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Clementina Casula

DIVENTARE MUSICISTA
Indagine sociologica
sui Conservatori di musica in Italia
Clementina Casula

Diventare musicista
Indagine sociologica
sui Conservatori di musica in Italia

UNIVERSITAS
STUDIORUM
© 2018, Universitas Studiorum S.r.l. - Casa Editrice
via Sottoriva, 9 - 46100 Mantova (MN)
P. IVA 02346110204
www.universitas-studiorum.it

In copertina: disegno di Anna Mastinu,


studentessa di violoncello, 5 anni

Il volume è stato pubblicato con il contributo del Dipartimento di Scienze


Sociali e delle Istituzioni – Università degli Studi di Cagliari

Prima edizione marzo 2018


Prima ristampa luglio 2018

ISBN 978-88-3369-009-4
Alla passione musicale che si tramanda,
in forme vecchie e nuove,
di generazione in generazione.
Indice

I. L’indagine:
problema, teoria, strumenti 9
1. Una tardiva riabilitazione della professione musicale in Italia? 9
2. Le premesse teoriche dell’indagine 14
3. Metodologia, fonti e strumenti dell’indagine 18

II. Misurare il campo:


le statistiche sui Conservatori dal Novecento ad oggi 29
1. Il livello terziario: il sistema AFAM e il sistema Università 30
2. I Conservatori di musica o Istituti Superiori di Studi Musicali 40
2.1 La distribuzione territoriale 41
2.2 La popolazione studentesca 49
2.3 La popolazione docente 71

III. Definire il campo:


la collocazione dei Conservatori nel sistema di istruzione nazionale 87
1. La genealogia del campo 89
1.1 Origini storiche dei moderni Conservatori di musica italiani 89
1.2 L’inserimento dei Conservatori nel sistema di istruzione nazionale 98
2. Le lotte simboliche per la ridefinizione del campo 106
2.1 La missione culturizzatrice del Partito Comunista Italiano 106
2.2 Dal Comitato di lotta dei docenti di Conservatorio
al “miracolo UNAMS” 118
3. La riorganizzazione del campo 132
3.1 L’approvazione della legge n.508 del 1999 132
3.2 Il Cantiere AFAM: dal dissidio MIUR-UNAMS
alla sospensione dei lavori 139

5
IV. Interagire nel campo:
vecchie e nuove logiche regolative dei Conservatori 153
1. La resilienza istituzionale del vecchio ordinamento 155
1.1 Il reclutamento: il primato dell’offerta sulla domanda 156
1.2 La formazione: il modello della bottega artigiana 197
1.3 La professionalizzazione: il miraggio del concertismo solistico 246
2. La frattura dell’habitus del musicista classico nel nuovo ordinamento 270
2.1 Il reclutamento: il primato della domanda sull’offerta 271
2.2 La formazione: il modello accademico 287
2.3 La professionalizzazione: flessibilità, credenzialismo, precarietà 312

V. Riformismi irresponsabili:
l’orizzonte negato ai Conservatori di musica italiani 329

Bibliografia 335

6
Ringraziamenti

Diversamente da altre mie ricerche, spesso nate da collabora-


zioni o motivi contingenti e all’interno di dibattiti già sviluppati in
letteratura, questa sui Conservatori di musica italiani è stata forte-
mente voluta. Quando l’idea del progetto di ricerca si è fatta strada
– ad un convegno organizzato nel 2012 da AlmaLaurea, in cui le
istituzioni AFAM facevano il loro ingresso nel Consorzio interuni-
versitario creato da Andrea Cammelli – conoscevo già l’ambiente
dei Conservatori, abbastanza da poter dire – con le parole di una
musicista intervistata nella ricerca – che “ci sono molti difetti, però
ci sono tante persone e tante cose positive”. Trovavo quindi inspie-
gabile il disinteresse ed il silenzio che accompagnavano il loro de-
clino istituzionale, a seguito di una riforma che pure, formalmente,
li aveva promossi nel livello terziario di istruzione.
Ho fatto del mio meglio per avvicinarmi in maniera rispettosa
e attenta ad una questione intricata e complessa e ciò ha com-
portato tempi di realizzazione più lunghi del previsto. Tuttavia le
intenzioni non bastano, nell’arte come nella ricerca, e il volume
presenta certamente lacune e probabilmente imprecisioni, per le
quali mi scuso in anticipo. Mi auguro che, nonostante questi li-
miti, possa rappresentare un contributo per ampliare un dibattito
finora rimasto nel “ghetto” all’interno del quale la formazione
musicale è stata storicamente reclusa nel nostro Paese (per ripren-
dere un’espressione usata di recente dal musicista Eros Roselli).
Poiché anche il lavoro accademico, come quello artistico, nascon-
de dietro una produzione individuale una dimensione condivisa del
lavoro, un grazie collettivo va a tutti coloro che hanno contribuito
in maniera più o meno diretta alla realizzazione del volume. In par-
ticolare ringrazio tutti i musicisti, i docenti, gli studenti degli Istituti
Superiori di Studi Musicali - come precisato nel testo, il termine

7
Conservatorio è usato dall’indagine in senso inclusivo - che mi han-
no offerto la loro fiducia e dedicato il loro tempo, partecipando al
questionario, scrivendomi o concedendomi interviste che mi hanno
insegnato tanto, dal punto di vista scientifico e umano.
Un ringraziamento speciale a Paolo Troncon, già presidente del-
la Conferenza dei direttori dei Conservatori, per la generosità con
la quale ha sostenuto l’iniziativa e condiviso la sua estesa esperienza
sul campo, e ai direttori di ISSM che, tra le tante incombenze,
hanno trovato il tempo per rispondere alle mie reiterate richieste di
collaborazione, specialmente Bruno Carioti, Alessandro Melchior-
re, Giandomenico Piermarini, Elisabetta Porrà, Luciano Tristaino.
Sebbene la responsabilità di quanto scritto sulla Riforma sia
mia, per la ricostruzione del processo di approvazione e imple-
mentazione sono stati preziosi gli incontri con due tra i suoi prin-
cipali protagonisti, ovvero Dora Liguori e Giorgio Bruno Civel-
lo, che ringrazio per la disponibilità mostrata.
Un ringraziamento anche a colleghi, amici e familiari che, in
modi differenti, mi hanno sostenuto nel percorso di ricerca - ap-
poggiando la scelta di un tema che è parso a molti altri marginale
o facilitandomi nella sua realizzazione. Tra loro voglio ricordare:
Aldo Accardo, Francesco Bachis, Enrico Baiano, Gianfranco Bot-
tazzi, Wilma Campitelli, Andrea Coen, Paolo Dal Molin, Massi-
mo De Bonfils, Sara Frau, Toni Geraci, Filippo Gianfriddo, Al-
varo Lopez Ferreira, Ignazio Macchiarella, Alessandro Mongili,
Roberto Pellegrini, Elisa Perra, Marco Pitzalis, Antonello Podda,
Mariano Porcu, Eros Roselli, Luisa Salaris, Marco Santoro, Iza-
bela Wagner. Ringrazio Sergio Loi per la preziosa assistenza nella
predisposizione del questionario online e Serena Serra perché rie-
sce a rendere leggero il sempre più pesante carico di adempimenti
amministrativi. Un ultimo ringraziamento va a Ida Allegretto,
per gli insegnamenti e la passione musicale che ha trasmesso ai
suoi allievi e allieve.

8
I
L’indagine: problema, teoria, strumenti

1. Una tardiva riabilitazione


della professione musicale in Italia?
Diventare musicisti professionisti in Italia non è una impresa
semplice. Se non si nasce in una famiglia di strumentisti, com-
positori o cantanti – all’interno della quale si è sin dall’infan-
zia socializzati all’ascolto e alla pratica musicale, alla conoscenza
diretta degli strumenti, alla prospettiva di una carriera in am-
bito musicale come percorso professionale possibile e legittimo
– difficilmente si arriva a conoscere e apprezzare le peculiarità
e la varietà offerte dalla professione, tanto da prendere in seria
considerazione l’avvio di un percorso di studi professionalizzante
in tale settore. Quando poi ciò avviene (spesso per una serie di
motivi, come vedremo, del tutto fortuiti), raramente la scelta di
un tale percorso è socialmente valorizzata per le specifiche diffi-
coltà richieste e le competenze acquisite, o incoraggiata in quanto
indirizzata ad un prestigioso traguardo; più spesso, invece, è ri-
portata alla presenza di talento e genialità innati, che giustificano
una condizione occupazionale eccezionale, atipica e stravagante,
o, all’opposto, alla mancanza di sufficienti risorse e capacità per
intraprendere altri percorsi più seri e ‘normali’1.

1. Ecco, ad esempio, come il giornalista Gian Antonio Stella ricostruisce il de-


stino professionale del musicista Bepi De Marzi: «Se fosse ancora vivo, il profes-
sore dell’Istituto tecnico di Valdagno che decise il suo destino sarebbe contento.
Quell’alunno gli sembrò infatti del tutto inadatto a ogni bancone da lavoro e
dunque del tutto inutile a ogni laboratorio e fabbrichetta della provincia vicen-

9
Dal punto di vista storico, il tragitto che nella moderna società
occidentale ha visto il musicista affermare la propria autonomia
come professionista2, liberandosi del suo ruolo di erogatore di servi-
gi per le classi abbienti, è stato graduale, accidentato e diversificato
(De Nora 1995, Carrozzo e Cimagalli 2009). La letteratura accade-
mica3, inoltre, ha evidenziato come tale processo sia stato successi-
vamente frenato dall’affermarsi della civiltà industriale, che associa
il lavoro alla sfera della produttività tangibile, riservando alla sfera
del tempo libero le attività ritenute improduttive (Turner 1974):
ancora oggi, tanto i musicisti quanto gli artisti in generale, devono
spesso fare i conti con un diffuso senso comune, che non include
le attività associate al piacere nella categoria del lavoro retribuito.
In Italia, più che in altri paesi, il tragitto della professione
musicale si è rivelato storicamente incompiuto, tanto che il rico-
noscimento della sua utilità sociale resta tutt’oggi assai limitato
e prevalentemente riportato all’interno della sfera dello spetta-

tina (…) e regalò al padre del ragazzo un consiglio benedetto: -Nol xè bòn a far
gnente: mandalo a studiar musica!-» (Stella 2018).
2. Rispetto alla varietà di accezioni in cui il termine ‘professione’ è utilizzato
nella letteratura sociologica, legate alle differenti tradizioni storiche e culturali
dei contesti nei quali si sono sviluppate (Tousijn 1997, Dubar e Tripier 1998),
facciamo qui riferimento al dibattito sviluppatosi nell’Europa continentale, che
inquadra il concetto all’interno della sociologia del lavoro (De Nardis 1995,
Bellini 2005), riprendendo nello specifico la definizione offerta da Gallino
(2014: 524): «un’attività lavorativa, altamente qualificata, di riconosciuta utili-
tà sociale, svolta da individui che hanno acquisito una competenza specializzata
seguendo un corso di studi lungo e orientato precipuamente a tale scopo».
3. Frederickson e Rooney (1990), adottando un approccio ristretto allo studio
delle professioni, legato agli sviluppi delle professioni liberali nel contesto an-
glosassone, ritengono che quella del musicista sia una “semi-professione”, in
quanto, pur essendo riuscita a realizzare alcune delle condizioni che caratteriz-
zano le professioni liberali, diversamente da queste basa la sua autorità culturale
su valori estetici che hanno perso la loro plausibilità nell’era industriale, fondata
su un ordine simbolico orientato verso criteri scientifici. Per una posizione fa-
vorevole invece al riconoscimento dello status professionale del musicista vedi,
tra gli altri, Weber (1975), Supčič (1987).

10
colo e dell’intrattenimento culturale (Santoro 2002). Per questo
perfino i più autorevoli media nazionali trattano la notizia del
licenziamento di un prestigioso corpo di ballo o dello sciopero
dei professori di orchestra di una fondazione lirico-sinfonica non
tra le notizie di prima o seconda pagina, bensì alla sezione ‘spet-
tacoli’ della cosiddetta terza pagina; perciò i nostri musicisti, di-
versamente o più dei loro colleghi stranieri, lamentano di sentirsi
spesso chiedere, perfino quando già professionalmente affermati,
quale sia il loro ‘vero lavoro’ (Accardo 2012, Roselli 2015). Per
questo, inoltre, nell’ambito della tradizione sociologica italiana,
contrariamente rispetto ad altre tradizioni nazionali, le profes-
sioni artistiche e musicali non costituiscono (ancora?) un campo
di indagine specifico e riconosciuto della sociologia del lavoro4.
Come si spiega lo scarso riconoscimento sociale attribuito alla
professione musicale in un Paese dove, ancora oggi, la reputa-
zione della tradizione nazionale e della fama ottenuta da celebri
artisti nel settore è annoverata tra i miti che alimentano l’orgoglio
identitario in ambito mondiale? Buona parte delle ragioni - è
questa la tesi sostenuta nel volume - sono da ricondurre alla sto-
ria moderna e contemporanea dell’apprendimento musicale in
Italia. Tale storia ha due facce: quella della esclusione della prati-
ca musicale dal novero dei saperi legittimi codificati nel sistema
scolastico; quella della mancata riorganizzazione culturale delle
scuole per la formazione professionalizzante dei musicisti.

4. Il dibattito sulle professioni musicali è stato particolarmente sviluppato in


ambito francese (da autori come Pierre Bourdieu, Marie Buscatto, Philippe
Coulangeon, Antoine Hennion, Bernard Lehmann, Pierre Michel Menger,
Hyacinte Ravet) e in ambito anglosassone (con Howard Becker, Tia DeNora,
Paul DiMaggio, Richard Peterson, tra gli altri). In Italia si rinvengono all’inter-
no della sociologia del lavoro contributi - tra i quali ricordiamo quelli di Luise
e Minardi (1986), La Rosa e Virdis (2004), Luciano e Bertolini (2011) - che
tuttavia non hanno portato allo sviluppo di un dibattito sulle professioni musi-
cali, talvolta considerate all’interno della sociologia culturale - vedi, tra gli altri,
Santoro (2000, 2004), Bellini (2004).

11
Sin dalla sua istituzione negli ultimi decenni dell’Ottocento il
sistema di istruzione nazionale – di impostazione classista e classi-
cista (Grimaldi e Serpieri 2012) – ha infatti sostanzialmente esclu-
so dai curricula istituzionali la formazione musicale, confinandola
all’interno dei Conservatori di musica, scuole per l’apprendimento
musicale professionalizzante sviluppatesi da opere di assistenza e
carità privata sorte nel Cinquecento che, con l’intento di ‘conser-
vare’ collegialmente l’infanzia abbandonata, prevedevano l’inse-
gnamento musicale tra le varie attività formative impartite, con
finalità riabilitative, secondo il modello a bottega (Colarizi 1971).
Nel corso dell’Ottocento, prima in Europa e poi negli Stati Uni-
ti i Conservatori di musica, attraverso l’iniziativa di imprenditori
culturali, interessati a legittimare le pratiche culturali distintive del
ceto borghese in ascesa, sono riconfigurati da umili botteghe arti-
giane in prestigiosi istituti di alta cultura, ‘templi dell’arte’ finaliz-
zati alla produzione e alla riproduzione del canone musicale clas-
sico-romantico (DiMaggio 2009, Kingsbury 1988, Weber 1999).
Tale azione, finalizzata all’inserimento della musica colta nella
gerarchia culturale istituzionalizzata, si realizza attraverso strategie
differenziate nello spazio e nel tempo: nel caso francese, grazie al
prestigio derivante dalla valorizzazione statale attribuita all’istituto
all’interno del sistema di istruzione nazionale; nel caso statuniten-
se, mediante l’inserimento della musica nei curricula universitari,
oltre che scolastici, al vertice del sistema di istruzione.
I Conservatori d’Italia sono dei semplici ospedali dove l’indigenza tro-
va, in verità, una risorsa preziosa e la prospettiva di uno stato onesto:
ma la classe media prova una certa ripugnanza ad attingervi la propria
istruzione. Il progetto del Conservatorio francese ha (…) una diversa
estensione: sostenuto dalla protezione speciale del governo, che prende
parte diretta alla sua esistenza, non vi è alcuna classe [sociale] che non
rivendichi il vantaggio di esservi ammessa (…). (Pierre 1900: 140) 5.

5. L’estratto è tratto da un articolo di regolamento del 1800 del Conservatorio


di musica di Parigi, fondato nel 1795 (Pierre 1900, traduzione mia).

12
[L]’azione degli imprenditori culturali, a Boston come in altre città, era
solo il primo passo verso l’istituzionalizzazione della gerarchia cultura-
le. Affinché la conoscenza artistica potesse servire come forma di capi-
tale culturale, la logica della gerarchia culturale doveva essere compresa
accettata anche da quegli americani che non visitavano i musei o non
ascoltavano musica classica. Poiché le università garantivano il valore
del capitale culturale, proprio come le banche centrali tutelavano il va-
lore del capitale finanziario, era fondamentale che l’arte fosse prevista
dai programmi universitari. (DiMaggio 2009: 40)6

Nel caso italiano, il processo di riconfigurazione degli isti-


tuti di formazione musicale professionalizzante si realizza solo
in misura parziale e discontinua: i Conservatori faticano infatti
a scrollarsi di dosso l’etichetta di bottega artigiana, ma anche
a rinunciare ai vantaggi derivanti dalla sostanziale marginaliz-
zazione dal campo dell’istruzione nazionale in termini di au-
tonomia organizzativa. A più riprese emergono, nel corso del
Novecento, tentativi messi in atto da reti di imprenditori cul-
turali, finalizzati a modificare i confini tra il campo di forma-
zione musicale e quello dell’istruzione nazionale, ma le forze
di resistenza al cambiamento prevalgono. Per oltre un secolo
i Conservatori italiani resteranno in un regime di sostanziale
autonomia, caratterizzato da un’autoriproduzione didattica e
organizzativa, che – pur offrendo un buon livello medio di
preparazione tecnica (Maione 2005) – risulta sempre più ina-
deguata a rispondere alle mutate esigenze didattiche, musicali,
culturali e professionali, così come si sviluppano nel corso del
Novecento (Salvetti e Sità 2003).
Alla fine del secolo è tuttavia approvata una legge di Riforma
(n.508/1999), che riunisce Conservatori e altri Istituti di musica
e di arte applicata riconosciuti dallo Stato all’interno di un nuovo
sistema, l’Alta formazione artistica e musicale (AFAM), collocato

6. Il passaggio di DiMaggio fa riferimento ai suoi studi sull’imprenditoria cultura-


le nella Boston di fine Ottocento, già pubblicati in DiMaggio (1982-a, 1982-b).

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nel livello terziario del sistema di istruzione, ovvero al vertice del
sistema educativo, fino ad allora campo di dominio esclusivo del
sistema universitario.
Cosa ha portato lo Stato italiano ad inserire i Conservatori di
musica nel livello di istruzione terziario? Si tratta forse di un tar-
divo tentativo di riabilitare e valorizzare la formazione musicale
professionalizzante all’interno del sistema di istruzione nazionale
e, più in generale, la musica all’interno del campo della cultura
legittima? Chi è riuscito, e a partire da quali interessi, risorse e
strategie, a far breccia nell’inerzia istituzionale che ha per secoli
caratterizzato la storia di tali istituti? Quali strutture sono state
previste per preparare la formazione musicale pre-accademica de-
gli allievi, necessaria per accedere ai Conservatori così riformati?
Quali sono stati i risultati che, a circa venti anni dall’approvazio-
ne della legge, registra l’implementazione della Riforma?
Questi sono i principali interrogativi ai quali l’indagine si
propone di rispondere, studiando il moderno Conservatorio di
musica italiano come forma organizzativa finalizzata alla forma-
zione professionalizzante dei musicisti7.

2. Le premesse teoriche dell’indagine


Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un
pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice:
- Salve, ragazzi. Com’è l’acqua? -. I due pesci giovani nuotano un altro
po’, poi uno guarda l’altro e fa: - Che cavolo è l’acqua? (Foster Wallace
2009: 143)

7. Oltre ai Conservatori di musica sono stati oggetto dell’indagine gli Istitu-


ti musicali pareggiati (IMP), rispondenti allo stesso modello organizzativo del
moderno Conservatorio italiano e rilascianti titoli legalmente riconosciuti, ma
tradizionalmente sovvenzionati da enti locali – e non dallo Stato, come i Con-
servatori – sebbene attualmente in via di statalizzazione. Entrambe le tipologie
di istituto sono identificate dalla legge di Riforma (n.508/1999) come Istituti
Superiori di Studi Musicali.

14
Come i giovani pesci nell’aneddoto di David Foster Wallace
nuotano senza sapere cosa sia l’acqua, anche gli esseri umani
si orientano nei contesti organizzativi all’interno dei quali inte-
ragiscono – la famiglia, la scuola, il lavoro – senza avere piena
consapevolezza delle loro caratteristiche distintive, né di come
queste influenzino il loro modo di pensare, muoversi, compor-
tarsi. A farli sentire “come pesci nell’acqua” nel proprio mondo
sociale contribuiscono i processi di socializzazione, che portano
ad internalizzare e normalizzare vincoli e possibilità dei contesti
istituzionali all’interno dei quali sono collocati, incorporando
in tal modo ciò che Pierre Bourdieu (1977) definisce l’habitus.
L’habitus rappresenta una “struttura strutturante”, che genera
tra individui accomunati dal radicamento in un dato spazio
sociale specifiche e durature disposizioni, ovvero abilità e pro-
pensioni codificate rispetto a modi specifici di pensare, sentire
e agire, le quali orientano le risposte date alle costrizioni e alle
sollecitazioni del proprio ambiente sociale (Wacquant 2015: 69,
Paolucci 2011).
Da questa prospettiva, i contesti istituzionali non rappresen-
tano dunque vuote cornici all’interno delle quali si svolge l’azio-
ne sociale, individuale o collettiva, bensì strutture cognitive, nor-
mative e regolative che danno stabilità e significato a tale azione,
operando attraverso vettori culturali, strutturali e procedurali a
molteplici livelli e sfere di autorità (Scott 1998: 55-88). Il fuoco
dell’analisi di ricerca si sposta in tal modo dalle singole organiz-
zazioni al campo organizzativo in cui queste operano (Powell e
DiMaggio 1991, Bonazzi 2000), intendendolo non come dato
a priori, bensì come fattore endogeno dell’indagine, che richiede
di essere esplorato prioritariamente al fine di meglio interpretare
il senso dell’azione sociale.
Nella nostra ricerca il fuoco dell’analisi si sposta, dunque, dal
moderno Conservatorio di musica italiano al campo dell’istru-
zione musicale professionalizzante, inserito nel più ampio campo

15
dell’istruzione nazionale8. Il sistema di istruzione è riconosciuto
in letteratura come uno dei più potenti strumenti di istituzio-
nalizzazione delle strutture gerarchiche sulle quali si fonda l’or-
dine sociale, in quanto definisce in modo apparentemente tec-
nico, neutrale e oggettivo classificazioni educative che in realtà
rispecchiano classificazioni sociali, attribuendo corrispondenze
di valore tra sfere sociali differenti: da quella scolastica a quella
lavorativa, da quella lavorativa a quella sociale, da quella sociale a
quella personale (Bourdieu 2001: 397, 399).
Tali strutture gerarchiche, tuttavia, non sono imperiture, ben-
sì mutano nel tempo, portando a processi di ridefinizione dei
confini del campo e della sua struttura socio-simbolica. Si tratta
in genere di processi contestati e conflittuali, che vedono la con-
trapposizione di visioni differenti del campo. In quanto spazio
sociale, infatti, il campo è costituito dall’interazione tra agenti
posti in una collocazione più o meno vantaggiosa, a seconda del
grado di valorizzazione delle loro risorse al suo interno9, i quali

8. Il campo può essere definito, sempre riprendendo Bourdieu (2002), come


una sorta di microcosmo sociale, ovvero «un piccolo mondo sociale relativa-
mente autonomo all’interno del mondo sociale più grande» (Bourdieu, citato
in Cerulo 2010: 20). All’interno di ogni campo si possono identificare due
poli, che possono a seconda del caso rivelarsi più o meno preponderanti: il polo
dell’autonomia consente al campo di avere al proprio interno il principio e la re-
gola del proprio funzionamento e di operare con criteri di valutazione propri; il
polo dell’eteronomia lo porta ad aprirsi al di fuori dei propri confini, perdendo
le caratteristiche di autenticità e indipendenza (Maton 2005).
9. Bourdieu indica tre tipi principali di capitale detenuti dall’agente: quello eco-
nomico, dato dall’insieme delle risorse materiali (denaro, mezzi di produzione,
beni mobiliari e immobiliari); quello sociale, relativo alle reti di relazioni dell’a-
gente (persone e luoghi frequentati, cerchia sociale di appartenenza, gruppo la-
vorativo); quello culturale, legato alle competenze e conoscenze, che può essere
incorporato (nel caso della conoscenza e cultura soggettiva), oggettivato (libri,
dischi, opere d’arte) o istituzionalizzato (titoli di studio). La combinazione del-
le forme di capitale detenuto costituisce il capitale simbolico, fonte delle risorse
personali che caratterizzano socialmente gli agenti, offrendogli le possibilità per
il riconoscimento all’origine della costante lotta simbolica (Cerulo 2010: 24-25).

16
attivano lotte simboliche finalizzate all’acquisizione della leader-
ship, ovvero dell’autorità per imporre agli altri membri la propria
visione del campo come legittima (Cerulo 2000: 21-24; Bour-
dieu 2000: 79-81).
L’indagine, dunque, ha seguito due differenti livelli di analisi.
Il primo è un livello macrosociale, che guarda in una prospetti-
va storica di ‘lunga durata’, necessaria ad abbracciare l’orizzonte
della vita istituzionale (Braudel 2002, Paci 2013, Hall e Taylor
1996), ai processi che contribuiscono a configurare e riconfigu-
rare il campo della formazione musicale professionalizzante in
Italia all’interno del più ampio campo dell’istruzione nazionale.
Gli studi sulle istituzioni offrono gli strumenti per comprendere
le ragioni della conservazione, legata all’inerzia e all’autonomia
assunta dalle istituzioni una volta create (Morgan et al. 2010,
Thelen e Steinmo 1992), nonché per evidenziare i costi che il
cambiamento comporta per gli attori del campo – in termini di
ristrutturazione delle relazioni di potere, incertezza, coordina-
mento, apprendimento – portandoli talvolta a preferire la difesa
degli assetti esistenti, anche quando ormai inadeguati o ineffi-
cienti (Crouch 2005). Offrono tuttavia anche gli attrezzi per ri-
levare l’azione di imprenditori istituzionali che, grazie alle risor-
se specifiche attivate e alle strategie adottate, riescono a cogliere
le occasioni aperte al cambiamento da finestre di opportunità
(windows of opportunities), spesso legate a momenti storici di cri-
si o di svolta (critical junctures), talvolta riuscendo nell’intento
di modificare gli assetti esistenti (Pierson 1998, North 1998,
Kingdon 1984).
L’analisi a livello macro è successivamente integrata con un’a-
nalisi a livello microsociale, che consente di rilevare le modalità
e la portata del cambiamento all’interno della specifica forma or-
ganizzativa studiata (i Conservatori), a partire dalle logiche che
guidano l’interazione tra gli attori che la abitano. Il processo di
implementazione del cambiamento istituzionale all’interno del

17
contesto organizzativo non è infatti un processo lineare e incon-
testato; al suo interno, al contrario, si ripropongono le lotte sim-
boliche già osservate a livello macro, attivate da gruppi di attori
con diverse risorse ed interessi per imporre la versione del cam-
biamento che ritengono più conveniente o opportuna o invece,
al contrario, per ripristinare sotto le nuove spoglie il vecchio as-
setto, influenzando l’orientamento dei contenuti e delle finalità
previste dalla riforma (Vaira 2011: 14).

3. Metodologia, fonti e strumenti dell’indagine


Per realizzare le finalità dell’indagine, a fronte dell’esiguità
di studi sul campo e nell’intento di voler sviluppare un’analisi
che integri l’analisi macro e microsociale della realtà indagata, si
è scelto un approccio mixed-methods, che armonizza all’interno
di una comune strategia di ricerca l’utilizzo di metodi e tecni-
che di tipo quantitativo e qualitativo (Bryman 2012, Amaturo
e Punziano 2016). Lo sviluppo strategico e convergente di dif-
ferenti fonti e strumenti di rilevazione ha infatti consentito di
triangolare e gradualmente integrare i risultati via via ottenuti,
sviluppando uno sguardo al contempo radicato e sistemico al
campo di analisi.
Una prima fonte utilizzata dall’indagine è costituita dalle
statistiche ufficiali sui Conservatori di musica italiani10, riprese
dalle rilevazioni dell’Istat sul sistema di istruzione nazionale per
le annualità che vanno dall’anno scolastico 1926-27 all’anno sco-
lastico 1998-9911. Con l’inserimento dei Conservatori nel livello

10. Approfitto per ringraziare i funzionari dell’Istat (specialemente gli addetti


della sede dell’Archivio storico di Roma) e del MIUR-AFAM (e, in particolare,
Maria Teresa Morana e Simonetta Sagramora) per la gentile collaborazione.
11. I dati delle tabelle riportate nella prima parte del volume sono tratti dalle
seguenti raccolte Istat: Annali di Statistica, Statistica dell’istruzione artistica,
a.s. 1926-27; Statistica dell’istruzione media, istruzione artistica (media e supe-
riore), aa.ss. 1927-28, 1930-31, 1931-32, 1936-37; Annuario statistico dell’i-
struzione italiana, Istruzione artistica, Conservatori e Istituti di musica: dall’

18
terziario dell’istruzione, a seguito dell’applicazione della legge di
riforma (l.n.508/1999), a partire dall’anno accademico 1999-
2000 le rilevazioni sono affidate ai servizi statistici del Ministero
dell’Università e della Ricerca (MIUR). Questa fonte risulta par-
zialmente lacunosa, per diverse ragioni: la difficile reperibilità di
alcuni dei volumi più datati; la limitatezza, parzialità o difficile
comparabilità delle informazioni offerte, non sempre riproposte
in tutte le annualità; le interruzioni nelle serie storiche12. Ciò
nonostante, si tratta di una preziosissima risorsa per ‘misurare il
campo’ (Santoro 2014), come fa il secondo capitolo del volume,
rilevando dall’analisi descrittiva delle statistiche alcune delle at-
tuali caratteristiche distintive della formazione musicale profes-
sionalizzante, all’interno del livello terziario dell’alta formazione,
e ricostruendone gli andamenti nello spazio e nel tempo dai pri-
mi decenni del Novecento fino ad oggi.
La corrispondente evoluzione della struttura socio-simbolica
del campo e della sua collocazione all’interno del più ampio si-
stema di istruzione è ricostruita grazie a un’altra tipologia di fonti
secondarie, ovvero la letteratura e i documenti istituzionali sui
Conservatori di musica italiani, che consente al terzo capitolo
del volume di ‘definire il campo’. Diverso è il ricorso alle varie
tipologie di fonti disponibili a seconda del periodo trattato: la
geneaologia del campo è rintracciata principalmente attraverso
testi a carattere storico; la lotta simbolica attivata per la rifor-
ma dei Conservatori a partire dagli anni Sessanta investigando

a.s. 1947-48 fino all’ a.s. 1983-84; Statistiche dell’istruzione: dall’a.s. 1984-85
fino all’a.s. 1986-87; Statistiche delle scuole secondarie superiori, Conservatori
ed Istituti musicali pareggiati: dall’a.s. 1989-90 fino all’a.s. 1995-96; Statistiche
dell’istruzione universitaria, Istruzione secondaria non universitaria: dall’a.a.
1996-97 fino all’a.a.1997-98.
12. Durante la seconda guerra mondiale l’Istat riduce al minimo le proprie attivi-
tà, annullate del tutto per il periodo che intercorre tra gli anni scolastici 1943-44 e
1944/45 (cfr. Istat 1957: 296); i dati relativi all’istruzione artistica e musicale non
sono inoltre disponibili per le annualità scolastiche 1987-88 e 1988-89.

19
fonti di archivio dei quotidiani nazionali e del Parlamento13; la
riorganizzazione del campo seguita all’approvazione della legge
n.508/1999 integrando fonti secondarie con interviste qualita-
tive ad alcuni protagonisti e testimoni privilegiati della Riforma.
Sull’analisi delle fonti primarie si basa invece il quarto ca-
pitolo, che ricostruisce come cambia il modo di ‘interagire nel
campo’ prima e dopo la Riforma dei Conservatori, integrando
l’analisi dei dati qualitativi (interviste in profondità e focus group
con una selezione di studenti, docenti, direttori) con quella dei
dati quantitativi (un questionario autosomministrato ai docenti
di tutti i Conservatori italiani).
Per quanto riguarda la parte qualitativa della rilevazione, co-
stituita da interviste individuali e focalizzate di gruppo (focus
group), questa è stata realizzata durante tutto l’arco della ricerca
empirica (dalla primavera 2013 all’inverno 2017), arrivando a
coinvolgere un centinaio tra studenti e docenti di Conservato-
rio e una decina di protagonisti e testimoni privilegiati della Ri-
forma. Le prime interviste sono state avviate attraverso contatti
personali; quelle successive attraverso un meccanismo di cam-
pionamento a valanga (snowball sampling), chiedendo ai primi
intervistati ulteriori contatti, oppure contattando direttamente
l’intervistato identificato. Il criterio di selezione ha comunque
cercato di dar conto della varietà esistente nelle popolazioni in
termini di tipologia di specializzazione disciplinare, genere e ti-
pologia dell’istituto di appartenenza (in termini di dimensioni
e di localizzazione territoriale). Tuttavia le finalità della ricerca -
principalmente orientate allo studio del moderno Conservatorio
di musica italiano come forma organizzativa finalizzata alla for-
mazione professionalizzante dei musicisti, piuttosto che alle sin-
gole carriere formative e professionali – hanno portato l’analisi,

13. In particolare, ho utilizzato l’archivio del Corriere della Sera e le banche dati
parlamentari disponibili nei portali istituzionali della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica Italiana.

20
nell’identificazione delle peculiarità distintive del Conservatorio
pre e post-Riforma, a sottovalutare le differenziazioni che tale
modello assume nei vari contesti territoriali, nonché le specificità
di alcuni percorsi formativi (come composizione, musicologia,
direzione d’orchestra), solo parzialmente affini a quelli, maggio-
ritari e caratterizzanti l’organizzazione, dei musicisti interpreti
(strumentisti e cantanti).
La traccia delle interviste con i docenti e gli studenti ha pre-
visto una ricostruzione delle principali tappe del loro percorso
formativo e professionale e un approfondimento della loro opi-
nione sulla Riforma. Le interviste a testimoni privilegiati o diret-
ti protagonisti della Riforma hanno avuto carattere più formale
e si sono incentrate sulle tematiche specifiche del mutamento
organizzativo. Tutte le interviste, della durata media di un’ora
e mezza, sono state realizzate dall’autrice di persona o, più rara-
mente, telefonicamente, registrate (previo consenso dell’intervi-
stato), trascritte, e analizzate seguendo un approccio di tipo in-
duttivo e comparativo, basato sulla codifica e il confronto delle
principali sottocategorie e aree tematiche emerse (Brinkmann e
Kvale 2015). La trascrizione ha consentito un ampio utilizzo del-
le citazioni dirette nel testo riportando fedelmente le parole ed
espressioni usate dagli intervistati, ma omettendo o modificando
qualche dettaglio che avrebbe consentito di risalire all’identità
dell’intervistato, al fine di tutelarne la privacy.
Nel caso dei focus group, se quelli realizzati con gli studen-
ti si sono svolti in un clima estremamente sereno, piacevole e
collaborativo, che ha consentito lo sviluppo una dimensione in-
tersoggettiva del dialogo (Acocella 2005), l’unico realizzato con
docenti si è scontrato con difficoltà nell’interazione derivanti da
una iniziale diffidenza nei confronti delle finalità dell’indagine,
nonché dalla presenza di partecipanti dai profili culturali e pro-
fessionali molto disomogenei (Corrao 2005). Per questo motivo
si è scelto poi di proseguire le interviste coi docenti in forma

21
esclusivamente individuale. Al materiale di analisi di tipo quali-
tativo si aggiungono le utili comunicazioni inviatemi per posta
elettronica da diversi docenti dopo aver partecipato al questiona-
rio, per approfondire aspetti non coperti dalle domande.
L’analisi delle prime interviste qualitative ha consentito nell’e-
state 2013 la predisposizione di un questionario online per i soli
docenti - a fronte delle difficoltà riscontrate relativamente ad
un possibile invio agli studenti - realizzato tramite l’applicativo
opensource Limesurvey. Il questionario è stato proposto nell’au-
tunno 2013 ai docenti del Conservatorio di Cagliari, grazie alla
collaborazione dei Direttori di dipartimento. Questa prima ver-
sione del questionario si componeva di circa 80 domande con
risposta multipla e una opzione aperta, raggruppate in 5 sezioni
tematiche (dati anagrafici, socializzazione musicale, formazione
negli ISSM, docenza negli ISSM, consumi culturali e tempo li-
bero) e una sezione per commenti liberi. Nel gennaio 2014 il
questionario è stato chiuso e analizzato; le criticità riscontrate
hanno portato a rivederlo arrivando a definire una versione finale
più snella, riducendo il numero di domande a circa 60 e le se-
zioni a 3 (dati socio-anagrafici, docenza in ISSM, socializzazione
musicale); al fine di evitare la dispersione delle risposte in pre-
cisazioni non sempre rilevanti, nella gran parte delle domande
è stata eliminata la possibilità di indicare l’opzione “altro”, con
l’eccezione delle domande più personali o delicate, dove è stata
inserita l’opzione “preferisco non rispondere”.
La versione finale del questionario è stata lanciata a livello
nazionale nel luglio 2014, grazie al sostegno dell’allora Presidente
della Conferenza dei direttori dei Conservatori di musica, il M°.
Paolo Troncon, il quale ha girato ai direttori la mia richiesta di
inoltro alle mailing list dei rispettivi docenti di un invito alla
compilazione14. A fronte di una accoglienza dell’iniziativa com-
14. L’intervento dei direttori è risultato fondamentale a fronte del fatto che l’in-
dirizzo email istituzionale per comunicare con il pubblico è scarsamente diffuso

22
plessivamente buona, e talvolta molto favorevole, da parte dei
direttori, sono da segnalare pochi casi di esplicito rifiuto a colla-
borare - talvolta immotivato, talvolta basato su argomentazioni
pretestuose - e casi più frequenti di formale assenso, cui tuttavia
non è seguito l’effettivo invio dell’invito ai docenti.
I docenti che hanno partecipato al questionario hanno spesso
utilizzato, a compilazione ultimata, lo spazio riservato a com-
menti liberi, nei quali hanno voluto precisare, in maniera più
articolata, la loro posizione sulle tematiche considerate. Si rileva,
in particolare, una frustrazione dei rispondenti a fronte dei limiti
posti dalla natura dello strumento di rilevazione e dalle modalità
di somministrazione. La strutturazione del questionario in do-
mande e risposte standardizzate, necessaria per la raccolta e l’ana-
lisi statistica delle risposte, è risultata particolarmente frustrante
nel caso di questioni più complesse, che non si prestavano ad
una ipersemplificazione (come il giudizio sulla Riforma, appro-
fondito grazie alle interviste qualitative). L’autosomministrazione
online, scelta per i bassi costi a fronte di un’ampia copertura della
popolazione di riferimento, non consentendo di instaurare una
interazione tra intervistatore e rispondente, riduce le possibilità
di generare fiducia e coinvolgimento: visto il periodo di incertez-
za e preoccupazione rispetto al proprio futuro lavorativo, molti
docenti si sono mostrati diffidenti sulle finalità dell’indagine e
timorosi rispetto a possibili conseguenze derivanti da una even-
tuale attribuzione di identità ai rispondenti15.

presso gli ISSM, dove molti docenti preferiscono usare numeri di telefono o
account personali, spesso non indicati nel portale, e considerati un dato sensi-
bile da non divulgare.
15. Un docente ha definito ‘tendenziosa’ perfino la domanda sull’indicazione
del sesso, ovvero maschio o femmina. Più in generale, nonostante le rassicura-
zioni presenti nella lettera di presentazione del questionario sulle finalità scien-
tifiche e il rispetto della normativa sulla privacy della ricerca, alcune polemiche
hanno riguardato il fatto che la presentazione in forma anonima del questiona-
rio consentisse comunque al ricercatore di risalire all’identità dell’intervistato

23
Nel dicembre 2014 il questionario è stato chiuso e l’analisi
descrittiva dei dati avviata. Una prima criticità è emersa dal
fatto che, dei 1069 questionari completi pervenuti, soltanto 33
sono stati compilati da docenti a contratto: si ipotizza che ciò
sia dovuto al fatto che le mailing list utilizzate dai direttori per
inviare l’invito alla compilazione non prevedessero gli indirizzi
dei docenti a contratto. Vista la scarsa significatività del nu-
mero di questionari di docenti a contratto pervenuti a fronte
della popolazione di riferimento (per l’a.a. 2013-14 le statisti-
che MIUR-AFAM registrano 1.702 docenti a contratto) si è
scelto di concentrare l’analisi sui docenti in organico (a tempo
indeterminato e determinato). Il numero di intervistati così ot-
tenuto rappresenta il 17,2% della popolazione di riferimento,
data dai docenti di ISSM in organico: 1036 su 6.02316. Al fine
di verificare se nella composizione del gruppo di intervistati ri-
sultante dai questionari pervenuti fossero presenti scostamenti
importanti rispetto alla popolazione di riferimento (ovvero i
docenti di ISSM in organico), si è provveduto ad un confron-
to tra le due popolazioni relativamente alle principali dimen-
sioni demografiche ed istituzionali disponibili nella banca dati
MIUR-AFAM.
La tabella I.1 presenta, in valori assoluti e percentuali, un
raffronto tra intervistati e popolazione di riferimento (dati
per l’a.a. 2013-14) relativamente a quattro dimensioni: il ses-
so (maschio o femmina); la tipologia di contratto (a tempo
indeterminato o determinato); la tipologia dell’ISSM di ap-

nel caso di profili professionali distintivi, senza tenere conto di quanto specifica-
to a proposito dell’uso dei dati: «i dati raccolti saranno presentati o comunicati
soltanto in forma aggregata (senza possibilità di collegare le risposte all’identità
individuale dell’intervistato/a), utilizzati esclusivamente ai fini della presente
ricerca e non ceduti a terzi».
16. Non si può propriamente parlare di tasso di risposta, in quanto non vi è
stato modo di verificare se tutti i docenti in organico abbiano effettivamente
ricevuto l’invito a partecipare al questionario.

24
partenenza per l’a.a. 2013-14 (CM/ex-IMP); la collocazione
territoriale del proprio ISSM (Nord, Centro, Mezzogiorno).
L’analisi comparata delle caratteristiche degli intervistati e dei
docenti in organico rivela un sostanziale equilibrio per quanto
riguarda la distribuzione delle popolazioni relativamente alle
prime tre dimensioni (dove il margine di scostamento tra le
percentuali varia tra 1,1 e 2,5 punti). Per quanto riguarda la
quarta dimensione si rileva una parziale sovra-rappresentazio-
ne dei docenti appartenenti ad ISSM del Nord (+5,5 punti
percentuali), rispetto ad una sotto-rappresentazione di entità
inferiore di quelli del Centro (- 2,4) e del Mezzogiorno (-3,2).
Si può dunque concludere che in linea generale il confronto
tra la popolazione di intervistati e quella di riferimento mo-
stra l’assenza di scostamenti rilevanti, segnalando solo una so-
vra-rappresentazione dei docenti appartenenti a ISSM localiz-
zati nel Nord, il cui effetto può essere ridimensionato a fronte
di alcune considerazioni. In primo luogo, non si riscontrano
nell’analisi dei dati variazioni apprezzabili dell’opinione dei
docenti correlate alla variabile territoriale; bisogna a questo
proposito tenere conto dell’alta mobilità lavorativa dei docenti
di ISSM, la cui provenienza spesso non coincide col territorio
in cui si insegna: nella tab. I.2, ad esempio, notiamo infatti
come abbia risposto al questionario una percentuale di docenti
provenienti dalle regioni del Centro Italia (28%) decisamente
superiore rispetto a quella di docenti che insegnano presso un
ISSM localizzato nel Centro Italia (13%).

25
Tab. I.1 - Confronto tra le caratteristiche degli intervistati e la popola-
zione di riferimento: sesso e tipo di contratto, ISSM di afferenza e localiz-
zazione (valori assoluti e percentuali)

  INTERVISTATI POPOLAZIONE
SESSO valori % valori %
Maschio 741 71,5 4157 69,0
Femmina 295 28,5 1866 31,0
Totale 1036 100,0 6.023 100,0
CONTRATTO
Tempo indeterminato 810 78,2 4.819 80,0
Tempo determinato 226 21,8 1.204 20,0
Totale 1036 100,0 6.023 100,0
ISSM DI AFFERENZA
CM 919 88,7 5406 89,8
exIMP 117 11,3 617 10,2
Totale 1036 100,0 6.023 100,0
TERRITORIO ISSM
Nord 482 46,5 2470 41,0
Centro 136 13,1 932 15,5
Mezzogiorno 418 40,3 2621 43,5
Totale 1036 100,0 6.023 100,0

Fonte: Questionario docenti Casula (2014); banca dati MIUR-AFAM (a.a.


2013-14)

Tab. I.2 – Area territoriale di provenienza degli intervistati

Area territoriale Valori assoluti %


NORD 357 34,5
CENTRO 292 28,2
MEZZOGIORNO 363 35,0
ESTERO 24 2,3
Totale 1.036 100,0
Fonte: Questionario docenti Casula (2014)

26
Tab. I.3 - Confronto tra le caratteristiche degli intervistati e la popola-
zione di riferimento: classi di età (valori assoluti e percentuali)

INTERVISTATI POPOLAZIONE
CLASSI DI ETÀ Docenti in organico Docenti di ruolo
valori % valori %
<40 20 1,9 13 0,26
40-49 223 21,5 869 17,63
50-59 605 58,4 3006 60,99
>=60 188 18,1 1041 21,12
Totale 1.036 100,0 4929 100
Fonte: Questionario docenti Casula (2014); banca dati MIUR-AFAM (a.a.
2013-14)

Un’ulteriore dimensione di confronto riguarda l’età degli in-


tervistati: in questo caso la difficoltà è data dal fatto che i dati
MIUR-AFAM sono disponibili solo per i docenti di ruolo a tem-
po indeterminato (che, come visto nella tab. I.1, costituiscono
l’80% dei docenti in organico). Osservando la tab.I.3 si nota
in primo luogo l’anzianità del personale docente di ruolo degli
ISSM, di cui circa l’82% è costituito da persone con più di 50
anni, circa il 18% da persone di età compresa tra i 40 e i 49 anni,
mentre solo 13 docenti (lo 0,3% del totale) hanno un’età inferio-
re ai 40 anni, tutti appartenenti ad ex-IMP. Poiché la popolazione
di docenti che hanno partecipato al questionario contiene docen-
ti sia a tempo indeterminato che a tempo determinato (questi ul-
timi generalmente più giovani dei primi), ciò spiegherebbe i lievi
scostamenti riscontrati tra questa e la popolazione rilevata dal
MIUR: una sovra-rappresentazione delle classi di età più giovani
(+1,64 punti percentuali per la classe di docenti di età inferiore ai
40 anni, +3,87 per i docenti di età compresa tra i 40-49 anni) e
una corrispondente sotto-rappresentazione delle classi di età più
avanzate (-2,59 per i docenti tra i 50-59 anni e -3,02 per i docen-
ti di 60 o più anni).

27
II
Misurare il campo:
le statistiche sui Conservatori, dal Novecento ad oggi

Introduzione
Un primo strumento di analisi dei Conservatori di musi-
ca italiani è costituito dalle statistiche ufficiali che li riguar-
dano. Queste - nonostante le lacune evidenziate nel capitolo
introduttivo - rappresentano una preziosissima fonte di in-
formazioni, che consente, da un lato, di evidenziare le loro
attuali caratteristiche all’interno del più ampio sistema dell’al-
ta formazione italiana, dall’altro lato di ricostruire le princi-
pali dinamiche della loro evoluzione storica. Questo capitolo
esamina dunque in chiave comparativa le caratteristiche del-
le popolazioni - studentesca, docente, amministrativa - che
risiedono all’interno dei sistemi del livello terziario di istru-
zione in Italia, prima confrontando il sistema AFAM (Alta
formazione artistica e musicale) con quello universitario, poi
considerando il caso dei Conservatori di musica all’interno
del sistema AFAM. Successivamente l’analisi si focalizza sui
Conservatori di musica, ricostruendo attraverso le serie stori-
che l’evoluzione della distribuzione territoriale degli Istituti,
nonché la dinamica e le peculiarità della popolazione studen-
tesca e della popolazione docente nel corso del Novecento e
fino ad oggi. Particolare attenzione è dedicata nell’analisi alla
dimensione di genere, al fine di verificare l’eventuale presenza
ed evoluzione di processi di segregazione a livello formativo e
occupazionale.

29
1. Il livello terziario di istruzione:
il sistema AFAM e il sistema Università
Il sistema di istruzione italiano, così come quello della gran
parte dei paesi occidentali industrializzati, si articola su tre li-
velli principali - primario, secondario, terziario - strutturati
secondo una logica di avanzamento per stadi gerarchizzati, la
quale consente l’accesso al livello superiore solo previa attesta-
zione formale del completamento del livello inferiore. Nel livel-
lo più alto, a lungo dominio esclusivo del sistema universitario,
è stato di recente inserito - con la legge n. 508 del 1999 – il si-
stema AFAM. Il nuovo coinquilino del livello terziario presenta
caratteristiche piuttosto differenti rispetto all’antico, esclusivo
occupante. Dal punto di vista quantitativo la differenza più
eclatante riguarda la dimensione della popolazione (composta
da studenti, personale docente, personale amministrativo, tec-
nico e ausiliario o ATA) di ciascun sistema considerato. Come
si può notare analizzando i valori assoluti (tab. II.1) e i valori
percentuali (fig. II.1), la stragrande maggioranza della popola-
zione appartiene al sistema universitario: oltre il 90% di ogni
categoria considerata. Il sistema AFAM conta infatti circa 85
mila studenti, 12 mila docenti, 2 mila e 400 addetti ai servizi
amministrativi, tecnici e ausiliari, i quali costituiscono, rispetti-
vamente, il 5% della popolazione studentesca, il 10% di quella
del personale docente, e il 4% di quella del personale ATA del
livello di istruzione terziario in Italia.

Tab. II.1 – Il livello terziario in Italia: numero di studenti, personale


docente, personale tecnico amministrativo, a.a. 2015-16 (valori assoluti)

Università AFAM Totale


Studenti 1.641.696 87.003 1.728.699
Docenti 80.479 13.034 91.786
ATA 57.909 2.430 60.339

Fonte: Banche dati MIUR e MIUR-AFAM

30
Fig. II.1 - I sistemi dell’Alta formazione: numero di studenti, docenti,
personale non docente, a.a. 2015-16 (valori percentuali)

Fonte: Banche dati MIUR e MIUR-AFAM

La differenza numerica della popolazione studentesca nei due


sistemi è comprensibile alla luce della tradizionale diversità dei
percorsi formativi e professionali realizzati. Tradizionalmente, la
formazione professionale artistica e musicale si caratterizza come
un percorso selettivo ad alta specializzazione, avviato già in corri-
spondenza con gli studi secondari, in cui assumono una notevole
rilevanza i fattori vocazionali e un sapere pratico, finalizzato ad
attività professionali in settori di nicchia; il sistema universitario,
invece, pur nella sua notevole complessità, mostra una predile-
zione per un tipo di apprendimento di tipo teorico e concettua-
le, preceduto da una formazione generalista, e orientato verso
ampi settori professionali, sebbene in misura variabile a seconda
dell’indirizzo disciplinare. La maggiore consistenza della quota di
docenti AFAM sulla popolazione docente complessiva del livello
terziario, rispetto a quella degli studenti AFAM sulla popolazio-
ne studentesca, è invece da collegarsi alle peculiari modalità di

31
insegnamento nella formazione artistica musicale, spesso legate a
relazioni didattiche individuali o per piccoli gruppi, diversamen-
te da quelle universitarie, che più di frequente coinvolgono un
ampio numero di studenti. Si tratta di caratteristiche che la Ri-
forma – come vedremo – ha contribuito a ridurre, uniformando
il settore AFAM a regole e prassi del sistema universitario.
Il parallelismo interno al sistema di istruzione nazionale che sto-
ricamente ha caratterizzato i rapporti tra i due percorsi formativi e
professionali (quello artistico-musicale e quello ‘standard’) aiuta a
comprendere la saltuarietà che ancora oggi caratterizza le relazioni
tra i due sistemi dell’alta formazione (AFAM e Università) in Italia.
La cooperazione tra i due sistemi è ulteriormente ostacolata da una
ambiguità normativa in grossa parte riconducibile all’incompletez-
za dell’iter di riforma del sistema AFAM. Nel 2002, dopo tentenna-
menti e tra perplessità, è sancita l’equipollenza dei titoli accademici
conseguiti nel sistema AFAM a quelli rilasciati dalle Università1, ai
fini di un pubblico concorso e del riconoscimento dei crediti forma-
tivi da spendere nei due sistemi dell’alta formazione. Nel 2003 alle
istituzioni AFAM è attribuita autonomia statutaria, regolamentare,
organizzativa, finanziaria e contabile, sempre nel rispetto dei prin-
cipi dettati dalle leggi dello Stato, mentre nel 2005 sono stabiliti i
criteri generali della nuova offerta formativa ridefinita secondo l’ar-
ticolazione in tre cicli di studio già applicato al sistema universitario
italiano, in convergenza con il modello europeo dell’istruzione di
terzo livello2. Come avremo modo di precisare considerando il caso
dell’alta formazione musicale, l’attuazione pratica di tali disposizio-
ni resta ancora gravemente lacunosa.

1. Si tratta della legge n. 268 del 2002, Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 212, recante misure urgenti per la scuo-
la, l’università, la ricerca scientifica e tecnologica e l’alta formazione artistica e
musicale.
2. Si fa riferimento a due Decreti del Presidente della Repubblica: rispettiva-
mente il n. 132 del 28 febbraio 2003, e il n. 212 del 8 luglio 2005.

32
Il sistema AFAM ricomprende al suo interno istituzioni etero-
genee in termini di dimensioni, tradizione e specificità didattiche:
l’Accademia di Arte Drammatica (AAD); l’Accademia Nazionale
di Danza (AD); le Accademie di Belle Arti, statali e riconosciute
(ABA); gli Istituti Superiori per le Industrie Artistiche (ISIA); gli
Istituti Superiori di Studi Musicali (ISSM); e ancora altri istitu-
ti privati autorizzati dallo Stato a rilasciare diplomi accademici.
Come si può osservare nella tabella 2, l’ambito della formazione
musicale è decisamente il più consistente, per numero di istituti
(oltre il 55% del totale), studenti iscritti (57%), personale docen-
te (75%) e ATA (64%). Tuttavia, la maggior parte della popola-
zione studentesca degli ISSM si concentra nella fascia di insegna-
mento detta ‘pre-accademica’, ovvero antecedente l’ingresso al
livello terziario. Se infatti dividiamo la popolazione studentesca
del sistema AFAM nei rispettivi livelli di studio, notiamo come
sono le Accademie di Belle Arti a detenere la maggior fetta di
studenti iscritti alla fascia accademica (circa 34 mila, corrispon-
denti a quasi il 40% del totale), la sola fascia che a rigore di legge
corrisponderebbe al sistema, seguite comunque dagli ISSM (con
circa il 27% del totale degli iscritti) (vedi la tab. II. 3).

Tab. II. 2 – Il sistema AFAM: numero di istituti, studenti, personale


docente e non docente, a.a. 2015-16 (valori assoluti e percentuali)

ISTITUTI STUDENTI DOCENTI ATA


AFAM
N° % N° % N° % N° %
AAD 1 0,7 141 0,2 97 0,7 19 0,8
AD 1 0,7 479 0,6 106 0,8 24 1,0
ABA 43 30,7 33.734 38,8 3.751 28,8 785 32,3
ISIA 4 2,9 958 1,1 195 1,5 42 1,7
ISSM 77 55,0 46.709 53,7 7.311 56,1 1.560 64,2
Altri 14 10,0 4.982 5,7 1574 12,1  --- 0,0

TOTALE 140 100,0 87.003 100,0 13.034 100,0 2.430 100,0

Fonte: Banca dati MIUR-AFAM

33
Tab. II. 3 - Il sistema AFAM: studenti iscritti per tipologia di istituto e
livello di studi3, a.a. 2015-16 (valori assoluti e percentuali)

Valori assoluti Valori %

PRE-ACC. ACC. TOTALE PRE-ACC. ACC. TOTALE

AAD 0 141 141 0,0 0,2 0,2

AD 114 365 479 0,1 0,4 0,5

ABA 0 33734 33734 0,0 38,7 38,7

ISIA 0 958 958 0,0 1,1 1,1

ISSM 23461 23339 46800 26,9 26,8 53,7

Altri 0 4982 4982 0,0 5,7 5,7

Totale 23575 63519 87094 27,1 72,9 100,0

Fonte: Banca dati MIUR-AFAM

L’anomalia data dalla presenza, all’interno di un sistema


inserito nel livello accademico terziario (quello AFAM), di
una popolazione studentesca (quella degli ISSM) di cui circa
la metà si concentra in una fascia di età corrispondente al
livello secondario, è comprensibile alla luce della tradizionale
strutturazione didattica dei Conservatori di musica italiani4.

3. Per quanto riguarda gli ISSM il dato relativo alla categoria ‘preaccademico’
comprende gli iscritti sia ai corsi pre-AFAM, sia al corso inferiore e medio del
vecchio ordinamento. In tali ordinamenti è prevista l’iscrizione da parte dello
stesso studente a più di un corso: ciò potrebbe contribuire a spiegare perché
talvolta tra le diverse tabelle elaborate dalla banca dati del MIUR si riscontrino
lievi scostamenti. Nella presente tabella non sono riportati i dati relativi alle
iscrizioni ai corsi abilitanti all’insegnamento (PAS e TFA).
4. L’istruzione musicale professionalizzante è stata portata avanti in Italia, oltre
che nei Conservatori di musica (CM), finanziati dallo Stato, negli Istituti musi-
cali pareggiati (IMP), finanziati da enti locali, con curricula didattici equiparati
ai primi e come questi rilascianti titoli di studio legalmente riconosciuti. La

34
Questi, in quanto istituzioni per la formazione musicale pro-
fessionalizzante, si rivolgevano prevalentemente ad una popo-
lazione studentesca appartenente alla fascia di età corrispon-
dente alla scuola secondaria. Dopo la Riforma che ha portato
al loro inserimento nel livello terziario, gli Istituti Superiori di
Studi Musicali, a fronte dell’inadeguata offerta di formazione
musicale di base da parte del sistema di istruzione nazionale,
al fine di evitare di perdere il proprio bacino di utenza e per
utilizzare il personale docente in sovrannumero rispetto alla
domanda di formazione musicale terziaria, hanno inizialmen-
te mantenuto in vita i corsi inferiori del cosiddetto ‘vecchio
ordinamento’ (che regolava il settore prima della Riforma),
per poi attivare corsi detti ‘pre-accademici’, propedeutici
all’ingresso al livello accademico (approfondiremo meglio le
caratteristiche dell’offerta didattica nel quarto capitolo).
La tradizionale corrispondenza con un’offerta didattica rivolta
ad allievi in età scolare aiuta a spiegare anche l’ampia diffusione
di ISSM nel territorio nazionale, che segna un’altra peculiarità
dell’alta formazione musicale all’interno del sistema AFAM. La
figura II.2 mostra infatti come il numero di Istituti di alta istru-
zione artistica (Accademia di Arte Drammatica, Accademia Na-
zionale di Danza, Accademie di Belle Arti statali e riconosciute,
Istituti Superiori per le Industrie Artistiche) siano oggi fossero
nell’anno accademico 2015-16 circa sessanta (fig. II. 2.1), men-
tre i soli ISSM quasi ottanta : 58 Conservatori di musica (CM) e
19 ex Istituti musicali pareggiati (ex-IMP) (fig. II. 2.2).

l.n.508/1999 riconosce entrambe le tipologie come Istituti di Studi Superio-


ri Musicali (ISSM); dopo un lungo contenzioso, il Parlamento ha stanziato
le risorse necessarie per avviare il processo che porta alla loro statalizzazione
(l.n.107/2015; D.L. n.50/2017; D.D.L. n.2960-B/2017). Dove non specifica-
to, il riferimento al modello organizzativo del Conservatorio di musica italiano,
inteso come moderna istituzione di alta formazione musicale e quindi come
antecedente storico e organizzativo degli attuali ISSM, ricomprende oltre ai
CM anche gli ex-IMP.

35
Fig. II. 2 - Il sistema AFAM: distribuzione territoriale degli istituti
(a.a. 2015-16)

2.1 - Istituti AFAM (senza ISSM)

Fonte: Banca dati MIUR-AFAM, nostre elaborazioni.

36
2.2 – ISSM: Conservatori di musica ed ex Istituti musicali pareggiati

Fonte: Banca dati MIUR-AFAM, nostre elaborazioni.

37
Consideriamo adesso la dimensione di genere nell’analisi
comparativa degli istituti del sistema AFAM osservando i dati
riportati dalle tabelle II.4-6 5. Per quanto riguarda la popolazione
studentesca, la tabella II.4 mostra come complessivamente il si-
stema registri una presenza femminile superiore a quella maschile
(con il 54,5% degli iscritti femmine e 45,5% maschi), un dato in
linea con quello rilevato nel sistema universitario6. La maggiore
presenza femminile nel corpo studentesco si riscontra in tutte le
tipologie di istituti (con il picco dell’Accademia di danza, dove
84% degli iscritti sono donne) con la sola eccezione degli ISSM,
che vedono complessivamente una lieve prevalenza di iscritti ma-
schi (55% contro il 45% di femmine), più pronunciata nel livello
accademico (con 59% maschi e 41% femmine), maggiormente
orientato alla professionalizzazione delle carriere degli allievi.
Come nel settore universitario, anche in quello AFAM ad una
popolazione studentesca prevalentemente femminile corrisponde
una popolazione docente prevalentemente maschile: la tabella II.5
mostra infatti come il 67% dei docenti del settore AFAM siano
maschi, contro il 37% di docenti femmina7. Fa eccezione l’Acca-
demia di danza, dove è maggiore il tasso di docenti donna (il 57%
del personale docente). La percentuale più alta di docenti maschi è
registrata dall’Accademia di arte drammatica (74%, contro 26% di
docenti donna), seguita dagli ISSM (70%, contro il 30%).
La tabella II.6 presenta la distribuzione per tipologia di isti-
tuto e per genere della popolazione del personale AFAM non

5. I dati, disponibili online nella banca dati del MIUR, sono tratti dalle Ri-
levazioni annuali per il settore universitario (2015) e per il settore AFAM
(2015-16). Per quanto riguarda il personale, i dati riportati nelle tabelle ricom-
prendono le diverse tipologie contrattuali (a tempo indeterminato, a tempo
determinato, altro tipo di contratto).
6. Nel 2015 era di sesso femminile il 56% del totale degli iscritti nelle
università italiane.
7. Nel 2015 era di sesso maschile il 63,5% del personale docente di ruolo
presso gli atei italiani.

38
docente, che racchiude al suo interno lavoratori con qualifiche
e compiti altamente differenziati. Sebbene questa categoria non
rientri nel fuoco dalla ricerca, incentrata sulla definizione dei
percorsi formativi e professionalizzanti in campo musicale all’in-
terno del sistema di istruzione nazionale, abbiamo scelto di con-
siderarla per completezza informativa in questo paragrafo di pre-
sentazione generale del settore. Possiamo dunque rilevare come
circa due terzi del personale ATA del settore AFAM sia di sesso
femminile (il 67%), una percentuale più alta rispetto a quella
che si riscontra nel sistema universitario (dove è donna il 58%
del personale ATA). La maggiore presenza femminile in questa
categoria è confermata per tutti gli istituti, con un picco raggiun-
to nel caso degli ISIA (con il 76% del personale ATA donna e il
24% uomini).

Tab. II.4 - Il sistema AFAM: studenti iscritti per tipologia di istituto,


livello di studi e sesso, a.a. 2015-16 (valori assoluti e percentuali)

Valori assoluti Valori %

PRE-ACC ACC. TOTALE PRE-ACC. ACC. TOTALE

  M F M F M F M F M F M F

AAD 0 0 67 74 67 74 0,0 0,0 47,5 52,5 47,5 52,5

AD 18 96 60 305 78 401 15,8 84,2 16,4 83,6 16,3 83,7

ABA 0 0 11230 22504 11230 22504 0,0 0,0 33,3 66,7 33,3 66,7

ISIA 0 0 402 556 402 556 0,0 0,0 42,0 58,0 42,0 58,0

ISSM 11859 11602 13822 9517 25681 21119 50,5 49,5 59,2 40,8 54,9 45,1

Altri 0 0 2175 2807 2175 2807 0,0 0,0 43,7 56,3 43,7 56,3

Tot. 11877 11698 27756 35763 39633 47461 50,4 49,6 43,7 56,3 45,5 54,5

Fonte: Banca dati MIUR-AFAM

39
Tab. II.5 - Il sistema AFAM: personale docente per tipologia di istituto
e sesso, a.a. 2015-16 (valori assoluti e percentuali)

M F MF M F MF
AAD 72 25 97 74,2 25,8 0,7
AD 46 60 106 43,4 56,6 0,8
ABA 2373 1378 3751 63,3 36,7 28,8
ISIA 148 47 195 75,9 24,1 1,5
ISSM 5091 2220 7311 69,6 30,4 56,1
Altri 1038 536 1574 65,9 34,1 12,1
TOTALE 8768 4266 13034 67,3 32,7 100,0
Fonte: Banca dati MIUR-AFAM

Tab. II.6 - Il sistema AFAM: personale ATA per tipologia di istituto e


sesso, a.a. 2015-16 (valori assoluti e percentuali)

M F MF M F MF
AAD 8 11 19 42,1 57,9 0,8
AD 7 17 24 29,2 70,8 1,0
ABA 266 519 785 33,9 66,1 32,3
ISIA 10 32 42 23,8 76,2 1,7
ISSM 512 1048 1560 32,8 67,2 64,2
TOTALE 803 1627 2430 33,0 67,0 100,0

Fonte: Banca dati MIUR-AFAM

2. I Conservatori di musica
o Istituti Superiori di Studi Musicali (ISSM)
La legge di Riforma dell’alta formazione artistica e musicale
(l.508/1999) crea gli Istituti Superiori di Studi Musicali (ISSM),
costituiti dai Conservatori di musica (CM) e dagli Istituti musi-
cali pareggiati (IMP), inserendosi nel livello terziario di istruzio-
ne. Il grosso della popolazione studentesca e del personale do-
cente e non docente degli attuali ISSM appartiene ai CM: circa
l’86% per le prime due categorie e il 90% per la terza (vedi la
tabella II.5). Alla popolazione studentesca degli ISSM si aggiun-

40
ge quella di quattro istituti privati (circa 400 allievi), autorizzati
dal Ministero a rilasciare titoli accademici AFAM8. Di seguito
ricostruiamo il processo che, dai primi del Novecento, porta i
Conservatori ad espandersi fino a raggiungere il numero attuale
di istituti, studenti e docenti, evidenziando caratteristiche e pe-
culiarità di tale sviluppo.

Tab. II. 4 – I Conservatori di musica (ISSM): numero di istituti, studenti,


personale docente e non docente (a.a. 2015-16) (valori assoluti e percentuali)

Istituti Studenti Docenti ATA


N° % N° % N° % N° %
CM 59 76,6 40.255 86,2 6.319 86,4 1.424 91,3
ex-IMP 18 23,4 6.454 13,8 992 13,6 136 8,7
ISSM 77 100,0 46.709 100,0 7.311 100,0 1.560 100,0
Fonte: Banca dati MIUR-AFAM

2.1 La distribuzione territoriale dei Conservatori di musica


L’ampia diffusione di Conservatori di musica nel territorio
nazionale è l’esito di un processo che si compie nel corso di
oltre un secolo, sorretto da logiche differenti. Le cartine pro-
poste nella figura II.3 consentono di seguire l’evoluzione della
distribuzione territoriale degli Istituti nel territorio ad intervalli
decennali, dagli anni Venti del Novecento fino ad oggi. Come
vedremo nel prossimo capitolo, l’avvio della statalizzazione dei
Conservatori si inquadra all’interno di un più ampio processo
che colloca l’unificazione di istituti scolastici e formativi esi-
stenti negli stati pre-unitari all’interno della cornice del siste-
ma di istruzione nazionale definito dal neonato Stato italiano9.

8. Si tratta dei seguenti istituti: la Scuola di musica di Fiesole, la Civica scuola


di musica di Milano, il Saint Louis College of Music di Roma, la Fondazione
Siena Jazz. I dati relativi alla popolazione docente e non docente di tali istituti
non sono disponibili nella banca dati MIUR-AFAM.
9. Salvetti (2000). Il primo istituto statizzato del Regno d’Italia fu, nel 1861,

41
L’azione centralizzatrice e uniformatrice dello Stato si rafforza
ulteriormente durante il fascismo: la denominazione comune
di ‘Conservatorio’ data ai primi istituti di formazione musicale
statizzati, scelti seguendo una logica reputazionale rispettosa di
un certo equilibrio territoriale, fu prevista dalla riforma Gentile
nel 1923, che li pose alle dipendenze della Direzione Generale
delle Antichità e Belle arti (Colarizi 1971).
Nella figura II.3 si può notare come nell’anno scolastico
1926-27 i sei Regi Conservatori, finanziati dallo Stato, si distri-
buiscono nel territorio nazionale in maniera piuttosto equilibra-
ta: due sono localizzati al Nord (Milano e Parma), due al Cen-
tro (Firenze e Roma), due al Mezzogiorno (Napoli e Palermo).
La diffusione di Istituti musicali pareggiati (IMP), riconosciuti
dallo Stato ma sovvenzionati dagli enti locali, sembra invece più
legata alle differenti risorse presenti nei territori, oltre che alle
tradizioni musicali locali: nel Settentrione risultano infatti sette
sedi (Torino, Venezia, Udine, Padova, Bologna e due istituti a
Trieste), mentre le due restanti si trovano al Centro (Lucca e
Pesaro); nessuna sede è presente nel Mezzogiorno10. L’anno sco-
lastico 1936-37 registra la statalizzazione del Conservatorio di
Torino e l’aumento di IMP, con l’ingresso delle due prime sedi
del Mezzogiorno (Teramo e Cagliari).
In epoca repubblicana il numero di istituti musicali rico-
nosciuti dallo Stato conosce una crescita significativa, seguen-
do criteri non più conformi ad una logica di tipo meramente
reputazionale o di rappresentanza territoriale (Salvetti 2000).

il Conservatorio di Milano, che rappresentò il modello organizzativo nazionale


di riferimento per gli anni successivi (Maione 2005; Salvetti e Sità 2003); a
seguire, nel processo di statalizzazione, furono i Conservatori di Napoli (1862),
Palermo (1889), Parma (1920), Roma (1923) e Firenze (1862) (Colarizi 1984).
10. La stessa logica è seguita dalla articolazione spaziale dei trentaquattro isti-
tuti di musica a sovvenzionamento privato (indicati solo nelle prime rilevazioni
Istat): ben ventisei sono localizzati nel Settentrione, cinque al Centro, solo tre
nel Mezzogiorno.

42
Nell’anno scolastico 1947-48 il numero di sedi di Conserva-
torio sale a dodici, distribuite in maniera relativamente equili-
brata nel territorio (cinque al Nord, tre al Centro, tre al Mez-
zogiorno); diventano tredici gli IMP, con le cinque sedi del
Mezzogiorno concentrate in due sole regioni (Pescara e Teramo
in Abruzzo; Bari, Foggia e Lecce in Puglia) alle quali si aggiun-
gono sei sedi del Nord (Alessandria, Padova, Udine, Genova,
Ferrara, Piacenza), e due sole sedi del Centro (Lucca e Peru-
gia). Dieci anni dopo (a.s. 1957-58) i CM sono 13 e gli IMP
16; venti anni dopo (a.s. 1967-68) i CM salgono a 21, gli IMP
sono 15.
Il periodo tra gli anni Sessanta e Settanta registra la più forte
proliferazione di istituti musicali riconosciuti dallo Stato11, sor-
retta dal convergere di pressioni differenti, che si rafforzano a
vicenda nel legittimare la richiesta di ampliamento dell’offerta
pubblica di formazione musicale: da un lato, cresce una doman-
da dal basso di istruzione musicale pubblica non professionaliz-
zante, intesa come parte del processo formativo di base della cit-
tadinanza, che non trova sbocco adeguato nei percorsi scolastici
‘standard’; dall’altro lato la logica politico-clientelare dominante
nella gestione della spesa pubblica nel periodo porta a richiedere
posti di lavoro aggiuntivi nelle sedi di nuova istituzione, in ge-
nere create prescindendo dalla valutazione del reale fabbisogno
formativo nel territorio12.
Alla fine degli anni Settanta (a.s. 1977-78), il numero di
CM sale a 49, quello degli IMP scende a 7 (per effetto della

11. Nel 1967 il tasso di crescita nel numero di ISSM rispetto al decennio precedente
è del 55%; per i Conservatori, tuttavia, raggiunge il 133%, mentre è negativo nel
caso degli IMP (-53%). Nel 1977 il tasso di crescita è invece del 16% per i CM, ma
del 71% per gli IMP, mentre del 23% per gli Istituti a livello complessivo.
12. Come chiarisce Salvetti (2000) la proliferazione delle sedi facilitò l’acces-
so degli studenti, portando ad un’espansione delle iscrizioni la quale, a sua
volta, comportò un aumento delle cattedre, assegnate sulla base del numero
di iscritti.

43
statalizzazione di molti ex-IMP). Il decennio successivo vede
un rallentamento della crescita, pur ancora presente (57 CM e
12 IMP). Il numero dei CM resterà da allora pressoché inva-
riato, mentre continuerà ad aumentare il numero di IMP (14
nell’a.s. 1997-98, 21 nell’a.s. 2007-08, che conta 58 CM), pure
in un clima di generale retrenchment della spesa pubblica all’in-
terno del quale si inseriva anche l’implementazione della legge
di Riforma (l.n. 508/1999), la quale prevedeva un programma
di riordino e riqualificazione degli Istituti13. L’anno scolastico
2015-16 registra, per la prima volta nella storia degli ISSM ita-
liani, una diminuzione del numero complessivo di Istituti, che
scende a 77 (59 CM, 18 IMP)14.
L’odierna distribuzione di ISSM nel territorio presenta una
situazione relativamente equilibrata a livello macroregionale:
come si osserva nella fig. II.4, vi è una lieve sovra-rappresen-
tazione di ISSM nel Nord e nel Mezzogiorno rispetto alla per-
centuale di popolazione nazionale residente (3 punti percen-
tuali ciascuno), a sfavore del Centro (6 punti percentuali in
meno). La sovra-rappresentazione meridionale a sfavore del
Centro si accentua nel caso dei CM, a finanziamento pub-
blico, mentre si attenua nel caso degli ex IMP, sovvenziona-
ti dagli enti locali. Il relativo bilanciamento rilevato a livello
macro-regionale può tuttavia coprire squilibri riscontrati nella
distribuzione di ISSM a livelli territoriali inferiori (Salvetti
2000: 271).

13. Interrogandosi sulle ragioni di tale incongruenza Salvetti (2000: 268) ipo-
tizza che «[la] scelta del Ministero (mai dichiarata) può essersi basata sulla pro-
spettiva di scaricare su altri gli oneri finanziari relativi».
14. Rispetto al decennio precedente, si registrano mutamenti di varia natura,
principalmente riguardanti gli ex-IMP: la fusione di sedi limitrofe in un’unica
sede (Reggio Emilia con Castelnuovo nei Monti, Modena con Carpi), la cre-
azione di una nuova sede (Ribera), la chiusura di un’altra sede (Ancona) e la
statalizzazione di una terza (Teramo).

44
Fig. II. 3 – I Conservatori di musica (ISSM): evoluzione della distribu-
zione territoriale degli istituti nel corso dal Novecento fino a oggi (annualità
selezionate)

45
46
Fonte: Istat, Statistiche sull’istruzione; banca dati MIUR-AFAM, nostre
elaborazioni.

47
Fig. II.4. Popolazione residente e numero di iscritti presso ISSM, CM
ed ex-IMP, per macroarea territoriale (a.a. 2015-16) (valori percentuali)

Fonte: Banca dati MIUR-AFAM; Istat (demoistat), nostre elaborazioni.

48
2.2 La popolazione studentesca
Come appena visto, nel corso del Novecento si assiste ad un
significativo aumento quantitativo nell’offerta e nella domanda di
formazione musicale in Italia. L’ampliamento del numero di sedi
significò infatti l’avvicinamento dei Conservatori di musica ad un
bacino più ampio di potenziali studenti e ciò favorì la crescita delle
iscrizioni (Salvetti 2000: 267). A tale mutamento non corrispon-
derà tuttavia un altrettanto significativo sforzo in termini di ride-
finizione qualitativa dell’offerta formativa degli Istituti, che – fatta
salva qualche sperimentazione – resterà ancorata al modello didatti-
co ottocentesco, cristallizzato dalle riforme del sistema di istruzione
musicale nazionale realizzate nei primi decenni del Novecento, fino
alla Riforma approvata alla fine del secolo (l.n.508/1999).
Osservando la figura II.5, che riporta l’evoluzione del numero
di iscrizioni15 dal secondo dopoguerra ad oggi, si nota infatti come
nei primi decenni del Novecento CM e IMP raccogliessero poche
migliaia di studenti, meno di 4.700 nell’anno scolastico 1926-2716.
Nei turbolenti decenni successivi, in piena epoca fascista e con lo
scoppio della seconda guerra mondiale, si registra un calo delle
iscrizioni, che si riducono a 2.800 unità nell’anno scolastico 1936-
37, per raggiungere il limite minimo di 2.600 nell’anno scolastico
1944-45. Già dall’anno successivo, con l’avvento dell’era repubbli-
cana, si rileva un aumento costante del numero di iscrizioni, che
a metà degli anni Sessanta superano le cinquemila unità. Sono gli
anni in cui, come abbiamo visto, si assiste ad una proliferazione di
CM e IMP nel territorio: così nei primi anni Settanta si superano
le diecimila iscrizioni e nei primi anni Ottanta le trentamila iscri-
15. I dati sono relativi al numero di iscrizioni, piuttosto che al numero di iscrit-
ti, visto che nei corsi tradizionali (‘vecchio ordinamento’) e pre-accademici lo
stesso allievo può essere contemporaneamente iscritto anche a più corsi dell’of-
ferta formativa.
16. Per avere una idea della relativa esiguità di tale popolazione studentesca, basti
pensare che nello stesso anno scolastico il numero di iscritti ammontava a 3.635.000
nella scuola primaria, 367.000 nella scuola secondaria, 42.700 nell’università.

49
zioni. A partire dagli anni Novanta il trend di crescita subisce una
battuta di arresto e riprende, in misura decisamente più contenuta,
a metà degli anni Duemila, fino a raggiungere le cinquantamila
unità nell’anno accademico 2010-11. Tale crescita, tuttavia, è vero-
similmente sorretta dalle modifiche seguite alla Riforma del 1999:
l’inserimento degli ISSM nel livello terziario porta infatti ad un
reingresso nel sistema di formazione di parte di studenti in uscita
dai corsi pre-riforma, mentre l’abbattimento dei limiti di età per
l’iscrizione apre ad un pubblico di utenti adulti prima esclusi17.
Negli anni successivi questo effetto pare infatti ridursi e si assiste ad
una contrazione delle iscrizioni, che nell’anno accademico 2015-
16 risultano meno di quarantasette mila.
Per quanto riguarda il genere, la presenza femminile risulta com-
plessivamente paritaria sin dai primi dati disponibili, relativi alla
metà degli anni Venti: nell’anno scolastico 1926-27 le iscrizioni di
allieve sono circa la metà di quelle dei colleghi maschi. Il dato è tan-
to più significativo se si considera la ancora limitata partecipazione
femminile nei percorsi formativi non obbligatori nello stesso perio-
do18: la figura II.6 consente di apprezzare il divario di genere iniziale
che caratterizza, ad esempio, la partecipazione femminile nella scuo-
la secondaria e, soprattutto, all’università. Tra gli anni Cinquanta e
Settanta il tasso di partecipazione femminile nei Conservatori subi-
sce una flessione, probabilmente legata al processo di ampliamento
dell’offerta formativa anche con corsi sperimentali che, come vedre-
mo, incontrano maggiormente il favore degli allievi maschi. Nella
prima metà degli anni Duemila si registra un aumento del tasso di
partecipazione femminile, che a partire dalla fine degli anni Duemila
si riduce nuovamente; nell’anno accademico 2015-16 è del 45%.
17. La re-iscrizione dei diplomati nel vecchio ordinamento è alimentata in parti-
colare dalla confusione che accompagna il dibattito sul processo di riconoscimen-
to del titolo di studio: il ‘vecchio’ diploma è infatti inizialmente equiparato alla
laurea di primo livello, solo in un secondo momento a quella di secondo livello.
18. Nello stesso anno scolastico (1926-27) la percentuale di femmine sugli
iscritti era del 48% nella scuola primaria, del 34% nella scuola secondaria, del
13% all’università.

50
Fig. II.5 - Conservatori di musica: evoluzione della popolazione stu-
dentesca, complessiva e per sesso (a.s. 1926/27-2015/16) (valori assoluti)

Fonte: Istat, Statistiche sull’istruzione; banca dati MIUR-AFAM, nostre


elaborazioni.

Fig. II.6 - Scuola, Università e Conservatori: evoluzione della popola-


zione femminile (a.s. 1926/27-2015/16) (valori percentuali)

Fonte: Istat, Statistiche sull’istruzione; banca dati MIUR-AFAM, nostre


elaborazioni.

51
Consideriamo adesso come la popolazione studentesca,
complessiva e per genere, si distribuisce nell’offerta formativa
prevista dai Conservatori di musica. Nel corso del Novecento,
l’offerta didattica è definita da regolamenti definiti nel primo
trentennio del secolo19, che prevedono per l’ammissione una
prova di idoneità, a partire da limiti di età (variabili da un mi-
nimo di nove a un massimo di ventisei anni) e come titolo di
cultura generale la promozione alla quinta elementare. L’offerta
didattica si incentra sui corsi delle materie principali (poi det-
ti ‘scuole’), che includono: composizione, canto, organo, pia-
noforte, arpa, violino, viola, violoncello, contrabbasso, flauto,
oboe, clarinetto, fagotto, corno, tromba e trombone, strumen-
tazione per banda.
Tale elenco rivela l’adozione di specifici criteri di selezione
e gerarchizzazione degli insegnamenti negli istituti. In primo
luogo, si nota come il criterio di inclusione degli insegna-
menti riprenda le principali tradizioni produttive della mu-
sica colta occidentale, legate alla chiesa, al teatro, alle milizie,
escludendo invece lo studio di pratiche musicali piuttosto dif-
fuse - come quelle associate agli strumenti a percussione, la
chitarra o la fisarmonica - ma meno legittimati all’interno di
tale tradizione20. Vi è inoltre una gerarchia interna ai corsi, in
parte rispecchiata anche nella presentazione dei programmi

19. Il primo provvedimento nazionale sugli ordinamenti didattici dei Conser-


vatori di musica è il R.D. del 2 marzo 1899, al quale segue il R.D. n. 1945
dell’11 dicembre 1930, alla base del cosiddetto ‘vecchio ordinamento’, in vigore
fino alla riforma promossa dalla l.n.508/1999 (cfr. Maione 2005).
20. Nel 1925 il rifiuto di una richiesta di attivazione di un corso di strumenti
a plettro da parte di una commissione formata dai maestri Ottorino Respi-
ghi, Giuseppe Mulè, Alberto Franchetti è motivato ricorrendo al pretestuoso
argomento che «il riconoscimento dell’autorità statale è giustamente limitato
allo studio di quelli strumenti che hanno, oltre che un interesse attuale, una
propria letteratura musicale originale od un impegno normale nell’orchestra»
(Mastrogregori 2009: 134).

52
dei corsi nei regolamenti, che non segue un ordine alfabetico
(come invece dopo la Riforma): il primo posto è assegnato ai
corsi di composizione21, associati all’ideale medievale del mu-
sicus, che con la musica intrattiene un rapporto di conoscenza
teorica; il secondo ai corsi di canto e organo, rispettivamente
legati alla tradizione del melodramma e alla musica sacra; il
terzo al pianoforte, simbolo del virtuosismo e della distinzio-
ne borghese; a seguire, gli strumenti dell’orchestra, anche in
questo caso ordinati secondo un criterio gerarchico che dallo
strumento più nobile, l’arpa, arriva a quelli più popolari, ov-
vero i fiati (in particolare gli ottoni); per chiudere con il corso
di orchestrazione per l’ensemble strumentale popolare per an-
tonomasia, ovvero la banda. Tale articolazione costituirà fino
alla Riforma introdotta dalla legge n.508/1999 la salda ossa-
tura dell’offerta didattica dei Conservatori, integrata solo gra-
dualmente con l’attivazione di ‘corsi straordinari’ trasformati
in ‘ordinari’ solo a distanza di decenni22, che consentirono di
introdurre insegnamenti relativi ad una rosa più ampia e va-
riegata di strumenti e discipline: chitarra, clavicembalo, stru-
menti a percussione, sassofono, musica sacra, musica vocale
da camera, basso tuba, fisarmonica, flauto dolce, jazz, liuto,
mandolino, musica elettronica, prepolifonia, viola da gamba,
didattica della musica (Maione 2005: 11). Pochi i corsi com-
plementari (tra i quali canto corale, storia della musica, armo-

21. A questo proposito Delfrati (2017) definisce le tre fasi successive degli studi
che conducono al diploma di composizione – armonia, contrappunto, fuga,
composizione e strumentazione – come il ‘Gotha del Conservatorio’.
22. La possibilità di istituire «corsi speciali, temporanei, temporanei o perma-
nenti, facoltativi od obbligatori, per insegnamenti che pur non essendo com-
presi nei programmi ordinari siano riconosciuti necessari ai fini dell’incremento
dell’arte e delle industrie artistiche» era prevista dall’articolo n. 17 del R.D. n.
214 del 7 gennaio 1926, mentre l’istituzione della scuola di direzione d’orche-
stra era stata consentita «man mano che sarà possibile» dell’articolo n. 1 del
R.D. n.1945 del 11 dicembre 1930 (Maione 2005: 9, 64).

53
nia, esercitazioni orchestrali, musica da camera), con rilevanza
limitata e durata differenziata a seconda del corso di studi, con
l’eccezione del corso triennale comune di solfeggio. A seconda
della loro durata, le scuole si dividono in due o tre cicli di
insegnamento, conclusi da uno o due esami di compimento e
dall’esame di licenza finale, col quale si ottiene il diploma di
Conservatorio.
Osserviamo dunque come la popolazione studentesca si di-
stribuisce nelle scuole previste dall’offerta formativa nel corso
del Novecento. La figura II.7 mostra come a metà degli anni
Trenta la popolazione studentesca si concentrasse principal-
mente nelle classi di pianoforte (34%), violino (17%), canto
(13%), composizione (8%). Tale distribuzione – che rivela il
primato culturale attribuito al canone classico-romantico – è
principalmente guidata dalle (non) scelte delle allieve, le quali
si concentrano in maniera massiccia nella classe di pianoforte
(il 56%), di canto (17%), di violino (13%), di arpa (5%), mo-
strando una forte aderenza alle vincolanti prescrizioni sociali
sulle pratiche musicali femminili23. Molto più variegata la di-
stribuzione degli iscritti maschi: violino (21%), composizio-
ne (14%), pianoforte (10%), canto (9%), tromba e trombone
(9%), violoncello (7%), clarinetto (6%), organo (5%) o “altri
corsi” (19%)24, che indica la maggiore propensione maschile
a iscriversi in corsi con maggiori sbocchi occupazionali e non
esclusivamente solistici.

23. Il canone classico ripropone, e talvolta amplifica, le restrizioni poste


dalla società occidentale alle pratiche musicali delle donne, da riservare al
solo ambito domestico e da realizzare con strumenti compatibili con il con-
venzionale senso della grazia e del decoro femminile (Green 2007, DeNora
2013, Casula 2017).
24. I corsi indicati sono quelli che superano la soglia del 5% degli iscritti per
le rispettive categorie; i corsi che non raggiungono tale soglia sono raggruppati
nella categoria residuale ‘altro’.

54
Trent’anni dopo (fig. II.8) la distribuzione complessiva del-
la popolazione studentesca – decisamente aumentata a seguito
della proliferazione di nuove sedi di Conservatorio nel terri-
torio25 – registra l’ingresso dei corsi di tromba e trombone e
di clarinetto tra quelli preferiti da oltre il 5% degli iscritti. A
guidare il cambiamento sono questa volta le innovazioni rile-
vate nelle scelte maschili, che vedono un calo delle iscrizioni
nei corsi classici (violino e composizione) a favore di corsi di
strumenti presenti nell’offerta tradizionale (pianoforte, trom-
ba e trombone, clarinetto), ma utilizzati all’interno di nuovi
canoni musicali (come quello del jazz), che in quegli anni co-
noscono una più diffusa legittimazione culturale (Lopes 2002).
La distribuzione femminile resta invece pressoché invariata e
ancorata al canone classico tradizionale (solo l’8% delle sempre
più numerose allieve azzarda scelte più varie), eccetto che per
una riduzione delle iscritte nelle classi di violino e un aumento
delle iscritte nella classe di composizione.
A fine secolo (fig. II.9) la distribuzione complessiva de-
gli iscritti mostra una maggiore dispersione della popolazione
studentesca in un’offerta formativa più ampia, legata all’in-
troduzione di corsi sperimentali (relativi all’ambito jazz o alla
musica antica), come si evince dall’aumento della quota di
allievi che sceglie una rosa più varia di ‘altri corsi’ (il 36%),
più significativa tra i maschi (40%), ma decisamente ampliata
tra le allieve (34%), le quali accolgono inoltre il flauto (con
l’8% delle preferenze) nella ristretta cerchia delle scelte prio-
ritarie femminili a orientamento classico (pianoforte, violino,
canto).

25. Nell’anno scolastico 1926/27 vi erano 15 Conservatori, con una popolazio-


ne di circa 4.600 studenti; gli Istituti salgono a 35 e gli studenti a 6.000 nell’a.s.
1966/67; nell’a.s. 1986/87 si arriva a 69 Istituti e circa 34.000 studenti (fonte:
Istat, Statistiche sull’istruzione, varie annualità).

55
Fig. II. 7 - Distribuzione degli studenti di CM/IMP per tipologia di
corso principale e sesso, a.s. 1936/37 (valori percentuali)

Fonte: Istat, Statistiche sull’istruzione, nostre elaborazioni.

56
Fig. II. 8 - Distribuzione degli studenti di CM/IMP per tipologia di
corso principale e sesso, a.s. 1967/68 (valori percentuali)

Fonte: Istat, Statistiche sull’istruzione, nostre elaborazioni.

57
Fig. II. 9 - Distribuzione degli studenti di CM/IMP per tipologia di
corso principale e sesso, a.s. 1997/98 (valori percentuali)

Fonte: Istat, Statistiche sull’istruzione, nostre elaborazioni.

Il quadro di analisi si complica con l’implementazione della


Riforma (l.n. 408/1999), cui segue la convivenza di diversi ordina-
menti, rivolti a studenti di diverse fasce di età. Nella figura II.10,
che riporta la distribuzione delle iscrizioni nei diversi ordinamenti
di studio per coorti di età e per genere relativamente all’anno acca-
demico 2015/16, possiamo notare come nell’indirizzo ‘pre-accade-
mico’, organizzato dagli ISSM per coprire la formazione di base ma
non compreso dall’offerta didattica ordinamentale, oltre il 78%
degli iscritti abbia meno di vent’anni; all’interno di questa catego-

58
ria di giovani allievi la maggior parte sono femmine (circa il 54%
contro il 46% di allievi maschi). Gli iscritti ai corsi del vecchio
ordinamento, ormai ad esaurimento, si concentrano nella fascia
di età tra i quindici e i ventiquattro anni (con il 19% degli iscrit-
ti); tuttavia, mentre nella fascia tra i quindici e i diciannove anni
prevalgono le femmine (il 55%), in quella tra venti e ventiquattro
anni i maschi segnano un lieve vantaggio (52%). Il vantaggio ma-
schile è presente nei corsi del nuovo ordinamento, che vedono la
maggiore partecipazione studentesca nella fascia di età tra i venti e
i ventinove anni (67% degli iscritti), ma una significativa parteci-
pazione anche nella fascia di over trentenni (20%). Anche in questi
corsi, la partecipazione femminile tende a decrescere all’aumenta-
re dell’età (passando dal 53% nella fascia inferiore ai vent’anni, al
40% di over ventenni). Tale tendenza potrebbe essere interpretata
come rispondente alla maggiore propensione delle allieve ad intra-
prendere da giovani, spesso su incentivazione familiare, la forma-
zione musicale a completamento della propria educazione rispetto
ai colleghi maschi, mentre questi ultimi più spesso la intendono
come scelta professionale o semi-professionale da adulti: si tratta
di un tema che svilupperemo ulteriormente nel quarto capitolo.

59
Fig. II. 10 - Distribuzione degli studenti di ISSM nei diversi ordina-
menti di studio, per età e per genere, a.a. 2015/16 (valori assoluti)

Fonte: Istat, Statistiche sull’istruzione; banca dati MIUR-AFAM.

Le differenti caratteristiche delle popolazioni studentesche


del Conservatorio pre e post Riforma – nonché, come vedremo
nel quarto capitolo, dei modelli organizzativi che le regolano –
suggeriscono di considerare separatamente la distribuzione del-
le preferenze degli allievi, complessive e per genere, per ciascun

60
ordinamento (fig. II.11). Nell’anno accademico 2015/16 per il
‘vecchio ordinamento’ (fig. II.11.1), che chiude l’offerta didattica
novecentesca degli ISSM, si confermano preferenze già rilevate
nel decennio precedente (pianoforte, violino, clarinetto, flauto),
mentre si registra l’uscita dei corsi di composizione e canto e l’in-
gresso dei corsi di chitarra (7%) e violoncello (6%), spinti, rispet-
tivamente, dalle preferenze maschili (dove la chitarra raggiunge
il 10%) e femminili (dove il violoncello raggiunge il 7%). La
stessa impostazione si ritrova nell’indirizzo ‘pre-accademico’ (fig.
II.11.2), dove sembra rafforzarsi nel caso maschile la tendenza
verso un minore interesse per la tradizione classico-virtuosistica
(tipica, ad esempio, delle classi di violino) e un maggior favore
per corsi sia tradizionali (come le percussioni), che di nuova isti-
tuzione (come la batteria) associati a gusti musicali più contem-
poranei (specie il jazz e il pop-rock). Le scelte femminili restano
invece maggiormente ancorate alla tradizione classica, all’interno
della quale tuttavia si amplia la rosa di preferenze, fino ad inclu-
dere strumenti tradizionalmente maschili (come il violoncello o
il clarinetto).
Per quanto riguarda invece l’ordinamento accademico, in-
quadrato nel livello terziario di istruzione, le scelte degli allievi
sembrano principalmente orientate, oltre che dal perfezionamen-
to delle precedenti esperienze formative, da una maggiore pro-
pensione alla differenziazione consentita da un’offerta didattica
radicalmente ampliata26. Nel caso dei corsi di primo livello (fig.

26. Come avremo modo di vedere nel quarto capitolo, l’offerta didattica
post-Riforma prevede oltre un centinaio di corsi di studio che ampliano il re-
pertorio tradizionale ad ambiti non considerati dal canone classico-romantico
del vecchio ordinamento (musica antica, barocca, etc.), aprendosi a generi e
approcci musicali differenti (jazz, pop, nuove tecnologie, etc.), ribilanciando
lo spazio dedicato all’impostazione solistica (prevedendo esami di musica da
camera, da accompagnamento, orchestrale) e affiancando allo studio dello stru-
mento, quello di un’ampia scelta di materie analitiche e teoriche. Al fine di por-
tare avanti un ragionamento generale sulle dinamiche legate alla distribuzione

61
II.11.3), quasi il 40% della popolazione studentesca si iscrive a
corsi che non raggiungono il 5% del totale degli iscritti, mentre
i corsi più apprezzati risultano quelli di pianoforte (17%), canto
(16%), chitarra (10%), musica elettronica (7%), strumenti a per-
cussione e batteria (6%), violino (5%), che prevedono indirizzi
stilistici, oltre a quello classico. Il pianoforte, con il violino ed il
flauto, trova conferma tra le preferenze femminili, ma perde la
prima posizione a favore del canto (che raggiunge il 32%), men-
tre fa il suo ingresso la didattica della musica (5%). Le preferenze
maschili confermano la tendenza, già rilevata negli ordinamen-
ti tradizionali, a una crescente predilezione per indirizzi stilisti-
ci contemporanei27. Tali andamenti sono ancora più accentuati
nel caso dei corsi di secondo livello (fig. II. 11.4), dove quasi la
metà degli iscritti fa scelte maggiormente differenziate (il 48%),
mentre l’altra metà si concentra nei corsi di canto (19%), pia-
noforte (17%), jazz (6%), chitarra (5%) e violino (5%). Ancora
una volta si nota la differenza tra le scelte maschili, più variega-
te nella selezione degli strumenti e dei generi (con oltre il 10%
degli allievi maschi iscritti nei corsi esclusivamente dedicati al
jazz)28, e quelle femminili, più convenzionali (canto, pianoforte,
violino, flauto). Consideriamo quindi la distribuzione di iscritti
per i corsi post-diploma (fig. II.11.5), che si distinguono per un
apprendimento musicale finalizzato ad ambiti professionali di
tipo educativo o terapeutico: 82% delle preferenze sono infatti
accordate a corsi abilitanti all’insegnamento (i Tirocini formativi
attivi e i Percorsi abilitanti speciali), 9% ai corsi di musicotera-

degli allievi nei corsi, prima di procedere con l’elaborazione dei dati si è dunque
reso necessario includere i corsi affini all’interno di un’unica categoria più gene-
rale. Ad esempio, all’interno della categoria ‘chitarra’ sono stati inseriti sia i corsi
di chitarra classica, che quelli di chitarra jazz o chitarra flamenca.
27. Nei corsi di I livello dell’a.a. 2015/16 oltre la metà degli allievi dei corsi
di chitarra (la seconda scelta tra quelle preferite dagli allievi di ISSM) risulta
iscritto in un indirizzo non classico.
28. A tali corsi si aggiungono quelli di strumento o canto con specifico indirizzo jazz.

62
pia, 6% ai corsi di canto. Musicoterapia e canto risultano scelte
particolarmente apprezzate dalle allieve, tra le quali riscuotono,
rispettivamente, il 14% e il 10% delle preferenze.

Fig. II. 11 - Distribuzione degli studenti di ISSM per tipologia di corso


principale e sesso, a.a. 2015/16 (valori percentuali)

11.1 Vecchio ordinamento

Fonte: Banca dati MIUR-AFAM, nostre elaborazioni.

63
11.2 Nuovo ordinamento: livello pre-accademico

Fonte: Banca dati MIUR-AFAM, nostre elaborazioni.

64
11.3 Nuovo ordinamento: I livello accademico

Fonte: Banca dati MIUR-AFAM, nostre elaborazioni.

65
11.4 Nuovo ordinamento: II livello accademico

Fonte: Banca dati MIUR-AFAM, nostre elaborazioni.

66
11.5 Nuovo ordinamento: livello post-diploma accademico

Fonte: Banca dati MIUR-AFAM, nostre elaborazioni.

67
Consideriamo infine alcuni dati sulla popolazione studente-
sca che evidenziano la natura selettiva della formazione in Con-
servatorio. Il regolamento del 1918 stabilisce il numero massi-
mo di allievi per docente: 12 per i corsi principali, 20 per quelli
complementari con lezione individuale e 30 per quelli com-
plementari e collettivi (Maione 2005: 17). L’ingresso di nuovi
allievi in un corso si lega dunque alla disponibilità di posti nelle
classi di docenti di tale insegnamento; in caso di indisponibilità
di posti vacanti nel corso prescelto, il candidato deve ripiegare
su corsi meno richiesti. La tabella II.5 mostra come, tranne per
gli anni Venti, quando il numero di allievi per docente si avvi-
cina a quello previsto dai regolamenti (11,2%), il rapporto tra
numero di studenti per docente si mantiene estremamente bas-
so fino ai giorni nostri: si tratta di un dato da collegare, come
vedremo nel quarto capitolo, all’alto tasso di abbandono che
caratterizza il percorso di studi in Conservatorio, confermato
dal rapporto percentuale tra iscritti e diplomati – da leggere tut-
tavia con cautela in riferimento al rilevante sfasamento tempo-
rale tra le due categorie, specie in determinati periodi storici29.
Come si evince osservando la tabella II.6, tale rapporto è molto
basso: negli anni Venti si diplomano solo quattro allievi su cen-
to iscritti nello stesso anno30; nell’ultima annualità considerata
(2015/16) tale quota sale a dodici allievi. Non emergono dif-
ferenze significative tra i dati riferiti agli allievi maschi e quelli
relativi alle allieve femmine.
Ai diplomati ‘interni’ si aggiungono quelli ‘esterni’ o ‘pri-
vatisti’, ovvero studenti che intraprendono lo stesso percorso

29. Nel vecchio ordinamento, la durata minima dei corsi di studio di strumento
era tra i sette e i dieci anni. Lo sfasamento è da considerare in particolare in
riferimento agli anni Sessanta e Settanta, quando vi è un significativo aumento
di iscritti a seguito della proliferazione di Istituti nel territorio.
30. Il rapporto è più basso per gli alunni degli IMP (3,4% contro il 5,1% del
Conservatorio) e più alto per le ragazze rispetto ai ragazzi (4,7% contro 3,4%).

68
di studi previsto in Conservatorio prendendo lezioni private
e presentandosi poi alle sessioni di esame al fine di ottenere
il titolo di studio di compimento o licenza. Si tratta di una
pratica assai diffusa e accettata nei Conservatori, specie fino
a quando la proliferazione degli istituti nel territorio non fa-
ciliterà la frequenza di allievi residenti in aree lontane dalle
sedi storiche, che alimenta una sacca significativa di economia
sommersa nel settore. Nella tabella II.6 si nota come a metà
degli anni Trenta oltre il settanta per cento dei diplomati si-
ano privatisti, dei quali la maggior parte è donna (il 75%):
un dato facilmente interpretabile alla luce della consuetudine
borghese ad istruire le fanciulle in casa, in un ambiente meno
promiscuo e più controllato, nonché della resistenza all’inter-
no degli Istituti al processo di «invadenza dell’elemento fem-
minile» (Delfrati 2017).
Come anticipato, la percentuale di diplomati privatisti di-
minuisce con l’ampliamento delle possibilità di ingresso legato
al proliferare degli Istituti nel territorio, senza tuttavia scom-
parire: ancora nell’anno scolastico 1997/98 su cento diplomati
trentacinque sono esterni, adesso in misura paritaria maschi e
femmine (rispettivamente il 52% e il 48%). Il dato suggerisce
il persistere di una serie di motivazioni che portano gli allievi
a preferire all’iscrizione negli Istituti un investimento nella for-
mazione musicale decisamente più oneroso economicamente.
La riforma del sistema AFAM (l.508/1999) elimina dai rego-
lamenti relativi ai corsi ordinamentali degli ISSM la figura del
privatista, prevista ancora solo per gli esami relativi ai corsi del
vecchio ordinamento in esaurimento e per i corsi pre-accademi-
ci non ordinamentali31.

31. Nell’anno accademico 2015/16 la percentuale di diplomati privatisti sul


totale di diplomati per lo stesso ordinamento è inferiore all’1% nei corsi del vec-
chio ordinamento e del 10% per i corsi pre-accademici (questi ultimi rilasciano
non un titolo di studio, ma un semplice certificato di competenza).

69
Tab. II. 5 - ISSM: numero istituti, docenti, studenti, studenti per do-
cente, varie annualità (valori assoluti)

annualità Istituti Studenti Docenti S/D


a.s. 1926/27 15 4659 417 11,2
a.s. 1936/37 19 2802 587 4,8
a.s. 1946/47 25 3032 763 4,0
a.s. 1956/57 29 4310 1055 4,1
a.s. 1966/67 35 6026 1279 4,7
a.s. 1976/77 48 19100 3049 6,3
a.s. 1986/87 69 33884 5351 6,3
a.s. 1996/97 71 33619 5745 5,9
a.a. 2006/07 79 44927 6182 7,3
a.a. 2015/16 77 46709 7311 6,4

Fonte: Istat, Statistiche sull’istruzione; Banca dati MIUR-AFAM, nostre


elaborazioni.

Tab. II. 6 - ISSM: studenti iscritti e diplomati (interni) per sesso e tipo-
logia di istituto, varie annualità32 (valori assoluti e percentuali)

Iscritti Diplomati D/I


annualità M F MF M F MF %M %F %MF
a.s. 1926-27 2345 2314 4659 79 109 188 3,4 4,7 4,0
a.s. 1936-37 1308 1353 2661 118 85 203 9,0 6,3 7,6
a.s. 1947-48 1727 1430 3157 102 80 182 5,9 5,6 5,8
a.s. 1957-58 2307 1940 4247 167 161 328 7,2 8,3 7,7
a.s. 1967-68  3337 2277 5614 130 124 254 3,9 5,4 4,5
a.s. 1977-78  12265 8965 21230 409 220 629 3,3 2,5 3,0
a.s. 1986-87 17322 16562 33884 1946 1450 3396 11,2 8,8 10,0
a.s. 1996-97 17384 16235 33619 1120 1103 2223 6,4 6,8 6,6
a.a. 2006-07 23671 21256 44927 2252 2026 4278 9,5 9,5 9,5
a.a. 2015-16 25588 21121 46709 3032 2390 5422 11,8 11,3 11,6

Fonte: Istat, Statistiche sull’istruzione; Banca dati MIUR-AFAM, nostre


elaborazioni.

32. I dati dei diplomati sono relativi al primo anno solare dell’a.s./a.a. indicato.

70
Tab. II. 7 - ISSM: studenti diplomati: interni ed esterni, maschi e fem-
mine, varie annualità33 (valori percentuali)

DIPLOMATI
annualità %I %E %M %F
1936/37 26,9 73,1 30,7 69,3
1947/48 33,2 66,8 38,9 61,1
1957/58 44,0 56,0 41,0 59,0
1967/68 42,2 57,8 48,5 51,5
1977/78 56,2 43,8 59,7 40,3
1986/87 69,2 30,8 55,6 44,4
1997/98 65,0 35,0 51,1 48,9
Fonte: Istat, Statistiche sull’istruzione; Banca dati MIUR-AFAM.

2.3 La popolazione docente


A metà degli anni Venti i docenti dei CM e degli IMP sono
meno di cinquecento; cinquant’anni dopo superano le tremila unità;
nell’anno accademico 2015/16 i docenti di ISSM sono oltre 7800.
Questa significativa espansione della popolazione docente dei Con-
servatori di musica nel corso del Novecento si lega al già considerato
processo di rapida proliferazione di istituti nel territorio nazionale:
nella figura II.8 possiamo infatti notare, all’interno di una dina-
mica costantemente positiva che arriva fino ai giorni nostri, come
l’aumento più significativo si registri dalla fine degli anni Sessanta
e durante gli anni Settanta. La figura mostra, inoltre, come nella po-
polazione docente la partecipazione femminile risulti decisamente
minoritaria rispetto a quella maschile, sebbene aumenti nel corso del
tempo: nell’anno scolastico 1926-27 le donne rappresentano circa il
13% del totale dei docenti, dieci anni dopo tale quota sale al 20%
e raggiuge il 30% negli anni Settanta, una soglia che attraverso lievi
flessioni si mantiene fino ad oggi. La limitata presenza di donne tra
i docenti di ISSM può sorprendere se ci si ferma alla partecipazio-
ne da tempo quantitativamente paritaria di allievi e allieve, ma non

33. I dati dei diplomati sono relativi al primo anno solare dell’a.a. indicato.

71
lo è alla luce della già evidenziata presenza di processi di segrega-
zione formativa, che si riverberano poi in ambito lavorativo. Dai
dati relativi ai docenti di ruolo degli ISSM si rileva come ancora
oggi le donne si concentrino nelle classi tradizionalmente associate
al genere femminile (arpa, canto, pianoforte) e siano assenti o una
minoranza non solo nelle classi in cui è scarsa la presenza di stu-
dentesse (tromba e trombone, contrabbasso, jazz) ma perfino nelle
classi ormai femminilizzate (come quella di violino o flauto)34, nelle
quali tuttavia la loro presenza aumenta nelle ultime generazioni35.

Fig. II.12 - ISSM: evoluzione della popolazione docente, a.s. 1926/27-


2015/16 (valori assoluti)

Fonte: Istat, Statistiche sull’istruzione; Banca dati MIUR-AFAM, nostre


elaborazioni.

34. Nelle classi di flauto traverso dei CM, composte per circa il 70% da allieve,
solo il 33% dei docenti di ruolo è donna; solo il 28,2% nelle classi di violino,
dove le allieve rappresentano il 65% degli allievi di triennio (fonte: MIUR-A-
FAM dati sugli iscritti relativi all’a.a. 2014-15; i dati sui docenti fanno riferi-
mento solo al personale in ruolo nei CM, gli unici per i quali il MIUR prevede
un’anagrafe docenti: http://cercauniversita.cineca.it/php5/afam/docenti/cerca.
php; ultima consultazione: 1/6/2017).
35. Similmente, al dicembre 2016, nelle orchestre delle Fondazioni lirico sinfo-
niche italiane la percentuale di donne nei posti di flauto, la più alta dopo quelli
per violino (39,6%) e viola (29,7%), si fermava al 29,6%; la percentuale di
prime parti donna, inclusa l’arpa, risultava circa il 12% sul totale (fonte: portali
Fondazioni lirico sinfoniche) (Casula 2017).

72
La segregazione di genere nel corpo docente è riscontra-
bile non solo a livello orizzontale, ma anche verticale, con-
siderando la percentuale di donne al vertice di governo degli
Istituti. Il ruolo preminente del direttore, o capo di istituto,
nella gestione del Conservatorio emerge sin dai primi rego-
lamenti e si conserva fino ad oggi, pur a fronte delle diverse
modifiche normative36. La nomina avveniva da parte mini-
steriale sulla base di requisiti di prestigio artistico che, fino
agli anni Sessanta - prima della imponente proliferazione di
Istituti nel territorio - erano in genere associati al campo della
composizione o della direzione d’orchestra, riconosciuti come
i più autorevoli nell’ambito della cultura musicale e tradizio-
nalmente refrattari alla partecipazione femminile. L’eteroge-
neità qualitativa delle nomine seguita alla proliferazione degli
Istituti, i carichi gestionali sempre più onerosi, nonché la per-
dita di valore economico dello stipendio di direttore (ridotto,
nel caso di direttori incaricati ad una indennità aggiuntiva
allo stipendio di docente), portano ad una riduzione del fasci-
no attrattivo della carica per i musicisti di maggior prestigio
(Battel 2015). Negli anni Ottanta, dopo un fallito tentativo
di reclutamento attraverso un concorso per titoli ed esami37,

36. Organo del Ministero della pubblica istruzione, del quale fa da tramite esclusi-
vo nelle comunicazioni relative al personale, originariamente il direttore funge da
capo e rappresentante esclusivo degli interessi dell’Istituto, del quale deve curare
il buon andamento didattico, amministrativo, disciplinare, gestionale. La riforma
Gentile gli affianca nello svolgimento delle sue funzioni il Consiglio di ammini-
strazione e il Consiglio dei professori (Spirito 2012: 6-8), mentre l’ultima riforma
(l.n.508/1999) gli contrappone un secondo organo monocratico, quello del Pre-
sidente di ISSM, al quale attribuisce il ruolo di rappresentante legale e ammini-
strativo lasciando al direttore una responsabilità diretta sulle questioni prettamente
artistiche e didattiche dell’Istituto. Questa duplice rappresentanza oggi crea non
poche ambiguità e inefficienze nella gestione degli ISSM (cfr. Chiamata alle arti.
Documento della Conferenza dei Direttori dei Conservatori di Musica, 2015: 10-12).
37. Nei primi anni Ottanta fu indetto dal Ministero un concorso per esami e
titoli per l’immissione in ruolo di direttore di Conservatorio, che prevedeva una

73
si burocratizzano i criteri di nomina, che non richiedono ai
candidati alcun requisito formale, se non quello essere docen-
te di ruolo da almeno cinque anni e non avere procedimenti
disciplinari o penali pendenti. Negli anni Novanta si passa
all’elezione diretta del direttore da parte del corpo docente,
su presentazione di candidature accompagnate da curriculum
vitae e programma elettorale: come avremo modo di argo-
mentare nel quarto capitolo, l’assenza di criteri stringenti nel-
la definizione della “comprovata professionalità” richiesta ai
nuovi direttori rappresenta, con la questione del reclutamento
docenti, uno dei nodi più critici del processo di implementa-
zione della Riforma38.
Come cambia la presenza femminile ai vertici dei Conser-
vatori nel periodo considerato? Le rilevazioni Istat consultate
riportano il dato relativo al sesso dei direttori solo relativa-
mente all’anno scolastico 1936-37, quando non risulta alcu-
na donna alla guida di un CM o IMP. Bisogna attendere il
passaggio alle rilevazioni del MIUR, a seguito della Riforma,
per aggiornare il dato: ebbene, ancora nell’anno accademico
1999/2000 – quasi un secolo dopo – la percentuale di don-
ne sul totale dei direttori è inferiore al 5% (3 a fronte di 59
maschi). L’anno accademico la quota di direttori donna sale
al 10%, raggiunge il 20% nell’anno accademico 2012/13, per

serie di prove volte a valutare anche le competenze giuridiche e amministrative


dei candidati, così complesse che, anche a seguito delle proteste di direttori
incaricati che non lo superarono, fu poi annullato (Battel 2015).
38. Le prime elezioni dirette partiranno nei primi anni Novanta ma la
mancata approvazione del nuovo regolamento sul reclutamento dei do-
centi non consente di precisare i requisiti di «comprovata professionalità»
richiesti all’elettorato passivo nell’elezione dei direttori. Con l’emanazione
del D.P.R. 132/2003, la «comprovata profeossionalità» è interpretata «in
riferimento all’esperienza professionale e di direzione acquisite anche in
ambiti multidisciplinari e internazionali» (art.6): una formulazione troppo
generica per non prestarsi ad interpretazioni discrezionali.

74
ridursi nuovamente al 9% nell’ultimo anno accademico esa-
minato (2016/17)39.
L’evoluzione storica della popolazione docente si lega, oltre
che alla diffusione degli Istituti e all’espansione delle iscrizioni,
alla complessa questione del reclutamento, caratterizzata da un
forte contrasto tra le regole formalmente previste e le pratiche
concretamente adottate. Già la legge n.734 del 1912 contem-
plava ai fini dell’ingresso in ruolo dei docenti un concorso per
titoli ovvero un più selettivo concorso per esami e titoli, che
tuttavia nel corso del secolo fu bandito solo in due occasioni:
nel 1935 e nel 199040. La stessa legge del 1912 prevedeva in-
fatti la facoltà del Ministero della pubblica istruzione di asse-
gnare incarichi senza concorso, sulla base della “chiara fama”
raggiunta nella materia da insegnare, a partire da candidature
proposte dai direttori dei Conservatori e previo parere positivo
della Commissione permanente d’arte musicale e drammatica,
particolarmente utilizzata nel periodo fascista di proliferazione
degli Istituti41. Nel 1918 è emanato il regolamento che per circa
un secolo costituirà la base della disciplina organizzativa e strut-

39. Al dicembre 2017 solo in 4 delle 59 sedi di CM e in 3 delle 18 sedi di ex-


IMP risultavano direttori donna (fonte: portale MIUR- AFAM).
40. Si tratta dei concorsi per titoli ed esami previsti, rispettivamente, dal decreto
del 24 giugno del 1935 e del D.M. 18 luglio 1990 (Roselli 2015: 35, n. 33).
Il primo concorso riguardò alcuni insegnamenti (organo, pianoforte, violino,
flauto, clarinetto) e tra le varie e impegnative prove prevedeva la conoscenza
dei metodi didattici e una prova di insegnamento (Maione 2005: 68). Anche il
secondo richiedeva il superamento di una serie di prove di notevole complessità,
ma principalmente orientate a valutare le capacità virtuosistiche e la prepara-
zione teorica dei candidati, ma non le loro competenze didattiche; per alcuni
insegnamenti l’espletamento delle prove durò diversi anni, che rappresentarono
per i candidati ad un defatigante periodo di studio e incertezza.
41. Tra il 1935 e il 1942 sono statalizzati sei istituti di istruzione musicale, che
portano a dodici il numero dei Regi Conservatori di Musica, con un conse-
guente aumento del corpo docente, reclutato senza attivare i concorsi ministe-
riali previsti per legge (Crea 2011: 414, Spirito 2012: 10).

75
turale dei Conservatori di musica italiani42. Per quanto riguarda
il corpo docente, sono disciplinate in maniera più dettagliata le
procedure dei concorsi, banditi con decreto del Ministero della
Pubblica istruzione, riportandone le disposizioni in termini di
collocamento e dimissioni a quelle riguardanti lo stato giuridi-
co degli impiegati civili (Spirito 2012: 8). Tra gli anni Sessanta
e Settanta, quando le pressioni per l’inserimento dell’istruzione
della musica nel sistema scolastico sostengono l’espansione di
CM nel territorio, una serie di interventi normativi inserisce
la regolamentazione degli Istituti nel più generale quadro del
livello secondario di istruzione: i corsi inferiori dei Conserva-
tori sono integrati nei curricola di scuole medie ‘annesse’ agli
Istituti43, si istituiscono una decina di licei sperimentali musi-
cali all’interno di alcuni Conservatori44 e una serie di provve-
dimenti applicano all’istruzione artistica le regole previste per
il comparto scuola in materia di governance, reclutamento e
gestione del personale docente e non docente45. Questo indiriz-
zo è confermato nel decennio successivo46, quando i CM sono
sostanzialmente equiparati agli istituti di istruzione secondaria
dal punto di vista normativo (Spirito 2012: 13). Nel caso del
personale docente, tale equiparazione si traduce nell’adozione

42. Si tratta del Decreto luogotenenziale del 5 maggio 1918, n.1852.


43. La legge del 31 dicembre 1962, n. 1859 rende obbligatoria l’educazione
musicale per tutte le scuole medie e annette le scuole medie a i corsi inferiori
dei Conservatori.
44. Il D.P.R. n.419 del 31 maggio 1974 istituisce una decina di licei sperimentali
musicali all’interno di alcuni Conservatori (Parma, Firenze, Venezia, Udine, Tren-
to, Vicenza e Milano) tutti localizzati nel Centro-Nord (Spirito: 2012: 12, n. 43).
45. I cosiddetti ‘Decreti delegati’ sulla scuola sono sei provvedimenti emanati
tra il 1973-74 dal Ministro della Pubblica Istruzione Malfatti che costituirono
un primo corpus organico sul sistema scolastico (scuola materna, elementare,
secondaria e artistica) nell’Italia repubblicana, in buona misura confluito poi
nel Testo unico in materia di istruzione (D.lgs. n. 297/1994).
46. Il riferimento normativo è il decreto 16 aprile 1994, n. 297, recante il Testo
Unico delle disposizioni legislative in materie di istruzione.

76
di meccanismi di reclutamento e conferimento delle supplen-
ze simili a quelli vigenti nel sistema scolastico. Anche nei CM
si afferma quindi una logica di reclutamento, legittimata nel
comparto Scuola grazie alla significativa azione dei sindacati di
settore, che favorisce i docenti con maggiore anzianità concor-
suale o di servizio, nonché in possesso di requisiti non profes-
sionali ritenuti premianti (come la genitorialità), sacrificando
la valutazione del merito dei candidati esterni. La previsione di
un doppio canale di reclutamento, attraverso i concorsi sia per
esami e titoli che per soli titoli, accompagnata dalla mancata
programmazione regolare di concorsi (prevista invece per leg-
ge), che lascia illimitatamente in vigore graduatorie con validità
temporanea, contribuiscono a creare una significativa sperequa-
zione nelle modalità di reclutamento del personale docente47 e
ad immettere in ruolo candidati più anziani talvolta mediocri o
scadenti, a discapito di giovani più valenti e motivati (Salvetti
2000: 270-271).

47. Al D.M. del 12 luglio 1989, che indice un concorso di accesso ai ruoli
del personale docente dei Conservatori di musica per soli titoli, segue l’an-
no successivo un decreto (del 18 luglio 1990) che indice un concorso per
titoli ed esami. La legge n. 417 del 1989 (art. 2) istituisce un doppio canale
nel reclutamento del personale docente della scuola, ovvero una modalità
di inserimento in ruolo che attinge al 50% dalle graduatorie dei vincitori
di concorso per esami e titoli (GET, ovvero Graduatorie esami e titoli) e
al 50% alle graduatorie dei vincitori per soli titoli (GNE, ovvero Gradua-
torie nazionali ad esaurimento) e stabilisce che entrambe le procedure di
reclutamento dovranno avvenire con una cadenza triennale (Gremigni e
Settembrini 2007: 388). Le GNE sono state poi trasformate in graduatorie
nazionali permanenti (dalla legge n. 124/1999) e infine in graduatorie na-
zionali ad esaurimento (dalla legge n. 508/1999). Sempre nel 1999 è stata
indetta (con Ordinanza ministeriale n. 247 del 20/10/1999) una sessione di
esami per l’immissione in ruolo presso Accademie e Conservatori, riservata
a candidati che vi avevano svolto almeno 360 ore di insegnamento, che ha
previsto una prova orale volta all’accertamento della preparazione culturale
e delle capacità didattiche dei candidati relativamente agli insegnamenti da
svolgere.

77
Un ulteriore meccanismo perverso nella logica del reclu-
tamento dei docenti è dato dal sistema di assegnazione del-
le cattedre ai diversi Conservatori di musica. Fino agli anni
Novanta tale sistema era gestito dall’Ispettorato all’istruzione
artistica del Ministero della Pubblica istruzione, che non se-
guiva una programmazione pluriennale dell’offerta formativa,
bensì attuava una contrattazione con i singoli Istituti che, a
partire da un calcolo del numero di docenti sulla base delle
iscrizioni, prevedeva «un contenzioso verbale, telefonico o di
presenza, che ogni direttore di Conservatorio di quegli anni
ricorda con orrore» (Salvetti 2000: 267). A seguito di una de-
cisa protesta avanzata al Ministro dai direttori di Conservato-
rio, nel 1998 il Ministero passa ad un sistema basato sul co-
siddetto ‘organico funzionale’48: in considerazione del numero
di iscritti, a ciascun Conservatorio è assegnata una quota di
cattedre, che ne definisce l’organico ‘fisso’, non più variabile
né all’aumentare né al diminuire delle iscrizioni. Da allora, ad
una eventuale espansione studentesca o ad una riformulazione
dell’offerta didattica si sarebbe fatto fronte con la previsione
di contratti a tempo determinato o, più raramente, permutan-
do una cattedra pre-esistente di un corso poco frequentato re-
sasi eventualmente disponibile, con una cattedra per un corso
maggiormente richiesto. Anche in questo caso, il meccanismo
adottato premiò le ragioni degli insiders a discapito degli out-

48. Per ‘organico funzionale’ si intende una quota di personale che può aggiun-
gersi a quello di ruolo (organico di fatto) a seconda delle necessità e delle dispo-
nibilità finanziarie di una istituzione, per un periodo di tempo determinato (in
genere un triennio). Il concetto è stato introdotto alla fine degli anni Novanta,
in un quadro di contenimento e miglioramento dell’efficacia della spesa pub-
blica, e applicato sia nella nuova gestione dei teatri lirico-sinfonici (trasformati
dal D.L. n.367 del 29 giugno 1996 da enti autonomi a fondazioni di diritto
privato), dove è utilizzato per le esigenze delle stagioni musicali, che nel com-
parto Scuola (D.P.R. 233/98, D.P.R. 251/98, D.M. 71/99), dove consente di
ampliare e aggiornare l’offerta formativa.

78
siders, rafforzando la stabilità dei docenti di ruolo e riducendo
le possibilità di assunzione stabile dei giovani musicisti, visto
che il “congelamento” delle cattedre legava al pensionamento
dei docenti di ruolo la disponibilità di cattedre vacanti, coper-
ta ricorrendo a docenti reclutati dalle graduatorie nazionali di
concorso, sempre più di frequente assunti anche con contratti
a tempo determinato.
La condizione di vulnerabilità dei più giovani aspiranti
docenti è evidente anche nel caso dei meccanismi che rego-
lano il reclutamento per contratti a tempo banditi dai singoli
Conservatori per coprire esigenze didattiche ulteriori rispetto
a quelle relative alle cattedre vacanti. La discrezionalità che
caratterizza la valutazione dei titoli artistici offre infatti ai di-
rettori un potere decisionale nella definizione delle graduato-
rie di istituto, che incentiva l’adozione di forme di scambio
clientelare (Delfrati 1997): il trattamento di favore in sede
di assunzione lega infatti i docenti a contratto ad un debito
di riconoscenza, che può tradursi in sostegno o acquiescenza
rispetto alle scelte direttoriali nel governo dell’istituto. A tali
meccanismi risultano maggiormente esposti i docenti assun-
ti dagli IMP, dove si fa maggiore utilizzo di forme di lavoro
precario, cui talvolta corrisponde un orario di lavoro supe-
riore rispetto a quello retribuito (Salvetti 2000). Da ultimo,
ma non per importanza, è da rilevare come tutte le procedure
di reclutamento, sia formali che informali, siano pressoché
esclusivamente basate sulla valutazione dei titoli artistici, ma
non sulle specifiche competenze didattiche dei candidati (Ro-
selli 2015: 146).
La legge di riforma n. 508 del 1999 configura un nuovo
modello di reclutamento, orientato alla flessibilità lavorativa
del personale docente: la prevista adozione di un regolamento
relativo alle procedure di reclutamento del personale (art.2,
c.7.e) contempla l’inquadramento in appositi ruoli ad esau-

79
rimento dei docenti a tempo indeterminato già assunti o re-
clutati dalle vecchie graduatorie nazionali e l’assunzione con
contratti di durata non superiore al quinquennio, rinnovabili,
per le nuove immissioni in ruolo (art. 2, c. 6). Tuttavia, a
circa venti anni di distanza dalla riforma, il regolamento non
è stato definito e vige ancora il vecchio sistema di recluta-
mento caratterizzato, da un lato, da un utilizzo prolungato
di personale precario per coprire le esigenze didattiche degli
istituti, dall’altro da cicli di stabilizzazione ope legis di parte di
tale personale. A fronte dell’esaurimento della maggior parte
delle graduatorie, infatti, nel 2004 il Ministero ne definisce
delle nuove riservate ai docenti con almeno 360 giorni di in-
segnamento presso istituzioni AFAM, previa verifica dei titoli
artistici e culturali49. Originariamente definita per i posti a
tempo determinato, dieci anni dopo tale graduatoria è adot-
tata anche per le immissioni in ruolo, da una legge che ha
inoltre previsto una ulteriore graduatoria nazionale (sempre
riservata ai docenti con almeno 360 giorni di insegnamento
presso istituzioni AFAM, omettendo la verifica dei titoli arti-
stici) per gli incarichi annuali50.
La dinamica della popolazione docente può essere dunque
analizzata considerando le variazioni nel tempo dell’equilibrio
tra la percentuale di docenti stabili e quella di docenti preca-
ri51. Le figure II.13 e II.14 mostrano le risposte date alla que-
stione della stabilizzazione del personale precario, rispettiva-
mente, nel periodo pre-Riforma e post-Riforma. Nel periodo

49. Si tratta dell’articolo 2-bis del decreto legge del 7 aprile 2004, n. 97, con-
vertito con modifiche nella legge n. 143 del 2004.
50. Il riferimento normativo di tali procedure è il decreto legislativo n.
104/2013, poi legge n.128/2013.
51. Come già precisato, i dati dal 1999 ad oggi fanno riferimento alla banca dati
MIUR-AFAM (Rilevazione alta formazione artistica e musicale); quelli delle
annualità precedenti alle rilevazioni Istat sulle statistiche sull’istruzione.

80
che dal secondo dopoguerra52 arriva fino alla fine degli anni
Novanta si nota come, a livello complessivo (fig. II. 13.1), il
ventennio postbellico riporti una quota consistente di per-
sonale precario (circa il 40% del totale), che aumenta fino a
raggiungere il 70% nei primi anni Settanta, all’interno di un
trend di forte crescita della popolazione docente, seguito da
una marcata tendenza verso una graduale stabilizzazione, che
porta negli anni Novanta a registrare le quote più basse di per-
sonale precario (intorno al 13% del totale). La tendenza alla
stabilizzazione occupazionale del personale docente precario
è più evidente nel caso dei CM (fig. II. 13.2), dove la quota
di precari sul totale dei docenti arriva negli anni Novanta a
percentuali ad una sola cifra. Nel caso degli IMP (fig. II. 13.3)
si osserva invece una più marcata tendenza all’utilizzo della
precarietà del personale docente: ciò è evidente nel ventennio
postbellico, quando la quota di personale precario è superio-
re a quella di personale stabile (rispettivamente 57% contro
43%); tale relazione si inverte a partire dalla seconda metà
degli anni Settanta, quando la quota di precari sul totale dei
docenti diminuisce, ma resta comunque significativa anche
negli anni Novanta (circa il 39%).
Nella figura II.14, che considera invece il periodo che dal-
la Riforma arriva ai giorni nostri, notiamo come complessi-
vamente si assista ad una ripresa del fenomeno della precariz-
zazione del personale docente (fig. II.14.1), particolarmente
evidente nell’ultimo decennio (nell’a.a. 2015/16, è precario il
37% dei docenti di ISSM). Ancora una volta notiamo come la
tendenza alla precarizzazione, pur significativa nei CM (dove
nell’a.a.2015/16 è precario il 34% dei docenti) (fig. II. 14.2),
risulta decisamente più marcata nel caso degli ex IMP, dove il

52. I dati delle annualità precedenti sono disponibili solo per l’a.s. 1936-37,
quando risulta precario il 45,8% del numero complessivo di docenti (il 37,5%
dei docenti di CM, il 54% dei docenti di IMP).

81
grafico assume le forme tipiche dell’andamento ‘a forbice’ (fig.
II. 14.3), che incrocia tendenze in direzione inversa: come già
nel dopoguerra, nell’ultimo decennio la popolazione di docenti
precari aumenta e supera quella dei docenti stabili, che contem-
poraneamente diminuisce: nell’a.a. 2015/16 sono precari circa
60 su cento docenti di ex IMP.
La ripresa del precariato è spinta in particolar modo dall’u-
tilizzo di collaborazioni esterne per coprire insegnamenti non
compresi nella dotazione organica, selezionate attraverso ban-
di di istituto, in genere offerenti condizioni contrattuali meno
vantaggiose rispetto al lavoro stabile. La figura II.15 riporta
l’evoluzione della popolazione docente dalla riforma ad oggi
distinguendola in categorie con diversi gradi di precarietà occu-
pazionale: i docenti in organico stabili (di ruolo, con contratto
a tempo indeterminato), quelli in organico precari (assunti con
contratto a tempo determinato attraverso graduatorie naziona-
li) e infine i docenti fuori organico precari (assunti con con-
tratti a tempo determinato attraverso graduatorie di istituto).
Possiamo notare come si registri un aumento di questa seconda
categoria di precari, particolarmente accentuato nell’ultimo de-
cennio nel caso degli ex IMP (fig. II. 15.3): nell’a.a. 2015/16 è
stabile il 41% del personale docente; l’11% è precario in orga-
nico; il 18% precario fuori organico.
La tendenza alla flessibilizzazione nell’assunzione del per-
sonale docente, prevista dalla riforma AFAM (sebbene secon-
do un regolamento ancora in approvazione), può essere letta
come rispondente alla volontà di definire un’offerta didattica
più innovativa e più adattabile alle variabilità delle richieste,
tanto degli iscritti quanto del mercato del lavoro; tuttavia i costi
di tale flessibilità sono al momento principalmente scaricati su
docenti non compresi nella dotazione organica, precari e con
scarse tutele contrattuali, e sugli studenti dei loro corsi, cui non
viene garantita una continuità didattica.

82
Fig. II.13. CM e IMP: evoluzione della popolazione docente, per
condizione occupazionale e tipologia di istituto, a.s. 1947/48-1997/98
(valori assoluti)

Fonte: Istat, Statistiche sull’istruzione; Banca dati MIUR-AFAM, nostre


elaborazioni.

83
Fig. II.14. ISSM: evoluzione della popolazione docente, per condizione
occupazionale e tipologia di istituto, a.a. 1999/2000-2015/16 (valori assoluti)

Fonte: Istat, Statistiche sull’istruzione; Banca dati MIUR-AFAM, nostre


elaborazioni.

84
Fig. II.15. ISSM: evoluzione della popolazione docente, per grado di
precarietà occupazionale e tipologia di istituto, a.a. 1999/2000-2015/16
(valori assoluti)

Fonte: Istat, Statistiche sull’istruzione; Banca dati MIUR-AFAM, nostre


elaborazioni.

85
III
Definire il campo:
le lotte simboliche per la collocazione
dei Conservatori nel sistema di istruzione nazionale

Il sistema scolastico – operatore istituzionalizzato di classificazione che a


sua volta è anch’esso un sistema di classificazione oggettivato che riproduce
in forma trasmutata, le gerarchie del mondo sociale, con i suoi tagli tra
‹‹livelli›› che corrispondono a strati sociali e le sue divisioni in specializza-
zioni ed in discipline, che riflettono all’infinito delle divisioni sociali, come
la contrapposizione tra teoria e pratica, progetto ed esecuzione - trasforma,
apparentemente in modo del tutto neutrale, delle classificazioni sociali in
classificazioni scolastiche, e stabilisce delle gerarchie (che non vengono af-
fatto vissute come esclusivamente tecniche e quindi parziali ed unilaterali,
ma come gerarchie totali, fondate in natura) che in tal modo spingono ad
identificare il valore sociale ed il valore ‹‹personale››, le dignità scolastiche e
la dignità umana. (Bourdieu 2001: 399)

Introduzione
In questo capitolo ripercorriamo il processo istituzionale che
porta a riconfigurare i Conservatori di musica, all’interno del siste-
ma di istruzione nazionale italiano, da umili botteghe artigiane in
prestigiosi istituti di alta cultura. L’origine istituzionale dei Conser-
vatori di musica italiani risale infatti ad opere di assistenza cinque-
centesche che prevedevano l’insegnamento musicale tra le diverse
attività formative impartite con finalità riabilitative secondo il mo-
dello a bottega. A partire dal Seicento, l’istruzione musicale diven-
ta l’asse portante e distintivo della struttura didattico-assistenziale
degli istituti e il termine Conservatorio sinonimo di scuola per la
formazione di musicisti professionisti. La denominazione è difat-

87
ti adottata dal Conservatoire National de Musique di Parigi, prima
istituzione di formazione musicale laica e statale fondata durante
la Rivoluzione francese, che intende però distinguersi dall’antece-
dente italiano trovando nell’accreditamento dello Stato (del quale,
a sua volta, contribuisce a legittimare il potere celebrandone miti
e cerimonie) e nell’aderenza al modello di istruzione moderno,
basato sulla razionalità del metodo, le fonti di legittimazione del
proprio prestigio culturale. La legittimazione culturale della forma-
zione musicale professionalizzante è ulteriormente consolidata a
partire dalla seconda metà dell’Ottocento dalla diffusione ad opera
dell’estetica romantica di un ideale di ‘musica assoluta’, caratte-
rizzata da esistenza e significato propri. La produzione musicale,
sempre più integrata in un’economia di mercato, procede attraver-
so meccanismi che definiscono nuove regole del gusto e rituali di
fruizione, rispondenti al «bisogno della nuova società industriale di
manifestare la sua potenza economica e culturale attraverso i suoi
propri sontuosi rituali (grand rites) di religiosità secolare» (Weber
1994: 189) e dunque alle esigenze di legittimazione culturale e di-
stinzione della borghesia cittadina: la differenziazione tra musica
colta e musica popolare; la distanza (tecnica, spaziale e relazionale)
tra pubblico ed esecutori; la ritualizzazione dell’evento; la santifi-
cazione di autori del passato in un canone musicale universale; la
celebrazione del solipsismo eroico del musicista (DeNora 1995).
Conseguentemente, si trasformano in ‘templi dell’arte’ le organiz-
zazioni finalizzate alla produzione musicale (DiMaggio 2009): il
teatro, da impresa di intrattenimento basata sul consumo vistoso
delle classi abbienti è riconfigurato in un’istituzione con esclusive
finalità culturali (Santoro 2004: 101, Della Seta 1991: 39); i Con-
servatori da scuole di musica professionalizzanti in elitari istituti
per la specializzazione di talenti votati alla santificazione del cano-
ne classico (Kingsbury 1988: 19).
Il processo di riconfigurazione della formazione musicale pro-
fessionalizzante, riscontrabile nell’evoluzione del Conservatoire

88
parigino e in molti dei suoi omologhi europei e statunitensi, si
realizza tuttavia solo in misura parziale e discontinua nel caso ita-
liano, dove i Conservatori faticano a scrollarsi di dosso l’etichetta
di bottega artigiana, ma anche a rinunciare ai vantaggi derivan-
ti dalla sostanziale marginalizzazione dal campo dell’istruzione
nazionale in termini di autonomia organizzativa. A più riprese
emergono tentativi messi in atto da reti di attori per modificare
i confini tra il campo di formazione musicale e quello dell’istru-
zione nazionale. La nostra analisi si focalizza su quei tentativi
che sono risultati più influenti nel ridefinire i confini del cam-
po della formazione musicale professionalizzante, evidenziando
il ruolo assunto in ciò dagli ‘imprenditori istituzionali’, ovvero
attori individuali e collettivi che colgono per tempo le finestre di
opportunità offerte al cambiamento dalle contingenze storiche
(Kingdon 1984, Crouch 2005).

1. La genealogia del campo


1.1 Origini storiche dei moderni Conservatori di musica italiani
La costruzione del sistema di istruzione pubblica nazionale
rappresenta un aspetto fondamentale del processo di uniforma-
zione normativa, infrastrutturale, culturale, che segue l’unifica-
zione del Regno d’Italia. Attraverso l’estensione ai territori volta
per volta annessi al Regno dalla legge Casati del 1859 (promul-
gata a seguito dell’annessione della Lombardia agli Stati sardi),
all’interno di un unico modello organizzativo nazionale si in-
cludono istituzioni e strutture che fino ad allora avevano gestito
l’istruzione in maniera autonoma. Tra i principali obiettivi della
legge vi fu il recupero del ritardo culturale dell’Italia rispetto alle
altre nazioni europee, attraverso l’alfabetizzazione della popola-
zione del Regno e la creazione di una classe dirigente prepara-
ta. L’alfabetizzazione della popolazione è assegnata all’istruzione
elementare, impartita gratuitamente in tutti i comuni – sebbene
con significative differenze territoriali - mentre la preparazione

89
culturale della classe dirigente è principalmente demandata all’i-
struzione secondaria classica, incentrata sullo studio delle umani-
tà greco-latine e preliminare all’istruzione superiore universitaria.
Parallelo al percorso classico dal punto di vista temporale, ma in
posizione gerarchica subordinata ad esso1, è il percorso dell’istru-
zione tecnica, costituito per il primo grado da scuole tecniche
di durata triennale e per il secondo da istituti tecnici diretti con
indirizzi professionalizzanti per il servizio pubblico, il settore in-
dustriale, agrario, commerciale (Istat 1957: 276-277).
La legge Casati non fa riferimento alla formazione professionale
musicale, realizzata secondo regole differenti nei diversi istituti mu-
sicali presenti nel territorio, dei quali i principali saranno progressi-
vamente statalizzati nei decenni successivi come Reali Conservatori
di musica. L’utilizzo del termine ‘Conservatorio’ per designare scuole
musicali professionalizzanti risale alla diffusione nel Cinquecento in
Italia di istituti religiosi con fini assistenziali e riabilitativi, in genere
di fondazione e sovvenzionamento privato, amministrati dalla Chie-
sa e controllati dallo Stato, che ospitano a convitto orfanelli, poveri
o diseredati, bisognosi di essere protetti – ovvero ‘conservati’ – dalle
avversità esterne (Colarizi 1999: 260). I Conservatori o Ospitali cin-
quecenteschi costituiscono una forma di istituzione totale2, caratte-
rizzata dal controllo sociale sugli internati, fondata sull’applicazione
del principio della reclusione (renfermement) all’interno di un comu-
ne luogo di residenza protetto dalle ingerenze esterne e su strategie
rieducative incentrate sul lavoro. Il lavoro si organizza in genere se-
condo il modello della bottega artigiana, che svolge il duplice com-
pito di assegnare all’internato un sostegno sostitutivo di quello della
1. La legge Casati (1859, art.1) inserisce l’istruzione tecnica e le scuole normali nel
più basso dei tre rami in cui articola l’istruzione pubblica: l’istruzione superiore
universitaria; l’istruzione secondaria classica; l’istruzione tecnica e primaria.
2. Erving Goffman (2010: 29) definisce istituzione totale «il luogo di residenza
e di lavoro di gruppi di persone che – tagliate fuori dalla società per un conside-
revole periodo di tempo – si trovano a dividere una situazione comune, trascor-
rendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato».

90
famiglia assente e uno status sociale a conclusione dell’avviamento
professionale (Del Prete 2011: 55-56). Tale modello segue la strut-
tura del ‘laboratorio-casa’ medievale, spazio produttivo caratterizzato
da relazioni faccia a faccia, organizzate secondo un principio di auto-
rità maschile, articolato in una gerarchia triadica basata sul livello di
abilità tecniche, formata da maestri, lavoranti salariati e apprendisti.
L’affido di questi ultimi al maestro era sancito da un contratto, che
definiva durata e costi dell’apprendistato, in cui il padre biologico
trasferiva la propria potestà sui figli al maestro artigiano, delegando-
gli il diritto di comminare punizioni fisiche in caso di cattiva con-
dotta. La formazione degli apprendisti, trattati da giovani adulti, si
basava sull’imitazione del maestro e la graduale acquisizione, attra-
verso l’esercizio quotidiano, di capacità pratiche man mano affinate
nell’arco di circa un decennio (Sennet 2008: 59-70).
Le attività rieducative impartite nei Conservatori cinquecen-
teschi erano finalizzate per i convittori maschi all’apprendimento
di un mestiere che consentisse al raggiungimento della maggiore
età di reinserirsi nella società autosostentandosi (calzolaio, sarto,
orefice, ebanista); nel caso delle fanciulle, orfanelle e ragazze ‘pe-
ricolanti’ o ‘pericolate’3, era invece principalmente volto a fornire
una sorta di dote educativa per riavviarle a destini femminili ‘nor-
mali’ (e, idealmente, al matrimonio)4. Quando nel Seicento l’am-
pliamento della produzione musicale in diversi contesti sociali
(da quello ecclesiastico, a quello di corte, a quello militare)5 porta
all’aumento della domanda di compositori, cantori, strumentisti,

3. Il termine era usato per indicare le ragazze in pericolo di perdere la propria


virtù e, conseguentemente, di essere avviate ad una vita di delinquenza e disonore.
4. Questo è il caso, ad esempio, delle giovani tessitrici di corredi studiate da Del
Prete (2010).
5. Si richiedevano, in particolare, compositori, cantori ed esecutori per le fun-
zioni religiose, per i servizi della Cappella di Corte, per le cerimonie civili e
militari; la crescente richiesta di allievi da parte dei teatri lirici è invece conside-
rata con sospetto, per i compensi ancora non troppo remunerativi e l’influenza
negativa sulla disciplina degli allievi (Delfrati 2017: 64).

91
l’inserimento dell’istruzione musicale tra le attività impartite nei
Conservatori si rivela un investimento remunerativo: le presta-
zioni musicali dei giovani convittori arrivano a costituire una del-
le voci più importanti dei bilanci degli Istituti, consentendo non
solo di coprire le spese per il loro vitto e alloggio, ma anche di re-
clutare alcuni tra i più illustri musicisti dell’epoca come docenti6.
La notorietà della docenza e la qualità delle prestazioni di allievi e
allieve porta a sua volta ad un aumento, da un lato, delle richieste
per accedere a pagamento alla formazione musicale, dall’altro,
di donazioni e lasciti di privati agli istituti, dove l’insegnamento
musicale diventa caratterizzante (Colarizi 1971).
Sebbene didatticamente decaduti a fine Settecento per que-
stioni gestionali o per contingenze storiche (Burney 1979, Ma-
ione 2005), i Conservatori seicenteschi italiani segnano indele-
bilmente la storia della formazione musicale professionalizzante
della moderna società occidentale. Non a caso il Conservatoire
National de Musique et de Déclamation, fondato a Parigi nel 1795,
primo caso di moderna istituzione di formazione professionale
musicale laica e statale e modello didattico di riferimento per
l’Europa ottocentesca, ne riprende la denominazione7. Il Conser-
vatoire, tuttavia, si prefigge non solo di eguagliare i Conservatori
d’Italia, in termini di vette raggiunte nella formazione e produ-
zione musicale, ma - con spirito di nazionalistica emulazione - di
superarli sul terreno della legittimità culturale, distinguendosi da

6. I primi istituti che associarono al termine ‘Conservatorio’ la specificità della


formazione musicale furono i quattro Conservatori napoletani e gli analoghi
Ospitali veneziani, riservati alle fanciulle, dove l’istruzione musicale aprì la stra-
da all’utilizzo di strumenti tradizionalmente associati al genere maschile e alla
possibilità di carriere musicali per le donne. Tra i docenti attivi nei Conservatori
italiani seicenteschi si annoverano i nomi di Antonio Vivaldi, Nicola Porpora,
Baldassarre Galuppi, Pietro Antonio Locatelli, Leonardo Leo, Niccolò Jommel-
li (Scoppola 2011: 32, Maione 2005: 2).
7. Maione, 2005: 2. Durante la Restaurazione l’istituto è rinominato École royale
de musique et de déclamation, tornerà alla denominazione originaria nel 1936.

92
essi su due piani: sul piano istituzionale, grazie al prestigio sociale
associato ad istituti con specifiche finalità formative a sovven-
zionamento statale, non attribuibile ad opere nate dalla carità
ecclesiale e primariamente rivolte all’assistenza delle classi meno
abbienti; sul piano didattico, attraverso il primato attribuito ad
una offerta formativa moderna, basata sull’oggettivazione del sa-
pere, la razionalità del metodo, la standardizzazione dei program-
mi, la verifica dei risultati, al contrario dell’instabile variabilità
di un metodo artigianale fondato sulla soggettività del singolo
maestro. Ecco come questo progetto è riportato in un articolo
sul Conservatoire e suoi metodi, tratto dal regolamento del 1800.
Il Conservatorio è una di quelle istituzioni che da tempo la Francia
invidiava alle nazioni straniere. È forse altrettanto alla fondazio-
ne delle scuole gratuite di Napoli e di Venezia che al clima che
l’Italia deve oggi lo stato florido della sua musica. Parigi possiede
ora lo stesso vantaggio: il Conservatorio, pur non esistendo che da
qualche anno, la fa ciò nonostante primeggiare di molto su questi
modelli, per la nobiltà delle forme della sua composizione e ammi-
nistrazione. I Conservatori d’Italia sono dei semplici ospedali dove
l’indigenza trova, in verità, una risorsa preziosa e la prospettiva di
uno stato onesto: ma la classe media prova una certa ripugnanza ad
attingervi la propria istruzione. Il progetto del Conservatorio fran-
cese ha, sotto qualche rapporto, una diversa estensione: sostenuto
dalla protezione speciale del governo, che prende parte diretta alla
sua esistenza, non vi è alcuna classe [sociale] che non rivendichi il
vantaggio di esservi ammessa e quando un giorno, una volta che la
calma sarà interamente ristabilita nella Repubblica, consentirà di
perfezionarne e completarne le istituzioni, il Conservatorio francese
potrà aggiungere al beneficio dell’istruzione musicale e delle cono-
scenze analoghe quello delle spese di mantenimento di qualche al-
lievo, non esisterà presso nessuna nazione una istituzione altrettanto
favorevole alle belle arti. (…)
Uno degli articoli di questo regolamento vuole che tutti i professori,
che gli ispettori dell’insegnamento si riuniscano per comporre dei me-
todi secondo i quali saranno date le lezioni su ciascuna parte dell’edu-
cazione musicale, dal che risulterà per l’insegnamento la più preziosa
uniformità.

93
È uno dei punti sui quali il Conservatorio francese supera di molto
quelli dell’Italia, dove ogni scuola prende il colore del maestro che la
conduce e dove la forma e lo spirito delle lezioni varia quanto i nomi
dei professori. [Pierre 1900: 140, traduzione mia].

Il Conservatoire parigino si organizza, dunque, seguendo i pre-


cetti rivoluzionari, come moderno sistema educativo sovvenzio-
nato e controllato dallo Stato, fondato sui criteri di razionalità,
egualitarismo, anticlericalismo: l’ammissione ai corsi, gratuiti, si
realizza attraverso la selezione di un numero limitato di allievi,
ripartiti per provenienza territoriale, tra i quali si ammettono le
donne, relegate tuttavia in pochi corsi dedicati8; ai professori,
nominati tramite concorso, si chiede di definire il metodo uti-
lizzato in trattati, alcuni dei quali accompagneranno intere ge-
nerazioni di musicisti europei; per ciascuna classe sono previsti
docenti ripetitori, di sostegno alla didattica, mentre agli ispettori
è richiesto il regolare monitoraggio dei progressi degli allievi. Un
dettagliato regolamento precisa le norme didattiche (divisione in
livelli di studio e programmi, età minima e massima per l’am-
missione, orari di lezione) nonché comportamentali (obbligo di
presenza, regole di condotta e conversazione, immagine e abbi-
gliamento) della vita organizzativa dell’Istituto, prevalentemente
articolato secondo il modello a liceo, diversamente dai convitti
dei Conservatori italiani9.
Nel corso dell’Ottocento il regolamento del Conservatoire
è modificato a più riprese, in parte a seguito delle turbolente
vicissitudini governative francesi, che influenzano la direzione

8. Cfr. Micheli 2003: 6, Maione 2005: 1. Gli allievi, ammessi tra gli otto e i
tredici anni, erano selezionati in modo proporzionale per ogni dipartimento del-
la Repubblica. Le allieve, controllate da sorveglianti, erano salvo casi eccezionali
inserite in classi femminili, previste per i corsi di solfeggio, canto, clavicembalo e,
successivamente, pianoforte. A ciascun professore era affidato un numero limitato
di allievi, i cui progressi erano regolarmente monitorati e registrati dagli ispettori.
9. Per un breve periodo furono istituiti due pensionati, uno maschile, l’altro

94
dell’Istituto, ma soprattutto a seguito di significativi mutamen-
ti delle principali funzioni attribuite alla formazione musicale.
Al momento della sua fondazione al Conservatoire è assegnata la
doppia finalità di formare gli allievi «in tutti gli aspetti dell’arte
musicale» e di eseguire la musica, specie in occasione delle cele-
brazioni per le feste nazionali, promosse come forme di ritualità
collettiva civile (Pierre 1900: 124). Il grosso del corpo docen-
te è costituito grazie al trasferimento dei musicisti della banda
musicale della Guardia nazionale10, il che spiega l’originaria so-
vra-rappresentazione di corsi per strumenti a fiato11. Già dopo
pochi anni il numero di docenti dell’Istituto è drasticamente
ridotto e la distribuzione dei corsi rivista in maniera più pro-
porzionata all’articolazione dell’organico orchestrale. Le spinte
per una riorganizzazione dell’offerta formativa seguono gli svi-
luppi dell’industria teatrale in Europa, in particolare delle for-
me di intrattenimento musicale più gradite al pubblico, come
l’opera lirica e, dalla seconda metà dell’Ottocento, il recital del
solista virtuoso. Gradualmente la formazione del virtuoso, con-
centrata sullo sviluppo delle tecniche esecutive più avanzate per
un’esecuzione perfetta e fedele di un repertorio solistico sempre
più codificato, si impone come finalità principale del Conser-
vatorio, il quale abbandona il suo ruolo primario originario, di
agenzia di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, per
riconfigurarsi come elitario istituto deputato alla produzione
di eccellenze in ambito musicale12. Ciò riguarda in particolar

femminile, con una ospitalità molto limitata, presto soppressi per le difficoltà di
gestione (Pierre 1900: 166, 306, La Grandville 2014, Sueur 1986).
10. Ciò si spiega con il fatto che il principale promotore del Conservatorio pa-
rigino fu Bernard Sarrette (1765-1858), già ideatore della banda militare della
Guardia nazionale, che lo diresse dalla sua istituzione fino al 1814.
11. Dei 115 docenti previsti, oltre il 50% era titolare di corsi per strumenti a
fiato, contro l’11% di docenti per i corsi di strumenti ad arco o il 6% per i corsi
di strumenti a tastiera (organo e cembalo).
12. «Ora la riuscita virtuosistica diventa il metro di valutazione della qualità stessa

95
modo le classi di violino e il pianoforte, che diventano le più
ambite in Conservatorio e agiscono da channel leader, influen-
zando con il modello ‘monoculturale’ richiesto dal perfeziona-
mento virtuosistico anche la definizione della formazione per
strumenti senza sbocchi solistici (Delfrati 2017: 77-79).
Il passaggio alla formazione ‘monoculturale’ è particolar-
mente evidente nella formazione dei pianisti: all’inizio del
secolo caratterizzata da un ‘approccio globale alla tastiera’, di
tradizione clavicembalistica, che lega alle capacità di esecuzio-
ne quelle di accompagnamento e improvvisazione; dalla metà
del secolo focalizzata sullo sviluppo delle competenze neces-
sarie per il perfezionamento del repertorio virtuosistico (San-
guinetti 2003: 46). Inutili i tentativi dei direttori del Conser-
vatoire di frenare i cambiamenti in atto. François-Louis Perne,
ispettore generale dal 1816 al 1822, lamenta in una nota for-
male la moltiplicazione di classi di pianoforte, di scarsa utilità
sia all’arte che al teatro, e precisa che la Scuola prevede solo
due classi per gli uomini e due per le donne, «essenzialmente
destinate a formare degli accompagnatori»13. Le sue disposi-
zioni non devono tuttavia ottenere l’esito sperato, se Luigi
Cherubini, direttore dal 1822 al 1842, si rivolge al Ministro
stesso, chiedendogli di dare disposizioni per ridurre almeno
alla metà il numero di allievi presenti nelle classi di piano-
forte (raccomandando di presentare l’iniziativa come mini-

della scuola. Tanto maggiore è il titolo di nobiltà che le si riconosce quanto meglio
riesce a licenziare esecutori in grado di assumere il ruolo di ‘divo’, il genio solitario
in grado di riproporre all’ammirazione del pubblico il più spericolato repertorio.
Nella vita del Conservatorio le altre funzioni sociali passano in secondo piano.
Festa pubblica e privata, rito civile e militare, pratica amatoriale e chiesa - la ragion
d’essere di sempre delle scuole musicali - scivolano a poco a poco sullo sfondo dei
loro interessi» (Delfrati 1997: 71). Tale modello ancora influenza i principali mo-
delli diffusi a livello internazionale di formazione del mondo della musica classica:
vedi a questo proposito Kingsbury (1998) e Wagner (2015).
13. Perne, riportato in Pierre (1900: 306), traduzione mia.

96
steriale). L’intervento di Cherubini per le classi di pianoforte
è volto, più in generale, a difendere il ruolo del Conservatoire
come istituzione che certifica la professionalità dei suoi allie-
vi licenziati e dei suoi docenti, garantendogli il monopolio
sul mercato del lavoro musicale; ciò, tuttavia, è possibile solo
contenendo l’offerta rispetto alla domanda e certificandone
la qualità (Frederikson e Rooney 1990: 190). L’immissione
di un numero non controllato quantitativamente e qualita-
tivamente di pianisti nel principale sbocco lavorativo a loro
prospettato, ovvero il fiorente mercato delle lezioni private,
ha invece l’effetto di svalutare l’offerta e ridurre i compensi,
producendo un risultato collettivo in cui tutti perdono: i gio-
vani pianisti ricavano un basso ritorno dal loro investimento
formativo e, al contempo, sottraggono la clientela a quei pro-
fessori che hanno contribuito alla creazione del loro talento.
Monsignore:
non ho bisogno di dirvi, perché lo sapete meglio di me, che i posti di
allievo per le classi di pianoforte sono più richiesti che quelli delle altre
parti strumentali della Scuola. Ma ciò di cui non siete ancora informato
è il numero di allievi che le classi di questo strumento racchiudono:
(…) 41 allieve di pianoforte femmine e 32 allievi maschi, che, tutti
insieme, formano un totale di 73 allievi: è spaventoso!
Il pianoforte ha certamente la sua utilità, e deve avere il suo posto in
una scuola di musica, così come gli altri strumenti occupano il loro; ma
l’abbondanza di individui che vi si destinano diventa abusiva e perico-
losa nei suoi risultati, perché la moltitudine di pianisti che escono dalla
Scuola, tanto buoni quanto mediocri, e che si riversano nella società
per dedicarsi all’insegnamento, diventa svantaggiosa non soltanto per
ognuno di essi, visto il magro profitto che ne ricavano, e che sarebbe
più considerevole se essi fossero meno numerosi, ma anche per i pro-
fessori che gli hanno donato talento, la cui clientela diminuisce, perché
gli è sottratta in parte da quegli stessi allievi impazienti di guadagnare
denaro14.

14. Cherubini, riportato in Pierre (1900: 307), traduzione mia.

97
1.2 L’inserimento dei Conservatori
nel sistema di istruzione nazionale
La stessa ‘mutazione genetica’ subita dal Conservatoire parigi-
no a fine Ottocento si osserva negli altri istituti musicali europei,
per i quali esso rappresentò il modello didattico di riferimento.
La tendenza alla monocultura del virtuosismo solistico si fa così
marcata da rendere difficile il reperimento di pianisti per accom-
pagnare i cantanti o di strumentisti per completare gli organici
orchestrali; questi inoltre, una volta scovati, non sono comunque
poi in grado di mettere da parte l’approccio istrionico e indivi-
dualistico del virtuoso, come nota l’allora direttore dell’Istituto
musicale di Firenze:
I corsi d’insegnamento delle principali scuole15 dell’istituto, percorro-
no, ciascuno, fino agli estremi limiti lo scibile rispettivo al ramo che
trattano dell’arte. [... Sentiamo] i violinisti, i flautisti, i clarinettisti, i
trombisti, tutti insomma gli allievi delle scuole strumentali, che per
afferrare un documento legale di capacità, qual è il diploma di alunno
emerito, s’arrabattano a dar prova di virtuosità da concerto, [... così]
mentre aumenta ogni anno la schiera dei concertisti, diminuisce a vista
d’occhio quella dei suonatori d’orchestra; e mentre si ha un visibilio
di pseudo pianisti e pianiste trascendentali, il numero di coloro che
sappiano accompagnare correttamente un pezzo per canto si fa ogni
dì più esiguo. [... Gli strumentisti], anche se condiscendono, per loro
degnazione, a far parte di un’orchestra, vi portano i modi del suonare di
concerto, perché superbi della loro virtuosità vogliono metterla in evi-
denza a qualunque costo; così accade che nelle esercitazioni orchestrali,
contro ogni ragione del tessuto strumentale, ora si sente sgallettar fuori
l’oboe, ora il clarinetto, ora il fagotto16.

Diversamente dal Conservatoire parigino gli Istituti musicali


italiani di fine Ottocento vivono una profonda crisi organizzativa,

15. Col termine ‘scuole’ sono qui da intendersi i corsi principali offerti dai
Conservatori italiani.
16. Tacchinardi (1877: 50), citato in Delfrati (2017: 81).

98
caratterizzata da «anarchia pedagogica e disciplinare»17, arretratez-
za culturale, scarsa selettività nel reclutamento sia della docenza
che degli allievi, mancanza di adeguate strutture logistiche (Del-
frati 2017: 27). La situazione è notevolmente differenziata dal
punto di vista territoriale: alcuni Istituti discendono dagli antichi
Conservatori seicenteschi; altri, che si ispirano al più moderno mo-
dello del Conservatoire parigino, sono sorti su impulso del regime
napoleonico, o invece da scuole musicali annesse ad Accademie di
Belle arti (Colarizi 1971, 1984; Maione, 2005: 1-5; Sanguinetti
2003: 19-21). Nell’ambito del processo di unificazione del Regno
e di centralizzazione delle sue strutture amministrative si provvede
alla nazionalizzazione dei principali Istituti: tra il 1861 e il 1923
sono statalizzati quelli di Milano, Napoli, Palermo, Parma, Roma
e Firenze18. Sorge dunque l’esigenza di una loro organizzazione
didattica e normativa unitaria, avviata dai ministri della Pubblica
Istruzione con l’istituzione di commissioni ministeriali composte
da autorevoli musicisti, direttori e docenti degli istituti. Nel 1899
è emanato un provvedimento19 che definisce gli insegnamenti im-
partiti nei corsi principali, i programmi per l’esame finale, i titoli
di cultura generale richiesti in uscita per il completamento degli
studi. Il provvedimento definisce alcune caratteristiche che reste-
ranno distintive dei moderni Conservatori italiani nel Novecento,
come l’assenza di programmi didattici a favore della definizione
di programmi d’esame, o la rosa di insegnamenti principali (ana-
lizzata nel primo e nel quarto capitolo): composizione, canto, or-
gano, pianoforte, arpa, violino, viola, violoncello, contrabbasso,

17.Questi i giudizi espressi nel 1871 dal critico musicale Girolamo Alessandro
Biaggi nella rivista Nuova Antologia, riportati in Delfrati (2017: 106).
18. Gli istituti sono statalizzati in anni differenti: il primo, lo stesso anno dell’u-
nificazione, fu quello di Milano (il cui ordinamento degli studi rappresentò
la base per le leggi nazionali sul settore), al quale seguirono Napoli nel 1862,
Palermo nel 1876, Parma nel 1888, Roma nel 1919, Firenze nel 1923 (cfr.
Maione, 2005; Crea 2011; Vaccarini Gallarani 2003).
19. Si tratta del Regio decreto del 2 marzo 1899.

99
flauto, oboe, clarinetto, fagotto, corno, tromba e trombone, stru-
mentazione per banda. Non sono date indicazioni specifiche sui
corsi intermedi dei corsi principali, né per i corsi complementari,
la cui organizzazione resta dunque alla discrezionalità del singolo
istituto (Maione 2005: 13-15).
A tale provvedimento seguono nei primi decenni del Nove-
cento una serie di disposizioni20, le quali precisano le basi norma-
tive e didattiche che per circa un secolo struttureranno – e ancora
oggi influenzano – l’organizzazione dei moderni Conservatori di
musica italiani. Il primo completo ordinamento statale per gli
Istituti di belle arti, di musica e d’arte drammatica è il Regola-
mento del 1918, dove relativamente ai Conservatori di musica si
precisano: il numero massimo di allievi per classe, ribadendo la
centralità del docente unico per l’intero ciclo di studi nei corsi
principali; i limiti di età per l’ammissione e la durata dei corsi; gli
orari di insegnamento dei docenti21. Al vertice della governance
interna degli istituti si conferma la figura del direttore22, titolare

20. Di seguito, i riferimenti normativi di tali disposizioni: la legge del 6 luglio


1912 n. 734, che reca disposizioni su nomine, retribuzioni e sanzioni relative al
personale docente e non docente; il decreto luogotenenziale n.1858 del 5 maggio
1918 n. 1852, che riporta il regolamento didattico; il regio decreto n.3123 del 31
dicembre 1923, previsto nell’ambito della più ampia riforma dell’istruzione del
Ministro Gentile; al regio decreto del 11 dicembre 1930 del Ministro Giuliano,
che apporta alcune modifiche nella ripartizione dei corsi (considerate nella pros-
sima sezione). Vedi, in proposito: Spirito (2012: 7), Colarizi (1971: 35; 1999:
262), Maione (2005: 15).
21. Il numero massimo di allievi per classe è fissato a 12 per i corsi principali
con lezione individuale, 20 per corsi complementari con lezione individuale, 30
per i corsi collettivi; i limiti di età per l’ammissione sono compresi tra il minimo
degli 8 anni per gli strumentisti, e il massimo dei 23 anni per i cantanti; la dura-
ta dei corsi varia dai 4 anni di canto ai 9 anni per composizione, tastiere e archi;
gli orari di insegnamento richiesti ai docenti variano dalle 6 ore settimanali dei
docenti di storia della musica alle 18 ore settimanali dei docenti di canto, che
con quelli di composizione fino al 1930 hanno, oltre ad orari più impegnativi,
anche retribuzioni più alte rispetto ai colleghi (Maione, 2005: 14-18).
22. Nel 1935, a seguito della svolta totalitarista fascista, vi fu un accentramento

100
di un ufficio monocratico e responsabile per il buon andamen-
to didattico, amministrativo, gestionale, disciplinare, affiancato
nelle sue funzioni da un Consiglio dell’istituto e da un Collegio
di professori, da assumere attraverso concorsi banditi con decreto
del Ministro della pubblica istruzione (Spirito 2012: 7-8).
Negli stessi anni il dibattito interno all’ambito musicale sulla
ristrutturazione dei corsi dei Conservatori gradualmente allarga
i suoi confini, per porsi come più ampia questione culturale. A
ciò contribuiscono i movimenti modernisti che si diffondono in
Europa, facendo emergere una figura nuova del ‘musicista-intel-
lettuale’, che con gli altri intellettuali prende parte ai processi di
rinnovamento culturale e sociale (Salvetti 1991: 285-302, Sangui-
netti 2003: 22--23). Sono in particolare i giovani musicisti italiani
con esperienze di specializzazione all’estero, sempre più ricercate
a causa dell’incompletezza dell’offerta formativa dei Conservatori
italiani, che si fanno portatori di queste istanze innovatrici, nate
dal confronto con sistemi educativi nei quali – come nel caso te-
desco – la formazione musicale è integrata all’interno del sistema
scolastico e perfezionata al livello universitario23.
Tali istanze si traducono in alcuni progetti riformatori volti ad
elevare i Conservatori a Università musicali e, conseguentemen-
te, lo strumentista-artigiano a musicista-intellettuale (Sanguinet-
ti 2003: 30). Tra le diverse proposte per convertire i Conservatori
da scuole tecniche professionali in istituti superiori di cultura,
a trovare maggiore seguito è quella di Giacomo Orefice24, che
prevede il ribaltamento del rapporto vigente nei Conservatori
tra materie principali e complementari, attraverso l’istituzione di

di funzioni di governo degli istituti, che ridusse i poteri del direttore a favore
del Ministro della pubblica istruzione (R.D.L. del 2 dicembre 1935, n. 2081).
23. La specializzazione all’estero diventa una esperienza formativa ricercata in
particolar modo dai compositori e dai pianisti (Sanguinetti 2003).
24. Giacomo Orefice (1865-1922), compositore e pianista, fu docente presso il
Conservatorio di Milano.

101
corsi di cultura musicale generale di base (composizione, storia
ed estetica musicale), cui affiancare come sussidiari i corsi pratici
delle scuole tradizionali (canto e strumento). L’apertura dei Con-
servatori anche a musicisti non professionisti avrebbe consentito
di diffondere la cultura musicale nella società italiana, elevando il
livello artistico complessivo del Paese.
Elevato così il Conservatorio a scuola di coltura musicale, ne seguirebbe
logicamente che lo potesse frequentare anche chi non intenda a fare
della musica una professione. Parlo della gran massa dei dilettanti, che
si ha l’abitudine di considerare come quantità trascurabile, o peggio,
mentre sono essi che formano l’opinione pubblica musicale del pae-
se; […] elevare questa coltura dei dilettanti equivale quindi ad elevare
l’arte. […] Colla trasformazione, in una parola, del Conservatorio in
Università musicale.25

Attorno al progetto Orefice si sviluppa intorno agli anni Ven-


ti del Novecento un vivace dibattito, condotto in riviste specia-
lizzate e attraverso confronti tra professionisti e funzionari re-
sponsabili del settore26. Nonostante gli apprezzamenti ottenuti,
la proposta incontra l’opposizione di gruppi di attori interessati
a preservare la tradizionale distinzione tra il campo universi-
tario e quello dei Conservatori: docenti universitari refrattari
all’assimilazione di profili non compatibili con la definizione
legittimata di cultura; docenti di Conservatorio poco propensi
a cedere il livello più alto della formazione ad un’altra istituzio-
ne; politici e amministratori poco interessati allo sviluppo del
settore (Sanguinetti 2003: 28, 30). Le voci contrarie trovano il
loro alfiere nel compositore Ildebrando Pizzetti, il quale si erge,
contro il dilettantismo di massa prospettato dal progetto Orefi-

25. Il passo, tratto da un articolo di Orefice intitolato Conservatorio o università


musicale? apparso nel 1918 nella Rivista musicale italiana, è riportato in Sangui-
netti (2003: 30) e Maione (2005: 23-24).
26. Per una puntuale ricostruzione e i relativi riferimenti bibliografici, si rimanda
nuovamente a Sanguinetti (2003:29-33), Maione (2015: 22-24), Delfrati (2017).

102
ce, a difensore del professionalismo formativo dei Conservatori,
ritenendo gli ordinamenti intoccabili nella loro impostazione di
base, sebbene perfettibili in direzione di una maggiore selettivi-
tà nell’ammissione, un ampliamento dei programmi di studio
musicali, un innalzamento dei livelli cultura generale (Maione
2005: 25). Le capacità diplomatiche di Pizzetti, abile nel media-
re tra spinte innovative e volontà di conservazione, sono decisive
nella sostanziale conferma ottenuta dal modello tradizionale di
Conservatorio all’interno della riforma Gentile27.
La stessa riorganizzazione complessiva del sistema di istru-
zione del regime fascista, pur con qualche significativa novi-
tà28, non fa che rafforzare l’impostazione classista ed elitaria
prevista dalla legge Casati. Agli studenti in uscita dalla scuola
elementare pone la scelta tra due rami dell’insegnamento me-
dio di istruzione, che segnano percorsi formativi e occupazio-
nali fortemente differenziati: l’istruzione classica, scientifica e
magistrale, mista e di cultura, da un lato, e l’istruzione tecnica
e professionale, dall’altro. Il principio gerarchico dei saperi
che pone la conoscenza teorica e speculativa in una posizione
di superiorità rispetto a quella pratica e applicata29, opera - in

27. La riforma del sistema di istruzione promossa dal ministro Giovanni Gen-
tile, realizzata con una serie di regi decreti legislativi tra il 1922-1923, restò in
vigore sostanzialmente inalterata fino agli anni Sessanta, quando fu abrogata
dalla legge del 31 dicembre 1962 n.1859, che abolì la scuola di avviamento per
creare la scuola media unificata.
28. Tra queste innovazioni sono da citarsi l’istituzione della scuola materna,
l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 14 anni di età e, per quanto riguarda
l’insegnamento musicale, l’inserimento del canto come materia obbligatoria in
tutte le classi della scuola elementare e nelle classi dell’istituto magistrale. L’in-
segnamento musicale era tuttavia affidato a docenti non preparati dal punto di
vista musicale o invece istruiti alle metodologie di insegnamento del Conser-
vatorio, in maniera del tutto inadeguata dal punto di vista pedagogico rispetto
alle finalità formative e all’età degli allievi (Cesari 2005: 423; Delfrati 2017).
29. La svalutazione del lavoro manuale - con la sola eccezione del lavoro agrico-
lo - tipica del mondo classico antico, alla base della cultura legittima del sistema

103
chiave più marcatamente classista - nella definizione di in-
gresso agli studi universitari: solo ai diplomati presso il liceo
classico è consentito l’accesso a tutte le Facoltà universitarie,
limitato alle sole Facoltà tecnico-scientifiche per i diplomati
presso il liceo scientifico. Gli istituti musicali statalizzati, cui
è assegnata la denominazione comune di Regi Conservatori
di Musica, sono inseriti con gli Istituti musicali pareggiati,
le Scuole e gli Istituti d’arte e i Licei artistici all’interno del
livello secondario nel settore dell’istruzione artistica30, il cui
controllo e gestione è assegnato alla Direzione Generale per le
Antichità e le Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzio-
ne (Maione 2005: 19).
I nuovi programmi d’esame dei Conservatori sono invece pub-
blicati nel 193031, a partire dalle proposte presentate dagli stessi
direttori e docenti su invito del Direttore Generale per le Anti-
chità e le Belle Arti. Seguendo la linea pizzettiana, l’impostazio-
ne generale dei nuovi programmi riprende l’impianto esistente,
perfezionandolo in direzione di una più marcata selettività sulla
preparazione tecnica degli allievi e una maggiore razionalizzazione
e dettaglio sui corsi, col fine di raggiungere un’omogeneità for-

scolastico italiano, scredita in particolar modo le professioni che somministra-


no i piaceri, come quelle di artisti e musicisti: «Più di tutte sono screditate le
professioni che somministrano i piaceri, “i pescivendoli, i macellai, i cuochi, gli
allevatori di uccelli, i pescatori” – come dice Terenzio; e a questi devi aggiungere
i profumieri, i ballerini, gli artisti di varietà», Marco Tullio Cicerone De Officiis
I, 150-151, riportato in Perutelli et al. (2010).
30. Regio decreto n.3123 del 31 dicembre 1923. La marginalità del settore dell’i-
struzione artistica a livello ministeriale è legata, oltre che a fattori di tipo culturale,
anche a questioni numeriche: nell’anno scolastico 1936-37 comprendeva solo il
2% del comparto della scuola secondaria, dove circa il 30% di studenti apparte-
nevano al ramo che includeva l’istruzione classica, scientifica e magistrale, mista
e di cultura e circa il 68% a quello dell’istruzione tecnica e professionale (Istituto
Centrale di Statistica del Regno d’Italia, 1940, Appendice: 89).
31. Regio decreto n.1945 del 11 dicembre 1930, Norme per l’ordinamento dell’i-
struzione musicale ed approvazione dei nuovi programmi d’esame.

104
mativa di qualità nei vari istituti nazionali. Sono dunque sostan-
zialmente confermati i requisiti generali in termini di età minima
e massima per l’ammissione e l’organizzazione didattica con l’as-
segnazione nei corsi di studi principali di un numero limitato di
allievi per docente, esclusivo referente per ciascuno di essi fino al
completamento degli studi. Agli allievi accettati, in numero cor-
rispondente ai posti annualmente disponibili previo superamento
di una prova di ammissione, è consentito iscriversi ai corsi princi-
pali (ora chiamati scuole, mentre il termine corsi resta a designare
le materie complementari) divisi in due o tre periodi, ciascuno
completato con il superamento di prove basate sull’esecuzione di
ampi repertori di complessità tecnica crescente, conclusi all’esa-
me finale di diploma con l’esecuzione di un programma solistico
da concerto (fondato sul canone classico-romantico, con qualche
apertura alla contemporaneità). Per rafforzare la selettività degli
studi, nel periodo superiore non è consentita la ripetizione degli
anni, tollerata per solo un anno in ciascuno dei periodi inferiore
e medio. Confermata anche la scarsa rilevanza assegnata ai corsi
complementari - con l’eccezione del solfeggio, comune a tutte le
scuole nel livello inferiore - e in particolare ai corsi non musicali;
ciò è ancora più marcato nel caso di scuole ritenute meno im-
pegnative e dunque meno bisognose di avere nozioni di cultura
musicale o generale (come quelle di canto, contrabbasso e degli
strumenti a fiato) (Maione 2005: 19-20; Lazotti e Ciolfi 2003).
Assenti, infine, riferimenti ai contemporanei sviluppi europei nel
campo della didattica musicale32. In tal modo è rafforzato l’im-

32. Nel Ventennio tra la prima e seconda guerra mondiale si sviluppano una
serie di nuovi approcci all’insegnamento della musica, che partono dal presup-
posto dell’esistenza in ogni essere umano di attitudini musicali, da coltivare
durante le diverse fasi dello sviluppo. In tal modo il fuoco si sposta dall’appren-
dimento tecnico dello strumento per quei soggetti dotati di ‘talento innato’,
tipico del modello conservatoriale, all’utilizzo di metodologie ludiche che pre-
vedono l’utilizzo globale del corpo come strumento di percezione sensoriale ed
espressione ritmica, armonica e melodica dei bambini. Tra queste metodologie

105
pianto monoculturale nella formazione artistica del musicista,
nonché la sua estraneità alla cultura generale, così come definita
nei percorsi standard del sistema di istruzione nazionale, visto che
il titolo di cultura generale richiesto per l’ammissione si limita alla
promozione dalla quarta alla quinta elementare33.
A prevalere nella riorganizzazione fascista degli studi di Con-
servatorio è dunque la volontà dei musicisti e dei docenti di
legittimare il modello didattico e organizzativo al quale erano
stati formati professionalmente, riproponendolo in termini au-
toreferenziali alle nuove generazioni di musicisti. Tale modello,
pur conformandosi alle principali caratteristiche dell’idealtipo
di Conservatorio come istituto per la formazione dell’eccellen-
za virtuosistica, legittimato nelle società occidentali dall’estetica
tardo-ottocentesca, nella versione italiana risulta in maniera più
accentuata legato ad una tradizione di formazione professionale
artigianale, che trova una collocazione del tutto marginale all’in-
terno del sistema legittimo di istruzione nazionale.

2. Le lotte simboliche per la ridefinizione del campo


2.1 La missione culturizzatrice del partito comunista italiano
Una nuova occasione per riconfigurare la collocazione del
campo della formazione musicale all’interno del più ampio
campo dell’istruzione nazionale si offre nel secondo dopoguer-
ra, quando in un’ottica welfarista le politiche per l’istruzione
sono interpretate come uno dei principali strumenti per favo-
rire una mobilità sociale funzionale tanto alla modernizzazione
del Paese, quanto alla piena realizzazione di una cittadinanza
incontrano maggiore seguito quelle elaborate da Emile Jaques-Dalcroze, Edgar
Willems, Zoltan Kodaly, Carl Orff, Maurice Martenot (Scoppola 2011: 35).
Dei primi tentativi di di introdurre anche in Italia tali metodologie riferisce, tra
gli altri, Delfrati (2017).
33. Per chi non è in possesso di tale titolo si prevede, in deroga, l’ammissio-
ne previo superamento di un esame scritto e orale equivalente (Regio decreto
n.1945 del 11 dicembre 1930, art.5).

106
democratica34. Il clima di rinnovata fiducia istituzionale schiu-
de nuove speranze anche per il campo dell’istruzione artistica
e musicale: nella sua Costituzione (1948, art. 33), la neonata
Repubblica riconosce pari dignità ad arte e scienza e libertà al
loro insegnamento, sancendo l’autonomia di istituzioni di alta
cultura, università e accademie.
In queste favorevoli condizioni istituzionali parte il proces-
so di riforma avviato alla fine degli anni Quaranta dal Ministro
Gonella35, che inserisce i Conservatori di musica tra le istituzioni
coinvolte nella riorganizzazione scolastica generale. Avviato se-
guendo una democratica e innovativa metodologia ‘dal basso’ con
l’invio di un questionario agli operatori del settore36, il processo
è destinato ad arenarsi, così come molti dei successivi tentativi di
riforma della scuola.
Una nuova occasione di cambiamento è aperta dalla pubbli-
cazione a fine anni Cinquanta di un Rapporto dell’UNESCO
nel quale l’Italia risulta tra le nazioni in cui il ruolo attribuito
all’insegnamento musicale - del quale si ribadisce il valore peda-
gogico e sociale - è pressoché senza incidenza nella formazione
delle nuove generazioni37. La notizia, in contrasto con la repu-
tazione dell’Italia come patria della musica, sortisce l’effetto di
una ‹‹salutare nerbata all’amor proprio nazionale››38 e negli anni
successivi è ripresa in un dibattito all’interno del quale la questio-
34. Costituzione della Repubblica italiana, 1948, art. 3.
35. Guido Gonella (1905-1982) fu ministro dell’istruzione tra il 1946 e il 1951.
36. I principali quesiti rivolti ai Conservatori e i commenti sulle risposte offerte
di un direttore, decisamente favorevole al mantenimento dell’ordinamento vi-
gente, sono riportati da Delfrati (2017: 209-220).
37. Il rapporto sull’insegnamento musicale pubblicato nel 1958 dall’UNESCO
e dal Bureau International d’Education di Ginevra collocava l’Italia tra gli ultimi
sette paesi dei 73 aderenti al BIE, affiancandola a nazioni ben meno sviluppate dal
punto di vista democratico e socio-economico, quali l’Afghanistan, la Cambogia,
Ceylon, la Tailandia, la Repubblica Dominicana, il Vietnam (Cesari 2005: 423).
38. L’espressione è attribuita a Massimo Mila (cfr. Premesse alla proposta di
legge n. 4327 del 27 luglio 1967).

107
ne dell’istruzione musicale diventa occasione per una riflessione
più ampia sulla funzione sociale della musica nel Paese. Un ruolo
particolarmente attivo nell’animazione del dibattito è svolto dai
circoli culturali della sinistra antifascista, sorti con l’intento di
contribuire al rinnovamento sociale del Paese attraverso l’offerta
di attività per un tempo libero inteso non in termini meramen-
te ricreativi e funzionali al recupero delle energie per il lavoro,
bensì come strumento di educazione democratica per la conqui-
sta di una personalità armonica e una cittadinanza consapevole
(Santangelo 2007: 188-190). Da questa prospettiva l’inserimen-
to dell’istruzione musicale nel sistema di istruzione nazionale si
presenta come occasione per sottrarre le masse all’influenza dei
prodotti dell’industria culturale, proposti con l’affermarsi della
televisione, rompendo gli steccati che avevano fatto della musica
classica e operistica una proprietà esclusiva della cultura d’élite
(Santangelo 2007: 181).
Nel maggio del 1962 i circoli ARCI piemontesi organizzano
a Torino un Convegno nazionale per l’insegnamento della mu-
sica nelle scuole italiane, cui aderiscono importanti figure della
scena musicale e culturale nazionale e le principali associazioni
sindacali attive in ambito musicale e scolastico39. Le relazioni

39. Il convegno, organizzato dal Circolo Arci-Toscanini, costituito da Enzo


Lalli e Carlo Parmentola, e dalla struttura provinciale dell’Arci di Torino il 5 e
6 maggio 1962 presso l’università cittadina, vede intervenire illustri esponenti
della scena musicale nazionale e rappresentanti dei sindacati del settore musi-
cale e scolastico: il Sindacato nazionale musicisti (SNM), il Sindacato Musici-
sti Italiani (SMI), il Sindacato nazionale scuola media (SNSM), l’Associazione
Difesa e Sviluppo della Scuola Pubblica Italiana (ADESSPI), l’Istituto Italiano
di Psicologia Sociale (Santangelo 2007: 178). Il Sindacato nazionale musicisti
(SNM) è costituito a Roma il 28 luglio 1946 nella sala soci SIAE da un gruppo
di noti musicisti Italiani (tra cui Alfredo Casella, Luigi Dalla Piccola, Gianan-
drea Gavazzeni, Renzo Rossellini, Barbara Giuranna, Lino Liviabella, Francesco
Cilea, Franco Alfano, Goffredo Petrassi, Virgilio Mortari); nel 1988 lo SNM
sottoscrive un patto di adesione alla Federazione Informazione e Spettacolo
della Confederazione italiana sindacati lavoratori nazionale, assumendo la de-

108
tracciano le linee generali di un programma di riforma perfezio-
nato negli anni successivi, prevedendo: l’introduzione dell’inse-
gnamento della musica in ogni ordine di scuole, con pari digni-
tà rispetto alle altre materie; l’affiancamento della storia della
musica nei licei in cui è insegnata la storia dell’arte; la revisione
dei programmi di Conservatorio, con particolare attenzione
alla preparazione in cultura generale e alla formazione didat-
tica; l’istituzione di facoltà di musicologia presso le università.
Il carattere unitario dell’iniziativa porta alla costituzione di un
Comitato permanente per l’insegnamento musicale, incaricato
di seguire l’evoluzione della situazione e concordare un’azione
parlamentare (Santangelo 2007: 178-179).
A pochi mesi di distanza dal convegno torinese, il governo ap-
prova la legge di riforma della scuola media, esito di un dibattito
avviato dagli inizi del Novecento, che trova un’ampia convergen-
za delle forze politiche sul progetto del ministro Luigi Gui per
una scuola media unificata, segnando un importante passo nel
processo di revisione democratica dell’istruzione indicato dalla
Costituzione. Tra le disposizioni della legge, che ribadisce il ca-
rattere gratuito dell’istruzione obbligatoria e ne prescrive l’eleva-
zione ai quattordici anni di età, vi è l’inserimento dell’educazio-
ne musicale, sebbene con un ruolo sostanzialmente marginale40.
Tuttavia ciò porta, quasi come un contraccolpo, all’annessione di
nominazione di SNM-FIS-CISL, mantenuta fino all’ottobre 1996, quando ri-
acquista la denominazione originaria. Sempre a Roma, il 15 febbraio del 1954,
è fondato il Sindacato musicisti italiani (SMI) come sindacato autonomo, indi-
pendente, apartitico e apolitico che ha come primo presidente Ildebrando Piz-
zetti, già influente ispiratore della riforma dei Conservatori nel periodo fascista;
nel 1976 lo SMI confluisce nella Confederazione generale italiana dei lavoratori
assumendo la denominazione SMI CGIL, per sciogliersi nel 1985.
40. Legge del 31 dicembre 1962, n. 1859. Il piano di studi della scuola media
comprende tra gli insegnamenti obbligatori: italiano, storia ed educazione civi-
ca, geografia; matematica, scienze naturali; lingua straniera; educazione artisti-
ca; educazione fisica, religione. Le applicazioni tecniche e l’educazione musica-
le, obbligatorie nella prima classe, diventano facoltative nelle classi successive.

109
scuole medie ai Conservatori di Musica, nei quali in passato gli
allievi accedevano a conclusione del ciclo primario, spesso senza
proseguire gli studi non musicali41.
L’inadeguatezza dell’intervento governativo è denunciata
dal Comitato permanente che, denominatosi Musica e Cultura,
nel 1966 organizza a Firenze e Fiesole un convegno intitolato
La musica nella società e nella scuola italiana42, durante il quale
il musicologo Massimo Mila e altri noti esponenti del mondo
musicale italiano rivendicano un approccio sistemico alla que-
stione dell’istruzione musicale nel Paese, rilanciando il progetto
di riforma. Del progetto si fa portatore in parlamento il Partito
Comunista Italiano (PCI) il quale, pur escluso dai governi di
unità nazionale, aspira a divenire un grande partito nazionale in
grado di contribuire sostanzialmente alla maggiore democratiz-
zazione dello Stato (Gundle 1995: 25, Santangelo 2007: 182).
Una delle principali linee strategiche del partito, messa a punto
dalla leadership togliattiana riprendendo il pensiero gramsciano,
è proprio la costruzione di una nuova egemonia culturale, in
grado di contribuire alla rinascita materiale e morale del Paese
attraverso l’influenza esercitata nell’orientare le varie manifesta-
zioni della società civile (Gundle 1995: 35). Il concetto di cul-
tura è prevalentemente inteso nei termini di istruzione, ritenuto
l’unico strumento per conquistare la dignità personale necessa-
ria a rifiutare il superficiale edonismo sollecitato dall’industria
culturale. Per questo il partito incentiva i propri iscritti allo
studio della letteratura, della filosofia e dell’arte (Gundle 1995:
69-78). La ricomposizione della frattura tra cultura di massa e
cultura d’élite passa così attraverso una sorta di elevazione della

41. Articolo 17, l.1859/1962; l’innovazione fu implementata a partire dal 1°


ottobre 1963 (cfr. Spirito 2012: 12).
42. Il Convegno è organizzato a Firenze e Fiesole tra il 21-22 maggio 1966. La
relazione di Mila sarà pubblicata col titolo “Musica e scuola nel costume italia-
no” (1967) in Nuova rivista musicale italiana, I, 1-15 (Piatti 1993).

110
prima al livello della seconda, definita nei termini di una ‘cultura
universale’.
Convint[a] che alla lunga il proprio, superiore, modello di cultura era de-
stinato a trionfare su una cultura capitalista frivola e fondamentalmente
alienante, la sinistra perseguì una strategia volta a persuadere gli operai
dei meriti dell’arte, della letteratura e della filosofia. [Gundle 1995: 75]

Tanto la carica ideale quando l’impostazione didattico-pater-


nalistica e culturalmente tradizionalista della strategia comunista
si ritrova nel preambolo alla proposta di legge di riforma dell’i-
struzione musicale presentata dal PCI alla Camera nel luglio del
1967, con primo firmatario Sergio Scarpa43.
L’analfabetismo musicale generalmente dominante nel nostro paese
consente ad una industria culturale senza scrupoli di rovesciare addos-
so alla maggioranza della popolazione indifesa, con l’orgia dei mezzi
meccanici, una quantità incredibile di prodotto musicale deteriore e
diseducativo44.

La proposta di legge, riprendendo le indicazioni del Comi-


tato Musica e Cultura, delinea una verticalizzazione degli studi
musicali nei curricola scolari standard, finalizzata a trasformare
l’apprendimento musicale nel Paese da attività episodica, passiva
e standardizzata al ‹‹fare musica›› secondo metodologie didattiche
calibrate sulle specificità della fase evolutiva dell’allievo, da parte
di docenti diplomati in Conservatorio abilitati all’insegnamen-
to. Ai Conservatori di musica è attribuita personalità giuridica e
un’autonomia gestionale utile all’organizzazione, secondo criteri

43. Sergio Scarpa (1917-2007), già dirigente sindacale e deputato all’assemblea


costituente, era stato incaricato di tradurre in azione parlamentare le indicazioni
del Comitato permanente per l’insegnamento della musica in Italia a conclusio-
ne del convegno torinese del 1962 (Santangelo 2007: 179, nota 17).
44. Norme relative all’insegnamento della musica nella scuola pubblica, all’or-
dinamento dei Conservatori ed all’istituzione di corsi universitari di musicolo-
gia, n. C- 4327, presentata alla Camera il 27 luglio 1967 (IV legislatura).

111
di libertà didattica e artistica, di vari corsi: di perfezionamento o
divulgativi, diurni o serali, temporanei o permanenti. Per l’Uni-
versità si prevede l’istituzione di Corsi di laurea e Dipartimenti
di musicologia, all’interno dei quali curare lo sviluppo della di-
dattica e della ricerca in vari ambiti (dalla pedagogia all’acustica,
dall’etnografia all’estetica musicale).
L’iter della proposta si interrompe con la chiusura della IV
legislatura nel marzo del 1968, in un periodo in cui le richieste di
cambiamento provenienti dai movimenti giovanili contribuisco-
no a inserire la riforma della scuola e dell’università in chiave de-
mocratica tra i temi dell’agenda politica, ma anche a radicalizzare
le posizioni ideologiche tra partiti, rendendo più teso il dialogo
politico. Negli anni successivi le attività del Comitato Musica e
Cultura si infittiscono, perfezionando la proposta e, soprattut-
to, cercando di ampliare il consenso politico e sociale attorno ad
essa45. Il compito di definizione di uno schema di riforma agile e
concreto, sul quale far convergere il più ampio consenso in vista
della ripresentazione in sede parlamentare è affidato ad Andrea
Mascagni46, musicista e carismatico esponente dello SMI-CGIL,

45. Tra le iniziative promosse dai sostenitori della riforma degli studi musicali
ricordiamo il convegno di Pesaro organizzato nel 1968 dallo SMI, quello rea-
lizzato nel 1969 a Fiesole dal Comitato permanente Musica e Cultura, quello
tenuto a Roma nel 1970 dallo SNIA, l’assemblea collettiva detta Conferenza
nazionale per una riforma dell’istruzione musicale, realizzata il 1 aprile 1971 dal
Comitato di Fiesole, lo SMI, lo SNIA, dove le proposte presentate da Mascagni
e Petrassi trovano l’approvazione di numerosi esponenti di partiti politici (PCI,
PSI, DC, PSDI, PLI).
46. Andrea Mascagni (1917-2004), musicista e nipote del compositore Pie-
tro Mascagni, partigiano aderente al PCI, si laurea in Chimica all’Università
di Bologna e si diploma in composizione al Conservatorio di Bolzano, perfe-
zionandosi poi all’Accademia Santa Cecilia di Roma con Ildebrando Pizzetti.
Fu direttore del Conservatorio di Bolzano (1970-84), fondatore dell’orchestra
Haydn di Trento e Bolzano, presidente del Centro per l’educazione musicale
e la sociologia della musica dell’Università di Trento, consigliere comunale a
Bolzano (1948-1962) e Senatore della Repubblica (1976-1987).

112
poi senatore nelle fila del PCI. Lo schema predisposto da Ma-
scagni, condiviso e sottoscritto dalle associazioni e dai sindaca-
ti aderenti all’iniziativa, conferma l’articolazione definita con le
precedenti proposte: quella di una ‹‹riforma scolastica globale››
che, riprendendo esperienze radicate in altri paesi, realizzi una
verticalizzazione degli studi musicali, integrandoli all’interno di
ogni ordine e grado di istruzione (dalla scuola per l’infanzia all’u-
niversità). Per quanto riguarda i Conservatori, la loro funzione
è precisata sia nei termini più ampi di promozione della cultura
musicale, che in quelli più specifici di ‹‹preparazione tecnico-pro-
fessionale allo scopo di avviare i giovani all’esercizio dell’attività
artistica e all’insegnamento››. A tal fine si prevede un periodo di
formazione di base (la Scuola normale musicale, della durata di
cinque anni per ogni insegnamento) ed un periodo di specializ-
zazione (la Scuola superiore musicale, dai due ai cinque anni, a
seconda della materia). Il concetto di istruzione musicale si apre
inoltre al riconoscimento del ‹‹divenire storico della musica››,
fino ad includere nei repertori considerati le ‹‹esperienze crea-
tive moderne e contemporanee››, stimolando ‹‹la partecipazione
creativa degli studenti alla vita musicale contemporanea, quale è
postulata dai più avanzati indirizzi compositivi, dalle molteplici
caratteristiche, anche sociali, dell’attività musicale e dal crescen-
te impiego dei mezzi moderni di riproduzione e di diffusione››
(Mascagni 1969).
Mascagni ribadisce come la proposta di riforma non prospetti
solo un intervento nel settore dell’istruzione musicale, bensì una
‹‹scelta culturale›› inerente all’intero modello educativo e dunque
alla società nel suo insieme. Da questo punto di vista le finalità
ultime della riforma ambiscono a ridefinire i confini tra musica e
cultura nella società italiana: in primo luogo attraverso un’inclu-
sione delle classi subalterne, coinvolte attraverso la formazione
musicale integrata nei curricoli scolastici generali, in un campo
musicale che in tal modo diventa parte integrante della cultura

113
nazional-popolare, nella sua accezione gramsciana47; in secondo
luogo, riqualificando professionalmente la figura del musicista
come intellettuale integrato nella società, ovvero come ‹‹studioso,
insegnante e uomo di cultura impegnato ai più alti livelli, incluso
quello universitario›› (Mascagni 1969).
Lo schema rappresenta dunque una scelta culturale, una linea generale
di riforma, che, qualificandosi come struttura generalizzata e articola-
ta nell’ambito del processo educativo generale, rivendichi la finalità di
elevare la musica ad elemento costitutivo e integrante di una cultura
nazionale-popolare, di tutti e per tutti. (Mascagni 1969).

La scelta del modello organizzativo degli studi musicali è


dunque formulata nei termini di una presa di posizione cultu-
rale e sociale, che pone i musicisti italiani davanti ad un bivio:
intraprendere il nuovo cammino prospettato dall’adozione di un
modello ‘a piramide’, così includendo a pieno titolo la musica
e i musicisti nel campo culturale della società italiana; oppure
confermare lo schema ‘ad imbuto’ vigente, tipico di una scuola
musicale di élite, volta alla formazione di musicisti virtuosi, cul-
turalmente e socialmente alienati.
Così poste le cose, i casi sono due: o i musicisti italiani, per autentica
convinzione, ampiamente suffragata del resto dalle feconde esperienze
in atto in altri Paesi, credono nella possibilità di articolare lo studio mu-
sicale specifico secondo uno schema a piramide, con una larga base di
istruzione preparatoria, ma già specificamente musicale, ed una progres-
siva selezione verso il vertice del Conservatorio (con la garanzia natu-
ralmente che venga sempre conservata una diversa possibilità di scelta
professionale), ed allora non si comprende come si possa rigidamente
invocare la «continuità dell’insegnamento» in assoluto, dagli 8 anni in
avanti; ovvero ritengono condizione categorica, e preminente su ogni al-
tro obiettivo, tale continuità didattica ed in questo caso vorranno optare

47. Nella riflessione di Antonio Gramsci il concetto di nazional-popolare si ap-


plica a formazioni culturali sorte dal popolo, di cui rappresentano l’espressione
oggettiva e reale, e implica una relazione di vicinanza e sintonia tra questo e gli
intellettuali (Spinazzola 1987).

114
per la tradizionale scuola musicale di élite, con poche migliaia di studen-
ti, scelti una volta per sempre a 8 anni - non si sa in base a quali facoltà
divinatorie delle loro reali attitudini musicali e delle loro prospettive ar-
tistiche - per conservarli gelosamente nelle scuole musicali, avulse come
oggi dal mondo culturale attivo, e restituirli a 18-20 anni strumentisti
ipoteticamente perfetti, pronti a svolgere la loro missione artistica in un
Paese che di musica continuerà a non volerne sapere. (Mascagni 1969)

Le difficoltà di implementazione legate alla dimensione siste-


mica della riforma e alla radicalità della svolta culturale proposta
non sono negate dai proponenti, i quali si prefiggono dunque di
adottare un metodo che integri realismo e idealismo: procedere
affrontando gradualmente i passi richiesti per realizzarla, senza
perdere di vista la visione d’insieme (Mascagni 1969).
Nel febbraio 1972 lo Schema Mascagni è tradotto in una
proposta di legge presentata in Senato dal gruppo comunista,
sempre con Scarpa come primo firmatario48. Nel maggio dello
stesso anno una crisi di governo porta alle prime elezioni an-
ticipate della storia repubblicana, che aprono la VI legislatura.
In agosto il gruppo comunista alla Camera rilancia la propo-
sta in un progetto di legge con primo firmatario Marino Rai-
cich49, il quale due mesi prima aveva presentato un progetto
per la riforma della scuola secondaria superiore. Influenzata
dai contemporanei sviluppi del dibattito internazionale sull’i-
struzione50, la discussione parlamentare sulla riorganizzazione

48. Proposta di legge S.2108 del 23 febbraio 1972, Norme relative all’insegna-
mento della musica nella scuola pubblica, all’ordinamento dei Conservatori ed all’i-
stituzione di corsi universitari di musicologia.
49. Atto C.260 del 14 giugno 1972, Nuovo ordinamento della scuola secondaria
superiore; atto C.634 del 2 agosto 1972, Norme relative all’insegnamento della
musica nella scuola pubblica, all’ordinamento di Conservatori ed all’istituzione di
corsi universitari di musica e di musicologia). Primo firmatario di entrambe le
proposte l’esponente del PCI Marino Raicich (1925-1996), professore di liceo
e stimato intellettuale.
50. Nel dibattito sulla riforma dell’istruzione secondaria superiore particolar-
mente influenti sono le conclusioni del Convegno di Frascati, organizzato nel

115
della scuola secondaria superiore trova un consenso dei par-
titi su una struttura unitaria degli studi, articolata in materie
e attività comuni alle quali aggiungere materie opzionali ed
elettive, consentendo un progressivo orientamento degli allievi
verso percorsi di specializzazione. In nome del pragmatismo
richiamato dallo Schema Mascagni, i membri del Comitato ri-
formatore leggono dunque nel dibattito in corso un’occasione
per concretizzare una prima tappa del loro più ampio progetto:
l’istruzione musicale poteva infatti essere prevista nella nuova
scuola secondaria superiore come materia comune, eventual-
mente da portare avanti in uno dei percorsi di specializzazione
(e, ulteriormente, nel livello terziario)51.
Il processo di riforma della scuola secondaria superiore riprende
nella VII legislatura quando, in un quadro politico caratterizzato
dalla polarizzazione tra fronte democristiano e fronte comunista,
prende avvio un’iniziativa di ‘solidarietà nazionale’, che consente
il funzionamento degli organi legislativi e così la gestione dei mo-
menti più critici della difficile congiuntura economica e sociale. La
proposta di riforma del partito comunista52 confluisce con i progetti
di altri sette partiti all’interno di un disegno di legge di iniziativa go-
vernativa53, che conferma l’impostazione delineata nella precedente

1970 dal pedagogista Aldo Visalberghi in collaborazione con il Centro per la


Ricerca e l’Innovazione dell’Insegnamento e l’Organizzazione per la Coopera-
zione e lo Sviluppo Economico (CERI-OCSE). A fronte della recessione eco-
nomica degli anni Settanta, l’OCSE si fa promotrice di una idea di istruzione
come strumento cruciale per favorire l’adattabilità occupazionale della forza
lavoro e, dunque, di sistemi educativi, finalizzati all’apprendimento di compe-
tenze spendibili, che accompagnano i cittadini nell’arco dell’intera vita (lifelong
learning) (Papadopoulos 1994).
51. Nuovo ordinamento della scuola secondaria superiore, atto C.3945, presentato
il 18 gennaio 1972 nella V legislatura, atto C.260 del 14 giugno 1972 nella VI
legislatura, sempre con Marino Raicich come primo firmatario.
52. Atto C.1068, Norme generali sull’istruzione. Ordinamento della scuola secon-
daria, presentato il 26 gennaio 1977 da Raicich ed altri.
53. Si tratta del disegno di legge unificato proposto dal ministro Malfatti Nuo-

116
legislatura: una struttura unitaria di durata quinquennale, con un’a-
rea di insegnamenti comuni volti a garantire una formazione cul-
turale di base omogena, affiancata negli ultimi anni da percorsi di
specializzazione reversibili, differenziati per indirizzo (artistico-mu-
sicale; linguistico-letterario; scienze sociali, economiche e giuridi-
che; scienze dure). Per l’istruzione musicale si prevedono deroghe
volte a rispettarne le esigenze specifiche (ad esempio, con l’avvio an-
ticipato della specializzazione) e la possibilità di realizzare all’interno
dei Conservatori sia il ciclo completo di studi, che solo il percorso
di specializzazione (in maniera simile al modello di istruzione musi-
cale tedesco); infine si prospetta di disciplinare, entro due anni dalla
promulgazione della legge, la fascia anteriore e successiva degli studi
musicali, al fine di completarne la verticalizzazione.
Nel dibattito in aula, i parlamentari favorevoli all’articolo
sull’inserimento dell’istruzione musicale nella scuola secondaria
superiore evidenziano la necessità del cambiamento proposto,
soffermandosi ad illustrare le criticità esistenti nel campo dell’i-
struzione musicale così come fino ad allora definito, ovvero sul-
le carenze dei Conservatori e degli Istituti musicali pareggiati:
la scarsa cultura generale di docenti e allievi, l’utilizzo di moda-
lità didattiche superate, le logiche di composizione di un’offer-
ta formativa monosettoriale e non confacente alle richieste del
mercato del lavoro54.

vo ordinamento della scuola secondaria superiore (C.1275), presentato alla ca-


mera il 21 marzo 1977, all’interno del quale confluiscono diverse proposte di
legge presentate alla Camera: Nicosia ed altri (C.341), per la Costituente di
destra-Democrazia nazionale; Mastella ed altri (C.1002), per la Democrazia
cristiana; Raicich ed altri (C.1068), per il Partito comunista italiano; Biasini
ed altri (C.1279), per il Partito repubblicano; Lenoci ed altri (C.1355), per
il Partito socialista italiano; Di Giesi ed altri (C.1400), per il Partito socialista
democratico italiano; Zanone ed altri (C.1437), per il Partito liberale italiano;
Tripodi ed altri (C.1480), per il Movimento sociale italiano-Destra nazionale.
54. Ecco alcuni estratti dal resoconto stenografico della seduta della Commissione
cultura della Camera, che discute l’articolo 8 della proposta di legge: «Le istituzio-

117
2.2 Dal Comitato di lotta dei docenti di Conservatorio
al “miracolo UNAMS”
La proposta di riorganizzazione del campo dell’istruzione
musicale in discussione al parlamento negli anni Settanta passa
dunque per un processo di decostruzione del modello conserva-
toriale, seguito dalla configurazione di un nuovo modello che, at-
traverso un adattamento a funzioni, valori e obiettivi del campo
dell’istruzione standard, delinea un iter formativo volto a forgiare
una nuova identità professionale del docente di musica e, più in
generale, del musicista. Tale operazione comporta una drastica
svalutazione del capitale culturale (oggettivato, incorporato, isti-
tuzionalizzato) accumulato dagli agenti del campo musicale così
come fino ad allora definito in Italia. Non sorprende dunque la
diffidenza, se non l’ostilità, con la quale l’iter della riforma è se-
guito dai molti docenti di Conservatorio, specie quelli maggior-
mente dipendenti dal riconoscimento di risorse culturali difficil-
mente convertibili in altri campi, proprio in considerazione della
forte autonomia e autoreferenzialità originaria del campo della
formazione conservatoriale. A suscitare una convinta disappro-
vazione e indignazione tra i docenti è soprattutto la prospettiva
della ‘licealizzazione’ dei Conservatori, ovvero di una verticaliz-
zazione degli studi musicali realizzata affidando a questi ultimi la
ni musicali e i Conservatori non possono chiudersi in sé stessi: devono produrre
indubbiamente degli artisti, magari geniali per la loro capacità tecnica e distintiva,
ma non estranei alla realtà della società del paese nel quale vivono (…) ma soprat-
tutto dei cittadini in grado di essere una entità dignitosamente presente nel conte-
sto della società civile del nostro paese» (Di Giesi, PSDI: 21506); «[S]appiamo che
questa miriade di istituti non dà risposte in termini professionali e culturali, che i
giovani escono ‘vecchi’ rispetto alle esigenze nuove della realtà sociale nella quale
non sanno o non possono portare competenze o creatività (…) Abbiamo inoltre
la diffusione di cattedre inutili accanto ad una strana avarizia per insegnamenti
utili; organici nei Conservatori di musica che non trovano riscontro in alcun paese
europeo: 11 classi di pianoforte contro due di violino, o 19 contro 3, e le orchestre
sono prive di archi›› (Bossi Maramotti, PCI: 21491) (Camera dei Deputati, VII
legislatura, Discussioni, Seduta del 27/9/1978).

118
fascia di istruzione secondaria, alle università la fascia di istruzio-
ne terziaria. Sebbene non in linea con lo Schema Mascagni, né
con l’articolo della legge in discussione in parlamento55, questo
scenario è ufficiosamente assecondato da misure di governo a ca-
rattere meno sistemico. I Decreti Delegati emanati tra il 1973-74
dal ministro Malfatti56 sanciscono infatti una sostanziale equi-
parazione di Conservatori e Accademie agli istituti di istruzione
secondaria, nell’estendergli le regole previste per i licei in materia
di governance, reclutamento e gestione del personale docente e
non docente. Nel 1974 sono istituiti in via sperimentale all’inter-
no di alcuni Conservatori del Centro-Nord licei musicali, intesi
come fasce della scuola secondaria superiore57. Infine, la bozza
del disegno di legge di riforma dell’Università predisposta dal Se-
natore Cervone, incaricato dal ministro Malfatti di trovare un
raccordo tra le diverse posizioni dei partiti e i pareri di sindacati e

55. Lo Schema Mascagni prevedeva l’articolazione dei Conservatori in due fa-


sce: la Scuola normale musicale, della durata di 5 anni per ogni insegnamento;
la Scuola superiore musicale, di diversa durata - dai 2 ai 5 anni - a seconda della
materia. L’articolo 8 della proposta di legge sulla riforma della scuola secon-
daria superiore prevedeva per l’insegnamento musicale una successiva regola-
mentazione, a due anni dall’entrata in vigore della legge, della fascia anteriore
e successiva, che consentisse dunque di realizzare la verticalizzazione degli studi
auspicata dallo Schema Mascagni (art.8., c.2).
56. Si tratta di sei provvedimenti che costituirono un primo corpus organico
sul sistema scolastico (scuola materna, elementare, secondaria e artistica) nell’I-
talia repubblicana, in buona misura confluito poi nel Testo unico in materia di
istruzione (D.lgs. n.297/1994): la legge delega 477 del 30 luglio 1973, alla quale
seguono nel 1974 cinque D.P.R. (il n. 416 del 31 maggio, sull’istituzione e il rior-
dinamento degli organi collegiali; il n 417 del 31 maggio, sullo stato giuridico del
personale docente, direttivo ed ispettivo; il n. 418 del 31 maggio, sui compensi
per lavoro straordinario al personale ispettivo e direttivo; il n. 419 del 31 maggio,
su sperimentazione e ricerca educativa, aggiornamento culturale e professionale; il
n.420 del 31 maggio sullo stato giuridico del personale non docente).
57. D.P.R. 31 maggio 1974, n. 419. I licei sperimentali, per la cui attivazione
non sono stanziate apposite risorse, sono istituiti presso i Conservatori di Parma,
Firenze, Venezia, Udine, Trento, Vicenza, Milano (Spirito 2012: 12, nota 45).

119
associazioni del settore, prevede l’inserimento nel livello univer-
sitario delle Accademie di Belle arti58, ma non dei Conservatori
di musica59.
Il progetto di riforma in discussione al parlamento è dunque
vissuto da molti docenti di Conservatorio come una forma di
‘violenza simbolica’, che costringe i dominati a collaborare at-
tivamente alla loro dominazione (Bourdieu 1994, 1998), data
dall’imposizione al campo della formazione musicale di regole di
un campo eteronomo, ovvero quello scolastico legato ad una cul-
tura generalista, e dalla conseguente svalutazione e declassamen-
to del capitale culturale detenuto dagli agenti (studenti, docenti
e istituzione stessa) interni al campo della formazione musicale
specialistica. Per difendersi da questa minaccia si costituisce pres-
so il Conservatorio Santa Cecilia di Roma un Comitato di lot-
ta60, guidato dai docenti Almerindo d’Amico e Liliana Pannella61,
che elabora e diffonde una narrazione del dibattito parlamentare
in corso influenzata dall’ideologia antisistema del partito radi-

58. Tale passaggio era stato richiesto da alcuni progetti di legge presentati già
dalla IV legislatura (vedi le proposte di legge C-1149, presentata il 6 marzo
1968 da Bozzi e altri, e C-3523, presentata il 27 febbraio 1975 da Salvatori e
altri). Il riconoscimento del livello terziario alle Accademie di Belle Arti, cui si
accedeva con un diploma rilasciato dai licei artistici, risultava tuttavia meno
problematico di quello ai Conservatori, ai quali si poteva accedere con una sola
licenza di scuola media.
59. Gianni e Miceli (2016: 140). A seguito delle proteste, le versioni successive
includeranno nell’istruzione artistica di livello universitario anche i Conservatori
(cfr. disegno di legge n. 633, presentato al Senato il 29 aprile 1977, titolo VI).
60. L’espressione ‘Comitato di lotta’ (o ‘Comitato di occupazione’) è riportata
anche negli articoli dei quotidiani che riportano degli scioperi nei Conservatori
(cfr. “A Santa Cecilia occupata saltano i tempi per gli esami”, Corriere della sera,
17/7/1979; “Infondato per il ministero l’allarme sugli esami nei Conservatori”,
Corriere della sera, 19/7/1979). Oltre che a Roma, il movimento di protesta fu
particolarmente attivo nei Conservatori di Padova e Milano.
61. Almerindo d’Amico e Liliana Pannella, sorella del noto leader radicale Mar-
co, erano docenti di pianoforte il primo e di Storia ed estetica musicale la secon-
da, presso il Conservatorio di musica Santa Cecilia di Roma.

120
cale italiano e dal rivendicazionismo dei movimenti giovanili
contemporanei (Gundle 1995). Il progetto di riforma degli studi
musicali in discussione al parlamento è presentato dal Comitato
di lotta come il tentativo dei poteri forti (partiti al governo e
lobby universitaria) di imporre il proprio modello culturale ‘se-
condarizzando’ il Conservatorio, ovvero «trasformando la scuola
per la più alta specializzazione musicale in una sorta di centro
per la diffusione della cultura musicale»62. La lotta simbolica at-
tivata dal Comitato a difesa del Conservatorio rivendica invece
il prestigio culturale e l’atipicità formativa dell’organizzazione,
non assoggettabile alle logiche e alle tempistiche dell’istruzione
scolastica generalista.
In tal modo il Comitato di lotta definisce una narrazione del
dibattito all’interno della quale i docenti contrari alla riforma
trovano una rete di solidarietà e identificazioni collettive (Della
Porta e Diani 1997). Gradualmente esteso il suo consenso ad
altre sedi tramite la capillare azione di mobilitazione dei leader,
il Comitato di lotta è rinominato Comitato di coordinamento
dei docenti dei Conservatori, sebbene fondamentale all’efficacia
della sua azione sia l’ampio sostegno studentesco. Le proteste nei
Conservatori accompagnano l’iter parlamentare dei progetti di
legge Malfatti attraverso scioperi prolungati e il blocco di scrutini
ed esami, intensificandosi nei momenti cruciali di discussione in
aula della riforma63.
Nel dibattito parlamentare, il Comitato dei docenti di Con-
servatorio trova voce attraverso il Partito Radicale (PR), nume-
ricamente piccolo ma dal forte potere ostruzionistico64, guidato
62. “Ancora bloccati esami e scrutini nei conservatori musicali”, Corriere della
Sera, Corriere Romano, lunedì 9 luglio 1979: 8.
63. “Conferenza sul problema dei Conservatori”, Corriere della Sera, martedì 17
giugno 1978: 15. La primavera del 1978, come noto, rappresenta uno dei periodi
più tragici della storia del terrorismo italiano, contrassegnato dal rapimento ed
uccisione dell’esponente democristiano Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse.
64. «[S]i è addirittura ceduto alla minaccia del piccolo Gruppo radicale di bloc-

121
da Marco Pannella, fratello della leader di spicco del Comitato.
Durante la discussione alla Camera dei deputati del progetto di
riforma della scuola secondaria superiore, al quale è complessi-
vamente contrario, il PR ripropone la tesi della paventata secon-
darizzazione e del conseguente ‘declassamento’ dei Conservatori,
denunciato come esempio della discriminazione subita da musica
e arte in Italia, e chiede garanzie per il corpo docente.
Noi finiamo con il tagliare una parte dell’istruzione superiore, in parti-
colare quella musicale, attraverso questa licealizzazione dei conservatori
di musica con un abbassamento ed uno scadimento del livello artistico
e di formazione artistica di questi conservatori, senza garantire, in al-
cun modo, la formazione dei livelli dell’istruzione superiore che viene
abbandonata ad un momento successivo, senza una garanzia neanche
per gli insegnanti (…) Tutto questo significa che si vuole obbedire a dei
princìpi, che a nostro avviso sono sostanzialmente discriminatori nei
confronti della funzione dell’insegnamento artistico, del valore dell’arte
come cultura65.

Deputati e rappresentanti del governo favorevoli alla riforma


rassicurano sul fatto che i Conservatori saranno considerati an-
che all’interno del dibattito sulla riforma universitaria66 e che il

care il decreto in aula prima di sperimentare la volontà stessa dei radicali di


attuare veramente l’ostruzionismo» lamenta l’Onorevole Spadolini durante la
seduta della Commissione Istruzione Pubblica in Senato, convocata domenica
12 agosto 1978 per discutere e approvare i disegni di legge relativi alla validità
degli scrutini e degli esami effettuati nell’anno scolastico 1978-1979 e autoriz-
zare l’istituzione di una sessione straordinaria nei Conservatori di musica e nelle
Accademie di belle arti ( : 78-79). L’ostruzionismo parlamentare fu adottato
sistematicamente proprio tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ot-
tanta dal PR, che lo rivendicò come strumento di denuncia del consociativismo
dei partiti italiani.
65. Intervento dell’onorevole Mellini, del PR, alla seduta del 27 settembre 1978
della Camera dei deputati ( : 21520 del resoconto stenografico della seduta).
66. Ecco, a questo proposito, alcuni estratti dal resoconto stenografico della
discussione alla Camera dei deputati durante la seduta del 27 settembre 1978:
«[A]nche se non si parla di riforma universitaria, quando si afferma che con

122
trattamento giuridico ed economico dei docenti non sarà modi-
ficato fino all’entrata in vigore della riforma67. Il disegno di legge
sulla riforma della scuola secondaria superiore è così approvato
a larga maggioranza alla Camera, costituendo uno tra i tentativi
di riforma dell’istruzione politicamente più condivisi di questi
decenni68. Il suo iter legislativo è però arrestato dalla interruzione
della VII legislatura, che conclude l’esperienza di solidarietà na-
zionale e porta alle elezioni anticipate del giugno 1979 (Gianni
e Miceli 2016: 1401). L’ottava legislatura si apre con un quadro
di alleanze politiche complesso e mutevole69, risolto attraverso

una nuova legge verranno riformati i conservatori per quella parte che è ulte-
riore, successiva alla scuola secondaria, è evidente che fin da questo momento
i conservatori sono collocati in una gerarchia di istituto scolastico post-secon-
dario, che non può essere che universitario» (Ballardini, PSI: 21503); «[S]ono
d’accordo con l’onorevole Carelli che occorra evitare - ammesso che questo
pericolo sussista - che lo stato giuridico del personale sia messo in pericolo
da questo provvedimento. Lo stato giuridico deve rimanere invariato sino alla
ristrutturazione; una ristrutturazione che, noi prevediamo nell’ultimo comma
dell’articolo 8, deve essere raccordata con la riforma universitaria, che specifica-
mente prevedere la necessità della ristrutturazione dei conservatori» (Di Giesi,
relatore: 21506); «[I]1 problema di cui si è discusso dovrà ancora essere trattato
in sede di riforma universitaria, perché è evidente la singolarità della istituzione
rappresentata dal conservatorio (….) ed è per questo che in sede di riforma
universitaria, come del resto in questo contesto, si fa riferimento ad una legge
ad hoc, che dovrà essere predisposta dal Governo e discussa dal Parlamento, per
un adeguamento dei conservatori nel quadro della ristrutturazione complessiva
sia dell’istruzione secondaria sia della istruzione universitaria» (Franca Falcucci,
Sottosegretario di Stato per la Pubblica Istruzione: 21507).
67. A tal fine, all’articolo 8 sarà aggiunto un comma conclusivo suggerito dal
Sottosegretario Falcucci: «Fino alla ristrutturazione dei conservatori di cui al
precedente comma, nessuna modifica sarà apportata allo stato giuridico ed eco-
nomico del personale di dette istituzioni».
68. L’articolo 8, relativo all’istruzione musicale, è approvato il 28 settembre
1978 con 283 voti a favore, 50 contrari e una astensione durante la seduta di
discussione del testo definitivo della legge, la quale registra complessivamente
330 voti a favore, 54 voti contrari e 7 astensioni.
69. La principale novità nell’asse di governo è data dalla linea politica inaugu-

123
definizione di una coalizione di governo pentapartitica. La mar-
ginalizzazione in parlamento del partito comunista, principale
sostenitore della verticalizzazione degli studi musicali, apre al
Comitato di coordinamento una finestra di opportunità per in-
trodurvi un disegno di riforma alternativo.
Da imprenditori istituzionali, i leader del movimento
identificano come “risorsa dormiente” del contesto istituzio-
nale (Crouch 2005), da attivare per legittimare formalmente
le proprie posizioni, l’articolo della Costituzione repubblicana
sul riconoscimento di autonomia alle istituzioni di alta cultura
(Liguori 2018):
L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repub-
blica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali
per tutti gli ordini e gradi. (…) Le istituzioni di alta cultura, università
ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti
stabiliti dalle leggi dello Stato. [Costituzione della Repubblica italiana,
1948, art. 33]

L’accoglimento nel dibattito di un’interpretazione lata del


termine ‘accademia’, come istituto storicamente deputato all’ap-
prendimento di arte e musica70, avrebbe difatti consentito di di-
chiarare incostituzionale una riforma volta ad inserire istituzioni
di alta cultura all’interno del sistema scolastico e, al contempo, di
rivendicare la loro equiparazione al livello universitario71. Nella
lotta simbolica per la ridefinizione del campo dell’istruzione mu-
sicale, la strategia del Comitato di coordinamento non è più dun-
que meramente difensiva, ma passa all’attacco: piuttosto che alla
resistenza di mura destinate a capitolare a fronte delle pressioni di

rata dal segretario del PSI Bettino Craxi, che portò ai governi basati sull’intesa
pentapartitica (DC, PSI, PSDI, PLI, PRI).
70. La più antica tra le Accademie musicali italiane è quella romana di Santa
Cecilia, fondata alla fine del Cinquecento (Colarizi 1999: 260).
71. “Gli studenti chiedono che nella musica entri anche la cultura”, Corriere
della Sera - Corriere Romano, martedì 20 febbraio 1979: 12.

124
un più ampio e fortificato campo esterno (quello dell’istruzione
nazionale), si fa strada la possibilità di sostenere un assetto alter-
nativo, che prevede la collocazione dei Conservatori nel presti-
gioso livello terziario e la conseguente valorizzazione (simbolica
ed economica) del capitale culturale dei propri agenti interni.
Nonostante la limitata consistenza numerica degli aderenti,
l’efficacia mediatica delle azioni di protesta nei Conservatori rie-
sce a far emergere nel dibattito pubblico la trascuratezza mostrata
dal sistema di istruzione nazionale per il campo dell’istruzione
musicale. Ciò porta i governi ad autorizzare, come una sorta di
risarcimento, l’istituzione di nuovi Conservatori, il cui numero
quasi triplica nel giro di venti anni, come già osservato nel se-
condo capitolo. La proliferazione delle sedi di Conservatorio,
tuttavia, non segue una strategia programmatoria ministeriale
(basata sull’analisi dei fabbisogni dei territori o sulla pondera-
zione dell’offerta didattica alle esigenze del mercato del lavoro),
bensì logiche di tipo politico-clientelare72. Al contempo si rico-
nosce la necessità di affrontare con urgenza la questione della
riforma dell’educazione artistica e, in particolare, di quella mu-

72. Cfr. Delfrati 2017, Salvetti 2000. L’assenza di pianificazione riguarda anche
la definizione dell’offerta formativa dei Conservatori; si tratta di problemi già
ben evidenti a metà degli anni Ottanta, come si evince dal seguente intervento
del senatore Andrea Mascagni, durante un dibattimento in Senato: «Inoltre,
voglio dirle anche che si insiste nel parlare di proliferazione dei conservatori, ma
vi è un fenomeno ben più grave di cui poco si parla, quello cioè proliferazione
delle classi nei singoli conservatori. Fornisco soltanto un dato: al Conserva-
torio di Frosinone - citta che mi pare conti meno di 100 mila abitanti - vi
sono 39 classi di pianoforte, molte di più che al Conservatorio di Roma. Il
problema della proliferazione va certo affrontato in relazione alle nuove sedi
di conservatorio, ma soprattutto nei confronti della moltiplicazione delle classi
all’interno dei singoli conservatori» (Senato della Repubblica, IX legislatura,
resoconto stenografico del 29 maggio 1985, Discussione e rinvio dell’atto 1318
Insegnamento nei conservatori di musica e contemporaneo esercizio della professione
nelle orchestre, d’iniziativa dei deputati Carelli ed altri, approvato dalla Camera
dei deputati: 23).

125
sicale. Ecco, a tal proposito, l’esortazione del senatore DC Ma-
rio Pedini - tra i ministri della Pubblica Istruzione investiti dalla
protesta nelle precedenti legislature - ai colleghi senatori della
Commissione Istruzione Pubblica, riuniti in una domenica di
metà agosto del 1979 per porre rimedio alle conseguenze degli
scioperi nei Conservatori:
È in atto una vera e propria crisi di coscienza e di funzione di quella
scuola [l’istruzione artistica e, in particolare, l’istruzione nei conserva-
tori], una crisi sulla quale è necessario che il Parlamento converga la sua
attenzione se non vuol favorire una situazione di crisi irreparabile, tanto
più che né la riforma universitaria né quella della scuola media superio-
re erano state chiare nei progetti a suo tempo discussi sull’articolazione
tra l’uno e l’altro ordine dell’educazione artistica. Pertanto, più in fretta
il Parlamento e questa Commissione affronteranno tale argomento - se
occorre anche dopo un confronto governativo serrato con le organizza-
zioni sindacali e di categoria - meglio sarà onde evitare quei danni che
potrebbero essere irreparabili. (Pedini 1979:9)73

Anche il senatore Mascagni, presente alla seduta, concorda


sulla necessità di intervenire, specie a tutela degli studenti, per
risolvere la crisi in atto nel settore, ritenendola tuttavia in gran
parte indotta dalla strategia comunicativa del Comitato di coor-
dinamento, che esercita un ruolo di gatekeeping filtrando o rifor-
mulando ad hoc per studenti, docenti o stampa, le informazioni
provenienti dal parlamento74.
Sono dell’avviso che molto di ciò che è accaduto sia la conseguenza di
una inesatta informazione o della cattiva volontà di recepire esattamen-

73. Intervento del senatore Mario Pedini tratto dal resoconto stenografico della
seduta di domenica 12 agosto 1979 della Commissione Istruzione Pubblica del
Senato, riunita per discutere e approvare i disegni di legge relativi alla validità
degli scrutini e degli esami effettuati nell’anno scolastico 1978-1979 e autoriz-
zare l’istituzione di una sessione straordinaria nei Conservatori di musica e nelle
Accademie di belle arti.
74. Efficace dal punto di vista mediatico, lo ‘spettro della secondarizzazione’ è
evocato dai leader del Comitato dei docenti di Conservatorio in maniera surret-

126
te le informazioni, ma è certo che qualcosa è necessario fare per non
rischiare di trovarci in condizioni tali da non vedere funzionanti questi
istituti, con il danno che naturalmente consegue per tutti gli studenti
interessati.75

Un’altra strategia adottata dai leader del Comitato di coordina-


mento è data da una sorta di ‘guerriglia istituzionale’: a fronte di
una limitata forza di rappresentanza politica parlamentare, la lotta
è portata avanti su diversi fronti, sfruttando le reti di relazioni per-
sonali dei membri del movimento. A conclusione della seduta ago-
stana, i senatori apprendono dallo stesso Ministro76 che questi ha
già incontrato i rappresentanti del Sindacato Nazionale Lavoratori
Scuola (SNALS)77 e del Comitato di coordinamento - presentato
come «una specie di organo rappresentativo dei Conservatori» – e
preso con loro impegni per un prossimo avanzamento di inquadra-
mento salariale dei docenti di Accademie e Conservatori rispetto
ai docenti di scuola secondaria superiore78. Tale avanzamento era

tizia per mobilitare gli aderenti ad un rifiuto radicale della riforma, sottacendo
gli elementi del dibattito che aprivano invece alle possibilità di istituire anche
il livello terziario di istruzione musicale nei Conservatori. Ad esempio, nella
Conferenza stampa «promossa da esponenti del corpo docente e discente dei
conservatori di musica italiani sul tema Aggiornamento e riqualificazione degli
studi musicali, riforma dei conservatori, inadeguatezza delle relative formula-
zioni legislative in discussione alla Camera e al Senato», si riportava ancora la
vecchia bozza del disegno di legge sulla riforma dell’università, nel frattempo
corretta inserendo non solo le Accademie ma anche in Conservatori (Corriere
della Sera, martedì 17 giugno: 15).
75. Intervento del Senatore Andrea Mascagni tratto dal resoconto stenografico
della seduta di domenica 12 agosto 1979 della Commissione Istruzione Pub-
blica del Senato: 15.
76. Salvatore Valitutti è stato membro del partito liberale italiano e ministro
della Pubblica istruzione dall’agosto del 1978 all’aprile del 1980.
77. Il Sindacato Nazionale Lavoratori Scuola SNALS nasce nel 1976 dalla fu-
sione di otto sindacati autonomi categoriali della scuola, come sindacato ‘an-
ti-ideologico’, distante dai partiti e dal collaterale apparato amministrativo e
burocratico.
78. L’avanzamento richiesto per i docenti di Conservatorio era quello all’ottava

127
osteggiato dai sindacati confederali, interessati a non differenziare
il trattamento dei docenti dell’istruzione artistica e musicale dal
più ampio bacino degli insegnanti della scuola79. Gli intenti più
corporativi che sistemici del Comitato di coordinamento emer-
gono anche nel suo impegno nella protesta contro le disposizioni
governative riguardanti il divieto di cumulo di impieghi ai docenti
di Conservatorio occupati in orchestre sovvenzionate dallo Stato80.
Man mano che aumentano gli spazi per la loro azione, i le-
ader del Comitato di coordinamento prendono consapevolezza
dei limiti derivanti dalla strutturazione in forma di movimento in
termini di legittimazione nell’arena istituzionale. Dopo alcuni ten-
tativi di dialogo, quasi pro forma, coi rappresentanti dei sindacati
confederali (CGIL, CISL, UIL) - su posizioni molto distanti - e,
più concreti, con quelli di settore (come lo SNIA e lo SNALS),
i promotori del movimento decidono di fondare un sindacato
autonomo: nasce così il 10 novembre 1979 l’Unione Nazionale
Arte Musica e Spettacolo (UNAMS)81. Per scongiurare un’evolu-
zione in termini burocratici e oligarchici del movimento, lo sta-

fascia di inquadramento del pubblico impiego, una fascia superiore rispetto a


quella dei docenti dei licei ai quali fino ad allora erano accomunati (con l’ecce-
zione dei docenti di pianoforte complementare e dei pianisti accompagnatori,
raggruppati in una fascia inferiore).
79. “Infondato per il ministero l’allarme sugli esami nei conservatori”, Corriere
della Sera - Corriere romano, giovedì 19 luglio 1979: 13.
80. Si tratta del disegno di legge n. 737, presentato dal Ministero del Tesoro
Pandolfi il 17 ottobre 1979 e approvato come legge n. 312 il 7 novembre 1980,
che prevede, all’articolo 66, una deroga sul conferimento degli incarichi di do-
cenza per Conservatori e Accademie rispetto a quanto previsto per la scuola
dalla legge n. 463 del 9 agosto 1978 e, agli articoli 67-69, una disciplina diffe-
renziata per i docenti di Conservatorio, che introduce la possibilità di contratti
limitati nel tempo con le orchestre a finanziamento statale.
81. La sigla fu adottata riprendendo quella ideata da Franz Liszt «che così
chiamò a metà Ottocento la sua organizzazione, fondata per tutelare le Arti
in Europa, e soprattutto la libera circolazione del pensiero artistico» (vedi nel
portale www.unams.it il Comunicato stampa del 09/11/2004).

128
tuto UNAMS prevede la partecipazione volontaria e gratuita dei
soci, leadership inclusa. Del vecchio Comitato di coordinamento
il nuovo sindacato mantiene inoltre, potenziandole, le strategie di
azione: la guerriglia istituzionale, la drammatizzazione degli eventi,
la polarizzazione del conflitto tra amici e nemici82, il senso di ap-
partenenza collettiva e la mobilitazione diretta degli aderenti.
In questa caotica situazione, da tempo (…), approssimandosi la secon-
da scadenza, sono in corso agitazioni e pressioni di ogni genere, in parti-
colare da parte di ben noti ambienti pseudo sindacali, nei confronti dei
parlamentari che, ovviamente, in buona fede (non c’è nessun dubbio
in proposito) ascoltano e recepiscono esposizioni minimizzate e mini-
mizzanti sul merito effettivo e massimizzanti nello spirito rivendicativo.
Ed ecco allora che i colleghi della Camera presentano in proposito un
generoso disegno di legge di ulteriore proroga di tre anni per l’opzione
prevista dalla legge n. 312 del 1980. Ma voglio dire di più (…): ci sono
conservatori (…) in cui taluni insegnanti investiti dall’opzione sono in
sciopero; e si tratta di una nuova concezione dello sciopero (…) Si trat-
ta di uno sciopero per così dire «preventivo» e «sollecitario»: verso chi?
Verso il Senato, invitato ad approvare la proroga di ulteriori tre anni per
l’opzione. [Mascagni 1985: 15]83

È quello più organizzato [l’UNAMS], più attivo: mentre negli altri


sindacati c’è uno che lavora e basta, loro invece hanno tutti i generali,
colonnelli. E poi la Dora è sempre sul pezzo, attiva, ci capisce, è quella
che politicamente vede più lontano… [direttore di ISSM]84

82. La modalità di narrazione del dibattito politico che drammatizza gli even-
ti configurandoli in termini dicotomici e conflittuali, polarizzando l’arena tra
amici e nemici della giusta causa, piuttosto che in termini di spettro politico, è
stata ben evidenziata da Giancarlo Bosetti (2008) nel suo libro su Oriana Falla-
ci. Per un esempio dell’utilizzo di tale configurazione simbolica del conflitto da
parte dei leader dell’UNAMS, vedi Liguori e Damiani (1981), Liguori (2018).
83. Intervento del Senatore Andrea Mascagni tratto dal resoconto stenografico
della seduta di mercoledì 29 maggio 1985 della Commissione Istruzione Pub-
blica del Senato: 15.
84. Dove non indicato diversamente, gli estratti riportati di seguito sono tratti
dalle interviste qualitative realizzate dall’autrice per l’indagine.

129
La Dora sopra citata è la cantante e scrittrice Dora Liguori,
eletta primo segretario generale e ancora oggi alla guida del sin-
dacato85. Probabilmente reclutata nella leadership del Comitato
di coordinamento docenti per sfruttare la sua rete di conoscenze
in ambito politico e parlamentare, ben presto rivela doti di abi-
lissima e infaticabile stratega. Alle capacità di lettura e visione
prospettica del contesto politico e istituzionale accompagna doti
affabulatorie che le consentono di attivare, attraverso il coinvol-
gimento empatico, la spregiudicatezza politica e la tenacia una
rete di inedite e trasversali alleanze86 di sostegno alla causa dell’U-
NAMS. All’interno delle reti di sostegno sono reclutati attori di
tipo diverso: docenti di Conservatorio e celebri musicisti da usare
come testimonial87; esperti in campo legale, per consolidare le
proprie tesi e confutare quelle del fronte avverso88; ma soprat-
tutto parlamentari e ministri, integrati all’interno della propria
narrazione del dibattito89. Grazie a tali meccanismi l’UNAMS
trasforma la propria indipendenza dai partiti da punto di debo-
lezza in punto di forza, riuscendo a superare i divari ideologici tra
85. Dora Scocozza, cantante, sposata con il compositore Elio Liguori, è stata
docente presso il Conservatorio di Frosinone e S. Cecilia di Roma. È autrice di
libretti d’opera, saggi e romanzi a carattere storico.
86. Si tratta di risorse riconducibili agli social skills di cui parla Fligstein (1997:
108) a proposito degli imprenditori istituzionali, un concetto vicino a quello di
soft power proposto da Nye (2008).
87. Per illustrare la propria proposta di riforma, l’UNAMS organizzò nelle
diverse sedi di Conservatorio una serie di incontri per illustrarne i vantaggi
- facendo leva in particolare sull’aumento stipendiale -, che portano al costi-
tuirsi di Comitati spontanei per la riforma a livello locale (Piatti 2012). Tra i
principali testimonial della proposta di riforma UNAMS vi fu il noto direttore
d’orchestra Claudio Scimone.
88. Per l’utilizzo del sapere tecnico risorsa strategica degli imprenditori istitu-
zionali, vedi Hwang e Powell (2005).
89. A proposito dell’utilizzo da parte degli imprenditori istituzionali di strategie
discorsive inserite in racconti condivisi sull’origine delle cause e le responsabi-
lità dei fallimenti del presente o la definizione di un quadro programmatico di
riferimento per le soluzioni future, vedi Seo e Creed (2002), Fligstein (1997).

130
politici e parlamentari e costruendo un consenso basato su nuo-
ve alleanze fondate su affinità personali (la comune provenienza
territoriale, le reti amicali e parentali, la passione per la musica).
Si creò quest’amicizia, ma è quello che meglio so fare io, creare…[ami-
cizie] [Liguori, segretario generale UNAMS]

Secondo me il male del sindacalismo italiano è di identificarsi con un


partito. Tutti mi chiedevano “Ma perché questa piccola piccola ce la fa
contro tutti?”. Perché se la CGIL si identificava con la sinistra (oggi è
un po’ più difficile, perché son tutti lì messi insieme), quegli altri della
destra si schieravano contro, io in mezzo: il terzo che gode. Ogni volta
che ci sono elezioni noi elenchiamo deputati e senatori che si sono
spesi per la causa, a prescindere dal colore politico (pure Lucifero, se si
presenta!). [Liguori, segretario generale UNAMS]

L’innovativo approccio dell’UNAMS coglie impreparati gli


altri interlocutori istituzionali, incapaci di ragionare secondo lo-
giche alternative alle prassi consolidate legate all’affiliazione par-
titica. Ciò porta l’UNAMS a registrare la prima vittoria formale,
a soli due anni dalla sua fondazione: in sede di contrattazione
per il rinnovo contrattuale, grazie all’azione dei suoi leader, che
conquista il decisivo appoggio del Ministro Schietroma, ottiene
il riconoscimento per i docenti di Conservatori e Accademie e
Conservatori dell’ottavo livello, osteggiato dai sindacati confede-
rali90. Tale riconoscimento consente all’UNAMS nel 1987, in oc-
casione della contrattazione per il successivo rinnovo, di ottenere
dopo defatiganti trattative un significativo aumento retributivo
per i docenti di Accademie e Conservatori.
Il risultato ottenuto contribuisce a rafforzare la credibilità isti-
tuzionale del sindacato, sia tra i propri simpatizzanti, che tra le
fila dei rivali:

90. Dante Schietroma, PSI-PSDI, ministro per l’Organizzazione della Pubblica


Amministrazione e per le Regioni tra il 1981-83, era amante della musica e
proveniva dalla provincia di Frosinone, come il marito della Liguori.

131
I docenti di ogni ordine e grado in un primo tempo sono contraria-
ti, ma poi, con ammirazione, definiscono il contratto il “miracolo
UNAMS”.91

3 La riorganizzazione del campo


3.1 L’approvazione della legge n.508 del 1999
Il “miracolo UNAMS” allarma il fronte favorevole alla secon-
darizzazione: la legge finanziaria in approvazione in parlamento
nel 1993 prevede un articolo che applica ad Accademie, Con-
servatori e altri istituti artistici le disposizioni relative alla scuola
secondaria. Il tempestivo intervento dell’UNAMS, attraverso la
sua collaudata rete di alleanze in parlamento, ottiene l’inserimen-
to di un emendamento che ribadisce invece la natura di Accade-
mie e Conservatori di ‘istituzioni di alta cultura’ cui garantire,
al pari dell’Università, personalità giuridica e autonomia orga-
nizzativa, nel rispetto della Costituzione92. Tale riconoscimen-
to apre la strada alla legittimazione parlamentare dell’ipotesi di
terziarizzazione degli istituti di formazione artistica e musicale,
ulteriormente favorita dal consenso ottenuto in quegli anni dalle
iniziative della Commissione europea per favorire la comparabi-
lità dei percorsi formativi nazionali, al fine di creare uno spazio

91. “UNAMS. 25 anni di battaglie per l’arte”, http://www.unams.it/Vecchio_


sito/Storia_UNAMS.html (ultima consultazione 17/7/2017).
92. «Pubblica istruzione - 1. Gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado non-
ché le istituzioni di alta cultura di cui all’articolo 33 della Costituzione ed in
particolare le Accademie di belle arti, le Accademie nazionali di arte dramma-
tica e di danza e i Conservatori di musica hanno personalità giuridica e sono
dotati di autonomia organizzativa, finanziaria, didattica, di ricerca e sviluppo,
nei limiti, con la gradualità e con le procedure previsti dal presente articolo»
(art.4, legge del 24 dicembre 1993, n.537, collegato alla legge finanziaria 1994).
È da ricordare che nel 1988 vi fu lo scorporo del dicastero tra Ministero del-
la Pubblica istruzione e Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR), nel
1992 rinominato Ministero dell’Università e la Ricerca Scientifica e Tecnolo-
gica (MURST).

132
europeo dell’istruzione superiore93. Nella XII legislatura94 (1994-
96) la terziarizzazione degli istituti di alta cultura è proposta da
ben tredici progetti di legge. Vittorio Sgarbi95, storico dell’arte
appartenente al gruppo misto, in qualità di presidente della VII
Commissione Istruzione pubblica alla Camera affida a Maria
Procaccini Burani, insegnante, componente di Forza Italia della
Commissione, il compito di coordinare i lavori per la redazione
di un testo unificato, che non riuscirà ad essere approvato a causa
della caduta del Governo.
Nella XIII legislatura96 il compito di coordinare i lavori del-
la VII Commissione è affidato a Luciana Sbarbati, dirigente sco-
lastica, esponente del Partito repubblicano italiano aderente alla
coalizione dell’Ulivo. Il progetto di legge risultante97 prospetta la
creazione di Istituti superiori delle arti (ISDA), intesi come poli
per la formazione, la ricerca, la produzione artistica di grado uni-
versitario, cui accedere con un titolo di studio di scuola secondaria
superiore, rilascianti diplomi universitari e lauree. Agli ISDA, pre-
visti in numero di almeno uno per regione, si riconosce personalità
giuridica e autonomia organizzativa e quindi la facoltà di definire il

93. Tali iniziative porteranno nel 1999 alla sottoscrizione degli stati membri
della Dichiarazione di Bologna, che indica una serie di linee di riforma da pro-
muovere all’interno dei diversi Stati membri dell’Unione europea (trasparenza
e comparabilità dei percorsi formativi, mobilità formativa e occupazionale, svi-
luppo della società della conoscenza), pur nel rispetto delle specificità dei singoli
sistemi formativi.
94. La XII legislatura della Repubblica italiana è stata in carica del 15 aprile
1994 al 8 maggio 1996.
95. Lo stesso Sgarbi era primo firmatario di uno dei progetti di legge presen-
tati (il 1111/1994), favorevole al riconoscimento di Accademie e Conservatori
come Istituti artistici superiori equiparati alle Università.
96. La XII legislatura della Repubblica italiana ha coperto il periodo tra il mag-
gio 1996 e il maggio 2001.
97. L’esame nella VII Commissione Istruzione Pubblica della Camera del testo
risultante dall’unificazione dei disegni di legge inizia il 31 luglio 1996 e si con-
clude il 5 novembre 1997, quando è approvato all’unanimità.

133
proprio statuto, nonché regolamenti interni, da sottoporre all’ap-
provazione del Ministro dell’Università. L’offerta formativa degli
ISDA, inizialmente definita a partire da quella dei vecchi Istituti
prevalentemente specializzati nel campo delle arti visive e musicali,
sarebbe stata gradualmente integrata negli altri settori artistici, tra i
quali quello delle «arti del gusto legate alla tradizione e alla cultura
enogastronomica italiana». Il 5 novembre 1997, il progetto è ap-
provato ad unanimità alla VII Commissione della Camera.
Ben più travagliata si rivela la discussione presso la VII Commis-
sione del Senato, dove il disegno di riforma degli istituti per l’alta
formazione artistica e musicale solleva diverse perplessità, specie in
riferimento ai Conservatori. Si evidenzia, in particolare, come la pro-
posta di terziarizzazione degli Istituti avrebbe dovuto rappresentare
la tappa finale di un progetto globale di verticalizzazione degli studi
musicali professionalizzanti, invece che una rivendicazione di tipo
corporativo dei docenti, incurante dell’inevitabile squilibrio creato
tra la quantità di studenti formati da un numero eccessivo di Con-
servatori di livello terziario rispetto alle esigenze del mercato del la-
voro98. Il punto sul quale si incentra in particolare la discussione in
aula riguarda la sostanziale equiparazione della docenza degli ISDA
a quella universitaria, prospettata senza prevedere «alcun sistema di
selezione e di accertamento delle specifiche idoneità professionali e
in evidente violazione del principio del pubblico concorso»99.
98. «[Tali proposte] invece si limitano a prevedere i cosiddetti ISDA e una
serie di equipollenze con l’ordinamento universitario senza alcuna attinenza
con i problemi sopra accennati, limitandosi a soddisfare richieste fortemente
corporative e obliando il dato ineludibile e non occultabile costituito dal numero
eccessivo dei conservatori, tali da configurarsi come un sistema autoreferenziale,
che licenzia migliaia di diplomati privi di sbocchi professionali. Questo è il
vero problema, in nessun modo risolto dal consolidamento della situazione
professionale di chi insegni presso quegli istituti» (dall’intervento del senatore
Stefano Passigli, dell’Ulivo, tratto dal resoconto stenografico della seduta del 24
marzo 1998 della Commissione Istruzione Pubblica in Senato).
99. Passigli, Ibidem. Tale obiezione era inoltre legata al paventato paradosso per
cui, inserendo i Conservatori nel livello terziario, i docenti avrebbero dovuto

134
A fronte di una netta opposizione di esponenti della sinistra
legati al campo universitario, sui quali i sostenitori della riforma
adombrano il sospetto di ritardare il dibattito al fine di non con-
sentire la conclusione dell’esame dei provvedimenti in tempo utile,
il testo è approvato il 14 luglio 1999 con modificazioni, tra le qua-
li quella centrale riguarda l’eliminazione del riferimento dell’ag-
gettivo ‘universitario’, contenuto invece nel testo approvato dalla
Camera per riferirsi al livello delle nuove istituzioni. Per collocare
Accademie e Conservatori e altri istituti artistici di alto rilievo isti-
tuzionale si crea un sistema ad ordinamento speciale, da inserire
nel livello terziario: l’Alta formazione artistica e musicale (AFAM).
La scelta di creare un sistema distinto rispetto a quello universitario
è motivata sostenendo che in tal modo si sarebbe adottata la dizio-
ne che più opportunamente rifletteva il dettato costituzionale (il
quale distingue tra Istituti di alta cultura, Accademie e Università),
come sostenuto in una relazione tecnica predisposta dal MIUR.
Il testo modificato dal Senato torna dunque alla VII Commis-
sione della Camera per la seconda lettura, durante la quale diversi
deputati lamentano il fatto che le modifiche apportate dal Sena-
to stravolgessero la portata innovatrice di una riforma sostenuta
alla Camera da tutte le forze politiche. Non mancano interventi
che, adottando la narrazione del dibattito offerta dall’UNAMS,
attribuiscono tale manovra ad una strategia di distinzione cultu-
rale del mondo universitario rispetto ad altri percorsi formativi,
realizzata in Senato su pressione del MIUR.
[L]a distinzione operata fa seguito all’annosa paura del mondo universi-
tario italiano di vedere posto sul suo stesso piano l’istituto di alta cultura
che non è caratterizzato dallo stesso percorso di studi (anche se il suo iter
è talvolta più complesso, più duro e più lungo del normale percorso che
porta prima alla laurea e poi alla formazione del professore universitario).
[Burani Procaccini 1999: 6]100

insegnare a studenti con un titolo di studio superiore al loro.


100. Intervento tratto dal resoconto stenografico della seduta del 10/11/1999

135
Nonostante le proteste, i deputati concludono che l’impianto
complessivo della riforma resta valido e spingono per una conclu-
sione del suo iter parlamentare, per evitare «la secondarizzazione
senza via d’uscita e l’appropriazione indebita da parte delle uni-
versità di questo comparto» e consentire l’equiparazione formale
di una già esistente equivalenza tra il sistema di formazione ar-
tistico-musicale italiano e quello europeo di livello terziario. Le
possibilità di precisazione dello status universitario di Accademie,
Conservatori e altri Istituti artistici di alta cultura sono dunque
rimandate alla successiva definizione dei vari regolamenti previsti
dalla legge. Al Senato per la seconda lettura, il disegno di legge
è approvato in via definitiva il 2 dicembre 1999, anche grazie
ad uno stratagemma escogitato dal relatore, il Senatore di Forza
Italia Franco Asciutti, per evitare la prevalenza dei voti contrari
in Commissione101.
La legge approvata (n. 508/1999)102 dichiara che le Accade-
mie di belle arti, l’Accademia nazionale di arte drammatica e gli
Istituti superiori per le industrie artistiche, l’Accademia nazionale
di danza, i Conservatori di musica e gli Istituti musicali pareggia-
ti costituiscono il sistema dell’Alta formazione e specializzazione
artistica e musicale (AFAM) (art. 2,1) e rappresentano sedi pri-
marie di alta formazione, specializzazione, ricerca, produzione nel
settore artistico e musicale. I Conservatori di musica e gli Istituti
musicali pareggiati e l’Accademia nazionale di danza sono trasfor-
mati in Istituti superiori di studi musicali e coreutici (ISSMC)

della VII Commissione alla Camera: 6.


101. Lo stesso senatore Asciutti raccontò del ‘blitz’ da lui orchestrato mettendo
in votazione il disegno di legge quando uno dei senatori, che in Commissione
aveva manifestato parere contrario, si allontanò dall’aula per recarsi in bagno
(Roselli 2015: 61-60).
102. Legge intitolata alla Riforma delle Accademie di belle arti, dell’Accademia na-
zionale di danza, dell’Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti supe-
riori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali
pareggiati (legge del 21 dicembre 1999, n.508), in vigore dal 19 gennaio 2000.

136
(art. 2.2.). Gli ISSMC, ai quali si accede con il possesso del di-
ploma di scuola secondaria di secondo grado, attivano corsi di
formazione, di perfezionamento e di specializzazione, e rilasciano
specifici diplomi accademici di primo e secondo livello, nonché di
perfezionamento, di specializzazione e di formazione alla ricerca
in campo artistico e musicale (art.2.5).
Il ministro del MURST esercita nei confronti delle istituzio-
ni AFAM poteri di programmazione, indirizzo e coordinamen-
to, nel rispetto della loro autonomia (art.2.3). All’interno del
MURST si prevede l’istituzione di una direzione generale per
l’AFAM, con funzioni relative al finanziamento, programmazio-
ne e sviluppo del sistema, e il Consiglio nazionale per l’alta for-
mazione artistica e musicale (CNAM), col compito di esprimere
pareri e formulare proposte sugli schemi di regolamento e di de-
creto, sui regolamenti didattici degli istituti, sul reclutamento del
personale docente, sulla programmazione dell’offerta formativa
relativa al comparto (art. 3.1).
La legge delega il riordino del settore alla definizione di uno
o più regolamenti, emanati su proposta del MURST, previa con-
sultazione del CNAM e delle Commissioni parlamentari compe-
tenti. Ben nove gli ambiti identificati di cui si delega il riordino:
i requisiti di qualificazione didattica, scientifica e artistica delle
istituzioni e dei docenti; i requisiti di idoneità delle sedi; le mo-
dalità di trasformazione degli istituti; i possibili accorpamenti e
fusioni, nonché le modalità di convenzionamento con istituzioni
scolastiche e universitarie e con altri soggetti pubblici e privati;
le procedure di reclutamento del personale; i criteri generali per
l’adozione degli statuti di autonomia e per l’esercizio dell’auto-
nomia regolamentare; le procedure, i tempi e le modalità per la
programmazione, il riequilibrio e lo sviluppo dell’offerta didatti-
ca nel settore; i criteri generali per l’istituzione e l’attivazione dei
corsi, per gli ordinamenti didattici e per la programmazione degli
accessi; la valutazione dell’attività delle istituzioni (art.2,7).

137
Al contempo si indicano una serie principi e criteri direttivi di
cui tener conto nella definizione dei regolamenti, tra i quali: la va-
lorizzazione delle specificità culturali e tecniche dell’alta formazio-
ne artistica e musicale e la definizione di standard qualitativi rico-
nosciuti in ambito internazionale; la programmazione dell’offerta
formativa sulla base della valutazione degli sbocchi professionali; la
definizione di un sistema di crediti didattici; la previsione di corsi
di formazione musicale o coreutica di base per consentire la fre-
quenza agli alunni iscritti alla scuola media e alla scuola secondaria
superiore; le possibilità di convenzionamento con istituzioni scola-
stiche per realizzare percorsi integrati di istruzione e di formazione
musicale o coreutica o con istituzioni universitarie per lo svolgi-
mento di attività formative finalizzate al rilascio di titoli universita-
ri o di diplomi accademici; la possibilità di graduale statalizzazione
degli attuali Istituti musicali pareggiati e delle Accademie di Belle
arti; la facoltà di costituire, sulla base della contiguità territoriale,
nonché della complementarietà e integrazione dell’offerta formati-
va, Politecnici delle arti, nei quali far confluire gli ISSMC e strut-
ture universitarie; la verifica periodica degli standard e dei requisiti
prescritti da parte del MURST (art.2,8).
Per quanto riguarda il rapporto di lavoro del personale, si pre-
scrive che questo sia regolato contrattualmente nell’ambito di ap-
posito comparto articolato in due distinte aree, rispettivamente
per il personale docente e non docente. In riferimento alla prima
categoria, limitatamente alla copertura dei posti in organico che
si rendono disponibili, si indica di fare ricorso alle graduatorie
nazionali ad esaurimento e di attribuire invece incarichi di inse-
gnamento di durata non superiore al quinquennio, rinnovabili,
per le esigenze didattiche derivanti dalla legge cui non si riesca a
far fronte con le ordinarie dotazioni organiche. Il personale do-
cente e non docente in servizio all’entrata in vigore della legge
con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come anche il
personale inserito nelle graduatorie nazionali assunto successiva-

138
mente, è inquadrato in appositi ruoli ad esaurimento, mantenen-
do funzioni e trattamento complessivo in godimento (art. 2,6).
In merito alla validità dei diplomi (art. 4) si stabilisce che
quelli conseguiti anteriormente alla data di entrata in vigore della
legge mantengano la loro validità ai fini dell’accesso all’insegna-
mento e ai corsi di specializzazione, e che consentano di iscriversi
a corsi integrativi per il conseguimento dei diplomi accademici,
se uniti al possesso di un diploma di scuola secondaria di secondo
grado103. Inoltre, si stabilisce che i diplomi conseguiti al termine
di corsi di didattica, compresi quelli rilasciati prima dell’entra-
ta in vigore della legge, sono considerati validi per l’accesso alle
scuole di specializzazione e all’insegnamento, previo possesso di
un diploma di Conservatorio (o di Accademia) e di un diploma
di scuola secondaria di secondo grado.

3.2 Il Cantiere AFAM:


dal dissidio MIUR-UNAMS alla sospensione dei lavori
La lotta simbolica intrapresa in ambito parlamentare per la
ricollocazione dei Conservatori nel sistema di istruzione nazio-
nale segna una indiscussa vittoria del fronte per la terziarizzazio-
ne, sancita con l’approvazione della legge n. 508 del 1999. Prin-
cipale artefice di tale vittoria è l’UNAMS, i cui leader agiscono
da imprenditori istituzionali, cogliendo per tempo l’apertura
di ‘finestre di opportunità’, date dal verificarsi di condizioni di
contesto favorevoli al cambiamento istituzionale. Tale successo
consente ai leader e ai sostenitori dell’UNAMS di concludere
con una vittoria la propria narrazione della battaglia, come si

103. Tale disposizione sarà modificata dalla legge 268 del 2002, che elimina
l’anno integrativo consentendo ai possessori del vecchio diploma l’iscrizione ai
corsi accademici di II livello, e dalla legge di stabilità 2013 (l.n.228/2012), che
dispone un sistema di equipollenze tra i titoli di nuovo e vecchio ordinamento
rilasciati dal sistema AFAM e le lauree universitarie di I e di II livello di alcune
classi di laurea, al fine della partecipazione ai pubblici concorsi.  

139
evince dalla lettura del recente volume della Liguori (2018) o
dal seguente intervento di un direttore di Conservatorio:
Negli anni ’70 il musicista Senatore Andrea Mascagni del PCI (omonimo
ma non parente del compositore di Cavalleria Rusticana), già direttore
del Conservatorio di Bolzano, in ossequio alle direttive filo sovietiche del
suo partito, propose un progetto di riforma in analogia agli ordinamenti
dei paesi del blocco sovietico. Questo prevedeva l’istituzione di alcune
Accademie Superiori di Musica (quattro o cinque) e la trasformazione dei
Conservatori in scuole secondarie. A questo assurdo progetto, salutato
con grande favore dalla CGIL, che di fatto avrebbe disperso professio-
nalità artistiche di grande rilievo, si oppose un solo neonato sindacato,
l’UNAMS (Unione Nazionale Arte Musica e Spettacolo).  Il suo segre-
tario nazionale Dora Liguori, unitamente al compianto prof. Pier Gio-
vanni Damiani, attraverso un’infaticabile opera di sensibilizzazione ed
informazione sulle realtà dei Conservatori, arrivando perfino a fermare
i parlamentari sulla porta di Montecitorio o di Palazzo Madama, riuscì
miracolosamente ad evitare un tale scempio.104 

La lotta, tuttavia, è destinata a riattivarsi al di fuori del campo


parlamentare. La legge era stata infatti approvata a seguito di un
compromesso tra il fronte dei favorevoli e quello dei contrari, che
aveva portato a delegare al Ministero la definizione dei regola-
menti necessari per completare il quadro di riforma.
La difficoltà della legge qual era? Che, non riuscendo a trovare un ac-
cordo, è stata una legge delega; ma in effetti tutte le leggi di riforma
prevedono i regolamenti; in questo caso sono stati molto accentuati,
una legge piena di regolamenti, e su questo hanno giocato i nemici.
[Liguori, segretario generale UNAMS]

Due questioni, in particolare, si impongono nella loro urgenza


come necessarie per legittimare l’istituzione dell’AFAM nel livello

104. Intervento di Giovanni Bartoli, già direttore del Conservatorio di Musica di


Cesena, ospitato nel sito della senatrice Laura Bianconi (www.laurabianconi.it),
newsletter n. 86 del 6/12/2011 (ultima consultazione: 17/7/2017). In realtà, come
ricordato, Andrea Mascagni era figlio di un cugino e allievo di Pietro Mascagni.

140
terziario, ovvero garantire la qualità e la sostenibilità del sistema.
La strenua difesa degli interessi corporativi dei docenti di Conser-
vatorio da parte dell’UNAMS aveva infatti portato ad inserire nel
livello terziario tutti gli ISSM, senza alcun controllo preliminare
sulle competenze didattiche e i titoli artistici dei docenti. Al fine di
garantire la qualità del sistema, si rendeva dunque particolarmente
urgente la definizione dei regolamenti riguardanti la selezione e la
valutazione della docenza. Per garantire invece la sostenibilità del
sistema, si rendeva necessario identificare le sedi deputate alla for-
mazione musicale di base degli allievi di Conservatorio. Infatti, vista
la mancanza di un solido curricolo di formazione musicale nella
scuola dell’obbligo, il nuovo sistema di istruzione musicale nazio-
nale assumeva una inconsueta forma a ‘piramide rovesciata’ (Ligios
2016), all’opposto dei tipici modelli di specializzazione formativa.
All’urgenza di tali questioni si frappone però la complicata
questione della governance del sistema. Durante il dibattito par-
lamentare gli sforzi degli oppositori alla riforma si erano concen-
trati sull’obiettivo di non attribuire lo status universitario al siste-
ma AFAM, limitandone nella pratica l’autonomia formalmente
riconosciuta. Se nel sistema universitario la legge fissa nella nor-
mativa primaria principi e regole per garantire l’autonomia delle
istituzioni, escludendo l’applicabilità della normativa di natura
secondaria (come le disposizioni emanate con circolari), nel si-
stema AFAM ciò è invece consentito e offre più ampio potere
decisionale al governo105.
La classe politica italiana, tuttavia ha storicamente mostrato
nei confronti della formazione musicale un ampio disinteresse,

105. La stessa legge di riforma prevede che i Conservatori siano disciplina-


ti anche «dalle altre norme che vi facciano espresso riferimento» (art.2, c.1,
l.n.508/99), diversamente dall’Università, per la quale la legge fa riferimento ad
una normazione realizzata «esclusivamente da norme legislative che vi operino
espresso riferimento. È esclusa l’applicabilità di disposizioni emanate con circo-
lare» (art.6, c.2, l.n.168/89).

141
principalmente legato alla sua mancata legittimazione nei percor-
si scolastici e universitari all’interno dei quali si è formata, come
ribadito durante le interviste, dalle quali sono tratti i due stralci
riportati di seguito.
Allora, in Italia (…) il nostro settore è un settore in disarmo, la nostra
classe politica non ha mediamente un’istruzione musicale, non ricono-
sce la musica come un fattore determinante per la formazione culturale
dell’individuo, fa proprio difficoltà a riconoscerlo. Non lo fa per catti-
veria: io a volte ho parlato [con loro], hanno sempre considerato che il
musicista sia sempre un po’ uno zoticone o comunque uno fra le nuvole
(…) Questo non esiste negli altri paesi, [dove] ci sono moltissimi mini-
stri (…) che suonano uno strumento, da dilettanti almeno, o anche ad
un buon livello e questo è importante perché capiscono. Invece i nostri,
magari ti sanno dire tutto sulla cultura latino-romana o le avanguardie,
ma se tu gli dici qualsiasi cosa [di musicale] non sanno distinguere un
artista da un altro, non sanno chi è e se provano a esprimere un giudi-
zio meglio scivolare. Io ormai non dico niente, faccio finta di nulla…
[docente di ISSM]

[L]a nostra classe politica è cresciuta in un liceo, in una struttura for-


mativa (…) costruita intorno al greco e costruita intorno al latino per
quello che riguarda la parte classica, e la maggior parte della nostra
classe politica di allora si è formata al liceo classico e non al liceo scien-
tifico (…) È ovvio che una classe politica che non sa cos’è la musica,
che ignora la musica, non si pone il problema di valorizzare la musica e
non si rende neanche conto di quelli che sono poi gli influssi estrema-
mente positivi che ha lo studio della musica sull’evoluzione psicologica
e culturale dell’individuo… [direttore di ISSM]

Il disinteresse governativo per la formazione artistica e


musicale è paradossalmente aggravato dall’affiancamento del
sistema AFAM al sistema universitario: come suggerito dagli
intervistati negli estratti proposti, il maggiore prestigio e vo-
lume dell’Università porta ad accordarle priorità sull’AFAM
considerato un sistema numericamente e strategicamente
poco rilevante.

142
[L’AFAM] è stato sempre vissuto come un fastidio perché è chiaro
che quando c’è un Ministro che ha tutta la responsabilità della scuola,
dell’università e della ricerca, va bene, lo fa, ma lo fa come ultima ruota
di scorta… [direttore generale DG MIUR-AFAM]

[N]on siamo mai stati inseriti nel sistema MIUR, hanno creato un di-
partimento che si chiama AFAM: insomma, siamo il ghetto dell’Uni-
versità! [studente di ISSM]

[I]l Governo, il Ministero, non lo fa [il CNAM], secondo me perché


non gli importa niente. La soluzione migliore sarebbe quella di pensare
che non lo faccia per inserirci nel sistema universitario a pieno titolo:
non più CNAM ma CUN. Se fosse così sarebbe bello, però ci vuole
comunque un organo per noi: chi è che si immagina una riunione in
cui si parla di musica nel CUN se non ci sono i musicisti? Mi viene da
ridere... [direttore di ISSM]

Mi ricordo che nel 2004-05, governo Prodi, ministro Mussi, totalmen-


te assente, sottosegretario Dalla Chiesa, sociologo: lui ha preso armi
e bagagli e girava tutti i Conservatori, scoprendo un mondo che non
conosceva: si è appassionato… Purtroppo è caduto il governo Prodi:
ecco, se non fosse capitato, sicuramente Dalla Chiesa portava a termine
la Riforma, avevamo già scritto i testi dei regolamenti, quelli che ancora
non ci sono. [direttore di ISSM]

Con l’entrata in vigore della legge n.508 del 1999 sono istitu-
iti presso il MURST il dipartimento AFAM e il CNAM, organo
elettivo di  rappresentanza delle istituzioni  del sistema AFAM,
presieduto da Dora Liguori, già segretario generale dell’UNAMS
e paladina della Riforma106. Inizialmente la linea adottata dai due
organismi per l’implementazione della riforma pare unitaria107,
mentre sorge subito una forte tensione tra il CNAM e il CUN

106. Prima presidente del CNAM sarà eletta Dora Liguori, segretario generale
dell’UNAMS, dal al 2000 al 2007; le succederà Giuseppe Furlanis, architetto,
già direttore dell’ISIA di Firenze, dal 2007 al febbraio 2013, quando il CNAM
conclude i suoi lavori a causa della mancata proroga ministeriale.
107. «Gli organici del personale ATA dei conservatori e delle accademie non si
toccano: parola di Remo Di Lisio, dirigente del neonato dipartimento dell’alta

143
(Consiglio nazionale universitario), destinata a durare. Il CNAM
lamenta l’atteggiamento di superiorità con il quale l’organo uni-
versitario si rivolge al suo omologo AFAM, interpretandolo come
retaggio dell’antica concezione dicotomica tra sapere speculativo
e sapere pratico; ne denuncia inoltre tentativi di ‘scippo’ del seg-
mento più alto della formazione musicale, ovvero i bienni108.
Il conflitto è destinato ad ampliarsi quando alla guida del-
la Direzione Generale AFAM, creata nel 2003 a seguito della
riorganizzazione delle strutture del Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca (MIUR)109, il ministro Letizia
Moratti nomina Giorgio Civello, autorevole dirigente di prima
fascia con una lunga esperienza in ambito di riforme e regola-
zione del sistema universitario110. La nomina assume il signifi-
cato di una sorta di apparizione in scena del deus ex machina,
chiamato in virtù delle sue esclusive conoscenze e competenze
a risolvere una trama intricatissima111. Da subito Civello cerca
di rilanciare il settore, ideando iniziative volte a dare visibilità

formazione artistica e musicale del Murst (…) Una posizione condivisa in pieno
da Dora Liguori, leader dell’Unams» (Di Geronimo 2000).
108. Vedi, ad esempio, il verbale n. 41, dell’adunanza del 24 gennaio 2004, sul
punto 3 (Rapporti tra Università e AFAM) dell’ordine del giorno.
109. Il MIUR sarà nuovamente scorporato in Ministero della Pubblica Istru-
zione e Ministero dell’Università e della ricerca durante il governo Prodi (2006-
08); seguirà un riaccorpamento dei dicasteri, tutt’ora in vigore.
110. Laureato in Giurisprudenza e diplomato alla Scuola Superiore della Pub-
blica Amministrazione, nella sua carriera all’interno del Ministero della Pubbli-
ca Istruzione e, successivamente, del MIUR, Civello ricopre diversi incarichi
rilevanti, partecipando a commissioni di studio e gruppi di lavoro anche inter-
ministeriali principalmente riguardanti questioni universitarie (dall’autonomia,
all’internazionalizzazione, all’armonizzazione delle riforme nazionali con gli
ordinamenti degli altri paesi europei).
111. L’immagine del ‘deus ex machina’ è stata proposta da una docente duran-
te le interviste per riferirsi al Direttore generale, soprannominato anche ‘San
Civello’ per le sue articolate relazioni (V. Santarpia “Spending review al Miur:
poltrone in bilico. La direzione generale dell’Afam finisce sotto il terzo diparti-
mento”, Corriere della Sera, 17 novembre 2013).

144
esterna alla qualità formativa e alla varietà di competenze diffu-
se nel territorio, avviando al contempo la predisposizione delle
bozze dei regolamenti mancanti.
Nacque su mia idea - mi supportò molto l’allora Ministro Moratti -
il Premio Nazionale delle Arti: l’idea di avere proprio una vetrina dei
talenti del nostro sistema che abbracciava le arti visive, la musica, il
teatro, la danza, e quindi era una selezione su due livelli perché le isti-
tuzioni mandavano i ragazzi migliori, li presentavano alla ribalta, e poi
c’erano il premio nazionale con giurie prestigiosissime (…) Lì si notò
esattamente che non è la dimensione che fa la qualità, perché uno può
pensare che i grandi Conservatori sono di livello molto più alto: no, io
ho sempre sostenuto che il livello sta nella qualità della docenza [Civel-
lo, direttore generale DG MIUR-AFAM]

Per quanto riguarda il regolamento sul reclutamento volto a


garantire la qualità della docenza, Civello predispone una bozza
che – similmente a quanto previsto per il settore universitario
– prospetta un percorso di abilitazione nazionale per l’insegna-
mento, che consente di accedere ai concorsi di sede per le assun-
zioni legate alla nuova offerta formativa, riservando una quota
annuale di chiamate per chiara fama. La proposta è tuttavia for-
temente osteggiata dall’UNAMS, che sostiene, da un lato, che
l’adeguamento delle condizioni dei docenti AFAM a quelle dei
colleghi universitari sia un atto dovuto e, dall’altro lato, che siano
da tutelare le aspettative di assunzione dei docenti supplenti nelle
vecchie graduatorie (relative, dunque, agli insegnamenti presenti
nella vecchia offerta formativa).
[Q]uesto regolamento [sul reclutamento] è stato preparato da quando
c’era la Moratti, presentato in parlamento… poi per le beghe dell’U-
NAMS, siccome avevano paura che si sacrificassero i docenti di ruolo
che diventavano di serie B e che i nuovi sarebbero stati tutti universita-
ri, lo boicottarono, per cui fu fatto a pezzi (…) Ora questo regolamento
è stato ripreso, l’avevamo tirato fuori quando c’era sottosegretario Nan-
do Dalla Chiesa ai tempi del Ministro Mussi, pronto, depositato - con
Dalla Chiesa abbiamo lavorato tanto - e ogni Ministro che cambia è

145
stato presentato dalla Direzione Generale: ora è ancora all’attenzione
del Ministro…[Civello, direttore generale DG MIUR-AFAM]

C’è un blocco ideologico: la Riforma è stata fatta sostanzialmente per


adeguare gli stipendi a quelli universitari. Perché quelli che hanno fatto
la Riforma, l’UNAMS, poi si è sempre opposto, è contro la valutazione,
a supporto dei precari con le leggi che mettono in ruolo senza punteg-
gio artistico (…) L’errore è che in Italia il sindacato ha sbordato anche
per colpa di chi non ha tenuto un ruolo: è evidente che in un vuoto chi
è più organizzato prende il potere, il sindacato ha preso il potere perché
non c’era una organizzazione corretta (…) [P]er me il sindacato ha
fatto il suo lavoro. Adesso bisogna pensare ad uno sviluppo del sistema
che non deve essere esclusivamente basato sullo stipendio: è chiaro che
una volta concluso tutto, se facciamo come e di più dell’università per-
ché devo prendere la metà? Ma non è che costruisco il futuro in base al
raggiungimento dell’aumento… [direttore di ISSM]

Il conflitto tra DG AFAM e UNAMS si ripresenta anche nel


caso della formazione pre-accademica. Convinto della validi-
tà didattica dei vecchi Conservatori, intesa nei termini di una
formazione musicale precoce basata sull’esclusivo rapporto mae-
stro/allievo, Civello propone di non espungere dai Conservatori
la formazione di base, che ritiene non realizzabile nei percorsi
scolastici standard, ma di riconfigurarla nei termini di un’offerta
preparatoria ai corsi ordinamentali. L’UNAMS è invece contrario
a questa ipotesi, che ritiene possa danneggiare i musicisti in due
modi diversi: non consentendo ai docenti di Conservatorio im-
pegnati in corsi non ordinamentali di richiedere l’adeguamento
allo status universitario; impedendo la creazione di una domanda
di formazione musicale di base nel sistema scolastico, che avreb-
be rappresentato uno sbocco occupazionale per i diplomati dei
Conservatori.
Quindi loro [dell’UNAMS] dicevano: “Se [i docenti dei Conservatori]
tengono i bambini non potranno mai essere trattati come professori
universitari…”, e questo è un errore perché uno può avere un sistema
peculiare (…) dove il docente alleva il ragazzo (…) talentuoso, perché

146
se no bastano le scuole medie e i licei musicali… Perché al Conservato-
rio deve andare chi è proprio talentuoso a livelli [alti], quando è giova-
ne, perché va allevato se ha proprio le potenzialità, il che non può essere
un sistema di educazione diffusa. Questo [l’educazione diffusa] lo può
fare il sistema scolastico - come sa c’è la Commissione Berlinguer per
l’inserimento della pratica musicale sin dalle elementari… [Civello, di-
rettore generale DG MIUR-AFAM].

Secondo me [il preaccademico] va inserito all’interno delle strutture di


Conservatorio, perché la musica nella scuola non è di tipo professio-
nalizzante, né nei licei musicali, anche se qualcuno può esserlo (uno
studente del liceo musicale può fare un percorso professionalizzante
per lui, ma non la sua classe). (…) La cosa che ci distingue è che siamo
professionalizzanti, poi la divisione tra pre-Afam e Afam, il problema è
più teorico: in una squadra di calcio la Juventus, c’ha anche la prima-
vera. È evidente che la vera squadra è quella che gioca in serie A, così
è evidente che il nostro compito è quello dei trienni e dei bienni…
[direttore di ISSM]

La ‘guerriglia istituzionale’ portata avanti dall’UNAMS in di-


verse sedi (dal parlamento ai tribunali)112 contro la DG MIUR-A-
FAM boicotta la logica accentratrice ministeriale, contribuendo a
snervare il Direttore generale, il quale cerca un nuovo interlocu-
tore e alleato nella Conferenza dei direttori dei Conservatori113.

112. Tra le varie iniziative promosse dall’UNAMS contro il MIUR ricordia-


mo: il ricorso al Tribunale amministrativo, presentato per denunciare l’ecces-
sivo potere di intervento esercitato dal MIUR nell’attività normativa e orga-
nizzativa dei Conservatori come forma di violazione dell’autonomia prevista
per il livello universitario (rigettato perché la legge di riforma inserisce gli
istituti AFAM in un settore disciplinare autonomo e distinto da quello uni-
versitario) (Spirito 2012: 29); le petizioni presentate nel 2005 al Parlamento
europeo in merito alle possibili conseguenze che l’inerzia del legislatore italia-
no avrebbe in termini di discriminazione di trattamento dei cittadini europei
diplomati nei Conservatori italiani in termini di libertà di circolazione dei
lavoratori, stabilita dagli articoli 39 e 55 del Trattato sull’Unione europea (n.
338/2005; n. 410/2005).
113. Le Conferenze dei direttori delle istituzioni oggi appartenenti al setto-
re AFAM sono istituite nel luglio 1999 con decreto del Capo dell’Ispettora-

147
Civello (…) i problemi te li risolveva; sapeva, conosceva e ha fatto tutta
la vita al ministero; conosceva gli ambienti, i tempi, le difficoltà, sapeva
come intervenire. Civello ha avuto il difetto che ha tenuto il sistema
in una sfera di cristallo per proteggerlo, a suo parere, da attacchi; e
questo mantenimento della sfera di cristallo era dovuto al fatto che così
comandava lui. Ha fatto questa guerra santa contro il sindacato, con
tutte le ragioni, perché sono veramente insopportabili. Però tu, diretto-
re generale, non puoi porre il tuo obiettivo [nella lotta al sindacato] …
Questi sono stati i difetti, però le cose le faceva… [direttore di ISSM]

In ordine a quanto appreso dai comunicati (…) secondo i quali sa-


rebbero stati formulati dal Direttore, dott. Giorgio Bruno Civello,
alcuni giudizi che si possono riassumere in due precisi elementi nega-
tivi: indisponibilità e incompetenza del CNAM. Per quanto riguarda
l’indisponibilità, fino ad ora, se c’è stato un rilievo costante da parte
del CNAM nei passaggi più delicati del suo lavoro, è stato proprio
quello di constatare una scarsa disponibilità del Direttore Generale a
fare opera di raccordo tra le esigenze prospettate dal CNAM stesso (in
linea con la normativa) e alcune posizioni interpretative più rigide di
quelle del Ministro. (…) Per quanto invece riguarda la presupposta in-
competenza del CNAM, i pareri da noi resi si sono sempre attenuti,
nella lettera e nella sostanza, al dettato legislativo, tanto è vero che, nelle
situazioni di contrasto con il Ministro e l’Amministrazione, i pareri del
CNAM hanno registrato sempre la convergenza nei pareri espressi dalle
Commissioni Parlamentari di Camera e Senato, dallo stesso Consiglio
di Stato, nonché dal personale delle istituzioni. Restiamo in attesa, su
questa spiacevole vicenda, di doverosi chiarimenti a riguardo. [Liguori,
Presidente del CNAM, 2005]114

Voglio dire che la mia prima la mia grande battaglia contro il Direttore,
non era contro la sua persona - che magari a parlarci era anche simpa-
tico - era contro un progetto, che io capivo, per cui dovevo andare in
tribunale per far avere ragione (…) Guardate: se Civello fosse stato un
funzionario dalla parte nostra, alla grande, per la furbizia, l’intelligenza
che c’ha, un ottimo funzionario: però è contro di noi! Perché è amico
dell’Università, per questo progetto? Non glie lo so dire. Tutti i fun-

to dell’Istruzione artistica e accreditate nel 2013 dal Ministro dell’Istruzione,


dell’università e della ricerca (vedi: www.direcons.it ).
114. CNAM, Prot. n. 7745, Roma, 22/12/2005, Oggetto: Dichiarazioni del
Direttore Generale: mozione.

148
zionari guardano più alla facciata. Che poi quello che sbaglia lui è che
personalizza: io non lo faccio, ci ho sempre scherzato; lui invece non
ama essere contraddetto, da buon siculo… [Liguori, segretario generale
UNAMS]

Seppure ostacolato dallo scarso interesse governativo e dalle


dispute tra ministero e sindacato, l’iter di implementazione della
riforma registra nel corso del decennio successivo all’approvazio-
ne della legge alcuni passi significativi. Nel 2003 il MIUR au-
torizza i corsi triennali sperimentali di I livello attivati dal 2000
in alcuni Conservatori, aprendo l’anno successivo all’attivazione
di corsi biennali sperimentali di II livello. In entrambi i prov-
vedimenti si ribadisce l’importanza di accompagnare il rilascio
del titolo con il Diploma supplement, certificato previsto per i
corsi accademici con le indicazioni degli obiettivi e i contenu-
ti del percorso formativo, redatto anche in inglese per favorire
la convertibilità del titolo all’estero (Roselli 2015: 69). Si arri-
va inoltre all’approvazione di due dei nove regolamenti previsti
dalla legge di riforma: il regolamento sull’autonomia statutaria,
regolamentare e organizzativa, che darà vita ad un nuovo, con-
troverso modello di governance interna, e quello sulla definizione
degli ordinamenti didattici, necessario a trasformare i percorsi di
studio sperimentali in ordinamentali. Nel 2009 si attuano altri
passaggi per completare la trasformazione in ordinamentali dei
corsi di diploma accademico di I livello, definendo i settori arti-
stico disciplinari, lo schema degli ordinamenti didattici dei corsi
triennali e l’impegno orario complessivo di studio e attività in
relazione ai crediti. Per la trasformazione in ordinamentali dei
corsi di II livello bisognerà aspettare un altro decennio.
Negli ultimi anni il completamento della riforma dell’AFAM
entra in una situazione di stallo. Nel 2012, senza che sia offerta
alcuna motivazione ufficiale, il CNAM non è prorogato e ciò
porta ad un blocco nel processo di attuazione della riforma, che
ne prevedeva per legge l’intervento attraverso pareri e proposte

149
relative alla gestione del settore. Nel 2013 la spending review av-
viata dal governo Monti porta ad una riorganizzazione del MIUR
che vede la soppressione della DG-AFAM e la creazione di un
unico Dipartimento per la formazione superiore e la ricerca, cui
fanno capo sia il settore universitario, che il settore AFAM: a
capo della nuova direzione è nominato Marco Mancini, profes-
sore universitario, già presidente della CRUI. Nel dicembre del
2014 il governo Renzi tenta il rilancio del settore e, riprenden-
do le modalità già adottate per la riforma della Scuola, attiva
il Cantiere sull’AFAM, un gruppo di lavoro ristretto, composto
da funzionari del MIUR affiancati da esperti esterni (con profili
non sempre affini al settore), al quale chiede di redigere un do-
cumento di policy con proposte di riforma. Nel dicembre 2015 il
Cantiere AFAM pubblica Chiamata alle Arti. L’investimento che
l’Italia deve fare nella formazione di artisti e musicisti, un opuscolo
dalla grafica accattivante, che ripropone sotto forma di una serie
di domande aperte su dieci ambiti tematici le principali questioni
già ampiamente dibattute nel quindicennio precedente. La Chia-
mata è presentata come punto di partenza per una fase di ascol-
to con gli stakeholders, finalizzata alla redazione del documento
di policy per la Riforma. Solo due mesi dopo la Conferenza dei
direttori dei Conservatori risponde con un documento115 dove,
punto per punto, si offrono le soluzioni maggiormente condivise
nel dibattito sulle domande aperte dalla Chiamata alle Arti.
[Civello] però le cose le faceva, mentre questi zero. Poi sono anche
competenti, perché non è che tutti possono sapere tutto… Ha visto
come è difficile la materia: capire come funziona, per un professore
universitario (…) non è facile! [ridendo, ndr] (…) Qui il problema è
i tempi perché ogni processo ha due variabili: una è la direzione, cioè

115. Il documento, Chiamata alle arti. Documento della Conferenza dei Di-
rettori dei Conservatori di Musica, è disponibile nel portale della Conferenza
dei direttori di Conservatori di musica (http://www.direcons.it/ ); ultima
consultazione 27/10/2017.

150
qual è l’obiettivo di questo processo? La seconda, non meno importan-
te è il tempo: questa seconda variabile è del tutto ignorata. (…) Quello
che serve è un ministro che dica: “Ok, si fa così, punto. Son quindici
anni che discutiamo: adesso si parte e si fa!”. [direttore di ISSM]

151
IV
Interagire nel campo:
vecchie e nuove logiche regolative
della formazione musicale professionalizzante

Introduzione
Questo capitolo ricostruisce e confronta, in maniera idealtipi-
ca1, i paradigmi regolativi che organizzano in Italia la formazione
musicale professionalizzante nel ‘vecchio ordinamento’, in auge dai
primi del Novecento, e nel ‘nuovo ordinamento’, istituito a fine
secolo dalla Riforma (l. n.508/999). La ricostruzione parte dall’a-
nalisi delle logiche che guidano l’azione e l’interazione dei prota-
gonisti del campo della formazione musicale professionalizzante
rilevate attraverso le interviste qualitative, individuali o collettive,
realizzate con docenti, studenti e attori informati e attraverso il
questionario autosomministrato ai docenti2. La finalità del costrut-
to non è valutativa ma conoscitiva, in quanto mira ad organizzare
i dati della ricerca al fine di rendere più comprensibile il fenomeno
studiato. Inoltre, come sempre nel caso degli idealtipi, si tratta di
una ricostruzione parziale, una tra le tante possibili, definita attra-
verso l’accentuazione di alcuni elementi riscontrati con regolarità
nelle rilevazioni empiriche, dove tuttavia possono emergere con
contorni sfumati o irregolarità più o meno rilevanti.
1. L’idealtipo è definito da Max Weber (1967) come un quadro concettuale, che ha il
significato di un concetto-limite ideale, a cui la realtà può essere commisurata e com-
parata, per illustrare determinati elementi significativi del suo contenuto empirico.
2. Per ulteriori dettagli sulle premesse teoriche, le scelte metodologiche e le mo-
dalità di realizzazione della ricerca si rimanda al capitolo introduttivo.

153
Come già esposto nel capitolo precedente, ciascuno dei due pa-
radigmi che organizzano il Conservatorio prima e dopo la Riforma
risponde ad una differente relazione intercorrente tra il campo del-
la formazione musicale professionalizzante e il più ampio campo
del sistema di istruzione pubblica nazionale. Prima della Riforma,
la forte marginalizzazione del primo all’interno del secondo con-
sente ai Conservatori di fruire di un ampio grado di autonomia
interna, che li rende autoreferenziali in termini di norme, pratiche,
valori e funzioni di riferimento. Dopo la Riforma, l’inserimento
dei Conservatori nel livello terziario porta ad un loro adattamento
alle regole dell’organizzazione legittimata e legittimante di tale li-
vello, ovvero l’Università.
Il capitolo si focalizza sulla ricostruzione del modello regolativo
di riferimento nei due paradigmi organizzativi, a ciascuno dei quali
dedica un paragrafo. La ricostruzione segue tre ampie fasi, particolar-
mente rilevanti, del ciclo della formazione musicale professionaliz-
zante: il reclutamento, la formazione, la professionalizzazione. Come
sintetizzato nella tabella IV.1, le logiche di interazione prevalenti in
ciascuna fase contribuiscono a delineare un modello distintivo di
regolazione. Nel caso del vecchio ordinamento, che ripropone con
alcune specificità nazionali il modello storicamente affermatosi in
Europa a fine Ottocento, la selezione degli allievi segue una logica
di tipo precoce ed elitario, la formazione fa riferimento ad una di-
dattica che riprende il modello di apprendimento specializzato della
bottega artigiana, la professionalizzazione è principalmente rivolta
alla formazione del solista virtuoso impegnato nel repertorio clas-
sico-romantico, ambito culturale all’interno del quale trovano pri-
oritariamente sbocco le carriere dei diplomati. Nel caso del nuovo
ordinamento, che segue le regole del modello universitario italiano
riformato a fine Novecento in accordo con standard europei, il mo-
mento della selezione è virtualmente aperto ad un pubblico senza
distinzioni di età, la formazione è data da un insieme di unità didat-
tiche funzionali allo sviluppo di competenze trasversali, la professio-

154
nalizzazione è intesa come aperta alla collocazione e ricollocazione
degli allievi sia in ambito musicale (attraverso la frequentazione di
diversi repertori e stili) che extra-musicale, garantita da una certifica-
zione formalmente convertibile in altri settori.

Tab. IV.1 - Rappresentazione idealtipica dei paradigmi dell’alta forma-


zione musicale in Italia: logiche regolative e relazione tra campi

Vecchio Ordinamento Nuovo Ordinamento

Relazione
autonoma eteronoma
col campo dell’istruzione

Reclutamento elitario, precoce aperto, lifelong learning

Formazione artigianale, specializzata standardizzata, differenziata

primato concertismo flessibilità occupazionale,


Professionalizzazione
solistico, canone classico policulturale

1. La resilienza istituzionale del vecchio ordinamento


Abbiamo visto nei primi due capitoli come nel corso del No-
vecento, e in particolare a partire dalla seconda metà degli anni
Sessanta, la formazione musicale professionalizzante perda le di-
mensioni originarie di settore di nicchia dell’istruzione e si apra ad
una massa di studenti, spesso mossi da finalità di tipo culturale e ri-
creativo, che non trovano riscontro nei percorsi standard dell’istru-
zione pubblica. È questo spesso il caso dei nostri intervistati, i quali
(sia nel caso dei docenti che, ancor più, degli studenti) appartengo-
no a generazioni di allievi iscritti in Conservatorio quando già si è
realizzata la proliferazione di istituti nel territorio. Tuttavia, come
vedremo, le loro esperienze evidenziano la resilienza del paradigma
del vecchio ordinamento, originariamente definito all’interno di
una concezione fortemente elitaria della formazione dei musicisti,
nel regolare la vita degli istituti e dei loro allievi, non soltanto dal
punto di vista formale (ovvero nell’applicazione dei regolamenti e

155
dei programmi d’esame), ma anche dal punto di vista sostanziale (e
dunque nell’adesione ai suoi simboli, rituali e routines, categorie).

1.1 Il reclutamento: il primato dell’offerta sulla domanda


1.1.1 La rilevanza del contesto familiare e ambientale
nella prima socializzazione musicale
Una prima caratteristica della formazione musicale professio-
nalizzante nel paradigma del vecchio ordinamento è data dalla pre-
cocità dell’avviamento musicale degli allievi. I risultati del questio-
nario compilato dai docenti di Conservatorio offrono un primo
quadro d’insieme, che poi approfondiremo attraverso l’analisi delle
interviste realizzate con gli stessi docenti, altri musicisti e studenti.
La fig. IV.1 riporta le risposte alla domanda del questionario sul
periodo nel quale i docenti di ISSM hanno iniziato a cantare e/o
suonare uno strumento: il 13% nel periodo prescolare (0-5 anni),
circa il 60% nel periodo corrispondente alle scuole elementari (tra
i 6-10 anni); circa il 25% nel periodo coincidente con la scuola
secondaria inferiore (tra gli 11-15 anni); solo il 4% dopo i 16 anni.

Fig. IV.1 - A che età ha iniziato a suonare uno strumento o a cantare?


(valori percentuali)

La precocità dell’avviamento alla formazione musicale si


collega ad una seconda caratteristica rilevata, che trova confer-
ma specie nella letteratura sulla formazione musicale classica,
ovvero al ruolo centrale svolto dal contesto familiare e ambien-

156
tale nel favorire l’avvio del processo di socializzazione musicale
(Coulangeon 2004).
Nel questionario, alla domanda su cosa o chi ha fatto nascere
in loro il desiderio di avvicinarsi alla musica (fig. IV.2), la maggior
parte dei docenti indica l’ascolto della musica in famiglia (19,4%),
l’esempio di familiari che suonavano/cantavano (14,1%), come
anche il semplice possesso di uno strumento musicale in casa
(12,4%); significativa inoltre l’esperienza dell’ascolto della musica
dal vivo (12,8%). Solo nel 5% dei casi la curiosità o il fascino per
la musica nasce all’interno della scuola, a conferma di quanto già
rilevato sulla marginalità dell’insegnamento musicale nei percorsi
di istruzione standard in Italia. La scelta nasce su iniziativa dei ge-
nitori complessivamente per il 7% dei docenti: questo è più spesso
vero per le donne (tra le quali il 12% deve la sua carriera musicale
all’influenza parentale), che per gli uomini (tra i quali solo il 5%
indica tale risposta). Troveremo ulteriori conferme della più forte
legittimazione dell’apprendimento della musica classica all’interno
dell’istruzione femminile, che indica la persistenza – sebbene affie-
volita rispetto al passato - di modelli educativi differenziati secon-
do il genere, legati in particolare alla classe sociale di appartenenza.

Fig. IV.2 - Chi/che cosa ha fatto nascere in lei il desiderio di avvicinarsi


alla musica? (valori percentuali)

157
L’apprendimento del canto o dello strumento (fig. IV.3) è stato
avviato da circa la metà dei docenti che hanno partecipato al que-
stionario mediante lezioni private di musica (il 47%); altri docenti
hanno iniziato da autodidatta (15,4%) o prendendo lezioni da fa-
miliari (11%), direttamente con l’iscrizione in un Conservatorio o
IMP (9,7%), entrando a far parte di una banda, di un gruppo mu-
sicale o di un coro (8,7%). Soltanto per il 2,8% dei docenti inter-
vistati la socializzazione musicale è partita all’interno della scuola.

Fig. IV.3 - Come ha iniziato a suonare/cantare? (valori percentuali)

Le interviste consentono di approfondire le caratteristiche dei


differenti contesti e delle modalità di interazione che, come già
rilevato nel questionario, facilitano i percorsi di formazione mu-
sicale professionalizzante degli intervistati.
La precocità dell’avviamento, facilitata dalla presenza di geni-
tori (o parenti stretti) musicisti e di strumenti musicali in casa,
non necessariamente si traduce in un vantaggio in termini pro-
fessionali. Il percorso professionale appare indubbiamente facili-
tato nel caso dei ‘figli d’arte’3, nati da genitori musicisti classici

3. Philippe Coulangeon (2004) definisce questa categoria les heritiers, ripren-


dendo il concetto usato da Bourdieu e Passeron (1964) nella loro nota ricerca
sul sistema di istruzione francese, per indicare la rendita di capitale culturale fa-
miliare di cui beneficiano gli studenti provenienti dalle classi agiate, sulla quale

158
professionisti: oltre che per la precocità dell’apprendimento, dalla
possibilità di avere per primi docenti i propri genitori o familiari,
dalla capacità di scegliere strumenti con sbocchi occupazionali
più immediati, dalla conoscenza di docenti competenti, dalla rete
di sostegno interna attivata a fronte di eventuali ostacoli incon-
trati nel campo musicale, dalla consapevolezza delle successive
tappe educative e professionali, dalla frequentazione di ambienti
utili all’inserimento lavorativo (Lehmann 2005). Tuttavia anche
i percorsi dei figli di musicisti professionisti non sono scontati,
né esenti da inconvenienti: spesso, ad esempio, può instaurarsi
una relazione problematica o conflittuale dell’allievo con il ge-
nitore – a fronte di caratteri poco compatibili, difficile gestione
della celebrità genitoriale, associazione della professione ad una
privazione di cure e affetto. Tali inconvenienti possono essere nel
tempo risolti o invece portare i figli ad interrompere gli studi
musicali, talvolta in maniera definitiva.
I due estratti che seguono confrontano l’esperienza di due do-
centi di ISSM ‘figlie d’arte’. Nel primo caso tutti e quattro i figli
seguono le orme del padre cantante di coro (figlio, a sua volta,
di un corista), il quale li avvia allo studio del canto e li guida
nelle scelte della professione, all’interno della quale scaleranno
la gerarchia interna, riuscendo a diventare solisti (es. IV.1). Nel
secondo caso, dei tre figli di genitori entrambi musicisti, il primo
sviluppa un rifiuto assoluto per la musica, associata alla man-
canza delle attenzioni parentali; la seconda, dopo aver avviato
con buoni risultati lo studio del pianoforte con la madre, decide
di abbandonarlo, traumatizzata dai metodi troppo invasivi della

si fonda il loro successo nel sistema di istruzione superiore. Tuttavia nel nostro
caso, come vedremo, il capitale musicale familiare ereditato dai figli d’arte ap-
pare come una rendita spendibile prevalentemente all’interno del mondo musi-
cale, ma scarsamente convertibile nel più ampio contesto sociale, come invece il
tipo di capitale culturale familiare legittimato all’interno del sistema scolastico
nazionale (e, in particolar modo, nel campo universitario).

159
genitrice e dalla difficoltà a conciliare un’indole riservata con le
richieste di un modello didattico finalizzato alla carriera concer-
tistica; solo la terza, dal carattere più estroverso, seguirà le orme
del padre violinista, il quale l’avvierà in una prima fase allo studio
dello strumento, per poi indirizzarla nella classe di un apprezzato
docente di Conservatorio (es. IV.2).
Es. IV.1 - Docente di ISSM di canto, femmina, 45 anni:
[M]io padre (…) ha cantato nel coro della Fondazione lirico-sinfonica
[X] per 40 anni, adesso è in pensione; mio nonno lo stesso, ha cantato
nel coro della Fondazione, il padre di mio padre… io ho studiato canto
proprio con mio padre; ho fatto anche vari corsi di perfezionamento,
ma diciamo che le basi me le ha date lui (…) Ho due fratelli, un tenore
ed un baritono, ed una sorella, anche lei soprano (…) il buongiorno di
mio padre erano i suoi vocalizzi…

Es. IV.2 - Docente di ISSM di violino, femmina, 55 anni:


[I] miei genitori sono musicisti anche loro (…) si sono conosciuti gio-
vanissimi, hanno fatto un duo violino e pianoforte, suonano insieme
da quando ero piccolina, me li ricordo che suonavano sempre (…) mio
fratello grande (…) secondo me ha avuto un rifiuto pazzesco per la
musica, probabilmente perché i miei genitori erano così [assorbiti]…
lui era buonissimo da piccolo, mi racconta sempre mia mamma, non
si è accorta che era talmente buono che loro forse ne approfittavano
e suonavano tantissimo insieme e lui era lì che ascoltava: [poi] rifiuto
totale! Non ha mai toccato uno strumento, una tipologia proprio stra-
na, non ha nemmeno mai ascoltato musica leggera, voglio dire (…)
Mia sorella invece è pianista (…) abbiamo iniziato quasi assieme, lei
un anno prima perché è un anno più grande, ha suonato pianoforte,
allieva della mamma: grande errore, perché mia mamma ha un carat-
tere irruento, particolarmente irruento e quindi lei, che è anche bra-
va, arrivata al quinto anno ha chiuso il pianoforte e non l’hai mai più
aperto, traumatizzata…. È normale, noi l’abbiamo capito subito, forse
anche lì mia mamma non l’aveva visto bene, ma è una cosa normale
(…) cosa che non è successa a me, perché mio padre è violinista e io ho
studiato anche con lui, ma ho cambiato: mi trovavo benissimo con mio
padre, ma ho avuto la fortuna di studiare con [XY] (…), fantastico,
mi ha dato tantissimo; però ho studiato anche con mio padre senza
alcun problema (…) perché mio padre è talmente discreto che potevo

160
anche suonare il violino al contrario, si sarebbe bruciato una mano, ma
non sarebbe mai entrato nella mia camera a dirmi: “Cosa fai?”. Mia
mamma sfondava la porta: “Cosa stai facendo?”. Era più forte di lei, lo
ammetteva lei stessa…

Altre volte l’avviamento agli studi musicali degli intervistati


si sviluppa in contesti familiari all’interno dei quali si fa musica
a livello amatoriale. Le modalità di questa tipologia del far mu-
sica assumono caratteristiche differenti a seconda delle reti del
contesto ambientale dell’intervistato, legato alle caratteristiche
socio-economiche e residenziali del nucleo familiare. Nei ceti alti
o medio-alti e nei contesti cittadini la socializzazione alla musica
classica - lirica o sinfonica - è più frequente (specie nelle gene-
razioni meno giovani), legata all’ascolto domestico o dal vivo;
lo strumento indubbiamente più diffuso, talvolta ereditato, è il
pianoforte. Tali consuetudini possono essere ricondotte alle pra-
tiche di consumo culturale della borghesia ottocentesca, alla fre-
quentazione delle sale da concerto e dei teatri cittadini e del fare
musica in casa, per diletto o per edificazione. All’interno di tale
tradizione – come visto nella seconda parte - il pianoforte, specie
a coda, si impone nell’arredo delle case borghesi come simbolo di
consumo vistoso, consentito dalla raggiunta condizione di benes-
sere economico, così come la possibilità di sostenere i costi dell’i-
struzione privata musicale, in particolare delle figlie femmine.
Nel primo estratto che segue (es. IV.3), tale tradizione si
ripropone all’interno di una cultura familiare di impostazione
austro-ungarica, in cui la musica domestica (Hausmusik) e da
salotto (Salonmusik) borghese ottocentesca trova maggiore dif-
fusione; la pratica del pianoforte si trasmette attraverso il ramo
femminile, per arrivare all’intervistato. Nel secondo estratto (es.
IV.4) al precoce avviamento alla formazione musicale classica
dell’intervistata, invece, contribuiscono sia la tradizione della
cultura musicale amatoriale borghese del ramo paterno, che la
tradizione di cultura musicale professionale del ramo materno.

161
Nel terzo estratto (es. IV.5) la richiesta di studiare il pianofor-
te della figlia di due docenti (di università, il padre, di scuo-
la, la madre) parte per imitazione di un’amichetta dello stesso
quartiere ed è accolta in famiglia senza opposizioni, in quanto
rispondente a modelli legittimi per la formazione culturale di
stampo borghese, specie nel campo femminile e, infatti, già se-
guiti dalla madre. Nei casi che rientrano all’interno di questa
tipologia di famiglie, gli studi musicali sono in genere intesi in
termini educativi o ricreativi, portati avanti privatamente (più
spesso presso singoli docenti, di solito legati a repertori e meto-
di del Conservatorio, considerati come modello di riferimento,
ma per le nuove generazioni anche presso scuole di musica con
corsi pedagogicamente calibrati all’età degli allievi), mentre si
frequenta il regolare percorso liceale, dunque senza prevedere
sbocchi occupazionali. Ciò porta spesso ad una nascita tardiva
della vocazione musicale professionalizzante e talvolta, come
vedremo, ad una resistenza familiare, a fronte di una prospetti-
va di mobilità intergenerazionale discendente.
Es. IV.3 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 55 anni:
[A]vevo una nonna che suonava [il pianoforte], non professionalmente:
nella famiglia di mia nonna suonavano tutti, era un’abitudine dell’e-
poca, erano sette fratelli e ognuno faceva uno strumento diverso… il
papà le aveva comprato un grande pianoforte a coda, a mia nonna,
che abbiamo ancora, dal 1901 (…) [Era] una famiglia benestante, che
viveva in un paese [del Nord Italia] e avevano un po’ questa cultura
musicale austro-ungarica (…) il pianoforte [mio bisnonno] era andato
a comprarlo a Vienna… Quindi forse questo come stimolo [al mio stu-
dio del pianoforte], da mia nonna, ma anche da mia madre, anche lei
aveva suonato, però nessuno era professionista (…) Si ascoltava musica
classica a casa, però non c’è un vero professionista… (…) Ho comin-
ciato a studiare privatamente e ho continuato a studiare privatamente,
in realtà, io non ho fatto il Conservatorio (…) Non ho mai pensato di
fare il musicista professionista fino ai 15-16 anni: a quel punto ho fatto
l’esame da privatista. Ho fatto il liceo classico, quindi la maturità e poi
tutti gli esami [in Conservatorio].

162
Es. IV.4 - Studentessa di ISSM di canto, femmina, 25 anni:
[M]ia mamma è casalinga e mio papà medico (…) la famiglia di mam-
ma ha musicisti vari nella famiglia: il mio bisnonno era un tenore abba-
stanza importante (…) altri familiari erano organisti e compositori; poi
i nonni paterni: “il patriarca” [riferendosi ironicamente al nonno, ndr]
era molto appassionato di musica e sua moglie, biologa e professoressa
di scienze alle superiori, suonava il pianoforte, con sua sorella e altri
parenti… Io sono stata portata ai concerti dall’età di tre anni: seguivo
la musica, ballavo, ascoltavo, c’era un pianoforte a casa dei nonni…
soprattutto l’ho vissuto con mia mamma, che mi ha accompagnato in
questa formazione, a livello di passione amatoriale: mi portava a vedere
la stagione lirica, al Teatro X, ma anche altre cose, sin da piccolissima:
leggevamo i libretti, mi preparava molto…

Es. IV.5 - Docente di ISSM di storia della musica, femmina, 60 anni:


Il mio percorso di studi, dal punto di vista musicale, è stato un percorso
da privatista, autodidatta in parte, ma comunque non sono mai stata
iscritta al Conservatorio, ho fatto tutti gli esami da privatista e poi il
diploma in pianoforte, con molta fatica, ma comunque l’ho preso (…)
Come si arriva al pianoforte? Mah, si arriva a sette anni (…) per gioco,
perché appunto c’era questa mia amichetta che abitava al piano di sopra
che suonava, quindi questa cosa era carina, mi piaceva e ho cominciato
a desiderarla. A casa mia non hanno fatto grosse opposizioni (…) anche
perché, in effetti, mia mamma aveva studiato da bambina [il pianofor-
te] (…) La [mia] passione per la musica per molti anni è stata una cosa
più ludica, che non un interesse di tipo intellettuale, diciamo…

Nelle famiglie appartenenti a ceti medi e medio-bassi o a con-


testi rurali, invece, le pratiche musicali fanno più spesso riferi-
mento a mondi musicali alternativi a quello classico: cambiano
dunque gli strumenti, in genere dai costi più accessibili (la chitar-
ra, la fisarmonica, i fiati, la batteria) e i repertori (da quello bandi-
stico alla musica leggera, dal jazz al rock), a seconda della genera-
zione di riferimento. Frequente, nel caso di musicisti provenienti
da queste categorie sociali, il ruolo incentivante svolto nell’avvio
alla formazione musicale di familiari col rimpianto di non aver
potuto convertire la pratica musicale in uno studio specialistico
o in una professione: per opposizione genitoriale, per questioni
economiche, per la necessità di occuparsi dei figli (vedi es. IV.6).

163
Es. IV.6 - Flautista in orchestra, femmina, 35 anni:
Papà avrebbe voluto imparare [a suonare], ma non glielo hanno per-
messo: i miei nonni avevano una mentalità antica, un musicista non
serve a nessuno, quindi: “Vai a lavorare!”. Papà ha fatto anche le scuole
superiori, ma contro il volere dei genitori, che lo penalizzavano in ogni
modo: gli davano una razione minore di cibo per fargli capire che a
scuola non ci doveva andare, che il cibo se lo meritava solo se lavora-
va… Lui ha sofferto molto di questo, quindi a noi [figli] ci ha mandato
a studiare, a fare qualsiasi sport, qualsiasi attività. Noi oltre la banda
facevamo lezioni private di fisarmonica; ho fatto lezioni di pianoforte,
danza artistica, danza classica, pallavolo, nuoto….

I primi due estratti che seguono (es. IV.7-8) descrivono il pe-


riodo nel quale due docenti di ISSM hanno imparato a suonare la
chitarra nel contesto familiare: nel primo caso l’apprendimento da
autodidatta si sviluppa all’interno di pratiche musicali amatoriali
in famiglia e nel gruppo dei pari, mentre la scelta di iscriversi al
Conservatorio - suggerita dall’esterno - matura tardivamente; nel
secondo caso il fatto che la strada della formazione professiona-
lizzante in Conservatorio fosse già stata intrapresa da un familiare
consente di contemplare tra i possibili percorsi scolastici di seguirne
le orme. Negli estratti successivi (es. IV.9-10) è invece una passione
giovanile paterna per il sassofono ad incentivare lo studio di uno
strumento nei figli: il primo intervistato chiederà di entrare in Con-
servatorio nella classe di clarinetto (spesso scelta in assenza di classi
di sassofono), ma sarà dirottato in quella di fagotto; la seconda in-
tervistata, invece, si avvicina allo studio di una serie di strumenti
(pianoforte, violino, viola) ritenuti più compatibili con l’istruzione
femminile nel canone classico, ancora oggi modello di riferimen-
to nei Conservatori, mentre riesce ad avvicinarsi allo strumento
prediletto (la tuba), associato al maschile nel canone classico, solo
nel contesto musicale della banda paesana. Le differenze di genere
nell’avviamento musicale, già rilevate nelle risposte dei docenti al
questionario, sembrano dunque principalmente influenzate dal ca-
none musicale di riferimento e dal contesto sociale di provenienza.

164
Es. IV.7 - Docente di ISSM di armonia, maschio, 45 anni:
[M]ia mamma ascoltava molta musica classica, mio padre cantava e suona-
va: io ho imparato così, guardando lui suonare la chitarra, in maniera così,
da autodidatta, da ragazzino (…) all’età di sei anni ho iniziato a suonare
la chitarra d’accompagnamento, poi ho cantato in un coro, suonavo con
gli amici, insomma fino a che ho deciso di [iscrivermi]… In realtà ho ini-
ziato molto tardi, ho iniziato a vent’anni, quando ero già iscritto al primo
anno di ingegneria mi sono iscritto al Conservatorio… sostanzialmente
qualcuno mi ha detto: “Ma tu hai questo talento, perché non fai questo?”.

Es. IV.8 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 55 anni:


[I]l fratello di mia mamma era appassionato di musica, nel senso
che aveva studiato canto e pianoforte (…) al Conservatorio di [X]
ed era rimasta questa passione non risolta (…) quindi noi, i nipoti,
siamo stati un po’ instradati a occuparci di musica. Io da ragazzino,
da bambino praticamente, suonavo la chitarra (…) eravamo un grup-
po di appassionati, ci si incontrava la domenica a cantare le canzoni
e questo mio cugino era stato quasi obbligato ad insegnare a tutti i
piccolini a prendere in mano una chitarra. E questa è una delle cose
più belle che ricordo, il fatto di aver iniziato a suonare a quattro anni
la chitarra. Diciamo che è stata la cosa più importante della mia vita
da studente, nel senso che poi io mi son trovato ad entrare in Conser-
vatorio già con un bagaglio di conoscenze, non conoscenze teoriche
- che non avevo assolutamente - ma conoscenze pratiche, nel senso
che avevo fatto musica d’insieme per anni, con cantanti, senza saperlo
e questa cosa mi era servita molto, sempre inconsciamente (…) poi
ho capito perché mi trovavo a mio agio in certi repertori [da camera]
e non in altri [da virtuoso] … Questo infatti lo consiglio a tutti, per
iniziare con i bimbi di quattro-cinque anni a fare delle cose giocose,
che poi si ritrovano da più grandi, senza saperlo…

Es. IV.9 - Docente di ISSM di fagotto, maschio, 55 anni:


[L]’avvicinamento al Conservatorio è stato un suggerimento di mio
padre, che suonava il sax da ragazzo, con mille sacrifici, e gli era sempre
rimasto il pallino del Conservatorio… Mi ha fatto questa proposta e mi
è sembrata qualcosa di molto naturale.

Es. IV.10 - Studentessa di ISSM di viola, femmina, 18 anni:


[H]o iniziato in quarta elementare a suonare, però il pianoforte (…)
perché mia sorella aveva iniziato a suonare la chitarra e allora ho det-

165
to: “Voglio provare col pianoforte” (…) Sono entrata alle medie e ho
iniziato a suonare il violino (…) dopo un anno ho deciso di entrare in
Conservatorio: l’anno scorso sono passata da violino a viola e contem-
poraneamente, per passione, suono la tuba (…) la tuba… è un amore
che ho da quando sono piccolina, da quando suonavo il pianoforte,
solo che la vedevo come una cosa un po’ difficile [da realizzare]: invece
tre anni fa ho iniziato anche io (…) sapevo che c’era una banda (…)
sono andata da loro e gli chiesto come potevo fare per iniziare: poi ho
fatto un annetto con il professore [in banda] e poi ho continuato e
quindi suono con loro, anche (…) Papà suonava anche lui da giovane
nella banda [del paese], suonava il sax, solo che poi da quando si è tra-
sferito qua [in città] ha smesso completamente: infatti poi dopo che io
ho iniziato a suonare nella banda gli ho fatto riprendere lo strumento e
ha riiniziato a suonare anche lui...

Il maggiore equilibrio, in termini di genere e di età, riscontra-


to nella partecipazione alla pratica musicale nelle bande paesane,
all’interno delle quali molti dei musicisti di strumenti a fiato re-
sidenti in contesti non cittadini avviano la propria formazione
appare collegato, da un lato, alla minore differenziazione sociale
presente nelle comunità rurali, dall’altro lato, al minor presti-
gio del ‘mondo musicale’ (Becker 2004) bandistico rispetto alle
istituzioni legittimate del canone classico (come i Conservatori
o le orchestre sinfoniche). Nel primo degli estratti che seguono
(es. IV.11) il docente intervistato identifica la funzione sociale
come prioritaria della banda, che diventa luogo di aggregazione,
interazione cooperativa e integrazione tra compaesani e dunque
strumento di valorizzazione del capitale sociale individuale e col-
lettivo (Bagnasco 2003); il tasso di partecipazione alle bande –
oggi in declino - era favorito dal fatto che nei piccoli centri - fino
a qualche decennio fa più isolati in termini di trasporti e comu-
nicazioni - la partecipazione alla banda rappresentava una delle
poche occasioni ricreative.
Il carattere in parte limitante di tale risorsa ai fini della for-
mazione musicale si evince nel secondo estratto (IV.12), dove il
sogno di bambino di studiare il violino dell’intervistato si scontra

166
con la realtà della disponibilità solo di un posto da tromba nella
banda del paese (ma anche con la spesa per l’eventuale acquisto
di uno strumento più costoso). Nel terzo estratto (IV.13) le pres-
sioni subite da una studentessa di flauto da parte del maestro di
Conservatorio per farle abbandonare la banda musicale paesana,
all’interno della quale aveva avviato la sua formazione musicale,
mostrano come ancora oggi, sebbene in misura minore rispetto
al passato, il mondo classico difenda il proprio prestigio con pra-
tiche di distinzione volte a ribadire i propri confini.
Es. IV.11 - Docente di ISSM di trombone, maschio, 45 anni:
Mi piaceva moltissimo stare in banda: innanzitutto la funzione della
banda è quella sociale, di aggregazione. Considera che in quegli anni
[in un piccolo paesino del Mezzogiorno] nell’83, in quegli anni non
c’era un granché. Non è come oggi che c’è basket, c’è nuoto, c’è questo
e quell’altro. C’era la banda e basta! (…)
C.C. - C’erano anche femmine nella banda?
Si, e suonavano di tutto, maschi e femmine di tutte le età. Era una
grande cerchia di amici. Si facevano le trasferte, la banda era molto
conosciuta, faceva i servizi nei paesi, le feste paesane, anche i funerali:
si andava con le macchine private dei più grandi, oppure il pulmino:
una festa!

Es. IV.12 - Docente di ISSM di tromba jazz, maschio, 45 anni:


Ti spiego una cosa: il metodo più semplice per me [per studiare musi-
ca] era andare nella banda, quindi la tromba me l’hanno un pochino
appioppata e io l’ho scelta come strumento provvisorio… Quello che
avrei voluto studiare io era il violino: non so perché, ero piccolo, avevo
nove anni… Poi dopo un poco, un po’ grazie a mio nonno [già trom-
bettista in banda], che mi ha messo il pallino e me l’ha fatta apprezzare,
un po’ per il fatto che avevo già lo strumento – me l’aveva acquistato la
banda …. E poi alla fine ho continuato con quello!

Es. IV.13 - Studentessa di ISSM di flauto, femmina, 20 anni:


C.C. - Mentre eri in Conservatorio proseguivi con la banda?
No, perché il mio docente di Conservatorio non voleva… diceva che
erano postini, pastori, che suonavano in maniera sguaiata, che non po-
tevano capire la musica come professione… All’inizio ho continuato,

167
anche se sporadicamente; poi mi sentivo quasi sporca, impura, rien-
trando in Conservatorio, così ho lasciato la banda.

Un altro contesto all’interno del quale si realizza il primo avvi-


cinamento alla musica, specie per i maschi, è dato dal gruppo dei
pari (fratelli, cugini, amici). In genere i primi rudimenti musicali si
apprendono da autodidatta, per imitazione di chi sa già cantare o
suonare (es. IV.14), di registrazioni, o sperimentando da soli (come
nel caso dei percussionisti degli estratti IV.17-18). Strimpellando nei
gruppi si fa esperienza del suonare insieme; quando la predisposi-
zione per la musica si fa più evidente, si sente l’esigenza di superare i
limiti della propria tecnica canora o strumentale, in genere prenden-
do lezioni private e infine - spesso indirizzati dagli stessi docenti, che
si pongono come ‘mediatori culturali’ tra i diversi mondi musicali
- iscrivendosi in Conservatorio, che si conferma punto di riferimen-
to legittimato per l’apprendimento musicale professionale anche per
chi proviene da generi musicali molto lontani dal quello classico:
jazz, rock, punk, musica leggera (es. IV.14-18). Come già accenna-
to nel caso della banda paesana e approfondito in seguito, l’espe-
rienza di diversi generi e pratiche musicali non trova tuttavia modo
di essere valorizzata all’interno del corso di studi in Conservatorio,
dove fino alla Riforma il canone classico resta l’esclusivo modello
legittimato e legittimante. L’iscrizione in Conservatorio rappresenta
inoltre, per le famiglie di giovani ‘scapestrati’, tanto appassionati alla
musica quanto demotivati nello studio scolastico, una strategia di
riqualificazione delle competenze musicali all’interno di un corso di
studi professionalizzante, previsto all’interno dell’offerta pubblica (e
dunque senza o con ridotti costi di iscrizione), che porta ad acquisire
un titolo valido in termini di inserimento lavorativo nel settore e di
riconoscimento sociale.
Es. IV.14 - Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:
La musica è nata perché mio fratello, che studiava al collegio, suo-
nava in qualche gruppo di musica leggera (facevano i Beatles) e per

168
scopiazzare mio fratello (c’era la chitarra a casa) ho cominciato a
suonare la chitarra da autodidatta, a sette-otto anni e già a undici
anni suonavo in un gruppo. Poi suonavo con mio cugino: facevamo
Santo & Johnny, due chitarristi degli anni Sessanta… Da lì sono
entrato in un gruppo di musica leggera, facevamo serate – io ero
piccolo piccolo, avevo undici-dodici anni, suonavo chitarra, basso
e qualche pezzo cantavo – gli altri erano ragazzi che lavoravano, chi
muratore, noi eravamo talentini… Scopiazzavamo dai dischi: mette-
vamo il 33 giri a 16 giri, quindi era molto più lento e potevi captare
tutto quello che era il fraseggio musicale: allora noi scopiazzavamo e
facevamo pari-pari quello che facevano, le linee di basso… Arrivato
ai tredici anni, finisco la scuola media (…) Allora lì, mi piaceva tanto
[suonare nei gruppi] e hanno detto [in famiglia]: “Iscriviamolo al
Conservatorio!”.

Es. IV.15 - Docente di ISSM di flauto, maschio, 60 anni:


[I]o suonavo in gruppo, allora si chiamavano complessi, e c’è stato un
periodo in cui i grandi gruppi internazionali hanno introdotto il flauto:
Ian Anderson, il primo, poi anche qualche altro gruppo italiano… [Nel
gruppo] c’era mio fratello e poi altri tre amici (…) Allora qualcuno
doveva suonare il flauto: hanno guardato me (…) e lì è iniziato tutto!
Sono andato a comprarmi lo strumento a Milano, perché avevo uno
zio clarinettista che mi aveva consigliato di andare a comprarlo lì… In
realtà in famiglia, una vena musicale c’era perché mia zia è pianista (…)
la famiglia a Napoli [i cugini di mio padre] sono due grandi musicisti
(…) E qui è iniziato tutto: ho preso lezioni [nella mia città] da un di-
lettante, che poi mi ha detto: “Ma iscriviti al Conservatorio, fai le cose
seriamente.” (…) E poi è finita che ho fatto questo!

Es. IV.16 – Flautista in orchestra, maschio, 55 anni:


Facevo il liceo nel ‘77 e come tutti si strimpellavano le canzoni dei can-
tautori nel muretto (De Gregori, eccetera) e avevo facilità e qualcuno
mi disse: “Non hai mai pensato di studiare in Conservatorio?”.

Es. IV.17 - Docente di ISSM di percussioni jazz, maschio, 55 anni:


[I]o ero ossessionato dalla percussione: suonavo pentole, cose così, per
conto mio… poi ho iniziato a suonare da autodidatta la batteria e ho
cominciato a suonare jazz (…) in vari gruppi. Vivevo in [città] e suo-
navo con i jazzisti locali… poi mi sono iscritto al Conservatorio (…)
quando già mi ero diplomato al liceo classico…

169
Es. IV.18 - Studente di ISSM di percussioni jazz, maschio, 25 anni:
[H]o iniziato a suonare quando avevo più o meno sette anni e sono
impazzito a casa mia e ho cominciato a suonare qualunque cosa [facesse
rumore] (…) Mia sorella più grande suonava il corno in banda (…) sai,
in banda succede spesso che quando manca uno strumento ti mettano a
suonare quello (…) quindi da lì ho cominciato a suonare le percussioni
in banda e tuttora ci suono; da là ho iniziato a suonare la batteria per
progetti di ragazzi punk, ska, rock, funky… boh: di tutto, qualsiasi
cosa… All’età delle superiori mi sono iscritto al Conservatorio…

Anche per gli intervistati, come per i partecipanti al questio-


nario, più raramente la scintilla per la musica scocca attraverso
contesti o canali esterni all’ambito prettamente familiare e amica-
le, come la chiesa, la scuola, i mass media: un fatto interpretabile
alla luce della limitata diffusione che storicamente ha trovato la
musica, specie strumentale, in Italia rispetto ad altri paesi europei
(come, ad esempio, quelli anglosassoni). Nei primi due estratti
riportati di seguito gli intervistati ricordano la fascinazione per la
figura di alcuni tra i pochi musicisti classici - Severino Gazzelloni
e Luciano Pavarotti - che sono riusciti ad estendere la loro noto-
rietà anche al grande pubblico della televisione.
Es. IV.19 – Docente di ISSM di musica da camera, femmina, 50 anni:
Il flauto mi ricordo molto bene del perché: avevo sentito un pezzo,
la Serenata di Beethoven Op. 25 per flauto, violino e viola… mio
padre aveva registrato una cassetta – che conservo ancora, anche se
non la posso più ascoltare – dalle dirette dal festival di Salisburgo.
Ho sentito questo pezzo e son rimasta fulminata: io voglio suonare
questo pezzo, e voglio suonarlo con il flauto, non con il violino e
la viola …

Es. IV.20 - Docente di ISSM di flauto, femmina, 50 anni:


[D]a piccola andavo a cantare in un coro, piccola significa sei-sette anni,
e in questo coro il sacerdote spesso faceva venire a suonare un violino, il
pianoforte, la chitarra, quando accompagnava queste messe solenni. Un
giorno venne una flautista: da lì, avevo sette anni, sicuramente da lì ho
pensato che avrei suonato il flauto (…) Mi ha incantato, assolutamente, e
poi si viveva l’era di Gazzelloni, che era qualcosa di fantastico…

170
Es. IV.21- Studente di ISSM di canto, maschio, 30 anni:
[Ai miei] la musica piace: hanno sempre ascoltato musica leggera e an-
che musica lirica, magari più il repertorio nazional-popolare, napoletano,
così… Per quanto mi riguarda, io ho un flash: Caracalla 1990, il con-
certo dei Tre Tenori [Pavarotti, Domingo, Carreras, ndr]; è da lì che a
me piace, è scattata questa scintilla per la lirica… Perché grazie a queste
capacità che avevo nell’imitare le voci - io facevo tutte le voci: Andreotti,
così… - quindi grazie a queste capacità che avevo, riuscivo un pochino
ad impostare [la voce] e la cosa faceva un pochino ridere tutti, ecco, da
bambini… E poi soprattutto Pavarotti, ho un amore viscerale per quella
voce; poi aveva, non lo so, era come uno zio - mi vengono anche le lacri-
me agli occhi se ci penso: quando è morto, a casa abbiamo pianto tutti…

Per quanto riguarda il contesto scolastico la sua rilevanza


nell’incentivare l’avvio alla formazione musicale sembra estem-
poranea e legata al ruolo cruciale, già citato, svolto da docenti di
musica formatisi in Conservatorio ma attivi in contesti formativi
esterni ad esso (incluso quello scolastico) o privatamente. Questi
- come si evince dalla lettura degli estratti IV.22-26 - fungono da
veri e propri ‘mediatori culturali’, nel reclutare e facilitare l’in-
serimento dei musicisti in erba provenienti da diversi repertori
ed esperienze di formazione musicale (sempre più variegati nelle
nuove generazioni) all’interno del canone classico e del Conser-
vatorio, rispettivamente intesi come forma culturale e organizza-
tiva legittima dell’apprendimento musicale professionalizzante.
Es. IV.22 - Docente di ISSM di clarinetto, maschio, 55 anni:
L’incontro con la musica [arriva] perché in questo paese dove abitavo
c’era un signore autodidatta che suonava il clarinetto; facevo già la pri-
ma media e suonavo il flautino, mio padre vedeva che mi appassionava
e mi disse: “Perché non vai da questo signore?”. Così ho iniziato e alla
scuola media l’insegnante, pianista uscito dal Conservatorio di X, mi
disse: “Perché non ti iscrivi in Conservatorio?”; e così mi iscrissi.

Es. IV.23 – Flautista italiana residente all’estero, femmina, 40 anni:


Vengo da una famiglia di non musicisti, ma i miei genitori erano molto
appassionati di musica, specie musica leggera, specie i cantautori (De An-
dré, Guccini) e mia mamma di classica (Beethoven e arie d’opera), che mi

171
hanno fatto sentire, sin da quando ero nella culla (…) Quindi scalpitavo
già dai cinque anni perché volevo suonare il piano: [i miei] mi hanno
assecondato e ho iniziato a prendere qualche lezione privata; poi ho ini-
ziato le elementari ed ho avuto una grande fortuna: negli anni Ottanta
c’era questa cosa - all’epoca una rivoluzione - della musica e dell’inglese
facoltativi. Lì ho avuto il primo approccio con il flauto dolce con un’inse-
gnante che, cosa che ho scoperto dopo, era diplomata in flauto traverso;
e c’è stato l’innamoramento totale, lei portava anche il flauto [traverso]…

Es. IV.24 - Flautista in orchestra, maschio, 30 anni:


Ho iniziato a suonare per volontà di mio padre: mi ha fatto studiare il
pianoforte con lezioni private presso un’associazione musicale, poi quan-
do mi sono iscritto alla scuola media mi ha iscritto all’indirizzo musicale,
ancora sperimentale allora (…) Mio padre non conosce neanche le note,
ma ha voluto che tutti e tre i figli studiassero la musica (…) capiva il
valore della musica a livello sia educativo che formativo (…) All’inizio lo
vedevo come un’attività educativa, non mi pesava assolutamente, anche
perché gli anni più belli della mia vita li ho vissuti proprio alla scuola me-
dia, dove avevamo una classe dove suonavano tutti uno strumento, ave-
vamo un’orchestra (…) Dopo il primo anno il mio professore, che sento
ancora, mi prestò un CD di James Galway, uno dei più grandi flautisti
viventi e quando sentii il CD sentiii questo suono che era molto diverso
da quello che producevo io, questo suono bellissimo, avvolgente, proprio
bello! Questo mi stimolò ad ottenere uno suono simile, e quindi a studia-
re, a migliorare… Grazie all’aiuto del professore (…) lui si è formato in
Conservatorio (…) conosceva un maestro molto bravo (…) uno dei più
grandi flautisti, anche a livello internazionale (…) prima di entrare [nella
sua classe] in Conservatorio ho fatto una Masterclass con lui di tre giorni.

Es. IV.25 - Studente di ISSM di canto, maschio, 30 anni:


[Q]uando ero bambino mia madre mi ha chiesto se volevo suonare
qualcosa e ho scelto di cantare in una piccola scuola di un’associazio-
ne musicale laica in un paesino vicino, lo stesso paese dove facevo la
scuola… Da lì poi ho iniziato, avevo otto anni: non facevamo niente di
impegnativo, musica leggera. [I miei genitori] amano la musica leggera,
niente di particolare, non mi portavano né ai concerti, né alle opere.
Frequentando il corso di canto il maestro che mi seguiva aveva studi
[musicali] classici, quando ho cambiato la voce, verso i 14-15 anni,
mi ha fatto provare alcune arie [classiche]: mi è piaciuto e da lì ho
iniziato…

172
Es. IV.26 - Studente di ISSM di canto, maschio, 30 anni:
Non ho musicisti nella mia famiglia, però ho sempre fatto musica da
che ho memoria, sempre avuto la passione del canto: ho cominciato ad
esibirmi a quattordici anni - prima ho sempre canticchiato per i cavoli
miei - per caso, ad un concerto di un gruppo punk (…); sono entrato
a far parte di un gruppo di ragazzi che ascoltavo, facevamo roba nostra,
grunge, etc. Da lì ho iniziato a studiare privatamente canto, perché
volevo fare meglio, poi volevo andare più in alto con la voce. Un giorno
ho conosciuto un insegnante che dopo qualche anno di insegnamento
mi ha chiesto se volessi partecipare ad un’opera organizzata con i suoi
allievi di canto classico - con me faceva canto jazz -. Io gli ho chiesto:
“Un’opera, cos’è un’opera?!?”. Avevo ventidue anni, era il Flauto Magico
di Mozart, mi ha chiesto di fare uno dei due alfieri; mi sono divertito,
gli ho detto: “Se ne fai un’altra chiamami!” perché, figo, un’esperienza
nuova. Due anni dopo abbiamo fatto Le nozze di Figaro, sempre di Mo-
zart, in cui ho avuto un ruolo intero. Per una serie di sfortunati eventi
mi sono trovato ad essere lasciato la sera della prima dalla mia ragazza
ed ho deciso che era talmente figo stare in palcoscenico, sentire un filtro
tra i problemi di fuori e il personaggio, che ho detto: “Beh, questa cosa
è molto bella e credo possa essere un ottimo veicolo per concentrare
tante cose nella vita”; e ho deciso di farlo per sempre! Così dopo qual-
che anno sono entrato qui dentro [in Conservatorio]….

1.1.2 L’iscrizione in Conservatorio e la scelta dello strumento


Come abbiamo visto, dopo il primo avviamento alla forma-
zione musicale, i futuri musicisti in genere proseguono il pro-
prio percorso di studi iscrivendosi in Conservatorio, considerato
come istituzione legittima e legittimante della formazione musi-
cale specializzata. Ciò si riscontra anche nei percorsi dei docenti
di ISSM che hanno partecipato al questionario, dei quali circa
l’87% ha frequentato e si è diplomato presso un CM/IMP.
Per quanto riguarda le motivazioni che li hanno principal-
mente spinti ad iscriversi (fig. IV.4), oltre la metà dei docenti (il
54%) dichiara di essersi iscritto seguendo un proprio desiderio o
curiosità; un’altra significativa percentuale (31%) su suggerimen-
to di chi, in genere, il maestro di musica contattato privatamente
o incontrato nella scuola, ha notato in loro una predisposizione

173
all’apprendimento musicale; solo una percentuale meno signifi-
cativa dichiara di essersi iscritto seguendo quei criteri (decisione
dei genitori; vicinanza con luogo di residenza; replica scelte fra-
telli o amici) che più spesso guidano la scelta della scuola secon-
daria ‘standard’, cui corrispondeva l’età di ingresso in CM/IMP
prima della Riforma. L’analisi di genere evidenzia come la mo-
tivazione autonoma nella scelta formativa sia più forte nel caso
dei docenti maschi, dei quali il 57% dichiara di essersi iscritto in
CM/IMP seguendo un proprio desiderio, a fronte del 48% delle
colleghe, le quali più spesso hanno subito l’influenza della scelta
genitoriale (il 16%, contro il 9% dei colleghi maschi).

Fig. IV.4 – Cosa ha maggiormente influito nella scelta di iscriversi ad un


CM/IMP? (valori percentuali)

Dei docenti intervistati che hanno frequentato un CM/IMP,


il 92% dichiara avere originariamente fatto domanda per il tipo
di corso poi effettivamente frequentato. Per il restante 8% di
docenti che sono entrati per un corso diverso rispetto a quello
originariamente richiesto, tale fatto ha rappresentato più spesso
un evento ininfluente, talvolta una fortuna, più raramente un
evento negativo.
Le interviste qualitative aiutano a capire come in realtà il ‘ma-
gico incontro’ tra domanda e offerta didattica sia preparato da
strategie di coordinamento, volte ad adattare la domanda all’of-
ferta e alle logiche organizzative che la definiscono.

174
Fino alla Riforma del 1999, l’offerta didattica dei Conservatori
è incentrata su un ordinamento (oggi detto ‘vecchio ordinamento’)
definito tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento,
quando la formazione musicale professionalizzante era pensata come
un segmento di nicchia del sistema di istruzione. Nel corso del seco-
lo, come abbiamo visto nel cap. I, le dimensioni del campo gradual-
mente aumentano, a seguito di una proliferazione degli Istituti che
consente una partecipazione di massa di studenti prevalentemente
mossi da una domanda per una formazione di tipo culturale o ri-
creativo, che non trova risposte nell’offerta pubblica di istruzione.
Se ancora a metà anni Quaranta i venticinque Conservatori presenti
nel territorio ospitano una popolazione fatta di circa 3000 studenti e
700 docenti, quarant’anni dopo una settantina di istituti raccolgono
circa 34.000 studenti e oltre 5000 docenti. A questo significativo
mutamento quantitativo del campo e qualitativo della domanda di
formazione musicale non segue, tuttavia, un mutamento organizza-
tivo dei Conservatori, dove la concezione elitaria della formazione
musicale professionalizzante continua a regolare la vita degli istituti
non soltanto dal punto di vista formale (ovvero nell’applicazione dei
regolamenti e dei programmi d’esame), ma anche dal punto di vi-
sta sostanziale (e dunque nell’adesione a simboli, rituali e routines).
Un primo esempio della resilienza di tale modello è dato dalla
rigidità dell’offerta formativa del vecchio ordinamento, incentra-
to su corsi principali (o ‘scuole’), identificati in riferimento alle
principali tradizioni produttive della musica colta occidentale,
legate alla chiesa, al teatro, alle milizie: composizione, canto,
organo, pianoforte, arpa, violino, viola, violoncello, contrabbas-
so, flauto, oboe, clarinetto, fagotto, corno, tromba e trombone,
strumentazione per banda. Tale articolazione costituirà fino alla
Riforma la salda ossatura dell’offerta didattica dei Conservato-
ri, parzialmente integrata con l’attivazione di ‘corsi straordinari’,
trasformati in ‘ordinari’ solo a distanza di decenni4.

4. Tra questi: chitarra, clavicembalo, strumenti a percussione, sassofono, musica

175
Tra le classi per le quali vi è maggiore richiesta e maggiore offer-
ta vi sono, nel vecchio ordinamento, quelle di pianoforte e violino,
strumenti associati a repertori solistici altamente valorizzati nel ca-
none classico. La competizione tra le famiglie degli allievi si gioca
inoltre nell’assegnazione del docente (‘il maestro’), che come vedre-
mo gioca un ruolo centrale nel determinare la qualità e il successo
degli studi degli allievi. L’assegnazione degli studenti che superano
la selezione ai singoli docenti è formalmente una decisione interna
alla commissione selezionatrice, ma sembra tacitamente rispetta-
re alcune precedenze accordate sulla base delle preferenze espresse
dai docenti stessi. L’ingresso nelle classi prescelte e dei docenti più
affermati appare facilitato, all’interno di un contesto professionale
dal carattere familistico e di un’organizzazione scolastica di tipo
comunitario, nel caso di figli di colleghi musicisti. Un altro criterio
è quello del riconoscimento del candidato come un allievo esterno
già ‘verificato’ dal docente prescelto. Una delle strategie adottate
dagli allievi e dalle loro famiglie per entrare nella classe del docen-
te prescelto è quella di far precedere all’esame di ammissione un
periodo di lezioni private di strumento o canto, se non presso lo
stesso docente, con allievi che appartengono alla sua scuola o alla
sua rete professionale. In altri casi la preparazione preliminare può
specificamente concentrarsi sul superamento delle prove attitudi-
nali di ammissione5, al fine acquisire un punteggio che consenta di
posizionarsi ai primi posti delle graduatorie, garantendo l’accesso
al corso prescelto. In entrambi i casi tali strategie sembrano offri-
re migliori risultati se realizzate con un docente interno alla rete

sacra, musica vocale da camera, basso tuba, fisarmonica, flauto dolce, jazz, liuto,
mandolino, musica elettronica, prepolifonia, viola da gamba, didattica della
musica (Maione 2005: 11).
5. In genere gli esami di ammissione per il vecchio ordinamento prevedevano un
colloquio volto a verificare le attitudini del candidato dal punto di vista della predi-
sposizione fisica, motivazionale e musicale (quest’ultima verificata applicando il test
di Bentley, che prevede batterie di item volti a misurare la capacità di percezione e
discriminazione delle altezze, di memoria tonale e di memoria ritmica).

176
del Conservatorio presso il quale si fa domanda e, al contrario,
rischiano di essere controproducenti se realizzate con docenti non
legittimati all’interno del Conservatorio, o non appartenenti alla
stessa scuola o rete del docente prescelto (per questioni legate alle
peculiarità didattiche, ma anche caratteriali, dei docenti).
Come si evince dagli estratti riportati di seguito (es. IV.27-
31), il terzo dei quali è tratto dal libro autobiografico del trom-
bettista Paolo Fresu, neppure la preparazione preliminare – rea-
lizzata attraverso le lezioni private o l’esperienza con la banda – e
la conoscenza di docenti interni alla rete del Conservatorio ga-
rantiscono sempre le chance di ingresso o permanenza nella Scuo-
la; tuttavia offrono risorse informative e sociali che consentono
di adottare strategie alternative per il reinserimento nei percorsi
della formazione musicale professionalizzante in Conservatorio6.
Es. IV.27 - Pianista, femmina, 35 anni:
[L]a mia insegnante con cui avevo fatto lezioni private mi portò dalla
sua insegnante del Conservatorio, perché nella sua classe si era liberato
un posto ed aveva molte richieste per entrare nella sua classe. Per circa
tre-quattro mesi ho fatto delle lezioni con [lei]; già inizialmente mi dis-
se che stava facendo contemporaneamente lezioni a più bambine e ad
agosto, prima dell’iscrizione al Conservatorio, avrebbe scelto chi pren-
dere tra di noi. Con [mia] grandissima gioia mi disse che aveva scelto
me e ho fatto l’esame di ammissione con già l’indicazione, l’indirizzo
che sarei entrata nella sua classe.

Es. IV.28 - Docente di ISSM di viola, maschio, 60 anni:


[M]io padre e mia madre erano grandi appassionati [di musica]: (…) mia
madre cantava nel coro parrocchiale, mio padre, invece, con i fratelli mu-
sicavano delle canzoni che venivano scritte da uno zio romano (…) Poi
mia sorella si iscrisse al Conservatorio, quando [uscivano gli annunci sul
giornale]: “Si aprono le iscrizioni al Conservatorio”, perché non avevano
allievi, fondamentalmente: erano gli anni Sessanta più o meno, per cui si

6. Analoghe considerazioni valgono per i candidati ‘privatisti’, ovvero allievi che


studiano privatamente e si presentano in Conservatorio o per accedere ad anni
successivi al primo, o per sostenere gli esami previsti per la licenza e il compi-
mento del vecchio ordinamento.

177
iscrisse mia sorella [pianista], si iscrisse l’altra mia sorella che abbandonò,
mi iscrissi io, si iscrisse mio fratello che abbandonò (…) A nove anni
suonavo la chitarra (…) mi piaceva avere uno strumento e strimpellare,
poi avendo una sorella che studiava pianoforte, come arrivò il pianoforte
a casa subito a mettere le mani sul pianoforte: mi piacevano gli accordi,
componevo canzoni all’epoca (…) [I]o mi iscrivo in violino. Lo volevo
con tutto il cuore: quando mi accettarono piansi per la commozione…
[Successivamente] c’era il mio maestro che mi diceva: “Guarda, tu hai
una mano molto grande per cui io ti consiglio la viola” (…) Passai alla
viola, mi innamorai della viola: ma io sono stato sempre innamorato in-
condizionatamente della musica, per cui ho fatto composizione, percus-
sioni, direzione d’orchestra, ho fatto tutto quello che ho potuto fare…
Ho composto, ho diretto, attualmente organizzo festival, concerti (…)
per cui è una passione che io ho sempre avuto e mi ha accompagnato
nell’unica strada che potevo percorrere, cioè la musica.

Es. IV.29 - Trombettista jazz, maschio, 55 anni:


Presentai la domanda per l’iscrizione al corso di tromba del conservato-
rio. Ogni candidato doveva sostenere un esame attitudinale. La prova
consisteva in una serie di esercizi ritmici banali e assolutamente idioti.
Io fui ritenuto non idoneo. Non ero musicale, fu la risposta. La verità
era che non venivo da una famiglia borghese di Sassari né tantomeno
avevo amicizie influenti. Fui ritenuto non idoneo e basta. Punto. Io e
mia madre non ci scoraggiammo, però, e grazie a uno dei professori più
aperti di vedute riuscii a entrare al secondo tentativo, ma la storia fu
effettivamente ridicola. [Fresu 2009: 45]

Es. IV.30 - Docente di ISSM di violino, maschio, 45 anni:


Ricordo benissimo il giorno in cui mi accompagnò il mio insegnante, cu-
gino del maestro X [docente di violino in Conservatorio], il giorno dell’e-
same di ammissione… che non passai! Il maestro Y [anche lui docente
di violino] aveva litigato col maestro X, che non era in Commissione:
non lo misero in Commissione, probabilmente per conflitto di interes-
si - come ora, è previsto che quando si presenta un allievo esterno non
bisogna essere in commissione. Ricordo che ero molto preparato su into-
nazione e ritmo, però non passai l’esame. X disse: “Ho capito perché non
sei passato. Non ti preoccupare, iscriviti da uditore e poi fai il passaggio”.

Es. IV.31 - Docente di ISSM, diplomata in flauto, 45 anni:


Mi hanno iscritta al Conservatorio i miei genitori; avevo nove anni,
ho cominciato le medie al Conservatorio come violinista, ma finite le

178
medie mi hanno praticamente buttato fuori con [la motivazione]: “Si
sconsigliano gli studi musicali” (…) Mio padre [musicista], che era
convinto del mio talento, mi ha riscritta in Conservatorio scegliendo
lui insegnante e strumento: e infatti in poco tempo poi mi sono diplo-
mata in flauto…

Se tali strategie facilitano l’inserimento nei corsi e coi do-


centi preferiti, le domande presentate senza la consapevolezza
dell’utilità di una preventiva preparazione e segnalazione del
docente o senza le risorse (economiche e relazionali) per realiz-
zarla sono dunque dirottate verso i corsi meno richiesti dell’of-
ferta formativa, previsti all’interno di un organico prefissato.
L’ingresso in un corso poco richiesto, diverso da quello origina-
riamente prescelto, può essere accettato dagli allievi sulla base
di diversi ragionamenti: il fatto che si tratti di uno strumento
dal costo limitato, la volontà di studiare comunque musica, la
fiducia nel giudizio della commissione sulla propria compati-
bilità fisica con lo strumento assegnato (mani grandi/piccole,
labbra strette/carnose, corporatura adeguata); la prospettiva di
spostarsi successivamente di classe, a fronte del presentarsi della
disponibilità di un posto nel corso preferito.
Es. IV.32 - Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:
[All’esame di ammissione] mi accompagna mia sorella, dicono [la com-
missione]: “Cosa vuoi fare?”. Gli strumenti che conosco: “Facciamo pia-
noforte!”; non c’era posto. Il maestro X, allora direttore, mi disse: “C’è il
corno e il contrabbasso”. Dissi: “Vabbè, facciamo il contrabbasso”. Non
lo conoscevo, mi sembrava interessante - non conoscevo neanche il cor-
no (…) Ero molto attratto dalla musica, quindi qualsiasi strumento mi
avessero messo in mano io sicuramente mi sarei affezionato (…) Since-
ramente parlando, la scelta di uno strumento come [il contrabbasso] è
difficilissima: non puoi trovare bambini, se non escono da una famiglia,
i figli d’arte, dove si pratica l’uso di questi strumenti, che scelgono stru-
menti così. Qualcuno che ho avuto in classe gli ho chiesto: “Ma come
mai [hai scelto il contrabbasso]?”; “Ho visto gli Aristogatti, c’era il gatto
sul contrabbasso”, ma diversamente… Poi non è uno strumento solistico,
perché è tipicamente di accompagnamento, monodico, è difficile che un

179
bambino [lo preferisca] (…) Ho [in classe] un bambino di otto anni, ma
è figlio d’arte, ha passione per lo strumento, è bravino, ha sei contrabbassi
a casa, ha sempre sentito il babbo suonare…

Es. IV.33 – Flautista, maschio, 55 anni:


Mi chiesero [i membri della commissione] che strumento volessi fare e
chiesi chitarra: ma negli anni ‘70 era gettonatissima e c’era una sola classe.
Mi dissero: “Prenditi un altro strumento e poi fai il salto”. Pensai: “Quale
altro strumento? Uno che costa poco”, perché sai i miei, monoreddito…
Mi dissero: “Vuoi il clarinetto? Il flauto?”. Il clarinetto non mi piaceva e
ho detto: “Mah, facciamo il flauto”. E così sono diventato flautista: quindi
queste questioni di passioni divoranti o brucianti non mi convincono…

Es. IV.34 - Docente di ISSM di fagotto, maschio, 55 anni:


[I]o non volevo studiare il fagotto: siccome c’era sempre stata questa
difficoltà [ad entrare nelle classi più richieste], perché allora i posti per
gli strumenti non erano numerosi come adesso, mi è stato suggerito
di fare fagotto, ho provato. Altrimenti sarei diventato clarinettista,
penso: per mia fortuna sono diventato fagottista! Ho fatto l’ammis-
sione per clarinetto, tra gli strumenti a fiato che potevano essere inte-
ressanti c’erano clarinetto o oboe: mi hanno suggerito di fare fagotto
e ho accettato. Pensavo di fare un anno e poi il trasferimento, ma sic-
come dopo il primo anno ho ottenuto ottimi risultati, lo strumento
mi piaceva, l’insegnante è stato molto carismatico, sono rimasto con
piacere, non ci ho più pensato, non ho più avuto dubbi sulla scelta.

Es. IV.35 - Docente di ISSM di trombone, maschio, 45 anni:


Io (…) suonavo la batteria, la tastiera, poi la chitarra, quindi [al diret-
tore della mia banda, docente in Conservatorio e trombonista] (…)
gli dissi: “Voglio presentare domanda per chitarra”; “No, chitarra non
c’è posto”; “Allora pianoforte”; “Noo, pianoforte non c’è posto” - fece
finta di essersi informato. “Allora tromba (…) voglio provare con la
tromba!” Al tempo, la cattedra di tromba e trombone era la stessa, la
divisione è arrivata nel 2012. Quindi chiesi di poter entrare in tromba:
“Fammi vedere? No, hai il labbro da trombone!”. Capito? Gli servivano
gli allievi piccoli…

I musicisti intervistati che all’ingresso in Conservatorio sono


stati inseriti in classi di strumento differenti da quelle prescelte si
adattano alla svolta inattesa del percorso di formazione musica-

180
le, talvolta ‘innamorandosi’ dello strumento ‘adottato’. In questi
casi, come già osservato per i partecipanti al questionario, tale
evento è retrospettivamente considerato come ininfluente nella
propria carriera di musicista e, talvolta, una vera e propria fortu-
na, rispetto a percorsi alternativi; viceversa, tra i musicisti inter-
vistati che hanno ottenuto di iscriversi per lo strumento prescel-
to, se ne trova qualcuno che rimpiange di non aver avuto a suo
tempo le conoscenze necessarie per prendere una decisione più
consapevole o più coerente con il profilo professionale desidera-
to. In particolare, è la scelta del pianoforte, indubbiamente la più
diffusa e legittimata, ad essere rivalutata a fronte della scoperta di
strumenti che pongono meno restrizioni al percorso formativo e
professionale (date, ad esempio, dal non potersi portare appresso
lo strumento o da un tipo di studio solitario prevalentemente
orientato alla formazione del virtuoso solista) (estratti IV. 36-37).
Es. IV.36 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 55 anni:
[I]n famiglia mi avevano consigliato di fare il pianoforte e nonostan-
te all’esame di ammissione avessi trovato qualcuno che mi disse: “Ma
perché vuoi studiare pianoforte? Perché non fai violoncello, che hai le
mani giuste?”, perché io da ragazzino avevo le mani praticamente come
ce le ho adesso, erano grandissime…quindi c’era maestro [X] che mi
disse: “Ma tu dovresti studiare violoncello!” e io l’ho guardato come
per dire: “Noo, figurati…” (…) Non conoscevo assolutamente il vio-
loncello, non avevo idea (…) Però, a distanza di anni, se avessi saputo,
probabilmente avrei scelto violoncello, che mi avrebbe dato sicuramen-
te più possibilità [lavorative], anche per quello che mi sarebbe piaciuto
fare, cioè andare fuori (…) e fare più la vita da musicista girovago, mi
sarebbe piaciuto molto…

Es. IV.37 – Docente di ISSM di bibliografia musicale, femmina,


60 anni:
Mah, in effetti la scelta dello strumento solista è pesante (…) [La scelta]
era una cosa che [ho avuto] un po’ dai genitori [che mi hanno spinto, ave-
vo uno zio pianista] e poi io ho maturato un po’ questa cosa della musico-
logia, il pianoforte è sicuramente più utile per un musicologo di quanto
lo sia un flauto o un oboe… In realtà mi piaceva l’oboe, comunque mi

181
piacevano proprio quegli strumenti che ti permettono di suonare insieme
agli altri… Molto pesante: ho il ricordo di queste giornate solitarie passate
con lo strumento, giornate estive passate da sola con lo strumento invece
di andare al mare…

1.1.3 Le gerarchie interne ai corsi offerti dal vecchio ordinamento


La lettura degli estratti delle interviste ci mostra come, salvo
rare eccezioni - la principale è quella dei figli d’arte - le preferenze
indicate dagli allievi e dalle allieve al momento dell’iscrizione in
Conservatorio si basano sulla conoscenza diretta di pochi stru-
menti, i più diffusi nel proprio contesto familiare e sociale di
riferimento, e di frequente risentono di condizionamenti sociali,
spesso veicolati dai genitori. Tali condizionamenti - più pressanti
nel caso delle figlie femmine – rispecchiano un ordine di presti-
gio e una divisione di genere delle pratiche musicali dettata dal
canone classico – che conferma la sua supremazia come modello
culturale legittimato e legittimante in ambito musicale - ripro-
dotte all’interno del modello organizzativo del vecchio ordina-
mento del Conservatorio.
Negli ordinamenti didattici pre-Riforma – definiti tra fine Ot-
tocento e i primi del Novecento - i corsi non sono infatti presen-
tati in ordine alfabetico (come invece quelli post-Riforma), bensì
seguono una logica gerarchica, non esplicitata ma assai influente,
di cui si rintraccia la presenza ancora nei percorsi formativi degli
intervistati. Al primo posto, quasi fuori classifica, si trova il corso di
composizione, che - come quello di direzione, attivato successiva-
mente – associa al sapere pratico (in genere acquisito diplomandosi
in un corso strumentale) un sapere musicale teorico e analitico. Al
vertice dei corsi a carattere prevalentemente pratico-esecutivo vi
sono quelli legati virtuosismo solistico celebrato nel canone classi-
co-romantico (canto, organo, pianoforte, violino) e gli strumenti
‘aristocratici’ in genere (quelli a corda), mentre alla base sono posti
gli strumenti associati alle classi popolari (quelli a fiato). Dal punto
di vista simbolico, tale divario associa la sfera della spiritualità agli

182
strumenti a corda (che consentono un portamento più elegante e
composto e un contatto più mediato con lo strumento) e la sfera
della materialità agli strumenti a fiato (la cui meccanica è legata
agli sviluppi dell’età industriale e che richiedono un contatto più
diretto col corpo e un’alterazione più evidente del viso) (Lehmann
2005: 44-45).
Nel primo estratto riportato di seguito (es. IV. 38), l’intervista-
to riconduce le gerarchie strumentali vissute nella sua formazione
in Conservatorio ad una più generale senso di superiorità degli
allievi di provenienza cittadina, di solito iscritti nei corsi degli stru-
menti ‘nobili’, ribadito attraverso meccanismi di esclusione socia-
le esercitati nei confronti degli allievi di origine paesana, associati
agli strumenti ‘agricoli’; tale ordine di prestigio, tuttavia, subisce
un ribaltamento negli ultimi anni di Conservatorio nelle classi di
esercitazioni orchestrali, quando le minori capacità di suonare in-
sieme degli archi, in genere avviati agli studi attraverso il repertorio
solistico, si confrontano con la maggiore esperienza dei fiati, lega-
ta al precedente apprendistato nella banda7. Nel secondo estratto
(es. IV.39), un flautista di origini sociali nella borghesia medio-alta
ricorda lo stupore familiare alla sua scelta di uno strumento non
previsto nella rosa degli strumenti legittimati nella pratica fami-
liare (come il pianoforte o il violino). Nel terzo estratto (es. IV.40)
lo stereotipo negativo degli ‘strumenti agricoli’, associato ai fiati,
è invece esteso al contrabbasso, strumento ad arco, sulla base di
un criterio di prestigio legato al repertorio, che esalta la figura del
solista virtuoso e svaluta gli strumenti da accompagnamento (“da
emarginati”) (Lehmann 2005: 48); lo stesso principio consente ai
flauti – ai quali, specie in orchestra, sono spesso affidate parti soli-
stiche - di distinguersi come “i violinisti dei fiati”(es. IV.41)8.

7. Sulla differente strutturazione delle gerarchie di prestigio degli strumenti


all’interno del Conservatorio e all’interno dell’orchestra sinfonica, vedi Leh-
mann (2005) e Pegourdie (2015).
8. Lehmann (2005: 32, 45) identifica inoltre un divario per tessitura, ribadito

183
Es. IV.38 - Docente di ISSM di tromba jazz, maschio, 40 anni:
R - Nella tua esperienza in Conservatorio, c’erano gerarchie tra gli stru-
menti?
Altroché! Ma poi c’era molto apartheid, non solo tra i violinisti e i
fiatisti, ma soprattutto - ma le cose andavano di pari passo - tra i [cit-
tadini] e chi veniva da fuori. Però fisiologicamente i fiatisti di solito
arrivavano dai paesi e gli altri erano cittadini e c’era molto, molto,
questa cosa qua. Facevano cricca tra loro e noi eravamo all’apartheid,
quasi (…) [L]’apartheid si concentrava soprattutto nei primi anni.
Quando arrivavano gli anni in cui dovevi fare esercitazioni orchestra-
li, per noi [fiatisti] era la rivalsa, perché il direttore si incazzava con
gli archi, perché non erano in grado di fare due note a tempo, mentre
noi ci sguazzavamo, perché, suonando nelle bande, eravamo abituati
a farlo da una vita…

Es. IV.39 – Docente di ISSM di flauto, maschio, 50 anni:


Chiesi di suonare il flauto: questo sconvolse un po’ la mia famiglia,
per la verità: mia mamma suonava il pianoforte, mia nonna il violino
[a livello amatoriale], questo flauto sembrava un’operazione strana…9

Es. IV.40 - Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:


Il contrabbasso viene considerato uno strumento un po’ da emargina-
ti, soprattutto dalla categoria pianistica (…) [Ricordo una docente di
pianoforte] che un giorno si è rifiutata di fare un saggio con la classe
di contrabbasso, perché il pianoforte è uno strumento nobile, invece
questi sono strumenti agricoli, meglio evitare…
C.C. – L’espressione ‘strumenti agricoli’ l’avevo sentita per i fiati, non per
il contrabbasso…
Non è agricolo, ma è sempre emarginato, da accompagnamento, pesan-
te, anche quando suona musica da camera. Questo [stereotipo] c’è sem-
pre stato, specie dalla parte che crede di avere chissà quale nobiltà: non
è che vanno a valutare lo strumentista; no, lo strumento in genere…

nella distribuzione spaziale orchestrale, che tenderebbe ad opporre strumenti


alti, che sostengono il canto (guidati dalla mano sinistra dal direttore), associati
alla spiritualità, a quelli gravi, guidati dalla mano destra del direttore che tiene
il tempo, simbolicamente collegati ad una dimensione terrena.
9. La citazione è tratta da un’intervista al flautista Luciano Tristaino, direttore
dell’ISSM Rinaldo Franci di Siena, disponibile su youtube (ultima consultazio-
ne : 18/1/2018).

184
Es. IV.41 - Flautista diplomata in Italia residente all’estero, femmi-
na, 40 anni:
In Italia ho sempre avuto questo fortissimo ‘complesso dei fiati’; anzi
noi flauti eravamo fortunati, perché eravamo ‘i violinisti dei fiati’, però
si sentiva molto… Venivano prima i pianisti, poi gli archi, i cantanti
che erano un po’ un mondo a parte, e poi i fiati, che eravamo quel-
li di banda… Invece qua [in Germania] no: questa gerarchia si sente
solo in piccola parte, i pianisti restano un mondo a parte, ma a loro e
all’arpa è richiesto di fare - una cosa che ritengo fantastica - un esame
complementare obbligatorio di musica da camera; quindi ciò li porta a
mettersi subito a diposizione degli altri musicisti…

Un altro stereotipo di origine sociale presente nel vecchio or-


dinamento del Conservatorio, del quale si trova ancora traccia tra
i nostri intervistati (estratto IV.41), è quello che vuole i cantanti
come poco colti10, visto che il loro talento (la ‘bella voce’), si di-
stribuisce in maniera democratica.
Es. IV.42 - Studente di ISSM di canto, maschio, 30 anni:
[Nel Conservatorio del vecchio ordinamento] c’è uno sbilanciamento
nei confronti di tutto ciò che è strumentale, soprattutto a livello piani-
stico: l’opera, i cantanti, sono considerati un po’ i reietti, gli scansafati-
che, quelli che hanno la vita facile, anche un po’ per invidia (…) perché
comunque, prima, adesso un po’ di meno, chi faceva il cantante, anche
capra, chi riusciva guadagnava tanto ed aveva anche uno status a livello
sociale anche superiore rispetto a molti musicisti. In effetti, un pianista,
per esempio, o è davvero un talentuoso oppure viene da una famiglia
molto ricca: ecco poi anche questo aspetto, (…) legato a quelle che
sono le risorse necessarie per questa carriera. Però è difficile: quanti pia-
nisti ci sono in una filarmonica? Pochi, maestri accompagnatori, violisti
magari molti di più, per esempio…

10. Così il musicologo Mario Giulio Fara commenta i programmi del vecchio ordi-
namento appena approvati: «Imporre al cantante un corso ampio e pesante di storia
della musica e un altro ancora più pesante di armonia, è, quantomeno, poco pratico
(…) tutti lo sappiamo, gli alunni di canto sogliono provenire dal ceto operaio, han-
no poca dimestichezza con i libri e incominciano, per ragioni fisiologiche, lo studio
quanto sono già arrivati a una certa età» (riportato in Roselli 2015: 30).

185
La diversa collocazione nella gerarchia sociale e culturale del
Conservatorio – inteso come microcosmo del più ampio ambito
del campo professionale della musica classica – è rimarcata anche
con ulteriori meccanismi, più o meno espliciti. Ad esempio, nel
carico di studio inferiore assegnato agli allievi dei corsi di strumen-
to a fiato, di contrabbasso e ai cantanti dai programmi del 1930,
in termini di anni previsti per il corso o di materie complementa-
ri musicali e cultura generale, rispetto ai colleghi delle classi degli
‘strumenti nobili’ (Lazotti et al. 2003: 57, 64; Maione 2005: 53-
54); o invece nell’assegnazione, sempre ai primi, delle aule di stu-
dio più periferiche e delle attrezzature più scadenti (estratto IV.43).
Es. IV.43 - Trombettista jazz, maschio, 55 anni:
[L]a stanza dove facevamo lezione di tromba era una delle più brutte.
Non solo era praticamente sottoterra, ma era illuminata con un’orrenda
luce al neon e ospitava un pianoforte perennemente scordato. Credo ci
avessero relegato lì perché facevamo tanto chiasso che era bene separaci
dagli altri, cioè dalle classi degli strumenti più nobili. [Fresu 2009: 45]

È importante ricordare che tali gerarchie organizzano l’offer-


ta dei corsi comunque legittimati all’interno del canone classico
adottato dal vecchio ordinamento del Conservatorio, la quale
offerta a lungo esclude, o integra solo parzialmente, i corsi asso-
ciati ad altri generi musicali (come il jazz) o strumenti musicali
ritenuti di minor pregio o rilevanza (come le percussioni) (es.
IV.44). La domanda crescente per un’istruzione professionaliz-
zante in mondi musicali differenti dal quello classico deve dun-
que piegarsi alla struttura dell’offerta e ai programmi del vecchio
ordinamento del Conservatorio, iscrivendosi nei corsi maggior-
mente compatibili con l’apprendimento della tecnica necessaria
per suonare i repertori preferiti: chi suona la chitarra elettrica
entra per le classi di chitarra (acustica), chi suona il basso elettrico
entra per le classi di contrabasso, chi suona tromba o trombone
jazz nelle classi di tromba e trombone classico.

186
Es. IV.44 - Docente di ISSM di percussioni jazz, maschio, 55 anni:
A quell’epoca per le percussioni era diverso, bisognava accederci dal
compimento di un altro strumento (…) [Solo] nell’88 è diventato un
corso stabile, capisci? (…) Si, perché era considerato uno strumento
inferiore (…) Allora non c’era jazz, non potevo entrare in percussio-
ni, volevo studiare trombone, ma non c’erano posti e allora mi hanno
dirottato in contrabbasso. Ho iniziato a fare il contrabbasso, poi ho
iniziato come auditore la scuola di percussioni….

L’intervento dei genitori nell’avviamento alla formazione mu-


sicale (a partire dalla scelta dello strumento fino all’iscrizione in
Conservatorio) risulta più spiccato nel caso delle figlie femmine,
rispetto ai figli maschi11. Ci siamo già soffermati nella prima par-
te del volume sull’analisi delle iscrizioni di allievi e allieve di Con-
servatorio nel corso del Novecento, che mostra come - a fronte di
una partecipazione di genere numericamente equilibrata sin dalla
prima parte del secolo - le scelte delle allieve risultino segregate
all’interno di una rosa limitata di corsi ritenuti compatibili con
l’ideale femminile (pianoforte, canto, violino e arpa) e solo dalla
seconda metà del secolo si aprano a vari corsi del canone classico,
registrando talvolta un ribaltamento dello stereotipo di genere
(come nel caso del flauto).
La partecipazione femminile resta tuttavia assai limitata nei
corsi degli strumenti di tessitura grave, più fortemente associati
al maschile, ma anche – come abbiamo visto - alle classi sociali
più basse. Si incontrano tuttavia eccezioni, specie nelle genera-
zioni più giovani, che paiono legate ad una maggiore autonomia
nella scelta delle allieve rispetto alle preferenze genitoriali. Nello
stralcio che segue (es. IV.45) una studentessa ventenne racconta
del percorso che l’ha portata a riconoscere il contrabbasso come

11. Tra i docenti di ISSM che hanno partecipato al questionario la motivazione


autonoma nella scelta formativa è più forte nel caso dei maschi, dei quali il 57%
dichiara di essersi iscritto in CM/IMP seguendo un proprio desiderio, a fronte
del 48% delle colleghe, le quali in maggior misura hanno subito l’influenza
della scelta genitoriale (16%, contro il 9% dei colleghi maschi).

187
il ‘suo’ strumento - o, nelle sue parole, ad essere cercata da lui -
nonostante la scarsa popolarità dello strumento tra i coetanei e
le perplessità materne rispetto al suo carattere troppo maschile,
dopo averne scartato altri più legittimati per l’istruzione femmi-
nile (flauto, chitarra, pianoforte).
Es. IV.45 - Studentessa di ISSM di contrabbasso, femmina, 20 anni:
[I]o mi sono fatta l’idea che è lo strumento che ti cerca. Perché ho pro-
vato il flauto, la chitarra, un po’ il piano, ma non mi ritrovavo… poi
ho deciso di provare il basso [elettrico], sai nel periodo adolescenziale,
proprio agli inizi, che senti musica un po’ diversa, i gruppi… allora ho
detto: “Voglio provare il basso!”, perché mi attirava di più rispetto alla
chitarra…
C.C. – Cos’è che ti attirava?
Il tipo di suono, molto caldo, molto diverso rispetto alla chitarra, più
tranquillo, poi anche il fatto che era fondamentale [nel gruppo], non lo
senti ma è fondamentale (…) Quindi ho deciso proviamo, prendiamo il
basso… ho fatto un anno col basso, poi mi sono iscritta in Conservatorio
ed è più o meno la strada che prendono tutti: in particolare i ragazzi che
si iscrivono verso i sedici [anni] in contrabbasso, ci arrivano dal basso
elettrico, perché altrimenti non è uno strumento che dici: “Oh, mio Dio,
voglio fare quello nella vita!”, perché magari uno pensa più al violino, al
pianoforte, il contrabbasso resta sempre più nascosto (…)
C.C. – Quando hai annunciato ai tuoi amici e amiche che ti iscrivevi in
Conservatorio e per la classe di contrabbasso, che reazioni ci sono state?
Innanzitutto, molti chiedono: “Aspetta, qual è il contrabbasso?”. Allora
lì: “Violino gigante” funziona sempre come risposta [ridendo, ndr]…
L’unica più titubante era mia mamma, che diceva: “Eh, ma è uno stru-
mento da maschio!”. Lei voleva che suonassi il violoncello, cose più
femminili, però in realtà per me non esiste, nel senso, se ti piace quel-
lo…

1.1.4 Classe sociale, genere e percorsi formativi


Alla luce della rilevanza dell’origine sociale nella gerarchiz-
zazione delle pratiche musicali riscontrata nelle interviste, si è
scelto di approfondire la relazione esistente tra le caratteristiche
socio-economiche e culturali del nucleo familiare di provenienza
dei musicisti e la loro specializzazione professionale nell’analisi

188
del questionario docenti di ISSM. A livello complessivo, i dati
offrono un quadro variegato nella distribuzione delle categorie
professionali e dei titoli di studio dei genitori dei docenti, com-
patibile con meccanismi meritocratici di selezione formativa e
professionale. L’ultima colonna a destra della tab. IV.2 riporta la
distribuzione delle attività lavorative esercitate dai padri, che tra
i genitori dei docenti presentano il livello occupazionale più alto,
all’interno delle varie categorie professionali proposte dal que-
stionario12: nel 21% dei casi l’attività paterna rientra all’interno
di professioni esecutive nel lavoro d’ufficio; nel 20% nelle profes-
sioni intellettuali, scientifiche e ad alta specializzazione; nel 14%
in attività specializzate nei settori dell’artigianato, dell’agricoltura
e dell’industria; nel 9% all’interno dell’imprenditoria, dell’alta
dirigenza, dei legislatori; nell’8% in attività specializzate nel com-
mercio e nei servizi. Per quanto riguarda il caso dei figli d’arte,
la loro presenza – presumibilmente ridotta rispetto al passato,
quando la formazione musicale professionalizzante era settore di
nicchia - si mostra ancora rilevante (Coulangeon 2004, Lehmann
2005): il 6% dei docenti di ISSM proviene da una famiglia in cui
la professione musicale era esercitata dal padre e il 5% in cui era
esercitata dalla madre13.
Al fine di verificare la relazione percorsi formativi e profes-
sionali, da un lato, e provenienza familiare, dall’altro, i docen-
ti sono stati raggruppati in sei ampie categorie, a seconda delle
caratteristiche della loro specializzazione disciplinare. La prima
categoria (A) raggruppa i docenti dei corsi di Canto nel vecchio
ordinamento; la seconda (B) i docenti di Strumenti a corda e a
tastiera, che nel vecchio ordinamento detengono una posizione

12. L’elenco delle professioni proposte dal questionario riprende la categorizza-


zione dell’Istat (2013), la quale a sua volta fa riferimento alla classificazione delle
professioni ISCO del 2008, definita dall’Ufficio internazionale del lavoro (ILO).
13. Tranne che per questo dato l’analisi della distribuzione della professione
materna risulta poco rilevante ai fini dell’identificazione dell’origine socio-eco-

189
di dominio; la terza categoria (C) i docenti dei corsi di Strumenti
a fiato e percussioni, che nel vecchio ordinamento hanno una
posizione subalterna; la quarta categoria (D) i docenti di Com-
posizione e Direzione, con percorsi spesso comuni alla categoria
B, proseguiti con successiva specializzazione musicale; la quinta
categoria (E) i docenti di Jazz e Nuove tecnologie, istituiti in via
ordinamentale dopo la Riforma, i cui percorsi formativi hanno
carattere più informale, successivo o parallelo alla formazione
del Conservatorio del vecchio ordinamento, ma non sono pie-
namente legittimati al suo interno; la sesta ed ultima categoria
(F) raggruppa infine i docenti di discipline musicologiche, che
seguono spesso percorsi formativi più integrati nei curricula stan-
dard, che in genere includono la laurea e talvolta – specie nelle
generazioni meno anziane - una specializzazione post-lauream14.
Se si considera dunque la distribuzione per specializzazione di-
sciplinare dei docenti, come riportata nelle rispettive colonne della
tabella IV.2, notiamo come nel caso dei docenti di materie musi-
cologiche (F) le attività paterne rientrino per il 37% all’interno di
categorie professionali medio-alte; tale percentuale scende al 30%
per i padri dei docenti di tipo B e D, ovvero della tradizionale
nobilità culturale del vecchio ordinamento, tra i quali è superiore
la percentuale di figli d’arte (con oltre il 7% dei padri e il 5% delle
nomica dei docenti intervistati, vista l’appartenenza della maggior parte di loro
a generazioni nate prima del Sessantotto, quando la partecipazione delle donne
adulte nel mercato del lavoro era ancora piuttosto bassa (Coulangeon 2013: 6),
mentre ampiamente legittimata era la condizione sociale di casalinga (all’inter-
no della quale si concentra il 44% delle madri degli intervistati).
14. Per quanto motivata dalle argomentazioni esposte, la categorizzazione pre-
senta dei limiti: alcune specializzazioni sarebbero infatti potute rientrare in più
di una categoria; inoltre le categorie presentano al proprio interno ulteriori dif-
ferenziazioni, spesso significative. Per quanto riguarda la popolazione totale di
riferimento delle diverse categorie, risulta impossibile ricostruirla in maniera
attendibile, visto che i soli dati sui docenti per classe concorsuale offerti dal
MIUR riguardano i docenti di ruolo (categoria nella quale, ad esempio, non
rientra la gran parte dei docenti di nuove materie).

190
madri che esercitavano la professione musicale). La percentuale di
padri che esercitano attività specializzate nei settori dell’artigiana-
to, dell’agricoltura e dell’industria è invece più alta per i docenti di
strumenti a fiato classici (22%) e delle nuove discipline (21%), così
come la percentuale di operai (11% per i primi, 5% per i secondi) e
di lavoratori non qualificati (6% e 4%). Per la categoria dei docenti
di canto, che avviano la formazione professionalizzante successi-
vamente rispetto ai colleghi di strumento (al formarsi della voce),
le professioni paterne si distribuiscono in maniera più equilibrata
nelle diverse categorie professionali15, mentre risulta rilevante la
presenza di genitori musicisti (il 4% dei padri e l’8% delle madri).
Tab. IV.2 - Professione paterna per specializzazione disciplinare docente
(valori percentuali)

A B C D E F Tot.
imprenditori, alta dirigenza,
9,6 11,3 0,9 8,8 7,6 13,5 9,5
legislatori
professioni intellettuali
11,5 20,5 12,1 21,8 17,4 23,8 19,5
e scientifiche
professioni tecniche 13,5 5,5 7,8 6,9 9,8 3,2 6,6
professioni esecutive
21,2 22,8 12,9 18,5 18,5 24,6 20,6
nel lavoro d’ufficio
attività commercio e servizi 9,6 8,3 11,2 8,8 3,3 8,7 8,4
artigianato, agricoltura,
15,4 11,3 22,4 16,7 20,7 9,5 14,5
industria
operai, conducenti veicoli 3,8 3,5 11,2 4,2 5,4 3,2 4,6

15. La distribuzione più equilibrata delle professioni dei padri dei docenti di
canto, rispetto a quella delle altre categorie di docenti, potrebbe essere interpre-
tata alla luce del fatto che i percorsi formativi per i cantanti non sono altrettanto
precoci quanto quelli degli strumentisti (poiché devono attendere che la voce
sia formata) e quindi sono avviati quando già altre scelte formative sono state
fatte. Vi è poi il fatto che nella definizione della vocazione dei cantanti - specie
nella tradizione belcantista italiana - l’attenzione è maggiormente incentrata sul
‘talento naturale’ (avere una ‘bella voce’). La scelta formativa in età più adulta e
legata a fattori individuali potrebbe spiegare la minore rilevanza della condizio-
ne socio-economica familiare nel promuovere tale specializzazione formativa.

191
professioni non qualificate 1,9 1,8 6,0 2,3 4,3 0,0 2,4
forze armate 5,8 5,3 5,2 2,8 1,1 7,9 4,7
professioni musicali 3,8 7,4 4,3 7,4 5,4 2,4 6,1
disoccupato 1,9 0,2 1,7 0,5 1,1 0,0 0,6
Altro 1,9 2,1 4,3 1,4 5,4 3,2 2,6
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Pop. di riferimento 52 434 116 216 92 126 1036

La distribuzione dei titoli di studio dei genitori, sia a livello


complessivo, che per specializzazione disciplinare dei docenti,
conferma il quadro appena delineato per le professioni fami-
liari. Nelle tabelle IV.3 e IV.4 si può innanzitutto notare come
la categoria cui corrispondono i titoli di studio più alti dei
genitori sia quella dei docenti di materie musicologiche (F),
dei quali il 70% dei padri e il 47% delle madri detiene un
titolo di studio di scuola secondaria superiore o universitario.
In misura minore, livelli medio-alti nei titoli di studio familiari
si rilevano per la categoria dei docenti di strumenti a corda e
a tastiera e di materie teoriche e analitiche musicali (B e D),
per i quali possiede un titolo medio-alto il 64% dei padri e il
50% delle madri. Nelle stesse categorie – dove, come già visto,
è più alta la presenza di ‘figli d’arte’ – è più alta la percentuale
di genitori con titoli di studio di ambito musicale o artistico
(5,3% dei padri e 5,8% delle madri per la categoria B; 6% dei
padri e 3% delle madri per la categoria D). Lievemente infe-
riori, rispetto alle categorie B e D, i titoli di studio familiari
per i docenti di canto: possiede un titolo medio-alto il 60%
dei padri e il 40% delle madri e un titolo AFAM il 4% dei
padri e il 6% delle madri dei docenti della categoria A. I titoli
di studio più bassi sono quelli corrispondenti alle famiglie dei
docenti di strumenti a fiato: nella categoria C il 64% sia dei
padri, che delle madri, possiede un titolo di studio equivalente
o inferiore alla scuola media e in alcuni casi non possiede alcun

192
titolo di studio. Titoli di studio prevalentemente medio-bassi
(il 54% dei padri e 60% delle madri) anche nella categoria dei
docenti di discipline non rientranti nel canone classico (come
jazz e nuove tecnologie).
Il quadro dell’analisi suggerisce dunque come non vi sia piena
convertibilità tra il capitale culturale legittimo, di cui beneficia-
no i docenti provenienti da famiglie con titoli di studio più alti,
e il ‘capitale musicale familiare’, come ereditato dai figli d’arte.
È quest’ultimo tipo di capitale culturale a mostrarsi come mag-
giormente redditizio all’interno del campo musicale; tuttavia tale
vantaggio non si converte pienamente all’interno del più ampio
campo sociale, come invece il tipo di capitale culturale familiare
legittimato all’interno del sistema scolastico nazionale e, in par-
ticolar modo, nel campo universitario. Il figlio del musicista è
indubbiamente avvantaggiato rispetto al figlio di genitori laureati
nel percorso formativo e professionale che porta a diventare un
musicista; tuttavia il vantaggio del primo si esaurisce prevalente-
mente all’interno della sfera musicale, mentre il valore del capi-
tale culturale legittimo ereditato dal secondo si estende alle altre
sfere del sociale.

Tab. IV.3 - Titolo di studio del padre, per specializzazione musicale do-
cente (valori percentuali)

A B C D E F Tot.

terziario 13,5 29,5 10,3 30,1 26,4 32,5 26,7

secondario superiore 46,2 34,6 19,8 33,8 16,5 37,3 32,0

secondario inferiore 15,4 16,6 26,7 14,8 28,6 15,1 18,1

primario/nessuno 21,2 14,1 39,7 15,3 25,3 12,7 18,3

AFAM 3,8 5,3 3,4 6,0 3,3 2,4 4,6

Pop. Riferimento 52 434 116 216 92 126 1036

193
Tab. IV.4 - Titolo di studio della madre, per specializzazione musicale
docente (valori percentuali)

A B C D E F Tot.
terziario 11,5 18,4 12,1 13,4 13,0 16,7 15,6
secondario superiore 28,8 31,3 20,7 36,1 23,9 39,7 31,4
secondario inferiore 23,1 20,5 21,6 23,6 22,8 23,8 22,0
primario/nessuno 30,8 24,0 44,8 24,1 37,0 15,1 26,7
AFAM 5,8 5,8 0,9 2,8 3,3 4,8 4,2

Pop. Riferimento 52 434 116 216 92 126 1036

Tab. IV.5 – Titolo di studio del padre, per sesso docente (valori percentuali)

F M MF
terziario 29,2 26,0 26,9
secondario superiore 40,7 28,7 32,1
secondario inferiore 12,5 20,4 18,1
primario/nessuno 13,2 19,8 18,0
AFAM 4,4 5,0 4,8
 
Pop. riferimento 295 741 1.036

Tab. IV.6 – Titolo di studio della madre, per sesso docente (valori per-
centuali)

F M MF
terziario 18,6 14,6 15,7
secondario superiore 35,3 30,1 31,6
secondario inferiore 22,0 22,1 22,1
primario/nessuno 18,0 30,4 26,8
AFAM 6,1 2,8 3,8
       
Pop. riferimento 295 741 1.036

194
Consideriamo infine la relazione esistente tra origine socio-e-
conomica e culturale e genere dei docenti di ISSM. Osservando
la tabella IV.7 notiamo come le docenti donne provengano più
spesso da famiglie associate a categorie professionali medio-al-
te rispetto ai colleghi maschi: i padri delle prime rientrano per
il 13% nella categoria dei grandi imprenditori, alta dirigenza,
legislatori, per il 21% in quella delle professioni intellettuali e
scientifiche ad alta specializzazione; i padri dei secondi raggiun-
gono, rispettivamente, l’8% e il 19% per le categorie citate; il
28% delle madri delle prime svolgevano professioni intellettuali
e scientifiche, il 12% professioni esecutive nel lavoro d’ufficio,
contro, rispettivamente, il 21% e l’8% delle madri dei secondi. Si
rileva inoltre come la trasmissione intergenerazionale della pro-
fessione musicale, sebbene di poco, sembri più spesso procedere
per omologia di genere: tra i docenti maschi, il 6,3% ha il padre
che esercitava una professione musicale e il 4,5% la madre; tra le
docenti femmine i rapporti si invertono: 5,8% dei padri e 6,4%
delle madri esercitavano una professione in ambito musicale16.
Simili considerazioni emergono considerando l’incrocio tra i
titoli di studio familiari e il genere del docente. Nella tabella IV.8
notiamo come le docenti donne provengano più spesso, rispetto
ai colleghi uomini, da famiglie i cui i genitori detengono titoli di
studio medio-alti (diploma di scuola superiore o laurea): ciò è va-
lido per il 70% dei padri e il 54% delle madri delle prime, rispetto
al 55% dei padri e al 45% delle madri dei secondi. Tali evidenze
possono essere interpretate alla luce della persistente influenza, seb-
bene in misura minore rispetto al passato, della tradizione culturale
occidentale che vede una maggiore legittimazione della formazione
musicale per le figlie femmine, rispetto ai figli maschi, all’interno
del processo di costruzione del capitale culturale familiare delle
classi medio-alte, limitandola alle pratiche musicali ritenute più
compatibili con la riproduzione di tale status sociale.
16. A sostegno del fatto che la trasmissione culturale è un fenomeno fortemente

195
Tab. IV.7 – Professione del padre e della madre, complessiva e per sesso
docente (valori percentuali)

PADRE MADRE
F M MF F M MF
imprenditori, alta dirigenza, legislatori 12,5 7,7 9,1 1,0 0,1 0,4
professioni intellettuali e scientifiche 20,7 18,6 19,2 27,5 20,6 22,6
professioni tecniche 5,4 6,9 6,5 2,0 2,2 2,1
professioni esecutive nel lavoro d’ufficio 21,4 20,1 20,5 12,2 8,2 9,4
attività commercio e servizi 7,8 7,4 7,5 4,4 5,5 5,2
artigianato, agricoltura, industria 11,2 15,5 14,3 3,1 5,8 5,0
operai, conducenti veicoli 3,7 4,7 4,4 0,0 0,3 0,2
professioni non qualificate 2,0 2,6 2,4 0,3 3,5 2,6
forze armate 6,4 4,0 4,7 0,3 0,0 0,1
professioni musicali 5,8 6,3 6,2 6,4 4,5 5,0
disoccupato/cassintegrato 0,0 0,3 0,2 40,3 45,1 43,7
altro 3,1 5,8 5,1 2,4 4,2 3,7
totale 100,0 100,0 100,0 100 100 100

Pop. di riferimento 295 741 1.036 295 741 1036

Tab. IV.8 – Titolo di studio del padre e della madre, per sesso docente
(valori percentuali)

PADRE MADRE
F M MF F M MF
terziario 29,2 26,0 26,9 18,6 14,6 15,7
secondario superiore 40,7 28,7 32,1 35,3 30,1 31,6
secondario inferiore 12,5 20,4 18,1 22,0 22,1 22,1
primario/nessuno 13,2 19,8 18,0 18,0 30,4 26,8
AFAM 4,4 5,0 4,8 6,1 2,8 3,8
totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Pop. riferimento 295 741 1.036 295 741 1.036

legato alla variabile di genere e della rilevanza delle madri in tale processo vedi
Mohr e DiMaggio (1995).

196
1.2 La formazione: il modello della bottega artigiana
1.2.1 L’incorporazione dello strumento
attraverso lo studio tecnico
Nel modello di Conservatorio organizzato secondo il vecchio
ordinamento, tra le prime pratiche da acquisire per strumentisti
e cantanti vi è l’adesione ad un’etica del lavoro quotidiano, in-
teso come disciplina di studio regolare dello strumento o voce,
che, attraverso un paziente raggiungimento e rafforzamento
della padronanza tecnica consente il perfezionamento della
prassi esecutiva. «Il lavoro paga, sempre» è una delle massime
apprese da un docente cinquantenne e riproposte ai propri al-
lievi, in riferimento alla necessità di applicarsi quotidianamente
per ottenere dei risultati che non tradiscono le aspettative. La
pratica dello studio quotidiano consente al corpo dei musicisti
di adattarsi allo strumento (inteso anche come voce), creando
gradualmente dei mutamenti – specifiche posture, allungamen-
to degli arti, ispessimenti della pelle - funzionali ad incorpo-
rarlo, fino a farlo diventare una sorta di protesi che amplia le
proprie percezioni cognitive e sensoriali (Chalmers 2008), ar-
rivando in tal modo a sviluppare una padronanza tecnica che
potenzia le capacità esecutive.
Nell’estratto che segue (es. IV.46) l’intervistato riconosce tale
pratica come comune al musicista classico professionista, sia quan-
do la sua attività principale è quella della docenza (per la quale,
come vedremo, è ritenuto fondamentale il saper insegnare agli allie-
vi attraverso l’esempio), sia quando è quella del solista (individuale
o in orchestra) figura aspirazionale nella formazione degli allievi.
Es. IV. 46 - Docente di ISSM di trombone, maschio, 45 anni:
C.C. - Tu studi ancora?
Assolutamente sì, quotidianamente! Faccio un riposo settimanale, ora
ho dovuto interrompere tre giorni perché ero a Milano [per altre atti-
vità musicali, ndr], può succedere. Infatti al ritorno… quando appoggi
le labbra all’imboccatura [del trombone] e lo fai quotidianamente la

197
confidenza, la percezione che hai è come fosse una parte del corpo, di-
venta tua; se ti fermi un giorno, due o anche tre, è come se ti mettessi la
scodella del latte, senti questa cosa enorme… Quindi si: è importante
[studiare], anche perché puoi pretendere [dagli studenti] solo se preten-
di da te stesso. Questa è la mia filosofia. […] Quindi [il mio collega]
studia tante ore al giorno per far il primo trombone [in orchestra], io
suono tante ore al giorno per dimostrare che si può fare il primo trom-
bone. Ogni tanto viene qui [in classe] e allora li vedi tutti tremare [gli
allievi], perché lo vedono come modello…

Lo studio della tecnica prevede ‘allenamenti’ basati sulla ri-


petizione di una varietà di esercizi, finalizzata all’acquisizione
del controllo di una serie di movimenti di precisione e destrezza
nella pratica musicale. I primi anni, dedicati all’apprendimento
della tecnica, risultano dunque assai poco gratificanti, rispetto
alle aspettative degli studenti e dalle loro famiglie al momento
dell’iscrizione in Conservatorio, specie nel caso degli strumenti
in cui la produzione del suono è meno immediata (come i fiati,
o gli archi). Fortemente scoraggiata è la pratica di suonare ‘ad
orecchio’, reputata dilettantesca, non previste sono le tecniche di
improvvisazione, assai trascurata la pratica della lettura a prima
vista (Del Frati 1998): viceversa, ci si focalizza sulla riproduzione,
il più fedele possibile, di quanto scritto nello spartito musicale.
Nel primo degli estratti che seguono (es. IV.47) un docen-
te rileva l’antinomia esistente tra l’approccio giocoso alla pratica
musicale, oggi sollecitato per motivare l’apprendimento dei bam-
bini, e il metodo basato sulla tediosa ripetizione di esercizi tec-
nici, prevista nel vecchio ordinamento17. Negli estratti successivi
17. La tensione esistente tra gli approcci pedagogici divertenti e le esigenze
dell’apprendimento musicale classica è espressa in maniera esemplare dal so-
ciologo e violoncellista Richard Sennett: «La pedagogia moderna aborrisce
l’apprendimento ripetitivo nella convinzione che istupidisca la mente. Nel ti-
more di annoiare i bambini e desideroso di presentare stimoli sempre diversi,
l’insegnante illuminato evita la routine, ma in questo modo priva i suoi allievi
dell’esperienza di scoprire il tipo di pratica a loro più consona e di modularla a
partire da sé. Lo sviluppo delle abilità tecniche dipende da come è strutturata la

198
(es. IV.48,49) due ex allievi di Conservatorio ricordano le loro
difficoltà ad accettare un approccio all’apprendimento musicale
focalizzato sull’aspetto meccanico e antiquato, come quello ap-
plicato nel vecchio ordinamento.
Es. IV. 47 - Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:
Adesso con questi bambini [nel corso preaccademico del nuovo ordi-
namento] cerchi di aiutarli, gli fai fare canzoncine divertenti - Che bella
fattoria, cosettine - cercando sempre di correggere il tiro per quanto
riguarda la preparazione di base, che è molto importante. Lì c’è l’ar-
ma a doppio taglio, perché (…) loro si divertono a fare queste cose e
non fanno l’altro, che sarebbe la base per poi poter migliorare: è molto
difficile da gestire. Prima, per esempio, non esisteva: “Ma cosa bella
fattoria? Devi studiare l’impostazione a quattro posizioni: ti fermi lì e
fai due ore di note lunghe!”. TA-A-RA-A-RI-I-RI-I [intonando, ndr],
per ore. Poi, però, quando c’era la parte da suonare la suonavi; adesso
diventa difficile.

Es. IV. 48 - Trombettista jazz, maschio, 55 anni:


Il mio rapporto conflittuale con l’insegnante nasceva dal mio sostanzia-
le rifiuto delle regole del conservatorio che trovavo rigide e antiquate.
Per me la tromba era uno strumento complesso, mentre in quella scuo-
la mi veniva chiesto solo di fare eserciti tecnici e ripetitivi e meccanici:
note lunghe, scale, staccati e legati, che io facevo senza pensare (…)
Non riuscivo ad accettare un metodo così ottuso… [Fresu 2009: 48]

Es. IV. 49 - Musicologa, femmina, 35 anni:


[P]er il quinto [esame di compimento inferiore per i pianisti, ndr], que-
sta cosa non me la dimenticherò mai, mi lasciarono le scale a settembre:
cioè proprio una cosa di quelle che un bambino rimane [a bocca aper-
ta]: cosa vuol dire?! [ridendo, ndr]

ripetizione. Ecco perché, nella musica come nello sport, la durata di una seduta
di esercitazioni va calibrata attentamente (…) Con l’espandersi dell’abilità, la
capacità di reggere alla ripetizione aumenta. In musica, viene chiamata la regola
di Isaac Stern; infatti il grande violinista ebbe a dichiarare che più la tecnica
migliora, più a lungo ci si può esercitare senza annoiarsi. Ci sono momenti in
cui scatta qualcosa che sblocca una situazione e fa fare un salto qualitativo, ma
questi momenti nascono sempre da una routine» (Sennett 2008: 44-45).

199
Sempre i primi tre anni di Conservatorio prevedono di affian-
care allo studio dello strumento quello del solfeggio, ovvero del
sistema di lettura musicale, principalmente focalizzato sui valori
di durata delle note (solfeggio parlato), e solo in minor misu-
ra dedicato alla loro intonazione (solfeggio cantato). Si tratta di
una impostazione che penalizza dunque l’espressività musicale18.
Nell’estratto riportato di seguito (es. IV.50), l’intervistata – so-
cializzata sin dall’infanzia alla pratica canora in famiglia – ricorda
lo stupore a fronte della scarsa naturalezza nell’approccio al canto
dei compagni della classe di solfeggio.
Es. IV. 50 - Docente di ISSM di flauto, femmina, 50 anni:
I miei erano appassionati di musica classica, che ascoltavamo spesso;
mio padre era docente universitario e cantava benissimo, anche se non
per mestiere… sicuramente è stato tra i miei primi insegnanti di musi-
ca, visto che io e mia sorella abbiamo passato l’infanzia a cantare (…).
Ricordo come uno shock i miei compagnucci di solfeggio [in Conser-
vatorio] che si vergognavano di cantare: “Ma è malato, ha problemi
seri?” [pensavo]. Perché per me parlare e cantare è la stessa cosa, non
riesco ad immaginare la mia vita senza canzoni…

Inoltre, sia nel caso dello strumento, che del solfeggio, gli
esercizi assegnati sono tratti da eserciziari e repertori datati, poco
sensibili agli sviluppi pedagogici, e, come vedremo, seguendo un
approccio didattico prevalentemente finalizzato a forgiare nel
musicista un habitus al rispetto dell’autorità e della disciplina.
In assenza di stimoli alla motivazione individuale, per abituare
gli allievi a questo tipo di studio si rende talvolta necessario un
‘vincolo esterno’ alla volontà, dato in genere dalla sorveglianza
familiare. Più mirata nelle famiglie di musicisti, quando si esten-
de anche a verificare la qualità dello studio, negli altri casi tale

18. Delfrati (1998). L’abolizione del solfeggio parlato è simbolicamente scelta


come missione da un’associazione creata col fine di innovare il campo dell’Alta
formazione musicale, il cui portale offre costanti aggiornamenti e approfondi-
menti sul settore (http://www.aasp.it/).

200
pratica si limita ad una supervisione della quantità del tempo de-
dicatovi (es. IV.51). Kingsbury (1988: 4) cita, a questo proposito,
il caso di un collega di Conservatorio, le cui sessioni di studio al
pianoforte da bambino erano piantonate dalla madre, armata di
mazza da baseball.
Es. IV. 51 - Pianista, femmina, 35 anni:
Diciamo che, come per tutti i bambini, è necessario che un minimo
di pressione, chiamiamola così, [per lo studio di uno strumento] ven-
ga fatta… I genitori devono incanalare, indirizzare il bambino, perché
tolto l’entusiasmo iniziale del piacere di voler imparare qualcosa che
è particolare, uno strumento musicale, ci si scontra con la fatica dello
studio quotidiano. Quindi è stato fondamentale che mia madre fosse
presente e mi, diciamo, costringesse un tot di ore al giorno di studiare
lo strumento…

Le sopra esposte difficoltà dei primi anni di avviamento allo


studio nel Conservatorio del vecchio ordinamento portano ad
una prima significativa ‘scrematura’ tra gli allievi, che si attiva
quasi ‘naturalmente’ dopo i primi anni di studio, in genere coin-
cidenti con la conclusione della scuola media (talvolta annessa
agli istituti)19. È dunque in genere poco dopo il primo triennio
di frequenza che gli allievi entrati in Conservatorio attuano una
scelta che divide i percorsi di una minoranza di loro, che trova
una sufficiente motivazione – grazie a risorse personali o familiari
o ad un valido docente – per proseguire, e la maggior parte, che
– talvolta in maniera sofferta, talvolta quasi come una liberazione
– decide invece di abbandonarlo (come la ragazza dell’estratto
IV.52). Tale uscita è spesso preparata e ‘accompagnata’ dal do-
cente, che legge le difficoltà di proseguimento dell’allievo come
un segno della sua mancata vocazione professionale (es. IV.53).
Tuttavia, come avremo modo di approfondire, tra i molti studen-

19. Carlo Delfrati (1998) ha valutato che circa la metà degli allievi che si iscri-
vevano in Conservatorio nel vecchio ordinamento si ritiravano prima di conse-
guire la licenza inferiore. 

201
ti di cui ci si ‘libera’ etichettandoli come ‘non dotati’ non sempre
è chiaro se la dote di cui si parla sia quella naturale dell’allievo o
quella didattica del maestro20.
Es. IV. 52 - Studentessa di ISSM di oboe, femmina, 18 anni:
Quando ho frequentato questa scuola [il Conservatorio] ho scoperto
che l’oboe non era uno strumento facile da suonare come mi sembrava
all’inizio (…) dopo che ho iniziato a suonare al terzo anno non sentivo
più la stessa gioia che sentivo al primo anno… allora ho pensato: “Se
non mi piace più, perché continuo a farlo?”. Quindi ho mollato…

Es. IV. 53 - Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:


[I]l problema è che in questa attività [lo studio professionale della mu-
sica] c’è il muro: tu puoi andare avanti fino al terzo, quarto anno, quan-
do c’è la preparazione di base; poi arrivi che devi suonare… Se non ce
la fai, meglio scoraggiare e accompagnare all’uscita, perché non è per te:
lì o ci sei, o non ci sei. (…)

Dopo il primo triennio, oltre a programmi sempre più


impegnativi per il corso principale, il vecchio ordinamento
prevede una serie di materie complementari (come armonia,
storia della musica, canto corale, musica da camera, eserci-
tazioni d’insieme), differenti per durata a seconda del corso
prescelto. Per alcuni, inoltre, iniziano le prime esibizioni pub-
bliche, a carattere più o meno formale, e talvolta anche le
prime esperienze lavorative. Tutto ciò porta a privare gli allievi
di quell’ampia ampia disponibilità di tempo libero da dedica-
re allo svago e alle pratiche di socializzazione all’interno del
gruppo dei pari, che caratterizza la fase dell’adolescenza per
la maggior parte dei coetanei. Non stupisce dunque che nel

20. L’ambiguità del criterio di selezione basato sull’etichettamento degli allievi è


stata in particolare rilevata da Delfrati (2010, 2017) per i Conservatori italiani e
da Wagner (2015) nello studio dei meccanismi di costruzione delle carriere dei
violinisti virtuosi. Un esempio di tale ambiguità è offerto dal resoconto offerto
da Rossi et al. (2014) della celebre bocciatura di Giuseppe Verdi all’esame di
ammissione al Conservatorio di Milano, oggi a lui intitolato.

202
questionario, tra i docenti di ISSM per i quali la professione
musicale comporta specifiche rinunce rispetto ad altre profes-
sioni (il 68% dei partecipanti), la maggior parte identifichi
la principale proprio nella mancanza di tempo per sviluppare
relazioni sociali e amicali (vedi fig. IV.5).

Fig. IV.5 – Quali sono state per lei le principali rinunce richieste dalla
professione? (valori %)

In risposta alle richieste del percorso di studi del vecchio or-


dinamento per una crescente disponibilità di tempo, sia per la
frequenza che per lo studio in Conservatorio, molti degli intervi-
stati – che hanno quindi portato avanti una carriera da musicisti
– decidono di non proseguire il percorso standard di istruzione.
Tale decisione è in genere sostenuta – se non apertamente richie-
sta – dai docenti di Conservatorio, che interpretano la scelta di
frequentare una ‘doppia scuola’ come segno di debole determina-
zione nel perseguire la vocazione musicale e le rinunce necessarie
per trasformarla in professione. Tra queste rinunce molti docenti
includono perfino attività collaterali, come lo sport o altre occa-
sioni sociali o ricreative, ritenute incompatibili con la disciplina
e la concentrazione richieste dalla vocazione musicale, specie nel
caso delle specializzazioni a maggiore vocazione solistica (piani-
sti, violinisti, cantanti).

203
Nei primi due estratti riportati di seguito, la decisione di pro-
seguire gli studi in Conservatorio senza contemporaneamente
iscriversi alla scuola secondaria parte dall’esterno, attraverso un
divieto esplicito o invece un tacito ma influente giudizio. Nel
primo caso (estratto IV.54), la sofferta rinuncia di una pianista di
iscriversi al liceo – dettata da un divieto categorico della docente
di Conservatorio – si accompagna al disagio nel “sentirsi diversa”
rispetto alle sorelle e agli amici che lo frequentano; nel secondo
caso, una violinista figlia d’arte, dopo aver avviato con ottimi
risultati gli studi al liceo, per il senso di colpa a fronte della delu-
sione dei genitori per i suoi modesti risultati col violino, cade in
una depressione risolta solo a seguito dell’abbandono degli studi
liceali e l’iscrizione in Conservatorio (es. IV.55). Negli ultimi due
estratti (es. IV.56-57), invece, la decisione è presa autonomamen-
te dagli allievi, nonostante la giovane età fermamente convinti di
voler percorrere la carriera musicale, contro le opinioni esterne
più titubanti o contrarie (dei genitori o degli insegnanti delle
scuole medie).
Es. IV. 54 - Docente di ISSM di pianoforte, femmina, 60 anni:
[Dopo aver frequentato le scuole medie annesse al Conservatorio] mi
sarei voluta iscrivere al liceo e invece la mia insegnante mi ha proibito
categoricamente di fare questo (…) o era il pianoforte o altrimenti:
“Ciao, vai pure da un’altra parte”. E quindi dopo, voglio dire, c’è stata
una sofferta decisione, perché comunque mie sorelle, tutte persone che
studiavano al classico, mie sorelle più grandi di me, amici ugualmente
che studiavano al classico o allo scientifico, comunque al liceo. A me
sembrava una cosa un po’… mi sentivo un po’ diversa. Non mi piaceva
questo fatto, anche perché tutto sommato le materie umanistiche (…)
mi piacevano molto. Niente, però poi alla fine, dai e dai: “No, ti prego
non mollare, continua il pianoforte, è così bello, come è possibile pren-
dere un’altra decisione?” (...)

Es. IV. 55 – Docente di ISSM di violino, femmina, 55 anni:


Facevo il liceo classico (…) il problema è stato che io ero molto molto
brava, avevo medie altissime; non che fossi una secchiona, mi piaceva,

204
forse anche i miei genitori pretendevano un po’, però mi piaceva studiare;
quindi non riuscivo a studiare il violino e l’ho messo in secondo piano,
io ho smesso proprio due anni… A quel punto mi hanno fraintesa i miei
genitori, perché pensavano che non mi interessasse, invece, non ci stava
proprio come ore: arrivavo alla fine [della giornata], alle nove, e mio pa-
dre [violinista] mi prendeva in giro: “Eh, sì certo, la schiappetta che deve
studiare fino agli ultimi cinque minuti…”. Io non me ne sono accorta
(…) dopo di che son stata male, ma male, male, male (…) ho dovuto
lasciare il liceo, proprio fisicamente (…) avevo nausea dei libri, eppure
invece mi piaceva andare al liceo… (…) [I miei] mi hanno portata anche
da uno psicologo, ma non c’era bisogno: era proprio un rifiuto; quando
l’ho capito ho buttato via tutte le medicine, ho detto: “Ok, io mi metto a
suonare il violino”. Mi hanno guardato malissimo a casa mia, mio padre
stesso (…), che era il mio insegnante e aveva visto che comunque ero
abbastanza portata, però diceva: “Come: fai una cosa, poi la lasci, ne fai
un’altra? Sembra un capriccio!”. Invece io sono stata molto forte (…) ho
fatto l’ammissione [in Conservatorio] e sono entrata…

Es. IV. 56 - Docente di ISSM di fagotto, maschio, 50 anni:


C.C.- I tuoi genitori erano d’accordo su questa scelta, rispetto al non fare
altri studi dopo le medie?
Il primo anno è venuto naturale, il secondo anno mi è stata fatta la
proposta, ma io la vedevo un po’ come una sconfitta, nel senso che il
dubbio che io non riuscissi bene in quella che consideravo una scuola
superiore… Quindi mi sono intestardito e non ho voluto e secondo me
è stata la mia fortuna, perché ho dedicato tutto il mio tempo ad uno
studio che ho imparato presto, e dall’età di diciotto anni ero nell’or-
chestra del teatro.

Es. IV. 57 - Flautista, femmina, 40 anni:


Io decido subito che quella era la mia strada e, una volta presa coscien-
za, mi sono molto imposta in famiglia (…): a quattordici anni decisi
che volevo fare solo il Conservatorio (il primo mese provai anche a
fare il liceo scientifico). Anche i miei insegnanti delle medie erano tutti
scandalizzati che volessi fare [solo] il Conservatorio, ma durante l’estate
io conobbi un altro insegnante del Conservatorio, che era presente al
mio esame di ammissione, il quale mi disse: “Se tu vuoi fare il musi-
cista, è una cosa che ti occuperà tutta la vita, non è pensabile fare due
cose. Ti assorbirà talmente tanto, che se tu lo vuoi far bene devi vivere
di musica, devi dedicarti completamente alla musica, questo è il prezzo

205
da pagare!”. Poi c’erano altri [docenti] che erano più diplomatici, ma a
me colpì molto questo discorso ed è la strada che ho seguito io, e a oggi
sono molto felice di averlo fatto…

Nel corso del tempo, a fronte dell’innalzamento dei livelli


medi di istruzione e dell’ampliarsi dello stigma sociale nei con-
fronti di chi detiene titoli di studio bassi, la forza del divieto dei
docenti di seguire percorsi formativi alternativi a quello musicale
diventa sempre meno vincolante per le generazioni successive di
allievi. Sempre più per gli allievi che scelgono di proseguire il
percorso di studi in Conservatorio sorge dunque la necessità di
trovare strategie per conciliare il tempo di studio e la frequenza
tra i due percorsi formativi.
Tra le più frequenti strategie adottate vi è la scelta di una scuo-
la secondaria superiore non troppo impegnativa (liceo artistico o
magistrale, istituti tecnici o professionali) (es. IV.58), la pianifi-
cazione delle assenze a scuola funzionale agli impegni in Conser-
vatorio (es. IV.61) e, più in generale, l’adozione di un criterio di
gerarchizzazione che pone in secondo ordine le richieste prove-
nienti da un contesto formativo al quale non si sente di apparte-
nere, la scuola superiore, rispetto agli impegni presso quella che si
riconosce come la propria Scuola, il Conservatorio (es. IV.59,60).
In tutti i casi, l’aumento di impegno richiesto nell’avanzamento
nel corso di studi musicale, talvolta accompagnato dalle prime
esperienze lavorative, porta i giovani allievi del Conservatorio a
sviluppare, in anticipo rispetto a molti coetanei impegnati nel
percorso di istruzione standard, un senso di responsabilità rispet-
to all’investimento di tempo libero richiesto per imparare a fare
bene un’attività dalla quale ci si sente gratificati (Sennett 1998)
(es. IV. 58, 61, 62).
Es. IV. 58 - Percussionista, maschio, 40 anni:
Sono riuscito a conciliare molto bene, perché da buon politico porta-
vo l’acqua al mio mulino: quando andavo a scuola, dicevo: “Cavolo,
suono al Conservatorio, studio tanta musica” (…) al Conservatorio:

206
“Eh, devo studiare per le Magistrali” (…) Era comunque faticoso per-
ché io, in più a questo, fai conto che tre sere alla settimana facevo
concerti, suonavo nelle bande, insegnavo: era faticoso, però quando
fai una cosa con amore non te ne accorgi. Però se mi riguardo adesso,
quando parlo con altre persone di quegli anni li (…) mi dicono: “Ma
tu eri matto: non uscivi mai, non andavi mai in discoteca, non ci
vedevamo mai in un pub, non avevi mai tempo, correvi sempre da
una parte all’altra…”. Io non l’ho mai vissuto come un peso, però
non ho mai avuto una distrazione di nessun tipo, non ho mai avuto:
“Oh stasera vado in piazzetta…”. Non l’ho mai fatto: ho sempre stu-
diato, lavorato e fatto una cosa che mi divertiva; mi divertiva suonare,
provavo piacere…

Es. IV. 59 - Docente di ISSM di lettura della partitura, maschio,


45 anni:
[P]er me andare a scuola era andare al Conservatorio: quindi la mattina
andavo a scuola al liceo, poi vabbè (…) per forza di cose studiavo [al
liceo classico], ero anche un po’ pigro di mio, però ero molto rilassato:
vedevo i miei compagni [di liceo] che erano sempre molto tesi, perché
loro erano a scuola; io a scuola ci andavo di pomeriggio… Al liceo face-
vo assenze, facevo anche una serie di cose abbastanza discutibili, però,
invece, quando andavo a scuola al Conservatorio ero molto serio, non
facevo un’assenza…

Es. IV. 60 - Flautista, maschio, 35 anni:


[Al liceo] non ho mai condiviso le mie esperienze musicali, i miei suc-
cessi - perché già facevo concorsi e vincevo da piccolino - vivevo sempre
la mia dimensione per me stesso (…) Mi è costato fatica, dal lato della
scuola, mi pesava un po’ troppo la scuola, specie gli ultimi anni, perché
non mi sentivo valorizzato per le mie attitudini. Invece il Conservatorio
non mi è pesato, anzi, era un momento dove ritrovavo la mia dimensio-
ne e le mie attitudini erano valorizzate…

Es. IV. 61 - Pianista, femmina, 35 anni:


[Ho conciliato col liceo scientifico grazie al] fatto che son sempre andata
bene, ma anche perché gestivo la cosa con furbizia: le assenze erano sem-
pre ben studiate, erano proprio quelle necessarie per il Conservatorio, an-
davo volontaria per scegliere io i momenti in cui farmi interrogare, stavo
molto attenta in classe in modo che il tempo di studio diventava inferiore
(…) e poi il fatto di sapere che si frequentava anche il Conservatorio in

207
genere ho visto che crea un certo fascino (…) anche perché ero l’unica
che lo faceva, spesso gli stessi professori venivano ai saggi…

Es. IV. 62 - Musicologa, femmina, 45 anni:


[D]urante il liceo [classico] c’è stata questa lotta continua [con la do-
cente di Conservatorio]: io giocavo anche a pallavolo (…) di nascosto,
ma non era pensabile, quindi la pallavolo saltò e rimasero il Conserva-
torio e la scuola superiore, con dei ritmi assurdi perché andavamo un
pomeriggio al Conservatorio, facendo i doppi turni, a volte di mattina,
compiti all’ora di pranzo con il piatto e il quaderno di armonia affian-
co...

Con l’aumento di allievi che scelgono di portare avanti gli


studi superiori parallelamente a quelli in Conservatorio, negli
istituti si crea una situazione per certi versi paradossale – che,
come vedremo, diventerà particolarmente eclatante a seguito
della Riforma – di docenti che devono insegnare ad allievi che
detengono titoli di studio superiori ai loro. Proprio per risolvere
tale contraddizione non è raro il caso di docenti di Conservatorio
che hanno sentito l’esigenza di ottenere un titolo di studio tardi-
vamente (una simile esigenza si ripropone, come vedremo, dopo
la Riforma all’interno degli ISSM).
Più raramente gli allievi si iscrivono al vecchio ordinamento
del Conservatorio dopo gli studi liceali o, addirittura, universita-
ri: è questo più spesso il caso dei cantanti, che devono attendere
il formarsi della voce, come di iscritti ai corsi a carattere meno
prestazionale (composizione o direzione) mentre più raramente
si riscontra negli iscritti ai corsi di strumento21. Specie in questi
ultimi casi, legati ad una tardiva valutazione della carriera mu-
sicale come reale possibilità professionale, gli studi sono spesso
frequentati dagli allievi con una sensazione di perenne ritardo,

21. Nel vecchio ordinamento il limite di età massima per l’ammissione al


corso inferiore era intorno ai 15 anni per archi, pianoforte e arpa, 20 anni
per i fiati, 18 anni per l’ammissione al corso medio di composizione (Maione
2005: 102-103).

208
rispetto all’età media degli allievi di Conservatorio, accompagna-
ta da una determinazione, una abnegazione e una consapevolezza
che – come negli estratti IV.63,64 – consentono di recuperare il
divario formativo accumulato.
Es. IV. 63 - Flautista, maschio, 55 anni:
La mia frustrazione era che [da studente di Conservatorio] ero già men-
talmente e culturalmente adulto, ma tecnicamente ero un principiante.
Questo mi ha creato problemi anche dopo; mi sentivo in ritardo su tutto,
di aver perso mille treni; magari non andavo ad un concorso internazio-
nale poi andavo a sentire e mi dicevo che l’avrei potuto fare anche io, il
livello lo avevo… Questa cosa è stata da un certo punto di vista anche
una fortuna perché ho potuto indirizzare il mio percorso rapidamente in
maniera abbastanza netta, però per altri versi la coperta è quella.

Es. IV. 64 - Docente di ISSM di armonia, maschio, 45 anni:


[Forse] negli anni Ottanta era ancora pensabile una cosa del genere,
adesso di cominciare da zero a vent’anni non lo consiglierei mai (…)
[per studiare] uno strumento in questo caso è molto tardi e [per] stu-
diare composizione partendo da zero è stato un po’ un azzardo, ecco
(…) [A]nche se ho sempre, come dire, navigato nella musica fin da
ragazzino, ho finito a trent’anni (…) che ero già sposato! È una strada
singolare la mia, [ha richiesto] convinzione e anche impegno e determi-
nazione, nel senso che io, devo dire, su questo sono stato molto serio:
“Ok, pianti Ingegneria e inizi così, però non manchi un colpo, si studia
dalla mattina alla sera e si fa tutto quello che si può fare!”; se uno lo
prende un po’ alla leggera non si arriva mai…

I dati del questionario (fig. IV.9) mostrano come la percentua-


le di docenti di ISSM che detiene come titolo di studio più alto
– tra quelli ottenuti nei percorsi scolastici standard, non musicali
– un diploma di scuola elementare o media si riduca al decresce-
re dell’età dei partecipanti22, azzerandosi nella generazione dei
docenti trentenni. La percentuale di laureati, viceversa, aumenta
22. È possibile che il campione di docenti che hanno partecipato al questionario
presenti un bias nella distribuzione dei titoli di studio, mostrando una percentua-
le di titoli superiori più alta rispetto a quella dell’universo della popolazione (non
disponibile).

209
al diminuire dell’età, con l’eccezione dei docenti sessantenni: la
percentuale più alta di docenti laureati in tale fascia - rispetto a
quella dei cinquantenni e dei quarantenni - potrebbe essere inter-
pretata alla luce della maggiore presenza in essa di docenti entrati
in servizio a conclusione degli studi universitari, i quali maturano
il diritto alla pensione più tardi rispetto ai colleghi coetanei en-
trati in servizio dopo gli studi in Conservatorio23.
I titoli di studio si distribuiscono diversamente anche a se-
conda della specializzazione dei docenti: quelli più alti sono as-
sociati ai docenti di discipline musicologiche (dei quali il 79%
possiede una laurea o una specializzazione post-lauream), mentre
la percentuale di titoli di studio più bassa è associata ai docenti di
strumenti a percussione o a fiato (dei quali circa il 26% detiene
come titolo più alto il diploma di scuola media).
Tab. IV.9 - Qual è il titolo di studio più alto da lei ottenuto al di fuori
del percorso di formazione prettamente musicale? (valori percentuali per
classe di età docente)

Titolo di studio <39 40-49 50-59 60> Totale


terziario 40,0 32,3 25,8 37,8 29,6
secondario superiore 60,0 58,7 60,0 44,1 56,9
primario o secondario inferiore 0,0 9,0 14,2 18,1 13,5
Tot. 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Pop. di riferimento 20 223 605 188 1036

23. Tale ipotesi trova riscontro nei dati del questionario, che mostrano come tra i
docenti intervistati appartenenti alla coorte di età uguale o superiore ai 60 anni la
maggior parte appartenga alle categorie dei cantanti (27%) e dei docenti di mate-
rie teoriche (24%), le quali presentano percentuali più alte di laureati; i tempi più
lunghi della loro formazione potrebbero spiegare un ingresso in ruolo tardivo, cui
corrisponde un pensionamento ad età più elevata, rispetto a colleghi con titoli di
studio più bassi, che si sono immessi prima nel mercato del lavoro e hanno prima
raggiunto i requisiti per il pensionamento (come i docenti di strumenti a fiato,
che rappresentano solo il 13% dei partecipanti sessantenni); bassa la presenza in
questa coorte di età anche dei docenti di nuove discipline (15% nel questionario),
reclutati all’interno degli ISSM solo in tempi più recenti.

210
1.2.2 Il Conservatorio
come microcosmo del campo professionale musicale
Nel modello definito dal vecchio ordinamento il Conserva-
torio mantiene alcuni tratti dell’istituzione totale che caratteriz-
zavano la sua forma organizzativa originaria seicentesca. Come
visto nel terzo capitolo, tra questi tratti vi era il principio di reclu-
sione dei convittori all’interno di un comune luogo di residenza,
separato dalle ingerenze esterne. Sebbene i Conservatori moder-
ni – a partire dal modello parigino – in genere non prevedano
la residenza nell’istituto degli allievi, questi – specie nel caso in
cui non frequentino una seconda scuola – si trovano comunque
a trascorrere insieme la gran parte della giornata all’interno del
Conservatorio (chiamato ‘la Scuola’): provando nelle aule studio
(visto che non sempre, specie nei primi anni, si possiede uno
strumento o, negli anni successivi, modelli di strumento neces-
sari per eseguire un repertorio più avanzato); ascoltando suonare
i diversi maestri durante la lezione o concerti interni alla Scuola;
confrontandosi a vicenda, in maniera emulativa, durante le lezio-
ni di classe, le prove di insieme, i saggi finali. In assenza di tempo
libero per coltivare attività parallele agli studi musicali, le relazio-
ni sociali degli allievi si sviluppano prevalentemente all’interno
dello stesso Conservatorio, dando luogo ad amicizie e relazioni
sentimentali, che spesso accompagnano i musicisti per l’intero
arco della vita personale e professionale24.
Negli estratti che seguono emerge la dimensione comu-
nitaria della Scuola vissuta dagli intervistati: lo studio indi-

24. Dei docenti che hanno partecipato al questionario, il 16% si dichiara single;
al restante 84% è stato chiesto di specificare la professione del coniuge, ex-coniuge
o convivente: nel 41% dei casi si tratta di occupazioni nel settore musicale, prin-
cipalmente come docente di musica presso ISSM, scuole pubbliche, o in ambito
concertistico. Dichiara di avere figli il 66% dei docenti: la percentuale sale nel caso
degli uomini (dove raggiunge il 70%) e diminuisce nel caso delle donne (tra le quali
il 58% è madre), il che suggerirebbe la maggiore difficoltà femminile nel conci-
liare la carriera in ambito musicale con la vocazione genitoriale (Buscatto 2007).

211
viduale che si apre ad una portata collettiva dell’apprendere,
data dal piacere nel fare musica insieme, avendo a modello i
maestri più bravi (IV.65); l’ascolto reciproco tra allievi della
stessa classe, prima, delle altre classi, poi, che attraverso un
meccanismo emulativo di “sana competizione” attiva un cir-
colo virtuoso di miglioramento all’interno di una rete sociale
di legami forti ed esclusivi25 (es. IV.65-67); l’applicazione di
tali meccanismi e dinamiche, sperimentato all’interno del mi-
crocosmo del Conservatorio, per adattarsi alle richieste del
più ampio campo professionale musicale, “la vera società della
musica” (es. IV.68).
Es. IV. 65 - Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:
[I]o ero tutto il giorno a Scuola con altri ragazzi e suonavamo insieme:
c’era il piacere di fare le cose, sperimentare… mi ricordo c’era il maestro
[X], grande chitarrista, mi mettevo dietro la porta ad ascoltare, perché
era un piacere sentirlo…

Es. IV. 66 - Flautista, maschio, 55 anni:


I primi tre anni andavo solo al pomeriggio perché andavo al liceo e fa-
cevo solo le lezioni mie, non conoscevo gli altri della classe. Quando ho
finito il liceo e gli orari erano più elastici allora frequentavo e per me era
un ambiente meraviglioso: gli allievi adulti erano tutti lì, tutto il gior-
no, a sentire le lezioni degli altri, con questa competizione sana, dentro
la classe. Mi ricordo i saggi degli anni Ottanta: c’era l’auditorium del
Conservatorio zeppo, con tutta la Scuola dentro. Adesso i concerti -
come ora chiamano i saggi - sono vuoti: ci sono vecchietti, nonni e zii
e come finiscono i nipoti di suonare se ne vanno...

25. La letteratura sociologica sui network relazionali associa a questo tipo di reti
un capitale sociale vincolante (bonding), in cui l’azione individuale è fortemente
condizionata da relazioni di fiducia tra gli appartenenti al gruppo (Ballarino
2001: 24). Nel caso dei musicisti, tali legami possono costituire un nucleo che
si poi ramifica in ulteriori reticoli professionali, fondati su legami a carattere più
debole ed estemporaneo, che sfruttano le risorse di un capitale sociale congiun-
gente (bridging) in termini prevalentemente strumentali (Uzzi e Spiro 2005,
citati in Ramella 2013:143-145).

212
Es. IV. 67 – Docente di ISSM di clavicembalo, maschio, 55 anni:
La grande ricchezza del Conservatorio italiano era anche la possibilità
di essere all’interno di un’istituzione dagli undici ai ventotto anni: un
ragazzino ascolta le lezioni dei più grandi, assorbendo sensazioni, in-
formazioni ed insegnamenti che gli saranno utili quando a sua volta si
troverà più avanti; uno studente più grande, ascoltando le lezioni date
ai principianti, ripercorrerà i passi fatti, capendo meglio ciò che ha fatto
e che sta facendo, e diventando capace di affiancare l’insegnante.

Es. IV. 68 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 50 anni:


Il Conservatorio si è trasformato in questi anni, nel senso che quan-
do io frequentavo il Conservatorio da studente, il Conservatorio era
un mondo… Mi voglio spiegare meglio: era un mondo all’interno del
quale c’era la possibilità di svilupparsi, di crescere e di essere competitivi
con i colleghi. Oggi il Conservatorio che vivo da insegnante è un Con-
servatorio in cui ognuno fa la lezione e va via, dunque non si riforma
più quel circolo, che per certe cose può essere anche negativo dal punto
di vista sociale, ma che inevitabilmente creava un contorno di interesse
sulle prestazioni che tu andavi a fare, sia che fosse il saggio, l’esercita-
zione didattica o quello che è… Io andavo a sentire te, ma tu venivi a
sentire me, comunque questo stimolo continuo dava la possibilità di
crescere: oggi questo stimolo è fatto non più di questo, oggi non si va
più a sentire il collega ed è una cosa tristissima… Questo mi ha dato
anche lo strumento per misurarmi in piccolo con quello che poi avrei
trovato nella vera società della musica, la competitività: io oggi vado a
sentire un collega perché devo sentirlo, ma son ben certo che se faccio
qualche concerto a Parigi o a New York c’è qualche collega che viene
a sentire me, per capire perché io faccio quella carriera e non ne faccio
un’altra, per capire se quello che ho inciso l’altra volta suona esattamen-
te così dal vivo… piccole cose, però questo tipo di preparazione io l’ho
avuta, ero preparato a suonare di fronte ai colleghi capito? Oggi non è
così: oggi è molto solitaria la vicenda, quasi asettica se vuoi, perché il
concerto è diventato qualcosa di diverso…

Non tutti gli antichi allievi condividono ricordi altrettanto


idilliaci della vita nel Conservatorio pre-Riforma. Vi è, ad esem-
pio, chi mette in guardia rispetto alle “trappole della nostalgia”,
che portano a costruire un’età dell’oro legata alla sopravvaluta-
zione della propria storia personale, sminuendo il valore delle

213
esperienze o delle competenze nelle nuove generazioni di allievi
(es. IV.69); o invece chi, come Fresu, ricorda i limiti asfittici di
tale microcosmo, vissuto come culturalmente classista e didatti-
camente antiquato e lacunoso (es. IV.70).
Es. IV. 69 - Docente di ISSM, maschio, 55 anni:
[Oggi si fa] tanta attività artistica, tutti questi corsi nuovi che ci
siamo dovuti inventare, alla fine qualcosa di buono l’ha anche fatto
[la Riforma]: secondo me i ragazzi ora sanno molto di più di quello
che sapevano i professori alla loro età, quindi nel complesso, io non
sarei troppo negativo… Anche quando loro [i miei colleghi] mi di-
cono: “Eh, ai nostri tempi…”, secondo me sono balle: non è vero
che suonavano meglio, che studiavano di più, non ci credo (…) il
livello non era più alto. Loro si ricordano, perché ognuno è portato
a generalizzare la propria storia: ti ricordi che studiavi molto, allora
ti sembra che [facevi di più] …

Es. IV. 70 - Trombettista jazz, maschio, 55 anni:


L’ambiente del conservatorio era orribile. Rispetto al mio modo di
intendere e di vivere la musica trovavo che molti avessero la puzza
sotto il naso e che il sistema di insegnamento fosse antiquato e la-
cunoso nonché sbrigativo. Non parliamo poi della classe di canto,
con tutti quelli sempre bardati con sciarpe e foulard anche d’estate…
[Fresu 2009: 45]

1.2.3 L’esclusiva relazione tra maestro e allievo


Un altro tratto degli antichi Conservatorio seicenteschi ri-
proposto dal vecchio ordinamento è dato dall’adozione di un
modello didattico tipico della bottega artigiana all’interno del
corso principale, che assorbe la gran parte del tempo di studio
dell’allievo. L’allievo è dunque inserito nella classe di un uni-
co insegnante, che – salvo eccezioni (pensionamenti, congedi,
trasferimenti) – lo accompagna per tutto il corso di studi, del-
la durata di circa un decennio. Le specificità di questo modello
didattico, basato sull’autorità indiscussa del maestro, la giovane
età degli allievi, l’individualità delle lezioni (one-to-one), il coin-
volgimento emotivo e affettivo sviluppato nel lungo ed esclusivo

214
percorso di studio, accentuano notevolmente il carattere tipica-
mente asimmetrico della relazione docente/discente. All’interno
delle classi dei maestri più noti o carismatici si sviluppano spesso
tra gli allievi, in genere una decina di elementi, relazioni di co-
munanza e, tra i più bravi, di emulazione, che rafforzano il senso
di appartenenza ad una data scuola musicale – e, al contempo, il
senso di antagonismo competitivo con le altre – e ne rafforzano il
prestigio attraverso la successiva carriera.
Nella fig. IV.6.1 si può osservare come il rapporto ‘maestro-al-
lievo’ sia indicato da una maggioranza assai ampia di docenti di
ISSM che hanno partecipato al questionario (il 73%) come il tipo
di relazione didattica che meglio descrive quella avuta col proprio
docente di Conservatorio, percentuale alla quale potrebbe essere
inoltre sommata quella di docenti che indicano un tipo di rap-
porto ‘genitore-figlio’ (5%) o ‘superiore sottoposto’ (4%), come
vedremo, spesso ricompreso all’interno della relazione tra maestro
e allievo; decisamente inferiore la quota di docenti che descrive la
relazione nei termini del rapporto più standard della formazio-
ne scolastica e universitaria ‘professore–studente’ (10%), mentre
l’8% indica che il rapporto è variato a seconda dell’età. Non si
riscontrano differenze significative tra i sessi, bensì tra le specia-
lizzazioni disciplinari dei docenti, da interpretare alla luce della
variabilità delle traiettorie che caratterizzano i percorsi formativi
corrispondenti (fig. IV.6.2). Il modello “maestro-allievo” è decisa-
mente meno rilevante all’interno della categoria F, che racchiude i
docenti di materie musicologiche, i quali più spesso hanno seguito
un percorso all’interno dei curricula standard dell’istruzione: per
loro il rapporto prevalente è stato quello tra “professore-studente”
(62%). Il rapporto “maestro-allievo” prevale invece per i docenti
di specializzazioni della formazione classica (A, B, D), con l’ecce-
zione della categoria C (ovvero fiati e percussioni); questi, tutta-
via, indicano prioritariamente l’opzione che prevede una relazione
con maggiori sfumature, a seconda dell’età (40%). La relazione
maestro-allievo prevale, sebbene in misura minore (39%), anche

215
per la categoria dei docenti di nuove discipline non classiche (jazz,
nuove tecnologie), diversi dei quali si sono formati all’interno del
vecchio ordinamento del Conservatorio.

Fig. IV.6 - Quale relazione meglio descrive il rapporto avuto con il/la
docente del suo corso principale al Conservatorio/IMP?
IV.6.1 – Valori percentuali complessivi

IV.6.2 – Valori percentuali per specializzazione docente

A B C D E F
genitore/figlio 4,7 6,9 8,7 2,6 3,8 3,1
maestro/allievo 67,4 71,3 72,8 76,8 75,9 67,7
professore/studente 11,6 10,1 4,9 10,3 12,7 13,5
superiore/sottoposto 7,0 3,5 3,9 2,6 3,8 9,4
diversi di questi, a seconda dell’età 9,3 8,2 9,7 7,7 3,8 6,3

Pop. di riferimento 43 376 103 194 79 96

Tra le prime tappe nella socializzazione portata avanti dal


Conservatorio del vecchio ordinamento vi è proprio il rico-
noscimento del ruolo distintivo del maestro rispetto ad altre
forme di docenza più diffuse, come quelle del professore del-
la scuola secondaria (ma anche, come vedremo, del professore
universitario).
Il termine ‘maestro’ è prevalentemente usato al maschile,
riprendendo la tradizione del maestro di arti e mestieri; la
figura del docente donna, legittimata in Conservatorio solo

216
nel corso del Novecento, è più spesso designata col termine
‘professoressa’, anche per rimarcare la distinzione con il ruolo
di maestra nella scuola elementare, cui è associato minore pre-
stigio professionale. Negli estratti che seguono si nota come i
giovani allievi provenienti da altri contesti educativi (il liceo
o la scuola media) nei quali la relazione didattica è definita
nei termini di un rapporto tra professore e studente, siano
iniziati dai colleghi più anziani al riconoscimento del ruolo
del maestro (e, implicitamente, di quello dell’allievo) come
distintivo del Conservatorio: quello di guida, punto di riferi-
mento. Inteso in questa accezione alta, il ruolo di maestro può
essere talvolta rimpianto dai docenti in quanto non più rico-
nosciutogli dagli studenti post-Riforma (es. IV.71), ma anche
rivendicato come applicabile al genere femminile (es. IV.72)
o invece reputato troppo impegnativo per definire la propria
attuale funzione (es. IV.73).
Es. IV. 71 – Docente di ISSM di flauto, maschio, 60 anni:
C.C. - Come la chiamano i suoi allievi?
Una volta mi chiamavano tutti maestro, adesso professore, nel migliore
dei casi, altrimenti prof [ridendo, ndr]. Devo dire che anche io ho ini-
ziato a chiamare il mio maestro professore, perché ero abituato al liceo,
finché ho sentito ragazzi chiamarlo maestro, perché erano ragazzi che
facevano solo il Conservatorio. Gli avevo chiesto: “Ma gli fa piacere es-
sere chiamato maestro?”, perché io pensavo che maestro fosse meno…
“No, no, lui vuole essere chiamato maestro, perché è il maestro!”. E in
effetti anche adesso, anche per me è così…a me piace essere chiamato
maestro, però non c’è più nessuno [che lo fa], solo i vecchi alunni mi
chiamano maestro…

Es. IV. 72 – Docente di ISSM di pianoforte, femmina, 55 anni:


C.C. – Senti, tu chiami maestra la tua docente, ma a te chiamano maestra
o professoressa?
[A]llora, professoressa, in generale, perché ormai è il termine più adat-
to; io sono più affezionata al termine maestra perché trovo che esistono
maestri maschi, non si capisce perché non esistano maestre femmine…
Io penso che il maestro sia qualcosa di diverso dal professore e devo

217
dire che mi piace molto l’idea di guida, di personalità che si occupa di
te, si preoccupa per te, ti segue a 360 gradi. Mi sta un po’ stretta l’idea
della scuola media inferiore e superiore, e mi sta stretta anche nel senso
accademico-universitario, con tutto il rispetto, naturalmente, perché
è un rapporto completamente diverso… Io ho frequentato anche un
po’ l’università (…) però il professore universitario ha un rapporto
totalmente diverso con [quelli che non sono] degli allievi, sono degli
studenti… noi al Conservatorio, ma comunque questo succede anche
privatamente, siamo delle guide, dei punti di riferimento…

Es. IV. 73 – Docente di ISSM di tromba jazz, maschio, 40 anni:


Sono arrivato il primo giorno [in Conservatorio], retaggio delle medie,
lo chiamavo professore: risate generali, lui per primo: “Come profes-
sore, che è?”. Io dicevo: “Ma il maestro mi fa pensare al muratore,
maestro di muro, professore è di più”; “No, perché i maestri sono Le-
onardo da Vinci, Beethoven…”, anche lui molto scherzoso, giocoso…
Mi fanno ridere i bidelli quando mi dicono: “Buongiorno maestro!”,
perché non sono abituato...

Se il rapporto formativo basato sul modello maestro-allievo


caratterizza nel Conservatorio del vecchio ordinamento la gran
parte dei percorsi formativi dei musicisti intervistati, le modalità
con le quali tale rapporto si traduce nelle loro esperienze indivi-
duali è soggetta ad una ampia variabilità. Tale variabilità è legata
a diversi fattori, tra i quali: la mancata garanzia di uno standard
qualitativo di base nella preparazione musicale e culturale dei do-
centi, selezionati secondo criteri differenti a seconda del perio-
do del reclutamento; l’assenza di una loro specifica competenza
pedagogica, necessaria per gestire adeguatamente la formazione
di allievi in un’età piuttosto delicata dello sviluppo; l’assenza di
forme di valutazione della didattica, sia da parte degli istituti, che
da parte del Ministero; l’assenza di efficaci meccanismi a garanzia
e tutela dello studente da parte degli organi di governo dei Con-
servatori rispetto ad eventuali abusi da parte dei docenti.
La discrezionalità consentita ai docenti nella gestione del-
la didattica all’interno della propria classe consente altrettanto

218
liberamente sia di adottare una logica cooperativa fondata su
stimoli per la motivazione allo studio, ridimensionando gra-
dualmente l’asimmetria della relazione formativa al realizzar-
si del processo di apprendimento, che di imporre una logica
accentratrice finalizzata ad ottenere obbedienza e dipendenza
da parte dell’allievo mediante tecniche di controllo e manipo-
latorie; tanto di essere disponibile in qualsiasi momento per i
propri allievi, quanto di palesarsi a lezione solo nei “buchi” tra
un impegno professionale e l’altro.

1.2.3.1 Le diverse tipologie di maestro


Nelle esperienze più positive, i maestri possono essere musicisti
celebri, dal forte carisma e dal carattere eccentrico, spesso assenti
per trasferte legate all’attività concertistica, o invece musicisti dal-
la carriera modesta o interrotta, a carattere locale, che garantisco-
no agli allievi una presenza costante ed affidabile. Ad accomunare
queste due tipologie è il forte coinvolgimento nel ruolo di docen-
te, inteso come parte integrante di una vocazione professionale
vissuta in maniera passionale e totalizzante. Nei primi due estratti
riportati sotto ricorre la tipologia del “maestro-divo”, istrionico,
assente per lunghi periodi, ma poi completamente a disposizione
degli allievi, accolti a casa propria per sessioni intensive di studio e
lezione (es. IV.74) e perfino raggiunti a casa loro per proseguire le
lezioni, anche una volta formalmente interrotto il rapporto di in-
segnamento (es. IV.75). L’informalità e la naturalezza caratterizza-
no anche i rapporti con la tipologia del “maestro-allenatore”, che
segue quotidianamente i progressi dell’allievo, al quale garantisce
un supporto costante nel superamento degli ostacoli incontrati
nello studio (es. IV.76,77) e talvolta anche nella vita personale (es.
IV.78), trasmettendo la passione per la cultura musicale, condi-
videndo ascolti e spartiti e indirizzando gli allievi più talentuosi
verso reti di formazione specializzata (es. IV.79) o introducendoli
attraverso contatti personali all’interno di reti professionali.

219
Es. IV. 74 - Docente di ISSM di quartetto d’archi, maschio, 55 anni:
C.C. – Che rapporto aveva col suo maestro?
Fantastico, fantastico: perché era un uomo che dava tutto quello che
poteva agli allievi, tutto… dal più dotato al meno dotato (…) per an-
dargli contro bisognava semplicemente non studiare, semplicemente
fregarsene dello strumento, appena c’era un po’ di interesse anche se
non eri abbastanza dotato lui si faceva in quattro… Con le lezioni a
casa sua - siccome viaggiava molto all’epoca, quindi capitava (…) di
perderlo per un mese, un mese e mezzo, però dopo era capace di recu-
perare - ci faceva entrare a casa sua alle nove del mattino poi uscivamo
la sera, andavamo giusto a mangiare qualcosa… Qualche volta usciva
lui: “Tieni le chiavi, vai a studiare, ci vediamo a lezione”. Sono state
delle cose, un’esperienza fantastica… poi sentirlo suonare è una cosa
[incredibile]…

Es. IV. 75 – Docente di ISSM di contrabbasso, maschio 60 anni:


Il maestro era una persona stupenda, fantastica; poi con me ha instau-
rato un rapporto, non padre-figlio, di più… Pensa solo che quando mi
sono trasferito a [X, dove lui suonava], lui insegnava [in un’altra città]
e veniva a farmi lezione a casa due-tre volte alla settimana, senza mai
chiedermi una lira, mai. Io al Conservatorio di [X} ero iscritto regolar-
mente nella classe di [XY], però c’era una sorta di tacito accordo, lui
sapeva benissimo che [mi seguiva il mio vecchio maestro].

Es. IV. 76 - Pianista, femmina, 35 anni:


Con [il maestro X] sapevi quando entravi non sapevi quando uscivi:
facevi lezioni di tre ore che si sovrapponevano con gli altri [allievi], ogni
volta una classe condivisa… Poi lui, quando si portavano dei program-
mi più lunghi, quando andando avanti con gli anni si andava incontro
agli esami finali, abbiamo fatto lezioni interminabili. Con lui ho pre-
parato il IV Concerto di Beethoven con l’orchestra, che ho suonato in
teatro - avevo diciassette anni - e andavo avanti con lezioni di quattro
ore, andando fuori dal suo orario (…) tutta l’estate ho fatto lezione con
lui al Conservatorio, mi accompagnava lui [nella parte orchestrale] al
pianoforte, a casa mia…

Es. IV. 77 – Docente di ISSM di oboe, maschio, 55 anni:


Ho avuto la fortuna di avere un insegnante che tecnicamente non aveva
niente da dire, però poi, riflettendo dopo anni (…), mi ha insegnato ad
amare la musica e lo strumento: questa cosa gliela riconoscerò sempre.

220
Noi passavamo le giornate intere [insieme]; lo chiamavi: “Maestro que-
sto passaggio non mi viene…”; poteva essere il quattordici di agosto:
“Ci vediamo in Conservatorio domani!”. Un uomo simpatico, quando
si andava a lezione di strumento era una festa!

Es. IV. 78 - Docente di ISSM di fagotto, maschio, 55 anni:


Per molti era veramente un confidente di tutto. Lui ogni tanto scher-
zava su qualcuno: “Non si compra neanche gli abiti senza chiedermi:
Ma cosa compro?”

Es. IV. 79 – Flautista, femmina, 40 anni:


In Conservatorio ho trovato un maestro di un’intelligenza straordina-
ria. Dall’inizio mi disse, fin da subito: se tu vuoi fare veramente il mu-
sicista, te ne dovrai andare (…) perché la cultura musicale che abbiamo
noi, purtroppo, patria della musica, dagli anni Sessanta in poi è rimasta
troppo ferma e circoscritta. E lui fu il primo a mandarmi fuori già
dal terzo anno di Conservatorio a fare corsi fuori con maestri stranieri
che facevano corsi in Italia e più avanti anche all’estero. Mi comprava
dischi, mi passava gli spartiti della sua enorme biblioteca: un ottimo
musicista - secondo lui solo buon musicista - molto curioso…

Se tali esperienze definiscono un polo positivo all’interno


di uno schema delle possibili tipologie assunte dalla relazione
maestro-allievo nel vecchio ordinamento, altre ne delineano
uno negativo, dove l’ubbidienza richiesta all’allievo non si basa
più sull’autorevolezza del maestro e la piena fiducia sui suoi
consigli e direttive, bensì si regge sulla sua autorità formale, e
sui meccanismi psicologici e fisici attivati al fine di mantene-
re pieno controllo sul potere che ne deriva. Si tratta talvolta
di docenti validi dal punto di vista artistico-musicale, i quali
hanno alle spalle una solida formazione tecnica acquisita all’in-
terno di celebri scuole e una carriera artistica talvolta ancora
in corso, sebbene non sempre rispondente alle aspettative ini-
ziali; altre volte si tratta invece di docenti poco preparati, con
una scarsa competenza tecnica o cultura musicale o generale,
il che li porta ad avere un complesso di inferiorità da celarsi
costantemente dietro meccanismi di aggressività. Spesso i do-

221
centi che rientrano all’interno di tale categoria (il ‘maestro-a-
guzzino’) hanno alle spalle una storia di traumi, frustrazioni e
vessazioni, vissute all’interno del proprio percorso formativo,
professionale o personale, che li porta a non riuscire a stabilire
relazioni empatiche con i propri allievi e con i colleghi, i primi
costantemente criticati e sottoposti a prove di ubbidienza, i se-
condi identificati come rivali con i quali convivere in costante
competizione (es. IV.80).
Es. IV. 80 - Studentessa di ISSM di canto, femmina, 30 anni:
[Q]uesta mia prima insegnante [di Conservatorio] mi diceva delle cose
giuste tecnicamente, mi ha dato un metodo di approccio ad un certo
tipo di repertorio di cui beneficio ancora adesso (…) È una persona
che non stimava nessuno e non faceva mai mancare l’occasione di ma-
nifestare il suo disprezzo per te, a meno che tu non le servissi (…) Lei
odiava qualsiasi cosa d’altro facessi: facevo teatro a scuola e non pote-
vo farlo perché mi impegnava, due anni ho fatto pallacanestro e non
andava bene… Ha fatto piangere persone con venti anni più di me,
professionisti, è stata piantata in asso, dopo anni che lavoravano insie-
me, dal pianista accompagnatore della classe (…) [A]veva idee musicali
tutte sue; cioè, un limite, una non capacità di fare buone relazioni sulla
musica e con le persone...

Vi è infine da inserire nel polo negativo la tipologia del do-


cente privo di vocazione per l’insegnamento, intrapreso per fini
meramente strumentali (ottenere una retribuzione a fronte di un
ridotto orario lavorativo). Questa tipologia (il “docente-riluttan-
te”) raccoglie profili assai differenti tra loro - musicisti totalmente
concentrati sulla propria carriera artistica o, al contrario, diplo-
mati del Conservatorio senza una specifica competenza profes-
sionale, magari ripescati dal sistema delle graduatorie dopo aver
svolto altre professioni - accomunati da un sostanziale disinte-
resse per le conseguenze del loro scarso impegno o competenza
nelle sorti dei percorsi formativi e professionali degli studenti (es.
IV.81).

222
Es. IV. 81 - Trombettista jazz, 55 anni, maschio:
Come molti dei nostri insegnanti, [il mio] lo avevano spedito in Sarde-
gna per il sistema delle graduatorie e si capiva che non ne era entusiasta.
Venire in Sardegna una o due volte alla settimana era complesso e stan-
cante e molti professori lo vivevano come una sorta di punizione (…) mi
capitava spesso di arrivare al conservatorio e scoprire che l’insegnante non
c’era. Tornavo a casa con la delusione di aver fatto un viaggio a vuoto e a
volte rimanevo senza lezione per due o tre settimane. [Fresu 2009: 46-47]

Opporsi al destino che gli ha assegnato un docente rispon-


dente ai profili del polo negativo risulta in genere assai compli-
cato e faticoso per gli allievi i quali, nel palesare al direttore la
volontà di farsi assegnare un nuovo docente, si espongono al ri-
schio di veti e ritorsioni del vecchio docente sul proprio corso di
studi. I poteri di interdizione dei docenti di Conservatorio sugli
allievi - di cui parla Paolo Fresu nell’estratto riportato di seguito
(es. IV.82) – rivivono ancora in diversi racconti degli studenti
intervistati, sebbene in forme meno esplicite rispetto al passato.
Es. IV. 82 - Trombettista jazz, 55 anni, maschio:
Naturalmente feci tutto di nascosto [nel cambiare Conservatorio e docente, ndr],
perché nei conservatori italiani vigeva una legge medioevale secondo cui il mio
insegnante avrebbe potuto interdirmi da tutti quelli del Regno. [Fresu 2009: 50]

1.2.3.2 Gli abusi di potere


Tra i docenti che hanno partecipato al questionario, oltre la
metà (il 51%) dichiara di avere avuto notizia, o direttamente o
attraverso fonte attendibile, di episodi di molestie, abusi o di-
scriminazioni, perpetrate da parte di docenti di Conservatorio ai
danni di studenti; tra questi, la maggior parte (il 44%) fa riferi-
mento ad episodi saltuari, il 7% a casi ricorrenti. Non ha invece
mai avuto notizia, diretta o attendibile, di questo genere episodi
il 42% dei docenti intervistati, mentre l’8% dichiara di preferire
non rispondere alla domanda26.

26. La reticenza a discutere del tema ha portato diversi docenti che hanno av-

223
Fig. IV.7 – È venuto/a a conoscenza, attraverso esperienza diretta o da
fonte attendibile, di episodi di molestie, abusi o discriminazioni da parte di
docenti su studenti? (valori percentuali)

Al fine di evitare un rischio di sopravvalutazione del fenome-


no, agli intervistati che hanno risposto affermativamente è stato
chiesto di indicare solo la tipologia all’interno della quale rien-
trava l’episodio più grave di cui si è avuta testimonianza diretta o
attendibile27: come si evince dalla fig. IV.8, gli episodi più ricor-
renti rientrano nella categoria delle molestie sessuali (47,6%) e in
quella dei soprusi a carattere psicologico, come mobbing, plagio,
ritorsioni (40,7%), seguite con ampia distanza da episodi discri-
minatori, a carattere razziale o sessuale o altro (6,5%), e soprusi a
carattere fisico, come schiaffi, percosse e altri maltrattamenti cor-
porali (5,3%), i quali nelle generazioni più anziane erano spesso
normalizzati tra le pratiche consentite ai maestri ai fini didattici
(avremo modo di approfondire tali temi nell’analisi qualitativa
delle interviste in profondità).

viato il questionario ad abbandonarlo una volta arrivati ai quesiti su abusi e


molestie, a fronte dell’impossibilità di proseguire nella compilazione senza aver
risposto a ciascun quesito.
27. Di tale richiesta si sono lamentati, nei commenti liberi a fine questionario, diversi
docenti che avrebbero voluto indicare la presenza di più tipologie di molestie/abuso.

224
Fig. IV.8 - Tipologia prevalente di molestia/abuso della quale si è avuta
notizia certa (solo 1 opzione possibile) (valori percentuali)

Un altro dato sul quale riflettere, ai fini dell’adozione di


eventuali misure correttive negli Istituti, è costituito dal fatto
che alla denuncia di tali episodi non pare seguire una adeguata
tutela dello studente (o, più spesso, della studentessa) da parte
dei direttori (nell’analisi delle interviste qualitative approfon-
diremo il discorso, dando voce anche alle difficoltà di questi
ultimi). La fig. IV.9 mostra come solo nel 21% dei casi agli
episodi di abuso da parte dei docenti ai danni degli studenti il
Conservatorio sia ricorso a provvedimenti ufficiali, mentre nel
25% dei casi si sia preferito intervenire a livello informale. Inol-
tre, nel 18% dei casi, alla segnalazione non sono seguiti prov-
vedimenti da parte dei vertici dell’Istituzioni. Tale mancanza di
tutela degli studenti offesi può aiutare a spiegare perché nella
maggior parte dei casi rilevati (36,7%) si sia preferito non se-
gnalare neanche gli abusi. Il silenzio creato attorno a tali episodi
aiuta a spiegare, seppure solo in parte, come mai a fronte della
loro frequenza, una quota significativa di docenti dichiari di
non averne mai avuto notizia.

225
Fig. IV.9 - Provvedimenti seguiti agli episodi di molestia/abuso/discri-
minazione (valori percentuali)

La scarsa consapevolezza pedagogica di molti docenti rispetto


alle responsabilità richieste al proprio ruolo e la diffusa omertà
rispetto a quanto avviene nelle classi dei singoli docenti si som-
ma all’assenza di strumenti adeguati ad accertare la veridicità e
l’entità di tali episodi da parte dei vertici istituzionali, rendendo
la questione estremamente complessa da gestire, come spiega un
direttore intervistato (es. IV. 83).
Es. IV. 83 – Direttore di ISSM:
È una materia molto complessa questa (…) non è facile capire talvolta
chi ha ragione, non è che sono in polizia e faccio fare un’indagine: posso
cercare di capire chi ha ragione da elementi descrittivi, posso interrogare
i bidelli per capire (…) diventi tu da accusatore ad accusato se fai un
procedimento che non è supportato correttamente. Anche per questo
non credo che sia soltanto una questione di omertà da parte dei direttori,
ma anche di difficoltà a capire la situazione. Comunque in America c’è
il divieto di oltrepassare un metro tra il docente e lo studente, c’è un
regolamento, ci sono gli oblò nelle classi… [In qualche Conservatorio]
li hanno messi, ma in molti Conservatori non ci sono e non ci sono
testimoni quando uno è chiuso in classe, essendoci lezioni uno ad uno…

Il riconoscimento della complessità del tema non deve tutta-


via scoraggiare dal trattarlo, anzi costituisce un ulteriore incen-
tivo a farlo, vista la frequenza del fenomeno e la rilevanza delle
sue possibili conseguenze nello sviluppo personale, formativo e

226
professionale di allievi e allieve, valutando le possibili misure da
adottare per diffondere una cultura non discriminatoria, scorag-
giare tali comportamenti da parte dei docenti e tutelare il benes-
sere psico-fisico degli studenti.

1.2.3.4 Le punizioni corporali e verbali


Come abbiamo visto, la relazione maestro-allievo trae origine
dal modello didattico della bottega medievale, dove il padre bio-
logico trasferiva la propria potestà sui figli al maestro artigiano,
delegandogli anche il diritto di comminare punizioni fisiche in
caso di cattiva condotta. È dunque nei termini di un trasferimen-
to della potestà genitoriale – alla quale era un tempo consentito
l’utilizzo di pene corporali e intimidazioni come legittimi stru-
menti educativi (Lelli e Sorcinelli 2014) – che può essere letto il
ricorso dei maestri ad una serie di punizioni a carattere corporale
o invece psicologico di allievi e allieve del vecchio ordinamento28.
Tali pratiche appaiono maggiormente normalizzate all’interno
dei percorsi formativi dagli allievi maschi, più familiari a modelli
educativi basati su sanzioni corporali e regole autoritarie, mentre
risultano decisamente più traumatiche per le femmine, meno av-
vezze a tali modelli.
Le punizioni a carattere corporale (bacchettate, strattoni,
scappellotti) sono più frequenti nel periodo iniziale delle forma-
zione, quando gli allievi sono più giovani e l’intervento fisico è
ritenuto più efficace, e possono avere carattere generico se puni-
scono errori a carattere indistinto (come sbagliare o suonare male
un passaggio), o invece localizzato (alle mani, al torace, alle spal-
le) se intendono correggere una posizione specifica: una violinista

28. «La bottega artigiana medievale era una famiglia tenuta insieme più dal
rispetto che dall’amore. Il capofamiglia fondava la sua autorità, concretamente,
sul trasferimento di abilità tecniche. Era questo il ruolo del genitore surroga-
torio nello sviluppo dei fanciulli. Egli non dispensava amore; era pagato per
svolgere quella particolare funzione paterna» (Sennett 2008: 69).

227
ricorda, ad esempio, come il suo maestro - fumatore incallito
- mentre eseguiva gli esercizi in classe usasse porre la sigaretta ac-
cesa a pochi centimetri dalla mano, per scoraggiare l’assunzione
di una postura ritenuta non corretta.
Es. IV. 84 - Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:
[Il mio maestro] parlava del suo maestro, che quando non studiavi
ti dava un calcio nel sedere e ti faceva volare: della serie: “Non farti
vedere, vattene via…” Lui era un uomo severo, ma era tutto mirato
alla tua crescita, per dirti che se tu frequenti una scuola del genere
[come il Conservatorio] non te lo ha ordinato il dottore: lo fai per-
ché lo vuoi fare, devi innamorarti di quello che fai, lo devi fare con
passione….

Es. IV. 85 - Trombettista jazz, maschio, 55 anni:


Il professore di tromba trattava malissimo tutti ma soprattutto gli allie-
vi più piccoli. Ricordo la volta che, seccato, aveva sbattuto il bocchino
sulle labbra a un ragazzino che aveva difficoltà a suonare una frase sem-
plice. [Fresu 2009: 47]

Es. IV. 86 – Docente di ISSM di trombone, maschio, 45 anni:


[R]icordo avevo sbagliato un passaggio un paio di volte, al terzo anno,
e arriva lo scappellotto: “Stai attento!”. Se fai una cosa del genere oggi
ti mettono in manette!

Es. IV. 87 - Pianista, femmina, 35 anni:


[L]e ho visto anche mettere le mani addosso a molti studenti (…) uno
dei [suoi] problemi era che pestava le mani [degli allievi] (…) molto
sgradevole questa cosa... Infatti io mi ricorderò sempre questa cosa: che
io avevo tolto la mano e lei mi aveva fulminata perché mi ero permessa
di sottrarmi alla punizione...

Es. IV. 88 - Studentessa di ISSM di flauto, femmina, 25 anni:


Io non sapevo cosa fare (…) ho avuto un periodo, tra la quarta e la
quinta superiore, tornavo dalla lezione di flauto in lacrime, te lo dico a
cuore aperto… Ricordo ad esempio che per insegnarmi la respirazione
diaframmatica [il mio maestro] mi dava un pugno allo stomaco, o mi
dava steccate alle dita con la matita sulle unghie (…) per cose anche
immotivate …

228
Quando le punizioni appaiono del tutto immotivate (come
nell’estratto IV.88) emerge in maniera più distinta la loro funzio-
ne latente (Merton 1957: 60-69) di somministrare una pratica di
‘mortificazione del corpo’ per promuovere l’apprendimento della
disciplina e dell’ubbidienza; ciò spiega perché tali pratiche non
prevedano il sottrarvisi da parte dell’allievo (come nell’estratto
IV.87). Alla stessa funzione rispondono le ‘mortificazioni dello
spirito e della volontà’, punizioni verbali e comportamentali fat-
te di insulti, urla, offese, espressioni volte a sminuire le capacità
degli allievi, umiliandoli o mettendoli in imbarazzo davanti agli
altri (es. IV. 89-91). Tali vessazioni, probabilmente reiterate dai
docenti sul modello dei propri maestri, creano spesso negli allievi
– specie se femmine – forti disagi e un senso di sopraffazione, che
ne mina l’autostima, traducendosi talvolta in un malessere psi-
cofisico che può compromettere il percorso formativo. È infatti
importante ricordare che la maggior parte delle testimonianze
raccolte dalla presente ricerca sono quelle di musicisti e musiciste
che comunque, nonostante tali esperienze negative, sono riusci-
ti a proseguire nella carriera musicale; non hanno invece – se
non sporadicamente – intercettato quelle di coloro che, proprio
a causa di tali esperienze, hanno interrotto il loro percorso.
Es. IV. 89 – Studentessa di ISSM di canto, femmina, 30 anni:
[A]nche quando le nozioni del canto sarebbero giuste, davanti ad un
carattere brutto - non solo brusco ma proprio brutto - perché comun-
que si può essere duri, secondo me, ma comunque io risento molto
quando non c’è la stima e la fiducia reciproca… questo non vuol dire
l’insegnante amico del cuore: no, mai! Però io personalmente, non es-
sendo quadrata, ho risentito moltissimo quando c’era un approccio
[ostile], così tanti altri: stiamo parlando di insegnanti con i quali non
mi sono trovata male solo io, cioè, persone da cui la gente è scappata, di
allievi di questi ne continua uno su dieci. Poi mi rendo conto, però, che
alcune cose che mi ha detto [l’insegnante] negli anni erano validissime,
riemergono… però io prima di dire [giudizi negativi] su persone che
mi trovo davanti in qualità di insegnante ci metto tre, quattro, cinque
anni, insisto, perché dico: “Magari sono io…”

229
Es. IV. 90 - Pianista, femmina, 40 anni:
[L]a parte di pianoforte [al Conservatorio] fu un incubo: avevo un in-
segnante molto dura (…) avevo attacchi di panico i giorni prima delle
lezioni, stavo troppo male, somatizzavo molto, del tipo che qualche
volta saltavo la lezione perché avevo mal di stomaco fortissimo (…) [L]
ei era veramente molto molto preparata (…) però era completamente
fuori di testa, completamente pazza... [Metteva] tutto sul personale,
cioè: immagina, tu fai lezione ad una persona e se suona male le dici:
“Ma ti hanno dato psicofarmaci quando eri bambina?”

Es. IV. 91 – Studentessa di ISSM di viola, femmina, 18 anni:


[H]o iniziato a studiare qua [in Conservatorio] con una professoressa e
diciamo che usava dei termini... Cioè, comunque, io uscivo piangendo
dalle lezioni quasi tutte le volte (...) Era molto pungente, poi io son
sensibile, quindi me la prendevo anche sul personale...(…) Ero piccola,
quindi iniziava a dire anche che mi dovevo svegliare perché dormivo
in piedi - eppure a me non sembra di essere una persona che dorme -
insomma andava avanti così e a quel punto io avevo il rifiuto completo
dello strumento: infatti lo toccavo solo per andare a lezione. A quel
punto poi, anche con i miei genitori, abbiamo deciso di cambiare inse-
gnante e l’ho fatto molto volentieri...

Le punizioni rientrano all’interno di un modello didattico fina-


lizzato alla costruzione del virtuoso, nel quale l’assenza di gratifica-
zioni è finalizzata al creare nell’allievo una tensione costante verso
un miglioramento finalizzato al raggiungimento dell’eccellenza
(Wagner 2015, Kingsbury 1988), ma anche a confermare la sua di-
pendenza e subordinazione nei confronti del maestro, in assenza di
certezze riguardo alle proprie capacità (es. IV.92,93). Più in generale,
una relazione didattica fondata su rigore e disciplina mira a svilup-
pare nell’allievo l’interiorizzazione di un habitus del musicista clas-
sico professionista imperniato sullo sviluppo di una solida tecnica e
l’aderenza al testo musicale (come si evince dalla lettura dell’estratto
IV.94, tratto da un’intervista a Riccardo Muti, nel quale il celebre
direttore d’orchestra ricorda il primo incontro con Vincenzo Vitale,
suo nuovo maestro di pianoforte al Conservatorio di Napoli, dopo
il trasferimento dalla classe di Nino Rota al Conservatorio di Bari).

230
Es. IV. 92 – Pianista, femmina, 40 anni:
[E]ra una persona veramente dura, nel senso che non c’era [in lei] un
briciolo di umanità (…) questo probabilmente era, immagino, un suo
obiettivo: non far trapelare che io potessi essere un minimo brava o
potessi aver fatto bene quello che dovevo fare - anche questo, devo dire
l’ho pensato a posteriori, è una mia interpretazione: “Se le faccio capire
che è brava non studia più…”

Es. IV. 93 – Docente di ISSM di trombone, maschio, 45 anni:


[I]l mio insegnante con me è sempre stato molto rigido, raramente mi
ha fatto un complimento proprio perché - l’ho capito successivamente
- non voleva che mi montassi la testa. Giusto, più che giusto, dal suo
punto di vista; il mio è molto diverso, assolutamente, la mia didattica è
completamente diversa. Io stimolo tantissimo… perché sono cambia-
ti i tempi. Se ai miei tempi l’insegnante era l’insegnante, ti stai zitto,
perché quello che ti dice è oro colato, perché ti sta preparando ad una
professione, ad un futuro, eccetera, oggi è cambiata la realtà: l’inse-
gnante è uno di noi…

Es. IV. 94 - Pianista, direttore d’orchestra, maschio, 75 anni:


[M]i preparai all’incontro [con il Maestro Vitale] con l’intenzione di
fare bella figura. Al saggio, a Bari, avevo preparato il Carnevale di Vien-
na di Schumann e lo suonai nel corso della prima lezione, nella sua casa
di via Mergellina davanti a un panorama mozzafiato. Eseguii il pezzo
con impeto e la speranza di impressionarlo. Lui non mi disse nulla, non
mi fece i complimenti. Credette subito nelle mie doti. Però mi mise,
come suol dirsi, a pane e acqua. Mi fece abbandonare quello che avevo
imparato fino ad allora e mi impose quegli esercizi ortopedici per le
dita, tipici della sua straordinaria tecnica e della grande scuola piani-
stica napoletana che affonda le radici in Sigismondo Thalberg. Passavo
ore e ore al pianoforte, i miei familiari mi avranno odiato per quei
martellamenti continui, monotoni. A quei tempi non pensavo affatto
di diventare un direttore d’orchestra. Imparavo il pianoforte, la musica,
e imparavo, dal Maestro, cos’era una frase musicale, la fedeltà al testo.
[Muti 2014]29

29. Riccardo Muti e la figura del Maestro: “Ricordo quando mi mise a pane e
acqua”, Corriereuniv.it, 21 luglio 2014 (ultima consultazione:18/1/2018).

231
1.2.3.5 Le molestie sessuali
Come abbiamo visto, tra le forme più ricorrenti di abuso del
potere del maestro sull’allievo vi sono le molestie sessuali, più
spesso riguardanti la relazione tra docenti maschi e studentesse
femmine. Si tratta di una questione dibattuta da tempo in ambi-
to internazionale, specie anglosassone, nell’ambito educativo in
senso lato e con specifico riferimento alla formazione musicale,
viste alcune sue peculiarità che ne facilitano l’occorrenza30. Presso
i Conservatori italiani, invece, l’argomento è ancora tabù e gli
episodi di molestie sono in genere considerati come una faccen-
da personale riguardante il singolo docente o allieva. Tuttavia,
come visto, alcuni Conservatori hanno iniziato ad adottare delle
misure preventive e, come vedremo, nelle nuove generazioni di
docenti si registra una nuova sensibilità rispetto al problema e alla
necessità di gestirlo all’interno di una relazione formativa rispet-
tosa e a tutela dello studente.
Tra le condizioni che espongono le allieve di Conservatorio
ad un maggiore rischio di molestia vi è, in primo luogo, il fat-
to che la didattica è organizzata in lezioni individuali, svolte a
porte chiuse all’interno di aule in genere insonorizzate, le quali
prevedono anche un contatto fisico del maestro con gli allievi,
per indicargli la corretta postura allo strumento (es. IV.95). Ciò
facilità la commissione di abusi da parte del docente, consistenti
nel ricercare contatti fisici, non necessari ai fini didattici, con le
allieve, le quali avvertono una sensazione di disagio e fastidio,
senza tuttavia avere una prova incontrovertibile del fatto che il
gesto si costituisca come una molestia. Anche la confidenza che
può svilupparsi in una relazione formativa di lunga durata, come
quella tra maestro e allievo, e in un contesto formativo piacevole
e informale, come quello musicale, può facilmente consentire al

30. Il dibattito ha portato alla definizione e adozione, nella formazione musica-


le, di misure a tutela degli allievi e all’identificazione di pratiche didattiche non
sessualmente importune (Stuff 1997).

232
docente di giocare sull’ambiguità del significato da attribuire ad
inviti al di fuori del contesto scolastico (caffè, aperitivi, pasti)
o ad altri comportamenti (confidenze, galanterie o altri compli-
menti) non facili da documentare come molestie, sebbene non
graditi dalle allieve (es. IV.96). Inoltre, anche a fronte di prove
tangibili, le denunce non sono facili da portare avanti all’interno
di un contesto organizzativo che, mentre garantisce ai docenti
un’ampia autonomia nella gestione della propria classe, risulta
poco sensibile alla necessità di tutelare le allieve, specie le più
giovani, che si trovano spesso a dover affrontare in solitudine tali
situazioni. Tali esperienze possono perfino portare le allieve a de-
cidere di abbandonare gli studi musicali o, in ogni caso, segnare
il percorso formativo e professionale delle future musiciste (es.
IV.97).
Es. IV.95 - Oboista, femmina, 40 anni:
[L]a mia migliore amica studiava flauto e non può passare davanti ad
un Conservatorio senza stare male perché aveva questo insegnante che
era veramente molto, molto invadente, chiamiamolo così... Perché na-
turalmente con questa scusa che lo strumento è un aspetto fisico, no?
Metti la spalla così, la pancia cosà, respira qui...

Es. IV.96 - Studentessa di ISSM di flauto, femmina, 25 anni:


[E]ra discreto: perché la cosa che fanno in Conservatorio molto brutta
è che loro ti mettono in una situazione in cui tu non li puoi denunciare,
non puoi andare a dire: “Mi stanno molestando!”, perché è una cosa
così tanto velata, che tu ti senti che c’è qualcosa che non va e che ti dà
fastidio, che tu non lo puoi dire perché effettivamente non ti stanno
facendo nulla. Per cui quando io andavo a prendere un caffè con que-
sto docente (…) e magari mi toccava la mano così [sfiorando la mano
dell’intervistatrice, ndr] e poteva essere anche uno sbaglio, capisci? Io
non potevo andare a dire: “Mi ha toccato la mano!”(…) [Q]uesto [do-
cente] è uno di quelli che ancora adesso mi chiama per sapere se voglio
prendere un aperitivo: io non voglio aperitiveggiare con un docente!
Anche perché comunque con la musica è una cosa che si fa per piacere
e molto spesso confondono il tipo di rapporto: perché un docente è
sempre un docente, anche se è un musicista, anche se suona assieme e

233
ci si diverte, però bisogna avere l’accortezza di rimanere docenti, non
cercare di sconfinare in altro ambito, che sia l’amicizia, che sia altro.

Es. IV.97 – Docente di ISSM di musica da camera, femmina, 55


anni:
[A] me è successo un tentativo, ma dal professore di organo, che avevo
iniziato e ho smesso a causa di questo. Ha cercato di mettermi le mani
addosso ad una lezione e io me ne sono andata e non sono più tornata.
Ovviamente non ho avuto il coraggio di dirlo a mia madre, perché
avevo circa tredici anni…
C.C.- Né di dirlo al direttore?
No, no: perché loro sono furbi, perché lo fanno con le ragazzine che
rimangono talmente paralizzate solo all’idea: non sono riuscita a dirlo
neanche a mia madre, eppure ero in una famiglia [aperta]… Quando
ci ripenso dico: se io avessi avuto solo tre anni di più, ma gli avrei fatto
un casino! Anche perché ho iniziato presto a fare politica, coi collettivi
studenteschi, collettivi femministi…

Nelle nuove generazioni di docenti si assiste tuttavia ad una


nuova sensibilità rispetto al tema, che porta ad adottare singolar-
mente nelle proprie lezioni una serie di accorgimenti per garanti-
re ad allievi e allieve un ambiente di apprendimento sereno e sen-
za ambiguità (es.IV.98-99). Tuttavia, come già detto, la rilevanza
della questione richiederebbe una sua considerazione a livello
istituzionale, non solo lasciata all’iniziativa del singolo docente.
Es. IV.98 – Docente di ISSM di fagotto, maschio, 55 anni:
[Il mio maestro] era rispettoso, ma galante con le ragazze. Invece con
noi era più cameratesco, ci dava la pacca: “E svegliati!”. Lui premeva un
po’ sulla pancia [con le ragazze], ma con molta discrezione; io neanche
quello: proprio sto a due metri di distanza. Servirebbe, ma si può spie-
gare: preferisco capiscano meno [subito] e imparino un po’ alla volta,
senza invadere uno spazio che è privato.

Es. IV.99 - Flautista, maschio, 55 anni:


Però ci lavori un po’… Devo dire che non mai avuto problemi in questo
senso; ho sempre cercato di essere il più corretto possibile. Per dirtene
una stupida, se ho un allievo e gli dico: “No, attenzione, il diaframma
qui si deve muovere: senti qua” [mettendosi la mano nel torace, ndr]; io

234
non mi azzardo a farlo con una ragazza: mai, mai! Per immaginare, mi
è capitato facendo dei corsi di chiedere ad un’altra ragazza: “Scusa, le
puoi far sentire?”.

Tra le condizioni che espongono le allieve di Conservatorio ad


un maggiore rischio di molestia vi è, in secondo luogo, l’accentuata
asimmetria della relazione formativa maestro-allievo, basata sull’au-
torità indiscussa del maestro e sul coinvolgimento emotivo e affetti-
vo sviluppato nel lungo ed esclusivo percorso di studio. Non è raro,
nelle interviste, riscontrare il caso di allieve che hanno vissuto la rela-
zione con il proprio maestro nei termini di una sorta di ‘adorazione’
e, viceversa, di docenti che mostravano, specie nei confronti delle
allieve femmine, atteggiamenti di morbosa possessività. Anche se
tali atteggiamenti, come negli estratti di seguito (es. IV.100-102),
spesso non si risolvono in una relazione di tipo sessuale, sono tutta-
via rivelatori della posizione di estrema vulnerabilità alla quale sono
costrette giovani allieve, spesso immature dal punto di vista affettivo
(anche quando legalmente maggiorenni), a fronte della fascinazione
subita nei confronti del proprio maestro. Si tratta di situazioni estre-
mamente delicate, che richiedono una consapevolezza del proprio
ruolo e delle proprie responsabilità, non sempre presente nei docenti
maschi (es. IV.103). Ciò richiama alla necessità, per i Conservatori,
di adottare un codice deontologico, che richieda all’educatore di non
sfruttare la propria posizione di dominio nella relazione formativa e
di adottare un comportamento che tuteli l’integrità fisica e psichica
di allieve e allievi, rispettandone la sfera privata e personale.
Es. IV.100 - Docente di ISSM di violino, femmina, 55 anni:
[Il mio maestro] l’ho amato, odiato, ma soprattutto adorato perché era
una personalità pazzesca (…) [A]veva difficoltà di comunicazione, era
molto geloso, era gelosissimo di me, degli allievi (…) se frequentavo
un ragazzo mi faceva un disastro: “Ma cosa lo frequenti? Questo suona
male!”, queste erano le sue solite cose (…) [I]o adoravo il mio maestro,
mi piaceva tantissimo, però mai avuto nessun imbarazzo, neanche da
soli, no: anche se facevamo ore e ore da soli, fino a quando veniva

235
proprio il bidello a stanarci, un rapporto assolutamente [chiaro]… ma-
gari poi prendeva, si metteva a suonare lui, mi chiedeva delle cose: era
inusuale, però sempre lui il maestro e io l’allieva, e così anche io come
insegnante…

Es. IV.101 – Docente di ISSM di flauto, maschio, 50 anni:


[Il mio maestro] non si è mai comportato in modo scorretto, ma ha
spesso avuto un atteggiamento un po’ morboso nei confronti delle sue
allieve donne. Ha sempre avuto queste cose come: “Ma con chi ti sei
fidanzata, con quello scemo? Adesso non puoi più fare la flautista per-
ché ti sei fidanzata! Ah, questo profumo che hai oggi, preferivo quello
dell’altro giorno”. Io non l’ho mai visto essere sconveniente, mai visto;
però questo attaccamento morboso ce l’ha. Ti dico una cosa: c’è biso-
gno di grande responsabilità, perché la possibilità di transfert con una
allieva, cioè tra maestro e allieva – e probabilmente tra maestra e allievo
– è sempre dietro l’angolo. Devi avere una responsabilità e devi essere
veramente tutto d’un pezzo, perché è dietro l’angolo. L’insegnante ha
sempre questo fascino: queste sono ragazzine, ragazze… E io ho notato
che in colleghi ogni tanto c’è questo atteggiamento morboso…

Es. IV.102 – Docente di ISSM di canto, femmina, 45 anni:


Io ero innamoratissima del mio insegnante di [Conservatorio], io an-
davo a lezione solo per lui… non innamoratissima nel senso… avevo
un’adorazione per il mio maestro, che andava oltre la musica (…) Però
non ci sono mai stati fraintendimenti (…) [R]itengo che quando suc-
cedono queste cose, anche tra alunne e professori, ritengo che sia una
sorta di immaturità del professore, perché comunque, per quanto la
musica, per quanto la situazione, eccetera, comunque tu devi man-
tenere - o se non riesci a mantenerlo come uomo, mantienilo come
docente - un ritegno.

Es. IV.103 – Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 55 anni:


[Di casi] ce ne sono molti perché è una situazione veramente a rischio,
perché si è sempre da soli [in aula], in più c’è questo rapporto molto
stretto… gli uomini di una certa età entrano in questa fase qui e le
ragazzine tra i diciotto e i venticinque-ventisei anni sono un pericolo
psicologico molto forte…
C.C.- Io la vedrei dall’altra parte: mi pare siano le ragazzine ad essere in
pericolo, non gli uomini…
(…) Mah, sì, può darsi, in effetti sì; ma ci sono ragazzine che provocano…

236
C.C. - Una ragazzina che si trova a dover gestire una cosa del genere non
sempre ha la forza caratteriale, davanti ad una infatuazione che può avere
per il suo maestro, di distinguere le diverse dimensioni, non sempre ha la
maturità per farlo…
Sì, e il professore delle volte non ha la maturità di resistere, e poi succe-
dono disastri… Questo al [corso] tradizionale; all’accademico è diverso
perché sono maggiorenni: in genere si mettono insieme, [i docenti]
divorziano dalla loro moglie…

1.2.4 La didattica: uniformità dei programmi


vs. singolarità delle scuole
Nei percorsi del vecchio ordinamento del Conservatorio la
didattica appare ancora spesso orientata ad un apprendimen-
to basato su processi imitativi, come tipicamente previsto nel
modello della formazione artigianale. Tale approccio sembra
svolgere diverse funzioni: consentire ad allievi piuttosto giovani
di superare le difficoltà di apprendimento di un procedimen-
to complesso, come la pratica musicale; illustrare con la forza
dell’esempio l’efficacia di determinate tecniche o le dinamiche
di alcuni passaggi interpretativi agli allievi di livello più avan-
zato; affermare la credibilità del maestro come modello da ri-
produrre agli occhi dell’allievo; ovviare alle difficoltà esplicative
verbali e concettuali dei docenti (es. IV.104-106). Il possesso di
buone competenze teoriche e capacità esplicative da parte del
docente non sembra riuscire a sostituire del tutto la forza dell’e-
sempio diretto – assente, ad esempio, nel caso di docenti che
hanno interrotto la loro attività artistica (es. IV.104,105). Tut-
tavia, anche una didattica esclusivamente basata sull’imitazione
può rivelare i suoi limiti: ad esempio nel caso di allievi facilitati
da un approccio più scientifico e concettuale all’apprendimento
(es. IV.107), o nei quali l’impostazione proposta dal maestro
come modello da imitare non risponde alle proprie peculiarità
fisiche o interpretative.

237
Es. IV.104 – Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:
[Il mio maestro] suonava in classe, è normale, perché è difficile spiegare
tutto a parole. Anche io lo faccio: per essere credibile devi fargliela sen-
tire qualcosa [agli allievi].

Es. IV.105 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 50 anni:


[P]rima il Conservatorio era quello che era, perché anche tanti inse-
gnanti che non erano chissà cosa hanno tirato su degli allievi, che han-
no poi suonato bene. La mia insegnante, ad esempio, non ha mai fatto
una nota in classe. Però quando mi dicono: “Non è detto che un bravo
strumentista sia un buon insegnante”: si, d’accordo, però tutta la prima
fase dell’apprendimento si fa per imitazione, quindi il fatto che uno
suoni e sia un buono strumentista è già tanto.

Es. IV.106 – Docente di ISSM di quartetto d’archi, maschio, 55 anni:


[D]ipende molto dall’insegnante: c’erano docenti che non suonano,
ma sono abbastanza chiari ed esplicativi nel parlare e ci sono docenti,
invece, come lui [il mio maestro], che non erano chiarissimi nelle spie-
gazioni, però con lo strumento in mano…

Es. IV.107 – Docente di ISSM di trombone, maschio, 45 anni:


Il mio maestro aveva una grandissima natura [musicale], gli venivano le
cose facili, ed è il peggiore insegnante che tu possa trovare. Perché non
ti sa spiegare perché riesce a ottenere le cose: “Fai così!” e poi su imita-
zione. Che è una tecnica fantastica quando ti trovi ad avere a che fare
con un allievo verso il quale certi discorsi tecnici e didattici non fanno
presa. Perché ti trovi quello che adora ascoltare tutto il moto tecnico. Io
scrivo tantissimo alla lavagna, esempi, faccio la schermografia di come
lavora addome, petto, laringe, però c’è l’allievo che si perde e allora è
meglio che ascolti. Però se sei un insegnante che non riesce a dissociare
queste due eventualità, allora ti trovi nei guai.

Nel terzo capitolo abbiamo visto come la costruzione di


un’offerta formativa moderna – basata sull’oggettivazione
del sapere, la razionalità del metodo, la standardizzazione dei
programmi, la verifica dei risultati – rappresentasse una del-
le strategie adottate dal Conservatoire parigino per superare in
prestigio i Conservatori italiani seicenteschi, legati all’instabile
variabilità di un sapere quasi esoterico, fondato sulla soggettivi-

238
tà del singolo maestro e la singolarità della sua scuola, incapace
di garantire uno standard didattico uniforme. Questo tratto del
Conservatorio italiano del Seicento, «dove ogni scuola pren-
de il colore del maestro che la conduce e dove la forma e lo
spirito delle lezioni varia quanto i nomi dei professori» (Pier-
re 1900:140), è ancora rintracciabile in quello del Novecento,
come si evince dagli estratti riportati sotto (es. IV.108-110).
Ciò può creare agli allievi notevoli difficoltà nel caso in cui si
trovino nel loro corso di studi ad avere assegnati docenti dif-
ferenti – come capita, ad esempio, nel caso di pensionamenti
o supplenze – ognuno dei quali rivendica la validità del pro-
prio approccio (es. IV.109), o nel caso in cui la tecnica di una
data scuola non sia congeniale alle caratteristiche dell’allievo
(es. IV.110). Solo più raramente si raccolgono testimonianze ri-
guardanti maestri ‘bravissimi’, che riescono ad avere un approc-
cio meno esoterico e più empirico alla didattica, modellabile a
seconda delle caratteristiche specifiche dell’allievo (es. IV.111).
Es. IV.108 – Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:
Lui [il maestro] era attaccatissimo a questa scuola di contrabbassisti
che suonano con grande potenza, ci credeva… quindi non è che la
lezione fosse molto aperta a nuove tecniche: lui era fermo nell’inse-
gnamento, tu dovevi fare quello che diceva lui, basta, perché la scuola
era quella.

Es. IV.109 – Trombettista jazz, maschio, 55 anni:


[L’] insegnante pretendeva che [una volta sostituito il bocchino] io
cambiassi completamente l’impostazione delle labbra e la posizione
della bocca. Dal suo punto di vista aveva ragione lui, ovviamente, ma
durate il primo anno avevamo cambiato diversi insegnanti e ogni volta
ci trovavamo in balia di nuove filosofie di approccio e di impostazione
che ci obbligavano a ripartire da zero. [Fresu 2009: 47]

Es. IV.110 – Studente di ISSM di canto, maschio, 30 anni:


[L]a mia maestra [di Conservatorio] è molto tollerante. Sono stato
molto fortunato, perché (…) i cantanti sono tutti un po’ divi e perciò
c’è un po’ questa mentalità: se l’allievo risponde a quello che insegno,

239
magari non perché ho un particolare merito ma perché è portato, o se la
tecnica che insegno, che è la mia, su dieci persone con un paio funzio-
na, questi due vanno benissimo, gli altri non funzionano: non perché è
un problema mio, ma perché sono loro che non riescono a seguirmi…
Quindi c’è una sorta di spocchia, nel senso che è difficile trovare un
maestro di canto che ti dica umilmente: “Guarda, evidentemente io
non sono il maestro giusto per te, rivolgiti a qualcun altro”.

Es. IV.111 - Studentessa di ISSM di canto, femmina, 30 anni:


[M]i è capitato un insegnante, che mi dà abbastanza la parte scientifi-
ca, quantomeno una buona base (…): delle cose riscontrabili, efficaci,
e non solo per il singolo; perché chiaramente l’insegnante conosce il
proprio strumento; il bravissimo insegnante conosce il proprio e gli
altri tipi di strumento e quindi non tende a far assomigliare ogni voce
alla propria…

Ad uniformare le esperienze formative degli allievi di Con-


servatorio nel vecchio ordinamento sono i programmi di esame,
definiti con Regio decreto nel 1930. Questi si incentrano sul su-
peramento delle prove del corso principale (compimento inferio-
re, medio e diploma), consistenti nell’esecuzione di repertori di
difficoltà tecnica e interpretativa crescente, volti a favorire la mas-
sima selettività: «[s]i veniva così a sancire definitivamente una
classe docente autoreferenziale e che alimenta i propri duplicati,
pur garantendo un notevole livello medio in termini di prepara-
zione tecnica di tutti gli studenti» (Maione 2005: 53). Il buon
livello di preparazione tecnica, ma anche stilistica e interpretativa
(sebbene talvolta appresa per imitazione, senza una corrispon-
dente consapevolezza musicologica), garantito dal vecchio ordi-
namento si riscontra nell’apprezzamento riscosso da molti degli
intervistati e dei loro allievi all’estero (es. IV. 112-113), oltre che
dai celebri casi di direttori d’orchestra, musicisti e cantanti di
fama mondiale formatisi nei Conservatori italiani.
Es. IV.112 – Flautista, femmina, 40 anni:
C’è una cosa che tengo molto a dire (…) Io sono arrivata in Germania e il
mio maestro qua, uno dei più grandi flautisti francesi, mi ha detto: “Chape-

240
au: a ventuno anni hai fatto tutto questo repertorio, a livelli molti buoni”.
Questa è una cosa che vorrei rimarcare: perché ci sono molti difetti [nel
Conservatorio italiano], però ci sono tante persone e tante cose positive…

Es. IV.113 – Docente di ISSM di trombone, maschio, 45 anni:


Il suono degli italiani, ce lo conferma una mia allieva che è stata in Ger-
mania, ha fatto la prova [di selezione] con l’insegnante che l’avrebbe
dovuta accogliere in classe per il Master biennale, per capire quali fos-
sero le loro esigenze, e si è sentita dire: “Non ho mai sentito un suono
così bello”, e non è niente di particolare rispetto al suono conosciuto
qui, in Italia…

L’impostazione del ‘vecchio ordinamento’ presenta anche li-


miti significativi, evidenziati da tempo nel dibattito sulla forma-
zione musicale in Italia, di cui si è discusso nel terzo capitolo.
Tra questi, uno dei principali riguarda l’impostazione più presta-
zionale che musicale degli studi (Colarizi 1971, Maione 2005),
orientati verso l’eccellenza tecnica richiesta al concertista virtuoso
(Kingsbury 1988, Wagner 2015), assurto a modello ultimo di
realizzazione professionale. Nell’ambito didattico ciò porta a raf-
forzare quelle competenze e l’adesione ai valori e ai rituali finaliz-
zati alla costruzione dell’habitus del virtuoso, sminuendo le pra-
tiche musicali ritenute incompatibili con tale figura (es. IV.114).
Es. IV.114 – Docente di ISSM di quartetto d’archi, maschio, 55
anni:
Quando eravamo piccolini [in Conservatorio] c’erano due tipi di mi-
nacce: una era: “Guarda che se non studi finisci in orchestra…”; quan-
do ci dicevano questo eravamo proprio seduti in un angolo, con le
orecchie d’asino; “Se neanche ti prendono in orchestra, guarda che poi
sarai costretto a insegnare alle scuole medie!”, questa era la seconda
minaccia (…) Perché eravamo tutti preparati, teoricamente avremmo
dovuto fare il solista… un po’ è rimasta ancora adesso nonostante la
Riforma [questa impostazione] …

In particolar modo nel caso dei pianisti e dei violinisti, i


maestri si fanno spesso promotori di un ideale solipsistico del

241
musicista, scoraggiando le già ridotte attività complementari
che prevedono pratiche di musica di insieme (come la musica
da camera o le esercitazioni orchestrali); riproponendo un ac-
costamento reverenziale al repertorio, inteso come una sorta di
‘testo sacro’ da fissare nella mente e riproporre fedelmente31; in-
centivando forme di confronto competitivo con gli allievi degli
stessi anni delle altre classi, impegnati nello studio dello stesso
programma d’esame. Tale habitus è più facilmente incorpora-
to dagli allievi che presentano una personalità più istrionica ed
esuberante, mentre quelli più emotivi e riservati stentano a farlo
proprio, anche a causa della sofferenza vissuta per i metodi con
i quali è talvolta imposto da parte del maestro (es. IV.115-117).
Es. IV.115 - Pianista, femmina, 35 anni:
[La mia maestra] mi chiamava ‘tesoro’ o ‘bambina mia’ (…) per quanto
io la temessi e l’ho temuta fino all’ultimo giorno - ancora a quattordici
anni quando andavo a lezione da lei era un batticuore - però era un’af-
fettuosità quasi da nonna nei confronti della nipote, anche se era una
persona molto precisa e molto severa (…) Il timore derivava dal fatto
che secondo me al Conservatorio, non solo con lei ma anche succes-
sivamente, si vive molto il confronto con gli altri, secondo me viene
fomentato molto dagli insegnanti: cosa che può avere dei lati positivi,
ma se si è un po’ sensibili non è molto positivo, penso. Cioè: il con-
fronto è positivo se è costruttivo, ma se diventa una specie di gara a chi
sbaglia di meno, ovviamente i bambini più sensibili sono quelli che
pagano di più, quelli più spavaldi vincono sempre, anche studiando
meno, al momento del saggio, dell’esecuzione, del concerto sono quelli
che rendono di più…

Es. IV.116 - Docente di ISSM di violino, femmina, 55 anni:


Ho iniziato col violino e ne ero entusiasta, mi piaceva tantissimo (…)
ero contentissima, a differenza di mia sorella, che non ne poteva più:

31. Tale fedeltà, come già chiarito, è intesa non in termini filologici, bensì di
adesione al canone classico, così come storicamente codificato intorno alla fine
dell’Ottocento (Weber 1999). Ciò porta, ad esempio, ad eseguire la musica ba-
rocca prevista nei programmi d’esame adottando prassi esecutive, testi musicali,
tipologie di strumenti appartenenti al periodo romantico e post-romantico.

242
anche se lei era molto brava, però lei, per esempio, non sopportava
questa cosa di suonare in pubblico. Quindi da lì io ho capito che ero
molto più esibizionista di lei… Io ho questa convinzione, chiunque
entri in un Conservatorio per suonare è esibizionista (…) può essere
l’amore per la musica, però è anche il fatto che piaccia suonare con un
pubblico…

Es. IV.117 - Studente di ISSM di canto, maschio, 30 anni:


Io non sono emotivo: si, un minimo si, però non [tanto]… A me piace,
ecco, un po’ devi essere egocentrico, ti deve piacere un po’ il palco (…)
Ecco, io ricordo che il primo saggio in auditorium (…) mi ricordo
l’adrenalina del palco e dicevo: “Questo mi piace…”. Cioè, anche l’e-
sperienza in questo caso è utilissima: da lì è sempre nata di più l’idea [di
fare il cantante per professione].

Un banco di prova dell’avvenuta incorporazione dell’habitus del


musicista virtuoso è costituito dai saggi di fine anno – momento
partecipato della vita del Conservatorio del vecchio ordinamento –
e dalle prove di esame, specie quelle degli ultimi anni. In entrambi
i casi il setting ripropone una simulazione dei rituali del concerto
classico: abbigliamento elegante, palcoscenico illuminato, sala al
buio e in perfetto silenzio, esecuzione di brani da concerto del re-
pertorio classico-romantico senza spartito (a memoria). Tali rituali
sono caricati da alcuni maestri di una valenza simbolica tale, che
arriva a creare una forte tensione emotiva in loro stessi (una pianista
ricorda la valeriana presa dalla sua docente per vincere l’ansia prima
delle prove), poi trasmessa agli allievi più emotivi e meno spavaldi,
più spesso femmine (es. IV.118). Come vedremo anche successi-
vamente, tali docenti sono spesso legati a scuole pianistiche che ri-
propongono una visione ottocentesca della performance del solista
come un’esperienza spirituale, di riproduzione della musica assoluta
(Kingsbury 1988: 126). Decisamente meno traumatici i ricordi de-
gli allievi di docenti con un approccio più mondano al momento
della performance, sdrammatizzato in quanto pratica normalizzata
all’interno della vita scolastica o professionale (es. IV.119).

243
Es. IV.118 - Musicologa, femmina, 40 anni:
[P]oi arrivavano questi saggi di pianoforte che erano un inferno, perché
diventavano due mesi in cui non facevi nient’altro, con una pressione
emotiva fortissima (…) [M]i ricordo che facevamo i saggi di prepara-
zione [per l’esame di ottavo anno], così per provare un po’ i pezzi e ad
un saggio andai totalmente in tilt: c’era lei [la mia insegnante] che mi
batteva la matita per darmi il tempo dal pubblico... [I]o mi alzai e me
ne andai senza salutare nessuno, perché fu una cosa [disastrosa]: dovetti
riprendere due o tre volte da capo, perché la memoria era andata com-
pletamente, insomma un disastro…

Es. IV.119 - Pianista, femmina, 35 anni:


Altra cosa che ho capito più da grande, quando sono passata con il
maestro X, era che la mia prima docente aveva un metodo di insegna-
mento molto buono però - come posso dire - era proprio didattico:
il fatto che anche per il saggio ci doveva essere la prova generale e che
quindi dovevi quasi trovarti nelle stesse condizioni [del concerto],
fare la prova dello strumento: tutte queste cose nel ragazzino creano
sensazioni di panico. Quando sono passata nella classe di [X], per
quanto anche lui ci tenesse ai saggi, è come se mi avesse acceso una
lampadina sull’aspetto più pratico, e cioè il fatto che il lavoro poi non
è quello: nel lavoro tu non ti troverai mai a fare tutte queste prepara-
zioni prima del concerto, tutti questi rituali… appartiene più ad una
scuola datata.

I repertori cui fanno riferimento i programmi di saggi ed


esami rispecchiano scelte estetiche rispondenti al canone clas-
sico-romantico, con qualche piccola concessione al repertorio
classico contemporaneo al periodo della loro definizione, ovve-
ro gli anni Trenta del Novecento (Maione 2005). Ciò conduce
ad una sostanziale esclusione, all’interno del Conservatorio del
vecchio ordinamento, di pratiche musicali relative a generi,
stili, approcci, non rientranti all’interno di tali confini32. La
domanda crescente per un’istruzione professionalizzante in
32. Nel cortometraggio di animazione Disney Music Land la battaglia tra stru-
menti musicali antropomorfi appartenenti, rispettivamente, alla Terra della
Sinfonia e all’Isola del Jazz, si ricompone attraverso un matrimonio celebrato
sul nuovo Ponte dell’Armonia, che riuscirà a collegare le due sponde separate

244
mondi musicali differenti da quello classico-romantico (musi-
ca antica, jazz, rock, pop), la quale – come abbiamo visto – è
intercettata attraverso iscrizioni dall’offerta del Conservatorio,
deve convertirsi non solo agli strumenti previsti dal vecchio
ordinamento, ma anche ai repertori associati alla formazione
dei musicisti classici. In particolare, la crescente domanda di
formazione professionalizzante in ambito jazz, seguita alla sua
affermazione nel corso del Novecento come mondo musicale
legittimato in ambito internazionale (Lopes 2002), sarà deli-
beratamente ignorata dai docenti di Conservatorio («non po-
tevo pronunciare questa parola – jazz – col maestro», raccon-
ta un docente di trombone), preoccupati dai possibili effetti
di ‘contaminazione’ sull’ideale di musica assoluta dominante
nel campo della formazione musicale professionalizzante (es.
IV.120-121), nonché della eventuale svalutazione delle proprie
competenze professionali. Gradualmente, tuttavia, nei Conser-
vatori emergono docenti appassionati del genere, che – quasi
come dei carbonari – si ritrovano a suonare in circuiti ester-
ni nei quali attirano gli allievi (Fresu 2009: 48), o comunque
poco interessati a ragionare in termini di musica colta e musica
popolare, ma piuttosto di buona e cattiva musica (es. IV.123).
Es. IV.120 - Trombettista jazz, 55 anni, maschio:
Verso la fine del terzo anno [di Conservatorio] partecipai al concerto
dell’istituto tecnico industriale [dove mi ero diplomato] (…) Quella
mattina c’era lezione di tromba, perciò inventai una scusa (…) Il pro-
blema fu che [il mio insegnante] (…) sentì la musica ed entrò (…) Non
solo mi vide suonare ma mi vide suonare jazz, una musica che lui repu-
tava immonda, addirittura pericolosa. Da quel giorno i nostri rapporti
già freddi e difficili divennero ancora più conflittuali. Alla fine dell’anno
scolastico mi diede tre, scritto in grande e in rosso affisso pubblicamente
nella bacheca al terzo piano del conservatorio. [Fresu 2009: 50]

dal Mare della Dissonanza. Il cortometraggio fu distribuito negli Stati Uniti


d’America nel 1935, gli stessi anni in cui veniva definito il vecchio ordinamento
che organizza per oltre un secolo il Conservatorio italiano.

245
Es. IV.121 - Docente di ISSM di tromba jazz, maschio, 40 anni:
Chi viveva [in città] aveva facilità a reperire materiale sulla tromba
di musica classica; per me [che vivevo in un piccolo paese] era mol-
to difficile, dovevo farmi sdoppiare le cassette, no? Passando molto
tempo [in paese], dove nessuno aveva quel materiale là, i miei amici
e gli amici di mio padre iniziavano a passarmi le registrazioni di jazz:
“Eh, c’è la tromba…”. Quindi io ho iniziato ad ascoltare jazz per
avere delle registrazioni dove ci fosse la tromba e da lì ho iniziato ad
appassionarmi. Poi per me il jazz rappresentava la musica del mistero,
perché nessuno sapeva spiegarmi esattamente cosa fosse. Perché in
Conservatorio – non adesso che si insegna pure – ma quando c’ero
io studente era come bestemmiare in chiesa (…) [Al mio maestro]
avevo provato a buttargli lì: “Ma del jazz, cosa ne pensa?”. No, il jazz
bisognava lasciarlo fare ai negri, perché lo possono fare solo loro! Ov-
viamente mi ero fatto due risate e continuavo per conto mio a seguire
le cose che mi andava di seguire…

Es. IV.122 - Trombettista jazz, maschio, 55 anni:


[Il nuovo maestro] era molto più anziano [rispetto al primo insegnante]
ma aveva una mentalità aperta e amava la buona musica. Tutta la buona
musica. Gli feci capire che volevo prendere il diploma per una decisione
personale e certo non perché avrei fatto l’orchestrale o il concertista classico.
Era un aspetto della musica che non m’interessava. Quello che volevo era
affinare la tecnica classica per poterla mettere al servizio del jazz, la mia
musica. Lui comprese subito e mi accettò nella sua classe. [Fresu 2009: 51]

1.3 La professionalizzazione: il miraggio del concertismo solistico


1.3.1 Precocità della vocazione professionale
e reazione familiare
Alla precocità delle scelte e delle rinunce richieste dalla
formazione musicale professionalizzante, così come definita
all’interno del vecchio ordinamento, corrisponde un precoce
manifestarsi della vocazione professionale, tra gli allievi che
scelgono di concludere il percorso formativo in Conservatorio.
Osservando l’ultima colonna a destra della tab. IV.10 possiamo
notare come, tra i docenti intervistati, una quota significativa
(il 38%) dichiari di aver pensato di intraprendere seriamente la

246
professione musicale già nel periodo coincidente con la scuola
primaria (6%) o con la scuola secondaria inferiore (il 33%),
un’età in cui la maggior parte degli studenti ancora non si pro-
ietta in un orizzonte lavorativo; ciò è più spesso vero nel caso
degli strumenti a indirizzo classico (le categorie B e C), le più
precoci nell’avvio. È tuttavia nel periodo coincidente con la
scuola secondaria superiore che la maggior parte dei futuri do-
centi (il 47%) pensa seriamente di intraprendere la professione
musicale, anche in questo caso in anticipo su molti coetanei.
Per una quota significativa di cantanti (il 21% della cat. A), i
quali iniziano successivamente rispetto ai colleghi il percorso
formativo, e di docenti di nuove discipline (il 26 della cat. E), la
cui formazione spesso segue percorsi meno lineari rispetto alle
altre categorie, la decisione sorge anche successivamente, ma
comunque solo in rari casi supera i trent’anni.

Tab. IV.10 - Che età aveva quando per la prima volta ha pensato di
intraprendere la professione musicale seriamente? (valori percentuali, per spe-
cializzazione docente e complessivi)

Coorti di età A B C D E F Totale


0-5 1,9 1,2 0,9 0,0 1,1 0,8 0,9
6-10 3,8 7,8 5,2 3,2 5,6 4,1 5,7
11-15 26,9 33,4 36,5 30,1 30,0 32,5 32,3
16-20 36,5 45,6 50,4 54,2 37,8 44,7 46,7
21-25 21,2 11,1 6,1 11,6 25,6 13,0 12,6
26-29 7,7 0,7 0,9 0,0 0,0 4,1 1,3
30> 1,9 0,2 0,0 0,9 0,0 0,8 0,5
Tot. 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Pop. rif. 52 434 116 216 92 126 1036

La reazione dei genitori a fronte di una scelta professionale


anticipata e difficilmente reversibile varia nelle rilevazioni, princi-
palmente in relazione alla generazione e alla posizione professio-
nale e culturale del nucleo familiare degli intervistati.

247
Nel caso dei docenti di Conservatorio che hanno parteci-
pato al questionario (tab. IV.11.1), la reazione è stata accolta
nella maggior parte dei casi (il 55%) con entusiasmo – sebbene
tale entusiasmo, come appurato nelle interviste qualitative, si
manifesti talvolta solo a seguito dei primi successi professionali,
dopo una prima fase caratterizzata da scetticismo o preoccupa-
zione. La distribuzione delle risposte per categoria di specia-
lizzazione dei docenti mostra come l’entusiasmo sia massimo
per le famiglie di docenti di strumenti classici ad arco e a fiato
(B, C), maggiormente legittimati nell’ambito delle professioni
musicali, e minimo nel caso dei docenti di discipline musicolo-
giche (F), legati a professionalità meno riconosciute all’interno
della professione musicale, provenienti da famiglie con titoli di
studio più alti, per i quali è più alta la quota di reazioni paren-
tali di indifferenza.
Non emergono differenze significative nella distribuzione
secondo il genere del docente, mentre osservando la distri-
buzione per coorte di età (tab. IV.11.2) si nota come la per-
centuale di famiglie che reagiscono con preoccupazione alla
scelta di intraprendere una professione musicale aumenti con
il diminuire dell’età del docente, in coincidenza con il restrin-
gersi delle opportunità offerte dal mercato del lavoro per tali
professioni.
Tab. IV.11 - Come hanno accolto la decisione di intraprendere la pro-
fessione musicale i suoi genitori?
IV.11.1 – Valori percentuali per specializzazione disciplinare docente

A B C D E F Totale
Con disapprovazione 11,5 3,0 5,2 6,5 6,7 7,3 5,2
Con entusiasmo 46,2 60,6 58,3 56,5 47,8 40,7 55,3
Con indifferenza 11,5 8,1 9,6 7,9 11,1 20,3 10,0
Con preoccupazione 30,8 28,3 27,0 29,2 34,4 31,7 29,4
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

248
IV.11.2 – Valori percentuali per classe di età docente

<39 40-49 50-59 >60 Totale


Con disapprovazione 5,0 2,7 3,0 3,4 5,2
Con entusiasmo 50,0 59,5 58,6 57,4 55,3
Con indifferenza 5,0 2,7 5,9 8,5 10,0
Con preoccupazione 40,0 35,1 32,5 30,7 29,4
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Le interviste qualitative consentono di approfondire alcune delle


ragioni della disapprovazione o preoccupazione familiare rispetto a
tale scelta professionale. Ad emergere è la presenza di un pregiudi-
zio – le cui origini storiche in Italia sono state discusse nella seconda
parte del volume – sulla pratica musicale come attività puramente
ricreativa – sia essa svolta in salotto o negli scantinati – e del musicista
come ‘naturalmente’ provvisto di doti funamboliche allo strumento
o alla voce, che non richiedono una particolare preparazione di cultu-
ra musicale generale per essere sviluppate (vedi estratti IV.123-124).
Es. IV.123 - Docente di ISSM di pianoforte, femmina, 55 anni:
Il musicista italiano era considerato un po’ un bifolco, diciamo così: un
personaggio musicante, uno che suona ma non sa dove è messo, che
comunque non è un portatore di cultura, ma una persona che tuttalpiù
può dilettare più o meno il prossimo con le sue capacità acrobatiche…

Es. IV.124 - Flautista, femmina, 40 anni:


Io in Italia a tutt’oggi, ma tutta la mia vita, quando mi chiedevano:
“Che lavoro fai?” (o: “Che lavoro vorrai fare?”, quando ero piccola) e
rispondevo “Musicista!”, tutti rispondevano: “Si, ma di lavoro?”. Qui
[in Germania] quando dico che sono musicista tutti rispondono: “Ach,
Schön: un lavoro molto bello e molto faticoso!”.

In quanto pratica ricreativa, la musica rappresenta per i genito-


ri di diversi intervistati un’attività da riservarsi a tempi e luoghi al-
ternativi e residuali rispetto a quelli - centrali nella vita del cittadi-
no - della scuola e del lavoro, come legittimamente definiti – che,
conseguentemente, escludono il Conservatorio. Questa convin-
zione accomuna sia i genitori – più spesso i padri – appartenenti

249
a categorie professionali medio-alte o alte (es. IV.125-126), cul-
turalmente legati al pregiudizio della tradizione classico-umani-
stica sulle professioni manuali, che quelli appartenenti alle classi
medie o medio-basse (es. IV.127, 128), più vicini alla distinzione
tra lavoro produttivo e improduttivo della civiltà industriale. In
entrambi i casi la scelta dei figli sembra dunque disapprovata dai
genitori, prima ancora che in vista delle conseguenze in termini
di mobilità intergenerazionale, sulla base di un giudizio morale
che condanna la tendenza a cercare solo il lato piacevole della vita,
procrastinando l’assunzione delle responsabilità legate all’età adul-
ta, associate ad un lavoro stabile e socialmente riconosciuto. Solo
il riconoscimento di un talento naturale, rivelatore di una ‘pre-
destinazione’ alla carriera artistica, ma non una ‘grande passione’
per la musica, sembra giustificare il sottrarsi dei figli a percorsi
formativi e professionali ‘normali’ (es. IV.125).
Es. IV.125 – Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 55 anni:
C.C. - Come è presa in famiglia la sua decisione di diventare pianista?
Un dramma! Cioè: gli piaceva moltissimo fin che era il figlio bravo
che ascoltava solo musica classica invece che quella rock, eccetera; però
quando ho detto: “No, voglio fare il pianista…” proprio coincide il
fatto che non è che [un genitore] vede che ha un figlio che è un prede-
stinato, invece se è uno che semplicemente ha una grande passione…
Però poi mi hanno aiutato, mi hanno sostenuto (…) poi il mio diploma
è andato molto bene, ho cominciato a fare dei concerti e farmi un po’
conoscere in città, erano anche orgogliosi… Poi, quando si trattava di
avere problemi a trovare lavoro, di nuovo la faccenda [riemergeva]…

Es. IV.126 - Studentessa di ISSM di canto, femmina, 30 anni:


Ci sono stati almeno dieci anni di scontri con mio papà, che vedeva
sempre [la musica] come il dopo-scuola: questa cosa non è diventata
più il dopo-scuola [in famiglia] dopo dieci anni che la facevo…

Es. IV.127 – Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:


[Di allieve femmine] ne avevo una bravissima (…) però i genitori alla
fine l’hanno fatta ritirare, per iscriverla all’Università, perché ritenevano
che questa Scuola [il Conservatorio] non offrisse nulla.

250
Es. IV.128 – Flautista, femmina, 40 anni:
Mio padre ha l’orecchio assoluto, una persona che ha un talento musi-
cale molto forte - cantava da ragazzo nelle band, ha imparato da solo a
suonare la chitarra - e io credo di non avergli mai perdonato principal-
mente questo: che lui stesso volesse affrontare uno studio musicale e gli
era stato impedito, e lui voleva a sua volta impormi una scelta magari
più incentrata su un studio normale - che so, [il corso di laurea in] Eco-
nomia e commercio - qualsiasi cosa tranne la musica, perché riteneva
che suonare si può suonare nel tempo libero, il lavoro è un’altra cosa…

1.3.2 Le attività esterne al Conservatorio:


lavoretti, apprendistato, specializzazione
Già a partire dagli ultimi anni di studi, che precedono l’esame
di diploma del vecchio ordinamento, molti allievi di Conserva-
torio trovano dei lavoretti, specie nell’ambito di mondi musicali
esterni rispetto a quello classico professionale – banda musicale,
complessini, orchestrine, scuole pubbliche – in seno ai quali svol-
gono le prime attività lavorative (i ‘lavoretti’). Sebbene in genere
slegate rispetto al percorso formativo in Conservatorio (tanto da
essere spesso celate ai maestri), tali attività si rivelano occasioni
estremamente significative per la costruzione dell’identità profes-
sionale: da un lato, consentono di mettere alla prova le proprie
competenze musicali in un campo ‘non protetto’, esterno al Con-
servatorio; dall’altro lato offrono le prime conferme rispetto alla
possibilità di poter vivere di una professione che consente di fare
ciò che piace (es. IV.129-131) – possibilità, come visto, spesso
contestata in ambito familiare e sociale.
Es. IV.129 - Percussionista, maschio, 40 anni:
[I]o avuto sempre la fortuna che fin da bambino, da quando avevo undici
anni, con la mia professione riuscivo a guadagnare, e anche abbastanza
soldi, perché nel momento in cui entri in Conservatorio sei considerato
già un po’ un professionistello, quindi ero il re di tutte le bande musicali
di [X], mi chiamavano per fare il free lance, gli serviva una cosa, un servi-
zio… [H]o iniziato anche a insegnare nelle scuole di musica delle bande,
perché progredivo (…) anche se ti davano ventimila lire al mese, per te

251
erano soldi perché a quell’età lì erano comunque soldi che poi ti rimane-
vano e mettevi [da parte]… io tutto quello che spendevo lo spendevo per
la musica (…) volevo fare quello, mi piaceva e mi dava soddisfazione (…)
poi quando riesci in una cosa è anche facile incentivarla…

Es. IV.130 - Docente di ISSM di violino, femmina, 55 anni:


[A] me piaceva tanto l’idea di entrare in orchestra, pagavano molto
bene, anche (…) [A] diciassette anni, andare in trasferta con l’orchestra
voleva dire fare la valigia, prendere e partire per quattro giorni, con i
miei fratelli che mi guardavano con odio: io avevo soldi, cioè mi pa-
gavano, mi pagavano pure il ristorante, la trasferta…per cui per una
ragazzina era una cosa inusuale e andavo a fare una cosa che mi piaceva
moltissimo, che è suonare…

Es. IV.131 – Docente di ISSM di clarinetto, maschio, 50 anni:
Allora, dopo il diploma, nell’84, mi hanno subito chiamato ad insegnare
educazione musicale nella scuola media (…) facevo supplenze, lavoravo:
molto prima avevo iniziato a suonare da ballo, nelle orchestre, si gua-
dagnava bene, magari adesso! (…) Dall’età di sedici-diciassette anni ho
iniziato con lo strumento a guadagnare. Non erano professioni così [re-
munerative], però suonavo da ballo, alla banda mi davano qualcosa, alla
scuola media lavoravo, poi facevo lezioni nella scuola della banda, varie
cose… però purtroppo tutte queste cose sono andate avanti fino al 2011!

Il valore di tali attività dal punto di vista formativo, motiva-


zionale ed esperienziale porta gli allievi o neodiplomati a ricer-
carle anche quanto la ricompensa è irrisoria o non è di natura
monetaria, come nell’estratto IV.132. Tali attività contribuiscono
inoltre ad avviare la costruzione di un curriculum di titoli artisti-
ci, utile per la richiesta di borse di studio o per la presentazione
di domande per l’insegnamento, una volta conseguito il diploma.
Es. IV.132 - Flautista, maschio, 55 anni:
Io dal quarto anno di strumento con un mio amico fraterno [compagno
di Conservatorio] abbiamo battuto la [regione X] palmo a palmo suo-
nando in duo di flauti per panini col salame. Andavamo dai preti: “Ci fa
fare un concerto per la chiesa?”; “Ma non abbiamo soldi…”; “Eh, non
importa, ci arrangiamo” - ci offrivano una pizza (…) questo entusiasmo
di suonare dappertutto si è rivelato un investimento preziosissimo.

252
Quando le attività musicali degli allievi o neodiplomati ri-
guardano contesti legittimati all’interno del mondo musicale
classico - concerti da solista, in ensemble da camera o orchestrali
- sono invece sostenute e talvolta incentivate dai maestri di Con-
servatorio. In alcuni casi sono gli stessi docenti, specie quando
ancora attivi nel campo professionale, ad inserire gli allievi più
meritevoli all’interno di tali reti esterne, fungendo da veri e pro-
pri elementi di connessione tra la sfera formativa e quella profes-
sionale. Nel primo degli estratti riportati di seguito (es. IV.133) il
maestro introduce un allievo di Conservatorio nel Teatro presso
il quale suona – un doppio impiego pubblico consentito fino
alla fine degli anni Ottanta – seguendolo da mentor in un vero e
proprio apprendistato all’interno dell’orchestra.
Es. IV.133 - Docente di ISSM di fagotto, maschio, 55 anni:
Il mio maestro è stato bravo perché cinque-sei allievi (…) è riuscito a
sistemarli in orchestre. Oggi sarebbe impossibile: anche per quelli che
hanno vinto le audizioni, me compreso. Mentre prima c’era proprio
questo rapporto di bottega, dove chi insegnava era anche prima parte
nei Teatri e tutte le persone che seguivano nella fila venivano dalla loro
scuola; oggi (…) ricordo ancora il mio maestro che mi buttava appena
poteva a fare il primo [la parte principale, ndr] e controllava da dietro
o da lontano se tutto andava bene, se sentiva problemi di ancia – che
era per noi una cosa lunghissima da imparare - arrivava, faceva finta di
niente e mi dava un colpettino, mi rimetteva nelle condizioni di andare
bene…

Agli allievi più talentuosi dei corsi di strumento a maggiore


vocazione solistica, invece, i maestri prospettano più spesso la
carriera del virtuoso come modello aspirazionale cui tendere pri-
oritariamente, scoraggiandone ulteriori attività – remunerate o
non remunerate – che lo distolgano da tale obiettivo (es. IV.134).
Es. IV.134 - Docente di ISSM di violino, femmina, 55 anni:
[I]n quel periodo l’Orchestra aveva pochi stabili, pochi impiegati che
erano proprio stabili come professori d’orchestra e quindi c’erano dei

253
posti [vacanti] e chiamavano gli aggiunti (…) potevano essere anche
degli allievi (…) È lì che c’è stato il conflitto con il mio maestro, perché
il mio maestro voleva che studiassi e basta e quando sentiva parlare di
orchestra si infuriava (…) suonare in orchestra vuol dire cinque ore
di lavoro (…) anche finire (…) all’una di notte e poi magari l’indo-
mani mattina dovevi andare a lezione (…) [M]agari altri insegnanti
dicevano: “Ah, vai a suonare!”. Lui invece chissà cosa pensava (…) che
diventassi solista di violino (…) perché lui era così [un grande solista] e
quindi chi studiava con lui doveva pensare solo a fare il grande solista,
no? Bella come cosa, però stiamo un attimino in terra…

Le pressioni dei docenti verso il modello solistico tendono ad


essere più forti nel caso degli allievi delle classi di pianoforte, per i
quali le occasioni di apprendistato, lavoretti e successivo impiego
all’interno del campo professionale classico risultano comunque
più limitate (a causa, ad esempio, delle difficoltà nel poter dispor-
re di uno strumento adeguato nelle trasferte, dell’assenza di posti
disponibili nelle bande e – salvo rare eccezioni – nell’organico
orchestrale), con l’eccezione dell’area della didattica, e comun-
que più esposte alla competizione, visto il più ampio numero di
diplomati rispetto ad altri strumenti.
Per riuscire a lanciare la carriera solistica i giovani pianisti lavora-
no al superamento di concorsi, nazionali o internazionali, tra quelli
reputati a loro più accessibili in termini di capacità e risorse relazio-
nali, che consentono di collocarsi all’interno del mercato professio-
nale (es. IV.135). I concorsi, a loro volta, sono preparati da concerti-
ni per collaudare davanti ad un pubblico il repertorio studiato. Tali
esperienze possono anche servire ai giovani musicisti per realizzare
quando il percorso professionale intrapreso non è quello giusto: in
particolare i caratteri peculiari della professione del concertista solista
(lo studio solitario, il protagonismo, gli standard di eccellenza tecni-
ca e interpretativa, la competizione) possono risultare estremamente
onerosi dal punto di vista psicologico da sostenere per chi, per natura
o per formazione, non riesce ad adeguarvisi (es. IV.136). È in tali
casi che spesso si aprono per i giovani musicisti deviazioni delle car-

254
riere verso percorsi occupazionali non adeguatamente valorizzati o
del tutto ignorati all’interno del Conservatorio (musicista da camera,
pianista accompagnatore, manager dello spettacolo, liutaio, tecnico
luci o suono, docente di musica, musicologo o critico musicale), che
– come nell’estratto IV.137 – possono rivelarsi più consoni alla pro-
pria vocazione professionale e più gratificanti in termini relazionali.
Es. IV.135 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 55 anni:
[Prima] (...) vincere un concorso nazionale voleva dire avere una misura
esatta di quello che succedeva in Italia e posizionarti in base a questa
misura.

Es. IV.136 - Musicologa, femmina, 35 anni:


[La mia docente] mi ha insegnato molto, però questo aspetto legato
al momento della performance era talmente emotivamente frustrante,
disastroso, che io da adulta ho capito che non potesse essere il mio
mestiere perché prima di andare a suonare - ho fatto due anni in cui ho
tentato veramente di fare concerti, magari riuscivo anche a guadagnare
qualcosina così - ma io i giorni prima speravo che mi investissero per
strada: capisci che non è possibile?!

Es. IV.137 - Pianista, femmina, 35 anni:


[C]ome intraprendi lo studio di qualcosa, lo fai perché ti piace o ti
appassiona o ti interessa. Però durante il percorso, che per la musica
è molto lungo, si creano anche delle deviazioni. Lo dico perché io ho
fatto Conservatorio e continuato con l’Accademia, pensando e illuden-
domi di poter far una carriera da solista, che in parte ho fatto o faccio,
ma ovviamente non è la prima fonte di guadagno… Nel percorso mi
sono resa conto che c’era una varietà di possibilità lavorative, che prima
neanche avevo considerato, che mi sarebbero piaciute e che si sarebbero
meglio adattate alle mie peculiarità. Per esempio, il fatto di leggere velo-
cemente [a prima vista] l’ho scoperto solo dopo (…), il fatto di suonare
musica da camera - che si fa al Conservatorio ma non tantissimo - l’ho
sviluppato con musicisti molto bravi e mi sono accorta che fare un con-
certo in duo mi tira fuori il massimo, piuttosto che fare recital da sola.

Chi prosegue nella carriera solistica gradualmente apprende


a riconfigurare la figura idealizzata del virtuoso cui era stato so-

255
cializzato in Conservatorio nei termini di una attività mondana,
soggetta come le altre professioni alle contingenze del contesto
lavorativo (es. IV.138-139). Ciò porta a sostituire ai rituali che
simbolicamente inquadravano il solista come esclusivo protago-
nista del processo di riproduzione della musica assoluta, una serie
di trucchi del mestiere e strategie di adattamento alla mutevo-
lezza delle condizioni ambientali in cui ci si trova a suonare, che
portano a riconfigurare anche il concerto solistico come frutto
di un’azione congiunta di un numero variabile di persone, che
dispongono di attrezzature e materiali di diversa qualità e quantità
(Becker 2004), svolta in differenti condizioni fisiche e ambientali.
Es. IV.138 - Pianista, femmina, 35 anni:
Il fatto che ho appurato anche lavorando giovanissima è stato questo:
che nell’ambito lavorativo ti trovi nelle condizioni di doverti, non dico
improvvisare, ma di dover suonare nelle condizioni peggiori, improvvi-
samente, più disparate… e quindi se sei abituato a tutta quella ritualità
e a tutta quella preparazione rischi di trovarti, spaesato, scioccato. In
teatro mi è capitato inizialmente anche di dover suonare a distanza di
pochissimi giorni brani che ho letto in pochissimi giorni, direttamente
in pubblico, direttamente in orchestra: tutto ciò cozza con tutto quello
che mi era stato [insegnato].

Es. IV.139 - Pianista, maschio, 55 anni:


[H]o imparato a studiare nei ritagli di tempo, però studio tanto… Non
ho più bisogno di studiare metodicamente e ossessivamente alcune
cose. Per esempio, la vita professionale mi ha insegnato ad arrivare in
un posto e a non trovare pianoforte, fare una scala e andare in camerino
a cambiarmi. Tu mi dici: “Ma come cavolo fai?”. Per me è normale,
anzi lo preferisco, perché o il tempo per provare durante la tournée
è tanto, oppure se è poco è meglio farne pochissimo, e lasciare il mo-
mento dell’espressione veramente al momento del concerto, la capacità
di concentrazione su tutto, tutto lì (…) Ho imparato a studiare nei
ritagli di tempo e anche studiare mentalmente (…): fa più una buona
predisposizione, che tante ore di studio fatte male, in maniera nervosa.

Mentre sviluppano le prime esperienze lavorative o si pre-


parano per le audizioni nelle orchestre o per i concorsi, gli al-

256
lievi iniziano a realizzare i limiti della propria formazione, così
come attuata all’interno del Conservatorio e cercano di acce-
dere a nuove reti formative, spesso a carattere internazionale.
La partecipazione a tali reti consente di prendere coscienza di
pregi e difetti della propria preparazione, confrontandola con
quella di coetanei provenienti da diverse parti del mondo, ma
anche della preparazione del proprio maestro, a fronte di quella
di rinomati docenti. Proprio quest’ultimo fatto porta spesso i
docenti di Conservatorio a scoraggiare l’iscrizione degli allie-
vi a corsi di formazione e specializzazione che non rientrino
sotto il loro diretto controllo. Gli allievi talvolta ubbidiscono,
rinunciando a malincuore a nuove occasioni (es. IV.140), altre
volte decidono di andare contro il volere del proprio docente,
segnando un primo passo verso l’emancipazione dalla sua au-
torità esclusiva (es. IV.141). Non sempre il momento in cui
l’allievo prende scelte in autonomia e si avvia verso una carriera
più prestigiosa rispetto a quella del maestro è facile da gestire
per quest’ultimo: il timore della perdita della centralità del pro-
prio ruolo nella relazione l’allievo, o l’emergere di una frustra-
zione legata ad una carriera ritenuta non rispondente al proprio
talento, porta spesso i maestri a mostrarsi ostili e antagonisti
rispetto a tali scenari (es. IV.142). Ciò rende talvolta necessa-
rio per l’allievo operare una sorta di ‘parricidio parmenideo’,
che - senza rinnegare il contributo del primo maestro alla loro
formazione - consente loro di proseguire autonomamente nella
costruzione della propria formazione professionale. Non man-
cano tuttavia quei maestri di Conservatorio che, come visto in
precedenza, incoraggiano l’apertura dei propri allievi a nuovi
stimoli ed esperienze, suggerendo percorsi di specializzazione
mirata e indicando i luoghi e i docenti più adatti per realizzarla,
sentendosi orgogliosi e partecipi dei progressi da loro raggiunti
nel corso della carriera (es. IV.143).

257
Es. IV.140 - Violinista, femmina, 55 anni:
[I] corsi di perfezionamento li ho iniziati a fare proprio alle supe-
riori: erano corsi tenuti da lei [la mia docente] e dal marito (…)
[I]o cercai anche di proporre qualcosa che fu regolarmente cassato
(…) una volta doveva venire [un celebre violinista] e doveva fare
un corso e lei li veramente aveva tirato fuori un astio, aveva tirato
fuori questo lato di insicurezza suo - perché questo era secondo me
- aveva detto: “Lo fai, non lo fai, lo fai, non lo fai...” e alla fine aveva
deciso che non lo facevo. Rimasi molto delusa, perché ci tenevo
moltissimo...

Es. IV.141 - Pianista, maschio, 55 anni:


[T]otalmente una mia iniziativa [andare a fare corsi di specializzazione]
(…) [N]on posso dire di aver avuto un tipo di insegnamento [dalla
docente in Conservatorio] che mi spingeva a raggiungere un livello più
elevato; al contrario, semmai mi tirava il freno… però per me, para-
dossalmente è stato il motore contrario, cioè: più tiravano il freno dal
punto di vista didattico e più io sfondavo la rete, insomma… Molte
cose nella vita funzionano al contrario…

Es. IV.142 - Docente di ISSM di oboe, maschio, 55 anni:


Secondo me lui [il mio maestro] aveva bisogno di sentirsi ammirato,
invece quando una persona lo contestava o prendeva un’altra direzione
si offendeva, era un po’ permaloso. Lo ha fatto anche con me quando
sono diventato suo collega: c’era sempre un po’ la gara; invece per me
rimaneva sempre il maestro, anche quando ho fatto scelte differenti.

Es. IV.143 - Flautista, maschio, 55 anni:


Mah, secondo me un insegnante deve partire dal presupposto che essere
superati non è un punto di arrivo. Primo, probabilmente è anche un
tuo merito. La [X, mia ex allieva] fa cose più importanti di quelle che
faccio io, per me il fatto che nelle interviste scriva che io sia un suo
mentore è per me un motivo di orgoglio incredibile…

Anche al fine di evitare eventuali conseguenze derivanti dalla


scelta di opporsi all’autorità del docente nel proprio percorso di
studi, più spesso gli allievi scelgono di frequentare i corsi di spe-
cializzazione una volta concluso il ciclo di studi in Conservatorio
e ottenuto il diploma. La specializzazione si realizza sia in Ita-

258
lia che all’estero e può avere caratteri molto differenti, quanto –
come già visto – le esperienze formative che hanno caratterizzato
i percorsi degli allievi in Conservatorio. Talvolta ha carattere più
estemporaneo e prevede lezioni individuali all’interno di piccoli
gruppi, di durata limitata (pochi giorni o poche settimane): si
tratta di Master Class o Scuole estive tenute da celebri musici-
sti, che consentono di fregiare il proprio curriculum di nomi e
luoghi rinomati e legittimati e di inserirsi in una rete nazionale o
internazionale di contatti professionali o di farsi strada all’interno
di comparti di nicchia meno competitivi. Altre volte la specializ-
zazione ha carattere più strutturato e duraturo, segue un processo
più rigoroso di selezione degli allievi ammessi e si traduce in un
rapporto di insegnamento più mirato ed esclusivo col maestro:
ciò può essere realizzato accedendo ad una scuola di perfezio-
namento musicale pubblica o privata o invece attraverso lezioni
private, con docenti noti per le loro capacità didattiche, oltre che
artistiche. Nel caso di scuole o docenti privati i costi delle lezioni
sono spesso alti e richiedono agli allievi di ricorrere a borse di
studio o al sostegno della propria famiglia (es. IV.144). Tali per-
corsi sono inoltre spesso faticosi, in quanto i nuovi maestri pro-
pongono approcci tecnici o stilistici spesso assai distanti rispetto
a quelli appresi dal maestro di Conservatorio, ormai interiorizzati
e incorporati dagli allievi. Ciò richiede ai giovani musicisti di
intraprendere un lento e defatigante processo di decostruzione di
automatismi e certezze, per reimpostare da capo l’emissione della
voce o l’approccio allo strumento: un investimento oneroso, in
termini di tempo e denaro, che tuttavia spesso porta i suoi frutti
(es. IV.145).
Es. IV.144 - Docente di ISSM di pianoforte, femmina, 55 anni:
I miei studi erano molto costosi (…) ovviamente accedere a questi ma-
estri [conosciuti a livello internazionale] non è semplice, ci sono anche
dei giri da fare. Naturalmente quando si è giovani si tende a mitizzare
molto per fortuna, perché è meglio così… (…) Non solo il maestro

259
vuole sopravvivere, perché ha tutto il diritto, ma chiaramente se vuole
arrivare ad un certo livello, non solo come tenore di vita personale,
sociale, eccetera, ma anche come rinomanza, deve mettere su un giro,
sia come organizzazione, ma anche un giro di conoscenze: è tutto molto
costoso per chi lavora privatamente a livello internazionale…

Es. IV.145 - Flautista, docente di ISSM, femmina, 50 anni:


L’insegnante con la quale mi sono diplomata non era una grande in-
segnante: scrupolosa, dignitosa, ma non aveva grandi capacità, né mu-
sicali, né pedagogiche. E quindi l’insegnante di esercitazioni mi disse:
“Hai buone doti, ma questa insegnante non ti può più di tanto aiu-
tare…”. L’ho fatto un po’ più tardi e gliene sono grata, perché mi ha
aperto un mondo, era tutta un’altra dimensione. Questa, che era una
grandissima insegnante, aveva un sistema per le lezioni private (…): ti
teneva a lezione gratis per un mese e poi decideva se tenerti o meno.
Tra l’altro prendeva pochissimo per quello che valevano le lezioni, un
valore incalcolabile. Per me è stato l’apertura di un mondo fino ad allo-
ra sconosciuto rispetto al flauto e alla tecnica flautistica: avevo diciotto
anni ho ripreso in mano tutto dall’inizio, gli studi tecnici, e ho studiato
molto con lei, almeno altri sette anni, poi diradando le lezioni. Nel
frattempo, facevo anche un po’ di concerti e attività professionale (…)
Ho ricominciato praticamente da zero e quello è stato molto duro: per-
ché ricominciare a fare i suoni lunghi per capire come usare le labbra
e il fiato in tutt’altro modo rispetto a come avevo fatto fino ad allora è
stato duro… Però ho capito che valeva la pena e che poteva essere una
buona scommessa, anche se lunga e faticosa, ed ha dato i suoi frutti,
ha funzionato!

1.3.3 Diventare docenti di Conservatorio:


dinamiche del reclutamento e motivazione professionale
Nonostante la precocità e la varietà di esperienze che caratte-
rizza il loro ingresso nel mercato del lavoro, gli allievi del vecchio
ordinamento spesso faticano a trovare una stabilità occupazio-
nale. Le differenti testimonianze raccolte hanno in comune le
difficoltà incontrate dai giovani musicisti nel raggiungere una
condizione di equilibrio economico, a fronte delle caratteristi-
che distintive del mercato del lavoro artistico – fatto salvo per
una ristretta élite che raggiunge le vette del successo: precarietà,

260
stagionalità, basse remunerazioni, elevata disoccupazione (Men-
ger 1999). Tali condizioni subiscono un deterioramento a partire
dagli anni Ottanta, decennio nel quale inizia una contrazione
della domanda nel mercato delle professioni musicali, mentre
aumenta l’offerta di diplomati in Conservatorio (Salvetti 2000).
Da questo punto di vista, la docenza in Conservatorio sempre
di più si presenta per i giovani diplomati come uno sbocco oc-
cupazionale ambito, per la sua garanzia di un reddito stabile, a
fronte di un impegno orario assai ridotto e dunque conciliabile
con ulteriori attività artistiche, e della sua coerenza con l’habitus
professionale interiorizzato.
La rivalutazione dalla professione di docente di Conserva-
torio, tuttavia, nasce talvolta anche dalle delusioni o dalle fati-
che sperimentate intraprendendo percorsi che parevano inizial-
mente più allettanti. Gli intervistati che hanno proseguito nella
strada prospettata come più prestigiosa dal vecchio ordinamen-
to del Conservatorio – il concertismo solistico – raccontano
della difficile sostenibilità psicofisica, nella carriera del virtuoso,
della condizione solitaria del lavoro, delle fatiche dello studio
mnemonico, del logorio delle continue trasferte, delle difficoltà
a mantenere vivo l’entusiasmo iniziale (es. IV.146-147). Anche
il lavoro nell’orchestra di una importante fondazione lirico-sin-
fonica può presentare condizioni di lavoro (ripetitività, stan-
dardizzazione, controllo centralizzato, turnazione) che possono
contrastare con le esigenze professionali o personali dei musici-
sti (es. IV.148-149).
Es. IV.146 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 55 anni:
[Il mestiere del pianista] è logorante, tanto, tantissimo… intanto è un
mestiere solitario, non c’è niente di più solitario che fare il musicista; e
poi perché comunque ti lascia talmente tanto da pensare, che alla fine
ti ci perdi nei pensieri (…) È una professione molto logorante a livello
fisico, viaggiando tanto ti stanchi moltissimo, ed è stancante perché
devi trovare l’entusiasmo di fare delle cose, per cui a volte l’entusiasmo
non ti viene e devi ritrovarlo: non è facile, è molto faticoso…

261
Es. IV.147 - Docente di ISSM di pianoforte, femmina, 55 anni:
Io ho continuato a lungo a suonare [come solista], poi da un certo
punto in poi ho smesso di fare la solista perché mi son stufata: ci vuole
troppo impegno, ci vuole molto allenamento, soprattutto suonare a
memoria è un incubo, e io ad un certo punto mi son stufata e quindi
ho fatto musica da camera e molto duo con mio marito.

Es. IV.148 - Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:


[L]’orchestra, una volta che ci entri - adesso non vorrei dire una cor-
belleria - è come lavorare all’ufficio postale: hai cinque ore di prove
al giorno, sei sempre lì, non ti danno permessi per nulla e per niente,
devi fare sempre la solita attività… quello mi spaventava un po’. Ho
suonato al Teatro dell’Opera (…) entri in buca la mattina, esci la sera,
è come lavorare in miniera! Se non c’è un’organizzazione dietro, che ti
permette di avere dei ruoli, per esempio, nell’orchestra, per migliorare
il tuo livello professionale (…) Allora quando sono passato di ruolo ho
scelto immediatamente il Conservatorio, perché mi consentiva di fare
l’uno e l’altro, anche se guadagnavo di meno, perché gli stipendi sono
inferiori. Da questo punto di vista poi sono stato anche gratificato,
perché ho avuto classi di allievi abbastanza bravi…

Es. IV.149 - Docente di ISSM di fagotto, maschio, 50 anni:


Io ho optato per il Conservatorio perché sono diventato padre. Nell’
‘88-‘89 sono uscite le leggi sull’incompatibilità tra le carriere, mi hanno
dato cinque giorni di tempo per scegliere tra Conservatorio e Teatro:
da precario in entrambi ho scelto il Conservatorio (…) fortunatamente
[l’immissione in ruolo] uscii dopo un anno, poi non usci più per tanti
anni…

Tuttavia l’accesso alle docenze in Conservatorio, ma soprattut-


to la successiva stabilizzazione in ruolo, segue logiche non facil-
mente prevedibili, legate ai personalismi localistici nell’affido delle
supplenze, al meccanismo ondivago delle graduatorie/sanatorie,
ai risultati delle sei prove di esame del ‘Grande Concorso’33 della
prima metà degli Novanta, ai vincoli posti all’organico assegna-

33. Ringrazio il docente di pianoforte che mi ha inviato il suo dettagliato, tragi-


comico racconto degli anni trascorsi ad attendere, preparare e sostenere le prove
del Grande Concorso.

262
to in dotazione a ciascun Istituto. Ciò porta ad una fortissima
sperequazione nelle carriere dei giovani musicisti, a seconda delle
differenti possibilità di incontro tra le risorse personali e sociali
possedute e le caratteristiche contingenti della domanda di lavoro.
Per molti di coloro che si diplomano negli anni Sessanta e
Settanta, quando fioriscono nuove sedi di Conservatorio, i pri-
mi incarichi di insegnamento arrivano immediatamente dopo il
diploma e il periodo di precariato è relativamente breve; per le
generazioni successive la situazione si complica a fronte della ri-
duzione dei posti disponibili e dell’aumento del numero di diplo-
mati. Un esempio della crescente aleatorietà cui sono sottoposte
le traiettorie occupazionali dei docenti di Conservatorio è offerto
dai due stralci di interviste riportati di seguito, che confrontano
l’esperienza di due docenti di strumenti a fiato, coetanei e diplo-
matisi brillantemente negli stessi anni, i quali si inseriscono nel
mercato del lavoro a metà degli anni Ottanta. Il primo intervi-
stato (es. IV.150), grazie al maestro di Conservatorio - anche pro-
fessore nell’orchestra di una Fondazione lirico-sinfonica - inizia
a lavorare come precario nell’orchestra già prima di diplomarsi e
tale esperienza gli consente – come ai colleghi del decennio pre-
cedente – un accesso immediato alla docenza in Conservatorio,
prima da precario, poi di ruolo. Anche il secondo intervistato
(es. IV.151) inizia a lavorare sin da giovanissimo, sia all’interno
di circuiti legittimati (orchestra sinfonica) che esterni all’ambito
musicale classico (orchestra da ballo liscio, scuola media), ma la
stabilizzazione in Conservatorio arriverà solo dopo un trentennio
di defatigante precariato, vissuto nella costante tensione necessa-
ria a tenere insieme un’identità professionale frammentata, fun-
zionale alla sussistenza economica; una condizione occupazionale
ed esistenziale che anticipa quella di molti dei giovani lavoratori
flessibili delle attuali generazioni (Bertolini 2012), non soltanto
musicisti («Siamo stati dei pionieri!», ironizza l’intervistato).

263
Es. IV.150 - Docente di ISSM di fagotto, maschio, 50 anni:
A diciotto anni ho lavorato un mese in Teatro e ho guadagnato il dop-
pio di mia madre, che faceva l’insegnante. Con quei soldi mi sono per-
messo gli studi estivi [in una Masterclass] e da lì ho incominciato a
suonare [in concerti]: subito dopo diplomato ho vinto l’audizione in
Teatro, ho suonato da subito: l’anno successivo, grazie al fatto che ero
primo fagotto in orchestra, ho vinto la cattedra di fagotto al Conser-
vatorio di [X] e quindi facevo due lavori contemporaneamente: per
cinque anni credo di non avere avuto un giorno di ferie!

Es. IV.151 - Docente di ISSM di clarinetto, maschio, 50 anni:


[H]o fatto il precario [dalla metà degli anni Ottanta, fino a quando]
sono entrato di ruolo nel 2011 alla scuola media [e poi] al Conservato-
rio, quindi mi sono dovuto licenziare dalla scuola… (…) Io mi ricordo
della fatica che facevo, l’impegno, perché facevo tre-quattro cose dove
la musica era il leitmotiv - ho lavorato anche coi centri sociali con i
ragazzi disabili, per dire - però una era diversa dall’altra e mi accorgevo
che non facevo bene nessuna delle quattro cose, perché c’era un gran
dispendio di energie, perché dovevo viaggiare per la scuola, suonavo in
orchestra sinfonica [altrove] (…) Poi mi sono accorto che la pressione
era salita, ero un po’ stressato, però mi rendevo conto che non potevo
mollare niente, perché tutte le cinque cose tenevano l’equilibrio eco-
nomicamente…

Neanche il prestigio o la qualità delle esperienze di spe-


cializzazione e dell’attività artistica post-diploma si converto-
no necessariamente in un vantaggio competitivo nell’accesso
alla docenza in Conservatorio. Le logiche del reclutamento
seguono infatti spesso criteri di tipo personalistico e localisti-
co, premianti per gli allievi che – senza allontanarsi dalla sede
di formazione – vi avviano subito dopo il diploma la carriera
didattica (es. IV.152,153).
Es. IV.152 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 55 anni:
[P]raticamente avevo appena compiuto diciotto anni, mi viene data
una supplenza - pensa alla fortuna rispetto al discorso che facevamo
prima [sull’attuale precariato dei docenti più giovani] - mi viene data
una supplenza: nelle classi di canto servivano degli accompagnato-
ri al pianoforte e siccome al Conservatorio [di X, nel Mezzogiorno],

264
in quel periodo, non ci voleva venire nessuno, c’erano sempre queste
classi sguarnite, mancava sempre l’accompagnatore… Allora, l’allora
direttore (…) siamo alla fine degli anni Settanta (…) aveva fatto un
concorsino interno tra studenti e mi aveva assegnato delle supplenze,
prima delle supplenze temporanee chiaramente, che poi con il tempo
erano diventate supplenze annuali e poi dopo qualche anno ero passato
di ruolo…

Es. IV.153 – Docente di ISSM di pianoforte, femmina, 55 anni:


[N]on mi sono diplomata [nel Conservatorio dove ho iniziato e
ora insegno], non avevo lo sponsor dell’insegnante che comunque
conta moltissimo, anzi… Questo l’ho capito molto dopo parlando
con delle colleghe che son rimaste belle qui, attaccate come cozze:
ho capito che io ero vista come una traditrice, non solo dalla mia
maestra - quello lo potevo anche capire, ci stava - ma dall’ambien-
te… Quindi io facevo queste domande di supplenza e (…) non
avevo né il patrocinio dell’insegnante, le mie ex colleghe di studio
avevano già insegnato ed erano anche di ruolo, alcune (…) passate
di ruolo così, in maniera molto veloce, proprio fulminea, e subivo
i loro giudizi…

Chi riesce a diventare docente di Conservatorio, specie se


stabilizzato, risulta complessivamente soddisfatto della propria
condizione occupazionale. Questa è l’opinione di gran parte
dei docenti che hanno partecipato al questionario (l’85%). Il
principale motivo di tale soddisfazione fa riferimento a fattori
specificamente vocazionali (fig. IV.10), ricorrenti anche per
altre categorie di insegnanti (Argentin e Pavolini 2014): la
risposta “mi piace insegnare musica/la mia disciplina” ottiene
oltre il 67% delle preferenze, alle quali si sommano quelle
relative al contesto lavorativo (l’ambiente di lavoro è scelto
dall’11%, i nuovi stimoli introdotti dalla Riforma, dal 6%
dei docenti). Meno frequenti le motivazioni a carattere più
strumentale, per le quali il lavoro di docente di Conservatorio
consente il raggiungimento di altre priorità: una buona con-
ciliazione con attività artistico-professionali condotte paral-
lelamente (13%), il poter fare affidamento su uno stipendio

265
fisso (3%), il poter disporre di tempo libero da dedicare a
famiglia o hobby (1%)34. L’attività di docenza in Conserva-
torio è conciliata con ulteriori impegni professionali, svolti
dalla maggior parte degli intervistati (il 67%) (fig. IV.11): dal
concertismo alle registrazioni in studio, dalla composizione
all’organizzazione di eventi o rassegne musicali o culturali,
dalla conduzione di programmi radiofonici o televisivi alla
pubblicistica scientifica o divulgativa, alla partecipazione nel-
le giurie di concorsi nazionali ed internazionali, alle lezioni
private (un’attività spesso non dichiarata fiscalmente, per que-
sto probabilmente sottostimata nei risultati del questionario).
Tali attività consentono ai docenti di aggiornare i propri titoli
artistici e di integrare un salario ritenuto inadeguato rispetto
ai compiti richiesti dal 71% dei docenti che hanno partecipa-
to al questionario35.

34. Anche le risposte dei docenti di ISSM che si dichiarano insoddisfatti del
proprio lavoro (il 15% degli intervistati) fanno principalmente riferimento
a fattori organizzativi e ambientali (l’eccessiva burocratizzazione del lavoro
e le altre modifiche post-riforma, per il 48%; l’ambiente di lavoro, per il
28%; la precarietà lavorativa e professionale, per il 9%) o a ripensamenti ri-
spetto al non aver intrapreso professioni più redditizie o prestigiose (6% per
ciascuna delle opzioni). In misura minima l’insoddisfazione professionale è
legata a rimpianti per non avere portato avanti un altro tipo di carriera in
campo musicale (3%).
35. Da quanto dichiarato dai partecipanti, il salario medio mensile al netto dei
contributi si attesta tra i 1.500-2.000 € per la gran parte degli intervistati (il
75%), tra 2.000-2.500 € per il 16%, mentre per il 5% risulta inferiore ai 1.500
€. Approfittiamo dell’argomento per segnalare l’ingiusto trattamento subito dalla
categoria dei docenti di accompagnamento pianistico, che con le altre categorie di
docenti condivide compiti e incombenze, ma rispetto a queste risulta inquadrata
dal Contratto nazionale del settore AFAM in una fascia inferiore dal punto di
vista normativo e retributivo.

266
Fig. IV.10 - Tra i seguenti, quale indicherebbe come motivo principale
della sua soddisfazione professionale? (valori percentuali)

Fig. IV.11 - Quali altre attività professionali parallele a quella di docen-


te di ISSM svolge attualmente? (valori percentuali)

I risultati del questionario, che legano la soddisfazione occu-


pazionale dei docenti a fattori vocazionali, sembrano contrastare
con quanto emerso dalle interviste, nelle quali la scelta dell’inse-
gnamento in Conservatorio appare spesso spinta da strategie di
conciliazione con ulteriori attività professionali e personali. Tale
contraddizione potrebbe essere spiegata -– al netto di un possibi-
le effetto distorsivo dato dall’effetto di desiderabilità sociale nelle
risposte del questionario autosomministrato, il quale, diversa-

267
mente dalle interviste qualitative, non consente di approfondire
le risposte – in riferimento al fatto che la docenza in Conserva-
torio non è vissuta come un’attività diversa, bensì pienamente
coerente, con l’habitus professionale al quale i docenti sono stati
socializzati all’interno del vecchio ordinamento.
A rafforzare tale interpretazione concorre l’analisi delle scelte
effettuate dai docenti alla richiesta del questionario di indicare
tre categorie – esclusa quella di docente – per descrivere la pro-
pria professione: la rosa proposta, sebbene presenti un margine
di ambiguità interpretativa – data dal fatto che talvolta la stessa
categoria è utilizzata con significati differenti o diverse categorie
presentino confini sfumati o sovrapposti36 – consente di avere
utili indicazioni orientative sul modo in cui i docenti intendono
la propria identità professionale. A livello complessivo, prevale
tra le opzioni proposte la categoria di “studioso” (con il 26%

36. Il vocabolario Treccani offre le seguenti definizioni delle categorie proposte nel
questionario: studioso, “chi studia per professione (…) ricercatore, scienziato, per
estensione a. [persona molto colta] ≈ dotto, erudito. ↔ ignorante, incolto, b. [persona
che conosce in modo approfondito una determinata disciplina] ≈ cultore, esperto,
specialista”; specialista, “chi si è specializzato in un particolare settore di una scienza,
di un’arte o di una professione (…) con questo significato, ha talora valore generico,
altre volte è termine specifico di qualifiche professionali”; artista, “chi esercita una delle
belle arti (spec. le arti figurative, o anche la musica e la poesia), come termine di clas-
sificazione professionale e dell’uso comune, anche chi svolge attività nel campo dello
spettacolo (…) il termine implica spesso un giudizio di valore ed è allora attribuito a
chi nell’arte professata ha raggiunto l’eccellenza”; interprete, “chi interpreta, cioè spiega,
commenta, espone il senso delle parole dette o scritte da altri, il contenuto di un testo
e simili, e più genericamente, chi chiarisce o rivela il significato di cosa oscura, dub-
bia, non manifesta (…) attore teatrale, lirico, televisivo o cinematografico, in quanto
interpreta una parte”; creativo, “aggettivo relativo al creare e alla creazione (…) nella
tecnica della pubblicità, chi ha il compito di ideare i testi e le immagini per la cam-
pagna pubblicitaria di un prodotto, suggerendo proposte che siano insieme inedite
e persuasive, capaci di raggiungere con immediatezza i fini prefissati”; artigiano, “chi
esercita un’attività (anche artistica) per la produzione (o anche riparazione) di beni,
tramite il lavoro manuale proprio e di un numero limitato di lavoranti, senza lavo-
razione in serie, svolta generalmente in una bottega” (www.treccani.it/vocabolario).

268
delle preferenze), seguita da quelle di “artista” e di “interprete”
(rispettivamente, con il 18% e il 16% delle preferenze), le quali
insieme raccolgono il 34% delle preferenze (fig. IV.12).

Fig. IV.12 - Delle seguenti categorie quali sceglierebbe per descrivere il


suo modo di vivere la sua professione ad un amico che non conosce l’ambi-
to musicale? (solo 3 opzioni) (valori percentuali complessivi)

Tab. IV.12 - Delle seguenti categorie quali sceglierebbe per descrivere il


suo modo di vivere la sua professione ad un amico che non conosce l’ambi-
to musicale? (solo 3 opzioni) (valori percentuali per settore disciplinare)
A B C D E F
artista 24,6 studioso 24,3 studioso 20,9 studioso 25,7 studioso 26,5 studioso 40,3
interprete 21,0 interprete 20,0 artista 19,9 artista 18,4 creativo 22,3 specialista 18,3
studioso 15,9 artista 19,7 interprete 18,0 creativo 16,4 artista 14,7 creativo 13,3
creativo 13,0 creativo 11,6 creativo 14,1 interprete 13,4 altro 11,8 altro 12,5
altro 13,0 artigiano 9,9 altro 11,1 artigiano 10,0 interprete 10,5 artista 11,0
artigiano 7,2 altro 8,6 artigiano 9,8 specialista 6,4 artigiano 9,2 artigiano 4,6
specialista 5,1 specialista 5,9 specialista 6,2 altro 9,8 specialista 5,0    
Tot. 100,0 Tot. 100,0 Tot. 100,0 Tot. 100,0 Tot. 100,0 Tot. 100,0

Pop. di rif. 52 Pop. di rif. 434 Pop. di rif. 116 Pop. di rif. 216 Pop. di rif. 92 Pop. di rif. 126

Se consideriamo i valori raggiunti dalle diverse categorie


nei singoli raggruppamenti disciplinari (tab. IV.12), notiamo
come la categoria di ‘studioso’ prevalga in tutte le diverse classi
di specializzazione disciplinare dei docenti, con l’eccezione dei
cantanti (spesso docenti di Conservatorio a conclusione della

269
carriera artistica), che si identificano prioritariamente con le ca-
tegorie di ‘artista’ e ‘interprete’. La categoria di “studioso” rag-
giunge i livelli più alti tra i docenti di discipline musicologiche,
più facilmente associati per percorso formativo alla figura del
professionista colto ed erudito, che conosce approfonditamente
la sua disciplina; tale significato della categoria di ‘studioso’ la
avvicina a quella di ‘specialista’, complessivamente scelta da que-
sti docenti come seconda preferenza (18%). Tuttavia risulta la
categoria che ottiene il maggior numero di preferenze anche per
i docenti appartenenti a tutte le altre discipline (da B-E): nelle
interviste in profondità emerge però un loro diverso utilizzo del
termine, in senso più letterale e ampio, che lo riferisce a “chi
studia per professione”: tale significato fa riferimento ad una
concezione inclusiva del sapere, che non pone un divorzio tra
mano e testa, tra teoria e pratica (Sennett 2008), coerente con
l’habitus professionale definito all’interno del Conservatorio del
vecchio ordinamento.

2. La frattura dell’habitus del musicista classico


nel nuovo ordinamento
Nel paragrafo precedente abbiamo osservato come il model-
lo regolativo definito dal vecchio ordinamento dei Conservatori
contribuisse a produrre negli attori sociali che vi prendevano par-
te – maestri e allievi – un habitus professionale, ossia un sistema
di disposizioni e valori incorporati, che gli consentiva di muo-
versi all’interno del campo musicale classico «come pesci nell’ac-
qua» (Bourdieu 1980: 123). Nel corso del tempo tale modello
è sottoposto ad una serie di pressioni a carattere endogeno per
un cambiamento, legate alla contestazione dell’ordine implicito
nelle strutture sociali che lo hanno generato: le gerarchie sociali e
di genere associate alle pratiche musicali; la concezione proprie-
taria degli allievi da parte dei maestri; il primato della carriera del
solista virtuoso sulle altre modalità di realizzazione della profes-

270
sione musicale; la monocultura musicale arroccata entro il cano-
ne classico-romantico. A tali pressioni se ne aggiungono altre a
carattere esogeno – considerate nel terzo capitolo – legate in par-
ticolar modo allo storico isolamento istituzionale dell’istruzione
musicale professionalizzante all’interno del più ampio sistema di
istruzione nazionale italiano.
Tuttavia il modello resiste a tali pressioni fino alla fine del No-
vecento, quando è approvata la legge di riforma (n.508/1999),
che colloca Conservatori, Accademie e altri Istituti artistici nel
livello terziario di istruzione, all’interno del neonato settore
dell’Alta formazione artistica e musicale (AFAM). Ricostruiamo
dunque di seguito le principali caratteristiche del modello regola-
tivo adottato dal nuovo ordinamento dei Conservatori a seguito
della Riforma. Anche in questo caso la ricostruzione si basa sul
questionario autosomministrato ai docenti e sulle interviste re-
alizzate con docenti, studenti e altri attori informati. L’arco di
tempo di regolazione del nuovo modello risulta piuttosto limi-
tato, rispetto a quello tradizionale appena considerato: come già
visto nella prima parte, la sua applicazione è stata piuttosto lenta,
per un lungo tratto accompagnata dalla persistenza (formale e
informale) del vecchio ordinamento, e tutt’ora risulta incomple-
ta. Eppure, come vedremo, alcune peculiarità del modello emer-
gono già in maniera piuttosto evidente, definendo un insieme
di regole modellate sull’organizzazione universitaria – così come
recentemente riformata a seguito del Processo di Bologna – che
confliggono radicalmente con l’habitus riprodotto per un secolo
all’interno del vecchio ordinamento dei Conservatori.

2.1 Il reclutamento: il primato della domanda sull’offerta


2.1.1 I piccoli ma inadeguati progressi
dell’offerta scolastica nella formazione musicale di base
Come già visto, la Riforma riconfigura il Conservatorio del
vecchio ordinamento come una istituzione di alta formazione

271
appartenente al livello terziario di istruzione, cui accedere con
un diploma di livello secondario e con un livello di preparazione
musicale di base; tuttavia non prevede le istituzioni deputate alla
formazione musicale di base, necessaria per l’accesso al livello ter-
ziario, privando così il nuovo Conservatorio del necessario vivaio
(es. IV.154).
Es. IV.154 -Docente di ISSM di quartetto d’archi, maschio, 55 anni:
Cosa è successo? È successo che ai Conservatori si è detto: “Attenzione,
voi da domani non avrete più la preparazione di base, ma avrete solo
l’universitario: quindi avrete il famoso 3+2 e vi prenderete i ragazzi
grandi che stanno già suonando”. Quello che succede prima del 3+2
nessuno lo ha mai messo in pratica, nel senso che non state create le
scuole medie [musicali], non sono stati creati i licei musicali, per cui
siamo piombati in una situazione di panico totale…

In realtà, un tentativo di verticalizzazione del curricolo per


l’apprendimento della pratica musicale nella scuola parte pro-
prio lo stesso anno della Riforma, con l’istituzione delle scuole
medie a indirizzo musicale cui, nel decennio successivo, segue
l’avvio dei licei coreutico-musicali37. Tale tentativo è stato salu-
tato come ‘rivoluzionario’, dal punto di vista sia contenutistico
che metodologico, in quanto contribuisce ad infrangere «il tabù
della scuola solo orale e cognitiva», offrendo attraverso la pratica
musicale «un bagaglio culturale comune a tutti, non solo ai futuri
professionisti» (Berlinguer 2014: 13), arrivando così a realizzare
un progetto che – come abbiamo visto nel terzo capitolo – era

37. I riferimenti normativi sono, rispettivamente, il D.M. IV. 201/1999, per i


corsi ad indirizzo musicale nella scuola media e i D.P.R. IV. 89/2010. art. 7; ed
il D.M. IV. 211/2010 “Indicazioni Nazionali” (allegati E1-E2) per i licei coreu-
tico-musicali. Nell’a.s. 2016-17 le scuole medie a indirizzo musicale erano circa
un migliaio, i licei coreutici e musicali circa 140 (De Gregorio 2017). A fine
anni 2000 sono state inoltre adottate in diverse indicazioni ministeriali le solle-
citazioni per “fare musica tutti”, fin dalla scuola dell’infanzia, di cui, tra gli altri,
si è fatto promotore il Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della
Musica, presieduto da Luigi Berlinguer, già ministro della Pubblica Istruzione.

272
stato definito sin dagli anni Sessanta dal Comitato Musica e Cul-
tura guidato da Andrea Mascagni. Tra gli intervistati più giovani,
chi è passato per questo tipo di formazione ne serba un ricordo
estremamente positivo e gioioso, in particolare legato alla condi-
visione con i propri compagni di scuola dell’esperienza di suona-
re uno strumento e del fare musica insieme (es. IV.155-156). Si
tratta inoltre di un modo per i giovani di avere una conoscenza
diretta, e dunque meno superficiale, di un numero più ampio di
strumenti musicali (es. IV.157).
Es. IV.155 - Flautista, maschio, 30 anni:
Quando mi sono iscritto alla scuola media mio padre mi ha iscritto
all’indirizzo musicale ancora sperimentale (…) gli anni più belli della
mia vita li ho vissuti proprio alla scuola media, dove avevamo una classe
dove suonavano tutti uno strumento, avevamo un’orchestra…

Es. IV.156 - Studente di ISSM di pianoforte, maschio, 20 anni:


Ho fatto le scuole medie a indirizzo musicale e sono stato contento
perché è stata una bellissima esperienza, mi ha dato occasione di fare
musica d’insieme che al Conservatorio purtroppo non si fa… Si, ades-
so, magari, ma - a meno che tu non sia molto bravo - ti mettono, ma
non subito, nelle classi di musica da camera (…) Invece li quasi da
subito devi suonare con altri compagni ed è molto bello, perché magari
da subito ti fa affezionare al tuo strumento e alla musica…

Es. IV.157 - Studentessa di ISSM di arpa, femmina, 15 anni:


Allora, quando ero alle elementari (…) avevo questa insegnante francese
che faceva anche dei corsi di musica e (…) ci preparava per scegliere uno
strumento, quindi se qualcuno voleva intraprendere la strada musicale
almeno avrebbe saputo che strumento scegliere (…) Ci ha fatto provare i
più tradizionali: pianoforte, violino, flauto, chitarra e arpa. Io inizialmen-
te ero indecisa tra chitarra e arpa, perché da piccola sentivo molti film
spagnoli dove sentivo sempre la chitarra che suonava in quel modo bellis-
simo. Poi, quando invece avevo sentito suonare l’arpa, mi era piaciuta più
della chitarra e avevo deciso di iniziare a suonare quella…

Nella embrionale approvazione di un curricolo verticale per


l’apprendimento della pratica musicale (e coreutica) all’interno

273
dei percorsi standard dell’istruzione nazionale e, in particolare,
nel suo segmento scolastico più prestigioso – quello liceale – è
stato dunque identificato un segnale di riabilitazione dell’arte e
della musica nella sfera della cultura legittima nazionale:
A ben vedere, allora, l’attivazione del Liceo musicale e coreutico rappresen-
ta un rinnovamento nella concezione stessa della scuola italiana, a lungo
refrattaria a riconoscere dignità culturale e formativa in generale all’arte e,
in particolare, a suono, note, movimento, corpo. [Berlinguer 2014: 13]

La scarsa valorizzazione dell’apprendimento artistico e pratico


all’interno del sistema scolastico e universitario italiano rappresen-
ta in effetti ancora uno stigma sociale molto sentito per i musici-
sti intervistati, al quale – seguendo una logica di esclusione degli
esclusori da parte degli esclusi (Castells 2003: 424) – spesso reagi-
scono biasimando il nozionismo selettivo e ripetitivo attribuito ai
programmi scolastici e universitari e rivendicando la superiorità di
un approccio che – come la formazione musicale professionaliz-
zante – accompagna la teoria alla pratica (es. IV.158-159).
Es. IV.158 - Studente di ISSM di canto, maschio, 30 anni:
Io credo che l’intero sistema di istruzione italiana sia una [cavolata],
ridicolo, è una perdita di tempo folle: perché studiare gli assiro-babi-
lonesi tre volte? Se tu sei capace di trasmettere un’idea a un bambino
fin dalla tenera età, l’idea e il ricordo del piacere di quanto imparato
gli resterà per sempre - io ho dei ricordi stupendi di cose che mi han-
no insegnato i miei maestri alle elementari… Noi abbiamo questi cicli
assurdi che si ripetono: dalla città di Ur, a Roma e via via fino alla I
guerra mondiale e nessuno sa chi è Craxi! L’Italia è il paese del delirio
e dell’insensatezza. Ripetiamo, ripetiamo, ripetiamo e poi non sa nien-
te nessuno! (…) [C]redo davvero dovremmo rivalutare il sistema delle
nozioni in questo Paese, perché se sono nozioni, non servono a niente!

Es. IV.159 - Direttore di ISSM:


[L’Università] ci considera ancora dei manovali: loro sono la testa e noi gli
scaricatori di porto. Non ci siamo, anzi reputo [che abbiamo] una superio-
rità, perché noi abbiamo sia la mente che il braccio ma l’università spesso
solo una, se va bene. Quindi non mi sento inferiore, però mi sento diverso.

274
Neppure i più entusiasti commentatori del tentativo di ver-
ticalizzazione dell’apprendimento della pratica musicale na-
scondono tuttavia la portata dei limiti e delle criticità che esso
presenta al momento, tali da pregiudicare la riuscita dell’intero
progetto (Berlinguer 2014: 14). Il numero di istituti che preve-
dono l’indirizzo musicale risulta ancora piuttosto ridotto e di-
stribuito in maniera disomogenea nel territorio e la loro offerta
didattica è spesso limitata agli strumenti più conosciuti e richiesti
dalle famiglie; l’identità dei percorsi liceali, in particolare, risulta
ambigua rispetto alle finalità di formazione di tipo generalista o
invece professionalizzante; più in generale, manca un raccordo,
tra i diversi livelli della formazione pratica musicale (primario,
secondario, terziario), ovvero un approccio sistemico che consen-
ta di definire dei percorsi di studio caratterizzati da continuità e
consequenzialità. Tali limiti non consentono dunque al sistema
scolastico pubblico di offrire ai Conservatori post-Riforma un
adeguato vivaio di studenti con una preparazione idonea ad un
ingresso al livello accademico della formazione musicale profes-
sionalizzante (Roselli 2015: 104-105).
Limiti significativi presenta anche l’offerta privata di forma-
zione musicale di base, proposta sia da singoli docenti – spesso
seguendo l’approccio tradizionale del Conservatorio –, che da un
numero crescente di scuole, molte delle quali si ispirano a me-
todi didattici specificamente ritagliati sulle diverse tipologie di
utenti, focalizzate in particolare sull’infanzia. Il problema rilevato
da diversi docenti di Conservatorio intervistati rispetto ad una
formazione di base realizzata attraverso tali scuole evidenzia – al
di là di una mal celata disapprovazione verso accostamenti poco
reverenziali, ritenuti quasi blasfemi, allo studio di strumenti della
tradizione classica – un problema legato all’esigenza di tali scuo-
le di rispondere alle richieste dell’utenza per risultati immediati.
Tale esigenza porterebbe i loro docenti a sacrificare i tempi richie-
sti per l’incorporazione di una corretta postura allo strumento,

275
alla gratificazione del bambino (e della sua famiglia) nel riuscire
a suonare subito canzoni o pezzi orecchiabili. Ciò porta spesso i
bambini ad incorporare una impostazione tecnica scorretta che,
per chi desiderasse proseguire gli studi musicali ad un livello più
avanzato, può rappresentare un ostacolo all’avanzamento forma-
tivo e per correggere la quale si rende necessario un faticoso pro-
cesso di rimozione delle prassi improprie ormai sedimentate e di
lenta ri-appropriazione corporea dello strumento attraverso un
approccio correttamente impostato (es. IV.160,161). La tensio-
ne tra i tempi e le modalità dell’apprendimento giocoso e quelli
richiesti dallo studio tecnico nella formazione musicale di base
rappresenta un dilemma didattico che – come vedremo – si im-
pone drammaticamente anche nel Conservatorio post-Riforma.
Es. IV.160 - Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:
Il fatto di mettere un bambino a suonare [subito], il fatto del diverti-
mento: l’impostazione iniziale è un imprinting; non puoi far suonare lo
strumento con l’arco tenuto come il bastone della scopa. Una volta che
il bambino inizia a suonare con l’arco tenuto così, poi è difficilissimo
correggerlo, anche la mano sinistra.

Es. IV.161 - Docente di ISSM di pianoforte, femmina, 55 anni:


[L]e scuole popolari, le scuole civiche, le scuole private mediamente
hanno l’ansia di accontentare i genitori e anche questo è un grosso li-
mite, anche per quanto riguarda noi [docenti di Conservatorio], perché
l’imprinting è importantissimo… So che questo è un discorso che dà
fastidio ad alcuni, però è la verità, la pura e semplice verità: quando si
impara qualche cosa in un modo, specie in un bambino, il primo ap-
proccio e quello che rimane più forte in assoluto, io lo so per esperienza
mia personale, diretta oltre che indiretta…

2.1.2 Il mismatch tra domanda e offerta


La ‘regolarizzazione’ del Conservatorio all’interno del cam-
po dell’istruzione pubblica nazionale, dove aveva a lungo vissuto
marginale ma autonomo, lo porta a perdere il carattere istituzio-
nale, che lo aveva contraddistinto per oltre un secolo, di scuo-

276
la a carattere professionalizzante per la formazione di musicisti
professionisti (es. IV.162), ma anche la reputazione basata sulla
garanzia di un buon livello qualitativo nella preparazione degli
allievi, sebbene focalizzata sugli aspetti performativi e carente dal
punto di vista culturale (es. IV.163).
Es. IV.162 - Docente di ISSM di quartetto d’archi, maschio, 55 anni:
[P]rima (…) il Conservatorio aveva una sua caratteristica, una sua per-
sonalità: si cominciava a dieci anni, undici anni, nove anni e si andava
avanti per dieci anni - la maggior parte degli studenti - quindi c’era una
sorta di aiuto alla preparazione, di compagnia nel percorso fino al diplo-
ma: normalmente l’insegnante era il secondo papà o la seconda mamma,
diventava una seconda famiglia e questo faceva sì che tu crescessi e fino al
diploma avessi qualcuno su cui contare (…) Queste son le cose positive:
(…) si passava la vita sullo strumento, si passava tutto il percorso, tutta
la vita scolastica si passava con lo strumento, dal primo fino all’ultimo
anno: orchestra, musica da camera, lezioni, concerti, saggi (…) La parte
negativa era che lo strumentista (…) era anche molto limitato come aper-
tura e come orizzonti, perché non si toccava tutto il resto, non si toccava
il piano, non si toccava composizione, non si toccava la storia della musi-
ca, solo marginalmente, l’armonia, tutto quello che fa di un musicista un
musicista completo, questo era un po’ tutto sottovalutato…

Es. IV.163 - Docente di ISSM di clarinetto, maschio, 55 anni:


Allora, dalla Riforma in poi io vedo un gran peggioramento, per quello
che è la mia percezione e la mia materia (…) Adesso, è chiaro che fare il
percorso che ho fatto io, scuola media-Conservatorio, è da pazzi, tutti
fanno la seconda scuola. Quindi il livello si è abbassato in una maniera
considerevole: è chiaro che i talentuosi, quelli bravi, come c’erano una
volta ci sono anche oggi; però il medio, quello che otteneva i buoni
risultati con lo studio, non c’è più; perché purtroppo non c’è più tempo
per studiare: tutte queste materie complementari che hanno messo, ci
devi dedicare del tempo.

Ad impedire la definizione di una rinnovata, distintiva persona-


lità dei Conservatori all’interno dell’offerta formativa di livello acca-
demico vi sono le insormontabili contraddizioni della Riforma, che
ha irresponsabilmente ceduto a pressioni corporative senza curarsi

277
delle conseguenze sul sistema. I limiti dell’offerta di formazione
musicale di base esterna, uniti all’eccedenza numerica e all’inade-
guatezza didattica del personale docente rispetto alle dimensioni e
alle caratteristiche di una domanda per la formazione musicale pro-
fessionalizzante di livello terziario, costringe infatti i Conservatori
– a fronte di un rischio di chiusura – ad accettare utenti dai profili
assai differenti rispetto a quelli richiesti dalla nuova collocazione.
Innanzitutto, l’eliminazione dell’età massima per le iscrizioni
in Conservatorio – ripresa dalle regole universitarie aderenti alla
logica promossa dalla Commissione europea dell’apprendimento
permanente (lifelong learning) – consente di iscrivere un numero
rilevante di allievi di età avanzata, difficilmente in grado di incor-
porare le capacità tecniche necessarie per sostenere i programmi
di studio più avanzati previsti dalla formazione strumentale o vo-
cale accademica (es. IV.164,165) e comunque dichiaratamente
senza i propositi della professionalizzazione prevista invece come
obiettivo formativo degli Istituti.
Es. IV.164 - Direttore di ISSM:
[C]i sono molte analogie anche con lo sport [nella formazione musica-
le], perché anche nello sport c’è questo problema: se uno vuole impa-
rare a nuotare per andare ad Ostia e non affogare quando fa il bagno è
una cosa; se invece vuole andare alle Olimpiadi a fare i cento metri stile
libero, deve cominciare da quando ha sette, otto anni con tre, quattro
ore al giorno di vasca…

Es. IV.165 - Docente di ISSM, maschio, 60 anni:


[Tra gli studenti] ci sono dei cinquantenni che magari si dilettavano a
casa… Io credo che sia completamente inutile per lo scopo che dovreb-
be avere la Scuola [il Conservatorio, ndr]: cioè, uno può iscriversi in
Giurisprudenza, in Lettere, non in Violoncello: può anche avere cin-
quant’anni, ma le abilità tecniche per uno strumento non si riesce ad
acquisirle a quell’età…

Inoltre, l’attivazione di corsi di formazione musicale di base,


consentita dalla legge in modalità temporanea fino all’entrata in

278
vigore delle norme di riordino del settore (l. n.508/99, art.2.8),
si traduce nella predisposizione di una corposa offerta di corsi
‘pre-accademici’, che ripropone una versione parziale ed edulco-
rata del vecchio ordinamento a giovani iscritti, spesso senza alcu-
na intenzione di dedicarsi allo studio approfondito della musica,
socializzati a modelli educativi difficilmente compatibili con la
costruzione dell’habitus del musicista professionista (es. IV.166).
Es. IV.166 -Docente di ISSM, femmina, 55 anni:
[Q]ui iniziano i guai (…) perché il Conservatorio, per catturare più
utenza possibile, diciamo, non disdegna chiudere un occhio sull’evi-
dente mancanza di qualità specifiche, ma soprattutto sulla mancanza di
motivazioni che hanno questi ragazzini, molti di quelli che abbiamo…
Cosa succede? Succede che senza quel tot di qualità, senza quelle moti-
vazioni, seguire un percorso come il nostro diventa una tortura, punto.
E se fossi una mamma, sapendo quello che so, lo porterei via io mio
figlio dal Conservatorio.

Ciò porta al delinearsi di una distanza quasi paradossale tra


la forma e la sostanza, nella descrizione delle finalità del Conser-
vatorio e della tipologia di studenti cui si rivolge: nella versione
formalmente indicata dalla Riforma e difesa dai direttori e dai do-
centi maggiormente coinvolti nel processo di implementazione38,
il Conservatorio appare elevato al livello terziario come istituzione
per l’alta formazione professionalizzante di allievi dotati, motivati
e dediti (es. IV.167); nella pratica condivisa dalla maggior parte di
docenti, risulta invece un istituto in decadenza, che ha perso il suo
distintivo carattere selettivo, necessario alla formazione specialisti-
ca, aprendosi ad un pubblico variegato, spesso sprovvisto delle ri-
sorse minime necessarie, in termini di inclinazione o motivazione,
per affrontare un percorso professionalizzante (es. IV.168).

38. Tra i docenti maggiormente coinvolti vi sono i cosiddetti Bologna Experts


dell’AFAM, coinvolti con colleghi universitari in una rete europea di scambio e
discussione finalizzata al consolidamento dello Spazio Europeo dell’Istruzione
Superiore (EHEA).

279
Es. IV.167 - Direttore di ISSM:
Io dico che adesso il Conservatorio deve essere una scuola professiona-
lizzante: chi fa il Conservatorio lo deve fare solo perché non dico che
intende fare la professione, ma intende avere una preparazione tale da
poter fare la professione. Questo vuol dire professionalizzante. Deve
essere una persona che ha tempo, che ha voglia, che è un minimo do-
tato, che arrivi ad avere una preparazione da fare la professione. Poi a
ventidue anni si laurea in architettura e fa l’architetto, comunque noi il
compito l’abbiamo svolto: noi dobbiamo preparare professionalmente.
Questo può farlo solo al Conservatorio [riferendosi all’offerta dei licei,
ndr] perché è anche una questione di mezzi, strumenti…

Es. IV.168 - Docente di ISSM, maschio, 60 anni:


Adesso ne hanno fatto una scuola che non è una scuola specialistica: è
una scuola dove entrano tutti: cani, porci, piccoli, grandi, negati… Per
carità, non ho nulla contro chi [lo fa a livello amatoriale], però se vuoi
fare una scuola specialistica, per la quale devi avere una certa selezio-
ne… Ci sono un sacco di scuole di musica in giro: civiche, private; poi
se uno ha le qualità si iscrive in Conservatorio, ma non deve essere un
disastro, tanto per riempire, prendi tutti i bambini di scuola media, che
neanche ci vogliono entrare.

2.1.3 Le nuove gerarchie musicali: la rivincita del jazz


A complicare la crisi di identità del Conservatorio tradizio-
nale contribuisce il divario sempre più ampio tra le esperienze
musicali delle nuove generazioni e il repertorio musicale del
canone classico. Se la richiesta per i corsi di pianoforte classico
ancora resiste (es. IV.169), grazie alla maggiore riconoscibilità so-
ciale dello strumento e alla sua “duttilità” di utilizzo all’interno
di differenti mondi musicali (Becker 2004), quella per strumenti
meno noti e legati ad un repertorio più di nicchia dell’ambito
classico (fagotto, corno, oboe) soffre una crisi di domande (es.
IV.170-172) difficilmente risolvibile all’interno della logica rego-
lativa del Conservatorio post-Riforma.
Es. IV.169 - Docente di ISSM di pianoforte, femmina, 55 anni:
Noi [musicisti di formazione classica] non possiamo continuare ad affer-
mare la verità che trattiamo, continuiamo a frequentare un repertorio vec-

280
chissimo, filtrato di secoli (…) piano piano, questa musica sta diventando
lontana, lontana come sensibilità (…) Il pianoforte (…) è ancora uno stru-
mento che sta nell’immaginario delle persone, il suo repertorio solistico è
quello che lo salva [rispetto agli strumenti orchestrali], ed è duttile, perché
mentre il ragazzo che suona il pianoforte può farsi un percorso anche co-
siddetto classico e poi virare al jazz e poi virare anche alla musica leggera,
comunque si trova un patrimonio utile. Se io mi iscrivo a oboe, cosa faccio?
In orchestra non c’è più posto, dove vado? (…) [I genitori] non vogliono
che i figli facciano [strumenti sconosciuti]: “Cosa fai? Oboe?”.

Es. IV.170 - Docente di ISSM di percussioni jazz, maschio, 55 anni:


[C]i sono delle scuole che sono in strutturale crisi di domande (…)
[Ad esempio] il fagotto è uno strumento d’élite, che ormai non fa parte
dell’orizzonte dell’oggi, culturalmente, ma è un prezioso strumento per
la salvaguardia del passato (…)

Es. IV.171 - Studente di ISSM di corno, maschio, 15 anni:


Io ho chiesto [all’ammissione in Conservatorio]: “Quali strumenti
avete [disponibili]?”, perché se c’era la chitarra o il flauto avrei scelto
questi. Però mi hanno detto che potevo scegliere tra fagotto, violoncello
oppure corno. Però mi dicevano che avevano delle labbra adatte per fare
il corno, perché sono abbastanza fini, quindi io pensai: “Siccome non
so che strumento scegliere, faccio quello che mi hanno consigliato.”
(…) A casa mi dicevano: “Perché hai scelto il corno? Perché fai troppo
rumore con il corno?”. E io gli spiegavo: “Il corno si usa non in casa,
perché fa troppo rumore, ma nelle orchestre”. I miei amici mi chiedo-
no: “Cos’è il corno?”; io gli dicevo: “Il corno ruota su sé stesso”, e non
capivano, fino a quando non gli facevo vedere…

Es. IV.172 - Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:


Si è presentata una bambina, poverina, l’anno scorso: [riproduce il dia-
logo imitando la voce piagnucolosa della bimba, ndr] “Mi hanno messo in
questa classe…”; “Dai, prova, vediamo un po’”; “No, No!”; “Ma guar-
da che non morde: è uno strumento”. Ti giuro che non lo toccava! “No,
no, io voglio fare clarinetto!”. L’ho portata dal collega [clarinettista]:
“Non so, questa deve avere la contrabbassofobia: odia il contrabbasso,
non la posso tenere in classe!”. A che livelli!

A fronte di una flessione delle domande per un’offerta tradi-


zionale cristallizzata – in quanto vincolata alle cattedre fissate in

281
organico a fine anni Novanta – che esercita sempre minore forza
attrattiva sugli studenti, si assiste ad una domanda crescente per i
corsi non classici previsti nella nuova offerta formativa (jazz, pop,
musica elettronica, batteria, chitarra elettrica), cui già da tem-
po corrispondeva una domanda, intercettata e riconvertita dai
Conservatori pre-Riforma nell’offerta del vecchio ordinamento
(come visto nel capitolo precedente).
Tale andamento è inteso dai docenti nei termini di una fer-
rea correlazione inversa (mors tua, vita mea), guidata dalla logica
a somma zero incentivata dai meccanismi del reclutamento: la
Riforma non ha infatti portato all’assegnazione di posti di ruolo
aggiuntivi per i docenti di nuove materie, assunti con contratti
a tempo a seconda dei fondi disponibili negli Istituti, e inclusi
in organico solo a seguito della soppressione di cattedre del vec-
chio ordinamento (es. IV.173). L’avanzata degli abitanti dell’Isola
del Jazz è dunque vissuta da molti docenti residenti nella Terra
dell’Armonia, incardinati in organico, come una sorta di desti-
tuzione dal ruolo di sovrani assoluti nel campo della formazione
musicale classica, da parte di un gruppo di facinorosi abusivi.
Es. IV.173 - Docente di ISSM, maschio, 60 anni:
[P]er me sarebbe stato meglio fare un’altra scuola statale, proprio per non
creare questa contrapposizione. Perché poi, a questo punto, è sempre un
problema di risorse: allora le liti (…) in Consiglio Accademico probabil-
mente nascono da questioni di risorse, perché il corso di jazz ha molti inse-
gnanti che sono pagati a contratto, come esterni, quindi quei posti costano
e allora bisogna cercare di convertire le classi dei pensionati della parte clas-
sica, per prendersi loro delle cattedre pagate direttamente dallo Stato per
averle in organico. Si può ancora fare, perché ci sono troppe classi di alcuni
strumenti classici (…) ma da qui a fare una guerra per dire quali classi
servono di più… Anche perché non è che jazz abbia tutto questo seguito
nelle sale da concerto: son sempre piccoli club (…) a parte i grandi festival.
Anche se io ascolto anche quella musica, mi piace, l’ho suonata, non ho
nessun pregiudizio, però se noi stessi non difendiamo la classica… È un
po’ come se nei licei classici dicessero: “Ma cosa insegniamo ancora latino e
greco: ormai non serve più!”.

282
La nuova gerarchia tra i corsi che si fa strada nel Conserva-
torio post-Riforma, sulla base degli indici di gradimento, si ri-
specchia talvolta in un ribaltamento della distribuzione spazia-
le delle risorse interne dell’Istituto, che vede assegnate ai nuovi
dipartimenti le migliori aule e attrezzature (es. IV.174). Alla ri-
strutturazione secondo la popolarità dei corsi corrisponde inoltre
una nuova articolazione dei divari di genere: come abbiamo visto
nella prima parte, se i corsi dell’offerta tradizionale sono gradual-
mente femminilizzati (con l’eccezione di alcuni strumenti dal re-
gistro più grave), quelli di nuova istituzione restano fortemente
segregati (con l’eccezione delle classi di canto); un dato coerente
con quanto riscontrato anche in altri paesi (Ravet e Coulangeon
2003, Buscatto 2007).
Es. IV.174 - Docente di ISSM di tromba jazz, maschio, 40 anni:
[U]n’altra cosa a proposito del Dipartimento Jazz: in realtà, parados-
salmente sembra il contrario [rispetto al passato]. [Oggi] noi abbiamo
le aule migliori, le più nuove, le più attrezzate, possiamo gestirci come
vogliamo, perché – parliamoci chiaro – chi è nel direttivo dei Con-
servatori, di solito di jazz ne sa poco o niente, quindi non potendo
direttamente mettere mano è costretto a lasciar fare. Infatti negli esami
di laurea il direttore deve essere in commissione, però non mette mai
bocca: ascolta, però ti rendi conto che è anche lui un alunno, in un
certo senso, perché non ne sa niente. Per cui possiamo dire boiate e
castronerie: poi per onestà intellettuale non lo facciamo!

A rafforzare l’antagonismo tra ‘classici e moderni’ contribu-


isce l’adozione all’interno dei corsi di jazz e nuove discipline di
requisiti di accesso in genere più laschi rispetto a quelli richiesti
dai corsi tradizionali: ciò creerebbe sperequazione tra i percorsi
degli studenti, abbassando ulteriormente il livello medio di pre-
parazione nel Conservatorio post-Riforma (es. IV.175,176). Il
problema è riconosciuto, ma letto in un’ottica opposta, da qual-
cuno dei docenti dei nuovi corsi intervistati: uno di loro, nell’es.
IV.177, lamenta il fatto che le materie non appartenenti al cano-

283
ne classico soffrono del pregiudizio di essere facilmente accessibili
anche senza un bagaglio di conoscenze musicali preliminari.
Es. IV.175 - Docente di ISSM di clarinetto, maschio, 50 anni:
[I]o sono un po’ critico su queste nuove classi di musica jazz: ti ho detto
prima che credo sia fondamentale, importantissimo [includerle], però
il reclutamento di questi giovani: fai due accordi, due motivi, invece
noi ai nostri [di indirizzo classico] per farli entrare li massacriamo, e
questi qui fanno due cosette. E allora, dico, non va bene: ho capito il
jazz, ma non è che non sai solfeggiare due semiminime… questa è un
po’ la contraddizione. Però, sai, adesso il Conservatorio 70-80% sono
di questi [iscritti in corsi non classici, ndr], quindi è diventato una sorta
di mercato. Vendi, vendi, ma se non c’hai clienti, che cosa vendi?

Es. IV.176 - Docente di ISSM di violino, maschio, 60 anni:


[Nel corso di] Musica e Nuove Tecnologie (…) non ho ben capito cosa
facciano (…) per l’esame di ammissione non è che chiedano delle com-
petenze specifiche: uno entra là senza sapere cos’è una semiminima: ma
stai entrando in un corso universitario! È tutto per aria….

Es. IV.177 - Docente di ISSM di musica elettronica, maschio, 50 anni:


[C’è] questa difficoltà a vedere musica elettronica come [un corso im-
pegnativo] - tra l’altro è un corso di composizione, io insegno composi-
zione in musica elettronica - come una materia a cui non si può arrivare
uscendo dal liceo linguistico, per dire, ma pone una serie di problemi,
appunto, di formazione di base importanti: questi problemi non sono
affrontati [dalla Riforma].

La Riforma, nella regolazione del reclutamento degli studen-


ti, sostituisce dunque ai criteri di prestigio e ridistribuzione in-
terni al campo della formazione musicale legittimata – così come
definita dal vecchio ordinamento – una logica eteronoma di mer-
cato, che richiede agli istituti di formazione, per rimanere in vita,
di svolgere una funzione imprenditoriale volta a “catturare” una
sufficiente domanda. Si tratta – come rilevato dall’intervistato
nell’estratto IV.178 – del modello organizzativo managerialistico,
già da tempo adottato nella regolazione delle Università dei paesi
a tradizione liberale e sempre più influente anche nel contesto

284
europeo e in Italia (Bleiklie et al. 2013, Viesti 2016, De Feo e Pi-
tzalis 2017), per il quale i servizi delle organizzazioni legittimate
alla produzione di alta formazione rappresentano dei beni pri-
vati, rispondenti ad una specifica domanda (in particolare quel-
la degli studenti e delle loro famiglie), e non più beni pubblici,
la cui produzione è finanziata e regolata dallo Stato e delegata
operativamente a comunità accademiche, in quanto esclusive de-
positarie del sapere necessario a decidere come organizzare tale
produzione (Regini 2015).
Es. IV.178 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio: 50 anni:
Una cosa che volevo dire in generale: attenzione che noi stiamo entran-
do in un campo che non riguarda solo le peculiarità del Conservatorio,
stiamo entrando in un campo di mali comuni all’Università. Se io devo
fare una valutazione (…) in realtà la riforma del 3+2 è una follia, è un
delirio europeo (…) Perché? La logica dei numeri penalizza tutte le
discipline artistico-umanistiche (…) tutti questi problemi sono foto-
copia di quello che sta avvenendo all’Università, dove se c’è un corso
di epigrafia greca, dal momento che ha pochi studenti, chiude; mentre
invece le facoltà che si occupano di scienze della comunicazione, ecce-
tera, quelle che sono più in voga, prosperano (…) Come l’audience in
televisione: allora noi abbiamo uno share: “Perché quanti studenti hai?
Allora il tuo corso è attivato!”. È una follia, perché se uno insegna una
disciplina che è elitaria, che però ha una sua necessità in un campo
artistico (…) Noi non possiamo fare assolutamente nulla: il fatto che ci
sia una Riforma [dei Conservatori] a costo zero è una pura follia, però
rientra in un quadro complessivo: anche l’Università è a costo zero; ci
sono delle facoltà che si autofinanziano, ci sono i contratti eroici (…)
per cui se un professore vuole fare un corso lo fa gratuitamente, per il
puro piacere di insegnare: cioè, è una follia!

Le reazioni dei docenti intervistati rispetto ad un quadro glo-


bale svantaggioso, dato da un cambiamento a carattere sistemico
sul quale non hanno possibilità di intervento, sembrano differen-
ziarsi a seconda della posizione assegnata alla loro categoria nel
nuovo campo e delle risorse individuali di cui dispongono. Tra i
docenti del ramo classico, socializzati all’interno del Conservato-

285
rio tradizionale, prevale un atteggiamento di resistenza passiva al
cambiamento, accompagnato da una rassegnata accettazione di
un destino professionale votato ad una prossima estinzione. Tra i
docenti di nuove materie, meno radicati nel Conservatorio, si ri-
scontra un atteggiamento più individualistico e distaccato rispet-
to al problema della crisi identitaria dell’Istituzione. In entrambe
le categorie, tuttavia, si rilevano casi di docenti la cui storia per-
sonale (fatta, ad esempio, di esperienze formative e professionali
che attraversano diversi mondi musicali o di azioni di impren-
ditorialità culturale, individuale o collettiva, esercitate anche
all’esterno dell’Istituto) offre le risorse necessarie per prospettare,
anche all’interno di una cornice sfavorevole, nuovi scenari. Tra
questi, ad esempio, il superamento da parte del Conservatorio
della tradizionale chiusura autoreferenziale – derivante dai suoi
tratti originari di istituzione semi-totale –, attraverso una ester-
nalizzazione delle proprie attività formative e produttive, che lo
porti a diventare “da diga a fiume in piena“(estratto IV.179); o
l’adozione di un approccio “fluido” ai diversi linguaggi musicali,
trasformando la coabitazione tra classici e moderni da un ‘gioco
a somma zero’ – dove i vantaggi di una parte corrispondono alle
perdite dell’altra – in un ‘gioco a somma positiva’ (De Leonardis
1998: 114), che porta a condividere i vantaggi offerti dalla coo-
perazione (es. IV.180).
Es. IV.179 - Docente di ISSM di viola, maschio, 60 anni:
È faticosissimo: ci son delle cose che potrebbero, come dire, ridare va-
lore alla Scuola [ad esempio, fare i saggi] nelle scuole elementari di zone
disagiate e depresse culturalmente e anche socialmente (…) poi inviti
qui (…) ma la Scuola deve straripare da qui, invece siamo in una diga!

Es. IV.180 - Docente di ISSM di percussioni jazz, maschio, 55 anni:


I [bravi] musicisti le barriere tra linguaggi non se le pongono, perché
sanno che la musica è una cosa fluida e anche culturalmente il mondo
sta cambiando… (…) [Q]uindi il problema non è avere [moltissime] do-
mande di fagotto, ma salvaguardare la qualità, sensibilizzare la possibile

286
utenza, i giovani ed i bambini delle scuole medie convenzionate (…) fa-
cendo loro capire con concerti, con attività, che esistono tantissimi stru-
menti, che non ci sono solo la chitarra e la batteria. Perché il vantaggio
se studi fagotto qual è? È vero che ti dedichi ad una musica specialistica,
ma (…) se impari a suonare bene il fagotto, in un certo senso hai meno
concorrenza, ed è uno strumento meraviglioso: il problema non è avere
in futuro gli stessi studenti di jazz o toglierli al jazz (…) ma salvaguardare
un elemento fondamentale della nostra [cultura].

2.2 La formazione: il modello accademico


2.2.1 (3+2)=15? La tensione tra l’habitus professionale classico
e i nuovi modelli formativi
Abbiamo visto nel capitolo precedente come i primi anni di
Conservatorio rappresentassero nel vecchio ordinamento una
prima fondamentale prova iniziatica volta a selezionare i profili di
allievo con le risorse necessarie a proseguire il percorso di forma-
zione alla professione di musicista o, in caso di incompatibilità,
provvedere all’espulsione, coatta o indotta, dalla Scuola.
L’impostazione degli insegnamenti impartiti nei primi anni si fo-
calizzava su un metodo di apprendimento (ripetizione meccanica,
esercizio regolare, autorità indiscussa del maestro) prevalentemente
finalizzate a sedimentare nel futuro musicista un habitus fondato sul
rispetto dell’autorità e della disciplina e a consentire l’appropriazione
del linguaggio musicale e delle tecniche corporee allo strumento.
Tale impostazione della formazione di base risulta in pro-
fondo contrasto con le caratteristiche assunte dal percorso
‘pre-accademico’, istituito a seguito della Riforma, che lo pre-
vedeva in modalità temporanea e comunque non ordinamenta-
le, per consentire il passaggio al livello accademico a fronte di
una inadeguata offerta di istruzione musicale di base all’interno
del sistema scolastico. Sebbene in genere definito riadattando i
modelli didattici previsti nel vecchio ordinamento come svolti
dai docenti fino alla Riforma, piuttosto che rivedendone ap-
procci, contenuti e finalità, i corsi pre-accademici – la cui rior-

287
ganizzazione è in discussione in Parlamento al momento della
stesura del volume – hanno visto una dilatazione della durata
della formazione di base che in genere si estende all’intero ci-
clo della scuola secondaria, ovvero otto anni, un periodo che
nel Conservatorio del vecchio ordinamento coincideva con il
conseguimento del diploma, per alcuni strumenti e discipline,
o comunque con il raggiungimento di un livello di formazione
avanzata, per i corsi di durata decennale.
Alla dilatazione dei corsi di base hanno contribuito, prin-
cipalmente, due ordini di fattori. Da un lato vi sono state le
pressioni dei docenti, a fronte di una inadeguata domanda
di formazione di livello accademico, di completare il proprio
monte ore attivando una serie di corsi nel livello pre-accademi-
co. Ciò ha creato nei percorsi di studio pre-accademico degli
studenti una dispersione didattica che ostacola la costruzione di
un bagaglio coerente e solido di competenze di base e l’orienta-
mento funzionale di queste allo studio del corso principale (es.
IV.181), problemi che – come vedremo – si ripresentano anche
nel livello accademico, sebbene la loro rilevanza vari a seconda
del contesto specifico (es. IV.182).
Es. IV.181 - Docente di ISSM, maschio, 50 anni:
Il grande problema è stato l’istituzione del preaccademico. Nel mo-
mento in cui si lascia libertà di scelta, bisogna vedere come viene utiliz-
zata. Allora cosa è successo: hanno iniziato a spalmare gli insegnamenti,
a diversificare materie come solfeggio e compagnia e a renderli infiniti.
Ho avuto allievi che dopo tre anni di solfeggio alle scuole medie erano
ancora al I volume [di esercizi] (…) Gli insegnanti hanno cominciato
ad avere tutti paura [di perdere il posto], quindi hanno messo tutti gli
insegnamenti dentro il pre-accademico: gli insegnanti di canto corale,
storia della musica e armonia che chiedono quattro anni precedenti
all’accademico; gli esami di ammissione al triennio sono subordinati
a un esame di storia della musica, armonia e solfeggio, che è assurdo -
capisco solfeggio, ma una materia nozionistica studiata in due mesi non
può avere lo stesso veto nell’ammissione dei ragazzi di studi che durano
sette o otto anni...

288
Es. IV.182 - Direttore di ISSM:
Qui dipende da Conservatorio a Conservatorio: [nel nostro] gli esami
di ammissione sono abbastanza difficili, se si vuole entrare bisogna pre-
pararsi. Poi [l’allievo] sa che studierà qua. Come in molte cose il titolo
di studi è uguale, ma la preparazione è diversa.

Dall’altro lato le ragioni hanno a che fare con le caratteristiche


dei giovani iscritti, socializzati a modelli educativi difficilmente
compatibili con la costruzione dell’habitus tradizionale del musici-
sta professionista classico. Si tratta infatti di giovani nativi digitali,
costantemente impegnati a seguire anche la ‘vita oltre lo schermo’
attraverso i loro dispositivi tecnologici (Turkle 1997), specie il te-
lefono cellulare, ormai vissuto come una sorta di protesi corporea,
ma anche cognitiva (Chalmers 2008). Ciò porta a distrarre l’atten-
zione rispetto a quanto avviene all’interno della classe, ostacolando,
ad esempio, l’attivazione di quella forma di ‘apprendimento passi-
vo’, dato dal seguire le lezioni dei propri compagni, che abbiamo
visto in uso nel vecchio ordinamento. Durante la lezione degli altri
allievi, infatti, i ragazzi spesso sono impegnati col proprio telefono
cellulare: «È tanto se smettono di usarlo durante la loro lezione!»,
ironizza un docente di pianoforte.
Un’altra caratteristica delle nuove generazioni è data dalla
loro socializzazione all’interno di contesti familiari che – pur
nella pluralizzazione delle loro forme – risultano maggiormen-
te incentrati sull’affettività, rispetto a quelli incentrati sulla nor-
matività tipici delle generazioni antecedenti, e finalizzati più a
trasmettere amore che regole e principi (Benadusi 2006: 95,
Buzzi et al. 2007). Anche in ambito pedagogico si assiste alla
legittimazione di modelli, già sviluppati nel corso Novecento,
improntati sull’attenzione alla crescita affettiva e relazionale del
bambino, non più spettatore ma attore del processo formativo,
caratterizzato da spontaneità e libertà comportamentale (Chiosso
2012). I costrutti affettivi, cognitivi e comportamentali cui fan-
no riferimento giovani studenti del Conservatorio post-Riforma

289
contrastano perciò fortemente con l’habitus di rigore, disciplina,
compostezza, obbedienza, concentrazione, sul quale si basava la
tradizionale formazione musicale professionalizzante del Conser-
vatorio (es. IV.183, 184). Lo spirito di sacrificio richiesto agli
allievi nel modello tradizionale, inoltre, non trova più una spon-
da nei genitori, maggiormente orientati ad un permissivismo nei
confronti delle scelte dei figli (es. IV.185), e ad un’iperprotezione
che tende a preservarli da difficoltà, privandoli però al contempo
delle gratificazioni derivanti dalla capacità di conquistarsi da soli
i propri traguardi (es. IV.186).
Es. IV.183 - Docente di ISSM, femmina, 55 anni:
[T]i faccio un esempio pratico: i bambini di adesso, mediamente - com-
plice l’educazione e i mezzi con cui loro hanno a che fare tutti i giorni,
mezzi elettronici, digitali, ma anche l’educazione che ricevono, che li
spinge alla motorietà molto spinta - (…) sopportano malissimo questa
autodisciplina - che è invece è più vicina alla cultura orientale - che ab-
biamo noi [in Conservatorio], che è tutta interiore, di ricerca di sensa-
zioni dentro il corpo, molto composta, molto nella mente, meditazione,
riflessione, continua ricerca di qualcosa di ineffabile in fondo… Questi
bambini vogliono giocare, vogliono muoversi, si stufano molto presto…

Es. IV.184 - Docente di ISSM di trombone, maschio, 45 anni:


[I]n Italia questa nuova generazione è molto povera di talenti, o me-
glio, è molto povera di voglia di studiare, perché [gli studenti] hanno
mille distrazioni e lo studio della musica comporta veramente tanto
sacrificio, lo sappiamo. Quindi non sono disposti al sacrificio. Tanto è
vero che capitano degli allievi, ne ho quattro, molto in gamba, ma gli
altri, su nove, così così. Poi ho un allievo [il decimo] che fa il medico,
[suona] solo per hobby (…) Se tu parli con gli altri insegnanti siamo
tutti nella stessa situazione. C’è chi non ha in classe neanche uno che
abbia intenzione di sacrificare il suo tempo per migliorare. Quindi ti
trovi con degli allievi che studiano un’ora, ma neanche tutti i giorni, e
non solo al primo anno….

Es. IV.185 - Pianista, femmina, 35 anni:


Io faccio anche lezioni a dei bambini e i genitori oggi dicono: “Io
non voglio forzarlo”. È vero che forzare è sbagliato, però è anche

290
vero che, come per tutte le materie, i bambini davanti alle difficoltà
si fermano e preferiscono fare le cose più semplici e più immediate.
Bisogna fargli capire, e indirizzarli in questo senso, che per ottenere
dei traguardi più importanti bisogna faticare di più e dedicare il
proprio tempo…

Es. IV.186 - Docente di ISSM di clarinetto, maschio, 55 anni:


Poi secondo me i ragazzi di oggi sono anche, come dire, un po’ più
abituati ad avere tutto, un po’ facile, alle volte anche io con loro: e gli
mando la parte, e gli mando la registrazione, alla fine devi mettergli
tutto proprio sotto il naso…

Infine, nel modello formativo del vecchio ordinamento il


tempo da dedicare allo strumento era spesso ricavato grazie all’in-
terruzione degli studi scolastici una volta conseguito il diploma
di scuola media o mediante la riduzione del tempo dedicato alla
scuola secondaria superiore e ad ulteriori attività, sportive o ri-
creative. Nelle generazioni post-Riforma, per le quali la scuola se-
condaria superiore diventa componente obbligatoria del percorso
formativo del cittadino39, tale possibilità non è contemplata. Alle
discipline legittimate all’interno del percorso scolastico ‘standard’
è riconosciuta dalle famiglie priorità nella formazione dei figli,
mentre lo studio della musica resta associato al tempo ricreati-
vo del dopo-scuola, all’interno del quale confluiscono in gene-
re ulteriori attività (tra cui, di frequente, uno sport e lo studio
dell’inglese). Si tratta di un dilemma che pare risolvibile solo con
l’integrazione dello studio della musica all’interno del curricolo
liceale (es. IV.188).

39. La legge italiana distingue tra obbligo scolastico e obbligo formativo: il


primo richiede la permanenza nel sistema di istruzione per dieci anni, in una
scuola secondaria superiore o in un istituto professionale di durata minima
triennale e, sebbene finalizzato ad incentivare il conseguimento del titolo, rap-
presenta un traguardo temporale che prescinde dalle promozioni ottenute; il
secondo fa riferimento al diritto/dovere dei giovani che hanno assolto l’obbligo
scolastico di conseguire la qualifica corrispondente al ciclo di studi frequentato
(l.n.296/2006).

291
Es. IV.187 - Pianista, femmina, 35 anni:
Però è anche vero che come approccio, soprattutto nelle nostre gene-
razioni ma ancora di più oggi, i genitori vendono lo studio di uno
strumento, della musica, come un qualcosa di secondario, che comun-
que viene dopo le materie principali che vengono insegnate a scuola:
bisogna quindi andare bene prima in matematica, in storia, etc. e poi se
si va bene anche musica ben venga. In realtà se si desse lo stesso peso,
sia nella formazione del bambino [da parte del genitore], ma anche il
peso a scuola dei docenti alle diverse materie, anche alla musica, i bam-
bini sarebbero spronati maggiormente: anche la matematica richiede
costanza, se si abbandona o se si saltano alcuni passaggi diventa più
problematica, se si è costanti nello studio diventa abbordabile.

Es. IV.188 - Docente di ISSM di clarinetto, maschio, 50 anni:


[L]’idea del liceo può essere un’idea interessante, dove fai tutte le ma-
terie musicali con le altre materie. Ma fatto così [come è al momento,
ndr] dove tu devi farti un liceo al mattino fino all’una e mezza le due,
poi devi tornare a casa e studiare clarinetto, storia della musica e ar-
monia e studiare le materie della scuola, diventa secondo me una cosa
quasi impraticabile, impossibile…

A fronte di una significativa presenza di studenti iscritti che,


per i motivi sopra illustrati, non si applicano sufficientemente allo
studio, il Conservatorio post-Riforma non è in grado di attivare il
meccanismo che nel vecchio ordinamento ne garantiva la selettività
qualitativa – sebbene, come visto, talvolta su base di considerazio-
ni opinabili – ovvero l’espulsione dalla Scuola. Infatti, il modello
organizzativo managerialistico, nel legare l’esistenza dei servizi del
Conservatorio alla presenza della domanda per tali servizi da parte
degli studenti e delle loro famiglie, esautora i maestri dal ruolo di
garanti responsabili dell’acquisizione da parte dei propri allievi degli
standard qualitativi previsti dai corsi di studio, esercitato nel vecchio
ordinamento. Come vedremo meglio, la verifica su base prettamente
formale e quantitativa (incentivata dalla logica dell’accumulo dei cre-
diti formativi) contribuisce a scippare i maestri del proprio habitus
professionale, nonché ad abbassare significativamente il livello me-
dio di preparazione degli studenti (es. IV. 189,190).

292
Es. IV.189 - Docente di ISSM di musica elettronica, 50 anni, ma-
schio:
[I]l problema, ad esempio, come fare a mandare via i ragazzi se i ragazzi
non studiano, eccetera: noi siamo anche sotto ricatto, perché la Rifor-
ma si fa a zero costi, cosa assurda; la Riforma si fa con personale non
formato per fare i nuovi tipi di corsi, cosa assurda; e la Riforma si fa
che se ci sono le iscrizioni funziona e se non ci sono non funziona più:
questa è una cosa che mi devasta la vita dell’attività didattica, perché
sapere che il ragazzo deve essere tenuto dentro perché paga le tasse,
anche se prende tutti 18, non mi permette di dedicarmi con il giusto
[impegno]...

Es. IV.190 - Docente di ISSM di quartetto d’archi, maschio, 55 anni:


[Dopo la Riforma] ci son stati degli anni che (…) ero proprio un di-
stributore automatico di ore, di ore di insegnamento: cioè, allievi che
arrivavano e facevano: “Io devo preparare questo, questo e quest’al-
tro…”. Arrivati ad un tot delle ore: “Maestro, io ho finito, devo fare
l’esame!”; “L’esame tu non lo puoi fare perché non sei in condizioni di
fare l’esame: lo so che hai fatto tutte le ore e che lo puoi fare, ma non
lo fai lo stesso perché non [sei pronto]!”; “Non fa niente: io l’esame lo
do lo stesso, perché ho finito le ore e non ho nessuna intenzione di con-
tinuare a frequentare…”. (…) Abbiamo avuto scontri in commissione
per alcuni allievi che non erano da portare avanti, ma alla fine ci siamo
anche noi un po’ adeguati a questo: il livello di conseguenza è sceso
molto, è sceso tantissimo…

1.2.2 La normalizzazione del Conservatorio


all’interno del sistema di istruzione nazionale
Le profonde differenze finora descritte tra il modello regola-
tivo e la popolazione studentesca dei Conservatori post-Riforma
rispetto a quelli del Conservatorio tradizionale si riscontrano an-
che nella mutata concezione della Scuola come luogo educativo.
«La prima differenza che mi salta agli occhi è che [il Conservato-
rio di oggi] è molto più deserto, c’è molta meno gente…», nota
un trombettista oggi docente nel Conservatorio dove ha studiato
da allievo. Questo perché nel Conservatorio post-Riforma, come
abbiamo visto, gli studenti iscritti – frequentando anche una
scuola secondaria o avendo comunque ulteriori impegni lavora-

293
tivi o ricreativi – non vi trascorrono più insieme una parte signi-
ficativa del loro tempo. La dimensione comunitaria pare erodersi
anche per la popolazione dei docenti, frustrati a fronte di nuovo
modello didattico che ne ridimensiona notevolmente compiti e
funzioni e di un contesto lavorativo caratterizzato da incertezza
organizzativa e frequente antagonismo tra colleghi.
La dimensione comunitaria, tanto dell’apprendimento quan-
to della didattica in Conservatorio nel vecchio ordinamento, che
creava tra gli allievi e tra i docenti un forte senso di appartenenza
all’organizzazione, attivando circoli virtuosi di crescita e miglio-
ramento, lascia dunque spazio ad un modello di formazione in-
dividualizzata e standardizzata, dove le relazioni terminano con
l’erogazione del servizio prestato. In tal modo il Conservatorio per-
de i suoi tratti istituzionali distintivi, per assumerne nuovi che lo
rendono più simile all’attuale Università italiana (es. IV.191-193).
Es. IV.191 - Docente di ISSM di fagotto, maschio, 55 anni:
Allora, io cerco di darmi delle risposte rispetto a quanto accade attorno.
Molto [del fatto che gli studenti studiano poco] dipende dall’ambiente.
Perché gli anni che studiavo io, c’erano [Pinco Palla, nomina un celebre
violinista, ndr] e tanta gente capace: c’era tanta gente brava in Conser-
vatorio, la gara era a chi era più bravo e c’era una competizione legata a
tutti gli strumenti. In questi anni, intanto c’è la privacy: nessuno deve
sapere niente dell’altro… Tu vedi queste figure, non sai chi sono, non
sai se stanno suonando, non li senti mai suonare: non c’è più il saggio
aperto obbligato di tutti, non c’è più una vita di comunità e soprattut-
to non c’è, proprio la soddisfazione dell’esser bravi, si gioca all’essere
nascosti (…) Adesso non c’è nessuno [in Conservatorio]; noi ci tro-
vavamo: “Cosa facciamo, suoniamo?”. Avevamo anche tutto il tempo,
nessuno faceva la doppia scuola. [Adesso invece] e karate, e ginnastica,
tutto relegato con la stessa importanza, che è periferica, il punto centra-
le è il liceo - ma neanche tanto…

Es. IV.192 - Docente di ISSM di viola, maschio, 60 anni:


[I]o mi lamento che il Conservatorio non è più quello di una volta:
(…) i saggi devono essere raggruppati in un periodo, come li facevamo
noi. [Adesso] uno li fa a settembre, uno li fa ad ottobre, uno li fa a giu-

294
gno, uno li fa a maggio: non c’è attrattiva, capito? Non c’è quel segnale
forte che il Conservatorio dava prima: l’auditorium in una settimana di
saggi sempre pieno, venivano tutte le scuole del circondario, gli amici
degli amici degli amici della scuola media (…)

Es. IV.193 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 55 anni:


[Oggi] non c’è più la frequentazione del Conservatorio in quanto
scuola anche dopo la lezione, ho reso?(…) [A]llora c’era questo di
restare, di allungare la parte di chiacchera, che era un’opportunità
di confronto, adesso è diventata una cosa abbastanza statica (…) [I]
n parte è un riflesso di quello che viviamo come società moderna, un
individualismo molto sfrenato, e in parte una sfiducia nei mezzi che
la Scuola [il Conservatorio, ndr] può offrire (…) Si frequenta un po’
come si frequenta l’università: si entra, si fa la lezione poi si va via,
senti uno-due colleghi, ma non c’è il fatto di viverla insieme, questo
senso della struttura [di cui] ci si sentiva parte (…), quasi a essere una
cosa un po’ speciale, no?

La nuova identità del Conservatorio come centro culturale


per la formazione e la diffusione della produzione musicale di
livello accademico integrato nello spazio europeo dell’alta forma-
zione stenta dunque ad emergere. Uno dei principali fattori di
tale ritardo è legato a un mancato investimento ministeriale per
ammodernare e potenziare le strutture – in alcune realtà territo-
riali particolarmente fatiscenti – e le loro dotazioni strumentali,
logistiche e tecnologiche (es. IV.194). Tra tali infrastrutture una
non particolarmente dispendiosa ma estremamente utile sareb-
be la predisposizione di una rete telematica, per consentire ai
Conservatori, tra le altre cose, di dotarsi un portale istituzionale
efficiente, completo, aggiornato40. Alle difficoltà strutturali e in-
frastrutturali si aggiungono gli ostacoli creati dai docenti mag-
giormente ostili al cambiamento – in genere quelli più sprovvisti
delle risorse necessarie per ricollocarsi vantaggiosamente all’in-

40. Si tratta di uno strumento del quale ancora una grossa parte degli istituti
non ha compreso la rilevanza, in termini di comunicazione interna e promozio-
ne esterna, come appurato durante la ricerca.

295
terno del nuovo modello Conservatorio – i quali oppongono alle
nuove iniziative forme di resistenza passiva o attiva, realizzate di-
sinteressandosi alle iniziative e disertandole o invece screditando-
le o denigrando chi le promuove (es. IV.195-197).
Es. IV.194 - Docente di ISSM di percussioni jazz, maschio, 55 anni:
[S]econdo me l’assetto universitario deve valorizzare nella formazione
la produzione, cioè la formazione migliore è quella, soprattutto ad alti
livelli, che dall’inizio, integra lo studio individuale degli esercizi con le
produzioni musicali… Cioè questo [il Conservatorio] deve essere un
centro di cultura musicale. Noi dobbiamo avere dei cartelloni tematici
su tutte le aree musicali: musica antica, musica contemporanea, mu-
sica d’orchestra… invece che succede? Non abbiamo la possibilità di
attivare laboratori perché mancano gli spazi, mancano gli strumenti,
mancano le infrastrutture, non abbiamo montacarichi… gli strumenti
non si possono spostare comodamente: è una struttura che funziona
male e crea un disagio infernale!

Es. IV.195 - Docente di ISSM di musica elettronica, maschio, 50 anni:


[I]l Ministero ha utilizzato musica elettronica per fare quella che sarebbe
la Riforma a costo zero (…) In sostanza, invece di sapere cos’è la didat-
tica della musica elettronica e inquadrarla nel contesto complessivo, si è
affidato al fatto che l’apertura di un numero indiscriminato di [cattedre
di] musica elettronica avrebbe permesso ai Conservatori di acquistare
computer, di fare le aule multimediali (...) il che significa non solo che io
entro per fare composizione e in realtà devo fare un servizio al Conserva-
torio (…) Cioè, nelle scuole europee - come diceva il mio collega prima
- io ho avuto difronte a me tecnici che se si rompeva la lampadina me
la riparavano, oppure se mi si rompeva il microfono me lo ricostruivano
(…) Se c’è una squadra di manutentori e tecnici si può fare [invece] mu-
sica elettronica è stata sfruttata (…) in parte anche per fare questo lavoro
(…) e questo ha squalificato moltissimo la didattica…

Es. IV.196 - Studente di ISSM, maschio, 25 anni:


[C]’è una grossa fetta di docenti vecchi, che magari non suona da
trent’anni, che non fa più concerti, insomma, che, diciamo, come delle
malelingue - chiamiamole come vuoi - fa girare delle voci da anni in
questo Conservatorio, per cercare di boicottare [le iniziative dei do-
centi più attivi]: un boicottaggio psicologico, quasi, soltanto che vince
ancora…

296
Es. IV.197 - Docente di ISSM di viola, maschio, 60 anni:
[L]a Scuola [il Conservatorio] comunque è un organismo che soffre di
tante gelosie, come tutte le scuole e come tutti gli istituti, per cui, io
che faccio tante cose al di fuori della Scuola, ho fatto delle cose anche
dentro la Scuola, ma sempre con troppe difficoltà, per cui c’è stato un
periodo in cui ho lasciato. Adesso invece sto riprendendo ma in una
chiave diversa, perché ho capito che, per quanto tu voglia fare delle
cose disinteressatamente, proprio in maniera totale, c’è sempre chi dice
che tu invece hai interessi e siccome io ho veramente altro a cui pen-
sare, allora ho preferito [adottare un profilo] molto più basso, molto
più tranquillo (…) e collaboro con la mia Associazione per quelle che
sono le spese, ovviamente: perché il Conservatorio soldi non ne ha,
come tutti gli istituti e istituzioni italiane versiamo in dolorose vicende
finanziare: solo così ho ricominciato a collaborare con la Scuola, ma in
maniera molto più tranquilla…

1.2.3 L’ascesa del modello didattico professore-studente


L’organizzazione del Conservatorio post-Riforma porta
all’accesso al livello pre-accademico di una tipologia di studen-
te spesso scarsamente motivato, distratto da ulteriori impegni
di studio e attività ricreative, socializzato a modelli educativi
permissivi e modulati sulle diverse fasi del suo sviluppo. Tale
tipologia contrasta fortemente con i requisiti (spirito di sa-
crificio, disciplina, compostezza, obbedienza, concentrazione)
sui quali si fondava la tradizionale formazione musicale pro-
fessionalizzante del Conservatorio nel vecchio ordinamento.
Tale contrasto porta i docenti, specie quelli appartenenti alle
generazioni più anziane maggiormente radicate nel vecchio
modello regolativo, a soffrire una profonda crisi di identità
professionale. La soluzione a tale crisi è talvolta ricercata nella
sperimentazione di approcci ludici alla formazione di base,
che come abbiamo visto presentano l’inconveniente di disto-
gliere l’allievo – nel limitato tempo dedicato alla pratica del-
lo strumento – dal processo di incorporazione delle tecniche
corporee attraverso la pratica della ripetizione (es. IV.198).

297
Es. IV.198 - Docente di ISSM di contrabbasso, maschio, 60 anni:
Adesso sono veramente disperato (…) [i pochi iscritti] non hanno la
passione, la voglia, lo stimolo di crescere, di fare veramente… Tu dirai:
“Ma tu pensi troppo a quello che è il tuo passato e non a quello che è
il presente, perché oggi giorno devi mettere sul piatto anche la società
di oggi, dei ragazzi, il modo di comportarsi, i telefonini, quindi molte
distrazioni; prima non c’erano queste cose, quindi devi accontentar-
ti”. Ma anche mettendo in conto tutto questo, è difficile, non riesco
a tirarne fuori succo. Allora ti chiedi ogni tanto: “Ma dovrò cambiare
approccio?”. Però è difficile anche pensare quale approccio devi avere:
che lo lasci fare o che tu conduci il gioco e lo indirizzi verso la sua
crescita? Diventa veramente complicato. Adesso con questi bambini
cerchi di aiutarli, gli fai fare canzoncine divertenti, Che bella fattoria,
cosettine, cercando sempre di correggere il tiro per quanto riguarda la
preparazione di base, che è molto importante. Lì c’è l’arma a doppio
taglio, perché facendo troppo queste cose loro si divertono a fare queste
cose e non fanno l’altro, che sarebbe la base per poi poter migliorare. È
molto difficile da gestire…

Un’altra strategia adottata dai docenti per far fronte ai dilem-


mi della didattica post-Riforma consiste nello stimolare gli allievi
con una serie di tecniche motivanti (l’atteggiamento sorridente,
le frasi di incoraggiamento, i gesti di approvazione, l’affiancamen-
to nello studio), assai differenti dall’approccio già considerato nel
caso del vecchio ordinamento, che consentono di accendere e so-
stenere la loro motivazione allo studio, ulteriormente gratificata a
seguito dei progressi realizzati, innescando in tal modo un circolo
virtuoso dell’apprendimento (es. IV.199,200).
Es. IV.199 - Docente di ISSM di trombone, maschio, 45 anni:
[L]a mia didattica è completamente diversa [da quella del mio mae-
stro]. Io stimolo tantissimo… Perché sono cambiati i tempi: se miei
tempi l’insegnante era l’insegnante, ti stai zitto, perché quello che ti
dice è oro colato, perché ti sta preparando ad una professione, ad un
futuro, eccetera, oggi è cambiata la realtà. L’insegnante è uno di noi,
molto spesso ti danno del tu – io sono molto fermo su questo: al bam-
bino lo concedo, agli altri no – (…) Quindi laddove devi far passare
una informazione, devi farla passare col sorriso: fermo, ma col sorriso

298
e soprattutto stimolandolo, incoraggiandolo, motivandolo tantissimo.
Gli dai conferme, lo metti nella condizione di acquisire uno stato di
sicurezza che gli permette di affrontare lo studio con più divertimento,
capito? Cosa che non esisteva ai nostri tempi, quando ci davano gli
scappellotti!

Es. IV.200 - Docente di ISSM di fagotto, maschio, 50 anni:


[Con gli studenti] studiamo sempre insieme, suoniamo insieme. Io lo
so che loro a casa non fanno ni-en-te! [scandendo le sillabe, ndr]. In-
fatti gioco, scherzo: “Tu lo sai che prenderai 10 all’esame, ma non per
merito tuo, per merito mio…”. C’è molto gioco, alla fine loro hanno
i risultati, sono soddisfatti, e rimangono, si appassionano, studiano.

Come si evince dagli estratti sopra riportati, l’adozione di tali


metodologie comporta una radicale ridefinizione della relazione
educativa, che ridimensione la forte asimmetria e demarcazione
dei ruoli che separava il maestro dall’allievo nella didattica del
Conservatorio tradizionale, per ricalibrarsi in una dimensione
più paritaria tra docente e studente, nella quale quest’ultimo non
è termine passivo della relazione, nella quale interviene attraverso
un feedback educativo.
Tale mutamento nella relazione educativa, sebbene partico-
larmente evidente nel caso della formazione musicale di base, si
riscontra anche nella formazione accademica, dove il forte ridi-
mensionamento della centralità dello studio dello strumento o
del canto a favore delle altre materie – prima a carattere comple-
mentare e del tutto residuale rispetto al corso principale – ridefi-
nisce il rapporto tra maestro e allievo nei termini di una relazione
più distaccata, demitizzata, estemporanea, più vicina a quella tra
professore e studente, prevalente nell’ambito universitario (es.
IV.201-203).
Es. IV.201 - Docente di ISSM di viola, maschio, 60 anni:
CC: Come la chiamano i suoi allievi?
Professore, ormai ci chiamano tutti professori (…) prima eravamo ma-
estri, invece adesso, da quando siamo diventati università….

299
Es. IV.202 - Docente di ISSM di flauto, maschio, 60 anni:
Una volta mi chiamavano tutti maestro, adesso professore, nel migliore
dei casi, altrimenti prof [ridendo, ndr] (…) [A] me piace essere chiama-
to maestro, però non c’è più nessuno [che lo fa], solo i vecchi alunni mi
chiamano maestro…

Es. IV.203 - Direttore di ISSM:


Ripeto: l’idea del maestro andava migliorata, valorizzata, andava eli-
minata l’idea del possesso, ma l’idea del maestro-allievo è il futuro,
non va buttato via. E invece un po’ al triennio [la Riforma] ha fat-
to così, perché disseminando il sapere in mille insegnamenti, mille
esami, mille crediti… e poi l’insegnamento con quattro crediti: c’è
il professore che ti costringe a studiare venti libri e ci sono studenti
che non hanno tempo di studiare pianoforte perché devono studiare
storia degli strumenti.

L’abbandono del modello maestro-allievo è vissuto da mol-


ti docenti come qualcosa di negativo non soltanto nella pur
avvertita dimensione di perdita di prestigio professionale se-
guita alla Riforma – che formalmente inserisce i docenti in un
livello formativo superiore e praticamente ne svilisce l’espe-
rienza didattica accumulata, ne amplia i compiti amministra-
tivi, senza rivederne modalità contrattuali e retributive – ma
anche in riferimento alla valenza attribuita a tale modello per
le specificità richieste dall’apprendimento artistico-musicale.
La maggior parte dei docenti intervistati è pronta a ricono-
scere gli anacronismi, i difetti e i rischi insiti nella relazione
allievo-maestro così come realizzata nel vecchio ordinamen-
to, ma ritiene che la Riforma, nel volerli correggere, “abbia
buttato via il bambino con l’acqua sporca” – nell’espressione
usata da un docente di oboe. In effetti anche la letteratura
pedagogica riconosce nel cosiddetto ‘modellamento’ una delle
strategie didattiche più efficaci, che rendono possibile all’allie-
vo, guidato attraverso processi imitativi e continue correzioni
delle proprie prove dal maestro, l’apprendimento di abilità
che legano la pratica alla teoria (Calvani 2011). E tuttavia,

300
per essere efficace, tale strategia deve calibrare la difficoltà dei
compiti e i tempi di apprendimento alle risposte osservate
nell’allievo, al fine di consentirne un passaggio graduale verso
livelli crescenti di autonomia nel raggiungimento degli obiet-
tivi formativi (Bonaiuti 2014: 53-54).
Il consenso riscontrato tra i docenti intervistati sulla vali-
dità didattica della relazione ‘maestro-allievo’ trova conferma
nei risultati del questionario autosomministrato ai docenti.
Come indicato nella fig. IV.13, sebbene fortemente ridimen-
sionata rispetto al passato41, il modello ‘maestro-allievo’ re-
sta ancora la relazione didattica prevalente (indicata dal 42%
dei docenti), seguita da quella ‘studente-professore’ (indicata
dal 25%), mentre il 23% dei docenti intervistati dichiara di
fare riferimento ad una variabilità della relazione a seconda
dell’età dell’allievo (variabilità relativa non più soltanto alle
diverse fasi di sviluppo dello stesso allievo, ma anche alla
presenza di allievi di età molto differenti nel Conservatorio
post-Riforma). La tab. IV.13 mostra come la relazione ‘ma-
estro-allievo’ sia meno caratterizzante nel caso dei docenti di
materie musicologiche (gruppo F), che in genere insegnano
in classi collettive dove più facilmente il rapporto tra docente
e discente si articola nella relazione ‘professore-studente’ (in-
dicata dal 62% di loro). Sebbene in misura minore rispetto
alla propria esperienza formativa, il rapporto ‘maestro-allievo’
resta prevalente per i docenti di canto, di strumenti a corda e
di composizione e direzione (A, B, D), e – in misura minore
– per i docenti di nuove discipline non classiche (39%) e di
strumenti a fiato (36%); per questi ultimi, in particolare, il
rapporto varia a seconda dell’età dell’allievo (come indicato
dal 39% degli intervistati).

41. Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, la relazione maestro-allievo


descriveva il rapporto avuto col proprio insegnante in Conservatorio per oltre il
73% dei docenti che hanno partecipato al questionario.

301
Fig. IV.13 - Quale delle seguenti relazioni meglio descrive il rapporto
che ha con allievi e allieve del suo corso? (valori percentuali complessivi)

Tab. IV.13 - Quale delle seguenti relazioni meglio descrive il rapporto


che ha con allievi e allieve del suo corso? (valori percentuali per specializzazio-
ne disciplinare docente)

A B C D E F
genitore/figlio 0,0 2,5 1,7 2,3 4,4 0,8
maestro/allievo 51,9 47,9 35,7 44,4 38,9 17,1
professore/studente 28,8 15,2 13,9 24,5 31,1 61,8
superiore/sottoposto 0,0 0,2 0,0 0,0 0,0 0,0
diversi di questi,
13,5 22,8 39,1 21,8 21,1 13,8
a seconda dell’età
altro 5,8 11,3 9,6 6,9 4,4 6,5
Tot. 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Pop. di riferimento 52 434 116 216 92 126

Tuttavia, non sempre il modello maestro-allievo permane nel-


le sue tipologie virtuose: sebbene in misura decisamente minore
rispetto al passato, anche nel Conservatorio post-Riforma si ri-
scontrano nei docenti comportamenti che rivelano la persistenza
di una concezione proprietaria della classe, di difficoltà nel cali-
brare la formazione a misura dell’allievo (es. IV.204), di forme di
inadeguatezza didattica (es. IV.205), nonché di molestie di tipo
psicologico o sessuale (es. IV.206), riprese dai media nei casi de-
nunciati alla giustizia penale.

302
Es. IV.204 - Direttore di ISSM:
[M]i chiama un docente, che mi dice: “Mi serve un pianista accom-
pagnatore.”; gli rispondo: “Adesso dobbiamo aspettare la graduatoria
del bando, abbiamo già fatto la selezione.”. Prima mi manda un sms
e mi dice: “Non posso aspettare: chiamo un mio amico per le prove a
lezione!”. Ma ti porti uno sconosciuto a lezione senza autorizzazione?
Perché per loro la Scuola è una stanza dove si fa una lezione quasi
privata, è un uovo, si chiude a chiave, fa le sue cose, ho la proprietà
dei miei allievi… Questa è la mentalità che, per carità, non è neanche
del tutto sbagliata: l’idea del maestro, è una cosa che oggi qualifica
moltissimo [il Conservatorio]: in una scuola di falsi maestri o scarsi
maestri il fatto che ogni studente abbia un maestro nobilita il Con-
servatorio, ma il maestro deve sapere. Invece ho dei docenti che non
hanno alcuna coscienza delle difficoltà con gli adolescenti: trattano
un dodicenne come se fosse un venticinquenne e nemmeno si metto-
no il problema che forse sono cose diverse.

Es. IV.205 - Studentessa di ISSM, femmina, 30 anni:


Davvero io mi sono trovata in una situazione didattica nulla, dove però
il potere e il carisma [del docente] sono così forti che si è sconsigliati
e sfiduciati al cambio, dall’aprire dal palesare le cose. Ecco: perché noi
teniamo la lingua ferma, perché non diciamo niente? Per tante cose. Io
ho scelto di stare zitta, per non ledere i rapporti con altri insegnanti che
invece mi stavano dando molto. Allora si cerca di non essere una mina
vagante in Conservatorio, identificata come un problema: perché se
questa cerchia inizia a identificarti come una figura problematica, allora
li sono cose dure, perché si sa che tu pianti grane…

Es. IV.206 - Rappresentante degli studenti, maschio, 30 anni:


C’è poi questo problema: che molti ragazzi, praticamente la totalità dei
ragazzi, sta zitto [quando ha problemi col docente] perché poi all’esa-
me ti ritrovi la stessa persona [in commissione d’esame], visto che il
direttore non lo può licenziare (…) Anche qui abbiamo avuto casi [di
molestie sessuali]: il direttore tendenzialmente è informato di questo,
ma spesso si preferisce non dire niente, subire, sperare di uscire il prima
possibile, per evitare di compromettere definitivamente, perché se le
cose vanno male rischi di compromettere cinque anni di studio…

Altre volte la resistenza dei docenti di Conservatorio al


mutamento richiesto dalla Riforma riguarda l’attribuzione di

303
incombenze tipiche della burocratizzazione e della digitalizza-
zione del sistema di istruzione, ormai normalizzate nella vita
dei docenti scolastici e universitari (diari elettronici, relazioni,
pagine web, schede di valutazione, corrispondenza elettronica).
Nel Conservatorio del vecchio ordinamento la familiarità e la
personalizzazione che, come abbiamo visto, regolavano i luo-
ghi, i tempi e delle relazioni dei maestri con i propri allievi e
coi colleghi e il carattere tradizionalista e comunitario dell’isti-
tuzione, portavano a ridurre al minimo la formalizzazione delle
relazioni e la burocratizzazione delle procedure. L’adozione del-
le procedure del modello universitario ha dunque comportato
un drastico aumento dei compiti istituzionali fino ad allora ri-
chiesti ai docenti di Conservatorio, avversato tanto dalla tipo-
logia di docente ‘inoperoso’, abituato a ridurre il suo impegno
nella Scuola al minimo indispensabile, quanto dalla tipologia
di docente ‘studioso’ – nel senso lato del termine già precisato –
che interpreta la pratica dello studio regolare e costante, spesso
accompagnata ad un’attività artistica, come parte fondante del-
la sua identità professionale (es. IV.207,208).
Es. IV.207 - Direttore di ISSM:
[S]ono i docenti che fanno propaganda negativa sul nuovo ordinamen-
to: mica per motivi ideologici, [ma] perché c’è lavoro in più (devono
segnare le presenze, devono fare domanda d’appello, cercare la commis-
sione): mancanza di volontà di cambiare le usanze.

Es. IV.208 - Docente di ISSM di pianoforte, femmina, 50 anni:


Dalla Riforma in poi la mia stampante non ha tregua, cioè: ma ero
una musicista, che cosa sono diventata? È un continuo: e compila la
scheda, e compila il modello e compila la dichiarazione e la valutazione
e la relazione (…) Poi con queste email, per carità, meravigliose, però
francamente non si vive più perché io adesso ho il terrore di guardare
che cosa mi è arrivato (…) sempre problemi in vista, non è semplice, e
comunque anche quello è lavoro, ti porta via tempo… Io che sono pia-
nista, andiamo sul pratico: se mi devo studiare un pezzo, io non posso
ogni mezz’ora rispondere a tizio…

304
1.2.4 L’isomorfismo istituzionale verso il modello universitario
L’implementazione della Riforma è caratterizzata dagli sforzi
degli attori coinvolti (in particolare, Ministero e Conferenza dei
direttori) per legittimare la presenza del Conservatorio all’inter-
no del campo dell’alta formazione, che in Italia aveva fino ad
allora visto l’Università come esclusivo inquilino. La posizione
di assoluto dominio dell’Università nel settore terziario aiuta a
comprendere il perché tale legittimazione – cadendo in un pre-
giudizio accademico, secondo il quale fa parte del livello terziario
solo ciò che ha lo statuto formale di un’università (Ribolzi 2013)
- si realizzi non attraverso una revisione del vecchio modello,
adeguata ai nuovi fabbisogni della formazione professionalizzan-
te musicale di livello accademico, bensì attivando un processo di
isomorfismo, coercitivo e mimetico42, che segue regole, categorie,
tempistiche e rituali del sistema universitario (Powell e DiMaggio
1991, Meyer e Rowan 1991, 2007).
Abbiamo visto nel capitolo precedente come, tra i musicisti
intervistati formatisi all’interno del vecchio ordinamento, vi fosse
unanime opinione sulla necessità di modificare un’offerta forma-
tiva definita negli anni Trenta del Novecento, con la sua rigida
impostazione prioritariamente volta alla costruzione del solista
virtuoso impegnato nel repertorio classico-romantico.
L’apertura dei Conservatori ad una formazione di tipo poli-
culturale, sia in ambito musicale, che generalista, indirizzata ad

42. Powell e DiMaggio (2001: 67-74) distinguono, a livello idealtipico, tre princi-
pali meccanismi di isomorfismo istituzionale: quello ‘coercitivo’, che deriva dalle
pressioni formali o informali esercitate sulle organizzazioni da altre organizzazioni
dalle quali dipendono e dalle aspettative sociali del contesto; quello ‘mimetico’,
dove condizioni di incertezza dell’ambiente spingono alcune organizzazioni ad
imitare quanto fatto da altre in posizione di maggiore forza; quello ‘normativo’,
per i quali le università e i centri di formazione professionale insegnano conoscen-
ze e tecniche di base, legittimate a seguito di processi di professionalizzazione, ad
una serie di individui che poi le applicheranno fedelmente nell’ambito delle varie
organizzazioni in cui lavoreranno.

305
una pluralità di identità professionali, oltre che a quella solistica,
è dunque l’aspetto della Riforma che incontra maggior favore tra
gli intervistati. Per conseguire il diploma accademico, agli allievi
è oggi richiesto di frequentare una serie di attività a carattere sia
teorico che pratico, le quali si affiancano alla formazione stret-
tamente strumentale, nell’intento di superare le lacune cultura-
li riscontrate nella strutturazione del vecchio ordinamento (es.
IV.209). La nuova offerta formativa amplia il repertorio tradizio-
nale ad ambiti non considerati dal canone classico-romantico del
vecchio ordinamento (musica antica, barocca, etc.), aprendosi a
generi e approcci musicali differenti (jazz, pop, nuove tecnologie,
etc.), ribilanciando lo spazio dedicato all’impostazione solistica
(prevedendo esami di musica da camera, da accompagnamento,
orchestrale, etc.) e affiancando allo studio dello strumento una
varietà di materie analitiche e teoriche. Anche la formazione di
base, realizzata all’interno dei corsi pre-accademici non ordina-
mentali, adotta questa apertura e definisce programmi più ag-
giornati e calibrati sull’età e le capacità dell’allievo, sebbene spes-
so non adeguati ad un percorso di costruzione delle competenze
richieste per accedere un livello accademico (es. IV.210).
Es. IV.209 - Studente di nuove tecnologie, maschio, 40 anni:
[L]a Riforma non è pensata male, perché alla fine che cosa cerca di fare?
Cerca di formare dei musicisti che non siano dei semplici esecutori,
cosa che invece accadeva in passato nei corsi tradizionale (…) Secondo
me la Riforma ha anche questo come obiettivo, tanto è vero che tutta
una serie di esami che uno studente deve sostenere accanto a quelli di
strumento servono anche a questo… Ora, è verissimo anche quello che
hai detto tu [riferito ad un collega che partecipava al focus group, ndr],
cioè che cinque anni non possono sostituire dieci anni, però in defini-
tiva cosa è successo? Che questa Riforma è stata fatta all’italiana, cioè
a costo zero, e non si può pensare di fare una riforma senza spendere
dei soldi (…) tutto questo sarebbe stato possibile solo se alle spalle ci
fosse stato un altro percorso di studi che partiva dalle scuole medie ad
indirizzo musicale e licei musicali, cosa che non è stata creata perché
ovviamente costa…

306
Es. IV.210 - Studentessa di ISSM di pianoforte, femmina, 20 anni:
[N]ei trienni, in realtà, per quanto riguarda gli strumenti i programmi
sono migliorati: perché puoi suonare certe cose che nel tradizionale,
che ha programmi vecchissimi, purtroppo non possiamo fare (…) allo
stesso tempo però secondo me nei pre-accademici si fa molto meno
rispetto a quello che abbiamo fatto noi nel tradizionale. Si chiede un
livello molto inferiore che non è poi sufficiente rispetto poi anche a
quello che fanno all’estero [nel livello accademico].

L’articolazione della nuova offerta formativa dei Conservatori


è soggetta ad una serie di adempimenti burocratici, attivati al
fine di conformarla a quella universitaria. Riprendendo quando
già realizzato con la definizione delle classi di laurea, dei settori
scientifico-disciplinari e delle aree disciplinari in ambito univer-
sitario, il MIUR definisce per i Conservatori ordinamenti che
organizzano un centinaio di corsi di diploma accademico - pre-
sentati in ordine alfabetico - associati a settori artistico-discipli-
nari, inseriti all’interno di ampie aree disciplinari43. Come nel
caso universitario, ciascun ordinamento didattico è strutturato
secondo una griglia, che ne precisa obiettivi formativi e prospet-
tive occupazionali – formulati, tuttavia, in maniera assai vaga e
standardizzata – e il numero di ‘crediti formativi’ da conseguire,
attraverso la frequenza delle varie attività, per l’ottenimento del
diploma. Anche alle istituzioni AFAM è infatti applicato il mec-
canismo dei Crediti formativi universitari (CFU), consistente
in uno strumento di misurazione del lavoro di apprendimento

43. Le aree disciplinari identificate distinguono tra: Discipline interpretative,


Discipline interpretative del jazz, delle musiche improvvisate e audiotattili, Di-
scipline interpretative della musica antica, Discipline della musica elettronica e
delle tecnologie del suono, Discipline interpretative della musica sacra, Discipline
interpretative d’insieme, Discipline relative alla rappresentazione scenica musica-
le, Discipline interpretative relative alla direzione, Discipline compositive, Disci-
pline musicologiche, Discipline teorico-analitico-pratiche, Discipline didattiche,
Discipline linguistiche, Discipline dell’organizzazione e della comunicazione mu-
sicale (i riferimenti normativi per le Declaratorie e gli Ordinamenti didattici sono,
rispettivamente il D.M. IV. 90/2009 e il D.M. IV.124/2009).

307
richiesto allo studente per la preparazione di ciascun esame, al
quale è attribuito un numero predefinito di crediti, eventualmen-
te convertibili in un’altra istituzione di alta formazione aderente
allo stesso sistema di scambio44. Tale meccanismo – che, a partire
dalla terminologia adottata, rivela la volontà di introdurre forme
di regolazione di mercato all’interno dei sistemi di istruzione -
è stato adottato dall’Università italiana all’interno del Processo
di Bologna, volto a costruire, attraverso un’armonizzazione dei
sistemi educativi dei diversi Stati membri, uno Spazio europeo
dell’istruzione superiore per favorire gli spostamenti di studenti
e lavoratori all’interno dell’Unione. Come per il sistema univer-
sitario, anche per il sistema AFAM la distribuzione dei crediti –
rinominati Crediti Formativi Accademici, CFA – si articola nei
due cicli di studio previsti richiedendo il raggiungimento di 180
crediti per il triennio, 120 per il biennio.
L’applicazione di tale meccanismo all’offerta formativa del
Conservatorio crea particolari difficoltà, legate alle peculiarità della
formazione musicale, e conseguenze non desiderate che sembrano
superare i vantaggi ottenuti. La principale difficoltà è data dalla
difficile conversione delle ore di lavoro richieste nell’apprendimen-
to della pratica musicale – variabile a seconda delle caratteristiche
dell’allievo e della articolazione della didattica, individuale o in
piccoli gruppi, secondo strategie in genere rispondenti al modella-
mento – rispetto a quelle richieste nei corsi universitari standardiz-
zati, tipicamente erogati in modalità one-to-many prevalentemente
di tipo trasmissivo45. Le conseguenze non volute riguardano invece
il drastico ridimensionamento del tempo consentito per lo studio

44. Si tratta del sistema ECTS (European Credit Transfer System), adottato
dall’Università italiana con il decreto ministeriale n.508/1999 e dalle istituzioni
AFAM con il D.P.R. IV.212/2005.
45. Bonaiuti (2014). La frazione dell’impegno orario complessivo da riservare
alle diverse tipologie di studio in relazione ai crediti da conseguire nei Conser-
vatori è precisata dal D.M. n. 154/2009.

308
dello strumento, da conciliare con il tempo da dedicare allo studio
per ulteriori attività formative, alcune caratterizzanti del corso, al-
tre relative alla formazione di base, altre a scelta dello studente, fino
al raggiungimento dei crediti formativi necessari per l’acquisizione
del diploma. La proliferazione e parcellizzazione dell’offerta forma-
tiva, più spesso definita a misura di docente, più che a partire dal-
le esigenze dello studente (es. IV.211), porta a sacrificare il sapere
pratico e specialistico distintivo del modello formativo in Conser-
vatorio, fatto di sperimentazione e sedimentazione dell’esperienza
gradualmente acquisita (es. IV.212,213) ad un sapere generalista
tipico del livello accademico e sempre più prevalente anche nella
scuola superiore (Ballarino 2013).
Es. IV.211 - Studentessa di ISSM di violoncello, femmina, 20 anni:
[I]l problema secondo me principale [della Riforma] (…) alla fine, dal
mio punto di vista, è legato ad un problema di didattica: se la didat-
tica è fatta ad un livello quantitativo, di anni di frequenza, di esami
dati, così non si avrà mai un risultato di un certo tipo; se si fa a livello
qualitativo, invece si può far in modo che anche con la Riforma, si
possa veramente fare una Scuola veramente a forma di allievo, non di
docente, soprattutto…

Es. IV.212 - Violoncellista, docente di ISSM, maschio, 55 anni:


[Q]uesto con cui dobbiamo combattere adesso è uno studente che per
andargli bene deve fare quarantacinque ore di strumento all’anno, ma
ne deve fare tre-quattrocento di tutto il resto delle materie… Questo
significa che questo allievo non avrà tutto il tempo che noi avevamo
all’epoca per studiare, non avrà tutto il tempo per affinare, fare espe-
rienza, non ce l’ha! Io lo vedo dai ragazzi che io ho adesso: non hanno
più il tempo di studiare, suonare tra di loro…

Es. IV.213 - Docente di ISSM di fagotto, maschio, 55 anni:


L’altro [problema] è quello che nelle riforme hanno iniziato a mettere
tante materie teoriche e questo ha distrutto [il sapere pratico]… perché
noi comunque siamo artigiani, se ci impedisci di poter sperimentare:
noi abbiamo tante di quelle variabili, che c’è da impazzire: anche un
millimetro di chiave spostata, tutti gli strumenti, stesso modello, stessa
marca, stesso numero, suonano diversamente…

309
Infine, l’adozione del meccanismo dei crediti tende ad attivare
un processo di ‘trasposizione delle mete’ (Merton 1957), per il
quale un valore strumentale diventa valore finale: si registra in-
fatti una tendenza degli studenti a considerare i crediti formativi
non come uno strumento per valutare approssimativamente il
tempo necessario per la preparazione di un esame, bensì come
una attestazione formale dell’avvenuta formazione una volta ac-
cumulate le ore corrispondenti (es. IV.214). Si tratta di una ten-
denza già riscontrata in ambito universitario ricollegabile, come
vedremo, alla più ampia diffusione del credenzialismo nel settore
dell’alta formazione, che risulta ancora più paradossale all’inter-
no di un contesto formativo, come il Conservatorio, formalmen-
te finalizzato ad una specializzazione professionalizzante.
Es. IV.214 - Docente di ISSM di quartetto d’archi, maschio, 55 anni:
Arrivati ad un tot delle ore: “Maestro, io ho finito, devo fare l’esame!”;
“L’esame tu non lo puoi fare perché non sei in condizioni di fare l’e-
same: lo so che hai fatto tutte le ore e che lo puoi fare, ma non lo fai
lo stesso perché non [sei pronto]!”; “Non fa niente: io l’esame lo do lo
stesso, perché ho finito le ore e non ho nessuna intenzione di continua-
re a frequentare…”.

Tra i vantaggi seguiti all’adozione del sistema dei crediti è da


rilevare la crescita degli scambi tra studenti e docenti dei Con-
servatori italiani all’interno di una rete di istituzioni europee per
l’alta formazione musicale: proficue esperienze personali e for-
mative, che spesso si traducono in ulteriori occasioni di studio e
lavoro (es. IV.215).
Es. IV.215 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 50 anni:
[Il bicchiere] lo vedo mezzo pieno perché prima [il Conservatorio] non
era meglio, voglio dire...il fatto poi di dare i voti in trentesimi anziché
in decimi, per me personalmente è la stessa cosa: a me interessa for-
mare dei professionisti, che poi si laureino con 110 e lode o con 10,
mi interessa che durante il percorso didattico abbiano già dei contatti,
per questo dicevo dell’Erasmus: se loro vanno all’estero e incontrano

310
un gruppo, formano un gruppo di musica da camera e trovano lavoro,
questo mi interessa... Quindi, diciamo nelle pieghe di un sistema che
non va, che è una cosa più generale, io ho apprezzato questo soffio di
aria nuova, con tutte le sue demenziali disfunzioni…

L’isomorfismo istituzionale dei Conservatori è riscontrabile


anche nell’adozione di elementi del sistema universitario più dif-
ficilmente riconducibili a motivazioni a carattere razional-stru-
mentale (come, nel caso della convertibilità formativa dei CFA
in ambito europeo), bensì legati al maggiore prestigio e ricono-
scimento sociale di determinati rituali e simboli associati all’U-
niversità, rispetto a quelli della tradizione conservatoriale. Così
si chiede ai Conservatori di sostituire al tradizionale sistema di
votazione in decimi, assegnati da commissioni di cinque compo-
nenti, quello in trentesimi, nato nello specifico ambito del siste-
ma universitario italiano in virtù del fatto che, originariamente,
sedevano agli esami commissioni di tre componenti (es. IV.216).
Si chiede inoltre, per ottenere il diploma accademico – di fre-
quente chiamato ‘laurea’, sebbene sia titolo solo equipollente ad
essa – che il candidato, oltre a sostenere le tradizionali, impegna-
tive prove pratiche musicali, consegni un lavoro di tesi redatto
secondo le regole della comunicazione scientifica (in genere poco
familiari agli stessi docenti chiamati a supervisionarli), così come
i suoi colleghi universitari (es. IV.217).
Es. IV.216 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 50 anni:
L’Università è una cosa totalmente diversa dal mondo del Conservato-
rio, infatti chiamare il Conservatorio Università è un errore strategico,
perché non abbiamo la struttura, non abbiamo neanche la mentali-
tà… Io ricordo con terrore quando abbiamo adottato il principio di
votazione in trentesimi: (…) ero in commissione con diversi colleghi,
alcuni andati in pensione (…) Allora sono stati dati i seguenti voti,
sono a verbale: 26,2… Tu prova a dare 26,2 all’università e ti dicono:
“Guardi, se ha bevuto torni un altro giorno!”(…) 24,8 abbiamo dato
[alla fine] (…) perché veniva fuori dalla divisione [tra i cinque membri
della commissione] (…) che è un po’ l’8,25 [del vecchio ordinamento].

311
Es. IV.217 - Direttore di ISSM:
[I]l fatto che il mio diploma di pianoforte sia equiparato ad una laurea:
cosa me ne faccio? (…) [I]l titolo che abbiamo NON È [scandendo le
parole, ndr] una laurea. E con questo non voglio dire che valga meno:
io sono orgoglioso dei miei diplomi, non è che farei a cambio. Ho
studiato per spenderli nel mio campo, non in altri campi. (…) Io non
me ne faccio nulla [dell’equiparazione], non mi cambia nulla nella vita.
Per uno studente, forse, dice: “Vabbè, convinco la famiglia che facendo
il diploma di flauto allora sono laureato”: allora c’è la questione psico-
logica...

2.3 La professionalizzazione: flessibilità, credenzialismo, precarietà


2.3.1 La distanza crescente tra il Conservatorio
e il campo professionale musicale
Sebbene i sostenitori della Riforma le attribuissero il compito
di ridefinire la mission del Conservatorio nei termini di una for-
mazione di alto livello di professionisti della musica collegati pro-
ficuamente con il mondo del lavoro (Roselli 2015) ad emergere
nell’indagine è invece una crescente distanza tra i Conservatori
ed il mondo professionale. Diverse delle criticità che conside-
reremo di seguito per motivare tale giudizio erano già evidenti
negli ultimi decenni del Novecento, quando ancora era in auge
il vecchio ordinamento; tuttavia, come argomenteremo a partire
dalle considerazioni dei nostri intervistati, le caratteristiche del
nuovo assetto promosso dalla Riforma, piuttosto che ridurre tale
distanza, sembrano averla ampliata. La questione, tuttavia, non è
semplice da affrontare, in quanto coinvolge un mutamento nella
regolazione di differenti livelli e settori, e merita perciò ulteriori
approfondimenti.
Da un lato emerge come la distanza tra formazione e lavoro
sia legata ai mutamenti che caratterizzano la professione di do-
cente di Conservatorio nel corso del Novecento: in particolare il
divieto di cumulo di incarichi (in Conservatorio e in orchestre
sovvenzionate dallo Stato) e l’adozione di un sistema di recluta-
mento poco meritocratico arrivano a creare una popolazione do-

312
cente più sradicata dal campo professionale, rispetto al passato,
e dunque non sempre in grado di offrire una esperienza diretta e
concreta della professione musicale ai propri allievi (es. IV.218),
né di svolgere con efficacia il ruolo di inserimento professionale
per gli elementi più validi. Questi ultimi, sebbene spesso restino
iscritti in Conservatorio – come vedremo più avanti – al con-
tempo prendono lezioni private da docenti esterni alla rete dei
Conservatori, ma meglio inseriti nei circuiti professionali (grandi
orchestre, giurie di concorso, festival musicali, etc.) (es. IV.219).
Es. IV.218 - Pianista, femmina, 35 anni:
[S]econdo me c’è troppo distacco tra gli insegnanti del Conservatorio
e poi chi poi effettivamente lavora nell’ambito musicale, quasi come
se - non dico da un punto di vista di superiorità, di distacco - come se
non si volesse accettare e ammettere una carenza. Perché comunque un
insegnante, per quanto bravissimo, può dire: “Io conosco benissimo
l’aspetto didattico, la mia materia la conosco bene, ma siccome non ho
mai lavorato in un ambito come può essere un ente lirico, posso essere
carente sotto questo aspetto”, non l’ho mai sentito dire da nessuno,
perché è come ammettere un deficit di conoscenze e quindi questo se-
condo me poi si scarica sugli allievi.

Es. IV.219 - Docente di fagotto, maschio, 50 anni


[O]ggi (…) non c’è più [il legame coi Conservatori] in nessuna orche-
stra, qualche scuola privata magari fa contratti: infatti i ragazzi bravi
cercano di andare a studiare con chi esercita la professione di primo
fagotto, con chi viene chiamato nelle commissioni [dei concorsi] …

Dall’altro lato si evidenziano i profondi mutamenti nel mer-


cato del lavoro musicale, che modificano i meccanismi di co-
struzione delle carriere. Il cambiamento rispetto al passato è par-
ticolarmente evidente all’interno mondo professionale classico,
caratterizzato da una sempre maggiore competizione (a fronte di
un numero crescente di musicisti e un diminuito investimento
statale nel settore), dalla richiesta di standard tecnici sempre più
impeccabili (diffusi anche grazie al facile accesso a registrazioni

313
di celebri interpreti) (es. IV. 220-221) e alle scarse certezze offer-
te perfino dalla vittoria dei concorsi, un tempo punto di arrivo
delle carriere, a fronte della proliferazione di tale tipo di eventi
(es. IV.222)46.
Es. IV.220 - Studente di ISSM di pianoforte, maschio, 25 anni:
[A]desso la musica classica non è più come prima: un periodo c’erano
casi eccellenti di musicisti che a livello pratico dello strumento erano
alla stregua di un dilettante, ma a livello artistico erano alla stregua
del più grande pianista della loro generazione (…) Adesso siamo in
tantissimi, è richiesto un livello tecnico, più che artistico, altissimo:
prima anche le registrazioni erano piene di errori, adesso non esiste, se
tu fai una registrazione deve essere perfetta sotto ogni profilo tecnico…

Es. IV.221 - Studente di ISSM di canto, maschio, 30 anni:


[P]oi adesso noi risparmiamo molto per l’ascolto: io apro internet e ho
tutte le [interpretazioni] (…) [Prima c’erano] cassette, dischi e poi cd:
ma se nasci in una famiglia di un operaio? Se non te lo dà una scuola
pubblica - che non te lo dà, ti da altre cose ma in questo un po’ difetta
(…) Adesso se io mi devo ascoltare qualcosa vado, [digito]: “Lamento
di Federico” e me lo ascolto di Pavarotti, di Domingo, di Kaufmann:
sai quanti soldi avrei dovuto spendere?

Es. IV.222 - Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 55 anni:


[Prima] non c’erano tutti questi concorsi, per cui vincere un concorso
nazionale voleva dire avere una misura esatta di quello che succedeva
in Italia e posizionarti in base a questa misura; oggi c’è un concor-
so nazionale in ogni villaggio, per cui probabilmente non è la stessa

46. Considerazioni analoghe a quelle del nostro intervistato sono sviluppate


dall’affermato pianista Roberto Prosseda: «Oggi per un musicista non è più
sufficiente vincere un primo premio importante per avere la certezza di intra-
prendere (e tanto più mantenere) una vera, stabile professione concertistica.
E a volte di primi premi non ne bastano neanche quattro o cinque: i concorsi
possono offrire grosse somme di denaro, numerosi concerti anche in sedi pre-
stigiose, ma la gloria tende ad esaurirsi nel giro di alcuni anni (di solito fino
alla proclamazione del vincitore successivo), se il vincitore non ha tutte le carte
in regola per affrontare la reale vita concertistica» (R. Prosseda, “Concorsisti o
concertisti?”, Il Corriere musicale, 12 settembre 2011, www.ilcorrieremusicale.it
, ultima consultazione: 18/1/2018).

314
cosa… Quello che avvenuto poi con i concorsi internazionali: prima se
vincevi un concorso internazionale cominciavi la carriera; oggi vinci un
concorso internazionale e fai qualche concerto… Ho molti allievi che
vincono concorsi internazionali importanti (…) finito il semestre di
concerti dicono: “E adesso?”. Prima non era così, vincere un concorso
nazionale o internazionale era una cosa importante…

La Riforma non sembra ridurre, ma in alcuni casi ampliare, la


portata di questo quadro di crescente complessità e incertezza pro-
fessionale. Da un lato, come già notato, la definizione dei vari corsi
di studio ha carattere vago, standardizzato e rigido (es. IV.223) e
non contribuisce dunque a determinare una preparazione idonea
ad un immediato inserimento professionale, né articolata sulla base
della domanda di lavoro nel territorio (Picozza 2007). Inoltre, per
quanto riguarda in particolare le carriere di tipo solistico e stru-
mentale, l’ingresso nel livello accademico a seguito dell’ottenimen-
to di un diploma superiore (ovvero da maggiorenni) risulta tardivo,
rispetto ad una prospettiva di specializzazione professionalizzante
degli allievi, che si scontra poi con le difficoltà formative già con-
siderate dell’ordinamento. L’applicazione alla formazione musicale
professionalizzante della scansione temporale tipica della formazio-
ne generalista, infatti, non tiene in dovuto conto le esigenze spe-
cifiche di alcuni percorsi dei musicisti (es. IV.224), analoghe – ad
esempio – a quelle degli atleti d’élite, per i quali linee guida dell’Ue
raccomandano modalità di conciliazione di una ‘doppia carriera’,
sportiva e scolastica (Ue 2012).
Es. IV.223 - Pianista, femmina, 35 anni:
[Anche dopo la Riforma] spesso e volentieri i piani di studio e le ma-
terie che vengono insegnate vengono scelte in base a dei criteri molto
vaghi: non c’è una finalità di indirizzare verso un percorso che possa
portare a determinate prospettive di lavoro più o meno fattibili…

Es. IV.224 - Studente di ISSM di pianoforte, maschio, 25 anni:


Adesso non ci si può permettere di essere quasi un dilettante sulla ta-
stiera, i livelli sono altissimi, quindi se tu inizi a quattordici anni e

315
anche se cominci a undici, come ho fatto io (…) non riesci [a rag-
giungere il livello tecnico richiesto]: di conseguenza questa roba del
triennio-biennio non può essere Università, non lo è mai stato e non
lo può diventare… Parlo proprio per i corsi di strumento, gli altri corsi
possono starci: musicologia lo puoi fare a qualsiasi età, etnomusicologia
(…) Questa roba del triennio fatta in questo modo per me è una cosa
superficiale: è come pensare allo strumento come qualcosa che può es-
sere la storia, la filosofia, la psicologia: la psicologia si può studiare dopo
aver fatto un certo percorso, la musica invece la puoi studiare anche
dai tre anni e puoi capirla, se è un bambino particolarmente dotato…

La risposta a tali difficoltà è dunque lasciata ai singoli allievi,


a seconda delle risorse di cui dispongono: per chi possiede suf-
ficienti risorse economiche, la costruzione di una solida prepa-
razione tecnica sempre più spesso si realizza al di fuori del Con-
servatorio, andando a lezione da celebri professionisti integrati
nei contesti professionali. La formazione segue inoltre strategie
di adattamento: lo sviluppo di un’identità professionale flessibile,
che attraversa i repertori di diversi mondi musicali, per risponde-
re a richieste provenienti da diversi contesti (es. IV.225,226); un
sapiente lavoro sulla costruzione della propria immagine, affidata
a professionisti del marketing, per attirare un pubblico spesso
non esperto e sempre più incline alla spettacolarizzazione degli
eventi culturali (es. IV.227).
Es. IV.225 - Docente di ISSM di trombone, maschio, 40 anni:
[P]arlavo oggi con X, un allievo ventenne appassionato di tecnologia
musicale (…) Gli ho detto: “(…) Vedi, come Y, che ha come obiettivo
la musica classica, ma sta suonando contemporaneamente con me in un
gruppo di musica leggera. Dovete ampliare gli orizzonti, perché se tu co-
nosci anche la musica leggera o il jazz, in ambito classico quando ti capita
Gershwin o altri autori più moderni sai come comportarti, e non fai il
classico che fa finta di pronunciare il linguaggio jazz e non ne è capace”.

Es. IV.226 - Pianista, maschio, 40 anni:


Specialmente oggi il mondo musicale ha bisogno di interpreti creativi,
ricchi di immaginazione, spirito di iniziativa, intraprendenza, curiosità,

316
e soprattutto con l’urgenza di dire qualcosa di autentico, di far parte-
cipi gli ascoltatori di una nuova scoperta, di una “verità” da diffondere
con entusiasmo e sincerità. È inoltre importante non rinchiudersi, ma
guardarsi intorno e cercare tutte le opportunità per farsi conoscere e
apprezzare. [Prosseda 2011]47

Es. IV.227 - Pianista, maschio, 55 anni:


[L]a comunicazione visiva di un artista serve a colpire l’immaginazione
di un ascoltatore e a portare l’ascoltatore al concerto, oppure a compra-
re questo disco, e questo ci sta… Noi, musicisti della mia generazione,
abbiamo dovuto imparare a fare questo, perché eravamo totalmente
impreparati a questa comunicazione. I miei giovani, i miei studenti che
preparano concorsi, sono preparatissimi: hanno delle foto che sembra-
no delle vamp di Hollywood e alcuni sembrano degli scrittori di fine
secolo (…) però l’immagine dell’artista deve combaciare con la realtà,
altrimenti non funziona…

2.3.2 Tra professionalismo e credenzialismo:


funzioni manifeste e latenti del nuovo Conservatorio
Se dunque, come argomentato, il nuovo Conservatorio risulta
inadatto ad offrire percorsi formativi compatibili con le esigenze
del mercato del lavoro musicale contemporaneo ai propri allievi,
cosa spinge questi ultimi ad iscriversi?
Cerchiamo la risposta a questo quesito considerando i profili
prevalenti tra gli studenti di triennio e biennio incontrati durante
le interviste. Diversi intervistati sono giovani già attivi nel mer-
cato del lavoro musicale, come professionisti precari: cantanti,
coristi, musicisti in varie formazioni, solisti, docenti di musica
nelle scuole o privatamente, spesso più cose insieme. Il loro ciclo
formativo, che può già dirsi sostanzialmente completo, è stato re-
alizzato attraverso una formazione nel Conservatorio del vecchio
ordinamento o invece di tipo privato. L’iscrizione nei corsi di
livello accademico del Conservatorio è per loro principalmente
finalizzata a sostituire a titoli di studio ormai screditati all’interno

47. R. Prosseda, “Concorsisti o concertisti?”, Il Corriere musicale, 12 settembre


2011, www.ilcorrieremusicale.it , ultima consultazione: 18/1/2018).

317
del nuovo campo (vecchio diploma, abilitazione SISS) titoli con
maggiore rendimento (‘lauree’ triennio e biennio) (es. IV.228)
o invece a legittimare con uno di tali titoli una formazione già
realizzata nella pratica (es. IV.229), per cercare di ottenere una
maggiore stabilità lavorativa.
Es. IV.228 - Studente di ISSM di pianoforte, maschio, 35 anni:
[M]i sono diplomato quasi dieci anni fa con il diploma vecchio ordi-
namento nel Conservatorio di X [nel Sud Italia, ndr], subito dopo è
iniziata quella trafila del vecchio ordinamento che non valeva più, si
diceva che era il diploma equiparato alla triennale, quindi ho aspettato
senza sapere cosa fare, è passato un periodo anche lungo, subito dopo
il diploma: ho fatto la SISS, ho iniziato ad insegnare nella scuola media
musicale e poi ho preso l’abilitazione come insegnante di sostegno, ho
continuato fino ad adesso… quella è la sicurezza economica. Quat-
tro-cinque anni fa mi sono trasferito a Y [città del Nord Italia, ndr]; già
si era trasferita la mia ragazza per lavoro - anche lei è musicista (…). Ho
pensato: “Vengo anche io”, perché il mio insegnante col quale studiavo
privatamente insegna qui e mi sono iscritto al biennio; quest’anno do-
vrei finire (…) Vorrei riuscire parte della mia vita continuare a suonare
in giro, fare concerti, la cosa più interessante è questa… Sono contento
di avere questo lavoro [la scuola] (…) e so di non poter fare solo questo
[il concertista]: per adesso va abbastanza bene così, poi i periodi sono
quanto mai difficilissimi; per adesso va abbastanza bene così…

Es. IV.229 - Studente di ISSM di canto, maschio, 30 anni:


[H]o fatto il liceo classico, poi attorno a diciotto anni ho dato il primo
esame da privatista in Conservatorio. Ho deciso di iscrivermi qui in realtà
solo tre anni fa, perché avevo già iniziato a lavorare come cantante, però
per completare le mie conoscenze ed avere un titolo di studio. Ho iniziato
a lavorare nel coro della Fondazione XY e faccio piccole cose da solista,
qualche concerto. Per avere un titolo di studio, ma anche per interesse
mio, per fare un po’ di repertorio di musica da camera di liederistica ho
pensato di iscrivermi qui [in Conservatorio] …

Come per l’intervistato dell’ultimo estratto, la frequenza dei


corsi accademici in Conservatorio può inoltre servire a questa
tipologia di allievi per ampliare il proprio repertorio e colma-

318
re alcune lacune della formazione antecedente. Il Conservatorio
rappresenta spesso per loro anche un luogo per socializzare, con-
dividere esperienze e frustrazioni, accedere a reti di collegamenti
e scambi utili ai fini professionali.
Se per la categoria precedente il titolo di studio serve a legit-
timare una carriera ancora da realizzare, per un’altra tipologia di
allievi – adulti, tra i quaranta e i cinquant’anni – serve a riabilita-
re o legittimare una carriera musicale già realizzata. Non si tratta
di amatori che riprendono a suonare per puro diletto, ma che
svolgono continuativamente un’altra professione – categoria più
presente nel livello pre-accademico. Si tratta invece di lavoratori
che hanno portato avanti professionalmente attività in ambito
musicale, senza tuttavia avere un titolo di studio corrispondente
alla propria competenza (ad esempio cantanti o strumentisti non
diplomati in Conservatorio o docenti di Conservatorio con di-
plomi del vecchio ordinamento) (es. IV.230); o, invece, che han-
no vissuto uno sfasamento occupazionale (Reyneri 2004: 205),
coltivando un’attività musicale intesa come lavoro che coinvolge
profondamente la propria identità sociale, ma non consente di
sostentarsi, all’ombra di attività a carattere temporaneo accettate
per mera convenienza economica (es. IV.231).
Es. IV.230 - Studente di ISSM di nuove tecnologie, maschio, 25 anni:
Secondo me uno che ha una certa età dovrebbe frequentare una scuola
civica (…) però c’è veramente il caso di chi suona ed è veramente bravo
però non ha mai avuto un titolo, piano piano riprende tutto e insegna:
perché molti, come abbiamo detto, insegnavano senza alcun titolo,
però è anche vero che magari erano bravissimi, anche degli ottimi in-
segnanti, però purtroppo il titolo ci vuole, è quello che ci vuole… Poi,
se uno è [invece] veramente un amatore, un amatore deve fare qualcosa
che si addica all’amatorialità...

Es. IV.231 - Studente di ISSM di nuove tecnologie, maschio, 40 anni:


[H]o avuto la sfortuna di avere la mia futura insegnante in commissio-
ne [all’esame di ammissione al Conservatorio], che mi ha visto e mi ha
voluto in classe con lei ed è stato odio a prima vista: ho fatto due anni

319
poi mi ha cacciato con ignominia e da lì ho praticamente continuato
per gli affari miei, studiando, ascoltando le cose che sentivo alla radio e
cercando di suonarle a orecchio, tanto è vero che poi la mia formazione
è stata più che altro sul campo, perché poi mi sono messo a suonare nei
locali e nelle piazze (…) musica leggera (…) Mi sono iscritto all’univer-
sità e ho cominciato a lavorare in altri settori, i più disparati: turistico,
alberghiero, informatico, senza combinare nulla in realtà, perché erano
tutte cose che facevo perché mi servivano i soldi per sopravvivere, ma
senza passione, mentre la passione la coltivavo continuando a suonare.
Fin quando poi (…) c’è stata appunto la Riforma (…) e mi sono iscrit-
to al corso di musica e nuove tecnologie.

Vi è poi la categoria degli ‘studenti fantasma’, presenti in


Conservatorio solo saltuariamente, che non siamo riusciti ad in-
contrare personalmente, della quale ci hanno riferito i docenti e
gli studenti intervistati: si tratta di giovani focalizzati nella co-
struzione di una carriera professionale, formalmente iscritti in
Conservatorio per ottenere il titolo di studio, ma nella pratica
seguiti da docenti privati ritenuti più validi didatticamente e utili
professionalmente. I motivi che spingono alcuni docenti di Con-
servatorio ad accettarne la presenza nella propria classe – supe-
rando le tradizionali gelosie legate alla concezione proprietaria
degli allievi – si spiegano in riferimento ai vantaggi derivanti da
tale accoglienza: vantaggi materiali immediati, dati dal presentare
agli esami uno studente preparato senza avere speso tempo e fati-
ca per la sua formazione (es. IV.232,233); vantaggi reputazionali,
dati dal potersi fregiare del merito di averlo avuti tra i propri
allievi, che preludono ad ulteriori vantaggi di tipo materiale (es.
IV.234) (Wagner 2015).
Es. IV.232 - Docente di ISSM di pianoforte, femmina, 55 anni:
Qui devo aprire una parentesi non molto edificante: allora questa fascia
del biennio che nasce come specializzazione (…) chi stai frequentando?
Stai frequentando dei ragazzi che, le opzioni sono: o vogliono prendersi
un titolo per fare punteggio, sono adulti, hanno già fatto il diploma
(…) e comunque certo non si stanno specializzando; poi abbiamo ra-
gazzi che vogliono prendersi il titolo, ma hanno ambizioni vere concer-

320
tistiche e allora li subentra un po’ il problema: cioè, fanno finta di fare il
biennio [in Conservatorio], ma ovviamente hanno dei maestri da altre
parti (…) Ora, questa cosa non sarebbe una frode se fosse una normale
dialettica di ragazzi che ogni tanto va, gli piace sentire [diversi docenti]
(…) Invece, ben lungi dall’avere una pluralità, hanno il professore di
riferimento unico al Conservatorio, ben contento di avere un allievo
già arrivato, quando invece non ha fatto niente, abbuonandogli natu-
ralmente anche una buona parte di ore di lezione (…) Naturalmente
c’è anche qualche biennio regolare, di qualche ragazzo che ci crede con
professore capace…

Es. IV.233 - Rappresentante degli studenti di ISSM, femmina, 30


anni:
Di solito è gelosia totale se fai una cosa tecnica diversa rispetto a quella
che ti insegna lui [il maestro]: “Ah, sei andato a lezione da Tizio o da
Caio”. E poi c’è invece l’insegnante che sa benissimo che tu studi fuori,
che prende persone che hanno già studiato e che se sono qui (…) e
magari vengono da diecimila km di distanza, hanno un loro insegnante
e una base (…) Non fanno storie perché il ragazzo sarà bravo, diventerà
bravo per conto proprio: se lo diventa, l’insegnante godrà dei privilegi
di questa cosa, nel senso che prenderà tutti 30 agli esami.

Es. IV.234 - Rappresentante degli studenti di ISSM, maschio, 30


anni:
Gli allievi, per come la vedo io, soprattutto quelli capaci - indipen-
dentemente dal fatto che siano capaci per merito tuo o meno - sono
comunque uno strumento per farti pubblicità: come insegnante pri-
vato e qui dentro [in Conservatorio]: la classe sarà più numerosa, se
ti va bene sfornerai due o tre ragazzi che faranno carriera e quando li
intervisteranno diranno ho studiato con Pinco Pallino. Quindi c’è un
po’ questa cosa…

Le differenti categorie sopra descritte appaiono tuttavia ac-


comunate da un’iscrizione nel nuovo Conservatorio prioritaria-
mente guidata dalla volontà di ottenere non tanto le competenze
necessarie per esercitare la professione, quanto la certificazione
formale che abilita a tale esercizio. Visto da questo punto di vista
il Conservatorio risponderebbe da una logica latente di tipo cre-
denzialista, affine a quella che ha portato all’espansione dell’U-

321
niversità nel XX secolo, modellando di conseguenza la struttura
e le caratteristiche del lavoro accademico. Tale logica porta ad
una produzione di massa di credenziali formative per l’impiego
legata non ad una crescente domanda del mercato del lavoro per
competenze e conoscenze maggiori, come vorrebbero invece i so-
stenitori della teoria del capitale umano (Becker 1994), bensì alla
domanda di titoli di studio più alti, a seguito della svalutazione
di quelli meno alti (Collins 2011: 231). Anche nel campo della
formazione musicale, infatti, l’aumento del numero di diplomati
svaluta il valore occupazionale del titolo, portando i diplomati
a subire un declino del livello occupazionale per il quale si sono
qualificati. Così, se per agli allievi diplomati nel Conservatorio
del vecchio ordinamento nei primi anni Ottanta il titolo di stu-
dio ottenuto da poco più che maggiorenni rappresentava una
garanzia di una buona formazione specializzata e una credenzia-
le legittima per l’accesso alla professione musicale, gli allievi più
maturi del nuovo Conservatorio di livello accademico sentono la
necessità di accumulare una serie di titoli di studio differenziati,
per ampliare – a fronte di una forte incertezza degli orizzonti
occupazionali – il numero di sbocchi professionali all’interno dei
quali fare valere le proprie credenziali (es. IV.235).
Es. IV.235 – Docente di ISSM di pianoforte, maschio, 55 anni:
[G]li sbocchi professionali sono un tasto dolente (…) È anche vero che
se hai insieme la maturità e anche una laurea che riesci a prenderti in
altre discipline, ovviamente sei più titolato: arriviamo ad avere persone
che hanno sei lauree oggi (una mia ex-allieva si è fatta la sesta laurea in
discipline diverse: in didattica, in clavicembalo, in pianoforte, musico-
logia). Perché oggi il Conservatorio non è più una scuola specialistica,
lo è in pochissimi casi, ma è una scuola, invece, in cui si va per poi
trovare lavoro, di conseguenza l’importanza di quel pezzo di carta sta
nel come tu fai quel lavoro, capisci?

Resta, infine, la categoria di studenti che scelgono di iscriver-


si prioritariamente per accedere ad un’offerta formativa di alto

322
livello, in linea dunque con la mission dichiarata del nuovo Con-
servatorio. Talvolta la scelta segue l’abbandono di un precedente
progetto occupazionale basato sulla convinzione che il percorso
universitario potesse offrire occasioni lavorative più remunerati-
ve rispetto a quello artistico: a fronte della precarietà lavorativa
che caratterizza la condizione dei giovani laureati italiani, i rischi
strutturalmente insiti nella carriera artistica (Menger 1999) sono
infatti ribilanciati a fronte delle maggiori gratificazioni, talvol-
ta anche economiche, offerte (Coulangeon 2004), perlomeno
nell’immediato (es. IV.236):
Es. IV.236 - Studente di ISSM di canto, maschio, 30 anni:
Alla luce di tutte le vicende legate alla crisi, quindi al fatto che comun-
que non ci sia lavoro o che, se anche c’è, sei sottopagato, a questo punto
ho detto: “Ma devo andare a fare il servo della gleba?”(…) Anche i miei
mi hanno detto: “Ma scusa a questo punto noi ti sosteniamo, impegna-
ti e fai questo che ti piace fare” (…) Un amico - laureato come me alla
magistrale in Economia - prende 150 euro per otto ore al giorno e fa il
praticantato in un grosso studio di commercialisti; ecco, io 150 euro li
guadagno con due ore di lavoro: poi c’è tutto il lavoro preparatorio, lo
stress e il reflusso, però tutta la soddisfazione che ho nel cantare, negli
applausi che prendi dopo, nell’adrenalina che ti dà il palco…

Per questa categoria di allievi, tuttavia, si prospettano due


possibili evenienze critiche: la prima è data dal caso in cui siano
affidati a docenti non in grado di offrigli la formazione di alto
livello promessa dall’Istituto o non interessati all’insegnamento
– il profilo del ‘docente-riluttante’, già descritto nel precedente
capitolo – (es. IV.237); la seconda dal caso in cui siano affidati
a docenti validissimi, ma precari, che non possono dunque ga-
rantirgli una continuità didattica (es. IV.238). Le considerazioni
sviluppate in proposito dagli studenti negli estratti riportati di
seguito ci introducono eloquentemente all’ultima – ma centrale
per importanza – questione approfondita in questo paragrafo de-
dicato alla ricostruzione del modello del Conservatorio post-Ri-

323
forma: la mancata garanzia della qualità didattica, scientifica e
artistica dei docenti nella nuova offerta di livello accademico.
Es. IV.237 - Studentessa di ISSM di biennio, femmina, 30 anni:
Il problema è che io mi fidavo di entrare in un Conservatorio e di avere
un’offerta formativa di alto livello e quindi non ho cercato insegnanti
esterni. E questa cosa si esaurisce in una lezione ogni tanto, la maggior
parte in perdite di tempo, perché il soggetto [il maestro assegnatole, ndr]
è in questa istituzione per altri scopi, motivi e ragioni, più politiche
- politiche in senso assoluto, di gestione di rapporti, delle dinamiche
varie - e non per insegnare. Ecco, ci sono degli insegnanti che sono in
Conservatorio non per insegnare e viene da chiedere: “Perché ci sei?
Perché nessuno ti ha sbattuto già fuori?”. Perché non si può! Il Con-
servatorio è statale e non c’è un’ammissione per gli insegnanti con una
prova in cui l’insegnante dimostra di sapere fare o meno. Ci sono delle
cattedre di accompagnamento pianistico, magari dei bandi da fame,
che prevedono prove faticosissime, delle sproporzioni totale rispetto a
quanto è richiesto di fare…

Es. IV.238 - Studente di ISSM di biennio, maschio, 30 anni:


Anche qua [in Conservatorio] abbiamo dei docenti strabilianti, bravis-
simi, bravissimi: la maggior parte, stranamente, sono precari, E pur-
troppo ci sono quegli altri [fortunati], che invece il posto ce l’hanno,
che non fanno niente per migliorare, per fare lezione in inglese, per
poter fare un migliore servizio ai loro studenti che si fanno il mazzo.
Questi vecchi della vecchia guardia, che sono arrivati quando la festa è
iniziata, sono lì e sempre lì saranno; chi è arrivato alla fine della festa in-
vece è un nomade, triste e sconsolato. C’è gente che viene a fare gli Era-
smus in un Conservatorio scegliendo un maestro che è come un guru,
e poi si trova che a novembre nessuno sa ancora dove lavorerà l’anno
prossimo […] Così grazie al nostro fantastico sistema di istruzione,
che sono 30 anni che tutti dicono: “Adesso lo salviamo, lo salviamo!” e
invece lo affossano sempre di più…

2.3.3 Insiders e outsiders: il circolo vizioso del reclutamento


Tra i passaggi per implementare la Riforma del settore AFAM
la legge n.508/1999 prescrive l’adozione di un nuovo regolamen-
to per il reclutamento dei docenti indirizzato verso una flessibilità
lavorativa: se ai docenti assunti a tempo indeterminato o reclutati

324
dalle vecchie graduatorie nazionali garantisce l’inquadramento in
appositi ruoli ad esaurimento, per le nuove assunzioni in ruolo
prospetta l’assunzione con contratti di durata non superiore al
quinquennio, rinnovabili (art. 2, c. 6).
Si tratta di un cambiamento coerente con l’introduzione di
una logica di mercato nel modello di regolazione dell’alta for-
mazione musicale, già in adozione presso altri paesi Europei, nei
quali la flessibilità delle Scuole di musica nel reclutare noti mu-
sicisti didatticamente validi e professionalmente attivi, consente
di selezionare a livello internazionale i migliori allievi, attivando
in tal modo un circolo virtuoso che garantisce alla Scuola l’al-
to standard formativo richiesto a questo tipo di istituzioni (es.
IV.239).
Es. IV.239 - Flautista, femmina, 35 anni:
Non è che all’estero non ci sia corruzione, ma si tiene un po’ di più a
far valere davvero le cose, a farle camminare… La Scuola [di musica]
è un posto di passaggio anche per gli insegnanti: sei lì [in una data
città] per suonare nell’orchestra, vuoi anche insegnare, se magari non
hai troppo tempo decidi di fare lezione solo a pochi studenti, ti appoggi
alla Scuola, invece che fare lezioni private – così non evadi il fisco e altre
cose sbagliate. Per insegnare fai un concorso: valutano come insegni e il
curriculum, le tue conoscenze musicali; fai una lezione a degli studenti
volontari, ci sono gli studenti tra il pubblico, anche gli studenti votano
- ci è piaciuto oppure no questo professore. È così in Olanda, Germa-
nia, Svizzera, il tipo di contratto dipende dalla nazione (…) [Il bravo
docente attira studenti] da tutto il mondo di alto livello: si presentano
tantissime persone per l’ammissione e allora puoi sceglier persone che
sanno suonare!

Come abbiamo visto nel terzo capitolo, sebbene da tempo


il MIUR avesse predisposto una bozza del nuovo regolamento,
questa ancora non è stata approvata in parlamento, principal-
mente a causa dell’opposizione dei sindacati. Il reclutamento dei
docenti nel nuovo Conservatorio di livello accademico, perciò,
ancora procede attraverso criteri che associano il meccanismo

325
delle graduatorie/sanatorie al rigido sistema di assegnazione delle
cattedre sulla base dell’organico fisso assegnato a ciascun Istituto.
Tale sistema di reclutamento, al di là della già evidenziata ina-
deguatezza nel consentire ai Conservatori di selezionare i profili
dei docenti migliori per i posti di cui necessita l’offerta didattica
accademica, sta arrivando a creare situazioni paradossali: a fronte
della precarietà lavorativa imposta a giovani e validi docenti (es.
IV.240), consente l’immissione in ruolo di maturi idonei in coda
nelle graduatorie ad esaurimento di concorsi svolti nei primi anni
Novanta, i quali – anche quando nel frattempo hanno esercitato
i mestieri più disparati – sono ‘paracadutati’ senza alcuna verifica
sulla loro esperienza artistica, scientifica e didattica a specializzare
gli studenti del sistema dell’alta formazione musicale italiana.
Es. IV.240 – Direttore di ISSM:
[I] supplenti sono in genere migliori rispetto ai docenti in ruolo: giova-
ni, più motivati, insegnano dopo aver fatto dieci concorsi con quaran-
tamila titoli: perché siccome è sempre più difficile [entrare], la selezione
è sempre più dura. In verità hanno ragione quando dicono: “Ve la pren-
dete con noi, guardatevi voi [docenti di ruolo]!”. Infatti, io metterei
mano anche a quelli di ruolo (…), se fossi il ministro e se fossi pagato
tutti quei soldi, soprattutto! [ridendo, ndr]

L’unico strumento che attualmente consente ai Conservato-


ri una selezione meritocratica e flessibile nel reclutamento dei
docenti, ovvero i bandi per la selezione di personale esterno su
fondi dell’Istituto, è tuttavia soggetto al potere discrezionale dei
direttori, non sempre utilizzato virtuosamente. Infatti, un’altra
questione irrisolta nell’implementazione della Riforma, collegata
alla mancata approvazione del nuovo regolamento sul recluta-
mento dei docenti, riguarda proprio il reclutamento dei direttori.
La scelta dei criteri di reclutamento dei vertici di governo di
istituti di alta formazione rappresenta un dilemma organizzativo
ricorrente, che si pone nei termini di una scelta tra l’assegnare
priorità ad una gestione priva di conflitti di interessi, o invece

326
alla conoscenza interna dei contesti di intervento (Regini 2015).
La maggior parte dei paesi occidentali industrializzati ha risolto
il dilemma scegliendo la prima delle due vie, optando per una
designazione del rettore delle università da parte di organismi che
ne valutano le competenze manageriali; l’Italia ha invece optato
per la seconda, che vede l’elezione del rettore – candidato tra i
professori ordinari in servizio presso le università italiane – da
parte del corpo docente dell’ateneo (Regini 2015). La stessa via è
stata dunque adottata per la governance degli istituti AFAM, sen-
za tuttavia prevedere criteri specifici per definire un profilo ade-
guato – dal punto di vista artistico, culturale, manageriale – (es.
IV.241,242) per traghettare i Conservatori incolumi attraverso le
turbolente acque della Riforma.
Es. IV.241 - Docente di ISSM di pianoforte, femmina, 55 anni:
Qual è l’unico decreto applicativo che ancora non è stato emanato?
Beh, la selezione del personale, i criteri di selezione del personale e
ovviamente, quindi, anche dei direttori: sono state fatte delle bozze,
che conosciamo (…) Però, all’inizio [leggendo] in queste bozze, cre-
devamo che i direttori dovessero essere persone dal profilo internazio-
nale, che avevano già dimostrato dalle esperienze di avere un profilo
internazionale, un certo curriculum: tutto questo è sparito e allora chi
sono i direttori? Sono dei docenti qualsiasi: quando va bene - in Con-
servatorio c’è di tutto - sono dei docenti mediamente preparati, almeno
musicalmente; se sono professori di storia della musica hanno una pre-
parazione accademica più ferrata; ci sono anche degli strumentisti noti
- non è detto che lo strumentista debba essere per forza come dicevamo
prima [poco colto], però naturalmente può esserci anche lo strumenti-
sta sprovveduto, e questa tipologia non è rara…

Es. IV.242 – Direttore di ISSM:


[L’inadeguatezza di alcuni direttori di Conservatorio] è colpa dello Sta-
to: è il Ministero che dà in mano i propri gioielli al primo che passa.
Per cui bisognerebbe fare un discorso sui criteri di elezione dei direttori.
Perché, d’accordo, la grande conquista è che anziché la nomina mini-
steriale c’è l’elezione: in questo modo il Ministero si è tolto la grana
della sua responsabilità, però il collegio dei professori non si prende
questa responsabilità, vota quello che promette di più, che rompe di

327
meno. Quindi il Ministero non tutela più le istituzioni, mentre prima
se il ministro sceglieva un pirla, essendo una nomina ministeriale, il
ministro doveva rispondere della sua scelta. Io non sono per il ritorno
alla nomina ministeriale, ma almeno una verifica dei criteri dell’elet-
torato passivo. Perché adesso c’è scritto: “esperienza di direzione”, ma
posso aver diretto l’associazione bocciofila, va bene anche quella, non
c’è scritto ‘[direzione] musicale’; “campo internazionale?”, ha suonato a
San Marino… questa è la realtà!

328
V
Riformismi irresponsabili:
l’orizzonte negato all’alta formazione musicale

Ciò che a me preme di affermare, nel concludere il mio compito, è questo: lo


schema è ambizioso, propone una linea di rinnovamento radicale, che se po-
sta in attuazione, potrà investire l’opera di un’intera generazione di musicisti,
di uomini di cultura e di scuola. Ma senza ambizione, senza immaginazione
creativa ad ampio respiro, non credo davvero che possano escogitarsi rimedi
efficienti per la grave situazione in cui versa la musica, nel nostro Paese.
Impostiamo oggi, nel pieno di tante sollecitazioni, di spinte impetuose dal
basso, un discorso di grande prospettiva. Da giuste premesse, per quan-
to ordite, conseguenze favorevoli non possono mancare. Nel dubbio, nella
timorosa e impacciata prudenza, solo la sfiducia, già tanto diffusa, trova
alimento. La musica in Italia ha urgente necessità di volontà, di slancio, di
ottimismo. [Mascagni 1969]

A conclusione dell’indagine, qual è il giudizio complessivo sul-


la Riforma dei Conservatori di musica italiani, avviata con la leg-
ge n.508/1999? Come notato dai docenti che hanno partecipato al
questionario, è difficile rispondere ad una domanda così complessa
con risposte semplici, o semplicistiche, come quelle offerte da una
scala di misurazione Likert. Tra chi, nonostante le difficoltà, si è ci-
mentato nell’impresa, il 40% ha espresso un parere moderatamente
positivo, il 31% moderatamente negativo, il 20% fortemente nega-
tivo, il 4% una posizione di indifferenza. Ciò porta a delineare, come
si mostra nella fig. V.1, una popolazione docente sostanzialmente
spaccata a metà sul giudizio complessivo da attribuire al mutamen-
to organizzativo in corso. Come interpretare una polarizzazione così

329
netta nella valutazione della Riforma da parte dei docenti, che ne
hanno esperienza diretta nella loro attività professionale?
Tra le spiegazioni più ricorrenti emerse durante le interviste
vi è quella che fa riferimento ad una tensione tra docenti tradi-
zionalisti e innovatori: la maggior parte dei docenti contrari alla
Riforma non lo sarebbe tanto per questioni di principio, quanto
per l’avversione ai cambiamenti che questa comporta nell’orga-
nizzazione della loro vita lavorativa, chiedendogli nuove funzioni
e competenze, difficili da acquisire per chi – magari a fine car-
riera – non ha un’apertura al cambiamento, specie in assenza di
un incentivo salariale. Una seconda spiegazione ricorrente legge
la polarizzazione in termini di un atteggiamento di ottimismo o
pessimismo, evocata dall’immagine del bicchiere mezzo pieno o
mezzo vuoto: a fronte di un processo di Riforma lacunoso e con-
traddittorio, i docenti che la valutano negativamente sarebbero
quelli che sopravvalutano i suoi difetti, guardando nostalgica-
mente al passato, mentre i favorevoli preferirebbero enfatizzarne
i vantaggi, affrontando le sfide future.

Fig. V.1 - Qual è il suo giudizio complessivo sulla Riforma (l.n.508/1999)?


(valori percentuali)

330
Il nostro giudizio complessivo cerca di tenere insieme il livello
microsociale e quello macrosociale dell’analisi interpretando la
Riforma come esito di un lungo processo fatto di sollecitazioni e
iniziative nate dal basso le quali, attraverso un recentrage all’inter-
no del campo dell’istruzione nazionale della formazione musicale
in generale e di quella professionalizzante nel particolare, si ripro-
ponevano di ottenere una valorizzazione della funzione sociale e
culturale della musica e della professione di musicista nel Paese.
Espresso in termini sistemici, tale progetto troverà la sua migliore
traduzione nell’iniziativa sorta negli anni Sessanta del Novecento
da una rete di musicisti e intellettuali, appartenenti ad associazio-
ni culturali e sindacati legati alla sinistra antifascista, che mobilita
un ampio consenso d’opinione attorno ad uno ‘Schema di rifor-
ma globale dell’insegnamento della musica in Italia’, proposto in
parlamento dal PCI.
Ad imporsi nella lotta simbolica per la ridefinizione del cam-
po sarà tuttavia il sindacato degli artisti e musicisti (UNAMS), il
quale sosterrà una battaglia che, seppure simbolicamente confi-
gurata e talvolta intensamente vissuta nei termini di una “guerra
santa” orgogliosamente combattuta dagli artisti contro il potere
costituito (Liguori 2018), si traduce in una strategia corporativa

331
volta all’attribuzione ai docenti di Conservatorio di un prestigio
(sociale, culturale, economico) equivalente a quello dei docen-
ti universitari, a seguito del riconoscimento dei Conservatori di
musica come istituzioni di alta cultura annoverate con Accade-
mie e Università dall’art. 33 della Costituzione.
L’efficacia dell’azione sindacato nel far prevalere nel dibatti-
to la propria narrativa e il conseguente progetto di ristruttura-
zione del campo porta all’approvazione di una legge di Riforma
(l.n.508/1999) che inserisce tutti i Conservatori di musica ita-
liani nel livello terziario del sistema di istruzione, senza alcuna
verifica preliminare sui requisiti didattici e artistici della assai
varia popolazione docente (a fronte delle criticità presenti nei
meccanismi reclutamento), né sulla sostenibilità di tale passag-
gio in assenza di un’offerta formativa musicale di base. Ripren-
dendo una efficace metafora spesso usata dai nostri intervistati,
potremmo dire che la legge di Riforma ha preteso di realiz-
zare, senza risorse aggiuntive, la ristrutturazione di un attico
di dimensioni grandiose, senza aver prioritariamente verificato
la qualità dei materiali usati, né autorizzato la costruzione dei
piani inferiori.
La direzione dei lavori per realizzare questo ardito progetto
è affidata agli esperti ingegneri del Ministero dell’Università e
della Ricerca (MIUR), che con fatica riadattano i disegni già
predisposti per la ristrutturazione del livello universitario, a
sua volta interessato da profonde trasformazioni e comples-
sivo declino (Viesti 2016). In tal modo il sottocampo della
formazione musicale professionalizzante, da marginale e so-
stanzialmente autonomo rispetto al campo dell’istruzione na-
zionale, è integrato secondo una regolazione prevalentemente
eteronoma, legata al rinnovato modello accademico, che lo
porta a perdere la personalità istituzionale che lo caratterizza-
va, in quanto storica istituzione per la formazione dei musici-
sti professionisti.

332
A vivere in maniera più drammatica tale mutamento sono
soprattutto coloro che risultavano maggiormente integrati nel
vecchio campo, ovvero i docenti e gli studenti di corsi per la pro-
fessionalizzazione di musicisti interpreti del ramo classico. Il mo-
dello formativo previsto all’interno del vecchio Conservatorio,
tipico del musicista virtuoso (Wagner 2015), prevedeva un re-
clutamento selettivo e precoce, un apprendimento basato sull’in-
teriorizzazione della disciplina necessaria ad uno studio tecnico
ripetitivo e costante, che porta all’incorporazione di tecniche e
saperi pratici e ad una graduale specializzazione, guidata dalla
figura del maestro attraverso tecniche di modellamento. L’incor-
porazione di tale habitus – pur costretto dagli anacronismi, le ri-
gidità e le criticità illustrate nel volume – consentiva ai diplomati,
una volta completato il ciclo formativo, di inserirsi nel campo
professionale musicale classico sentendosi nel proprio elemento,
“come pesci nell’acqua” (Bourdieu 1980, Hughes 2010).
Il modello organizzativo post-Riforma, invece, propone un
reclutamento aperto a tutte le età, una formazione tardiva a ca-
rattere generalista, distribuita in un insieme di unità didattiche
funzionali allo sviluppo di competenze trasversali, erogate su base
standardizzata. Il nuovo modello risulta dunque difficilmente
conciliabile con l’incorporazione dei saperi e dell’identità pro-
fessionale che consentono ai nuovi allievi di integrarsi all’interno
del mondo professionale classico (Becker 2004). I docenti appar-
tenenti a tale mondo, inoltre, sperimentano una “isteresi dell’ha-
bitus” (Bourdieu e Wacquant 1992), data dall’inadeguatezza dei
loro vecchi schemi cognitivi, didattici e professionali a fornire le
anticipazioni pratiche necessarie per orientarsi nel gestire il cam-
biamento attuale.
Maggiormente conciliabili con il nuovo modello risultano i
percorsi di allievi e docenti appartenenti ad altri mondi musica-
li, dove la formazione ha caratteristiche meno strutturate (jazz,
pop, nuove tecnologie), o a campi disciplinari in cui la musica

333
è applicata ad altri ambiti professionali, dal ciclo formativo più
simile a quello universitario (musicologia, didattica della musica,
musicoterapia). Compatibile con il nuovo modello risulta anche
il percorso formativo di allievi con finalità di apprendimento di
tipo semi-professionale o amatoriale, poco coerenti con la mis-
sion istituzionale degli istituti. I giudizi favorevoli alla Riforma,
dunque, risultano spesso parziali, in quanto fanno riferimento
al miglioramento della posizione relativa di alcune discipline e
percorsi rispetto al passato, che tuttavia è ottenuto a discapito
di un peggioramento di altre discipline e percorsi, secondo una
logica a somma zero.
Il giudizio sulla Riforma non può concludersi senza rilevare,
a fronte un processo riformatore irresponsabile, la palese ab-
dicazione del governo a curarsi delle sorti del settore. Le spe-
cifiche proposte di policy necessarie per riordinare, tutelare e
rilanciare i Conservatori sono state ampiamente dibattute dagli
addetti ai lavori nell’ultimo ventennio; ciò che è finora mancata
è invece la capacità o la volontà politica di formulare tale rior-
dino nei termini di un “discorso di grande prospettiva”, come
quello evocato dall’epigrafe in apertura, inserendolo all’interno
di strategie di sviluppo a lungo termine per il Paese1, per far di-
scendere a giuste premesse, conseguenze favorevoli per il futuro
della musica in Italia.

1. Lo stesso auspica l’economista Gianfranco Viesti nel suo ultimo libro sulle
recenti politiche contro l’istruzione universitaria, contrastandole con le riforme
prospettate da Ugo La Malfa negli anni Sessanta: “È quello spirito, quella serietà,
quella competenza, quella forte tensione politica, mutato tutto quel che c’è da
mutare a 55 anni di distanza che va recuperato. Quel dovere etico di lasciare a
chi verrà dopo di noi le grandi infrastrutture del paese, come l’università” – e
come il Conservatorio, aggiungiamo noi – “in condizioni più solide, con una
prospettiva di sviluppo e non di declino” (Viesti 2018:133).

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Diventare musicista professionista non è impresa semplice, né apprezzata in Italia. Più che in altri
paesi, il percorso storico di riconoscimento sociale della professione si è rivelato incompiuto e ancora
oggi la pratica musicale e artistica risulta prevalentemente associata - dall’opinione pubblica, dai
media, ma anche dagli studi accademici - alla sfera del tempo libero e dell’intrattenimento, piuttosto
che ad una dimensione lavorativa e ad un sapere specialistico. Eppure la tradizione musicale dei secoli
passati e la fama di celebri compositori, cantanti, direttori, strumentisti, è annoverata tra i principali
miti che alimentano l’orgoglio identitario dell’Italia in ambito mondiale.
Tale paradosso è riconducibile alla storia moderna e contemporanea dell’apprendimento musicale in
Italia. Si tratta di una storia a due facce: quella dell’esclusione della pratica musicale dal novero dei
saperi legittimi codificati nel sistema scolastico; quella della rimandata riorganizzazione culturale
delle scuole per la formazione professionalizzante dei musicisti. Sin dalla sua istituzione negli ultimi
decenni dell’Ottocento, il sistema di istruzione nazionale ha infatti sostanzialmente escluso dai
curricula standard la formazione musicale, confinandola all’interno dei Conservatori di musica. Da
allora, per oltre un secolo, i Conservatori resteranno in un regime di sostanziale autonomia, caratte-
rizzato da un’autoriproduzione didattica e organizzativa, che – pur garantendo un buon livello medio
di preparazione tecnica – risulta sempre più inadeguata a rispondere alle mutate esigenze didattiche,
musicali, culturali e professionali, così come si sviluppano nel corso del Novecento. Alla chiusura del
secolo, dopo svariati tentativi di riordino falliti, l’approvazione di una legge di riforma (n.508/1999)
inserisce Conservatori e altri Istituti di musica e di arte applicata riconosciuti dallo Stato all’interno
di un nuovo sistema: l’Alta formazione artistica e musicale (AFAM), collocata al vertice del sistema
educativo, fino ad allora campo di esclusivo dominio del sistema universitario.
Cosa ha portato lo Stato italiano ad inserire i Conservatori di musica nel livello di istruzione
terziario? Si tratta di un tardivo tentativo di riabilitare e valorizzare la formazione musicale professio-
nalizzante all’interno del sistema di istruzione nazionale e, più in generale, la musica all’interno del
campo della cultura legittima? Chi è riuscito, e a partire da quali interessi, risorse e strategie, a far
breccia nell’inerzia istituzionale che ha caratterizzato la storia di tali istituti? Quali strutture sono
state previste per organizzare la formazione musicale pre-accademica degli allievi, necessaria per
accedere ai Conservatori così riformati? Quali sono stati i risultati che, a circa venti anni dall’approva-
zione della legge, registra l’implementazione della Riforma? Questi sono i principali interrogativi ai
quali l’indagine si propone di rispondere, adottando un approccio che integra fonti di diversa natura
e metodi quantitativi e qualitativi nello studio del moderno Conservatorio di Musica italiano come
forma organizzativa finalizzata alla formazione professionalizzante dei musicisti.

Clementina Casula è ricercatrice di Sociologia dei processi economici e del lavoro presso l’Università degli Studi
di Cagliari. Le sue ricerche si sono principalmente concentrate sullo studio della dimensione regolativa delle
politiche pubbliche (a livello comunitario, nazionale, locale) in diversi ambiti del sistema socio-economico (come
lo sviluppo territoriale, la società dell’informazione, la transizione dal sistema educativo a quello lavorativo, la
produzione artistica e musicale), riservando una costante attenzione all’analisi di genere.

ISBN 978-88-3369-009-4

UNIVERSITAS
9 788833 690094 Euro 24,00 STUDIORUM

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