Dapprima l’orario settimanale includeva, oltre alle due ore di educazione musicale previste per
qualsiasi scuola secondaria inferiore, un'ora di solfeggio e due ore di strumento a scelta fra
pianoforte, chitarra, violino o clarinetto. Magari alcuni dei miei compagni si erano trovati a seguire
questo percorso un po’ per caso, spinti da genitori che in questa sperimentazione vedevano una
modalità più interessante o più semplice per i propri figli di trascorrere quel periodo di scuola.
Indipendentemente da questo, per la maggior parte di noi si è trattato di un’esperienza positiva,
che, a parte averci permesso di viaggiare in più occasioni per prendere parte a concorsi di
strumento o canto corale, ci ha consentito di essere coinvolti in un progetto impegnativo ma
fondamentalmente bello ed emozionante e di imparare a conoscere e ad apprezzare grandi
compositori sia italiani che stranieri. Non mi sorprende però che la maggior parte dei nostri
coetanei iscritti ai corsi normali conservino oggi un ricordo traumatico delle loro lezioni di
educazione musicale, escludendo forse solo coloro che già nutrivano al tempo un personale
interesse nei confronti della musica. Il loro trauma ha l'inquietante suono della melodica,
spessissimo preceduto nella fase delle elementari da quello del flauto: strumenti economici, poco
pesanti e quindi facilmente trasportabili, abbastanza semplici da imparare e versatili per eseguire
composizioni di gruppo. Ricordati però, prima che per questi innegabili pregi, per la capacità di
risultare molto tristi suonati da soli e quasi sempre straordinariamente sgradevoli se suonati in
gruppo. Sarebbe sbagliato affermare che l’educazione musicale in Italia sia peggiore in assoluto
rispetto a quella proposta in tutti gli altri paesi europei, negando i risultati sostanzialmente positivi
delle diverse sperimentazioni portate avanti negli scorsi anni. Certo è però che in Europa
coesistono tendenze differenti, la cui analisi offre interessanti quanto critiche considerazioni.
Innanzitutto, l’Italia non figura fra i paesi che “hanno politiche specifiche o iniziative volte a dotare
le scuole di risorse elettroniche usate per migliorare l’insegnamento delle materie artistiche".
Questo è un punto di partenza importante, perché pone fin da subito l'attenzione sul fatto che, sul
piano didattico, il nostro paese risulta ancora legato a metodi desueti, continuando a prediligere
un approccio frontale e non sostenendo in modo unitario e coerente l'introduzione delle nuove
tecnologie nell'ambiente scolastico. Inoltre, la tendenza generale nella maggior parte degli altri
paesi europei è quella non solo di promuovere l’educazione artistica e musicale nel contesto
scolastico, ma di incoraggiare, con grande attenzione al partenariato con le istituzioni locali,
attività artistiche extracurriculari, promuovendo festival e progetti artistici. In questo senso l’Italia
viene menzionata senza ulteriori approfondimenti sulle iniziative attuate, mentre largo spazio è
lasciato a Belgio, Danimarca, Irlanda, Malta, Paesi Bassi, Austria, Regno Unito, Irlanda e Norvegia,
che possono vantare un grande appoggio statale a questo tipo di progetti mediante organismi e
reti creati appositamente a supporto della creatività.
Però, smentiamo l’idea che nel resto d’Europa tutto funzioni alla perfezione, perché una lettura
anche veloce del documento fa emergere che anche le altre scuole europee, soprattutto laddove
l’offerta formativa non sia inquadrata in una strategia nazionale, hanno difficoltà nell’ottenimento
di fondi destinati ad attività artistiche. Inoltre, in molti paesi lo sviluppo professionale continuo
degli insegnanti di materie artistiche (generalmente generalisti nelle scuole primarie e specialisti a
livello secondario inferiore, in Italia come nel resto d'Europa) non sembra suscitare grosso
interesse e che solo pochi paesi incoraggiano nei programmi nazionali il coinvolgimento di artisti
professionisti per la formazione dei docenti. Vero è però che, sia sulla carta che osservando le
dirette esperienze della quasi totalità degli studenti italiani, attualmente la scuola italiana non è in
grado di fornire ai suoi allievi un’educazione musicale di qualità, proponendola peraltro con una
certa discontinuità: la musica, introdotta alle elementari e continuata nelle superiori di primo
grado, sparisce infatti dai curricula nella quasi totalità degli istituti superiori di secondo grado - e
con risultati che, al posto di avvicinare i giovani al linguaggio della musica, spesso ottengono
l'effetto opposto. La legge di riferimento più recente (2015) per l’analisi della presenza della
musica nelle scuole italiane è la Legge 107, emanata nell’ambito delle riforme della “Buona
Scuola” e che prevede, tra gli altri punti cardine, l’assunzione in ruolo di circa 100 000 docenti.
Potenziare la musica nella scuola: con quanti e quali docenti?”, una riflessione illuminante
inerente coloro che tra questi saranno incaricati di insegnare musica. I commenti sono più che
negativi: l’insistenza ministeriale sulla necessità di potenziare materie di fatto già presenti nei
programmi (la musica fra queste), ma che sono state “praticate in modo insufficiente soprattutto
per la mancanza di docenti qualificati”. Quello che si osserva è cioè che è impossibile potenziare
un’attività prescindendo dalla formazione necessaria ai docenti incaricati di trasmettere in aula il
valore e la bellezza della musica, secondo direttive che peraltro spesso non sono consapevoli, o
non si interessano abbastanza, anche della necessità di spazi specifici e materiali adeguati per le
attività legate all'insegnamento della musica. Per portare l’esperienza diretta di un insegnante e
capire meglio quale sia il margine operativo di un docente di musica e come possano essere
gestite oggi le lezioni nelle aule scolastiche. Il programma di Educazione Musicale nella scuola
secondaria di primo grado consiste normalmente in una combinazione di tre filoni principali, che
tipicamente si sovrappongono in varie occasioni: educazione all’ascolto e storia della musica
(musica occidentale dal medioevo a oggi, compreso il jazz); teoria e pratica musicale individuale e
collettiva (flauto dolce, tastiera, chitarra, percussioni, canto); creazione musicale (es. creazione di
brevi brani elettronici, o altre attività creative guidate dall’insegnante). I contenuti sono dettati da
direttive del Ministero, esistono delle "Indicazioni nazionali per il curricolo" che indicano
competenze e obiettivi di apprendimento specifici, ma lasciano molta libertà al docente riguardo ai
contenuti da trattare. Tale libertà dovrebbe risultare molto positiva. Nel primo ambito si potrebbe
presentare un periodo storico, un genere, un autore o un brano, accompagnando la spiegazione
con esempi musicali eseguiti dal vivo o reperiti su internet o CD, cercando di avvicinare i temi
trattati all’esperienza di ascolto quotidiano dei ragazzi. Nel secondo si fornisce agli studenti, parti
strumentali, a volte scritte, trascritte o adattate, e si guidano nell’apprendimento e
nell’esecuzione, cercando di curare aspetti musicali (precisione, attenzione al testo musicale) e
sociali (saper cooperare a un’esecuzione collettiva riuscita). Infine si mostra a loro il
funzionamento di software specifici per l’editing audio, ascolto i brani realizzati dai ragazzi facendo
osservazioni che puntano a problematizzare alcuni aspetti cruciali nella creazione musicale.
La prima lezione a ragazzi di prima media si potrebbe iniziare sull’importanza dell’ascolto, si chiede
a loro di scrivere su un foglio quali suoni sentono nel corso di un paio di minuti di “silenzio”, per
poi far notare come il silenzio sia quasi sempre solo apparente. L’obiettivo è quello di iniziare un
percorso che stimolasse l’attenzione al suono in senso lato.
È chiaro che quello dei contenuti e delle modalità di insegnamento è un argomento ampio, non
coinvolge solo la musica ma più ampiamente tutta la scuola italiana. Certamente, nell’ambito
dell’educazione musicale un approccio interessante ha tutto il merito di mescolare con equilibrio
contenuti teorici ed esempi pratici e di stimolare la naturale creatività dei ragazzi, trovandosi però
ad agire in un contesto che, a livello istituzionale, non è stato finora capace di spostare
l’attenzione (e di conseguenza il proprio supporto) dalla conoscenza delle tecniche didattiche a
quella filosofia dell’educazione musicale: “una formazione ampia, uno sfondo integratore più
vasto, di tipo profondamente pedagogico”, sul quale costruire una conoscenza della musica che
non solo sappia trattarne i nodi significativi –ampliando e consolidando una formazione spesso
“sommaria o inesistente per la musica degli ultimi cento anni e per tutti i generi non classici ” da
parte dei docenti, ma che soprattutto sappia porre interrogativi, coinvolgere, appassionare,
comunicare che la musica non è solo bellissima ma importante. Perché saperla ascoltare e
scoprirne le evoluzioni, i colori, i timbri, significa in qualche modo anche comprendere di più il
mondo che ci circonda e possedere maggiori strumenti per indagarlo. Perché è un’opportunità
culturale, uno strumento che nulla ha a che vedere con l’apprendimento meccanico di uno
strumento (se flauti e pianole sono una proposta che deriva dalla pura assenza di altri mezzi,
meglio lasciarli nelle loro custodie) e che non può né deve essere relegata a disciplina marginale).
Riuscire a cambiare un'attitudine che spesso tende a tenere le discipline artistiche in minor
considerazione non è né semplice né immediato. Percepirne però l'enorme importanza culturale
ed emotiva e valorizzarla sia attraverso la progettazione di un’educazione musicale continuativa ed
estesa sul lungo termine che con investimenti economici maggiori e più definiti, sarebbe però il
primo passo necessario per creare una nuova, stimolante via nel rapporto degli italiani con la
musica. E per evitare che, a distanza di anni, qualcuno possa davvero ricordarla come una delle
materie più disarmoniche e deprimenti mai studiate.
La lezione.
Le scuole costituiscono il primo vero passaggio dalla “scuola del gioco” a quella delle regole e
dell’insegnamento. Le difficoltà più grandi che si trovano ad affrontare gli insegnanti sono relative
proprio al bagaglio dal quale arrivano i ragazzi, ne consegue una grande difficoltà a comprendere
sin dall’inizio il livello di apprendimento degli studenti e di interazione con il loro carattere. Ecco
perché gli insegnanti delle scuole primarie e secondarie hanno un compito molto delicato: devono
infatti ricalibrare e forgiare le attitudini di ciascuno scolaro, tenendo conto di quelli che sono i loro
tempi e le loro criticità. In parole povere, insegnare alla scuola non è affatto un gioco da ragazzi! A
livello didattico, nella scuola i ragazzi hanno un primo importante contatto con quelle che saranno
le materie che li accompagneranno per tutto il percorso scolastico obbligatorio ed è in questo
preciso momento che le peculiarità dei bambini escono fuori. Sovente nella scuola primaria si
affidano le materie scolastiche musicali a maestre/maestri senza troppa conoscenza del settore,
che non riescono pertanto a trasferire con passione tutta la bellezza e l’importanza di esprimere il
proprio carattere e le proprie attitudini attraverso il corpo e la musica.
1) Dare importanza all’ascolto. Abituare i ragazzi all’ascolto della musica può essere molto
importante anche a livello generale. Ascoltare musica rappresenta infatti un’esperienza
totalizzante che non ha bisogno di particolari regole o schemi, viene quindi vissuto come un
qualcosa di estremamente naturale. Creiamo un’aula o una situazione ad hoc per l’ascolto della
musica. Sarà stupefacente notare come la curva dell’attenzione dei ragazzi schizzerà verso l’alto.
2) Dare importanza al movimento. La musica chiama movimento, trovare uno spazio apposito
dedicato alle ore scolastiche di musica. Infatti, ascoltando la musica devono poter esprimersi
liberamente con tutto il corpo, fluire assieme al suono e trovare il proprio modo di stare nella
musica.
3) Scelta delle musiche. Non è un caso che le canzoni che impariamo da piccoli sono quelle che ci
portiamo dietro per tutta la vita. La scelta deve essere legata sia al programma ministeriale che
all’attitudine dei ragazzi. Fare ascoltare tutti i generi di musica dal classico al pop al jazz, renderà
una visione più ampia e più interessante.
Nell’insegnamento della musica alle scuole si deve prediligere l’utilizzo della pratica a scapito della
teoria. Per i ragazzi infatti non esistono esercizi di stile, ma solo percorsi sensoriali attraverso cui
mettere in relazione un apprendimento con un’esperienza.
Ad esempio, parlando di ritmo è consigliabile “farlo apprendere” non attraverso lunghe ore di
solfeggio, ma attraverso il movimento del corpo. E’ in questo modo infatti che lo studente riesce a
raggiungere la nozione: mettendola a confronto con una sua esperienza reale.