far
gnente: mandalo a studiar musica!-» (Stella 2018).
2. Rispetto alla varietà di accezioni in cui il termine ‘professione’ è utilizzato
nella letteratura sociologica, legate alle differenti tradizioni storiche e culturali
dei contesti nei quali si sono sviluppate (Tousijn 1997, Dubar e Tripier 1998),
facciamo qui riferimento al dibattito sviluppatosi nell’Europa continentale, che
inquadra il concetto all’interno della sociologia del lavoro (De Nardis 1995,
Bellini 2005), riprendendo nello specifico la definizione offerta da Gallino
(2014: 524): «un’attività lavorativa, altamente qualificata, di riconosciuta utili-
tà sociale, svolta da individui che hanno acquisito una competenza specializzata
seguendo un corso di studi lungo e orientato precipuamente a tale scopo».
3. Frederickson e Rooney (1990), adottando un approccio ristretto allo studio
delle professioni, legato agli sviluppi delle professioni liberali nel contesto an-
glosassone, ritengono che quella del musicista sia una “semi-professione”, in
quanto, pur essendo riuscita a realizzare alcune delle condizioni che caratteriz-
zano le professioni liberali, diversamente da queste basa la sua autorità culturale
su valori estetici che hanno perso la loro plausibilità nell’era industriale, fondata
su un ordine simbolico orientato verso criteri scientifici. Per una posizione fa-
vorevole invece al riconoscimento dello status professionale del musicista vedi,
tra gli altri, Weber (1975), Supčič (1987).
10
colo e dell’intrattenimento culturale (Santoro 2002). Per questo
perfino i più autorevoli media nazionali trattano la notizia del
licenziamento di un prestigioso corpo di ballo o dello sciopero
dei professori di orchestra di una fondazione lirico-sinfonica non
tra le notizie di prima o seconda pagina, bensì alla sezione ‘spet-
tacoli’ della cosiddetta terza pagina; perciò i nostri musicisti, di-
versamente o più dei loro colleghi stranieri, lamentano di sentirsi
spesso chiedere, perfino quando già professionalmente affermati,
quale sia il loro ‘vero lavoro’ (Accardo 2012, Roselli 2015). Per
questo, inoltre, nell’ambito della tradizione sociologica italiana,
contrariamente rispetto ad altre tradizioni nazionali, le profes-
sioni artistiche e musicali non costituiscono (ancora?) un campo
di indagine specifico e riconosciuto della sociologia del lavoro4.
Come si spiega lo scarso riconoscimento sociale attribuito alla
professione musicale in un Paese dove, ancora oggi, la reputa-
zione della tradizione nazionale e della fama ottenuta da celebri
artisti nel settore è annoverata tra i miti che alimentano l’orgoglio
identitario in ambito mondiale? Buona parte delle ragioni - è
questa la tesi sostenuta nel volume - sono da ricondurre alla sto-
ria moderna e contemporanea dell’apprendimento musicale in
Italia. Tale storia ha due facce: quella della esclusione della prati-
ca musicale dal novero dei saperi legittimi codificati nel sistema
scolastico; quella della mancata riorganizzazione culturale delle
scuole per la formazione professionalizzante dei musicisti.
11
Sin dalla sua istituzione negli ultimi decenni dell’Ottocento il
sistema di istruzione nazionale – di impostazione classista e classi-
cista (Grimaldi e Serpieri 2012) – ha infatti sostanzialmente esclu-
so dai curricula istituzionali la formazione musicale, confinandola
all’interno dei Conservatori di musica, scuole per l’apprendimento
musicale professionalizzante sviluppatesi da opere di assistenza e
carità privata sorte nel Cinquecento che, con l’intento di ‘conser-
vare’ collegialmente l’infanzia abbandonata, prevedevano l’inse-
gnamento musicale tra le varie attività formative impartite, con
finalità riabilitative, secondo il modello a bottega (Colarizi 1971).
Nel corso dell’Ottocento, prima in Europa e poi negli Stati Uni-
ti i Conservatori di musica, attraverso l’iniziativa di imprenditori
culturali, interessati a legittimare le pratiche culturali distintive del
ceto borghese in ascesa, sono riconfigurati da umili botteghe arti-
giane in prestigiosi istituti di alta cultura, ‘templi dell’arte’ finaliz-
zati alla produzione e alla riproduzione del canone musicale clas-
sico-romantico (DiMaggio 2009, Kingsbury 1988, Weber 1999).
Tale azione, finalizzata all’inserimento della musica colta nella
gerarchia culturale istituzionalizzata, si realizza attraverso strategie
differenziate nello spazio e nel tempo: nel caso francese, grazie al
prestigio derivante dalla valorizzazione statale attribuita all’istituto
all’interno del sistema di istruzione nazionale; nel caso statuniten-
se, mediante l’inserimento della musica nei curricula universitari,
oltre che scolastici, al vertice del sistema di istruzione.
I Conservatori d’Italia sono dei semplici ospedali dove l’indigenza tro-
va, in verità, una risorsa preziosa e la prospettiva di uno stato onesto:
ma la classe media prova una certa ripugnanza ad attingervi la propria
istruzione. Il progetto del Conservatorio francese ha (…) una diversa
estensione: sostenuto dalla protezione speciale del governo, che prende
parte diretta alla sua esistenza, non vi è alcuna classe [sociale] che non
rivendichi il vantaggio di esservi ammessa (…). (Pierre 1900: 140) 5.
12
[L]’azione degli imprenditori culturali, a Boston come in altre città, era
solo il primo passo verso l’istituzionalizzazione della gerarchia cultura-
le. Affinché la conoscenza artistica potesse servire come forma di capi-
tale culturale, la logica della gerarchia culturale doveva essere compresa
accettata anche da quegli americani che non visitavano i musei o non
ascoltavano musica classica. Poiché le università garantivano il valore
del capitale culturale, proprio come le banche centrali tutelavano il va-
lore del capitale finanziario, era fondamentale che l’arte fosse prevista
dai programmi universitari. (DiMaggio 2009: 40)6
13
nel livello terziario del sistema di istruzione, ovvero al vertice del
sistema educativo, fino ad allora campo di dominio esclusivo del
sistema universitario.
Cosa ha portato lo Stato italiano ad inserire i Conservatori di
musica nel livello di istruzione terziario? Si tratta forse di un tar-
divo tentativo di riabilitare e valorizzare la formazione musicale
professionalizzante all’interno del sistema di istruzione nazionale
e, più in generale, la musica all’interno del campo della cultura
legittima? Chi è riuscito, e a partire da quali interessi, risorse e
strategie, a far breccia nell’inerzia istituzionale che ha per secoli
caratterizzato la storia di tali istituti? Quali strutture sono state
previste per preparare la formazione musicale pre-accademica de-
gli allievi, necessaria per accedere ai Conservatori così riformati?
Quali sono stati i risultati che, a circa venti anni dall’approvazio-
ne della legge, registra l’implementazione della Riforma?
Questi sono i principali interrogativi ai quali l’indagine si
propone di rispondere, studiando il moderno Conservatorio di
musica italiano come forma organizzativa finalizzata alla forma-
zione professionalizzante dei musicisti7.
14
Come i giovani pesci nell’aneddoto di David Foster Wallace
nuotano senza sapere cosa sia l’acqua, anche gli esseri umani
si orientano nei contesti organizzativi all’interno dei quali inte-
ragiscono – la famiglia, la scuola, il lavoro – senza avere piena
consapevolezza delle loro caratteristiche distintive, né di come
queste influenzino il loro modo di pensare, muoversi, compor-
tarsi. A farli sentire “come pesci nell’acqua” nel proprio mondo
sociale contribuiscono i processi di socializzazione, che portano
ad internalizzare e normalizzare vincoli e possibilità dei contesti
istituzionali all’interno dei quali sono collocati, incorporando
in tal modo ciò che Pierre Bourdieu (1977) definisce l’habitus.
L’habitus rappresenta una “struttura strutturante”, che genera
tra individui accomunati dal radicamento in un dato spazio
sociale specifiche e durature disposizioni, ovvero abilità e pro-
pensioni codificate rispetto a modi specifici di pensare, sentire
e agire, le quali orientano le risposte date alle costrizioni e alle
sollecitazioni del proprio ambiente sociale (Wacquant 2015: 69,
Paolucci 2011).
Da questa prospettiva, i contesti istituzionali non rappresen-
tano dunque vuote cornici all’interno delle quali si svolge l’azio-
ne sociale, individuale o collettiva, bensì strutture cognitive, nor-
mative e regolative che danno stabilità e significato a tale azione,
operando attraverso vettori culturali, strutturali e procedurali a
molteplici livelli e sfere di autorità (Scott 1998: 55-88). Il fuoco
dell’analisi di ricerca si sposta in tal modo dalle singole organiz-
zazioni al campo organizzativo in cui queste operano (Powell e
DiMaggio 1991, Bonazzi 2000), intendendolo non come dato
a priori, bensì come fattore endogeno dell’indagine, che richiede
di essere esplorato prioritariamente al fine di meglio interpretare
il senso dell’azione sociale.
Nella nostra ricerca il fuoco dell’analisi si sposta, dunque, dal
moderno Conservatorio di musica italiano al campo dell’istru-
zione musicale professionalizzante, inserito nel più ampio campo
15
dell’istruzione nazionale8. Il sistema di istruzione è riconosciuto
in letteratura come uno dei più potenti strumenti di istituzio-
nalizzazione delle strutture gerarchiche sulle quali si fonda l’or-
dine sociale, in quanto definisce in modo apparentemente tec-
nico, neutrale e oggettivo classificazioni educative che in realtà
rispecchiano classificazioni sociali, attribuendo corrispondenze
di valore tra sfere sociali differenti: da quella scolastica a quella
lavorativa, da quella lavorativa a quella sociale, da quella sociale a
quella personale (Bourdieu 2001: 397, 399).
Tali strutture gerarchiche, tuttavia, non sono imperiture, ben-
sì mutano nel tempo, portando a processi di ridefinizione dei
confini del campo e della sua struttura socio-simbolica. Si tratta
in genere di processi contestati e conflittuali, che vedono la con-
trapposizione di visioni differenti del campo. In quanto spazio
sociale, infatti, il campo è costituito dall’interazione tra agenti
posti in una collocazione più o meno vantaggiosa, a seconda del
grado di valorizzazione delle loro risorse al suo interno9, i quali
16
attivano lotte simboliche finalizzate all’acquisizione della leader-
ship, ovvero dell’autorità per imporre agli altri membri la propria
visione del campo come legittima (Cerulo 2000: 21-24; Bour-
dieu 2000: 79-81).
L’indagine, dunque, ha seguito due differenti livelli di analisi.
Il primo è un livello macrosociale, che guarda in una prospetti-
va storica di ‘lunga durata’, necessaria ad abbracciare l’orizzonte
della vita istituzionale (Braudel 2002, Paci 2013, Hall e Taylor
1996), ai processi che contribuiscono a configurare e riconfigu-
rare il campo della formazione musicale professionalizzante in
Italia all’interno del più ampio campo dell’istruzione nazionale.
Gli studi sulle istituzioni offrono gli strumenti per comprendere
le ragioni della conservazione, legata all’inerzia e all’autonomia
assunta dalle istituzioni una volta create (Morgan et al. 2010,
Thelen e Steinmo 1992), nonché per evidenziare i costi che il
cambiamento comporta per gli attori del campo – in termini di
ristrutturazione delle relazioni di potere, incertezza, coordina-
mento, apprendimento – portandoli talvolta a preferire la difesa
degli assetti esistenti, anche quando ormai inadeguati o ineffi-
cienti (Crouch 2005). Offrono tuttavia anche gli attrezzi per ri-
levare l’azione di imprenditori istituzionali che, grazie alle risor-
se specifiche attivate e alle strategie adottate, riescono a cogliere
le occasioni aperte al cambiamento da finestre di opportunità
(windows of opportunities), spesso legate a momenti storici di cri-
si o di svolta (critical junctures), talvolta riuscendo nell’intento
di modificare gli assetti esistenti (Pierson 1998, North 1998,
Kingdon 1984).
L’analisi a livello macro è successivamente integrata con un’a-
nalisi a livello microsociale, che consente di rilevare le modalità
e la portata del cambiamento all’interno della specifica forma or-
ganizzativa studiata (i Conservatori), a partire dalle logiche che
guidano l’interazione tra gli attori che la abitano. Il processo di
implementazione del cambiamento istituzionale all’interno del
17
contesto organizzativo non è infatti un processo lineare e incon-
testato; al suo interno, al contrario, si ripropongono le lotte sim-
boliche già osservate a livello macro, attivate da gruppi di attori
con diverse risorse ed interessi per imporre la versione del cam-
biamento che ritengono più conveniente o opportuna o invece,
al contrario, per ripristinare sotto le nuove spoglie il vecchio as-
setto, influenzando l’orientamento dei contenuti e delle finalità
previste dalla riforma (Vaira 2011: 14).
18
terziario dell’istruzione, a seguito dell’applicazione della legge di
riforma (l.n.508/1999), a partire dall’anno accademico 1999-
2000 le rilevazioni sono affidate ai servizi statistici del Ministero
dell’Università e della Ricerca (MIUR). Questa fonte risulta par-
zialmente lacunosa, per diverse ragioni: la difficile reperibilità di
alcuni dei volumi più datati; la limitatezza, parzialità o difficile
comparabilità delle informazioni offerte, non sempre riproposte
in tutte le annualità; le interruzioni nelle serie storiche12. Ciò
nonostante, si tratta di una preziosissima risorsa per ‘misurare il
campo’ (Santoro 2014), come fa il secondo capitolo del volume,
rilevando dall’analisi descrittiva delle statistiche alcune delle at-
tuali caratteristiche distintive della formazione musicale profes-
sionalizzante, all’interno del livello terziario dell’alta formazione,
e ricostruendone gli andamenti nello spazio e nel tempo dai pri-
mi decenni del Novecento fino ad oggi.
La corrispondente evoluzione della struttura socio-simbolica
del campo e della sua collocazione all’interno del più ampio si-
stema di istruzione è ricostruita grazie a un’altra tipologia di fonti
secondarie, ovvero la letteratura e i documenti istituzionali sui
Conservatori di musica italiani, che consente al terzo capitolo
del volume di ‘definire il campo’. Diverso è il ricorso alle varie
tipologie di fonti disponibili a seconda del periodo trattato: la
geneaologia del campo è rintracciata principalmente attraverso
testi a carattere storico; la lotta simbolica attivata per la rifor-
ma dei Conservatori a partire dagli anni Sessanta investigando
a.s. 1947-48 fino all’ a.s. 1983-84; Statistiche dell’istruzione: dall’a.s. 1984-85
fino all’a.s. 1986-87; Statistiche delle scuole secondarie superiori, Conservatori
ed Istituti musicali pareggiati: dall’a.s. 1989-90 fino all’a.s. 1995-96; Statistiche
dell’istruzione universitaria, Istruzione secondaria non universitaria: dall’a.a.
1996-97 fino all’a.a.1997-98.
12. Durante la seconda guerra mondiale l’Istat riduce al minimo le proprie attivi-
tà, annullate del tutto per il periodo che intercorre tra gli anni scolastici 1943-44 e
1944/45 (cfr. Istat 1957: 296); i dati relativi all’istruzione artistica e musicale non
sono inoltre disponibili per le annualità scolastiche 1987-88 e 1988-89.
19
fonti di archivio dei quotidiani nazionali e del Parlamento13; la
riorganizzazione del campo seguita all’approvazione della legge
n.508/1999 integrando fonti secondarie con interviste qualita-
tive ad alcuni protagonisti e testimoni privilegiati della Riforma.
Sull’analisi delle fonti primarie si basa invece il quarto ca-
pitolo, che ricostruisce come cambia il modo di ‘interagire nel
campo’ prima e dopo la Riforma dei Conservatori, integrando
l’analisi dei dati qualitativi (interviste in profondità e focus group
con una selezione di studenti, docenti, direttori) con quella dei
dati quantitativi (un questionario autosomministrato ai docenti
di tutti i Conservatori italiani).
Per quanto riguarda la parte qualitativa della rilevazione, co-
stituita da interviste individuali e focalizzate di gruppo (focus
group), questa è stata realizzata durante tutto l’arco della ricerca
empirica (dalla primavera 2013 all’inverno 2017), arrivando a
coinvolgere un centinaio tra studenti e docenti di Conservato-
rio e una decina di protagonisti e testimoni privilegiati della Ri-
forma. Le prime interviste sono state avviate attraverso contatti
personali; quelle successive attraverso un meccanismo di cam-
pionamento a valanga (snowball sampling), chiedendo ai primi
intervistati ulteriori contatti, oppure contattando direttamente
l’intervistato identificato. Il criterio di selezione ha comunque
cercato di dar conto della varietà esistente nelle popolazioni in
termini di tipologia di specializzazione disciplinare, genere e ti-
pologia dell’istituto di appartenenza (in termini di dimensioni
e di localizzazione territoriale). Tuttavia le finalità della ricerca -
principalmente orientate allo studio del moderno Conservatorio
di musica italiano come forma organizzativa finalizzata alla for-
mazione professionalizzante dei musicisti, piuttosto che alle sin-
gole carriere formative e professionali – hanno portato l’analisi,
13. In particolare, ho utilizzato l’archivio del Corriere della Sera e le banche dati
parlamentari disponibili nei portali istituzionali della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica Italiana.
20
nell’identificazione delle peculiarità distintive del Conservatorio
pre e post-Riforma, a sottovalutare le differenziazioni che tale
modello assume nei vari contesti territoriali, nonché le specificità
di alcuni percorsi formativi (come composizione, musicologia,
direzione d’orchestra), solo parzialmente affini a quelli, maggio-
ritari e caratterizzanti l’organizzazione, dei musicisti interpreti
(strumentisti e cantanti).
La traccia delle interviste con i docenti e gli studenti ha pre-
visto una ricostruzione delle principali tappe del loro percorso
formativo e professionale e un approfondimento della loro opi-
nione sulla Riforma. Le interviste a testimoni privilegiati o diret-
ti protagonisti della Riforma hanno avuto carattere più formale
e si sono incentrate sulle tematiche specifiche del mutamento
organizzativo. Tutte le interviste, della durata media di un’ora
e mezza, sono state realizzate dall’autrice di persona o, più rara-
mente, telefonicamente, registrate (previo consenso dell’intervi-
stato), trascritte, e analizzate seguendo un approccio di tipo in-
duttivo e comparativo, basato sulla codifica e il confronto delle
principali sottocategorie e aree tematiche emerse (Brinkmann e
Kvale 2015). La trascrizione ha consentito un ampio utilizzo del-
le citazioni dirette nel testo riportando fedelmente le parole ed
espressioni usate dagli intervistati, ma omettendo o modificando
qualche dettaglio che avrebbe consentito di risalire all’identità
dell’intervistato, al fine di tutelarne la privacy.
Nel caso dei focus group, se quelli realizzati con gli studen-
ti si sono svolti in un clima estremamente sereno, piacevole e
collaborativo, che ha consentito lo sviluppo una dimensione in-
tersoggettiva del dialogo (Acocella 2005), l’unico realizzato con
docenti si è scontrato con difficoltà nell’interazione derivanti da
una iniziale diffidenza nei confronti delle finalità dell’indagine,
nonché dalla presenza di partecipanti dai profili culturali e pro-
fessionali molto disomogenei (Corrao 2005). Per questo motivo
si è scelto poi di proseguire le interviste coi docenti in forma
21
esclusivamente individuale. Al materiale di analisi di tipo quali-
tativo si aggiungono le utili comunicazioni inviatemi per posta
elettronica da diversi docenti dopo aver partecipato al questiona-
rio, per approfondire aspetti non coperti dalle domande.
L’analisi delle prime interviste qualitative ha consentito nell’e-
state 2013 la predisposizione di un questionario online per i soli
docenti - a fronte delle difficoltà riscontrate relativamente ad
un possibile invio agli studenti - realizzato tramite l’applicativo
opensource Limesurvey. Il questionario è stato proposto nell’au-
tunno 2013 ai docenti del Conservatorio di Cagliari, grazie alla
collaborazione dei Direttori di dipartimento. Questa prima ver-
sione del questionario si componeva di circa 80 domande con
risposta multipla e una opzione aperta, raggruppate in 5 sezioni
tematiche (dati anagrafici, socializzazione musicale, formazione
negli ISSM, docenza negli ISSM, consumi culturali e tempo li-
bero) e una sezione per commenti liberi. Nel gennaio 2014 il
questionario è stato chiuso e analizzato; le criticità riscontrate
hanno portato a rivederlo arrivando a definire una versione finale
più snella, riducendo il numero di domande a circa 60 e le se-
zioni a 3 (dati socio-anagrafici, docenza in ISSM, socializzazione
musicale); al fine di evitare la dispersione delle risposte in pre-
cisazioni non sempre rilevanti, nella gran parte delle domande
è stata eliminata la possibilità di indicare l’opzione “altro”, con
l’eccezione delle domande più personali o delicate, dove è stata
inserita l’opzione “preferisco non rispondere”.
La versione finale del questionario è stata lanciata a livello
nazionale nel luglio 2014, grazie al sostegno dell’allora Presidente
della Conferenza dei direttori dei Conservatori di musica, il M°.
Paolo Troncon, il quale ha girato ai direttori la mia richiesta di
inoltro alle mailing list dei rispettivi docenti di un invito alla
compilazione14. A fronte di una accoglienza dell’iniziativa com-
14. L’intervento dei direttori è risultato fondamentale a fronte del fatto che l’in-
dirizzo email istituzionale per comunicare con il pubblico è scarsamente diffuso
22
plessivamente buona, e talvolta molto favorevole, da parte dei
direttori, sono da segnalare pochi casi di esplicito rifiuto a colla-
borare - talvolta immotivato, talvolta basato su argomentazioni
pretestuose - e casi più frequenti di formale assenso, cui tuttavia
non è seguito l’effettivo invio dell’invito ai docenti.
I docenti che hanno partecipato al questionario hanno spesso
utilizzato, a compilazione ultimata, lo spazio riservato a com-
menti liberi, nei quali hanno voluto precisare, in maniera più
articolata, la loro posizione sulle tematiche considerate. Si rileva,
in particolare, una frustrazione dei rispondenti a fronte dei limiti
posti dalla natura dello strumento di rilevazione e dalle modalità
di somministrazione. La strutturazione del questionario in do-
mande e risposte standardizzate, necessaria per la raccolta e l’ana-
lisi statistica delle risposte, è risultata particolarmente frustrante
nel caso di questioni più complesse, che non si prestavano ad
una ipersemplificazione (come il giudizio sulla Riforma, appro-
fondito grazie alle interviste qualitative). L’autosomministrazione
online, scelta per i bassi costi a fronte di un’ampia copertura della
popolazione di riferimento, non consentendo di instaurare una
interazione tra intervistatore e rispondente, riduce le possibilità
di generare fiducia e coinvolgimento: visto il periodo di incertez-
za e preoccupazione rispetto al proprio futuro lavorativo, molti
docenti si sono mostrati diffidenti sulle finalità dell’indagine e
timorosi rispetto a possibili conseguenze derivanti da una even-
tuale attribuzione di identità ai rispondenti15.
presso gli ISSM, dove molti docenti preferiscono usare numeri di telefono o
account personali, spesso non indicati nel portale, e considerati un dato sensi-
bile da non divulgare.
15. Un docente ha definito ‘tendenziosa’ perfino la domanda sull’indicazione
del sesso, ovvero maschio o femmina. Più in generale, nonostante le rassicura-
zioni presenti nella lettera di presentazione del questionario sulle finalità scien-
tifiche e il rispetto della normativa sulla privacy della ricerca, alcune polemiche
hanno riguardato il fatto che la presentazione in forma anonima del questiona-
rio consentisse comunque al ricercatore di risalire all’identità dell’intervistato
23
Nel dicembre 2014 il questionario è stato chiuso e l’analisi
descrittiva dei dati avviata. Una prima criticità è emersa dal
fatto che, dei 1069 questionari completi pervenuti, soltanto 33
sono stati compilati da docenti a contratto: si ipotizza che ciò
sia dovuto al fatto che le mailing list utilizzate dai direttori per
inviare l’invito alla compilazione non prevedessero gli indirizzi
dei docenti a contratto. Vista la scarsa significatività del nu-
mero di questionari di docenti a contratto pervenuti a fronte
della popolazione di riferimento (per l’a.a. 2013-14 le statisti-
che MIUR-AFAM registrano 1.702 docenti a contratto) si è
scelto di concentrare l’analisi sui docenti in organico (a tempo
indeterminato e determinato). Il numero di intervistati così ot-
tenuto rappresenta il 17,2% della popolazione di riferimento,
data dai docenti di ISSM in organico: 1036 su 6.02316. Al fine
di verificare se nella composizione del gruppo di intervistati ri-
sultante dai questionari pervenuti fossero presenti scostamenti
importanti rispetto alla popolazione di riferimento (ovvero i
docenti di ISSM in organico), si è provveduto ad un confron-
to tra le due popolazioni relativamente alle principali dimen-
sioni demografiche ed istituzionali disponibili nella banca dati
MIUR-AFAM.
La tabella I.1 presenta, in valori assoluti e percentuali, un
raffronto tra intervistati e popolazione di riferimento (dati
per l’a.a. 2013-14) relativamente a quattro dimensioni: il ses-
so (maschio o femmina); la tipologia di contratto (a tempo
indeterminato o determinato); la tipologia dell’ISSM di ap-
nel caso di profili professionali distintivi, senza tenere conto di quanto specifica-
to a proposito dell’uso dei dati: «i dati raccolti saranno presentati o comunicati
soltanto in forma aggregata (senza possibilità di collegare le risposte all’identità
individuale dell’intervistato/a), utilizzati esclusivamente ai fini della presente
ricerca e non ceduti a terzi».
16. Non si può propriamente parlare di tasso di risposta, in quanto non vi è
stato modo di verificare se tutti i docenti in organico abbiano effettivamente
ricevuto l’invito a partecipare al questionario.
24
partenenza per l’a.a. 2013-14 (CM/ex-IMP); la collocazione
territoriale del proprio ISSM (Nord, Centro, Mezzogiorno).
L’analisi comparata delle caratteristiche degli intervistati e dei
docenti in organico rivela un sostanziale equilibrio per quanto
riguarda la distribuzione delle popolazioni relativamente alle
prime tre dimensioni (dove il margine di scostamento tra le
percentuali varia tra 1,1 e 2,5 punti). Per quanto riguarda la
quarta dimensione si rileva una parziale sovra-rappresentazio-
ne dei docenti appartenenti ad ISSM del Nord (+5,5 punti
percentuali), rispetto ad una sotto-rappresentazione di entità
inferiore di quelli del Centro (- 2,4) e del Mezzogiorno (-3,2).
Si può dunque concludere che in linea generale il confronto
tra la popolazione di intervistati e quella di riferimento mo-
stra l’assenza di scostamenti rilevanti, segnalando solo una so-
vra-rappresentazione dei docenti appartenenti a ISSM localiz-
zati nel Nord, il cui effetto può essere ridimensionato a fronte
di alcune considerazioni. In primo luogo, non si riscontrano
nell’analisi dei dati variazioni apprezzabili dell’opinione dei
docenti correlate alla variabile territoriale; bisogna a questo
proposito tenere conto dell’alta mobilità lavorativa dei docenti
di ISSM, la cui provenienza spesso non coincide col territorio
in cui si insegna: nella tab. I.2, ad esempio, notiamo infatti
come abbia risposto al questionario una percentuale di docenti
provenienti dalle regioni del Centro Italia (28%) decisamente
superiore rispetto a quella di docenti che insegnano presso un
ISSM localizzato nel Centro Italia (13%).
25
Tab. I.1 - Confronto tra le caratteristiche degli intervistati e la popola-
zione di riferimento: sesso e tipo di contratto, ISSM di afferenza e localiz-
zazione (valori assoluti e percentuali)
INTERVISTATI POPOLAZIONE
SESSO valori % valori %
Maschio 741 71,5 4157 69,0
Femmina 295 28,5 1866 31,0
Totale 1036 100,0 6.023 100,0
CONTRATTO
Tempo indeterminato 810 78,2 4.819 80,0
Tempo determinato 226 21,8 1.204 20,0
Totale 1036 100,0 6.023 100,0
ISSM DI AFFERENZA
CM 919 88,7 5406 89,8
exIMP 117 11,3 617 10,2
Totale 1036 100,0 6.023 100,0
TERRITORIO ISSM
Nord 482 46,5 2470 41,0
Centro 136 13,1 932 15,5
Mezzogiorno 418 40,3 2621 43,5
Totale 1036 100,0 6.023 100,0
26
Tab. I.3 - Confronto tra le caratteristiche degli intervistati e la popola-
zione di riferimento: classi di età (valori assoluti e percentuali)
INTERVISTATI POPOLAZIONE
CLASSI DI ETÀ Docenti in organico Docenti di ruolo
valori % valori %
<40 20 1,9 13 0,26
40-49 223 21,5 869 17,63
50-59 605 58,4 3006 60,99
>=60 188 18,1 1041 21,12
Totale 1.036 100,0 4929 100
Fonte: Questionario docenti Casula (2014); banca dati MIUR-AFAM (a.a.
2013-14)
27
II
Misurare il campo:
le statistiche sui Conservatori, dal Novecento ad oggi
Introduzione
Un primo strumento di analisi dei Conservatori di musi-
ca italiani è costituito dalle statistiche ufficiali che li riguar-
dano. Queste - nonostante le lacune evidenziate nel capitolo
introduttivo - rappresentano una preziosissima fonte di in-
formazioni, che consente, da un lato, di evidenziare le loro
attuali caratteristiche all’interno del più ampio sistema dell’al-
ta formazione italiana, dall’altro lato di ricostruire le princi-
pali dinamiche della loro evoluzione storica. Questo capitolo
esamina dunque in chiave comparativa le caratteristiche del-
le popolazioni - studentesca, docente, amministrativa - che
risiedono all’interno dei sistemi del livello terziario di istru-
zione in Italia, prima confrontando il sistema AFAM (Alta
formazione artistica e musicale) con quello universitario, poi
considerando il caso dei Conservatori di musica all’interno
del sistema AFAM. Successivamente l’analisi si focalizza sui
Conservatori di musica, ricostruendo attraverso le serie stori-
che l’evoluzione della distribuzione territoriale degli Istituti,
nonché la dinamica e le peculiarità della popolazione studen-
tesca e della popolazione docente nel corso del Novecento e
fino ad oggi. Particolare attenzione è dedicata nell’analisi alla
dimensione di genere, al fine di verificare l’eventuale presenza
ed evoluzione di processi di segregazione a livello formativo e
occupazionale.
29
1. Il livello terziario di istruzione:
il sistema AFAM e il sistema Università
Il sistema di istruzione italiano, così come quello della gran
parte dei paesi occidentali industrializzati, si articola su tre li-
velli principali - primario, secondario, terziario - strutturati
secondo una logica di avanzamento per stadi gerarchizzati, la
quale consente l’accesso al livello superiore solo previa attesta-
zione formale del completamento del livello inferiore. Nel livel-
lo più alto, a lungo dominio esclusivo del sistema universitario,
è stato di recente inserito - con la legge n. 508 del 1999 – il si-
stema AFAM. Il nuovo coinquilino del livello terziario presenta
caratteristiche piuttosto differenti rispetto all’antico, esclusivo
occupante. Dal punto di vista quantitativo la differenza più
eclatante riguarda la dimensione della popolazione (composta
da studenti, personale docente, personale amministrativo, tec-
nico e ausiliario o ATA) di ciascun sistema considerato. Come
si può notare analizzando i valori assoluti (tab. II.1) e i valori
percentuali (fig. II.1), la stragrande maggioranza della popola-
zione appartiene al sistema universitario: oltre il 90% di ogni
categoria considerata. Il sistema AFAM conta infatti circa 85
mila studenti, 12 mila docenti, 2 mila e 400 addetti ai servizi
amministrativi, tecnici e ausiliari, i quali costituiscono, rispetti-
vamente, il 5% della popolazione studentesca, il 10% di quella
del personale docente, e il 4% di quella del personale ATA del
livello di istruzione terziario in Italia.
30
Fig. II.1 - I sistemi dell’Alta formazione: numero di studenti, docenti,
personale non docente, a.a. 2015-16 (valori percentuali)
31
insegnamento nella formazione artistica musicale, spesso legate a
relazioni didattiche individuali o per piccoli gruppi, diversamen-
te da quelle universitarie, che più di frequente coinvolgono un
ampio numero di studenti. Si tratta di caratteristiche che la Ri-
forma – come vedremo – ha contribuito a ridurre, uniformando
il settore AFAM a regole e prassi del sistema universitario.
Il parallelismo interno al sistema di istruzione nazionale che sto-
ricamente ha caratterizzato i rapporti tra i due percorsi formativi e
professionali (quello artistico-musicale e quello ‘standard’) aiuta a
comprendere la saltuarietà che ancora oggi caratterizza le relazioni
tra i due sistemi dell’alta formazione (AFAM e Università) in Italia.
La cooperazione tra i due sistemi è ulteriormente ostacolata da una
ambiguità normativa in grossa parte riconducibile all’incompletez-
za dell’iter di riforma del sistema AFAM. Nel 2002, dopo tentenna-
menti e tra perplessità, è sancita l’equipollenza dei titoli accademici
conseguiti nel sistema AFAM a quelli rilasciati dalle Università1, ai
fini di un pubblico concorso e del riconoscimento dei crediti forma-
tivi da spendere nei due sistemi dell’alta formazione. Nel 2003 alle
istituzioni AFAM è attribuita autonomia statutaria, regolamentare,
organizzativa, finanziaria e contabile, sempre nel rispetto dei prin-
cipi dettati dalle leggi dello Stato, mentre nel 2005 sono stabiliti i
criteri generali della nuova offerta formativa ridefinita secondo l’ar-
ticolazione in tre cicli di studio già applicato al sistema universitario
italiano, in convergenza con il modello europeo dell’istruzione di
terzo livello2. Come avremo modo di precisare considerando il caso
dell’alta formazione musicale, l’attuazione pratica di tali disposizio-
ni resta ancora gravemente lacunosa.
1. Si tratta della legge n. 268 del 2002, Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 212, recante misure urgenti per la scuo-
la, l’università, la ricerca scientifica e tecnologica e l’alta formazione artistica e
musicale.
2. Si fa riferimento a due Decreti del Presidente della Repubblica: rispettiva-
mente il n. 132 del 28 febbraio 2003, e il n. 212 del 8 luglio 2005.
32
Il sistema AFAM ricomprende al suo interno istituzioni etero-
genee in termini di dimensioni, tradizione e specificità didattiche:
l’Accademia di Arte Drammatica (AAD); l’Accademia Nazionale
di Danza (AD); le Accademie di Belle Arti, statali e riconosciute
(ABA); gli Istituti Superiori per le Industrie Artistiche (ISIA); gli
Istituti Superiori di Studi Musicali (ISSM); e ancora altri istitu-
ti privati autorizzati dallo Stato a rilasciare diplomi accademici.
Come si può osservare nella tabella 2, l’ambito della formazione
musicale è decisamente il più consistente, per numero di istituti
(oltre il 55% del totale), studenti iscritti (57%), personale docen-
te (75%) e ATA (64%). Tuttavia, la maggior parte della popola-
zione studentesca degli ISSM si concentra nella fascia di insegna-
mento detta ‘pre-accademica’, ovvero antecedente l’ingresso al
livello terziario. Se infatti dividiamo la popolazione studentesca
del sistema AFAM nei rispettivi livelli di studio, notiamo come
sono le Accademie di Belle Arti a detenere la maggior fetta di
studenti iscritti alla fascia accademica (circa 34 mila, corrispon-
denti a quasi il 40% del totale), la sola fascia che a rigore di legge
corrisponderebbe al sistema, seguite comunque dagli ISSM (con
circa il 27% del totale degli iscritti) (vedi la tab. II. 3).
33
Tab. II. 3 - Il sistema AFAM: studenti iscritti per tipologia di istituto e
livello di studi3, a.a. 2015-16 (valori assoluti e percentuali)
3. Per quanto riguarda gli ISSM il dato relativo alla categoria ‘preaccademico’
comprende gli iscritti sia ai corsi pre-AFAM, sia al corso inferiore e medio del
vecchio ordinamento. In tali ordinamenti è prevista l’iscrizione da parte dello
stesso studente a più di un corso: ciò potrebbe contribuire a spiegare perché
talvolta tra le diverse tabelle elaborate dalla banca dati del MIUR si riscontrino
lievi scostamenti. Nella presente tabella non sono riportati i dati relativi alle
iscrizioni ai corsi abilitanti all’insegnamento (PAS e TFA).
4. L’istruzione musicale professionalizzante è stata portata avanti in Italia, oltre
che nei Conservatori di musica (CM), finanziati dallo Stato, negli Istituti musi-
cali pareggiati (IMP), finanziati da enti locali, con curricula didattici equiparati
ai primi e come questi rilascianti titoli di studio legalmente riconosciuti. La
34
Questi, in quanto istituzioni per la formazione musicale pro-
fessionalizzante, si rivolgevano prevalentemente ad una popo-
lazione studentesca appartenente alla fascia di età corrispon-
dente alla scuola secondaria. Dopo la Riforma che ha portato
al loro inserimento nel livello terziario, gli Istituti Superiori di
Studi Musicali, a fronte dell’inadeguata offerta di formazione
musicale di base da parte del sistema di istruzione nazionale,
al fine di evitare di perdere il proprio bacino di utenza e per
utilizzare il personale docente in sovrannumero rispetto alla
domanda di formazione musicale terziaria, hanno inizialmen-
te mantenuto in vita i corsi inferiori del cosiddetto ‘vecchio
ordinamento’ (che regolava il settore prima della Riforma),
per poi attivare corsi detti ‘pre-accademici’, propedeutici
all’ingresso al livello accademico (approfondiremo meglio le
caratteristiche dell’offerta didattica nel quarto capitolo).
La tradizionale corrispondenza con un’offerta didattica rivolta
ad allievi in età scolare aiuta a spiegare anche l’ampia diffusione
di ISSM nel territorio nazionale, che segna un’altra peculiarità
dell’alta formazione musicale all’interno del sistema AFAM. La
figura II.2 mostra infatti come il numero di Istituti di alta istru-
zione artistica (Accademia di Arte Drammatica, Accademia Na-
zionale di Danza, Accademie di Belle Arti statali e riconosciute,
Istituti Superiori per le Industrie Artistiche) siano oggi fossero
nell’anno accademico 2015-16 circa sessanta (fig. II. 2.1), men-
tre i soli ISSM quasi ottanta : 58 Conservatori di musica (CM) e
19 ex Istituti musicali pareggiati (ex-IMP) (fig. II. 2.2).
35
Fig. II. 2 - Il sistema AFAM: distribuzione territoriale degli istituti
(a.a. 2015-16)
36
2.2 – ISSM: Conservatori di musica ed ex Istituti musicali pareggiati
37
Consideriamo adesso la dimensione di genere nell’analisi
comparativa degli istituti del sistema AFAM osservando i dati
riportati dalle tabelle II.4-6 5. Per quanto riguarda la popolazione
studentesca, la tabella II.4 mostra come complessivamente il si-
stema registri una presenza femminile superiore a quella maschile
(con il 54,5% degli iscritti femmine e 45,5% maschi), un dato in
linea con quello rilevato nel sistema universitario6. La maggiore
presenza femminile nel corpo studentesco si riscontra in tutte le
tipologie di istituti (con il picco dell’Accademia di danza, dove
84% degli iscritti sono donne) con la sola eccezione degli ISSM,
che vedono complessivamente una lieve prevalenza di iscritti ma-
schi (55% contro il 45% di femmine), più pronunciata nel livello
accademico (con 59% maschi e 41% femmine), maggiormente
orientato alla professionalizzazione delle carriere degli allievi.
Come nel settore universitario, anche in quello AFAM ad una
popolazione studentesca prevalentemente femminile corrisponde
una popolazione docente prevalentemente maschile: la tabella II.5
mostra infatti come il 67% dei docenti del settore AFAM siano
maschi, contro il 37% di docenti femmina7. Fa eccezione l’Acca-
demia di danza, dove è maggiore il tasso di docenti donna (il 57%
del personale docente). La percentuale più alta di docenti maschi è
registrata dall’Accademia di arte drammatica (74%, contro 26% di
docenti donna), seguita dagli ISSM (70%, contro il 30%).
La tabella II.6 presenta la distribuzione per tipologia di isti-
tuto e per genere della popolazione del personale AFAM non
5. I dati, disponibili online nella banca dati del MIUR, sono tratti dalle Ri-
levazioni annuali per il settore universitario (2015) e per il settore AFAM
(2015-16). Per quanto riguarda il personale, i dati riportati nelle tabelle ricom-
prendono le diverse tipologie contrattuali (a tempo indeterminato, a tempo
determinato, altro tipo di contratto).
6. Nel 2015 era di sesso femminile il 56% del totale degli iscritti nelle
università italiane.
7. Nel 2015 era di sesso maschile il 63,5% del personale docente di ruolo
presso gli atei italiani.
38
docente, che racchiude al suo interno lavoratori con qualifiche
e compiti altamente differenziati. Sebbene questa categoria non
rientri nel fuoco dalla ricerca, incentrata sulla definizione dei
percorsi formativi e professionalizzanti in campo musicale all’in-
terno del sistema di istruzione nazionale, abbiamo scelto di con-
siderarla per completezza informativa in questo paragrafo di pre-
sentazione generale del settore. Possiamo dunque rilevare come
circa due terzi del personale ATA del settore AFAM sia di sesso
femminile (il 67%), una percentuale più alta rispetto a quella
che si riscontra nel sistema universitario (dove è donna il 58%
del personale ATA). La maggiore presenza femminile in questa
categoria è confermata per tutti gli istituti, con un picco raggiun-
to nel caso degli ISIA (con il 76% del personale ATA donna e il
24% uomini).
M F M F M F M F M F M F
ABA 0 0 11230 22504 11230 22504 0,0 0,0 33,3 66,7 33,3 66,7
ISIA 0 0 402 556 402 556 0,0 0,0 42,0 58,0 42,0 58,0
ISSM 11859 11602 13822 9517 25681 21119 50,5 49,5 59,2 40,8 54,9 45,1
Altri 0 0 2175 2807 2175 2807 0,0 0,0 43,7 56,3 43,7 56,3
Tot. 11877 11698 27756 35763 39633 47461 50,4 49,6 43,7 56,3 45,5 54,5
39
Tab. II.5 - Il sistema AFAM: personale docente per tipologia di istituto
e sesso, a.a. 2015-16 (valori assoluti e percentuali)
M F MF M F MF
AAD 72 25 97 74,2 25,8 0,7
AD 46 60 106 43,4 56,6 0,8
ABA 2373 1378 3751 63,3 36,7 28,8
ISIA 148 47 195 75,9 24,1 1,5
ISSM 5091 2220 7311 69,6 30,4 56,1
Altri 1038 536 1574 65,9 34,1 12,1
TOTALE 8768 4266 13034 67,3 32,7 100,0
Fonte: Banca dati MIUR-AFAM
M F MF M F MF
AAD 8 11 19 42,1 57,9 0,8
AD 7 17 24 29,2 70,8 1,0
ABA 266 519 785 33,9 66,1 32,3
ISIA 10 32 42 23,8 76,2 1,7
ISSM 512 1048 1560 32,8 67,2 64,2
TOTALE 803 1627 2430 33,0 67,0 100,0
2. I Conservatori di musica
o Istituti Superiori di Studi Musicali (ISSM)
La legge di Riforma dell’alta formazione artistica e musicale
(l.508/1999) crea gli Istituti Superiori di Studi Musicali (ISSM),
costituiti dai Conservatori di musica (CM) e dagli Istituti musi-
cali pareggiati (IMP), inserendosi nel livello terziario di istruzio-
ne. Il grosso della popolazione studentesca e del personale do-
cente e non docente degli attuali ISSM appartiene ai CM: circa
l’86% per le prime due categorie e il 90% per la terza (vedi la
tabella II.5). Alla popolazione studentesca degli ISSM si aggiun-
40
ge quella di quattro istituti privati (circa 400 allievi), autorizzati
dal Ministero a rilasciare titoli accademici AFAM8. Di seguito
ricostruiamo il processo che, dai primi del Novecento, porta i
Conservatori ad espandersi fino a raggiungere il numero attuale
di istituti, studenti e docenti, evidenziando caratteristiche e pe-
culiarità di tale sviluppo.
41
L’azione centralizzatrice e uniformatrice dello Stato si rafforza
ulteriormente durante il fascismo: la denominazione comune
di ‘Conservatorio’ data ai primi istituti di formazione musicale
statizzati, scelti seguendo una logica reputazionale rispettosa di
un certo equilibrio territoriale, fu prevista dalla riforma Gentile
nel 1923, che li pose alle dipendenze della Direzione Generale
delle Antichità e Belle arti (Colarizi 1971).
Nella figura II.3 si può notare come nell’anno scolastico
1926-27 i sei Regi Conservatori, finanziati dallo Stato, si distri-
buiscono nel territorio nazionale in maniera piuttosto equilibra-
ta: due sono localizzati al Nord (Milano e Parma), due al Cen-
tro (Firenze e Roma), due al Mezzogiorno (Napoli e Palermo).
La diffusione di Istituti musicali pareggiati (IMP), riconosciuti
dallo Stato ma sovvenzionati dagli enti locali, sembra invece più
legata alle differenti risorse presenti nei territori, oltre che alle
tradizioni musicali locali: nel Settentrione risultano infatti sette
sedi (Torino, Venezia, Udine, Padova, Bologna e due istituti a
Trieste), mentre le due restanti si trovano al Centro (Lucca e
Pesaro); nessuna sede è presente nel Mezzogiorno10. L’anno sco-
lastico 1936-37 registra la statalizzazione del Conservatorio di
Torino e l’aumento di IMP, con l’ingresso delle due prime sedi
del Mezzogiorno (Teramo e Cagliari).
In epoca repubblicana il numero di istituti musicali rico-
nosciuti dallo Stato conosce una crescita significativa, seguen-
do criteri non più conformi ad una logica di tipo meramente
reputazionale o di rappresentanza territoriale (Salvetti 2000).
42
Nell’anno scolastico 1947-48 il numero di sedi di Conserva-
torio sale a dodici, distribuite in maniera relativamente equili-
brata nel territorio (cinque al Nord, tre al Centro, tre al Mez-
zogiorno); diventano tredici gli IMP, con le cinque sedi del
Mezzogiorno concentrate in due sole regioni (Pescara e Teramo
in Abruzzo; Bari, Foggia e Lecce in Puglia) alle quali si aggiun-
gono sei sedi del Nord (Alessandria, Padova, Udine, Genova,
Ferrara, Piacenza), e due sole sedi del Centro (Lucca e Peru-
gia). Dieci anni dopo (a.s. 1957-58) i CM sono 13 e gli IMP
16; venti anni dopo (a.s. 1967-68) i CM salgono a 21, gli IMP
sono 15.
Il periodo tra gli anni Sessanta e Settanta registra la più forte
proliferazione di istituti musicali riconosciuti dallo Stato11, sor-
retta dal convergere di pressioni differenti, che si rafforzano a
vicenda nel legittimare la richiesta di ampliamento dell’offerta
pubblica di formazione musicale: da un lato, cresce una doman-
da dal basso di istruzione musicale pubblica non professionaliz-
zante, intesa come parte del processo formativo di base della cit-
tadinanza, che non trova sbocco adeguato nei percorsi scolastici
‘standard’; dall’altro lato la logica politico-clientelare dominante
nella gestione della spesa pubblica nel periodo porta a richiedere
posti di lavoro aggiuntivi nelle sedi di nuova istituzione, in ge-
nere create prescindendo dalla valutazione del reale fabbisogno
formativo nel territorio12.
Alla fine degli anni Settanta (a.s. 1977-78), il numero di
CM sale a 49, quello degli IMP scende a 7 (per effetto della
11. Nel 1967 il tasso di crescita nel numero di ISSM rispetto al decennio precedente
è del 55%; per i Conservatori, tuttavia, raggiunge il 133%, mentre è negativo nel
caso degli IMP (-53%). Nel 1977 il tasso di crescita è invece del 16% per i CM, ma
del 71% per gli IMP, mentre del 23% per gli Istituti a livello complessivo.
12. Come chiarisce Salvetti (2000) la proliferazione delle sedi facilitò l’acces-
so degli studenti, portando ad un’espansione delle iscrizioni la quale, a sua
volta, comportò un aumento delle cattedre, assegnate sulla base del numero
di iscritti.
43
statalizzazione di molti ex-IMP). Il decennio successivo vede
un rallentamento della crescita, pur ancora presente (57 CM e
12 IMP). Il numero dei CM resterà da allora pressoché inva-
riato, mentre continuerà ad aumentare il numero di IMP (14
nell’a.s. 1997-98, 21 nell’a.s. 2007-08, che conta 58 CM), pure
in un clima di generale retrenchment della spesa pubblica all’in-
terno del quale si inseriva anche l’implementazione della legge
di Riforma (l.n. 508/1999), la quale prevedeva un programma
di riordino e riqualificazione degli Istituti13. L’anno scolastico
2015-16 registra, per la prima volta nella storia degli ISSM ita-
liani, una diminuzione del numero complessivo di Istituti, che
scende a 77 (59 CM, 18 IMP)14.
L’odierna distribuzione di ISSM nel territorio presenta una
situazione relativamente equilibrata a livello macroregionale:
come si osserva nella fig. II.4, vi è una lieve sovra-rappresen-
tazione di ISSM nel Nord e nel Mezzogiorno rispetto alla per-
centuale di popolazione nazionale residente (3 punti percen-
tuali ciascuno), a sfavore del Centro (6 punti percentuali in
meno). La sovra-rappresentazione meridionale a sfavore del
Centro si accentua nel caso dei CM, a finanziamento pub-
blico, mentre si attenua nel caso degli ex IMP, sovvenziona-
ti dagli enti locali. Il relativo bilanciamento rilevato a livello
macro-regionale può tuttavia coprire squilibri riscontrati nella
distribuzione di ISSM a livelli territoriali inferiori (Salvetti
2000: 271).
13. Interrogandosi sulle ragioni di tale incongruenza Salvetti (2000: 268) ipo-
tizza che «[la] scelta del Ministero (mai dichiarata) può essersi basata sulla pro-
spettiva di scaricare su altri gli oneri finanziari relativi».
14. Rispetto al decennio precedente, si registrano mutamenti di varia natura,
principalmente riguardanti gli ex-IMP: la fusione di sedi limitrofe in un’unica
sede (Reggio Emilia con Castelnuovo nei Monti, Modena con Carpi), la cre-
azione di una nuova sede (Ribera), la chiusura di un’altra sede (Ancona) e la
statalizzazione di una terza (Teramo).
44
Fig. II. 3 – I Conservatori di musica (ISSM): evoluzione della distribu-
zione territoriale degli istituti nel corso dal Novecento fino a oggi (annualità
selezionate)
45
46
Fonte: Istat, Statistiche sull’istruzione; banca dati MIUR-AFAM, nostre
elaborazioni.
47
Fig. II.4. Popolazione residente e numero di iscritti presso ISSM, CM
ed ex-IMP, per macroarea territoriale (a.a. 2015-16) (valori percentuali)
48
2.2 La popolazione studentesca
Come appena visto, nel corso del Novecento si assiste ad un
significativo aumento quantitativo nell’offerta e nella domanda di
formazione musicale in Italia. L’ampliamento del numero di sedi
significò infatti l’avvicinamento dei Conservatori di musica ad un
bacino più ampio di potenziali studenti e ciò favorì la crescita delle
iscrizioni (Salvetti 2000: 267). A tale mutamento non corrispon-
derà tuttavia un altrettanto significativo sforzo in termini di ride-
finizione qualitativa dell’offerta formativa degli Istituti, che – fatta
salva qualche sperimentazione – resterà ancorata al modello didatti-
co ottocentesco, cristallizzato dalle riforme del sistema di istruzione
musicale nazionale realizzate nei primi decenni del Novecento, fino
alla Riforma approvata alla fine del secolo (l.n.508/1999).
Osservando la figura II.5, che riporta l’evoluzione del numero
di iscrizioni15 dal secondo dopoguerra ad oggi, si nota infatti come
nei primi decenni del Novecento CM e IMP raccogliessero poche
migliaia di studenti, meno di 4.700 nell’anno scolastico 1926-2716.
Nei turbolenti decenni successivi, in piena epoca fascista e con lo
scoppio della seconda guerra mondiale, si registra un calo delle
iscrizioni, che si riducono a 2.800 unità nell’anno scolastico 1936-
37, per raggiungere il limite minimo di 2.600 nell’anno scolastico
1944-45. Già dall’anno successivo, con l’avvento dell’era repubbli-
cana, si rileva un aumento costante del numero di iscrizioni, che
a metà degli anni Sessanta superano le cinquemila unità. Sono gli
anni in cui, come abbiamo visto, si assiste ad una proliferazione di
CM e IMP nel territorio: così nei primi anni Settanta si superano
le diecimila iscrizioni e nei primi anni Ottanta le trentamila iscri-
15. I dati sono relativi al numero di iscrizioni, piuttosto che al numero di iscrit-
ti, visto che nei corsi tradizionali (‘vecchio ordinamento’) e pre-accademici lo
stesso allievo può essere contemporaneamente iscritto anche a più corsi dell’of-
ferta formativa.
16. Per avere una idea della relativa esiguità di tale popolazione studentesca, basti
pensare che nello stesso anno scolastico il numero di iscritti ammontava a 3.635.000
nella scuola primaria, 367.000 nella scuola secondaria, 42.700 nell’università.
49
zioni. A partire dagli anni Novanta il trend di crescita subisce una
battuta di arresto e riprende, in misura decisamente più contenuta,
a metà degli anni Duemila, fino a raggiungere le cinquantamila
unità nell’anno accademico 2010-11. Tale crescita, tuttavia, è vero-
similmente sorretta dalle modifiche seguite alla Riforma del 1999:
l’inserimento degli ISSM nel livello terziario porta infatti ad un
reingresso nel sistema di formazione di parte di studenti in uscita
dai corsi pre-riforma, mentre l’abbattimento dei limiti di età per
l’iscrizione apre ad un pubblico di utenti adulti prima esclusi17.
Negli anni successivi questo effetto pare infatti ridursi e si assiste ad
una contrazione delle iscrizioni, che nell’anno accademico 2015-
16 risultano meno di quarantasette mila.
Per quanto riguarda il genere, la presenza femminile risulta com-
plessivamente paritaria sin dai primi dati disponibili, relativi alla
metà degli anni Venti: nell’anno scolastico 1926-27 le iscrizioni di
allieve sono circa la metà di quelle dei colleghi maschi. Il dato è tan-
to più significativo se si considera la ancora limitata partecipazione
femminile nei percorsi formativi non obbligatori nello stesso perio-
do18: la figura II.6 consente di apprezzare il divario di genere iniziale
che caratterizza, ad esempio, la partecipazione femminile nella scuo-
la secondaria e, soprattutto, all’università. Tra gli anni Cinquanta e
Settanta il tasso di partecipazione femminile nei Conservatori subi-
sce una flessione, probabilmente legata al processo di ampliamento
dell’offerta formativa anche con corsi sperimentali che, come vedre-
mo, incontrano maggiormente il favore degli allievi maschi. Nella
prima metà degli anni Duemila si registra un aumento del tasso di
partecipazione femminile, che a partire dalla fine degli anni Duemila
si riduce nuovamente; nell’anno accademico 2015-16 è del 45%.
17. La re-iscrizione dei diplomati nel vecchio ordinamento è alimentata in parti-
colare dalla confusione che accompagna il dibattito sul processo di riconoscimen-
to del titolo di studio: il ‘vecchio’ diploma è infatti inizialmente equiparato alla
laurea di primo livello, solo in un secondo momento a quella di secondo livello.
18. Nello stesso anno scolastico (1926-27) la percentuale di femmine sugli
iscritti era del 48% nella scuola primaria, del 34% nella scuola secondaria, del
13% all’università.
50
Fig. II.5 - Conservatori di musica: evoluzione della popolazione stu-
dentesca, complessiva e per sesso (a.s. 1926/27-2015/16) (valori assoluti)
51
Consideriamo adesso come la popolazione studentesca,
complessiva e per genere, si distribuisce nell’offerta formativa
prevista dai Conservatori di musica. Nel corso del Novecento,
l’offerta didattica è definita da regolamenti definiti nel primo
trentennio del secolo19, che prevedono per l’ammissione una
prova di idoneità, a partire da limiti di età (variabili da un mi-
nimo di nove a un massimo di ventisei anni) e come titolo di
cultura generale la promozione alla quinta elementare. L’offerta
didattica si incentra sui corsi delle materie principali (poi det-
ti ‘scuole’), che includono: composizione, canto, organo, pia-
noforte, arpa, violino, viola, violoncello, contrabbasso, flauto,
oboe, clarinetto, fagotto, corno, tromba e trombone, strumen-
tazione per banda.
Tale elenco rivela l’adozione di specifici criteri di selezione
e gerarchizzazione degli insegnamenti negli istituti. In primo
luogo, si nota come il criterio di inclusione degli insegna-
menti riprenda le principali tradizioni produttive della mu-
sica colta occidentale, legate alla chiesa, al teatro, alle milizie,
escludendo invece lo studio di pratiche musicali piuttosto dif-
fuse - come quelle associate agli strumenti a percussione, la
chitarra o la fisarmonica - ma meno legittimati all’interno di
tale tradizione20. Vi è inoltre una gerarchia interna ai corsi, in
parte rispecchiata anche nella presentazione dei programmi
52
dei corsi nei regolamenti, che non segue un ordine alfabetico
(come invece dopo la Riforma): il primo posto è assegnato ai
corsi di composizione21, associati all’ideale medievale del mu-
sicus, che con la musica intrattiene un rapporto di conoscenza
teorica; il secondo ai corsi di canto e organo, rispettivamente
legati alla tradizione del melodramma e alla musica sacra; il
terzo al pianoforte, simbolo del virtuosismo e della distinzio-
ne borghese; a seguire, gli strumenti dell’orchestra, anche in
questo caso ordinati secondo un criterio gerarchico che dallo
strumento più nobile, l’arpa, arriva a quelli più popolari, ov-
vero i fiati (in particolare gli ottoni); per chiudere con il corso
di orchestrazione per l’ensemble strumentale popolare per an-
tonomasia, ovvero la banda. Tale articolazione costituirà fino
alla Riforma introdotta dalla legge n.508/1999 la salda ossa-
tura dell’offerta didattica dei Conservatori, integrata solo gra-
dualmente con l’attivazione di ‘corsi straordinari’ trasformati
in ‘ordinari’ solo a distanza di decenni22, che consentirono di
introdurre insegnamenti relativi ad una rosa più ampia e va-
riegata di strumenti e discipline: chitarra, clavicembalo, stru-
menti a percussione, sassofono, musica sacra, musica vocale
da camera, basso tuba, fisarmonica, flauto dolce, jazz, liuto,
mandolino, musica elettronica, prepolifonia, viola da gamba,
didattica della musica (Maione 2005: 11). Pochi i corsi com-
plementari (tra i quali canto corale, storia della musica, armo-
21. A questo proposito Delfrati (2017) definisce le tre fasi successive degli studi
che conducono al diploma di composizione – armonia, contrappunto, fuga,
composizione e strumentazione – come il ‘Gotha del Conservatorio’.
22. La possibilità di istituire «corsi speciali, temporanei, temporanei o perma-
nenti, facoltativi od obbligatori, per insegnamenti che pur non essendo com-
presi nei programmi ordinari siano riconosciuti necessari ai fini dell’incremento
dell’arte e delle industrie artistiche» era prevista dall’articolo n. 17 del R.D. n.
214 del 7 gennaio 1926, mentre l’istituzione della scuola di direzione d’orche-
stra era stata consentita «man mano che sarà possibile» dell’articolo n. 1 del
R.D. n.1945 del 11 dicembre 1930 (Maione 2005: 9, 64).
53
nia, esercitazioni orchestrali, musica da camera), con rilevanza
limitata e durata differenziata a seconda del corso di studi, con
l’eccezione del corso triennale comune di solfeggio. A seconda
della loro durata, le scuole si dividono in due o tre cicli di
insegnamento, conclusi da uno o due esami di compimento e
dall’esame di licenza finale, col quale si ottiene il diploma di
Conservatorio.
Osserviamo dunque come la popolazione studentesca si di-
stribuisce nelle scuole previste dall’offerta formativa nel corso
del Novecento. La figura II.7 mostra come a metà degli anni
Trenta la popolazione studentesca si concentrasse principal-
mente nelle classi di pianoforte (34%), violino (17%), canto
(13%), composizione (8%). Tale distribuzione – che rivela il
primato culturale attribuito al canone classico-romantico – è
principalmente guidata dalle (non) scelte delle allieve, le quali
si concentrano in maniera massiccia nella classe di pianoforte
(il 56%), di canto (17%), di violino (13%), di arpa (5%), mo-
strando una forte aderenza alle vincolanti prescrizioni sociali
sulle pratiche musicali femminili23. Molto più variegata la di-
stribuzione degli iscritti maschi: violino (21%), composizio-
ne (14%), pianoforte (10%), canto (9%), tromba e trombone
(9%), violoncello (7%), clarinetto (6%), organo (5%) o “altri
corsi” (19%)24, che indica la maggiore propensione maschile
a iscriversi in corsi con maggiori sbocchi occupazionali e non
esclusivamente solistici.
54
Trent’anni dopo (fig. II.8) la distribuzione complessiva del-
la popolazione studentesca – decisamente aumentata a seguito
della proliferazione di nuove sedi di Conservatorio nel terri-
torio25 – registra l’ingresso dei corsi di tromba e trombone e
di clarinetto tra quelli preferiti da oltre il 5% degli iscritti. A
guidare il cambiamento sono questa volta le innovazioni rile-
vate nelle scelte maschili, che vedono un calo delle iscrizioni
nei corsi classici (violino e composizione) a favore di corsi di
strumenti presenti nell’offerta tradizionale (pianoforte, trom-
ba e trombone, clarinetto), ma utilizzati all’interno di nuovi
canoni musicali (come quello del jazz), che in quegli anni co-
noscono una più diffusa legittimazione culturale (Lopes 2002).
La distribuzione femminile resta invece pressoché invariata e
ancorata al canone classico tradizionale (solo l’8% delle sempre
più numerose allieve azzarda scelte più varie), eccetto che per
una riduzione delle iscritte nelle classi di violino e un aumento
delle iscritte nella classe di composizione.
A fine secolo (fig. II.9) la distribuzione complessiva de-
gli iscritti mostra una maggiore dispersione della popolazione
studentesca in un’offerta formativa più ampia, legata all’in-
troduzione di corsi sperimentali (relativi all’ambito jazz o alla
musica antica), come si evince dall’aumento della quota di
allievi che sceglie una rosa più varia di ‘altri corsi’ (il 36%),
più significativa tra i maschi (40%), ma decisamente ampliata
tra le allieve (34%), le quali accolgono inoltre il flauto (con
l’8% delle preferenze) nella ristretta cerchia delle scelte prio-
ritarie femminili a orientamento classico (pianoforte, violino,
canto).
55
Fig. II. 7 - Distribuzione degli studenti di CM/IMP per tipologia di
corso principale e sesso, a.s. 1936/37 (valori percentuali)
56
Fig. II. 8 - Distribuzione degli studenti di CM/IMP per tipologia di
corso principale e sesso, a.s. 1967/68 (valori percentuali)
57
Fig. II. 9 - Distribuzione degli studenti di CM/IMP per tipologia di
corso principale e sesso, a.s. 1997/98 (valori percentuali)
58
ria di giovani allievi la maggior parte sono femmine (circa il 54%
contro il 46% di allievi maschi). Gli iscritti ai corsi del vecchio
ordinamento, ormai ad esaurimento, si concentrano nella fascia
di età tra i quindici e i ventiquattro anni (con il 19% degli iscrit-
ti); tuttavia, mentre nella fascia tra i quindici e i diciannove anni
prevalgono le femmine (il 55%), in quella tra venti e ventiquattro
anni i maschi segnano un lieve vantaggio (52%). Il vantaggio ma-
schile è presente nei corsi del nuovo ordinamento, che vedono la
maggiore partecipazione studentesca nella fascia di età tra i venti e
i ventinove anni (67% degli iscritti), ma una significativa parteci-
pazione anche nella fascia di over trentenni (20%). Anche in questi
corsi, la partecipazione femminile tende a decrescere all’aumenta-
re dell’età (passando dal 53% nella fascia inferiore ai vent’anni, al
40% di over ventenni). Tale tendenza potrebbe essere interpretata
come rispondente alla maggiore propensione delle allieve ad intra-
prendere da giovani, spesso su incentivazione familiare, la forma-
zione musicale a completamento della propria educazione rispetto
ai colleghi maschi, mentre questi ultimi più spesso la intendono
come scelta professionale o semi-professionale da adulti: si tratta
di un tema che svilupperemo ulteriormente nel quarto capitolo.
59
Fig. II. 10 - Distribuzione degli studenti di ISSM nei diversi ordina-
menti di studio, per età e per genere, a.a. 2015/16 (valori assoluti)
60
ordinamento (fig. II.11). Nell’anno accademico 2015/16 per il
‘vecchio ordinamento’ (fig. II.11.1), che chiude l’offerta didattica
novecentesca degli ISSM, si confermano preferenze già rilevate
nel decennio precedente (pianoforte, violino, clarinetto, flauto),
mentre si registra l’uscita dei corsi di composizione e canto e l’in-
gresso dei corsi di chitarra (7%) e violoncello (6%), spinti, rispet-
tivamente, dalle preferenze maschili (dove la chitarra raggiunge
il 10%) e femminili (dove il violoncello raggiunge il 7%). La
stessa impostazione si ritrova nell’indirizzo ‘pre-accademico’ (fig.
II.11.2), dove sembra rafforzarsi nel caso maschile la tendenza
verso un minore interesse per la tradizione classico-virtuosistica
(tipica, ad esempio, delle classi di violino) e un maggior favore
per corsi sia tradizionali (come le percussioni), che di nuova isti-
tuzione (come la batteria) associati a gusti musicali più contem-
poranei (specie il jazz e il pop-rock). Le scelte femminili restano
invece maggiormente ancorate alla tradizione classica, all’interno
della quale tuttavia si amplia la rosa di preferenze, fino ad inclu-
dere strumenti tradizionalmente maschili (come il violoncello o
il clarinetto).
Per quanto riguarda invece l’ordinamento accademico, in-
quadrato nel livello terziario di istruzione, le scelte degli allievi
sembrano principalmente orientate, oltre che dal perfezionamen-
to delle precedenti esperienze formative, da una maggiore pro-
pensione alla differenziazione consentita da un’offerta didattica
radicalmente ampliata26. Nel caso dei corsi di primo livello (fig.
26. Come avremo modo di vedere nel quarto capitolo, l’offerta didattica
post-Riforma prevede oltre un centinaio di corsi di studio che ampliano il re-
pertorio tradizionale ad ambiti non considerati dal canone classico-romantico
del vecchio ordinamento (musica antica, barocca, etc.), aprendosi a generi e
approcci musicali differenti (jazz, pop, nuove tecnologie, etc.), ribilanciando
lo spazio dedicato all’impostazione solistica (prevedendo esami di musica da
camera, da accompagnamento, orchestrale) e affiancando allo studio dello stru-
mento, quello di un’ampia scelta di materie analitiche e teoriche. Al fine di por-
tare avanti un ragionamento generale sulle dinamiche legate alla distribuzione
61
II.11.3), quasi il 40% della popolazione studentesca si iscrive a
corsi che non raggiungono il 5% del totale degli iscritti, mentre
i corsi più apprezzati risultano quelli di pianoforte (17%), canto
(16%), chitarra (10%), musica elettronica (7%), strumenti a per-
cussione e batteria (6%), violino (5%), che prevedono indirizzi
stilistici, oltre a quello classico. Il pianoforte, con il violino ed il
flauto, trova conferma tra le preferenze femminili, ma perde la
prima posizione a favore del canto (che raggiunge il 32%), men-
tre fa il suo ingresso la didattica della musica (5%). Le preferenze
maschili confermano la tendenza, già rilevata negli ordinamen-
ti tradizionali, a una crescente predilezione per indirizzi stilisti-
ci contemporanei27. Tali andamenti sono ancora più accentuati
nel caso dei corsi di secondo livello (fig. II. 11.4), dove quasi la
metà degli iscritti fa scelte maggiormente differenziate (il 48%),
mentre l’altra metà si concentra nei corsi di canto (19%), pia-
noforte (17%), jazz (6%), chitarra (5%) e violino (5%). Ancora
una volta si nota la differenza tra le scelte maschili, più variega-
te nella selezione degli strumenti e dei generi (con oltre il 10%
degli allievi maschi iscritti nei corsi esclusivamente dedicati al
jazz)28, e quelle femminili, più convenzionali (canto, pianoforte,
violino, flauto). Consideriamo quindi la distribuzione di iscritti
per i corsi post-diploma (fig. II.11.5), che si distinguono per un
apprendimento musicale finalizzato ad ambiti professionali di
tipo educativo o terapeutico: 82% delle preferenze sono infatti
accordate a corsi abilitanti all’insegnamento (i Tirocini formativi
attivi e i Percorsi abilitanti speciali), 9% ai corsi di musicotera-
degli allievi nei corsi, prima di procedere con l’elaborazione dei dati si è dunque
reso necessario includere i corsi affini all’interno di un’unica categoria più gene-
rale. Ad esempio, all’interno della categoria ‘chitarra’ sono stati inseriti sia i corsi
di chitarra classica, che quelli di chitarra jazz o chitarra flamenca.
27. Nei corsi di I livello dell’a.a. 2015/16 oltre la metà degli allievi dei corsi
di chitarra (la seconda scelta tra quelle preferite dagli allievi di ISSM) risulta
iscritto in un indirizzo non classico.
28. A tali corsi si aggiungono quelli di strumento o canto con specifico indirizzo jazz.
62
pia, 6% ai corsi di canto. Musicoterapia e canto risultano scelte
particolarmente apprezzate dalle allieve, tra le quali riscuotono,
rispettivamente, il 14% e il 10% delle preferenze.
63
11.2 Nuovo ordinamento: livello pre-accademico
64
11.3 Nuovo ordinamento: I livello accademico
65
11.4 Nuovo ordinamento: II livello accademico
66
11.5 Nuovo ordinamento: livello post-diploma accademico
67
Consideriamo infine alcuni dati sulla popolazione studente-
sca che evidenziano la natura selettiva della formazione in Con-
servatorio. Il regolamento del 1918 stabilisce il numero massi-
mo di allievi per docente: 12 per i corsi principali, 20 per quelli
complementari con lezione individuale e 30 per quelli com-
plementari e collettivi (Maione 2005: 17). L’ingresso di nuovi
allievi in un corso si lega dunque alla disponibilità di posti nelle
classi di docenti di tale insegnamento; in caso di indisponibilità
di posti vacanti nel corso prescelto, il candidato deve ripiegare
su corsi meno richiesti. La tabella II.5 mostra come, tranne per
gli anni Venti, quando il numero di allievi per docente si avvi-
cina a quello previsto dai regolamenti (11,2%), il rapporto tra
numero di studenti per docente si mantiene estremamente bas-
so fino ai giorni nostri: si tratta di un dato da collegare, come
vedremo nel quarto capitolo, all’alto tasso di abbandono che
caratterizza il percorso di studi in Conservatorio, confermato
dal rapporto percentuale tra iscritti e diplomati – da leggere tut-
tavia con cautela in riferimento al rilevante sfasamento tempo-
rale tra le due categorie, specie in determinati periodi storici29.
Come si evince osservando la tabella II.6, tale rapporto è molto
basso: negli anni Venti si diplomano solo quattro allievi su cen-
to iscritti nello stesso anno30; nell’ultima annualità considerata
(2015/16) tale quota sale a dodici allievi. Non emergono dif-
ferenze significative tra i dati riferiti agli allievi maschi e quelli
relativi alle allieve femmine.
Ai diplomati ‘interni’ si aggiungono quelli ‘esterni’ o ‘pri-
vatisti’, ovvero studenti che intraprendono lo stesso percorso
29. Nel vecchio ordinamento, la durata minima dei corsi di studio di strumento
era tra i sette e i dieci anni. Lo sfasamento è da considerare in particolare in
riferimento agli anni Sessanta e Settanta, quando vi è un significativo aumento
di iscritti a seguito della proliferazione di Istituti nel territorio.
30. Il rapporto è più basso per gli alunni degli IMP (3,4% contro il 5,1% del
Conservatorio) e più alto per le ragazze rispetto ai ragazzi (4,7% contro 3,4%).
68
di studi previsto in Conservatorio prendendo lezioni private
e presentandosi poi alle sessioni di esame al fine di ottenere
il titolo di studio di compimento o licenza. Si tratta di una
pratica assai diffusa e accettata nei Conservatori, specie fino
a quando la proliferazione degli istituti nel territorio non fa-
ciliterà la frequenza di allievi residenti in aree lontane dalle
sedi storiche, che alimenta una sacca significativa di economia
sommersa nel settore. Nella tabella II.6 si nota come a metà
degli anni Trenta oltre il settanta per cento dei diplomati si-
ano privatisti, dei quali la maggior parte è donna (il 75%):
un dato facilmente interpretabile alla luce della consuetudine
borghese ad istruire le fanciulle in casa, in un ambiente meno
promiscuo e più controllato, nonché della resistenza all’inter-
no degli Istituti al processo di «invadenza dell’elemento fem-
minile» (Delfrati 2017).
Come anticipato, la percentuale di diplomati privatisti di-
minuisce con l’ampliamento delle possibilità di ingresso legato
al proliferare degli Istituti nel territorio, senza tuttavia scom-
parire: ancora nell’anno scolastico 1997/98 su cento diplomati
trentacinque sono esterni, adesso in misura paritaria maschi e
femmine (rispettivamente il 52% e il 48%). Il dato suggerisce
il persistere di una serie di motivazioni che portano gli allievi
a preferire all’iscrizione negli Istituti un investimento nella for-
mazione musicale decisamente più oneroso economicamente.
La riforma del sistema AFAM (l.508/1999) elimina dai rego-
lamenti relativi ai corsi ordinamentali degli ISSM la figura del
privatista, prevista ancora solo per gli esami relativi ai corsi del
vecchio ordinamento in esaurimento e per i corsi pre-accademi-
ci non ordinamentali31.
69
Tab. II. 5 - ISSM: numero istituti, docenti, studenti, studenti per do-
cente, varie annualità (valori assoluti)
Tab. II. 6 - ISSM: studenti iscritti e diplomati (interni) per sesso e tipo-
logia di istituto, varie annualità32 (valori assoluti e percentuali)
32. I dati dei diplomati sono relativi al primo anno solare dell’a.s./a.a. indicato.
70
Tab. II. 7 - ISSM: studenti diplomati: interni ed esterni, maschi e fem-
mine, varie annualità33 (valori percentuali)
DIPLOMATI
annualità %I %E %M %F
1936/37 26,9 73,1 30,7 69,3
1947/48 33,2 66,8 38,9 61,1
1957/58 44,0 56,0 41,0 59,0
1967/68 42,2 57,8 48,5 51,5
1977/78 56,2 43,8 59,7 40,3
1986/87 69,2 30,8 55,6 44,4
1997/98 65,0 35,0 51,1 48,9
Fonte: Istat, Statistiche sull’istruzione; Banca dati MIUR-AFAM.
33. I dati dei diplomati sono relativi al primo anno solare dell’a.a. indicato.
71
lo è alla luce della già evidenziata presenza di processi di segrega-
zione formativa, che si riverberano poi in ambito lavorativo. Dai
dati relativi ai docenti di ruolo degli ISSM si rileva come ancora
oggi le donne si concentrino nelle classi tradizionalmente associate
al genere femminile (arpa, canto, pianoforte) e siano assenti o una
minoranza non solo nelle classi in cui è scarsa la presenza di stu-
dentesse (tromba e trombone, contrabbasso, jazz) ma perfino nelle
classi ormai femminilizzate (come quella di violino o flauto)34, nelle
quali tuttavia la loro presenza aumenta nelle ultime generazioni35.
34. Nelle classi di flauto traverso dei CM, composte per circa il 70% da allieve,
solo il 33% dei docenti di ruolo è donna; solo il 28,2% nelle classi di violino,
dove le allieve rappresentano il 65% degli allievi di triennio (fonte: MIUR-A-
FAM dati sugli iscritti relativi all’a.a. 2014-15; i dati sui docenti fanno riferi-
mento solo al personale in ruolo nei CM, gli unici per i quali il MIUR prevede
un’anagrafe docenti: http://cercauniversita.cineca.it/php5/afam/docenti/cerca.
php; ultima consultazione: 1/6/2017).
35. Similmente, al dicembre 2016, nelle orchestre delle Fondazioni lirico sinfo-
niche italiane la percentuale di donne nei posti di flauto, la più alta dopo quelli
per violino (39,6%) e viola (29,7%), si fermava al 29,6%; la percentuale di
prime parti donna, inclusa l’arpa, risultava circa il 12% sul totale (fonte: portali
Fondazioni lirico sinfoniche) (Casula 2017).
72
La segregazione di genere nel corpo docente è riscontra-
bile non solo a livello orizzontale, ma anche verticale, con-
siderando la percentuale di donne al vertice di governo degli
Istituti. Il ruolo preminente del direttore, o capo di istituto,
nella gestione del Conservatorio emerge sin dai primi rego-
lamenti e si conserva fino ad oggi, pur a fronte delle diverse
modifiche normative36. La nomina avveniva da parte mini-
steriale sulla base di requisiti di prestigio artistico che, fino
agli anni Sessanta - prima della imponente proliferazione di
Istituti nel territorio - erano in genere associati al campo della
composizione o della direzione d’orchestra, riconosciuti come
i più autorevoli nell’ambito della cultura musicale e tradizio-
nalmente refrattari alla partecipazione femminile. L’eteroge-
neità qualitativa delle nomine seguita alla proliferazione degli
Istituti, i carichi gestionali sempre più onerosi, nonché la per-
dita di valore economico dello stipendio di direttore (ridotto,
nel caso di direttori incaricati ad una indennità aggiuntiva
allo stipendio di docente), portano ad una riduzione del fasci-
no attrattivo della carica per i musicisti di maggior prestigio
(Battel 2015). Negli anni Ottanta, dopo un fallito tentativo
di reclutamento attraverso un concorso per titoli ed esami37,
36. Organo del Ministero della pubblica istruzione, del quale fa da tramite esclusi-
vo nelle comunicazioni relative al personale, originariamente il direttore funge da
capo e rappresentante esclusivo degli interessi dell’Istituto, del quale deve curare
il buon andamento didattico, amministrativo, disciplinare, gestionale. La riforma
Gentile gli affianca nello svolgimento delle sue funzioni il Consiglio di ammini-
strazione e il Consiglio dei professori (Spirito 2012: 6-8), mentre l’ultima riforma
(l.n.508/1999) gli contrappone un secondo organo monocratico, quello del Pre-
sidente di ISSM, al quale attribuisce il ruolo di rappresentante legale e ammini-
strativo lasciando al direttore una responsabilità diretta sulle questioni prettamente
artistiche e didattiche dell’Istituto. Questa duplice rappresentanza oggi crea non
poche ambiguità e inefficienze nella gestione degli ISSM (cfr. Chiamata alle arti.
Documento della Conferenza dei Direttori dei Conservatori di Musica, 2015: 10-12).
37. Nei primi anni Ottanta fu indetto dal Ministero un concorso per esami e
titoli per l’immissione in ruolo di direttore di Conservatorio, che prevedeva una
73
si burocratizzano i criteri di nomina, che non richiedono ai
candidati alcun requisito formale, se non quello essere docen-
te di ruolo da almeno cinque anni e non avere procedimenti
disciplinari o penali pendenti. Negli anni Novanta si passa
all’elezione diretta del direttore da parte del corpo docente,
su presentazione di candidature accompagnate da curriculum
vitae e programma elettorale: come avremo modo di argo-
mentare nel quarto capitolo, l’assenza di criteri stringenti nel-
la definizione della “comprovata professionalità” richiesta ai
nuovi direttori rappresenta, con la questione del reclutamento
docenti, uno dei nodi più critici del processo di implementa-
zione della Riforma38.
Come cambia la presenza femminile ai vertici dei Conser-
vatori nel periodo considerato? Le rilevazioni Istat consultate
riportano il dato relativo al sesso dei direttori solo relativa-
mente all’anno scolastico 1936-37, quando non risulta alcu-
na donna alla guida di un CM o IMP. Bisogna attendere il
passaggio alle rilevazioni del MIUR, a seguito della Riforma,
per aggiornare il dato: ebbene, ancora nell’anno accademico
1999/2000 – quasi un secolo dopo – la percentuale di don-
ne sul totale dei direttori è inferiore al 5% (3 a fronte di 59
maschi). L’anno accademico la quota di direttori donna sale
al 10%, raggiunge il 20% nell’anno accademico 2012/13, per
74
ridursi nuovamente al 9% nell’ultimo anno accademico esa-
minato (2016/17)39.
L’evoluzione storica della popolazione docente si lega, oltre
che alla diffusione degli Istituti e all’espansione delle iscrizioni,
alla complessa questione del reclutamento, caratterizzata da un
forte contrasto tra le regole formalmente previste e le pratiche
concretamente adottate. Già la legge n.734 del 1912 contem-
plava ai fini dell’ingresso in ruolo dei docenti un concorso per
titoli ovvero un più selettivo concorso per esami e titoli, che
tuttavia nel corso del secolo fu bandito solo in due occasioni:
nel 1935 e nel 199040. La stessa legge del 1912 prevedeva in-
fatti la facoltà del Ministero della pubblica istruzione di asse-
gnare incarichi senza concorso, sulla base della “chiara fama”
raggiunta nella materia da insegnare, a partire da candidature
proposte dai direttori dei Conservatori e previo parere positivo
della Commissione permanente d’arte musicale e drammatica,
particolarmente utilizzata nel periodo fascista di proliferazione
degli Istituti41. Nel 1918 è emanato il regolamento che per circa
un secolo costituirà la base della disciplina organizzativa e strut-
75
turale dei Conservatori di musica italiani42. Per quanto riguarda
il corpo docente, sono disciplinate in maniera più dettagliata le
procedure dei concorsi, banditi con decreto del Ministero della
Pubblica istruzione, riportandone le disposizioni in termini di
collocamento e dimissioni a quelle riguardanti lo stato giuridi-
co degli impiegati civili (Spirito 2012: 8). Tra gli anni Sessanta
e Settanta, quando le pressioni per l’inserimento dell’istruzione
della musica nel sistema scolastico sostengono l’espansione di
CM nel territorio, una serie di interventi normativi inserisce
la regolamentazione degli Istituti nel più generale quadro del
livello secondario di istruzione: i corsi inferiori dei Conserva-
tori sono integrati nei curricola di scuole medie ‘annesse’ agli
Istituti43, si istituiscono una decina di licei sperimentali musi-
cali all’interno di alcuni Conservatori44 e una serie di provve-
dimenti applicano all’istruzione artistica le regole previste per
il comparto scuola in materia di governance, reclutamento e
gestione del personale docente e non docente45. Questo indiriz-
zo è confermato nel decennio successivo46, quando i CM sono
sostanzialmente equiparati agli istituti di istruzione secondaria
dal punto di vista normativo (Spirito 2012: 13). Nel caso del
personale docente, tale equiparazione si traduce nell’adozione
76
di meccanismi di reclutamento e conferimento delle supplen-
ze simili a quelli vigenti nel sistema scolastico. Anche nei CM
si afferma quindi una logica di reclutamento, legittimata nel
comparto Scuola grazie alla significativa azione dei sindacati di
settore, che favorisce i docenti con maggiore anzianità concor-
suale o di servizio, nonché in possesso di requisiti non profes-
sionali ritenuti premianti (come la genitorialità), sacrificando
la valutazione del merito dei candidati esterni. La previsione di
un doppio canale di reclutamento, attraverso i concorsi sia per
esami e titoli che per soli titoli, accompagnata dalla mancata
programmazione regolare di concorsi (prevista invece per leg-
ge), che lascia illimitatamente in vigore graduatorie con validità
temporanea, contribuiscono a creare una significativa sperequa-
zione nelle modalità di reclutamento del personale docente47 e
ad immettere in ruolo candidati più anziani talvolta mediocri o
scadenti, a discapito di giovani più valenti e motivati (Salvetti
2000: 270-271).
47. Al D.M. del 12 luglio 1989, che indice un concorso di accesso ai ruoli
del personale docente dei Conservatori di musica per soli titoli, segue l’an-
no successivo un decreto (del 18 luglio 1990) che indice un concorso per
titoli ed esami. La legge n. 417 del 1989 (art. 2) istituisce un doppio canale
nel reclutamento del personale docente della scuola, ovvero una modalità
di inserimento in ruolo che attinge al 50% dalle graduatorie dei vincitori
di concorso per esami e titoli (GET, ovvero Graduatorie esami e titoli) e
al 50% alle graduatorie dei vincitori per soli titoli (GNE, ovvero Gradua-
torie nazionali ad esaurimento) e stabilisce che entrambe le procedure di
reclutamento dovranno avvenire con una cadenza triennale (Gremigni e
Settembrini 2007: 388). Le GNE sono state poi trasformate in graduatorie
nazionali permanenti (dalla legge n. 124/1999) e infine in graduatorie na-
zionali ad esaurimento (dalla legge n. 508/1999). Sempre nel 1999 è stata
indetta (con Ordinanza ministeriale n. 247 del 20/10/1999) una sessione di
esami per l’immissione in ruolo presso Accademie e Conservatori, riservata
a candidati che vi avevano svolto almeno 360 ore di insegnamento, che ha
previsto una prova orale volta all’accertamento della preparazione culturale
e delle capacità didattiche dei candidati relativamente agli insegnamenti da
svolgere.
77
Un ulteriore meccanismo perverso nella logica del reclu-
tamento dei docenti è dato dal sistema di assegnazione del-
le cattedre ai diversi Conservatori di musica. Fino agli anni
Novanta tale sistema era gestito dall’Ispettorato all’istruzione
artistica del Ministero della Pubblica istruzione, che non se-
guiva una programmazione pluriennale dell’offerta formativa,
bensì attuava una contrattazione con i singoli Istituti che, a
partire da un calcolo del numero di docenti sulla base delle
iscrizioni, prevedeva «un contenzioso verbale, telefonico o di
presenza, che ogni direttore di Conservatorio di quegli anni
ricorda con orrore» (Salvetti 2000: 267). A seguito di una de-
cisa protesta avanzata al Ministro dai direttori di Conservato-
rio, nel 1998 il Ministero passa ad un sistema basato sul co-
siddetto ‘organico funzionale’48: in considerazione del numero
di iscritti, a ciascun Conservatorio è assegnata una quota di
cattedre, che ne definisce l’organico ‘fisso’, non più variabile
né all’aumentare né al diminuire delle iscrizioni. Da allora, ad
una eventuale espansione studentesca o ad una riformulazione
dell’offerta didattica si sarebbe fatto fronte con la previsione
di contratti a tempo determinato o, più raramente, permutan-
do una cattedra pre-esistente di un corso poco frequentato re-
sasi eventualmente disponibile, con una cattedra per un corso
maggiormente richiesto. Anche in questo caso, il meccanismo
adottato premiò le ragioni degli insiders a discapito degli out-
48. Per ‘organico funzionale’ si intende una quota di personale che può aggiun-
gersi a quello di ruolo (organico di fatto) a seconda delle necessità e delle dispo-
nibilità finanziarie di una istituzione, per un periodo di tempo determinato (in
genere un triennio). Il concetto è stato introdotto alla fine degli anni Novanta,
in un quadro di contenimento e miglioramento dell’efficacia della spesa pub-
blica, e applicato sia nella nuova gestione dei teatri lirico-sinfonici (trasformati
dal D.L. n.367 del 29 giugno 1996 da enti autonomi a fondazioni di diritto
privato), dove è utilizzato per le esigenze delle stagioni musicali, che nel com-
parto Scuola (D.P.R. 233/98, D.P.R. 251/98, D.M. 71/99), dove consente di
ampliare e aggiornare l’offerta formativa.
78
siders, rafforzando la stabilità dei docenti di ruolo e riducendo
le possibilità di assunzione stabile dei giovani musicisti, visto
che il “congelamento” delle cattedre legava al pensionamento
dei docenti di ruolo la disponibilità di cattedre vacanti, coper-
ta ricorrendo a docenti reclutati dalle graduatorie nazionali di
concorso, sempre più di frequente assunti anche con contratti
a tempo determinato.
La condizione di vulnerabilità dei più giovani aspiranti
docenti è evidente anche nel caso dei meccanismi che rego-
lano il reclutamento per contratti a tempo banditi dai singoli
Conservatori per coprire esigenze didattiche ulteriori rispetto
a quelle relative alle cattedre vacanti. La discrezionalità che
caratterizza la valutazione dei titoli artistici offre infatti ai di-
rettori un potere decisionale nella definizione delle graduato-
rie di istituto, che incentiva l’adozione di forme di scambio
clientelare (Delfrati 1997): il trattamento di favore in sede
di assunzione lega infatti i docenti a contratto ad un debito
di riconoscenza, che può tradursi in sostegno o acquiescenza
rispetto alle scelte direttoriali nel governo dell’istituto. A tali
meccanismi risultano maggiormente esposti i docenti assun-
ti dagli IMP, dove si fa maggiore utilizzo di forme di lavoro
precario, cui talvolta corrisponde un orario di lavoro supe-
riore rispetto a quello retribuito (Salvetti 2000). Da ultimo,
ma non per importanza, è da rilevare come tutte le procedure
di reclutamento, sia formali che informali, siano pressoché
esclusivamente basate sulla valutazione dei titoli artistici, ma
non sulle specifiche competenze didattiche dei candidati (Ro-
selli 2015: 146).
La legge di riforma n. 508 del 1999 configura un nuovo
modello di reclutamento, orientato alla flessibilità lavorativa
del personale docente: la prevista adozione di un regolamento
relativo alle procedure di reclutamento del personale (art.2,
c.7.e) contempla l’inquadramento in appositi ruoli ad esau-
79
rimento dei docenti a tempo indeterminato già assunti o re-
clutati dalle vecchie graduatorie nazionali e l’assunzione con
contratti di durata non superiore al quinquennio, rinnovabili,
per le nuove immissioni in ruolo (art. 2, c. 6). Tuttavia, a
circa venti anni di distanza dalla riforma, il regolamento non
è stato definito e vige ancora il vecchio sistema di recluta-
mento caratterizzato, da un lato, da un utilizzo prolungato
di personale precario per coprire le esigenze didattiche degli
istituti, dall’altro da cicli di stabilizzazione ope legis di parte di
tale personale. A fronte dell’esaurimento della maggior parte
delle graduatorie, infatti, nel 2004 il Ministero ne definisce
delle nuove riservate ai docenti con almeno 360 giorni di in-
segnamento presso istituzioni AFAM, previa verifica dei titoli
artistici e culturali49. Originariamente definita per i posti a
tempo determinato, dieci anni dopo tale graduatoria è adot-
tata anche per le immissioni in ruolo, da una legge che ha
inoltre previsto una ulteriore graduatoria nazionale (sempre
riservata ai docenti con almeno 360 giorni di insegnamento
presso istituzioni AFAM, omettendo la verifica dei titoli arti-
stici) per gli incarichi annuali50.
La dinamica della popolazione docente può essere dunque
analizzata considerando le variazioni nel tempo dell’equilibrio
tra la percentuale di docenti stabili e quella di docenti preca-
ri51. Le figure II.13 e II.14 mostrano le risposte date alla que-
stione della stabilizzazione del personale precario, rispettiva-
mente, nel periodo pre-Riforma e post-Riforma. Nel periodo
49. Si tratta dell’articolo 2-bis del decreto legge del 7 aprile 2004, n. 97, con-
vertito con modifiche nella legge n. 143 del 2004.
50. Il riferimento normativo di tali procedure è il decreto legislativo n.
104/2013, poi legge n.128/2013.
51. Come già precisato, i dati dal 1999 ad oggi fanno riferimento alla banca dati
MIUR-AFAM (Rilevazione alta formazione artistica e musicale); quelli delle
annualità precedenti alle rilevazioni Istat sulle statistiche sull’istruzione.
80
che dal secondo dopoguerra52 arriva fino alla fine degli anni
Novanta si nota come, a livello complessivo (fig. II. 13.1), il
ventennio postbellico riporti una quota consistente di per-
sonale precario (circa il 40% del totale), che aumenta fino a
raggiungere il 70% nei primi anni Settanta, all’interno di un
trend di forte crescita della popolazione docente, seguito da
una marcata tendenza verso una graduale stabilizzazione, che
porta negli anni Novanta a registrare le quote più basse di per-
sonale precario (intorno al 13% del totale). La tendenza alla
stabilizzazione occupazionale del personale docente precario
è più evidente nel caso dei CM (fig. II. 13.2), dove la quota
di precari sul totale dei docenti arriva negli anni Novanta a
percentuali ad una sola cifra. Nel caso degli IMP (fig. II. 13.3)
si osserva invece una più marcata tendenza all’utilizzo della
precarietà del personale docente: ciò è evidente nel ventennio
postbellico, quando la quota di personale precario è superio-
re a quella di personale stabile (rispettivamente 57% contro
43%); tale relazione si inverte a partire dalla seconda metà
degli anni Settanta, quando la quota di precari sul totale dei
docenti diminuisce, ma resta comunque significativa anche
negli anni Novanta (circa il 39%).
Nella figura II.14, che considera invece il periodo che dal-
la Riforma arriva ai giorni nostri, notiamo come complessi-
vamente si assista ad una ripresa del fenomeno della precariz-
zazione del personale docente (fig. II.14.1), particolarmente
evidente nell’ultimo decennio (nell’a.a. 2015/16, è precario il
37% dei docenti di ISSM). Ancora una volta notiamo come la
tendenza alla precarizzazione, pur significativa nei CM (dove
nell’a.a.2015/16 è precario il 34% dei docenti) (fig. II. 14.2),
risulta decisamente più marcata nel caso degli ex IMP, dove il
52. I dati delle annualità precedenti sono disponibili solo per l’a.s. 1936-37,
quando risulta precario il 45,8% del numero complessivo di docenti (il 37,5%
dei docenti di CM, il 54% dei docenti di IMP).
81
grafico assume le forme tipiche dell’andamento ‘a forbice’ (fig.
II. 14.3), che incrocia tendenze in direzione inversa: come già
nel dopoguerra, nell’ultimo decennio la popolazione di docenti
precari aumenta e supera quella dei docenti stabili, che contem-
poraneamente diminuisce: nell’a.a. 2015/16 sono precari circa
60 su cento docenti di ex IMP.
La ripresa del precariato è spinta in particolar modo dall’u-
tilizzo di collaborazioni esterne per coprire insegnamenti non
compresi nella dotazione organica, selezionate attraverso ban-
di di istituto, in genere offerenti condizioni contrattuali meno
vantaggiose rispetto al lavoro stabile. La figura II.15 riporta
l’evoluzione della popolazione docente dalla riforma ad oggi
distinguendola in categorie con diversi gradi di precarietà occu-
pazionale: i docenti in organico stabili (di ruolo, con contratto
a tempo indeterminato), quelli in organico precari (assunti con
contratto a tempo determinato attraverso graduatorie naziona-
li) e infine i docenti fuori organico precari (assunti con con-
tratti a tempo determinato attraverso graduatorie di istituto).
Possiamo notare come si registri un aumento di questa seconda
categoria di precari, particolarmente accentuato nell’ultimo de-
cennio nel caso degli ex IMP (fig. II. 15.3): nell’a.a. 2015/16 è
stabile il 41% del personale docente; l’11% è precario in orga-
nico; il 18% precario fuori organico.
La tendenza alla flessibilizzazione nell’assunzione del per-
sonale docente, prevista dalla riforma AFAM (sebbene secon-
do un regolamento ancora in approvazione), può essere letta
come rispondente alla volontà di definire un’offerta didattica
più innovativa e più adattabile alle variabilità delle richieste,
tanto degli iscritti quanto del mercato del lavoro; tuttavia i costi
di tale flessibilità sono al momento principalmente scaricati su
docenti non compresi nella dotazione organica, precari e con
scarse tutele contrattuali, e sugli studenti dei loro corsi, cui non
viene garantita una continuità didattica.
82
Fig. II.13. CM e IMP: evoluzione della popolazione docente, per
condizione occupazionale e tipologia di istituto, a.s. 1947/48-1997/98
(valori assoluti)
83
Fig. II.14. ISSM: evoluzione della popolazione docente, per condizione
occupazionale e tipologia di istituto, a.a. 1999/2000-2015/16 (valori assoluti)
84
Fig. II.15. ISSM: evoluzione della popolazione docente, per grado di
precarietà occupazionale e tipologia di istituto, a.a. 1999/2000-2015/16
(valori assoluti)
85
III
Definire il campo:
le lotte simboliche per la collocazione
dei Conservatori nel sistema di istruzione nazionale
Introduzione
In questo capitolo ripercorriamo il processo istituzionale che
porta a riconfigurare i Conservatori di musica, all’interno del siste-
ma di istruzione nazionale italiano, da umili botteghe artigiane in
prestigiosi istituti di alta cultura. L’origine istituzionale dei Conser-
vatori di musica italiani risale infatti ad opere di assistenza cinque-
centesche che prevedevano l’insegnamento musicale tra le diverse
attività formative impartite con finalità riabilitative secondo il mo-
dello a bottega. A partire dal Seicento, l’istruzione musicale diven-
ta l’asse portante e distintivo della struttura didattico-assistenziale
degli istituti e il termine Conservatorio sinonimo di scuola per la
formazione di musicisti professionisti. La denominazione è difat-
87
ti adottata dal Conservatoire National de Musique di Parigi, prima
istituzione di formazione musicale laica e statale fondata durante
la Rivoluzione francese, che intende però distinguersi dall’antece-
dente italiano trovando nell’accreditamento dello Stato (del quale,
a sua volta, contribuisce a legittimare il potere celebrandone miti
e cerimonie) e nell’aderenza al modello di istruzione moderno,
basato sulla razionalità del metodo, le fonti di legittimazione del
proprio prestigio culturale. La legittimazione culturale della forma-
zione musicale professionalizzante è ulteriormente consolidata a
partire dalla seconda metà dell’Ottocento dalla diffusione ad opera
dell’estetica romantica di un ideale di ‘musica assoluta’, caratte-
rizzata da esistenza e significato propri. La produzione musicale,
sempre più integrata in un’economia di mercato, procede attraver-
so meccanismi che definiscono nuove regole del gusto e rituali di
fruizione, rispondenti al «bisogno della nuova società industriale di
manifestare la sua potenza economica e culturale attraverso i suoi
propri sontuosi rituali (grand rites) di religiosità secolare» (Weber
1994: 189) e dunque alle esigenze di legittimazione culturale e di-
stinzione della borghesia cittadina: la differenziazione tra musica
colta e musica popolare; la distanza (tecnica, spaziale e relazionale)
tra pubblico ed esecutori; la ritualizzazione dell’evento; la santifi-
cazione di autori del passato in un canone musicale universale; la
celebrazione del solipsismo eroico del musicista (DeNora 1995).
Conseguentemente, si trasformano in ‘templi dell’arte’ le organiz-
zazioni finalizzate alla produzione musicale (DiMaggio 2009): il
teatro, da impresa di intrattenimento basata sul consumo vistoso
delle classi abbienti è riconfigurato in un’istituzione con esclusive
finalità culturali (Santoro 2004: 101, Della Seta 1991: 39); i Con-
servatori da scuole di musica professionalizzanti in elitari istituti
per la specializzazione di talenti votati alla santificazione del cano-
ne classico (Kingsbury 1988: 19).
Il processo di riconfigurazione della formazione musicale pro-
fessionalizzante, riscontrabile nell’evoluzione del Conservatoire
88
parigino e in molti dei suoi omologhi europei e statunitensi, si
realizza tuttavia solo in misura parziale e discontinua nel caso ita-
liano, dove i Conservatori faticano a scrollarsi di dosso l’etichetta
di bottega artigiana, ma anche a rinunciare ai vantaggi derivan-
ti dalla sostanziale marginalizzazione dal campo dell’istruzione
nazionale in termini di autonomia organizzativa. A più riprese
emergono tentativi messi in atto da reti di attori per modificare
i confini tra il campo di formazione musicale e quello dell’istru-
zione nazionale. La nostra analisi si focalizza su quei tentativi
che sono risultati più influenti nel ridefinire i confini del cam-
po della formazione musicale professionalizzante, evidenziando
il ruolo assunto in ciò dagli ‘imprenditori istituzionali’, ovvero
attori individuali e collettivi che colgono per tempo le finestre di
opportunità offerte al cambiamento dalle contingenze storiche
(Kingdon 1984, Crouch 2005).
89
culturale della classe dirigente è principalmente demandata all’i-
struzione secondaria classica, incentrata sullo studio delle umani-
tà greco-latine e preliminare all’istruzione superiore universitaria.
Parallelo al percorso classico dal punto di vista temporale, ma in
posizione gerarchica subordinata ad esso1, è il percorso dell’istru-
zione tecnica, costituito per il primo grado da scuole tecniche
di durata triennale e per il secondo da istituti tecnici diretti con
indirizzi professionalizzanti per il servizio pubblico, il settore in-
dustriale, agrario, commerciale (Istat 1957: 276-277).
La legge Casati non fa riferimento alla formazione professionale
musicale, realizzata secondo regole differenti nei diversi istituti mu-
sicali presenti nel territorio, dei quali i principali saranno progressi-
vamente statalizzati nei decenni successivi come Reali Conservatori
di musica. L’utilizzo del termine ‘Conservatorio’ per designare scuole
musicali professionalizzanti risale alla diffusione nel Cinquecento in
Italia di istituti religiosi con fini assistenziali e riabilitativi, in genere
di fondazione e sovvenzionamento privato, amministrati dalla Chie-
sa e controllati dallo Stato, che ospitano a convitto orfanelli, poveri
o diseredati, bisognosi di essere protetti – ovvero ‘conservati’ – dalle
avversità esterne (Colarizi 1999: 260). I Conservatori o Ospitali cin-
quecenteschi costituiscono una forma di istituzione totale2, caratte-
rizzata dal controllo sociale sugli internati, fondata sull’applicazione
del principio della reclusione (renfermement) all’interno di un comu-
ne luogo di residenza protetto dalle ingerenze esterne e su strategie
rieducative incentrate sul lavoro. Il lavoro si organizza in genere se-
condo il modello della bottega artigiana, che svolge il duplice com-
pito di assegnare all’internato un sostegno sostitutivo di quello della
1. La legge Casati (1859, art.1) inserisce l’istruzione tecnica e le scuole normali nel
più basso dei tre rami in cui articola l’istruzione pubblica: l’istruzione superiore
universitaria; l’istruzione secondaria classica; l’istruzione tecnica e primaria.
2. Erving Goffman (2010: 29) definisce istituzione totale «il luogo di residenza
e di lavoro di gruppi di persone che – tagliate fuori dalla società per un conside-
revole periodo di tempo – si trovano a dividere una situazione comune, trascor-
rendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato».
90
famiglia assente e uno status sociale a conclusione dell’avviamento
professionale (Del Prete 2011: 55-56). Tale modello segue la strut-
tura del ‘laboratorio-casa’ medievale, spazio produttivo caratterizzato
da relazioni faccia a faccia, organizzate secondo un principio di auto-
rità maschile, articolato in una gerarchia triadica basata sul livello di
abilità tecniche, formata da maestri, lavoranti salariati e apprendisti.
L’affido di questi ultimi al maestro era sancito da un contratto, che
definiva durata e costi dell’apprendistato, in cui il padre biologico
trasferiva la propria potestà sui figli al maestro artigiano, delegando-
gli il diritto di comminare punizioni fisiche in caso di cattiva con-
dotta. La formazione degli apprendisti, trattati da giovani adulti, si
basava sull’imitazione del maestro e la graduale acquisizione, attra-
verso l’esercizio quotidiano, di capacità pratiche man mano affinate
nell’arco di circa un decennio (Sennet 2008: 59-70).
Le attività rieducative impartite nei Conservatori cinquecen-
teschi erano finalizzate per i convittori maschi all’apprendimento
di un mestiere che consentisse al raggiungimento della maggiore
età di reinserirsi nella società autosostentandosi (calzolaio, sarto,
orefice, ebanista); nel caso delle fanciulle, orfanelle e ragazze ‘pe-
ricolanti’ o ‘pericolate’3, era invece principalmente volto a fornire
una sorta di dote educativa per riavviarle a destini femminili ‘nor-
mali’ (e, idealmente, al matrimonio)4. Quando nel Seicento l’am-
pliamento della produzione musicale in diversi contesti sociali
(da quello ecclesiastico, a quello di corte, a quello militare)5 porta
all’aumento della domanda di compositori, cantori, strumentisti,
91
l’inserimento dell’istruzione musicale tra le attività impartite nei
Conservatori si rivela un investimento remunerativo: le presta-
zioni musicali dei giovani convittori arrivano a costituire una del-
le voci più importanti dei bilanci degli Istituti, consentendo non
solo di coprire le spese per il loro vitto e alloggio, ma anche di re-
clutare alcuni tra i più illustri musicisti dell’epoca come docenti6.
La notorietà della docenza e la qualità delle prestazioni di allievi e
allieve porta a sua volta ad un aumento, da un lato, delle richieste
per accedere a pagamento alla formazione musicale, dall’altro,
di donazioni e lasciti di privati agli istituti, dove l’insegnamento
musicale diventa caratterizzante (Colarizi 1971).
Sebbene didatticamente decaduti a fine Settecento per que-
stioni gestionali o per contingenze storiche (Burney 1979, Ma-
ione 2005), i Conservatori seicenteschi italiani segnano indele-
bilmente la storia della formazione musicale professionalizzante
della moderna società occidentale. Non a caso il Conservatoire
National de Musique et de Déclamation, fondato a Parigi nel 1795,
primo caso di moderna istituzione di formazione professionale
musicale laica e statale e modello didattico di riferimento per
l’Europa ottocentesca, ne riprende la denominazione7. Il Conser-
vatoire, tuttavia, si prefigge non solo di eguagliare i Conservatori
d’Italia, in termini di vette raggiunte nella formazione e produ-
zione musicale, ma - con spirito di nazionalistica emulazione - di
superarli sul terreno della legittimità culturale, distinguendosi da
92
essi su due piani: sul piano istituzionale, grazie al prestigio sociale
associato ad istituti con specifiche finalità formative a sovven-
zionamento statale, non attribuibile ad opere nate dalla carità
ecclesiale e primariamente rivolte all’assistenza delle classi meno
abbienti; sul piano didattico, attraverso il primato attribuito ad
una offerta formativa moderna, basata sull’oggettivazione del sa-
pere, la razionalità del metodo, la standardizzazione dei program-
mi, la verifica dei risultati, al contrario dell’instabile variabilità
di un metodo artigianale fondato sulla soggettività del singolo
maestro. Ecco come questo progetto è riportato in un articolo
sul Conservatoire e suoi metodi, tratto dal regolamento del 1800.
Il Conservatorio è una di quelle istituzioni che da tempo la Francia
invidiava alle nazioni straniere. È forse altrettanto alla fondazio-
ne delle scuole gratuite di Napoli e di Venezia che al clima che
l’Italia deve oggi lo stato florido della sua musica. Parigi possiede
ora lo stesso vantaggio: il Conservatorio, pur non esistendo che da
qualche anno, la fa ciò nonostante primeggiare di molto su questi
modelli, per la nobiltà delle forme della sua composizione e ammi-
nistrazione. I Conservatori d’Italia sono dei semplici ospedali dove
l’indigenza trova, in verità, una risorsa preziosa e la prospettiva di
uno stato onesto: ma la classe media prova una certa ripugnanza ad
attingervi la propria istruzione. Il progetto del Conservatorio fran-
cese ha, sotto qualche rapporto, una diversa estensione: sostenuto
dalla protezione speciale del governo, che prende parte diretta alla
sua esistenza, non vi è alcuna classe [sociale] che non rivendichi il
vantaggio di esservi ammessa e quando un giorno, una volta che la
calma sarà interamente ristabilita nella Repubblica, consentirà di
perfezionarne e completarne le istituzioni, il Conservatorio francese
potrà aggiungere al beneficio dell’istruzione musicale e delle cono-
scenze analoghe quello delle spese di mantenimento di qualche al-
lievo, non esisterà presso nessuna nazione una istituzione altrettanto
favorevole alle belle arti. (…)
Uno degli articoli di questo regolamento vuole che tutti i professori,
che gli ispettori dell’insegnamento si riuniscano per comporre dei me-
todi secondo i quali saranno date le lezioni su ciascuna parte dell’edu-
cazione musicale, dal che risulterà per l’insegnamento la più preziosa
uniformità.
93
È uno dei punti sui quali il Conservatorio francese supera di molto
quelli dell’Italia, dove ogni scuola prende il colore del maestro che la
conduce e dove la forma e lo spirito delle lezioni varia quanto i nomi
dei professori. [Pierre 1900: 140, traduzione mia].
8. Cfr. Micheli 2003: 6, Maione 2005: 1. Gli allievi, ammessi tra gli otto e i
tredici anni, erano selezionati in modo proporzionale per ogni dipartimento del-
la Repubblica. Le allieve, controllate da sorveglianti, erano salvo casi eccezionali
inserite in classi femminili, previste per i corsi di solfeggio, canto, clavicembalo e,
successivamente, pianoforte. A ciascun professore era affidato un numero limitato
di allievi, i cui progressi erano regolarmente monitorati e registrati dagli ispettori.
9. Per un breve periodo furono istituiti due pensionati, uno maschile, l’altro
94
dell’Istituto, ma soprattutto a seguito di significativi mutamen-
ti delle principali funzioni attribuite alla formazione musicale.
Al momento della sua fondazione al Conservatoire è assegnata la
doppia finalità di formare gli allievi «in tutti gli aspetti dell’arte
musicale» e di eseguire la musica, specie in occasione delle cele-
brazioni per le feste nazionali, promosse come forme di ritualità
collettiva civile (Pierre 1900: 124). Il grosso del corpo docen-
te è costituito grazie al trasferimento dei musicisti della banda
musicale della Guardia nazionale10, il che spiega l’originaria so-
vra-rappresentazione di corsi per strumenti a fiato11. Già dopo
pochi anni il numero di docenti dell’Istituto è drasticamente
ridotto e la distribuzione dei corsi rivista in maniera più pro-
porzionata all’articolazione dell’organico orchestrale. Le spinte
per una riorganizzazione dell’offerta formativa seguono gli svi-
luppi dell’industria teatrale in Europa, in particolare delle for-
me di intrattenimento musicale più gradite al pubblico, come
l’opera lirica e, dalla seconda metà dell’Ottocento, il recital del
solista virtuoso. Gradualmente la formazione del virtuoso, con-
centrata sullo sviluppo delle tecniche esecutive più avanzate per
un’esecuzione perfetta e fedele di un repertorio solistico sempre
più codificato, si impone come finalità principale del Conser-
vatorio, il quale abbandona il suo ruolo primario originario, di
agenzia di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, per
riconfigurarsi come elitario istituto deputato alla produzione
di eccellenze in ambito musicale12. Ciò riguarda in particolar
femminile, con una ospitalità molto limitata, presto soppressi per le difficoltà di
gestione (Pierre 1900: 166, 306, La Grandville 2014, Sueur 1986).
10. Ciò si spiega con il fatto che il principale promotore del Conservatorio pa-
rigino fu Bernard Sarrette (1765-1858), già ideatore della banda militare della
Guardia nazionale, che lo diresse dalla sua istituzione fino al 1814.
11. Dei 115 docenti previsti, oltre il 50% era titolare di corsi per strumenti a
fiato, contro l’11% di docenti per i corsi di strumenti ad arco o il 6% per i corsi
di strumenti a tastiera (organo e cembalo).
12. «Ora la riuscita virtuosistica diventa il metro di valutazione della qualità stessa
95
modo le classi di violino e il pianoforte, che diventano le più
ambite in Conservatorio e agiscono da channel leader, influen-
zando con il modello ‘monoculturale’ richiesto dal perfeziona-
mento virtuosistico anche la definizione della formazione per
strumenti senza sbocchi solistici (Delfrati 2017: 77-79).
Il passaggio alla formazione ‘monoculturale’ è particolar-
mente evidente nella formazione dei pianisti: all’inizio del
secolo caratterizzata da un ‘approccio globale alla tastiera’, di
tradizione clavicembalistica, che lega alle capacità di esecuzio-
ne quelle di accompagnamento e improvvisazione; dalla metà
del secolo focalizzata sullo sviluppo delle competenze neces-
sarie per il perfezionamento del repertorio virtuosistico (San-
guinetti 2003: 46). Inutili i tentativi dei direttori del Conser-
vatoire di frenare i cambiamenti in atto. François-Louis Perne,
ispettore generale dal 1816 al 1822, lamenta in una nota for-
male la moltiplicazione di classi di pianoforte, di scarsa utilità
sia all’arte che al teatro, e precisa che la Scuola prevede solo
due classi per gli uomini e due per le donne, «essenzialmente
destinate a formare degli accompagnatori»13. Le sue disposi-
zioni non devono tuttavia ottenere l’esito sperato, se Luigi
Cherubini, direttore dal 1822 al 1842, si rivolge al Ministro
stesso, chiedendogli di dare disposizioni per ridurre almeno
alla metà il numero di allievi presenti nelle classi di piano-
forte (raccomandando di presentare l’iniziativa come mini-
della scuola. Tanto maggiore è il titolo di nobiltà che le si riconosce quanto meglio
riesce a licenziare esecutori in grado di assumere il ruolo di ‘divo’, il genio solitario
in grado di riproporre all’ammirazione del pubblico il più spericolato repertorio.
Nella vita del Conservatorio le altre funzioni sociali passano in secondo piano.
Festa pubblica e privata, rito civile e militare, pratica amatoriale e chiesa - la ragion
d’essere di sempre delle scuole musicali - scivolano a poco a poco sullo sfondo dei
loro interessi» (Delfrati 1997: 71). Tale modello ancora influenza i principali mo-
delli diffusi a livello internazionale di formazione del mondo della musica classica:
vedi a questo proposito Kingsbury (1998) e Wagner (2015).
13. Perne, riportato in Pierre (1900: 306), traduzione mia.
96
steriale). L’intervento di Cherubini per le classi di pianoforte
è volto, più in generale, a difendere il ruolo del Conservatoire
come istituzione che certifica la professionalità dei suoi allie-
vi licenziati e dei suoi docenti, garantendogli il monopolio
sul mercato del lavoro musicale; ciò, tuttavia, è possibile solo
contenendo l’offerta rispetto alla domanda e certificandone
la qualità (Frederikson e Rooney 1990: 190). L’immissione
di un numero non controllato quantitativamente e qualita-
tivamente di pianisti nel principale sbocco lavorativo a loro
prospettato, ovvero il fiorente mercato delle lezioni private,
ha invece l’effetto di svalutare l’offerta e ridurre i compensi,
producendo un risultato collettivo in cui tutti perdono: i gio-
vani pianisti ricavano un basso ritorno dal loro investimento
formativo e, al contempo, sottraggono la clientela a quei pro-
fessori che hanno contribuito alla creazione del loro talento.
Monsignore:
non ho bisogno di dirvi, perché lo sapete meglio di me, che i posti di
allievo per le classi di pianoforte sono più richiesti che quelli delle altre
parti strumentali della Scuola. Ma ciò di cui non siete ancora informato
è il numero di allievi che le classi di questo strumento racchiudono:
(…) 41 allieve di pianoforte femmine e 32 allievi maschi, che, tutti
insieme, formano un totale di 73 allievi: è spaventoso!
Il pianoforte ha certamente la sua utilità, e deve avere il suo posto in
una scuola di musica, così come gli altri strumenti occupano il loro; ma
l’abbondanza di individui che vi si destinano diventa abusiva e perico-
losa nei suoi risultati, perché la moltitudine di pianisti che escono dalla
Scuola, tanto buoni quanto mediocri, e che si riversano nella società
per dedicarsi all’insegnamento, diventa svantaggiosa non soltanto per
ognuno di essi, visto il magro profitto che ne ricavano, e che sarebbe
più considerevole se essi fossero meno numerosi, ma anche per i pro-
fessori che gli hanno donato talento, la cui clientela diminuisce, perché
gli è sottratta in parte da quegli stessi allievi impazienti di guadagnare
denaro14.
97
1.2 L’inserimento dei Conservatori
nel sistema di istruzione nazionale
La stessa ‘mutazione genetica’ subita dal Conservatoire parigi-
no a fine Ottocento si osserva negli altri istituti musicali europei,
per i quali esso rappresentò il modello didattico di riferimento.
La tendenza alla monocultura del virtuosismo solistico si fa così
marcata da rendere difficile il reperimento di pianisti per accom-
pagnare i cantanti o di strumentisti per completare gli organici
orchestrali; questi inoltre, una volta scovati, non sono comunque
poi in grado di mettere da parte l’approccio istrionico e indivi-
dualistico del virtuoso, come nota l’allora direttore dell’Istituto
musicale di Firenze:
I corsi d’insegnamento delle principali scuole15 dell’istituto, percorro-
no, ciascuno, fino agli estremi limiti lo scibile rispettivo al ramo che
trattano dell’arte. [... Sentiamo] i violinisti, i flautisti, i clarinettisti, i
trombisti, tutti insomma gli allievi delle scuole strumentali, che per
afferrare un documento legale di capacità, qual è il diploma di alunno
emerito, s’arrabattano a dar prova di virtuosità da concerto, [... così]
mentre aumenta ogni anno la schiera dei concertisti, diminuisce a vista
d’occhio quella dei suonatori d’orchestra; e mentre si ha un visibilio
di pseudo pianisti e pianiste trascendentali, il numero di coloro che
sappiano accompagnare correttamente un pezzo per canto si fa ogni
dì più esiguo. [... Gli strumentisti], anche se condiscendono, per loro
degnazione, a far parte di un’orchestra, vi portano i modi del suonare di
concerto, perché superbi della loro virtuosità vogliono metterla in evi-
denza a qualunque costo; così accade che nelle esercitazioni orchestrali,
contro ogni ragione del tessuto strumentale, ora si sente sgallettar fuori
l’oboe, ora il clarinetto, ora il fagotto16.
15. Col termine ‘scuole’ sono qui da intendersi i corsi principali offerti dai
Conservatori italiani.
16. Tacchinardi (1877: 50), citato in Delfrati (2017: 81).
98
caratterizzata da «anarchia pedagogica e disciplinare»17, arretratez-
za culturale, scarsa selettività nel reclutamento sia della docenza
che degli allievi, mancanza di adeguate strutture logistiche (Del-
frati 2017: 27). La situazione è notevolmente differenziata dal
punto di vista territoriale: alcuni Istituti discendono dagli antichi
Conservatori seicenteschi; altri, che si ispirano al più moderno mo-
dello del Conservatoire parigino, sono sorti su impulso del regime
napoleonico, o invece da scuole musicali annesse ad Accademie di
Belle arti (Colarizi 1971, 1984; Maione, 2005: 1-5; Sanguinetti
2003: 19-21). Nell’ambito del processo di unificazione del Regno
e di centralizzazione delle sue strutture amministrative si provvede
alla nazionalizzazione dei principali Istituti: tra il 1861 e il 1923
sono statalizzati quelli di Milano, Napoli, Palermo, Parma, Roma
e Firenze18. Sorge dunque l’esigenza di una loro organizzazione
didattica e normativa unitaria, avviata dai ministri della Pubblica
Istruzione con l’istituzione di commissioni ministeriali composte
da autorevoli musicisti, direttori e docenti degli istituti. Nel 1899
è emanato un provvedimento19 che definisce gli insegnamenti im-
partiti nei corsi principali, i programmi per l’esame finale, i titoli
di cultura generale richiesti in uscita per il completamento degli
studi. Il provvedimento definisce alcune caratteristiche che reste-
ranno distintive dei moderni Conservatori italiani nel Novecento,
come l’assenza di programmi didattici a favore della definizione
di programmi d’esame, o la rosa di insegnamenti principali (ana-
lizzata nel primo e nel quarto capitolo): composizione, canto, or-
gano, pianoforte, arpa, violino, viola, violoncello, contrabbasso,
17.Questi i giudizi espressi nel 1871 dal critico musicale Girolamo Alessandro
Biaggi nella rivista Nuova Antologia, riportati in Delfrati (2017: 106).
18. Gli istituti sono statalizzati in anni differenti: il primo, lo stesso anno dell’u-
nificazione, fu quello di Milano (il cui ordinamento degli studi rappresentò
la base per le leggi nazionali sul settore), al quale seguirono Napoli nel 1862,
Palermo nel 1876, Parma nel 1888, Roma nel 1919, Firenze nel 1923 (cfr.
Maione, 2005; Crea 2011; Vaccarini Gallarani 2003).
19. Si tratta del Regio decreto del 2 marzo 1899.
99
flauto, oboe, clarinetto, fagotto, corno, tromba e trombone, stru-
mentazione per banda. Non sono date indicazioni specifiche sui
corsi intermedi dei corsi principali, né per i corsi complementari,
la cui organizzazione resta dunque alla discrezionalità del singolo
istituto (Maione 2005: 13-15).
A tale provvedimento seguono nei primi decenni del Nove-
cento una serie di disposizioni20, le quali precisano le basi norma-
tive e didattiche che per circa un secolo struttureranno – e ancora
oggi influenzano – l’organizzazione dei moderni Conservatori di
musica italiani. Il primo completo ordinamento statale per gli
Istituti di belle arti, di musica e d’arte drammatica è il Regola-
mento del 1918, dove relativamente ai Conservatori di musica si
precisano: il numero massimo di allievi per classe, ribadendo la
centralità del docente unico per l’intero ciclo di studi nei corsi
principali; i limiti di età per l’ammissione e la durata dei corsi; gli
orari di insegnamento dei docenti21. Al vertice della governance
interna degli istituti si conferma la figura del direttore22, titolare
100
di un ufficio monocratico e responsabile per il buon andamen-
to didattico, amministrativo, gestionale, disciplinare, affiancato
nelle sue funzioni da un Consiglio dell’istituto e da un Collegio
di professori, da assumere attraverso concorsi banditi con decreto
del Ministro della pubblica istruzione (Spirito 2012: 7-8).
Negli stessi anni il dibattito interno all’ambito musicale sulla
ristrutturazione dei corsi dei Conservatori gradualmente allarga
i suoi confini, per porsi come più ampia questione culturale. A
ciò contribuiscono i movimenti modernisti che si diffondono in
Europa, facendo emergere una figura nuova del ‘musicista-intel-
lettuale’, che con gli altri intellettuali prende parte ai processi di
rinnovamento culturale e sociale (Salvetti 1991: 285-302, Sangui-
netti 2003: 22--23). Sono in particolare i giovani musicisti italiani
con esperienze di specializzazione all’estero, sempre più ricercate
a causa dell’incompletezza dell’offerta formativa dei Conservatori
italiani, che si fanno portatori di queste istanze innovatrici, nate
dal confronto con sistemi educativi nei quali – come nel caso te-
desco – la formazione musicale è integrata all’interno del sistema
scolastico e perfezionata al livello universitario23.
Tali istanze si traducono in alcuni progetti riformatori volti ad
elevare i Conservatori a Università musicali e, conseguentemen-
te, lo strumentista-artigiano a musicista-intellettuale (Sanguinet-
ti 2003: 30). Tra le diverse proposte per convertire i Conservatori
da scuole tecniche professionali in istituti superiori di cultura,
a trovare maggiore seguito è quella di Giacomo Orefice24, che
prevede il ribaltamento del rapporto vigente nei Conservatori
tra materie principali e complementari, attraverso l’istituzione di
di funzioni di governo degli istituti, che ridusse i poteri del direttore a favore
del Ministro della pubblica istruzione (R.D.L. del 2 dicembre 1935, n. 2081).
23. La specializzazione all’estero diventa una esperienza formativa ricercata in
particolar modo dai compositori e dai pianisti (Sanguinetti 2003).
24. Giacomo Orefice (1865-1922), compositore e pianista, fu docente presso il
Conservatorio di Milano.
101
corsi di cultura musicale generale di base (composizione, storia
ed estetica musicale), cui affiancare come sussidiari i corsi pratici
delle scuole tradizionali (canto e strumento). L’apertura dei Con-
servatori anche a musicisti non professionisti avrebbe consentito
di diffondere la cultura musicale nella società italiana, elevando il
livello artistico complessivo del Paese.
Elevato così il Conservatorio a scuola di coltura musicale, ne seguirebbe
logicamente che lo potesse frequentare anche chi non intenda a fare
della musica una professione. Parlo della gran massa dei dilettanti, che
si ha l’abitudine di considerare come quantità trascurabile, o peggio,
mentre sono essi che formano l’opinione pubblica musicale del pae-
se; […] elevare questa coltura dei dilettanti equivale quindi ad elevare
l’arte. […] Colla trasformazione, in una parola, del Conservatorio in
Università musicale.25
102
ce, a difensore del professionalismo formativo dei Conservatori,
ritenendo gli ordinamenti intoccabili nella loro impostazione di
base, sebbene perfettibili in direzione di una maggiore selettivi-
tà nell’ammissione, un ampliamento dei programmi di studio
musicali, un innalzamento dei livelli cultura generale (Maione
2005: 25). Le capacità diplomatiche di Pizzetti, abile nel media-
re tra spinte innovative e volontà di conservazione, sono decisive
nella sostanziale conferma ottenuta dal modello tradizionale di
Conservatorio all’interno della riforma Gentile27.
La stessa riorganizzazione complessiva del sistema di istru-
zione del regime fascista, pur con qualche significativa novi-
tà28, non fa che rafforzare l’impostazione classista ed elitaria
prevista dalla legge Casati. Agli studenti in uscita dalla scuola
elementare pone la scelta tra due rami dell’insegnamento me-
dio di istruzione, che segnano percorsi formativi e occupazio-
nali fortemente differenziati: l’istruzione classica, scientifica e
magistrale, mista e di cultura, da un lato, e l’istruzione tecnica
e professionale, dall’altro. Il principio gerarchico dei saperi
che pone la conoscenza teorica e speculativa in una posizione
di superiorità rispetto a quella pratica e applicata29, opera - in
27. La riforma del sistema di istruzione promossa dal ministro Giovanni Gen-
tile, realizzata con una serie di regi decreti legislativi tra il 1922-1923, restò in
vigore sostanzialmente inalterata fino agli anni Sessanta, quando fu abrogata
dalla legge del 31 dicembre 1962 n.1859, che abolì la scuola di avviamento per
creare la scuola media unificata.
28. Tra queste innovazioni sono da citarsi l’istituzione della scuola materna,
l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 14 anni di età e, per quanto riguarda
l’insegnamento musicale, l’inserimento del canto come materia obbligatoria in
tutte le classi della scuola elementare e nelle classi dell’istituto magistrale. L’in-
segnamento musicale era tuttavia affidato a docenti non preparati dal punto di
vista musicale o invece istruiti alle metodologie di insegnamento del Conser-
vatorio, in maniera del tutto inadeguata dal punto di vista pedagogico rispetto
alle finalità formative e all’età degli allievi (Cesari 2005: 423; Delfrati 2017).
29. La svalutazione del lavoro manuale - con la sola eccezione del lavoro agrico-
lo - tipica del mondo classico antico, alla base della cultura legittima del sistema
103
chiave più marcatamente classista - nella definizione di in-
gresso agli studi universitari: solo ai diplomati presso il liceo
classico è consentito l’accesso a tutte le Facoltà universitarie,
limitato alle sole Facoltà tecnico-scientifiche per i diplomati
presso il liceo scientifico. Gli istituti musicali statalizzati, cui
è assegnata la denominazione comune di Regi Conservatori
di Musica, sono inseriti con gli Istituti musicali pareggiati,
le Scuole e gli Istituti d’arte e i Licei artistici all’interno del
livello secondario nel settore dell’istruzione artistica30, il cui
controllo e gestione è assegnato alla Direzione Generale per le
Antichità e le Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzio-
ne (Maione 2005: 19).
I nuovi programmi d’esame dei Conservatori sono invece pub-
blicati nel 193031, a partire dalle proposte presentate dagli stessi
direttori e docenti su invito del Direttore Generale per le Anti-
chità e le Belle Arti. Seguendo la linea pizzettiana, l’impostazio-
ne generale dei nuovi programmi riprende l’impianto esistente,
perfezionandolo in direzione di una più marcata selettività sulla
preparazione tecnica degli allievi e una maggiore razionalizzazione
e dettaglio sui corsi, col fine di raggiungere un’omogeneità for-
104
mativa di qualità nei vari istituti nazionali. Sono dunque sostan-
zialmente confermati i requisiti generali in termini di età minima
e massima per l’ammissione e l’organizzazione didattica con l’as-
segnazione nei corsi di studi principali di un numero limitato di
allievi per docente, esclusivo referente per ciascuno di essi fino al
completamento degli studi. Agli allievi accettati, in numero cor-
rispondente ai posti annualmente disponibili previo superamento
di una prova di ammissione, è consentito iscriversi ai corsi princi-
pali (ora chiamati scuole, mentre il termine corsi resta a designare
le materie complementari) divisi in due o tre periodi, ciascuno
completato con il superamento di prove basate sull’esecuzione di
ampi repertori di complessità tecnica crescente, conclusi all’esa-
me finale di diploma con l’esecuzione di un programma solistico
da concerto (fondato sul canone classico-romantico, con qualche
apertura alla contemporaneità). Per rafforzare la selettività degli
studi, nel periodo superiore non è consentita la ripetizione degli
anni, tollerata per solo un anno in ciascuno dei periodi inferiore
e medio. Confermata anche la scarsa rilevanza assegnata ai corsi
complementari - con l’eccezione del solfeggio, comune a tutte le
scuole nel livello inferiore - e in particolare ai corsi non musicali;
ciò è ancora più marcato nel caso di scuole ritenute meno im-
pegnative e dunque meno bisognose di avere nozioni di cultura
musicale o generale (come quelle di canto, contrabbasso e degli
strumenti a fiato) (Maione 2005: 19-20; Lazotti e Ciolfi 2003).
Assenti, infine, riferimenti ai contemporanei sviluppi europei nel
campo della didattica musicale32. In tal modo è rafforzato l’im-
32. Nel Ventennio tra la prima e seconda guerra mondiale si sviluppano una
serie di nuovi approcci all’insegnamento della musica, che partono dal presup-
posto dell’esistenza in ogni essere umano di attitudini musicali, da coltivare
durante le diverse fasi dello sviluppo. In tal modo il fuoco si sposta dall’appren-
dimento tecnico dello strumento per quei soggetti dotati di ‘talento innato’,
tipico del modello conservatoriale, all’utilizzo di metodologie ludiche che pre-
vedono l’utilizzo globale del corpo come strumento di percezione sensoriale ed
espressione ritmica, armonica e melodica dei bambini. Tra queste metodologie
105
pianto monoculturale nella formazione artistica del musicista,
nonché la sua estraneità alla cultura generale, così come definita
nei percorsi standard del sistema di istruzione nazionale, visto che
il titolo di cultura generale richiesto per l’ammissione si limita alla
promozione dalla quarta alla quinta elementare33.
A prevalere nella riorganizzazione fascista degli studi di Con-
servatorio è dunque la volontà dei musicisti e dei docenti di
legittimare il modello didattico e organizzativo al quale erano
stati formati professionalmente, riproponendolo in termini au-
toreferenziali alle nuove generazioni di musicisti. Tale modello,
pur conformandosi alle principali caratteristiche dell’idealtipo
di Conservatorio come istituto per la formazione dell’eccellen-
za virtuosistica, legittimato nelle società occidentali dall’estetica
tardo-ottocentesca, nella versione italiana risulta in maniera più
accentuata legato ad una tradizione di formazione professionale
artigianale, che trova una collocazione del tutto marginale all’in-
terno del sistema legittimo di istruzione nazionale.
106
democratica34. Il clima di rinnovata fiducia istituzionale schiu-
de nuove speranze anche per il campo dell’istruzione artistica
e musicale: nella sua Costituzione (1948, art. 33), la neonata
Repubblica riconosce pari dignità ad arte e scienza e libertà al
loro insegnamento, sancendo l’autonomia di istituzioni di alta
cultura, università e accademie.
In queste favorevoli condizioni istituzionali parte il proces-
so di riforma avviato alla fine degli anni Quaranta dal Ministro
Gonella35, che inserisce i Conservatori di musica tra le istituzioni
coinvolte nella riorganizzazione scolastica generale. Avviato se-
guendo una democratica e innovativa metodologia ‘dal basso’ con
l’invio di un questionario agli operatori del settore36, il processo
è destinato ad arenarsi, così come molti dei successivi tentativi di
riforma della scuola.
Una nuova occasione di cambiamento è aperta dalla pubbli-
cazione a fine anni Cinquanta di un Rapporto dell’UNESCO
nel quale l’Italia risulta tra le nazioni in cui il ruolo attribuito
all’insegnamento musicale - del quale si ribadisce il valore peda-
gogico e sociale - è pressoché senza incidenza nella formazione
delle nuove generazioni37. La notizia, in contrasto con la repu-
tazione dell’Italia come patria della musica, sortisce l’effetto di
una ‹‹salutare nerbata all’amor proprio nazionale››38 e negli anni
successivi è ripresa in un dibattito all’interno del quale la questio-
34. Costituzione della Repubblica italiana, 1948, art. 3.
35. Guido Gonella (1905-1982) fu ministro dell’istruzione tra il 1946 e il 1951.
36. I principali quesiti rivolti ai Conservatori e i commenti sulle risposte offerte
di un direttore, decisamente favorevole al mantenimento dell’ordinamento vi-
gente, sono riportati da Delfrati (2017: 209-220).
37. Il rapporto sull’insegnamento musicale pubblicato nel 1958 dall’UNESCO
e dal Bureau International d’Education di Ginevra collocava l’Italia tra gli ultimi
sette paesi dei 73 aderenti al BIE, affiancandola a nazioni ben meno sviluppate dal
punto di vista democratico e socio-economico, quali l’Afghanistan, la Cambogia,
Ceylon, la Tailandia, la Repubblica Dominicana, il Vietnam (Cesari 2005: 423).
38. L’espressione è attribuita a Massimo Mila (cfr. Premesse alla proposta di
legge n. 4327 del 27 luglio 1967).
107
ne dell’istruzione musicale diventa occasione per una riflessione
più ampia sulla funzione sociale della musica nel Paese. Un ruolo
particolarmente attivo nell’animazione del dibattito è svolto dai
circoli culturali della sinistra antifascista, sorti con l’intento di
contribuire al rinnovamento sociale del Paese attraverso l’offerta
di attività per un tempo libero inteso non in termini meramen-
te ricreativi e funzionali al recupero delle energie per il lavoro,
bensì come strumento di educazione democratica per la conqui-
sta di una personalità armonica e una cittadinanza consapevole
(Santangelo 2007: 188-190). Da questa prospettiva l’inserimen-
to dell’istruzione musicale nel sistema di istruzione nazionale si
presenta come occasione per sottrarre le masse all’influenza dei
prodotti dell’industria culturale, proposti con l’affermarsi della
televisione, rompendo gli steccati che avevano fatto della musica
classica e operistica una proprietà esclusiva della cultura d’élite
(Santangelo 2007: 181).
Nel maggio del 1962 i circoli ARCI piemontesi organizzano
a Torino un Convegno nazionale per l’insegnamento della mu-
sica nelle scuole italiane, cui aderiscono importanti figure della
scena musicale e culturale nazionale e le principali associazioni
sindacali attive in ambito musicale e scolastico39. Le relazioni
108
tracciano le linee generali di un programma di riforma perfezio-
nato negli anni successivi, prevedendo: l’introduzione dell’inse-
gnamento della musica in ogni ordine di scuole, con pari digni-
tà rispetto alle altre materie; l’affiancamento della storia della
musica nei licei in cui è insegnata la storia dell’arte; la revisione
dei programmi di Conservatorio, con particolare attenzione
alla preparazione in cultura generale e alla formazione didat-
tica; l’istituzione di facoltà di musicologia presso le università.
Il carattere unitario dell’iniziativa porta alla costituzione di un
Comitato permanente per l’insegnamento musicale, incaricato
di seguire l’evoluzione della situazione e concordare un’azione
parlamentare (Santangelo 2007: 178-179).
A pochi mesi di distanza dal convegno torinese, il governo ap-
prova la legge di riforma della scuola media, esito di un dibattito
avviato dagli inizi del Novecento, che trova un’ampia convergen-
za delle forze politiche sul progetto del ministro Luigi Gui per
una scuola media unificata, segnando un importante passo nel
processo di revisione democratica dell’istruzione indicato dalla
Costituzione. Tra le disposizioni della legge, che ribadisce il ca-
rattere gratuito dell’istruzione obbligatoria e ne prescrive l’eleva-
zione ai quattordici anni di età, vi è l’inserimento dell’educazio-
ne musicale, sebbene con un ruolo sostanzialmente marginale40.
Tuttavia ciò porta, quasi come un contraccolpo, all’annessione di
nominazione di SNM-FIS-CISL, mantenuta fino all’ottobre 1996, quando ri-
acquista la denominazione originaria. Sempre a Roma, il 15 febbraio del 1954,
è fondato il Sindacato musicisti italiani (SMI) come sindacato autonomo, indi-
pendente, apartitico e apolitico che ha come primo presidente Ildebrando Piz-
zetti, già influente ispiratore della riforma dei Conservatori nel periodo fascista;
nel 1976 lo SMI confluisce nella Confederazione generale italiana dei lavoratori
assumendo la denominazione SMI CGIL, per sciogliersi nel 1985.
40. Legge del 31 dicembre 1962, n. 1859. Il piano di studi della scuola media
comprende tra gli insegnamenti obbligatori: italiano, storia ed educazione civi-
ca, geografia; matematica, scienze naturali; lingua straniera; educazione artisti-
ca; educazione fisica, religione. Le applicazioni tecniche e l’educazione musica-
le, obbligatorie nella prima classe, diventano facoltative nelle classi successive.
109
scuole medie ai Conservatori di Musica, nei quali in passato gli
allievi accedevano a conclusione del ciclo primario, spesso senza
proseguire gli studi non musicali41.
L’inadeguatezza dell’intervento governativo è denunciata
dal Comitato permanente che, denominatosi Musica e Cultura,
nel 1966 organizza a Firenze e Fiesole un convegno intitolato
La musica nella società e nella scuola italiana42, durante il quale
il musicologo Massimo Mila e altri noti esponenti del mondo
musicale italiano rivendicano un approccio sistemico alla que-
stione dell’istruzione musicale nel Paese, rilanciando il progetto
di riforma. Del progetto si fa portatore in parlamento il Partito
Comunista Italiano (PCI) il quale, pur escluso dai governi di
unità nazionale, aspira a divenire un grande partito nazionale in
grado di contribuire sostanzialmente alla maggiore democratiz-
zazione dello Stato (Gundle 1995: 25, Santangelo 2007: 182).
Una delle principali linee strategiche del partito, messa a punto
dalla leadership togliattiana riprendendo il pensiero gramsciano,
è proprio la costruzione di una nuova egemonia culturale, in
grado di contribuire alla rinascita materiale e morale del Paese
attraverso l’influenza esercitata nell’orientare le varie manifesta-
zioni della società civile (Gundle 1995: 35). Il concetto di cul-
tura è prevalentemente inteso nei termini di istruzione, ritenuto
l’unico strumento per conquistare la dignità personale necessa-
ria a rifiutare il superficiale edonismo sollecitato dall’industria
culturale. Per questo il partito incentiva i propri iscritti allo
studio della letteratura, della filosofia e dell’arte (Gundle 1995:
69-78). La ricomposizione della frattura tra cultura di massa e
cultura d’élite passa così attraverso una sorta di elevazione della
110
prima al livello della seconda, definita nei termini di una ‘cultura
universale’.
Convint[a] che alla lunga il proprio, superiore, modello di cultura era de-
stinato a trionfare su una cultura capitalista frivola e fondamentalmente
alienante, la sinistra perseguì una strategia volta a persuadere gli operai
dei meriti dell’arte, della letteratura e della filosofia. [Gundle 1995: 75]
111
di libertà didattica e artistica, di vari corsi: di perfezionamento o
divulgativi, diurni o serali, temporanei o permanenti. Per l’Uni-
versità si prevede l’istituzione di Corsi di laurea e Dipartimenti
di musicologia, all’interno dei quali curare lo sviluppo della di-
dattica e della ricerca in vari ambiti (dalla pedagogia all’acustica,
dall’etnografia all’estetica musicale).
L’iter della proposta si interrompe con la chiusura della IV
legislatura nel marzo del 1968, in un periodo in cui le richieste di
cambiamento provenienti dai movimenti giovanili contribuisco-
no a inserire la riforma della scuola e dell’università in chiave de-
mocratica tra i temi dell’agenda politica, ma anche a radicalizzare
le posizioni ideologiche tra partiti, rendendo più teso il dialogo
politico. Negli anni successivi le attività del Comitato Musica e
Cultura si infittiscono, perfezionando la proposta e, soprattut-
to, cercando di ampliare il consenso politico e sociale attorno ad
essa45. Il compito di definizione di uno schema di riforma agile e
concreto, sul quale far convergere il più ampio consenso in vista
della ripresentazione in sede parlamentare è affidato ad Andrea
Mascagni46, musicista e carismatico esponente dello SMI-CGIL,
45. Tra le iniziative promosse dai sostenitori della riforma degli studi musicali
ricordiamo il convegno di Pesaro organizzato nel 1968 dallo SMI, quello rea-
lizzato nel 1969 a Fiesole dal Comitato permanente Musica e Cultura, quello
tenuto a Roma nel 1970 dallo SNIA, l’assemblea collettiva detta Conferenza
nazionale per una riforma dell’istruzione musicale, realizzata il 1 aprile 1971 dal
Comitato di Fiesole, lo SMI, lo SNIA, dove le proposte presentate da Mascagni
e Petrassi trovano l’approvazione di numerosi esponenti di partiti politici (PCI,
PSI, DC, PSDI, PLI).
46. Andrea Mascagni (1917-2004), musicista e nipote del compositore Pie-
tro Mascagni, partigiano aderente al PCI, si laurea in Chimica all’Università
di Bologna e si diploma in composizione al Conservatorio di Bolzano, perfe-
zionandosi poi all’Accademia Santa Cecilia di Roma con Ildebrando Pizzetti.
Fu direttore del Conservatorio di Bolzano (1970-84), fondatore dell’orchestra
Haydn di Trento e Bolzano, presidente del Centro per l’educazione musicale
e la sociologia della musica dell’Università di Trento, consigliere comunale a
Bolzano (1948-1962) e Senatore della Repubblica (1976-1987).
112
poi senatore nelle fila del PCI. Lo schema predisposto da Ma-
scagni, condiviso e sottoscritto dalle associazioni e dai sindaca-
ti aderenti all’iniziativa, conferma l’articolazione definita con le
precedenti proposte: quella di una ‹‹riforma scolastica globale››
che, riprendendo esperienze radicate in altri paesi, realizzi una
verticalizzazione degli studi musicali, integrandoli all’interno di
ogni ordine e grado di istruzione (dalla scuola per l’infanzia all’u-
niversità). Per quanto riguarda i Conservatori, la loro funzione
è precisata sia nei termini più ampi di promozione della cultura
musicale, che in quelli più specifici di ‹‹preparazione tecnico-pro-
fessionale allo scopo di avviare i giovani all’esercizio dell’attività
artistica e all’insegnamento››. A tal fine si prevede un periodo di
formazione di base (la Scuola normale musicale, della durata di
cinque anni per ogni insegnamento) ed un periodo di specializ-
zazione (la Scuola superiore musicale, dai due ai cinque anni, a
seconda della materia). Il concetto di istruzione musicale si apre
inoltre al riconoscimento del ‹‹divenire storico della musica››,
fino ad includere nei repertori considerati le ‹‹esperienze crea-
tive moderne e contemporanee››, stimolando ‹‹la partecipazione
creativa degli studenti alla vita musicale contemporanea, quale è
postulata dai più avanzati indirizzi compositivi, dalle molteplici
caratteristiche, anche sociali, dell’attività musicale e dal crescen-
te impiego dei mezzi moderni di riproduzione e di diffusione››
(Mascagni 1969).
Mascagni ribadisce come la proposta di riforma non prospetti
solo un intervento nel settore dell’istruzione musicale, bensì una
‹‹scelta culturale›› inerente all’intero modello educativo e dunque
alla società nel suo insieme. Da questo punto di vista le finalità
ultime della riforma ambiscono a ridefinire i confini tra musica e
cultura nella società italiana: in primo luogo attraverso un’inclu-
sione delle classi subalterne, coinvolte attraverso la formazione
musicale integrata nei curricoli scolastici generali, in un campo
musicale che in tal modo diventa parte integrante della cultura
113
nazional-popolare, nella sua accezione gramsciana47; in secondo
luogo, riqualificando professionalmente la figura del musicista
come intellettuale integrato nella società, ovvero come ‹‹studioso,
insegnante e uomo di cultura impegnato ai più alti livelli, incluso
quello universitario›› (Mascagni 1969).
Lo schema rappresenta dunque una scelta culturale, una linea generale
di riforma, che, qualificandosi come struttura generalizzata e articola-
ta nell’ambito del processo educativo generale, rivendichi la finalità di
elevare la musica ad elemento costitutivo e integrante di una cultura
nazionale-popolare, di tutti e per tutti. (Mascagni 1969).
114
per la tradizionale scuola musicale di élite, con poche migliaia di studen-
ti, scelti una volta per sempre a 8 anni - non si sa in base a quali facoltà
divinatorie delle loro reali attitudini musicali e delle loro prospettive ar-
tistiche - per conservarli gelosamente nelle scuole musicali, avulse come
oggi dal mondo culturale attivo, e restituirli a 18-20 anni strumentisti
ipoteticamente perfetti, pronti a svolgere la loro missione artistica in un
Paese che di musica continuerà a non volerne sapere. (Mascagni 1969)
48. Proposta di legge S.2108 del 23 febbraio 1972, Norme relative all’insegna-
mento della musica nella scuola pubblica, all’ordinamento dei Conservatori ed all’i-
stituzione di corsi universitari di musicologia.
49. Atto C.260 del 14 giugno 1972, Nuovo ordinamento della scuola secondaria
superiore; atto C.634 del 2 agosto 1972, Norme relative all’insegnamento della
musica nella scuola pubblica, all’ordinamento di Conservatori ed all’istituzione di
corsi universitari di musica e di musicologia). Primo firmatario di entrambe le
proposte l’esponente del PCI Marino Raicich (1925-1996), professore di liceo
e stimato intellettuale.
50. Nel dibattito sulla riforma dell’istruzione secondaria superiore particolar-
mente influenti sono le conclusioni del Convegno di Frascati, organizzato nel
115
della scuola secondaria superiore trova un consenso dei par-
titi su una struttura unitaria degli studi, articolata in materie
e attività comuni alle quali aggiungere materie opzionali ed
elettive, consentendo un progressivo orientamento degli allievi
verso percorsi di specializzazione. In nome del pragmatismo
richiamato dallo Schema Mascagni, i membri del Comitato ri-
formatore leggono dunque nel dibattito in corso un’occasione
per concretizzare una prima tappa del loro più ampio progetto:
l’istruzione musicale poteva infatti essere prevista nella nuova
scuola secondaria superiore come materia comune, eventual-
mente da portare avanti in uno dei percorsi di specializzazione
(e, ulteriormente, nel livello terziario)51.
Il processo di riforma della scuola secondaria superiore riprende
nella VII legislatura quando, in un quadro politico caratterizzato
dalla polarizzazione tra fronte democristiano e fronte comunista,
prende avvio un’iniziativa di ‘solidarietà nazionale’, che consente
il funzionamento degli organi legislativi e così la gestione dei mo-
menti più critici della difficile congiuntura economica e sociale. La
proposta di riforma del partito comunista52 confluisce con i progetti
di altri sette partiti all’interno di un disegno di legge di iniziativa go-
vernativa53, che conferma l’impostazione delineata nella precedente
116
legislatura: una struttura unitaria di durata quinquennale, con un’a-
rea di insegnamenti comuni volti a garantire una formazione cul-
turale di base omogena, affiancata negli ultimi anni da percorsi di
specializzazione reversibili, differenziati per indirizzo (artistico-mu-
sicale; linguistico-letterario; scienze sociali, economiche e giuridi-
che; scienze dure). Per l’istruzione musicale si prevedono deroghe
volte a rispettarne le esigenze specifiche (ad esempio, con l’avvio an-
ticipato della specializzazione) e la possibilità di realizzare all’interno
dei Conservatori sia il ciclo completo di studi, che solo il percorso
di specializzazione (in maniera simile al modello di istruzione musi-
cale tedesco); infine si prospetta di disciplinare, entro due anni dalla
promulgazione della legge, la fascia anteriore e successiva degli studi
musicali, al fine di completarne la verticalizzazione.
Nel dibattito in aula, i parlamentari favorevoli all’articolo
sull’inserimento dell’istruzione musicale nella scuola secondaria
superiore evidenziano la necessità del cambiamento proposto,
soffermandosi ad illustrare le criticità esistenti nel campo dell’i-
struzione musicale così come fino ad allora definito, ovvero sul-
le carenze dei Conservatori e degli Istituti musicali pareggiati:
la scarsa cultura generale di docenti e allievi, l’utilizzo di moda-
lità didattiche superate, le logiche di composizione di un’offer-
ta formativa monosettoriale e non confacente alle richieste del
mercato del lavoro54.
117
2.2 Dal Comitato di lotta dei docenti di Conservatorio
al “miracolo UNAMS”
La proposta di riorganizzazione del campo dell’istruzione
musicale in discussione al parlamento negli anni Settanta passa
dunque per un processo di decostruzione del modello conserva-
toriale, seguito dalla configurazione di un nuovo modello che, at-
traverso un adattamento a funzioni, valori e obiettivi del campo
dell’istruzione standard, delinea un iter formativo volto a forgiare
una nuova identità professionale del docente di musica e, più in
generale, del musicista. Tale operazione comporta una drastica
svalutazione del capitale culturale (oggettivato, incorporato, isti-
tuzionalizzato) accumulato dagli agenti del campo musicale così
come fino ad allora definito in Italia. Non sorprende dunque la
diffidenza, se non l’ostilità, con la quale l’iter della riforma è se-
guito dai molti docenti di Conservatorio, specie quelli maggior-
mente dipendenti dal riconoscimento di risorse culturali difficil-
mente convertibili in altri campi, proprio in considerazione della
forte autonomia e autoreferenzialità originaria del campo della
formazione conservatoriale. A suscitare una convinta disappro-
vazione e indignazione tra i docenti è soprattutto la prospettiva
della ‘licealizzazione’ dei Conservatori, ovvero di una verticaliz-
zazione degli studi musicali realizzata affidando a questi ultimi la
ni musicali e i Conservatori non possono chiudersi in sé stessi: devono produrre
indubbiamente degli artisti, magari geniali per la loro capacità tecnica e distintiva,
ma non estranei alla realtà della società del paese nel quale vivono (…) ma soprat-
tutto dei cittadini in grado di essere una entità dignitosamente presente nel conte-
sto della società civile del nostro paese» (Di Giesi, PSDI: 21506); «[S]appiamo che
questa miriade di istituti non dà risposte in termini professionali e culturali, che i
giovani escono ‘vecchi’ rispetto alle esigenze nuove della realtà sociale nella quale
non sanno o non possono portare competenze o creatività (…) Abbiamo inoltre
la diffusione di cattedre inutili accanto ad una strana avarizia per insegnamenti
utili; organici nei Conservatori di musica che non trovano riscontro in alcun paese
europeo: 11 classi di pianoforte contro due di violino, o 19 contro 3, e le orchestre
sono prive di archi›› (Bossi Maramotti, PCI: 21491) (Camera dei Deputati, VII
legislatura, Discussioni, Seduta del 27/9/1978).
118
fascia di istruzione secondaria, alle università la fascia di istruzio-
ne terziaria. Sebbene non in linea con lo Schema Mascagni, né
con l’articolo della legge in discussione in parlamento55, questo
scenario è ufficiosamente assecondato da misure di governo a ca-
rattere meno sistemico. I Decreti Delegati emanati tra il 1973-74
dal ministro Malfatti56 sanciscono infatti una sostanziale equi-
parazione di Conservatori e Accademie agli istituti di istruzione
secondaria, nell’estendergli le regole previste per i licei in materia
di governance, reclutamento e gestione del personale docente e
non docente. Nel 1974 sono istituiti in via sperimentale all’inter-
no di alcuni Conservatori del Centro-Nord licei musicali, intesi
come fasce della scuola secondaria superiore57. Infine, la bozza
del disegno di legge di riforma dell’Università predisposta dal Se-
natore Cervone, incaricato dal ministro Malfatti di trovare un
raccordo tra le diverse posizioni dei partiti e i pareri di sindacati e
119
associazioni del settore, prevede l’inserimento nel livello univer-
sitario delle Accademie di Belle arti58, ma non dei Conservatori
di musica59.
Il progetto di riforma in discussione al parlamento è dunque
vissuto da molti docenti di Conservatorio come una forma di
‘violenza simbolica’, che costringe i dominati a collaborare at-
tivamente alla loro dominazione (Bourdieu 1994, 1998), data
dall’imposizione al campo della formazione musicale di regole di
un campo eteronomo, ovvero quello scolastico legato ad una cul-
tura generalista, e dalla conseguente svalutazione e declassamen-
to del capitale culturale detenuto dagli agenti (studenti, docenti
e istituzione stessa) interni al campo della formazione musicale
specialistica. Per difendersi da questa minaccia si costituisce pres-
so il Conservatorio Santa Cecilia di Roma un Comitato di lot-
ta60, guidato dai docenti Almerindo d’Amico e Liliana Pannella61,
che elabora e diffonde una narrazione del dibattito parlamentare
in corso influenzata dall’ideologia antisistema del partito radi-
58. Tale passaggio era stato richiesto da alcuni progetti di legge presentati già
dalla IV legislatura (vedi le proposte di legge C-1149, presentata il 6 marzo
1968 da Bozzi e altri, e C-3523, presentata il 27 febbraio 1975 da Salvatori e
altri). Il riconoscimento del livello terziario alle Accademie di Belle Arti, cui si
accedeva con un diploma rilasciato dai licei artistici, risultava tuttavia meno
problematico di quello ai Conservatori, ai quali si poteva accedere con una sola
licenza di scuola media.
59. Gianni e Miceli (2016: 140). A seguito delle proteste, le versioni successive
includeranno nell’istruzione artistica di livello universitario anche i Conservatori
(cfr. disegno di legge n. 633, presentato al Senato il 29 aprile 1977, titolo VI).
60. L’espressione ‘Comitato di lotta’ (o ‘Comitato di occupazione’) è riportata
anche negli articoli dei quotidiani che riportano degli scioperi nei Conservatori
(cfr. “A Santa Cecilia occupata saltano i tempi per gli esami”, Corriere della sera,
17/7/1979; “Infondato per il ministero l’allarme sugli esami nei Conservatori”,
Corriere della sera, 19/7/1979). Oltre che a Roma, il movimento di protesta fu
particolarmente attivo nei Conservatori di Padova e Milano.
61. Almerindo d’Amico e Liliana Pannella, sorella del noto leader radicale Mar-
co, erano docenti di pianoforte il primo e di Storia ed estetica musicale la secon-
da, presso il Conservatorio di musica Santa Cecilia di Roma.
120
cale italiano e dal rivendicazionismo dei movimenti giovanili
contemporanei (Gundle 1995). Il progetto di riforma degli studi
musicali in discussione al parlamento è presentato dal Comitato
di lotta come il tentativo dei poteri forti (partiti al governo e
lobby universitaria) di imporre il proprio modello culturale ‘se-
condarizzando’ il Conservatorio, ovvero «trasformando la scuola
per la più alta specializzazione musicale in una sorta di centro
per la diffusione della cultura musicale»62. La lotta simbolica at-
tivata dal Comitato a difesa del Conservatorio rivendica invece
il prestigio culturale e l’atipicità formativa dell’organizzazione,
non assoggettabile alle logiche e alle tempistiche dell’istruzione
scolastica generalista.
In tal modo il Comitato di lotta definisce una narrazione del
dibattito all’interno della quale i docenti contrari alla riforma
trovano una rete di solidarietà e identificazioni collettive (Della
Porta e Diani 1997). Gradualmente esteso il suo consenso ad
altre sedi tramite la capillare azione di mobilitazione dei leader,
il Comitato di lotta è rinominato Comitato di coordinamento
dei docenti dei Conservatori, sebbene fondamentale all’efficacia
della sua azione sia l’ampio sostegno studentesco. Le proteste nei
Conservatori accompagnano l’iter parlamentare dei progetti di
legge Malfatti attraverso scioperi prolungati e il blocco di scrutini
ed esami, intensificandosi nei momenti cruciali di discussione in
aula della riforma63.
Nel dibattito parlamentare, il Comitato dei docenti di Con-
servatorio trova voce attraverso il Partito Radicale (PR), nume-
ricamente piccolo ma dal forte potere ostruzionistico64, guidato
62. “Ancora bloccati esami e scrutini nei conservatori musicali”, Corriere della
Sera, Corriere Romano, lunedì 9 luglio 1979: 8.
63. “Conferenza sul problema dei Conservatori”, Corriere della Sera, martedì 17
giugno 1978: 15. La primavera del 1978, come noto, rappresenta uno dei periodi
più tragici della storia del terrorismo italiano, contrassegnato dal rapimento ed
uccisione dell’esponente democristiano Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse.
64. «[S]i è addirittura ceduto alla minaccia del piccolo Gruppo radicale di bloc-
121
da Marco Pannella, fratello della leader di spicco del Comitato.
Durante la discussione alla Camera dei deputati del progetto di
riforma della scuola secondaria superiore, al quale è complessi-
vamente contrario, il PR ripropone la tesi della paventata secon-
darizzazione e del conseguente ‘declassamento’ dei Conservatori,
denunciato come esempio della discriminazione subita da musica
e arte in Italia, e chiede garanzie per il corpo docente.
Noi finiamo con il tagliare una parte dell’istruzione superiore, in parti-
colare quella musicale, attraverso questa licealizzazione dei conservatori
di musica con un abbassamento ed uno scadimento del livello artistico
e di formazione artistica di questi conservatori, senza garantire, in al-
cun modo, la formazione dei livelli dell’istruzione superiore che viene
abbandonata ad un momento successivo, senza una garanzia neanche
per gli insegnanti (…) Tutto questo significa che si vuole obbedire a dei
princìpi, che a nostro avviso sono sostanzialmente discriminatori nei
confronti della funzione dell’insegnamento artistico, del valore dell’arte
come cultura65.
122
trattamento giuridico ed economico dei docenti non sarà modi-
ficato fino all’entrata in vigore della riforma67. Il disegno di legge
sulla riforma della scuola secondaria superiore è così approvato
a larga maggioranza alla Camera, costituendo uno tra i tentativi
di riforma dell’istruzione politicamente più condivisi di questi
decenni68. Il suo iter legislativo è però arrestato dalla interruzione
della VII legislatura, che conclude l’esperienza di solidarietà na-
zionale e porta alle elezioni anticipate del giugno 1979 (Gianni
e Miceli 2016: 1401). L’ottava legislatura si apre con un quadro
di alleanze politiche complesso e mutevole69, risolto attraverso
una nuova legge verranno riformati i conservatori per quella parte che è ulte-
riore, successiva alla scuola secondaria, è evidente che fin da questo momento
i conservatori sono collocati in una gerarchia di istituto scolastico post-secon-
dario, che non può essere che universitario» (Ballardini, PSI: 21503); «[S]ono
d’accordo con l’onorevole Carelli che occorra evitare - ammesso che questo
pericolo sussista - che lo stato giuridico del personale sia messo in pericolo
da questo provvedimento. Lo stato giuridico deve rimanere invariato sino alla
ristrutturazione; una ristrutturazione che, noi prevediamo nell’ultimo comma
dell’articolo 8, deve essere raccordata con la riforma universitaria, che specifica-
mente prevedere la necessità della ristrutturazione dei conservatori» (Di Giesi,
relatore: 21506); «[I]1 problema di cui si è discusso dovrà ancora essere trattato
in sede di riforma universitaria, perché è evidente la singolarità della istituzione
rappresentata dal conservatorio (….) ed è per questo che in sede di riforma
universitaria, come del resto in questo contesto, si fa riferimento ad una legge
ad hoc, che dovrà essere predisposta dal Governo e discussa dal Parlamento, per
un adeguamento dei conservatori nel quadro della ristrutturazione complessiva
sia dell’istruzione secondaria sia della istruzione universitaria» (Franca Falcucci,
Sottosegretario di Stato per la Pubblica Istruzione: 21507).
67. A tal fine, all’articolo 8 sarà aggiunto un comma conclusivo suggerito dal
Sottosegretario Falcucci: «Fino alla ristrutturazione dei conservatori di cui al
precedente comma, nessuna modifica sarà apportata allo stato giuridico ed eco-
nomico del personale di dette istituzioni».
68. L’articolo 8, relativo all’istruzione musicale, è approvato il 28 settembre
1978 con 283 voti a favore, 50 contrari e una astensione durante la seduta di
discussione del testo definitivo della legge, la quale registra complessivamente
330 voti a favore, 54 voti contrari e 7 astensioni.
69. La principale novità nell’asse di governo è data dalla linea politica inaugu-
123
definizione di una coalizione di governo pentapartitica. La mar-
ginalizzazione in parlamento del partito comunista, principale
sostenitore della verticalizzazione degli studi musicali, apre al
Comitato di coordinamento una finestra di opportunità per in-
trodurvi un disegno di riforma alternativo.
Da imprenditori istituzionali, i leader del movimento
identificano come “risorsa dormiente” del contesto istituzio-
nale (Crouch 2005), da attivare per legittimare formalmente
le proprie posizioni, l’articolo della Costituzione repubblicana
sul riconoscimento di autonomia alle istituzioni di alta cultura
(Liguori 2018):
L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repub-
blica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali
per tutti gli ordini e gradi. (…) Le istituzioni di alta cultura, università
ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti
stabiliti dalle leggi dello Stato. [Costituzione della Repubblica italiana,
1948, art. 33]
rata dal segretario del PSI Bettino Craxi, che portò ai governi basati sull’intesa
pentapartitica (DC, PSI, PSDI, PLI, PRI).
70. La più antica tra le Accademie musicali italiane è quella romana di Santa
Cecilia, fondata alla fine del Cinquecento (Colarizi 1999: 260).
71. “Gli studenti chiedono che nella musica entri anche la cultura”, Corriere
della Sera - Corriere Romano, martedì 20 febbraio 1979: 12.
124
un più ampio e fortificato campo esterno (quello dell’istruzione
nazionale), si fa strada la possibilità di sostenere un assetto alter-
nativo, che prevede la collocazione dei Conservatori nel presti-
gioso livello terziario e la conseguente valorizzazione (simbolica
ed economica) del capitale culturale dei propri agenti interni.
Nonostante la limitata consistenza numerica degli aderenti,
l’efficacia mediatica delle azioni di protesta nei Conservatori rie-
sce a far emergere nel dibattito pubblico la trascuratezza mostrata
dal sistema di istruzione nazionale per il campo dell’istruzione
musicale. Ciò porta i governi ad autorizzare, come una sorta di
risarcimento, l’istituzione di nuovi Conservatori, il cui numero
quasi triplica nel giro di venti anni, come già osservato nel se-
condo capitolo. La proliferazione delle sedi di Conservatorio,
tuttavia, non segue una strategia programmatoria ministeriale
(basata sull’analisi dei fabbisogni dei territori o sulla pondera-
zione dell’offerta didattica alle esigenze del mercato del lavoro),
bensì logiche di tipo politico-clientelare72. Al contempo si rico-
nosce la necessità di affrontare con urgenza la questione della
riforma dell’educazione artistica e, in particolare, di quella mu-
72. Cfr. Delfrati 2017, Salvetti 2000. L’assenza di pianificazione riguarda anche
la definizione dell’offerta formativa dei Conservatori; si tratta di problemi già
ben evidenti a metà degli anni Ottanta, come si evince dal seguente intervento
del senatore Andrea Mascagni, durante un dibattimento in Senato: «Inoltre,
voglio dirle anche che si insiste nel parlare di proliferazione dei conservatori, ma
vi è un fenomeno ben più grave di cui poco si parla, quello cioè proliferazione
delle classi nei singoli conservatori. Fornisco soltanto un dato: al Conserva-
torio di Frosinone - citta che mi pare conti meno di 100 mila abitanti - vi
sono 39 classi di pianoforte, molte di più che al Conservatorio di Roma. Il
problema della proliferazione va certo affrontato in relazione alle nuove sedi
di conservatorio, ma soprattutto nei confronti della moltiplicazione delle classi
all’interno dei singoli conservatori» (Senato della Repubblica, IX legislatura,
resoconto stenografico del 29 maggio 1985, Discussione e rinvio dell’atto 1318
Insegnamento nei conservatori di musica e contemporaneo esercizio della professione
nelle orchestre, d’iniziativa dei deputati Carelli ed altri, approvato dalla Camera
dei deputati: 23).
125
sicale. Ecco, a tal proposito, l’esortazione del senatore DC Ma-
rio Pedini - tra i ministri della Pubblica Istruzione investiti dalla
protesta nelle precedenti legislature - ai colleghi senatori della
Commissione Istruzione Pubblica, riuniti in una domenica di
metà agosto del 1979 per porre rimedio alle conseguenze degli
scioperi nei Conservatori:
È in atto una vera e propria crisi di coscienza e di funzione di quella
scuola [l’istruzione artistica e, in particolare, l’istruzione nei conserva-
tori], una crisi sulla quale è necessario che il Parlamento converga la sua
attenzione se non vuol favorire una situazione di crisi irreparabile, tanto
più che né la riforma universitaria né quella della scuola media superio-
re erano state chiare nei progetti a suo tempo discussi sull’articolazione
tra l’uno e l’altro ordine dell’educazione artistica. Pertanto, più in fretta
il Parlamento e questa Commissione affronteranno tale argomento - se
occorre anche dopo un confronto governativo serrato con le organizza-
zioni sindacali e di categoria - meglio sarà onde evitare quei danni che
potrebbero essere irreparabili. (Pedini 1979:9)73
73. Intervento del senatore Mario Pedini tratto dal resoconto stenografico della
seduta di domenica 12 agosto 1979 della Commissione Istruzione Pubblica del
Senato, riunita per discutere e approvare i disegni di legge relativi alla validità
degli scrutini e degli esami effettuati nell’anno scolastico 1978-1979 e autoriz-
zare l’istituzione di una sessione straordinaria nei Conservatori di musica e nelle
Accademie di belle arti.
74. Efficace dal punto di vista mediatico, lo ‘spettro della secondarizzazione’ è
evocato dai leader del Comitato dei docenti di Conservatorio in maniera surret-
126
te le informazioni, ma è certo che qualcosa è necessario fare per non
rischiare di trovarci in condizioni tali da non vedere funzionanti questi
istituti, con il danno che naturalmente consegue per tutti gli studenti
interessati.75
tizia per mobilitare gli aderenti ad un rifiuto radicale della riforma, sottacendo
gli elementi del dibattito che aprivano invece alle possibilità di istituire anche
il livello terziario di istruzione musicale nei Conservatori. Ad esempio, nella
Conferenza stampa «promossa da esponenti del corpo docente e discente dei
conservatori di musica italiani sul tema Aggiornamento e riqualificazione degli
studi musicali, riforma dei conservatori, inadeguatezza delle relative formula-
zioni legislative in discussione alla Camera e al Senato», si riportava ancora la
vecchia bozza del disegno di legge sulla riforma dell’università, nel frattempo
corretta inserendo non solo le Accademie ma anche in Conservatori (Corriere
della Sera, martedì 17 giugno: 15).
75. Intervento del Senatore Andrea Mascagni tratto dal resoconto stenografico
della seduta di domenica 12 agosto 1979 della Commissione Istruzione Pub-
blica del Senato: 15.
76. Salvatore Valitutti è stato membro del partito liberale italiano e ministro
della Pubblica istruzione dall’agosto del 1978 all’aprile del 1980.
77. Il Sindacato Nazionale Lavoratori Scuola SNALS nasce nel 1976 dalla fu-
sione di otto sindacati autonomi categoriali della scuola, come sindacato ‘an-
ti-ideologico’, distante dai partiti e dal collaterale apparato amministrativo e
burocratico.
78. L’avanzamento richiesto per i docenti di Conservatorio era quello all’ottava
127
osteggiato dai sindacati confederali, interessati a non differenziare
il trattamento dei docenti dell’istruzione artistica e musicale dal
più ampio bacino degli insegnanti della scuola79. Gli intenti più
corporativi che sistemici del Comitato di coordinamento emer-
gono anche nel suo impegno nella protesta contro le disposizioni
governative riguardanti il divieto di cumulo di impieghi ai docenti
di Conservatorio occupati in orchestre sovvenzionate dallo Stato80.
Man mano che aumentano gli spazi per la loro azione, i le-
ader del Comitato di coordinamento prendono consapevolezza
dei limiti derivanti dalla strutturazione in forma di movimento in
termini di legittimazione nell’arena istituzionale. Dopo alcuni ten-
tativi di dialogo, quasi pro forma, coi rappresentanti dei sindacati
confederali (CGIL, CISL, UIL) - su posizioni molto distanti - e,
più concreti, con quelli di settore (come lo SNIA e lo SNALS),
i promotori del movimento decidono di fondare un sindacato
autonomo: nasce così il 10 novembre 1979 l’Unione Nazionale
Arte Musica e Spettacolo (UNAMS)81. Per scongiurare un’evolu-
zione in termini burocratici e oligarchici del movimento, lo sta-
128
tuto UNAMS prevede la partecipazione volontaria e gratuita dei
soci, leadership inclusa. Del vecchio Comitato di coordinamento
il nuovo sindacato mantiene inoltre, potenziandole, le strategie di
azione: la guerriglia istituzionale, la drammatizzazione degli eventi,
la polarizzazione del conflitto tra amici e nemici82, il senso di ap-
partenenza collettiva e la mobilitazione diretta degli aderenti.
In questa caotica situazione, da tempo (…), approssimandosi la secon-
da scadenza, sono in corso agitazioni e pressioni di ogni genere, in parti-
colare da parte di ben noti ambienti pseudo sindacali, nei confronti dei
parlamentari che, ovviamente, in buona fede (non c’è nessun dubbio
in proposito) ascoltano e recepiscono esposizioni minimizzate e mini-
mizzanti sul merito effettivo e massimizzanti nello spirito rivendicativo.
Ed ecco allora che i colleghi della Camera presentano in proposito un
generoso disegno di legge di ulteriore proroga di tre anni per l’opzione
prevista dalla legge n. 312 del 1980. Ma voglio dire di più (…): ci sono
conservatori (…) in cui taluni insegnanti investiti dall’opzione sono in
sciopero; e si tratta di una nuova concezione dello sciopero (…) Si trat-
ta di uno sciopero per così dire «preventivo» e «sollecitario»: verso chi?
Verso il Senato, invitato ad approvare la proroga di ulteriori tre anni per
l’opzione. [Mascagni 1985: 15]83
82. La modalità di narrazione del dibattito politico che drammatizza gli even-
ti configurandoli in termini dicotomici e conflittuali, polarizzando l’arena tra
amici e nemici della giusta causa, piuttosto che in termini di spettro politico, è
stata ben evidenziata da Giancarlo Bosetti (2008) nel suo libro su Oriana Falla-
ci. Per un esempio dell’utilizzo di tale configurazione simbolica del conflitto da
parte dei leader dell’UNAMS, vedi Liguori e Damiani (1981), Liguori (2018).
83. Intervento del Senatore Andrea Mascagni tratto dal resoconto stenografico
della seduta di mercoledì 29 maggio 1985 della Commissione Istruzione Pub-
blica del Senato: 15.
84. Dove non indicato diversamente, gli estratti riportati di seguito sono tratti
dalle interviste qualitative realizzate dall’autrice per l’indagine.
129
La Dora sopra citata è la cantante e scrittrice Dora Liguori,
eletta primo segretario generale e ancora oggi alla guida del sin-
dacato85. Probabilmente reclutata nella leadership del Comitato
di coordinamento docenti per sfruttare la sua rete di conoscenze
in ambito politico e parlamentare, ben presto rivela doti di abi-
lissima e infaticabile stratega. Alle capacità di lettura e visione
prospettica del contesto politico e istituzionale accompagna doti
affabulatorie che le consentono di attivare, attraverso il coinvol-
gimento empatico, la spregiudicatezza politica e la tenacia una
rete di inedite e trasversali alleanze86 di sostegno alla causa dell’U-
NAMS. All’interno delle reti di sostegno sono reclutati attori di
tipo diverso: docenti di Conservatorio e celebri musicisti da usare
come testimonial87; esperti in campo legale, per consolidare le
proprie tesi e confutare quelle del fronte avverso88; ma soprat-
tutto parlamentari e ministri, integrati all’interno della propria
narrazione del dibattito89. Grazie a tali meccanismi l’UNAMS
trasforma la propria indipendenza dai partiti da punto di debo-
lezza in punto di forza, riuscendo a superare i divari ideologici tra
85. Dora Scocozza, cantante, sposata con il compositore Elio Liguori, è stata
docente presso il Conservatorio di Frosinone e S. Cecilia di Roma. È autrice di
libretti d’opera, saggi e romanzi a carattere storico.
86. Si tratta di risorse riconducibili agli social skills di cui parla Fligstein (1997:
108) a proposito degli imprenditori istituzionali, un concetto vicino a quello di
soft power proposto da Nye (2008).
87. Per illustrare la propria proposta di riforma, l’UNAMS organizzò nelle
diverse sedi di Conservatorio una serie di incontri per illustrarne i vantaggi
- facendo leva in particolare sull’aumento stipendiale -, che portano al costi-
tuirsi di Comitati spontanei per la riforma a livello locale (Piatti 2012). Tra i
principali testimonial della proposta di riforma UNAMS vi fu il noto direttore
d’orchestra Claudio Scimone.
88. Per l’utilizzo del sapere tecnico risorsa strategica degli imprenditori istitu-
zionali, vedi Hwang e Powell (2005).
89. A proposito dell’utilizzo da parte degli imprenditori istituzionali di strategie
discorsive inserite in racconti condivisi sull’origine delle cause e le responsabi-
lità dei fallimenti del presente o la definizione di un quadro programmatico di
riferimento per le soluzioni future, vedi Seo e Creed (2002), Fligstein (1997).
130
politici e parlamentari e costruendo un consenso basato su nuo-
ve alleanze fondate su affinità personali (la comune provenienza
territoriale, le reti amicali e parentali, la passione per la musica).
Si creò quest’amicizia, ma è quello che meglio so fare io, creare…[ami-
cizie] [Liguori, segretario generale UNAMS]
131
I docenti di ogni ordine e grado in un primo tempo sono contraria-
ti, ma poi, con ammirazione, definiscono il contratto il “miracolo
UNAMS”.91
132
europeo dell’istruzione superiore93. Nella XII legislatura94 (1994-
96) la terziarizzazione degli istituti di alta cultura è proposta da
ben tredici progetti di legge. Vittorio Sgarbi95, storico dell’arte
appartenente al gruppo misto, in qualità di presidente della VII
Commissione Istruzione pubblica alla Camera affida a Maria
Procaccini Burani, insegnante, componente di Forza Italia della
Commissione, il compito di coordinare i lavori per la redazione
di un testo unificato, che non riuscirà ad essere approvato a causa
della caduta del Governo.
Nella XIII legislatura96 il compito di coordinare i lavori del-
la VII Commissione è affidato a Luciana Sbarbati, dirigente sco-
lastica, esponente del Partito repubblicano italiano aderente alla
coalizione dell’Ulivo. Il progetto di legge risultante97 prospetta la
creazione di Istituti superiori delle arti (ISDA), intesi come poli
per la formazione, la ricerca, la produzione artistica di grado uni-
versitario, cui accedere con un titolo di studio di scuola secondaria
superiore, rilascianti diplomi universitari e lauree. Agli ISDA, pre-
visti in numero di almeno uno per regione, si riconosce personalità
giuridica e autonomia organizzativa e quindi la facoltà di definire il
93. Tali iniziative porteranno nel 1999 alla sottoscrizione degli stati membri
della Dichiarazione di Bologna, che indica una serie di linee di riforma da pro-
muovere all’interno dei diversi Stati membri dell’Unione europea (trasparenza
e comparabilità dei percorsi formativi, mobilità formativa e occupazionale, svi-
luppo della società della conoscenza), pur nel rispetto delle specificità dei singoli
sistemi formativi.
94. La XII legislatura della Repubblica italiana è stata in carica del 15 aprile
1994 al 8 maggio 1996.
95. Lo stesso Sgarbi era primo firmatario di uno dei progetti di legge presen-
tati (il 1111/1994), favorevole al riconoscimento di Accademie e Conservatori
come Istituti artistici superiori equiparati alle Università.
96. La XII legislatura della Repubblica italiana ha coperto il periodo tra il mag-
gio 1996 e il maggio 2001.
97. L’esame nella VII Commissione Istruzione Pubblica della Camera del testo
risultante dall’unificazione dei disegni di legge inizia il 31 luglio 1996 e si con-
clude il 5 novembre 1997, quando è approvato all’unanimità.
133
proprio statuto, nonché regolamenti interni, da sottoporre all’ap-
provazione del Ministro dell’Università. L’offerta formativa degli
ISDA, inizialmente definita a partire da quella dei vecchi Istituti
prevalentemente specializzati nel campo delle arti visive e musicali,
sarebbe stata gradualmente integrata negli altri settori artistici, tra i
quali quello delle «arti del gusto legate alla tradizione e alla cultura
enogastronomica italiana». Il 5 novembre 1997, il progetto è ap-
provato ad unanimità alla VII Commissione della Camera.
Ben più travagliata si rivela la discussione presso la VII Commis-
sione del Senato, dove il disegno di riforma degli istituti per l’alta
formazione artistica e musicale solleva diverse perplessità, specie in
riferimento ai Conservatori. Si evidenzia, in particolare, come la pro-
posta di terziarizzazione degli Istituti avrebbe dovuto rappresentare
la tappa finale di un progetto globale di verticalizzazione degli studi
musicali professionalizzanti, invece che una rivendicazione di tipo
corporativo dei docenti, incurante dell’inevitabile squilibrio creato
tra la quantità di studenti formati da un numero eccessivo di Con-
servatori di livello terziario rispetto alle esigenze del mercato del la-
voro98. Il punto sul quale si incentra in particolare la discussione in
aula riguarda la sostanziale equiparazione della docenza degli ISDA
a quella universitaria, prospettata senza prevedere «alcun sistema di
selezione e di accertamento delle specifiche idoneità professionali e
in evidente violazione del principio del pubblico concorso»99.
98. «[Tali proposte] invece si limitano a prevedere i cosiddetti ISDA e una
serie di equipollenze con l’ordinamento universitario senza alcuna attinenza
con i problemi sopra accennati, limitandosi a soddisfare richieste fortemente
corporative e obliando il dato ineludibile e non occultabile costituito dal numero
eccessivo dei conservatori, tali da configurarsi come un sistema autoreferenziale,
che licenzia migliaia di diplomati privi di sbocchi professionali. Questo è il
vero problema, in nessun modo risolto dal consolidamento della situazione
professionale di chi insegni presso quegli istituti» (dall’intervento del senatore
Stefano Passigli, dell’Ulivo, tratto dal resoconto stenografico della seduta del 24
marzo 1998 della Commissione Istruzione Pubblica in Senato).
99. Passigli, Ibidem. Tale obiezione era inoltre legata al paventato paradosso per
cui, inserendo i Conservatori nel livello terziario, i docenti avrebbero dovuto
134
A fronte di una netta opposizione di esponenti della sinistra
legati al campo universitario, sui quali i sostenitori della riforma
adombrano il sospetto di ritardare il dibattito al fine di non con-
sentire la conclusione dell’esame dei provvedimenti in tempo utile,
il testo è approvato il 14 luglio 1999 con modificazioni, tra le qua-
li quella centrale riguarda l’eliminazione del riferimento dell’ag-
gettivo ‘universitario’, contenuto invece nel testo approvato dalla
Camera per riferirsi al livello delle nuove istituzioni. Per collocare
Accademie e Conservatori e altri istituti artistici di alto rilievo isti-
tuzionale si crea un sistema ad ordinamento speciale, da inserire
nel livello terziario: l’Alta formazione artistica e musicale (AFAM).
La scelta di creare un sistema distinto rispetto a quello universitario
è motivata sostenendo che in tal modo si sarebbe adottata la dizio-
ne che più opportunamente rifletteva il dettato costituzionale (il
quale distingue tra Istituti di alta cultura, Accademie e Università),
come sostenuto in una relazione tecnica predisposta dal MIUR.
Il testo modificato dal Senato torna dunque alla VII Commis-
sione della Camera per la seconda lettura, durante la quale diversi
deputati lamentano il fatto che le modifiche apportate dal Sena-
to stravolgessero la portata innovatrice di una riforma sostenuta
alla Camera da tutte le forze politiche. Non mancano interventi
che, adottando la narrazione del dibattito offerta dall’UNAMS,
attribuiscono tale manovra ad una strategia di distinzione cultu-
rale del mondo universitario rispetto ad altri percorsi formativi,
realizzata in Senato su pressione del MIUR.
[L]a distinzione operata fa seguito all’annosa paura del mondo universi-
tario italiano di vedere posto sul suo stesso piano l’istituto di alta cultura
che non è caratterizzato dallo stesso percorso di studi (anche se il suo iter
è talvolta più complesso, più duro e più lungo del normale percorso che
porta prima alla laurea e poi alla formazione del professore universitario).
[Burani Procaccini 1999: 6]100
135
Nonostante le proteste, i deputati concludono che l’impianto
complessivo della riforma resta valido e spingono per una conclu-
sione del suo iter parlamentare, per evitare «la secondarizzazione
senza via d’uscita e l’appropriazione indebita da parte delle uni-
versità di questo comparto» e consentire l’equiparazione formale
di una già esistente equivalenza tra il sistema di formazione ar-
tistico-musicale italiano e quello europeo di livello terziario. Le
possibilità di precisazione dello status universitario di Accademie,
Conservatori e altri Istituti artistici di alta cultura sono dunque
rimandate alla successiva definizione dei vari regolamenti previsti
dalla legge. Al Senato per la seconda lettura, il disegno di legge
è approvato in via definitiva il 2 dicembre 1999, anche grazie
ad uno stratagemma escogitato dal relatore, il Senatore di Forza
Italia Franco Asciutti, per evitare la prevalenza dei voti contrari
in Commissione101.
La legge approvata (n. 508/1999)102 dichiara che le Accade-
mie di belle arti, l’Accademia nazionale di arte drammatica e gli
Istituti superiori per le industrie artistiche, l’Accademia nazionale
di danza, i Conservatori di musica e gli Istituti musicali pareggia-
ti costituiscono il sistema dell’Alta formazione e specializzazione
artistica e musicale (AFAM) (art. 2,1) e rappresentano sedi pri-
marie di alta formazione, specializzazione, ricerca, produzione nel
settore artistico e musicale. I Conservatori di musica e gli Istituti
musicali pareggiati e l’Accademia nazionale di danza sono trasfor-
mati in Istituti superiori di studi musicali e coreutici (ISSMC)
136
(art. 2.2.). Gli ISSMC, ai quali si accede con il possesso del di-
ploma di scuola secondaria di secondo grado, attivano corsi di
formazione, di perfezionamento e di specializzazione, e rilasciano
specifici diplomi accademici di primo e secondo livello, nonché di
perfezionamento, di specializzazione e di formazione alla ricerca
in campo artistico e musicale (art.2.5).
Il ministro del MURST esercita nei confronti delle istituzio-
ni AFAM poteri di programmazione, indirizzo e coordinamen-
to, nel rispetto della loro autonomia (art.2.3). All’interno del
MURST si prevede l’istituzione di una direzione generale per
l’AFAM, con funzioni relative al finanziamento, programmazio-
ne e sviluppo del sistema, e il Consiglio nazionale per l’alta for-
mazione artistica e musicale (CNAM), col compito di esprimere
pareri e formulare proposte sugli schemi di regolamento e di de-
creto, sui regolamenti didattici degli istituti, sul reclutamento del
personale docente, sulla programmazione dell’offerta formativa
relativa al comparto (art. 3.1).
La legge delega il riordino del settore alla definizione di uno
o più regolamenti, emanati su proposta del MURST, previa con-
sultazione del CNAM e delle Commissioni parlamentari compe-
tenti. Ben nove gli ambiti identificati di cui si delega il riordino:
i requisiti di qualificazione didattica, scientifica e artistica delle
istituzioni e dei docenti; i requisiti di idoneità delle sedi; le mo-
dalità di trasformazione degli istituti; i possibili accorpamenti e
fusioni, nonché le modalità di convenzionamento con istituzioni
scolastiche e universitarie e con altri soggetti pubblici e privati;
le procedure di reclutamento del personale; i criteri generali per
l’adozione degli statuti di autonomia e per l’esercizio dell’auto-
nomia regolamentare; le procedure, i tempi e le modalità per la
programmazione, il riequilibrio e lo sviluppo dell’offerta didatti-
ca nel settore; i criteri generali per l’istituzione e l’attivazione dei
corsi, per gli ordinamenti didattici e per la programmazione degli
accessi; la valutazione dell’attività delle istituzioni (art.2,7).
137
Al contempo si indicano una serie principi e criteri direttivi di
cui tener conto nella definizione dei regolamenti, tra i quali: la va-
lorizzazione delle specificità culturali e tecniche dell’alta formazio-
ne artistica e musicale e la definizione di standard qualitativi rico-
nosciuti in ambito internazionale; la programmazione dell’offerta
formativa sulla base della valutazione degli sbocchi professionali; la
definizione di un sistema di crediti didattici; la previsione di corsi
di formazione musicale o coreutica di base per consentire la fre-
quenza agli alunni iscritti alla scuola media e alla scuola secondaria
superiore; le possibilità di convenzionamento con istituzioni scola-
stiche per realizzare percorsi integrati di istruzione e di formazione
musicale o coreutica o con istituzioni universitarie per lo svolgi-
mento di attività formative finalizzate al rilascio di titoli universita-
ri o di diplomi accademici; la possibilità di graduale statalizzazione
degli attuali Istituti musicali pareggiati e delle Accademie di Belle
arti; la facoltà di costituire, sulla base della contiguità territoriale,
nonché della complementarietà e integrazione dell’offerta formati-
va, Politecnici delle arti, nei quali far confluire gli ISSMC e strut-
ture universitarie; la verifica periodica degli standard e dei requisiti
prescritti da parte del MURST (art.2,8).
Per quanto riguarda il rapporto di lavoro del personale, si pre-
scrive che questo sia regolato contrattualmente nell’ambito di ap-
posito comparto articolato in due distinte aree, rispettivamente
per il personale docente e non docente. In riferimento alla prima
categoria, limitatamente alla copertura dei posti in organico che
si rendono disponibili, si indica di fare ricorso alle graduatorie
nazionali ad esaurimento e di attribuire invece incarichi di inse-
gnamento di durata non superiore al quinquennio, rinnovabili,
per le esigenze didattiche derivanti dalla legge cui non si riesca a
far fronte con le ordinarie dotazioni organiche. Il personale do-
cente e non docente in servizio all’entrata in vigore della legge
con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come anche il
personale inserito nelle graduatorie nazionali assunto successiva-
138
mente, è inquadrato in appositi ruoli ad esaurimento, mantenen-
do funzioni e trattamento complessivo in godimento (art. 2,6).
In merito alla validità dei diplomi (art. 4) si stabilisce che
quelli conseguiti anteriormente alla data di entrata in vigore della
legge mantengano la loro validità ai fini dell’accesso all’insegna-
mento e ai corsi di specializzazione, e che consentano di iscriversi
a corsi integrativi per il conseguimento dei diplomi accademici,
se uniti al possesso di un diploma di scuola secondaria di secondo
grado103. Inoltre, si stabilisce che i diplomi conseguiti al termine
di corsi di didattica, compresi quelli rilasciati prima dell’entra-
ta in vigore della legge, sono considerati validi per l’accesso alle
scuole di specializzazione e all’insegnamento, previo possesso di
un diploma di Conservatorio (o di Accademia) e di un diploma
di scuola secondaria di secondo grado.
103. Tale disposizione sarà modificata dalla legge 268 del 2002, che elimina
l’anno integrativo consentendo ai possessori del vecchio diploma l’iscrizione ai
corsi accademici di II livello, e dalla legge di stabilità 2013 (l.n.228/2012), che
dispone un sistema di equipollenze tra i titoli di nuovo e vecchio ordinamento
rilasciati dal sistema AFAM e le lauree universitarie di I e di II livello di alcune
classi di laurea, al fine della partecipazione ai pubblici concorsi.
139
evince dalla lettura del recente volume della Liguori (2018) o
dal seguente intervento di un direttore di Conservatorio:
Negli anni ’70 il musicista Senatore Andrea Mascagni del PCI (omonimo
ma non parente del compositore di Cavalleria Rusticana), già direttore
del Conservatorio di Bolzano, in ossequio alle direttive filo sovietiche del
suo partito, propose un progetto di riforma in analogia agli ordinamenti
dei paesi del blocco sovietico. Questo prevedeva l’istituzione di alcune
Accademie Superiori di Musica (quattro o cinque) e la trasformazione dei
Conservatori in scuole secondarie. A questo assurdo progetto, salutato
con grande favore dalla CGIL, che di fatto avrebbe disperso professio-
nalità artistiche di grande rilievo, si oppose un solo neonato sindacato,
l’UNAMS (Unione Nazionale Arte Musica e Spettacolo). Il suo segre-
tario nazionale Dora Liguori, unitamente al compianto prof. Pier Gio-
vanni Damiani, attraverso un’infaticabile opera di sensibilizzazione ed
informazione sulle realtà dei Conservatori, arrivando perfino a fermare
i parlamentari sulla porta di Montecitorio o di Palazzo Madama, riuscì
miracolosamente ad evitare un tale scempio.104
140
terziario, ovvero garantire la qualità e la sostenibilità del sistema.
La strenua difesa degli interessi corporativi dei docenti di Conser-
vatorio da parte dell’UNAMS aveva infatti portato ad inserire nel
livello terziario tutti gli ISSM, senza alcun controllo preliminare
sulle competenze didattiche e i titoli artistici dei docenti. Al fine di
garantire la qualità del sistema, si rendeva dunque particolarmente
urgente la definizione dei regolamenti riguardanti la selezione e la
valutazione della docenza. Per garantire invece la sostenibilità del
sistema, si rendeva necessario identificare le sedi deputate alla for-
mazione musicale di base degli allievi di Conservatorio. Infatti, vista
la mancanza di un solido curricolo di formazione musicale nella
scuola dell’obbligo, il nuovo sistema di istruzione musicale nazio-
nale assumeva una inconsueta forma a ‘piramide rovesciata’ (Ligios
2016), all’opposto dei tipici modelli di specializzazione formativa.
All’urgenza di tali questioni si frappone però la complicata
questione della governance del sistema. Durante il dibattito par-
lamentare gli sforzi degli oppositori alla riforma si erano concen-
trati sull’obiettivo di non attribuire lo status universitario al siste-
ma AFAM, limitandone nella pratica l’autonomia formalmente
riconosciuta. Se nel sistema universitario la legge fissa nella nor-
mativa primaria principi e regole per garantire l’autonomia delle
istituzioni, escludendo l’applicabilità della normativa di natura
secondaria (come le disposizioni emanate con circolari), nel si-
stema AFAM ciò è invece consentito e offre più ampio potere
decisionale al governo105.
La classe politica italiana, tuttavia ha storicamente mostrato
nei confronti della formazione musicale un ampio disinteresse,
141
principalmente legato alla sua mancata legittimazione nei percor-
si scolastici e universitari all’interno dei quali si è formata, come
ribadito durante le interviste, dalle quali sono tratti i due stralci
riportati di seguito.
Allora, in Italia (…) il nostro settore è un settore in disarmo, la nostra
classe politica non ha mediamente un’istruzione musicale, non ricono-
sce la musica come un fattore determinante per la formazione culturale
dell’individuo, fa proprio difficoltà a riconoscerlo. Non lo fa per catti-
veria: io a volte ho parlato [con loro], hanno sempre considerato che il
musicista sia sempre un po’ uno zoticone o comunque uno fra le nuvole
(…) Questo non esiste negli altri paesi, [dove] ci sono moltissimi mini-
stri (…) che suonano uno strumento, da dilettanti almeno, o anche ad
un buon livello e questo è importante perché capiscono. Invece i nostri,
magari ti sanno dire tutto sulla cultura latino-romana o le avanguardie,
ma se tu gli dici qualsiasi cosa [di musicale] non sanno distinguere un
artista da un altro, non sanno chi è e se provano a esprimere un giudi-
zio meglio scivolare. Io ormai non dico niente, faccio finta di nulla…
[docente di ISSM]
142
[L’AFAM] è stato sempre vissuto come un fastidio perché è chiaro
che quando c’è un Ministro che ha tutta la responsabilità della scuola,
dell’università e della ricerca, va bene, lo fa, ma lo fa come ultima ruota
di scorta… [direttore generale DG MIUR-AFAM]
[N]on siamo mai stati inseriti nel sistema MIUR, hanno creato un di-
partimento che si chiama AFAM: insomma, siamo il ghetto dell’Uni-
versità! [studente di ISSM]
Con l’entrata in vigore della legge n.508 del 1999 sono istitu-
iti presso il MURST il dipartimento AFAM e il CNAM, organo
elettivo di rappresentanza delle istituzioni del sistema AFAM,
presieduto da Dora Liguori, già segretario generale dell’UNAMS
e paladina della Riforma106. Inizialmente la linea adottata dai due
organismi per l’implementazione della riforma pare unitaria107,
mentre sorge subito una forte tensione tra il CNAM e il CUN
106. Prima presidente del CNAM sarà eletta Dora Liguori, segretario generale
dell’UNAMS, dal al 2000 al 2007; le succederà Giuseppe Furlanis, architetto,
già direttore dell’ISIA di Firenze, dal 2007 al febbraio 2013, quando il CNAM
conclude i suoi lavori a causa della mancata proroga ministeriale.
107. «Gli organici del personale ATA dei conservatori e delle accademie non si
toccano: parola di Remo Di Lisio, dirigente del neonato dipartimento dell’alta
143
(Consiglio nazionale universitario), destinata a durare. Il CNAM
lamenta l’atteggiamento di superiorità con il quale l’organo uni-
versitario si rivolge al suo omologo AFAM, interpretandolo come
retaggio dell’antica concezione dicotomica tra sapere speculativo
e sapere pratico; ne denuncia inoltre tentativi di ‘scippo’ del seg-
mento più alto della formazione musicale, ovvero i bienni108.
Il conflitto è destinato ad ampliarsi quando alla guida del-
la Direzione Generale AFAM, creata nel 2003 a seguito della
riorganizzazione delle strutture del Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca (MIUR)109, il ministro Letizia
Moratti nomina Giorgio Civello, autorevole dirigente di prima
fascia con una lunga esperienza in ambito di riforme e regola-
zione del sistema universitario110. La nomina assume il signifi-
cato di una sorta di apparizione in scena del deus ex machina,
chiamato in virtù delle sue esclusive conoscenze e competenze
a risolvere una trama intricatissima111. Da subito Civello cerca
di rilanciare il settore, ideando iniziative volte a dare visibilità
formazione artistica e musicale del Murst (…) Una posizione condivisa in pieno
da Dora Liguori, leader dell’Unams» (Di Geronimo 2000).
108. Vedi, ad esempio, il verbale n. 41, dell’adunanza del 24 gennaio 2004, sul
punto 3 (Rapporti tra Università e AFAM) dell’ordine del giorno.
109. Il MIUR sarà nuovamente scorporato in Ministero della Pubblica Istru-
zione e Ministero dell’Università e della ricerca durante il governo Prodi (2006-
08); seguirà un riaccorpamento dei dicasteri, tutt’ora in vigore.
110. Laureato in Giurisprudenza e diplomato alla Scuola Superiore della Pub-
blica Amministrazione, nella sua carriera all’interno del Ministero della Pubbli-
ca Istruzione e, successivamente, del MIUR, Civello ricopre diversi incarichi
rilevanti, partecipando a commissioni di studio e gruppi di lavoro anche inter-
ministeriali principalmente riguardanti questioni universitarie (dall’autonomia,
all’internazionalizzazione, all’armonizzazione delle riforme nazionali con gli
ordinamenti degli altri paesi europei).
111. L’immagine del ‘deus ex machina’ è stata proposta da una docente duran-
te le interviste per riferirsi al Direttore generale, soprannominato anche ‘San
Civello’ per le sue articolate relazioni (V. Santarpia “Spending review al Miur:
poltrone in bilico. La direzione generale dell’Afam finisce sotto il terzo diparti-
mento”, Corriere della Sera, 17 novembre 2013).
144
esterna alla qualità formativa e alla varietà di competenze diffu-
se nel territorio, avviando al contempo la predisposizione delle
bozze dei regolamenti mancanti.
Nacque su mia idea - mi supportò molto l’allora Ministro Moratti -
il Premio Nazionale delle Arti: l’idea di avere proprio una vetrina dei
talenti del nostro sistema che abbracciava le arti visive, la musica, il
teatro, la danza, e quindi era una selezione su due livelli perché le isti-
tuzioni mandavano i ragazzi migliori, li presentavano alla ribalta, e poi
c’erano il premio nazionale con giurie prestigiosissime (…) Lì si notò
esattamente che non è la dimensione che fa la qualità, perché uno può
pensare che i grandi Conservatori sono di livello molto più alto: no, io
ho sempre sostenuto che il livello sta nella qualità della docenza [Civel-
lo, direttore generale DG MIUR-AFAM]
145
stato presentato dalla Direzione Generale: ora è ancora all’attenzione
del Ministro…[Civello, direttore generale DG MIUR-AFAM]
146
se no bastano le scuole medie e i licei musicali… Perché al Conservato-
rio deve andare chi è proprio talentuoso a livelli [alti], quando è giova-
ne, perché va allevato se ha proprio le potenzialità, il che non può essere
un sistema di educazione diffusa. Questo [l’educazione diffusa] lo può
fare il sistema scolastico - come sa c’è la Commissione Berlinguer per
l’inserimento della pratica musicale sin dalle elementari… [Civello, di-
rettore generale DG MIUR-AFAM].
147
Civello (…) i problemi te li risolveva; sapeva, conosceva e ha fatto tutta
la vita al ministero; conosceva gli ambienti, i tempi, le difficoltà, sapeva
come intervenire. Civello ha avuto il difetto che ha tenuto il sistema
in una sfera di cristallo per proteggerlo, a suo parere, da attacchi; e
questo mantenimento della sfera di cristallo era dovuto al fatto che così
comandava lui. Ha fatto questa guerra santa contro il sindacato, con
tutte le ragioni, perché sono veramente insopportabili. Però tu, diretto-
re generale, non puoi porre il tuo obiettivo [nella lotta al sindacato] …
Questi sono stati i difetti, però le cose le faceva… [direttore di ISSM]
Voglio dire che la mia prima la mia grande battaglia contro il Direttore,
non era contro la sua persona - che magari a parlarci era anche simpa-
tico - era contro un progetto, che io capivo, per cui dovevo andare in
tribunale per far avere ragione (…) Guardate: se Civello fosse stato un
funzionario dalla parte nostra, alla grande, per la furbizia, l’intelligenza
che c’ha, un ottimo funzionario: però è contro di noi! Perché è amico
dell’Università, per questo progetto? Non glie lo so dire. Tutti i fun-
148
zionari guardano più alla facciata. Che poi quello che sbaglia lui è che
personalizza: io non lo faccio, ci ho sempre scherzato; lui invece non
ama essere contraddetto, da buon siculo… [Liguori, segretario generale
UNAMS]
149
relative alla gestione del settore. Nel 2013 la spending review av-
viata dal governo Monti porta ad una riorganizzazione del MIUR
che vede la soppressione della DG-AFAM e la creazione di un
unico Dipartimento per la formazione superiore e la ricerca, cui
fanno capo sia il settore universitario, che il settore AFAM: a
capo della nuova direzione è nominato Marco Mancini, profes-
sore universitario, già presidente della CRUI. Nel dicembre del
2014 il governo Renzi tenta il rilancio del settore e, riprenden-
do le modalità già adottate per la riforma della Scuola, attiva
il Cantiere sull’AFAM, un gruppo di lavoro ristretto, composto
da funzionari del MIUR affiancati da esperti esterni (con profili
non sempre affini al settore), al quale chiede di redigere un do-
cumento di policy con proposte di riforma. Nel dicembre 2015 il
Cantiere AFAM pubblica Chiamata alle Arti. L’investimento che
l’Italia deve fare nella formazione di artisti e musicisti, un opuscolo
dalla grafica accattivante, che ripropone sotto forma di una serie
di domande aperte su dieci ambiti tematici le principali questioni
già ampiamente dibattute nel quindicennio precedente. La Chia-
mata è presentata come punto di partenza per una fase di ascol-
to con gli stakeholders, finalizzata alla redazione del documento
di policy per la Riforma. Solo due mesi dopo la Conferenza dei
direttori dei Conservatori risponde con un documento115 dove,
punto per punto, si offrono le soluzioni maggiormente condivise
nel dibattito sulle domande aperte dalla Chiamata alle Arti.
[Civello] però le cose le faceva, mentre questi zero. Poi sono anche
competenti, perché non è che tutti possono sapere tutto… Ha visto
come è difficile la materia: capire come funziona, per un professore
universitario (…) non è facile! [ridendo, ndr] (…) Qui il problema è
i tempi perché ogni processo ha due variabili: una è la direzione, cioè
115. Il documento, Chiamata alle arti. Documento della Conferenza dei Di-
rettori dei Conservatori di Musica, è disponibile nel portale della Conferenza
dei direttori di Conservatori di musica (http://www.direcons.it/ ); ultima
consultazione 27/10/2017.
150
qual è l’obiettivo di questo processo? La seconda, non meno importan-
te è il tempo: questa seconda variabile è del tutto ignorata. (…) Quello
che serve è un ministro che dica: “Ok, si fa così, punto. Son quindici
anni che discutiamo: adesso si parte e si fa!”. [direttore di ISSM]
151
IV
Interagire nel campo:
vecchie e nuove logiche regolative
della formazione musicale professionalizzante
Introduzione
Questo capitolo ricostruisce e confronta, in maniera idealtipi-
ca1, i paradigmi regolativi che organizzano in Italia la formazione
musicale professionalizzante nel ‘vecchio ordinamento’, in auge dai
primi del Novecento, e nel ‘nuovo ordinamento’, istituito a fine
secolo dalla Riforma (l. n.508/999). La ricostruzione parte dall’a-
nalisi delle logiche che guidano l’azione e l’interazione dei prota-
gonisti del campo della formazione musicale professionalizzante
rilevate attraverso le interviste qualitative, individuali o collettive,
realizzate con docenti, studenti e attori informati e attraverso il
questionario autosomministrato ai docenti2. La finalità del costrut-
to non è valutativa ma conoscitiva, in quanto mira ad organizzare
i dati della ricerca al fine di rendere più comprensibile il fenomeno
studiato. Inoltre, come sempre nel caso degli idealtipi, si tratta di
una ricostruzione parziale, una tra le tante possibili, definita attra-
verso l’accentuazione di alcuni elementi riscontrati con regolarità
nelle rilevazioni empiriche, dove tuttavia possono emergere con
contorni sfumati o irregolarità più o meno rilevanti.
1. L’idealtipo è definito da Max Weber (1967) come un quadro concettuale, che ha il
significato di un concetto-limite ideale, a cui la realtà può essere commisurata e com-
parata, per illustrare determinati elementi significativi del suo contenuto empirico.
2. Per ulteriori dettagli sulle premesse teoriche, le scelte metodologiche e le mo-
dalità di realizzazione della ricerca si rimanda al capitolo introduttivo.
153
Come già esposto nel capitolo precedente, ciascuno dei due pa-
radigmi che organizzano il Conservatorio prima e dopo la Riforma
risponde ad una differente relazione intercorrente tra il campo del-
la formazione musicale professionalizzante e il più ampio campo
del sistema di istruzione pubblica nazionale. Prima della Riforma,
la forte marginalizzazione del primo all’interno del secondo con-
sente ai Conservatori di fruire di un ampio grado di autonomia
interna, che li rende autoreferenziali in termini di norme, pratiche,
valori e funzioni di riferimento. Dopo la Riforma, l’inserimento
dei Conservatori nel livello terziario porta ad un loro adattamento
alle regole dell’organizzazione legittimata e legittimante di tale li-
vello, ovvero l’Università.
Il capitolo si focalizza sulla ricostruzione del modello regolativo
di riferimento nei due paradigmi organizzativi, a ciascuno dei quali
dedica un paragrafo. La ricostruzione segue tre ampie fasi, particolar-
mente rilevanti, del ciclo della formazione musicale professionaliz-
zante: il reclutamento, la formazione, la professionalizzazione. Come
sintetizzato nella tabella IV.1, le logiche di interazione prevalenti in
ciascuna fase contribuiscono a delineare un modello distintivo di
regolazione. Nel caso del vecchio ordinamento, che ripropone con
alcune specificità nazionali il modello storicamente affermatosi in
Europa a fine Ottocento, la selezione degli allievi segue una logica
di tipo precoce ed elitario, la formazione fa riferimento ad una di-
dattica che riprende il modello di apprendimento specializzato della
bottega artigiana, la professionalizzazione è principalmente rivolta
alla formazione del solista virtuoso impegnato nel repertorio clas-
sico-romantico, ambito culturale all’interno del quale trovano pri-
oritariamente sbocco le carriere dei diplomati. Nel caso del nuovo
ordinamento, che segue le regole del modello universitario italiano
riformato a fine Novecento in accordo con standard europei, il mo-
mento della selezione è virtualmente aperto ad un pubblico senza
distinzioni di età, la formazione è data da un insieme di unità didat-
tiche funzionali allo sviluppo di competenze trasversali, la professio-
154
nalizzazione è intesa come aperta alla collocazione e ricollocazione
degli allievi sia in ambito musicale (attraverso la frequentazione di
diversi repertori e stili) che extra-musicale, garantita da una certifica-
zione formalmente convertibile in altri settori.
Relazione
autonoma eteronoma
col campo dell’istruzione
155
dei programmi d’esame), ma anche dal punto di vista sostanziale (e
dunque nell’adesione ai suoi simboli, rituali e routines, categorie).
156
tale nel favorire l’avvio del processo di socializzazione musicale
(Coulangeon 2004).
Nel questionario, alla domanda su cosa o chi ha fatto nascere
in loro il desiderio di avvicinarsi alla musica (fig. IV.2), la maggior
parte dei docenti indica l’ascolto della musica in famiglia (19,4%),
l’esempio di familiari che suonavano/cantavano (14,1%), come
anche il semplice possesso di uno strumento musicale in casa
(12,4%); significativa inoltre l’esperienza dell’ascolto della musica
dal vivo (12,8%). Solo nel 5% dei casi la curiosità o il fascino per
la musica nasce all’interno della scuola, a conferma di quanto già
rilevato sulla marginalità dell’insegnamento musicale nei percorsi
di istruzione standard in Italia. La scelta nasce su iniziativa dei ge-
nitori complessivamente per il 7% dei docenti: questo è più spesso
vero per le donne (tra le quali il 12% deve la sua carriera musicale
all’influenza parentale), che per gli uomini (tra i quali solo il 5%
indica tale risposta). Troveremo ulteriori conferme della più forte
legittimazione dell’apprendimento della musica classica all’interno
dell’istruzione femminile, che indica la persistenza – sebbene affie-
volita rispetto al passato - di modelli educativi differenziati secon-
do il genere, legati in particolare alla classe sociale di appartenenza.
157
L’apprendimento del canto o dello strumento (fig. IV.3) è stato
avviato da circa la metà dei docenti che hanno partecipato al que-
stionario mediante lezioni private di musica (il 47%); altri docenti
hanno iniziato da autodidatta (15,4%) o prendendo lezioni da fa-
miliari (11%), direttamente con l’iscrizione in un Conservatorio o
IMP (9,7%), entrando a far parte di una banda, di un gruppo mu-
sicale o di un coro (8,7%). Soltanto per il 2,8% dei docenti inter-
vistati la socializzazione musicale è partita all’interno della scuola.
158
professionisti: oltre che per la precocità dell’apprendimento, dalla
possibilità di avere per primi docenti i propri genitori o familiari,
dalla capacità di scegliere strumenti con sbocchi occupazionali
più immediati, dalla conoscenza di docenti competenti, dalla rete
di sostegno interna attivata a fronte di eventuali ostacoli incon-
trati nel campo musicale, dalla consapevolezza delle successive
tappe educative e professionali, dalla frequentazione di ambienti
utili all’inserimento lavorativo (Lehmann 2005). Tuttavia anche
i percorsi dei figli di musicisti professionisti non sono scontati,
né esenti da inconvenienti: spesso, ad esempio, può instaurarsi
una relazione problematica o conflittuale dell’allievo con il ge-
nitore – a fronte di caratteri poco compatibili, difficile gestione
della celebrità genitoriale, associazione della professione ad una
privazione di cure e affetto. Tali inconvenienti possono essere nel
tempo risolti o invece portare i figli ad interrompere gli studi
musicali, talvolta in maniera definitiva.
I due estratti che seguono confrontano l’esperienza di due do-
centi di ISSM ‘figlie d’arte’. Nel primo caso tutti e quattro i figli
seguono le orme del padre cantante di coro (figlio, a sua volta,
di un corista), il quale li avvia allo studio del canto e li guida
nelle scelte della professione, all’interno della quale scaleranno
la gerarchia interna, riuscendo a diventare solisti (es. IV.1). Nel
secondo caso, dei tre figli di genitori entrambi musicisti, il primo
sviluppa un rifiuto assoluto per la musica, associata alla man-
canza delle attenzioni parentali; la seconda, dopo aver avviato
con buoni risultati lo studio del pianoforte con la madre, decide
di abbandonarlo, traumatizzata dai metodi troppo invasivi della
si fonda il loro successo nel sistema di istruzione superiore. Tuttavia nel nostro
caso, come vedremo, il capitale musicale familiare ereditato dai figli d’arte ap-
pare come una rendita spendibile prevalentemente all’interno del mondo musi-
cale, ma scarsamente convertibile nel più ampio contesto sociale, come invece il
tipo di capitale culturale familiare legittimato all’interno del sistema scolastico
nazionale (e, in particolar modo, nel campo universitario).
159
genitrice e dalla difficoltà a conciliare un’indole riservata con le
richieste di un modello didattico finalizzato alla carriera concer-
tistica; solo la terza, dal carattere più estroverso, seguirà le orme
del padre violinista, il quale l’avvierà in una prima fase allo studio
dello strumento, per poi indirizzarla nella classe di un apprezzato
docente di Conservatorio (es. IV.2).
Es. IV.1 - Docente di ISSM di canto, femmina, 45 anni:
[M]io padre (…) ha cantato nel coro della Fondazione lirico-sinfonica
[X] per 40 anni, adesso è in pensione; mio nonno lo stesso, ha cantato
nel coro della Fondazione, il padre di mio padre… io ho studiato canto
proprio con mio padre; ho fatto anche vari corsi di perfezionamento,
ma diciamo che le basi me le ha date lui (…) Ho due fratelli, un tenore
ed un baritono, ed una sorella, anche lei soprano (…) il buongiorno di
mio padre erano i suoi vocalizzi…
160
anche suonare il violino al contrario, si sarebbe bruciato una mano, ma
non sarebbe mai entrato nella mia camera a dirmi: “Cosa fai?”. Mia
mamma sfondava la porta: “Cosa stai facendo?”. Era più forte di lei, lo
ammetteva lei stessa…
161
Nel terzo estratto (es. IV.5) la richiesta di studiare il pianofor-
te della figlia di due docenti (di università, il padre, di scuo-
la, la madre) parte per imitazione di un’amichetta dello stesso
quartiere ed è accolta in famiglia senza opposizioni, in quanto
rispondente a modelli legittimi per la formazione culturale di
stampo borghese, specie nel campo femminile e, infatti, già se-
guiti dalla madre. Nei casi che rientrano all’interno di questa
tipologia di famiglie, gli studi musicali sono in genere intesi in
termini educativi o ricreativi, portati avanti privatamente (più
spesso presso singoli docenti, di solito legati a repertori e meto-
di del Conservatorio, considerati come modello di riferimento,
ma per le nuove generazioni anche presso scuole di musica con
corsi pedagogicamente calibrati all’età degli allievi), mentre si
frequenta il regolare percorso liceale, dunque senza prevedere
sbocchi occupazionali. Ciò porta spesso ad una nascita tardiva
della vocazione musicale professionalizzante e talvolta, come
vedremo, ad una resistenza familiare, a fronte di una prospetti-
va di mobilità intergenerazionale discendente.
Es. IV.3 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 55 anni:
[A]vevo una nonna che suonava [il pianoforte], non professionalmente:
nella famiglia di mia nonna suonavano tutti, era un’abitudine dell’e-
poca, erano sette fratelli e ognuno faceva uno strumento diverso… il
papà le aveva comprato un grande pianoforte a coda, a mia nonna,
che abbiamo ancora, dal 1901 (…) [Era] una famiglia benestante, che
viveva in un paese [del Nord Italia] e avevano un po’ questa cultura
musicale austro-ungarica (…) il pianoforte [mio bisnonno] era andato
a comprarlo a Vienna… Quindi forse questo come stimolo [al mio stu-
dio del pianoforte], da mia nonna, ma anche da mia madre, anche lei
aveva suonato, però nessuno era professionista (…) Si ascoltava musica
classica a casa, però non c’è un vero professionista… (…) Ho comin-
ciato a studiare privatamente e ho continuato a studiare privatamente,
in realtà, io non ho fatto il Conservatorio (…) Non ho mai pensato di
fare il musicista professionista fino ai 15-16 anni: a quel punto ho fatto
l’esame da privatista. Ho fatto il liceo classico, quindi la maturità e poi
tutti gli esami [in Conservatorio].
162
Es. IV.4 - Studentessa di ISSM di canto, femmina, 25 anni:
[M]ia mamma è casalinga e mio papà medico (…) la famiglia di mam-
ma ha musicisti vari nella famiglia: il mio bisnonno era un tenore abba-
stanza importante (…) altri familiari erano organisti e compositori; poi
i nonni paterni: “il patriarca” [riferendosi ironicamente al nonno, ndr]
era molto appassionato di musica e sua moglie, biologa e professoressa
di scienze alle superiori, suonava il pianoforte, con sua sorella e altri
parenti… Io sono stata portata ai concerti dall’età di tre anni: seguivo
la musica, ballavo, ascoltavo, c’era un pianoforte a casa dei nonni…
soprattutto l’ho vissuto con mia mamma, che mi ha accompagnato in
questa formazione, a livello di passione amatoriale: mi portava a vedere
la stagione lirica, al Teatro X, ma anche altre cose, sin da piccolissima:
leggevamo i libretti, mi preparava molto…
163
Es. IV.6 - Flautista in orchestra, femmina, 35 anni:
Papà avrebbe voluto imparare [a suonare], ma non glielo hanno per-
messo: i miei nonni avevano una mentalità antica, un musicista non
serve a nessuno, quindi: “Vai a lavorare!”. Papà ha fatto anche le scuole
superiori, ma contro il volere dei genitori, che lo penalizzavano in ogni
modo: gli davano una razione minore di cibo per fargli capire che a
scuola non ci doveva andare, che il cibo se lo meritava solo se lavora-
va… Lui ha sofferto molto di questo, quindi a noi [figli] ci ha mandato
a studiare, a fare qualsiasi sport, qualsiasi attività. Noi oltre la banda
facevamo lezioni private di fisarmonica; ho fatto lezioni di pianoforte,
danza artistica, danza classica, pallavolo, nuoto….
164
Es. IV.7 - Docente di ISSM di armonia, maschio, 45 anni:
[M]ia mamma ascoltava molta musica classica, mio padre cantava e suona-
va: io ho imparato così, guardando lui suonare la chitarra, in maniera così,
da autodidatta, da ragazzino (…) all’età di sei anni ho iniziato a suonare
la chitarra d’accompagnamento, poi ho cantato in un coro, suonavo con
gli amici, insomma fino a che ho deciso di [iscrivermi]… In realtà ho ini-
ziato molto tardi, ho iniziato a vent’anni, quando ero già iscritto al primo
anno di ingegneria mi sono iscritto al Conservatorio… sostanzialmente
qualcuno mi ha detto: “Ma tu hai questo talento, perché non fai questo?”.
165
to: “Voglio provare col pianoforte” (…) Sono entrata alle medie e ho
iniziato a suonare il violino (…) dopo un anno ho deciso di entrare in
Conservatorio: l’anno scorso sono passata da violino a viola e contem-
poraneamente, per passione, suono la tuba (…) la tuba… è un amore
che ho da quando sono piccolina, da quando suonavo il pianoforte,
solo che la vedevo come una cosa un po’ difficile [da realizzare]: invece
tre anni fa ho iniziato anche io (…) sapevo che c’era una banda (…)
sono andata da loro e gli chiesto come potevo fare per iniziare: poi ho
fatto un annetto con il professore [in banda] e poi ho continuato e
quindi suono con loro, anche (…) Papà suonava anche lui da giovane
nella banda [del paese], suonava il sax, solo che poi da quando si è tra-
sferito qua [in città] ha smesso completamente: infatti poi dopo che io
ho iniziato a suonare nella banda gli ho fatto riprendere lo strumento e
ha riiniziato a suonare anche lui...
166
con la realtà della disponibilità solo di un posto da tromba nella
banda del paese (ma anche con la spesa per l’eventuale acquisto
di uno strumento più costoso). Nel terzo estratto (IV.13) le pres-
sioni subite da una studentessa di flauto da parte del maestro di
Conservatorio per farle abbandonare la banda musicale paesana,
all’interno della quale aveva avviato la sua formazione musicale,
mostrano come ancora oggi, sebbene in misura minore rispetto
al passato, il mondo classico difenda il proprio prestigio con pra-
tiche di distinzione volte a ribadire i propri confini.
Es. IV.11 - Docente di ISSM di trombone, maschio, 45 anni:
Mi piaceva moltissimo stare in banda: innanzitutto la funzione della
banda è quella sociale, di aggregazione. Considera che in quegli anni
[in un piccolo paesino del Mezzogiorno] nell’83, in quegli anni non
c’era un granché. Non è come oggi che c’è basket, c’è nuoto, c’è questo
e quell’altro. C’era la banda e basta! (…)
C.C. - C’erano anche femmine nella banda?
Si, e suonavano di tutto, maschi e femmine di tutte le età. Era una
grande cerchia di amici. Si facevano le trasferte, la banda era molto
conosciuta, faceva i servizi nei paesi, le feste paesane, anche i funerali:
si andava con le macchine private dei più grandi, oppure il pulmino:
una festa!
167
anche se sporadicamente; poi mi sentivo quasi sporca, impura, rien-
trando in Conservatorio, così ho lasciato la banda.
168
scopiazzare mio fratello (c’era la chitarra a casa) ho cominciato a
suonare la chitarra da autodidatta, a sette-otto anni e già a undici
anni suonavo in un gruppo. Poi suonavo con mio cugino: facevamo
Santo & Johnny, due chitarristi degli anni Sessanta… Da lì sono
entrato in un gruppo di musica leggera, facevamo serate – io ero
piccolo piccolo, avevo undici-dodici anni, suonavo chitarra, basso
e qualche pezzo cantavo – gli altri erano ragazzi che lavoravano, chi
muratore, noi eravamo talentini… Scopiazzavamo dai dischi: mette-
vamo il 33 giri a 16 giri, quindi era molto più lento e potevi captare
tutto quello che era il fraseggio musicale: allora noi scopiazzavamo e
facevamo pari-pari quello che facevano, le linee di basso… Arrivato
ai tredici anni, finisco la scuola media (…) Allora lì, mi piaceva tanto
[suonare nei gruppi] e hanno detto [in famiglia]: “Iscriviamolo al
Conservatorio!”.
169
Es. IV.18 - Studente di ISSM di percussioni jazz, maschio, 25 anni:
[H]o iniziato a suonare quando avevo più o meno sette anni e sono
impazzito a casa mia e ho cominciato a suonare qualunque cosa [facesse
rumore] (…) Mia sorella più grande suonava il corno in banda (…) sai,
in banda succede spesso che quando manca uno strumento ti mettano a
suonare quello (…) quindi da lì ho cominciato a suonare le percussioni
in banda e tuttora ci suono; da là ho iniziato a suonare la batteria per
progetti di ragazzi punk, ska, rock, funky… boh: di tutto, qualsiasi
cosa… All’età delle superiori mi sono iscritto al Conservatorio…
170
Es. IV.21- Studente di ISSM di canto, maschio, 30 anni:
[Ai miei] la musica piace: hanno sempre ascoltato musica leggera e an-
che musica lirica, magari più il repertorio nazional-popolare, napoletano,
così… Per quanto mi riguarda, io ho un flash: Caracalla 1990, il con-
certo dei Tre Tenori [Pavarotti, Domingo, Carreras, ndr]; è da lì che a
me piace, è scattata questa scintilla per la lirica… Perché grazie a queste
capacità che avevo nell’imitare le voci - io facevo tutte le voci: Andreotti,
così… - quindi grazie a queste capacità che avevo, riuscivo un pochino
ad impostare [la voce] e la cosa faceva un pochino ridere tutti, ecco, da
bambini… E poi soprattutto Pavarotti, ho un amore viscerale per quella
voce; poi aveva, non lo so, era come uno zio - mi vengono anche le lacri-
me agli occhi se ci penso: quando è morto, a casa abbiamo pianto tutti…
171
hanno fatto sentire, sin da quando ero nella culla (…) Quindi scalpitavo
già dai cinque anni perché volevo suonare il piano: [i miei] mi hanno
assecondato e ho iniziato a prendere qualche lezione privata; poi ho ini-
ziato le elementari ed ho avuto una grande fortuna: negli anni Ottanta
c’era questa cosa - all’epoca una rivoluzione - della musica e dell’inglese
facoltativi. Lì ho avuto il primo approccio con il flauto dolce con un’inse-
gnante che, cosa che ho scoperto dopo, era diplomata in flauto traverso;
e c’è stato l’innamoramento totale, lei portava anche il flauto [traverso]…
172
Es. IV.26 - Studente di ISSM di canto, maschio, 30 anni:
Non ho musicisti nella mia famiglia, però ho sempre fatto musica da
che ho memoria, sempre avuto la passione del canto: ho cominciato ad
esibirmi a quattordici anni - prima ho sempre canticchiato per i cavoli
miei - per caso, ad un concerto di un gruppo punk (…); sono entrato
a far parte di un gruppo di ragazzi che ascoltavo, facevamo roba nostra,
grunge, etc. Da lì ho iniziato a studiare privatamente canto, perché
volevo fare meglio, poi volevo andare più in alto con la voce. Un giorno
ho conosciuto un insegnante che dopo qualche anno di insegnamento
mi ha chiesto se volessi partecipare ad un’opera organizzata con i suoi
allievi di canto classico - con me faceva canto jazz -. Io gli ho chiesto:
“Un’opera, cos’è un’opera?!?”. Avevo ventidue anni, era il Flauto Magico
di Mozart, mi ha chiesto di fare uno dei due alfieri; mi sono divertito,
gli ho detto: “Se ne fai un’altra chiamami!” perché, figo, un’esperienza
nuova. Due anni dopo abbiamo fatto Le nozze di Figaro, sempre di Mo-
zart, in cui ho avuto un ruolo intero. Per una serie di sfortunati eventi
mi sono trovato ad essere lasciato la sera della prima dalla mia ragazza
ed ho deciso che era talmente figo stare in palcoscenico, sentire un filtro
tra i problemi di fuori e il personaggio, che ho detto: “Beh, questa cosa
è molto bella e credo possa essere un ottimo veicolo per concentrare
tante cose nella vita”; e ho deciso di farlo per sempre! Così dopo qual-
che anno sono entrato qui dentro [in Conservatorio]….
173
all’apprendimento musicale; solo una percentuale meno signifi-
cativa dichiara di essersi iscritto seguendo quei criteri (decisione
dei genitori; vicinanza con luogo di residenza; replica scelte fra-
telli o amici) che più spesso guidano la scelta della scuola secon-
daria ‘standard’, cui corrispondeva l’età di ingresso in CM/IMP
prima della Riforma. L’analisi di genere evidenzia come la mo-
tivazione autonoma nella scelta formativa sia più forte nel caso
dei docenti maschi, dei quali il 57% dichiara di essersi iscritto in
CM/IMP seguendo un proprio desiderio, a fronte del 48% delle
colleghe, le quali più spesso hanno subito l’influenza della scelta
genitoriale (il 16%, contro il 9% dei colleghi maschi).
174
Fino alla Riforma del 1999, l’offerta didattica dei Conservatori
è incentrata su un ordinamento (oggi detto ‘vecchio ordinamento’)
definito tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento,
quando la formazione musicale professionalizzante era pensata come
un segmento di nicchia del sistema di istruzione. Nel corso del seco-
lo, come abbiamo visto nel cap. I, le dimensioni del campo gradual-
mente aumentano, a seguito di una proliferazione degli Istituti che
consente una partecipazione di massa di studenti prevalentemente
mossi da una domanda per una formazione di tipo culturale o ri-
creativo, che non trova risposte nell’offerta pubblica di istruzione.
Se ancora a metà anni Quaranta i venticinque Conservatori presenti
nel territorio ospitano una popolazione fatta di circa 3000 studenti e
700 docenti, quarant’anni dopo una settantina di istituti raccolgono
circa 34.000 studenti e oltre 5000 docenti. A questo significativo
mutamento quantitativo del campo e qualitativo della domanda di
formazione musicale non segue, tuttavia, un mutamento organizza-
tivo dei Conservatori, dove la concezione elitaria della formazione
musicale professionalizzante continua a regolare la vita degli istituti
non soltanto dal punto di vista formale (ovvero nell’applicazione dei
regolamenti e dei programmi d’esame), ma anche dal punto di vi-
sta sostanziale (e dunque nell’adesione a simboli, rituali e routines).
Un primo esempio della resilienza di tale modello è dato dalla
rigidità dell’offerta formativa del vecchio ordinamento, incentra-
to su corsi principali (o ‘scuole’), identificati in riferimento alle
principali tradizioni produttive della musica colta occidentale,
legate alla chiesa, al teatro, alle milizie: composizione, canto,
organo, pianoforte, arpa, violino, viola, violoncello, contrabbas-
so, flauto, oboe, clarinetto, fagotto, corno, tromba e trombone,
strumentazione per banda. Tale articolazione costituirà fino alla
Riforma la salda ossatura dell’offerta didattica dei Conservato-
ri, parzialmente integrata con l’attivazione di ‘corsi straordinari’,
trasformati in ‘ordinari’ solo a distanza di decenni4.
175
Tra le classi per le quali vi è maggiore richiesta e maggiore offer-
ta vi sono, nel vecchio ordinamento, quelle di pianoforte e violino,
strumenti associati a repertori solistici altamente valorizzati nel ca-
none classico. La competizione tra le famiglie degli allievi si gioca
inoltre nell’assegnazione del docente (‘il maestro’), che come vedre-
mo gioca un ruolo centrale nel determinare la qualità e il successo
degli studi degli allievi. L’assegnazione degli studenti che superano
la selezione ai singoli docenti è formalmente una decisione interna
alla commissione selezionatrice, ma sembra tacitamente rispetta-
re alcune precedenze accordate sulla base delle preferenze espresse
dai docenti stessi. L’ingresso nelle classi prescelte e dei docenti più
affermati appare facilitato, all’interno di un contesto professionale
dal carattere familistico e di un’organizzazione scolastica di tipo
comunitario, nel caso di figli di colleghi musicisti. Un altro criterio
è quello del riconoscimento del candidato come un allievo esterno
già ‘verificato’ dal docente prescelto. Una delle strategie adottate
dagli allievi e dalle loro famiglie per entrare nella classe del docen-
te prescelto è quella di far precedere all’esame di ammissione un
periodo di lezioni private di strumento o canto, se non presso lo
stesso docente, con allievi che appartengono alla sua scuola o alla
sua rete professionale. In altri casi la preparazione preliminare può
specificamente concentrarsi sul superamento delle prove attitudi-
nali di ammissione5, al fine acquisire un punteggio che consenta di
posizionarsi ai primi posti delle graduatorie, garantendo l’accesso
al corso prescelto. In entrambi i casi tali strategie sembrano offri-
re migliori risultati se realizzate con un docente interno alla rete
sacra, musica vocale da camera, basso tuba, fisarmonica, flauto dolce, jazz, liuto,
mandolino, musica elettronica, prepolifonia, viola da gamba, didattica della
musica (Maione 2005: 11).
5. In genere gli esami di ammissione per il vecchio ordinamento prevedevano un
colloquio volto a verificare le attitudini del candidato dal punto di vista della predi-
sposizione fisica, motivazionale e musicale (quest’ultima verificata applicando il test
di Bentley, che prevede batterie di item volti a misurare la capacità di percezione e
discriminazione delle altezze, di memoria tonale e di memoria ritmica).
176
del Conservatorio presso il quale si fa domanda e, al contrario,
rischiano di essere controproducenti se realizzate con docenti non
legittimati all’interno del Conservatorio, o non appartenenti alla
stessa scuola o rete del docente prescelto (per questioni legate alle
peculiarità didattiche, ma anche caratteriali, dei docenti).
Come si evince dagli estratti riportati di seguito (es. IV.27-
31), il terzo dei quali è tratto dal libro autobiografico del trom-
bettista Paolo Fresu, neppure la preparazione preliminare – rea-
lizzata attraverso le lezioni private o l’esperienza con la banda – e
la conoscenza di docenti interni alla rete del Conservatorio ga-
rantiscono sempre le chance di ingresso o permanenza nella Scuo-
la; tuttavia offrono risorse informative e sociali che consentono
di adottare strategie alternative per il reinserimento nei percorsi
della formazione musicale professionalizzante in Conservatorio6.
Es. IV.27 - Pianista, femmina, 35 anni:
[L]a mia insegnante con cui avevo fatto lezioni private mi portò dalla
sua insegnante del Conservatorio, perché nella sua classe si era liberato
un posto ed aveva molte richieste per entrare nella sua classe. Per circa
tre-quattro mesi ho fatto delle lezioni con [lei]; già inizialmente mi dis-
se che stava facendo contemporaneamente lezioni a più bambine e ad
agosto, prima dell’iscrizione al Conservatorio, avrebbe scelto chi pren-
dere tra di noi. Con [mia] grandissima gioia mi disse che aveva scelto
me e ho fatto l’esame di ammissione con già l’indicazione, l’indirizzo
che sarei entrata nella sua classe.
177
iscrisse mia sorella [pianista], si iscrisse l’altra mia sorella che abbandonò,
mi iscrissi io, si iscrisse mio fratello che abbandonò (…) A nove anni
suonavo la chitarra (…) mi piaceva avere uno strumento e strimpellare,
poi avendo una sorella che studiava pianoforte, come arrivò il pianoforte
a casa subito a mettere le mani sul pianoforte: mi piacevano gli accordi,
componevo canzoni all’epoca (…) [I]o mi iscrivo in violino. Lo volevo
con tutto il cuore: quando mi accettarono piansi per la commozione…
[Successivamente] c’era il mio maestro che mi diceva: “Guarda, tu hai
una mano molto grande per cui io ti consiglio la viola” (…) Passai alla
viola, mi innamorai della viola: ma io sono stato sempre innamorato in-
condizionatamente della musica, per cui ho fatto composizione, percus-
sioni, direzione d’orchestra, ho fatto tutto quello che ho potuto fare…
Ho composto, ho diretto, attualmente organizzo festival, concerti (…)
per cui è una passione che io ho sempre avuto e mi ha accompagnato
nell’unica strada che potevo percorrere, cioè la musica.
178
medie mi hanno praticamente buttato fuori con [la motivazione]: “Si
sconsigliano gli studi musicali” (…) Mio padre [musicista], che era
convinto del mio talento, mi ha riscritta in Conservatorio scegliendo
lui insegnante e strumento: e infatti in poco tempo poi mi sono diplo-
mata in flauto…
179
bambino [lo preferisca] (…) Ho [in classe] un bambino di otto anni, ma
è figlio d’arte, ha passione per lo strumento, è bravino, ha sei contrabbassi
a casa, ha sempre sentito il babbo suonare…
180
le, talvolta ‘innamorandosi’ dello strumento ‘adottato’. In questi
casi, come già osservato per i partecipanti al questionario, tale
evento è retrospettivamente considerato come ininfluente nella
propria carriera di musicista e, talvolta, una vera e propria fortu-
na, rispetto a percorsi alternativi; viceversa, tra i musicisti inter-
vistati che hanno ottenuto di iscriversi per lo strumento prescel-
to, se ne trova qualcuno che rimpiange di non aver avuto a suo
tempo le conoscenze necessarie per prendere una decisione più
consapevole o più coerente con il profilo professionale desidera-
to. In particolare, è la scelta del pianoforte, indubbiamente la più
diffusa e legittimata, ad essere rivalutata a fronte della scoperta di
strumenti che pongono meno restrizioni al percorso formativo e
professionale (date, ad esempio, dal non potersi portare appresso
lo strumento o da un tipo di studio solitario prevalentemente
orientato alla formazione del virtuoso solista) (estratti IV. 36-37).
Es. IV.36 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 55 anni:
[I]n famiglia mi avevano consigliato di fare il pianoforte e nonostan-
te all’esame di ammissione avessi trovato qualcuno che mi disse: “Ma
perché vuoi studiare pianoforte? Perché non fai violoncello, che hai le
mani giuste?”, perché io da ragazzino avevo le mani praticamente come
ce le ho adesso, erano grandissime…quindi c’era maestro [X] che mi
disse: “Ma tu dovresti studiare violoncello!” e io l’ho guardato come
per dire: “Noo, figurati…” (…) Non conoscevo assolutamente il vio-
loncello, non avevo idea (…) Però, a distanza di anni, se avessi saputo,
probabilmente avrei scelto violoncello, che mi avrebbe dato sicuramen-
te più possibilità [lavorative], anche per quello che mi sarebbe piaciuto
fare, cioè andare fuori (…) e fare più la vita da musicista girovago, mi
sarebbe piaciuto molto…
181
piacevano proprio quegli strumenti che ti permettono di suonare insieme
agli altri… Molto pesante: ho il ricordo di queste giornate solitarie passate
con lo strumento, giornate estive passate da sola con lo strumento invece
di andare al mare…
182
strumenti a corda (che consentono un portamento più elegante e
composto e un contatto più mediato con lo strumento) e la sfera
della materialità agli strumenti a fiato (la cui meccanica è legata
agli sviluppi dell’età industriale e che richiedono un contatto più
diretto col corpo e un’alterazione più evidente del viso) (Lehmann
2005: 44-45).
Nel primo estratto riportato di seguito (es. IV. 38), l’intervista-
to riconduce le gerarchie strumentali vissute nella sua formazione
in Conservatorio ad una più generale senso di superiorità degli
allievi di provenienza cittadina, di solito iscritti nei corsi degli stru-
menti ‘nobili’, ribadito attraverso meccanismi di esclusione socia-
le esercitati nei confronti degli allievi di origine paesana, associati
agli strumenti ‘agricoli’; tale ordine di prestigio, tuttavia, subisce
un ribaltamento negli ultimi anni di Conservatorio nelle classi di
esercitazioni orchestrali, quando le minori capacità di suonare in-
sieme degli archi, in genere avviati agli studi attraverso il repertorio
solistico, si confrontano con la maggiore esperienza dei fiati, lega-
ta al precedente apprendistato nella banda7. Nel secondo estratto
(es. IV.39), un flautista di origini sociali nella borghesia medio-alta
ricorda lo stupore familiare alla sua scelta di uno strumento non
previsto nella rosa degli strumenti legittimati nella pratica fami-
liare (come il pianoforte o il violino). Nel terzo estratto (es. IV.40)
lo stereotipo negativo degli ‘strumenti agricoli’, associato ai fiati,
è invece esteso al contrabbasso, strumento ad arco, sulla base di
un criterio di prestigio legato al repertorio, che esalta la figura del
solista virtuoso e svaluta gli strumenti da accompagnamento (“da
emarginati”) (Lehmann 2005: 48); lo stesso principio consente ai
flauti – ai quali, specie in orchestra, sono spesso affidate parti soli-
stiche - di distinguersi come “i violinisti dei fiati”(es. IV.41)8.
183
Es. IV.38 - Docente di ISSM di tromba jazz, maschio, 40 anni:
R - Nella tua esperienza in Conservatorio, c’erano gerarchie tra gli stru-
menti?
Altroché! Ma poi c’era molto apartheid, non solo tra i violinisti e i
fiatisti, ma soprattutto - ma le cose andavano di pari passo - tra i [cit-
tadini] e chi veniva da fuori. Però fisiologicamente i fiatisti di solito
arrivavano dai paesi e gli altri erano cittadini e c’era molto, molto,
questa cosa qua. Facevano cricca tra loro e noi eravamo all’apartheid,
quasi (…) [L]’apartheid si concentrava soprattutto nei primi anni.
Quando arrivavano gli anni in cui dovevi fare esercitazioni orchestra-
li, per noi [fiatisti] era la rivalsa, perché il direttore si incazzava con
gli archi, perché non erano in grado di fare due note a tempo, mentre
noi ci sguazzavamo, perché, suonando nelle bande, eravamo abituati
a farlo da una vita…
184
Es. IV.41 - Flautista diplomata in Italia residente all’estero, femmi-
na, 40 anni:
In Italia ho sempre avuto questo fortissimo ‘complesso dei fiati’; anzi
noi flauti eravamo fortunati, perché eravamo ‘i violinisti dei fiati’, però
si sentiva molto… Venivano prima i pianisti, poi gli archi, i cantanti
che erano un po’ un mondo a parte, e poi i fiati, che eravamo quel-
li di banda… Invece qua [in Germania] no: questa gerarchia si sente
solo in piccola parte, i pianisti restano un mondo a parte, ma a loro e
all’arpa è richiesto di fare - una cosa che ritengo fantastica - un esame
complementare obbligatorio di musica da camera; quindi ciò li porta a
mettersi subito a diposizione degli altri musicisti…
10. Così il musicologo Mario Giulio Fara commenta i programmi del vecchio ordi-
namento appena approvati: «Imporre al cantante un corso ampio e pesante di storia
della musica e un altro ancora più pesante di armonia, è, quantomeno, poco pratico
(…) tutti lo sappiamo, gli alunni di canto sogliono provenire dal ceto operaio, han-
no poca dimestichezza con i libri e incominciano, per ragioni fisiologiche, lo studio
quanto sono già arrivati a una certa età» (riportato in Roselli 2015: 30).
185
La diversa collocazione nella gerarchia sociale e culturale del
Conservatorio – inteso come microcosmo del più ampio ambito
del campo professionale della musica classica – è rimarcata anche
con ulteriori meccanismi, più o meno espliciti. Ad esempio, nel
carico di studio inferiore assegnato agli allievi dei corsi di strumen-
to a fiato, di contrabbasso e ai cantanti dai programmi del 1930,
in termini di anni previsti per il corso o di materie complementa-
ri musicali e cultura generale, rispetto ai colleghi delle classi degli
‘strumenti nobili’ (Lazotti et al. 2003: 57, 64; Maione 2005: 53-
54); o invece nell’assegnazione, sempre ai primi, delle aule di stu-
dio più periferiche e delle attrezzature più scadenti (estratto IV.43).
Es. IV.43 - Trombettista jazz, maschio, 55 anni:
[L]a stanza dove facevamo lezione di tromba era una delle più brutte.
Non solo era praticamente sottoterra, ma era illuminata con un’orrenda
luce al neon e ospitava un pianoforte perennemente scordato. Credo ci
avessero relegato lì perché facevamo tanto chiasso che era bene separaci
dagli altri, cioè dalle classi degli strumenti più nobili. [Fresu 2009: 45]
186
Es. IV.44 - Docente di ISSM di percussioni jazz, maschio, 55 anni:
A quell’epoca per le percussioni era diverso, bisognava accederci dal
compimento di un altro strumento (…) [Solo] nell’88 è diventato un
corso stabile, capisci? (…) Si, perché era considerato uno strumento
inferiore (…) Allora non c’era jazz, non potevo entrare in percussio-
ni, volevo studiare trombone, ma non c’erano posti e allora mi hanno
dirottato in contrabbasso. Ho iniziato a fare il contrabbasso, poi ho
iniziato come auditore la scuola di percussioni….
187
il ‘suo’ strumento - o, nelle sue parole, ad essere cercata da lui -
nonostante la scarsa popolarità dello strumento tra i coetanei e
le perplessità materne rispetto al suo carattere troppo maschile,
dopo averne scartato altri più legittimati per l’istruzione femmi-
nile (flauto, chitarra, pianoforte).
Es. IV.45 - Studentessa di ISSM di contrabbasso, femmina, 20 anni:
[I]o mi sono fatta l’idea che è lo strumento che ti cerca. Perché ho pro-
vato il flauto, la chitarra, un po’ il piano, ma non mi ritrovavo… poi
ho deciso di provare il basso [elettrico], sai nel periodo adolescenziale,
proprio agli inizi, che senti musica un po’ diversa, i gruppi… allora ho
detto: “Voglio provare il basso!”, perché mi attirava di più rispetto alla
chitarra…
C.C. – Cos’è che ti attirava?
Il tipo di suono, molto caldo, molto diverso rispetto alla chitarra, più
tranquillo, poi anche il fatto che era fondamentale [nel gruppo], non lo
senti ma è fondamentale (…) Quindi ho deciso proviamo, prendiamo il
basso… ho fatto un anno col basso, poi mi sono iscritta in Conservatorio
ed è più o meno la strada che prendono tutti: in particolare i ragazzi che
si iscrivono verso i sedici [anni] in contrabbasso, ci arrivano dal basso
elettrico, perché altrimenti non è uno strumento che dici: “Oh, mio Dio,
voglio fare quello nella vita!”, perché magari uno pensa più al violino, al
pianoforte, il contrabbasso resta sempre più nascosto (…)
C.C. – Quando hai annunciato ai tuoi amici e amiche che ti iscrivevi in
Conservatorio e per la classe di contrabbasso, che reazioni ci sono state?
Innanzitutto, molti chiedono: “Aspetta, qual è il contrabbasso?”. Allora
lì: “Violino gigante” funziona sempre come risposta [ridendo, ndr]…
L’unica più titubante era mia mamma, che diceva: “Eh, ma è uno stru-
mento da maschio!”. Lei voleva che suonassi il violoncello, cose più
femminili, però in realtà per me non esiste, nel senso, se ti piace quel-
lo…
188
del questionario docenti di ISSM. A livello complessivo, i dati
offrono un quadro variegato nella distribuzione delle categorie
professionali e dei titoli di studio dei genitori dei docenti, com-
patibile con meccanismi meritocratici di selezione formativa e
professionale. L’ultima colonna a destra della tab. IV.2 riporta la
distribuzione delle attività lavorative esercitate dai padri, che tra
i genitori dei docenti presentano il livello occupazionale più alto,
all’interno delle varie categorie professionali proposte dal que-
stionario12: nel 21% dei casi l’attività paterna rientra all’interno
di professioni esecutive nel lavoro d’ufficio; nel 20% nelle profes-
sioni intellettuali, scientifiche e ad alta specializzazione; nel 14%
in attività specializzate nei settori dell’artigianato, dell’agricoltura
e dell’industria; nel 9% all’interno dell’imprenditoria, dell’alta
dirigenza, dei legislatori; nell’8% in attività specializzate nel com-
mercio e nei servizi. Per quanto riguarda il caso dei figli d’arte,
la loro presenza – presumibilmente ridotta rispetto al passato,
quando la formazione musicale professionalizzante era settore di
nicchia - si mostra ancora rilevante (Coulangeon 2004, Lehmann
2005): il 6% dei docenti di ISSM proviene da una famiglia in cui
la professione musicale era esercitata dal padre e il 5% in cui era
esercitata dalla madre13.
Al fine di verificare la relazione percorsi formativi e profes-
sionali, da un lato, e provenienza familiare, dall’altro, i docen-
ti sono stati raggruppati in sei ampie categorie, a seconda delle
caratteristiche della loro specializzazione disciplinare. La prima
categoria (A) raggruppa i docenti dei corsi di Canto nel vecchio
ordinamento; la seconda (B) i docenti di Strumenti a corda e a
tastiera, che nel vecchio ordinamento detengono una posizione
189
di dominio; la terza categoria (C) i docenti dei corsi di Strumenti
a fiato e percussioni, che nel vecchio ordinamento hanno una
posizione subalterna; la quarta categoria (D) i docenti di Com-
posizione e Direzione, con percorsi spesso comuni alla categoria
B, proseguiti con successiva specializzazione musicale; la quinta
categoria (E) i docenti di Jazz e Nuove tecnologie, istituiti in via
ordinamentale dopo la Riforma, i cui percorsi formativi hanno
carattere più informale, successivo o parallelo alla formazione
del Conservatorio del vecchio ordinamento, ma non sono pie-
namente legittimati al suo interno; la sesta ed ultima categoria
(F) raggruppa infine i docenti di discipline musicologiche, che
seguono spesso percorsi formativi più integrati nei curricula stan-
dard, che in genere includono la laurea e talvolta – specie nelle
generazioni meno anziane - una specializzazione post-lauream14.
Se si considera dunque la distribuzione per specializzazione di-
sciplinare dei docenti, come riportata nelle rispettive colonne della
tabella IV.2, notiamo come nel caso dei docenti di materie musi-
cologiche (F) le attività paterne rientrino per il 37% all’interno di
categorie professionali medio-alte; tale percentuale scende al 30%
per i padri dei docenti di tipo B e D, ovvero della tradizionale
nobilità culturale del vecchio ordinamento, tra i quali è superiore
la percentuale di figli d’arte (con oltre il 7% dei padri e il 5% delle
nomica dei docenti intervistati, vista l’appartenenza della maggior parte di loro
a generazioni nate prima del Sessantotto, quando la partecipazione delle donne
adulte nel mercato del lavoro era ancora piuttosto bassa (Coulangeon 2013: 6),
mentre ampiamente legittimata era la condizione sociale di casalinga (all’inter-
no della quale si concentra il 44% delle madri degli intervistati).
14. Per quanto motivata dalle argomentazioni esposte, la categorizzazione pre-
senta dei limiti: alcune specializzazioni sarebbero infatti potute rientrare in più
di una categoria; inoltre le categorie presentano al proprio interno ulteriori dif-
ferenziazioni, spesso significative. Per quanto riguarda la popolazione totale di
riferimento delle diverse categorie, risulta impossibile ricostruirla in maniera
attendibile, visto che i soli dati sui docenti per classe concorsuale offerti dal
MIUR riguardano i docenti di ruolo (categoria nella quale, ad esempio, non
rientra la gran parte dei docenti di nuove materie).
190
madri che esercitavano la professione musicale). La percentuale di
padri che esercitano attività specializzate nei settori dell’artigiana-
to, dell’agricoltura e dell’industria è invece più alta per i docenti di
strumenti a fiato classici (22%) e delle nuove discipline (21%), così
come la percentuale di operai (11% per i primi, 5% per i secondi) e
di lavoratori non qualificati (6% e 4%). Per la categoria dei docenti
di canto, che avviano la formazione professionalizzante successi-
vamente rispetto ai colleghi di strumento (al formarsi della voce),
le professioni paterne si distribuiscono in maniera più equilibrata
nelle diverse categorie professionali15, mentre risulta rilevante la
presenza di genitori musicisti (il 4% dei padri e l’8% delle madri).
Tab. IV.2 - Professione paterna per specializzazione disciplinare docente
(valori percentuali)
A B C D E F Tot.
imprenditori, alta dirigenza,
9,6 11,3 0,9 8,8 7,6 13,5 9,5
legislatori
professioni intellettuali
11,5 20,5 12,1 21,8 17,4 23,8 19,5
e scientifiche
professioni tecniche 13,5 5,5 7,8 6,9 9,8 3,2 6,6
professioni esecutive
21,2 22,8 12,9 18,5 18,5 24,6 20,6
nel lavoro d’ufficio
attività commercio e servizi 9,6 8,3 11,2 8,8 3,3 8,7 8,4
artigianato, agricoltura,
15,4 11,3 22,4 16,7 20,7 9,5 14,5
industria
operai, conducenti veicoli 3,8 3,5 11,2 4,2 5,4 3,2 4,6
15. La distribuzione più equilibrata delle professioni dei padri dei docenti di
canto, rispetto a quella delle altre categorie di docenti, potrebbe essere interpre-
tata alla luce del fatto che i percorsi formativi per i cantanti non sono altrettanto
precoci quanto quelli degli strumentisti (poiché devono attendere che la voce
sia formata) e quindi sono avviati quando già altre scelte formative sono state
fatte. Vi è poi il fatto che nella definizione della vocazione dei cantanti - specie
nella tradizione belcantista italiana - l’attenzione è maggiormente incentrata sul
‘talento naturale’ (avere una ‘bella voce’). La scelta formativa in età più adulta e
legata a fattori individuali potrebbe spiegare la minore rilevanza della condizio-
ne socio-economica familiare nel promuovere tale specializzazione formativa.
191
professioni non qualificate 1,9 1,8 6,0 2,3 4,3 0,0 2,4
forze armate 5,8 5,3 5,2 2,8 1,1 7,9 4,7
professioni musicali 3,8 7,4 4,3 7,4 5,4 2,4 6,1
disoccupato 1,9 0,2 1,7 0,5 1,1 0,0 0,6
Altro 1,9 2,1 4,3 1,4 5,4 3,2 2,6
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
192
titolo di studio. Titoli di studio prevalentemente medio-bassi
(il 54% dei padri e 60% delle madri) anche nella categoria dei
docenti di discipline non rientranti nel canone classico (come
jazz e nuove tecnologie).
Il quadro dell’analisi suggerisce dunque come non vi sia piena
convertibilità tra il capitale culturale legittimo, di cui beneficia-
no i docenti provenienti da famiglie con titoli di studio più alti,
e il ‘capitale musicale familiare’, come ereditato dai figli d’arte.
È quest’ultimo tipo di capitale culturale a mostrarsi come mag-
giormente redditizio all’interno del campo musicale; tuttavia tale
vantaggio non si converte pienamente all’interno del più ampio
campo sociale, come invece il tipo di capitale culturale familiare
legittimato all’interno del sistema scolastico nazionale e, in par-
ticolar modo, nel campo universitario. Il figlio del musicista è
indubbiamente avvantaggiato rispetto al figlio di genitori laureati
nel percorso formativo e professionale che porta a diventare un
musicista; tuttavia il vantaggio del primo si esaurisce prevalente-
mente all’interno della sfera musicale, mentre il valore del capi-
tale culturale legittimo ereditato dal secondo si estende alle altre
sfere del sociale.
Tab. IV.3 - Titolo di studio del padre, per specializzazione musicale do-
cente (valori percentuali)
A B C D E F Tot.
193
Tab. IV.4 - Titolo di studio della madre, per specializzazione musicale
docente (valori percentuali)
A B C D E F Tot.
terziario 11,5 18,4 12,1 13,4 13,0 16,7 15,6
secondario superiore 28,8 31,3 20,7 36,1 23,9 39,7 31,4
secondario inferiore 23,1 20,5 21,6 23,6 22,8 23,8 22,0
primario/nessuno 30,8 24,0 44,8 24,1 37,0 15,1 26,7
AFAM 5,8 5,8 0,9 2,8 3,3 4,8 4,2
Tab. IV.5 – Titolo di studio del padre, per sesso docente (valori percentuali)
F M MF
terziario 29,2 26,0 26,9
secondario superiore 40,7 28,7 32,1
secondario inferiore 12,5 20,4 18,1
primario/nessuno 13,2 19,8 18,0
AFAM 4,4 5,0 4,8
Pop. riferimento 295 741 1.036
Tab. IV.6 – Titolo di studio della madre, per sesso docente (valori per-
centuali)
F M MF
terziario 18,6 14,6 15,7
secondario superiore 35,3 30,1 31,6
secondario inferiore 22,0 22,1 22,1
primario/nessuno 18,0 30,4 26,8
AFAM 6,1 2,8 3,8
Pop. riferimento 295 741 1.036
194
Consideriamo infine la relazione esistente tra origine socio-e-
conomica e culturale e genere dei docenti di ISSM. Osservando
la tabella IV.7 notiamo come le docenti donne provengano più
spesso da famiglie associate a categorie professionali medio-al-
te rispetto ai colleghi maschi: i padri delle prime rientrano per
il 13% nella categoria dei grandi imprenditori, alta dirigenza,
legislatori, per il 21% in quella delle professioni intellettuali e
scientifiche ad alta specializzazione; i padri dei secondi raggiun-
gono, rispettivamente, l’8% e il 19% per le categorie citate; il
28% delle madri delle prime svolgevano professioni intellettuali
e scientifiche, il 12% professioni esecutive nel lavoro d’ufficio,
contro, rispettivamente, il 21% e l’8% delle madri dei secondi. Si
rileva inoltre come la trasmissione intergenerazionale della pro-
fessione musicale, sebbene di poco, sembri più spesso procedere
per omologia di genere: tra i docenti maschi, il 6,3% ha il padre
che esercitava una professione musicale e il 4,5% la madre; tra le
docenti femmine i rapporti si invertono: 5,8% dei padri e 6,4%
delle madri esercitavano una professione in ambito musicale16.
Simili considerazioni emergono considerando l’incrocio tra i
titoli di studio familiari e il genere del docente. Nella tabella IV.8
notiamo come le docenti donne provengano più spesso, rispetto
ai colleghi uomini, da famiglie i cui i genitori detengono titoli di
studio medio-alti (diploma di scuola superiore o laurea): ciò è va-
lido per il 70% dei padri e il 54% delle madri delle prime, rispetto
al 55% dei padri e al 45% delle madri dei secondi. Tali evidenze
possono essere interpretate alla luce della persistente influenza, seb-
bene in misura minore rispetto al passato, della tradizione culturale
occidentale che vede una maggiore legittimazione della formazione
musicale per le figlie femmine, rispetto ai figli maschi, all’interno
del processo di costruzione del capitale culturale familiare delle
classi medio-alte, limitandola alle pratiche musicali ritenute più
compatibili con la riproduzione di tale status sociale.
16. A sostegno del fatto che la trasmissione culturale è un fenomeno fortemente
195
Tab. IV.7 – Professione del padre e della madre, complessiva e per sesso
docente (valori percentuali)
PADRE MADRE
F M MF F M MF
imprenditori, alta dirigenza, legislatori 12,5 7,7 9,1 1,0 0,1 0,4
professioni intellettuali e scientifiche 20,7 18,6 19,2 27,5 20,6 22,6
professioni tecniche 5,4 6,9 6,5 2,0 2,2 2,1
professioni esecutive nel lavoro d’ufficio 21,4 20,1 20,5 12,2 8,2 9,4
attività commercio e servizi 7,8 7,4 7,5 4,4 5,5 5,2
artigianato, agricoltura, industria 11,2 15,5 14,3 3,1 5,8 5,0
operai, conducenti veicoli 3,7 4,7 4,4 0,0 0,3 0,2
professioni non qualificate 2,0 2,6 2,4 0,3 3,5 2,6
forze armate 6,4 4,0 4,7 0,3 0,0 0,1
professioni musicali 5,8 6,3 6,2 6,4 4,5 5,0
disoccupato/cassintegrato 0,0 0,3 0,2 40,3 45,1 43,7
altro 3,1 5,8 5,1 2,4 4,2 3,7
totale 100,0 100,0 100,0 100 100 100
Tab. IV.8 – Titolo di studio del padre e della madre, per sesso docente
(valori percentuali)
PADRE MADRE
F M MF F M MF
terziario 29,2 26,0 26,9 18,6 14,6 15,7
secondario superiore 40,7 28,7 32,1 35,3 30,1 31,6
secondario inferiore 12,5 20,4 18,1 22,0 22,1 22,1
primario/nessuno 13,2 19,8 18,0 18,0 30,4 26,8
AFAM 4,4 5,0 4,8 6,1 2,8 3,8
totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
legato alla variabile di genere e della rilevanza delle madri in tale processo vedi
Mohr e DiMaggio (1995).
196
1.2 La formazione: il modello della bottega artigiana
1.2.1 L’incorporazione dello strumento
attraverso lo studio tecnico
Nel modello di Conservatorio organizzato secondo il vecchio
ordinamento, tra le prime pratiche da acquisire per strumentisti
e cantanti vi è l’adesione ad un’etica del lavoro quotidiano, in-
teso come disciplina di studio regolare dello strumento o voce,
che, attraverso un paziente raggiungimento e rafforzamento
della padronanza tecnica consente il perfezionamento della
prassi esecutiva. «Il lavoro paga, sempre» è una delle massime
apprese da un docente cinquantenne e riproposte ai propri al-
lievi, in riferimento alla necessità di applicarsi quotidianamente
per ottenere dei risultati che non tradiscono le aspettative. La
pratica dello studio quotidiano consente al corpo dei musicisti
di adattarsi allo strumento (inteso anche come voce), creando
gradualmente dei mutamenti – specifiche posture, allungamen-
to degli arti, ispessimenti della pelle - funzionali ad incorpo-
rarlo, fino a farlo diventare una sorta di protesi che amplia le
proprie percezioni cognitive e sensoriali (Chalmers 2008), ar-
rivando in tal modo a sviluppare una padronanza tecnica che
potenzia le capacità esecutive.
Nell’estratto che segue (es. IV.46) l’intervistato riconosce tale
pratica come comune al musicista classico professionista, sia quan-
do la sua attività principale è quella della docenza (per la quale,
come vedremo, è ritenuto fondamentale il saper insegnare agli allie-
vi attraverso l’esempio), sia quando è quella del solista (individuale
o in orchestra) figura aspirazionale nella formazione degli allievi.
Es. IV. 46 - Docente di ISSM di trombone, maschio, 45 anni:
C.C. - Tu studi ancora?
Assolutamente sì, quotidianamente! Faccio un riposo settimanale, ora
ho dovuto interrompere tre giorni perché ero a Milano [per altre atti-
vità musicali, ndr], può succedere. Infatti al ritorno… quando appoggi
le labbra all’imboccatura [del trombone] e lo fai quotidianamente la
197
confidenza, la percezione che hai è come fosse una parte del corpo, di-
venta tua; se ti fermi un giorno, due o anche tre, è come se ti mettessi la
scodella del latte, senti questa cosa enorme… Quindi si: è importante
[studiare], anche perché puoi pretendere [dagli studenti] solo se preten-
di da te stesso. Questa è la mia filosofia. […] Quindi [il mio collega]
studia tante ore al giorno per far il primo trombone [in orchestra], io
suono tante ore al giorno per dimostrare che si può fare il primo trom-
bone. Ogni tanto viene qui [in classe] e allora li vedi tutti tremare [gli
allievi], perché lo vedono come modello…
198
(es. IV.48,49) due ex allievi di Conservatorio ricordano le loro
difficoltà ad accettare un approccio all’apprendimento musicale
focalizzato sull’aspetto meccanico e antiquato, come quello ap-
plicato nel vecchio ordinamento.
Es. IV. 47 - Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:
Adesso con questi bambini [nel corso preaccademico del nuovo ordi-
namento] cerchi di aiutarli, gli fai fare canzoncine divertenti - Che bella
fattoria, cosettine - cercando sempre di correggere il tiro per quanto
riguarda la preparazione di base, che è molto importante. Lì c’è l’ar-
ma a doppio taglio, perché (…) loro si divertono a fare queste cose e
non fanno l’altro, che sarebbe la base per poi poter migliorare: è molto
difficile da gestire. Prima, per esempio, non esisteva: “Ma cosa bella
fattoria? Devi studiare l’impostazione a quattro posizioni: ti fermi lì e
fai due ore di note lunghe!”. TA-A-RA-A-RI-I-RI-I [intonando, ndr],
per ore. Poi, però, quando c’era la parte da suonare la suonavi; adesso
diventa difficile.
ripetizione. Ecco perché, nella musica come nello sport, la durata di una seduta
di esercitazioni va calibrata attentamente (…) Con l’espandersi dell’abilità, la
capacità di reggere alla ripetizione aumenta. In musica, viene chiamata la regola
di Isaac Stern; infatti il grande violinista ebbe a dichiarare che più la tecnica
migliora, più a lungo ci si può esercitare senza annoiarsi. Ci sono momenti in
cui scatta qualcosa che sblocca una situazione e fa fare un salto qualitativo, ma
questi momenti nascono sempre da una routine» (Sennett 2008: 44-45).
199
Sempre i primi tre anni di Conservatorio prevedono di affian-
care allo studio dello strumento quello del solfeggio, ovvero del
sistema di lettura musicale, principalmente focalizzato sui valori
di durata delle note (solfeggio parlato), e solo in minor misu-
ra dedicato alla loro intonazione (solfeggio cantato). Si tratta di
una impostazione che penalizza dunque l’espressività musicale18.
Nell’estratto riportato di seguito (es. IV.50), l’intervistata – so-
cializzata sin dall’infanzia alla pratica canora in famiglia – ricorda
lo stupore a fronte della scarsa naturalezza nell’approccio al canto
dei compagni della classe di solfeggio.
Es. IV. 50 - Docente di ISSM di flauto, femmina, 50 anni:
I miei erano appassionati di musica classica, che ascoltavamo spesso;
mio padre era docente universitario e cantava benissimo, anche se non
per mestiere… sicuramente è stato tra i miei primi insegnanti di musi-
ca, visto che io e mia sorella abbiamo passato l’infanzia a cantare (…).
Ricordo come uno shock i miei compagnucci di solfeggio [in Conser-
vatorio] che si vergognavano di cantare: “Ma è malato, ha problemi
seri?” [pensavo]. Perché per me parlare e cantare è la stessa cosa, non
riesco ad immaginare la mia vita senza canzoni…
Inoltre, sia nel caso dello strumento, che del solfeggio, gli
esercizi assegnati sono tratti da eserciziari e repertori datati, poco
sensibili agli sviluppi pedagogici, e, come vedremo, seguendo un
approccio didattico prevalentemente finalizzato a forgiare nel
musicista un habitus al rispetto dell’autorità e della disciplina.
In assenza di stimoli alla motivazione individuale, per abituare
gli allievi a questo tipo di studio si rende talvolta necessario un
‘vincolo esterno’ alla volontà, dato in genere dalla sorveglianza
familiare. Più mirata nelle famiglie di musicisti, quando si esten-
de anche a verificare la qualità dello studio, negli altri casi tale
200
pratica si limita ad una supervisione della quantità del tempo de-
dicatovi (es. IV.51). Kingsbury (1988: 4) cita, a questo proposito,
il caso di un collega di Conservatorio, le cui sessioni di studio al
pianoforte da bambino erano piantonate dalla madre, armata di
mazza da baseball.
Es. IV. 51 - Pianista, femmina, 35 anni:
Diciamo che, come per tutti i bambini, è necessario che un minimo
di pressione, chiamiamola così, [per lo studio di uno strumento] ven-
ga fatta… I genitori devono incanalare, indirizzare il bambino, perché
tolto l’entusiasmo iniziale del piacere di voler imparare qualcosa che
è particolare, uno strumento musicale, ci si scontra con la fatica dello
studio quotidiano. Quindi è stato fondamentale che mia madre fosse
presente e mi, diciamo, costringesse un tot di ore al giorno di studiare
lo strumento…
19. Carlo Delfrati (1998) ha valutato che circa la metà degli allievi che si iscri-
vevano in Conservatorio nel vecchio ordinamento si ritiravano prima di conse-
guire la licenza inferiore.
201
ti di cui ci si ‘libera’ etichettandoli come ‘non dotati’ non sempre
è chiaro se la dote di cui si parla sia quella naturale dell’allievo o
quella didattica del maestro20.
Es. IV. 52 - Studentessa di ISSM di oboe, femmina, 18 anni:
Quando ho frequentato questa scuola [il Conservatorio] ho scoperto
che l’oboe non era uno strumento facile da suonare come mi sembrava
all’inizio (…) dopo che ho iniziato a suonare al terzo anno non sentivo
più la stessa gioia che sentivo al primo anno… allora ho pensato: “Se
non mi piace più, perché continuo a farlo?”. Quindi ho mollato…
202
questionario, tra i docenti di ISSM per i quali la professione
musicale comporta specifiche rinunce rispetto ad altre profes-
sioni (il 68% dei partecipanti), la maggior parte identifichi
la principale proprio nella mancanza di tempo per sviluppare
relazioni sociali e amicali (vedi fig. IV.5).
Fig. IV.5 – Quali sono state per lei le principali rinunce richieste dalla
professione? (valori %)
203
Nei primi due estratti riportati di seguito, la decisione di pro-
seguire gli studi in Conservatorio senza contemporaneamente
iscriversi alla scuola secondaria parte dall’esterno, attraverso un
divieto esplicito o invece un tacito ma influente giudizio. Nel
primo caso (estratto IV.54), la sofferta rinuncia di una pianista di
iscriversi al liceo – dettata da un divieto categorico della docente
di Conservatorio – si accompagna al disagio nel “sentirsi diversa”
rispetto alle sorelle e agli amici che lo frequentano; nel secondo
caso, una violinista figlia d’arte, dopo aver avviato con ottimi
risultati gli studi al liceo, per il senso di colpa a fronte della delu-
sione dei genitori per i suoi modesti risultati col violino, cade in
una depressione risolta solo a seguito dell’abbandono degli studi
liceali e l’iscrizione in Conservatorio (es. IV.55). Negli ultimi due
estratti (es. IV.56-57), invece, la decisione è presa autonomamen-
te dagli allievi, nonostante la giovane età fermamente convinti di
voler percorrere la carriera musicale, contro le opinioni esterne
più titubanti o contrarie (dei genitori o degli insegnanti delle
scuole medie).
Es. IV. 54 - Docente di ISSM di pianoforte, femmina, 60 anni:
[Dopo aver frequentato le scuole medie annesse al Conservatorio] mi
sarei voluta iscrivere al liceo e invece la mia insegnante mi ha proibito
categoricamente di fare questo (…) o era il pianoforte o altrimenti:
“Ciao, vai pure da un’altra parte”. E quindi dopo, voglio dire, c’è stata
una sofferta decisione, perché comunque mie sorelle, tutte persone che
studiavano al classico, mie sorelle più grandi di me, amici ugualmente
che studiavano al classico o allo scientifico, comunque al liceo. A me
sembrava una cosa un po’… mi sentivo un po’ diversa. Non mi piaceva
questo fatto, anche perché tutto sommato le materie umanistiche (…)
mi piacevano molto. Niente, però poi alla fine, dai e dai: “No, ti prego
non mollare, continua il pianoforte, è così bello, come è possibile pren-
dere un’altra decisione?” (...)
204
forse anche i miei genitori pretendevano un po’, però mi piaceva studiare;
quindi non riuscivo a studiare il violino e l’ho messo in secondo piano,
io ho smesso proprio due anni… A quel punto mi hanno fraintesa i miei
genitori, perché pensavano che non mi interessasse, invece, non ci stava
proprio come ore: arrivavo alla fine [della giornata], alle nove, e mio pa-
dre [violinista] mi prendeva in giro: “Eh, sì certo, la schiappetta che deve
studiare fino agli ultimi cinque minuti…”. Io non me ne sono accorta
(…) dopo di che son stata male, ma male, male, male (…) ho dovuto
lasciare il liceo, proprio fisicamente (…) avevo nausea dei libri, eppure
invece mi piaceva andare al liceo… (…) [I miei] mi hanno portata anche
da uno psicologo, ma non c’era bisogno: era proprio un rifiuto; quando
l’ho capito ho buttato via tutte le medicine, ho detto: “Ok, io mi metto a
suonare il violino”. Mi hanno guardato malissimo a casa mia, mio padre
stesso (…), che era il mio insegnante e aveva visto che comunque ero
abbastanza portata, però diceva: “Come: fai una cosa, poi la lasci, ne fai
un’altra? Sembra un capriccio!”. Invece io sono stata molto forte (…) ho
fatto l’ammissione [in Conservatorio] e sono entrata…
205
da pagare!”. Poi c’erano altri [docenti] che erano più diplomatici, ma a
me colpì molto questo discorso ed è la strada che ho seguito io, e a oggi
sono molto felice di averlo fatto…
206
“Eh, devo studiare per le Magistrali” (…) Era comunque faticoso per-
ché io, in più a questo, fai conto che tre sere alla settimana facevo
concerti, suonavo nelle bande, insegnavo: era faticoso, però quando
fai una cosa con amore non te ne accorgi. Però se mi riguardo adesso,
quando parlo con altre persone di quegli anni li (…) mi dicono: “Ma
tu eri matto: non uscivi mai, non andavi mai in discoteca, non ci
vedevamo mai in un pub, non avevi mai tempo, correvi sempre da
una parte all’altra…”. Io non l’ho mai vissuto come un peso, però
non ho mai avuto una distrazione di nessun tipo, non ho mai avuto:
“Oh stasera vado in piazzetta…”. Non l’ho mai fatto: ho sempre stu-
diato, lavorato e fatto una cosa che mi divertiva; mi divertiva suonare,
provavo piacere…
207
genere ho visto che crea un certo fascino (…) anche perché ero l’unica
che lo faceva, spesso gli stessi professori venivano ai saggi…
208
rispetto all’età media degli allievi di Conservatorio, accompagna-
ta da una determinazione, una abnegazione e una consapevolezza
che – come negli estratti IV.63,64 – consentono di recuperare il
divario formativo accumulato.
Es. IV. 63 - Flautista, maschio, 55 anni:
La mia frustrazione era che [da studente di Conservatorio] ero già men-
talmente e culturalmente adulto, ma tecnicamente ero un principiante.
Questo mi ha creato problemi anche dopo; mi sentivo in ritardo su tutto,
di aver perso mille treni; magari non andavo ad un concorso internazio-
nale poi andavo a sentire e mi dicevo che l’avrei potuto fare anche io, il
livello lo avevo… Questa cosa è stata da un certo punto di vista anche
una fortuna perché ho potuto indirizzare il mio percorso rapidamente in
maniera abbastanza netta, però per altri versi la coperta è quella.
209
al diminuire dell’età, con l’eccezione dei docenti sessantenni: la
percentuale più alta di docenti laureati in tale fascia - rispetto a
quella dei cinquantenni e dei quarantenni - potrebbe essere inter-
pretata alla luce della maggiore presenza in essa di docenti entrati
in servizio a conclusione degli studi universitari, i quali maturano
il diritto alla pensione più tardi rispetto ai colleghi coetanei en-
trati in servizio dopo gli studi in Conservatorio23.
I titoli di studio si distribuiscono diversamente anche a se-
conda della specializzazione dei docenti: quelli più alti sono as-
sociati ai docenti di discipline musicologiche (dei quali il 79%
possiede una laurea o una specializzazione post-lauream), mentre
la percentuale di titoli di studio più bassa è associata ai docenti di
strumenti a percussione o a fiato (dei quali circa il 26% detiene
come titolo più alto il diploma di scuola media).
Tab. IV.9 - Qual è il titolo di studio più alto da lei ottenuto al di fuori
del percorso di formazione prettamente musicale? (valori percentuali per
classe di età docente)
23. Tale ipotesi trova riscontro nei dati del questionario, che mostrano come tra i
docenti intervistati appartenenti alla coorte di età uguale o superiore ai 60 anni la
maggior parte appartenga alle categorie dei cantanti (27%) e dei docenti di mate-
rie teoriche (24%), le quali presentano percentuali più alte di laureati; i tempi più
lunghi della loro formazione potrebbero spiegare un ingresso in ruolo tardivo, cui
corrisponde un pensionamento ad età più elevata, rispetto a colleghi con titoli di
studio più bassi, che si sono immessi prima nel mercato del lavoro e hanno prima
raggiunto i requisiti per il pensionamento (come i docenti di strumenti a fiato,
che rappresentano solo il 13% dei partecipanti sessantenni); bassa la presenza in
questa coorte di età anche dei docenti di nuove discipline (15% nel questionario),
reclutati all’interno degli ISSM solo in tempi più recenti.
210
1.2.2 Il Conservatorio
come microcosmo del campo professionale musicale
Nel modello definito dal vecchio ordinamento il Conserva-
torio mantiene alcuni tratti dell’istituzione totale che caratteriz-
zavano la sua forma organizzativa originaria seicentesca. Come
visto nel terzo capitolo, tra questi tratti vi era il principio di reclu-
sione dei convittori all’interno di un comune luogo di residenza,
separato dalle ingerenze esterne. Sebbene i Conservatori moder-
ni – a partire dal modello parigino – in genere non prevedano
la residenza nell’istituto degli allievi, questi – specie nel caso in
cui non frequentino una seconda scuola – si trovano comunque
a trascorrere insieme la gran parte della giornata all’interno del
Conservatorio (chiamato ‘la Scuola’): provando nelle aule studio
(visto che non sempre, specie nei primi anni, si possiede uno
strumento o, negli anni successivi, modelli di strumento neces-
sari per eseguire un repertorio più avanzato); ascoltando suonare
i diversi maestri durante la lezione o concerti interni alla Scuola;
confrontandosi a vicenda, in maniera emulativa, durante le lezio-
ni di classe, le prove di insieme, i saggi finali. In assenza di tempo
libero per coltivare attività parallele agli studi musicali, le relazio-
ni sociali degli allievi si sviluppano prevalentemente all’interno
dello stesso Conservatorio, dando luogo ad amicizie e relazioni
sentimentali, che spesso accompagnano i musicisti per l’intero
arco della vita personale e professionale24.
Negli estratti che seguono emerge la dimensione comu-
nitaria della Scuola vissuta dagli intervistati: lo studio indi-
24. Dei docenti che hanno partecipato al questionario, il 16% si dichiara single;
al restante 84% è stato chiesto di specificare la professione del coniuge, ex-coniuge
o convivente: nel 41% dei casi si tratta di occupazioni nel settore musicale, prin-
cipalmente come docente di musica presso ISSM, scuole pubbliche, o in ambito
concertistico. Dichiara di avere figli il 66% dei docenti: la percentuale sale nel caso
degli uomini (dove raggiunge il 70%) e diminuisce nel caso delle donne (tra le quali
il 58% è madre), il che suggerirebbe la maggiore difficoltà femminile nel conci-
liare la carriera in ambito musicale con la vocazione genitoriale (Buscatto 2007).
211
viduale che si apre ad una portata collettiva dell’apprendere,
data dal piacere nel fare musica insieme, avendo a modello i
maestri più bravi (IV.65); l’ascolto reciproco tra allievi della
stessa classe, prima, delle altre classi, poi, che attraverso un
meccanismo emulativo di “sana competizione” attiva un cir-
colo virtuoso di miglioramento all’interno di una rete sociale
di legami forti ed esclusivi25 (es. IV.65-67); l’applicazione di
tali meccanismi e dinamiche, sperimentato all’interno del mi-
crocosmo del Conservatorio, per adattarsi alle richieste del
più ampio campo professionale musicale, “la vera società della
musica” (es. IV.68).
Es. IV. 65 - Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:
[I]o ero tutto il giorno a Scuola con altri ragazzi e suonavamo insieme:
c’era il piacere di fare le cose, sperimentare… mi ricordo c’era il maestro
[X], grande chitarrista, mi mettevo dietro la porta ad ascoltare, perché
era un piacere sentirlo…
25. La letteratura sociologica sui network relazionali associa a questo tipo di reti
un capitale sociale vincolante (bonding), in cui l’azione individuale è fortemente
condizionata da relazioni di fiducia tra gli appartenenti al gruppo (Ballarino
2001: 24). Nel caso dei musicisti, tali legami possono costituire un nucleo che
si poi ramifica in ulteriori reticoli professionali, fondati su legami a carattere più
debole ed estemporaneo, che sfruttano le risorse di un capitale sociale congiun-
gente (bridging) in termini prevalentemente strumentali (Uzzi e Spiro 2005,
citati in Ramella 2013:143-145).
212
Es. IV. 67 – Docente di ISSM di clavicembalo, maschio, 55 anni:
La grande ricchezza del Conservatorio italiano era anche la possibilità
di essere all’interno di un’istituzione dagli undici ai ventotto anni: un
ragazzino ascolta le lezioni dei più grandi, assorbendo sensazioni, in-
formazioni ed insegnamenti che gli saranno utili quando a sua volta si
troverà più avanti; uno studente più grande, ascoltando le lezioni date
ai principianti, ripercorrerà i passi fatti, capendo meglio ciò che ha fatto
e che sta facendo, e diventando capace di affiancare l’insegnante.
213
esperienze o delle competenze nelle nuove generazioni di allievi
(es. IV.69); o invece chi, come Fresu, ricorda i limiti asfittici di
tale microcosmo, vissuto come culturalmente classista e didatti-
camente antiquato e lacunoso (es. IV.70).
Es. IV. 69 - Docente di ISSM, maschio, 55 anni:
[Oggi si fa] tanta attività artistica, tutti questi corsi nuovi che ci
siamo dovuti inventare, alla fine qualcosa di buono l’ha anche fatto
[la Riforma]: secondo me i ragazzi ora sanno molto di più di quello
che sapevano i professori alla loro età, quindi nel complesso, io non
sarei troppo negativo… Anche quando loro [i miei colleghi] mi di-
cono: “Eh, ai nostri tempi…”, secondo me sono balle: non è vero
che suonavano meglio, che studiavano di più, non ci credo (…) il
livello non era più alto. Loro si ricordano, perché ognuno è portato
a generalizzare la propria storia: ti ricordi che studiavi molto, allora
ti sembra che [facevi di più] …
214
percorso di studio, accentuano notevolmente il carattere tipica-
mente asimmetrico della relazione docente/discente. All’interno
delle classi dei maestri più noti o carismatici si sviluppano spesso
tra gli allievi, in genere una decina di elementi, relazioni di co-
munanza e, tra i più bravi, di emulazione, che rafforzano il senso
di appartenenza ad una data scuola musicale – e, al contempo, il
senso di antagonismo competitivo con le altre – e ne rafforzano il
prestigio attraverso la successiva carriera.
Nella fig. IV.6.1 si può osservare come il rapporto ‘maestro-al-
lievo’ sia indicato da una maggioranza assai ampia di docenti di
ISSM che hanno partecipato al questionario (il 73%) come il tipo
di relazione didattica che meglio descrive quella avuta col proprio
docente di Conservatorio, percentuale alla quale potrebbe essere
inoltre sommata quella di docenti che indicano un tipo di rap-
porto ‘genitore-figlio’ (5%) o ‘superiore sottoposto’ (4%), come
vedremo, spesso ricompreso all’interno della relazione tra maestro
e allievo; decisamente inferiore la quota di docenti che descrive la
relazione nei termini del rapporto più standard della formazio-
ne scolastica e universitaria ‘professore–studente’ (10%), mentre
l’8% indica che il rapporto è variato a seconda dell’età. Non si
riscontrano differenze significative tra i sessi, bensì tra le specia-
lizzazioni disciplinari dei docenti, da interpretare alla luce della
variabilità delle traiettorie che caratterizzano i percorsi formativi
corrispondenti (fig. IV.6.2). Il modello “maestro-allievo” è decisa-
mente meno rilevante all’interno della categoria F, che racchiude i
docenti di materie musicologiche, i quali più spesso hanno seguito
un percorso all’interno dei curricula standard dell’istruzione: per
loro il rapporto prevalente è stato quello tra “professore-studente”
(62%). Il rapporto “maestro-allievo” prevale invece per i docenti
di specializzazioni della formazione classica (A, B, D), con l’ecce-
zione della categoria C (ovvero fiati e percussioni); questi, tutta-
via, indicano prioritariamente l’opzione che prevede una relazione
con maggiori sfumature, a seconda dell’età (40%). La relazione
maestro-allievo prevale, sebbene in misura minore (39%), anche
215
per la categoria dei docenti di nuove discipline non classiche (jazz,
nuove tecnologie), diversi dei quali si sono formati all’interno del
vecchio ordinamento del Conservatorio.
Fig. IV.6 - Quale relazione meglio descrive il rapporto avuto con il/la
docente del suo corso principale al Conservatorio/IMP?
IV.6.1 – Valori percentuali complessivi
A B C D E F
genitore/figlio 4,7 6,9 8,7 2,6 3,8 3,1
maestro/allievo 67,4 71,3 72,8 76,8 75,9 67,7
professore/studente 11,6 10,1 4,9 10,3 12,7 13,5
superiore/sottoposto 7,0 3,5 3,9 2,6 3,8 9,4
diversi di questi, a seconda dell’età 9,3 8,2 9,7 7,7 3,8 6,3
216
nel corso del Novecento, è più spesso designata col termine
‘professoressa’, anche per rimarcare la distinzione con il ruolo
di maestra nella scuola elementare, cui è associato minore pre-
stigio professionale. Negli estratti che seguono si nota come i
giovani allievi provenienti da altri contesti educativi (il liceo
o la scuola media) nei quali la relazione didattica è definita
nei termini di un rapporto tra professore e studente, siano
iniziati dai colleghi più anziani al riconoscimento del ruolo
del maestro (e, implicitamente, di quello dell’allievo) come
distintivo del Conservatorio: quello di guida, punto di riferi-
mento. Inteso in questa accezione alta, il ruolo di maestro può
essere talvolta rimpianto dai docenti in quanto non più rico-
nosciutogli dagli studenti post-Riforma (es. IV.71), ma anche
rivendicato come applicabile al genere femminile (es. IV.72)
o invece reputato troppo impegnativo per definire la propria
attuale funzione (es. IV.73).
Es. IV. 71 – Docente di ISSM di flauto, maschio, 60 anni:
C.C. - Come la chiamano i suoi allievi?
Una volta mi chiamavano tutti maestro, adesso professore, nel migliore
dei casi, altrimenti prof [ridendo, ndr]. Devo dire che anche io ho ini-
ziato a chiamare il mio maestro professore, perché ero abituato al liceo,
finché ho sentito ragazzi chiamarlo maestro, perché erano ragazzi che
facevano solo il Conservatorio. Gli avevo chiesto: “Ma gli fa piacere es-
sere chiamato maestro?”, perché io pensavo che maestro fosse meno…
“No, no, lui vuole essere chiamato maestro, perché è il maestro!”. E in
effetti anche adesso, anche per me è così…a me piace essere chiamato
maestro, però non c’è più nessuno [che lo fa], solo i vecchi alunni mi
chiamano maestro…
217
dire che mi piace molto l’idea di guida, di personalità che si occupa di
te, si preoccupa per te, ti segue a 360 gradi. Mi sta un po’ stretta l’idea
della scuola media inferiore e superiore, e mi sta stretta anche nel senso
accademico-universitario, con tutto il rispetto, naturalmente, perché
è un rapporto completamente diverso… Io ho frequentato anche un
po’ l’università (…) però il professore universitario ha un rapporto
totalmente diverso con [quelli che non sono] degli allievi, sono degli
studenti… noi al Conservatorio, ma comunque questo succede anche
privatamente, siamo delle guide, dei punti di riferimento…
218
liberamente sia di adottare una logica cooperativa fondata su
stimoli per la motivazione allo studio, ridimensionando gra-
dualmente l’asimmetria della relazione formativa al realizzar-
si del processo di apprendimento, che di imporre una logica
accentratrice finalizzata ad ottenere obbedienza e dipendenza
da parte dell’allievo mediante tecniche di controllo e manipo-
latorie; tanto di essere disponibile in qualsiasi momento per i
propri allievi, quanto di palesarsi a lezione solo nei “buchi” tra
un impegno professionale e l’altro.
219
Es. IV. 74 - Docente di ISSM di quartetto d’archi, maschio, 55 anni:
C.C. – Che rapporto aveva col suo maestro?
Fantastico, fantastico: perché era un uomo che dava tutto quello che
poteva agli allievi, tutto… dal più dotato al meno dotato (…) per an-
dargli contro bisognava semplicemente non studiare, semplicemente
fregarsene dello strumento, appena c’era un po’ di interesse anche se
non eri abbastanza dotato lui si faceva in quattro… Con le lezioni a
casa sua - siccome viaggiava molto all’epoca, quindi capitava (…) di
perderlo per un mese, un mese e mezzo, però dopo era capace di recu-
perare - ci faceva entrare a casa sua alle nove del mattino poi uscivamo
la sera, andavamo giusto a mangiare qualcosa… Qualche volta usciva
lui: “Tieni le chiavi, vai a studiare, ci vediamo a lezione”. Sono state
delle cose, un’esperienza fantastica… poi sentirlo suonare è una cosa
[incredibile]…
220
Noi passavamo le giornate intere [insieme]; lo chiamavi: “Maestro que-
sto passaggio non mi viene…”; poteva essere il quattordici di agosto:
“Ci vediamo in Conservatorio domani!”. Un uomo simpatico, quando
si andava a lezione di strumento era una festa!
221
centi che rientrano all’interno di tale categoria (il ‘maestro-a-
guzzino’) hanno alle spalle una storia di traumi, frustrazioni e
vessazioni, vissute all’interno del proprio percorso formativo,
professionale o personale, che li porta a non riuscire a stabilire
relazioni empatiche con i propri allievi e con i colleghi, i primi
costantemente criticati e sottoposti a prove di ubbidienza, i se-
condi identificati come rivali con i quali convivere in costante
competizione (es. IV.80).
Es. IV. 80 - Studentessa di ISSM di canto, femmina, 30 anni:
[Q]uesta mia prima insegnante [di Conservatorio] mi diceva delle cose
giuste tecnicamente, mi ha dato un metodo di approccio ad un certo
tipo di repertorio di cui beneficio ancora adesso (…) È una persona
che non stimava nessuno e non faceva mai mancare l’occasione di ma-
nifestare il suo disprezzo per te, a meno che tu non le servissi (…) Lei
odiava qualsiasi cosa d’altro facessi: facevo teatro a scuola e non pote-
vo farlo perché mi impegnava, due anni ho fatto pallacanestro e non
andava bene… Ha fatto piangere persone con venti anni più di me,
professionisti, è stata piantata in asso, dopo anni che lavoravano insie-
me, dal pianista accompagnatore della classe (…) [A]veva idee musicali
tutte sue; cioè, un limite, una non capacità di fare buone relazioni sulla
musica e con le persone...
222
Es. IV. 81 - Trombettista jazz, 55 anni, maschio:
Come molti dei nostri insegnanti, [il mio] lo avevano spedito in Sarde-
gna per il sistema delle graduatorie e si capiva che non ne era entusiasta.
Venire in Sardegna una o due volte alla settimana era complesso e stan-
cante e molti professori lo vivevano come una sorta di punizione (…) mi
capitava spesso di arrivare al conservatorio e scoprire che l’insegnante non
c’era. Tornavo a casa con la delusione di aver fatto un viaggio a vuoto e a
volte rimanevo senza lezione per due o tre settimane. [Fresu 2009: 46-47]
26. La reticenza a discutere del tema ha portato diversi docenti che hanno av-
223
Fig. IV.7 – È venuto/a a conoscenza, attraverso esperienza diretta o da
fonte attendibile, di episodi di molestie, abusi o discriminazioni da parte di
docenti su studenti? (valori percentuali)
224
Fig. IV.8 - Tipologia prevalente di molestia/abuso della quale si è avuta
notizia certa (solo 1 opzione possibile) (valori percentuali)
225
Fig. IV.9 - Provvedimenti seguiti agli episodi di molestia/abuso/discri-
minazione (valori percentuali)
226
professionale di allievi e allieve, valutando le possibili misure da
adottare per diffondere una cultura non discriminatoria, scorag-
giare tali comportamenti da parte dei docenti e tutelare il benes-
sere psico-fisico degli studenti.
28. «La bottega artigiana medievale era una famiglia tenuta insieme più dal
rispetto che dall’amore. Il capofamiglia fondava la sua autorità, concretamente,
sul trasferimento di abilità tecniche. Era questo il ruolo del genitore surroga-
torio nello sviluppo dei fanciulli. Egli non dispensava amore; era pagato per
svolgere quella particolare funzione paterna» (Sennett 2008: 69).
227
ricorda, ad esempio, come il suo maestro - fumatore incallito
- mentre eseguiva gli esercizi in classe usasse porre la sigaretta ac-
cesa a pochi centimetri dalla mano, per scoraggiare l’assunzione
di una postura ritenuta non corretta.
Es. IV. 84 - Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:
[Il mio maestro] parlava del suo maestro, che quando non studiavi
ti dava un calcio nel sedere e ti faceva volare: della serie: “Non farti
vedere, vattene via…” Lui era un uomo severo, ma era tutto mirato
alla tua crescita, per dirti che se tu frequenti una scuola del genere
[come il Conservatorio] non te lo ha ordinato il dottore: lo fai per-
ché lo vuoi fare, devi innamorarti di quello che fai, lo devi fare con
passione….
228
Quando le punizioni appaiono del tutto immotivate (come
nell’estratto IV.88) emerge in maniera più distinta la loro funzio-
ne latente (Merton 1957: 60-69) di somministrare una pratica di
‘mortificazione del corpo’ per promuovere l’apprendimento della
disciplina e dell’ubbidienza; ciò spiega perché tali pratiche non
prevedano il sottrarvisi da parte dell’allievo (come nell’estratto
IV.87). Alla stessa funzione rispondono le ‘mortificazioni dello
spirito e della volontà’, punizioni verbali e comportamentali fat-
te di insulti, urla, offese, espressioni volte a sminuire le capacità
degli allievi, umiliandoli o mettendoli in imbarazzo davanti agli
altri (es. IV. 89-91). Tali vessazioni, probabilmente reiterate dai
docenti sul modello dei propri maestri, creano spesso negli allievi
– specie se femmine – forti disagi e un senso di sopraffazione, che
ne mina l’autostima, traducendosi talvolta in un malessere psi-
cofisico che può compromettere il percorso formativo. È infatti
importante ricordare che la maggior parte delle testimonianze
raccolte dalla presente ricerca sono quelle di musicisti e musiciste
che comunque, nonostante tali esperienze negative, sono riusci-
ti a proseguire nella carriera musicale; non hanno invece – se
non sporadicamente – intercettato quelle di coloro che, proprio
a causa di tali esperienze, hanno interrotto il loro percorso.
Es. IV. 89 – Studentessa di ISSM di canto, femmina, 30 anni:
[A]nche quando le nozioni del canto sarebbero giuste, davanti ad un
carattere brutto - non solo brusco ma proprio brutto - perché comun-
que si può essere duri, secondo me, ma comunque io risento molto
quando non c’è la stima e la fiducia reciproca… questo non vuol dire
l’insegnante amico del cuore: no, mai! Però io personalmente, non es-
sendo quadrata, ho risentito moltissimo quando c’era un approccio
[ostile], così tanti altri: stiamo parlando di insegnanti con i quali non
mi sono trovata male solo io, cioè, persone da cui la gente è scappata, di
allievi di questi ne continua uno su dieci. Poi mi rendo conto, però, che
alcune cose che mi ha detto [l’insegnante] negli anni erano validissime,
riemergono… però io prima di dire [giudizi negativi] su persone che
mi trovo davanti in qualità di insegnante ci metto tre, quattro, cinque
anni, insisto, perché dico: “Magari sono io…”
229
Es. IV. 90 - Pianista, femmina, 40 anni:
[L]a parte di pianoforte [al Conservatorio] fu un incubo: avevo un in-
segnante molto dura (…) avevo attacchi di panico i giorni prima delle
lezioni, stavo troppo male, somatizzavo molto, del tipo che qualche
volta saltavo la lezione perché avevo mal di stomaco fortissimo (…) [L]
ei era veramente molto molto preparata (…) però era completamente
fuori di testa, completamente pazza... [Metteva] tutto sul personale,
cioè: immagina, tu fai lezione ad una persona e se suona male le dici:
“Ma ti hanno dato psicofarmaci quando eri bambina?”
230
Es. IV. 92 – Pianista, femmina, 40 anni:
[E]ra una persona veramente dura, nel senso che non c’era [in lei] un
briciolo di umanità (…) questo probabilmente era, immagino, un suo
obiettivo: non far trapelare che io potessi essere un minimo brava o
potessi aver fatto bene quello che dovevo fare - anche questo, devo dire
l’ho pensato a posteriori, è una mia interpretazione: “Se le faccio capire
che è brava non studia più…”
29. Riccardo Muti e la figura del Maestro: “Ricordo quando mi mise a pane e
acqua”, Corriereuniv.it, 21 luglio 2014 (ultima consultazione:18/1/2018).
231
1.2.3.5 Le molestie sessuali
Come abbiamo visto, tra le forme più ricorrenti di abuso del
potere del maestro sull’allievo vi sono le molestie sessuali, più
spesso riguardanti la relazione tra docenti maschi e studentesse
femmine. Si tratta di una questione dibattuta da tempo in ambi-
to internazionale, specie anglosassone, nell’ambito educativo in
senso lato e con specifico riferimento alla formazione musicale,
viste alcune sue peculiarità che ne facilitano l’occorrenza30. Presso
i Conservatori italiani, invece, l’argomento è ancora tabù e gli
episodi di molestie sono in genere considerati come una faccen-
da personale riguardante il singolo docente o allieva. Tuttavia,
come visto, alcuni Conservatori hanno iniziato ad adottare delle
misure preventive e, come vedremo, nelle nuove generazioni di
docenti si registra una nuova sensibilità rispetto al problema e alla
necessità di gestirlo all’interno di una relazione formativa rispet-
tosa e a tutela dello studente.
Tra le condizioni che espongono le allieve di Conservatorio
ad un maggiore rischio di molestia vi è, in primo luogo, il fat-
to che la didattica è organizzata in lezioni individuali, svolte a
porte chiuse all’interno di aule in genere insonorizzate, le quali
prevedono anche un contatto fisico del maestro con gli allievi,
per indicargli la corretta postura allo strumento (es. IV.95). Ciò
facilità la commissione di abusi da parte del docente, consistenti
nel ricercare contatti fisici, non necessari ai fini didattici, con le
allieve, le quali avvertono una sensazione di disagio e fastidio,
senza tuttavia avere una prova incontrovertibile del fatto che il
gesto si costituisca come una molestia. Anche la confidenza che
può svilupparsi in una relazione formativa di lunga durata, come
quella tra maestro e allievo, e in un contesto formativo piacevole
e informale, come quello musicale, può facilmente consentire al
232
docente di giocare sull’ambiguità del significato da attribuire ad
inviti al di fuori del contesto scolastico (caffè, aperitivi, pasti)
o ad altri comportamenti (confidenze, galanterie o altri compli-
menti) non facili da documentare come molestie, sebbene non
graditi dalle allieve (es. IV.96). Inoltre, anche a fronte di prove
tangibili, le denunce non sono facili da portare avanti all’interno
di un contesto organizzativo che, mentre garantisce ai docenti
un’ampia autonomia nella gestione della propria classe, risulta
poco sensibile alla necessità di tutelare le allieve, specie le più
giovani, che si trovano spesso a dover affrontare in solitudine tali
situazioni. Tali esperienze possono perfino portare le allieve a de-
cidere di abbandonare gli studi musicali o, in ogni caso, segnare
il percorso formativo e professionale delle future musiciste (es.
IV.97).
Es. IV.95 - Oboista, femmina, 40 anni:
[L]a mia migliore amica studiava flauto e non può passare davanti ad
un Conservatorio senza stare male perché aveva questo insegnante che
era veramente molto, molto invadente, chiamiamolo così... Perché na-
turalmente con questa scusa che lo strumento è un aspetto fisico, no?
Metti la spalla così, la pancia cosà, respira qui...
233
ci si diverte, però bisogna avere l’accortezza di rimanere docenti, non
cercare di sconfinare in altro ambito, che sia l’amicizia, che sia altro.
234
non mi azzardo a farlo con una ragazza: mai, mai! Per immaginare, mi
è capitato facendo dei corsi di chiedere ad un’altra ragazza: “Scusa, le
puoi far sentire?”.
235
proprio il bidello a stanarci, un rapporto assolutamente [chiaro]… ma-
gari poi prendeva, si metteva a suonare lui, mi chiedeva delle cose: era
inusuale, però sempre lui il maestro e io l’allieva, e così anche io come
insegnante…
236
C.C. - Una ragazzina che si trova a dover gestire una cosa del genere non
sempre ha la forza caratteriale, davanti ad una infatuazione che può avere
per il suo maestro, di distinguere le diverse dimensioni, non sempre ha la
maturità per farlo…
Sì, e il professore delle volte non ha la maturità di resistere, e poi succe-
dono disastri… Questo al [corso] tradizionale; all’accademico è diverso
perché sono maggiorenni: in genere si mettono insieme, [i docenti]
divorziano dalla loro moglie…
237
Es. IV.104 – Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:
[Il mio maestro] suonava in classe, è normale, perché è difficile spiegare
tutto a parole. Anche io lo faccio: per essere credibile devi fargliela sen-
tire qualcosa [agli allievi].
238
tà del singolo maestro e la singolarità della sua scuola, incapace
di garantire uno standard didattico uniforme. Questo tratto del
Conservatorio italiano del Seicento, «dove ogni scuola pren-
de il colore del maestro che la conduce e dove la forma e lo
spirito delle lezioni varia quanto i nomi dei professori» (Pier-
re 1900:140), è ancora rintracciabile in quello del Novecento,
come si evince dagli estratti riportati sotto (es. IV.108-110).
Ciò può creare agli allievi notevoli difficoltà nel caso in cui si
trovino nel loro corso di studi ad avere assegnati docenti dif-
ferenti – come capita, ad esempio, nel caso di pensionamenti
o supplenze – ognuno dei quali rivendica la validità del pro-
prio approccio (es. IV.109), o nel caso in cui la tecnica di una
data scuola non sia congeniale alle caratteristiche dell’allievo
(es. IV.110). Solo più raramente si raccolgono testimonianze ri-
guardanti maestri ‘bravissimi’, che riescono ad avere un approc-
cio meno esoterico e più empirico alla didattica, modellabile a
seconda delle caratteristiche specifiche dell’allievo (es. IV.111).
Es. IV.108 – Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:
Lui [il maestro] era attaccatissimo a questa scuola di contrabbassisti
che suonano con grande potenza, ci credeva… quindi non è che la
lezione fosse molto aperta a nuove tecniche: lui era fermo nell’inse-
gnamento, tu dovevi fare quello che diceva lui, basta, perché la scuola
era quella.
239
magari non perché ho un particolare merito ma perché è portato, o se la
tecnica che insegno, che è la mia, su dieci persone con un paio funzio-
na, questi due vanno benissimo, gli altri non funzionano: non perché è
un problema mio, ma perché sono loro che non riescono a seguirmi…
Quindi c’è una sorta di spocchia, nel senso che è difficile trovare un
maestro di canto che ti dica umilmente: “Guarda, evidentemente io
non sono il maestro giusto per te, rivolgiti a qualcun altro”.
240
au: a ventuno anni hai fatto tutto questo repertorio, a livelli molti buoni”.
Questa è una cosa che vorrei rimarcare: perché ci sono molti difetti [nel
Conservatorio italiano], però ci sono tante persone e tante cose positive…
241
musicista, scoraggiando le già ridotte attività complementari
che prevedono pratiche di musica di insieme (come la musica
da camera o le esercitazioni orchestrali); riproponendo un ac-
costamento reverenziale al repertorio, inteso come una sorta di
‘testo sacro’ da fissare nella mente e riproporre fedelmente31; in-
centivando forme di confronto competitivo con gli allievi degli
stessi anni delle altre classi, impegnati nello studio dello stesso
programma d’esame. Tale habitus è più facilmente incorpora-
to dagli allievi che presentano una personalità più istrionica ed
esuberante, mentre quelli più emotivi e riservati stentano a farlo
proprio, anche a causa della sofferenza vissuta per i metodi con
i quali è talvolta imposto da parte del maestro (es. IV.115-117).
Es. IV.115 - Pianista, femmina, 35 anni:
[La mia maestra] mi chiamava ‘tesoro’ o ‘bambina mia’ (…) per quanto
io la temessi e l’ho temuta fino all’ultimo giorno - ancora a quattordici
anni quando andavo a lezione da lei era un batticuore - però era un’af-
fettuosità quasi da nonna nei confronti della nipote, anche se era una
persona molto precisa e molto severa (…) Il timore derivava dal fatto
che secondo me al Conservatorio, non solo con lei ma anche succes-
sivamente, si vive molto il confronto con gli altri, secondo me viene
fomentato molto dagli insegnanti: cosa che può avere dei lati positivi,
ma se si è un po’ sensibili non è molto positivo, penso. Cioè: il con-
fronto è positivo se è costruttivo, ma se diventa una specie di gara a chi
sbaglia di meno, ovviamente i bambini più sensibili sono quelli che
pagano di più, quelli più spavaldi vincono sempre, anche studiando
meno, al momento del saggio, dell’esecuzione, del concerto sono quelli
che rendono di più…
31. Tale fedeltà, come già chiarito, è intesa non in termini filologici, bensì di
adesione al canone classico, così come storicamente codificato intorno alla fine
dell’Ottocento (Weber 1999). Ciò porta, ad esempio, ad eseguire la musica ba-
rocca prevista nei programmi d’esame adottando prassi esecutive, testi musicali,
tipologie di strumenti appartenenti al periodo romantico e post-romantico.
242
anche se lei era molto brava, però lei, per esempio, non sopportava
questa cosa di suonare in pubblico. Quindi da lì io ho capito che ero
molto più esibizionista di lei… Io ho questa convinzione, chiunque
entri in un Conservatorio per suonare è esibizionista (…) può essere
l’amore per la musica, però è anche il fatto che piaccia suonare con un
pubblico…
243
Es. IV.118 - Musicologa, femmina, 40 anni:
[P]oi arrivavano questi saggi di pianoforte che erano un inferno, perché
diventavano due mesi in cui non facevi nient’altro, con una pressione
emotiva fortissima (…) [M]i ricordo che facevamo i saggi di prepara-
zione [per l’esame di ottavo anno], così per provare un po’ i pezzi e ad
un saggio andai totalmente in tilt: c’era lei [la mia insegnante] che mi
batteva la matita per darmi il tempo dal pubblico... [I]o mi alzai e me
ne andai senza salutare nessuno, perché fu una cosa [disastrosa]: dovetti
riprendere due o tre volte da capo, perché la memoria era andata com-
pletamente, insomma un disastro…
244
mondi musicali differenti da quello classico-romantico (musi-
ca antica, jazz, rock, pop), la quale – come abbiamo visto – è
intercettata attraverso iscrizioni dall’offerta del Conservatorio,
deve convertirsi non solo agli strumenti previsti dal vecchio
ordinamento, ma anche ai repertori associati alla formazione
dei musicisti classici. In particolare, la crescente domanda di
formazione professionalizzante in ambito jazz, seguita alla sua
affermazione nel corso del Novecento come mondo musicale
legittimato in ambito internazionale (Lopes 2002), sarà deli-
beratamente ignorata dai docenti di Conservatorio («non po-
tevo pronunciare questa parola – jazz – col maestro», raccon-
ta un docente di trombone), preoccupati dai possibili effetti
di ‘contaminazione’ sull’ideale di musica assoluta dominante
nel campo della formazione musicale professionalizzante (es.
IV.120-121), nonché della eventuale svalutazione delle proprie
competenze professionali. Gradualmente, tuttavia, nei Conser-
vatori emergono docenti appassionati del genere, che – quasi
come dei carbonari – si ritrovano a suonare in circuiti ester-
ni nei quali attirano gli allievi (Fresu 2009: 48), o comunque
poco interessati a ragionare in termini di musica colta e musica
popolare, ma piuttosto di buona e cattiva musica (es. IV.123).
Es. IV.120 - Trombettista jazz, 55 anni, maschio:
Verso la fine del terzo anno [di Conservatorio] partecipai al concerto
dell’istituto tecnico industriale [dove mi ero diplomato] (…) Quella
mattina c’era lezione di tromba, perciò inventai una scusa (…) Il pro-
blema fu che [il mio insegnante] (…) sentì la musica ed entrò (…) Non
solo mi vide suonare ma mi vide suonare jazz, una musica che lui repu-
tava immonda, addirittura pericolosa. Da quel giorno i nostri rapporti
già freddi e difficili divennero ancora più conflittuali. Alla fine dell’anno
scolastico mi diede tre, scritto in grande e in rosso affisso pubblicamente
nella bacheca al terzo piano del conservatorio. [Fresu 2009: 50]
245
Es. IV.121 - Docente di ISSM di tromba jazz, maschio, 40 anni:
Chi viveva [in città] aveva facilità a reperire materiale sulla tromba
di musica classica; per me [che vivevo in un piccolo paese] era mol-
to difficile, dovevo farmi sdoppiare le cassette, no? Passando molto
tempo [in paese], dove nessuno aveva quel materiale là, i miei amici
e gli amici di mio padre iniziavano a passarmi le registrazioni di jazz:
“Eh, c’è la tromba…”. Quindi io ho iniziato ad ascoltare jazz per
avere delle registrazioni dove ci fosse la tromba e da lì ho iniziato ad
appassionarmi. Poi per me il jazz rappresentava la musica del mistero,
perché nessuno sapeva spiegarmi esattamente cosa fosse. Perché in
Conservatorio – non adesso che si insegna pure – ma quando c’ero
io studente era come bestemmiare in chiesa (…) [Al mio maestro]
avevo provato a buttargli lì: “Ma del jazz, cosa ne pensa?”. No, il jazz
bisognava lasciarlo fare ai negri, perché lo possono fare solo loro! Ov-
viamente mi ero fatto due risate e continuavo per conto mio a seguire
le cose che mi andava di seguire…
246
professione musicale già nel periodo coincidente con la scuola
primaria (6%) o con la scuola secondaria inferiore (il 33%),
un’età in cui la maggior parte degli studenti ancora non si pro-
ietta in un orizzonte lavorativo; ciò è più spesso vero nel caso
degli strumenti a indirizzo classico (le categorie B e C), le più
precoci nell’avvio. È tuttavia nel periodo coincidente con la
scuola secondaria superiore che la maggior parte dei futuri do-
centi (il 47%) pensa seriamente di intraprendere la professione
musicale, anche in questo caso in anticipo su molti coetanei.
Per una quota significativa di cantanti (il 21% della cat. A), i
quali iniziano successivamente rispetto ai colleghi il percorso
formativo, e di docenti di nuove discipline (il 26 della cat. E), la
cui formazione spesso segue percorsi meno lineari rispetto alle
altre categorie, la decisione sorge anche successivamente, ma
comunque solo in rari casi supera i trent’anni.
Tab. IV.10 - Che età aveva quando per la prima volta ha pensato di
intraprendere la professione musicale seriamente? (valori percentuali, per spe-
cializzazione docente e complessivi)
247
Nel caso dei docenti di Conservatorio che hanno parteci-
pato al questionario (tab. IV.11.1), la reazione è stata accolta
nella maggior parte dei casi (il 55%) con entusiasmo – sebbene
tale entusiasmo, come appurato nelle interviste qualitative, si
manifesti talvolta solo a seguito dei primi successi professionali,
dopo una prima fase caratterizzata da scetticismo o preoccupa-
zione. La distribuzione delle risposte per categoria di specia-
lizzazione dei docenti mostra come l’entusiasmo sia massimo
per le famiglie di docenti di strumenti classici ad arco e a fiato
(B, C), maggiormente legittimati nell’ambito delle professioni
musicali, e minimo nel caso dei docenti di discipline musicolo-
giche (F), legati a professionalità meno riconosciute all’interno
della professione musicale, provenienti da famiglie con titoli di
studio più alti, per i quali è più alta la quota di reazioni paren-
tali di indifferenza.
Non emergono differenze significative nella distribuzione
secondo il genere del docente, mentre osservando la distri-
buzione per coorte di età (tab. IV.11.2) si nota come la per-
centuale di famiglie che reagiscono con preoccupazione alla
scelta di intraprendere una professione musicale aumenti con
il diminuire dell’età del docente, in coincidenza con il restrin-
gersi delle opportunità offerte dal mercato del lavoro per tali
professioni.
Tab. IV.11 - Come hanno accolto la decisione di intraprendere la pro-
fessione musicale i suoi genitori?
IV.11.1 – Valori percentuali per specializzazione disciplinare docente
A B C D E F Totale
Con disapprovazione 11,5 3,0 5,2 6,5 6,7 7,3 5,2
Con entusiasmo 46,2 60,6 58,3 56,5 47,8 40,7 55,3
Con indifferenza 11,5 8,1 9,6 7,9 11,1 20,3 10,0
Con preoccupazione 30,8 28,3 27,0 29,2 34,4 31,7 29,4
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
248
IV.11.2 – Valori percentuali per classe di età docente
249
a categorie professionali medio-alte o alte (es. IV.125-126), cul-
turalmente legati al pregiudizio della tradizione classico-umani-
stica sulle professioni manuali, che quelli appartenenti alle classi
medie o medio-basse (es. IV.127, 128), più vicini alla distinzione
tra lavoro produttivo e improduttivo della civiltà industriale. In
entrambi i casi la scelta dei figli sembra dunque disapprovata dai
genitori, prima ancora che in vista delle conseguenze in termini
di mobilità intergenerazionale, sulla base di un giudizio morale
che condanna la tendenza a cercare solo il lato piacevole della vita,
procrastinando l’assunzione delle responsabilità legate all’età adul-
ta, associate ad un lavoro stabile e socialmente riconosciuto. Solo
il riconoscimento di un talento naturale, rivelatore di una ‘pre-
destinazione’ alla carriera artistica, ma non una ‘grande passione’
per la musica, sembra giustificare il sottrarsi dei figli a percorsi
formativi e professionali ‘normali’ (es. IV.125).
Es. IV.125 – Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 55 anni:
C.C. - Come è presa in famiglia la sua decisione di diventare pianista?
Un dramma! Cioè: gli piaceva moltissimo fin che era il figlio bravo
che ascoltava solo musica classica invece che quella rock, eccetera; però
quando ho detto: “No, voglio fare il pianista…” proprio coincide il
fatto che non è che [un genitore] vede che ha un figlio che è un prede-
stinato, invece se è uno che semplicemente ha una grande passione…
Però poi mi hanno aiutato, mi hanno sostenuto (…) poi il mio diploma
è andato molto bene, ho cominciato a fare dei concerti e farmi un po’
conoscere in città, erano anche orgogliosi… Poi, quando si trattava di
avere problemi a trovare lavoro, di nuovo la faccenda [riemergeva]…
250
Es. IV.128 – Flautista, femmina, 40 anni:
Mio padre ha l’orecchio assoluto, una persona che ha un talento musi-
cale molto forte - cantava da ragazzo nelle band, ha imparato da solo a
suonare la chitarra - e io credo di non avergli mai perdonato principal-
mente questo: che lui stesso volesse affrontare uno studio musicale e gli
era stato impedito, e lui voleva a sua volta impormi una scelta magari
più incentrata su un studio normale - che so, [il corso di laurea in] Eco-
nomia e commercio - qualsiasi cosa tranne la musica, perché riteneva
che suonare si può suonare nel tempo libero, il lavoro è un’altra cosa…
251
erano soldi perché a quell’età lì erano comunque soldi che poi ti rimane-
vano e mettevi [da parte]… io tutto quello che spendevo lo spendevo per
la musica (…) volevo fare quello, mi piaceva e mi dava soddisfazione (…)
poi quando riesci in una cosa è anche facile incentivarla…
252
Quando le attività musicali degli allievi o neodiplomati ri-
guardano contesti legittimati all’interno del mondo musicale
classico - concerti da solista, in ensemble da camera o orchestrali
- sono invece sostenute e talvolta incentivate dai maestri di Con-
servatorio. In alcuni casi sono gli stessi docenti, specie quando
ancora attivi nel campo professionale, ad inserire gli allievi più
meritevoli all’interno di tali reti esterne, fungendo da veri e pro-
pri elementi di connessione tra la sfera formativa e quella profes-
sionale. Nel primo degli estratti riportati di seguito (es. IV.133) il
maestro introduce un allievo di Conservatorio nel Teatro presso
il quale suona – un doppio impiego pubblico consentito fino
alla fine degli anni Ottanta – seguendolo da mentor in un vero e
proprio apprendistato all’interno dell’orchestra.
Es. IV.133 - Docente di ISSM di fagotto, maschio, 55 anni:
Il mio maestro è stato bravo perché cinque-sei allievi (…) è riuscito a
sistemarli in orchestre. Oggi sarebbe impossibile: anche per quelli che
hanno vinto le audizioni, me compreso. Mentre prima c’era proprio
questo rapporto di bottega, dove chi insegnava era anche prima parte
nei Teatri e tutte le persone che seguivano nella fila venivano dalla loro
scuola; oggi (…) ricordo ancora il mio maestro che mi buttava appena
poteva a fare il primo [la parte principale, ndr] e controllava da dietro
o da lontano se tutto andava bene, se sentiva problemi di ancia – che
era per noi una cosa lunghissima da imparare - arrivava, faceva finta di
niente e mi dava un colpettino, mi rimetteva nelle condizioni di andare
bene…
253
posti [vacanti] e chiamavano gli aggiunti (…) potevano essere anche
degli allievi (…) È lì che c’è stato il conflitto con il mio maestro, perché
il mio maestro voleva che studiassi e basta e quando sentiva parlare di
orchestra si infuriava (…) suonare in orchestra vuol dire cinque ore
di lavoro (…) anche finire (…) all’una di notte e poi magari l’indo-
mani mattina dovevi andare a lezione (…) [M]agari altri insegnanti
dicevano: “Ah, vai a suonare!”. Lui invece chissà cosa pensava (…) che
diventassi solista di violino (…) perché lui era così [un grande solista] e
quindi chi studiava con lui doveva pensare solo a fare il grande solista,
no? Bella come cosa, però stiamo un attimino in terra…
254
riere verso percorsi occupazionali non adeguatamente valorizzati o
del tutto ignorati all’interno del Conservatorio (musicista da camera,
pianista accompagnatore, manager dello spettacolo, liutaio, tecnico
luci o suono, docente di musica, musicologo o critico musicale), che
– come nell’estratto IV.137 – possono rivelarsi più consoni alla pro-
pria vocazione professionale e più gratificanti in termini relazionali.
Es. IV.135 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 55 anni:
[Prima] (...) vincere un concorso nazionale voleva dire avere una misura
esatta di quello che succedeva in Italia e posizionarti in base a questa
misura.
255
cializzato in Conservatorio nei termini di una attività mondana,
soggetta come le altre professioni alle contingenze del contesto
lavorativo (es. IV.138-139). Ciò porta a sostituire ai rituali che
simbolicamente inquadravano il solista come esclusivo protago-
nista del processo di riproduzione della musica assoluta, una serie
di trucchi del mestiere e strategie di adattamento alla mutevo-
lezza delle condizioni ambientali in cui ci si trova a suonare, che
portano a riconfigurare anche il concerto solistico come frutto
di un’azione congiunta di un numero variabile di persone, che
dispongono di attrezzature e materiali di diversa qualità e quantità
(Becker 2004), svolta in differenti condizioni fisiche e ambientali.
Es. IV.138 - Pianista, femmina, 35 anni:
Il fatto che ho appurato anche lavorando giovanissima è stato questo:
che nell’ambito lavorativo ti trovi nelle condizioni di doverti, non dico
improvvisare, ma di dover suonare nelle condizioni peggiori, improvvi-
samente, più disparate… e quindi se sei abituato a tutta quella ritualità
e a tutta quella preparazione rischi di trovarti, spaesato, scioccato. In
teatro mi è capitato inizialmente anche di dover suonare a distanza di
pochissimi giorni brani che ho letto in pochissimi giorni, direttamente
in pubblico, direttamente in orchestra: tutto ciò cozza con tutto quello
che mi era stato [insegnato].
256
lievi iniziano a realizzare i limiti della propria formazione, così
come attuata all’interno del Conservatorio e cercano di acce-
dere a nuove reti formative, spesso a carattere internazionale.
La partecipazione a tali reti consente di prendere coscienza di
pregi e difetti della propria preparazione, confrontandola con
quella di coetanei provenienti da diverse parti del mondo, ma
anche della preparazione del proprio maestro, a fronte di quella
di rinomati docenti. Proprio quest’ultimo fatto porta spesso i
docenti di Conservatorio a scoraggiare l’iscrizione degli allie-
vi a corsi di formazione e specializzazione che non rientrino
sotto il loro diretto controllo. Gli allievi talvolta ubbidiscono,
rinunciando a malincuore a nuove occasioni (es. IV.140), altre
volte decidono di andare contro il volere del proprio docente,
segnando un primo passo verso l’emancipazione dalla sua au-
torità esclusiva (es. IV.141). Non sempre il momento in cui
l’allievo prende scelte in autonomia e si avvia verso una carriera
più prestigiosa rispetto a quella del maestro è facile da gestire
per quest’ultimo: il timore della perdita della centralità del pro-
prio ruolo nella relazione l’allievo, o l’emergere di una frustra-
zione legata ad una carriera ritenuta non rispondente al proprio
talento, porta spesso i maestri a mostrarsi ostili e antagonisti
rispetto a tali scenari (es. IV.142). Ciò rende talvolta necessa-
rio per l’allievo operare una sorta di ‘parricidio parmenideo’,
che - senza rinnegare il contributo del primo maestro alla loro
formazione - consente loro di proseguire autonomamente nella
costruzione della propria formazione professionale. Non man-
cano tuttavia quei maestri di Conservatorio che, come visto in
precedenza, incoraggiano l’apertura dei propri allievi a nuovi
stimoli ed esperienze, suggerendo percorsi di specializzazione
mirata e indicando i luoghi e i docenti più adatti per realizzarla,
sentendosi orgogliosi e partecipi dei progressi da loro raggiunti
nel corso della carriera (es. IV.143).
257
Es. IV.140 - Violinista, femmina, 55 anni:
[I] corsi di perfezionamento li ho iniziati a fare proprio alle supe-
riori: erano corsi tenuti da lei [la mia docente] e dal marito (…)
[I]o cercai anche di proporre qualcosa che fu regolarmente cassato
(…) una volta doveva venire [un celebre violinista] e doveva fare
un corso e lei li veramente aveva tirato fuori un astio, aveva tirato
fuori questo lato di insicurezza suo - perché questo era secondo me
- aveva detto: “Lo fai, non lo fai, lo fai, non lo fai...” e alla fine aveva
deciso che non lo facevo. Rimasi molto delusa, perché ci tenevo
moltissimo...
258
lia che all’estero e può avere caratteri molto differenti, quanto –
come già visto – le esperienze formative che hanno caratterizzato
i percorsi degli allievi in Conservatorio. Talvolta ha carattere più
estemporaneo e prevede lezioni individuali all’interno di piccoli
gruppi, di durata limitata (pochi giorni o poche settimane): si
tratta di Master Class o Scuole estive tenute da celebri musici-
sti, che consentono di fregiare il proprio curriculum di nomi e
luoghi rinomati e legittimati e di inserirsi in una rete nazionale o
internazionale di contatti professionali o di farsi strada all’interno
di comparti di nicchia meno competitivi. Altre volte la specializ-
zazione ha carattere più strutturato e duraturo, segue un processo
più rigoroso di selezione degli allievi ammessi e si traduce in un
rapporto di insegnamento più mirato ed esclusivo col maestro:
ciò può essere realizzato accedendo ad una scuola di perfezio-
namento musicale pubblica o privata o invece attraverso lezioni
private, con docenti noti per le loro capacità didattiche, oltre che
artistiche. Nel caso di scuole o docenti privati i costi delle lezioni
sono spesso alti e richiedono agli allievi di ricorrere a borse di
studio o al sostegno della propria famiglia (es. IV.144). Tali per-
corsi sono inoltre spesso faticosi, in quanto i nuovi maestri pro-
pongono approcci tecnici o stilistici spesso assai distanti rispetto
a quelli appresi dal maestro di Conservatorio, ormai interiorizzati
e incorporati dagli allievi. Ciò richiede ai giovani musicisti di
intraprendere un lento e defatigante processo di decostruzione di
automatismi e certezze, per reimpostare da capo l’emissione della
voce o l’approccio allo strumento: un investimento oneroso, in
termini di tempo e denaro, che tuttavia spesso porta i suoi frutti
(es. IV.145).
Es. IV.144 - Docente di ISSM di pianoforte, femmina, 55 anni:
I miei studi erano molto costosi (…) ovviamente accedere a questi ma-
estri [conosciuti a livello internazionale] non è semplice, ci sono anche
dei giri da fare. Naturalmente quando si è giovani si tende a mitizzare
molto per fortuna, perché è meglio così… (…) Non solo il maestro
259
vuole sopravvivere, perché ha tutto il diritto, ma chiaramente se vuole
arrivare ad un certo livello, non solo come tenore di vita personale,
sociale, eccetera, ma anche come rinomanza, deve mettere su un giro,
sia come organizzazione, ma anche un giro di conoscenze: è tutto molto
costoso per chi lavora privatamente a livello internazionale…
260
stagionalità, basse remunerazioni, elevata disoccupazione (Men-
ger 1999). Tali condizioni subiscono un deterioramento a partire
dagli anni Ottanta, decennio nel quale inizia una contrazione
della domanda nel mercato delle professioni musicali, mentre
aumenta l’offerta di diplomati in Conservatorio (Salvetti 2000).
Da questo punto di vista, la docenza in Conservatorio sempre
di più si presenta per i giovani diplomati come uno sbocco oc-
cupazionale ambito, per la sua garanzia di un reddito stabile, a
fronte di un impegno orario assai ridotto e dunque conciliabile
con ulteriori attività artistiche, e della sua coerenza con l’habitus
professionale interiorizzato.
La rivalutazione dalla professione di docente di Conserva-
torio, tuttavia, nasce talvolta anche dalle delusioni o dalle fati-
che sperimentate intraprendendo percorsi che parevano inizial-
mente più allettanti. Gli intervistati che hanno proseguito nella
strada prospettata come più prestigiosa dal vecchio ordinamen-
to del Conservatorio – il concertismo solistico – raccontano
della difficile sostenibilità psicofisica, nella carriera del virtuoso,
della condizione solitaria del lavoro, delle fatiche dello studio
mnemonico, del logorio delle continue trasferte, delle difficoltà
a mantenere vivo l’entusiasmo iniziale (es. IV.146-147). Anche
il lavoro nell’orchestra di una importante fondazione lirico-sin-
fonica può presentare condizioni di lavoro (ripetitività, stan-
dardizzazione, controllo centralizzato, turnazione) che possono
contrastare con le esigenze professionali o personali dei musici-
sti (es. IV.148-149).
Es. IV.146 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 55 anni:
[Il mestiere del pianista] è logorante, tanto, tantissimo… intanto è un
mestiere solitario, non c’è niente di più solitario che fare il musicista; e
poi perché comunque ti lascia talmente tanto da pensare, che alla fine
ti ci perdi nei pensieri (…) È una professione molto logorante a livello
fisico, viaggiando tanto ti stanchi moltissimo, ed è stancante perché
devi trovare l’entusiasmo di fare delle cose, per cui a volte l’entusiasmo
non ti viene e devi ritrovarlo: non è facile, è molto faticoso…
261
Es. IV.147 - Docente di ISSM di pianoforte, femmina, 55 anni:
Io ho continuato a lungo a suonare [come solista], poi da un certo
punto in poi ho smesso di fare la solista perché mi son stufata: ci vuole
troppo impegno, ci vuole molto allenamento, soprattutto suonare a
memoria è un incubo, e io ad un certo punto mi son stufata e quindi
ho fatto musica da camera e molto duo con mio marito.
262
to in dotazione a ciascun Istituto. Ciò porta ad una fortissima
sperequazione nelle carriere dei giovani musicisti, a seconda delle
differenti possibilità di incontro tra le risorse personali e sociali
possedute e le caratteristiche contingenti della domanda di lavoro.
Per molti di coloro che si diplomano negli anni Sessanta e
Settanta, quando fioriscono nuove sedi di Conservatorio, i pri-
mi incarichi di insegnamento arrivano immediatamente dopo il
diploma e il periodo di precariato è relativamente breve; per le
generazioni successive la situazione si complica a fronte della ri-
duzione dei posti disponibili e dell’aumento del numero di diplo-
mati. Un esempio della crescente aleatorietà cui sono sottoposte
le traiettorie occupazionali dei docenti di Conservatorio è offerto
dai due stralci di interviste riportati di seguito, che confrontano
l’esperienza di due docenti di strumenti a fiato, coetanei e diplo-
matisi brillantemente negli stessi anni, i quali si inseriscono nel
mercato del lavoro a metà degli anni Ottanta. Il primo intervi-
stato (es. IV.150), grazie al maestro di Conservatorio - anche pro-
fessore nell’orchestra di una Fondazione lirico-sinfonica - inizia
a lavorare come precario nell’orchestra già prima di diplomarsi e
tale esperienza gli consente – come ai colleghi del decennio pre-
cedente – un accesso immediato alla docenza in Conservatorio,
prima da precario, poi di ruolo. Anche il secondo intervistato
(es. IV.151) inizia a lavorare sin da giovanissimo, sia all’interno
di circuiti legittimati (orchestra sinfonica) che esterni all’ambito
musicale classico (orchestra da ballo liscio, scuola media), ma la
stabilizzazione in Conservatorio arriverà solo dopo un trentennio
di defatigante precariato, vissuto nella costante tensione necessa-
ria a tenere insieme un’identità professionale frammentata, fun-
zionale alla sussistenza economica; una condizione occupazionale
ed esistenziale che anticipa quella di molti dei giovani lavoratori
flessibili delle attuali generazioni (Bertolini 2012), non soltanto
musicisti («Siamo stati dei pionieri!», ironizza l’intervistato).
263
Es. IV.150 - Docente di ISSM di fagotto, maschio, 50 anni:
A diciotto anni ho lavorato un mese in Teatro e ho guadagnato il dop-
pio di mia madre, che faceva l’insegnante. Con quei soldi mi sono per-
messo gli studi estivi [in una Masterclass] e da lì ho incominciato a
suonare [in concerti]: subito dopo diplomato ho vinto l’audizione in
Teatro, ho suonato da subito: l’anno successivo, grazie al fatto che ero
primo fagotto in orchestra, ho vinto la cattedra di fagotto al Conser-
vatorio di [X] e quindi facevo due lavori contemporaneamente: per
cinque anni credo di non avere avuto un giorno di ferie!
264
in quel periodo, non ci voleva venire nessuno, c’erano sempre queste
classi sguarnite, mancava sempre l’accompagnatore… Allora, l’allora
direttore (…) siamo alla fine degli anni Settanta (…) aveva fatto un
concorsino interno tra studenti e mi aveva assegnato delle supplenze,
prima delle supplenze temporanee chiaramente, che poi con il tempo
erano diventate supplenze annuali e poi dopo qualche anno ero passato
di ruolo…
265
fisso (3%), il poter disporre di tempo libero da dedicare a
famiglia o hobby (1%)34. L’attività di docenza in Conserva-
torio è conciliata con ulteriori impegni professionali, svolti
dalla maggior parte degli intervistati (il 67%) (fig. IV.11): dal
concertismo alle registrazioni in studio, dalla composizione
all’organizzazione di eventi o rassegne musicali o culturali,
dalla conduzione di programmi radiofonici o televisivi alla
pubblicistica scientifica o divulgativa, alla partecipazione nel-
le giurie di concorsi nazionali ed internazionali, alle lezioni
private (un’attività spesso non dichiarata fiscalmente, per que-
sto probabilmente sottostimata nei risultati del questionario).
Tali attività consentono ai docenti di aggiornare i propri titoli
artistici e di integrare un salario ritenuto inadeguato rispetto
ai compiti richiesti dal 71% dei docenti che hanno partecipa-
to al questionario35.
34. Anche le risposte dei docenti di ISSM che si dichiarano insoddisfatti del
proprio lavoro (il 15% degli intervistati) fanno principalmente riferimento
a fattori organizzativi e ambientali (l’eccessiva burocratizzazione del lavoro
e le altre modifiche post-riforma, per il 48%; l’ambiente di lavoro, per il
28%; la precarietà lavorativa e professionale, per il 9%) o a ripensamenti ri-
spetto al non aver intrapreso professioni più redditizie o prestigiose (6% per
ciascuna delle opzioni). In misura minima l’insoddisfazione professionale è
legata a rimpianti per non avere portato avanti un altro tipo di carriera in
campo musicale (3%).
35. Da quanto dichiarato dai partecipanti, il salario medio mensile al netto dei
contributi si attesta tra i 1.500-2.000 € per la gran parte degli intervistati (il
75%), tra 2.000-2.500 € per il 16%, mentre per il 5% risulta inferiore ai 1.500
€. Approfittiamo dell’argomento per segnalare l’ingiusto trattamento subito dalla
categoria dei docenti di accompagnamento pianistico, che con le altre categorie di
docenti condivide compiti e incombenze, ma rispetto a queste risulta inquadrata
dal Contratto nazionale del settore AFAM in una fascia inferiore dal punto di
vista normativo e retributivo.
266
Fig. IV.10 - Tra i seguenti, quale indicherebbe come motivo principale
della sua soddisfazione professionale? (valori percentuali)
267
mente dalle interviste qualitative, non consente di approfondire
le risposte – in riferimento al fatto che la docenza in Conserva-
torio non è vissuta come un’attività diversa, bensì pienamente
coerente, con l’habitus professionale al quale i docenti sono stati
socializzati all’interno del vecchio ordinamento.
A rafforzare tale interpretazione concorre l’analisi delle scelte
effettuate dai docenti alla richiesta del questionario di indicare
tre categorie – esclusa quella di docente – per descrivere la pro-
pria professione: la rosa proposta, sebbene presenti un margine
di ambiguità interpretativa – data dal fatto che talvolta la stessa
categoria è utilizzata con significati differenti o diverse categorie
presentino confini sfumati o sovrapposti36 – consente di avere
utili indicazioni orientative sul modo in cui i docenti intendono
la propria identità professionale. A livello complessivo, prevale
tra le opzioni proposte la categoria di “studioso” (con il 26%
36. Il vocabolario Treccani offre le seguenti definizioni delle categorie proposte nel
questionario: studioso, “chi studia per professione (…) ricercatore, scienziato, per
estensione a. [persona molto colta] ≈ dotto, erudito. ↔ ignorante, incolto, b. [persona
che conosce in modo approfondito una determinata disciplina] ≈ cultore, esperto,
specialista”; specialista, “chi si è specializzato in un particolare settore di una scienza,
di un’arte o di una professione (…) con questo significato, ha talora valore generico,
altre volte è termine specifico di qualifiche professionali”; artista, “chi esercita una delle
belle arti (spec. le arti figurative, o anche la musica e la poesia), come termine di clas-
sificazione professionale e dell’uso comune, anche chi svolge attività nel campo dello
spettacolo (…) il termine implica spesso un giudizio di valore ed è allora attribuito a
chi nell’arte professata ha raggiunto l’eccellenza”; interprete, “chi interpreta, cioè spiega,
commenta, espone il senso delle parole dette o scritte da altri, il contenuto di un testo
e simili, e più genericamente, chi chiarisce o rivela il significato di cosa oscura, dub-
bia, non manifesta (…) attore teatrale, lirico, televisivo o cinematografico, in quanto
interpreta una parte”; creativo, “aggettivo relativo al creare e alla creazione (…) nella
tecnica della pubblicità, chi ha il compito di ideare i testi e le immagini per la cam-
pagna pubblicitaria di un prodotto, suggerendo proposte che siano insieme inedite
e persuasive, capaci di raggiungere con immediatezza i fini prefissati”; artigiano, “chi
esercita un’attività (anche artistica) per la produzione (o anche riparazione) di beni,
tramite il lavoro manuale proprio e di un numero limitato di lavoranti, senza lavo-
razione in serie, svolta generalmente in una bottega” (www.treccani.it/vocabolario).
268
delle preferenze), seguita da quelle di “artista” e di “interprete”
(rispettivamente, con il 18% e il 16% delle preferenze), le quali
insieme raccolgono il 34% delle preferenze (fig. IV.12).
Pop. di rif. 52 Pop. di rif. 434 Pop. di rif. 116 Pop. di rif. 216 Pop. di rif. 92 Pop. di rif. 126
269
carriera artistica), che si identificano prioritariamente con le ca-
tegorie di ‘artista’ e ‘interprete’. La categoria di “studioso” rag-
giunge i livelli più alti tra i docenti di discipline musicologiche,
più facilmente associati per percorso formativo alla figura del
professionista colto ed erudito, che conosce approfonditamente
la sua disciplina; tale significato della categoria di ‘studioso’ la
avvicina a quella di ‘specialista’, complessivamente scelta da que-
sti docenti come seconda preferenza (18%). Tuttavia risulta la
categoria che ottiene il maggior numero di preferenze anche per
i docenti appartenenti a tutte le altre discipline (da B-E): nelle
interviste in profondità emerge però un loro diverso utilizzo del
termine, in senso più letterale e ampio, che lo riferisce a “chi
studia per professione”: tale significato fa riferimento ad una
concezione inclusiva del sapere, che non pone un divorzio tra
mano e testa, tra teoria e pratica (Sennett 2008), coerente con
l’habitus professionale definito all’interno del Conservatorio del
vecchio ordinamento.
270
sione musicale; la monocultura musicale arroccata entro il cano-
ne classico-romantico. A tali pressioni se ne aggiungono altre a
carattere esogeno – considerate nel terzo capitolo – legate in par-
ticolar modo allo storico isolamento istituzionale dell’istruzione
musicale professionalizzante all’interno del più ampio sistema di
istruzione nazionale italiano.
Tuttavia il modello resiste a tali pressioni fino alla fine del No-
vecento, quando è approvata la legge di riforma (n.508/1999),
che colloca Conservatori, Accademie e altri Istituti artistici nel
livello terziario di istruzione, all’interno del neonato settore
dell’Alta formazione artistica e musicale (AFAM). Ricostruiamo
dunque di seguito le principali caratteristiche del modello regola-
tivo adottato dal nuovo ordinamento dei Conservatori a seguito
della Riforma. Anche in questo caso la ricostruzione si basa sul
questionario autosomministrato ai docenti e sulle interviste re-
alizzate con docenti, studenti e altri attori informati. L’arco di
tempo di regolazione del nuovo modello risulta piuttosto limi-
tato, rispetto a quello tradizionale appena considerato: come già
visto nella prima parte, la sua applicazione è stata piuttosto lenta,
per un lungo tratto accompagnata dalla persistenza (formale e
informale) del vecchio ordinamento, e tutt’ora risulta incomple-
ta. Eppure, come vedremo, alcune peculiarità del modello emer-
gono già in maniera piuttosto evidente, definendo un insieme
di regole modellate sull’organizzazione universitaria – così come
recentemente riformata a seguito del Processo di Bologna – che
confliggono radicalmente con l’habitus riprodotto per un secolo
all’interno del vecchio ordinamento dei Conservatori.
271
appartenente al livello terziario di istruzione, cui accedere con
un diploma di livello secondario e con un livello di preparazione
musicale di base; tuttavia non prevede le istituzioni deputate alla
formazione musicale di base, necessaria per l’accesso al livello ter-
ziario, privando così il nuovo Conservatorio del necessario vivaio
(es. IV.154).
Es. IV.154 -Docente di ISSM di quartetto d’archi, maschio, 55 anni:
Cosa è successo? È successo che ai Conservatori si è detto: “Attenzione,
voi da domani non avrete più la preparazione di base, ma avrete solo
l’universitario: quindi avrete il famoso 3+2 e vi prenderete i ragazzi
grandi che stanno già suonando”. Quello che succede prima del 3+2
nessuno lo ha mai messo in pratica, nel senso che non state create le
scuole medie [musicali], non sono stati creati i licei musicali, per cui
siamo piombati in una situazione di panico totale…
272
stato definito sin dagli anni Sessanta dal Comitato Musica e Cul-
tura guidato da Andrea Mascagni. Tra gli intervistati più giovani,
chi è passato per questo tipo di formazione ne serba un ricordo
estremamente positivo e gioioso, in particolare legato alla condi-
visione con i propri compagni di scuola dell’esperienza di suona-
re uno strumento e del fare musica insieme (es. IV.155-156). Si
tratta inoltre di un modo per i giovani di avere una conoscenza
diretta, e dunque meno superficiale, di un numero più ampio di
strumenti musicali (es. IV.157).
Es. IV.155 - Flautista, maschio, 30 anni:
Quando mi sono iscritto alla scuola media mio padre mi ha iscritto
all’indirizzo musicale ancora sperimentale (…) gli anni più belli della
mia vita li ho vissuti proprio alla scuola media, dove avevamo una classe
dove suonavano tutti uno strumento, avevamo un’orchestra…
273
dei percorsi standard dell’istruzione nazionale e, in particolare,
nel suo segmento scolastico più prestigioso – quello liceale – è
stato dunque identificato un segnale di riabilitazione dell’arte e
della musica nella sfera della cultura legittima nazionale:
A ben vedere, allora, l’attivazione del Liceo musicale e coreutico rappresen-
ta un rinnovamento nella concezione stessa della scuola italiana, a lungo
refrattaria a riconoscere dignità culturale e formativa in generale all’arte e,
in particolare, a suono, note, movimento, corpo. [Berlinguer 2014: 13]
274
Neppure i più entusiasti commentatori del tentativo di ver-
ticalizzazione dell’apprendimento della pratica musicale na-
scondono tuttavia la portata dei limiti e delle criticità che esso
presenta al momento, tali da pregiudicare la riuscita dell’intero
progetto (Berlinguer 2014: 14). Il numero di istituti che preve-
dono l’indirizzo musicale risulta ancora piuttosto ridotto e di-
stribuito in maniera disomogenea nel territorio e la loro offerta
didattica è spesso limitata agli strumenti più conosciuti e richiesti
dalle famiglie; l’identità dei percorsi liceali, in particolare, risulta
ambigua rispetto alle finalità di formazione di tipo generalista o
invece professionalizzante; più in generale, manca un raccordo,
tra i diversi livelli della formazione pratica musicale (primario,
secondario, terziario), ovvero un approccio sistemico che consen-
ta di definire dei percorsi di studio caratterizzati da continuità e
consequenzialità. Tali limiti non consentono dunque al sistema
scolastico pubblico di offrire ai Conservatori post-Riforma un
adeguato vivaio di studenti con una preparazione idonea ad un
ingresso al livello accademico della formazione musicale profes-
sionalizzante (Roselli 2015: 104-105).
Limiti significativi presenta anche l’offerta privata di forma-
zione musicale di base, proposta sia da singoli docenti – spesso
seguendo l’approccio tradizionale del Conservatorio –, che da un
numero crescente di scuole, molte delle quali si ispirano a me-
todi didattici specificamente ritagliati sulle diverse tipologie di
utenti, focalizzate in particolare sull’infanzia. Il problema rilevato
da diversi docenti di Conservatorio intervistati rispetto ad una
formazione di base realizzata attraverso tali scuole evidenzia – al
di là di una mal celata disapprovazione verso accostamenti poco
reverenziali, ritenuti quasi blasfemi, allo studio di strumenti della
tradizione classica – un problema legato all’esigenza di tali scuo-
le di rispondere alle richieste dell’utenza per risultati immediati.
Tale esigenza porterebbe i loro docenti a sacrificare i tempi richie-
sti per l’incorporazione di una corretta postura allo strumento,
275
alla gratificazione del bambino (e della sua famiglia) nel riuscire
a suonare subito canzoni o pezzi orecchiabili. Ciò porta spesso i
bambini ad incorporare una impostazione tecnica scorretta che,
per chi desiderasse proseguire gli studi musicali ad un livello più
avanzato, può rappresentare un ostacolo all’avanzamento forma-
tivo e per correggere la quale si rende necessario un faticoso pro-
cesso di rimozione delle prassi improprie ormai sedimentate e di
lenta ri-appropriazione corporea dello strumento attraverso un
approccio correttamente impostato (es. IV.160,161). La tensio-
ne tra i tempi e le modalità dell’apprendimento giocoso e quelli
richiesti dallo studio tecnico nella formazione musicale di base
rappresenta un dilemma didattico che – come vedremo – si im-
pone drammaticamente anche nel Conservatorio post-Riforma.
Es. IV.160 - Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:
Il fatto di mettere un bambino a suonare [subito], il fatto del diverti-
mento: l’impostazione iniziale è un imprinting; non puoi far suonare lo
strumento con l’arco tenuto come il bastone della scopa. Una volta che
il bambino inizia a suonare con l’arco tenuto così, poi è difficilissimo
correggerlo, anche la mano sinistra.
276
la a carattere professionalizzante per la formazione di musicisti
professionisti (es. IV.162), ma anche la reputazione basata sulla
garanzia di un buon livello qualitativo nella preparazione degli
allievi, sebbene focalizzata sugli aspetti performativi e carente dal
punto di vista culturale (es. IV.163).
Es. IV.162 - Docente di ISSM di quartetto d’archi, maschio, 55 anni:
[P]rima (…) il Conservatorio aveva una sua caratteristica, una sua per-
sonalità: si cominciava a dieci anni, undici anni, nove anni e si andava
avanti per dieci anni - la maggior parte degli studenti - quindi c’era una
sorta di aiuto alla preparazione, di compagnia nel percorso fino al diplo-
ma: normalmente l’insegnante era il secondo papà o la seconda mamma,
diventava una seconda famiglia e questo faceva sì che tu crescessi e fino al
diploma avessi qualcuno su cui contare (…) Queste son le cose positive:
(…) si passava la vita sullo strumento, si passava tutto il percorso, tutta
la vita scolastica si passava con lo strumento, dal primo fino all’ultimo
anno: orchestra, musica da camera, lezioni, concerti, saggi (…) La parte
negativa era che lo strumentista (…) era anche molto limitato come aper-
tura e come orizzonti, perché non si toccava tutto il resto, non si toccava
il piano, non si toccava composizione, non si toccava la storia della musi-
ca, solo marginalmente, l’armonia, tutto quello che fa di un musicista un
musicista completo, questo era un po’ tutto sottovalutato…
277
delle conseguenze sul sistema. I limiti dell’offerta di formazione
musicale di base esterna, uniti all’eccedenza numerica e all’inade-
guatezza didattica del personale docente rispetto alle dimensioni e
alle caratteristiche di una domanda per la formazione musicale pro-
fessionalizzante di livello terziario, costringe infatti i Conservatori
– a fronte di un rischio di chiusura – ad accettare utenti dai profili
assai differenti rispetto a quelli richiesti dalla nuova collocazione.
Innanzitutto, l’eliminazione dell’età massima per le iscrizioni
in Conservatorio – ripresa dalle regole universitarie aderenti alla
logica promossa dalla Commissione europea dell’apprendimento
permanente (lifelong learning) – consente di iscrivere un numero
rilevante di allievi di età avanzata, difficilmente in grado di incor-
porare le capacità tecniche necessarie per sostenere i programmi
di studio più avanzati previsti dalla formazione strumentale o vo-
cale accademica (es. IV.164,165) e comunque dichiaratamente
senza i propositi della professionalizzazione prevista invece come
obiettivo formativo degli Istituti.
Es. IV.164 - Direttore di ISSM:
[C]i sono molte analogie anche con lo sport [nella formazione musica-
le], perché anche nello sport c’è questo problema: se uno vuole impa-
rare a nuotare per andare ad Ostia e non affogare quando fa il bagno è
una cosa; se invece vuole andare alle Olimpiadi a fare i cento metri stile
libero, deve cominciare da quando ha sette, otto anni con tre, quattro
ore al giorno di vasca…
278
vigore delle norme di riordino del settore (l. n.508/99, art.2.8),
si traduce nella predisposizione di una corposa offerta di corsi
‘pre-accademici’, che ripropone una versione parziale ed edulco-
rata del vecchio ordinamento a giovani iscritti, spesso senza alcu-
na intenzione di dedicarsi allo studio approfondito della musica,
socializzati a modelli educativi difficilmente compatibili con la
costruzione dell’habitus del musicista professionista (es. IV.166).
Es. IV.166 -Docente di ISSM, femmina, 55 anni:
[Q]ui iniziano i guai (…) perché il Conservatorio, per catturare più
utenza possibile, diciamo, non disdegna chiudere un occhio sull’evi-
dente mancanza di qualità specifiche, ma soprattutto sulla mancanza di
motivazioni che hanno questi ragazzini, molti di quelli che abbiamo…
Cosa succede? Succede che senza quel tot di qualità, senza quelle moti-
vazioni, seguire un percorso come il nostro diventa una tortura, punto.
E se fossi una mamma, sapendo quello che so, lo porterei via io mio
figlio dal Conservatorio.
279
Es. IV.167 - Direttore di ISSM:
Io dico che adesso il Conservatorio deve essere una scuola professiona-
lizzante: chi fa il Conservatorio lo deve fare solo perché non dico che
intende fare la professione, ma intende avere una preparazione tale da
poter fare la professione. Questo vuol dire professionalizzante. Deve
essere una persona che ha tempo, che ha voglia, che è un minimo do-
tato, che arrivi ad avere una preparazione da fare la professione. Poi a
ventidue anni si laurea in architettura e fa l’architetto, comunque noi il
compito l’abbiamo svolto: noi dobbiamo preparare professionalmente.
Questo può farlo solo al Conservatorio [riferendosi all’offerta dei licei,
ndr] perché è anche una questione di mezzi, strumenti…
280
chissimo, filtrato di secoli (…) piano piano, questa musica sta diventando
lontana, lontana come sensibilità (…) Il pianoforte (…) è ancora uno stru-
mento che sta nell’immaginario delle persone, il suo repertorio solistico è
quello che lo salva [rispetto agli strumenti orchestrali], ed è duttile, perché
mentre il ragazzo che suona il pianoforte può farsi un percorso anche co-
siddetto classico e poi virare al jazz e poi virare anche alla musica leggera,
comunque si trova un patrimonio utile. Se io mi iscrivo a oboe, cosa faccio?
In orchestra non c’è più posto, dove vado? (…) [I genitori] non vogliono
che i figli facciano [strumenti sconosciuti]: “Cosa fai? Oboe?”.
281
organico a fine anni Novanta – che esercita sempre minore forza
attrattiva sugli studenti, si assiste ad una domanda crescente per i
corsi non classici previsti nella nuova offerta formativa (jazz, pop,
musica elettronica, batteria, chitarra elettrica), cui già da tem-
po corrispondeva una domanda, intercettata e riconvertita dai
Conservatori pre-Riforma nell’offerta del vecchio ordinamento
(come visto nel capitolo precedente).
Tale andamento è inteso dai docenti nei termini di una fer-
rea correlazione inversa (mors tua, vita mea), guidata dalla logica
a somma zero incentivata dai meccanismi del reclutamento: la
Riforma non ha infatti portato all’assegnazione di posti di ruolo
aggiuntivi per i docenti di nuove materie, assunti con contratti
a tempo a seconda dei fondi disponibili negli Istituti, e inclusi
in organico solo a seguito della soppressione di cattedre del vec-
chio ordinamento (es. IV.173). L’avanzata degli abitanti dell’Isola
del Jazz è dunque vissuta da molti docenti residenti nella Terra
dell’Armonia, incardinati in organico, come una sorta di desti-
tuzione dal ruolo di sovrani assoluti nel campo della formazione
musicale classica, da parte di un gruppo di facinorosi abusivi.
Es. IV.173 - Docente di ISSM, maschio, 60 anni:
[P]er me sarebbe stato meglio fare un’altra scuola statale, proprio per non
creare questa contrapposizione. Perché poi, a questo punto, è sempre un
problema di risorse: allora le liti (…) in Consiglio Accademico probabil-
mente nascono da questioni di risorse, perché il corso di jazz ha molti inse-
gnanti che sono pagati a contratto, come esterni, quindi quei posti costano
e allora bisogna cercare di convertire le classi dei pensionati della parte clas-
sica, per prendersi loro delle cattedre pagate direttamente dallo Stato per
averle in organico. Si può ancora fare, perché ci sono troppe classi di alcuni
strumenti classici (…) ma da qui a fare una guerra per dire quali classi
servono di più… Anche perché non è che jazz abbia tutto questo seguito
nelle sale da concerto: son sempre piccoli club (…) a parte i grandi festival.
Anche se io ascolto anche quella musica, mi piace, l’ho suonata, non ho
nessun pregiudizio, però se noi stessi non difendiamo la classica… È un
po’ come se nei licei classici dicessero: “Ma cosa insegniamo ancora latino e
greco: ormai non serve più!”.
282
La nuova gerarchia tra i corsi che si fa strada nel Conserva-
torio post-Riforma, sulla base degli indici di gradimento, si ri-
specchia talvolta in un ribaltamento della distribuzione spazia-
le delle risorse interne dell’Istituto, che vede assegnate ai nuovi
dipartimenti le migliori aule e attrezzature (es. IV.174). Alla ri-
strutturazione secondo la popolarità dei corsi corrisponde inoltre
una nuova articolazione dei divari di genere: come abbiamo visto
nella prima parte, se i corsi dell’offerta tradizionale sono gradual-
mente femminilizzati (con l’eccezione di alcuni strumenti dal re-
gistro più grave), quelli di nuova istituzione restano fortemente
segregati (con l’eccezione delle classi di canto); un dato coerente
con quanto riscontrato anche in altri paesi (Ravet e Coulangeon
2003, Buscatto 2007).
Es. IV.174 - Docente di ISSM di tromba jazz, maschio, 40 anni:
[U]n’altra cosa a proposito del Dipartimento Jazz: in realtà, parados-
salmente sembra il contrario [rispetto al passato]. [Oggi] noi abbiamo
le aule migliori, le più nuove, le più attrezzate, possiamo gestirci come
vogliamo, perché – parliamoci chiaro – chi è nel direttivo dei Con-
servatori, di solito di jazz ne sa poco o niente, quindi non potendo
direttamente mettere mano è costretto a lasciar fare. Infatti negli esami
di laurea il direttore deve essere in commissione, però non mette mai
bocca: ascolta, però ti rendi conto che è anche lui un alunno, in un
certo senso, perché non ne sa niente. Per cui possiamo dire boiate e
castronerie: poi per onestà intellettuale non lo facciamo!
283
ne classico soffrono del pregiudizio di essere facilmente accessibili
anche senza un bagaglio di conoscenze musicali preliminari.
Es. IV.175 - Docente di ISSM di clarinetto, maschio, 50 anni:
[I]o sono un po’ critico su queste nuove classi di musica jazz: ti ho detto
prima che credo sia fondamentale, importantissimo [includerle], però
il reclutamento di questi giovani: fai due accordi, due motivi, invece
noi ai nostri [di indirizzo classico] per farli entrare li massacriamo, e
questi qui fanno due cosette. E allora, dico, non va bene: ho capito il
jazz, ma non è che non sai solfeggiare due semiminime… questa è un
po’ la contraddizione. Però, sai, adesso il Conservatorio 70-80% sono
di questi [iscritti in corsi non classici, ndr], quindi è diventato una sorta
di mercato. Vendi, vendi, ma se non c’hai clienti, che cosa vendi?
284
europeo e in Italia (Bleiklie et al. 2013, Viesti 2016, De Feo e Pi-
tzalis 2017), per il quale i servizi delle organizzazioni legittimate
alla produzione di alta formazione rappresentano dei beni pri-
vati, rispondenti ad una specifica domanda (in particolare quel-
la degli studenti e delle loro famiglie), e non più beni pubblici,
la cui produzione è finanziata e regolata dallo Stato e delegata
operativamente a comunità accademiche, in quanto esclusive de-
positarie del sapere necessario a decidere come organizzare tale
produzione (Regini 2015).
Es. IV.178 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio: 50 anni:
Una cosa che volevo dire in generale: attenzione che noi stiamo entran-
do in un campo che non riguarda solo le peculiarità del Conservatorio,
stiamo entrando in un campo di mali comuni all’Università. Se io devo
fare una valutazione (…) in realtà la riforma del 3+2 è una follia, è un
delirio europeo (…) Perché? La logica dei numeri penalizza tutte le
discipline artistico-umanistiche (…) tutti questi problemi sono foto-
copia di quello che sta avvenendo all’Università, dove se c’è un corso
di epigrafia greca, dal momento che ha pochi studenti, chiude; mentre
invece le facoltà che si occupano di scienze della comunicazione, ecce-
tera, quelle che sono più in voga, prosperano (…) Come l’audience in
televisione: allora noi abbiamo uno share: “Perché quanti studenti hai?
Allora il tuo corso è attivato!”. È una follia, perché se uno insegna una
disciplina che è elitaria, che però ha una sua necessità in un campo
artistico (…) Noi non possiamo fare assolutamente nulla: il fatto che ci
sia una Riforma [dei Conservatori] a costo zero è una pura follia, però
rientra in un quadro complessivo: anche l’Università è a costo zero; ci
sono delle facoltà che si autofinanziano, ci sono i contratti eroici (…)
per cui se un professore vuole fare un corso lo fa gratuitamente, per il
puro piacere di insegnare: cioè, è una follia!
285
rio tradizionale, prevale un atteggiamento di resistenza passiva al
cambiamento, accompagnato da una rassegnata accettazione di
un destino professionale votato ad una prossima estinzione. Tra i
docenti di nuove materie, meno radicati nel Conservatorio, si ri-
scontra un atteggiamento più individualistico e distaccato rispet-
to al problema della crisi identitaria dell’Istituzione. In entrambe
le categorie, tuttavia, si rilevano casi di docenti la cui storia per-
sonale (fatta, ad esempio, di esperienze formative e professionali
che attraversano diversi mondi musicali o di azioni di impren-
ditorialità culturale, individuale o collettiva, esercitate anche
all’esterno dell’Istituto) offre le risorse necessarie per prospettare,
anche all’interno di una cornice sfavorevole, nuovi scenari. Tra
questi, ad esempio, il superamento da parte del Conservatorio
della tradizionale chiusura autoreferenziale – derivante dai suoi
tratti originari di istituzione semi-totale –, attraverso una ester-
nalizzazione delle proprie attività formative e produttive, che lo
porti a diventare “da diga a fiume in piena“(estratto IV.179); o
l’adozione di un approccio “fluido” ai diversi linguaggi musicali,
trasformando la coabitazione tra classici e moderni da un ‘gioco
a somma zero’ – dove i vantaggi di una parte corrispondono alle
perdite dell’altra – in un ‘gioco a somma positiva’ (De Leonardis
1998: 114), che porta a condividere i vantaggi offerti dalla coo-
perazione (es. IV.180).
Es. IV.179 - Docente di ISSM di viola, maschio, 60 anni:
È faticosissimo: ci son delle cose che potrebbero, come dire, ridare va-
lore alla Scuola [ad esempio, fare i saggi] nelle scuole elementari di zone
disagiate e depresse culturalmente e anche socialmente (…) poi inviti
qui (…) ma la Scuola deve straripare da qui, invece siamo in una diga!
286
utenza, i giovani ed i bambini delle scuole medie convenzionate (…) fa-
cendo loro capire con concerti, con attività, che esistono tantissimi stru-
menti, che non ci sono solo la chitarra e la batteria. Perché il vantaggio
se studi fagotto qual è? È vero che ti dedichi ad una musica specialistica,
ma (…) se impari a suonare bene il fagotto, in un certo senso hai meno
concorrenza, ed è uno strumento meraviglioso: il problema non è avere
in futuro gli stessi studenti di jazz o toglierli al jazz (…) ma salvaguardare
un elemento fondamentale della nostra [cultura].
287
ganizzazione è in discussione in Parlamento al momento della
stesura del volume – hanno visto una dilatazione della durata
della formazione di base che in genere si estende all’intero ci-
clo della scuola secondaria, ovvero otto anni, un periodo che
nel Conservatorio del vecchio ordinamento coincideva con il
conseguimento del diploma, per alcuni strumenti e discipline,
o comunque con il raggiungimento di un livello di formazione
avanzata, per i corsi di durata decennale.
Alla dilatazione dei corsi di base hanno contribuito, prin-
cipalmente, due ordini di fattori. Da un lato vi sono state le
pressioni dei docenti, a fronte di una inadeguata domanda
di formazione di livello accademico, di completare il proprio
monte ore attivando una serie di corsi nel livello pre-accademi-
co. Ciò ha creato nei percorsi di studio pre-accademico degli
studenti una dispersione didattica che ostacola la costruzione di
un bagaglio coerente e solido di competenze di base e l’orienta-
mento funzionale di queste allo studio del corso principale (es.
IV.181), problemi che – come vedremo – si ripresentano anche
nel livello accademico, sebbene la loro rilevanza vari a seconda
del contesto specifico (es. IV.182).
Es. IV.181 - Docente di ISSM, maschio, 50 anni:
Il grande problema è stato l’istituzione del preaccademico. Nel mo-
mento in cui si lascia libertà di scelta, bisogna vedere come viene utiliz-
zata. Allora cosa è successo: hanno iniziato a spalmare gli insegnamenti,
a diversificare materie come solfeggio e compagnia e a renderli infiniti.
Ho avuto allievi che dopo tre anni di solfeggio alle scuole medie erano
ancora al I volume [di esercizi] (…) Gli insegnanti hanno cominciato
ad avere tutti paura [di perdere il posto], quindi hanno messo tutti gli
insegnamenti dentro il pre-accademico: gli insegnanti di canto corale,
storia della musica e armonia che chiedono quattro anni precedenti
all’accademico; gli esami di ammissione al triennio sono subordinati
a un esame di storia della musica, armonia e solfeggio, che è assurdo -
capisco solfeggio, ma una materia nozionistica studiata in due mesi non
può avere lo stesso veto nell’ammissione dei ragazzi di studi che durano
sette o otto anni...
288
Es. IV.182 - Direttore di ISSM:
Qui dipende da Conservatorio a Conservatorio: [nel nostro] gli esami
di ammissione sono abbastanza difficili, se si vuole entrare bisogna pre-
pararsi. Poi [l’allievo] sa che studierà qua. Come in molte cose il titolo
di studi è uguale, ma la preparazione è diversa.
289
contrastano perciò fortemente con l’habitus di rigore, disciplina,
compostezza, obbedienza, concentrazione, sul quale si basava la
tradizionale formazione musicale professionalizzante del Conser-
vatorio (es. IV.183, 184). Lo spirito di sacrificio richiesto agli
allievi nel modello tradizionale, inoltre, non trova più una spon-
da nei genitori, maggiormente orientati ad un permissivismo nei
confronti delle scelte dei figli (es. IV.185), e ad un’iperprotezione
che tende a preservarli da difficoltà, privandoli però al contempo
delle gratificazioni derivanti dalla capacità di conquistarsi da soli
i propri traguardi (es. IV.186).
Es. IV.183 - Docente di ISSM, femmina, 55 anni:
[T]i faccio un esempio pratico: i bambini di adesso, mediamente - com-
plice l’educazione e i mezzi con cui loro hanno a che fare tutti i giorni,
mezzi elettronici, digitali, ma anche l’educazione che ricevono, che li
spinge alla motorietà molto spinta - (…) sopportano malissimo questa
autodisciplina - che è invece è più vicina alla cultura orientale - che ab-
biamo noi [in Conservatorio], che è tutta interiore, di ricerca di sensa-
zioni dentro il corpo, molto composta, molto nella mente, meditazione,
riflessione, continua ricerca di qualcosa di ineffabile in fondo… Questi
bambini vogliono giocare, vogliono muoversi, si stufano molto presto…
290
vero che, come per tutte le materie, i bambini davanti alle difficoltà
si fermano e preferiscono fare le cose più semplici e più immediate.
Bisogna fargli capire, e indirizzarli in questo senso, che per ottenere
dei traguardi più importanti bisogna faticare di più e dedicare il
proprio tempo…
291
Es. IV.187 - Pianista, femmina, 35 anni:
Però è anche vero che come approccio, soprattutto nelle nostre gene-
razioni ma ancora di più oggi, i genitori vendono lo studio di uno
strumento, della musica, come un qualcosa di secondario, che comun-
que viene dopo le materie principali che vengono insegnate a scuola:
bisogna quindi andare bene prima in matematica, in storia, etc. e poi se
si va bene anche musica ben venga. In realtà se si desse lo stesso peso,
sia nella formazione del bambino [da parte del genitore], ma anche il
peso a scuola dei docenti alle diverse materie, anche alla musica, i bam-
bini sarebbero spronati maggiormente: anche la matematica richiede
costanza, se si abbandona o se si saltano alcuni passaggi diventa più
problematica, se si è costanti nello studio diventa abbordabile.
292
Es. IV.189 - Docente di ISSM di musica elettronica, 50 anni, ma-
schio:
[I]l problema, ad esempio, come fare a mandare via i ragazzi se i ragazzi
non studiano, eccetera: noi siamo anche sotto ricatto, perché la Rifor-
ma si fa a zero costi, cosa assurda; la Riforma si fa con personale non
formato per fare i nuovi tipi di corsi, cosa assurda; e la Riforma si fa
che se ci sono le iscrizioni funziona e se non ci sono non funziona più:
questa è una cosa che mi devasta la vita dell’attività didattica, perché
sapere che il ragazzo deve essere tenuto dentro perché paga le tasse,
anche se prende tutti 18, non mi permette di dedicarmi con il giusto
[impegno]...
293
tivi o ricreativi – non vi trascorrono più insieme una parte signi-
ficativa del loro tempo. La dimensione comunitaria pare erodersi
anche per la popolazione dei docenti, frustrati a fronte di nuovo
modello didattico che ne ridimensiona notevolmente compiti e
funzioni e di un contesto lavorativo caratterizzato da incertezza
organizzativa e frequente antagonismo tra colleghi.
La dimensione comunitaria, tanto dell’apprendimento quan-
to della didattica in Conservatorio nel vecchio ordinamento, che
creava tra gli allievi e tra i docenti un forte senso di appartenenza
all’organizzazione, attivando circoli virtuosi di crescita e miglio-
ramento, lascia dunque spazio ad un modello di formazione in-
dividualizzata e standardizzata, dove le relazioni terminano con
l’erogazione del servizio prestato. In tal modo il Conservatorio per-
de i suoi tratti istituzionali distintivi, per assumerne nuovi che lo
rendono più simile all’attuale Università italiana (es. IV.191-193).
Es. IV.191 - Docente di ISSM di fagotto, maschio, 55 anni:
Allora, io cerco di darmi delle risposte rispetto a quanto accade attorno.
Molto [del fatto che gli studenti studiano poco] dipende dall’ambiente.
Perché gli anni che studiavo io, c’erano [Pinco Palla, nomina un celebre
violinista, ndr] e tanta gente capace: c’era tanta gente brava in Conser-
vatorio, la gara era a chi era più bravo e c’era una competizione legata a
tutti gli strumenti. In questi anni, intanto c’è la privacy: nessuno deve
sapere niente dell’altro… Tu vedi queste figure, non sai chi sono, non
sai se stanno suonando, non li senti mai suonare: non c’è più il saggio
aperto obbligato di tutti, non c’è più una vita di comunità e soprattut-
to non c’è, proprio la soddisfazione dell’esser bravi, si gioca all’essere
nascosti (…) Adesso non c’è nessuno [in Conservatorio]; noi ci tro-
vavamo: “Cosa facciamo, suoniamo?”. Avevamo anche tutto il tempo,
nessuno faceva la doppia scuola. [Adesso invece] e karate, e ginnastica,
tutto relegato con la stessa importanza, che è periferica, il punto centra-
le è il liceo - ma neanche tanto…
294
gno, uno li fa a maggio: non c’è attrattiva, capito? Non c’è quel segnale
forte che il Conservatorio dava prima: l’auditorium in una settimana di
saggi sempre pieno, venivano tutte le scuole del circondario, gli amici
degli amici degli amici della scuola media (…)
40. Si tratta di uno strumento del quale ancora una grossa parte degli istituti
non ha compreso la rilevanza, in termini di comunicazione interna e promozio-
ne esterna, come appurato durante la ricerca.
295
terno del nuovo modello Conservatorio – i quali oppongono alle
nuove iniziative forme di resistenza passiva o attiva, realizzate di-
sinteressandosi alle iniziative e disertandole o invece screditando-
le o denigrando chi le promuove (es. IV.195-197).
Es. IV.194 - Docente di ISSM di percussioni jazz, maschio, 55 anni:
[S]econdo me l’assetto universitario deve valorizzare nella formazione
la produzione, cioè la formazione migliore è quella, soprattutto ad alti
livelli, che dall’inizio, integra lo studio individuale degli esercizi con le
produzioni musicali… Cioè questo [il Conservatorio] deve essere un
centro di cultura musicale. Noi dobbiamo avere dei cartelloni tematici
su tutte le aree musicali: musica antica, musica contemporanea, mu-
sica d’orchestra… invece che succede? Non abbiamo la possibilità di
attivare laboratori perché mancano gli spazi, mancano gli strumenti,
mancano le infrastrutture, non abbiamo montacarichi… gli strumenti
non si possono spostare comodamente: è una struttura che funziona
male e crea un disagio infernale!
296
Es. IV.197 - Docente di ISSM di viola, maschio, 60 anni:
[L]a Scuola [il Conservatorio] comunque è un organismo che soffre di
tante gelosie, come tutte le scuole e come tutti gli istituti, per cui, io
che faccio tante cose al di fuori della Scuola, ho fatto delle cose anche
dentro la Scuola, ma sempre con troppe difficoltà, per cui c’è stato un
periodo in cui ho lasciato. Adesso invece sto riprendendo ma in una
chiave diversa, perché ho capito che, per quanto tu voglia fare delle
cose disinteressatamente, proprio in maniera totale, c’è sempre chi dice
che tu invece hai interessi e siccome io ho veramente altro a cui pen-
sare, allora ho preferito [adottare un profilo] molto più basso, molto
più tranquillo (…) e collaboro con la mia Associazione per quelle che
sono le spese, ovviamente: perché il Conservatorio soldi non ne ha,
come tutti gli istituti e istituzioni italiane versiamo in dolorose vicende
finanziare: solo così ho ricominciato a collaborare con la Scuola, ma in
maniera molto più tranquilla…
297
Es. IV.198 - Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:
Adesso sono veramente disperato (…) [i pochi iscritti] non hanno la
passione, la voglia, lo stimolo di crescere, di fare veramente… Tu dirai:
“Ma tu pensi troppo a quello che è il tuo passato e non a quello che è
il presente, perché oggi giorno devi mettere sul piatto anche la società
di oggi, dei ragazzi, il modo di comportarsi, i telefonini, quindi molte
distrazioni; prima non c’erano queste cose, quindi devi accontentar-
ti”. Ma anche mettendo in conto tutto questo, è difficile, non riesco
a tirarne fuori succo. Allora ti chiedi ogni tanto: “Ma dovrò cambiare
approccio?”. Però è difficile anche pensare quale approccio devi avere:
che lo lasci fare o che tu conduci il gioco e lo indirizzi verso la sua
crescita? Diventa veramente complicato. Adesso con questi bambini
cerchi di aiutarli, gli fai fare canzoncine divertenti, Che bella fattoria,
cosettine, cercando sempre di correggere il tiro per quanto riguarda la
preparazione di base, che è molto importante. Lì c’è l’arma a doppio
taglio, perché facendo troppo queste cose loro si divertono a fare queste
cose e non fanno l’altro, che sarebbe la base per poi poter migliorare. È
molto difficile da gestire…
298
e soprattutto stimolandolo, incoraggiandolo, motivandolo tantissimo.
Gli dai conferme, lo metti nella condizione di acquisire uno stato di
sicurezza che gli permette di affrontare lo studio con più divertimento,
capito? Cosa che non esisteva ai nostri tempi, quando ci davano gli
scappellotti!
299
Es. IV.202 - Docente di ISSM di flauto, maschio, 60 anni:
Una volta mi chiamavano tutti maestro, adesso professore, nel migliore
dei casi, altrimenti prof [ridendo, ndr] (…) [A] me piace essere chiama-
to maestro, però non c’è più nessuno [che lo fa], solo i vecchi alunni mi
chiamano maestro…
300
per essere efficace, tale strategia deve calibrare la difficoltà dei
compiti e i tempi di apprendimento alle risposte osservate
nell’allievo, al fine di consentirne un passaggio graduale verso
livelli crescenti di autonomia nel raggiungimento degli obiet-
tivi formativi (Bonaiuti 2014: 53-54).
Il consenso riscontrato tra i docenti intervistati sulla vali-
dità didattica della relazione ‘maestro-allievo’ trova conferma
nei risultati del questionario autosomministrato ai docenti.
Come indicato nella fig. IV.13, sebbene fortemente ridimen-
sionata rispetto al passato41, il modello ‘maestro-allievo’ re-
sta ancora la relazione didattica prevalente (indicata dal 42%
dei docenti), seguita da quella ‘studente-professore’ (indicata
dal 25%), mentre il 23% dei docenti intervistati dichiara di
fare riferimento ad una variabilità della relazione a seconda
dell’età dell’allievo (variabilità relativa non più soltanto alle
diverse fasi di sviluppo dello stesso allievo, ma anche alla
presenza di allievi di età molto differenti nel Conservatorio
post-Riforma). La tab. IV.13 mostra come la relazione ‘ma-
estro-allievo’ sia meno caratterizzante nel caso dei docenti di
materie musicologiche (gruppo F), che in genere insegnano
in classi collettive dove più facilmente il rapporto tra docente
e discente si articola nella relazione ‘professore-studente’ (in-
dicata dal 62% di loro). Sebbene in misura minore rispetto
alla propria esperienza formativa, il rapporto ‘maestro-allievo’
resta prevalente per i docenti di canto, di strumenti a corda e
di composizione e direzione (A, B, D), e – in misura minore
– per i docenti di nuove discipline non classiche (39%) e di
strumenti a fiato (36%); per questi ultimi, in particolare, il
rapporto varia a seconda dell’età dell’allievo (come indicato
dal 39% degli intervistati).
301
Fig. IV.13 - Quale delle seguenti relazioni meglio descrive il rapporto
che ha con allievi e allieve del suo corso? (valori percentuali complessivi)
A B C D E F
genitore/figlio 0,0 2,5 1,7 2,3 4,4 0,8
maestro/allievo 51,9 47,9 35,7 44,4 38,9 17,1
professore/studente 28,8 15,2 13,9 24,5 31,1 61,8
superiore/sottoposto 0,0 0,2 0,0 0,0 0,0 0,0
diversi di questi,
13,5 22,8 39,1 21,8 21,1 13,8
a seconda dell’età
altro 5,8 11,3 9,6 6,9 4,4 6,5
Tot. 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
302
Es. IV.204 - Direttore di ISSM:
[M]i chiama un docente, che mi dice: “Mi serve un pianista accom-
pagnatore.”; gli rispondo: “Adesso dobbiamo aspettare la graduatoria
del bando, abbiamo già fatto la selezione.”. Prima mi manda un sms
e mi dice: “Non posso aspettare: chiamo un mio amico per le prove a
lezione!”. Ma ti porti uno sconosciuto a lezione senza autorizzazione?
Perché per loro la Scuola è una stanza dove si fa una lezione quasi
privata, è un uovo, si chiude a chiave, fa le sue cose, ho la proprietà
dei miei allievi… Questa è la mentalità che, per carità, non è neanche
del tutto sbagliata: l’idea del maestro, è una cosa che oggi qualifica
moltissimo [il Conservatorio]: in una scuola di falsi maestri o scarsi
maestri il fatto che ogni studente abbia un maestro nobilita il Con-
servatorio, ma il maestro deve sapere. Invece ho dei docenti che non
hanno alcuna coscienza delle difficoltà con gli adolescenti: trattano
un dodicenne come se fosse un venticinquenne e nemmeno si metto-
no il problema che forse sono cose diverse.
303
incombenze tipiche della burocratizzazione e della digitalizza-
zione del sistema di istruzione, ormai normalizzate nella vita
dei docenti scolastici e universitari (diari elettronici, relazioni,
pagine web, schede di valutazione, corrispondenza elettronica).
Nel Conservatorio del vecchio ordinamento la familiarità e la
personalizzazione che, come abbiamo visto, regolavano i luo-
ghi, i tempi e delle relazioni dei maestri con i propri allievi e
coi colleghi e il carattere tradizionalista e comunitario dell’isti-
tuzione, portavano a ridurre al minimo la formalizzazione delle
relazioni e la burocratizzazione delle procedure. L’adozione del-
le procedure del modello universitario ha dunque comportato
un drastico aumento dei compiti istituzionali fino ad allora ri-
chiesti ai docenti di Conservatorio, avversato tanto dalla tipo-
logia di docente ‘inoperoso’, abituato a ridurre il suo impegno
nella Scuola al minimo indispensabile, quanto dalla tipologia
di docente ‘studioso’ – nel senso lato del termine già precisato –
che interpreta la pratica dello studio regolare e costante, spesso
accompagnata ad un’attività artistica, come parte fondante del-
la sua identità professionale (es. IV.207,208).
Es. IV.207 - Direttore di ISSM:
[S]ono i docenti che fanno propaganda negativa sul nuovo ordinamen-
to: mica per motivi ideologici, [ma] perché c’è lavoro in più (devono
segnare le presenze, devono fare domanda d’appello, cercare la commis-
sione): mancanza di volontà di cambiare le usanze.
304
1.2.4 L’isomorfismo istituzionale verso il modello universitario
L’implementazione della Riforma è caratterizzata dagli sforzi
degli attori coinvolti (in particolare, Ministero e Conferenza dei
direttori) per legittimare la presenza del Conservatorio all’inter-
no del campo dell’alta formazione, che in Italia aveva fino ad
allora visto l’Università come esclusivo inquilino. La posizione
di assoluto dominio dell’Università nel settore terziario aiuta a
comprendere il perché tale legittimazione – cadendo in un pre-
giudizio accademico, secondo il quale fa parte del livello terziario
solo ciò che ha lo statuto formale di un’università (Ribolzi 2013)
- si realizzi non attraverso una revisione del vecchio modello,
adeguata ai nuovi fabbisogni della formazione professionalizzan-
te musicale di livello accademico, bensì attivando un processo di
isomorfismo, coercitivo e mimetico42, che segue regole, categorie,
tempistiche e rituali del sistema universitario (Powell e DiMaggio
1991, Meyer e Rowan 1991, 2007).
Abbiamo visto nel capitolo precedente come, tra i musicisti
intervistati formatisi all’interno del vecchio ordinamento, vi fosse
unanime opinione sulla necessità di modificare un’offerta forma-
tiva definita negli anni Trenta del Novecento, con la sua rigida
impostazione prioritariamente volta alla costruzione del solista
virtuoso impegnato nel repertorio classico-romantico.
L’apertura dei Conservatori ad una formazione di tipo poli-
culturale, sia in ambito musicale, che generalista, indirizzata ad
42. Powell e DiMaggio (2001: 67-74) distinguono, a livello idealtipico, tre princi-
pali meccanismi di isomorfismo istituzionale: quello ‘coercitivo’, che deriva dalle
pressioni formali o informali esercitate sulle organizzazioni da altre organizzazioni
dalle quali dipendono e dalle aspettative sociali del contesto; quello ‘mimetico’,
dove condizioni di incertezza dell’ambiente spingono alcune organizzazioni ad
imitare quanto fatto da altre in posizione di maggiore forza; quello ‘normativo’,
per i quali le università e i centri di formazione professionale insegnano conoscen-
ze e tecniche di base, legittimate a seguito di processi di professionalizzazione, ad
una serie di individui che poi le applicheranno fedelmente nell’ambito delle varie
organizzazioni in cui lavoreranno.
305
una pluralità di identità professionali, oltre che a quella solistica,
è dunque l’aspetto della Riforma che incontra maggior favore tra
gli intervistati. Per conseguire il diploma accademico, agli allievi
è oggi richiesto di frequentare una serie di attività a carattere sia
teorico che pratico, le quali si affiancano alla formazione stret-
tamente strumentale, nell’intento di superare le lacune cultura-
li riscontrate nella strutturazione del vecchio ordinamento (es.
IV.209). La nuova offerta formativa amplia il repertorio tradizio-
nale ad ambiti non considerati dal canone classico-romantico del
vecchio ordinamento (musica antica, barocca, etc.), aprendosi a
generi e approcci musicali differenti (jazz, pop, nuove tecnologie,
etc.), ribilanciando lo spazio dedicato all’impostazione solistica
(prevedendo esami di musica da camera, da accompagnamento,
orchestrale, etc.) e affiancando allo studio dello strumento una
varietà di materie analitiche e teoriche. Anche la formazione di
base, realizzata all’interno dei corsi pre-accademici non ordina-
mentali, adotta questa apertura e definisce programmi più ag-
giornati e calibrati sull’età e le capacità dell’allievo, sebbene spes-
so non adeguati ad un percorso di costruzione delle competenze
richieste per accedere un livello accademico (es. IV.210).
Es. IV.209 - Studente di nuove tecnologie, maschio, 40 anni:
[L]a Riforma non è pensata male, perché alla fine che cosa cerca di fare?
Cerca di formare dei musicisti che non siano dei semplici esecutori,
cosa che invece accadeva in passato nei corsi tradizionale (…) Secondo
me la Riforma ha anche questo come obiettivo, tanto è vero che tutta
una serie di esami che uno studente deve sostenere accanto a quelli di
strumento servono anche a questo… Ora, è verissimo anche quello che
hai detto tu [riferito ad un collega che partecipava al focus group, ndr],
cioè che cinque anni non possono sostituire dieci anni, però in defini-
tiva cosa è successo? Che questa Riforma è stata fatta all’italiana, cioè
a costo zero, e non si può pensare di fare una riforma senza spendere
dei soldi (…) tutto questo sarebbe stato possibile solo se alle spalle ci
fosse stato un altro percorso di studi che partiva dalle scuole medie ad
indirizzo musicale e licei musicali, cosa che non è stata creata perché
ovviamente costa…
306
Es. IV.210 - Studentessa di ISSM di pianoforte, femmina, 20 anni:
[N]ei trienni, in realtà, per quanto riguarda gli strumenti i programmi
sono migliorati: perché puoi suonare certe cose che nel tradizionale,
che ha programmi vecchissimi, purtroppo non possiamo fare (…) allo
stesso tempo però secondo me nei pre-accademici si fa molto meno
rispetto a quello che abbiamo fatto noi nel tradizionale. Si chiede un
livello molto inferiore che non è poi sufficiente rispetto poi anche a
quello che fanno all’estero [nel livello accademico].
307
richiesto allo studente per la preparazione di ciascun esame, al
quale è attribuito un numero predefinito di crediti, eventualmen-
te convertibili in un’altra istituzione di alta formazione aderente
allo stesso sistema di scambio44. Tale meccanismo – che, a partire
dalla terminologia adottata, rivela la volontà di introdurre forme
di regolazione di mercato all’interno dei sistemi di istruzione -
è stato adottato dall’Università italiana all’interno del Processo
di Bologna, volto a costruire, attraverso un’armonizzazione dei
sistemi educativi dei diversi Stati membri, uno Spazio europeo
dell’istruzione superiore per favorire gli spostamenti di studenti
e lavoratori all’interno dell’Unione. Come per il sistema univer-
sitario, anche per il sistema AFAM la distribuzione dei crediti –
rinominati Crediti Formativi Accademici, CFA – si articola nei
due cicli di studio previsti richiedendo il raggiungimento di 180
crediti per il triennio, 120 per il biennio.
L’applicazione di tale meccanismo all’offerta formativa del
Conservatorio crea particolari difficoltà, legate alle peculiarità della
formazione musicale, e conseguenze non desiderate che sembrano
superare i vantaggi ottenuti. La principale difficoltà è data dalla
difficile conversione delle ore di lavoro richieste nell’apprendimen-
to della pratica musicale – variabile a seconda delle caratteristiche
dell’allievo e della articolazione della didattica, individuale o in
piccoli gruppi, secondo strategie in genere rispondenti al modella-
mento – rispetto a quelle richieste nei corsi universitari standardiz-
zati, tipicamente erogati in modalità one-to-many prevalentemente
di tipo trasmissivo45. Le conseguenze non volute riguardano invece
il drastico ridimensionamento del tempo consentito per lo studio
44. Si tratta del sistema ECTS (European Credit Transfer System), adottato
dall’Università italiana con il decreto ministeriale n.508/1999 e dalle istituzioni
AFAM con il D.P.R. IV.212/2005.
45. Bonaiuti (2014). La frazione dell’impegno orario complessivo da riservare
alle diverse tipologie di studio in relazione ai crediti da conseguire nei Conser-
vatori è precisata dal D.M. n. 154/2009.
308
dello strumento, da conciliare con il tempo da dedicare allo studio
per ulteriori attività formative, alcune caratterizzanti del corso, al-
tre relative alla formazione di base, altre a scelta dello studente, fino
al raggiungimento dei crediti formativi necessari per l’acquisizione
del diploma. La proliferazione e parcellizzazione dell’offerta forma-
tiva, più spesso definita a misura di docente, più che a partire dal-
le esigenze dello studente (es. IV.211), porta a sacrificare il sapere
pratico e specialistico distintivo del modello formativo in Conser-
vatorio, fatto di sperimentazione e sedimentazione dell’esperienza
gradualmente acquisita (es. IV.212,213) ad un sapere generalista
tipico del livello accademico e sempre più prevalente anche nella
scuola superiore (Ballarino 2013).
Es. IV.211 - Studentessa di ISSM di violoncello, femmina, 20 anni:
[I]l problema secondo me principale [della Riforma] (…) alla fine, dal
mio punto di vista, è legato ad un problema di didattica: se la didat-
tica è fatta ad un livello quantitativo, di anni di frequenza, di esami
dati, così non si avrà mai un risultato di un certo tipo; se si fa a livello
qualitativo, invece si può far in modo che anche con la Riforma, si
possa veramente fare una Scuola veramente a forma di allievo, non di
docente, soprattutto…
309
Infine, l’adozione del meccanismo dei crediti tende ad attivare
un processo di ‘trasposizione delle mete’ (Merton 1957), per il
quale un valore strumentale diventa valore finale: si registra in-
fatti una tendenza degli studenti a considerare i crediti formativi
non come uno strumento per valutare approssimativamente il
tempo necessario per la preparazione di un esame, bensì come
una attestazione formale dell’avvenuta formazione una volta ac-
cumulate le ore corrispondenti (es. IV.214). Si tratta di una ten-
denza già riscontrata in ambito universitario ricollegabile, come
vedremo, alla più ampia diffusione del credenzialismo nel settore
dell’alta formazione, che risulta ancora più paradossale all’inter-
no di un contesto formativo, come il Conservatorio, formalmen-
te finalizzato ad una specializzazione professionalizzante.
Es. IV.214 - Docente di ISSM di quartetto d’archi, maschio, 55 anni:
Arrivati ad un tot delle ore: “Maestro, io ho finito, devo fare l’esame!”;
“L’esame tu non lo puoi fare perché non sei in condizioni di fare l’e-
same: lo so che hai fatto tutte le ore e che lo puoi fare, ma non lo fai
lo stesso perché non [sei pronto]!”; “Non fa niente: io l’esame lo do lo
stesso, perché ho finito le ore e non ho nessuna intenzione di continua-
re a frequentare…”.
310
un gruppo, formano un gruppo di musica da camera e trovano lavoro,
questo mi interessa... Quindi, diciamo nelle pieghe di un sistema che
non va, che è una cosa più generale, io ho apprezzato questo soffio di
aria nuova, con tutte le sue demenziali disfunzioni…
311
Es. IV.217 - Direttore di ISSM:
[I]l fatto che il mio diploma di pianoforte sia equiparato ad una laurea:
cosa me ne faccio? (…) [I]l titolo che abbiamo NON È [scandendo le
parole, ndr] una laurea. E con questo non voglio dire che valga meno:
io sono orgoglioso dei miei diplomi, non è che farei a cambio. Ho
studiato per spenderli nel mio campo, non in altri campi. (…) Io non
me ne faccio nulla [dell’equiparazione], non mi cambia nulla nella vita.
Per uno studente, forse, dice: “Vabbè, convinco la famiglia che facendo
il diploma di flauto allora sono laureato”: allora c’è la questione psico-
logica...
312
cente più sradicata dal campo professionale, rispetto al passato,
e dunque non sempre in grado di offrire una esperienza diretta e
concreta della professione musicale ai propri allievi (es. IV.218),
né di svolgere con efficacia il ruolo di inserimento professionale
per gli elementi più validi. Questi ultimi, sebbene spesso restino
iscritti in Conservatorio – come vedremo più avanti – al con-
tempo prendono lezioni private da docenti esterni alla rete dei
Conservatori, ma meglio inseriti nei circuiti professionali (grandi
orchestre, giurie di concorso, festival musicali, etc.) (es. IV.219).
Es. IV.218 - Pianista, femmina, 35 anni:
[S]econdo me c’è troppo distacco tra gli insegnanti del Conservatorio
e poi chi poi effettivamente lavora nell’ambito musicale, quasi come
se - non dico da un punto di vista di superiorità, di distacco - come se
non si volesse accettare e ammettere una carenza. Perché comunque un
insegnante, per quanto bravissimo, può dire: “Io conosco benissimo
l’aspetto didattico, la mia materia la conosco bene, ma siccome non ho
mai lavorato in un ambito come può essere un ente lirico, posso essere
carente sotto questo aspetto”, non l’ho mai sentito dire da nessuno,
perché è come ammettere un deficit di conoscenze e quindi questo se-
condo me poi si scarica sugli allievi.
313
di celebri interpreti) (es. IV. 220-221) e alle scarse certezze offer-
te perfino dalla vittoria dei concorsi, un tempo punto di arrivo
delle carriere, a fronte della proliferazione di tale tipo di eventi
(es. IV.222)46.
Es. IV.220 - Studente di ISSM di pianoforte, maschio, 25 anni:
[A]desso la musica classica non è più come prima: un periodo c’erano
casi eccellenti di musicisti che a livello pratico dello strumento erano
alla stregua di un dilettante, ma a livello artistico erano alla stregua
del più grande pianista della loro generazione (…) Adesso siamo in
tantissimi, è richiesto un livello tecnico, più che artistico, altissimo:
prima anche le registrazioni erano piene di errori, adesso non esiste, se
tu fai una registrazione deve essere perfetta sotto ogni profilo tecnico…
314
cosa… Quello che avvenuto poi con i concorsi internazionali: prima se
vincevi un concorso internazionale cominciavi la carriera; oggi vinci un
concorso internazionale e fai qualche concerto… Ho molti allievi che
vincono concorsi internazionali importanti (…) finito il semestre di
concerti dicono: “E adesso?”. Prima non era così, vincere un concorso
nazionale o internazionale era una cosa importante…
315
anche se cominci a undici, come ho fatto io (…) non riesci [a rag-
giungere il livello tecnico richiesto]: di conseguenza questa roba del
triennio-biennio non può essere Università, non lo è mai stato e non
lo può diventare… Parlo proprio per i corsi di strumento, gli altri corsi
possono starci: musicologia lo puoi fare a qualsiasi età, etnomusicologia
(…) Questa roba del triennio fatta in questo modo per me è una cosa
superficiale: è come pensare allo strumento come qualcosa che può es-
sere la storia, la filosofia, la psicologia: la psicologia si può studiare dopo
aver fatto un certo percorso, la musica invece la puoi studiare anche
dai tre anni e puoi capirla, se è un bambino particolarmente dotato…
316
e soprattutto con l’urgenza di dire qualcosa di autentico, di far parte-
cipi gli ascoltatori di una nuova scoperta, di una “verità” da diffondere
con entusiasmo e sincerità. È inoltre importante non rinchiudersi, ma
guardarsi intorno e cercare tutte le opportunità per farsi conoscere e
apprezzare. [Prosseda 2011]47
317
del nuovo campo (vecchio diploma, abilitazione SISS) titoli con
maggiore rendimento (‘lauree’ triennio e biennio) (es. IV.228)
o invece a legittimare con uno di tali titoli una formazione già
realizzata nella pratica (es. IV.229), per cercare di ottenere una
maggiore stabilità lavorativa.
Es. IV.228 - Studente di ISSM di pianoforte, maschio, 35 anni:
[M]i sono diplomato quasi dieci anni fa con il diploma vecchio ordi-
namento nel Conservatorio di X [nel Sud Italia, ndr], subito dopo è
iniziata quella trafila del vecchio ordinamento che non valeva più, si
diceva che era il diploma equiparato alla triennale, quindi ho aspettato
senza sapere cosa fare, è passato un periodo anche lungo, subito dopo
il diploma: ho fatto la SISS, ho iniziato ad insegnare nella scuola media
musicale e poi ho preso l’abilitazione come insegnante di sostegno, ho
continuato fino ad adesso… quella è la sicurezza economica. Quat-
tro-cinque anni fa mi sono trasferito a Y [città del Nord Italia, ndr]; già
si era trasferita la mia ragazza per lavoro - anche lei è musicista (…). Ho
pensato: “Vengo anche io”, perché il mio insegnante col quale studiavo
privatamente insegna qui e mi sono iscritto al biennio; quest’anno do-
vrei finire (…) Vorrei riuscire parte della mia vita continuare a suonare
in giro, fare concerti, la cosa più interessante è questa… Sono contento
di avere questo lavoro [la scuola] (…) e so di non poter fare solo questo
[il concertista]: per adesso va abbastanza bene così, poi i periodi sono
quanto mai difficilissimi; per adesso va abbastanza bene così…
318
re alcune lacune della formazione antecedente. Il Conservatorio
rappresenta spesso per loro anche un luogo per socializzare, con-
dividere esperienze e frustrazioni, accedere a reti di collegamenti
e scambi utili ai fini professionali.
Se per la categoria precedente il titolo di studio serve a legit-
timare una carriera ancora da realizzare, per un’altra tipologia di
allievi – adulti, tra i quaranta e i cinquant’anni – serve a riabilita-
re o legittimare una carriera musicale già realizzata. Non si tratta
di amatori che riprendono a suonare per puro diletto, ma che
svolgono continuativamente un’altra professione – categoria più
presente nel livello pre-accademico. Si tratta invece di lavoratori
che hanno portato avanti professionalmente attività in ambito
musicale, senza tuttavia avere un titolo di studio corrispondente
alla propria competenza (ad esempio cantanti o strumentisti non
diplomati in Conservatorio o docenti di Conservatorio con di-
plomi del vecchio ordinamento) (es. IV.230); o, invece, che han-
no vissuto uno sfasamento occupazionale (Reyneri 2004: 205),
coltivando un’attività musicale intesa come lavoro che coinvolge
profondamente la propria identità sociale, ma non consente di
sostentarsi, all’ombra di attività a carattere temporaneo accettate
per mera convenienza economica (es. IV.231).
Es. IV.230 - Studente di ISSM di nuove tecnologie, maschio, 25 anni:
Secondo me uno che ha una certa età dovrebbe frequentare una scuola
civica (…) però c’è veramente il caso di chi suona ed è veramente bravo
però non ha mai avuto un titolo, piano piano riprende tutto e insegna:
perché molti, come abbiamo detto, insegnavano senza alcun titolo,
però è anche vero che magari erano bravissimi, anche degli ottimi in-
segnanti, però purtroppo il titolo ci vuole, è quello che ci vuole… Poi,
se uno è [invece] veramente un amatore, un amatore deve fare qualcosa
che si addica all’amatorialità...
319
poi mi ha cacciato con ignominia e da lì ho praticamente continuato
per gli affari miei, studiando, ascoltando le cose che sentivo alla radio e
cercando di suonarle a orecchio, tanto è vero che poi la mia formazione
è stata più che altro sul campo, perché poi mi sono messo a suonare nei
locali e nelle piazze (…) musica leggera (…) Mi sono iscritto all’univer-
sità e ho cominciato a lavorare in altri settori, i più disparati: turistico,
alberghiero, informatico, senza combinare nulla in realtà, perché erano
tutte cose che facevo perché mi servivano i soldi per sopravvivere, ma
senza passione, mentre la passione la coltivavo continuando a suonare.
Fin quando poi (…) c’è stata appunto la Riforma (…) e mi sono iscrit-
to al corso di musica e nuove tecnologie.
320
tistiche e allora li subentra un po’ il problema: cioè, fanno finta di fare il
biennio [in Conservatorio], ma ovviamente hanno dei maestri da altre
parti (…) Ora, questa cosa non sarebbe una frode se fosse una normale
dialettica di ragazzi che ogni tanto va, gli piace sentire [diversi docenti]
(…) Invece, ben lungi dall’avere una pluralità, hanno il professore di
riferimento unico al Conservatorio, ben contento di avere un allievo
già arrivato, quando invece non ha fatto niente, abbuonandogli natu-
ralmente anche una buona parte di ore di lezione (…) Naturalmente
c’è anche qualche biennio regolare, di qualche ragazzo che ci crede con
professore capace…
321
niversità nel XX secolo, modellando di conseguenza la struttura
e le caratteristiche del lavoro accademico. Tale logica porta ad
una produzione di massa di credenziali formative per l’impiego
legata non ad una crescente domanda del mercato del lavoro per
competenze e conoscenze maggiori, come vorrebbero invece i so-
stenitori della teoria del capitale umano (Becker 1994), bensì alla
domanda di titoli di studio più alti, a seguito della svalutazione
di quelli meno alti (Collins 2011: 231). Anche nel campo della
formazione musicale, infatti, l’aumento del numero di diplomati
svaluta il valore occupazionale del titolo, portando i diplomati
a subire un declino del livello occupazionale per il quale si sono
qualificati. Così, se per agli allievi diplomati nel Conservatorio
del vecchio ordinamento nei primi anni Ottanta il titolo di stu-
dio ottenuto da poco più che maggiorenni rappresentava una
garanzia di una buona formazione specializzata e una credenzia-
le legittima per l’accesso alla professione musicale, gli allievi più
maturi del nuovo Conservatorio di livello accademico sentono la
necessità di accumulare una serie di titoli di studio differenziati,
per ampliare – a fronte di una forte incertezza degli orizzonti
occupazionali – il numero di sbocchi professionali all’interno dei
quali fare valere le proprie credenziali (es. IV.235).
Es. IV.235 – Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 55 anni:
[G]li sbocchi professionali sono un tasto dolente (…) È anche vero che
se hai insieme la maturità e anche una laurea che riesci a prenderti in
altre discipline, ovviamente sei più titolato: arriviamo ad avere persone
che hanno sei lauree oggi (una mia ex-allieva si è fatta la sesta laurea in
discipline diverse: in didattica, in clavicembalo, in pianoforte, musico-
logia). Perché oggi il Conservatorio non è più una scuola specialistica,
lo è in pochissimi casi, ma è una scuola, invece, in cui si va per poi
trovare lavoro, di conseguenza l’importanza di quel pezzo di carta sta
nel come tu fai quel lavoro, capisci?
322
livello, in linea dunque con la mission dichiarata del nuovo Con-
servatorio. Talvolta la scelta segue l’abbandono di un precedente
progetto occupazionale basato sulla convinzione che il percorso
universitario potesse offrire occasioni lavorative più remunerati-
ve rispetto a quello artistico: a fronte della precarietà lavorativa
che caratterizza la condizione dei giovani laureati italiani, i rischi
strutturalmente insiti nella carriera artistica (Menger 1999) sono
infatti ribilanciati a fronte delle maggiori gratificazioni, talvol-
ta anche economiche, offerte (Coulangeon 2004), perlomeno
nell’immediato (es. IV.236):
Es. IV.236 - Studente di ISSM di canto, maschio, 30 anni:
Alla luce di tutte le vicende legate alla crisi, quindi al fatto che comun-
que non ci sia lavoro o che, se anche c’è, sei sottopagato, a questo punto
ho detto: “Ma devo andare a fare il servo della gleba?”(…) Anche i miei
mi hanno detto: “Ma scusa a questo punto noi ti sosteniamo, impegna-
ti e fai questo che ti piace fare” (…) Un amico - laureato come me alla
magistrale in Economia - prende 150 euro per otto ore al giorno e fa il
praticantato in un grosso studio di commercialisti; ecco, io 150 euro li
guadagno con due ore di lavoro: poi c’è tutto il lavoro preparatorio, lo
stress e il reflusso, però tutta la soddisfazione che ho nel cantare, negli
applausi che prendi dopo, nell’adrenalina che ti dà il palco…
323
forma: la mancata garanzia della qualità didattica, scientifica e
artistica dei docenti nella nuova offerta di livello accademico.
Es. IV.237 - Studentessa di ISSM di biennio, femmina, 30 anni:
Il problema è che io mi fidavo di entrare in un Conservatorio e di avere
un’offerta formativa di alto livello e quindi non ho cercato insegnanti
esterni. E questa cosa si esaurisce in una lezione ogni tanto, la maggior
parte in perdite di tempo, perché il soggetto [il maestro assegnatole, ndr]
è in questa istituzione per altri scopi, motivi e ragioni, più politiche
- politiche in senso assoluto, di gestione di rapporti, delle dinamiche
varie - e non per insegnare. Ecco, ci sono degli insegnanti che sono in
Conservatorio non per insegnare e viene da chiedere: “Perché ci sei?
Perché nessuno ti ha sbattuto già fuori?”. Perché non si può! Il Con-
servatorio è statale e non c’è un’ammissione per gli insegnanti con una
prova in cui l’insegnante dimostra di sapere fare o meno. Ci sono delle
cattedre di accompagnamento pianistico, magari dei bandi da fame,
che prevedono prove faticosissime, delle sproporzioni totale rispetto a
quanto è richiesto di fare…
324
dalle vecchie graduatorie nazionali garantisce l’inquadramento in
appositi ruoli ad esaurimento, per le nuove assunzioni in ruolo
prospetta l’assunzione con contratti di durata non superiore al
quinquennio, rinnovabili (art. 2, c. 6).
Si tratta di un cambiamento coerente con l’introduzione di
una logica di mercato nel modello di regolazione dell’alta for-
mazione musicale, già in adozione presso altri paesi Europei, nei
quali la flessibilità delle Scuole di musica nel reclutare noti mu-
sicisti didatticamente validi e professionalmente attivi, consente
di selezionare a livello internazionale i migliori allievi, attivando
in tal modo un circolo virtuoso che garantisce alla Scuola l’al-
to standard formativo richiesto a questo tipo di istituzioni (es.
IV.239).
Es. IV.239 - Flautista, femmina, 35 anni:
Non è che all’estero non ci sia corruzione, ma si tiene un po’ di più a
far valere davvero le cose, a farle camminare… La Scuola [di musica]
è un posto di passaggio anche per gli insegnanti: sei lì [in una data
città] per suonare nell’orchestra, vuoi anche insegnare, se magari non
hai troppo tempo decidi di fare lezione solo a pochi studenti, ti appoggi
alla Scuola, invece che fare lezioni private – così non evadi il fisco e altre
cose sbagliate. Per insegnare fai un concorso: valutano come insegni e il
curriculum, le tue conoscenze musicali; fai una lezione a degli studenti
volontari, ci sono gli studenti tra il pubblico, anche gli studenti votano
- ci è piaciuto oppure no questo professore. È così in Olanda, Germa-
nia, Svizzera, il tipo di contratto dipende dalla nazione (…) [Il bravo
docente attira studenti] da tutto il mondo di alto livello: si presentano
tantissime persone per l’ammissione e allora puoi sceglier persone che
sanno suonare!
325
delle graduatorie/sanatorie al rigido sistema di assegnazione delle
cattedre sulla base dell’organico fisso assegnato a ciascun Istituto.
Tale sistema di reclutamento, al di là della già evidenziata ina-
deguatezza nel consentire ai Conservatori di selezionare i profili
dei docenti migliori per i posti di cui necessita l’offerta didattica
accademica, sta arrivando a creare situazioni paradossali: a fronte
della precarietà lavorativa imposta a giovani e validi docenti (es.
IV.240), consente l’immissione in ruolo di maturi idonei in coda
nelle graduatorie ad esaurimento di concorsi svolti nei primi anni
Novanta, i quali – anche quando nel frattempo hanno esercitato
i mestieri più disparati – sono ‘paracadutati’ senza alcuna verifica
sulla loro esperienza artistica, scientifica e didattica a specializzare
gli studenti del sistema dell’alta formazione musicale italiana.
Es. IV.240 – Direttore di ISSM:
[I] supplenti sono in genere migliori rispetto ai docenti in ruolo: giova-
ni, più motivati, insegnano dopo aver fatto dieci concorsi con quaran-
tamila titoli: perché siccome è sempre più difficile [entrare], la selezione
è sempre più dura. In verità hanno ragione quando dicono: “Ve la pren-
dete con noi, guardatevi voi [docenti di ruolo]!”. Infatti, io metterei
mano anche a quelli di ruolo (…), se fossi il ministro e se fossi pagato
tutti quei soldi, soprattutto! [ridendo, ndr]
326
alla conoscenza interna dei contesti di intervento (Regini 2015).
La maggior parte dei paesi occidentali industrializzati ha risolto
il dilemma scegliendo la prima delle due vie, optando per una
designazione del rettore delle università da parte di organismi che
ne valutano le competenze manageriali; l’Italia ha invece optato
per la seconda, che vede l’elezione del rettore – candidato tra i
professori ordinari in servizio presso le università italiane – da
parte del corpo docente dell’ateneo (Regini 2015). La stessa via è
stata dunque adottata per la governance degli istituti AFAM, sen-
za tuttavia prevedere criteri specifici per definire un profilo ade-
guato – dal punto di vista artistico, culturale, manageriale – (es.
IV.241,242) per traghettare i Conservatori incolumi attraverso le
turbolente acque della Riforma.
Es. IV.241 - Docente di ISSM di pianoforte, femmina, 55 anni:
Qual è l’unico decreto applicativo che ancora non è stato emanato?
Beh, la selezione del personale, i criteri di selezione del personale e
ovviamente, quindi, anche dei direttori: sono state fatte delle bozze,
che conosciamo (…) Però, all’inizio [leggendo] in queste bozze, cre-
devamo che i direttori dovessero essere persone dal profilo internazio-
nale, che avevano già dimostrato dalle esperienze di avere un profilo
internazionale, un certo curriculum: tutto questo è sparito e allora chi
sono i direttori? Sono dei docenti qualsiasi: quando va bene - in Con-
servatorio c’è di tutto - sono dei docenti mediamente preparati, almeno
musicalmente; se sono professori di storia della musica hanno una pre-
parazione accademica più ferrata; ci sono anche degli strumentisti noti
- non è detto che lo strumentista debba essere per forza come dicevamo
prima [poco colto], però naturalmente può esserci anche lo strumenti-
sta sprovveduto, e questa tipologia non è rara…
327
meno. Quindi il Ministero non tutela più le istituzioni, mentre prima
se il ministro sceglieva un pirla, essendo una nomina ministeriale, il
ministro doveva rispondere della sua scelta. Io non sono per il ritorno
alla nomina ministeriale, ma almeno una verifica dei criteri dell’elet-
torato passivo. Perché adesso c’è scritto: “esperienza di direzione”, ma
posso aver diretto l’associazione bocciofila, va bene anche quella, non
c’è scritto ‘[direzione] musicale’; “campo internazionale?”, ha suonato a
San Marino… questa è la realtà!
328
V
Riformismi irresponsabili:
l’orizzonte negato all’alta formazione musicale
329
netta nella valutazione della Riforma da parte dei docenti, che ne
hanno esperienza diretta nella loro attività professionale?
Tra le spiegazioni più ricorrenti emerse durante le interviste
vi è quella che fa riferimento ad una tensione tra docenti tradi-
zionalisti e innovatori: la maggior parte dei docenti contrari alla
Riforma non lo sarebbe tanto per questioni di principio, quanto
per l’avversione ai cambiamenti che questa comporta nell’orga-
nizzazione della loro vita lavorativa, chiedendogli nuove funzioni
e competenze, difficili da acquisire per chi – magari a fine car-
riera – non ha un’apertura al cambiamento, specie in assenza di
un incentivo salariale. Una seconda spiegazione ricorrente legge
la polarizzazione in termini di un atteggiamento di ottimismo o
pessimismo, evocata dall’immagine del bicchiere mezzo pieno o
mezzo vuoto: a fronte di un processo di Riforma lacunoso e con-
traddittorio, i docenti che la valutano negativamente sarebbero
quelli che sopravvalutano i suoi difetti, guardando nostalgica-
mente al passato, mentre i favorevoli preferirebbero enfatizzarne
i vantaggi, affrontando le sfide future.
330
Il nostro giudizio complessivo cerca di tenere insieme il livello
microsociale e quello macrosociale dell’analisi interpretando la
Riforma come esito di un lungo processo fatto di sollecitazioni e
iniziative nate dal basso le quali, attraverso un recentrage all’inter-
no del campo dell’istruzione nazionale della formazione musicale
in generale e di quella professionalizzante nel particolare, si ripro-
ponevano di ottenere una valorizzazione della funzione sociale e
culturale della musica e della professione di musicista nel Paese.
Espresso in termini sistemici, tale progetto troverà la sua migliore
traduzione nell’iniziativa sorta negli anni Sessanta del Novecento
da una rete di musicisti e intellettuali, appartenenti ad associazio-
ni culturali e sindacati legati alla sinistra antifascista, che mobilita
un ampio consenso d’opinione attorno ad uno ‘Schema di rifor-
ma globale dell’insegnamento della musica in Italia’, proposto in
parlamento dal PCI.
Ad imporsi nella lotta simbolica per la ridefinizione del cam-
po sarà tuttavia il sindacato degli artisti e musicisti (UNAMS), il
quale sosterrà una battaglia che, seppure simbolicamente confi-
gurata e talvolta intensamente vissuta nei termini di una “guerra
santa” orgogliosamente combattuta dagli artisti contro il potere
costituito (Liguori 2018), si traduce in una strategia corporativa
331
volta all’attribuzione ai docenti di Conservatorio di un prestigio
(sociale, culturale, economico) equivalente a quello dei docen-
ti universitari, a seguito del riconoscimento dei Conservatori di
musica come istituzioni di alta cultura annoverate con Accade-
mie e Università dall’art. 33 della Costituzione.
L’efficacia dell’azione sindacato nel far prevalere nel dibatti-
to la propria narrativa e il conseguente progetto di ristruttura-
zione del campo porta all’approvazione di una legge di Riforma
(l.n.508/1999) che inserisce tutti i Conservatori di musica ita-
liani nel livello terziario del sistema di istruzione, senza alcuna
verifica preliminare sui requisiti didattici e artistici della assai
varia popolazione docente (a fronte delle criticità presenti nei
meccanismi reclutamento), né sulla sostenibilità di tale passag-
gio in assenza di un’offerta formativa musicale di base. Ripren-
dendo una efficace metafora spesso usata dai nostri intervistati,
potremmo dire che la legge di Riforma ha preteso di realiz-
zare, senza risorse aggiuntive, la ristrutturazione di un attico
di dimensioni grandiose, senza aver prioritariamente verificato
la qualità dei materiali usati, né autorizzato la costruzione dei
piani inferiori.
La direzione dei lavori per realizzare questo ardito progetto
è affidata agli esperti ingegneri del Ministero dell’Università e
della Ricerca (MIUR), che con fatica riadattano i disegni già
predisposti per la ristrutturazione del livello universitario, a
sua volta interessato da profonde trasformazioni e comples-
sivo declino (Viesti 2016). In tal modo il sottocampo della
formazione musicale professionalizzante, da marginale e so-
stanzialmente autonomo rispetto al campo dell’istruzione na-
zionale, è integrato secondo una regolazione prevalentemente
eteronoma, legata al rinnovato modello accademico, che lo
porta a perdere la personalità istituzionale che lo caratterizza-
va, in quanto storica istituzione per la formazione dei musici-
sti professionisti.
332
A vivere in maniera più drammatica tale mutamento sono
soprattutto coloro che risultavano maggiormente integrati nel
vecchio campo, ovvero i docenti e gli studenti di corsi per la pro-
fessionalizzazione di musicisti interpreti del ramo classico. Il mo-
dello formativo previsto all’interno del vecchio Conservatorio,
tipico del musicista virtuoso (Wagner 2015), prevedeva un re-
clutamento selettivo e precoce, un apprendimento basato sull’in-
teriorizzazione della disciplina necessaria ad uno studio tecnico
ripetitivo e costante, che porta all’incorporazione di tecniche e
saperi pratici e ad una graduale specializzazione, guidata dalla
figura del maestro attraverso tecniche di modellamento. L’incor-
porazione di tale habitus – pur costretto dagli anacronismi, le ri-
gidità e le criticità illustrate nel volume – consentiva ai diplomati,
una volta completato il ciclo formativo, di inserirsi nel campo
professionale musicale classico sentendosi nel proprio elemento,
“come pesci nell’acqua” (Bourdieu 1980, Hughes 2010).
Il modello organizzativo post-Riforma, invece, propone un
reclutamento aperto a tutte le età, una formazione tardiva a ca-
rattere generalista, distribuita in un insieme di unità didattiche
funzionali allo sviluppo di competenze trasversali, erogate su base
standardizzata. Il nuovo modello risulta dunque difficilmente
conciliabile con l’incorporazione dei saperi e dell’identità pro-
fessionale che consentono ai nuovi allievi di integrarsi all’interno
del mondo professionale classico (Becker 2004). I docenti appar-
tenenti a tale mondo, inoltre, sperimentano una “isteresi dell’ha-
bitus” (Bourdieu e Wacquant 1992), data dall’inadeguatezza dei
loro vecchi schemi cognitivi, didattici e professionali a fornire le
anticipazioni pratiche necessarie per orientarsi nel gestire il cam-
biamento attuale.
Maggiormente conciliabili con il nuovo modello risultano i
percorsi di allievi e docenti appartenenti ad altri mondi musica-
li, dove la formazione ha caratteristiche meno strutturate (jazz,
pop, nuove tecnologie), o a campi disciplinari in cui la musica
333
è applicata ad altri ambiti professionali, dal ciclo formativo più
simile a quello universitario (musicologia, didattica della musica,
musicoterapia). Compatibile con il nuovo modello risulta anche
il percorso formativo di allievi con finalità di apprendimento di
tipo semi-professionale o amatoriale, poco coerenti con la mis-
sion istituzionale degli istituti. I giudizi favorevoli alla Riforma,
dunque, risultano spesso parziali, in quanto fanno riferimento
al miglioramento della posizione relativa di alcune discipline e
percorsi rispetto al passato, che tuttavia è ottenuto a discapito
di un peggioramento di altre discipline e percorsi, secondo una
logica a somma zero.
Il giudizio sulla Riforma non può concludersi senza rilevare,
a fronte un processo riformatore irresponsabile, la palese ab-
dicazione del governo a curarsi delle sorti del settore. Le spe-
cifiche proposte di policy necessarie per riordinare, tutelare e
rilanciare i Conservatori sono state ampiamente dibattute dagli
addetti ai lavori nell’ultimo ventennio; ciò che è finora mancata
è invece la capacità o la volontà politica di formulare tale rior-
dino nei termini di un “discorso di grande prospettiva”, come
quello evocato dall’epigrafe in apertura, inserendolo all’interno
di strategie di sviluppo a lungo termine per il Paese1, per far di-
scendere a giuste premesse, conseguenze favorevoli per il futuro
della musica in Italia.
1. Lo stesso auspica l’economista Gianfranco Viesti nel suo ultimo libro sulle
recenti politiche contro l’istruzione universitaria, contrastandole con le riforme
prospettate da Ugo La Malfa negli anni Sessanta: “È quello spirito, quella serietà,
quella competenza, quella forte tensione politica, mutato tutto quel che c’è da
mutare a 55 anni di distanza che va recuperato. Quel dovere etico di lasciare a
chi verrà dopo di noi le grandi infrastrutture del paese, come l’università” – e
come il Conservatorio, aggiungiamo noi – “in condizioni più solide, con una
prospettiva di sviluppo e non di declino” (Viesti 2018:133).
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Diventare musicista professionista non è impresa semplice, né apprezzata in Italia. Più che in altri
paesi, il percorso storico di riconoscimento sociale della professione si è rivelato incompiuto e ancora
oggi la pratica musicale e artistica risulta prevalentemente associata - dall’opinione pubblica, dai
media, ma anche dagli studi accademici - alla sfera del tempo libero e dell’intrattenimento, piuttosto
che ad una dimensione lavorativa e ad un sapere specialistico. Eppure la tradizione musicale dei secoli
passati e la fama di celebri compositori, cantanti, direttori, strumentisti, è annoverata tra i principali
miti che alimentano l’orgoglio identitario dell’Italia in ambito mondiale.
Tale paradosso è riconducibile alla storia moderna e contemporanea dell’apprendimento musicale in
Italia. Si tratta di una storia a due facce: quella dell’esclusione della pratica musicale dal novero dei
saperi legittimi codificati nel sistema scolastico; quella della rimandata riorganizzazione culturale
delle scuole per la formazione professionalizzante dei musicisti. Sin dalla sua istituzione negli ultimi
decenni dell’Ottocento, il sistema di istruzione nazionale ha infatti sostanzialmente escluso dai
curricula standard la formazione musicale, confinandola all’interno dei Conservatori di musica. Da
allora, per oltre un secolo, i Conservatori resteranno in un regime di sostanziale autonomia, caratte-
rizzato da un’autoriproduzione didattica e organizzativa, che – pur garantendo un buon livello medio
di preparazione tecnica – risulta sempre più inadeguata a rispondere alle mutate esigenze didattiche,
musicali, culturali e professionali, così come si sviluppano nel corso del Novecento. Alla chiusura del
secolo, dopo svariati tentativi di riordino falliti, l’approvazione di una legge di riforma (n.508/1999)
inserisce Conservatori e altri Istituti di musica e di arte applicata riconosciuti dallo Stato all’interno
di un nuovo sistema: l’Alta formazione artistica e musicale (AFAM), collocata al vertice del sistema
educativo, fino ad allora campo di esclusivo dominio del sistema universitario.
Cosa ha portato lo Stato italiano ad inserire i Conservatori di musica nel livello di istruzione
terziario? Si tratta di un tardivo tentativo di riabilitare e valorizzare la formazione musicale professio-
nalizzante all’interno del sistema di istruzione nazionale e, più in generale, la musica all’interno del
campo della cultura legittima? Chi è riuscito, e a partire da quali interessi, risorse e strategie, a far
breccia nell’inerzia istituzionale che ha caratterizzato la storia di tali istituti? Quali strutture sono
state previste per organizzare la formazione musicale pre-accademica degli allievi, necessaria per
accedere ai Conservatori così riformati? Quali sono stati i risultati che, a circa venti anni dall’approva-
zione della legge, registra l’implementazione della Riforma? Questi sono i principali interrogativi ai
quali l’indagine si propone di rispondere, adottando un approccio che integra fonti di diversa natura
e metodi quantitativi e qualitativi nello studio del moderno Conservatorio di Musica italiano come
forma organizzativa finalizzata alla formazione professionalizzante dei musicisti.
Clementina Casula è ricercatrice di Sociologia dei processi economici e del lavoro presso l’Università degli Studi
di Cagliari. Le sue ricerche si sono principalmente concentrate sullo studio della dimensione regolativa delle
politiche pubbliche (a livello comunitario, nazionale, locale) in diversi ambiti del sistema socio-economico (come
lo sviluppo territoriale, la società dell’informazione, la transizione dal sistema educativo a quello lavorativo, la
produzione artistica e musicale), riservando una costante attenzione all’analisi di genere.
ISBN 978-88-3369-009-4
UNIVERSITAS
9 788833 690094 Euro 24,00 STUDIORUM