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Condizione postmediale

Primi media

Nascita dei dispositivi, intesi come situazioni sociali dedicate al consumo di prodotti mediali, fine
del 1800, forme di lettura, sia individuali che collettive, esecuzione musica, visione film, teatro.
Ecc. Con i dispositivi, nascono i media. Produzione di esperienze serializzate, identiche e ripetibili,
esperienze progettate e regolate per intere folle e masse.

Secondi media

Maturazione e stabilizzazione dei media, dal 1915 al 1980. Cinema diventa un’industria vera e
propria. Sonoro, sala come luogo rituale, pubblico e intimo allo stesso tempo. Poi la radio,
broadcasting, idea di rete e reticolo, messaggi più capillari e pervasivi (entrano nelle case). Le reti
precedenti erano legate dai collegamenti materiali (giornali, ferrovie), questa invece avviene senza
bisogno di fili elettrici, di contatto materiale fra emittente e ricevente. (evento chiave:
affondamento Titanic). Broadcasting, nuova fase di sviluppo mediale; il testo, discorso lineare con
un inizio e una fine, viene scardinato, sostituito da un flusso ininterrotto, 24/7, 7/7. I media
iniziano a poter influenzare la gente, la politica, la società e la cultura. (è il SISTEMA dei media
criticato nella pubblicità della Apple)

Come finiscono i media:

Moltiplicazione dei canali di erogazione e accesso ai media (saturazione e ridondanza), diffusione


di apparecchi che liberano dai vincoli di spazio e tempo (videoregistratore, libera dalla necessità di
seguire il palinsesto, poi dvd e videocassette e streaming)
SPAZIALMENTE i media diventano ubiqui, rilocazione degli schermi, walkman ecc.
Poi riuso di altre reti di comunicazione per distribuzione di prodotti mediali, world wide web.
DIGITALIZZAZIONE, tutto viene scomposto in elementi molecolari, bytes, strinche di nmeri binari,
0 o 1. Informazioni possono essere manipolate, trasmesse o scambiate.
Computer diventa un “metamedia”, macchina che riproduce e collega prodotti legati a media
diversi. (film, musica, giornale, foto diventa un filmato, ipertesto, da un documento all’altro, da un
documento al video, definizione di una parola ecc).

Media tradizionali - testo tradizionale (lineare e finito)


Media broadcasting - flusso (lineare e infinito)
Nuovi media digitali - ipertesto multimediale interattivo (reticolare e infinito

Altro aspetto importante della digitalizzazione: le copie sono identiche, non c’è differenza
qualitativa, ogni copia è uguale all’originale e può essere manipolata da chiunque abbia gli
strumenti, e posso ridistribuire a mia volta questa copia modificata tramite il web.
Non esiste più l’”originale” e la copia, l’emittente non possiede autorialità come ai tempi del testo
finito. Il consumer diventa a sua volta producer, creando il prosumer.
Interazione fra fruitori e media, unione della logica dell’ipertesto con gli scambi di dati tipici della
rete telefonica.
La logica di Broadcasting viene spezzata in quattro logiche diverse:
Push: tradizionale, alto basso, broadcaster spinge i contenuti verso il fruitore.
Pull: Fruitore tira a sé contenuti (sceglie su netflix cosa vedere, on demand)
Prosuming: il consumatore produce anche contenuti (blog, sito, canale, recensione, condivisione
Social: Fruitore interagisce, intempo reale, con altri fruitori. Creazione di comunità.
Modalità derivate dal videogioco (Push sarebbe le sequenze in cui non puoi intervenire, di
esposizione e narrazione, Pull le scelte che compi. Prosuming perché puoi condividere soluzioni a
partite, e social per le community di giocatori nei MMORPG)
Quindi, come avviene lo smantellamento dei media; Siccome sono più presenti che mai, pervasivi
in ogni aspetto sociale, si crea però una deindividuazione dei dispositivi, piuttosto che una totale
scomparsa, perché:
1) Viene meno una chiara distinzione fra i diversi dispositivi del passato. (Non c’è differenza
fra film che vedo sul tablet e al cinema, convergenza dei media sulla piattaforma, impianti
che imitano il dispositivo come l’home theater, oppure metamedia come il computer)
2) Alcuni dispositivi tradizionali vengono rilocati in spazi diversi da quelli di origine. (i
videowalls, schermi sugli aerei, nella metropolitana, sui telefoni ecc.
3) I dispositivi mediali si fondono con apparati sociali che non erano mediali (ad esempio la
fusione con i video di sorveglianza come motivo visivo mediale, reality, televisione e
cinema. Combat cam, go-pro, filmati di famiglia ecc)
In conclusione, non si può capire cosa sia mediale e cosa non lo sia. E quando tutti saranno
media, nessuno lo sarà più.

Gamification

L’approccio del gioco, del sistema di interazione e reward ormai governa la nostra vita, a partire
dai punti del supermercato e delle tessere di fedeltà. Stessa cosa per corsi di apprendimento di
lingue ecc, siti di recensione. Interazione e premiazione. Si tratta di sistemi volti a farti interagire
per “sbloccare” nuovi livelli. Non si riescono più a individuare i media proprio per questo processo
di gamification, che coinvolge anche le nostre esperienze mediali. Non c’è più la ritualità, tutto
può essere manomesso, manipolato, condiviso.

Epos naturalizzazione

La trama di Avatar la sappiamo tutti. Quello che non sappiamo è che si tratta di una metafora della
rete e della narrazione di naturalizzazione che essa porta con sé. Ma procediamo con calma.
Umani: supertecnologizzati, MA ATTENZIONE, con una tecnologia pesante, ingombrante,
predatoria verso la natura.
Na’vi: non hanno apparentemente tecnologia, ma LETTERALMENTE CONNESSI con i loro cavi
ethernet codini alla natura, vitale scambio di informazioni, niente gerarchia, orizzontalità (logica
dal basso, grassroots).
Quindi è scontro fra tecnologia e natura? It’s a little more complicated than that.
I NA’VI vivono in un Sistema CABLATO, immediato accesso a tutte le informazioni. Gestione
orizzontale e non verticale, coinvolgimento dal basso.
I terrestri invece falliscono perché seguono ancora le gerarchie militarizzate.
IL CONFLITTO IN AVATAR E’ QUELLO FRA DUE DIVERSE CONCEZIONI TECNOLOGICHE
Tecnologia pesante, di protesi potenziate vs. tecnologia trasfigurata in natura, metafora delle reti
di comunicazione digitale. L’albero di Pandora è un server biologico, connette tutti quanti e ne
conserva le memorie.
IL TEMA DI AVATAR è quindi la PERCEZIONE DI UNA VITA IPERTECNOLOGIZZATA E
IPERSOCIALIZZATA COME FORMA “NATURALE”.
Ma se è ipertecnologizzata come può essere naturale?
Intanto, i media ormai sono invisibili, non li percepisci come tecnologici, sono naturale estensione
del tuo braccio, non li puoi neanche aprire e vedere i circuiti al loro interno. Possiamo interagire
con la tecnologia in modo immediato. Il nostro corpo arriva subito al digitale.
Il protagonista di Avatar cambia letteralmente corpo, da un corpo immobilizzato a un corpo
dinamico e iperconnesso (così come lo spettatore, che grazie all’esperienza 3d vive in un nuovo
corpo facendo esperienza di un mondo completamente digitale).
EPOS DELLA NATURALIZZAZIONE DELL’ESPERIENZA TECNOLOGICA

EPOS

Che cosa si intende per epos. Le due concezioni opposte sono romanzo e epica.
Romanzo - BENJAMIN: Comunicazione individualizzata, scrittore in solitudine, lettore in solitudine
esperienza individuale che non è saggezza ma solamente un senso della vita.
Epica - BENJAMIN: Si basa sul senso comunitario, coralità condivisa. Recitazione e ascolto
richiedono tempo e noia. Esperienza collettiva, sedimentata nel tempo, condivisione di una
morale comune che diventa saggezza.
Epica è la forma del mondo post-mediale contemporaneo. Basti pensare ai media franchise, la
rinascita delle saghe fantasy, CINEMATIC UNIVERSE ecc, serie tv. E il fatto anche che questi
franchise cambino posto da un luogo all’altro tramite il TRANSMEDIA STORYTELLING, serie,
spinoff, parchi a tema, videogiochi ecc., e coinvolgono il lavoro e il contributo delle fanbase.
Epica del soggetto comune che affronta grandi esperienze, epica del quotidiano. Questo avviene
nei reality shows, con commissioni di giudici quasi divine che emettono sentenze sui comuni
mortali.
Ma perché l’epica?
Perché proprio la Polverizzazione della condizione postmediale ha bisogno dell’epica per tenere
tutto insieme. Si tratta dell’unico modo per creare mondi unitari e condivisi di fronte a tanta
dispersione. Perciò anche nella proliferazione diventa importante il CANON, il rispetto del canone.

Artificiale e naturale

Relazione dei soggetti con il naturale e con l’artificiale.


RIVOLUZIONE INDUSTRIALE.
Le forme dell’esperienza cambiano, facciamo per la prima volta esperienza delle macchine nel
nostro ambiente, nascita di un mondo urbano, treni, lampioni, luce elettrica. Esperienza diversa da
quella del mondo antico, veloce, frammentata, spiazzante.
Si crea l’opposizione fra naturale e artificiale, quasi inesistente prima (perlomeno non con questa
accezione).
SOLUZIONI A QUESTO CONTATTO FORZATO:
Invasione della modernità nella natura, percezione del mondo naturale come riserva di risorse
energetiche da sfruttare, oppure il paesaggio urbano diventa un altro ambiente naturale con cui
rapportarsi.
L’artificiale, con elettrodomestici e via dicendo, entra sempre di più nel nostro privato, relazione
personale e intima.
Vera e propria artificializzazione dell’esperienza; la pubblicità ne enfatizza l’aspetto euforico, i
racconti distopici à la Philip K. Dick ne enfatizzano l’aspetto disforico di perdità dell’identità
“naturale” dell’uomo.
I MEDIA IN TUTTO CIO’ CHE FANNO? Intanto i media comportano in sé un rapporto con la
tecnologia. Rappresentano un’esperienza dell’artificialità all’interno di situazioni ristrette e
controllate (il salotto di casa, la sala cinematografica).
Si tratta perciò di interfacce esperienziali fra l’artificialità della tecnologia e la naturalità del
soggetto umano, sono lo spazio di negoziazione fra naturale e artificiale.
In questa TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE che stiamo vivendo, la percezione della tecnologia
scompare, entra capillarmente nel tessuto delle azioni.
Disseminazione polverizzante della tecnologia che causa una vaporizzazione dell’opposizione tra
naturale e artificiale. Noi ancora facciamo questa distinzione, ma si tratta di un retaggio vecchio e
privo di sostanza. Perciò Avatar ci mostra con i Na’vi una naturalizzazione dell’esperienza
tecnologica, la tecnologia come forma della natura e della vita, perché l’opposizione fra naturale e
artificiale ha smesso di funzionare.
Secondo poi, quell’esperienza ristretta e controllata dell’artificialità espressa dai media è esplosa. I
media sono usciti dalla sala; non esiste più un luogo a loro deputato. Essi sono ovunque, fanno
parte ormai dell’ambiente naturale.
Esperienza di Kevin Kelly, che all’inizio si è allontanato dalla tecnologia, vivendo in una comunità
stile Amish, per poi scoprire dagli anni ’80 in poi l’aspetto quasi “biologico” delle reti digitali
telematiche. Sia la vita sia la tecnologia sembrano essere basate su flussi immateriali di
informazioni. La “Technium” è un’entità semi-vivente, con una volontà propria. La tecnologia
vuole ciò che la vita vuole.

Epos della soggettivazione

Pubblicità “one day”. Soggettiva in “first person”, Vediamo le azioni di questa persona in una sua
giornata tipo. Va a passeggio ecc. Vari interfaccia visivi si intromettono nella sua visione,
consentendogli di compiere azioni (vede un manifesto, lo inquadra, fa la foto, può prendere i
biglietti) condividere momenti, mandare messaggi, manda un video a una ragazza, gli ricordano di
appuntamenti, gli dicono la temperatura.
La retorica dietro alla pubblicità è quella della condivisione di un’esperienza, rappresentarsi e
inscenare la propria esistenza mentre la si vive, ma soprattutto rappresentare la propria
esperienza in quanto vissuta in prima persona.

First person shot

Il termine soggettiva non va più bene per definire questo tipo di inquadratura in prima persona. La
soggettiva infatti è un’inquadratura normale, messa in relazione dal montaggio con un punto di
vista oggettivato di un personaggio che guarda, e che noi guardiamo. In one day non vediamo mai
il personaggio che compie le azioni, noi siamo quel personaggio.
Secondo poi, al contrario della soggettiva cinematografica, la soggettiva del first person shot
rende esplicita e dichiarata la natura del dispositivo di registrazione. Corpo, sguardo e dispositivo
sono un tutt’uno. Quindi:
1) Trascrizione immediata di esperienza soggettiva
2) Implicazione di simbiosi fra soggetto e dispositivo di ripresa
Si trova ovunque, dalle go-pro, alle helmet cam, ai videogiochi in prima persona (doom).
Si tratta di uno sguardo incorporato, dinamico e relazionale, ed è una figurazione visiva
tipicamente post-mediale che risponde all’altro epos dell’esperienza digitale contemporanea, ossia
quello della soggettivazione dell’esperienza.
6 grandi innovazioni hanno permesso la nascita del first person shot:
1) Steadicam, inventata dall’operatore Garret Brown, usata per This land is my land nel 1976
per la prima volta, poi Shining ecc.
2) Videocamere digitali portatili, poi ampiamente sfruttate in ambito giornalistico, militare,
familiare, mockumentary ecc per poi sbancare nella fiction man mano che la qualità
aumentava.
3) Miniaturizzazione di queste videocamere, quindi helmet cam e combat cam, Go-pro e
cellulari.
4) Sistemi di video-sorveglianza, che grazie a 1) sensori più sensibili 2) multiplex di camere
controllabili in simultanea e 3) abbassamento dei prezzi fa fare un balzo in avanti alla Close
Circuit Television. Lo sviluppo di questa tecnologia ha fatto allargare il campo delle
possibilità del visibile, da videocamere montate sulle automobili, a quelle utilizzate per
operazioni chirurgiche, sviluppo di enhanced vision, visione infrarossi ecc.
5) Realtà virtuale, dagli anni ’80 in poi, che adesso sta vivendo una seconda wave, dai
videogiochi ai social, per poi avere utilizzi anche in campo bellico, aviazione ecc.
6) Videogiochi in prima persona, da Doom in poi. Si configurano in tre generi, ossia 1) il first
person shooter 2) i vehicle simulators 3) graphic adventure games, generi che poi
ovviamente si sono combinati e rimescolati.

Una figura post-mediale

Il first person shot nasce da tre nuove logiche dei dispositivi di ripresa, ossia la loro:
1) Dinamizzazione
2) Miniaturizzazione
3) Virtualizzazione
Ma come si è prodotto questo fenomeno? Come abbiamo visto, nella post-medialità assistiamo a
una progressiva de-individuazione dei dispositivi mediali tradizionali e, soprattutto, della
differenza fra dispositivi mediali e non mediali. Perciò riprese di sorveglianza, telefonino, droni,
go-pro, sono tutti media.
Poi questi formati non esistono indipendentemente fra loro, si influenzano a vicenda; uso della
steadicam in un film di guerra imita la prospettiva in prima persona del videogioco, che a sua volta
riprende la combat cam, le videosorveglianze diventano strategie narrative della fiction e così via.
È pertanto una configurazione che poteva venirsi a creare solamente in un universo post-mediale.

Epos del divenire

Ora che sappiamo del come, resta da capire il perché del successo di questa conformazione
dell’audiovisivo, e ha a che fare con il secondo epos della società post-mediale, ovvero quello della
soggettivazione dell’esperienza, le cui linee portanti sono:
1) Esperienza vissuta, sperimentata online
2) Nel fare questa esperienza, il soggetto costituisce sé stesso in modo dinamico e
interattivo.
3) Si crea una relazione stretta fra il fare esperienza e rappresentarla a sé stessi e agli altri,
creando un loop di esperienza diretta e esperienza rappresentata di cui può fare egli stesso
a sua volta una nuova esperienza.
Si tratta di uno scambio felice fra prima e terza persona in cui il soggetto si percepisce, si racconta
e si costruisce.
Nel novecento, il cinema rappresentava una delle risposte possibili alla sfida che l’inconscio, la
psicanalisi, e la nascita di nuove ideologie ponevano rispetto alla necessità di autodefinizione del
soggetto. Se il soggetto veniva controllato da forze nascoste e incontrollabili, non poteva
autodefinirsi ma solo essere definito dalla sua ideologia, o dalla sua cultura, o dall’inconscio che
siano. Il soggetto non si apparteneva più.
Il cinema presenta la caratteristica di meccanismo pensato per riprodurre e riattivare i processi di
costituzione di noi stessi; nel guardare lo schermo, ci riconosciamo nel ruolo di spettatori, ci
vediamo in una certa posizione, nell’illusione di un ruolo, costituendo un soggetto esterno, statico,
disincarnato.
Questo nel cinema tradizionale; nei nuovi media degli ultimi vent’anni viene fuori una nuova
costruzione del sé, con la nascita di nuove forme di approccio neuroscientifico e fenomenologico.
Il soggetto è un’entità che emerge dal vortice di esperienze, percezioni, azioni, emozioni,
rappresentazioni e autorappresentazioni. L’esperienza la fa da padrone, la necessità di gestire in
maniera ottimale le relazioni attive e dinamiche fra individuo e ambiente. Non sono più legate
all’osservazione esterna di una scena, ma sono legate a una progettazione, esecuzione e
monitoraggio di azioni.
Si viene a creare così un passaggio da una concezione posizionale stabile a una concezione
relazionale dinamica dei processi di costituzione del soggetto.
Il nuovo soggetto è un soggetto:
1) Embodied (Incorporato)
2) Embedded (Inserito in forma viva in una nicchia ambientale)
3) Enacted (Impegnato in attività di rappresentazione e autorappresentazione coinvolgente)
4) Extended (Pronto a proiettarsi nelle rappresentazioni dell’esperienza di altri)
5) Emerging (Emergente dalla rete caotica di queste esperienze)
6) Affective (non solo cognitivo ma anche affettivo)
7) Relational (Impegnato in una serie di interazioni con oggetti e soggetti)
Nella generale scomparsa o dissipazione dei media non c’è più differenza fra le rappresentazioni
dei soggetti agite direttamente e quelle agite tramite protesi e mediazioni tecnologiche. In
sostanza, non c’è differenza se vai tu in discesa sulla mountain bike con la Go-Pro e filmi
l’esperienza e poi la rivedi o se lo fa un altro e poi ti vedi il video, perché tutte e due le esperienze
implicano l’ingresso in un regime di simulazione incorporata e la riattivazione di un esperienza
vivente.
A una riproduzione dei processi di costituzione del sé tipici dei vecchi media e del cinema si
sostituisce perciò una simulazione-riattivazione di questi processi, sia tramite i media che non, sia
vissuto in prima persona che non, sia biologico che non.

Epos della socializzazione

Due eventi: La nascita di The Sims e la serie televisiva Lost.


The Sims, invece di avere obiettivi fissati scegli tu quali obiettivi darti. È come la vita. Infatti, è un
simulatore di vita quotidiana e di relazioni. È in sostanza una Casa per bambole virtuale.
Oltre alla gestione attiva, c’è la possibilità di una gestione passiva, lasciare tutto al sistema e
guardare e basta. Si costituiscono in breve vaste comunità di giocatori che si tengono in relazione
grazie ai social media.
Lost, volo si schianta sull’isola misteriosa. 48 sopravvissuti devono organizzarsi, suddivedre i
compiti, deve imparare a condividere e fidarsi degli altri, fra segreti, misteri ecc.
Perché Lost ha avuto il successo che ha avuto?
2 aspetti. Ovviamente se nel 2004 pensavi ad un aereo che si schianta, c’era una buona chance
che stavi parlando del 9/11.
Lost parla di una comunità che si ricostruisce, delle diffidenze inevitabili, del peso del passato sulla
ricostruzione. Il primo contrasto che viene in mente è quello di organizzazione orizzontale “dal
basso”, ossia quella rappresentata dai superstiti, e quella verticale e gerarchizzata de “gli altri”.
Stessa cosa avveniva in america, soprattutto nella divisione, dopo la tragedia, fra filosofia
comunitarian, con sottomissione dell’individuo a esigenze di controllo e sicurezza e quella
libertarian, in cui si preservano le autonomie individuali e le libere forme di associazionismo.
Nell’ultima puntata i flashsides che hanno caratterizzato l’ultima stagione si rivelano essere
appartenenti a un limbo in cui i personaggi morti attendono di trapassare oltre la morte, uniti a
tutte le persone che hanno fatto parte di una grande “comunità”, buoni e cattivi, superstiti e
“altri”.
Nel frattempo, nella pausa fra seconda e terza stagione, Lindelof e Cuse lanciano un “Alternative
Reality Game”, The Lost Experience, con indizi sul progetto DHARMA ecc, infinite password, codici,
immagini ecc. Apparentemente difficilissimo da sciogliere, il puzzle venne risolto invece in poche
ore grazie alle capacità degli utenti di condividere i propri risultati e cooperare con passaparola.

Esseri socievoli

Sia The Sims che Lost raccontano la costruzione dal nulla di una rete di legami relazionali. La storia
epica del costituirsi di una società; allo stesso tempo, producono quello che raccontano, creando
effettivi legami fra la gente nelle comunità di videogiocatori e spettatori che si riuniscono online,
condividendo risultati, esperienze, stringendo rapporti e socializzando.
Questi meccanismi illustrano il terzo grande epos con cui l’universo post-mediale si deve
rapportare: l’epos della socializzazione.
Nella condizione mediale la situazione era diversa: la società esisteva prima e indipendentemente
dai media. La società si costituiva grazie a un territorio, spazio fisico di convivenza che assicurava
appartenenza a comunità, razza, valori, affetti, memorie e istituzioni.
I media in questo arrivano e mostrano una grande potenza, sia di codifica e stabilizzazione di
identità culturali sia di evoluzione sociale (il rapporto nel dopoguerra fra media e nuove mode,
società dei consumi e nuovo orientamento dei valori). Ci si è poi domandato quanto gli effetti
fossero gestibili, quanto i media fossero “persuasori occulti” o uno spazio pubblico di confronto.
Quella che rimane, a prescindere dall’effetto, è l’opposizione fra apparati mediali e apparati
istituzionali e sociali, ed è proprio questo dualismo a sparire nella condizione post-mediale.
La società delle reti si sovrappone ai territori fisici creando un nuovo tipo di spazio sociale con
parametri diversi da quelli del territorio. Videogiochi, interazioni finanziarie, scrittura dei codici
dei software, tutte azioni cominciate da una parte del mondo e finite in un’altra.
Ovviamente non si tratta di una sostituzione completa, ma di un bricolage, ossia l’unione di
occupazione territoriale e azione capillare all’interno delle reti.
Quella che cambia veramente è la distinzione una volta più netta e oppositiva dei media da una
parte e della società dall’altra: adesso i media infatti sono i dispositivi di costituzione della
società. Non esiste più una società territoriale da una parte e un confronto successivo con le reti;
adesso ci sono differenti matrici di costruzione del sociale, e possono essere indifferentemente
territoriali, di rete, o un mix di entrambi.
Le costituzioni societarie su base territoriale si fondano su alcuni strumenti fondamentali, come
oggetti memoriali (odori, atmosfere, elementi sensoriali) oppure oggetti istituzionali (scuole,
tribunali, divise ecc).
Nelle relazioni online come quelle dei social media gli spazi sono uniformi e anonimi.
Questo non vuol dire che il coinvolgimento sia meno intenso, ma che si alimenta principalmente
nella propria rappresentazione, e si sedimenta in una timeline costantemente osservabile.
Georg Simmel individua una distinzione fra legami sociali per associazione, ossia mantenimento
dei legami sociali per scopi specifici, e socievolezza, ossia pura relazione sociale che si esprime in
particolari occasioni quali il gioco, il flirt, la conversazione.
Ovviamente i social media mettono al primo posto il secondo aspetto, il puro stare insieme, la
condivisione, la fiducia ecc.
In una società di legami fluidi, veloci, slegati dal territorio fisico e da vincoli istituzionali il sentire il
legame sociale nel suo farsi e disfarsi è il nocciolo dell’epos della socializzazione.
Per questo la socializzazione è onnipresente nel panorama comunicativo, dai reality, ai supereroi
che devono imparare a lavorare insieme, si costituiscono nella rete milioni di microsocietà.

Condizione post-scolastica

Che ne pensa Henry Jenkins delle possibilità dei digital media nel sistema educativo?
Dice che la nuova cultura della partecipazione richiede nuove competenze, in particolare:
1) Play, modi creativi e sperimentali di affrontare il problem-solving.
2) Performance, capacità di farlo adottando identità fittizie
3) Simulation, costruendo modelli dinamici alterattivi e interattivi
4) Judgement, appropriandosi di oggeti mediali in modo critico
5) Transmedia navigation navigando su diverse piattaforme
6) Appropriation facendo propri questi oggetti mediali rimodellandoli
7) Networking, disseminare il frutto del proprio lavoro
8) Multitasking, facendo contemporaneamente più cose
9) Distributed cognition interagendo con oggetti tecnologici lasciando fare parte
dell’elaborazione cognitiva a loro
10) Collective intelligence, lavorando in cooperazione con altri soggetti
11) Negotiation rispettando le differenti prospettive e norme.
Queste sono tutte convinzioni derivate dall’Epos della socializzazione, in particolare:
1) Coltivazione di competenze viene prima delle conoscenze
2) L’acquisizione di queste competenze può avvenire fuori dalle istituzioni
Per l’addestramento alla vita, la ricerca del sapere comincia a mostrare dei limiti. Videogiochi
basati su meccanismi di problem solving che si rivelano più efficaci del tradizionale apprendimento
teorico. Giochi che coinvolgono il giocatore in una realtà più appagante di quella “vera”,
immersività che non va vista come escapismo, ma come occasione per scoprire in maniera più
stimolante quello che ci circonda.
È inevitabile perciò una Crisi delle istituzioni preposte alla formazione nella società post-mediale
di fronte al prevalere di competenze operazionali rispetto alle forme del sapere, con il mondo
della rete che è pronto a fornire tali competenze spesso in forma gratuita (tutorial di auto-
apprendimento), creando un processo generale di de-istituzionalizzazione.

La condizione amoderna

Per riassumere le caratteristiche dei tre epos:


Naturalizzazione della tecnologia:
nascita di una nuova generazione di apparati tecnologici non più opposti alla naturalità dei
soggetti ma capaci di generare un meta-mondo natural-culturale.
Soggettivazione dell’esperienza:
narrazione dell’intero campo dell’esistenza in quanto rappresentazione al tempo stesso
soggettiva, soggettivizzante e condivisibile; quanto vivo e sento momento per momento è mio, ma
è anche una rappresentazione condivisibile nel momento in cui la vivo e in cui la posso rivivere
(insieme a quelle degli altri) in un regime di simulazione incorporata.
Socializzazione del legame relazionale:
Necessità di narrare il farsi e disfarsi di reti, gruppi, comunità sociali che allo stesso tempo
costruiscono il bisogno di sentirsi vivere tali legami di fiducia e condivisione tramite una serie di
autorappresentazioni riflessive.
Ognuno di questi epos contiene in sé una serie di contraddizioni: il primo è funzionale a una
logica di mercato orientata verso l’iperconsumo mediale che riesce a nascondere la natura
artificiale del consumo, con pagamenti smaterializzati, carte di credito, app wallet ecc, per non
parlare della smaterializzazione delle informazioni e della monitorizzazione delle nostre scelte di
consumo.
La soggettivizzazione dell’esperienza nasconde la logica di controllo delle numerose pratiche di
sorveglianza a cui siamo sottoposti, la capillarità della sorveglianza e la nostra costante
tracciabilità, rendendoci addirittura soggetti attivi in questo meccanismo di controllo degli altri e di
noi stessi.
L’epos della socializzazione occulta invece una logica di potere, che come al solito logora chi non
ce lo ha; parliamo di networking power, potere di capacità di usare la rete rispetto a mia nonna,
network power, potere di coordinare più gente che usa la rete, netowrked power, possibilità di
usare in rete rapporti istituzionali precostituiti al di fuori della rete, network-making power, ossia
il più importante potere di creare le reti dal nulla o riconnettendo reti preesistenti. L’ultima è la
più importante.
La costituzione e preservazione di diverse forme di socievolezza diventa uno strumento di
potere, non solo da parte di istituzioni vertcali politiche/territoriali/economiche, ma diventa una
fluida competizione fra poteri e contropoteri, proteste, terrorismi che usano la rete per
incrementare l’efficacia delle proprie azioni.

Decompressione dello spazio e del tempo

La condizione post-mediale rappresenta l’uscita del soggetto occidentale dalla modernità. La


modernità infatti è caratterizzata da David Harvey da un senso dominante di frammentazione,
effimero e caos, e da una compressione dello spazio e del tempo tipica del capitalismo. Il post-
moderno in questo senso non è una rottura, ma un portare alle estreme conseguenze quel
fenomeno.
A partire del nuovo millennio, abbiamo invece una moltiplicazione di spazi e luoghi
dell’esperienza, che rendono possibili nuove forme di totalità che mettono da parte le fratture
inconciliabili tipiche del moderno.
I tre epos rappresentano il ritorno ai grandi racconti che il post-moderno aveva liquidato.
Naturalizzazione racconta la nuova sintesi fra natura e cultura
Soggettivazione dell’esperienza racconta la fine della frattura fra soggetti nella loro riduzione a
oggetti
Socializzazione racconta il superamento della distinzione fra individualità del soggetto e
convenzioni.
Si realizza una decompressione dello spazio e del tempo e la creazione di uno scenario organico, e
di un’uscita dalla modernità.
Vivere la condizione amoderna

Quindi come si fa a vivere questa condizione? Tornando alla crisi educativa di cui sopra.
Ci sono due opzioni: arroccarsi sulla trasmissione di conoscenze, del sapere, oppure uniformarsi.
Il problema è che la capacità di seguire forme discorsive complesse richiede livelli di attenzione
continuata che l’autoapprendimento consente solo in condizioni eccezionali. Occorre perciò
ripensare e riscoprire il ruolo gerarchico della trasmissione del sapere piuttosto che cancellarlo.
La comprensione delle forme discorsive complesse è imprescindibile per arrivare
all’innovazione. L’innovazione non si basa sul padroneggiare competenze operazionali, ma
sull’appropriazione critica di forme discorsive complesse.

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