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Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Dipartimento di Educazione e Scienze Umane

Corso di Laurea Magistrale in


Scienze Pedagogiche

A. A. 2020/2021

La musica corale tra passato e presente: dalla pratica “senza


sapere” all’Educazione musicale

Relatore: Prof. Mauro Casadei Turroni Monti

Laureanda: Maja Polignano


INTRODUZIONE pag. 7

Cap. 1 LA FORZA EDUCATIVA DELLA MUSICA pag. 10

1.1 Le scholae cantorum nella storia della musica di ieri e di oggi;


1.2 Le radici pedagogiche della riforma ceciliana;
1.3 Il movimento ceciliano bolognese;

Cap. 2 DALL’EDUCAZIONE MUSICALE ALLA MUSICA pag. 40


2.1 L’educazione musicale nelle scuole: le riforme scolastiche dall’Unità
d’Italia ad oggi;
2.2 La pigrizia epistemologica della musica;
2.3 Le competenze chiave e la competenza musicale;

Cap. 3 LA PEDAGOGIA ATTIVA MUSICALE pag. 91

3.1 Guido d’Arezzo e Roberto Goitre: metodo attivo di educazione musicale;


3.2 L’aspetto educativo di san Filippo Neri
3.3 Canto corale come apprendimento cooperativo

CONCLUSIONI pag. 106

BIOBLIOGRAFIA pag. 109

SITOGRAFIA pag. 112


a Francesco e Giorgio
INTRODUZIONE

“La musica, non privilegio di pochi, ma patrimonio di tutti”


Zoltan Kodály1

La scelta dell’argomento per il mio lavoro di tesi è legata sia alla mia formazione
musicale, in costante cambiamento, sia al mio lavoro di educatore professionale. Una
volta svestiti i panni della studentessa di musica e vestiti quelli di educatore professionale,
ho unito queste due passioni e sperimentato il grande valore educativo che la musica
stessa aveva nella mia vita e nella vita degli educandi con i quali mi sono interfacciata nel
corso della mia vita professionale. La musica è capace di coinvolgere l’essere umano
nella sua globalità, dal corpo alle emozioni e ai pensieri, restituendo altrettanto benessere
globalmente. Nel caso del canto corale o di altre attività educative musicali di gruppo i
benefici si moltiplicano, sia attraverso la partecipazione sociale che mediante
l’appartenenza ad un gruppo di pari, ad una comunità, alla collettività. La partecipazione
consapevole poi, nutre sempre di più in maniera armoniosa coloro che la sperimentano
fino a diventare un fare, sentire e pensare musicalmente.
Nella preparazione di questa tesi e nella ricerca svolta su argomenti, contenuti e
informazioni a me poco conosciuti, ho di mano in mano rinvenuto molte conferme su
come l’educazione e la musica abbiano sempre camminato insieme, spesso
inconsapevolmente, arricchendosi l’un l’altra. A tal riguardo, il mio elaborato si pone su
un piano storico-didattico, ricostruendo un quadro composto soprattutto da una complessa
rassegna di studi e ricerche già esistenti, nella cui valutazione ho inteso tracciare le fasi
salienti della storia della musica in via generale, e di quella corale in particolare. Di un
tal percorso è stata una costante il rimarcare come quest’arte sia stata da una parte accolta
e usata come strumento di crescita, di progresso (anche entro le strategie culturali),
dall’altra sia stata invece marginalizzata in uno spazio ridotto e povero culturalmente, tale
da farla ritenere un settore operativo-educativo legato alla pura pratica manualistica.

Il cammino dal passato ai nostri giorni si sofferma particolarmente sull’aspetto della


musica nella scuola, articolandosi in tre i capitoli.

1
Kecskemét, 16 dicembre 1882 – Budapest, 6 marzo 1967) è stato un compositore, linguista, filosofo,
etnomusicologo ed educatore ungherese. Ha contribuito, attraverso lo studio dei canti e tradizioni popolari
ungheresi, alla ricerca e ai metodi di educazione musicale dei bambini e giovani in maniera fondamentale.

-7-
Il primo capitolo attraversa l’origine e la storia della musica nei suoi punti
fondamentali, un’origine con specifiche caratterizzazioni entro la pratica corale. Infatti,
la musica occidentale nasce soprattutto all’insegna di tale pratica, la quale andrà
sviluppandosi su fattori via via più elaborati, tra esecuzione e consapevolezze teorico-
stilistiche. Si consideri che la pratica corale è da sempre stata un’attività di gruppo, uno
scambio di esperienze e uno strumento educativo. Il primo capitolo è anche un ponte tra
il passato e il presente, tra ciò che è stato e ciò che giungerà a noi oggi, attraversando i
vari contesti sacri e profani, tra parametri educativi e formativi sia ufficiali che informali
non solo italiani. A ben guardare, la condizione della musica in tali contesti, nell’ampio
spettro tra religiosità e cultura profana, non ha presentato differenziazioni evidenti di
epoca in epoca. La riforma ceciliana, di cui parlo nel secondo paragrafo, è la parte più
sensibile del ponte tra passato e presente, che attesta tra Otto e Novecento un tentativo
tormentato quanto significativo di conferire alla musica un adeguato riconoscimento e
valore. Per far ciò, secondo alcuni musicisti, soprattutto di sponda ceciliana, era
necessario e utile attingere dal passato, un passato che non doveva essere imitato (vale a
dire non diventare un semplice luogo per esercizi di stile antico), ma visto come una
risorsa, una fonte da cui attingere elementi di un rinnovamento che portasse linfa
all’intero panorama della musica contemporanea. Un esempio del buon esito di tale
retrospettiva viene dal mondo della coralità, non solo scolastica, nella Bologna tra fine
Ottocento, tra Carducci e il cardinal Svampa, tra le scholae cantorum, l’allora Liceo
musicale e l’Accademia filarmonica, alla quale anche Mozart aveva tenuto ad iscriversi.
Nel secondo capitolo ho affrontato il tema dell’insegnamento musicale lungo la
legislazione scolastica italiana. A tal riguardo, nella maggior parte delle proposte
legislative alla musica è stato assegnato un ruolo prettamente pratico-manualistico, solo
in alcuni casi lasciando aperto uno spiraglio a traguardi nuovi, come nel caso della legge
Daneo-Credaro oppure, saltando decenni avanti, quando nasceranno le scuole medie a
indirizzo musicale. Nello stesso capitolo ho trattato anche la questione epistemologica
della musica, annunciato tra le righe nel titolo della tesi, che tra l’altro rimanda
all’importanza di non essere pigri nella ricerca musicale e di tenerci lontani dalle
convinzioni che la musica sia solo per i talentuosi. E questo va inteso come un messaggio
essenziale sia per i musicisti che per gli insegnanti di musica. Chiude il paragrafo il tema
delle competenze europee e della direzione stabilita in Europa per i cittadini e le
istituzioni scolastiche; anche a quest’altezza il legame tra passato e presente si fa sentire
nella misura di una retrospettiva che tende a non imitare, ma ad imparare.

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Il terzo capitolo è focalizzato sull’aspetto didattico e metodologico dell’educazione
musicale e del contributo che, in epoche diverse, alcuni studiosi, musicisti ed educatori,
ne hanno dato. Per rimanere fedele al legame tra il passato e il presente, ho scelto alcuni
personaggi che hanno lasciato traccia nel mondo della musica e nel mondo
dell’educazione, soprattutto grazie alla loro capacità di usare la musica come strumento
educativo. Va anche detto che il loro è stato anche un contributo saliente all’umanità, per
promozione culturale e della persona, trattandosi di figure rivoluzionarie e anticipatrici:
Guido d’Arezzo per quel che riguarda gli strumenti e metodi d’insegnamento dei cantori;
San Filippo Neri in merito ai fattori pedagogico-relazionali e per esser stato tra gli
antesignani della vocazione educativa e inclusiva della musica. Senza dimenticare
Roberto Goitre, direttore d’orchestra torinese, capace di far rivivere negli anni Settanta
del Novecento il modello d’insegnamento che Guido d’Arezzo già praticava nel sec. XI.
Il capitolo si conclude trattando una tesi operativa, che condivido pienamente, sulle nuove
metodologie d’insegnamento della musica nelle scuole, attraverso cui la musica guadagna
nell’ora curriculare un’identità paritaria con le discipline tradizionali. Questa tesi porta
con sé anche un’idea della musica come strumento capace di portare beneficio anche nello
studio di altre discipline. In altri termini, la pratica corale può essere usata come un’azione
strategica nell’ambito dell’apprendimento cooperativo, permettendo ai singoli e alla
classe di raggiungere determinati obiettivi d’apprendimento. Partendo dall’elemento
gruppo, tipico dell’attività corale, e da quelle che sono le finalità della strategia didattica
legata all’apprendimento cooperativo, si sperimentano nuove sollecitazioni: vi è la
possibilità per ogni operatore – insegnante, musicista, educatore o pedagogista che sia –
di uscire dagli schemi consuetudinari per farsi propositivi, valutare nuovi punti
d’approccio, essere per così dire rivoluzionari e portatori di novità, assumere uno sguardo
dal basso per le problematiche in atto, attraverso cui crescere e contribuire al
miglioramento dell’intero processo educativo/formativo.
In definitiva, l’educazione con la musica attenta agli ambiti della coralità racchiude
tutto ciò che ritengo rilevante per un apprendimento efficace: la centralità dell’arte, il
coinvolgimento globale, la socializzazione, la disciplina, il metodo, il lavoro personale e
il lavoro di gruppo, la relazione con i pari, ma anche con i piccoli e con i grandi, la guida,
il maestro, la fiducia in sé e nell’altro.

-9-
CAPITOLO 1
LA FORZA EDUCATIVA DELLA MUSICA

1.1 Le scholae cantorum nella storia della musica di ieri e di oggi

Prima che la musica fosse definita arte, essa era un canto religioso ed era già
cultura perché capace di divulgare e comunicare, esprimere ed educare. La musica era
una monodia, o melodia; disponeva di poche note, tutte contigue, successive fra di loro;
veniva praticata come forma di preghiera comune e come parte della liturgia.
Sant’Agostino (354 d. C. – 430 d. C.), padre e dottore della Chiesa occidentale,
vescovo, nella sua opera Confessiones,2 parlando di Sant’Ambrogio, vescovo di Milano
dal 374 d. C. al 397 d. C., e di ciò che stava realizzando nella sua diocesi nei primi secoli
dopo Cristo, scrive così:

Non da molto tempo la Chiesa milanese aveva introdotto questa pratica consolante e
incoraggiante, di cantare affratellati, all’unisono delle voci e dei cuori, con grande fervore.
Era passato un anno esatto, o non molto più, da quando Giustina, madre del giovane
imperatore Valentiniano, aveva cominciato a perseguitare il tuo campione Ambrogio,
istigata dall’eresia in cui l’avevano sedotta gli ariani. Vigilava la folla dei fedeli ogni notte
in chiesa, pronta a morire con suo vescovo, il tuo servo. Là mia madre, ancella tua, che per
il suo zelo era in prima fila nelle veglie, viveva di preghiere. Noi stessi, sebbene freddi
ancora del calore del tuo spirito, ci sentivamo tuttavia eccitati dall’ansia attonita della città.
Fu allora che s’incominciò a cantare inni e salmi secondo l’uso delle regioni orientali, per
evitare che il popolo deperisse nella noia e nella mestizia, innovazione che fu conservata

2
Le Confessioni (Confessionum libri XIII o Confessiones), opera di Agostino di Ippona, in 13 libri, quasi
certamente redatta nel 397-98. La «confessione» è, al tempo stesso, lode rivolta a Dio e riconoscimento
della propria fede e dei propri peccati (lib. X, capp.1-3). Agostino espone, in forma di autobiografia
spirituale, la propria vita fino alla conversione al cristianesimo e all’episcopato, descrivendo il suo
approccio agli studi letterari e retorici (di impronta ciceroniana), le esperienze presso le diverse scuole
filosofiche (accademici, manichei, neoplatonici) fino alla passione per gli studi di astrologia e ai contatti
con la magia demonica (lib. IV). Grande risalto hanno gli eventi legati all’incontro con la Scrittura mediante
la predicazione di Ambrogio in Milano (lib. VI), fino a giungere alla conversione (lib. VIII), all’abbandono
dell’insegnamento e al ritiro a Cassiciaco (lib. IX). La riflessione sul senso dell’esistenza cristiana come
cammino verso Dio si compie nel lib. X, mediante l’analisi delle facoltà umane. Nei libri conclusivi (XI-
XIII) Agostino parte dall’esegesi del Genesi per riflettere sulla creazione, sul tempo e la temporalità, sulla
verità, sulla luce e l’illuminazione, sulla vita eterna (cfr. https://www.treccani.it/enciclopedia/le-
confessioni_%28Dizionario-di-filosofia%29/).

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da allora a tutt’oggi e imitata da molti, anzi, ormai da quasi tutti i greggi dei tuoi fedeli
nelle altre parti dell’orbe.3

Dalle parole di Sant’Agostino si percepisce tutta la forza dell’agire di


Sant’Ambrogio, per quei tempi un agire rivoluzionario, dagli effetti straordinari.
Sant’Ambrogio (340 d. C. – 397 d. C.), vescovo di Milano, è stato un uomo di cultura e
una raffinatissima personalità umana e politica. È stato capace di prefigurare, di guardare
lontano; aveva, quando necessario, una visione alta in quanto guida e governatore sacro
e una visione bassa quando era nel suo ruolo di pastore e quindi più prossimo ai bisogni
dei suoi fedeli. Ha adattato le cose alte alle esigenze del suo popolo, dei suoi fedeli.
Molto probabilmente, secondo alcune ipotesi, Sant’Ambrogio s’intendeva di
musica e perciò l’ha saputa utilizzare come ingrediente fondamentale della sua missione
pastorale. La musica era uno strumento di educazione dei fedeli (persone semplici,
analfabeti) e della ricerca delle verità di fede. In un tempo in cui la religione cristiana
iniziava ad avere una varietà di dottrine e dogmi che minacciavano e mettevano a rischio
la fede del popolo romano, egli ha saputo modellare la propria cultura in base alle
esigenze delle persone comuni. Ha ideato dei codici comunicativo-educativi semplici,
con i quali ha istruito il suo popolo sulle leggi di Dio. È partito dai canti e dalle musiche
che i fedeli conoscevano già, quelle che avevano già interiorizzato, creandone anche delle
nuove, servendosi dei passi biblici in grado di aiutarlo a catechizzare ed educare i fedeli,
tenendoli così lontani dalle eresie. A tal fine, ha dato vita ad una nuova forma di monodia,
l’innodia: una composizione poetico-musicale nella forma d’un poema in versi, con testo
e melodia semplici e facilmente praticabili. Oggi, come allora, potremmo dire che si trattò
di un tentativo ben riuscito dal punto di vista della socializzazione divulgativo-educativa,
ben differente dall’innodia di Ilario di Poitiers, l’altro padre dell’innodia medievale, che
portò a prodotti di alta letteratura.
Così come accade nell’ambito di una qualsiasi ricerca storica, anche in quella della
storia musicale, la ricostruzione dei dati avviene a partire dai documenti di cui si dispone.
La storia della musica possiamo affermare che inizia con i primi documenti attestabili;
dunque, con la nascita della scrittura musicale a partire dall’VIII e IX s. d. C. Questo per
dire che l’intera ricostruzione della musica per i secoli precedenti è fatta di interpretazioni

3
P. Fabbri, M. C. Bertieri, Musica e Società. Dall’Alto Medioevo al 1640, Milano, McGraw, 2012, p. 3.

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e ipotesi d’avvicinamento provenienti da altri ambiti della ricerca storico-culturale, nel
nostro caso soprattutto di matrice archeologica, ma anche dalla ricerca letterario-artistica.
La ricostruzione storica riguardo la presenza delle scholae cantorum già dai primi
secoli d. C., è l’esempio dell’intreccio e connessione tra le diverse discipline. È certo che
la pratica corale nacque come una pratica spontanea, al servizio del singolo e della
collettività e che in seguito vi fu stato un momento in cui le circostanze storiche e politiche
avrebbero richiesto una maggiore organizzazione di tale pratica, sia da un punto di vista
esecutivo che riguardo ai contenuti teorico-culturali e metodologici.
È certo che il periodo tra il 500 e il 700 d. C. (il periodo tra i due Imperi Romani)
è stato particolarmente delicato ed è stato caratterizzato, dal punto di vista delle tradizioni
liturgiche, e quindi implicitamente anche del canto, da una varietà di stili: il romano antico
(proprio della corte papale e delle basiliche romane), il beneventano (territori dell’attuale
Puglia e Basilicata, ma anche della Dalmazia), il milanese (ambrosiano), il gallicano
(Gallia) e il mozarabico (praticato dai cristiani presenti nelle regioni spagnole invase dai
musulmani). È probabile che in questo periodo, alla luce della documentazione
disponibile, fosse stato necessario trovare una tradizione liturgica più omogenea al fine
di poter governare la vastità di pratiche e tradizioni e che questo fosse il tema di una prima
riforma liturgica. Alla guida della Chiesa Romana, esattamente dal 590 al 604, vi era Papa
Gregorio Magno I (540-604) al quale sono stati attribuiti alcuni tra i più importanti
cambiamenti liturgici, come: la professionalizzazione della pratica corale, la nascita della
schola cantorum romana (VII sec. d. C.)4 e la riforma dei canti e dei riti liturgici. Secondo
alcune fonti, oltre alla realizzazione di un’unica tradizione liturgica, era necessaria anche
una più corretta esecuzione della musica liturgica al fine di rendere le celebrazioni papali

4
La Schola cantorum, letteralmente Scuola dei cantori nella musica sacra è un gruppo di persone, chierici
o laici, che accompagnano le liturgie con il canto. Nello stesso tempo, in architettura, il termine indica la
zona della chiesa antistante il presbiterio, limitata da una balaustra di transenne, destinata appunto ai cantori;
quel che sarebbe stato lo spazio absidale. La prima attestazione di cantori a Roma si trova nella biografia
di papa Sergio I (687–701), la cui educazione fu affidata al prior cantorum, cioè priore dei cantori. Dalla
documentazione disponibile, si presume che in questo periodo, molto probabilmente, fu attuata una riforma
liturgica, ma in nessuno di questi documenti si parla espressamente della schola cantorum. Altri reperti
però, come quelli archeologici (presso luoghi quali la basilica di S. Marco papa e la chiesa inferiore di S.
Clemente a Roma, così come altre chiese fuori Roma, ad Alvignano di Caserta e a Castelfusano presso
l’antica Laurentum), documentano la presenza di cantori (psallentes) già a partire dal V secolo d. C. (sono
collocati appunto in uno spazio recintato davanti al presbiterio), informazioni confermate anche dai
documenti letterari. Ciò che non vi è documentato invece è un diretto intervento da parte di Papa Gregorio
I, anche se alcune fonti ufficiali, come la lettera di Papa Paolo I (successore di Papa Gregorio Magno),
riporta la presenza di un certo Simeone, il sotto-priore della schola cantorum romana, inviato a Rouen al
servizio del re dei Franchi Pipino il Breve (che voleva adeguare l’apparato cerimoniale della corte franca a
quello della curia romana) e richiamato da Papa a Roma per istruire alcuni monaci sulla modulazione della
salmodia.

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più solenni. Per fare ciò, bisognava migliorare la formazione musicale dei cantori e
selezionare solo quelli che sarebbero stati in grado di apprenderla. Papa Gregorio I creò
un nuovo repertorio orale dei canti, scegliendoli tra le varie tradizioni presenti e
rendendoli più adatti alla liturgia della parola; fu così che il canto divenne campo di studio
e di educazione multidisciplinare. I cantori facevano parte delle cappelle pontificie e per
loro si trattava di un vero e proprio impegno professionale. Le più importanti scholae
cantorum fino al tardo medioevo furono presso la Cappella Sistina a Roma, la Cattedrale
di Santo Stefano a Vienna, King’s College dell’Università di Cambridge. Questi cori
cantavano nell’ambito del rito romano antico, considerata come la tradizione liturgica
musicale più antica, quella che ha annullato le differenze e le tradizioni culturali delle
prime varie comunità e diocesi cristiane. La riforma sarà ufficializzata solo con l’arrivo
di Carlo Magno; il canto romano antico sarà definito come quello ufficiale e prenderà il
nome di canto gregoriano5 (frutto della contaminazione del canto romano e del canto
gallicano).
Il canto gregoriano, canto monodico cristiano, considerato il nucleo di tutta la
musica europea, caratterizzerà e influenzerà fortemente l’intera evoluzione musicale.
Dalle sue prime variazioni del IX secolo d. C. come organum e conductus, nascerà la
polifonia e tutte le altre forme musicali, sacre e profane. Come canto, puro e originale,
sarà presente almeno fino al XIII secolo, dopo, sempre di più, lascerà lo spazio alla
polifonia sacra (mottetto, messa) e profana (nella tradizione italiana la frottola, il
madrigale, nella tradizione franco-fiamminga le varie forme di chanson). Dall’VIII secolo
in poi le funzioni liturgiche della schola cantorum furono descritte dettagliatamente nei
libri cerimoniali romani. La schola era formata da sette membri e aveva la tipica
organizzazione di un ufficio della curia romana, con le cariche ricoperte da chierici: il
grado più alto era affidato al prior (priore), una figura di grande responsabilità; vi erano
poi altre figure, fra le quali la più rilevante dopo il priore appare il quartus (quarto), che
era il miglior cantore (primicerius) ed era director del coro, dunque ricoprendo una
primaria responsabilità musicale; coloro che vengono menzionati poco frequentemente,

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La scelta del nome è stata, probabilmente, attribuita a Papa Gregorio Magno in virtù del fatto che fosse
stato un papa ben visto e del fatto che gli fosse attribuita la nascita della melodia, ma nessun documento
storico ci riporta ad una sua conoscenza musicale. Ciò che si conosce per certo è che, da questo momento
in poi, inizieranno a comparire manoscritti di canti liturgici su cui sarà presente un testo poetico “Gregorius
presul” e un’immagine evocativa che vede il Pontefice rappresentato con una colomba, simbolo dello
Spirito Santo, appollaiata sulla sua spalla e vicino al suo orecchio come sinonimo di un’ispirazione divina.
Con questa raffigurazione si voleva far intendere ai fedeli che l’intera riforma liturgica fosse frutto di un
volere dall’Alto e non dell’imposizione politica dell’Imperatore.

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presumibilmente perché eseguivano alcune parti solistiche di graduali, alleluia e offertori,
erano il secundus (secondo) e il tertius (terzo). Infine ci sono i tre cantori paraphonistae
infantes, i fanciulli cantori.6 Da un punto di vista interpretativo, tranne l’intonazione
iniziale che veniva eseguita dal solista, il canto gregoriano veniva eseguito dal coro,
interamente e senza interruzioni, tranne che per canti virtuosistici come il Graduale e
l’Alleluia, in alternatim tra solista e coro.
Lo studio delle modalità performative adottate dalle scholae cantorum non
fornisce indicazioni sulla presenza di musica polifonica, sebbene fonti più tarde
testimonino l’uso di alcuni abbellimenti organali improvvisati, fra cui i melismi su note
lunghe a mo’ di bordoni; il melisma è una fioritura di numerose note cantate su una sola
sillaba del testo. Va poi detto che dallo sviluppo del canto gregoriano e dalla
professionalizzazione sempre più raffinata dei cantori, sarebbero sorte nuove tecniche di
studio e di esecuzione diventate poco per volta vere e proprie regole armoniche.7 Tra esse,
una di riferimento è stata certamente quella del contrappunto, la tecnica della
combinazione di due o più linee melodiche diverse simultanee. Queste varie regole e
tecniche sarebbe state utilizzate anche dai migliori cantori, che le applicavano alle
melodie principali creando in tal modo le prime forme polifoniche.
Dobbiamo al canto gregoriano anche la nascita della scrittura musicale, attraverso
un tipo di notazione che noi chiamiamo neumatica. Fino all’VIII secolo, la trasmissione
del canto romano antico era orale. Ciò richiedeva ai cantori e ai maestri delle varie scholae
cantorum un notevole impegno; ai cantori in termini di memoria (bisognava imparare
circa tremila brani per un totale di settanta/ottanta ore di liturgia), ai maestri anche in
termini di tempo complessivo. A quest’ultimi veniva spesso chiesto di spostarsi per dare
il proprio contributo anche ad altre scholae cantorum, soprattutto per guidarle
sull’espressività esecutiva in rapporto alle indicazioni fornite dalla notazione neumatica,
dalle quali mai sarebbero state autonome. Tale notazione era composta da neumi (segni)
che indicavano perlopiù il movimento ascendente o discendente della melodia, con
precisazioni agogico-espressive in rapporto al significato del testo, ma senza fornire un
aiuto se non vago in merito agli intervalli/altezze esatti del suono. La pratica della

6
Tratto dal web: https://it.cathopedia.org/wiki/Schola_Cantorum.
7
Una delle maggiori regole di questo periodo era quella degli intervalli. Le regole le dettava l’orecchio e
alcuni di questi intervalli non potevano essere usati, così vennero a creare degli intervalli ritenuti dissonanti
(come il tritono, vale a dire la IV eccedente) e consonanti (come la IV e la V giusta). Nell’esecuzione di
canti gregoriani la melodia era sempre la stessa, magari cantata in ottave diverse, e il concetto praticato era
quello del raddoppio di voce, normalmente per intervalli consonanti, da cui le prime forme polifoniche del
cosiddetto organum (sec. IX).

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notazione era stata preceduta dal sistema teorico degli otto modi gregoriani8 (o otto scale
gregoriane). Successivamente, ponendosi maggiormente la questione didattica, si era reso
necessario ammodernare sia l’insegnamento che lo studio dei canti, insieme a nuove
forme di notazioni su rigo (che avrebbero condotto alla notazione quadrata, sec. XII, detta
anche notazione vaticana, realizzata su un tetragramma). Il merito lo si deve a Guido
d’Arezzo (attivo nella prima metà del 1000) e al suo nuovo sistema didattico di notazione,
grazie al quale le altezze delle note sarebbero state rese via via riconoscibili esattamente.
Guido d’Arezzo denominò anche le note musicali, in relazione all’altezza tonale entro la
scala.
La presenza delle scholae cantorum nei maggiori centri cristiani e lo spostamento
dei cantori e maestri tra le varie corti, aveva contribuito alla nascita della polifonia, nata
dall’ampliamento del canto gregoriano puro. Furono proprio i monaci e i cantori
gregoriani a sperimentare l’introduzione di altre melodie rispetto a quella principale, sia
in orizzontale che in verticale, in base ad esperienze musicali che avrebbero influenzato
fortemente anche l’ambito musicale profano. La nascita della polifonia, sia sacra che
profana (di cui si ha la documentazione scritta a partire dall’XI secolo in poi) è stata
l’alveo di uno sviluppo musicale straordinario, ha permesso di perfezionare la tecnica
dell’intreccio tra parti complesse in rapporto alla metrica testuale, fino alle ‘forme
linguistiche’ che conosciamo anche oggi. Nella prima età della polifonia, uno dei
maggiori contributi viene dalla Scuola di Notre Dame a Parigi, nei decenni tra i secoli XII
e XIII, mentre in Italia andavano configurandosi le due scuole più importanti a Roma e a
Venezia.
Con la nascita della polifonia, soprattutto quella profana, e anche con
l’introduzione della parte musicale strumentale, la cultura della musica iniziava a
cambiare a tal punto che anche il versante liturgico non potrà restare fuori da questo
progresso. A cambiare sarà soprattutto l’aspetto esecutivo. La musica era, e sempre lo
sarà, uno strumento attraverso cui esprimere il proprio e altrui mondo interiore, creando

8
Sulla base della regola degli intervalli, vennero strutture le scale gregoriane: partendo dalla scala naturale
di due ottave, essa veniva suddivisa in otto strutture scalari di otto suoni ascendenti, con due note guida
caratteristiche: la finalis (nota finale) e la repercussio (o corda di recita, la nota che veniva frequentata
maggiormente, V o III della scala), che per analogia potremmo far corrispondere nell’odierna musica alla
tonica (la nota dalla quale la scala comincia) e di dominante (la nota che guida il movimento, V nota di una
scala musicale). I modi gregoriani erano otto, quattro autentici e quattro plagali (o derivati): iniziavano
rispettivamente dalle note re, mi, fa, sol (autentiche) e la, si, do, re (derivate). Gli otto modi (per analogia
con i modi greci) erano denominati: dorico, frigio, lidio, misolidio (modi autentici); ipodorico, ipofrigio,
ipolidio, ipomisolidio (modi plagali). L'uso dei modi si protrasse per tutto il Medioevo e gran parte del
Rinascimento, sostituito poi dalla modalità tonale, a partire da sperimentazioni anticipatrici dei vari teorici
e compositori umanisti come Glareano, Zarlino e via discorrendo.

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quanto più possibilmente la verosimiglianza con il reale. Per farlo ci si è serviti e ci si
servirà sia del testo che della musica, ma ciò che inizierà a cambiare radicalmente, tra il
1500 e il 1600, saranno le condizioni interpretative, legate all’emotività, alla risonanza,
al coinvolgimento. Il testo e la musica saranno sempre più il centro dell’espressività in
senso moderno (di una sensibilità dell’animo umano, senza mediazioni metafisiche
medievali), fino al punto che l’esecuzione sarà sempre meno affidata al coro e sempre più
alle voci singole. Di questo traguardo attribuiamo il merito – o il demerito, stando alla
tradizione tardomedievale – al madrigale, la nuova forma musicale polifonica profana che
riuscirà a creare un equilibrio, un incontro tra la musica e ciò che il testo poetico vuole
rappresentare. Il madrigale puntava molto sull’aspetto emotivo e psicologico
dell’ascoltatore e ciò ha rappresentato un’importante novità culturale nella musica
europea, di cui fu vessillo nel Rinascimento. Al solista veniva data la responsabilità
espressiva e la rinuncia al coro rientrava nelle esigenze espressive soggettive del testo.
Era necessario suscitare una reazione di verosimiglianza interiore personale, e il coro
mostrava i limiti di questa capacità. Era cambiata anche la cultura musicale, l’idea della
musica, sia per via dell’espansione del madrigale, ma anche per via dell’aspetto della
commercializzazione che fiorì nella letteratura madrigalistica. Questo comportava
continue nuove sperimentazioni musicali, fin ai traguardi straordinari del recitar
cantando, dove appunto prevarrà l’esigenza recitativa e la vicenda raccontata dei
personaggi ne sarà al centro. È dallo sviluppo rappresentativo delle caratteristiche
interpretative madrigalistiche che nascerà agli inizi del Seicento il melodramma, l’opera
lirica.
Gli ambienti ecclesiastici non si sono potuti sottrare alle novità musicali e così,
anche nella liturgia, sarebbero entrate le caratteristiche operistiche e la musica
strumentale, caratterizzando così, per molto tempo, i riti liturgici e allontanandosi
dall’aspetto educativo che il canto e il coro avevano offerto nei secoli precedenti. Nel
frattempo un contributo essenziale proverrà anche dalla riforma liturgica luterana, a cui
risponderanno i provvedimenti in tema di musica presi in seno al Concilio di Trento, base
della controriforma cattolica. Il ‘dialogo’ educativo-musicale tra queste due polarità non
è ancora stato debitamente studiato, ma li accomuna il termine schola cantorum, ancora
oggi utilizzato per nominare istituzioni didattiche, di ricerca o cori specializzati
nell'esecuzione di musica antica.
Il percorso che le scholae cantorum e la cultura della musica corale hanno
rappresentato lungo la storia, sono state influenzate dalla storia e dalla cultura moderna.

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Va però aggiunto che le categorie della modernità, per alcuni aspetti, non ha permesso
alle nuove generazioni di imparare da questa pratica antica, nata spontaneamente e al
servizio della comunità, e divenuta sempre più consapevole della propria forza educativa.
È proprio in nome di questa spiccata autorevolezza educativa che non è possibile non
prendere in considerazione il peso culturale del canto gregoriano e della lingua latina,
autentici monumenti del patrimonio culturale europeo. Non è possibile non considerare
questi due nuclei come semi per altre grandi epoche musicali e letterarie, che la civiltà
europea ha prodotto lungo i secoli successivi, lungo un filo rosso mai spezzato dal mutare
del gusto e delle mode. È alla luce di queste riflessioni che in Europa, intorno ai primi
decenni dell’Ottocento, si fece strada un multiforme movimento finalizzato a dare vita a
una riforma della musica sacra. Vi si suggeriva un ritorno alle origini, non per evitare di
accogliere il moderno, ma per poter costruire al meglio il nuovo, tenendo presente la storia
della musica e della cultura occidentali, tra cui le cui braccia la modernità era cresciuta.

1.2. Le radici pedagogiche della riforma ceciliana

Tra l’Ottocento e il Novecento, la musica sacra, soprattutto quella liturgica, ha


vissuto il suo momento con riforme da cui non si sarebbe più fatto ritorno. Le troppe
trasformazioni avvenute nel corso dei secoli in termini ritmici e melodici, quali una
distorta interpretazione della notazione neumatica, l’assenza di tecniche caratteristiche
del canto gregoriano come i melismi (abbreviati/eliminati dalle indicazioni del Concilio
di Trento), le influenze musicali del XVI e XVII secolo (ingresso della modalità operistica
e concertistica nella liturgia) hanno portato alla nascita di due fronti della musica sacra
predominanti: da una parte uno tedesco, ratisbonense (punto di riferimento è la città
tedesca di Ratisbona, dove vennero ristampate proprie edizioni del gregoriano nei primi
dell’Ottocento), condiviso dalla chiesa romana (perché più vicino alle caratteristiche del
canto decise in sede di Concilio di Trento), ma reso ufficiale solo nel 1883 da Papa Pio
X; dall’altra un fronte francese, solesmense (il riferimento è il monastero benedettino di
Solesmes, fondato nel 1833 in pieno neomedievalismo), più vicino al canto gregoriano
delle fonti originarie, frutto di un vero e proprio metodo di studio del canto antico e di
esecuzione, che rese l’atelier solesmense uno dei centri internazionali di riferimento per
la paleografia musicale contemporanea.

- 17 -
Anche la condizione storico-sociale europea ottocentesca che ha visto il
propagarsi delle idee liberali, dei moti rivoluzionari e, soprattutto, la nascita dei nuovi
Stati (fra cui il Regno d’Italia prima e la Germania dopo), ha contrassegnato un momento
importante e fondamentale per la condizione della Chiesa e, di conseguenza, della musica
sacra in generale e di quella liturgica in particolare. Non sarà più una questione solo
nazionale, ma europea e quindi un problema della Chiesa, anche entro una dimensione
inter-cristiana.
Allo stesso tempo, la situazione musicale generale che si presentava per quasi tutto
l’Ottocento, sia per ciò che riguarda gli ambienti musicali che l’insegnamento della
musica, mostrava una predominanza del privato (soprattutto per ciò che riguarda
l’insegnamento pianistico), anche se iniziava a farsi strada l’insegnamento musicale nelle
strutture pubbliche con la nascita dei primi conservatori9 (sulla scia di quello parigino
costituitosi nel 1795) quali quello di Bologna (1804), Napoli e Bergamo (1806), Milano
(1808), Firenze (1813), Roma (1869), Torino (1866), spesso dopo essere stati Licei
musicali.
La riforma della musica sacra aveva inaugurato le proprie iniziative negli ambienti
musicali tedeschi intorno agli anni settanta dell’Ottocento; venne denominata
cecilianesimo (in onore a Santa Cecilia, martire cristiana e patrona della musica, degli
strumentisti e dei cantanti), propagandosi via via in altre parti d’Europa, inizialmente in
Francia e Belgio, coinvolgendo così il fronte musicale francese e solesmense, ma anche
in Inghilterra, Spagna e in Italia. I protagonisti della musica sacra francese hanno messo
in moto una vera e propria rivoluzione della musica sacra, un rinnovamento del canto
liturgico. Per questo fronte musicale, l’obiettivo era di rinnovare la musica sacra
nell’ambito della vocalità religiosa e del rilancio liturgico-musicale; per fare ciò era
necessario riappropriarsi della forma originale del canto gregoriano e ritornare alla

9
Istituto d’istruzione musicale. L’origine dei conservatori risale al XVII secolo, infatti, in quell’epoca a
Napoli sorgevano i primi istituti di beneficienza per avviare a un mestiere gli orfani e che successivamente
vennero trasformati in collegi dedicati all’insegnamento della musica (il Conservatori dei Poveri in Gesù
Cristo, il Conservatorio di Santa Maria di Loreto, il Conservatorio di S. Onofrio, il Conservatorio della
Pietà dei Turchini) oppure a Venezia la nascita degli istituti musicali denominati Ospedali (della Pietà, dei
Mendicanti, degli Incurabili, dei Ss. Giovanni e Paolo), così come a Palermo dove il conservatorio era
diventato un luogo per ospitare i trovatelli già nel 1617. Il primo esempio di conservatorio statale invece fu
quello parigino inaugurato nel 1784 come Conservatorio Nazionale di musica di Parigi. Con la legge 508
del 21 dicembre 1999 i conservatori e gli istituti musicali pareggiati vengono trasformati in Istituti Superiori
di studi musicali, come parte del più ampio sistema di alta formazione e specializzazione artistica e
musicale. Le aree accademiche da allora sono articolate in diversi settori: esecutivo (canto o strumenti),
compositivo, della direzione orchestrale e della direzione del coro, della musica classica, del jazz, della
musica elettronica, della didattica della musica, per la formazione artistico-professionale di cantanti,
strumentisti, compositori, direttori (di coro e d’orchestra), insegnanti, tecnici del suono.

- 18 -
purezza e originalità di quel repertorio primigenio, eliminando dalla liturgia gli elementi
bandistici e operistici nel frattempo infiltratisi come tendenze di gusto e moda
contemporanei. Una riforma che aveva coinvolto le scholae cantorum e gli istituti
musicali, anche quelli privati, e non solo quelli degli ambienti sacri. È stato messo in
discussione sia l’insegnamento che la pratica corale, ma anche l’atteggiamento dei
musicisti in generale, dei critici, degli studenti. Lungo gli anni, la riforma è stata inoltre
anche occasione per un importante lavoro di recupero estetico-liturgico, di valorizzazione
e di reinterpretazione del canto gregoriano e della musica rinascimentale.
In Italia, la riforma aveva avuto un avvio più decisivo a partire dall’Unità d’Italia
in poi, prolungandosi fino ad una soluzione di continuità durante il Concilio Vaticano II
(1962-1965);10 inoltre, l’avvio era caratterizzato da alcune iniziative individuali, per poi
dare vita a iniziative più collettive. I motivi principali di questo rallentamento, della fatica
e di un maggior numero di mediazioni per l’attuazione della riforma ceciliana in Italia,
rappresentarono la condizione musicale italiana e la posizione della Chiesa Cattolica e di
Papa Pio X.
A cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, la cultura musicale italiana subiva ancora
una forte presenza di influenze musicali del melodramma e della musica bandistica
(entrata anche nella musica liturgica come già detto nel sopra) e per il modo dilettantistico
con cui ormai la musica veniva condotta, trattata, indirizzata. Tale condizione scadente
riguardava sia i compositori che gli esecutori e/o il pubblico; nessuno di questi attori
riteneva utile e necessario avere capacità in termini di una riflessione teorica e storica
sulla base dell’esperienza musicale nei rispettivi campi. Le stesse istituzioni presentavano
delle lacune: in quelle musicali mancavano le materie umanistiche e scientifiche che
andassero all’aldilà del sapere elementare, così come, nelle università non vi era alcuna
presenza della storia della musica o semplicemente della musica. Diversamente, in
Germania e in Francia erano state create le condizioni per conoscere e comprendere la
musica del passato, per poter fare un percorso formativo sulle esperienze musicali in vari
modi, o, come nel caso della Francia, per poter attuare un recupero del repertorio antico,
liturgico, clavicembalistico, cameristico.

10
“La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana: perciò nelle azioni
liturgiche, a parità di condizioni, gli si risevi il posto principale” (Sacrosanctum Concilium, n. 116). Durante
i lavori del 1963, papa Paolo VI richiese espressamente che si portassero a termine le stesure dei libri di
canto gregoriano e che venisse preparata un’edizione più critica di quei libri già editi dopo la riforma di Pio
X (Sacrosanctum Concilium, n. 117)” (tratto da Cattin, G. (1991 [1982]). Storia della Musica, La monodia
nel Medioevo (volume 2). A cura della Società Italiana di Musicologia. Torino: EDT).

- 19 -
Sul fronte cattolico invece, il venir meno del potere temporale del Papa, ha
condotto inevitabilmente alla formazione di due linee d’azione principali, una più
transigente, che aveva accolto le novità e cercato di individuare i punti d’incontro tra la
Chiesa e la monarchia, e una più intransigente, che aveva visto nascere l’Associazione
Italiana della Gioventù cattolica (1867), la cui finalità era la formazione dei giovani
secondo i principi cristiani. La nascente associazione, che aveva più sedi dislocate su tutto
il territorio nazionale, avrebbe aperto qualche anno più tardi il Movimento Cattolico
nazionale (1874), che operava attraverso l’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici.
Nel 1880, all’interno dell’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici venne
istituzionalizzato il movimento ceciliano italiano con la costituzione della Generale
Associazione Italiana di Santa Cecilia (d’ora in avanti AISC), il principale strumento
d’attuazione della riforma della musica sacra in Italia. Con sede principale a Milano,
aveva reso attivi anche altri grandi centri musicali italiani quali Bologna, Roma (che negli
anni successivi avrebbe ospitato la sede dell’associazione) e Firenze. La Generale
Associazione Italiana di Santa Cecilia, ha vissuto due momenti ben distinti: il primo, poco
compreso poiché pionieristico, fu guidato coraggiosamente da dom Guerrino Amelli11 nel
periodo 1874-1885, mentre il secondo, voluto direttamente da Pio X in seguito al Motu
proprio12 del 1903, vide di nuovo Amelli mettersi in gioco tra il 1904 e il 1909,
preparando il futuro dei vari De Santi e Perosi. Durante la prima presidenza di dom
Amelli, i rappresentanti locali e i sostenitori della riforma presenti in grandi centri
musicali avevano il compito di attuare le decisioni dell’AISC, a seconda della condizione
e delle risorse dei propri territori, come accadde a Bologna, tema che tratterò sotto. In via
generale, presero vita le aspirazioni e i desideri di quanti avevano visto in questa riforma
e in questo momento storico, una grande opportunità di crescita e di cambiamento.

11
Milano 1848 – Montecassino 1933, prima prete ambrosiano e poi, dal 1885, monaco benedettino con il
nome di Ambrogio Maria.
12
Inter pastoralis officii sollicitudines, più conosciuto col titolo Tra le sollecitudini, derivante dalle parole
iniziali in lingua italiana, è un motu proprio sulla musica liturgica della Chiesa cattolica di papa San Pio X
(Giuseppe Sarto, pontefice dal 1902 al 1914), emanato il 22 novembre 1903.
Si tratta di uno dei documenti pontifici più importanti riguardo al canto liturgico, che ufficializza il canto
gregoriano come canto ufficiale, soffermandosi su come esso debba essere strutturato e insegnato. Il
documento contiene indicazioni circa la musica sacra, suddiviso in nove paragrafi, e definisce i caratteri e
le parti integranti della solenne liturgia, il cui fine è glorificare Dio e santificare ed edificare i fedeli. La
musica sacra deve avere la qualità di santità (escludere ogni forma di profanità, sia nella parte musicale che
nella parte esecutiva), della bontà delle forme (dev’essere cioè arte vera, capace di arrivare all’animo dei
fedeli, trasmettere con efficacia il messaggio della Chiesa) e dell’universalità (pur acconsentendo elementi
tipici delle varie culture nazionali, i brani liturgici devono in ogni caso conservare caratteri generali della
musica sacra tipica della chiesa cattolica): cfr. Salvetti, G. Storia della Musica, La nascita del Novecento
(volume 10). A cura della Società Italiana di Musicologia, 1991 [1982], p. 320.

- 20 -
Il legame tra l’Opera dei Congressi, dei Comitati Cattolici e la nascente AISC era
ispirato all’obiettivo dell’educazione, soprattutto per i giovani in una Italia da poco
unificata. Per il movimento ceciliano è stata fondamentale la concezione romantica della
musica, che si basava sulla cultura filosofica tedesca; qui ogni attività spirituale umana
ha un fondamento religioso e la musica viene concepita come la più elevata tra le attività
umane: “Il canto, il disegno, la pittura e la plastica debbano quindi necessariamente essere
presi per tempo in considerazione di un’educazione e di una formazione dell’uomo
universale e compiuta […]”.13 Va detto che l’idealismo tedesco della metà ’700 (che vide
il confronto tra Kant e Hegel), aveva riscoperto e valorizzato il passato, permettendo il
recupero del valore pedagogico dell’arte in generale e della musica in particolare. Al
contempo, è fondamentale anche la concezione dell’educazione che questa corrente
filosofica ha, espressa nel concetto di Bildung, che da un lato indica la formazione e
dall’altro individua la dimensione estetica, quali strumenti per la crescita psico-fisica e
spirituale. Quindi, se la musica viene vista come atto supremo per la formazione dello
spirito in generale, la musica sacra può contribuire alla rigenerazione dello spirito
religioso dei cristiani messi in pericolo dalle novità sociali e culturali all’interno di una
società sempre più laica e secolarizzata. Questa esigenza di educare i giovani, di farlo
secondo i principi cristiani e attraverso l’istruzione, è ben presente nel programma de
L’Opera dei Congressi, organizzato in sezioni: I. Organizzazione, II. Economia sociale,
III. Educazione, IV. Stampa, V. Arte (di cui sarà il coordinatore dom Ambrogio Amelli,
il primo presidente della AISC).
All’interno dell’AISC si sono venute a creare due linee operative, che
rispecchiano i due fronti musicali sopra descritti, il ratisbonense (sostenuto dalla potente
Congregazione dei Riti) su criteri restaurativi più inclini al compromesso, e la linea
solesmense, più tradizionale e legata al canto gregoriano originale.14 Quest’ultimo
movimento era sostenuto dalla maggior parte dei membri dell’associazione.
I principi su cui si era basato il movimento ceciliano e sui quali sono state delineate
le modalità d’intervento, possono essere sintetizzate in questo modo:

13
Friederich Frӧbel ne L’Educazione dell’uomo del 1826, come citato da Gallesi, 2017, p. 6.
14
Linea solesmense era legata alla figura di Joseph Pothier e del suo arrivo a Solesmes, il quale, ha smosso
tanto la condizione del canto gregoriano di allora. Fu uno dei maggiori artefici del rinnovamento del canto
liturgico; aveva iniziato a far eseguire le melodie tratte direttamente dai manoscritti, aveva attivato uno
studio dei neumi e aveva individuato un metodo di comparazione delle fonti preparando una relazione su
questo metodo e sul proprio lavoro, un opera paradigmatica dal titolo Les melodies gregoriennes del 1880.
Il 15 settembre 1882, ad Arezzo, vennero eseguiti i canti con la metodologia proposta da Pothier, ma le
autorità romane non accolsero questa novità solesmense, ufficializzando piuttosto quella della
scuolatedesca.

- 21 -
− curare l’aspetto dell’educazione musicale scolastica, sia pubblica che privata, sia
cattolica che laica; curare lo studio del canto gregoriano in maniera autentica, con
metodi univoci e altamente qualitativi, anche da un punto di vista esecutivo,
attraverso i progetti scolastico-educativi (nelle scuole dei cantori già esistenti
erano stati inseriti nuovi elementi didattico-interpretavi, ma sono anche state
costituite nuove forme associative e istituzionali); una delle prerogative di questa
riforma era la corretta esecuzione del canto gregoriano;
− il ritorno alla scuola romana e ai maestri come Palestrina, allontanando dai riti
liturgici la polifonia fondata sui virtuosismi e/o sulla presenza di aspetti bandistici
e operistici, nonché teatrali; mettere al centro il canto monodico, incentivare e
migliorare lo studio della lingua latina e del contrappunto, poco valorizzati e
ritenuti superati, ma fondamentali per un musicista e compositore;
− il rinnovamento del repertorio musicale grazie a diverse occasioni musicali, come
ricorrenze o feste liturgiche specifiche, e attraverso l’istituzione di diversi
concorsi musicali in questo periodo; riuscire ad avere una serie di canti in latino
che potessero essere cantati da tutti e che quindi prevedessero la partecipazione
anche dei fedeli (ne fu esempio la Missa de angelis);
− incentivare l’attività tipografico-editoriale: portare nella musica sacra un aspetto
della cultura moderna, creare dinamicità e novità nella programmazione
editoriale. Uno degli scopi di questo principio era quello di educare sia il pubblico
che i fedeli; dom Guerrino Amelli introdurrà in questo senso una novità
nell’ambito editoriale della musica sacra;
− intervenire anche nella formazione organistica.

Riuscire a portare a termine questa riforma, arrivare alla meta, significava farsi
guidare da questi principi e valori e, nel concreto, saper incontrare il passato e il presente
per porre le basi di un sapere futuro più costruttivo. Ritornare in modo più consapevole
alla purezza del canto gregoriano e ai suoi elementi fondamentali per attingere e
migliorare i punti deboli individuati, rendendo nuovamente la musica un sapere e non una
mera pratica. La difficoltà stava nell’individuare una giusta posizione tra la visione
tradizionale – e quindi l’eliminazione di ogni tipo di operismo e/o bandismo dalla musica
liturgica – e la nuova cultura laica della musica; tale esigenza sorge in un momento di

- 22 -
forte contrasto tra lo Stato e la Chiesa in cui anche il sentimento religioso è fortemente in
crisi (dom Amelli, nondimeno, sostiene la posizione dei conciliatoristi, fautori di
quell’accordo tra Stato e Chiesa raggiunto nel 1929 con i Patti lateranensi). Quindi,
individuare la giusta posizione significava rivedere il passato non nei termini di un passato
assoluto, altrimenti si sarebbe finiti col scimmiottarne una brutta copia, quanto piuttosto
farlo diventare un riferimento, uno strumento per apprendere e conoscere, usando gli
elementi retrospettivi per creare una nuova musica. Avere davanti a sé ciò che quella
stessa musica passata aveva significato nel proprio tempo; si trattasse del canto
gregoriano, come pure di Palestrina o del rivoluzionario Filippo Neri (fondatore
dell’Oratorio), occorreva riscoprire in via attuale lo spirito di quel tempo di cui essi erano
stati figli. Una riforma della musica sacra non poteva sussistere senza una rivisitazione
della musica liturgica,15 avvolta nell’antichismo a cui guardava certa estetica romantica,
avendo nel canto corale uno tra i fattori più emblematici, dal momento che

il canto non è espressione dei sentimenti individuali, ma glorificazione collettiva della


divinità. Così Herder pensa che in chiesa ogni forma di composizione vocale (aria, duetto,
trio ecc.), in cui il singolo artista, poeta, compositore o interprete che sia, cerchi di
affermare la propria personalità, suoni come un atto di presunzione nei confronti della
divinità e risulti perciò inadeguata. La sacralità dell’atmosfera religiosa non può essere
contaminata, per questo Herder si dichiara assolutamente contrario tanto alla
‘soggettivizzazione’ quanto alla ‘teatralizzazione’ della musica liturgica. La musica sacra
è l’unica che può condurre l’ascoltatore al godimento elevato.16

Ciò su cui tutti gli esponenti del movimento ceciliano concordano è il fatto che la
musica liturgica si debba posizionare a favore delle tradizioni del passato, mettendo così
in discussione la presenza dell’orchestra, l’esaltazione delle capacità canore delle singole
voci, gli organisti che suonano le proprie opere nelle sacre funzioni. In questa riforma era
necessario puntare sull’educazione e sulla formazione dei nuovi cantori, su un
cambiamento di atteggiamento anche dei maestri e degli studenti. Accanto all’ambito

15
La musica, che oltre ad avere una tematica sacra (dal latino sacer, invocare la divinità, elevato, e quindi
un tema religioso) ha anche una funzione specifica all’interno dei riti, nel nostro caso quello cattolico. La
musica liturgica, oltre a dover avere una tematica religiosa e quindi essere sacra, deve anche contenere una
serie di requisiti tali da poter svolgere un proprio ruolo all’interno di una funzione religiosa, com’è ad
esempio per il Gloria, il Sanctus o il Pater Noster.
16
Johann Gottfrie Herder (1744-1803), filosofo tedesco, citato in Galesi D., La riforma della musica sacra
a fine Ottocento. Dispute e controversie bolognesi, Libreria Musicale Italiana, Lucca, 2017, p. 8.

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dell’istruzione, un altro compito irrinunciabile era promuovere un’adeguata piattaforma
editoriale e di divulgazione stampata. Un ultimo elemento che sembrava a sua volta
importante era di provvedere in qualche modo, a livello istituzionale e diocesano, alle
indicazioni su cui istruire i maestri compositori; questo per inseguire l’auspicio di
un’estetica ceciliana, tra didattica e produzione, non lontana dagli stilemi del Requiem
verdiano e senza sottovalutare la scuola romana di Palestrina.
A dimostrazione di quanto appena detto, vi erano, già all’epoca, alcune scholae
cantorum che si erano dimostrate capaci di eseguire in maniera corretta il canto
gregoriano, come la schola dei cantori di Roma, in grado di influenzare la rinascita di
quelle emiliane, o il coro di Lucca, i cui cantori, nelle grandi occasioni bolognesi,
venivano spesso chiamati in sostituzione dei pochi elementi presenti nei cori locali.
Le ricerche e gli studi svolti sulla condizione della musica sacra tra la fine
dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, hanno evidenziato elementi che
demarcarono differenziazioni rispetto alla condizione corale passata, sia nel bene che nel
male. Per quello che riguarda il mio lavoro di tesi, ne ho voluti sottolineare due: la
conoscenza della lingua latina, come elemento distintivo, e la pigrizia, unita al
dilettantismo, quale elemento comune:
− lo studio e la conoscenza della lingua latina presenta un fattore distintivo
perché la mancanza di tale elemento ha evidenziato due aspetti importanti:
uno più scolastico e formativo e l’altro più linguistico-culturale e di
sensibilità musicale. La mancata conoscenza della lingua latina non era e
non è giustificata nel percorso degli studi musicali, anche semplicemente
considerando il fatto che durante l’esame di composizione i futuri
musicisti e maestri di musica ricevono un testo scritto in latino da musicare
(come ad esempio l’Oratorio) e del quale non comprendono il significato.
Come è possibile musicare una cosa di cui non si conosce il senso? È un
chiaro segno dell’impossibilità di padroneggiare una materia, di poter
sentire l’essenza della musica sacra e di ottenere un risultato finale
soddisfacente. Questa tendenza faceva capolino in maniera concreta nei
diversi concorsi di musica sacra organizzati tra la fine dell’Ottocento e
l’inizio del Novecento a Bologna, nel tentativo di divulgare e promuovere
la musica sacra entro l’attuazione della riforma ceciliana. Nelle scholae
cantorum degne di tal nome la pratica religiosa e la conoscenza della
lingua latina facevano per così dire la differenza, anche nella fase

- 24 -
esecutiva. Il problema della lingua latina non era però tipico solo degli
ambienti musicali, anzi, era molto diffuso anche nell’istruzione generale,
dove il latino era valutato dai giovani come lingua vuota e soporifera.
Consultando le stesse leggi scolastiche, si può notare che la lingua latina
come disciplina autonoma verrà abolita definitivamente dai piani di studi
non molto recentemente, parliamo del 1978.
− la pigrizia e dilettantismo sono stati valutati invece come elemento
comune, in primis nei maestri di musica, poi anche nei nuovi musicisti
usciti dalle loro scuole o classi. Una pigrizia nel rinnovare la propria
preparazione, compresa l’offerta didattica; ci si rifugia così nelle routine e
meccanismi da mestieranti, piuttosto che ampliare gli orizzonti e trattare
argomenti complessi rispetto ai quali era sì richiesto un maggiore sacrificio
e studio da parte degli studenti, a garanzia però di un apprendimento più
profondo e attivo.

È proprio sulla questione dell’atteggiamento da parte degli insegnanti e delle


conseguenze del loro modus operandi che avvertiamo la preoccupazione di non
disperdere presso i cantori uno status etico-professionale del coro. A tal proposito, il
maestro Luigi Tronchi, musicologo e tra i maggiori esponenti del movimento ceciliano
bolognese (presidente dell’Accademia Filarmonica di Bologna nel momento
dell’attuazione della riforma nell’anno 1903), pronunciava seguenti parole:

Ma i maestri – compresi i direttori di società corali, conservatori, Scuole, ecc., sono in


generale troppo pigri e non richiedono ai loro allievi tutto ciò che veramente essi potrebbero
dare e produrre, ché ciò apporterebbe con sé troppa fatica e troppo disturbo. Invece si
contentano di immagazzinare, inculcare nelle menti o meglio negli orecchi dei poveri
allievi una quantità di pezzi, di arie, di canzoni, intiere parti di opere, oratori, ecc.
impedendo in tal modo – non sappiamo se talvolta con intenzione – ogni progresso verso
l’educazione riflessiva e indipendente. D’altra parte gli allievi – compresivi cantanti solisti,
coristi, ecc. – dovrebbero ben scolpirsi nella memoria che l’educazione vocale non è né un
passatempo né un giuoco qualsiasi, come purtroppo viene sempre riguardata, bensì uno
studio, un lavoro nobile e serio, più difficile forse della stessa sintassi latina; e non

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dimenticare che la musica in generale e l’arte vocale in particolare sono, tanto fisicamente
che moralmente, di un valore salutare immenso, preponderante.17

Per ciò che riguarda l’insegnamento e lo studio della musica sacra, secondo quanto
appena citato, non era possibile prescindere né dall’atteggiamento dei maestri e direttori,
né dai programmi didattici. Si consideri che a quell’epoca si disponeva di una letteratura
didattica corale molto vasta, come neppure oggi potremmo avere. Una letteratura che però
non veniva sfruttata nel suo ricco alfabeto estetico-pedagogico, perché si preferivano
usare manuali già ben definiti e strutturati dal punto di vista didattico, secondo una
pedagogia rigorosa (con annesse le eventuali eccezioni) e con tutte le soluzioni,
commenti, esemplificazioni già disposti. Si toglievano ogni spazio e spinta alla
sperimentazione, indebolendo l’assetto del vero laboratorio, della vera pratica, da
intendersi come pratica che è sapere, un sapere che è diventato la storia della musica, che
si è sviluppato dalle sperimentazioni dei maestri e dei cantori a partire dalle scholae
cantorum medioevali.
Proseguendo lungo i principi e le finalità della riforma ceciliana, dalla pigrizia
dell’educazione vocale si arriva anche alla pigrizia nell’ambito dello studio dell’organo,
che tende così a compromettere anche lo studio vocale e corale. Come prima, anche in tal
caso il soccorso proveniva da una ridda di manuali, soprattutto quelli italiani, che nella
loro struttura permettevano poca sperimentazione, contenevano pochi esercizi sulle
modalità ecclesiastiche e sulle specifiche armonizzazioni salmodiche, non dando molto
spazio all’educazione del tono gregoriano nel passaggio coro / strumento. Anche qui, tutta
questa teoria già preconfezionata evidenziava la mancanza di fiducia nella preparazione
degli studenti a tal punto da ripetere ciò che avrebbero dovuto già ben sapere, impedendo
così loro di imparare altro. Un esempio in questo senso è lo studio del contrappunto,18
una delle tecniche fondamentali del canto gregoriano e centrale nella nascita della futura
polifonia, ritenuto dai maestri di questi tempi una tecnica troppo antica e inutile, facendo

17
Tronchi Luigi, come citato da Casadei Turroni Monti, M. (2008). Cenni sulla condizione delle scholae
cantorum italiane nel primo Novecento, con riferimento ai giorni nostri. In A. Coppi (a cura di) Remus:
Reggio Emilia Musica Università Scuola Studi e Ricerche sulla Formazione Musicale. Atti e
Documentazione del III e IV Convegno-Concerto Anni 2006-2007, sezione I, Studi e Ricerche, 2008, p.
153.
18
In musica, arte di combinare con una data melodia (detta canto dato) una o più melodie contemporanee,
vocali o strumentali, più o meno autonome (che si dicono anch’esse contrappunti rispetto al canto dato); il
contrappunto è doppio quando le melodie combinate sono tali da consentire l’inversione della loro
posizione reciproca (così che, per es., quella del tenore possa trasferirsi al soprano, e viceversa): cfr.
https://www.treccani.it/enciclopedia/tag/contrappunto/.

- 26 -
venire meno una delle forze maggiori dei grandi maestri, che era l’approssimazione per
errori nell’esercizio compositivo. Tutto questo aveva quale conseguenza la centralità
della melodia (come nel canto gregoriano originale), intorno alla quale venivano
organizzati i vari accordi, e non il contrario, mentre oggi la procedura è un insieme di
accordi che creano la melodia. I protagonisti della riforma ceciliana porteranno in
evidenza la mancanza di conoscenza della pratica contrappuntistica, una mancanza che
avveniva nei luoghi formativi e istituzionali, come i conservatori. La mancanza della
pratica e della conoscenza contrappuntistica si manifestava sia nella scrittura delle opere
musicali che nell’esecuzione, perché era alla base della familiarità con l’arte polifonica.
Un fare che di generazione in generazione ha accomunato i compositori e direttori corali,
i quali, nel tentativo di aumentare la produzione musicale sacra, hanno prodotto lavori di
livello e stile compositivo scolastico, dove per scolastico intendiamo pesante,
convenzionale, di scarsa qualità e originalità. Per lungo tempo questi limiti hanno pesato
sulla promozione e sul rinnovamento del repertorio liturgico, fatto dimostrato nelle
modeste proposte dei nuovi musicisti e compositori impegnati nei concorsi allora indetti
nell’ambito della riforma ceciliana.
Infine, l’elemento editoriale. Sottolineato dal presidente dell’associazione come
importante, questa risorsa doveva servire per creare una maggiore divulgazione della
musica sacra, anche con piani di offerte per l’abbonamento alle riviste, con la pubblicità
dei vari concorsi e con tutte le modalità più moderne e smaliziate in grado di sensibilizzare
un pubblico il più esteso possibile. In tal senso, un passo importante è stato determinato
dalla nascita della “Rivista Musicale Italiana” per opera di Luigi Tronchi (di cui
parleremo più avanti) e pubblicata a Torino da Giuseppe Bocca. La rivista aveva accolto
diversi ambiti musicali, tra cui la musica sacra medievale, ma pure quella strumentale del
XVIII secolo, trattando sia i problemi di legislazione che quelli estetici, e divenne un
importante vetrina musicale in quanto voce di dialogo nel caleidoscopio musicale, per
contenuti e ricerche distribuiti tra le molteplici competenze musicali tra ricerca ed
esecuzione. Successivamente, così come in Germania, anche in Italia venne costituita
un’associazione italiana dei musicologi, con il compito di rinnovare le condizioni del
patrimonio musicale italiano, del tutto lontano da coinvolgimenti sul versante
dell’istruzione musicale.
I principi a cui si ispirava la riforma ceciliana erano il sentiero verso una
ispirazione filosofica cristiana che passasse anche attraverso il miglioramento delle
condizioni identitarie e operative delle scholae cantorum: rappresentare gli alti valori

- 27 -
della bellezza estetica in quanto canale per una migliore crescita morale e intellettuale
della collettività. Un ambiente musicale corale educativo e formativo non come un
insegnamento passivo da parte degli studenti, non un volerli riempire passivamente, ma
come un Learning to Learn – imparare ad imparare secondo un attivismo anticipatore
della pedagogia musicale attuale –, come un’acquisizione delle competenze, quindi
conoscenze e abilità, capaci di rappresentare la bellezza estetica non imitando il passato,
ma creando, grazie ad esso, una nuova storia, figlia del proprio tempo.
La riforma ceciliana ha creato il legame tra il passato e il presente puntando
sull’educazione e sulla formazione dei giovani (musicisti), da sempre veicolo verso il
grande pubblico e verso la modernità; incontrare la modernità senza il pregiudizio verso
l’antico, perché rifiutarlo avrebbe corrisposto a non averlo ritenuto capace di ciò che
invece ha realizzato e portato avanti per secoli.

1.3 Il movimento ceciliano bolognese

Bologna, insieme a Milano, Roma e Firenze, ha ospitato iniziative di rilievo


irrinunciabile entro i traguardi del movimento ceciliano. La scena musicale bolognese,
sia che parliamo di istituzioni pubbliche o private, religiose o laiche, era caratterizzata
dalla presenza di tre principali istituzioni: l’Antica Accademia Filarmonica19 (il cui

19
L’Accademia Filarmonica di Bologna venne fondata nel 1666 dal nobile Vincenzo Maria Carrati, con
sede nel palazzo di famiglia, attualmente via Guerrazzi 13. Lo scopo fu quello di radunare musicisti
professionisti nel nome della “musica nella condivisione”; il motto voleva sottolineare il fatto che tutte le
attività erano realizzate grazie a preziose sinergie tra diverse realtà musicali, culturali e formative del
territorio. Nel corso della sua storia, l’Accademia rappresentò sempre un punto di riferimento nella vita
culturale bolognese fino a divenire, nella seconda metà del Settecento, una delle istituzioni più alte della
cultura musicale europea. Guidata da Padre Martini e grazie al suo apporto, la fama dell’Accademia si
allargò ben oltre i confini cittadini e nazionali e il numero di aspiranti al grado di "Maestro compositore",
titolo che l’istituzione bolognese poteva rilasciare al pari della romana Accademia di Santa Cecilia, crebbe
notevolmente. Dopo l’Unità d’Italia, l’Accademia ottenne l’approvazione degli attuali statuti come Regia
Accademia Filarmonica (6 novembre 1880) e accentuò i suoi caratteri di sodalizio onorifico aggregando
artisti di chiara fama del mondo musicale internazionale. L’Accademia, oggi, ha in attivo un’ampia serie di
iniziative culturali di vasta portata, prima fra tutte l’Orchestra Mozart. Alla tradizionale offerta concertistica
si sono coniugate attività di alta formazione professionale destinate a giovani musicisti, fra cui l’Accademia
dell’Orchestra Mozart per giovani strumentisti d’orchestra, la scuola di perfezionamento in composizione
e quella in metodologia della ricerca per l’educazione musicale. Proprio nell’ambito dell’educazione,
l’Accademia Filarmonica ha avviato da qualche tempo progetti mirati alla divulgazione della cultura
musicale, in particolare nelle scuole, che vedono annualmente il coinvolgimento di più di millecinquecento
ragazzi. L’Accademia rivolge inoltre molta attenzione all’ambito della ricerca, con diversi convegni e
giornate di studio organizzati ogni anno, e alla valorizzazione e recupero del proprio inestimabile
patrimonio archivistico e librario, custodito nell'Archivio storico e nella Biblioteca dell’Accademia, che
comprendono anche un’ampia sezione espositiva, con strumenti antichi e cimeli appartenuti a grandi
musicisti del passato. Infine, continua la tradizione di commissionare nuove opere a grandi compositori

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compito era anche di allestire la festa liturgica di Sant’Antonio da Padova), il Liceo
Musicale (futuro Conservatorio “Giovan Battista Martini”)20 e la Diocesi bolognese.21
Alle varie proposte musicali che queste istituzioni avevano in attivo, negli anni della
riforma ne sono state create delle nuove. In un primo momento, si trattò di iniziative
individuali intraprese da alcuni maestri bolognesi e sostenitori della riforma; poi, in un
secondo momento, si ebbe a che fare con iniziative collettive, frutto di valide
collaborazioni fra alcuni membri di queste tre istituzioni (soprattutto coloro che
appartenevano all’Accademia Filarmonica e al Liceo Musicale). Allo stesso tempo, anche

della scena internazionale: cfr. il sito ufficiale dell’Accademia Filarmonica


http://www.accademiafilarmonica.it/index.php?page=accademia-filarmonica.
20
Nel 1802 la Municipalità di Bologna ideò il progetto di un Liceo Musicale cittadino, da collocare nel
convento di S. Giacomo affiancato alla chiesa omonima: la nuova scuola doveva insegnare composizione,
pianoforte, canto, violino e viola, violoncello e contrabbasso, oboe e corno inglese; nei locali di sette aule
per tre giorni alla settimana dalle nove di mattina all’una di pomeriggio. Fu così che lunedì 3 dicembre
1804 si aprì il fiammante Liceo Filarmonico di Bologna, il nucleo primo del futuro Conservatorio
"Giambattista Martini". Nel 1839 una commissione speciale stabilì un nuovo regolamento: 12 le materie,
non più di 90 gli iscritti (e preferibilmente bolognesi), un certo obbligo agli insegnanti di stabilirsi e starsene
in città, e assoluto bisogno di un "consulente perpetuo onorario". Fu Gioachino Rossini, il più grande
operista italiano dell’epoca che a Bologna era tornato a vivere da qualche anno dopo aver smesso di
comporre per le scene. A cavallo fra Otto e Novecento, ecco poi tre direttori che erano pure validi
compositori e artisti anche altrimenti attivi in città: prima Luigi Mancinelli (1881-86), poi Giuseppe
Martucci (1886-1902), quindi Marco Enrico Bossi (1902-11). Mancinelli alzò il numero delle materie a 19
(anche con storia e analisi musicale), istituì la classe di arpa, stese un nuovo regolamento; Martucci offrì
agli allievi di canto l’opportunità dell’arte scenica, a tutto l’istituto un orientamento sinfonico-wagneriano
che era in linea con la fama di Bologna, alla sua carica e persona un energico aumento di stipendio (da 5000
a 8000 lire); Bossi fece pagare meglio tutti gli insegnanti, alla classe di contrappunto chiamò Luigi Torchi
e a quella di musicologia il bibliotecario Francesco Vatielli, e nel 1908 ritenne che ormai fosse il caso di
emanare un nuovo regolamento. Nemmeno in seguito mancarono al Liceo musicale di Bologna buoni nomi
di direttori. Cesare Nordio, direttore dal 1925 al 1945 firmò due nuovi regolamenti, uno subito e uno più
tardi sulla falsariga di quelli dei Regi Conservatori italiani: così il pianoforte complementare spettò a tutti
gli allievi di strumento, il quartetto d’archi divenne una classe specifica e la cultura musicale generale una
nuova materia, la direzione d’orchestra assurse al rango di una classe vera e propria (peraltro la prima in
Italia); poi che l’aula d’organo prese il nome di Respighi, la grande sala dei concerti quello di Bossi, tutto
l’istituto quello di Padre Martini; e infine che il Liceo comunale diventò Conservatorio statale esattamente
come gli istituti di Milano, Napoli, Parma e Palermo. In linea con questi, dal 1945 a oggi il Conservatorio
"Giambattista Martini" si è allargato a più materie e a sempre più allievi e insegnanti: cfr. il sito ufficiale
del Conservatorio di musica “Giovan Battista Martini” http://www.consbo.it/conservatorio.
21
La storia della Diocesi di Bologna è una storia che ha inizi già nel IV secolo d. C. La Chiesa bolognese
si riprese dagli sconvolgimenti del periodo napoleonico con l’arrivo del cardinale Carlo Oppizzoni (1769-
1855), che riorganizzò la diocesi, restaurò la Cattedrale e l’arcivescovado, ripristinò la celebrazione delle
Decennali Eucaristiche e favorì la rinascita delle comunità religiose e delle istituzioni di beneficenza. Con
la cessazione del governo pontificio, il 12 giugno 1859, la città entrò a far parte del Regno sabaudo. Iniziò
allora un periodo lungo e difficile di rapporti con le autorità civili: tra l’altro la sede episcopale fu interdetta
agli arcivescovi, che fino al 1882 dovettero risiedere in Seminario. Tuttavia, nonostante attraversasse un
momento difficile, la Chiesa bolognese continuò a dare segni di grande vitalità: comparvero figure di
sacerdoti, quali mons. Giuseppe Bedetti, don Giuseppe Gualandi e don Cesare Gualandi; rifiorirono opere
di assistenza; nacquero nuove congregazioni. Per rispondere adeguatamente al preoccupante dilagare del
laicismo e dell’anticlericalismo, nacque a Bologna, ad opera di Giovanni Acquaderni, La Società della
Gioventù Cattolica Italiana, nucleo iniziale dell’Azione Cattolica Italiana. Nel tentativo di trovare una
giusta collocazione ai cattolici nel nuovo quadro politico italiano, si inserisce l’opera del cardinale
Domenico Svampa (1851-1907). La nota riporta solo alcune informazioni utili al fine del mio lavoro, tutte
le ulteriori informazioni sono tratte e presenti sul sito ufficiale della Diocesi bolognese:
https://www.chiesadibologna.it/la-storia-dellarcidiocesi-bolognese/.

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la presenza di alcuni maestri e rappresentati della Chiesa cattolica è stata fondamentale e,
in alcuni casi, decisiva al fine di una risposta concreta per il miglioramento della pratica
corale e dell’educazione e formazione dei giovani musicisti, compositori o futuri uomini
di Chiesa. Nonostante queste importanti presenze istituzionali, la riforma ceciliana a
Bologna ha incontrato uno sviluppo più lento e tormentato rispetto ad altri centri musicali
(Milano, Roma, Firenze). Ciò fu dovuto sia alla condizione stessa della musica sacra
bolognese, una situazione potremmo dire stagnante, sia per le condizioni politiche e
sociali, caratterizzate da forti contrasti tra cattolici intransigenti, sostenitori delle idee
liberali, anticlericali e anarchici. Questi contrasti furono così esplosivi da costringere tra
gli anni 1874 e 1876 all’annullamento di non pochi Congressi Cattolici, a causa di rivolte.
Per semplicità e una maggiore chiarezza circa la situazione bolognese, mi sono
avventurata nel complicato esercizio di incrociare i vari fattori che la riguardano: le
istituzioni, i personaggi più importanti e le varie fasi della riforma distribuita in un periodo
più ampio, quello tra il 1861 e il 1907, l’anno in cui il movimento ceciliano bolognese
toccò il suo pieno sviluppo, sotto il governo del valentissimo cardinal Svampa, scomparso
in quello stesso 1907.
Le prime fasi della riforma ceciliana hanno riguardato iniziative prevalentemente
individuali da parte di alcuni membri dell’Accademia Filarmonica, visto che tale ente
quasi non aveva aderito inizialmente alla riforma. A farsi avanti erano stati i maestri
Gaetano Gaspari e Alfonso Rubbiani (membri del Comitato del Movimento Cattolico,
concretizzatosi nell’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici, 1874-1904) e il maestro
Stefano Golinelli. Erano anche coloro che avevano tessuto le relazioni con la sede centrale
di Milano e con il Presidente dell’AISC dom Guerrino Amelli. Il Maestro Stefano
Golinelli, attraverso il concorso organizzato nel 1878, aveva portato le linee nazionali sul
territorio bolognese. Questo avrebbe permesso di mettere in moto una grande macchina
e smuovere diverse questioni: organizzative (premi, sostenitori, partecipanti),
collaborazioni tra i vari centri musicali impegnati nel movimento ceciliano (a Bologna
diversi rappresentanti toscani erano stati chiamati per la valutazione dei lavori
concorsuali) e anche editoriali: la necessità di maggiori investimenti in fatto di pubblicità
e promozione delle iniziative di musica sacra, operazioni, diremmo oggi, di marketing
circa la divulgazione della rivista “Musica sacra”22 e anche l’aumento del prezzo.

22
Rivista liturgica musicale per la restaurazione della musica sacra in Italia, con sede a Milano,
specializzata nel repertorio organistico. Ha visto pubblicato il primo numero il 15 maggio 1877 e stampata
per quasi un secolo, in tre serie: a.1 (1877)-a. 69 (1942); 2. ser., a. 1 (1956)-a. 12 (1967); 3. ser., a. 1 (1968)-

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L’Accademia Filarmonica aveva l’importantissimo compito di allestire le
funzioni sacre in onore di Sant’Antonio da Padova, Questo evento diventava di volta in
volta la vetrina per i compositori, musicisti e cantori. In tale occasione era possibile farsi
l’idea e avere il quadro della condizione della musica sacra bolognese: la presenza di un
modesto numero di cantori, per lo più impreparati e poco dotati, dove spesso venivano
messe in risalto le voci singole a discapito del coro; la presenza di una grande orchestra
posizionata di fronte ai fedeli e la concezione concertistica della musica sacra liturgica,
piuttosto che sensazioni di calma, tranquillità, pace, ordine, regolarità; la presenza di
organisti che prestavano le loro composizioni per le sacre liturgie.
La condizione della musica sacra bolognese di questo periodo era ben lontana
dall’epoca del Settecento, il periodo d’oro della musica sacra bolognese con la scuola di
Padre Martini.23 Secondo Piero Mioli (attualmente membro dell’Accademia Filarmonica)
il motivo era da attribuirsi all’idea, sempre più inarrestabile, che le regole del passato,
quelle originali del canto gregoriano, erano ormai superate, e anche ad alcune convinzioni
e atteggiamenti quali:
• l’ignoranza dei parroci e degli organisti, i quali, non praticando la musica
teatrale, non erano in grado di riconoscere i motivi tipici di tale musica e
riconoscerne la presenza all’interno della musica liturgica;
• l’ignoranza dei maestri compositori in fatto di conoscenza
contrappuntistica, così come della lingua latina;
• la condotta della stampa cattolica che lasciava spazio ad alcuni
compositori e musicisti della musica sacra che tali non potevano essere
definiti.

Alla luce di questa situazione, venne proposta come soluzione l’introduzione nei
seminari dello studio obbligatorio del canto fermo (canto gregoriano) e canto figurato
(contrappunto), cosa che di fatto si sarebbe attuata solo con l’arrivo di Pio X (Motu
Proprio del 1903).
In una seconda fase, quando ormai la situazione era già ben definita, le iniziative
furono soprattutto collettive. Dopo il concorso organizzato dal maestro Stefano Golinelli

a. 3 (1970) – Milano, Tipografia di S. Giuseppe, 1877-1970. Prima serie mensile; seconda serie bimestrale;
terza serie trimestrale. Primo direttore e fondatore: Guerrino Amelli. […]. Chiude definitivamente nel 1970:
cfr. http://www.librinlinea.it/titolo/musica-sacra-rivista-liturgica-musical/MUS0057393#altre_info.
23
Giovanni Battista Martini O.F.M. Conv. (Bologna, 24 aprile 1706 – Bologna, 3 agosto 1784) è stato un
francescano, compositore, teorico della musica ed erudito italiano.

- 31 -
(il sui esito aveva confermato quanto precedentemente elencato), l’Accademia
Filarmonica decise di organizzarne altri due, sotto la guida del neoeletto presidente
Federico Parisini (1880-1891). Parisini fu fondamentale sia per il risollevamento
dell’istituzione e per il suo riconoscimento, da parte del Ministero della Pubblica
Istruzione, a rilasciare titoli accademici validi e legalmente riconosciuti (esclusiva in quel
tempo solo del Liceo Musicale), sia per la sua collaborazione con altre istituzioni. Infatti,
in quelle stesse ore Parisini venne nominato Maestro di cappella della Chiesa
Metropolitana di Bologna (o archidiocesi di Bologna), incarico che gli permise una stretta
collaborazione con il cardinal Battaglini, culminata nella creazione della scuola gratuita
di canto gregoriano (1886-1893) guidata da lui stesso.
I due concorsi indetti dall’Accademia Filarmonica avevano rappresentato
un’occasione per fare il punto sulla condizione della musica sacra bolognese e anche per
riuscire ad attirare una maggiore attenzione sulla musica sacra. Un passo importante in
questo senso lo aveva fatto anche il Liceo Musicale bolognese, istituendo La Scuola di
Musica (e i suoi esperimenti musicali) guidata da Raffaele Santoli, potendosi annoverare
anche l’inaugurazione della Scuola di Musica bolognese (1877-1881) a cura di don Ulisse
Parisini e La scuola gratuita di canto gregoriano (1886-1893, chiusa anzitempo per la
poca cura da parte del clero), frutto nobile della collaborazione tra il cardinal Battaglini e
Federico Parisini. Si trattò di un momento importante, poiché le esperienze individuali da
una parte e quelle collettive dall’altra iniziavano a dare vita ad una partecipazione più
sistematica.
La Scuola di Musica (con i suoi esperimenti musicali) è stata un importante
sostegno nella formazione del pubblico al gusto estetico ceciliano. Il canto gregoriano era
un insegnamento già presente nel Liceo Musicale e aveva come fine quello di formare
alunni e alunne alla partecipazione alle feste dell’Oratorio dell’Istituto stesso (questo
perché il nucleo originale del liceo era l’Oratorio di San Giacomo, giustificando nel
curricolo scolastico la presenza di un insegnamento della musica sacra). Con la
laicizzazione delle scuole comunali e l’abolizione delle funzioni religiose nelle scuole
comunali, l’insegnamento del canto figurato e fermo poteva anche essere sopravvissuto,
ma con differenti finalità, metodo e programma. L’ipotesi è quella di far apprendere agli
alunni solo inni e cantate, alternandoli con lezioni sulle fondamentali teorie della musica
(col sistema in note o cifre). Infatti, lo stesso Federico Parisini, didatta e pedagogo, ha
elaborato un metodo di insegnamento di musica ai giovanotti non musicisti basato sul
sistema delle cifre. La classe di canto fu affidata al maestro Raffaele Santoli, considerato

- 32 -
un compositore ceciliano capace di far incontrare l’antico e il moderno senza il rischio di
elementi teatrali, tanto che le sue composizioni erano considerate di indiscusso valore.
Egli stesso, in occasione dell’incarico, fece una riflessione e constatazione della
condizione della musica corale bolognese, lamentandone il degrado e ponendosi anche
delle domande circa le motivazioni: “mancanza di belle voci”, “deficienza di buoni
insegnanti”, “sistemi e metodi non rispondenti? Come porvi rimedio?”. Anche in questo
contesto, così come nei luoghi sacri, venne fuori in maniera evidente che la maggior
responsabilità e, allo stesso tempo, il miglior contributo al risollevamento delle condizioni
del canto corale, si poteva ottenere grazie a una buona formazione nelle scuole/classi di
canto corale, comprendendo anche l’ascolto e le interpretazioni degli antichi capolavori.
Il liceo musicale decise di incentivare la partecipazione della cittadinanza adottando una
strategia scolastica in termini di premi agli alunni più meritevoli per lo studio, capacità e
diligenza, istituendo poi una Società di Canto Corale i cui aderenti avevano una certa
precedenza a prestare il proprio operato nei teatri comunali. Da un punto di vista
organizzativo, le lezioni erano serali e quotidiane, per gli uomini si parlava di tre ore di
lezione mentre per le donne (che erano sempre poche) vennero fissare a due ore. I
partecipanti non effettuavano un’istanza scritta, ma venivano ammessi al termine della
valutazione e la presenza veniva presa ad ogni lezione. Il premio toccava a coloro che
erano più diligenti e capaci. I partecipanti erano prevalentemente uomini e la scuola di
canto corale del Liceo Musicale di Bologna aveva avuto una grande risonanza anche fuori
Bologna.24
Per quanto riguarda la Scuola musicale bolognese (1877-1881), la dobbiamo
considerare un’iniziativa personale del maestro don Ulisse Parisini, il fratello di Federico
Parisini, che voleva sopperire alla mancanza di buoni e istruiti cantori nelle sacre funzioni,
cantori che sarebbero stati in grado di eseguire in maniera corretta le varie opere
liturgiche. La scuola è gratuito ed egli invita tutti, soprattutto i giovani. La scuola di don
Ulisse Parisini non apparteneva direttamente al movimento ceciliano, però portò avanti e
ne condivise l’idea della necessità di diffusione della conoscenza musicale al fine di
rendere anche il pubblico più consapevole e di alfabetizzarlo musicalmente. Rispondeva
a quell’esigenza di educare la popolazione, ritenendo a tal fine che la miglior strategia
fosse quella di aprire nuove scuole ed estendere l’insegnamento di canto in ogni ambito
educativo pubblico e privato.

24
Sia riguardo a questo contesto come per le altre occorrenze corali bolognesi, è molto utile sfogliare
Scattolin P. P., “Euridice”. Cento anni di coralità a Bologna, Tamari, Bologna, 1982, passim.

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All’interno della scuola vi erano anche altre classi di insegnamento oltre al canto,
a cui tutti potevano prendere parte: contrappunto e composizione (organo), pianoforte,
harmonium, armonia, solfeggio e elementi musicali. Tutto questo non avrebbe che
migliorato il livello d’istruzione e preparazione degli alunni e delle alunne. I giovani
cantori della Scuola Musicale bolognese presentavano buone disposizioni e buona
istruzione, data anche la presenza di eccellenti professori, e le poche critiche che aveva
ricevuto erano tuttalpiù legate ad aspetti che richiedevano tempo ed esercizio. La scuola
di canto di don Ulisse Parisini iniziò poco per volta a seguire una programmazione simile
a quella del Liceo Musicale; rappresentava quasi una scuola privata riconosciuta, aperta
a tutti gli amanti della musica e permetteva, a coloro che fossero più preparati, di fare
richiesta d’ammissione allo stesso Liceo Musicale.
L’esperienza musicale di questa scuola ha messo in evidenza, ancora una volta,
l’importanza di un elemento simbolico qual è quello delle ‘voci educate’, che risultava
ancora molto poco considerato nell’ambito della musica sacra bolognese. La musica
religiosa (intendiamo in questo caso quella sacro-liturgica) e le parti vocali coinvolte
erano ben diverse da quelle teatrali, che avevano un’impostazione e formazione diversa,
eppure il ricorso ai cantanti operistici e teatrali per eseguire la musica sacro-liturgica era
inevitabile. Le voci educate dei cantori e dei chierici diminuivano sempre di più e ciò
dimostrava la decadenza delle scholae cantorum stesse, causata sia dalle ristrettezze
economiche delle istituzioni religiose, ma anche dai programmi e metodi di studio. È
proprio per questo che la riforma ceciliana aveva puntato sull’educazione delle voci e
anche sull’importanza di una corretta25 esecuzione della musica liturgica. Educare le voci

25
In occasione del Congresso di Arezzo organizzato dalla Generale Associazione di Santa Cecilia e voluta
dal suo Presidente, don Amelli, nel 1882 viene descritta la situazione delle esecuzioni e definita una linea
di azione: “Essendosi constatato non senza dolore che da lungo tempo il canto sacro nelle diverse regioni
di Europa, fatte poche eccezioni, trovasi in stato negletto e deplorevole, causato:
a) dalla divergenza e scorrettezza dei diversi libri di coro che si usano nelle diverse chiese;
b) dalla discrepanza delle moderne opere teoriche e dalla varietà e insufficienza di metodi di insegnamento
nei seminari e negli istituti musicali;
c) dal niun conto che i moderni maestri di musica fanno del canto fermo, di cui anche molti del clero non
si prendono cura debita;
d) della dimenticanza della tradizione sicura per la buona esecuzione del canto fermo, il Congresso approva
i seguenti voti:
1. che i libri di coro abbiano, quindi innanzi, la maggiore conformità possibile coll’antica tradizione:
2. che grandemente si incoraggino gli studi e si diffondano quelle teoriche già pubblicate o da pubblicarsi,
tendenti ad illustrare e ristabilire la tradizione del canto liturgico;
3. che sia accordato nell’educazione del clero un posto conveniente allo studio del canto fermo, richiamando
così in pieno vigore e praticando con maggior cura le prescrizioni canoniche su questo punto;
4. che all’esecuzione del canto fermo a note eguali e martellate sia sostituita la esecuzione ritmica, conforme
ai principi esposti da Guido d’Arezzo nel capitolo XV del suo Micrologo;
5. che a tale effetto ogni metodo di canto sacro contenga i principi della accentuazione latina;

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e abituarle a interpretare bene le opere sacre significava educare il popolo; pertanto, la
stessa educazione del popolo non poteva che passare dalle scuole di canto popolare. Nel
1881 però, Federico Parisini prese la direzione de La Scuola Musicale Bolognese e la unì
al Circolo Artistico,26 facendone così perdere l’idea iniziale di diffondere il canto e di
scolarizzare i nuovi cantanti utilizzabili nelle funzioni accademiche. Il Circolo Artistico
prevedeva inoltre una quota di partecipazione e ciò in qualche modo rappresentava una
forma di selezione dei partecipanti.
Sulla questione dell’educazione vocale dei cantori e chierici e della corretta
esecuzione, che implicava anche i metodi di studio del canto corale, si possono contare
alcune figure importanti, con principale riferimento a don Stefano Gamberini, presente
sullo scenario bolognese. Nel 1880, in occasione del centenario dello Studio bolognese
ed esposizione internazionale di musica (occasione unica per radunare a Bologna i
massimi rappresentanti del movimento ceciliano), emerge infatti la figura di don Stefano
Gamberini, che in questa occasione veniva premiato per il suo Metodo pratico di canto
gregoriano, dedicato ai chierici e altri cantori. Gamberini, lungo tutta la sua esperienza
di insegnante, aveva continuato a raffinare e perfezionare il suo metodo, arrivando a ben
sei edizioni del suo manuale. Altresì, come reporter di alcune riviste dell’epoca, aveva
utilizzato questa sua posizione per promuovere, attraverso i suoi articoli, le idee ceciliane
e diffondere anche le buone pratiche di canto gregoriano attraverso il proprio metodo. Era
una voce nuova e critica nell’ambito della riforma ed era colui che, tra i riformisti, era
riuscito al meglio anche nell’intensificare i rapporti con i rappresentanti nazionali.
Il metodo di Gamberini era indirizzato ai chierici e cantori. Il suo insegnamento
era composto da due parti: una parte teorica, con validi esempi di modi gregoriani, di
sacre melodie, dei canti più frequentemente utilizzati nelle liturgie, e una seconda parte
che riguardava invece i suggerimenti per i cantori stessi, per i maestri di coro e per gli
organisti (accanto al canto gregoriano, nella Bologna di quegli anni era stata promossa
anche una lodabile attività organaria, a cura della ditta Verati di Bologna, nello specifico
di Adriano Verati, benvista dai sostenitori della riforma ceciliana).

6. esprime la viva speranza che la preminenza del canto fermo nel culto divino come proprie della Chiesa,
sia più generalmente riconosciuta e più scrupolosamente osservata dal clero, dai maestri di cappella e dagli
organisti”: cfr. Gallesi, D. La Riforma della musica sacra a fine Ottocento. Dispute e controversie
bolognesi, 2017, p. 69.
26
Il Circolo Artistico è stato fondato a Bologna nel 1879 e diretto da Enrico Panzacchi. Aveva come
obiettivo “l’incremento delle belle Arti associate al divertimento”.

- 35 -
La figura di don Stefano Gamberini era legata a due importanti iniziative attuate
dalla Diocesi di Bologna: la scuola gratuita di canto corale e la Schola cantorum di San
Giuseppe. La prima, come già visto, era nata per volontà del cardinale Battaglini ed era il
frutto della collaborazione con l’Accademia Filarmonica, sanciva un ritorno di
collaborazione fra queste due istituzioni, in ragione anche dalla stima reciproca tra i due
rappresentanti, e rappresentava una prima tappa di questo grande progetto. Il 30 giugno
1886 venne redatto lo statuto della scuola privata e gratuita della musica sacra.27
L’operato della scuola non era rivolto esclusivamente all’educazione vocale, ma aveva
tra gli obiettivi anche la pubblicazione e divulgazione di un repertorio musicale ben
preciso, avendo davanti a sé la duplice prospettiva storica e ceciliana, non fosse altro per
l’estesissimo archivio musicale disponibile. Il progetto della scuola gratuita di canto
corale fu uno dei pochi di questo tipo e ci sarebbero volute altre di queste peculiari scuole;
ce ne avvediamo dalle critiche circa la qualità dell’esecuzione dei suoi cantori, dalla
mancanza di presenza delle voci femminili, sostituite dalle voci bianche, imprecise.
La seconda grande iniziativa della Diocesi di Bologna è stata la Schola cantorum
di San Giuseppe. Negli anni Novanta dell’Ottocento i salesiani di Don Bosco
(contemporaneo della riforma) erano stati una presenza fondamentale su Bologna; hanno
operato alla luce dei contributi dati nell’ottica delle finalità della riforma ceciliana (come
la costituzione delle scuole ceciliane locali), acuendo la loro attività nel momento in cui
a Bologna era giunto il cardinale Domenico Svampa (salesiano e successore del cardinale

27
Statuto della Scuola privata e gratuita di musica Sacra in Bologna:
1. Istituzione e fine della scuola.
2. È istituita in Bologna, sotto il protettorato dell’E.mo Sig. Cardinale Arcivescovo, una Scuola privata di
Musica Sacra, al solo fine di provvedere alle Chiese cantanti e organisti, preparandoli all’esecuzione della
Musica religiosa, in ordine anche alle disposizioni non ha guari emanate dalla S. Congregazione dei Riti.
3. L’istruzione sarà impartita gratuitamente: e per provvedere alle spese necessarie, si farà appello a tutti
coloro che amano il decoro conveniente alle ecclesiastiche funzioni.
4. La Direzione e l’Amministrazione della Scuola rimane affidata alla Società dei 12 Promotori e Istitutori
della Scuola stessa, fra i quali saranno distribuiti gli uffici sì della parte tecnica, che della parte
amministrativa, dietro approvazione dell’E.mo Protettore.
5. Alla naturale mancanza, o in caso di rinuncia di alcuno dei 12 componenti la Società privata promotrice,
i superstiti eleggeranno, a maggioranza di voti, chi debba succedere nel posto dei mancanti; e tale elezione
sarà valida e definitiva quando abbia ottenuto il consenso dell’E.mo Protettore
6. L’insegnamento comprenderà tre corsi: uno per gli Organisti; il secondo pei Cantanti adulti; il terzo per
i Cantanti fanciulli. Per tutti poi sarà impartito un completo insegnamento del Canto Fermo.
Ogni corso sarà diviso in due sezioni, inferiore, cioè, e superiore.
Alla sezione superiore potranno essere ammessi anche coloro che, senza avere frequentato la sezione
inferiore, daranno prova di una sufficiente cultura musicale; il che sarà giudicato esclusivamente dalla
Direzione.
7. Un regolamento interno redatto dalla Direzione (e che rimarrà costantemente affisso nei locali della
Scuola) provvederà al buon andamento delle Lezioni, e alla perfetta conservazione della disciplina.
Tratto da Gallesi, D. La Riforma della musica sacra a fine Ottocento. Dispute e controversie bolognesi,
2017, p. 93.

- 36 -
Battaglini). La collaborazione con i salesiani ha rappresentato un momento fondamentale
per la riforma della musica sacra a Bologna. Nel programma formativo dei giovani
seminaristi era stato introdotto l’insegnamento di canto gregoriano, la cui guida è stata
affidata proprio a Don Stefano Gamberini; al quale era stata affidata anche la guida della
cattedra del canto gregoriano istituita al Liceo Musicale, diretto in quegli anni da Marco
Enrico Bossi, compositore e organista italiano.
Ritornando al metodo d’insegnamento proposto da don Stefano Gamberini è
necessario rimarcare che esso aveva radici nella scuola francese. Nei primi decenni
dell’Ottocento, in Francia, ma successivamente in tutta l’Europa, si era diffuso un nuovo
metodo di apprendimento del canto gregoriano, quello di Ettore Ravegnani (Longiano di
Cesena 1870 – Ferrara 1959), gregorianista e didatta romagnolo. Ettore Ravegnani,
anch’egli esponente della riforma ceciliana di fine Ottocento, si è formato musicalmente
con l’abate benedettino dom Bonifacio M. Krug, vicino alla scuola di Solesmes. Questo
monastero benedettino già citato in questa sede, continuava a dimostrarsi uno dei
maggiori centri della spiritualità benedettina, uno dei più fervidi luoghi sacri in rapporto
alla pratica liturgica fondata sul vero canto tradizionale: la monodia sacra, che non si
identificava solo con un certo stile tecnico, ma che conservava al suo interno anche l’alto
senso spirituale emanato da tale canto.
Il Metodo compilato di canto gregoriano di Ettore Ravegnani28 fu uno degli
strumenti didattici più efficaci nei seminari del Novecento; fu in grado di inserire nel
percorso scolastico quel che si richiedeva anche da un punto di vista spirituale. Il suo
metodo poteva essere definito anche peregrinante, esattamente come quello dei grandi
maestri antichi: Ravegnani viaggiava e si spostava verso le varie scholae cantorum
nazionali in cui veniva invitato a tenere delle lezioni. Si trattava di tappe di pochi giorni,
che servivano a creare nei cantori un interesse, una curiosità, non solo per il metodo di
per sé, ma soprattutto verso il canto gregoriano. L’aspetto esecutivo, secondo Ravegnani,
partiva in primis dalla familiarità con il ritmo tradizionale, con l’andamento ritmico
oratorio, e ciò necessitava dell’intervento di un maestro, di un esperto capace di chiarire
le regole di tale ritmo e di trasferire non solo i contenuti didattico-musicali presenti nei
manuali, ma di servirsi anche di una buona conoscenza, e quindi cultura, perlato già

28
Si legga in proposito Casadei Turroni Monti, M. Fonti della didattica gregoriana nel Cecilianesimo
italiano. Il “Metodo” di Ettore Ravegnani (Solesmes-Graz, 1900-1902), in Fonti della musica sacra: testi
e incisioni discografiche, a cura di L. L. de Nardo e A. Argentini, Lucca, LIM, 2011, pp. 141-166.

- 37 -
sensibile verso la produzione discografica. Durante questi brevi momenti formativi il
metodo prevedeva l’esecuzione da parte dei cantori dei brani meglio conosciuti, che poi
venivano intonati dal Ravegnani stesso, che frase per frase correggeva i punti inesatti e
istruiva gli studenti ad un’esatta e migliore esecuzione, spiegando loro anche quanto non
era presente nei manuali in uso.
Il criterio secondo cui si procedeva era quello ‘dal facile al difficile’. Tale criterio
è stato usato sia da un punto di vista educativo, diremmo scolastico, che da un punto di
vista di sviluppo del metodo; nelle varie edizioni attraverso cui il metodo crebbe,
Ravegnani ha sempre continuato a perfezionare e raffinare il proprio lavoro, ricercando
un costante miglioramento e continuando la propria ricerca. L’obiettivo educativo era
avvicinare gli studenti alla familiarità con elementi originali del canto gregoriano e da un
punto di vista “manualistico, editoriale, scolastico” far crescere anche il contesto esterno,
ampliando l’interesse ad esperti, musicisti, direttori, attraverso elementi nuovi,
modificati, aggiornati.
Il metodo fu presentato in due volumi. Il primo volume ha riguardato la teoria del
canto liturgico partendo dai primi elementi (in questo caso dalla conoscenza dei neumi),
fino al ritmo e alle teorie melismatiche, arricchendo il lettore attraverso una vastissima
conoscenza repertoriale, per brani ed esercizi. In definitiva, quel primo volume si
focalizzò sulla “grammatica neumatica”. Il secondo volume è basato su due pilastri del
canto liturgico tradizionale: l’architettura modale (l’approfondimento degli otto modi
gregoriani) non di facile comprensione, ma necessaria e fondamentale, e la condotta
ritmica (la conoscenza e l’evoluzione del ritmo lungo il repertorio gregoriano, sia che si
parli dei recitativi liturgici, che della salmodia o dell’innodia). Attraversando il
differenziato repertorio a cui accedere nel suo volume, veniva svolta anche una graduale
analisi di ciascun brano, veniva cioè esaminato l’applicazione degli elementi della
grammatica nella vis interpretativa dei vari brani.
L’ultima fase della riforma, quella fondamentale per la situazione bolognese, può
essere collocata a partire dal cambio di gestione dell’Accademia Filarmonica, affidata al
maestro Luigi Torchi dal 1894 al 1909, protagonista di un nuovo concorso musicale a
Bologna e di allestimenti di diverse funzioni liturgiche. Nel 1903, con la nomina e con
l’elezione di Pio X alla guida della chiesa cattolica, la riforma ceciliana ha vissuto il suo
riconoscimento ufficiale. Con la pubblicazione del Motu proprio, Bologna si era attivata
nella pubblicazione dell’Ordinanza di musica sacra da parte del cardinale Svampa e la
conseguente istituzione della Commissione di musica sacra, col compito di vigilare sulle

- 38 -
esecuzioni musicali nelle occasioni liturgiche e di comunicare eventuali novità musicali
sacre alle principali istituzioni musicali. Come detto, non si dimentichi che Bologna
poteva inoltre vantare nel suo patrimonio anche l’importante manuale del metodo teorico-
pratico di canto liturgico gregoriano elaborato da don Stefano Gamberini, arrivato alla
sua sesta edizione e diventato – sulla falsariga di Ravegnani – sempre più agevole e ricco
di esempi, diffusosi in tutti i seminari d’Italia.
L’attuazione della riforma ceciliana si è inevitabilmente incrociata con le
condizioni politiche e sociali a cavallo dei due secoli. Ha intercettato così anche le future
riforme scolastiche, non solo quelle degli istituti musicali, ma anche quelle delle scuole
generiche. Parlare perciò del mondo corale italiano dai primi decenni del Novecento in
poi significa non focalizzarsi solo su quanto accaduto nelle scholae cantorum, ma anche
guardando a ciò che è accaduto nelle altre istituzioni private e pubbliche che si
occupavano dell’attività corale (fossero le società e le scuole corali, o quelle che al proprio
interno avevano l’insegnamento corale – come i conservatori e/o gli istituti musicali
pareggiati –, le piccole scuole di musica nei centri rurali, le scuole) e guardando pure i
protagonisti (direttori di coro, musicisti, cantori, insegnanti, dirigenti), che a vario titolo
hanno portato i contenuti di quella riforma nei vari contesti frequentati e li hanno
influenzati e determinati.

- 39 -
CAPITOLO 2
DALL’EDUCAZIONE MUSICALE ALLA MUSICA

2.1 L’educazione musicale nelle scuole: le riforme scolastiche dall’Unità d’Italia ad


oggi

Le varie riforme e legislazioni scolastiche susseguitesi negli ultimi due secoli, a


partire dall’Unità d’Italia, hanno sempre e inevitabilmente richiamato eventi di altra
natura, storici, politici e socio-culturali, dai quali sono state influenzate. L’Ottocento
chiude un momento critico da tutti questi punti di vista e il Novecento ne apre uno nuovo.
Il passaggio tra i due secoli è una fase di riflessione e ricostruzione culturale, politica ed
economica.
Con la nascita del Regno d’Italia (17 marzo 1861) ci si avviava verso la svolta di
tre importanti questioni che hanno caratterizzato l’intero Ottocento: quella nazionale,
quella politica e quella sociale. Da un punto di vista storico, politico ed economico,
l’Ottocento è stato un secolo di grandi cambiamenti: moti insurrezionali e idee di libertà
e uguaglianza, la fine dei regimi assolutisti, lo sviluppo economico. È il momento della
costruzione della nazione, ancora allo stato primordiale, con una propria lingua, cultura,
storia, riti a cui ha certamente contribuito moltissimo anche la scuola. Su circa ventitré
milioni di abitanti, meno di due milioni parlavano italiano e il settantotto percento degli
abitanti del Regno d’Italia non sapeva né leggere né scrivere.
Da un punto di vista socio-culturale, l’educazione e l’istruzione sono viste come
elementi fondamentali dello sviluppo sociale, la scuola cambierà radicalmente, si aprirà
alla massa e diventerà “l’istituzione chiave della società democratica” come afferma
Franco Cambi.29 I due filoni, educazione e istruzione, saranno oggetto di studi, di riforme,
di legislazioni e di nuovi esperimenti e questo in parte coinvolgerà anche la musica, sia
nella sua forma artistica, sia nella parte didattica e pedagogica. Il filone dell’istruzione si
incrocerà con quello pedagogico è ciò sarà dovuto anche al cambiamento della visione
del fanciullo, visto ora come un soggetto attivo, al centro del processo educativo;
cambiata l’idea sull’educando, si modificherà anche il concetto stesso dell’educazione e
dell’istruzione. Il frutto di questo nuovo pensiero farà nascere, fra le altre cose, nuove

29
Cambi, F. Le pedagogie del Novecento, 2005, p. 14.

- 40 -
esperienze scolastiche, come quelle de La Scuola Nuova, che a partire dalla seconda metà
dell’Ottocento influenzerà l’educazione e darà vita a nuove teorie pedagogiche, a loro
volta incrociate con altre scoperte nel campo psicologico prima, scientifico dopo e, più
recentemente, neuro-scientifico.
Perciò, gli eventi storici, politici e socio-culturali, uniti all’aspetto economico del
nostro paese (forse con un peso anche maggiore rispetto agli altri paesi europei), lungo
tutto il Novecento, hanno: influenzato le leggi e le riforme scolastiche e i programmi;
determinato, in parte, le metodologie che si sono andate costituendosi; lasciato, per un
lungo lunghissimo tempo, la musica e l’educazione musicale, o educazione alla musica,
fuori dal contesto dell’istruzione pubblica. Inoltre, hanno rafforzato, oltre che la netta
divisione tra l’istruzione privata e quella pubblica, una sbagliata concezione del talento,
vedendolo come un elemento raro, da potenziare e migliorare, ma non da educare,
soprattutto in coloro che il talento non sono riusciti ad esprimerlo sin da subito. Questa
difficoltà educativa era valida per tutti i contesti, sia quelli musicali che quelli
dell’istruzione generale. Luigi Tronchi (musicologo e direttore dell’Accademia
Filarmonica bolognese) descrive questa modalità come qualcosa che permette di ricevere
qualcosina in più, rispetto al poco generale. A mio avviso (aspetto che rappresenta uno
dei più saldi motivi della scelta di questo mio lavoro), andrebbe visto come un valore
aggiuntivo, un elemento di inclusione e partecipazione, uno strumento per un
apprendimento cooperativo, qualcosa che ha una forma primitiva e poi, grazie
all’educazione e alla cura, si evolve; in fondo la stessa etimologia della parola educare ce
lo conferma: “v. tr. latino educare, da ex- e ducere (=condurre, guidare), sviluppare le
facoltà intellettuali dei giovani; allevare, abituare attraverso l’esercizio costante”.30 La
differenza tra una cosa che curiamo, a cui prestiamo costante attenzione e una cosa a cui
non diamo la giusta importanza, è tangibile; lo è anche per noi nei nostri contesti
quotidiani, da quello personale a quello famigliare, a quello relazionale e collettivo: il
talento, se non viene preso in cura, coltivato, educato, finisce col disperdersi, con lo
svanire.
Alla luce di quanto detto finora e al fine di una migliore comprensione delle varie
legislazioni scolastiche italiane e del ruolo che è stato concesso o meno alla musica, ho
ritenuto opportuno suddividere l’intero periodo, dall’Unità d’Italia ad oggi, in tre grandi
momenti, individuando all’interno di ciascuno, il contesto che ‘ha fatto la differenza’, sia

30
Cfr. Dizionario etimologico Rusconi.

- 41 -
nel bene che nel male, permettendoci ad ogni buon conto di arrivare dove oggi ci
troviamo:

1. Dall’Unità d’Italia all’entrata in vigore della Costituzione Italiana –


periodo caratterizzato soprattutto dalle idee positiviste e dalla presenza
della musica come pura pratica di svago. Un momento importante di
questo periodo, per ciò che riguarda la musica, sono stati i programmi
scolastici del 1888 e, soprattutto, la legge Daneo-Credaro del 1911.
Purtroppo, tale periodo è stato anche caratterizzato, in negativo, dalla
riforma Gentile del 1923, che ha segnato profondamente il mondo della
scuola, anche quella delle generazioni future, e dalla legge Bottai del 1939.
2. Dalla Costituzione Italiana alla riforma Bassanini legge 59/1997
(compreso il DPR 275/1999) – periodo caratterizzato da numerosi
programmi e cambiamenti, dalla volontà di adeguare questi programmi e
queste riforme anche alle nuove scoperte nell’ambito della psicologia
evolutiva (di Piaget e di Bruner), ma è anche il periodo della
cristallizzazione di un atteggiamento approssimativo, ambiguo e appena
sufficiente, sia per l’istruzione in generale che per quella musicale in
particolare. La legge che ha fatto la differenza per ciò che riguarda la
musica è stata la legge 104/1985 e sicuramente anche il DPR 275/1999
che, in generale, ha portato grandissimi cambiamenti alla scuola italiana;
3. Dalla Riforma Berlinguer ad oggi – periodo caratterizzato dalla riforma
generale della scuola, anche per la parte musicale, dal tentativo di seguire
una linea generale europea e di offrire, anche alla musica, un taglio
formativo diverso. Il momento caratterizzante è stata sicuramente la legge
Gelmini, ma soprattutto il contributo della legge della Buona scuola,
l’ultima grande riforma scolastica italiana, ancora in vigore.

Il primo periodo comprende le seguenti leggi, riforme e programmi scolastici:

− la legge Casati e la legge Coppino; i programmi del 1885;


− i programmi scolastici del 1888 (ministro Paolo Boselli) e quelli del 1894
(ministro Guido Baccelli);
− la legge Orlando, la legge Daneo- Credaro;
- 42 -
− La riforma Gentile.

Il modello pedagogico che ha influenzato in questa prima epoca la legislazione


scolastica, e anche il concetto stesso dell’educazione, è stato quello proposto da John
Dewey: l’attivismo pedagogico,31 che ha messo al centro del proprio agire i temi quali il
puerocentrismo, la valorizzazione del fare, la motivazione, la centralità dell’ambiente, la
socializzazione, l’anti-autoritarismo e l’anti-intellettualismo. Alla base di questo modello
pedagogico vi era l’interesse del bambino. Partendo da ciò che interessava il bambino si
è potuto realizzare uno sviluppo completo: quello sociale (già caratteristico
dell’educazione tradizionale e del periodo dell’industrializzazione, rivisto da Dewey nelle
sue finalità) e quello psicologico (innovativo e parte dell’educazione nuova, sviluppatosi
nel periodo post-industriale). I due sviluppi dovevano poter coesistere e l’unico luogo in
cui ciò potesse avvenire era la scuola, la Scuola Nuova. È nato su queste basi un fortissimo
dualismo tra il pensiero e l’istruzione tradizionale e quello innovativo che ha visto
coinvolti anche molti dei pedagogisti italiani fra cui, per quel che ci serve in questo
contesto, Lombardo Radice (rappresentante della Scuola Serena che si ispirava al fatto
che la scuola fosse una continuazione tra la scuola e la famiglia, grande sostenitore delle
sorelle Agazzi), le sorelle Agazzi (modello Frӧbel), Maria Montessori 1870-1952 (e la
sua pedagogia scientifica).
Tra il 1859 e il 1860, poco prima dell’Unità d’Italia (5 maggio 1861) sono stati
emanati i primi programmi scolastici; fra questi, contiamo i testi dell’allora ministro della
pubblica istruzione del Regno di Sardegna Terenzio Mamiani, che si proponevano di
assicurare un'alfabetizzazione culturale di base a tutta la popolazione e che, fra le materie
fondamentali, inserivano anche la religione (sia detto in via parentetica che alcuni anni
dopo, in una delle revisioni dei programmi scolastici, nel 1867, il programma di religione
subì una revisione figlia della profonda crisi allora in atto fra Stato e Chiesa, cominciando
ad attenuare lo spazio dedicato alla religione a favore dell’educazione civica, come

31
Modello pedagogico fondato da John Dewey (1859-1952), uno dei maggiori pedagogisti del Novecento,
fondato sul principio dell’esperienza e dell’indagine, metodo scientifico, cioè, tra il pragmatismo e lo
strumentalismo; sullo stesso modello si basava anche il concetto filosofico della democrazia. Secondo
Dewey la pedagogia e l’educazione avevano un ruolo politico nella costruzione di una società democratica,
la più nobile e alta forma di società dove ciascun individuo vi partecipa attivamente e la costruisce e
ricostruisce con l’obiettivo di creare una grande comunità capace di autoregolarsi, grazie ad un agire
intelligente (azione sommata alla conoscenza) sviluppato e promosso proprio grazie alla vita sociale di
ciascun individuo in cui egli cresce e si sviluppa come individuo autonomo, capace di pensare e agire in
autonomia, ma anche come un individuo sociale.

- 43 -
avrebbe decretato la legge Coppino). Di questo periodo è anche la legge Casati,32
approvata nel 1861 e considerata la prima vera riforma della scuola italiana, poiché estesa
a tutto il territorio del Regno d’Italia; le sue basi, nonostante alcune integrazioni e
modifiche, sono rimaste tali e hanno condotto la scuola italiana fino al 1923, l’anno della
Riforma Gentile, un altro momento paradigmatico per la scuola italiana.
A livello attuativo, la legge Casati, per ciò che riguarda l’istruzione elementare,
ha reso la scuola gratuita e obbligatoria solo per i primi due anni (dei quattro complessivi)
ed è stata realizzata solo nelle città con oltre quattromila abitanti oppure nei capoluoghi
della provincia dove erano attive le sedi degli istituti per l’istruzione secondaria, che, a
loro volta, comprendevano sia l’istruzione classica, unica a permettere l’accesso
all’Università, che quella tecnica. Nonostante la grande portata culturale di cui tale legge
(insieme alla successiva legge Coppino)33 è stata voce (hanno contribuito notevolmente
all’aumento del tasso di alfabetizzazione), mancava di un riferimento specifico alla
musica (l’art. 315 della legge Casati contempla in primo luogo l’insegnamento religioso,
la lettura, la scrittura, l’aritmetica elementare, lingua italiana, nozioni elementari sul
sistema metrico). La musica perciò non viene vista come un possibile fattore per la
crescita culturale della popolazione, anzi, si concretizza solo nelle istituzioni musicali o
conservatori. Francesco De Sanctis, ministro della pubblica istruzione del Regno d’Italia
nel 1861 e dal 1878 al 1880, scrivendo al suo successore Giuseppe Natoli, afferma che
gli alunni non devono acquisir “le cognizioni, ma l’acquistar l’abito di ragionare giusto”,
tanto da deprecare la musica e il ballo, poste tra le discipline che in generale “non
producono valentuomini, ma buffoni”.34

32
Legge del 13 novembre 1859, n. 3725, detta anche legge Casati, del Regno di Sardegna, entrata in vigore
nel 1861 ed estesa, con l’unificazione, a tutta l’Italia (regio decreto 28 novembre 1861, n. 347); prese il
nome dal Ministro della Pubblica Istruzione Gabrio Francesco Casati, rappresentante della Destra Storica,
e riformò in modo organico l’intero ordinamento scolastico, dall’amministrazione all’articolazione per
ordini e gradi e alle materie di insegnamento, confermando la volontà dello Stato di farsi carico del diritto-
dovere di intervenire in materia scolastica, a fianco e in sostituzione della Chiesa cattolica che da secoli era
l’unica ad occuparsi dell’istruzione, introducendo l’obbligo scolastico nel regno. Sancì comunque la libertà
al privato di fondare e gestire istituti, senza però dargli la possibilità di emettere diplomi e/o certificazioni.
33
Legge del 15 luglio 1877 n. 3961, detta anche legge Coppino, dal nome del ministro proponente, Michele
Coppino, rappresentante della Sinistra Storica, fu una legge del Regno d’Italia con a capo del governo
Agostino Depretis. La legge Coppino ha contributo nei termini di miglioramenti di tipo amministrativo,
insieme alla riforma di democratizzazione dello stato con la legge elettorale del 1882; nel 1878, vennero
distribuiti fondi per la costruzione di nuove scuole e venne istituito il fondo pensionistico per i maestri, già
previsto dalla legge Casati ma mai attuato fino a quel momento. Le spese per il mantenimento delle scuole
rimasero, però, a carico dei singoli comuni, i quali, nella maggior parte dei casi, non erano in grado di
sostenerle e dunque la legge non fu mai attuata pienamente.
34
De Sanctis Francesco, come citato da Badolato Nicola e Scalfaro Anna, 2013, p. 88.

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La successiva legge Coppino ha introdotto qualche cambiamento: ha portato
l’istruzione elementare dai quattro ai cinque anni e ha fissato l’obbligatorietà di tre anni;
ha introdotto le sanzioni per i genitori degli studenti che non adempivano all’obbligo
scolastico; ha previsto nel piano didattico le materie scientifiche, la ginnastica e una prima
forma di educazione civica, utile soprattutto per formare i nuovi cittadini. L’inserimento
dell’educazione civica da una parte ha offerto alla scuola italiana un taglio sempre più
laico e una direzione verso il cambiamento dei metodi d’insegnamento (da un rigido
dogmatismo alla concretezza, elementi dovuti soprattutto all’influenza del positivismo),
dall’altra ha lasciato incerta la posizione della religione cattolica (cosa che non fu molto
gradita dai cattolici intransigenti, molti dei quali, mandarono i propri figli nelle scuole
private, gestite perlopiù dalla chiesa cattolica). Nei programmi del 1888, nati soprattutto
con lo scopo di introdurre il lavoro manuale nelle scuole italiane, si inizia a parlare di
musica, sotto la dicitura, “esercizi di canto”, che uniti a quelli di ginnastica, avevano come
finalità quello di ristabilire un giusto equilibrio negli alunni, ed erano da attuare solo se
compatibili con il tempo da dedicare ad altre materie. Qui la musica viene ancora vista
come puro svago dei sensi, siamo un po’ più vicini all’idea della musica come attività
pratico-manualistica, ma ben lontani dall’idea della musica come un’attività
intellettualistica, come un valore culturale e collettivo. Questo ci fornisce
un’informazione importantissima su come la musica è da sempre stata percepita
dall’intera legislazione scolastica italiana, purtroppo in parte anche da quella odierna.
È nei programmi scolastici del 1888 che si inizia a dare un cenno all’Educazione
musicale (intesa nella forma del canto corale), grazie anche ad Aristide Gabelli,
pedagogista e uno dei rappresentanti più significativi del positivismo pedagogico italiano.
Egli si è occupato di redigere i programmi scolastici dell’allora ministro Paolo Boselli,
facendogli presenta la sua idea dell’educazione musicale e della ginnastica come
strumenti utili allo sviluppo armonioso dell’apparato respiratorio. La sua proposta
concretizza le idee educative di Dewey e del positivismo, che vedono la musica come uno
dei luoghi educativi basati sulla sperimentazione. La sperimentazione è uno dei criteri del
metodo scientifico, tipico della proposta educativa di Dewey. Quindi, la didattica
proposta agli alunni dovrebbe seguire il metodo scientifico: l’osservazione della realtà e
la verifica della corrispondenza tra le parole e i concetti, atteggiamenti tipici dei due
principi su cui si basa il positivismo: la teoria dell’esperienza e la teoria dell’indagine.
Finalmente, la musica inizia ad essere vista come una pratica educativa. Anche i
programmi del ministro Guido Baccelli (1894) hanno confermato sia il canto che la

- 45 -
ginnastica come discipline facoltative, aggiungendovi anche il disegno. Il pedagogista
Giovanni Soli ha sottolineato che, il canto, non solo viene trascurato come pratica
musicale, mentre rappresenta “un potente educatore dell’udito, della voce, del
sentimento”,35 ma viene trascurata anche la stessa preparazione degli insegnanti, che
reputa scarsissima. Egli infatti ha sottolineato che non c’è un insegnamento che porti ad
un’abilità solida e sicura del maestro a tal punto da poter insegnare ai propri alunni anche
la più semplice tra le musiche; tale contesto dimostra ancora una volta, e anche in una
visione più ampia, la mancanza di una giusta attenzione e importanza conferite alla
musica. Le affermazioni di Soli in quegli anni, che anticipano posizioni attuali, ci
presentano di nuovo un quadro che non tiene conto della cultura e di conseguenza della
storia, in particolare della storia della musica. In passato l’esperienza musicale ha
contribuito notevolmente al progresso, sia umanistico-culturale che formativo. Basti
pensare anche alle innovazioni nell’ambito della scrittura musicale di Guido d’Arezzo,
alla ricerca di un metodo didattico e formativo che potesse rendere sia i maestri che i
cantori autonomi, i primi capaci di insegnare sempre meglio, i secondi di imparare e di
potersi esercitare.
Con i programmi del 1894 siamo alle porte del Novecento e si iniziano a vedere i
primi effetti positivi, se pur limitati, del sistema scolastico, come appunto la riduzione
dell’analfabetismo; comincia però a farsi strada anche un fenomeno che oggi
definiremmo disoccupazione intellettuale. Si tratta di una sproporzione tra il mondo
occupazionale e il livello dell’istruzione del singolo, fenomeno che in Italia presenta tassi
anomali e preoccupanti; infatti, mentre negli altri paesi europei il tasso di disoccupazione
più alto riguarda individui con bassi livelli d’istruzione, l’Italia mostra tassi di
disoccupazione più alti tra coloro che invece hanno un alto livello di istruzione, compresi
i diplomati e i laureati.
Il dibattito che si è aperto in quegli anni, ma che non ha avuto una risposta pratica
immediata, verte sull’istituzione di una scuola media unica (che arriverà solo nel 1962),
sulla questione della laicità della scuola (che giungerà solo nel 1948) e su una direzione
istruttiva basata in primis sulla professionalizzazione, ennesima conferma della poca
attenzione all’aspetto umanistico-culturale presente anche nelle leggi scolastiche odierne.
Le prime due leggi del Novecento, la legge Orlando del 1904 e la legge Daneo-
Credaro del 1911, sono state un passo importante per ciò che riguarda la musica nelle

35
Soli Giovanni, come citato da Badolato Nicola e Scalfaro Anna, 2013, p. 90.

- 46 -
scuole di quei decenni. La Legge Orlando36 del 1904 ha innalzato l’obbligo scolastico
fino ai dodici anni e l’obbligo dei comuni a fondare istituzioni elementari almeno fino
alla quarta classe (l’obbligo riguardava tutti i comuni con più di quattromila abitanti di
popolazione). L’introduzione di un corso popolare formato dalla classe quinta e sesta, che
si innestava subito dopo la scuola elementare, e la creazione di nuovi programmi in
sostituzione a quelli del 1894, hanno rafforzato l’idea di una scuola volta all’operatività
e all’utilitarismo. Al posto della musica, che viene lasciata ancora una volta alla
facoltatività e nella forma d’esercizio per la cura dei sensi (anche se con un piccolo
accenno all’educazione al gusto e al mantenimento delle tradizioni popolari), viene dato
spazio al disegno come materia obbligatoria. È stata soprattutto la legge Daneo-Credaro37
a fare la differenza; innanzitutto, perché per la prima volta in Italia si annovera un
programma scolastico dedicato anche alla scuola dell’infanzia. Luigi Credaro, oltre ad
essere stato un politico, era stato anche un pedagogista, fondatore della “Rivista
pedagogica” insieme alla pedagogista Emilia Santamaria Formiggini (la quale in seguito,
in occasione della riforma Gentile, criticherà fortemente l’assenza della musica in tutti i
gradi e ordini scolastici). Questo ha permesso inoltre di inserire per la prima volta anche
uno spazio adeguato all’educazione musicale riconoscendo al canto, quello corale in
primis, il giusto valore educativo e sociale. Merito di questo riconoscimento formativo
alla musica è certamente uno dei risultati del “I Congresso Pedagogico Nazionale”
tenutosi a Torino nel 1898, al quale vi partecipò anche Maria Montessori. Sono stati i

36
Legge del 1904, emanata da Vittorio Emanuele Orlando, con la quale fu imposto ai Comuni l’istituzione
delle scuole, almeno, fino alla quarta classe e tramite la quale ai Comuni con modesti bilanci vennero
destinati dei fondi. Tale decisione ha messo in discussione l’avocazione della scuola, anticipando quanto
sarebbe accaduto nelle legislazioni successive e cioè la presa in carico della scuola da parte dello Stato.
L’obiettivo era sganciare le scuole primarie dalle amministrazioni locali per evitare clientelismi o la
mancanza stessa della scuola, poiché non tutti i Comuni erano in grado di sostenere l’impegno economico
richiesto e poiché questo andava in contrasto con la finalità di aumentare l’alfabetizzazione e senso di
comunità. Tra i sostenitori dell’avocazione ci furono personaggi importanti come Giovanni Gentile e
Filippo Turati, nonché la neonata associazione UMN (Unione Magistrale Nazionale), mentre contro vi era
il mondo cattolico, impaurito che la scuola si potesse laicizzare del tutto.
37
Legge del 4 giugno 1911 n. 487 ha reso la scuola un’istituzione statale ponendo la gestione finanziaria al
consiglio scolastico provinciale e garantendo così un più sicuro obbligo scolastico anche nelle realtà locali
più disagiate.

- 47 -
pedagogisti come Rosa Agazzi38 e Pietro Pasquali39 a sottolineare la valenza educativa
della musica e, nello specifico, del “canto educativo”, ma anche della musica strumentale,
con la quale i bambini potevano venire in contatto. Una buona parte di questo programma
è stata affidato appunto a Pietro Pasquali, che si è ispirato al pensiero delle sorelle Agazzi
e di Frӧbel.40
All’interno del suo programma, Pasquali ha articolato l’attività musicale in
percorsi didattici chiamati dalla stessa Agazzi “Abbicì del canto educativo ad uso delle
scuole materne e delle prime classi elementari” (Milano, La voce delle maestre d’asilo,
1908) e in “Bimbi, cantate!” (Brescia, La scuola, 1911). Il canto non viene più
considerato solo come un esercizio fisico di igiene o come attività di svago o sollievo, ma
come un’attività educativa del gusto (ricordiamo quanto detto anche nel precedente
capitolo sull’importanza di questa visione anche da parte degli stessi direttori di coro e
maestri di musica). Questa educazione si è basata sulle spontanee cantilene che i bambini
conoscono e ripetono al fine di agevolare e rafforzare il metodo dell’imitazione, così
importante per loro. Ci sono state delle raccomandazioni anche per le maestre che saranno
invitate a rinnovare di tanto in tanto il repertorio, data anche la disponibilità di diverse
raccolte, anche quelle froebeliane.

38
Agazzi Rosa (Volongo, 26 marzo 1866 – Volongo, 9 gennaio 1951) e Agazzi Carolina (Volongo, 1870
– Roma, 24 novembre 1945) sono state due promotori delle scuole nuove in Italia; avevano elaborato un
metodo personale e innovativo per le scuole dell’infanzia e avevano sostenuto le idee secondo le quali la
musica, e nello specifico il canto, aveva una valenza educativa importante. Così come per le altre scuole
nuove, veniva data molta importanza al senso di continuità tra l’ambiente scolastico e quello famigliare;
perciò, l’educatore doveva assumere un ruolo materno verso gli educandi e le attività dovevano essere libere
e attive; i bambini erano responsabili dell’ordine del proprio materiale di lavoro, la vera innovazione
didattica, che non doveva essere né preordinato, né scientifico, ma libero. Ogni bambino portava a scuola
tutto ciò che attirava la sua attenzione e lo metteva in condivisione con gli altri bambini. Il materiale era
oggetto di ricerche, di momenti esperienziali e di condivisioni in classe.
39
Pasquali Pietro (Cremona 1847 – Brescia 1921), pedagogista italiano […] sin dal 1892 ispirò e poi
sostenne con l’azione e gli scritti l’opera delle sorelle Agazzi per gli asili d'infanzia. Autore di numerosi
scritti ispirati all’ideale del rinnovamento attivistico della scuola: cfr.
https://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-pasquali/.
40
Friedrich Wilhelm August Fröbel (Oberweissbach, Turingia, 1782 – Marienthal, 1852) è stato un
educatore e pedagogista; fondatore di Kindergarten (Giardino d’infanzia) che ha portato ad una nuova e
diversa considerazione dell’infanzia e quindi anche del concetto stesso dell’educazione infantile. Per Frӧbel
l’educazione del bambino era l’occasione per esaltare la sua spiritualità infantile attraverso il gioco. Il gioco
infatti non era considerato come un’attività creativa o diversiva, ma come occasione per conoscersi, per
scoprire se stesso. È il mezzo attraverso cui il bambino esprime il proprio mondo interiore; il giardino
d’infanzia è il luogo in cui avviene il processo educativo del bambino che vede presenti tutte le figure dio
riferimento: gli educatori, i genitori, la comunità. Frӧbel può essere definito come precursore delle moderne
scuole dell’infanzia.

- 48 -
Arriviamo così alla riforma Gentile del 1923,41 R.D. n. 2185/1923, che ha
rappresentato un importante momento nella storia della scuola italiana e le cui basi sono
state presenti fino agli anni Sessanta, sostituita da un’altra riforma fondamentale nel 1962.
Possiamo dire quindi che la riforma Gentile ha tracciato e segnato in maniera profonda la
cultura scolastica italiana, non solo durante il ventennio fascista, ma anche dopo, durante
la legislazione repubblicana.
Per ciò che riguarda la suddivisione generale della scuola, Gentile ha disposto:
una scuola materna per la durata di tre anni; una scuola media inferiore (l’attuale scuola
elementare) della durata di cinque anni; una scuola media superiore, fatta da un ulteriore
suddivisione: liceo classico della durata di tre anni; liceo scientifico della durata di quattro
anni; istituto tecnico, conservatorio e istituto magistrale della durata di tre/quattro anni.
I programmi delle scuole medie inferiori hanno ristabilito l’insegnamento della
religione cattolica, salvo richiesta di esonero, e hanno valorizzato il canto, il disegno e le
tradizioni popolari, con una relativa valorizzazione dei dialetti italiani. Le scuole medie
superiori hanno acquisito un sistema a ‘doppio canale’: quello della prosecuzione dello
studio per l’acquisizione di un titolo valido (prevedeva però il superamento di uno
specifico esame di cultura generale) e quello dell’inserimento nel mondo del lavoro, senza
quindi la possibilità di conseguimento di un titolo di studi. La riforma Gentile ha sancito
l’obbligatorietà scolastica fino ai quattordici anni (mossa finalizzata all’adesione ad una
convenzione internazionale di alcuni anni prima), ma, per la stragrande maggioranza delle
ragazze e dei ragazzi italiani, la cosa non fu fattibile se non a partire dal 1962/63, in
occasione della riforma dell’unificazione della scuola media.
Nella riforma Gentile il merito dello spazio dedicato all’educazione musicale, e a
quanto già avviato con la legge del 1911, va attribuito a Giovanni Lombardo Radice,42

41
Giovanni Gentile, filosofo, fu il Ministro della Pubblica Istruzione nel primo governo di Benito Mussolini
(1922-1924). La sua riforma si componeva di un insieme di provvedimenti e fu emanata con diversi regi
decreti:
• R.D.L. 31 dicembre 1922, n. 1679 (delega);
• R.D. 16 luglio 1923, n. 1753 (amministrazione scolastica);
• R.D. 31 dicembre 1923, n. 3126 (obbligo scolastico);
• R.D. 1º ottobre 1923, n. 2185 (scuola elementare);
• R.D. 6 maggio 1923, n. 1054, R.D. 30 aprile 1924, n. 756 e R.D. 4 settembre 1924, n. 1533 (scuola
media di 1º e 2º grado);
• R.D. 30 settembre 1923, n. 2102 e R.D. 6 aprile 1924, n. 674 (scuola superiore e università).
Essa rimane in vigore fino alla legge n. 1859 del 31 dicembre 1962, legge con la quale vennero abolite le
scuole professionali e venne istituita la scuola media unificata.
42
Giuseppe Lombardo Radice (Catania, 1879 – Cortina d’Ampezzo, 1938), filosofo e pedagogista italiano,
ha collaborato con Giovanni Gentile nella riforma della scuola elementare del 1923. È stato attivo sia sul
piano della promozione della cultura pedagogica, che su quello teorico-didattico e politico. Anche per
Radice al centro dell’educazione c’era lo sviluppo dello spirito, ma, a differenza di Giovanni Gentile,

- 49 -
sostenitore di Giovanni Gentile nella prima parte del suo impegno politico, ma suo
oppositore in un secondo momento, quando questi si dirà a supporto del regime fascista.
La proposta di Radice ha segnato un’altra importante tappa nella storia dell’educazione
musicale scolastica italiana. Per la prima volta la musica, sempre con la denominazione
Canto, è diventata una disciplina obbligatoria ed è stata raggruppata negli “Insegnamenti
artistici” insieme al “Disegno spontaneo” e “Bella scrittura e recitazione”. L’obiettivo di
Radice era quello di risaltare il carattere artistico del popolo italiano e di dare lo spazio
alla fantasia e alla libertà tipica dei bambini delle scuole elementari. Il programma
comprende anche una parte dedicata alla valorizzazione della cultura e delle tradizioni
artistiche regionali, attraverso l’esecuzione dei canti tradizionali regionali al fine di
valorizzare la cultura folklorico-popolare. Allo stesso tempo però, questo programma ha
presentato alcuni limiti. Il primo elemento ha riguardato la questione della presenza o
meno della musica nei vari gradi della scuola: come “Canto” era prevista solo nelle scuole
elementari e in quelle di avviamento professionale, dove mancherà però la parte teorica e
questo denota ancora una volta la dimensione socializzante. Come “Elementi di musica e
canto corale”, quindi come disciplina che pone l’attenzione anche alla teoria e non solo
alla pratica, è presente solo negli Istituti Magistrali, quelli destinati alla formazione
dei/delle futuri/e maestri/e di scuola elementare e al Liceo Femminile (necessario per dare
un’infarinatura culturale alle giovani donne di buona famiglia, ma che non garantiva
alcuno sbocco lavorativo e che fu un vero insuccesso, tanto che pochi anni dopo venne
chiuso). Nei licei classici (secondo Gentile l’unica scuola in grado di formare la futura
classe dirigenziale italiana), in quelli scientifici e negli istituti tecnici la musica non è stata
per nulla contemplata, a differenza del disegno. Il secondo elemento che ha attirato le
critiche alla riforma riguardava la formazione musicale all’interno dei licei magistrali
(deputati alla formazione dei futuri insegnanti, i quali erano mal pagati e iscritti all’ultimo
livello previsto dalle tabelle governative). Il programma previsto nel Liceo Magistrale
(che durava in tutto sette anni, quadriennio più triennio) constava di una parte teorica
(perlopiù solfeggio), una pratica (canto) e una strumentale (insegnamento facoltativo di
uno strumento musicale). Erano previste due ore di musica e canto corale, oltre a due

l’attenzione doveva essere posta al soggetto vivente, il cui compito era essere in relazione, poiché solo in
questo modo il suo sviluppo sarebbe stato completo. Da un punto di vista politico invece, Radice pone
molta attenzione ai problemi sociali e al ruolo dello stato come educatore; da un punto di vista educativo,
la didattica pre-elementare e primaria avevano un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’individuo.

- 50 -
eventuali ore settimanali per lo strumento. Nel corso degli ultimi due anni del triennio, il
tempo si riducevano ad un ora settimanale.
Tra le riforma Gentile e l’entrata in vigore della Costituzione Italiana vi sono stati
altri momenti importanti per la legislazione scolastica italiana, quali i programmi d’esame
emanati dal Ministro De Vecchi, RD 7 maggio 1936 n. 762, che richiedeva la conoscenza
di elementi teorico-nozionistici, presi soprattutto dai programmi di solfeggio dei
conservatori e grazie ai quali si inizia ad avere una piccolissima parte di quello che poteva
essere la Storia della Musica (anche se sarà ridotta alle pure informazioni biografiche dei
compositori italiani e mancherà del tutto la pratica dell’ascolto musicale e della
contestualizzazione storico-culturale delle loro opere). Non possiamo non citare La Carta
della Scuola del 1939 del ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai. La
proposta del ministro potremmo definirla la vera riforma scolastica fascista vista la
finalità che aveva, quella di fascistizzare completamente il mondo della scuola e che, a
guerra finita, poteva esprimere appieno una scuola di massa, distinta e gerarchizzata al
servizio delle esigenze dell’economia e del regime. Con lo scoppio della seconda guerra
di tale proposta è stata approvata solo l’istituzione della scuola media, della durata di tre
anni, che comprendeva i precedenti corsi inferiori di Licei, Istituti tecnici e Istituti
magistrali e lasciava come seconda possibilità solo la Scuola di Avviamento
professionale. Questa approvazione è stata un vero momento d’arresto sia per la
formazione dei futuri/e maestri/e delle scuole elementari, sia per la stessa musica, capitata
tra le materie che subirono maggiori riduzioni in fattore di presenza. Un altro momento
importante per la scuola di questi anni sono state le piccole riforme scolastiche, le ultime
del Regno d’Italia, emanate tra il 1943 e il 1945, come quella riguardante la scuola
elementare (che negli anni del fascismo ha maggiormente subito le sue influenze del
regime), di cui uno dei maggiori promotori è stato Carleton Wolsey Washburne,43 seguace
di Dewey e del positivismo. La sua proposta, troppo progressista per quell’epoca,
prevedeva un’impostazione pluriconfessionale che i cattolici non videro di buon occhio;
lungo l’elaborazione di tali programmi venne coinvolto anche un rappresentante della

43
Washburne, Carleton Wolsey (Chicago, 1889 – Okemos, Michigan, 1968), pedagogista statunitense,
esponente dell’educazione attiva, sostenitore delle idee di John Dewey, soprattutto del concetto del carattere
individualizzato e sociale dell’individuo. Ideatore del piano di Winnetka, un programma fondato sulla
psicologia sperimentale e caratterizzato dal metodo d’individualizzazione dell’insegnamento, attuato in un
sobborgo di Chicago, Winnetka, a partire dal 1920, e in cui copriva la carica di soprintendente scolastico.
Si era interessato anche dell’educazione secondo gli aspetti sociali: dalla seconda guerra mondiale si dedicò
ai problemi educativi dell’Italia del dopoguerra, e a riformare i programmi scolastici del Ministero della
pubblica istruzione.

- 51 -
chiesa il cui ruolo, fondamentale nella società italiana dell’epoca, non poteva essere
trascurato. Il risultato è stato un programma di compromesso: dopo premesse ricche di
idee molto avanzate e democratiche, si giungeva al corpo del programma, che regolava
le singole discipline, di impostazione molto moderata. Un tentativo moderno che gli
insegnanti hanno colto poco, al contrario dei ministri che hanno poi fatto pressioni per
una nuova riforma in senso più conservatore, concretizzatasi 10 anni dopo con i
programmi del Ministro Ermini.
Il secondo periodo della legislazione scolastica italiana, dopo l’entrata in vigore
della Costituzione Italiana (1948), comprende:
- la legge Ermini (1955);
- la riforma della scuola media del 1962 e altre proposte e programmi degli anni
Sessanta e Settanta;
- la legge 104/1985 della ministra Franca Falcucci;
- la legge 59/1997 e il DPR 275/1999.

Nell’art. 34 del titolo II (rapporti etico sociali, della Costituzione Italiana, entrata
in vigore dal 1° gennaio 1948), l’istruzione viene stabilita pubblica, gratuita e obbligatoria
per almeno otto anni. Il sistema scolastico è quello della riforma Gentile: scuola
elementare quinquennale e i tre anni successivi divisi tra la “scuola media” (che
permetteva di proseguire gli studi grazie alla materia del latino) e la “scuola di avviamento
professionale” (che senza l’insegnamento del latino, escludeva da qualsiasi
proseguimento degli studi). Nello stesso anno venne sancito anche il Consiglio Superiore
della Pubblica Istruzione con competenze dalla scuola primaria a quella universitaria.
Con la Legge Ermini44 è dato avvio alla legislazione scolastica della Repubblica
italiana, che ha riguardato la riforma delle scuole elementari: due cicli, il primo di due
anni e il secondo di tre anni. Tale scelta, sulla base dei cicli di crescita dei bambini, è stata
influenzata dalle ultime ricerche in campo psicologico-pedagogico di diversi autori,
soprattutto di Jean Piaget45. Alla musica è stato finalmente dato uno spazio maggiore, sia

44
Decreto Presidente della Repubblica n. 503 del 14 giugno 1955 fu emanato da Giuseppe Rufo Ermini
(Roma, 20 luglio 1900 – Roma, 21 maggio 1981). Storico del diritto, fu parlamentare, ministro della
Pubblica Istruzione e Rettore dell’Università di Perugia dal 1945 al 1976.
45
Jean Piaget (Neuchâtel, 9 agosto 1896 – Ginevra, 16 settembre 1980) è stato uno psicologo evolutivo e
teorico dell’epistemologia genetica, ha dato un contributo fondamentale alla pedagogia del Novecento
grazie alla sua teoria psicologico-evolutiva a base cognitivista nella quale ha individuato tappe evolutive e
le strutture corrispondenti a ciascuna di esse. Secondo Piaget, la mente infantile è caratterizzata da
un’intelligenza che si muove da atteggiamenti soggettivi e concreti verso un’intelligenza operativa e astratta

- 52 -
alla parte teorica con il solfeggio, sia al canto, al quale è stata riconosciuta una valenza
educativa e un’importanza valoriale mai viste prima nel mondo scolastico. Il canto, nel
primo ciclo, è un contributo “all’elevazione spirituale e alla socialità: all’educazione
all’orecchio, della voce, della retta pronuncia, all’addestramento motorio”, senza togliere
attenzione anche all’ascolto musicale “dei brani adatti all’età”. Nel secondo ciclo, accanto
all’aspetto spirituale e di socializzazione, il canto viene visto come uno strumento utile
ad affinare i mezzi della voce e dell’orecchio. L’ascolto musicale era previsto sia per i
brani a seconda dell’età che per i “facili e artistici brani musicali”,46 previa preparazione
degli alunni sugli elementi del brano.
A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta fino agli anni Settanta, la
legislazione scolastica ha subito, ancora una volta e, per alcune materie scolastiche come
il latino e la musica, in via definitiva, l’effetto economico e politico, ma anche culturale
e sociale di quei tempi.
Dopo un primo tentativo di proposta per l’istituzione di una scuola media unica
(gennaio 1959), frutto di una sempre maggiore consapevolezza che il processo economico
richiedesse una forza lavoro qualificata, arriva, nel 1962, la riforma della scuola media
approvata con la legge n.1859 del 31 dicembre 1962. Tale legge prevedeva l’abolizione
della scuola di avviamento al lavoro e di altre scuole particolari e ha creato una sola
tipologia di scuola media unificata, permettendo così l’accesso a tutte le scuole superiori.
Iniziano ad essere sempre maggiori le classi miste e resta incerta la posizione della lingua
latina: assente nella prima classe, presente nella seconda come “elementari conoscenze”
integranti l’insegnamento dell’Italiano e, in terza, diventava argomento di insegnamento
autonomo ma opzionale. Essendo, però, lo studio del latino obbligatorio per l’iscrizione
al liceo classico, la scelta che gli studenti dovevano compiere in proposito reintroduceva
una differenziazione interna alla scuola media.
È di questo periodo anche:
− l’introduzione per gli alunni delle scuole elementari dell’uso dell’abbigliamento
scolastico (giacchetta nera a colletto bianco e la tipica, a quel tempo, cartella
scolastica a zaino), 1967;

che il bambino scopre gradualmente, in connessione con il suo ambiente circostante, grazie a due principi
biologici, quello dell’assimilazione e quello dell’adattamento.
46
Colarizi, G. La musica non professionale nella legislazione scolastica italiana, Educazione musicale, III,
n. 12, 1996, p. 169 sg, come citato da Badolato N. e Scalfaro A., 2013, p. 94.

- 53 -
− l’istituzione della scuola materna statale, vengono anche emanati gli orientamenti
per la scuola materna, 1968;
− abolizione dell’esame di ammissione alla I classe del liceo classico per gli studenti
della classe V ginnasio; l’accesso all’università viene esteso anche agli studenti
provenienti da qualsiasi istituto superiore e viene anche riformulato l’esame di
maturità strutturato con due prove scritte (una fissa di italiano, e una specifica in
funzione del tipo di istituto) e una prova orale che verteva su due materie scelte
(una dallo studente e una dal gruppo di professori) fra un gruppo di quattro
indicate anticipatamente dal ministero della pubblica istruzione, gruppo di materie
diverso per ogni tipo di istituto scolastico. La Commissione d’esami (cioè il
gruppo di docenti che deve giudicare ogni classe) risulta composta da docenti
esterni all’istituto, salvo uno proveniente dal gruppo di insegnanti della classe. La
struttura di questo esame venne definita provvisoria, sperimentale, tuttavia
rimarrà in corso immutata per quasi trent’anni, 1969;
− la nascita della scuola a tempo pieno come risposta ai bisogni sociali dell’utenza
ma destinato a diventare un laboratorio di innovazione in virtù dei tempi distesi
per l’apprendimento e per lo spazio curricolare che si apre per i nuovi saperi, 1971;
− l’attuazione dei “decreti delegati”, che introducono nella vita della scuola una
rappresentanza dei genitori, del personale ATA (Amministrativo, Tecnico,
Ausiliario) e degli studenti (solo nella scuola superiore) e questo soprattutto nelle
scuole elementari, 1974.

Cosa accade all’insegnamento di musica entro la scuola media in seguito alla


riforma? La musica fa un passo indietro: un’ora settimanale per tutti e tre gli anni e
obbligatoria solo il primo anno. Alla luce di ciò, gli alunni che in qualche modo si erano
mostrati interessati o si erano mostrati particolarmente dotati, potevano usufruire (per i
due anni successivi) di altre ore. Ecco che alla questione del talento, come già sottolineato
da Luigi Tronchi47 diversi decenni prima, segue l’eccezione: uno fra tanti che in virtù del
talento merita qualcosa in più, giusto qualcosa. Anche Antonio Mura, pedagogista, nel
lavoro Il fanciullo e la musica (ed. Malipiero, prima edizione 1° gennaio 1957) esprime
la sua opinione circa l’indifferenza del legislatore verso la musica come disciplina.
Descrive questa indifferenza quale effetto dell’influenza dell’attivismo pedagogico, e

47
Il riferimento è in questo lavoro a pag. 20.

- 54 -
quindi del suo carattere pratico, mettendo a confronto due epoche, quella dell’Ottocento
che poneva l’attenzione alla formazione umanistica e culturale degli alunni e quella del
Novecento, dove la priorità era formare la futura classe dirigente e operaia e dove la
musica è affidata solo ai più talentuosi mentre per gli altri è puro momento di svago.
Ma al di fuori dell’ambiente politico e legislativo, sono state numerose le
occasioni di richiesta, da parte del mondo scolastico e anche degli educatori, di introdurre
la musica sin dalle scuole elementari e di raddoppiare le ore di educazione musicale nelle
scuole medie. Una di queste occasioni è stato sicuramente il Convegno nazionale per
l’insegnamento della musica e anche la rivista “Educazione musicale”, l’opera editoriale
di Giorgio Colarizi e Riccardo Allorto (didatti dell’educazione musicale), che hanno
avuto la finalità di divulgare la cultura musicale nelle scuole. I due didatti hanno dato
ampio spazio all’importanza dell’ascolto e del valore della musica d’arte nella formazione
del gusto estetico, sottolineando la scarsità della proposta musicale scolastica e
l’esclusività che veniva data alla musica di consumo nei mass-media. Il desiderio inoltre
è stato quello di creare una collaborazione con la pedagogica generale. Ritorna, anche in
ambienti di istruzione generale, quanto visto nel movimento ceciliano, il concetto della
consapevolezza del valore della musica in termini di formazione estetica e culturale di
una comunità, ma anche in relazione alle generazioni future.
Negli stessi anni, soprattutto alla luce del grande movimento studentesco, viene
fondata “Musica Domani”, una nuova rivista con lo scopo di divulgare e promuovere la
cultura dell’educazione musicale, periodico che faceva parte della neonata SIEM –
Società Italiana di Educazione Musicale.48 La rivista in questione assume un tono critico
verso la didattica musicale del passato al fine di promuovere una didattica che valorizzi
il gusto degli studenti, convinti che non è tanto la qualità del contenuto a contare, ma la
modalità con la quale tale contenuto viene trasmesso. È proprio grazie ai rapporti che la
SIEM intrattiene con la pubblica istruzione che, nella Legge 16 giugno 1977,49
l’educazione musicale viene resa obbligatoria per tutti i tre gli anni delle scuole medie. I
programmi di tale legge, entrata in vigore il 3 agosto 1979, prevedevano una vasta
diffusione dei corsi sperimentali su tutto il territorio nazionale, conferendo unità e
riordino all’intera legislazione precedente. Concretamente, i programmi prevedevano tre

48
Si vada a https://www.siem-online.it/siem/
49
Legge n. 348 del 16 giugno 1977 riguarda Modifiche di alcune norme della Legge 31 dicembre 1962, n.
1859, sulla istituzione e l’ordinamento della scuola media statale; l’art. 1 recita “Agli insegnamenti
obbligatori previsti dal primo comma dell’art. 2 della Legge 31 dicembre 1962, n. 1859, sono aggiunte per
tutte le classi l’educazione tecnica, in sostituzione delle applicazioni tecniche, e l’educazione musicale”.

- 55 -
ore di educazione musicale alla settimana e un’ora di strumento musicale al pomeriggio,
distinti per contenuti, modellati su esigenze degli alunni, e ore per l’interdisciplinarietà,
come senso profondo della musica. Anche se il senso che il legislatore da
all’interdisciplinarietà vuole in realtà sottolineare la concezione della musica come
disciplina non autonoma; questo cambiamento presenta comunque un momento
importante per l’insegnamento della musica nelle scuole, perché, oltre all’aumento delle
ore ha previsto, è presente anche la diffusione della pratica dello strumento musicale
(progetto già avviato con il DM 8 settembre 1975, che prevedeva la sperimentazione delle
SMIM, Scuole Medie a indirizzo musicale).50 L’esperienza ha avuto indubbiamente un
ruolo positivo nella diffusione della cultura musicale, anche se la normativa, alla luce
delle mutate condizioni socio-culturali, ha necessitato di ulteriori e significativi
adeguamenti.
Con il DPR 12 febbraio 1985, n. 104, l’allora ministra Franca Falcucci ha
introdotto nella scuola italiana il principio dell’integrazione mediante l’assegnazione del
docente di sostegno alle classi che comprendevano studenti diversamente abili, aprendo
così la strada a interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni.
Sono state stabilite nuove norme sulla valutazione e aboliti gli esami di riparazione per la
scuola media. Sono stati rinnovati i programmi delle scuole elementari (ultimo
aggiornamento risale alla legge Ermini del 1955). Un altro elemento innovativo è stato
l’introduzione della pluralità di docenti per la stessa classe, non ben vista dagli oppositori
in quanto non teneva conto delle specifiche abilità/competenze degli insegnanti, tendendo
più alla prevalenza dell’uno o dell’altro componente. Le linee di pensiero che hanno
guidato gli aggiornamenti sono quelle cognitiviste, soprattutto quella di Jerome Bruner (i
cui saggi arriveranno in Italia tra gli anni ’70 e ’80), che ha sottolineato il collegamento
tra la componente biologica e naturale nell’apprendimento, confermando quindi gli studi
di Piaget. È stata data anche una particolare attenzione alla componente socio-culturale
secondo gli studi di Lev Vygotskij.
La legge 104/1985 ha avuto al suo interno uno spazio dedicato alla musica, nello
specifico all’“Educazione musicale al suono e alla musica” e tali indicazioni sono state

50
L’indirizzo musicale nella Scuola Media nasce con il decreto ministeriale 8 settembre 1975, che stabilisce
l’istituzione sperimentale dei corsi triennali ad orientamento musicale in Lombardia e prosegue nei quattro
anni successivi, interessando varie regioni con specifici decreti riguardanti le singole realtà scolastiche.
Bisognerà però attendere ben diciassette anni affinché “questo esperimento” fosse definitivamente
regolamentato con la legge del 13 febbraio 1996. Oggi esistono circa 700 scuole medie a indirizzo musicale
su tutto il territorio italiano, con la Sicilia, la Lombardia, Campania, Puglia e il Veneto fra le regioni con
presenze maggiori.

- 56 -
molto dettagliate, prevedendo numerose attività. Per la prima volta nella storia della
disciplina musicale nelle scuole si parlerà sia dell’ascolto che della produzione musicale,
del sapere e del saper fare con la musica e il suo linguaggio. Cito una parte delle
indicazioni nel programma: “L’educazione al suono e alla musica ha come obiettivi
generali la formazione, attraverso l’ascolto e la produzione, di capacità di percezione e
comprensione della realtà acustica e di fruizione dei diversi linguaggi sonori”.51
Gli anni successivi alla legge 104/1985, come i programmi delle materne del 1991,
l’eliminazione dell’esame di riparazione della legge del 1995, hanno segnato momenti
critici della scuola, ma sono stati anche gli anni di grandi obiettivi come quello
dell’innalzamento dell’obbligo scolastico (in quel momento fissato fino ai 14 anni), la
riforma dell’esame di maturità, il riordino dei cicli scolastici, e anche dell’autonomia
scolastica. È proprio quest’ultimo argomento a chiudere questo secondo grande periodo
della legislazione scolastica italiana. Ai sensi dell’art. 21 della legge n. 59 del 199752
viene varato il DPR 275/1999 “Regolamento recante norme in materia di Autonomia
delle istituzioni scolastiche”, demandando alle scuole l’autonomia didattica (scelte
curricolari ed extracurricolari) e organizzativa, dettagliata e declinata, così come ai sensi
dell’art. 3 del DPR, nel Piano dell’Offerta Formativa (POF). Il POF diventa il documento
costitutivo dell’identità culturale e progettuale dell’istituto scolastico.
Il terzo e ultimo periodo storico della legislazione scolastica italiana è stato
caratterizzato da una forte indecisione, dovuta ad un veloce cambiamento sociale e
culturale, ad un costante cambiamento di punti di vista, di indicazioni, ma anche
influenzato dall’instabilità politica italiana. È stato un periodo contraddistinto da diversi
passi indietro, da importanti raccomandazioni europee (anno 2006 e 2018), che i vari
Ministri della Pubblica Istruzione italiana hanno cercato di comprendere e includere nelle
proprie linee guida, dall’inclusione di tutti gli agenti formativi. Per ciò che riguarda
l’insegnamento di musica, l’obiettivo è sempre stato quello di arrivare a ritenere la musica
come una presenza autonoma e riconoscibile da parte del legislatore scolastico.
In questo terzo periodo storico ho incluso:
− la riforma Berlinguer – legge quadro 2000;
− legge Moratti del 28 marzo 2003 n. 53;

51
Programma tratto da https://www.saggiatoremusicale.it/wp-content/uploads/2021/05/orientamenti-per-
la-scuola-materna.pdf.
52
Legge 15 marzo 1997, n. 59 Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed
enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

- 57 -
− raccomandazioni europee 2006 e indicazioni ministeriali del Ministro
Giuseppe Fioroni (2007);
− la riforma Gelmini (2010);
− La Buona Scuola (2015) e la Buona Scuola Bis (2016);
− raccomandazioni Europee 2018…

La proposta di riforma di Luigi Berlinguer (Ministro della Pubblica Istruzione dal


1996 al 2000) è stata inserita nella “Legge quadro sul riordino dei cicli di istruzione”53
insieme alla Legge 10 dicembre 1997 n. 425, con cui è stato riformato l’esame di maturità.
L’esame comprendeva tre prove scritte e un colloquio; il punteggio è passato dai
sessantesimi ai centesimi, e l’esame di Stato viene valutato da una commissione composta
per metà da membri interni e per metà da membri esterni. Il Presidente era compreso tra
questi ultimi. Con la sua proposta egli dichiarava la volontà di annullare la distinzione tra
formazione culturale e formazione professionale e la necessità di introdurre un’istruzione
(successiva alla scuola materna) a due cicli: un ciclo unico di base arrivano fino ai
tredici/quattordici anni e un secondo ciclo che avrebbe previsto un’istruzione progressiva
fino ai diciotto anni, portando così l’obbligo scolastico fino ai sedici anni. Per coloro che
non volessero studiare e quindi terminare entrambi i cicli, compiendo solo gli anni
dell’obbligo scolastico, sono stati previsti dei programmi di formazione continua o
professionale con l’obiettivo di avviare al mondo del lavoro.
Gli obiettivi che aveva erano i seguenti:
Ciclo primario: Il primo ciclo aveva lo scopo di promuovere la formazione della
personalità di ogni studente favorendo l’alfabetizzazione e l’apprendimento di
conoscenze fondamentali. Un altro obiettivo era quello di favorire la nascita di
un’attitudine positiva all’apprendimento, allo scopo di riconoscere i valori della
convivenza civile e democratica.
Ciclo secondario: Aveva lo scopo di consolidare l’istruzione acquisita durante il
primo ciclo e fornire le competenze necessarie ad affrontare gli studi universitari o il
mondo del lavoro, a seconda degli obiettivi e delle capacità di ogni alunno. Esso si
articolava in sei macro aree. Ecco quali: umanistica, scientifica, tecnica, tecnologica,
artistica e musicale.
Alla fine, la riforma è stata così definita:

53
Legge 10 Febbraio 2000, n. 30 (Gazzetta Ufficiale n. 44 del 23 febbraio 2000).

- 58 -
− la scuola dell’infanzia;
− il ciclo primario (scuola di base), esteso otto anni come nel modello
francese, comprendente le elementari e le medie, proiettato alla
preparazione agli studi successivi;
− il ciclo secondario, esteso cinque anni e articolato in cinque differenti aree:
umanistica, scientifica, tecnica, artistica e musicale, e concluso dall’esame
di stato normato dalla Legge 10 dicembre 1997, n. 425 “Disposizioni per
la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione
secondaria superiore”;
− nelle università sono state introdotte le lauree triennali e le specialistiche.

Nella proposta del ministro Berlinguer si può notare un determinato tentativo di


dare risalto culturale alle scuole italiane e circa la musica in particolare. In occasione della
II giornata della festa della scuola del 5 maggio 1999 a Roma, Berlinguer pronunciò la
frase “un coro per ogni scuola”, con la quale non solo lanciava una sfida agli istituti
scolastici, ma mirava alla divulgazione e promozione della musica nelle scuole anche
attraverso laboratori e attività musicali.
Con la Legge il 28 marzo 2003 n. 53, Letizia Moratti emana le Indicazioni
nazionali per le scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado (Dlgs 19
febbraio 2004, n, 59), abolendo la riforma Berlinguer e tutti i suoi buoni propositi.
Effettua inoltre altri cambiamenti sull’ordinamento scolastico.
Ecco di seguito i principali:
• Scuola dell’infanzia: viene consentita l’iscrizione di bambini dai ventotto
mesi in poi, contro i precedenti trentasei;
• Scuola primaria: viene introdotto lo studio dell’inglese e l’utilizzo del
computer fin dal primo anno, l’esame del V anno viene abolito e al suo posto viene
introdotta una valutazione biennale (Invalsi);
• Scuola secondaria di primo grado: le ore di insegnamento della seconda
lingua passano da tre a due, viene introdotta una valutazione al secondo anno (prove
Invalsi) e l’esame di Stato al termine del terzo;
• Scuola secondaria di secondo grado: viene introdotta l’alternanza scuola-
lavoro negli istituti professionali e la possibilità di cambiare indirizzo senza perdere i

- 59 -
precedenti anni scolastici, ma sostenendo un esame sulle materie non trattate nella scuola
precedente;
• Università: nel 2006 viene introdotta l’idoneità scientifica nazionale,
requisito fondamentale per accedere ai concorsi per professori universitari.

Quindi, per una più chiara comprensione delle norme, d’ora in poi farò riferimento
a questa suddivisione di gradi scolastici: scuola dell’infanzia, scuola primaria e
secondaria (di primo e secondo grado).
Con le raccomandazioni europee del 2006 e del 2012, approvate alla Conferenza
di Lisbona, e quelle del 2018, sono avvenuti importanti cambiamenti nell’ambito
formativo generale, quindi anche in quello italiano. Da un punto di vista linguistico, da
questo momento in poi viene fatto riferimento agli obiettivi di apprendimento riguardanti
gli otto campi di competenza54 che saranno poi declinati, nel caso delle scuole
dell’infanzia e della scuola primaria, nei cinque campi d’esperienza, laddove invece nel
caso delle scuole secondarie di primo e secondo grado riguarderanno le discipline.
Per ciò che si riferisce all’insegnamento della musica, nelle scuole d’infanzia e
nella scuola primaria parleremo della competenza relativa alla consapevolezza ed
espressione musicale declinata all’interno del campo d’esperienza delle immagini, suoni
e colori. Nella scuola secondaria di primo e secondo grado, parleremo semplicemente di
musica, senza il termine “educazione” (vale lo stesso per l’educazione artistica e tecnica,
che diventeranno rispettivamente “Arte e Immagine” e “Tecnologia”), in modo da
renderli uniformi ad altre discipline come italiano, matematica, geografia. Ciascuna area
di competenza avrà al proprio interno gli obiettivi specifici di apprendimento; quelli per
la musica avranno due ambiti ben distinti, quello della produzione e quello della
percezione, dando un maggiore spazio al primo ambito.
Nella scuola secondaria di primo grado, a differenza dell’Arte e Immagine e
Tecnica, in cui gli aspetti del sapere e del saper fare sono armonizzati, la musica è
suddivisa in quattro sezioni: Pratica strumentale, Pratica vocale, Produzione musicale e
Ascolto, interpretazione e analisi, sinonimo di una disciplina che nella visione del
legislatore non si è ancora armonizzata (dal lat. harmonĭa(m), che è dal gr. harmonía

54
Secondo le raccomandazioni europee: competenza alfabetica funzionale, competenza multilinguistica,
competenza matematica e competenza di base in scienze e tecnologie, competenza digitale, competenza
personale, sociale e capacità di imparare ad imparare, competenza sociale e civica in materia di cittadinanza,
competenza imprenditoriale, competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali.

- 60 -
“giusta relazione, accordo”; in musica l’armonia sta principalmente per combinazione
simultanea di suoni di varia altezza). Ciò che cade subito all’occhio è proprio il contrasto
tra quanto presente nella definizione stessa della competenza secondo le indicazioni
Europee e la divisione che ne dà invece il legislatore italiano. Nelle successive indicazioni
ministeriali, come DM del 31 luglio 2007 n. 68 (del Ministro Giuseppe Fioroni) e quelle
nel DM del 16 novembre 2012 n. 254 (del Ministro Francesco Profumo), la rigidità
settoriale degli ambiti si è attenuata, viene dato un lieve accenno al fare, all’aspetto della
produzione piuttosto che a quelli della conoscenza e dell’ascolto.
Con il DM 4 febbraio 2010, meglio conosciuto come la riforma Gelmini,
l’insegnamento musicale, nelle scuole secondarie di secondo grado, vede concretizzata
l’attenzione al fare musica e alla produzione musicale nell’istituzione dei licei musicali e
coreutici, percepiti nella prospettiva professionalizzante, azzerando del tutto la cultura
musicale e la sua diffusione con la conseguente abolizione della disciplina musicale in
tutti gli altri licei. Questa norma è stata successivamente abrogata dalla legge 107/2015
con il DL 61/2017 che, secondo la tradizione, ha restituito agli istituti professionali per i
servizi socio-sanitari la musica, prevedendola per due ore settimanali, per poi essere
nuovamente annullata a partire dall’anno scolastico 2018/2019. Questa ulteriore
decisione avrà conseguenze non solo sugli studenti, ma anche su coloro che appartengono
alla classe di concorso A-29 Musica negli istituti di istruzione secondaria di II grado che,
a partire dall’anno scolastico 2019/2020, sono diventanti come fantasmi.
Le indicazioni relative all’insegnamento della musica nei licei musicali e
coreutici, racchiusi nell’art. 7 del programma del D.M., ci riportano al passato. La musica,
vista ancora una volta come una disciplina teorico-pratica e quindi finalizzata ad una
professionalizzazione (espressa anche dall’art. 13, comma 8, che obbliga i licei musicali
e coreutici alla stipula dei contratti e delle convenzioni con i conservatori e istituti
musicali pareggiati), e non solo; un ritorno al passato è anche il test d’ingresso che valuta
le capacità musicali e coreutiche e che lede il traguardo raggiunto precedentemente sul
libero accesso alla formazione secondaria e l’obbligo scolastico fino ai sedici anni d’età
(art. 7, comma 2), ma anche il ripristino del maestro unico, del voto in condotta e dei voti
in decimi. Infine, restando sulla linea della formazione all’interno dei licei musicali e
coreutici, un altro elemento che ha rappresentato una criticità di questa legge sono le
indicazioni sul programma dell’insegnamento della musica per le scuole primarie presenti

- 61 -
nel DM dell’Istruzione n. 8 del 31 gennaio 2011 (composto da 15 articoli),55 che nei primi
articoli ha definito tale insegnamento come “iniziative volte alla diffusione della cultura
e della pratica musicale nella scuola, alla qualificazione dell’insegnamento musicale e
alla formazione del personale ad esso destinato, con particolare riferimento alla scuola
primaria”. Una pratica musicale che doveva essere sia corale che strumentale e anche
presente in tutti gli ordini e gradi scolatici, favorendo così la verticalizzazione curriculare
(richiesta dalla necessità di declinare nei programmi almeno le otto competenze di base)
e valorizzando sia le pratiche didattiche che i percorsi formativi dei docenti. Potenziando
invece solo la pratica musicale nelle scuole primarie, veniva meno la base necessaria alla
formazione secondaria, nella quale invece si faceva riferimento ad una disciplina per il
cui insegnamento era necessaria l’abilitazione (rilasciata dai conservatori) ma che, allo
stesso tempo, dovevano sottintendere gli stessi docenti curriculari. Questa contraddizione
della formazione degli insegnanti ha suscitato molta polemica da parte dell’ambiente
universitario, il quale chiedeva che venissero inseriti nei requisiti curriculari anche altri
corsi di laurea da essi emessi, oltre a prevedere l’inserimento delle università stesse tra
gli enti formativi per tali insegnamenti.
Il DM del 16 novembre 2012, n. 254 Indicazioni Nazionali per il curricolo della
scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione,56 riferito sempre alla scuola primaria,
è un documento importante circa l’insegnamento di musica, perché rende giustizia alla
sua forza educativa, non considerandola solo nel suo aspetto pratico, ma richiamando le
sue diverse funzioni formative nell’ambito dell’ascolto, della comprensione e riflessione
critica. All’interno del documento sono state dettagliate le competenze e gli obiettivi di
apprendimento (avviate già nella scuola dell’infanzia) che ciascun alunno deve aver
acquisito al termine del percorso quinquennale. In un recente documento del MIUR datato
2018 si è sottolineata la necessità di aggiornare e modificare le indicazioni nazionali per
le scuole, ma tali modifiche non hanno portato grandi novità per ciò che riguarda
l’insegnamento della musica. Ecco alcuni brevi passaggi del documento:

55
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Decreto Ministeriale n. 8 del 31 gennaio 2011
Pratica musicale nella scuola primaria, https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/decreto-ministeriale-
8-del-31-gennaio-2011-pratica-musicale-nella-scuola-primaria.pdf/3f564e3e-6f2c-4250-b4bf-
6037ff97663a.
56
Ministero della Pubblica Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Direttiva del Presidente del Consiglio
dei Ministri 26 ottobre 2012, Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo
ciclo d’istruzione, http://www.indicazioninazionali.it/wp-content/uploads/2018/08/decreto-ministeriale-
254-del-16-novembre-2012-indicazioni-nazionali-curricolo-scuola-infanzia-e-primo-ciclo.pdf, cfr.
http://www.indicazioninazionali.it/wp-content/uploads/2018/08/decreto-ministeriale-254-del-16
novembre-2012-indicazioni-nazionali-curricolo-scuola-infanzia-e-primo-ciclo.pdf.*

- 62 -
Il canto, la pratica degli strumenti musicali, la produzione creativa, l’ascolto, la
comprensione e la riflessione critica favoriscono lo sviluppo della musicalità che è in
ciascuno; promuovono l’integrazione delle componenti percettivo-motorie, cognitive e
affettivo-sociali della personalità; contribuiscono al benessere psicofisico in una
prospettiva di prevenzione del disagio, dando risposta a bisogni, desideri, domande,
caratteristiche delle diverse fasce d’età. In particolare, attraverso l’esperienza del far
musica insieme, ognuno potrà cominciare a leggere e a scrivere musica, a produrla anche
attraverso l’improvvisazione, intesa come gesto e pensiero che si scopre nell’attimo in cui
avviene: improvvisare vuol dire comporre nell’istante. L’apprendimento della musica
esplica specifiche funzioni formative, tra loro interdipendenti. Mediante la funzione
cognitivo-culturale gli alunni esercitano la capacità di rappresentazione simbolica della
realtà, sviluppano un pensiero flessibile, intuitivo, creativo e partecipano al patrimonio di
diverse culture musicali; utilizzano le competenze specifiche della disciplina per cogliere
significati, mentalità, modi di vita e valori della comunità a cui fanno riferimento. Mediante
la funzione linguistico-comunicativa la musica educa gli alunni all’espressione e alla
comunicazione attraverso gli strumenti e le tecniche specifiche del proprio linguaggio.
Mediante la funzione emotivo-affettiva gli alunni, nel rapporto con l’opera d’arte,
sviluppano la riflessione sulla formalizzazione simbolica delle emozioni. Mediante la
funzione identitaria e interculturale la musica induce gli alunni a prendere coscienza della
loro appartenenza a una tradizione culturale e nel contempo fornisce loro gli strumenti per
la conoscenza, il confronto e il rispetto di altre tradizioni culturali e religiose. Mediante la
funzione relazionale essa instaura relazioni interpersonali e di gruppo, fondate su pratiche
compartecipate e sull’ascolto condiviso. Mediante la funzione critico-estetica essa sviluppa
negli alunni una sensibilità artistica basata sull’interpretazione sia di messaggi sonori sia di
opere d’arte, eleva la loro autonomia di giudizio e il livello di fruizione estetica del
patrimonio culturale.57

Le indicazioni nazionali del 2012 hanno definito anche il programma per la scuola
secondaria di primo grado (in quanto fa parte del primo ciclo d’istruzione), che sappiamo
ha una tradizione musicale più antica rispetto alle scuole dell’infanzia. Anche in questo
caso sono ben chiarite sia le competenze che gli obiettivi di apprendimento; a tal riguardo,
rispetto alle competenze specifiche sulla pratica strumentale ci si attiene al DM del 6

57
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, 22 febbraio 2018, Indicazioni nazionali e nuovi
scenari, http://www.indicazioninazionali.it/2018/02/18/documento-indicazioni-nazionali-e-nuovi-scenari/.

- 63 -
agosto 1999.58 Le indicazioni nazionali quindi rendono concreti i corsi sperimentali
attivati con la legge n. 124 del 3 maggio 1999 e definiscono che: ciascuna classe viene
suddivisa in quattro gruppi ad ognuno dei quali viene affidato uno strumento musicale tra
quelli definiti dal collegio dei docenti, tenendo conto dell’importanza e del valore della
musica d’insieme (art. 2); viene definito inoltre il numero delle ore d’insegnamento (art.
3), la cui finalità è la pratica strumentale individuale e/o in piccoli gruppi (che possono
variare nel corso dell’anno), l’ascolto partecipativo, le attività musicali di gruppo, la teoria
e lettura della musica (quest’ultimo insegnamento – un’ora settimanale per classe –
impartito eventualmente anche per gruppi strumentali).
La Legge del 16 luglio 2015, n. 107 Riforma del sistema nazionale di istruzione e
formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti, meglio
conosciuta come la Buona Scuola, emanata durante il governo Renzi e rinforzata con la
Buona Scuola Bis del 31 maggior 2017 (durante il Governo Gentiloni con la ministra
Valeria Fedeli), è stata l’ultima grande riforma scolastica italiana e può essere riassunta
in dodici punti fondamentali: l’autonomia scolastica (già in parte avviata con la legge
Bassanini); il PTOF (il programma formativo triennale strutturato sulla base delle risorse
degli istituti quali il personale, la rete sociale e il territorio e dove anche la formazione
dei docenti diventerà obbligatoria, permanente e strutturale); il curriculum dello studente
(la possibilità di personalizzare, a seconda degli obiettivi di studio o lavorativi e se
previsto dall’istituto di appartenenza il piano di studi); l’alternanza scuola-lavoro (viene
resa obbligatoria per gli studenti provenienti da qualsiasi istituto, non solamente da quelli
tecnici); l’innovazione digitale e didattica laboratoriale, per i quali sono stati stanziati
circa 90 milioni di euro); l’organico dell’autonomia; il superpreside; il piano assunzione;
la carta dei docenti; le agevolazioni fiscali; l’edilizia scolastica.
La Buona Scuola Bis è una riforma trasversale e prevede che tutti gli attori
impegnati nell’educazione e nella formazione umana, e anche coloro che sono impegnati
nella promozione e nella ricerca nell’ambito umanistico e culturale, collaborino al fine di
creare un sistema di promozione della conoscenza delle arti e della loro pratica, da
considerare un requisito fondamentale nel percorso formativo di ciascun ordine e grado
dell’istruzione scolastica. L’art. 1, comma 180 e 181 (lettera g) prevedeva l’adozione di
un decreto finalizzato alla “promozione e diffusione della cultura umanistica e
valorizzazione del patrimonio e della produzione culturali, teatrale, coreutici e

58
Riconduzione ad ordinamento dei corsi sperimentali ad indirizzo musicale nella scuola media ai sensi
della legge 3 maggio 1999, n. 124, art. 11, comma 9, il riferimento è in questo lavoro a pag. 55.

- 64 -
cinematografici” e ciò è stato raggiunto con il D.L. 13 aprile 2017, n. 60 intitolato “Norme
sulla promozione della cultura umanistica, sulla valorizzazione del patrimonio e delle
produzioni culturali e sul sostegno della creatività”.
Più dettagliatamente, la riforma delega al sistema nazionale d’istruzione e di
formazione il compito di garantire agli alunni e alle alunne il trasferimento della cultura
umanistica e del sapere artistico attraverso la promozione dello studio, della conoscenza
storico-critica e la pratica delle arti, inserendo nei propri PTOF (Piani Triennali
dell’Offerta Formativa) le attività teoriche e pratiche, anche laboratoriali, attività di
studio, approfondimento, di produzione, ecc. Le attività dovrebbero essere realizzate
mediante attività curriculari che mantengano quell’idea della verticalità già vista nelle
indicazioni europee, coinvolgendo anche gli attori extrascolastici quali scuola-lavoro o le
collaborazioni con altri istituti scolastici e/o di formazione, ma anche non sottovalutando
la collaborazione della scuola con i luoghi di cultura, con enti privati e pubblici
nell’ambito artistico e musicale. Rispetto ai temi della creatività connessa con la musica
si parla della conoscenza storico-critica della musica, della pratica musicale, della pratica
strumentale e del canto, della fruizione consapevole delle arti che possono essere trattate
attraverso la costituzione di un sistema coordinato composto dai vari enti impegnati
nell’istruzione e formazione degli studenti. L’art. 5 introduce il “Piano delle arti”,59 un
programma triennale costituito da diverse misure destinate alla promozione della cultura
e che, per la musica, prevede da un lato il potenziamento delle competenze pratiche e
storico-culturali musicali e dall’altro l’incentivazione dei tirocini e stage artistici, anche
all’estero. Rispetto alla collaborazione da parte degli istituti scolastici è prevista anche
quella con l’INDIRE (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca
Educativa), al fine di realizzare attività connesse agli obiettivi del decreto. L’art. 8 fa
riferimento alla formazione dei docenti rispetto ai “temi della creatività”, in relazione sia
al Piano nazionale di formazione (previsto dalla stessa Legge) che alla loro collaborazione
con i diversi soggetti del pubblico e del privato.
Gli artt. 9 e 15 entrano più nel dettaglio dell’aspetto formativo per il primo e il
secondo ciclo d’istruzione. Per ciò che riguarda il primo ciclo (quindi scuola primaria e
secondaria di primo grado), si fa riferimento alla promozione della pratica musicale legata
alle tematiche della creatività con il contributo dei docenti “dell’organico dell’autonomia

59
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 dicembre 2017, Adozione del piano delle arti, ai
sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 60,
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/03/01/18A01381/sg.

- 65 -
e del contingente” (così come indicato nell’art. 17, comma 3), ma anche con eventuali
progettazioni in poli a orientamento artistico e performativo (art. 11).
Le scuole secondarie di primo grado a indirizzo musicale (art. 12) hanno la
possibilità di “attivare, nell’ambito delle ordinarie sezioni, percorsi a indirizzo musicale,
prioritariamente per gruppi di studentesse e studenti, in coerenza con il Piano triennale
dell’offerta formativa”, rimandando a un successivo DM dell’Istruzione che disciplini:
a) le indicazioni nazionali per l’inserimento dell’insegnamento dello strumento
musicale, in coerenza con le indicazioni relative all’insegnamento della disciplina della
musica, tenuto anche conto delle competenze richieste per l’accesso ai licei musicali;
b) gli orari;
c) i criteri per il monitoraggio dei percorsi a indirizzo musicale».

Sulla linea delle indicazione per l’istruzione del primo ciclo, vengono strutturate
anche le indicazioni relative alla scuola secondaria di secondo grado (l’art. 13) e
riguardano sempre la promozione della pratica musicale, definita nel PTOF e organizzata
in attività che comprendono la conoscenza della storia delle arti, dell’antichità e del
patrimonio culturale, nonché la pratica musicale grazie allo sviluppo di uno o più temi
della creatività usando i nuovi linguaggi multimediali e le nuove tecnologie. In questo
modo le attività diventano una continuazione di quanto viene fatto nella scuola secondaria
di primo grado.
Ciò che viene fuori anche da quest’ultima riforma scolastica conferma che l’intera
idea della musica, da un punto di vista culturale e d’ispirazione, è legata prettamente alla
pratica musicale, una pratica con la sola finalità performativa, mancando invece di un
aspetto culturale, formativo, del senso patrimoniale, di quella forza dell’antichità e della
storia della musica che nella legislazione scolastica italiana, anche nella legge 107/2015,
è assente nell’istruzione secondaria di secondo grado.
Infine, con l’anno scolastico 2018/2019 è calato del tutto il sipario
sull’insegnamento della musica come disciplina curriculare nella scuola secondaria di
secondo grado. La conseguenza non riguarda solo l’istruzione degli studenti, ma anche i
docenti che appartengono alla classe di concorso A-29; il Piano delle Arti rilanciato dal
Governo si è dimostrato un contenitore vuoto, un modo per emanare bandi al fine di
terminare le risorse economiche del MIUR, ma non per promuovere davvero la valenza
educativa delle arti e quindi anche della musica. L’orientamento che i nuovi regolamenti
della scuola secondaria di secondo grado volevano dare, quello di orientare il

- 66 -
superamento della curricolarità della musica a favore della libera scelta e dell’appalto a
soggetti esterni, ha però di fatto rappresentato l’eliminazione della musica come
disciplina da tutti i piani di studi, andando, ancora una volta a:

• negare la valenza dell’insegnamento della Musica, in tutte le sue possibili


declinazioni, nella preparazione culturale degli adolescenti;
• negare il diritto degli studenti di possedere un minimo di strumenti critici e
analitici per orientarsi nella società attuale intrisa, a tutti i livelli, di messaggi
musicali;
• negare, contro ogni evidenza, la forza della Musica come linguaggio in grado di
esprimere le ansie, le aspirazioni, ecc. delle diverse epoche;
• pensare che la Musica debba essere studiata solo dai musicisti;
• perpetrare l’idea di separatezza e di isolamento tra istruzione musicale e gli altri
saperi e le altre discipline, tipica della tradizione culturale del nostro paese.

Possiamo perciò dire che nel corso di tutto il Novecento la musica ha faticato ad
individuare un proprio statuto disciplinare e ad essere vista come materia, al pari delle
altre, in grado di attivare le facoltà cognitivo-culturali, linguistico-comunicative, estetico-
critiche, faticando a far riconoscere i suoi contenuti caratterizzanti. Un esempio è dato
dalla tradizione operistica nazionale e dalla musica d’arte europea che, ancora oggi, non
trovano spazio segnalabile nella scuola italiana. Una porta aperta in questo senso era stata
possibile negli anni Settanta, quando si è avuto modo di dare un maggiore e per certi versi
decisivo spazio alla musica: piuttosto che valorizzare contenuto e metodi di trasmissione
più efficaci, si è posto l’accento sui contenuti, perdendo l’occasione di dare la giusta
attenziona ad entrambi gli elementi.
Alla luce di quanto detto finora, è necessario sottolineare che, rispetto
all’insegnamento della musica, la legislazione scolastica presenta ancora oggi nodi da
sciogliere, tra i quali, quella della visione della musica come disciplina prevalentemente
pratica è certamente il maggiore. Questo perché
− ha posto la musica su due estremi opposti: quello del carattere amatoriale della
musica e quello del carattere professionalizzante, con l’istituzione di scuole
destinate alla formazione di professionisti. Il legislatore ha cercato di colmare il
primo aspetto con il secondo;

- 67 -
− ha creato due criteri, due elementi identificativi permanenti che ne hanno segnato
le sorti nel mondo della scuola, quello dell’isolamento e l’impermeabilità.
Valorizzando esclusivamente l’aspetto pratico della musica, significa non tenere
conto della sua storia, non tenere conto in alcun modo che esiste una tradizione
didattico-pedagogica al pari delle altre materie e che ciò può dare, così come
accade per le altre discipline (lettura e comprensione dei testi, scrittura critica,
storia del pensiero), un diverso impianto metodologico. In questo senso la grande
sfida era l’introduzione dello studio della storia della musica negli istituti
secondari;
− ha dato come risultato finale una scarsa conciliazione tra le azioni in senso
‘orizzontale’, rivolta alla massima diffusione della pratica musicale, e quelle in
senso ‘verticale’, necessarie per un processo formativo globale. Su questo punto,
si attende ancora la pubblicazione di un decreto attuativo della Legge 107/2015
che possa rivedere, rispetto alle esperienze vocali e strumentali, l’assetto delle
scuole medie a indirizzo musicale, perché rappresentino un importante ponte con
i successivi gradi d’istruzione, rendendo migliore il perfezionamento nei licei e
quindi nei conservatori e nelle università (almeno per quanto concerne le
discipline teorico-storico-critiche).

È proprio questa la grande sfida delle future legislazioni scolastiche: elaborare un


programma capace di allontanare la cultura musicale dall’emarginazione di cui essa soffre
nel paradigma educativo nazionale, in modo che possa contribuire, come avviene per
l’arte e per la letteratura, alla formazione umanistica dei cittadini e al miglioramento della
nostra società. Provare a confermare quanto è stato inserito nei documenti ufficiali
dell’istruzione scolastica italiana:

“L’asse dei linguaggi ha l’obiettivo di far acquisire allo studente […] la conoscenza e la
fruizione di molteplici forme espressive non verbali”. “L’integrazione fra i diversi
linguaggi costituisce strumento fondamentale per acquisire nuove conoscenze e
interpretare la realtà in modo autonomo”.60

60
Decreto Legislativo 17 ottobre 2005, n. 226 Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi
al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, a norma dell'articolo 2 della legge 28
marzo 2003, n. 53, Allegato A, tratto dal Profilo educativo, culturale e professionale dello studente a
conclusione del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione,
https://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/05226dl.htm.

- 68 -
“A conclusione dell’obbligo di istruzione sono indispensabili la conoscenza degli elementi
fondamentali per la lettura/ascolto delle opere musicali e delle principali forme di
espressione artistica”.61

2.2. La pigrizia epistemologia della musica

“Per poter ascoltare la musica e non sentirla,


dobbiamo conoscerla, dobbiamo conoscere le sue leggi,
come quando decidiamo di leggere un libro,
creiamo una nostra esperienza personale intorno ad esso.
Daniel Barenboim62

Nel precedente paragrafo ho posto al centro la questione dell’insegnamento di


musica nelle scuole, sottolineando l’incapacità del legislatore a vederla come uno
strumento utile alla crescita culturale. Questo mi ha portato a fare due considerazioni: una
relativa all’impoverimento umano della popolazione scolastica e l’altra su una certa
pigrizia epistemologica che la disciplina vive all’interno delle istituzioni scolastiche
stesse.
Con il termine epistemologia:

si indica lo studio dei criteri che consentono di qualificare “scienza” (e non semplice
opinione) una conoscenza […] cercare il criterio della scientificità nella prassi: […] ciò che
garantisce il carattere scientifico di una teoria sarebbe esclusivamente il suo successo
pratico, la sua efficacia nelle applicazioni.63

61
D. M. 139/07 del 22 agosto 2007, Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo
di istruzione, l’Allegato tecnico:
cfr. https://archivio.pubblica.istruzione.it/normativa/2007/allegati/all_dm139new.pdf.
62
B. Daniel, La musica sveglia il tempo, Milano, Feltrinelli, 2007, cap. 2.
63
La Nuova Enciclopedia delle Scienze, p. 550, Garzanti, prima ediz. ottobre 1988; epistemologìa s. f.
[dall’ingl. epistemology (comp. del gr. ἐπιστήμη “conoscenza scientifica” e -logy “-logia”), termine coniato
(1854) dal filosofo scozzese J. F. Ferrier]. Nella filosofia del sec. 19°, la parte della gnoseologia che più in
particolare si occupava dei metodi e dei fondamenti della conoscenza scientifica. In un’accezione più
moderna e corrente, che prescinde dalla priorità dell’indagine gnoseologica e preferisce insistere
sull’esemplarità della scienza positiva, s’intende per epistemologia l’indagine critica intorno alla struttura
e ai metodi (osservazione, sperimentazione e inferenza) delle scienze, riguardo anche ai problemi del loro
sviluppo e della loro interazione, sinonimo quindi di filosofia della scienza; può riferirsi anche all’analisi
critica dei fondamenti di singole discipline: epistemologia della matematica, epistemologia della fisica,
ecc., o della conoscenza in quanto tale (epistemologia genetica, epistemologia evoluzionistica): cfr.
Vocabolario Treccani.

- 69 -
Quando alle porte del Novecento iniziava ad avviarsi la legislazione scolastica
italiana, e iniziavano a far capolino anche tante novità nel mondo della psicologia,
pedagogia ed educazione, ma anche si assisteva all’avanzare di grandi e veloci
cambiamenti sociali e culturali (soprattutto la globalizzazione), si delineò la vera sfida
del XXI secolo, quella dell’istruzione. L’importanza che si venne a dare alla cultura e
all’istruzione in quel momento riguardò anche l’educazione musicale e il suo ruolo
all’interno della scuola, un ruolo faticoso e ostacolato da molteplici fattori.
Perché questa fatica? Era una difficoltà legata prettamente alla musica come
disciplina oppure la questione riguardava una difficoltà generale sulla capacità di
riconoscere la cultura come uno degli assiomi su cui basare la formazione del proprio
popolo e le leggi della propria nazione? Il Maestro Claudio Abbado, direttore d’orchestra
italiano affermava che “La cultura permette di distinguere tra bene e male, di giudicare
chi ci governa. La cultura salva”. Abbiamo forse avuto classi politiche le cui scelte sono
andate a discapito, soprattutto, della crescita umanistico-culturale e sociale? Poteva la
musica in questo senso essere un agente positivo e intrecciarsi con la nostra storia e
ritrovare elementi utili al progresso e sviluppo? Io penso di sì, lo si sarebbe potuto fare,
con la musica così come con qualsiasi altra arte, e invece le cose hanno avuto un decorso
molto diverso.
Un primo intoppo, quindi, ha riguardato e in parte riguarda ancora oggi le classi
politiche, che faticano ad attribuire alla cultura un ruolo centrale e totalizzante nella
formazione dei cittadini. Con le leggi scolastiche di fine Ottocento e dei primi del
Novecento si era riusciti a dimostrare il contrario; infatti, si è visto un concreto tentativo
di promozione culturale attraverso il canto (una pratica che era a portata di tutti, anche di
coloro che appartenevano ai ceti più bassi) al fine di ridurre le differenze territoriali.
Questo passo avrebbe potuto fare da apripista nel migliorare l’istruzione generale, ma
soprattutto, di coloro che sarebbero un giorno diventati maestri di scuola. Al contrario,
con le leggi scolastiche degli anni Venti del Novecento, si è toccato il punto più basso
della promozione culturale nelle scuole. I programmi scolastici delle scuole Femminili e
delle Scuole Normali (futuri istituti Magistrali) erano, in generale, molto nozionistici,
poco propositivi e fiduciosi nelle capacità dei futuri maestri, per i quali, non si riteneva
necessaria una particolare preparazione, né didattica, né culturale; ancor di più se a
formarsi fossero state le donne. A queste ultime veniva richiesto semplicemente di sapersi
comportare verso i propri alunni in maniera naturale, con tenerezza e accoglienza, seppur

- 70 -
in mancanza di un’adeguata formazione. Tale considerazione ha influenzato anche le
future generazioni a prediligere negli studi superiori le materie classiche, facendo
diventare popolare o professionale tutto ciò che non aveva grande valore culturale e che
potesse garantire solo l’obbligo scolastico. Binomio che dura, in parte, anche oggi.
Il periodo fascista non si può certo dire un periodo storico e sociale utile alla
valorizzazione della cultura, dell’inclusione, del progresso del popolo italiano, anzi, al
regime serviva una condizione socio-culturale esattamente opposta, quella del ‘fare –
senza pensare’ che ha trovato la sua concretizzazione nella riforma scolastica di quegli
anni, la riforma Gentile. Essa è stata demolitrice del valore e dell’identità culturale della
musica, riducendola ed emarginandola alla pura pratica scolastica, che serviva per creare
gruppi di persone alfabetizzate tra bande e cori. Tali gruppi dovevano essere
politicamente ammaestrati verso il regime e dovevano rivolgere canti e inni al Duce. Ad
attirare il regime e a permettergli di consolidare la sua di strategia culturale, era soprattutto
il canto corale; il che evidenziava, paradossalmente, la potenza educativa e culturale di
questo strumento che, al contrario, le istituzioni scolastiche non accoglievano.
Gli anni Venti del Novecento possono essere considerati come gli anni del
massimo degrado e strumentalizzazione della musica scolastica, come del resto di tutto il
mondo della scuola del periodo fascista. Il critico musicale fiorentino Luigi Parigi, nella
sua opera del 1921 Il momento musicale italiano, sottolineava che il movimento creatosi
in questo periodo avrebbe però potuto essere un buon movente per il futuro, ma, a causa
di alcuni elementi, ciò non era stato possibile. Eccoli elencati di seguito:64

− la concezione ottocentesca musicale, e quindi la forte identificazione della musica


con l’opera che le ha fatto perdere l’aspetto culturale;
− l’interdisciplinarietà in senso ampio e il non vedere la musica come un possibile
nutrimento dell’anima, un possibile strumento per la creazione di una coscienza
umana;
− la scarsa attenzione all’editoria musicale, soprattutto quando si prendono in
considerazione i manuali per l’insegnamento musicale ricchi di nozioni, ma di
alcuna utilità formativa.

64
Parigi, come citato da Casadei Turroni Monti, 2007, pp. 243-4.

- 71 -
Come si può notare, sono elementi in parte già visti ed è quindi doveroso
sottolineare che questi vanno intesi come punti critici non solo degli ambienti della scuola
generica, ma anche degli ambienti musicali; anzi, i sostenitori della riforma ceciliana su
questi punti ci avevano già iniziato a lavorare. La sintesi a cui infine arriva Parigi è che
chi si occupa di critica e logica, della conoscenza, non prende in considerazione l’arte,
mentre i musicisti non sono in grado di usare la critica e la logica e l’intera arte del
conoscere, del pensare e dell’esprimersi. Non sono in grado neanche di uscire dalla
didattica dei Conservatori per arricchire sia l’approccio musicale che l’aspetto
epistemologico. Tutto questo perciò confermerebbe che l’idea italiana dell’arte musicale
è errata, simile all’idea che si ha del talento e di cui abbiamo già parlato: qualcosa di dato,
di infuso che non necessità di applicazione, di studio, di ricerca, della storia. Invece è
proprio lì che va ricercata la soluzione: nella radice culturale della musica, nella sua
capacità di essere riconosciuta come parte di una complessiva rete culturale, civile e
umana ed è per questo che è molto grave rimanere attaccati alla musica solo come pura
pratica. Ridurre l’insegnamento musicale al puro apprendimento del fare musicale,
escludendone la conoscenza e la comprensione, esclude del tutto il concetto della
competenza e delle attitudini musicali, laddove l’odierno sistema scolastico configura
l’ambito musicale come l’insieme di conoscenza, abilità e atteggiamento.
L’impoverimento culturale e la mancanza epistemica della musica nella scuola
caratterizzano anche gli ambienti musicali, quello dei conservatori ad esempio, sia come
istituzione da un punto di vista decisionale e organizzativo, sia come atteggiamento dei
maestri. Un atteggiamento che spesso non contrasta il pensare e agire generale, ma lo
adotta. Quella dell’ascolto e dell’interpretazione musicale dovrebbe essere un’abitudine
che mira e raggiunge la conoscenza storica della musica, lo sviluppo del senso critico e
estetico, la capacità di interpretare stando nel contesto storico e culturale del brano. Ciò
diventa fondamentale e non ha nulla a che vedere con la spontaneità (sarebbe più giusto
dire spontaneismo) o con la sensibilità dell’interprete, perché è proprio la conoscenza che
lo studente o il musicista ha del brano, dello spartito che renderà questo incontro più
autentico e meraviglioso:

[per] riuscire a indovinare esattamente tutto quel che ebbe nel cuore e nella mente il suo
autore, e allora, per riuscire a tanto, varrà la pena di analizzarla e di studiarci sopra: se no,

- 72 -
tanto fa affidarsi al proprio istinto, alla propria sensibilità, e accontentarsi di quel poco o
tanto che così sia possibile ottenere.65

Con siffatte basi, un sistema scolastico musicale non avrebbe mai potuto
focalizzare la propria attenzione su elementi più raffinati, come quelli legati
all’interpretazione (soprattutto della musica sacra). Luigi Tronchi suggeriva di creare “un
procedimento che abbia le basi nella storia della tecnica e dei diversi stili”, suggerimento
ancora attuale, perché quelle basi sono parte di una formazione storico-estetica in quanto
parte di una coscienza della cultura storica e dell’esperienza dei fatti. È sempre Tronchi
che cito:

Naturalmente l’artista che sorge da un’educazione intesa con sì feconda ampiezza di vedute
con tanto senso di praticità e lungi dall’egoismo, che è la vera malaria del musicista italiano,
è, per sol fatto della sua pratica dell’arte, completo e colto, colto nell’intelletto e nell’anima
insieme, in cui piovvero le stille dell’arte tutta, di tutti gli uomini, di tutti i secoli, di tutte
le Scuole; e dove vi è talento tutto ciò feconda e porta a risultati meravigliosi, ma
spiegabilissimi.66

Anche nella mia personale esperienza musicale come studentessa di


conservatorio, questa mancanza didattica è stata avvertita. Non volevo essere un mero
esecutore del brano, ma, per motivi prettamente di organizzazione didattica, non potevo
accedere ai corsi come la storia della musica e avere, storicamente e culturalmente,
ulteriori riferimenti musicali che mi avrebbero potuto arricchire. Questa mancanza,
prolungatasi per anni, ha reso il mio percorso di studi più povero, portandomi poi alla
scelta di abbandonare questo tipo di formazione e cercare altri percorsi musicali più affini
anche alla mia ricerca personale, educativa e formativa.
Ciò che importa tenere in conto è che nelle esperienze musicali entrano in gioco
sempre tre soggetti, il compositore l’esecutore e l’ascoltatore, che mettono in gioco le
rispettive abilità: creativa, esecutiva e dell’ascolto. La cosa necessaria, a mio avviso, è
considerare il fatto che questi tre ruoli, e quindi queste tre abilità, abitano e devono essere
al meglio sviluppate anche in una sola persona, soprattutto attraverso le attitudini. Quindi,
chi ha il compito di redigere i programmi scolastici, sia che si parli della scuola generica

65
Pizzetti, come citato da Casadei Turroni Monti, 2008, p. 247,
66
Tronchi, come citato da Casadei Turroni Monti, 2008, p. 157.

- 73 -
o musicale, deve tenerne conto e declinare il tutto in attività, mettendo al centro l’aspetto
culturale attraverso la musica. Come sia possibile fare ciò in una società come quella del
XXI secolo, definita società di conoscenza?... senza rassegnarsi, si può e lo si deve fare.
Lo si può fare a partire dal consolidamento delle attività ed esperienze musicali
con metodi che richiamino il fare e pensare la musica in maniera attiva. Il metodo attivo
(di cui parlerò nel terzo capitolo) include un ‘corpo musicale’ che memorizza e
interiorizza; attraverso di esso lo studente diventa protagonista della personale esperienza
musicale. L’importanza dell’esperienza corporea è data dal suo vissuto emo-tono-
muscolare e dal fatto che la nostra memoria registra e immagazzina queste esperienze.
Una pedagogia musicale cosciente (Stefani 1989) necessita di un corpo musicale pieno
di mente per poterlo rendere un vero e proprio soggetto musicale incarnato, un soggetto
musicale che abbia fatto esperienza di una reale coscienza sonoro-musicale, anch’essa
incarnata. Questa prassi, che per i piccoli della scuola dell’infanzia o per gli alunni del
primo ciclo d’istruzione può essere applicata in tanti altri campi d’esperienza o discipline,
diventa una base fondamentale per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado,
che hanno tra i loro obiettivi di apprendimento anche la musica digitale.
Lo si deve fare perché in una società di conoscenza è necessario un agire con
competenza, e la musica in questo può essere un enorme strumento d’insegnamento. La
scuola è un luogo che deve, allo stesso tempo, valorizzare sia l’individualità che la
collettività; la formazione delle menti dev’essere più ampia possibile affinchè ciascun
soggetto possa scegliere la migliore delle strade per se stesso. In altre parole, deve avere
più modi di interpretare, più punti di vista e più comportamenti che, grazie alla musica
diventano musicali nello specifico, ma sono validi per la vita e per qualsiasi professione
venga scelta. Lo si deve fare perché la nostra società è soggetta ad una costante
trasformazione e la musica può aiutare, sia grazie ai suoi vari scopi-obiettivo, sia grazie
alle varie metodologie operative, allo sviluppo di un’intelligenza flessibile, di un corpo-
mente sempre più preparato alle “logiche di continuità e discontinuità”.67 Lo si deve fare
perché le azioni musicali odierne sono sempre più azioni pluridisciplinari,
multidisciplinari e interdisciplinari, laddove agire con competenza significa sapersi
muovere integrando le abilità e le conoscenze tra i vari linguaggi che la musica trasmette

67
M. Spaccazocchi, (2018). Curriculi verticali di educazione musicale. In L. Guerra, G. Cerini e C. Petracca
(a cura di), Una scuola per le ragazze e i ragazzi che avranno 20 anni nel 2030. Linee guida per i nuovi
curriculi. Repubblica San Marino: Segreteria di Stato, p. 2, https://www.musicheria.net/,
https://www.musicheria.net/rubriche/studi-e-ricerche/1151-curricoli-verticali-di-educazione-musicale.

- 74 -
per apprenderli e riceverne utilità nella vita. Questo perché l’educazione musicale, come
ogni altra forma educativa, crea la domanda, crea il dubbio, cerca le possibili risposte,
non accetta e basta, ma permette di sviluppare il senso critico. Una credenza diventa
conoscenza solo grazie all’educazione dello spirito critico e l’educazione musicale può
essere un grande contributo in questo, trovandosi su una costante ricerca del sapere, del
saper fare e del saper essere. È uno strumento, è un mezzo che stimola un atteggiamento
critico negli alunni e studenti, che permette loro di porre domande sempre più intelligenti
e arrivare alle risposte sempre più affidabili. Un senso critico che diventa un dibattito
sano, che diventa uno strumento valido per la promozione della competenza di
cittadinanza. Un buon docente, una buona pratica di educazione musicale basata anche
sulla “musicofilia (Sacks 2008), principio biologico che accomuna tutti gli esseri umani
definibili come esseri musicalmente vitali”,68 permette di pensarci come cittadini musicali
biologici oltre il senso di appartenenza ad una nazione, semmai riconoscendoci in un
principio di cittadinanza. Infine, le esperienze musicali di classe e le diverse modalità con
cui avviene il fare musica d’insieme, porta il singolo a prendere sempre maggiore
coscienza di sé, ma anche della classe, del bisogno e della necessità della collaborazione,
del rispetto dei ruoli, dell’ascolto di sé e dell’altro, dando vita così ad un modo di fare
“musicale” finalizzato alla creazione sì di un progetto o esecuzione di un brano, ma che
diventa anche un modo di essere per la vita.
Perciò, un curriculum musicale verticale da un lato garantisce un più ampio campo
di competenze musicali, ma dall’altro è anche garante di maggiori possibilità, maggior
rispetto della diversità, miglior scelta del proprio campo d’azione, sia in musica che in
campo di vita generale.

2. 3 Le competenze chiave e la competenza musicale

Alla luce di quanto ho trattato nel primo paragrafo di questo capitolo, l’attuale
formazione scolastica circa l’insegnamento della musica, così come di tutte le altre
discipline, è regolamentato dalle Indicazioni Nazionali per il curricolo emanato dal
Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca.

68
Ibidem, p. 3.

- 75 -
La programmazione e gli obiettivi che ciascuna nazione si pone per la formazione
dei propri studenti e docenti è parte delle Raccomandazioni Europee su competenze
chiave per l’apprendimento permanente, un documento che la Comunità Europea ha
emanato nel 2006 e aggiornato nel 2018 e che, al suo interno, contiene la direzione che
l’Europa ha intrapreso circa la formazione dei propri cittadini. La nuova società
globalizzata, che basa la sua economia soprattutto sulla conoscenza e sul sapere, richiede
al cittadino europeo adattamento e flessibilità. A tale scopo, l’istruzione e la formazione
devono essere di qualità e orientate verso l’acquisizione di tali atteggiamenti,
indispensabili per essere noi tutti cittadini globalizzati.
In virtù di ciò, la formazione dei cittadini europei è stata sviluppata attraverso otto
competenze69 chiavi, allo stesso tempo trasversali tra di loro, ma anche trasversali rispetto
a diversi ambiti della vita che, nella versione aggiornata del 2018, sono stati suddivisi tra
necessità – la realizzazione personale, la salute, l’occupabilità – e diritti – inclusione
sociale e cittadinanza attiva responsabile. Di conseguenza,

le otto competenze chiavi sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo
sviluppo personali, l’occupabilità, l’inclusione sociale, uno stile di vita sostenibile, una vita
fruttuosa in società pacifiche, una gestione della vita attenta alla salute e la cittadinanza
attiva.70

E sono quelle che vengono raggiunte attraverso un apprendimento permanente in


ambienti formali, non formali e informali.
A loro volta, le otto competenze chiave sono state così definite:
1. competenza alfabetica funzionale
2. competenza multilinguistica
3. competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie, ingegneria
4. competenza digitale
5. competenza personale, sociale e capacità di imparare ad imparare
6. competenza in materia di cittadinanza

69
Termine usato per la prima volta da Noam Chomsky nell’ambito degli studi psico-linguistici per intendere
una complessità di abilità e di regole interiorizzate, che spiegano come l’individuo sia capace di capire ed
esprimere gli enunciati linguistici diversi: cfr. Della Casa, M. Educazione musicale e curricolo, Zanichelli,
Bologna, 1985, p. 25.
70
Il consiglio dell’Unione Europea, 22 maggio 2018, Raccomandazione del Consiglio relativa alle
competenze chiave per l’apprendimento permanente, https://eur-lex.europa.eu/legal-
content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32018H0604(01).

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7. competenza imprenditoriale
8. competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali

Secondo le Raccomandazioni Europee del 2018, esse sono una combinazione di


conoscenze, abilità e atteggiamenti appropriate al contesto:

La conoscenza: si compone di fatti e cifre, concetti, idee e teorie che sono già stabiliti e che
forniscono le basi per comprendere un certo settore o argomento; le abilità: si intende
sapere ed essere capaci di eseguire processi e applicare le conoscenze esistenti al fine di
ottenere risultati. Gli atteggiamenti: descrivono la disposizione e la mentalità per agire o
reagire a idee, persone o situazioni.71

Accanto alle otto competenze chiave, sono state individuate ulteriori competenze,
considerate trasversali, che, unite a quelle disciplinari, sono utili anche al di fuori dai
contesti formali. Esse sono: life skills (abilità di vita), descritte come atteggiamenti e
abilità psicosociali di comportamento adattivo e positivo, che permettono all’individuo di
affrontare efficacemente le esigenze e le sfide della vita quotidiana. Queste competenze
sono dichiarative (sapere), procedurali (saper fare) e pragmatiche (sapere come fare) e
possono essere suddivise in tre macro-aree: del conoscere, del relazionarsi e
dell’affrontare. Queste aree a loro volta si possono declinare in competenze particolari e
abilità più semplici, tra cui la cittadinanza, l’educazione ambientale, e lo sviluppo
sostenibile (cfr. www.orizzontescuola.it); hard skills intese come abilità tecniche e
“specifiche” professionali; soft skills nel senso di qualità, abitudini e atteggiamenti
trasversali, applicabili in tutti i settori della vita, quali per esempio autostima,
autogestione, senso di responsabilità, leadership, gestione del tempo, motivazione,
flessibilità, empatia, il prendere decisioni.
Come avvicinare questo aspetto delle competenze all’insegnamento della musica
nelle scuole di ogni ordine e grado? La scuola è un ambito di educazione formale e le otto
competenze, per essere raggiunte, vengono declinate nei programmi scolastici che, come
da DPR 275/1999, in buona parte rimandano alle Indicazioni Nazionali e per il resto
vengono autonomamente definiti dagli istituti nei propri PTOF.

71
Il consiglio dell’Unione Europea, 22 maggio 2018, Raccomandazione del Consiglio relativa alle
competenze chiave per l’apprendimento permanente, https://eur-lex.europa.eu/legal-
content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32018H0604(01).

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Le indicazioni europee vengono declinate nella programmazione, che a sua volta
permette di definire il curricolo: il progetto organizzato di un insegnamento, il quale viene
elaborato dagli operatori scolastici che pianificano il lavoro, calibrandolo, secondo le
esigenze del contesto. Il curricolo, alla luce dell’obiettivo disciplinare (che nelle
indicazioni viene indicato come obiettivo specifico di apprendimento) va ad individuare
tutte le attività e itinerari, specifici questa volta e da attuare, tenendo conto delle
molteplici variabili: l’ambiente scolastico, gli insegnanti, gli alunni e anche i mezzi che
si hanno a disposizione. Gli obiettivi sono visti come possibili campi di miglioramento,
come eventuali cambiamenti, e occorre che siano concreti perché devono poter essere
valutati e misurati.
Gino Stefani, nel suo lontano saggio La competenza musicale del 1982, definisce
la competenza musicale come “un insieme di sapere, di saper fare e di saper comunicare:
in altri termini, come una capacità di produzione di senso e/o intorno alla musica.”72 Per
approdare a tale competenza occorre muoversi su diversi livelli di attuazione; quello che
interessa a noi, per i nostri ragazzi, non è di arrivare alla competenza del musicista o del
musicologo, ma di far giungere loro alla competenza di sviluppo e di crescita umana, fino
all’acquisizione di adeguate capacità di interazione con il resto del mondo.
Come ogni altra disciplina, anche la musica ha la sua intenzionalità formativa73 e
permette lo sviluppo di abilità cognitive, sviluppo della personalità, promozione di
atteggiamenti e modelli comportamentali. Indichiamo qui alcune tra le funzioni che
l’Educazione musicale può svolgere:

− la funzione cognitivo-culturale: stimola il processo di rappresentazione


simbolica della realtà, sviluppa le capacità di pensiero e promuove la
partecipazione al patrimonio culturale musicale grazie alla conoscenza di
tecniche, linguaggi, opere;
− la funzione critico-estetica: in un mondo strapieno di suoni, orienta il
soggetto verso la capacità di saper valutare e scegliere cosa ascoltare, di
raffinare il proprio gusto, non lasciarsi travolgere, ma saper accogliere ciò
che è più vicino a sé;

72
Stefani, come citato da Della Casa, M. 1985, p. 26.
73
La Face Bianconi, 2008, p. 15.

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− la funzione affettiva: porta il soggetto, nella relazione con l’opera d’arte,
ad ascoltare le proprie emozioni e il proprio vissuto, sapendosi poi
distaccare da quella simbologia;
− la funzione linguistico-comunicativa: consente al soggetto di saper
comunicare con la musica, sia mentre la ascolta e la legge, che nella
produzione musicale, che, ripetiamo, non è fine ad una
professionalizzazione;
− la funzione identitaria: spinge il soggetto ad entrare in contatto con le
proprie origini e tradizioni culturali, ma allo stesso tempo, gli permette di
conoscere, attraverso di essa, anche le altre culture e tradizioni.

Tenendo conto di quanto appena esposto, è chiaro che l’uso della musica nella
scuola, consapevole e attivo, fornirebbe agli studenti strumenti in più, alla pari del
contributo di tutte le altre discipline e in considerazione del fatto che la musica deve
continuare a promuovere la ricerca sui propri benefici nella formazione dei piccoli
cittadini.
Alla luce perciò delle competenze chiave europee e dell’insegnamento della
musica, siamo nell’ambito dell’ottava competenza, quella in materia di consapevolezza
ed espressione culturali. Essa, a seconda dell’ordine e grado in cui è stata programmata,
viene inserita nel curricolo dove sono presenti gli obiettivi educativi (più generali) e quelli
specifici di apprendimento (più specifici poiché disciplinari). Di seguito sono esposti, in
sintesi, le indicazioni nazionali che tengono conto di quanto appena detto.
La scuola dell’infanzia è il luogo della cura e dell’educazione dei bambini dai tre
ai sei anni; la sua finalità è quella di promuovere nei bambini lo sviluppo dell’identità,
dell’autonomia, della competenza e dare l’avvio al loro essere cittadini. Tali finalità
vengono perseguite attraverso un adeguato ambiente di vita, di relazioni e di attività
educative volte ad un apprendimento di qualità, grazie sia alla professionalità degli
operatori che alla rete che si viene a creare con la famiglia e la comunità di appartenenza.
L’apprendimento, in via generale, passa attraverso il fare, attraverso l’azione, attraverso
il contatto e la relazione con gli altri, con gli oggetti, con l’arte e la natura. Per i piccolini
questo apprendimento avviene attraverso il gioco, in cui sperimentano la loro tipica forma
di relazione e conoscenza, all’interno del quale hanno modo di esprimersi, di raccontarsi,
di rielaborare in maniera creativa le proprie esperienze personali e sociali. L’insegnante
svolge un ruolo di mediazione e di facilitazione, li sollecita, li osserva, garantisce
- 79 -
l’adeguata organizzazione del tempo e spazio, che diventa un elemento pedagogico di
qualità.
I programmi didattici della scuola dell’infanzia sono stati sviluppati tenendo
presente cinque campi d’esperienza:

• il sé e l’altro,
• il corpo e il movimento,
• immagini, suoni, colori,
• i discorsi e le parole,
• la conoscenza del mondo.

È necessario dire che al termine del primo ciclo d’istruzione (infanzia e primaria)
tali competenze vengono certificate con la “Certificazione delle competenze con
riferimento alle competenze chiave europee”, dove viene indicato il livello conseguito
dall’alunno per ognuna di esse.
L’attività di musica non viene trattata quale disciplina, come accade nella primaria
di primo e secondo grado, ma è inserita in uno dei cinque campi d’esperienza, in questo
caso immagini, suoni, colori.74 I campi d’esperienza sono trasversali fra di loro;
soprattutto a quest’età, essi non possono essere distaccati l’uno dall’altro. Basti solo
pensare al fatto che l’intera conoscenza del mondo dei bambini (di sé, dell’altro e
dell’ambiente) passa dal corpo e dal movimento. Il corpo è il mezzo principale per la
conoscenza, è quello che viene utilizzato sin dalla nascita per esplorare, cercare, scoprire.
Attraverso il corpo passano tutte le sensazioni e anche le emozioni, la soddisfazione del
controllo dei propri gesti, il coordinamento con gli altri. I bambini usano il corpo per
comunicare, per esprimersi; nell’educazione musicale, non v’è personalità pedagogica del
Novecento per la quale il corpo non sia diventato un tramite fondamentale. Pensiamo al
metodo Dalcroze, Orff e Kodály che, attraverso modalità e uso del corpo propri, educano
i bambini con la musica e musicalmente. Il corpo e il movimento permettono l’interazione
di diversi linguaggi, compreso quello musicale, attraverso il quale fruiscono e producono

74
Ministero della Pubblica Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Direttiva del Presidente del Consiglio
dei Ministri 26 ottobre 2012, Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo
ciclo d’istruzione, p. 20; http://www.indicazioninazionali.it/wp-content/uploads/2018/08/decreto-
ministeriale-254-del-16-novembre-2012-indicazioni-nazionali-curricolo-scuola-infanzia-e-primo-
ciclo.pdf.

- 80 -
il corpo, ma diventano interpreti dei messaggi che il proprio corpo da loro, anche nel
senso di leggere i messaggi del corpo di altri bimbi.
Il campo d’esperienza per immagini, suoni, colori risponde al principio che i
bambini esprimono i propri pensieri e le proprie emozioni attraverso l’immaginazione e
la creatività e l’arte può orientare questa loro propensione educando loro al piacere del
bello e al sentire estetico. Questa educazione passa attraverso tutti i linguaggi d’arte e le
loro componenti, e aiuta loro a far diventare questi elementi degli aspetti utili per la
conoscenza di sé, dell’altro, del mondo circostante. Non dobbiamo mai dimenticare che
le esperienze di ognuno di noi non sono fini a se stesse, ma sono finalizzate alla
conoscenza di sé e dell’altro, al saper stare all’interno di una comunità e al saper essere
dei cittadini attivi.
La musica è un linguaggio ricco, ricco di modi e generi diversi, ricco di tradizioni
e capace di nutrire il nostro mondo emotivo. Il contatto con la musica da parte del
bambino permette lo sviluppo delle sue capacità cognitive e relazionali; impara a
percepire, ascoltare, fare musica, ricercare e discriminare i suoni negli ambienti che lo
circondano, ma anche impara a distinguere i vari suoni prodotti dalla musica stessa.
Esplorare le proprie possibilità suono-espressive e simbolico-rappresentative e accrescere
la fiducia nelle proprie potenzialità attraverso l’ascolto che lo conduce al piacere di fare
musica e di condividerla.
Nelle Indicazioni Nazionali del 2012 questi sono i traguardi per lo sviluppo della
competenza immagini, suoni, colori:

Il bambino comunica, esprime emozioni, racconta, utilizzando le varie possibilità


che il linguaggio del copro consente.
Inventa storie e sa esprimerle attraverso la drammatizzazione, il disegno, la pittura
e altre attività manipolative; utilizza materiali e strumenti, tecniche espressive e creative;
esplora le potenzialità offerte dalle tecnologie.
Segue con curiosità e piacere spettacoli di vario tipo (teatrale, musicali, visivi, di
animazione…); sviluppa interesse per l’ascolto della musica e per la fruizione di opere
d’arte.
Scopre il messaggio sonoro attraverso attività di percezione e produzione musicale
utilizzando voce, corpo e oggetti.
Sperimenta e combina elementi musicali di base, producendo semplici sequenze
sonoro-musicali.

- 81 -
Esplora i primi alfabeti musicali, utilizzando anche i simboli di una notazione informale
per codificare i suoni percepiti e riprodurli.75

Per ciò che riguarda il primo ciclo d’istruzione, di cui fanno parte la scuola
primaria (cinque anni) e la scuola secondaria di primo grado (tre anni), la musica viene
adottata come disciplina. Gli obiettivi generali che si pone il primo ciclo d’istruzione è
l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali per sviluppare le competenze
culturali di base nella prospettiva del pieno sviluppo della persona.76 Questo lo si
raggiunge promuovendo attività educative all’interno delle quali lo studente sia in grado
di assumere un ruolo attivo nel proprio apprendimento: sviluppare al meglio le proprie
inclinazioni, esprimere le curiosità, riconoscere e intervenire laddove si presentano le
difficoltà, assumere una sempre maggiore consapevolezza di sé e costruire in maniera
progressiva il proprio progetto di vita. La scuola in questo senso svolge un fondamentale
ruolo educativo e di orientamento, perché diventa promotore delle occasioni di esperienze
significative all’interno delle quali poter acquisire saperi, strumenti e modalità operative
utili per lo sviluppo delle proprie potenzialità e risorse al fine di realizzare il proprio
progetto e saper anche valutare i propri risultati raggiunti. Sono fondamentali in questo
senso anche le varie strategie didattiche attraverso le quali gli studenti interagiscono con
le cose, con il gruppo classe, con l’ambiente scolastico in generale, ma anche con la vita
quotidiana extra-scolastica.
È il compito della scuola primaria quello di fornire le basi per una buona
alfabetizzazione culturale attraverso l’acquisizione dei linguaggi e codici che
compongono la nostra cultura, ma con uno sguardo aperto alle altre culture con cui ci
troviamo a convivere quotidianamente. Mira all’acquisizione degli apprendimenti di
base, il primo diritto che la costituzione chiede alla scuola di garantire a ciascuno
studente. Ogni bambino deve poter sviluppare la propria dimensione cognitiva, emotiva,
affettiva, sociale, corporea, etica e religiosa. La scuola è una fonte formativa dal momento
che fornisce le basi di ciascuna disciplina studiata, dando la possibilità di esercitare i
propri stili cognitivi e mettendo le basi per un pensiero sempre più riflessivo e critico.
Anche per la scuola primaria l’importanza dell’ambiente di apprendimento, in termini di
tempo e spazio, diventano fondamentali per ogni studente.

75
Ibidem, pp. 20 e 21.
76
Ibidem, p. 24.

- 82 -
Nella scuola secondaria di primo grado viene valorizzata la connessione tra le
varie discipline e la realtà soggettiva di ciascun studente. Questa combinazione infatti
diviene uno strumento utile alla promozione della conoscenza, interpretazione, e
rappresentazione del mondo da parte dei ragazzi; questo perché la scuola desidera fornire
una formazione inclusiva, globale e attiva. Il sapere non dev’essere frammentato e la
strategia didattica non può essere esclusivamente quella trasmissiva, per cui le
competenze che lo studente sviluppa nell’ambito delle singole discipline concorrono ad
una formazione globale, ampia e trasversale, che è sinonimo della piena realizzazione
personale e sociale.
Le Indicazioni Nazionali, alla luce di quanto già presente nel percorso
dell’infanzia, in questo punto definiscono la musica come un fondamentale e universale
elemento dell’esperienza umana. Essa offre uno spazio simbolico e relazionale funzionale
alla cooperazione e socializzazione, all’acquisizione delle conoscenze e alla
valorizzazione della creatività e della partecipazione, del senso di appartenenza ad una
comunità e a una cultura nazionale, ma anche europea (ritorna anche qui l’essenza dei
pilastri sui quali la Comunità Europea basa la formazione dei propri cittadini), così come
all’interazione fra tutte le culture diverse.
L’apprendimento musicale consiste nell’acquisire le pratiche e le conoscenze che
la scuola ha attivato su due linee:
− la produzione della musica: ogni studente fa esperienza di esplorare,
comporre e eseguire la musica con e sui materiali sonori, soprattutto attraverso l’attività
corale e la musica d’insieme;
− la fruizione consapevole che richiede una conoscenza della sintassi
musicale e l’elaborazione personale di questi, legati agli eventi, fatti e opere musicali.

Queste due linee vengono sviluppate nelle varie attività quali il canto, la pratica
strumentale, la produzione creativa, l’ascolto, la comprensione e la riflessione critica e
promuovono lo sviluppo della musicalità di ciascuno studente. Hanno come scopo di
creare connessioni, creare integrazione tra le varie componenti percettivo-motorie,
cognitive, affettivo-sociali, fornendo il proprio contributo al benessere psico-fisico degli
studenti, anche come prevenzione ad un possibile disagio, come risposta ai bisogni,
desideri. La pratica della musica d’insieme dovrebbe permettere a ciascuno di produrre
la musica e anche improvvisarla, una tecnica attraverso esprimere ciò che si sente qui e
ora. Anche qui si nota come, per il legislatore, la promozione della cultura avvenga
- 83 -
prevalentemente mediante la produzione musicale; ma ciò non corrisponde al vero, dal
momento che, per esempio, si promuove la cultura anche cantando o suonando un brano.
L’apprendimento musicale richiede la messa in campo di varie funzioni formative,
quali: cognitivo-culturale, linguistico-comunicativa, emotivo-affettiva, identitaria e
interculturale, relazionale e quella critico-estetica. La musica inoltre comunica con tutte
le altre arti e ambiti di sapere.
Seguono ora i traguardi e gli obiettivi di apprendimento della scuola primaria e
secondaria di primo grado:

Traguardi per lo sviluppo delle competenze al termine della scuola primaria.


L’alunno esplora, discrimina ed elabora eventi sonori dal punto di vista qualitativo, spaziale
e in riferimento alla loro fonte.
Esplora diverse possibilità espressive della voce, di oggetti sonori e strumenti musicali,
imparando ad ascoltare se stesso e gli altri; fa uso di forme di notazione analogiche o
codificate.
Articola combinazioni timbriche, ritmiche e melodiche, applicando schemi elementari; le
esegue con la voce, il corpo e gli strumenti, ivi compresi quelli della tecnologia informatica.
Improvvisa liberamente e in modo creativo, imparando gradualmente a dominare tecniche
e materiali, suoni e silenzi.
Esegue, da solo e in gruppo, semplici brani vocali o strumentali, appartenenti a generi e
culture differenti, utilizzando anche strumenti didattici e auto-costruiti.
Riconosce gli elementi costitutivi di un semplice brano musicale, utilizzandoli nella pratica.
Ascolta, interpreta e descrive brani musicali di diverso genere.
Obiettivi di apprendimento al termine della classe quinta della scuola primaria
– Utilizzare voce, strumenti e nuove tecnologie sonore in modo creativo e consapevole,
ampliando con gradualità le proprie capacità di invenzione e improvvisazione.
– Eseguire collettivamente e individualmente brani vocali/strumentali anche polifonici,
curando l’intonazione, l’espressività e l’interpretazione.
– Valutare aspetti funzionali ed estetici in brani musicali di vario genere e stile, in relazione
al riconoscimento di culture, di tempi e luoghi diversi.
– Riconoscere e classificare gli elementi costitutivi basilari del linguaggio musicale
all’interno di brani di vario genere e provenienza.
– Rappresentare gli elementi basilari di brani musicali e di eventi sonori attraverso sistemi
simbolici convenzionali e non convenzionali.
– Riconoscere gli usi, le funzioni e i contesti della musica e dei suoni nella realtà
multimediale (cinema, televisione, computer).

- 84 -
Traguardi per lo sviluppo delle competenze al termine della scuola secondaria di primo
grado (*)
L’alunno partecipa in modo attivo alla realizzazione di esperienze musicali attraverso
l’esecuzione e l’interpretazione di brani strumentali e vocali appartenenti a generi e culture
differenti.
Usa diversi sistemi di notazione funzionali alla lettura, all’analisi e alla produzione di brani
musicali.
È in grado di ideare e realizzare, anche attraverso l’improvvisazione o partecipando a
processi di elaborazione collettiva, messaggi musicali e multimediali, nel confronto critico
con modelli appartenenti al patrimonio musicale, utilizzando anche sistemi informatici.
Comprende e valuta eventi, materiali, opere musicali riconoscendone i significati, anche in
relazione alla propria esperienza musicale e ai diversi contesti storico-culturali.
Integra con altri saperi e altre pratiche artistiche le proprie esperienze musicali, servendosi
anche di appropriati codici e sistemi di codifica.
(*) per il quadro delle competenze specifiche connesse allo studio dello strumento
musicale, si rinvia alle specifiche norme di settore.

Obiettivi di apprendimento al termine della classe terza della scuola secondaria di primo
grado
– Eseguire in modo espressivo, collettivamente e individualmente, brani vocali e
strumentali di diversi generi e stili, anche avvalendosi di strumentazioni elettroniche.
– Improvvisare, rielaborare, comporre brani musicali vocali e strumentali, utilizzando sia
strutture aperte, sia semplici schemi ritmico-melodici.
– Riconoscere e classificare anche stilisticamente i più importanti elementi costitutivi del
linguaggio musicale.
– Conoscere, descrivere e interpretare in modo critico opere d’arte musicali e
progettare/realizzare eventi sonori che integrino altre forme artistiche, quali danza, teatro,
arti visive e multimediali.
– Decodificare e utilizzare la notazione tradizionale e altri sistemi di scrittura.
– Orientare la costruzione della propria identità musicale, ampliarne l’orizzonte
valorizzando le proprie esperienze, il percorso svolto e le opportunità offerte dal contesto.
– Accedere alle risorse musicali presenti in rete e utilizzare software specifici per
elaborazioni sonore e musicali.77

77
Ibidem, pp. 58-59.

- 85 -
Per ciò che riguarda l’insegnamento della musica nelle scuole secondarie di primo
grado ad indirizzo musicale, regolamentate dal DM 6 agosto 1999, è previsto lo studio
dello strumento musicale e della pratica musicale.
Le ore d’insegnamento sono destinate alla pratica strumentale (individuali e/o per
piccoli gruppi), all’ascolto partecipativo, alle attività di musica di insieme, alla teoria e
lettura della musica. La teoria e solfeggio può essere impartito anche per gruppi
strumentali. Ciascun collegio docenti individua le specialità strumentali da insegnare tra
quelle indicate nei programmi dello stesso Decreto: flauto, oboe, clarinetto, saxofono,
fagotto, corno, tromba, chitarra, arpa, pianoforte, percussioni (tamburo, timpani, xilofono,
vibrafono), violino, violoncello, fisarmonica, tenendo presente la rilevanza formativa e
didattica della musica d’insieme. L’esame di Stato previsto al termine del primo ciclo di
istruzione verifica anche la competenza musicale raggiunta sia per la pratica esecutiva,
individuale e/o d’insieme, sia per la teoria.
Infine, per ciò che riguarda l’istruzione secondaria di secondo grado, dopo alcuni
passi in avanti e altri indietro, ora come ora l’insegnamento della musica è previsto solo
nella sezione musicale del Liceo musicale e coreutico (istituito con la “Legge Gelmini”)
“indirizzato all'apprendimento tecnico-pratico della musica e della danza e allo studio del
loro ruolo nella storia e nella cultura”. Per entrambe le sezioni l’iscrizione è subordinata
al superamento di un esame di ammissione che deve verificare la padronanza di specifiche
competenze, abilità che gli studenti devono aver acquisito nel corso dell’insegnamento
della musica anche nei precedenti percorsi formativi, soprattutto deve poter garantire la
prosecuzione di formazione a coloro che escono dall’indirizzo musicale nella scuola
secondaria di primo grado. Questo dimostra ancora una volta come l’esigenza di un
curriculum trasversale sia fondamentale per gli studenti, probabili futuri insegnanti. Il DL
13 aprile 2017, n. 60 “Norme sulla promozione della cultura umanistica, sulla
valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno della creatività,
esprime le finalità di questo percorso di studi come finalizzato a far maturare e sviluppare
allo studente le conoscenze, le abilità e le competenze per padroneggiare, anche attraverso
specifiche attività funzionali, i linguaggi musicali e coreutici sotto gli aspetti della
composizione, interpretazione, esecuzione e rappresentazione. Lo studente acquisisce,
inoltre, la necessaria prospettiva culturale, storica, estetica, teorica e tecnica. Assicura,
infine, la continuità dei percorsi formativi per gli studenti provenienti dai corsi a indirizzo
musicale. Il monte ore settimanale di insegnamento musicale è pari a 18 ore settimanali.

- 86 -
La Rete Nazionale “Qualità e sviluppo dei licei musicali e coreutici”,78 sorta nel
2011, ha permesso di accompagnare le attività, i percorsi, i risultati conseguiti dagli
studenti e di contribuire a definire il profilo culturale ed educativo e le prospettive di
sviluppo di questa nuova tipologia liceale.
Per l’insegnamento di musica, sono state individuate cinque aree di
apprendimento: esecuzione e interpretazione; teoria, analisi e composizione; storia della
musica; laboratorio di musica; tecnologie musicali. Per ciascuna di queste aree sono stati
definiti gli obiettivi specifici di apprendimento. Tutto il piano degli studi in questione è
presente nel Decreto Ministeriale 211 del 7 ottobre 2010 “Indicazioni Nazionali”,
Allegato E, consultabile al seguente link:
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2010/06/15/010G0111/sg.
Di seguito, al fine di una generale conoscenza più completa, espongo
sinteticamente le varie aree e gli obiettivi specifici di apprendimento (che in originale
sono invece suddivisi in primo e secondo biennio e il quinto anno):

− Esecuzione e interpretazione: in generale lo studente deve possedere


le conoscenze di base, sia dello strumento scelto che quelle tecniche; dev’essere in grado
di interpretare i brani del repertorio musicale di media difficoltà. Nel corso dei cinque
anni, deve riuscire a sviluppare ulteriormente le capacità tecnico-esecutive e
interpretative attraverso lo studio di un primo strumento (con caratteristiche monodiche
o polifoniche) e un secondo, con funzioni complementari (anche qui monodiche o
polifoniche). Deve, inoltre aver acquisito gli strumenti che gli occorrono per essere
autonomo nella scelta del metodo di studio, delle scelte interpretative, del problem
solving rispetto alle difficoltà inerenti all’esecuzione dei brani, dev’essere cioè in grado
di usare quella che abbiamo definito competenza imparare ad imparare. Nello specifico,
tali competenze vengono raggiunte tramite obiettivi specifici di apprendimento quali, ad
esempio: conoscenze in ambito di letteratura strumentale (autori, metodi e composizioni),
solistica e d’insieme (caratteristici dei diversi momenti della storia della musica);
conoscenza e sempre maggiore maturazione di tecniche d’improvvisazione (solistiche e
d’insieme), di lettura/esecuzione estemporanea; buona dimestichezza nell’uso della
notazione musicale, familiarità con le specifiche caratteristiche dello strumento scelto,
conoscenza delle fondamentali nozioni musicali di tipo morfologico (dinamica, timbrica,

78
Per approfondimenti: https://www.liceimusicalicoreutici.org/.

- 87 -
ritmica, metrica, agogica, melodia, polifonia, armonia, fraseggio…); capacità di
mantenere un adeguato equilibrio psico-fisico (respirazione, percezione corporea,
rilassamento, postura, coordinazione) nelle diverse performance. Tutti obiettivi che al
termine del percorso garantiscono allo studente di essere autonomo e padrone di sé
nell’ambito della competenza musicale acquisita.
− Teoria, analisi e composizione: acquisizione delle conoscenze con le
strutture, i codici e le modalità organizzative ed espressive del linguaggio musicale:
regole grammaticali e sintattiche maggiormente in uso (modalità, tonalità, sistemi
popolari e contemporanei); lo studente è in grado di leggere con la voce e con lo strumento
brani monodici e polifonici, anche in contrappunto imitato e in differenti chiavi;
progressivo affinamento dell’orecchio musicale. Sul piano compositivo lo studente
padroneggia i diversi procedimenti armonici, anche contemporanei, rintracciandoli in
brani significativi attraverso appropriate tecniche di analisi e servendosene per
improvvisare, per armonizzare melodie e per produrre arrangiamenti e composizioni
autonome o coordinate ad altri linguaggi (visivo, teatrale, coreutico), senza escludere il
ricorso agli strumenti offerti dalla tecnologia attuale. Al termine del quinto anno deve
aver affinato le capacità di lettura e trascrizione all’ascolto dei brani con diversi mezzi,
strumentali e vocali e aver consolidato anche le tecniche compositive, realizzate anche
con tecniche multimediali.
− Storia della musica: conoscenza dell’arte di tradizione occidentale:
opere musicali, autori, generi e stili di ogni epoca. Tali conoscenze devono essere state
comprese dallo studente non solo al fine di soddisfare un raggiungimento scolastico, ma
anche quella parte della propria curiosità dell’aspetto culturale, intellettuale ed estetico;
saper riconoscere e collocare nei quadri storico-culturali e nei contesti sociali e produttivi
pertinenti i principali fenomeni artistici, i generi musicali primari e gli autori; saper
riconoscere per sommi capi l’evoluzione della scrittura musicale; saper interpretare e
commentare i testi musicali, attraverso gli strumenti della descrizione morfologica e
stilistica; verbalizzare a voce e per iscritto l’esperienza dell’ascolto di musiche di varie
epoche per mezzo di categorie lessicali e concettuali specifiche, e di tematizzare la
dimensione storica implicita in tale esperienza, riconoscendo tanto l’attualità estetica
dell’opera d'arte musicale nel momento della sua fruizione quanto il suo significato di
testimonianza d’un passato e d’una tradizione prossimi o remoti. Tra gli obiettivi c’è
sicuramente quello di avviare un ascolto critico della musica d’arte, unita anche alla
comprensione del testo verbale e/o della partitura e la comprensione anche di altri
- 88 -
linguaggi espressivi diversi (musica vocale, teatro d’opera, balletto, musica per film); il
primo biennio è focalizzato maggiormente sulla musica dell’Ottocento, mentre nel
secondo biennio gli obiettivi riguardano più repertori dal Novecento in poi; apprendere i
principii della storiografia musicale (finalità e metodi della musicologia storica),
differenziandoli dagli approcci della musicologia sistematica da un lato e
dell’etnomusicologia dall’altro; conoscenza delle tradizioni orali, europee ed
extraeuropee, ma anche quelle delle musiche popolari dell’Italia settentrionale, centrale,
meridionale e insulare.
− Laboratorio di musica d'insieme: nel corso dei cinque anni di studio,
lo studente si esercita nell’esecuzione/interpretazione di composizioni vocali e
strumentali di musica d’insieme, diverse per epoche, generi, stili e tradizione musicale e
questo gli permette di maturare a fine percorso elevate capacità sincroniche, sintoniche,
ma anche di ascolto, di valutazione e autovalutazione, nelle esecuzioni di gruppo. Il
Laboratorio di Musica d’insieme non può prescindere dalla definizione delle quattro
sottosezioni che tale materia necessariamente presuppone: Canto ed esercitazioni corali;
Musica d’insieme per strumenti a fiato; Musica d’insieme per strumenti ad arco; Musica
da camera. Queste sezioni sono specificate nell’ambito del PTOF e della collaborazione
con le Istituzioni di Alta formazione musicale, tenendo conto del singolo gruppo classe.
− Tecnologie musicali: lo studente al termine del percorso di studi deve
aver acquisito padronanza delle diverse tecnologie informatiche e multimediali, a partire
dall’utilizzo di software, di editing del suono e della notazione musicale, con particolare
riferimento agli strumenti studiati. È in grado inoltre di elaborare materiali audio di
supporto allo studio e alle proprie performance (anche in direzione creativa) e di
coordinare consapevolmente le interazioni tra suono e altre forme espressive (gestuali,
visive e testuali). È in grado di configurare/organizzare uno studio di home recording per
la produzione musicale in rapporto a diversi contesti operativi e di utilizzare le tecniche
e gli strumenti per la comunicazione e la creazione condivisa di musica in rete, giungendo
ad eseguire basilari elaborazioni e sperimentazioni su oggetti sonori. La sua conoscenza
critica dell’evoluzione storica della musica elettroacustica, elettronica e informatico-
digitale, delle sue poetiche e della sua estetica, gli deve permettere di padroneggiare
appropriate categorie analitiche relative all’impiego della musica in vari contesti
espressivi musicali e multimediali; a quest’altezza utilizza consapevolmente i principali
strumenti messi a disposizione dalle nuove tecnologie digitali e dalla rete in ambito

- 89 -
musicale per giungere alla realizzazione di progetti compositivi e performativi che
coinvolgano le specifiche tecniche acquisite.
Alla luce di quanto detto, visto l’obiettivo di far raggiungere ai ragazzi gli
obiettivi che il programma scolastico si è prefissato, è molto importante l’atteggiamento
dell’insegnante, la sua preparazione, non solo tecnica, e soprattutto la sua formazione,
quel bagaglio culturale e sociale che fa la differenza all’interno delle istituzioni
scolastiche. Sottolineo perciò che, quanto più il percorso d’istruzione primaria pone già
le basi per una crescita, anche culturale, tanto più avremmo dei maestri, educatori,
insegnanti capaci di trasferire le competenze chiavi ai futuri cittadini europei.

- 90 -
CAPITOLO 3
LA PEDAGOGIA ATTIVA MUSICALE

3.1 Guido d’Arezzo e Roberto Goitre: metodo attivo di educazione musicale

“Una disciplina non acquisisce prestigio


se prima ancora non lo acquisiscono i suoi oggetti d’indagine”
Fedele D’Amico79

Alla luce del percorso fatto nei precedenti capitoli, attraversando la storia della
musica, delle istituzioni scolastiche e dei metodi che hanno caratterizzato le varie epoche,
è possibile evidenziare alcuni personaggi chiave il cui contributo è stato fondamentale sia
per la cultura musicale, che per la cultura in generale. L’aspetto vincente di questi
contributi, confermato anche dagli apporti di altre discipline, come la pedagogia,
psicologia o neuroscienze, è stato porre al centro l’educando, il discente, l’alunno, lo
studente, rendere il soggetto protagonista del proprio processo educativo e di
apprendimento.
Per ciò che riguarda la musica, Claude Dauphin (musicologo, classe 1949), nella
sua opera Didattica della Musica del Novecento presente nel vol. 2 della Enciclopedia
della Musica per Einaudi, definisce la pedagogia musicale attiva l’insieme di teorie
pedagogiche che usano tutte quelle tecniche di apprendimento basate sull’esperienza
sensitivo-motoria del discente. Laddove l’azione educativa suscita, in ogni esperienza del
discente, un interesse ludico e coinvolge la sua sfera sensoriale e motoria, egli vi partecipa
attivamente; questo perché il soggetto in questo modo vi partecipa globalmente, con tutto
se stesso: con il corpo, con le emozioni, con i pensieri. La sua partecipazione (attiva) è
forte e arriva ben prima della conoscenza della teoria musicale. Essere protagonisti della
propria evoluzione, sin da piccoli, attraverso la musica, o l’arte in generale, rappresenta
la base per una cultura partecipativa che, se non si ferma alla sola attività musicale, può
diventare un vero e proprio modus operandi, una forma mentis aperta e propositiva.
Dauphin colloca la nascita della pedagogia attiva musicale intorno all’anno Mille,

79
D’Amico, come citato da Badolato, N. e Scalfaro, A., 2013, p. 99.

- 91 -
individuando in Guido d’Arezzo (992 ca – 1050), celebre monaco di Pomposa e Fonte
Avellana, il pioniere del metodo attivo.
In origine, il canto gregoriano (la prima forma musicale) era caratterizzato da una
notazione neumatica, detta anche adiastematica perché priva di una precisa distanza di
intervalli; servendosi dei segni grafici, rappresentati dagli accenti (brevi o lunghi), scritti
sopra il testo, si definiva l’andamento della melodia ascendente o discendente di un brano,
ma non l’esatta altezza tonale. La notazione neumatica aveva origine da quella
ecfonetica,80 usata nella recitazione orale greca e orientale. Intorno al IX secolo, con
l’avvio della scrittura musicale, si era avvertita l’esigenza di trovare un sistema di
notazione tale da lasciare traccia e testimonianza (a dimostrazione di una società
desiderosa di progressione culturale), e soprattutto che potesse migliorare il sistema di
lettura e scrittura musicale. L’obiettivo era poter intonare un canto anche senza averlo
mai sentito prima; essere autonomi e capaci di studiare e di esercitarsi da soli (ricordiamo
che per molto tempo la trasmissione di conoscenze musicali era orale e che i maestri delle
varie scholae cantorum si spostavano da un posto all’altro per insegnare i canti liturgici).
Il metodo proposto da Guido d’Arezzo, nasceva proprio dall’idea di dare risposte ai
bisogni educativi dei cantori e fu uno strumento di un rilievo senza precedenti.
Sulla base di novità già introdotte dai cantori delle scuole d’Ars Nova, tra cui le
notazioni alfabetiche, Guido d’Arezzo tentò di disporre i neumi (fino ad allora
adiastematici) su un rigo composto da più linee e spazi, lungo sperimentazioni che si
precisarono poi in quattro linee, due nere e due colorate, per avvertire del semitono
superiore. Si ottenne così il tetragramma, in cui le due linee colorate segnalavano la
presenza entro i gradi tonali dei semitoni, rosso per il fa (F) e giallo per il do (C).
L’introduzione del tetragramma ha fatto sì che gli intervalli avessero un’esatta
precisione e fossero collocati all’interno della scala diatonica, ad esclusione del DO e FA,
e che, in questo modo, fosse fissata l’altezza dei suoni (mensura localis). Il metodo aveva
alla base il cosiddetto esacordo naturale, vale a dire l’insieme di sei note che rispettavano
esattamente la distanza tonale tra una nota e l’altra, tranne per il MI e FA e il SI e DO,
portatori del semitono naturale. Perciò, quando la serie di intervalli non veniva alterata, o
meglio, mutata, abbiamo un esacordo naturale, diversamente, se la nota di partenza era

80
Agg. (pl. m. -ci) [dal greco ekphṓnēsis, esclamazione, pronunzia]. Notazione ecfonetica, sistema di
notazione basato su accenti e segni convenzionali che vengono posti sopra il testo da cantare e che,
diversamente dai neumi, indicano il succedersi di formule melodiche prefissate: cfr.
https://www.sapere.it/enciclopedia/ecfon%C3%A8tico.html.

- 92 -
diversa da UT (DO) e quindi ciò comportava la mutazione, cioè una diversa disposizione
degli intervalli e quindi anche dei semitoni, si parlava di esacordo duro (partendo dal sol)
o esacordo molle (partendo dal FA). Ciò che era fondamentale all’interno di un brano era
scoprire la posizione del semitono superiore (mi-fa) dal quale dipendeva la mutazione tra
un tipo di esacordo ad un altro. Significava insegnare a leggere la musica e le melodie
basandosi sugli esacordi e sulle sue mutazioni. Il termine, solmisazione, deriva dal fatto
che nella mutazione da un esacordo a un altro si passava da sol a mi e questo permetteva,
tutte le volte, di imparare la melodia grazie alla memorizzazione dei suoni degli
intervalli.81
Ecco come Guido d’Arezzo espone con indole entusiasta il suo metodo al
confratello Michele (presso l’Abbazia di Pomposa), nella sua opera Epistola ad
Michaelem de ignoto cantu:

[…] dunque, per imparare un canto ignoto, non dobbiamo affidarci sempre alla voce di un
uomo o (suono) di uno strumento, come cechi incapaci di camminare senza una guida;
dobbiamo piuttosto imprimerci nel profondo della memoria della differenza e le proprietà
sei singoli suoni e di tutti gli intervalli ascendenti e discendenti. Per intonare un canto mai
udito, avrai perciò un metodo semplicissimo e sperimentato, se vi sia chi sappia istruire un
altro non solo con lo scritto, ma piuttosto con una conversazione informale, secondo la
nostra abitudine. Infatti, dopo che ho cominciato a insegnare tale metodo ai fanciulli, nel
giro di tre giorni alcuni di loro sono riusciti a cantare senza difficoltà canti sconosciuti…
Se dunque desideri imprimerti nella memoria un suono o un neuma così bene da riuscire a
richiamarlo immediatamente ovunque tu voglia, in qualsiasi canto noto o sconosciuto,
intonandolo subito senza esitazione, devi individuare quel suono o quel neuma all’inizio
della melodia che ti sia notissima; e, per qualsiasi suono che tu debba memorizzare, tieni
pronta una melodia di questo genere che incominci proprio con quel suono […]82

Guido d’Arezzo ebbe anche un’altra intuizione, quella del modello linguistico,
riuscire a dare, attraverso la nominalizzazione dei suoni, un’idea di metrica (non possiamo

81
L’evoluzione del tetragramma è stato il pentagramma, attuale sistema di notazione musicale, attribuito a
Ugolino da Forlì, compositore e teorico della musica italiana (intorno alla prima metà del 1400). Il
pentagramma permette di indicare l’altezza precisa delle note ed è composto da cinque linee e quattro spazi
e ha un orientamento dal basso verso l’alto. I suoni fondamentali del nostro sistema tonale sono sette e le
note sono i segni grafici utilizzati per rappresentare la loro altezza, ma allo stesso tempo, anche la loro
durata, a seconda delle figure musicali e dei segni grafici che vengono utilizzate, anche quelli che indicano
le relative pause. Ogni nota, a seconda del suo valore di durata, assume una forma grafica diversa;
82
D’Arezzo, come citato da Fabbri, P. e Bertieri, M. Ch., 2012, pag. 9.

- 93 -
ancora parlare di misurazione delle note, concetto che avverrà circa due secoli dopo, ma
per la quale le scoperte di Guido d’Arezzo furono fondamentali).83 Partendo dal concetto
di diafonia (diaphonia), accompagnamento di altre strutture melodiche a quella principale
seguendo nota per nota, in cui si possono creare suoni ora consonanti, ora dissonanti,
provò a creare un’analogia tra il materiale musicale di un brano e il materiale verbale di
una poesia. Voleva provare a creare una metrica musicale, simile a quella letteraria. Così
come nella metrica letteraria si distinguono i pedes (due o più sillabe) e i versus (due o
più pedes), anche nella musica potevano essere individuate metriche simili, un insieme di
due o più note i neume (raggruppamenti di due o più note) e le distinctiones (sequenze di
due o più neume). Guido d’Arezzo voleva fornire un ordinamento regolare nelle forme
musicali affinchè, il compositore potesse, nella costruzione di un brano musicale,
utilizzare queste sezioni omogenee di ampiezza e numero di elementi, proprio come fa il
poeta (una tradizione presa dai classici, ma anche da alcuni scritti di sant’Agostino nel
suo trattato De Musica (386-88), oppure, per la divisione musicale, da Isidoro da Siviglia
nelle Etymologie).
Come ha sviluppato questa sua idea? Servendosi dell’”Inno di San Giovanni” (un
canto liturgico in onore a San Giovanni Battista) che, pare, usasse per far esercitare gli
allievi nell’intonazione, egli si accorse che ogni versetto dell’inno cominciava con un
suono più alto del precedente per poi proseguire, in maniera ascendente, su dei suoni che,
per come erano organizzati, davano la successione di una scala esacordale (successione
di sei suoni, in uso fino all’XI). La prima sillaba di ogni versetto divenne così il nome di
ciascuna nota. Essendo l’inno in latino, il nome delle note fu in latino, il Si venne aggiunto
in seguito e la nota Ut, successivamente, in molti Paesi prese il nome di Do.
Ut queant laxis
Resonare fibris
Mira gestorum
Famuli tuorum
Solve polluti
Labii reatum,
Sancte Joannes.

83
Accanto alla mensura localis (altezza delle note) era necessario gestire anche la mensura temporalis, cioè
la durata delle note, creando il concetto del ritmo. Il primo a farlo è stato Philippe De Vitry a Parigi; in
Italia la figura importante è stato Marco da Padova. Il tipo di annotazione ritmica individuata è quella che
adoperiamo ancora oggi, basata sul sistema proporzionale della durata delle note. Nasce in questo modo
anche la musica mensurabilis, diventata un vero e proprio settore della disciplina musicale.

- 94 -
Il metodo della solmisazione è stato divulgato in tutta l’Europa e la sua diffusione
e l’efficacia ne hanno dimostrato il valore pratico. La metrica musicale, con il sistema
tonale realizzato, dal XII secolo in poi diverrà il sistema ufficiale (con i modi minori e
maggiori). Il metodo della solmisazione è ancora oggi usato da diversi insegnanti di
musica, direttori di coro, che lo adoperano per insegnare canto.
Infine, ma non meno importante, come più volte detto nel primo capitolo, fare
riferimento alle origini, creare un legame tra la cultura e la storia della musica e le
esigenze della musica moderna, è esattamente ciò che è accaduto e che accade con il
metodo della solmisazione. Uno dei maggiori protagonisti italiani ad aver usato e creato
a sua volta un proprio metodo, partendo da quello della solmisazione, è stato il maestro
Roberto Goitre (Torino 1927 – Piacenza 1980), direttore di coro, compositore e docente
italiano, il primo ad usare e proporre in Italia la lettura ritmica secondo il metodo Kodály
e la lettura cantata secondo il metodo della solmisazione di Guido d’Arezzo, due elementi
che si presentavano scarsi nell’insegnamento della musica sia nelle scuole elementari che
nella stessa formazione nei Conservatori. Ha conseguito titoli accademici in pianoforte,
composizione e direzione di coro, ma ha dedicato la sua vita alla direzione corale. Sin
dagli anni sessanta, ha approfondito e realizzato notevoli studi e ricerche sulla didattica
musicale e lo studio dei principi della pedagogia musicali di Zoltán Kodály, passando
anche molto tempo in Ungheria. Ha approfondito in questa occasione anche la conoscenza
e il repertorio della tradizione lirica orale, ungherese e italiana, che ha fatto parte degli
esercizi di uno dei suoi più celebri lavori sul suo metodo didattico Cantar leggendo,
pubblicato nel 1972.
Tra il 1968 e il 1980 Roberto Goitre ha applicato tutto questo lavoro e i frutti delle
sue ricerche ai cori di voci bianche I piccoli cantori di Torino e successivamente il Coro
Farnesiano di Piacenza, che egli stesso ha fondato. A Piacenza, dagli anni sessanta e fino
alla sua morte, assunse la cattedra di Musica Corale e Direzione di Coro presso il
Conservatorio Giuseppe Nicolini. Negli anni settanta ha fondato la rivista “Cartellina” un
importante strumento informativo e divulgativo nell’ambito della musica corale e della
didattica e della stessa promozione dell’educazione musicale, inclusa quella scolastica.
Goitre attraversa le varie fasi della legislazione scolastica italiana e il suo lavoro
e il suo contributo al mondo della musica italiana rientrava nei vari tentativi di dare un
valore e salto culturale musicale. Egli rivolge anche qualche critica ai metodi e programmi
usati, sia nell’ambito della scuola generica che in quella musicale. Suggerisco la lettura

- 95 -
del documento che Goitre scrive ad un improbabile futuro ministro della pubblica
istruzione.84
Circa i metodi e i programmi usati, uno fra tutti che viene fortemente criticato da
Goitre ed è quello dell’insegnamento di solfeggio che, ad un certo punto, diventa un
insegnamento parlato a scapito di quello cantato, ritenuto da Goitre più utile per
l’educazione dell’orecchio. La rigidezza ritmica e l’inespressività sonora, ma anche la
meccanicità e l’astrattezza del solfeggio parlato condizionava negativamente l’anima
della formazione musicale degli studenti e cioè l’espressività musicale, la conoscenza e
l’ascolto del fraseggio e del discorso musicale, la bellezza del fenomeno sonoro e anche
il contenuto espressivo degli intervalli e l’aspetto interpretativo. Anche alla luce del
metodo di solmisazione che Goitre ha adottato nei suoi insegnamenti, il solfeggio parlato
andava controcorrente con tutti i benefici di quello cantato: imparare ad esercitarsi sempre
meglio ed educare l’orecchio, educare alla lettura a prima vista e fare un lavoro di
memorizzazione dei vari intervalli in modo da poterli utilizzare sempre; memorizzare gli
intervalli permetteva di eseguire con maggiore consapevolezza la lettura dei brani a prima
vista. In questo senso, gli esercizi di solfeggio cantati, anche solo a due voci che
procedono in contrappunto, permettevano ai cantori di allenarsi, godere delle parti, delle
imitazioni, di imparare ad apprezzare e conoscere meglio le strutture musicali partendo
da quelle più semplici.
Goitre sottolineava l’importanza del solfeggio cantato anche per il suo essere un
linguaggio e, come tale, non sufficiente se ci si sofferma solo alle singole note, senza
avere l’idea di cosa c’è prima e cosa c’è dopo; nel momento della lettura cantata, sono in
grado di sentire i rapporti tra le note e tra i suoni e a riconoscere il senso di quella frase
musicale, proprio come una qualsiasi frase del linguaggio parlato. Il nesso tra il
linguaggio parlato e quello musicale è fondamentale poiché il primo ci indica l’iter che
noi possiamo adoperare per poter imparare il secondo linguaggio, quello musicale.
Imparati i suoni, le lettere, le parole, le melodie, si dà vita, spazio alla fantasia e alla
creatività. L’apprendimento del linguaggio fa parte di un bagaglio culturale e appartiene
alla propria famiglia, comunità, alla propria rete sociale dei primi anni, all’ascolto di ciò
che appartiene “culturalmente” all’ambiente famigliare, va allo stesso tempo a costituire
un’identità. Allo stesso modo Goitre, seguendo l’idea e il metodo di Kodály, usa il

84
R. Goitre, Lettera aperta ad un improbabile futuro ministro della Pubblica Istruzione, in Inserto del
notiziario delle edizioni Suvini Zerboni, La Cartellina musicale - Rivista Bimestrale di didattica e musica
corale. Milano, Suvini Zerboni, Anno 1977, Numero 1, p. IV-VI.

- 96 -
patrimonio musicale, sociale, ambientale, linguistico e dialettale, storico del popolo
(italiano) per ampliare il bagaglio culturale dei bambini. Ogni brano popolare si muove a
seconda di alcuni intervalli piuttosto che di altri. In alcuni casi, la scelta dei brani è fatta
anche sulla base dello sviluppo dell’apparato fonatorio nei bambini, per cui, per quelli
della scuola dell’infanzia i canti avranno degli intervalli di II, III, e IV, così come i testi
saranno vicini alle capacità comprensive dei bambini.
L’esperienza di anni di ricerca e formazione all’estero e di osservazione della
musica nelle scuole, ha portato Roberto Goitre a far diventare centrali alcune domande
utili e rendere più consapevoli e coscienti anche gli insegnanti stessi rispetto
all’importanza della musica: perché la musica? Perché porta al miglioramento di diverse
funzioni cognitive, affettivo-emotive e sociali; quando? Quanto più precocemente
possibile perché essa è apprendimento, informazione, manipolazione, creatività; come?
Attraverso il metodo attivo.
L’attuale sistema Goitre si fonda su alcuni elementi chiave quali:

− l’esperienza diretta con la musica (il fine è l’elaborazione di tale


esperienza al fine dell’apprendimento musicale): si inizia con la pratica
dell’ascolto, la voce e movimento; ai bambini non è richiesta alcune
conoscenza o competenza propedeutica, anche perché, i bambini entrano
in contatto con la musica già dai primissimi mesi di vita (alcuni anche
durante la gestazione), perciò, anche le attività più strutturate, possono
essere avviate anche prima dell’età prescolare grazie all’uso dei canti,
danze e giochi musicali. Questi strumenti sono indispensabili per la
costituzione del bagaglio di competenze necessarie per la conoscenza del
linguaggio musicale.
− il gioco: esso rappresenta il nucleo, l’essenza della vita dei bambini, è il
loro più grande strumento di apprendimento. Il gioco permette ai bambini
di conoscersi e conoscere, di conoscere il mondo, di fare esperienza e
soddisfare diverse loro esigenze: comunicare, esprimersi, esplorare,
conoscere, misurarsi con se stessi e con le cose, socializzare e imparare
anche le regole sociali, la condivisione, lo scambio. Il gioco è lo spazio e
il tempo, sono i cinque sensi, le percezioni, emozioni, è il linguaggio dei
bambini.

- 97 -
− Madrelingua musicale: ecco che la funzione identitaria della musica entra
in gioco. La musica si apprende a partire dalla propria cultura di
appartenenza e attraverso le stesse fasi della propria lingua: pratica,
imitazione e sperimentazione. La propria cultura e la propria tradizione
musicale sono un fondamentale punto di riferimento nel processo
educativo musicale. Oggi, a differenza dei tempi di Goitre, l’educazione
musicale non può non passare anche attraverso l’ascolto di altre tradizioni
e culture musicali;
− Voce e Movimento: sono i mezzi più immediati e naturali del fare musica,
sono imprescindibili l’uno dall’altro; è attraverso di essi che i bambini
entrano in contatto diretto con la musica. La voce, strumento musicale per
eccellenza dell’essere umano, attraverso il canto, quello collettivo
soprattutto, diventa espressione e educazione, permette lo sviluppo delle
competenze basi del linguaggio musicale; il movimento viene coinvolto in
pratiche di espressione corporea come il body-percussion e la danza.
− Musica d’Insieme: il gruppo, anch’esso un fattore indispensabile e
fondamentale nell’educazione musicale. È uno strumento di confronto e di
condivisione, ma è anche uno strumento di misurazione; il coro, così come
l’orchestra, sono strumenti metodologici privilegiati che favoriscono
attenzione, capacità di ascolto, concentrazione e senso ritmico e che,
contemporaneamente, svolgono una funzione di socializzazione e
convivenza civile.
− La solmisazione (o lettura relativa): così come nell’apprendimento
linguistico, anche in quello musicale si impara prima a cantare e imitare e
poi a leggere. Il metodo della solmisazione (di cui abbiamo già parlato)
parte dalla definizione delle funzioni e delle relazioni che i singoli suoni
hanno nei confronti della globalità del brano di cui fanno parte. I suoni
vengono considerati esclusivamente in base al proprio ruolo, il bambino
viene sempre più educato all’ascolto e l’orecchio impara ad orientarsi.
Questo processo facilita il successivo apprendimento della lettura
musicale.
Un altro metodo di educazione musicale che ritiene che l’apprendimento
del linguaggio musicale segue le stesse tappe dell’apprendimento della

- 98 -
madrelingua, è Music Learning Theory di E. E. Gordon. Gli step che i
bambini affrontano nell’acquisizione della competenza musicale sono:
ascoltare, parlare, pensare, leggere e scrivere.

I due protagonisti descritti, che mettono in connessione il passato e il presente,


hanno dimostrato con le loro intuizioni, ricerche ed esperienze sul campo, che la musica
da insegnare è quella che rende l’altro protagonista, che permette all’altro di imparare
attivamente per diventare consapevole di ciò che ha imparato.

3.2 L’aspetto educativo di san Filippo Neri

Tra l’esperienza di Guido d’Arezzo e quella di Roberto Goitre, a livello storico, si colloca
l’esperienza di un altro protagonista, quella di san Filippo Neri. Lontano dalle prime
intuizioni di Guido d’Arezzo, ma anche da un progetto strutturato come quello di Goitre,
la proposta di San Filippo Neri era una proposta che è partita dal basso, una proposta
educativa, ancora prima che musicale, che ha posto al centro la relazione tra l’educatore
e l’educando e che ha tutto questo ha connesso l’esperienza pratica del canto.
San Filippo Neri, all’anagrafe Filippo Romolo Neri (1515-1595), è stato uno dei
maggiori protagonisti del cinquecento e della musica sacra; ha fatto evolvere il genere
melico spirituale della lauda85 in oratorio.86 Il Concilio di Trento, durato dal 1545 al 1563,
aveva portato diversi cambiamenti nella musica liturgica, uno fra questi quello di rendere
possibile l’esecuzione dei brani liturgici ai soli cantori e artisti specializzati, allontanando
così il popolo da ogni partecipazione attiva durante le celebrazioni liturgiche.
L’assemblea doveva solo presenziare, ascoltare, ammirare. Abbiamo visto nel primo
capitolo come questo atteggiamento ha segnato in maniera decisiva il futuro stesso della
storia della musica latina, un futuro ben diverso da quello tracciato da Lutero. La liturgia
luterana infatti, all’elemento partecipativo dell’assemblea, ha dato una notevole

85
C. Gallico, Storia della Musica, Età dell’Umanesimo e del Rinascimento (volume 4), Torino, EDT, 1982,
Glossario, pp. 118-9: canzone spirituale italiana, religiosa ma non liturgica, strofica. Nell’assetto polivoco
è affine alla frottola (forma poetico-musicale italiana, composta da versi ottonari, ordinati in strofe di 6-8
versi intervallate da una ripresa di 2-4 versi. Quasi sempre a quattro voci, con prevalenza della voce
superiore;
86
Genere musicale drammatico o epico-narrativo a soggetto religioso, eseguito da voci soliste, coro e
orchestra. Si sviluppò nella prima metà del Seicento nella Roma della Controriforma, per evoluzione dalle
laudi spirituali intonate negli oratori, in particolare in quello di S. Filippo Neri.

- 99 -
importanza e spazio, i cui effetti e benefici sono visibili nella formazione culturale e
musicale del popolo tedesco.
Negli stessi anni del Concilio di Trento, una ‘voce fuori dal coro’ che ha fatto la
differenza è stata quella di san Filippo Neri che ha promosso le riunioni negli oratori
romani, prima nella chiesa di San Girolamo della Carità e dopo in quella della Santa Maria
della Vallicella, con i suoi esercizi dell’Oratorio. San Filippo Neri voleva rinvigorire la
fede e la coscienza dei fedeli (come fu per la Diocesi di Milano con Sant’Ambrogio tre
secoli prima) e per fare questo eseguiva insieme all’assemblea, quindi collettivamente,
prima e dopo l’omelia, canti spirituali, in italiano, di stile semplice e piano. In principio
il termine oratorio indicava uno spazio fisico in cui si riunivano i membri di una
confraternita per pregare (orare in latino); con l’iniziativa di san Filippo Neri esso divenne
anche un particolare momento di preghiera e di canto che prese il nome di ‘esercizi
dell’oratorio’ prima e di ‘oratorio’ dopo. Questo momento per san Filippo Neri divenne
il momento della lectio e degli approfondimenti spirituali assumendo, man mano, sempre
maggiore importanza proprio grazie alla diffusione dell’oratorio e anche della diffusione
di numerose congregazioni filippine. L’oratorio perciò nasce nella prima metà del
Cinquecento come complemento alla preghiera, prima di affermarsi come genere
musicale ben definito. I temi toccati dall’oratorio erano spesso sacri e tratti
prevalentemente dai racconti dell’Antico Testamento, meno da quello Nuovo.
Il genere si era diffuso a macchia d’olio ed era diventato uno dei più importanti
generi sacri nei quali si poteva declinare la musica. Le laudi filippine ebbero apporti di
importanti maestri romani e vennero realizzati diversi libri di quel repertorio oratoriale. I
testi, che portavano a riflettere, meditare, assunsero man mano strutture sempre più
dialogiche e drammatiche influenzando anche le disposizioni sonore e dando vita ad un
nuovo genere dell’oratorio musicale. In principio, l’oratorio comprendeva semplici e
facili sermoni grazie ai quali san Filippo Neri evidenziava il brutto dei vizi e il bello delle
virtù; per farlo, usava l’esempio dei santi e delle loro azioni; basava la propria azione
educativa tripartitica ludica-musicale-pratica che attuava all’interno delle situazioni
teatrali, che oggi definiremmo laboratori musicali.
La diffusione degli oratori filippini era merito soprattutto della forza educativa di
san Filippo Neri, anch’egli definito protagonista della pedagogista musicale attiva. Egli
ha modellato il suo intervento educativo a seconda della partecipazione attiva dei ragazzi
che erano presenti negli oratori, mirava ad “una tecnica di apprendimento sottesa

- 100 -
dall’esperienza sensitiva e motoria del discente”.87 Il ruolo educativo di San Filippo Neri,
le cui idee nell’Ottocento vennero riproposte da don Giovanni Bosco, fu fondamentale
soprattutto per quei ragazzi che necessitavano di un riscatto dell’adolescenza sfavorita
dalla vita. La musica sacra voleva e poteva essere uno strumento per la trasmissione della
fede. Grazie al momento della lectio e del catechismo, viste come attività trasversali, egli
utilizzava la musica come valore educativo e di conversione.
Sia san Filippo Neri che Martin Lutero partivano dagli ultimi e puntavano alla loro
educazione attraverso la musica come una “comune maestra che educa, sovviene e
custodisce la spiritualità della società dimenticata a sfigurata d’allora”,88 una società a cui
bisognava riservare un percorso scolastico (erano entrambi maestri). Si partiva dalle
naturali esigenze dei bambini e dei giovani, come saltare, cantare e danzare, alla
possibilità di far fare loro tutte queste cose senza privazioni. Questa loro esigenza doveva
essere soddisfatta anche con l’uso della musica. San Filippo Neri si affidava
all’ispirazione del cuore, all’aspetto emotivo ed era questo aspetto alla base delle sue
azioni e delle sue modalità educative; è stata questa emotività a permettergli di portare
avanti la sua posizione nonostante la controriforma, non prendendo alcuna posizione, né
pro, né contro. Diverse testimonianze parlano di un uomo di grande umiltà e di un uomo
che, per certi versi, rappresentava l’atteggiamento del futuro maestro, un maestro tra il
gioco e il rigore. È come se il suo oratorio rappresentasse un gruppo classe il cui luogo
era sì la strada, ma il suo approccio implicava comunque elementi affettivo-corporali,
metteva in campo le sue e le altrui esperienze senso-motorie che suscitavano nei discepoli
un interesse ludico. Abbiamo già evidenziato che l’interesse dei bambini è la strategia
fondamentale per un apprendimento attivo che passa dalla loro partecipazione attiva.
Anche se gli educandi di san Filippo Neri erano bisognosi e mendicanti, a livello di
interesse, di dinamiche, di comportamento, non vi è alcune differenza con gli studenti di
oggi; san Filippo Neri è stato il maestro che ha usato tutti i mezzi in suo possesso per
potersi avvicinare alla classe, per poter essere complice e anche co-costruttore del sapere
dei propri discepoli, sapendo bene quale era, nel suo caso, il fine a cui lui doveva arrivare
(santità) e a cui anche loro dovevano arrivare (Dio). In tutto questo, la musica

87
C. Dauphin, Didattica della musica nel Novecento, in Enciclopedia della musica, Il sapere musicale
(volume II), parte quinta, Torino, Einaudi, p. 785.
88
M. Casadei Turroni Monti, I piccoli di San Filippo Neri tra musica e ricreazione, una precoce scuola
attiva, Roma, Pontificio Istituto di Musica Sacra – Torre d’Orfeo, p. 2.

- 101 -
rappresentava il ponte, il nesso, il centro, il cuore della relazione con i suoi discepoli, ma
anche lo strumento attraverso cui educare, direzionare, orientare.
Il merito di san Filippo Neri è stato quello di aver dato vita ad un genere musicale
che si è man mano evoluto e che è arrivato a mostrare la musica come una delle
protagoniste dell’impegno educativo; inoltre, la sua figura è stata spesso utilizzata come
spunto dagli stessi riformisti ceciliani, soprattutto da parte di dom Ambrogio Amelli
(ricordiamo una delle figure centrali del cecilianesimo italiano). Il nesso tra l’educazione
musicale e un supporto socio-assistenziale grazie all’accoglienza di coloro che ne hanno
bisogno e di richiesta ai benefattori per il sostegno delle scuole di musica offrendo loro
servizi educativi gratuiti al fine di impiegare in maniera nobile il loro tempo e rendere la
loro occupazione lodevole.

3.3 Canto corale come apprendimento cooperativo

Giunti all’ultimo paragrafo del mio lavoro, posso dire che, all’interno
dell’insegnamento di musica, l’attività di canto corale potrebbe, a tutti gli effetti, essere
vista come un’attività cooperativa, finalizzata ad un certo tipo di apprendimento. Un
apprendimento che, dalle varie testimonianze fin qui viste, ha, da sempre, funzionato nei
contesti formali e informali e che, oggi, potrebbe, a tutti gli effetti, diventare centrale
nell’educazione musicale scolastica.
Ci sono state diverse e tante teorie di apprendimento che hanno sottolineato
l’importanza della partecipazione e della condivisione. Giovanni Bonaiuti nella sua opera
“Le strategie didattiche” individua sei grandi architetture (intese come macrostrutture)
ciascuna delle quali ha, al proprio interno, una varietà di strategie didattiche funzionali,
nell’ambito dell’istruzione, non solo a far raggiungere ai propri studenti degli scopi, dei
risultati desiderati, ma imparare a farlo bene. Le architetture individuate sono: ricettiva
(trasmissiva), comportamentale (direttivo-interattiva), simulativa, collaborativa,
esplorativa e metacognitiva-autoregolativa (strategie per autoapprendere). Quest’ultima
non rappresenterebbe in realtà un’architetture vera e proprio con strategie didattiche da
imparare e apprendere, ma riguarderebbe il bagaglio personale, frutto del lavoro delle
precedenti architetture e delle loro strategie unite a tutte quelle abilità individuali che
compongono la grande competenza dell’imparare ad imparare (di cui abbiamo anche
parlato nel secondo capitolo). Grazie alla sperimentazione e quindi l’apprendimento di

- 102 -
ciascuna strategia, lo studente è in grado di stabilire quali sono, per lui, le migliori per il
raggiungimento dei propri risultati. Tale competenza, ricordiamolo, rientra nelle
cosiddette lifeskills, competenze utili per la vita e non vincolanti al solo ambiente
scolastico.
L’apprendimento cooperativa appartiene all’architettura cooperativa insieme al
mutuo insegnamento e alla discussione ed è uno dei punti fondamentali delle ricerche
nell’ambito dell’apprendimento del Novecento, nella prima metà del secolo grazie a
Dewey (e alla sua educazione attiva) e a Lewin (e le sue teorie sui gruppi), nelle seconda
metà del secolo anche grazie a Vygotskij e ai suoi studi sulle interazioni sociali e l’apporto
culturale, e quindi sociale, nello sviluppo cognitivo di ciascun individuo. Anche altri studi
più recenti condividono l’idea che la conoscenza individuale non può prescindere
dall’interazione con altri o altro da noi, e che l’apprendimento è un processo di
partecipazione attiva alla costruzione sociale della conoscenza. In questo senso la
strategia dell’apprendimento cooperativo si basa sulla costruzione e organizzazione di
occasioni di scambio all’interno delle quali avviene l’apprendimento di nuove
conoscenze, abilità o atteggiamenti. Tale scambio è da farsi all’interno dei piccoli gruppi
adeguatamente formati dagli insegnanti o educatori. Quindi l’apprendimento individuale
è il risultato del lavoro in gruppo che, a sua volta, può essere temporaneo o stabile, i cui
membri possono o meno avere dei ruoli, possono essere più gruppi che lavorano
individualmente su una parte del compito o possono competere fra di loro. Secondo
moltissimi studi, all’interno di ogni gruppo si vengono a realizzare alcuni elementi quali:
l’interdipendenza positiva (ciascuno studente dipende dal lavoro altri), responsabilità
individuale (ogni studente si sente responsabile della sua parte del lavoro in nome
dell’insieme) e interazione simultanea (il tempo del progetto e quindi del raggiungimento
dell’obiettivo finale dev’essere tale da consentire l’interazione tra i membri del gruppo).
È fondamentale che l’obiettivo prefissato sia un obiettivo che il gruppo classe, e i piccoli
gruppi formati, siano in grado di raggiungere.
Alla luce di quanto abbiamo detto sull’importanza di rafforzare una ricerca
epistemologica della musica e sul suo contributo allo sviluppo cognitivo, emotivo e
sociale dell’individuo, una strategie educativa come quella dell’apprendimento
cooperativo può essere rafforzata da una pratica come quella corale, una pratica che non
ha come unico obiettivo quello di imparare a cantare e suonare insieme un brano musicale,
ma che diventa un mezzo, uno strumento di apprendimento e che ha come finalità la
promozione della partecipazione attiva e della condivisione da parte di ciascuno studente

- 103 -
e che aggiunge conoscenze, abilità e atteggiamenti utili allo sviluppo delle lifeskills. La
pratica corale diventa un mezzo educativo che si aggiunge a tutto quello che la musica ha
in sé di importante e del suo contributo per lo sviluppo integrato dell’individuo.
È ovvio che la pratica di canto corale non può, e non deve, essere finalizzata alla
sola creazione di un coro scolastico perché questo alla base ne precluderebbe la
partecipazione, soprattutto quella attiva, da parte di tutti gli studenti; cosa che farebbe
venire meno l’idea dell’apprendimento cooperativo, ma dev’essere collocata in maniera
adeguata all’interno di un’attività didattica, dev’essere organizzata come parte di un
insegnamento che, come visto, è già inserito nel curriculo scolastico. Cosa e come può
cambiare questo insegnamento (questa attività)?
Può l’apprendimento cooperativo grazie al canto corale essere una sfida di quanti
sono implicati nel mondo della scuola e dell’insegnamento musicale: dirigenti,
insegnanti, musicisti, alunni e anche i genitori? Una sfida che avrebbe una serie di
elementi da cui partire e per creare un dibattito costruttivo fra questi attori al fine di
arrivare, perché no, alla radice della mentalità e del modo in cui l’insegnamento della
musica viene visto anche dal legislatore?
Una sfida intesa come:
- definire i criteri per la partecipazione al coro, il che significa che un coro che
“canta bene” non può più essere visto da un punto di vista tecnico,
dell’intonazione come è stato fatto tradizionalmente perché questo lo
renderebbe esclusivo e non inclusivo. Può essere un criterio quello che il canto
corale diventa un’esperienza, un’occasione relazionale, sociale e anche di
crescita culturale? Superando il tecnicismo e arrivando a trovare in questa
pratica spazio e modo di inclusione per tutti, soprattutto quando parliamo dei
gruppi classe che comprendono diverse tipologie di studenti. Sicuramente un
elemento importante è quello di trasmettere loro il piacere di una pratica, come
quella corale, e riuscire a tirare altrettanto piacere fuori dai ragazzi;
- se questo primo punto, questo primo tassello riuscissimo a renderlo attivo,
pratico, arriveremo a garantire, nell’ambito dell’educazione musicale e sin
dalle scuole dell’infanzia, una qualità formativa migliore; ciò avrebbe un
grande effetto sulla stessa formazione verticale degli alunni e degli studenti,
di coloro che, potrebbero, ad un certo punto del proprio percorso scolastico,
scegliere anche la via dell’insegnamento stesso.

- 104 -
- cambiare idea che si ha circa il canto e l’intonazione, circa la capacità di
ciascun bambino di cantare. Tutti i bambini possono, e devono, cantare, la
differenza è nell’educazione. L’orecchio si può educare, si può imparare ad
ascoltarsi e ascoltare l’altro, ad acquisire sempre maggiore consapevolezza
corporea dalla quale, nella musica, nella pratica corale, non si può prescindere.
I bambini vi partecipano interamente, lo abbiamo già visto parlando di Goitre
e di san Filippo Neri;
- questo nuovo modo di educare richiede un nuovo atteggiamento da parte degli
insegnanti e anche dei direttori di coro e di quanti sono implicati
nell’insegnamento della musica e del lavoro con i gruppi classe. Ci tengo a
ribadire che questo atteggiamento è valido tanto per le scuole generiche quanto
per le scuole di musica. Come abbiamo visto nessuna delle due è esclusa dalla
necessità di imparare e vedere la musica come un sapere che sa e che deve
sapere;
- cambiamento di atteggiamento dell’insegnante, del direttore di coro richiede
saper essere un buon facilitatore e, quindi, mediatore. Il facilitatore è colui che
si avvicina al discente, ma non si sostituisce a lui, non è invadente. Ascolta e
osserva i limiti e comprende qual è la sua zona prossimale di sviluppo al fine
di trovare soluzioni comuni. È neutrale, non si schiera, lascia all’altro il tempo
giusto per arrivare al prossimo step perché, da facilitatore, egli ha chiaro
l’obiettivo;
- maggiore considerazione dei benefici della musica all’interno delle attività
didattiche e del fatto che l’educazione musicale non è da racchiudere in una
mera pratica ma dev’essere vista come un’esperienza di crescita individuale e
di gruppo e non perché ci sia la pretesa che lo studente diventi necessariamente
un maestro di musica, ma perché questo gli darà maggiori strumenti per le
scelte in generale, per essere in grado di ascoltare e riconoscere anche i
sentimenti verso le proprie cose.

Al termine di questo mio elaborato di tesi, è la grande sfida che voglio pormi come
educatore e come promotore dell’educazione musicale, impegnarmi affinchè i percorsi
musicali che propongo ai bambini siano soprattutto un’esperienza di piacere, di maggiore
conoscenza di sé e del proprio mondo sensoriale, affettivo e sociale.

- 105 -
CONCLUSIONI

Il mio lavoro di tesi è rimasto costantemente legato all’obiettivo di portare alla


luce le principali dinamiche storiche riguardanti alcune metodologie, prevalentemente
scolastiche, dell’insegnamento della musica. Già il titolo del mio elaborato offre una
traccia della linea di svolgimento messa in pratica. In tal merito, la mia trattazione ha
sondato anzitutto le radici della musica, con l’intenzione di conferire risalto ad alcuni
elementi per me rilevanti e centrali nel progressivo approdo da una “musica senza sapere”
alle consapevolezze culturali della formazione educativa in musica, illustrate tra modalità
applicative e legislazione scolastica. In questo obiettivo, ha funto da costante di ogni
scenario l’idea del legame tra passato e presente, sempre verificandosi l’esigenza di un
dialogo retrospettivo e restitutivo teso tra un esercizio di stile e il rinnovamento, anche in
campo pedagogico-educativo della musica.
A partire dai primi secoli dopo Cristo, ho seguito gli eventi e le personalità,
soffermandomi su quelle di maggior rilievo da un punto di vista di un contributo non solo
strettamente musicale, ma considerato nell’ampio spettro tra cultura e spiritualità,
cercando l’identità attuale di quel passato. È il caso delle figure di sant’Ambrogio e del
pontefice san Gregorio Magno, che hanno saputo educare con gli inni e i salmi, quasi
anticipando la progettualità educativa volta ai discenti di Guido d’Arezzo e san Filippo
Neri, entrambi rivoluzionari e anticipatori dell’attivismo pedagogico musicale.
Avvicinandomi così all’Otto e Novecento, attraverso i tormenti riformistici della musica
sacra europea, specchio nella musica per coro delle difficili vicende che la musica visse
nella disarmonia con le programmazioni scolastiche italiane fin dagli anni dell’Unità
risorgimentale e ancora oggi non del tutto risolte.
Valorizzare il bambino, l’alunno, lo studente e renderlo attivo nel suo processo
educativo è, come sappiamo, il miglior modo per farlo apprendere, sia che si parli dei
cantori, degli alunni o studenti delle istituzioni scolastiche, sia che ci si riferisca ai
giovanetti mendicanti a cui Filippo Neri porse un’occasione formativa atta a coinvolgerli
attivamente, da cui sarebbe passata la restituzione di una dignità sociale. Prima ancora,
l’apporto di Guido d’Arezzo era stato un modello emblematico per ogni generazione,
soprattutto nelle strategie didattiche d’aiuto ai discenti. La sua idea di rendere i cantori
delle scholae cantorum autonomi, capaci di imparare un metodo di studio sine magistro,
si ripropone oggi nelle teorie sull’apprendimento efficace, nella cui descrizione ho
impegnato gran parte del terzo capito.

- 106 -
La partecipazione attiva del soggetto coinvolto in un processo educativo o
istruttivo ha caratterizzato anche la riforma ceciliana tra Otto e Novecento, sia negli
ambienti ecclesiastici, impegnati a mantenere il primato dell’educazione secondo i
principi cristiani, sia negli ambienti istituzionali laici, come i conservatori di musica. Si
tratta di due sponde non sempre così distanti l’una dall’altra, che comunicano soprattutto
entro gli stilemi del rinnovamento, di una retrospettiva che non copi il passato, ma ne
parafrasi la modernità. Nondimeno, la dualità che comunque fu viva nelle differenti
metodologie didattico-pedagogiche tra scuola corale religiosa e pubblica, hanno mostrato
come sia difficile restare disciplinati entro un sistema multiculturale, chiudendosi talora
al cambiamento. È proprio questo tipo di resistenza, verificata in quelle circostanze, che
fornisce oggi un ausilio per superare il timore verso quel che nuovo e diverso si insinua
negli ambiti educativi e formativi. Siamo chiamati tutti, docenti, educatori, insegnanti,
genitori, a trovare occasioni e strategie per allargare e modificare sempre ciò che, a lungo
termine, non porta al risultato, partendo dal superamento delle diffidenze appena ora
descritte.

La mia tesi si spende a lungo anche in una riflessione sugli ambienti


dell’istruzione italiana in via generale, di cui la musica è parte. Il modo più idoneo mi è
parso quello di ricostruire un simile quadro colmo di criticità, affrontando le varie stagioni
della legislazione scolastica in materia di musica. Una storia complessa, che non sempre
calibra il gesto legislativo in base alle esigenze della crescita culturale e umanistica
presenti anche nella scuola. Il mondo della scuola, quella vera, che vive nelle aule, tra
insegnanti, educatori e studenti, non sempre si armonizza con quel che una legge delinea;
talora un programma, un decreto paiono distanti irrimediabilmente dalla verità educativa,
soprattutto quando rivolti all’educazione musicale. Ho cercato di mostrare come sia
urgente che queste difficoltà trovino un aiuto: soprattutto nelle ricerche e studi che il
docente di musica produce a verifica delle attività svolte, i cui esiti andrebbero sempre
più puntualmente incrociati con le ragioni del dettato legislativo.

Attraverso le competenze chiave, essenziali in un società inclusiva e globalizzata


(secondo capitolo), trovo un aiuto imperdibile nella mia quotidianità scolastica,
soprattutto quando nell’insegnamento musicale inseguo una rottura degli schemi, dei
modi di fare sempre uguali, dell’agire per automatismi da mestieranti, del pensare in
piccolo e agire in grande. Muovermi in un’ampia visione delle cose mi dona strumenti e

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sensibilità per agire ancor meglio nel mio piccolo. Sono auspici che animano il terzo
capitolo: essere capace di trasformare quella visione aperta e inclusiva per condurla nei
luoghi educativi che frequento, attraverso le azioni educative. Entro queste dinamiche,
confido che il mondo della scuola apra sempre di più le porte alla musica, a partire dal
nido e dalle scuole dell’infanzia, per rafforzare fin dalla prima età la creazione di un
curriculum verticale in musica, fondamentale per lo sviluppo di quelle life skills, a cui
poco per volta affidarsi per ogni sfida quotidiana.

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BIBLIOGRAFIA

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