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Musica e societa
Enciclopedia delle scienze sociali (1996)

di Antonio Serravezza

Musica e società

sommario: 1. Pratiche musicali, culture musicali e società. 2. Le ricerche e le teorie. □


Bibliogra:a.

1. Pratiche musicali, culture musicali e società

Il radicamento sociale della musica è al tempo stesso controverso e ovvio. Se sotto alcuni
aspetti il legame del linguaggio musicale con il mondo delle relazioni sociali appare
problematico, sotto altri si presenta con caratteri di immediata evidenza. Il rapporto di tale
linguaggio con la sfera delle credenze e delle azioni collettive risulta palese specie se non
ci si limita a considerarlo nell'ottica della moderna musica d'arte, la cui presenza si è
consolidata nel nostro repertorio e i cui valori si sono cristallizzati in una speci:ca sfera
estetica. Ove si allarghi la considerazione ad altri settori di produzione e ad altre forme di
rapporto con il mondo sonoro, l'esperienza musicale mostra signi:cativi punti di contatto
con le pratiche sociali, e spesso non può essere tematizzata senza riferimento a esse. In
questa più ampia prospettiva la musica scandisce di norma il tempo di comunità più o
meno ampie e si integra negli aspetti dell'esistenza più legati a forme di vita associata.
Dalle funzioni cerimoniali a quelle di intrattenimento, dalle pratiche apotropaiche a quelle
legate alla caccia o alla guerra, dall'alternanza stagionale dei lavori rurali alle ricorrenze
civili o liturgiche, dalle feste di corte alle aggregazioni del salotto borghese, il suono
musicalmente organizzato rappresenta un momento degli eventi, ordinari e straordinari,
che coinvolgono gli individui nella realtà collettiva. Sia lo studio delle culture etniche, sia
gli indirizzi della ricerca storica non inLuenzati dai :ltri estetici della nostra tradizione
documentano un'ampia integrazione della musica nel sociale, e solo in ambiti assai
circoscritti per estensione e cronologia individuano pratiche artistiche prive di rapporti
signi:cativi con tale dimensione.
Il grado di integrazione della musica negli eventi sociali cui si accompagna non è peraltro
costante. In alcune situazioni (musica funebre, nuziale, conviviale, liturgica, ecc.) il
signi:cato fondamentale del momento di vita associata è segnato dalla circostanza che
lo origina, e la pratica musicale non rappresenta essa stessa il movente intorno al quale si
organizza l'evento; la musicologia ha coniato l'espressione 'musica funzionale' per
designare la stretta subordinazione del canto o dell'esecuzione strumentale a determinate
occasioni di rilevanza non musicale. In altre situazioni la speci:cità della circostanza ha
un'impronta meno netta: in questi casi si riscontrano pratiche sociali con un carattere
speci:camente 'musicale' in quanto :nalizzate primariamente alla produzione o alla
riproduzione di suoni. Hausmusik, Kammermusik, Salonmusik, ad esempio, rispondono
allo scopo di promuovere una forma di intrattenimento motivata dalla musica. In queste
occorrenze l'assenza di una funzione extramusicale non rende meno trasparente il
carattere sociale dell'evento, dal momento che attraverso la musica si realizza una forma
di incontro e di partecipazione: se non si può più parlare, a rigore, di 'musica funzionale',
non per questo si può ritenere estinta la contestualità sociale.
Incontro e partecipazione caratterizzano anche le forme di spettacolarizzazione pubblica
della musica: la vita concertistica e il teatro hanno costituito importanti luoghi di
aggregazione sociale, anche a prescindere dalle ideologie, e talvolta dalle fedi politiche di
cui sono stati veicolo. Certo, divenendo 'spettacolo', vale a dire evento sonoro che si
consuma di fronte a un pubblico, la musica vede mutare il rapporto con le comunità che la
coltivano. La partecipazione tende a con:gurarsi come un'appropriazione dell'opera da
parte di individui i cui vissuti si quali:cano variamente sotto il pro:lo psicologico ed
estetico, ma non presentano più palesi riferimenti alla vita associata. La semplice
condivisione del luogo e del tempo dello 'spettacolo' rende solo formale e momentanea
l'appartenenza a un gruppo; inoltre la tipica distanza estetica che nella 'rappresentazione'
separa l'ascoltatore dal brano comporta l'attenuarsi del senso di identi:cazione e di
appartenenza che si realizza in altre pratiche musicali. Si deve a Heinrich Besseler la
distinzione tra musica-relazione, categoria che rinvia a un rapporto attivo con la musica
nell'ambito di un contesto di rapporti interpersonali, e musica-rappresentazione, la cui
esperienza si realizza, appunto, nella condizione passiva dell'ascolto di un evento sonoro
che prende forma 'di fronte' al soggetto.
La musica correlata a quest'ultimo tipo di appropriazione viene abitualmente quali:cata
come forma di arte 'autonoma'. E non c'è dubbio che tale condizione sia avvertita in primo
luogo come emancipazione dai vincoli 'funzionali' che la legano a pratiche sociali. Ma è
anche indubbio che un'autonomia così de:nita non costituisce un carattere della musica
stessa né è assicurata in permanenza dalle intenzioni di autori che abbiano inteso
produrre, appunto, opere 'autonome'. Si tratta piuttosto di un carattere acquisito o
attribuito nel contesto fruitivo che si origina alla convergenza tra nascita di un libero
professionismo musicale e creazione di strutture stabili aperte al pubblico pagante. La
distinzione tra musica 'funzionale' e 'autonoma' non è interpretabile come una rigida
coppia oppositiva anche per il fatto che i con:ni tra i due ambiti sono incerti e non
impermeabili. In molti casi prodotti in origine 'funzionali' (si pensi alle cantate sacre del
XVIII secolo, concepite in vista di precise occasioni cerimoniali) divengono musica 'da
concerto'. Una frazione non trascurabile dell'odierno repertorio, luogo di elezione del culto
estetico per la musica, è costituita da prodotti originariamente 'funzionali'; una frazione
ancora più consistente da forme ibride, concepite in origine come 'intrattenimento', cioè
come musica destinata a ricevere un gradimento per se stessa ma creata in vista (e
quindi in funzione) di speci:ci momenti della vita di determinati gruppi. All'inverso, è
possibile che brani di musica 'autonoma' si carichino di un ruolo eteronomo (per esempio
nelle tecniche pubblicitarie, o nelle strategie di persuasione e di controllo sociale per
mezzo dei mass media). Anche nell'ambito delle forme più trasparenti di musica
'funzionale' (come la musica liturgica) non tutti gli aspetti dell'organizzazione sonora sono
direttamente riferibili al contesto e alle :nalità perseguite: alcuni elementi linguistici
acquistano riferimento alla situazione non per la conformazione del costrutto sonoro alle
esigenze dell'evento, ma per un semplice legame associativo: lo stesso legame che
talvolta può rendere 'funzionale' (per esempio nell'impiego a :ni di propaganda politica)
un brano di musica 'autonoma'.
Occorre poi considerare che la partecipazione alla vita concertistica, pur svincolata dai
robusti fattori di coesione comunitaria che caratterizzano la musica-relazione, mostra
comunque un'impronta sociale. La frequentazione dell'opera e del concerto ha presentato
- e in parte presenta tuttora - aspetti ritualizzati che fanno pensare a una sorta di liturgia
laica. Chi guardasse a essa con occhio antropologico non avrebbe dif:coltà a rinvenire,
dietro i comportamenti e le scelte degli individui apparentemente irrelati che compongono
il pubblico, credenze, atteggiamenti, motivazioni e reazioni comuni. Alle trasformazioni
sociali rinvia poi la stessa genesi della musica-rappresentazione nella sua forma
moderna. Il percorso che conduce dagli spettacoli di corte alla nascita di strutture stabili
aperte al pubblico pagante e la varietà di forme in cui si articola questa lunga transizione,
giunta a termine solo nel secolo scorso (si pensi, ad esempio, alla forma del concerto 'per
sottoscrizione') rinviano non soltanto a una serie di trasformazioni sociali (in primo luogo
al consolidamento dell'egemonia culturale della borghesia cittadina), ma anche alla
trasformazione del circuito economico che alimenta la vita musicale. L'accesso ai luoghi
della musica-spettacolo comporta costi che limitano, e quindi quali:cano censitariamente
e socialmente, la fruizione dei prodotti destinati ai teatri e alle sale pubbliche. A parte
questo, l'apparato economico, organizzativo e istituzionale che sorregge la vita musicale
nelle nuove forme pubbliche comporta molteplici collegamenti e compromissioni con le
forze sociali.
Il moderno culto estetico dell'arte tende a sottovalutare l'incidenza di questi fattori sulla
produzione e sulla fruizione, ma lo stesso culto estetico alimenta valori della musica-
spettacolo in cui si possono cogliere elementi ideologici. La ricerca e l'apprezzamento
dell'originalità, il protagonismo, la forte competitività che caratterizza quasi tutti i settori
della vita musicale legata a tale modello trovano nella storia sociale utili chiavi
interpretative. Alcuni di questi elementi, come la competitività e l'antagonismo, si
riscontrano in altre civiltà musicali (si pensi alle sopravvivenze della forma del 'contrasto'
in alcune tradizioni popolari, come s:da o diverbio canoro tra due improvvisatori), ma
permeano in profondità, :no a costituirne l'essenza, anche molte fasi dello sviluppo della
moderna musica d'arte. La storia del melodramma nel Settecento francese, ad esempio,
non è leggibile se non sulla base di una diffusa conLittualità che giusti:ca e motiva, ancor
prima che le scelte stilistiche dei compositori, la volontà di confronto ideologico da parte
delle élites colte rappresentate nel pubblico. A volte l'antagonismo vissuto attraverso la
musica assume la forma del confronto generazionale tra 'vecchio' e 'nuovo' (e la vita
concertistica imprime una sensibile accelerazione al ritmo di avvicendamento degli stili,
delle forme e delle opere, salvo stabilizzare, con complesse dinamiche, alcuni prodotti in
un repertorio relativamente durevole). A volte invece l'antagonismo si esaurisce in una
contrapposizione tra 'gusti' originata e argomentata esclusivamente sul terreno musicale.
In ogni caso, tuttavia, la nascita di un pubblico formalmente indistinto non estingue né
attenua l'uso della musica come segno dell'identità di un gruppo. Sotto questo aspetto
non v'è, in linea di principio, differenza tra il suo odierno impiego per esigenze di
identi:cazione e distinzione da parte di gruppi giovanili e certe forme di adesione al
'partito' wagneriano alla :ne del secolo scorso. Per queste ragioni l''autonomia' della
musica d'arte, intesa come isolamento in un mondo puramente artistico, rappresenta
un'aspirazione più che una condizione di fatto. Piuttosto che da un effettivo sradicamento,
nasce da un'immagine culturale per effetto della quale funzioni e legami sociali perdono
visibilità agli occhi dei soggetti coinvolti. Persino l'Arte della fuga di Bach, indicata spesso
come vertice di astrattezza musicale e come opera 'teorica' dimentica di ogni attuazione
pratica, presenta qualche traccia di funzionalità extramusicale. Non si può disconoscere
che possegga una valenza dimostrativa in quanto exemplum diretto a illustrare le risorse
più avanzate del contrappunto e che come tale abbia un signi:cato pedagogico, e quindi
incarni un progetto di azione sociale volto a consolidare e trasmettere un complesso di
istituti tecnici.
Il processo che conduce all'affermazione di questa cultura si intreccia con un profondo
mutamento nello statuto della musica. L''autonomia' è indubbiamente favorita dallo
sviluppo di istituzioni che tolgono visibilità alla funzione sociale, ma è correlata anche a
un altro fenomeno, in origine disgiunto dal mutamento del quadro istituzionale, poi
strettamente intrecciato a esso. Dall'inizio dell'età moderna nel mondo colto
dell'Occidente la musica cessa di identi:carsi in una presenza che si esaurisce nel
momento del suo prodursi, e tende a consolidarsi in un oggetto ideale, in una realtà
stabile e persistente. Si tratta dell''opera' (da non intendersi, ovviamente, nel senso del
melodramma), vale a dire di un prodotto dotato di una immutabile identità e non
coincidente con il momento della sua realizzazione. Ciò porta all'estinguersi del carattere
di 'evento' della musica, con il corollario di attributi legati alla vita collettiva. Se prima la
musica esisteva in funzione di un evento, ricorrente o eccezionale, ora l'evento (il
concerto, l'allestimento di uno spettacolo, ecc.) è funzione dell'opera, essendo
organizzato per consentirne l'esperienza.
Nell'accezione prima precisata l'opera costituisce inoltre una realtà compiuta, vale a dire
con:gurata integralmente e de:nitivamente in tutte le parti, e quindi riproducibile nella sua
precisa identità. Intorno a questo nuovo statuto si coagula un insieme di valori. L'idea della
compiutezza è associata all'area semantica della perfezione; l'idea dell'unicità genera,
come corollario, l'ideale dell'originalità sul versante compositivo, della fedeltà su quello
esecutivo. In:ne la de:nizione dell'opera come entità persistente, indipendente dalle
realizzazioni e dalle loro mutevoli circostanze, alimenta la fede nella sua autonomia: la
musica che accede a questa condizione tende a svincolarsi dalle occasioni della sua
produzione e del suo uso immediato, per collocarsi in una sorta di museo ideale ove la
sua presenza non ha riferimento che a se stessa. L'aggettivo 'interno' diviene la più
ricorrente quali:cazione sia degli aspetti dell'opera, sia del suo riLesso nella coscienza,
l'esperienza del fruitore. Questi ideali, portati a compimento dalle estetiche romantiche e
idealistiche, corrispondono peraltro ad atteggiamenti di larga diffusione sociale che
caratterizzano un segmento della vicenda storica della musica non molto ampio, ma di
straordinaria incidenza sulla nostra cultura: il Settecento e l'Ottocento, con anticipazioni
nel Seicento e ampie propaggini nel nostro secolo. Ovviamente non è possibile ricondurre
a una cronologia precisa un fenomeno epocale di questa portata, anche perché
l'evoluzione che lo ha prodotto non presenta uno sviluppo lineare e incontrastato, né ha
interessato nella stessa misura tutti i generi musicali. Nel complesso, tuttavia, il nuovo
paradigma si è presentato come un organico sistema di valori (individuato nella sua
speci:cità dalla musicologia, specie germanica, a partire dagli anni settanta) che, oltre a
incarnarsi in un imponente corpus teorico (elaborazioni :loso:che, indirizzi dell'attività
critica, immagini letterarie della musica), ha permeato capillarmente, per generazioni,
attese e credenze di vasti strati del pubblico.
La riLessione sui rapporti tra musica e società ha trovato in questo paradigma culturale al
tempo stesso un ostacolo e uno stimolo. La fede nell'autonomia dell'oggetto artistico
induce a rappresentare il rapporto tra uomini e musica come una relazione esclusiva tra
individuo e opera: una rappresentazione che elide ogni riferimento al contesto sociale,
ritenuto estraneo al nucleo 'artistico' del linguaggio dei suoni. Le teorie correlate a questa
immagine ovviamente non negano che, di fatto, le pratiche musicali intrattengano rapporti
con una serie di realtà esterne e, tra queste, con elementi sociali, ma ritengono ciò
irrilevante per il signi:cato fondamentale della musica, che si de:nisce nella dimensione
estetica o, tutt'al più, nella relazione con la psiche del fruitore. Il giudizio di irrilevanza
trova poi conforto nella minore visibilità delle radici sociali delle 'opere' e della musica-
rappresentazione rispetto alle pratiche musicali 'funzionali'. Nel contempo una visione
così circoscritta rappresenta una s:da per le imprese intellettuali che si propongono di
indagare le radici della musicalità nell'interezza del loro sviluppo. Il carattere rivendicativo
assunto spesso dalle ricerche sul rapporto tra musica e mondo sociale si spiega a partire
da queste premesse, giacché l'esigenza di tematizzare tale rapporto è fatta valere contro
una rappresentazione ritenuta inadeguata. Ma la riLessione sociologica sulla musica a
volte accoglie, in qualche modo, anche le esigenze di cui le teorie dell''autonomia' sono
portatrici. Come vedremo, i suoi sforzi in alcuni casi sono stati diretti a rinvenire un
elemento sociale all'interno delle opere stesse, nelle loro proprietà stilistiche,
morfologiche, ecc.: si è trattato di tentativi di coniugare il riconoscimento di un nesso con
il mondo sociale con l'accoglimento parziale delle istanze provenienti dalla cultura
dell''opera'. Ciò ha contribuito ad arricchire il dibattito metodologico: quando ha scelto di
misurarsi con la musica della nostra recente tradizione, l'approccio sociologico ha dovuto
stabilire anzitutto dove, cioè in quale aspetto o livello della realtà musicale, eventualmente
'interno' alla musica stessa (stile, assetto formale, sintassi tonale, ecc.) vada ricercato il
legame con il mondo sociale, e quindi con quali strumenti il nesso possa essere indagato.
Altri interrogativi di interesse sociologico acquistano rilevanza in riferimento a questo
speci:co modo di vivere la musica. Le nuove condizioni di produzione, decisamente più
complesse rispetto ai rapporti dei musicisti con la committenza pubblica e privata, il
nuovo modello editoriale, le nuove forme organizzative rappresentano un campo di
indagine vasto e impegnativo. Inoltre, poiché l'offuscamento del carattere di 'evento' rende
meno nitida l'identità del fruitore, non più de:nita in modo perspicuo dalla partecipazione
a una pratica collettiva, la con:gurazione indeterminata del pubblico induce a porre
quesiti circa la sua omogeneità, la sua estensione, l'estrazione sociale dei suoi
componenti, il loro livello culturale, la loro collocazione politica, ecc. Si pone poi il
problema di stabilire una correlazione tra tali elementi e i caratteri della musica prodotta e
riprodotta per i circuiti pubblici del teatro e del concerto: le preferenze per stili e repertori, i
tipi di gusto, i valori estetici si de:niscono in un quadro decisamente più complesso della
stabile e univoca cornice sociale in cui si inquadrano le pratiche della musica 'funzionale'.
Vi è dunque un nesso tra lo sviluppo dell'interesse per il rapporto tra musica e società e il
consolidarsi di una civiltà musicale che rende meno immediato - ma non per questo più
tenue - il rapporto medesimo. Sotto tale aspetto merita attenzione l'ipotesi,
apparentemente peregrina, di una sociologia della sociologia della musica.
Il paradigma dell'autonomia dell'opera ha costituito, anche nel periodo di più massiccia
affermazione, solo una frazione dell'estensione complessiva delle pratiche musicali (si
pensi alla vitalità delle tradizioni etniche che hanno continuato a svilupparsi
parallelamente a esso, e qualche volta ne hanno incrociato il percorso, o al grande
sviluppo ottocentesco di generi 'minori', come la musica da salotto, eredi, sotto alcuni
aspetti, della produzione da intrattenimento). Nonostante ciò, tale paradigma ha
esercitato un'egemonia indiscussa e ha costituito il punto di riferimento intorno al quale si
è organizzato l'intero sistema assiologico della musica. Se al presente esso non può
ritenersi obsoleto e la sua validità continua a farsi avvertire nei modi più convenzionali di
rappresentare la vita musicale, per esempio nella credenza che questa si articoli nella
'naturale' triade dei ruoli impersonati dal compositore, dall'interprete e dal pubblico, la sua
supremazia appartiene però al passato. Nella seconda metà del nostro secolo l'immagine
culturale della musica ha subito un imponente processo di 'pluralizzazione', aprendosi ad
altre esperienze, ad altri statuti e ad altri valori. A ciò hanno concorso l'evoluzione dei
linguaggi musicali, e in primo luogo le proposte di alcune avanguardie dirette a disgregare
il modello dell''opera', con i suoi attributi di stabilità e compiutezza, e qualche volta anche
a modi:care il rapporto con il pubblico, ripristinando il carattere di 'evento' delle
realizzazioni musicali. Ma a ciò ha concorso anche l'evoluzione sociale dei paesi
occidentali, che ha favorito la formazione di fasce differenziate di pubblico con valori,
comportamenti e repertori diversi. A prescindere dalle occasionali provocazioni delle
avanguardie, anche nei nuovi settori legati a un pubblico giovanile torna a farsi visibile il
carattere di 'evento' e a rafforzarsi la contestualità sociale dell'esperienza della musica.
Ciò avviene in concomitanza con un fenomeno di segno opposto: lo sviluppo delle
tecniche di registrazione e riproduzione del suono rafforza il paradigma dell''opera',
dilatando disponibilità e fruibilità della musica al punto da elidere del tutto necessità e
schemi comportamentali imposti da circostanze esterne. Giunge così a compimento il
processo, avviato dalla cultura dell''opera', che separa l'oggetto musicale dalle condizioni
'ambientali' della sua realizzazione. Per altro verso, le nuove possibilità tecniche danno
vita a forme di produzione, di consumo e di mercato che incrinano un aspetto centrale di
quella cultura, ossia il carattere fortemente selettivo e antagonistico. La diffusione della
musica attraverso i mass media ha livellato le condizioni di accesso ai diversi repertori,
indebolendo il potere di discriminazione qualitativa dei canali tradizionali e cancellando
quanto vi era in essi di esclusivo e di preclusivo. Più banalmente, l'aumento della quantità
e della varietà dei prodotti disponibili allarga il raggio delle scelte e crea i presupposti per
la legittimazione di una 'pluralistica' varietà di comportamenti musicali, di modo che
l'incremento dell'offerta :nisce per tradursi in incremento della ricettività. Il mondo
musicale appare dunque, nelle con:gurazioni più recenti, variegato non solo sul piano dei
prodotti fruibili, ma anche su quello delle forme di appropriazione individuale e sociale. Il
senso gerarchico, rilevante nel metabolismo sociale della musica-opera d'arte, tende ad
attenuarsi, e la rappresentazione culturale della musica evolve verso un quadro paci:cato.
Sarebbe facile, peraltro, elencare i casi in cui un particolare linguaggio musicale catalizza
forme di aggregazione o diviene contrassegno identi:cativo di una subcultura, ma ciò non
intacca il complessivo affermarsi di una coscienza musicale 'globale' mediata da
fenomeni ormai planetari di acculturazione.
2. Le ricerche e le teorie

Prima di divenire, alla :ne del secolo scorso, oggetto di speci:co interesse scienti:co, la
dimensione sociale della musica ha costituito l'argomento di occasionali osservazioni,
specie per quel che riguarda i contesti degli avvenimenti musicali e i fenomeni di costume
a essi collegati. Notazioni di questo genere si riscontrano già nelle testimonianze del
mondo antico. In epoca moderna presentano spesso notevole valore documentale le
osservazioni sparse nelle opere di cronachisti, viaggiatori, letterati. Si pensi ad esempio al
ricco materiale raccolto da Charles Burney nel Present state of music in France and Italy
(1771), nel Present state of music in Germany, the Netherlands and United Provinces
(1773) e nella General history of music (1776-1779). Oppure al Teatro alla moda di
Benedetto Marcello (1720), ove la satira del mondo gravitante intorno al teatro musicale
coevo si intreccia a elementi di critica del costume sociale. Qualche rilevanza presentano
anche, in questa prospettiva, le Mémoires sur la musique des Chinois di padre Amiot
(1779), le Vorlesungen über Musik mit Berücksichtigung der Dilettanten di Hans G. Nägeli
(1826) e la Geschichte der europäisch-abendlandischen oder unserer heutigen Musik di
Kiesewetter (1834).
Intorno alla metà dell'Ottocento si constata un in:ttirsi delle riLessioni sui rapporti tra
musica e società, anche per effetto delle vicende politiche di quegli anni. Tali riLessioni
non costituiscono ancora una vera sociologia della musica: inserite per lo più in contesti
caratterizzati da altri interessi, solo di rado fanno emergere i segni di una consapevolezza
teorica o rendono esplicita la necessità di intraprendere l'analisi dei fenomeni musicali dal
punto di vista del rapporto con il mondo sociale. Lo stesso Comte non seppe offrire un
contributo signi:cativo in questa direzione: le poche considerazioni sulla musica presenti
nei suoi scritti sono per lo più banali riformulazioni di idee correnti. Signi:cative aperture
nella direzione di un'interpretazione sociologica della musica si riscontrano invece nei
Musikalische Charakterköpfe del critico Wilhelm H. Riehl (1853), ove si può leggere un
pro:lo di Bach und Mendelssohn aus dem sozialen Geschichtspunkte (la parte dedicata al
primo è intitolata Die Musik und das deutsche Bürgertum, quella relativa al secondo Die
Musik und die gebildete Gesellschaft). Pochi anni dopo spunti sociologici di un certo
rilievo saranno presenti nel saggio di Herbert Spencer The origin and function of music
(1857), ove si propone, accanto a un'interpretazione in chiave :siologica dell'espressione
musicale, un legame tra questa e il progresso civile dell'umanità: la musica è uno
strumento privilegiato per il trasferimento simpatetico delle emozioni, e la comunione
realizzata con i suoi mezzi offre un contributo allo stabilizzarsi di civili relazioni
interpersonali, all'incremento della solidarietà e alla repressione delle tendenze egoistiche.
Più tardi, nei Principles of sociology (1876) Spencer formulerà alcune considerazioni sul
ruolo professionale del musicista e sulla sua relativa evoluzione. Va poi segnalato il
notevole Contre la musique (1880) di Victor de Laprade, che istituisce una correlazione tra
sviluppo della democrazia, progresso delle scienze naturali e "dispotismo della musica",
vale a dire sviluppo di un'arte funzionale a esigenze di controllo sociale. Né va trascurato
l'impulso alla considerazione dei prodotti culturali come risultante anche di condizioni
sociali impresso dal Taine alla ricerca storica coeva, e lo sviluppo, ad opera di Jean-Marie
Guyau, di una estetica sociologizzante non priva di attenzione per la musica. Va
comunque precisato che in Guyau (come pure nel critico Camille Bellaigue, che ne riprese
le idee) il signi:cato sociale di quest'arte è alquanto evanescente: in estrema sintesi,
sembra compendiarsi nel carattere 'simpatetico', ovvero nel potere di accomunamento
che, sulla scia del solidarismo comtiano, viene attribuito alle emozioni musicali.
Se si prescinde da queste anticipazioni, più o meno remote, la sociologia della musica si
sviluppa in forme rilevanti solo tra la :ne dell'Ottocento e i primi anni del Novecento. Un
marcato interesse scienti:co per il radicamento sociale della musica si registra in Francia
sul :nire della lunga stagione positivistica grazie all'inLuenza esercitata dalle Règles de la
méthode sociologique (1895) di Émile Durkheim. Tale inLuenza si coglie in particolare ne
La musique, ses lois, son évolution (1907) del padre fondatore della musicologia francese,
Jules Combarieu, e nell'Esquisse d'une esthétique musicale scienti:que di Charles Lalo
(1908). In entrambe le opere si avverte netta la centralità della categoria di fait social. Per
Combarieu la musica reca l'impronta del mondo sociale in quanto al suo esercizio è
sotteso un piano normativo: il linguaggio dei suoni, il sistema degli intervalli, delle scale,
dei modi, che le teorie del secondo Ottocento avevano esplorato con gli strumenti della
:siologia e della psicologia, sono ora interpretati anzitutto come un insieme di regole e
obblighi esterni all'individuo, istituiti dalla collettività (la quale "se non crea, può fornire
tutti i materiali necessari alla creazione") e garantiti da sanzioni sociali. In Lalo la matrice
durkheimiana risulta ancora più chiara. Non è possibile accedere per via psicologica al
signi:cato della musica perché il valore estetico di questa, come di tutte le arti, è un
valore sociale: gli elementi del suo linguaggio sono tutti soggetti a una forza collettiva che
ha il potere di "creare delle istituzioni, cioè delle organizzazioni più o meno coerenti. Tali
sanzioni hanno un carattere autenticamente imperativo, poiché non costringono affatto
con una violenza materiale: attraggono più di quanto vincolino e, per le coscienze di un
ambiente particolare come quello del pubblico e degli artisti, comportano un vero e
proprio 'obbligo"' (v. Lalo, 1908, p. 31).
Gli studi di Combarieu e Lalo, sebbene accomunati da un quadro della vita musicale in cui
dominano 'leggi', codi:cate o meno, istituite dalla coscienza collettiva e garantite da un
sistema sanzionatorio, non convergono nel de:nire il ruolo della sociologia nel campo
della ricerca musicologica. Mentre Lalo proietta questa scienza al centro dell'indagine
sulla realtà musicale e ne rivendica una sorta di primato epistemologico rispetto a ogni
altro approccio, Combarieu non fornisce al riguardo indicazioni univoche. Da un lato
afferma che la storia della musica "si evolve da un capo all'altro in parallelo con la società,
rispecchiando tutti i mutamenti della vita pubblica, i progressi dello spirito laico, della
scienza e del lavoro industriale" (v. Combarieu, 1907, p. 313), e coerentemente con tale
dichiarazione in un capitolo del suo saggio propone, a titolo di esempio, una Analyse de la
sonate de J. S. Bach en La mineur, au point de vue sociologique, una serie di riLessioni su
una sonata bachiana (per la verità di dubbia attribuzione) esplorata, specie sotto il pro:lo
morfologico e stilistico, con numerosi riferimenti alla storia sociale. Dall'altro la musica è
pur sempre una "cosa aerea e fugace", "complessa e ricca di sensi" (ibid., p. 3), la cui
comprensione non può af:darsi privilegiatamente alla sociologia. Combarieu si mostra
preoccupato di salvaguardare lo "speci:co musicale", teorizza un "pensiero musicale" del
tutto autonomo e sottolinea con insistenza l'irriducibilità del linguaggio della musica ad
altri modelli di comunicazione, al punto che il lettore è tentato di collocarlo sulla stessa
linea del formalismo hanslickiano. In realtà le sue pagine obbediscono a due esigenze
parimenti imperative: indagare le radici sociali della musica allo scopo di consentirne una
adeguata comprensione (la Analyse bachiana è un vero e proprio saggio critico) e al
tempo stesso preservarne l'autonomia estetica. Si tratta, come vedremo, di tendenze
divergenti che, a volte in opposizione, a volte in rapporto dialettico, si ripresentano in altre
fasi della riLessione sociomusicologica.
Nell'ultima stagione del ciclo culturale del positivismo anche i paesi di lingua tedesca
offrono signi:cativi contributi all'elaborazione di modelli scienti:ci del rapporto musica-
società. Tra questi merita una menzione particolare Arbeit und Rhythmus dell'economista
Karl Bücher (1896). Quest'opera, nel rivendicare il rapporto dell'arte con il lavoro e i
processi produttivi (non a caso fu recepita con particolare interesse dall'estetica marxista,
da Plechanov a Lukács), pone in risalto l'origine della musica dalla scansione ritmica delle
operazioni lavorative. Se ogni lavoro comporta dispendio di energia muscolare e produce
fatica, l'affaticamento può essere contenuto alternando momenti di tensione e pause di
rilassamento, cioè assoggettandolo a un andamento ritmico. Nel lavoro comune, poi, il
ritmo favorisce il coordinamento e con questo agevola e incrementa la produzione: dai
'centri di lavoro' prodotti a tale scopo si sarebbero poi sviluppate le forme poetiche e
musicali più elaborate. Bücher, tuttavia, non propone una fredda riduzione economicistica
del problema dell'origine e dell'evoluzione della musica: nelle sue pagine la pratica del
canto nell'ambito del lavoro collettivo è oggetto di una sorta di idealizzazione, circostanza
che lo induce a deprecare nei ritmi della moderna produzione industriale anche il venir
meno di quel germe di promozione artistica dell'umanità che fu l'Arbeitsgesang,
manifestazione della "originaria unità dell'attività spirituale e :sica dell'uomo" (v. Bücher,
1909⁴, p. 413).
Lo studio di Bücher ricava gran parte della sua documentazione da testimonianze relative
alle pratiche musicali di popoli primitivi. Anche lo studio del Combarieu prima menzionato
presenta riferimenti alla musica dei 'selvaggi' (allo stesso autore si deve, tra l'altro, una
ricerca su La musique et la magie in cui uno dei problemi più dibattuti tra :ne Ottocento e
Novecento, quello dell'origine della musica, viene risolto ponendo in evidenza il legame del
canto con le tecniche magiche, sulla scorta di una cospicua documentazione etnologica).
Non è possibile tracciare una netta linea di demarcazione tra gli studi sociologico-
musicali intrapresi in questi anni e le ricerche sulle culture musicali etniche che vanno
in:ttendosi nello stesso periodo. L'opera giovanile Psychologische und ethnologische
Studien über die Musik di Georg Simmel (1881), ad esempio, contiene notazioni
sociologiche, così come i lavori del Grosse sull'origine delle arti, all'epoca tra i più noti e
inLuenti, affrontano l'analisi della musica in una prospettiva al tempo stesso etnologica e
sociologica. Né è un caso che il saggio di Guido Adler Umfang, Methode und Ziel der
Musikwissenschaft (1885), che si può considerare una sorta di manifesto o atto di nascita
della giovane musicologia, nell'introdurre la Musiksoziologie nel novero delle discipline
'sistematiche' della nuova scienza, la de:nisca "ricerca e comparazione a :ni etnogra:ci".
Non vi è congruenza tra questi orientamenti scienti:ci e il modello di cultura musicale
all'epoca imperante, legato al retaggio del tardo romanticismo, e quindi poco disponibile a
scorgere nella musica altro che l'espressione di emozioni individuali. Per la musicologia
l'impulso a valicare i con:ni di questo modello proviene da due diverse fonti: da un lato il
positivismo, con i suoi tentativi di aprire vie di accesso scienti:che alle arti, e quindi con la
sua propensione a tematizzare la musica come realtà oggettiva indagabile senza riguardo
ai valori del culto estetico; dall'altro l'intenso sviluppo degli studi etnologici, in qualche
modo collegati all'espansionismo coloniale, che documentano pratiche musicali investite
di un immediato signi:cato sociale e dimostrano come non vi sia coincidenza tra la realtà
'universale' della musica e la sua immagine corrente. L'etnomusicologia rappresenta
anche la base dello studio Die rationalen und soziologischen Grundlagen der Musik di
Max Weber. Il saggio, scritto intorno al 1910, rimasto incompiuto e pubblicato postumo
nel 1921, rappresenta uno dei più impegnativi tentativi di costruire un'interpretazione
scienti:ca della musica sul fondamento di categorie sociologiche. La cornice teorica è
decisamente lontana dalle concezioni del positivismo, ma i materiali sono attinti a piene
mani dal patrimonio conoscitivo dell'ancor giovane Musikwissenschaft, e in particolare da
Helmholtz (il tema della 'razionalizzazione' del materiale tonale è chiaramente pre:gurato
nella terza sezione della Lehre von den Tonemp:ndungen, uno dei capolavori scienti:ci
dell'Ottocento) e dalla 'scuola berlinese' di musicologia comparata (Stumpf, Hornbostel,
Abraham). Va precisato che nel contributo weberiano le analisi esplicitamente
sociologiche non sono numerose, e si limitano per lo più a considerazioni sull'evoluzione
degli strumenti e sul ruolo professionale dei musicisti. Nondimeno lo studio rappresenta
uno dei contributi più profondi all'analisi del signi:cato sociale della musica. Weber si
propone di illustrare come si sia pervenuti alla 'razionalizzazione' del materiale sonoro in
epoca moderna e nel mondo occidentale e di individuare la speci:cità di questo modello
rispetto a innumerevoli altri tentativi sviluppati in epoche e civiltà diverse. Il quesito
fondamentale che il saggio pone è infatti: "perché proprio in un punto della terra, dalla
musica a più voci, comunque abbastanza ampiamente diffusa, siano nate tanto la musica
polifonica quanto quella armonico-omofonica, al contrario di ciò che è avvenuto in altre
aree in cui la civiltà musicale ha avuto uno sviluppo almeno altrettanto intenso, come in
particolare l'antica Grecia, ma anche, ad esempio, il Giappone?" (v. Weber, 1921, p. 64).
L'esteso lavoro comparativo condotto da Weber sui materiali musicali, sviluppato
attraverso l'analisi delle scale arabe e persiane, cinesi e del Sudest asiatico, del sistema
pentatonico, della suddivisione dell'ottava praticata da varie etnie primitive, del sistema
tonale greco dell'epoca classica, ecc., conduce infatti a individuare nella moderna musica
armonica un unicum interpretabile solo sulla base della particolare conformazione e delle
particolari attitudini del razionalismo occidentale; la trattazione culmina nell'analisi delle
implicazioni del temperamento equabile, palesemente riconducibili a quel fondamentale
modello di agire sociale che più tardi, in Wirtschaft und Gesellschaft, sarà de:nito
Zweckrationalität, atteggiamento razionale rispetto allo scopo. Nello stesso tempo le
Grundlagen rilevano, alla radice del materiale della musica, irriducibili elementi irrazionali
(per esempio l'incompatibilità tra quinte e terze naturali) che mettono a dura prova
l'aspirazione alla coerenza delle teorie musicali: si tratta di temi che, sebbene circoscritti
all'interpretazione del mondo sonoro, preludono alle riLessioni dell'ultimo Weber sulla
sociologia delle religioni e in particolare sull'origine delle teodicee razionali.
Gli interessi musicali di Max Weber trovano riscontro in numerosi altri scritti, anche di
interesse metodologico. Tra questi si segnala il saggio del 1917 sull'avalutatività, ove la
storia della musica è indicata quale campo in cui il 'progresso' va interpretato in senso
tecnico, senza riferimento a valori estetici: una scelta coerente con l'impianto delle
Grundlagen, che ripercorrono l'evoluzione della musica solo dal punto di vista dei sistemi
tonali, e quindi dei dati obiettivi dell'assetto tecnico del materiale, prescindendo da ogni
riferimento a settori di produzione o a singole opere in quanto portatrici di signi:cati
artistici. Ciò aiuta a comprendere, tra l'altro, la ragione che ha indotto taluni interpreti a
scorgere in Weber un modello di sociologia 'empirica' della musica in alternativa
all'ermeneutica estetico-sociologica proposta, come vedremo, da altri indirizzi.
Le tesi weberiane hanno avuto una limitata inLuenza sugli studi successivi. Sotto il pro:lo
metodologico si segnala, da parte di Paul Honigsheim, la ripresa del criterio
dell'avalutatività e della nozione di 'tipo ideale', applicata alla costruzione di uno schema
classi:catorio dei musicisti, dei tipi di pubblico, delle funzioni della musica, ecc. La
tipologia di Honigsheim, peraltro, risente, come altre costruzioni analoghe (alla :ne degli
anni trenta, ad esempio, Pitirim Sorokin in Social and cultural dynamics si impegnò nella
costruzione di un elaborato schema classi:catorio basato sulla distinzione tra musica
'ideazionale' e musica 'sensistica'), di una genericità e astrattezza che ne compromettono
il valore. Deve essere poi ricordato lo sviluppo delle problematiche weberiane nella
Musiksoziologie di Kurt Blaukopf (1950), testo che, come le Grundlagen, intraprende
l'esame dei materiali della musica nella convinzione che i sistemi tonali e in generale gli
istituti tecnici rivelino un signi:cativo rapporto con le strutture sociali. Così i tipi storici più
semplici di sistemi tonali corrisponderebbero alle formazioni sociali meno evolute, quelli
più complessi a società di struttura più complessa.
Va comunque precisato che l'interesse scienti:co per i rapporti tra musica e società
mostra un vistoso calo al termine della stagione positivistica (nella quale rientrano, sia
pure solo per i presupposti materiali, anche le Grundlagen weberiane). Per un lungo
periodo, :no al secondo dopoguerra, la sociologia della musica non gode più di condizioni
di sviluppo favorevoli. Con il conLitto mondiale del 1914-1918 si disgrega la comunità
scienti:ca internazionale della quale i primi studi sociologico-musicali erano stati
espressione. Nel periodo seguente la ricerca continua comunque di tanto in tanto a
produrre frutti notevoli. All'indomani del conLitto il critico Paul Bekker intraprende l'analisi
del sinfonismo classico-romantico con categorie sociologiche; Heinrich Besseler negli
anni venti mette a punto le categorie di musica-relazione e musica-rappresentazione,
ricche, come s'è accennato, di implicazioni sociologiche; Theodor W. Adorno pubblica nel
1932 il saggio Zur gesellschaftlichen Lage der Musik, che contiene il primo nucleo teorico
della sua sociologia della musica; poco dopo il musicologo Walter Serauky propone una
serie di puntuali riLessioni sull'oggetto e sul metodo della sociologia della musica; lo
studio di Blaukopf prima ricordato, pubblicato nel 1950, risale al 1938. Ma si tratta di
iniziative isolate, non dell'espressione di un interesse diffuso e costante. D'altra parte gli
indirizzi culturali che conquistano l'egemonia nel primo dopoguerra sono poco propizi al
progresso di questo genere di ricerche. La reazione al positivismo, con le sue varie
declinazioni (psicologistiche, spiritualistiche, neoidealistiche), spegne l'attenzione per i
tentativi di interpretare scienti:camente la musica, e quindi inaridisce una delle fonti che
più avevano alimentato l'interesse sociologico-musicale. Nel campo della storiogra:a
l'avvento della Geistesgeschichte, particolarmente inLuente nella cultura musicologica
tedesca, porta al centro dell'attenzione la musica in quanto manifestazione del tipico
atteggiarsi dello spirito nelle diverse epoche. Solo marginalmente, e in funzione di questo
obiettivo, viene preso in esame lo sfondo sociale delle culture, e in ogni caso il soggetto
collettivo o superindividuale che nell'ottica della 'storia dello spirito' impronta la civiltà
musicale del barocco, del classicismo, ecc. non è delineato come espressione concreta di
un corpo sociale. In Italia il prevalere dell'estetica e della storiogra:a neoidealistiche
comporta una negazione polemica del radicamento sociale della musica, o quantomeno
una dichiarazione di irrilevanza dei temi a esso collegati. Né in Francia e nel mondo
anglofono si consolidano, tra le due guerre, linee di indagine tali da garantire continuità di
sviluppo all'approccio sociologico.
Nel secondo dopoguerra il quadro degli studi musicologici muta radicalmente.
L'esaurimento dei modelli egemoni nella fase precedente si accompagna a un fervore
innovativo che investe in particolare l'assetto teorico e metodologico della ricerca.
L'indagine storica va aprendosi sempre più a tematiche prossime alle scienze sociali. Kurt
Blaukopf, alla :ne degli anni trenta, aveva de:nito la sociologia della musica una 'scienza
provvisoria' la cui ragion d'essere è nei limiti della considerazione scienti:ca della musica
(e in particolare della storiogra:a, che trascura gli aspetti sociali dell'evoluzione del
linguaggio musicale), e aveva preconizzato che la nuova disciplina si sarebbe estinta
come settore speci:co di ricerca nel momento stesso in cui fosse giunta a realizzare la
sua missione, cioè la fondazione sociologica della storia della musica. Venti o trent'anni
dopo l'orientamento degli studi musicologici confermava solo in parte la previsione:
effettivamente gli studi musicali maturavano la consapevolezza dell'ineludibilità del
momento sociale; nasceva anzi un genere storiogra:co, la storia sociale della musica,
frutto di tale consapevolezza. Nello stesso tempo la sociologia della musica non si
estingueva, ma conosceva la fase più rigogliosa del suo sviluppo. Uno sviluppo peraltro
non riconducibile a un progetto e a un percorso unitari. Non sempre, in questa fase, gli
studi che si sono attribuiti la denominazione di 'sociologia della musica' sono stati mossi
dalle esigenze conoscitive proprie delle imprese scienti:che. Anche i testi più avvertiti
spesso hanno confessato :n nei titoli (che li presentano come studi introduttivi, progetti,
raccolte preliminari di materiali) di essere piuttosto la speranza di una scienza che una
vera e propria disciplina, con un ambito tematico de:nito e un apparato metodologico
maturo. In effetti ciò che accomuna il gran numero di 'sociologie della musica' prodotte
dagli anni cinquanta in poi è una sensibilità, più che un metodo o un obiettivo. A volte
esse hanno mirato all'esplorazione del passato musicale, a volte hanno indagato
empiricamente alcuni aspetti del rapporto musica-società nel presente, a volte si sono
proposte la costruzione di una teoria, a volte sono state, di fatto, interventi di critica
musicale condotti con linguaggio sociologizzante, o estetiche o poetiche elaborate con lo
stesso linguaggio. Un campo, come si vede, quanto mai variegato, che nell'insieme ha
costituito un luogo argomentativo con forti venature ideologiche.
L'aspetto critico e teorico prevale nettamente negli scritti di Theodor W. Adorno, che
hanno profondamente segnato, con le loro raf:nate analisi ma anche con le loro
idiosincrasie, la cultura musicale degli anni sessanta e dei primi anni settanta. Il
contributo adorniano all'elaborazione di un modello di interpretazione 'sociologica' della
musica (fondamentale, in questa prospettiva, l'Einleitung in die Musiksoziologie del 1962)
riguarda anzitutto la de:nizione dell'obiettivo. Tale interpretazione dovrà volgersi
direttamente all'opera ed enuclearne, o meglio 'decifrarne', il signi:cato sociale, posto che
questo si presenta non in dati esteriori (come la destinazione o la funzione di un brano)
ma nella struttura stessa, essendosi tradotto in termini intramusicali. La non facile
impresa di conciliare l'autonomia estetica dell'opera con il suo carattere sociale
suggerisce ad Adorno un'immagine meta:sica: quella della monade, entità autonoma che
rispecchia, nel suo microcosmo, le realtà del mondo esterno. Il sonatismo beethoveniano,
per esempio, rinvia agli elementi di volta in volta antagonistici, libertari e conciliatori
dell'ideologia borghese attraverso il proprio disegno morfologico, quindi nella dimensione
apparentemente più disancorata dalla realtà sociale. Il fatto che tale rapporto non possa
essere 'dimostrato' empiricamente non lo priva di interesse né di obiettiva evidenza. Non
si può pretendere "di dimostrare al di là di ogni dubbio che la musica di Beethoven abbia
davvero qualcosa a che fare con l'humanitas e il movimento di emancipazione borghese,
o Debussy con la sensazione che avevano della vita l'impressionismo e la :loso:a di
Bergson. Fatti più che mai plausibili si capovolgono, per quella indurita mentalità
scienti:ca il cui ethos consiste nel voler essere cieco nei riguardi dell'esperienza degli
oggetti e nello studiarne solo i riLessi che vi cadono, in dogma speculativo" (v. Adorno,
1962; tr. it., p. 237).
Per Adorno il rigore empirico, nel campo della sociologia della musica e in genere delle
scienze sociali, è una forma di cecità. La musica è al tempo stesso autonoma realtà
estetica ed elemento inserito in un contesto relazionale, in una vicenda esteriore di
produzione, recezione, consumo. Ma solo nel primo caso le si può attribuire un 'contenuto
di verità' socialmente connotato; gli altri aspetti sono semplici epifenomeni, irrilevanti per
uno studio che ambisca a confrontarsi con la "costituzione sociale oggettiva della musica
in sé" (p. 240). La sociologia della musica vuol essere dunque in primo luogo
un'operazione critica, una 'ricerca di senso' con categorie mutuate in parte dalle scienze
sociali. La legittimazione di questo approccio non può che essere analoga a quella di ogni
altra operazione della critica musicale: va cercata nella felicità dei risultati, nella
persuasività con cui un insieme di costruzioni verbali riesce a dar conto del senso e del
valore di un oggetto sonoro. Per questo motivo sollevano perplessità i tentativi di istituire
una contrapposizione tra il modello critico-ermeneutico e gli indirizzi empirici della
ricerca. Il dibattito metodologico che vent'anni orsono ha interessato la sociologia della
musica, riproducendo le posizioni del Positivismusstreit sviluppatosi nel campo
dell'epistemologia delle scienze sociali, muoveva dal presupposto, non sempre
accettabile, che i diversi indirizzi della ricerca procedessero, su basi epistemologiche
differenti, verso un obiettivo comune.
Tra le critiche mosse al modus operandi adorniano molta risonanza hanno avuto quelle di
Alphons Silbermann, noto e inLuente rappresentante di una linea 'empiristica' che ha
voluto quali:carsi per la scelta di prendere in considerazione non "la musica in quanto
tale", cioè le opere, con i loro attributi stilistici e formali, bensì "l'esperienza della musica,
giacché solo questa rappresenta un fenomeno sociale come fatto osservabile, e dunque
concede alla musica rilevanza sociologica" (cfr. Empirische Kunstsoziologie, Stuttgart
1973, p. 77). In coerenza con questo assunto Silbermann ha scelto di occuparsi in
prevalenza di temi legati alla comunicazione musicale. I suoi studi non presentano
tuttavia uno spessore tale da poterli accreditare come modello di rigore empirico e
risultano eclettici e super:ciali, sebbene a tratti si appellino a categorie di grande prestigio
teorico derivanti dalla fenomenologia husserliana. Senz'altro più solido il modello
empiristico fatto valere da Vladimir Karbusicky. Il suo programma, elaborato in polemica
con il marxismo dogmatizzato della musicologia dei paesi dell'Est, poggia su fondamenta
epistemologiche so:sticate, sicché è ben lontano dall'atteggiarsi a ingenua glori:cazione
del 'dato' immediato; inoltre mira a una dialettica integrazione di teoria ed empiria, laddove
Silbermann aveva istituito una contrapposizione polare tra il proprio indirizzo e la
sociologia :loso:co-speculativa.
In ogni caso studi come quelli di Silbermann e Karbusicky non possono ritenersi
rappresentativi della sociologia empirica della musica. Non lo consente la circostanza che
quest'area di ricerca, indirizzata per lo più all'acquisizione di dati relativi all'ascolto, al
pubblico, al consumo e al mercato musicale, solo occasionalmente problematizza il
proprio impianto metodologico ed è lontana dal volersi impegnare in un confronto con
altri modelli, limitandosi, nella maggior parte dei casi, al rilievo statistico o descrittivo di
un insieme di 'fatti'. Specialmente negli anni a noi più vicini ricerche di questo tipo, con
obiettivi selezionati in funzione delle esigenze di una committenza istituzionale o
industriale, costituiscono la parte più consistente della letteratura sociologico-musicale,
ma, a causa dell'estrema frammentazione del campo, non si lasciano ricondurre a un
modello nitidamente disegnato. Rispetto a queste ricerche, lavori come quelli prima
ricordati si quali:cano per un rapporto intenso, anche se critico, con le interpretazioni
'teoriche' del rapporto tra musica e società, si tratti della 'monadologia' sociologica
adorniana, come in Silbermann, o del marxismo dogmatizzato, come in Karbusicky, per il
quale il richiamo a una sociologia empirica della musica trae alimento dalla constatazione
dei guasti prodotti nella musicologia dall'interpretazione deterministica delle 'leggi' del
materialismo storico.
L'apporto della cultura marxista alla riLessione sul nesso musica-società è stato peraltro
considerevole e non può venir ridotto all'immagine polemica modellata sull'impiego
dogmatico e sclerotizzato delle sue categorie. In alcuni casi non v'è dubbio che il peso
dell'ideologia abbia condizionato negativamente i risultati della ricerca. Ad esempio, il
musicologo magiaro Janos Maróthy (v., 1966), in un ponderoso studio, aveva sostenuto la
tesi che la forma di Lied, come qualsiasi forma tripartita, rispecchia una visione di classe
in quanto traccia una parabola comprensibile solo a partire dall'immagine borghese del
mondo: i principî formali della ricapitolazione e della simmetria, a essa sottesi,
costituirebbero la forma privilegiata di espressione musicale di un 'produttore isolato', di
un 'individuo' dalle "particolari esigenze liriche", laddove le forme variative tipiche delle
culture popolari riLetterebbero un modello di coesione sociale più vicino agli ideali del
proletariato. La tesi di Maróthy (peraltro una delle voci più autorevoli della musicologia
dell'Est), pur nella consapevolezza della complessità della vicenda storica della musica e
dei rapporti sovrastrutturali, approda a una visione di disarmante genericità: secoli interi di
evoluzione del linguaggio dei suoni, con una grande varietà di produzioni, stili, generi, sono
forzati ad adattarsi allo schema che equipara la forma tripartita alla visione egocentrica
della borghesia e attribuisce un signi:cato progressivo a tutto ciò che le si oppone. Più
tardi lo stesso Maróthy in Musica e uomo proporrà un'interpretazione marxista più :ne e
attendibile della storia della civiltà musicale: rinunziando a tracciare rigidi schemi
sovrastrutturali, porrà in evidenza i fenomeni di 'alienazione' registratisi nel corso dei
secoli nel campo del suono organizzato (sia nella prassi e nelle opere che nelle teorie) in
vista di un "recupero della totalità umana" nella musica (v. Maróthy, 1980).
Sebbene l'applicazione alla musica delle categorie del realismo marxista-leninista
comporti particolari dif:coltà a causa della controversa natura semantica di quest'arte,
non sono mancati tentativi di interpretare i suoi prodotti alla luce della 'teoria del
rispecchiamento'. Anche per questa via la cultura marxista si è confrontata con i caratteri
sociali della musica e, non senza affanno teorico (si pensi alla teoria lukácsiana della
'doppia mimesi'), ha voluto interpretare tali caratteri come un 'riLesso' del mondo
oggettivo nella coscienza. Alla dottrina leniniana del rispecchiamento si richiama anche la
'teoria dell'intonazione' elaborata da Boris Assafjev e da altri studiosi dei paesi dell'Est: le
'intonazioni', ovvero gli atomi di signi:cato musicale, e i 'processi', vale a dire le dinamiche
producentisi sulla loro base, hanno le loro radici in realtà oggettive connotate anche
socialmente, e sono oggetto di una forma di 'selezione sociale'. Gli sviluppi di questa
teoria, che ha conosciuto una considerevole fortuna nell'Europa orientale, rimangono a
tutt'oggi di dif:cile accesso, e i rivolgimenti politici degli ultimi anni non sollecitano certo
la curiosità degli studiosi occidentali per un insieme di elaborazioni che appare
decisamente datato.
Tra i non molti contributi della musicologia d'oltrecortina noti in Occidente si segnalano i
lavori della polacca Zo:a Lissa, i cui esiti, sebbene allineati alle posizioni dell'ortodossia
marxista-leninista, in parte stemperano il rigido determinismo postulato dagli impieghi
meno avvertiti del materialismo storico. In Fragen der Musikästhetik (1954), pubblicato
pochi anni dopo l'opuscolo di Stalin sulla linguistica, in cui si sosteneva il carattere non
sovrastrutturale del linguaggio, la breccia aperta dal saggio staliniano veniva utilizzata per
rivendicare la non totale dipendenza della musica dalla struttura economica e dalla
dinamica sociale. La Lissa poteva così affermare che se alcuni aspetti dell'evoluzione
storica della musica intrattengono un chiaro rapporto con i conLitti e le trasformazioni
sociali, e quindi possono essere adeguatamente interpretati solo alla luce delle 'leggi' del
materialismo storico, altri ne sono (o ne divengono) indipendenti. Il rapporto con il mondo
economico e sociale è evidente nei 'contenuti' di certe opere musicali (per esempio nelle
ideologie sottese alle diverse 'scuole' operistiche o in quelle composizioni contemporanee
che nel 'culto della forma pura' rivelano tendenze proprie dell'ideologia dell'imperialismo),
ma non è detto che, nella vicenda della loro successiva recezione, tale carattere si
conservi integro e percepibile: è dif:cile, oggi, cogliere nelle composizioni di Palestrina e
di Orlando di Lasso i caratteri ideologici che, all'epoca, ne facevano testimonianze di
mondi contrapposti. Inoltre, anche a prescindere dalla possibile attenuazione delle
originarie connotazioni sociali, vi è il fatto che "nell'opera d'arte convivono, l'uno accanto
all'altro, elementi dotati di un carattere di classe e altri elementi non legati a un carattere
di classe" (v. Lissa, 1954, p. 99): se gli elementi contenutistici sono immediatamente
inseriti nelle dinamiche sociali e nelle competizioni ideologiche della loro epoca, gli
elementi formali del linguaggio sonoro, la grammatica e la sintassi della musica non
presentano tale legame e possono prestarsi indifferentemente a far da veicolo per
contenuti ideologici diversi.
Nel mondo occidentale l'incontro tra il marxismo e la cultura musicale ha assunto una
diversa :sionomia. Piuttosto che prender corpo nel richiamo, esplicito e ripetitivo, a una
teoria, ha dato vita a una serie di dibattiti di interesse critico ed estetico. Si pensi alla
discussione sull'engagement degli operatori musicali e sul rapporto tra musica e politica,
o a quella sull''isolamento' delle avanguardie, argomenti che hanno improntato nettamente
una fase della nostra storia culturale recente. Inoltre il materialismo storico, interpretato in
forme più problematiche che dottrinariamente normative, ha contribuito in misura
notevole allo sviluppo di quella diffusa sensibilità per il signi:cato sociale delle arti e di
quel rinnovamento dei quadri estetici di cui si è nutrita la sociologia della musica, anche
quando non si è riconosciuta nelle impostazioni marxiste.
Se è dif:cile delineare un quadro unitario degli studi sociologico-musicali :no ai primi
anni ottanta, ancora più arduo è un bilancio degli ultimi sviluppi a causa dell'ulteriore
frammentazione della ricerca. Molti protagonisti della stagione trascorsa sono ancora
attivi; tra questi si segnala Ivo Supičić, fondatore della benemerita "International review of
the aesthetics and sociology of music" e da tempo intraprendente animatore della scena
sociomusicologica. Ma nell'insieme gli elementi di continuità tra il quadro attuale e quello
di quindici o vent'anni fa sono scarsi. Il processo di invecchiamento delle posizioni allora
dominanti è stato, se non rapido, intenso. L'uso rivendicativo e polemico del 'punto di vista
sociologico' è venuto meno e le parole d'ordine elaborate nel suo ambito non hanno più
corso, anche perché la consapevolezza che quell'uso intendeva far maturare è
de:nitivamente acquisita. Al tramonto della ricerca ideologizzata e 'militante' si associa
una certa caduta della tensione teorica. Gli studi sui fondamenti della sociologia della
musica si sono diradati e appare obsoleta la costruzione di teorie sociologiche generali: la
ricerca si rivolge privilegiatamente a problemi speci:ci e ad aree ben delimitate di
indagine empirica. Nello stesso tempo l'allargamento del campo delle esperienze musicali
non offre più una sola tradizione come punto di riferimento alla ricerca, e questa diviene,
sempre più consapevolmente, sociologia delle musiche piuttosto che della musica.

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