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MOSAICO

1. Terminologia. 2. Origini e sviluppi. 3. Mosaici parietali. 4.


Mosaici pavimentali. a) Tecnica e artisti. b) Svolgimento e
datazione. c) Soggetti. d) Stile. 5. Il mosaico cristiano.
1. Terminologia. - In senso stretto con questo termine si intende la
decorazione di una superficie architettonica (sia pavimento,
parete, o soffitto) per mezzo di pietruzze, oppure pezzetti lavorati
di pietra, di terracotta o di pasta vitrea, giustapposti e fissati
saldamente su uno strato d'intonaco, formanti esternamente una
superficie liscia per lo più decorata con rappresentazioni
geometriche o figurate.
Il termine, di etimologia incerta ma con probabilità derivato dal
greco Μοῦσα, appare nella letteratura romana solo assai tardi,
precisamente negli Scriptores Historiae Augustae: se è stata
dubitata l'autenticità dell'opera di Sparziano sulla vita di Pescennio
Nigro - in un passo della quale (Pesc. Nig., vi, 8) il ritratto
dell'imperatore è detto pictum de musio -, la forma museum si
legge ad ogni modo in Trebellio Pollione (Trig. Tyr., xxv, 4), mentre
solo in S. Agostino appare la forma musivum (De Civ. Dei, xvi, 8, 1);
ma da principio il termine non sembra riferirsi che alla decorazione
di pareti e vòlte, e non è un termine generale per i vari prodotti di
quest'arte, che sono variamente definiti, per lo più con
circonlocuzioni, secondo la loro natura e il posto che occupano. Le
singole pietruzze dei m. si chiamano in latino tesserae, tesserulae,
tessellae (crustae forse solo per pannelli di tessere), in greco
ψῆϕοι, o ἀβάκια o ἀβακίσκοι, e il pavimento a mosaico
pavimentum tesseris structum, δάπεδον ... ἐν ἀβακίσκοις
συγκείμενον ἐκ παντοίων λίϑων (Athen., Dipnos., v, 207 c); ἔδαϕος
ἐκ ψήϕων πολυτελῶν συγκεῖσϑαι, ἐκ ψεϕίδων ... γεγράϕαται, ecc.
I termini greci per la medesima arte, μουασεῖον, μουσίωμα,
μουσείωσις, ἔργον μεμουσωμένον, μουσαϊκόν, non sono che delle
traduzioni dei termini latini che si rinvengono solamente assai
tardi, per la maggior parte in epoca bizantina. Il mosaicista è
chiamato musivarius (v.), museiarius, musearius, e in origine
probabilmente non è dunque che il decoratore di pareti, mentre
per quello dei pavimenti era forse riservato il nome di tessellarius,
tesserarius o tessellator (in greco ψηϕοϑέτης e κυβευτής).
Il significato di altri termini antichi in connessione con l'arte musiva
rimane tuttora malcerto. Rientrano soltanto nel senso largo di m.
le svariate decorazioni a lastrine di marmo o di pietre colorate,
formanti disegni geometrici, o anche le incrostazioni figurate in
lamelle simili (crustae, incrustatio: v. incrostazione); invece è una
vera maniera di m. la decorazione a disegni geometrici in tessere
bianche di pietra incastrate nell'opus signinum, cioè in un letto di
calcestruzzo rosa fatto di calce e coccio pesto, usata soprattutto in
Italia e molto frequente a Pompei, specialmente in epoca
repubblicana fino al principio dell'Impero; una variante è quella a
disegni di tessere bianche, soprattutto a crocette di poche tessere
seminate su un piano a frammenti di terracotta più grandi. Il
lithòstroton (λιϑόστρωτον), da alcuni studiosi identificato con
l'opus sectile, da altri è ritenuto invece solo una sua speciale
categoria, che presenta pavimenti a lastrine di pietre colorate di
varie forme e dimensioni, più o meno regolarmente incastrate su
un fondo di coccio pesto o lastrine più piccole di calcare bianco.
(Tale interpretazione si è voluta dedurre dal fatto che un
pavimento rinvenuto nel criptoportico a Preneste è stato messo in
relazione con la costruzione sillana nel Tempio della Fortuna
menzionata in Plinio (Nat. hist., xxxvi, 189): Lithostrota coeptavere
iam sub Sulla, parvolis certe crustis, extat hodieque quod in
Fortunae delubro Praeneste fecit. La continuazione del passo,
sembra ad altri (D. Levi) assicurare che il discorso si riferisca ai
consueti m. di tessere ritagliate formanti disegni e figure. In un
passo di poco precedente dello stesso Plinio (Nat. hist., xxxvi, 184),
si precisa l'età della diffusione dell'uso del m. in Roma: Pavimenta
originem apud Graecos habent, elaborata a(n)te (emendamento di
Detlefsen, per la lettura più comune arte) picturae ratione, donec
lithostrota expulere eam. Celeberrimus fuit in hoc genere Sosus qui
Pergami stravit quem vocant asaroton oecon. .... fecerat parvis e
tessellis tinctisque in varios colores. Quest'ultimo passo ci addita
probabilmente l'origine lontana della decorazione pavimentale a
m. nella pittura su stucco dei pavimenti in Grecia, pittura su
pavimenti in stucco che, sebbene di natura estremamente delicata
e destinata a lasciarci poche tracce, ci ha restituito esempî assai
cospicui per l'arte preellenica, non solo sul continente, ma anche a
Creta (Festo), e del cui perdurare attraverso tutta l'età greca ci
rimangono alcuni resti, benché assai più modesti, a cui
recentemente si è aggiunta anche una testimonianza fino all'arte
tardoromana in un pavimento, relativamente ben conservato, di
Antiochia. Il significato di lithostroton in Plinio sarebbe dunque
quello generale di m. a tesserine di pietra, significato conservatosi
ancora nel XII sec., come appare da un passo di Eustazio di
Salonicco (Ad Od., xxii, 297, p. 1927, 61) che cita la descrizione di
Ateneo, su cui torneremo in seguito, del m. con rappresentazioni
dell'Iliade sulla nave di Gerone II di Siracusa. Né contraddirebbe
questo siguificato il fatto che in un passo di Varrone (Rerum
rusticarum, iii, 2, 4) il termine è differenziato da quello di emblema
(v.): emblema aut lithostrotum. Nel periodo più antico dell'arte
musiva, infatti, era uso incastrare nel centro dei pavimenti più
lussuosi, in mezzo a una decorazione ornamentale nel consueto
tessellatum, un piccolo riquadro figurato, detto da Lucilio emblema
vermiculatum (forse dall'apparenza screziata, o dall'andamento
curvilineo delle minutissime tessere di svariate e ricercate pietre e
vetri colorati), eseguito non direttamente sul posto come la
decorazione geometrica, ma separatamente in laboratorio,
emblema posante su un piano di pietra, marmo o terracotta, e
limitato a una sua cornice.
L'esistenza di quest'uso in Italia già nel II sec. a. C. è attestato nel
verso di Lucilio più volte riferitoci (Plin., Nat. hist., xxxvi, 185; Cic.,
Orat., 149; De orat., iii, 171); si trattava di lavori di lusso, copie di
pitture di cavalletto, e facilmente trasportabili, come sembra
testimoniare un curioso passo di Svetonio (Divus Iulius, 46)
secondo il quale Cesare avrebbe portato dietro a sé nelle sue
campagne tessellata et sectilia pavimenta.
Col progredire del tempo l'emblema tende a ingrandirsi, e perdere
della sua primitiva finezza col crescere delle dimensioni delle
tessere, e finisce con lo scomparire, fondendosi cioè la decorazione
centrale figurata della stanza con la decorazione geometrica
tessellata circostante, entrambe create nella medesima tecnica sul
pavimento stesso. Ad Antiochia, la cui serie di m. finora
conservatici comincia forse già verso la metà del I sec. d. C., per
uno solo ancora si può parlare di veri e proprî emblemata; in Africa
peraltro ne vediamo a Zliten in Tripolitania, almeno fino al
principio del II sec. d. C., di grandissime proporzioni e più d'uno in
una stanza, e ancora più tardi, sempre più raramente, fino
probabilmente all'età antonina, a Roma, a Ostia, a Corinto.
2. - Origini e sviluppi. - Non ha alcun fondamento l'affermazione,
ancora generalmente ripetuta, dell'origine del m. dall'Oriente, per
cui se ne additano i predecessori in monumenti, quali le
decorazioni di pareti mesopotamiche mediante coni in terracotta
di varî colori disposti a motivi geometrici nella struttura delle
facciate, o quelle, pure parietali, a lastre di terracotta invetriata
dell'antico Egitto, che - se non nell'estensione del termine m. al suo
senso lato - con l'arte musiva di cui trattiamo non hanno niente in
comune né come tecnica né come espressione artistica.
Piuttosto è lecito suggerire una verisimile derivazione dei
pavimenti in pietruzze ritagliate da quelli in ciottoli naturali, per i
quali ultimi peraltro possiamo risalire ai più antichi esemplari non
già nell'Oriente, ma sul territorio stesso della Grecia classica, a
Creta cioè forse fino dall'età prepalaziale, e attraverso tutta la
civiltà minoica: tecnica che a Creta, come nel resto del
Mediterraneo orientale, è stata in larga voga per i cortili fino ai
nostri giorni. Dalla semplice decorazione a disegni geometrici e
vegetali in ciottoli bianchi e neri o colorati, decorazione che può
arrivare alla ricchezza e squisita finitezza del pavimento a racemi
del IV sec. a. C. di Sicione, si passa, almeno dalla piena epoca
classica, cioè dalla fine del V sec., a m. figurati, sia in Italia che in
Grecia, col m. di Mozia a pannelli di animali lottanti, con simili
motivi di lotte di grifi e di animali ad Atene (Pompeion), Corinto e
Olinto, qui insieme a rappresentazioni mitologiche, in una ricca
serie di m. colorati anteriori alla distruzione della città nel 348 a. C.,
quale il mosaico di Bellerofonte, quello con Nereidi e Tritoni, o i
frammenti di una centauromachia. Un'altra serie di mirabili m. a
ciottoli hanno procurato gli scavi da poco iniziati a Pella in
Macedonia, ancora quasi del tutto inediti, dei quali ci è concesso
riprodurre qui un particolare del m. con scene di caccia, che
ricordano le cacce del sarcofago di Alessandro, e che è infatti
approssimativamente datato all'età di Alessandro il Grande. Da
notarsi, in questo m., il particolare che il disegno di contorno della
figura e nei capelli è marcato da una linea ottenuta con
l'inserimento di una sottile lista di piombo. Questa manca però nel
panneggio svolazzante e nella spada brandita, evidentemente
perché queste parti sono concepite più nei loro valori pittorici che
in quelli plastici. Un altro mosaico, un poco più recente, mostra la
linea disegnativa ridotta solamente ai particolari interni della figura
(v. pella). Esiste pure qualche testimonianza per il passaggio tra la
tecnica a ciottoli interi e quella delle pietre ritagliate a cubetti e
pezzenini di pietra, nell'uso in certi m. di ciottoli rozzamente
ritagliati nei contorni per qualche dettaglio più significativo, come
gli occhi del tritone in un ben noto m. a ciottoli di Olimpia, o anche
per interi rozzi motivi geometrici, come in un pavimento di Assòs.
Egualmente gratuita è l'affermazione che l'invenzione del vero e
proprio m. a tessere cubiche sia avvenuta ad Alessandria.
Non sostiene in nessuna maniera questa teoria il termine opus
Alexandrinum, che probabilmente va applicato solo a una variante
di opus sectile, con grande uso di porfido, introdotta sotto
l'imperatore Alessandro Severo. Una fonte letteraria invece, in
accordo con le testimonianze archeologiche, sembra additare per
tale invenzione l'opposta direzione: è la descrizione di Moschione,
nel passo di Ateneo sopra citato, dello splendido pavimento
musivo con rappresentazioni dell'Iliade che decorava la lussuosa
sala da pranzo della nave da cerimonia offerta al re Tolomeo III di
Egitto da Gerone II di Siracusa, m. che è il primo a noi nominato
nella storia, il quale ci appare esaltato come una novità, una
creazione in cui si vogliono vantare le risorse dell'isola e l'ingegno e
le doti dei suoi artisti, rifulgenti ugualmente in altre parti della
costruzione, come in un pavimento incrostato di lamine d'agata e
di diverse pietre semipreziose. Da Ateneo non si fa parola di alcun
altro m. nei numerosi edifici di Alessandria da lui menzionati; e di
più, alla scarsa, poco significativa e per lo più tarda testimonianza
di m. ad Alessandria e in genere in Egitto, si può contrapporre
quella - ricchissima e fiorente fino dall'epoca ellenistica - in Sicilia e
nell'Italia in genere. Una brillante conferma a questo asserto è
stata testé procurata dai m. (fra cui uno col mito di Ganimede)
rinvenuti in una casa di Morgantina, nella Sicilia centrale, costruita
verso l'inizio del regno di Gerone II e distrutta subito dopo la sua
morte, creati in una tecnica intermedia fra quella dei m. di ciottoli
e i tessellati veri e proprî, cioè a pietre variopinte, mescolati a pezzi
di terracotta per il color rosso, di grandezza e di contorni irregolari
ma già a superficie piana.
Al contrario della chiara definizione di un m. a tessere variopinte
nel passo di Ateneo, alcuni passi che citano m. che si riferirebbero
ad età più antica, come uno di Galeno con un aneddoto della vita
di Diogene e un altro di Ateneo in cui si parla di pavimenti nella
casa di Demetrio Falereo, possono riguardare m. di ciottoli o altre
categorie di pavimentazione con lamine di pietra. In tutta la
letteratura antica, per quanto riguarda i m. di età ellenistica e di
quella romana repubblicana, non v'è che l'altra menzione da noi
citata in Plinio delle opere di Sosos di Pergamo: l'asàratos òikos, o
"sala non spazzata", cioè la pittoresca rappresentazione su un
emblema dei resti di pasto caduti a terra alla rinfusa, della quale si
sono conservate a noi varie repliche, tra cui una al Laterano e una
al museo di Aquileia, nonché le "colombe che si abbeverano
sull'orlo di un vaso", di cui la replica più fine e più famosa è quella
del Museo Capitolino.
I documenti originali più antichi di opere in m. non sembrano
risalire molto più su della seconda metà del sec. II a. C., e i
complessi più significativi di questo periodo più antico e più
raffinato dell'arte musiva provengono in realtà tanto dall'Italia che
dalla Grecia. Alla testa di questa categoria per importanza,
bellezza, dimensioni, si può collocare il famosissimo m. pompeiano
rappresentante una battaglia di Alessandro e Dario, probabilmente
la battaglia di Issos, rinvenuto nel 1831 entro al gruppo più
imponente di m. figurati che mai sia stato portato alla luce, quello
della Casa del Fauno; è anche dei più studiati e discussi, la cui
esecuzione, probabilmente avvenuta a Pompei stessa e con l'uso di
pietre locali, direttamente sul pavimento e senza un piano di posa
di terracotta o di pietra secondo il sistema dell'emblema, non va
riportata lontano nell'età ellenistica, come si suol fare per lo più,
ma è verosimilmente contemporanea a quella degli altri m. della
medesima casa, e va datata cioè sul volgere fra il II e il I sec. a. C.
È rappresentato il momento drammatico dell'uccisione del re
persiano, contro cui irrompe Alessandro a testa nuda sul suo
cavallo galoppante, in mezzo alla calca dei cavalieri combattenti o
precipitanti a terra, groviglio pittoresco in cui il rendimento di
alcune parti di uomini e cavalli può essere completamente
tralasciato; sullo sfondo neutro, bianco, spiccano solo le lance
oblique dei combattenti e un nudo tronco d'albero. Sono usati
solamente quattro colori principali, e le combinazioni di essi:
bianco, giallo, rosso e nero, essendo dunque il quadro
probabilmente una copia di un'opera della "pittura a quattro
colori" del IV sec. a. C., forse della Battaglia di Alessandria dipinta
da Philoxenos di Eretria (v. alessandro magno; greca, arte;
philoxenos).
Alla medesima età e alla medesima cerchia artistica vanno
attribuiti due piccoli e frammentarî m. di Palermo con Alessandro
combattente e a caccia, di una lavorazione ancora più colorita e
minuta che non quella del pannello di Pompei, e un m. ora a
Vienna. Sugli altri pavimenti figurati della Casa del Fauno appaiono:
un symplegma di un fauno e una ninfa, uno dei bellissimi pannelli a
"pesci" di ogni genere nuotanti nel mare (v. Tavola a colori), una
figurina di Eros alato cavalcante una tigre, una replica delle già
citate colombe sui bordi di un vaso, un pannello con un gatto che
abbatte un gallinaceo, di cui varianti esistono al Vaticano e al
Museo Nazionale Romano, e un frammentario m. con un leone che
sbrana la preda, di cui una bella replica proviene da Teramo. Affine
a queste ultime rappresentazioni è la composizione rotonda della
Casa del Centauro rappresentante degli Eroti che legano un leone
(opera tuttavia di fattura un po' più andante e probabilmente di
età leggermente più avanzata delle precedenti), di cui si
conservano due repliche o riduzioni, una da Anzio e l'altra ora a
Londra, e che forse è una traduzione in m. di una scultura in
marmo di Arkesilaos. Invece circa contemporanei al m. di
Alessandro, databili cioè attorno al 100 a. C., sono i due pannelli
pompeiani firmati da Dioskourides di Samo (v.), rappresentanti
indubbiamente due scene della Commedia Nuova, con le figure
questa volta collocate davanti a uno sfondo architettonico, scene
copiate da pitture del III sec. a. C. Apparentato per genere, benché
più tardo, è il m. con la Prova dei Coreuti del dramma satiresco
dalla Casa pompeiana del Poeta Tragico (v. attore, Tavola a colori).
Tra i soggetti mitologici a Pompei è trattato con grande frequenza
quello di Teseo che esce vittorioso dal Labirinto (v. minotauro,
Tavola a colori), ma si rinvengono anche altri, come il Ratto delle
Leucippidi, Posidone e Anfitrite, ecc. Accanto ai più belli e antichi
pannelli figurati di Pompei e della Sicilia, per quanto riguarda la
produzione del Mediterraneo occidentale, si possono collocare
anche alcuni m. di Malta, fra cui specialmente interessante è la
scena del satiro sorpreso nel sonno e legato da due menadi. Il
complesso più cospicuo di m. di questa più antica categoria
proveniente invece dal suolo della Grecia è quello, assai minore
tuttavia al pompeiano, restituitoci da Delo (v.); m. per i quali si ha
un termine ante quem nel sacco dell'86 a. C. da parte del generale
di Mitridate Archelao, ma che tuttavia anch'essi non sembrano
risalire molto più in su della fine del II sec. a. C. Tra i pannelli
figurati ritroviamo una replica del Genio alato cavalcante una tigre
o pantera, mentre fra quelli decorativi uno dei più imponenti e
meglio conservati è quello dalla Casa dei Delfini firmato da
Asklepiades di Arados in Fenicia con un tondo a rosoni nel centro,
bordo turrito e delfini nei segmenti di cerchio fra l'orlo quadrato e
la decorazione rotonda. Invece solo scarsi frammenti ha ridato
Pergamo, la patria del già citato illustre mosaicista Sosos,
frammenti fra i quali s'è trovata la firma d'un altro artista,
Hephaistion (v.); un'altra firma di artista, Sophilos, appare su uno
dei pochi m. ellenistici restituiti da Alessandria.
3. - Mosaici parietali. - Contrariamente all'incertezza sulle origini,
una data esatta ci è fornita per l'estensione dell'uso del m. - con
impiego peraltro delle assai più leggere e aderenti tessere vitree -
dal pavimento alla vòlta degli edifici, nella continuazione del passo
di Plinio sopra addotto (Nat. hist., xxxvi, 189): Pulsa deinde ex
humo pavimenta in camaras transiere vitro. At Romae novicium et
hoc inventum. La data di tale innovazione vicina ai suoi tempi è
sostenuta dallo scrittore per il fatto che, se tale tecnica fosse stata
conosciuta prima, sarebbe stata usata da Agrippa per le sue terme,
e da Scauro per il suo teatro, costruito a Roma nel 58 a. C., e nel
quale erano usati m. solamente Per incrostazione nel secondo
piano della scena. È ovvio che le condizioni dei trovamenti ci
abbiano restituito un'assai frammentaria documentazione di m. di
vòlte per i primi secoli. Conservato sul posto è un tratto di finissima
decorazione a viticci, probabilmente di età adrianea, nelle Terme
dei Sette Sapienti a Ostia; la più antica vòlta perfettamente
conservata peraltro è quella, recentemente scoperta, di una tomba
sotto S. Pietro, di età dunque precostantiniana, ma già sicuramente
cristiana perché sulle sue pareti, attorno alla rappresentazione di
un cocchio - che può essere quello di Apollo-Sol (v. helios) come
quello di Elia radiato - in mezzo a una lussureggiante vigna, sono
scene bibliche quali quella di Giona e la balena, quella di Mosè che
fa scaturire la sorgente, e via dicendo. Invece una cospicua
documentazione di colonne, nicchie e fontane incrostate a m.
proviene già da Pompei, fra cui la fontana, nella quale il m. è
accoppiato all'incrostazione di conchiglie, dalla Casa della Fontana
Grande. M. parietali si trovano anche ad Ercolano (v. ercolano,
Tavola a colori). A Roma è datata all'età di Tiberio l'edicola di
Pomponio Hylas nel suo ipogeo sulla via Latina; più tarde sono
altre vaschette e absidiole dell'Italia come dell'Africa; a Roma
recentemente è stata posta in luce nella parte neroniana della
Domus Aurea una vòlta che era coperta a mosaico, con al centro
un gruppo figurato imitante il bronzo, con riflessi ottenuti da
tessere dorate; da Anzio proviene una nicchia di fontana con la
figura di Ercole recumbente, di età severiana. Nelle Terme a Mare,
a Leptis Magna, si hanno resti di m. parietali con scene nilotiche,
ricoperti poi da affreschi del III secolo.
4. - Mosaico pavimentale. a) Tecnica e artisti. - Le precise
indicazioni per la tecnica di costruzione di un m. lasciateci da
Vitruvio (vii, 1) e da Plinio (Nat. hist., xxxvi, 186-7) trovano
riscontro in una quantità di documenti originali.
La sostruzione deve essere composta di tre strati diversi, da
collocarsi sul suolo accuratamente spianato, asciugato e
consolidato: lo statumen, un conglomerato di ciottoloni, poi il
rudus, spesso circa 25 cm, composto di tre parti di pietre spezzate
e una di calce, e infine il nucleus, o strato cementizio di circa 12 cm,
fatto di tre parti di coccio pesto e una di calce. La superficie delle
tessere incastrate su uno straterello superiore di intonaco, resa
perfettamente piana procedendo nel lavoro ad regulam et
libellam, era levigata e a sua volta resa compatta e resistente
mediante una spalmatura finale, fatta con polvere di marmo,
sabbia e calce. Norma generale era che gli artisti cercassero i
materiali per le tessere dei loro m. anzitutto sul luogo stesso dove
li eseguivano; per le tonalità dei colori non esistenti nelle pietre
locali dovevano essere usati materiali stranieri, e nei m. più fini dei
grandi centri artistici, come Roma, potevano essere usati
frammenti di pietre e marmi importati per il loro ampio consumo
architettonico. Troviamo tessere vitree già nei m. più antichi, per
esempio in grande quantità per il colore nero nel m. del Gatto dalla
Casa del Fauno. L'uso ne permane attraverso tutta la storia del m.,
si estende soprattutto per il rendimento dei fondi azzurri del mare
e per il fogliame verde, meno per le tonalità gialle. In periodo più
avanzato, piuttosto che affermarsi, al contrario di quanto si crede
generalmente, l'uso del vetro nel m. pavimentale declina forse,
specialmente nei m. di aspetto più opaco di certe epoche di
decadenza, come nella seconda metà del III sec., ma esso
permane, talvolta anche con largo impiego, fino alla fine
dell'antichità, come si può constatare tanto sui pavimenti di
Antiochia come su quelli di Tabarca in Africa, sui magnifici
pavimenti delle basiliche di Aquileia del vescovo Teodoro, morto
circa il 319 d. C., e via dicendo; l'uso del vetro impera sempre,
come abbiamo detto, nei m. di pareti e di vòlte. M contrario, assai
tardo e raro è l'uso di tessere in terracotta, che ad Antiochia non
fanno apparizione prima dell'età di Costantino. Se si eccettua il
citato esempio di età neroniana, solo nel III sec. d. C. sembra
diffondersi - da prima specialmente per la rappresentazione di
gioielli - l'uso delle tessere d'oro, nella tecnica romana, cioè a foglia
d'oro su un cubo di vetro traslucido, diversa dalla tecnica bizantina
che nell'XI sec. adotta uno smalto rosso opaco. In alcuni
emblemata dei m. più antichi di Pella, di Delo e di Pergamo sono
stati notati anche resti di listelli di piombo a contorno delle figure;
frammenti di madreperla sono talora adoperati, come abbiamo
visto, soprattutto per m. decorativi, incrostazioni di fontane e via
dicendo. Per quanto riguarda il procedimento del lavoro, non è
documentata la tecnica del cartone di posa negativo, quale è usato
per il m. moderno, e probabilmente si procedeva sempre alla
collocazione diretta delle tessere nel disegno positivo, talora
facendo precedere un'incisione nei contorni delle figure sullo
strato d'intonaco - di cui s'è qualche volta notata traccia in m. d'età
tarda - o anche un abbozzo di pittura a colori sulla cassetta di un
emblema vermiculatum, e forse distribuendo gradatamente col
procedere del lavoro lo strato dell'intonaco stesso, colorandolo nel
colore che doveva avere la figura sovrastante. In qualche caso era
prima eseguito in m. il contorno delle figure, e poi se ne riempiva
l'interno. Le tessere dello sfondo esterno alle figure seguono da
principio il contorno delle figure stesse in una disposizione
irregolare, che man mano si va regolarizzando in file orizzontali e
verticali, quali hanno esclusivamente le parti a disegno
ornamentale. Il sistema di spalmare l'intonaco a piccole sezioni,
che venivano gradualmente ricoperte dalle tessere col procedere
del lavoro, spiega vari errori riscontrati in certi m., errori che
peraltro possono essere spiegati anche per incomprensione da
parte dei mosaicisti di un cartone preparato da altri, o del suo
modello su un album di disegni.
Infatti lo studio dell'intera produzione di una fiorente scuola
musiva come quella di Antiochia ci ha permesso di formarci una
chiara idea della natura del m. come creazione artistica. Abbiamo
detto che i più antichi e preziosi piccoli emblemata potevano
essere costruiti in botteghe di grandi centri produttivi, ed essere
trasportati a mercati lontani; più tardi probabilmente anche questi
poterono essere creati sul luogo dove dovevano essere esposti. Ma
quando, con l'inizio dell'età imperiale romana, la decorazione a m.
da prodotto di lusso si espanse fino ad acquistare un'immensa
diffusione - tanto che si può dire che non vi era casa signorile in
alcuna città dell'Impero priva di m. -, botteghe locali
indubbiamente sorsero in ogni grande città e in ogni centro di
qualche importanza; artisti e capomastri viaggianti sopperivano ai
bisogni di località minori e di edifici isolati. È probabile che artigiani
apprezzati potessero a loro volta fissarsi in provincia e fondarvi
nuove scuole: così a Lillebonne in Gallia un T. Sennius Felix di
Pozzuoli firma un m., in cui menziona anche un suo discepolo,
Amor. Già le firme di mosaicisti, che si fanno ogni giorno più
numerose, e il fatto che dei mosaicisti, come Sosos, abbiano tratto
dalle loro opere fama duratura, dimostrano che il m. non era
un'arte del tutto disprezzata nell'antichità; ne sono conferma
l'agiatezza e la posizione sociale che certi mosaicisti poterono
raggiungere, e ancor più la constatazione che nell'editto di
Costantino in favore della rinascita delle belle arti, i mosaiasti sono
esentati dalle tasse al pari degli architetti, pittori e scultori. Per
verità il m. è un'arte sorella della pittura, anzi una vera e propria
traduzione in materiale solido e duraturo della delicata pittura su
cavalletto e parietale: due arti per le quali infatti gli antichi usavano
i medesimi termini.
Assai più che non gli artisti, viaggiavano gli album di schizzi,
contenenti svariate redazioni di ogni soggetto, mitologico o
diverso, detratti da opere celebri di ogni genere e di ogni tempo
dell'antichità; da questi album sceglievano i loro soggetti pittori,
affrescatori e mosaicisti. È per questa ragione che possiamo
trovare due repliche musive del medesimo soggetto in
lontanissime località dell'Impero, ad esempio le due repliche dei
centauri che abbattono fiere, una in una provincia africana e l'altra
a Tivoli presso Roma; non solo, ma anche due repliche del
medesimo soggetto, una in pittura e una in m., come la scena di
conversazione intima rappresentata su un pannello dipinto della
villa della Farnesina a Roma e in un m. da Centumcellae ora a
Vienna. In un m. di Antiochia pare di poter riconoscere una
redazione della stessa scena di Komos, il dio del banchetto,
descrittaci per uno dei quadri della galleria di cui ci ha lasciato
conoscenza Filostrato nelle sue Imagines; in un altro vediamo una
variante della scena del Mercante di Eroti conservataci in un
affresco pompeiano. I mosaicisti, assai più raramente che non i
pittori potevano copiare esattamente un intero originale, stretti
com'erano dalle esigenze dello spazio e dalla forma e disposizione
dei pavimenti, e generalmente sia contaminavano figure di
redazioni diverse del soggetto da loro trattato, sia spezzavano in
più riquadri i modelli imitati, o ne omettevano delle figure o delle
intere parti. Abbiamo visto che - probabilmente attraverso gli stessi
album - legami potevano esistere anche tra m. e scultura, come
oltre che dalla trasformazione in m. della scultura di Arkesilaos può
essere dimostrato dai m. antiocheni riproducenti, in due opposte
vedute, il famoso gruppo scultoreo ellenistico del Satiro e
dell'Ermafrodito.
Album di motivi geometrici e floreali dovevano pure essere a
disposizione dei più modesti tessellarii locali, cui era lasciata
l'esecuzione dei bordi decorativi attorno al pannello figurato:
decorazione geometrica dall'esame complessivo della quale,
pertanto, più ancora che dalle parti figurate spicca il carattere
peculiare di ogni singola provincia dell'arte musiva; tendenze locali
che peraltro dovevano suggerire anche altri caratteri ben
distinguibili, come la diversa distribuzione dei m. secondo le
diverse architetture, oppure la predilezione per pannelli figurati,
quale notiamo ad Antiochia, a differenza di quella per la
decorazione geometrica caratteristica delle scuole germaniche, o
infine diversi gusti policromici. A quanto pare è limitata all'Italia e
alla Gallia meridionale, e diffusa particolarmente in età antonina, la
classe del m. monocromo, nero su fondo bianco, applicato anche
per larghissime composizioni di pubblici edifici termali e simili,
come nel m. col trionfo di Posidone tra mostri marini nelle Terme
di Nettuno sul decumano di Ostia. Quando esisteranno
pubblicazioni sufficienti e studî d'insieme per ogni singola scuola
musiva, potranno risultare anche con maggiore chiarezza che non
oggi le differenze nell'interpretazione stilistica nelle diverse
province dell'Impero. Già oggi siamo in grado di valutare, ad ogni
modo, il prezioso contributo che il m. può offrire, sia dal punto di
vista estetico che da quello cronologico, per la ricostruzione della
storia dell'arte antica, e della pittura antica in particolare, ramo
quest'ultimo conservatoci in maniera tanto lacunosa per i periodi
successivi alla distruzione di Pompei. La considerazione dei m.
come un'arte d'infima qualità, infatti, ha causato la vandalica
distruzione perpetuata fino a tempi assai recenti della maggior
parte dell'immensa congerie dei suoi monumenti riportati alla luce,
non meno che le difficoltà e le gravi spese necessarie per lo scavo
della loro vasta superficie, e anche più poi per la loro
conservazione, protezione o rimozione. In realtà, benché nel
campo dei m. - come del resto anche in quello degli affreschi di
Pompei ed Ercolano - di rado ci si imbatta in opere originali o in
nuove formule, mentre si tratta piuttosto in genere di prodotti di
decoratori, i m. debitamente studiati, fotografati ed esposti, ci
permettono spesso di cogliere il sapore estetico dell'opera
originale, m. che, di più, offrono un repertorio senza pari di
rappresentazioni di primario interesse per lo studio di tutti gli
aspetti della vita antica, religiosa, pubblica e privata.
(Per nomi di artisti, oltre che gli Indici, si veda musivarius).
b) Svolgimento e datazione. - La datazione di ogni singolo m.
presenta gravi difficoltà, a causa della assai vaga relazione che lo
lega all'edificio e alla stanza cui appartiene. Pochissimi sono i m.
datati da una loro propria iscrizione, anteriormente ai pavimenti
delle chiese cristiane contenenti i cartelli con le date di fondazione
della chiesa o delle sue parti. Interi gruppi di m. già ricordati hanno
un sicuro termine ante quem nell'anno di una distruzione o una
grave sciagura della città cui appartengono, com'è per esempio la
data del già citato sacco di Delo, quella dell'eruzione del Vesuvio
che ha distrutto Pompei, o quella del terribile terremoto del 526 d.
C. che ha forse per sempre stroncato ogni slancio di creazione
artistica ad Antiochia. Un sicuro termine post quem, oltre che nella
data di costruzione dell'edificio, o dell'ambiente in cui si rinviene il
m. (per esempio bolli di mattoni nei muri o nelle suspensurae di
edifici termali), o addirittura nella data della fondazione di una
città, come quella di Timgad da parte di Traiano, può essere fornito
da una moneta trovata in uno strato ermeticamente sigillato sotto
a un m. compatto; un simile termine può essere fornito pure da
abbondanti ceramiche o lucerne rinvenute nelle medesime
condizioni. Abbiamo già detto che gli emblemata in tessere
minutissime, talora inferiori a un mm2, appartengono all'età più
antica, e che la grossezza delle loro tessere tende ad aumentare;
tale criterio di datazione, peraltro, viene pressocché a cessare nel
momento della fusione dell'emblema nell'intero pavimento
tessellato, ed allora la grandezza delle tessere, che per le parti
decorative si aggira attorno a un cm 2, varia piuttosto che non
secondo l'età secondo la finezza del lavoro e l'importanza delle
parti rappresentate; è minore per esempio per gli occhi, le teste
delle figure e via dicendo. Ma un più sicuro elemento di datazione -
almeno per i m. non del tutto rozzi ma dotati di qualche pretesa
artistica - è lo stile medesimo, nel quale, accanto ai riflessi
dell'iconografia e dell'arte del più o meno distante originale, si
riesce spesso a cogliere anche l'impronta dell'arte dominante al
momento della creazione del m. esaminato. Qualche utile
elemento cronologico può essere fornito anche dal campo di
un'altra arte, oltre alla pittura: dall'architettura.
Spesso, fin dai più antichi tempi, la decorazione pavimentale cerca
di imitare quella dei soffitti, e da principio precisamente di soffitti
piani suddivisi in cassettoni quadrati e rettangolari, o in simili
cassettoni alternati con altri a forma di losanghe, di dischi ed elissi.
Nel m. di "Cilicia" da Seleucia, il porto di Antiochia, possiamo
osservare come tale imitazione - precisamente di soffitti a
losanghe, e ad esagoni, stelle e quadrati, contenenti questi ultimi
un medaglione rotondo - sia accentuata con grande vivacità
mediante tonalità accennate a ombre e chiaroscuri e mediante
l'indicazione di borchie di ottone. Un'altra ovvia imitazione di un
soffitto a 9 cassoni figurati, suddivisi da dentelli in prospettiva e da
fasce di onde, ci è offerta dallo splendido m. antiocheno della Casa
del Pavimento Rosso, così chiamata appunto dallo sfondo rosso dei
pannelli rappresentanti le stagioni e scene mitologiche, tra cui
quella di Fedra e Ippolito. Nel m. di Europa sul toro, dalla
medesima località, attorno all'imitazione del soffitto vediamo
rappresentata anche la parte superiore delle pareti con maschere
su mensole. Ma l'imitazione sui pavimenti musivi di vòlte a crociera
non può avvenire che dopo la creazione di tal genere di vòlte,
verso la fine dell'età flavia. Un bellissimo m. con scene dionisiache
da Gemila-Cuicul in Algeria, appartenente con tutta probabilità
all'epoca antonina, sembra essere uno dei più antichi conservantici
l'imitazione di tale struttura architettonica; imitazione che
ritroviamo in Antiochia nello splendido m. della Villa Costantiniana,
ora al Louvre, con figure di stagioni sulle diagonali, dividenti
pannelli trapezoidali con scene di caccia, attorno a un bacino
d'acqua ottagonale nel centro su cui si doveva specchiare il cielo,
rendendo più completa l'illusione offerta dal pavimento. In un m.
della Casa del Menandro, pure ad Antiochia, la spartizione
diagonale dei soffitti mediante candelabri o figure alate è sostituita
da quattro alberi e palme, che formeranno una suddivisione
prediletta dei m. di pavimenti e vòlte di età più tarda, in Oriente
come in Italia (per csempio nell'Oratorio di S. Giovanni Evangelista
al Laterano, costruito da Papa Ilario tra il 461 e il 468 d. C.). A
questo proposito possiamo menzionare un'altra cospicua categoria
di pavimenti imitanti un pergolato, per lo più concepito come
sorgente da quattro pilastri, le cui foglie e racemi di vigna
egualmente sono immaginati come rispecchiati in una vasca
centrale.
Discutibili invece sono le relazioni tra arte musiva e arte tessile, e -
al contrario di quanto abbiamo visto per la pittura - manca una
conferma tanto da parte della tradizione letteraria quanto della
documentazione monumentale per l'affermazione di un'influenza
di questa sull'origine di quella; dubbia è l'esistenza di uno stile
floreale tessile e di una "maniera a tappeto", che dall'arte tessile
sarebbe passata alla decorazione pittorica murale e al m., e,
perfino per motivi - cosi largamente diffusi su tappeti e ricami di
età tarda - come le rosette e i petali disseminati nel campo,
l'evoluzione si può seguire probabilmente in senso inverso, da
motivi geometrici dei più antichi mosaici. Solo per la fine
dell'antichità possiamo riscontrare con certezza l'introduzione di
elementi e maniere proprie ai tessuti onentali nel repertorio dei
m., soprattutto in scuole musive prossime all'Oriente come quella
di Antiochia.
c) I soggetti. - È impossibile passare in rassegna sia pure solo i più
significativi esempî della immensa congerie di prodotti di questa
classe artistica, ed è egualmente impossibile cercare di distribuirli
in definite categorie: si può dire che non v'è soggetto mitologico,
rappresentazione di vita o elemento dell'antico repertorio
decorativo che ne rimanga assente. Naturalmente la scelta del
soggetto era spesso suggerita dal carattere dell'edificio, o della
parte dell'edificio cui un m. era destinato, come dall'ambiente
sociale in cui esso sorgeva e dalle predilezioni del committente e
dell'artista. Certi soggetti potevano essere preferiti in una data
città, per cui per esempio a Dafne - il boschivo e ridente sobborgo
di Antiochia presso le cascate dell'Oronte - troviamo con frequenza
il soggetto di Apollo e Dafne. In edifici termali, come anche in
ninfei, attorno all'impluvio nelle case private, in fontane e in
vasche da bagno, ritornano con monotona insistenza i soggetti che
si riferiscono all'acqua e al mare: spesso sono campionarî di ogni
sorta di pesci che, su m. in fondo alle vasche o percorsi d'acqua
corrente, vogliono suscitare l'impressione del mare e dei fiumi coi
loro abitanti; oppure sono immagini o busti di Posidone e Anfitrite
o di Oceano e Teti, talora nel loro regno marino, o il solo thìasos
marino di mostri, centauri e nereidi, o sono eroti naviganti su
delfini; altrove sono scene realistiche dei bagnanti stessi che si
attardano o si accingono al bagno; ma vi possono essere anche
soggetti mitologici, come quello di Narciso che si specchia nella
fontana. Nelle palestre, nei ginnasî o negli annessi di terme
dedicati a esercizi sportivi troviamo rappresentazioni della palestra
stessa, o figure generiche di palestriti (come le grandi figure e i
busti di lottatori nel ben conosciuto m. dalle Terme di Caracalla al
Laterano), o rappresentazioni ideali di atleti famosi, come quella di
Nicostrato a Seleucia. Tra le illustrazioni di esercitazioni atletiche o
di esibizioni possiamo ricordare quella, divenuta rapidamente
famosa, della grande villa nei pressi di Piazza Armerina in Sicilia,
con donne dai costumi succinti in atteggiamenti sportivi. Negli atrî,
o proprio sulla soglia di casa, poteva esservi un avvertimento al
visitatore, come il cave canem pompeiano, con l'immagine del
cane feroce, o una scritta di augurio al medesimo, o il nome del
proprietario; ma vi poteva essere anche, assieme a certe formule
sacre, una rappresentazione profilattica a protezione della casa e
dei suoi abitanti, un gorgonèion, un ferro di cavallo, oppure la
rappresentazione del malocchio stesso, per lo più circondato da
ogni sorta di animali profilattici, come nella Basilica Hilariana - cioè
l'associazione dei dendrofori sul Celio a Roma -, oppure in una casa
di Antiochia dove una simile figurazione posa direttamente sopra
un altro m. di valore consimile, con le figure di un gobbo-
portafortuna e di Ercole fanciulletto che strozza i serpenti. A
questo proposito possiamo ricordare che nella categoria degli
apotròpaia vanno incluse anche le grandi teste di Oceano, con
immensi occhi sbarrati, il cui effetto incantatorio è determinato da
una iscrizione nel m. da Setif in Algeria. Sulle soglie di stanze da
bagno, di terme o di case private, sono spesso rappresentati due
sandali, con o senza una formula di augurio di buon bagno. In
ginecei spesso troviamo soggetti pertinenti ad Afrodite e alla sua
toletta, ad Eros e Psyche, oppure vi può essere figurato Achille tra
le figlie di Licomede. In stanze di riposo presso i bagni, o altrove,
possono essere tracciate in m. delle specie di scacchiere, le
tabulae lusoriae; o possiamo invece trovarvi rappresentati giochi di
galli, o passatempi diversi.
Per le sale da pranzo abbiamo già ricordato gli asàrota, e vi
possono comparire assai spesso nature morte o varie
rappresentazioni di cibi d'ogni genere; d'altra parte vi può essere
rappresentata la cena stessa, come il grandioso banchetto su un m.
di Cartagine, entro una sala ovale con tavole di banchettanti tutto
in giro e suonatori e danzatori nel centro. Nel m. del "Buffet
Supper" di Antiochia, attorno a un medaglione in cui è Ganimede, il
coppiere degli dèi, vediamo una tavola a ferro di cavallo imbandita
di tutti i piatti formanti una completa e ricca cena romana; un altro
m. antiocheno rappresenta un parassita che si affretta a pranzo,
leggendo su un orologio solare che "la nona ora è passata". Dioniso
e il suo thìasos sono soggetti adatti per il luogo del convivio; ma
altre volte vi possono essere rappresentazioni di tutt'altro genere,
come nel m. di Aion ad Antiochia, che ricorda le speculazioni
filosofiche su cui, dopo il banchetto, si potevano intrattenere i
convitati, appartenenti a una società intellettuale imbevuta di idee
neoplatoniche. Nel triclinio soprattutto riusciamo ad esaminare la
disposizione dei m. secondo l'uso dell'ambiente, disposizione che
naturalmente varia nei diversi luoghi, secondo le diverse
architetture, e nelle diverse età. In alcuni dei più antichi m. di
Antiochia vediamo i pannelli figurati disposti a forma di una T;
l'asta è circondata da tre pannelli a U su cui posavano le tre mense
ed erano quindi decorati a poveri motivi geometrici; le scene
figurate erano rivolte verso la parete di fondo della sala, dovendo
essere contemplate dai convitati durante il pasto; la barra
orizzontale della T, invece, aveva talvolta le scene rivolte dalla
parte opposta, per essere vedute dagli invitati entranti nella sala
da pranzo. Già nell'età adrianea peraltro troviamo ad Antiochia la
collocazione, consueta anche nei triclinî della Gallia, dell'Africa e
altrove, di un singolo pannello figurato spostato verso un orlo della
sala, lasciando sui tre altri lati lo spazio per le mense, con le figure
della scena rappresentate sempre rivolte verso lo spettatore e la
parete di fondo della stanza, oppure con elementi, come uccelli,
disposti circolarmente in modo da essere visti ugualmente bene da
tutti e tre i lati della sala. Abbiamo già menzionato sopra la
rappresentazione del "Buffet Supper", fatta per essere contenuta
entro il contorno di una tavola a ferro di cavallo.
I soggetti prediletti nell'immenso repertorio della decorazione
musiva ci offrono la possibilità di penetrare in ogni aspetto della
vita, del pensiero, delle credenze religiose degli antichi. Importanti
avvenimenti storici potevano ispirare il mosaicista, com'è stato il
caso per il m. pompeiano di Alessandro; un m. recentemente
scoperto a Baalbek rappresenta la nascita del grande re macedone,
mentre l'imbarco di un elefante fatto prigioniero doveva ricordare,
su un m. da Veio, la fantastica spedizione italiana di Pirro.
Infinitamente più vasta è la produzione nel campo mitologico. La
maggior frequenza di certi soggetti mitologici ci conferma quanto
sappiamo già dalla tradizione letteraria che lettura prediletta,
accanto ai poemi di Omero, erano, fra le tragedie, quelle di
Euripide: varie scene mitiche, infatti, come per esempio quella di
Fedra e Ippolito dalla antiochena Casa del Pavimento Rosso, o il
magnifico m. di Ampurias con la morte di Ifigenia, palesano in
qualche dettaglio la versione euripidea. Ma alcuni appassionati di
teatro potevano far riprodurre nella loro casa non già l'episodio
mitologico, ma addirittura la sua rappresentazione scenica: così,
una delle più suggestive è ad Antiochia la rappresentazione
dell'inizio della medesima Ifigenia in Aulide euripidea,
caratterizzata dall'architettura teatrale e dai costumi scenici; su un
emblema dei m. di Ulpia Oescus in Bulgaria si svolge una scena
degli Achei di Menandro. Il grandioso pavimento musivo del
Vaticano da Porcareccia, presso l'antica Lorium in Etruria,
conteneva una quantità di pannelli di carattere teatrale, ciascuno
con una scena tragica a due personaggi in costume, oppure con un
gruppo di un poeta tra le Muse, o con maschere tragiche e
bacchiche. Abbiamo già citato i m. pompeiani con scene della
Nuova Commedia, o con la preparazione di un dramma satiresco;
la passione per la commedia è illustrata dal m. con soggetti di
commedie menandree, con titoli, a Mitilene e dal m. antiocheno
con Menandro e Glicera alla presenza della Commedia stessa. Le
maschere teatrali che compaiono in una quantità di m., a
cominciare da quelli pompeiani, come elementi decorativi,
possono per altro avere anche valore magico (v. maschera, Tavola
a colori). Alcuni m. palesano invece la predilezione di un
proprietario di casa per altre letture, diverse da quelle più
consuete, come, ad esempio, per il genere del romanzo ellenistico:
così i due m. rispettivamente con scene dei romanzi di Metioco e
Partenope e di Nino e Semiramide, dalla Casa del Letterato ad
Antiochia. Come abbiamo visto sopra per le superstizioni, così m.
rappresentanti specifiche scene religiose possono testimoniare
l'appartenenza dei committenti a una speciale religione o setta o
congregazione: tal'è il caso per un finissimo, benché frammentario,
m. da Cartagine detto M. "della diffa", al Louvre, illustrante una
processione isiaca; per un altro da Antiochia rappresentante una
scena probabilmente immaginata davanti a un tempio di Iside, e
ancor più per i due m. di un'altra casa antiochena rispettivamente
con una scena di iniziazione ai misteri di Iside e una seconda
riferentesi alla cerimonia del Navigium Isidis. Un curiosissimo m.
della tomba di una certa Urbanilla a Lambiridi in Algeria, databile
verso la fine del III sec. d. C., palesa l'appartenenza della defunta
alla setta gnostica dell'Ermetismo; un altro monumento funerario
della Libia accenna probabilmente alle credenze neo-pitagoriche
del defunto. Più frequenti di tutti gli altri sono i m. che illustrano i
riti e le credenze dei divulgatissimi misteri dionisiaci come, per
esempio, il m. sopra citato di Gemila-Cuicul in Algeria. Alcuni di
questi m. con rappresentazioni di carattere religioso determinano
con tutta verisimiglianza il loro edificio come il luogo stesso di
culto. Iscrizioni e dati di scavo determinano come un Bakcheion,
sacro ai riti di Dioniso, un edificio di Tramithia nell'isola di Milo, in
cui tra gli altri m. ne troviamo uno assai curioso, con un'iscrizione
misteriosa, rappresentante una scena di pesca nella quale i pesci
simboleggiano i mystae, pescati - cioè salvati - dal dio o dal suo
sacerdote; probabilmente decorava un simile edificio anche un
vastissimo m. da piazza della Vittoria a Palermo. Alcuni dei
numerosi m. con la raffigurazione di Orfeo (v. orfeo, Tavola a
colori), potevano appartenere a seguaci delle dottrine o membri di
associazioni orfiche, come sembra dimostrato, per un'età assai
tarda, dalle iscrizioni su un ben conosciuto m. del museo di
Istanbul rinvenuto presso la porta di Damasco a Gerusalemme in
cui, accanto a Orfeo e ai suoi animali, vediamo anche un centauro
e Pan. Un mitreo può essere decorato, oltre che dalle scene della
leggenda del dio, dai simboli e dagli istrumenti del sacrificio
taurobolico, com'è il caso di tre dei mitrei di Ostia. Anche la sede di
un'associazione privata può essere determinata da scene musive
riferentisi alle sue attività, cerimonie, o pratiche come anche da
iscrizioni e simboli. Oltre alla già citata Basilica Hilariana sul Celio,
possiamo ricordare la supposta sede dell'associazione dei vexillarii
o praecones nell'edificio di via dei Cerchi a Roma, sotto al
Paedagogium, in cui un m. rappresenta appunto una serie di araldi
con le loro insegne, e la Caserma dei Vigili di Ostia nel pronao del
cui Augusteum un sacrificio di tori è rappresentato in un m.
monocromo. Lungo i portici del Piazzale delle Corporazioni di
questa città avevano sede gli uffici delle associazioni di naviganti e
commercianti dei paesi in relazione di conunercio col porto di
Roma, paesi individuati sui m. antistanti agli uffici stessi da
iscrizioni, simboli, stemmi, e anche da rappresentazioni figurate
pertinenti alla loro vita e ai loro prodotti (v. ostia).
Infatti le rappresentazioni riferentisi a tutte le manifestazioni della
vita quotidiana precedono, per numero, forse solamente quelle del
mondo mitologico. Ne abbiamo già nominate parecchie a
proposito dei vari ambienti della casa privata; altre larghissime
categorie illustrano singoli momenti della caccia, o interi racconti
di caccia, a partire dal sacrifizio propiziatorio ad Artemide sino al
ritorno della spedizione carica degli animali uccisi, come abbiamo
trovato nei quattro pannelli della Villa Costantiniana di Antiochia;
oppure corse di cavalli, giochi nel circo, rappresentazioni di mimi e
saltimbanchi, lotte gladiatorie: per queste ultime possiamo
ricordare da prima i lunghi fregi con un'unitaria e ininterrotta
successione di episodi di ogni genere, come in uno dei bei
pavimenti da Zliten in Tripolitania, rappresentazioni che più tardi si
dissolvono, anche se decoranti un simile lungo fregio, in gruppi più
distaccati di individuali combattimenti di gladiatori, alternati
spesso a episodi di caccia; per esempio nel m. ricomposto a Villa
Borghese a Roma. I lavori agricoli e la vita campestre sono descritti
in tutta la varietà dei loro aspetti, per esempio scene singole della
vita rustica le abbiamo viste sui testé citati m. da Zliten; altri
graziosi quadretti pastorali ci possono essere illustrati negli
emblemata della villa romana di Corinto, appartenenti all'età
adrianea o antonina. Arrivando a un'epoca assai più avanzata, cioè
il V sec. d. C., sui magnifici pavimenti del Grande Palazzo di
Costantinopoli (v.), che altri data addirittura nel VI sec., è tutto un
repertorio di vivacissime e suggestive scene di vita campestre
d'ogni genere, non solo con i consueti contadini che mungono
davanti alle loro capanne, ma anche col drammatico episodio del
lupo che fa razzia nel gregge, con suonatori, donne alla fontana o
che allattano, animali della stalla e del cortile: il paesaggio, con
flora e fauna locali ed esotiche (per esempio una scimmia ai piedi
di una palma), individuato dalle antiche divinità delle fonti, da Pan
che porta sulle spalle Dioniso bambinetto, è disseminato di edifici
consueti, ma ravvivato anche da mostri fantastici, da grifi, chimere
e liocorni; scene di caccia alla lepre succedono ad altre contro fiere
possenti, talora con un cacciatore che si rivolge sulla groppa del
cavallo a scoccare la freccia, e le cacce si alternano con lotte di
animali, consuete o rare, realistiche o simboliche, come quella di
un cervo o di un'aquila contro un serpente, o di un elefante contro
un leone. È, al contrario, in chiara e ordinata disposizione che la
vita di tutte le stagioni dell'anno in una ricca casa colonica africana
ci è descritta nel m. di Dominus Iulius a Cartagine; e la
rappresentazione dell'edificio stesso al quale appartiene il m., nel
centro di esso, ci può offrire una preziosa informazione
sull'architettura di queste ville coloniali africane, di cui altri vari
esempi ci sono illustrati soprattutto in un gruppo di grandi e chiari
m. di un'altra città africana, Thabraca (Tabarca); ma l'architettura
dei più diversi edifici di una città siriana nella metà del V sec. d. C.
ci è testimoniata dal bordo "topografico" del m. di Megalopsychia
rinvenuto nel sobborgo antiocheno di Dafne (v. antiochia), e
rappresentante i varî edifici della città stessa cui appartiene,
specificati dai loro nomi e ravvivati da animate scene delle sue
strade e piazze. Un simile bordo "topografico" da Ma῾in illustra
invece, in forme più o meno schematiche e nella prospettiva
peculiare della tarda antichità, le chiese di 24 fra le principali città
della Palestina e della Giordania. In una cappella funeraria di
Tabarca sono rappresentate contemporaneamente la veduta
esterna e quella interna della chiesa denominata da un'iscrizione
Ecclesia Mater. Appartenente a questa categoria è il gruppo delle
carte topografiche, il cui più illustre esempio è il grande e tardo m.
di Madaba (v.), con la veduta a vol d'uccello della città di
Gerusalemme. Invece non sono che rappresentazioni generiche di
città turrite quelle che ci appaiono in buon numero di m.
paleocristiani, soprattutto della Siria e Giordania, in cui le singole
città sono differenziate solamente dai nomi diversi. Egualmente
molti sono i m. che ci offrono dei paesaggi fantastici, fra i quali
vanno inclusi i numerosi e vivaci "paesaggi nilotici", con elementi
realistici o idillici dell'ambiente egizio - che non ci obbligano in
nessun modo a dedurne una fabbricazione alessandrina -, fra i più
antichi e grandiosi dei quali basti menzionare il ben conosciuto e
assai discusso m. Barberini da Palestrina. Più o meno realistiche
sono delle rappresentazioni di porti di mare, con i loro edifici, i fari,
il carico di navi, le scene di pesca. Il pavimento delle terme di
Althiburus-Medeina ci rivela una specie di catalogo di tutte le navi
della marina del tempo, con la nomenclatura relativa in greco e
latino; lungo i pavimenti negli ambulatorî del Martyrion di Seleucia,
appartenente già all'inizio del VI sec. d. C., scorriamo come
attraverso le tavole di un atlante zoologico in cui sono
rappresentate tutte le specie di animali allora noti. Soggetti di vita
rustica e cittadina, scene religiose e simboli sono associati nei m.
con allegorie delle Stagioni e dei Mesi (v.), uniti in interi cicli
nell'interessante categoria dei Calendari illustrati, di cui
l'esemplare più antico ci è stato restituito da Antiochia, mentre i
più tardi e meglio conservati sono uno a pianta quadrata e uno
rotondo da Beisan in Palestina. In un numero ingentissimo di m.
troviamo le raffigurazioni delle sole Quattro Stagioni, sia sotto
forma di putti o eroti sia di donne (v. Tavola a colori), con o senza
ali, in atteggiamenti riferentisi alle caratteristiche di ogni singola
stagione e accompagnate dai loro vari attributi. Nel centro dei m.
coi Calendarî o con le Stagioni ritroviamo spesso immagini astratte
della Terra, del Sole e della Luna, del Tempo, dell'Anno,
dell'Abbondanza. La frequenza dei m. con le quattro stagioni è
dovuta, in parte, alla convenienza della distribuzione di quattro
figure angolari nella divisione dei pavimenti a scompartimenti
poligonali; così la frequente divisione dei m. nel sistema esagonale,
ottagonale, e via dicendo, fa prediligere la scelta di figure
allegoriche o astratte associate in gruppi di 6, 7, 8, 9, 12,
escludendo o includendo lo scompartimento centrale, quali,
accanto alle Stagioni, i Quattro Venti, le Fazioni del Circo, i sette
Giorni della settimana, i 7 Pianeti, i 7 Saggi della Grecia (od otto
Sapienti antichi, come nel m. di Baalbek firmato da Amitaion, con
massime filosofiche presso a ognuno dei Sapienti), le nove Muse e,
coi Mesi dell'anno, i dodici segni dello Zodiaco (v.). Le Fazioni del
Circo possono apparire nella rappresentazione stessa delle corse e
sotto i relativi simboli, oppure nelle figure dei quattro fantini nei
loro costumi di colore diverso e accompagnati dai loro cavalli,
come nel m. dalla villa di Baccano al Museo delle Terme. I sette
Saggi, oltre che nei loro busti, possono apparire uniti in filosofici
conversari, come nei m. da Torre Annunziata e da Sarsina umbra,
oppure assisi attorno a una tavola lunata, verisimilmente a
rappresentazione del "banchetto dei Sette Sapienti" descrittoci
nell'opera arbitrariamente attribuita a Plutarco, come nel m.
recentemente scoperto ad Apamea.
La diffusione dei m. delle Stagioni, come di quelli con le
rappresentazioni delle corse e delle fazioni del circo, può
dipendere anche da un'altra ragione: dal significato magico e
profilattico che è stato loro attribuito in un certo momento di
evoluzione della speculazione e della superstizione degli antichi.
Invece la larghissima voga delle scene di caccia a partire dalla tarda
antichità va certamente attribuita al significato allegorico che la
caccia e il cacciatore vengono allora acquistando, come immagini
della lotta della virtù contro il peccato, e simbolo dell'imperatore,
personificazione terrena della divinità, del bene trionfante contro il
male. Ottimi esemplari di vasti m. di tal classe sono stati rinvenuti
ad Antiochia, a cominciare dal già citato m. della Villa
Costantiniana, come molti altri si rinvengono in tutto il mondo
antico, per esempio, in Oriente, sui già citati m. del Palazzo
Imperiale di Costantinopoli, e in Occidente nella villa di Piazza
Armerina (v.) in Sicilia. Infatti, man mano che ci si avvicina alla
tarda antichità nell'arte musiva vediamo accentuarsi il prevalere,
sulle rappresentazioni mitologiche, di quelle allegoriche e
simboliche. Alle allegorie del mondo classico, ciascuna differenziata
secondo il suo significato e in genere rappresentata come
partecipante a un'azione, vediamo subentrare le allegorie del
pensiero bizantino e le personificazioni di idee astratte,
impersonali ed immobili, differenziate solamente dai loro nomi. Le
personificazioni di Agros e Opora seduti a convivio, ad Antiochia,
appartengono ancora in qualche maniera al simbolismo classico;
pur sempre, ma più vagamente, sono tali le figure anch'esse
banchettanti che distinguono i differenti aspetti del Tempo nel m.
di Aion; ma, a cominciare precisamente dal m. della Villa
Costantiniana, ci imbattiamo sempre più frequentemente ad
Antiochia nelle personificazioni del tutto astratte dei più disparati
concetti rappresentati in forme umane, e specialmente nell'aspetto
di busti che tendono a dominare soli nel centro di un ampio m.
decorativo: Δύναμις, Κτίσις, Χρῆσις, Εὐανδρία, Εὐκαρπία, ᾿Αγωρά,
Σωτηρία, ᾿Απόλαυσις, ᾿Ανανέωσις e via dicendo. Il busto
femminile, per quest'ultimo concetto, può essere sostituito dal
simbolo della Fenice; nel m. di Megalopsychia (v.) il tondo
femminile centrale, col suo attributo della sacca di monete,
esprime esattamente il medesimo simbolo delle allegorie figurate
nelle scene di caccia tutto attorno. La personificazione di
Amerimnia, cioè "Sicurezza", "Mancanza di preoccupazioni",
appartiene alla classe dei m. tombali, di cui abbiamo già incontrato
sopra parecchi esempî, e che si diffonde in una produzione assai
larga e in genere di scadente valore artistico specialmente in
Africa; ma in questa medesima classe abbiamo talora delle
rappresentazioni figurate più complesse e di maggiore levatura
artistica, come, per esempio, il m. antiocheno di Mnemosyne, che
ci fa assistere probabilmente a un'agape funeraria con la
commemorazione dei defunti.
Se non possiamo pertanto ammettere il giudizio di un'estrema
decadenza dell'arte musiva nel IV sec. d. C., con l'inaridimento di
ogni nuova ispirazione compositiva e il progressivo e rapido
abbandono del repertorio figurato, vediamo invece come, per il
nuovo gusto del soggetto astratto, assai spesso la decorazione si
riduce a un grande busto dominante in un tondo centrale, tutto
circondato da un largo bordo geometrico. Verso la fine
dell'antichità anche - abbiamo detto - si diffonde la moda del m. a
"tappeto", con tutto il campo cosparso di rosette, petali, o a file di
uccelli, con o senza un simbolo centrale (quale la Fenice), o a
reticolato con un campionario di soggetti varî entro ogni quadrato
o rombo, uccelli, fiori, ma anche quadrupedi e oggetti di ogni
genere. Altrove, per esempio nel superbo m. di Sabratha (v.) già
appartenente al VI sec. d. C., animali simbolici, tra cui domina in
alto il prediletto pavone che fa la ruota, si trovano sparsi entro i
rami di un immenso ceppo di vite che si espande, quasi in rigoglio
naturalistico, in tutta l'immensa superficie del pavimento, mentre
ormai più spesso la vigna attorce i suoi viticci in una disposizione
regolare di medaglioni rotondi, col ceppo sorgente da una grande
anfora, nel centro della base del m., o da quattro anfore angolari,
con uccelli, cesti, oggetti diversi in ogni medaglione, come sul m.
del Monte degli Ulivi a Gerusalemme: motivo della vigna adottato
anche per m. di vòlte, per esempio nella cappella di Santa Matrona
a S. Prisco di Capua, con quattro spicchi divisi dalle quattro palme
sulle diagonali; oppure medaglioni della vigna racchiudenti
ciascuno scene di vita agricola e scene di genere, come nei tardi m.
di Kabr Hiram in Fenicia e del già menzionato monastero di Beisan
in Palestina (v.). Campionarî di varî elementi presi dal mondo
pagano possono entrare anche, col nuovo significato simbolico
attribuito loro dal pensiero cristiano, a decorazione di pavimenti di
chiese, come nelle due basiliche teodoriane di Aquileia, in una
delle quali troviamo soprattutto gli animali simbolici, quali la
colomba, la tartaruga, il leprotto e via dicendo, mentre nell'altra
fra le figure allegoriche domina in un pannello centrale l'antica
Nike col suo nuovo significato di Vittoria Eucaristica, e nell'abside
in un pannello maggiore figura il soggetto biblico di Giona e la
balena. Su questi medesimi pavimenti di Aquileia (v.) ritroviamo le
quattro Stagioni, passate al repertorio cristiano con un significato
allegorico poco discosto da quello pagano, come vi passano le altre
allegorie dei Tempi dell'anno, e varî soggetti della mitologia
classica, come quello di Orfeo e altri. Effettivamente per
l'abbellimento di edifici cristiani possono passare soggetti
decorativi o figurati del repertorio classico pure a solo scopo
ornamentale: tal'è il caso dei dodici pannelli della vòlta a botte,
ancora conservataci, lungo l'ambulacro circolare di S. Costanza a
Roma (v. Tavola a colori), con elementi geometrici, o un seminato
di fiori sparsi nel campo, o scene di vendemmia, mentre per la
cupola dello stesso edificio disegni del sec. XVI ci rivelano
l'originaria decorazione, oggi distrutta, di eroti naviganti e pescanti
in un paesaggio marino, suddiviso da dodici cariatidi. I medaglioni
umani nel centro dei pannelli col campo cosparso di fiori palesano
qui la prosecuzione fino alla bassa antichità del genere del ritratto
realistico che - accanto ai più consueti ritratti ideali di filosofi, di
poeti, di personaggi storici - riscontriamo già in un emblema
pompeiano, probabilmente di età giulio-claudia, e che ci è
attestato dalle fonti storiche, per esempio per il ritratto sopra
menzionato di Pescennio Nigro, mentre pure nei medaglioni dei m.
di Aquileia con tutta probabilità possiamo riconoscere i ritratti dei
donatori. Ma lo splendido impulso offerto all'arte del m. a tessere
vitree per pareti e vòlte dalla necessità della decorazione degli
edifici del nuovo culto, quale appunto la decorazione di S.
Costanza, doveva necessariamente far cadere a un rango di
secondaria importanza la decorazione pavimentale dei medesimi
edifici: cosicché in una quantità di pavimenti di chiese
paleocristiane non troviamo che schematiche composizioni
geometriche, spesso con nastri e corde intrecciate formanti cartelli
contenenti iscrizioni con le date di fondazione delle chiese
medesime, o nomi di fedeli e donatori, o formule religiose. Fra
numerosi esempî di simili m. restituitici dal territorio veneto ed
istriano (Aquileia, Grado, Parenzo ecc.), una scritta a Grado
tramanda il nome dell'unico ebreo del luogo convertitosi in un
certo momento al Cristianesimo. La Palestina soprattutto ci ha
conservato un buon numero di pavimenti di sinagoghe, con simili
decorazioni geometriche, a rozzi animali o ingenue scene figurate,
e simboli della religione giudaica.
d) Lo stile. - Al contributo dato dal repertorio musivo alla nostra
conoscenza della vita e del pensiero degli antichi, si può forse
controbilanciare il suo valore artistico e il suo significato per
l'integrazione del quadro complessivo dell'arte, e specialmente
della pittura antica. Gli emblemata di Pompei e di Delo ci fanno
cogliere soprattutto, come pochi altri prodotti pittorici, il senso
naturalistico del tardo ellenismo nel rendimento di ghirlande di
fiori e di animali, conservanti ancora schemi e convenzioni dell'arte
classica, ma ravvivati dalla vivacità dei colori e dalla delicatezza dei
trapassi, con sfumature e ombre impercettibili, e palesanti una
tendenza crescente alla regolarità e alla stilizzazione verso l'età
augustea; i m. di Dioskourides (v.) ci danno due splendidi esempî
del colorismo ellenistico e della rappresentazione di personaggi
entro uno spazio architettonico. Lo stile "illusionistico" dell'età
flavia spicca in altri m., quale ad esempio il quadretto pompeiano
del Nano e del gallo (v. Tavola a colori alla voce impressionismo),
che palesa quasi la disintegrazione della superficie pittorica in
tante macchie separate, alternatamente chiare e scure, che
conferiscono all'insieme l'effetto di irrequietezza e mobilità
caratteristico all'arte di questo periodo. Ma il valore della
testimonianza dei m. per la storia dell'arte si fa assai maggiore dal
momento della distruzione di Pompei, quando le documentazioni
per l'arte pittorica si fanno sempre più scarse e frammentarie.
Alcuni dei più antichi m. di Antiochia, come quello di Polifemo e
Galatea, rispecchiano ancora la maniera del quarto stile
pompeiano. Una serie di m. da Villa Adriana con rappresentazioni
paesistiche, scene idilliche, lotte di leoni e tori o cacce di centauri,
mostrano tutti una medesima ispirazione e maniera artistica e,
rivelandosi quindi tutti opera di uno stesso periodo e di una stessa
scuola, ci permettono di renderci conto - più che non lo
consentano alcune pitture di incerta datazione - di quanto sia
erroneo il concetto generalmente diffuso di un'arte dell'età di
Adriano esclusivamente impregnata di classicismo, che segnerebbe
una stasi nello sviluppo della maniera prettamente romana; come,
al contrario, l'arte adrianea raggiunge l'espressione massima di
tutte le tendenze trapelate nell'arte romana fin da quando, sui suoi
inizi, questa s'era avviata lungo un proprio cammino indipendente,
nella conquista dello spazio, nella rappresentazione prospettica,
nell'organizzazione del quadro da un unico punto di vista e da
un'unica sorgente di luce, pure accoppiando questi raggiungimenti
con un rinnovato senso plastico nel rendimento dei corpi, con
un'accentuazione della linea di contorno e un delicato trapasso di
luci e ombre e tonalità - sostituitosi alle macchie dell'illusionismo
flavio - per il passaggio dei piani interni delle figure. Gli artisti si
sentono ora talmente padroni della prospettiva, che quasi si
compiacciono delle posizioni oblique più ardite dei loro
personaggi, degli atteggiamenti più casuali e più peregrini, degli
incroci più impensati dei diversi elementi; ai sistemi della
prospettiva lineare si aggiungono quelli della prospettiva aerea, agli
effetti di luce solare si alternano la rappresentazioni di "notturni",
come nel già citato m. antiocheno di Komos, in cui il dio appare,
illuminato da una torcia, nella penombra della stanza del
banchetto; agli esperimenti nel rendimento delle iridescenze
dell'aria, si accoppiano quelli della trasparenza dell'acqua, sotto
alla quale si rispecchiano e gettano ombra parti di corpi, come gli
zoccoli di un toro in uno dei pannelli di Villa Adriana.
Un'accentuazione di tutte le tendenze dello stile adrianeo si può
perseguire attraverso l'intero periodo degli Antonini: gli effetti di
luci chiare, vibranti sulle superfici, e di ombre scure ammassate sui
contorni, tendono ormai al virtuosismo, la rappresentazione di
capelli e di riccioli della barba, a una maniera pittorica di toni
sfumati; il movimento tende a divenire agitazione, l'espressione
aumenta d'intensità. La caratteristica acconciatura femminile ci
suggerisce, per esempio, una data tra la fine del regno di Antonino
Pio e l'inizio di quello di Marco Aurelio per il bel m. firmato da
Aspasios da Lambaesis in Algeria, e una simile acconciatura la
ritroviamo nel già rammentato m. dionisiaco da Gemila-Cuicul
della medesima provincia, databile verisimilmente verso gli inizî del
regno di Commodo. Col periodo severiano non possiamo dire
ancora di constatare una decadenza, ma piuttosto di aver
raggiunto una saturazione di tutte le tendenze e di tutte le
conquiste dell'arte precedente, e insieme l'esplicazione di
tendenze e di maniere nuove: con l'alba del III sec., in altre parole,
trapelano già i germi di quello che sarà l'"espressionismo" del
Medioevo. L'ideale della rappresentazione perfetta del corpo
umano, della creazione dello spazio attorno ad essa e
dell'organizzazione della scena nello spazio secondo leggi
prospettiche, non interessa più; per l'accentuazione dello slancio,
la figura umana può essere innaturalmente allungata per
ottenerne un'immediata relazione con lo spettatore, la si torce in
piena frontalità, mentre anche le figure che dovrebbero essere
immaginate lontane nello spazio sono portate quanto più possibile
in primo piano; la veridicità del racconto è subordinata
all'espressione del concetto che si vuol far valere, la "forma" cede
davanti all'"idea". Un'esemplificazione di tutte le discordanti
tendenze dell'arte severiana può essere offerta, fra tanti,
dall'efficacissimo m. con scene agricole da Cesarea-Cherchel, pure
in Algeria. La vivacità dell'azione è divenuta qui concitazione, gli
atteggiamenti sono forzati, distorti a servizio della drammaticità
del racconto, sottolineata dal ritmo obliquo dei corpi, dai gesti
angolari; i capelli sono resi a masse arruffate e sconvolte, i
contrasti di chiari e scuri, di luci e ombre sono violenti. Il
rendimento pittorico del paesaggio, cosparso di alberi e di
collinette, col terreno degradante da una zona all'altra senza una
linea diritta per il suolo, crea a prima vista un'espressione di spazio;
ma a un più attento esame si nota che uno spazio profondo non
esiste, che tutte le figure sono portate in superficie, e collegate fra
di loro e con gli elementi paesistici in una pseudo-prospettiva. I m.
di Antiochia, inoltre, hanno richiamato l'attenzione al risorgere
verso il principio del III sec. della maniera di rappresentazione di
scene figurate entro ricche cornici architettoniche, già prevalsa
durante il secondo stile pompeiano, ma ora con una tendenza assai
più realistica nel rendimento degli edifici e nei loro rapporti con le
figure in essi o davanti ad essi immaginate. A partire dalla seconda
metà del III sec. d. C. i m. ci fanno assistere a un vero e proprio
dissolvimento del naturalismo ellenistico, all'intiepidimento di tutti
i mezzi stilistici precedenti, a un rendimento di corpi umani sempre
più schematico, con contorni rigidi, un drappeggiamento lineare,
un gestire sempre più vacuo ed enfatico, un disfarsi della
composizione in elementi staccati. Nei volti, sempre più vuoti di
espressione, si può notare spesso l'accentuazione delle guance
mediante grandi chiazze rosse - particolare che ritornerà nel m.
medievale.
I pavimenti della Villa Costantiniana di Antiochia ci permettono di
cogliere in una delle sue manifestazioni più suggestive quella
maniera detta il Rinascimento di Costantino, nella quale è adottata
l'imitazione più larga di soggetti e schemi classici, talora con una
finezza di esecuzione che a prima vista ci lascia perplessi nel
dubbio di trovarci di fronte a opere dell'antichità classica
medesima; a un esame più attento invece si rivela chiaramente
come l'arte non ha arrestato per niente il suo cammino verso
quella che sarà tra poco la più spiccata maniera del Medioevo. Il
rendimento del volume plastico dei corpi è sostituito da una
disposizione sempre più ornamentale e simmetrica delle pieghe
del panneggio, da un'alternativa ritmica di zone d'ombra e di luce
atta a creare movimento e vita alla sola superficie; nelle scene di
caccia le posizioni oblique dei personaggi, seguenti i contorni
laterali dei pannelli trapezoidali, tengono sospesi i corpi in un
equilibrio del tutto instabile; in queste rappresentazioni
paesistiche, gli incroci obliqui delle figure creati spazio con mezzi
prospettici sono sostituiti dalla giustapposizione dei corpi, tutti
portati in primo piano. Le rocce di contorno hanno già la
suddivisione a blocchi regolari che si trovano nei manoscritti
miniati del primo Medioevo; in tali manoscritti trova riscontro il
peculiare allineamento di figure su due o più piani paralleli, quale
notiamo già per la distribuzione del gregge nei pannelli idillici del
bordo del pavimento su citato, allineamento che possiamo
riscontrare egualmente nel quadro del Buon Pastore del più antico
fra i m. parietali di Ravenna, nel "Mausoleo di Galla Placidia",
assieme al medesimo rendimento delle rocce, alla medesima
forma degli animali e alla medesima disposizione ornamentale
della lana delle pecore (v. ravenna).
Il rapido moltiplicarsi dei monumenti musivi per i recenti
ritrovamenti e l'approfondirsi della nostra conoscenza sulle diverse
scuole per tutta la vasta estensione dell'Impero romano, peraltro,
ci mettono in guardia dal presumere di poter tracciare una linea
evolutiva della storia del m. uniforme ed equivalente dappertutto.
Divergenze cronologiche potranno risultare per le varie province
secondo la distanza di ognuna dai grandi centri propulsori dell'arte
imperiale, l'importanza e la capacità dei singoli laboratorî o
l'aggiornamento o invece il conservatorismo dei singoli artisti;
differenze stilistiche potranno talora essere dovute a tendenze
contrastanti per le diverse categorie di m., quelli di solenni edifici
imperiali o di case private, quelli di edifici profani e pagani e quelli
di edifici sacri e cristiani. Così, passando dai m. di una provincia
orientale, quali quelli di Antiochia, alle scuole d'Occidente, uno
splendore esuberante di pavimenti musivi e un vigoroso
rinnovamento artistico possono essere riscontrati nel ricco
repertorio di m., che ci offrono quasi un campionario di ogni sorta
di rappresentazioni - fra i meglio visibili dopo i recenti restauri e la
copertura dell'edificio a loro protezione - conservatici nella già
citata villa di Piazza Armerina (v.), in Sicilia: grande villa imperiale,
o almeno patrizia, del cui proprietario l'immagine stessa sarebbe
rappresentata da un personaggio, riccamente ammantato e in
atteggiamento solenne, assistente agli svariati episodî di cattura e
trasporto a Roma di fiere e animali esotici nel m. della Grande
Caccia, che adorna un lunghissimo corridoio dominante il peristilio
centrale. Stile e trovamenti di scavo suggerirebbero, se non per
tutto il complesso per una parte dei m., una datazione già verso il
principio del IV sec., cioè ancora alla fine dell'età tetrarchica e
l'inizio di quella costantiniana. Oltre al vasto tappeto a teste
animali tutt'attorno ai quattro lati dello spazioso peristilio, e ad
altri varî m. decorativi, il complesso comprende scene di contenuto
realistico - gruppi di famiglia, con dame e fanciulli che si avviano al
bagno, o cambiano vestiti, o uomini che si preparano al massaggio
dopo il bagno, o un gruppo di bambinetti che giocano, e forse una
scena di acclamazione del padrone della villa al suo ingresso in
essa, e una splendida rappresentazione della corsa nel circo -
specificato forse come il Circo Massimo di Roma - in un ampio
salone a due absidi affiancato alle terme, mentre nel "Piccolo
Circo", sotto l'aspetto di una corsa di fanciulli su bighe tirate da
uccelli, è rappresentata l'allegoria delle Quattro Stagioni. Soggetti
realistici sono ancora le scene di caccia, in cui oltre alla grande
caccia già citata incontriamo una caccia più piccola, con tutti i suoi
varî e consueti episodî dai preparativi col sacrificio ad Artemide
fino al banchetto alla sua fine, e una scena di agoni di musica e
poesia. Amorini spesso sostituiscono personaggi reali in m. con la
vendemmia o la pigiatura e il trasporto dell'uva, e in altri con
soggetti marini in cui navigano o pescano o solcano le acque sul
dorso di delfini o si associano a tritoni e nereidi nel thìasos marino.
Nel repertorio mitologico sono comprese rappresentazioni di
Arione, di Orfeo, di Polifemo, della contesa di Eros e Pan, di Dafni e
di Cyparissus e, insieme a questi ultimi, nella lussuosa aula triloba
presso allo xystus, scene del mito di Ercole, cioè la sua vittoria sui
giganti, la sua apoteosi, e la pazzia di Licurgo (v.), attorno a
un'ampia composizione quadrata con le imprese dell'eroe.
Soprattutto in queste ultime e grandiose composizioni possiamo
cogliere le alte qualità artistiche dei migliori fra i mosaicisti della
villa (l'arte dei quali trova un riscontro più nelle scuole africane che
non in quelle delle province orientali), per la sapiente
composizione dei singoli quadri e lo stretto intreccio dei varî
episodî nella singola composizione centrale, per l'irrompente foga
dell'azione, le ardite prospettive, le violente torsioni e gli abili
scorci, la gradevole coloritura e il gioco dei chiaroscuri conferenti
plasticità ai corpi: qualità e caratteri stilistici che - quale che sia la
discussa datazione della costruzione e della decorazione musiva
dei singoli ambienti della villa - qui realmente più spesso
suggeriscono un ritorno e un'intensificazione della precedente
maniera dell'arte severiana che non palesino gli elementi che nel
progredito rinascimento costantiniano preludono all'arte del
Medioevo.
La trasformazione del rendimento anatomico in un puro effetto
chiaroscurale a spesse linee di contorno formanti grandi bozze
scure e piani chiari, quale abbiamo notato nella Villa Costantiniana,
appare anche meglio nei robusti leoni centrali di pavimenti
antiocheni imitanti tappeti, nonché nell'"atlante zoologico" del
Martyrion di Seleucia e nelle vaste composizioni di caccia. In
queste ultime possiamo notare come l'indicazione della pelle
animale è piegata ormai a un vero motivo ornamentale, e a tale
aspetto si adatta pure la rappresentazione del sangue che goccia
dalle ferite formando disegni a fiamma o a ventaglio; in uno dei
leoni or ora menzionati, precisamente nel m. del Leone con nastri,
c'imbattiamo per la prima volta nella curiosa convenzione (ripresa
oggi dalla pittura contemporanea) del rendimento del muso
insieme nella veduta frontale e in quella laterale. Infatti, col
progredire dell'arte dei m. pavimentali, ci troviamo sempre più
spesso di fronte al rendimento di oggetti e scene sia nella
cosiddetta "prospettiva inversa" - in cui cioè la parte delle
rappresentazioni più lontana è resa in proporzioni più grandi,
invece che più piccole, rispetto a quella più vicina allo spettatore -,
sia nella caratteristica distorsione di parti di figure e di edifici,
dipendente dall'intento espressionistico dell'arte della fine del
mondo antico, per cui le parti laterali, che dovrebbero rimanere
invisibili, sono rotate di 90° e portate in primo piano
parallelamente alla veduta principale che l'oggetto presenta allo
spettatore: rotazione e distorsione che possiamo notare nel m.
topografico di Madaba (v.), e che pare duplice nel m. della Ecclesia
Mater in cui, oltre all'affiancamento delle vedute laterali a quella
frontale, sembra rotato di 90° anche il pavimento orizzontale
rispetto alle pareti verticali. Per l'abolizione dello spazio reale,
l'allineamento di tutte le figure in primo piano e l'intreccio
impossibile di tali figure, uno stadio assai più avanzato che non nel
m. della Villa Costantiniana si può notare nel m. antiocheno
dell'Amazzonomachia; in questo incontriamo anche la distorsione
di certe parti di uno stesso corpo umano o animale rispetto ad
altre parti, distorsione che in qualcuna delle grandi
rappresentazioni di caccia arriva allo scavezzamento di 180° di
braccia e gambe sul loro tronco. Nel dettaglio del torchio da vino in
uno dei pannelli della vendemmia sulla vòlta di S. Costanza, per
rendere più visibile la scena rappresentata notiamo il
convenzionale spostamento prospettico di tutti i quattro pilastri
del torchio verso lo sfondo, come se tutti sorgessero dall'orlo più
lontano di esso: convenzione che, attraverso una serie di esempî
nella miniatura dell'alto Medioevo, ritroviamo per esempio circa
due secoli più tardi di S. Costanza per la rappresentazione delle
cortine delle due edicole laterali più alte nel pannello dei SS.
Filippo, Therinos e Cirillo a S. Giorgio di Salonicco. L'illusivo
movimento e la convenzionale posizione obliqua dei corpi dei
cacciatori del m. di Megalopsychia da Antiochia, col rabesco delle
pieghe delle vesti incorporee, formanti uno sfondo ornamentale ai
corpi, cede alla staticità assoluta dell'immobilità frontale
nell'immagine centrale dell'altro antiocheno m. della Caccia di
Worcester, nella stessa maniera come il ritmico movimento
obliquo degli Apostoli del Battistero degli Ortodossi di Ravenna
rispetto all'immobilità dei Martiri di S. Giorgio a Salonicco. Alle
personificazioni mosse da passioni interne e partecipanti alle azioni
umane, abbiamo visto sostituirsi gradualmente nei medaglioni dei
m. i busti femminili di Megalopsychia, Ananeosis, Ktisis, in posizioni
rigidamente frontali e icratiche, immobili e impersonali, staccate
cosi dal mondo circostante come dallo spettatore, coi grandi occhi
sbarrati in un'impassibile fissità: immobilità e fissità che ancora più
tardi, nel Calendario figurato di Beisan (v. mesi e calendario) anche
per la struttura dei volti e certe acconciature (v. per esempio quella
di Febbraio), richiamano direttamente a qualcuna delle solenni
immagini della corte imperiale di Giustiniano rappresentata a
Ravenna, come quella del Praepositus sacri cubiculi.
5. - Il mosaico cristiano. - Per questi ultimi raffronti siamo risaliti dai
m. pavimentali in pietra dell'antico repertorio pagano ai m. in vetro
di pareti e vòlte di chiese di edifici cristiani. È ora il massimo trionfo
di quest'arte, al cui splendore scintillante, più che non alle discrete
tonalità di colore della pittura, è affidata la glorificazione della
nuova fede, coll'esposizione di interi cicli di rappresentazioni
religiose che ammantano di figurazioni, distribuite in canoni ben
determinati, tutto l'interno dei sacri luoghi, a edificazione insieme
e diletto dei fedeli. Con questi monumenti, anche se
cronologicamente possiamo essere ancora entro l'evo antico,
abbiamo già messo piede su quella che sarà non solo l'arte, ma
anche l'iconografia e lo spirito dominante del Medioevo. Al
giovane e imberbe Buon Pastore dell'iconografia pagana che
abbiamo visto nel "Mausoleo di Galla Placidia", si sostituisce
definitivamente, di solito nel centro della vòlta, l'immagine barbata
del Pantocrator. Barbato è già il Cristo nel m. absidale di S.
Pudenziana a Roma, databile probabilmente nei primi anni del V
sec., nel quale però la rappresentazione di Gerusalemme sullo
sfondo ricorda le prospettive di edifici su monumenti pagani che
abbiamo prima citato, in cui l'immagine velata di Ecclesia ricorda il
busto di Apolausis o le donne del m. di Mnemosyne di Antiochia.
Un'intera Bibbia figurata ci è conservata nei m. di S. Maria
Maggiore a Roma, che vengono datati tutti nel pontificato di Sisto
III, cioè ancora nella prima metà del V sec., con le scene della
infanzia di Cristo nel grandioso arco trionfale e tutto un ciclo di
rappresentazioni dell'Antico Testamento nei pannelli rettangolari
della navata centrale; ma certe immagini della Madonna di questi
m., soprattutto quella nella scena del riconoscimento della divinità
di Cristo da parte di Afrodisio nell'arco trionfale, ci possono
richiamare alla mente il busto di Megalopsychia ad Antiochia,
mentre scene ed edifici dei pannelli rettangolari in molti dettagli
ricordano le case e la vita cittadina del bordo topografico attorno a
tale busto. Ci possiamo arrestare sullo scorcio dell'evo antico con
un monumento, quale il Battistero della Cattedrale di Ravenna,
eretto verisimilmente dal vescovo Neone appunto agli inizî della
seconda metà del V sec., di sapore cosi schiettamente bizantino
ormai nella decorazione della cupola col Battesimo di Cristo
circondato dal giro dei dodici Apostoli: solenni, ieratiche figure
queste, ogni dettaglio del cui linguaggio artistico peraltro -
panneggiamento, struttura delle teste, tendenza alla frontalità,
concentrazione pensosa dei grandi occhi sbarrati - lo abbiamo
veduto precedentemente formarsi lungo il cammino dell'arte della
tarda antichità (v. anche nuovo testamento; paleocristiana, arte).
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Palestine, II-III), 1934; id., Israele, Mosaici pavimentali antichi,
Milano 1960 (coll. Unesco, ed. it.); R. Horning, Verzeichniss von M.
aus Mesopotamien, Syrien, Palästina u. dem Sinai, in Zf. d. Deut.
Pal. Ver., XXXII, 1909, p. 113 ss.; M. Chéhab, Mosaïques du Liban,
in Bull. du Musée de Beyrouth, XIV-XV, 1958-59; F. M. Biebel, in
Gerasa, City of the Decapolis, New Haven 1938, p. 297 ss. Alcuni
lavori principali su alcuni edifici decorati in m. o singoli m.: H.
Fuhrmann, Philoxenos von Eretrien, Gottinga 1931 (sul m. di
Alessandro); E. Schmidt, Studien zum barberinischen M. in
Palestrina, Strasburgo 1929; G. Gullini, I mosaici di Palestrina,
Roma 1955; e per il loro restauro: S. Aurigemma, in Rend. Pont.
Acc., XXX-XXXI, 1957-58, p. 41 ss.; T. L. Shear, Corinth, V, The
Roman Villa, Cambridge Mass. 1930; S. Aurigemma, I m. di Zliten,
Roma 1926; F. Fremersdorf, Das röm. Haus mit dem Dionysos - M.
vor dem Südportal des Kölner Doms, Berlino 1956; J. Moreau, Das
Trierer Kornmarktmosaik, Roma 1960; Esplorazioni sotto la
Confessione di San Pietro in Vaticano, Città del Vaticano 1951,
spec. p. 38 ss.; B. Pace, I mosaici di Piazza Armerina, Roma 1955; G.
V. Gentili, La villa Erculia di Piazza Armerina. I m. figurati, Milano
1959; C. Cecchelli, in La Basilica di Aquileia, Bologna 1937, p. 107
ss. (per questi m. e per gli altri paleocristiani di Aquileia, v. anche
G. Brusin - P. L. Zovatto, Monumenti paleocristiani di Aquileia e
Grado, Udine 1957); C. Cecchelli, I m. di S. Maria Maggiore, Roma
1956: G. Brett, in The Great Palace of the Byzantine Emperors, I,
Oxford 1947, p. 64 ss. (datazione probabilmente troppo alta al
principio del V sec.); D. Talbot Rice, ibid., II, Edimburgo 1958, p.
121 ss.; G. M. Fitzgerald, A Sixth Century Monastery at Beth Shan
(Scythopolis), Filadelfia 1939; M. Avi-Yonah, The Madaba M. Map,
Gerusalemme 1954. Per una rapida rassegna dei m. cristiani: M.
van Berchem - E. Clouzot, M. chrétiennes du IVe au Xe siècle,
Ginevra 1924. Soggetti di vita e di culto nei m. di Antiochia e in
altri: D. Levi, Aion, in Hesperia, XIII, 1944, p. 269 ss. (aggiungi il
magnifico m. con Aion, Gea e i Karpoi, numerose altre
personificazioni da Shabba-Philippopolis: E. Will, in Annales
archéol. de Syrie, III, 1953, p. 27 ss.; A. J. Festugière, in Rev. des
Arts, VII, 1957, p. 195 ss.); id., The Allegories of the Months in
Classical Art, in Art Bull., XXIII, 1941, p. 251 ss. (cfr. anche H. Stern,
Le Calendrier de 354, Parigi 1953, e R. Ginouvès, La m. des mois à
Argos, in Bull. Corr. Hell., LXXXI, 1957, p. 216 ss.); id., The Evil Eye
and the Lucky Hunchback, in Antioch-on-the-Orontes, III, Princeton
1941, p. 220 ss.; id., Mors Voluntaria. Mystery Cults in M. from
Antioch, in Berytus, VII, 1942, p. 19 ss.; id., The Novel of Ninus and
Semiramis, in Proc. Amer. Phil. Soc., LXXXVII, 1944; p. 420 ss.; T.
Ivanov, Une m. romaine de Ulpia Oescus, Sofia 1954; L. Foucher,
Navires et barques figurés sur des m. découvertes à Sousse ecc.,
Tunisi 1957; A. Blanco Freijeiro, M. antiquos de asunto báquico, in
Boletín de la Real Acad. de la historia, CXXXI, 1952, p. 273 ss.
Sull'effetto apotropaico della testa di Oceano: P. Friedländer,
Documents of Dying Paganism, Berkeley 1945, p. 23 ss., tav. 8; D.
Levi, Antioch Mosaic Pavements, cit., p. 169, nota 5. Per un elenco
esauriente dei m. con le Stagioni cfr. G. M. A. Hanfman, The
Season Sarcophagus in Dumbarton Oaks, Cambridge Mass. 1951,
spec. i cataloghi, II, p. 185 ss. Sulla terminologia e diverse
interpretazioni della voce lithòstroton: M. E. Blake, op. cit., VIII, p.
50 ss.; F. v. Lorentz, art. cit., c. 330 ss.; D. Gioseffi, La terminologia
dei sistemi di pavimentazione marmorea e una pagina della
"Naturalis Historia", in Rend. Lincei, 1955, p. 272 ss. Sulla supposta
origine orientale del m. cfr. V. Müller, The Origin of M., in Journ.
Amer. Orient. Soc., LIX, 1939, p. 247 ss. Sui pavimenti in stucco
colorato: D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, p. 4, nota 17; p. 307,
fig. 26. Per i resti di m. parietali e di vòlte dell'antichità: C.
Cecchelli, Le origini del m. parietale cristiano, in Architettura e Arti
decorative, II, 1922-23, p. 3 ss.; D. Levi, Antioch Mosaic Pavements,
p. 4, nota 18; per le firme di mosaicisti: id., ibid., p. 8, nota 38; per
la tecnica e i metodi di composizione dei mosaicisti: G. Guidi, art.
cit., V, 1933, p. 33 ss.; D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, p. 8 ss. e
passim; J. Lassus, Réflexions sur la Technique de la m. (Conférences
du Ms. Gsell), Algeri 1957. Per l'imitazione di soffitti sui m.
pavimentali: Ronczewski, in Izvestiia Russiskoj Akademii istorii
materialnoi kul'tury, I, 1921 ss.; G. Guidi, art. cit., p. 150; D. Levi,
Antioch Mosaic Pavements, passim, specialmente p. 228 ss. per
quanto riguarda le vòlte a crociera. Sui falsi: K. Parlasca,
Mosaikfälschungen, in Röm. Mitt., LXV, 1958, p. 154 ss. Per i
rapporti fra arte musiva e arte tessile: D. Levi, Antioch Mosaic
Pavements, p. 449 ss., nota 167, e p. 437 ss.

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