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Università degli studi di Roma La Sapienza

Facoltà di Scienze della Comunicazione


a. a. 2006-2007

IL PUBBLICO EDITORE: NUOVE FRONTIERE PER LA TELEVISIONE


NELL’EPOCA DEI NUOVI MEDIA. IL CASO NESSUNO TV.

Cattedra: Sociologia della Comunicazione I

Candidato: Ilaria Nicosia


Relatore: Prof. ssa Romana Andò
Correlatore: Dott.ssa Barbara Mazza
INTRODUZIONE..................................................................................................................................... p. 4

CAPITOLO PRIMO
I NUOVI MEDIA

1.0 La terza grande mediamorfosi........................................................................................................... p. 6


1.1 Rappresentazione numerica.............................................................................................................. p. 7
1.2 Interattività..........................................................................................................................................p. 9
1.3 Multimedialità......................................................................................................................................p. 11
1.4 Convergenza......................................................................................................................................p. 12
2.0 Lo spazio navigabile...........................................................................................................................p. 13
2.1 La forma data-base............................................................................................................................p. 14
2.2 L’ipertesto...........................................................................................................................................p. 15
3.0 Il cyberspazio......................................................................................................................................p. 18
3.1 I primi utilizzatori: tecno-elite e hacker................................................................................................p. 20
3.2 Le comunità virtuali.............................................................................................................................p. 21
3.3 Il weblog..............................................................................................................................................p. 23

CAPITOLO SECONDO
IL PUBBLICO EDITORE

2.0 Pubblico o utente? Le audiences diffuse............................................................................................p. 29


2.1 Il concetto di pubblico.........................................................................................................................p. 32
2.2 Lo studio etnografico e i Cultural Studies: il mondo sociale delle audience effettive.........................p. 33
2.3 Le subculture......................................................................................................................................p. 39
2.4 Il fandom: p2p analogico.....................................................................................................................p. 42
2.5 Il media attivismo: ricombinazione mediatica......................................................................................p. 46

CAPITOLO TERZO
NUOVE FRONTIERE PER LA TELEVISIONE: IL CASO NESSUNO TV.

3.0 Switch-off: problemi di una transizione difficile....................................................................................p. 50


3.1 La rimediazione televisiva: dal network al networking.........................................................................p. 54
3.2 2004 Odissea nello spazio: Nessuno va sul satellite...........................................................................p. 57
3.3 Multimedialità allargata e copy-left.......................................................................................................p. 59
3.4 Dal blog al blob: i video dei vloggers dalla rete al satellite...................................................................p. 61
3.5 Blog Generation: un nuovo pubblico nella tv........................................................................................p. 64
3.6 Le mie elezioni: smart mobs e networked-cinema...............................................................................p. 66
3.7 La tv-comunità: dall’audience al rank...................................................................................................p. 68
CAPITOLO QUARTO
LA FRONTIERA, TRA SCONFINAMENTI E RIDEFINIZIONI

4.0 Flusso, data-base, palinsesto, rizoma...................................................................................................p. 71


4.1 Nessuno mi può giudicare: la rimediazione del blog, tra routines produttive e selezione dei video......p. 73
4.2 Diritti di frontiera: lo sconfinamento della tv e la ritirata del blog............................................................p. 75
4.3 Il pubblico spettacolo dell’assimilazione ri-creativa................................................................................p. 77

CONCLUSIONI............................................................................................................................................p. 81

APPENDICE................................................................................................................................................ p.82
INTERVISTA /A.......................................................................................................................................... p.83
INTERVISTA /B...........................................................................................................................................p.89
LIBERATORIA.............................................................................................................................................p.97

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI...................................................................................................................p. 99
INTRODUZIONE

“E’ stato lo spirito di frontiera americana, fatta di personaggi dubbi, avventurieri, a costruire l’America, a farne
un paese con una doppia anima, irrazionale e razionale, caotica e ordinata. Ora siamo alle soglie di una
nuova epoca storica ed è come se ci trovassimo a dover costruire una nuova America”- Alberto Abruzzese

Cartografata minuziosamente tutta la superficie del globo, fotografato il pianeta dal satellite, conquistata la
luna, esplorato Marte, il mondo globalizzato sembrerebbe non consentire altre esplorazioni.
Eppure, un nuovo spazio si configura sotto i nostri occhi e sotto le nostre dita; uno spazio di frontiera che
non ha che fare con la geografia, ma con l’immaginazione e la creazione, il legame umano e le pratiche
sociali: la nuova frontiera sono le nuove tecnologie, e lo spazio peculiare che definiscono, il cyberspazio.
Il digitale, con il suo carattere di linguaggio universale, modifica profondamente il rapporto che gli individui
intrattengono con gli oggetti culturali; questi, trasformati in dati numerici e algoritmi, possono essere usati e
riusati, manipolati, modificati a piacimento da qualunque utente; la rete, locomotiva post-moderna, ha
abbattuto le distanze fisiche, aprendo un nuovo spazio di relazione e azione, il cyberspazio.
E’, questo, un territorio in cui convivono anime diverse, anche opposte, e i cui confini, a un tempo, si dilatano
e si restringono: tra colonizzazioni e riserve, tra steccati e spazi ancora incontaminati, dobbiamo costruire
una nuova America.
In tale processo, i vecchi media broadcast sono alla ricerca di modalità di abitazione di questo nuovo spazio,
profondamente diverso dal terreno liscio della comunicazione di massa, unidirezionale e standardizzata.
La televisione, in particolare, non ha ancora trovato la strada che le consenta di conquistare il suo piccolo
appezzamento di cyberspazio, e procede per sperimentazioni e ricombinazioni dei suoi elementi: il
palinsesto si decostruisce a favore del data-base; la tv si fa più simile al computer, riproducendo i formati e le
modalità di fruizione del web.
Questa conquista deve però fare i conti con la geografia del territorio: l’oceano dei dati è infatti puntellato di
arcipelaghi, in cui abitano e convivono comunità di individui in comunicazione tra loro, ognuno a un tempo
autore e lettore, spettatore e performer.
I blog, in particolare, si sono rivelati la Killer Application di Internet, coinvolgendo sempre più individui nella
“grande conversazione” che è la rete.
Come conquistare queste isole sfuggenti e mobili? Come ristabilire un contatto con il pubblico-utente,
abituato a interagire on-line e a scegliere i suoi contenuti? Il pubblico-editore della rete può ancora essere
cinto nella riserva dell’audience, gabbia concettuale che elimina le diversità e le sfaccettature del consumo
culturale? Può la televisione decostruirsi, mettersi in discussione e trovare nuove strade di legittimazione
presso il pubblico?
Questa ricerca tenta di rispondere a tali domande, attraverso una ricognizione del territorio e delle condizioni
culturali che ne hanno permesso la costituzione. Alla comprensione delle caratteristiche strutturali dei nuovi
media, che consentono all’individuo di diventare medium, si associa l’analisi di come questa evoluzione sia
congruente e parallela al passaggio dalla società industriale a quella post-industriale, in cui la
mediatizzazione della vita ha reso gli individui consapevoli dei meccanismi della produzione culturale e in
grado, quindi, di muoversi da un ruolo all’altro: da membro del pubblico a autore, da enunciatario ad
enunciatore.
Definito il quadro teorico, si procederà all’analisi di un caso di studio, l’emittente satellitare Nessuno Tv, in cui
le logiche e le culture di rete irrompono nel medium televisivo, modificandone i dispositivi.
L’emittente si propone come primo esperimento di tv partecipata, luogo in cui trovano spazio le produzioni
culturali del pubblico, considerato non come una massa di individui da catturare, ma come insieme di
soggetti che partecipano ad un progetto editoriale.
Attraverso la sinergia con il “popolo della rete”, Nessuno Tv propone un modo nuovo di intendere la
televisione: non più finestra sul mondo, ma piazza, luogo di incontro e scambio reciproco.
La televisione, rompendo il limite dell’unidirezionalità, diventa una lunga conversazione.
CAPITOLO PRIMO
I NUOVI MEDIA

1.0 La terza grande mediamorfosi

I nuovi media rappresentano l’attraversamento di una frontiera, lo spartiacque tra un prima e un dopo, tra il
vecchio e il nuovo. Ma quali sono le caratteristiche dei nuovi media che ne determinano l’attributo di novità?
Quali sono in definitiva le proprietà strutturali che segnano una discontinuità sul piano evolutivo?
Nell’analizzare le modificazioni dell’ambiente mediale dovute alle nuove tecnologie, Roger Fidler conia il
termine “mediamorfosi”, definendolo come “la trasformazione della comunicazione dei media, generalmente
causata dalla complessa interazione di bisogni percepiti, pressioni politiche e competitive, innovazioni sociali
1
e tecnologiche” . L’innovazione tecnologica, infatti, non è qualcosa che “succede” ad un certo punto della
storia umana, ma un processo che mette in gioco tecnologia, nuova e preesistente, interessi politico-
economici e forze sociali. L’analisi di Fidler sull’adozione della tecnologia FM per la trasmissione radiofonica,
mette in luce come la tecnologia di per sé non sia sufficiente alla sua diffusione nel mercato, ma dipenda in
2
larga parte da fattori contingenti, che possono funzionare da acceleratori o freni .
Lo stesso discorso è valido oggi per i nuovi media, le cui origini possono essere fatte risalire agli esperimenti
per la macchina universale di Leibniz, passando per la macchina analitica di Babbage, il progetto EDVAC e
così via fino al World Wide Web di Tim Berners Lee: solo nell’ultima metà del XX secolo le innovazioni
tecnologiche (linguaggio digitale, commmutazione a pachetto), interessi politici (seconda guerra mondiale e
guerra fredda), ed economici (industria informatica), bisogni sociali emergenti (terziarizzazione) hanno fatto
esplodere la tecnologia, rendendola accessibile e diffusa.
La nuova tecnologia, una volta entrata nel sistema mediale che le preesiste, lo modifica costringendo i
vecchi media a rimodellarsi, ri-mediarsi secondo la teoria di Bolter e Grusin: “Le tecnologie della
comunicazione formano un network, o un ibrido, che può esprimersi in termini fisici, sociali, estetici ed
economici. L’introduzione di una nuova tecnologia non comporta solo la creazione di nuovo hardware e
3
software, ma piuttosto il modellamento (o rimodellamento) dell’intero network” . In questa dinamica anche gli
agenti umani e la società di cui sono parte, mutano progressivamente sulla scorta dei nuovi linguaggi
introdotti: così la parola, secondo l’impostazione di Fidler la prima grande mediamorfosi, permise di
organizzarsi in gruppi e di affrontare problemi complessi; la scrittura, seconda grande mediamorfosi, separò
la parola dal contesto spazio-temporale, permettendo la conservazione della memoria collettiva e la nascita
del pensiero astratto.
I nuovi media si configurano oggi come la terza grande mediamorfosi, poiché introducono nella cultura
umana una nuova classe di linguaggio, il digitale. Per comprendere i nuovi media dobbiamo allora

1
Roger Fidler Mediamorfosi. Comprendere i nuovi media Milano 2000 p. 30.
2
Nella fattispecie il primo ostacolo all’adozione del nuovo standard venne dalle industrie, per le quali l’AM era un
sistema collaudato che continuava a produrre guadagni; tale situazione fu capovolta dall’avvento della tv, che erose
parte di tali profitti orientando le stazioni radio verso i costi più bassi dell’ FM; un altro imponente ostacolo fu rimosso dal
Public Broadcasting Act del 1967, che distribuiva frequenze in FM per nuove stazioni radiofoniche pubbliche; infine il
cambiamento dei costumi sociali e l’emergere della categoria del teen-ager spingeva per una maggiore offerta di musica,
che sulle frequenze AM non trovava spazio. Tutto questo permise a un invenzione degli anni ’30 di esplodere solo negli
anni ’60, cioè un trentennio dopo.
3
J. Bolter, D. Grusin Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi 2002 p. 42.
focalizzare preliminarmente la nostra attenzione su come essi comunicano, sul loro funzionamento, “sulle
4
convenzioni emergenti,sulle modalità ricorrenti di progettazione e delle forme chiave” . Insomma sul loro
linguaggio.

1.1 La rappresentazione numerica

Il linguaggio digitale è un metodo di codifica che descrive gli oggetti mediali in termini di sequenze di zero e
5
uno, cioè di bit: “il bit è un modo di essere: sì o no, vero o falso, dentro o fuori, nero o bianco” . Come
afferma Manovich, il digitale costituisce l’ontologia dei nuovi media, l’essenza che li distingue come “nuovi”
rispetto ai precedenti oggetti mediali. Possiamo pensare al linguaggio digitale come un’ulteriore
semplificazione degli strumenti che l’uomo ha approntato per descrivere la realtà: come l’alfabeto fonetico
divide il continuum dell’esperienza in un numero ridotto di segni, i fonemi, il linguaggio digitale si serve di due
soli segni, zero e uno, per rappresentare l’intera gamma delle esperienze e delle produzioni umane.
Da codice che permetteva la comunicazione tra l’uomo e la macchina-elaboratore, siamo passati negli ultimi
venticinque anni al digitale come linguaggio universale, in grado di tradurre tutti i formati mediali attraverso la
loro conversione da analogici a digitali. La conversione da analogico a digitale avviene tramite due
operazioni: il campionamento e la quantificazione dei segnali. Il primo divide il segnale analogico continuo a
intervalli regolari, eliminando le informazioni ridondanti e componendolo in un numero variabile di unità
discrete; la frequenza del campionamento determina la risoluzione, cioè la qualità dell’immagine o del
suono, la sua “somiglianza” con la versione analogica.
La quantificazione consiste nell’attribuire ad ogni campione un valore numerico. E’ proprio la quantificazione,
in effetti, che rende gli oggetti digitali nuovi rispetto ai loro parenti analogici: già il cinema e la televisione
avevano diviso il continuum della rappresentazione in unità discrete, i frames; quello che non era possibile
era rendere le unità indipendenti le une dalle altre: nel montaggio cinematografico analogico, per esempio, si
può operare modificando l’ordine dei frames, ma non sui componenti all’interno del singolo frame.
La numerizzazione trasforma il contenuto in dato su cui si può operare tramite funzioni matematiche.
Questo ci immette nel secondo principio costitutivo dei nuovi media, la modularità. Manovich la definisce
come la struttura frattale dei nuovi media: “ così come un frattale rimane invariato su scale diverse, il nuovo
medium mantiene sempre la stessa struttura modulare. Gli elementi mediali, immagini, suoni, forme o
comportamenti, vengono rappresentati come insiemi organici di campioni discontinui (pixel, poligoni, voxel,
caratteri, script). Questi elementi vengono assemblati in strutture di dimensioni più vaste, ma continuano a
6
mantenere le loro identità separate” .
Per fare un esempio basta pensare alla modalità di programmazione del linguaggio HTML: la pagina web è
composta di due moduli -head, body-; ogni modulo si compone di stringhe di testo continuamente
modificabili da parte del programmatore - utente: per esempio, per cambiare un’immagine della photo gallery
di un sito, basterà modificare una linea di testo, e questa operazione lascerà invariati tutti gli altri elementi
che compongono la pagina. La qualità fondamentale della numerizzazione è, dunque, quella di rendere i
media programmabili: separando i dati dagli algoritmi che li processano, e che li rendono visibili e

4
Lev Manovich Il linguaggio dei nuovi media Milano 2002 p. 30.
5
Nicholas Negroponte Essere digitali Milano 1999 p. 3.
6
L. Manovich 2002 op. cit. p. 50.
riconoscibili come oggetti culturali (immagini, suoni, testi), i media digitali determinano una virtualizzazione
dell’informazione.
Riprendendo l’accezione filosofica del termine virtuale possiamo definirlo come “ciò che esiste solo in
potenza e non in atto. Il virtuale sta a monte della concettualizzazione effettiva e formale; entità che esiste in
7
potenza finché non viene attualizzata” . I dati numerici rappresentano allora l’informazione in potenza, che si
attualizzerà solo nel momento in cui vengono tradotti dall’applicazione con cui sono stati creati. Anche
l’attualizzazione però non è sempre predeterminata dal virtuale: “le attualizzazioni della stessa entità virtuale
8
possono essere molto diverse tra loro [...] Il virtuale è una fonte inesauribile di attualizzazioni” . Un nuovo
oggetto mediale può infatti essere declinato in versioni molto diverse tra loro: invece di riprodurre tante copie
identiche - principio della standardizzazione tipico della comunicazione di massa - il digitale consente di
riprodurre tante versioni diverse di uno stesso oggetto mediale, senza che questo intacchi l’originale; questa
osservazione introduce il terzo principio dei nuovi media, la variabilità: a partire da un determinato gruppo di
dati iniziali, da una collezione di descrizioni o di modelli, un programma può calcolare un numero indefinito di
manifestazioni visibili, udibili o tangibili diverse, in funzione della situazione o della richiesta degli utenti.
Quindi, i media computerizzati hanno uno statuto ibrido: da un lato sono oggetti culturali riconoscibili (una
foto, un film, una melodia); dall’altra sono dati informatici su cui si possono compiere delle operazioni
(selezionare, tagliare, incollare) che modificano sostanzialmente il rapporto che intratteniamo con gli oggetti
culturali stessi.
I media digitali si compongono dunque di un livello culturale e un livello informatico destinati a integrarsi
sempre di più: “dato che i nuovi media nascono grazie al computer, vengono distribuiti via computer, e sono
archiviati sui computer, la logica del computer non può che influenzare quella tradizionale dei media. Ciò
significa che il livello informatico finirà inevitabilmente per condizionare il livello culturale [...] Naturalmente
quello che io chiamo “livello informatico” non rimane fisso e immutabile, ma cambia nel tempo. Mentre
l’hardware e il software continuano a evolversi, il computer assume funzioni, compiti e procedure diverse,
questo livello vive una costante trasformazione. In definitiva il livello informatico e il livello culturale si
9
influenzano a vicenda” .
Questo ragionamento ci conduce a un altro principio dei nuovi media, la transcodifica culturale: “nel gergo
dei nuovi media transcodificare un oggetto significa tradurlo in un altro formato. La computerizzazione della
cultura produce gradualmente una transcodifica analoga di tutte le categorie e di tutti gli oggetti culturali. Ciò
vuol dire che le categorie e i concetti culturali vengono sostituiti, a livello di significato e/o di linguaggio, da
10
nuove categorie e nuovi concetti che derivano dall’ontologia, dall’epistemologia e dall’uso dei computer” .
A partire dalle caratteristiche strutturali dei nuovi media vediamo ora quali possibilità aprono sul piano della
produzione e fruizione degli oggetti culturali. Le tre principali conseguenze del linguaggio digitale sono
l’interattività, la multimedialità e la convergenza.

7
Pierre Levy Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie Milano 2002 p. 51.
8
P. Levy 2002 op. cit. p. 51.
9
L. Manovich 2002 op. cit. p. 69.
10
L. Manovich 2002 op. cit. p. 70.
1.2 Interattività

L’interattività è una particolare modalità di interazione tra il computer e l’utente, che si articola in due specie:
l’interattività come dialogo tra utente e macchina, in cui l’intervento dell’utente attiva procedure di
indirizzamento e controllo, necessarie a far svolgere al computer dei compiti; e l’interattività intesa come
possibilità di dialogo in tempo reale tra due utenti attraverso un dispositivo tecnologico connesso alla rete.
Questo rapporto dialogico tra macchina e uomo avviene attraverso un codice comune, che traduce le
intenzioni dei partecipanti allo scambio comunicativo in un codice comprensibile a entrambi. Questo codice è
l’interfaccia uomo-computer: “chiamiamo interfacce tutti i supporti materiali che permettono l’interazione tra
11
l’universo dell’informazione digitalizzata e il mondo ordinario” .
Dalla nascita del computer ad oggi, le interfacce sono andate progressivamente allontanandosi dal
linguaggio macchina, per giungere negli anni ‘70 a un sistema semplificato che sostituiva alle stringhe di
comando l’uso combinato di icone e strumenti di puntamento: l’interfaccia grafica utente (GUI). Narra
Negroponte: “usare un computer trent’anni fa era un po’ come pilotare lo sbarco sulla luna: era infatti
riservato a pochi iniziati, che conoscevano le formule magiche necessarie per manovrare queste macchine,
usando a volte un linguaggio primitivo e a volte neanche quello (semplicemente usando degli interruttori e
12
osservando il lampeggiare di lucette)” .
Gli studi sulle GUI fecero passi da gigante a partire dal 1971 con le ricerche della Xerox e del MIT, ma
comparsero sul mercato solo dieci anni dopo, grazie alla realizzazione del Macintosh da parte di Steve Jobs;
l’idea è semplice e rivoluzionaria allo stesso tempo: se il computer è uno strumento di lavoro, le sue
funzionalità possono rendersi visibili mutuando oggetti e concetti dall’ambiente lavorativo, l’ufficio e il tavolo
da lavoro. Le metafore del cestino, delle cartelle e dei documenti organizzati in archivi gerarchici, gli
strumenti di puntamento, che consentono all’utente di visualizzare se stesso e le proprie azioni sotto forma di
icone simulacrali, rendono il computer una tecnologia “user friendly” e ne determinano la diffusione come
strumento personale; tali metafore istituiscono pertanto un codice - l’interfaccia - che permette all’utente di
agire sui dati contenuti nel computer.
Seguendo Manovich, che estende ai media digitali le posizioni della linguistica strutturalista, un codice non è
mai un mero veicolo di informazione, non è neutro, ma anzi, esercita un’influenza sui messaggi che
13
trasporta: “il codice fornisce una sua visione del mondo, un suo sistema logico o ideologia” . Nella diversa
maniera che hanno di rappresentare e rendere visibili i dati, le interfacce rappresentano un diverso modo di
pensare il mondo: un mondo organizzato logicamente secondo un ordine gerarchico nel caso della GUI; un
mondo “appiattito”, non gerarchico e reticolare nell’ipertesto e nel world wide web.
Negli anni ’90 un’ulteriore fase si apre per il computer e, di conseguenza, per l’interfaccia: da strumento di
lavoro a medium per l’intrattenimento. “Negli anni ’90, con la sempre maggiore diffusione di Internet, il ruolo
del computer si trasformò da tecnologia specifica (calcolatore, processore di simboli, manipolatore di
immagini, etc.) a filtro per l’intera cultura, ovvero a forma di mediazione per tutti i tipi di produzione artistica e
culturale [...] Tutta la cultura, del passato e del presente, veniva ormai filtrata dal computer, con la sua

11
L. Manovich 2002 op. cit. p. 98.
12
N. Negroponte 1999 op. cit. p. 88.
13
L. Manovich 2002 op. cit. p. 91.
14
particolare interfaccia uomo-macchina” . In questo passaggio fondamentale si delinea una trasformazione
radicale del rapporto che gli individui intrattengono con le immagini e la cultura in generale: transcodificando
gli oggetti culturali, i media digitali da un lato incorporano interfacce precedenti, la pagina stampata,
l’immagine fotografica e cinematografica; dall’altro rimodellano tali interfacce secondo i principi di
funzionamento che li contraddistinguono. In particolare i media digitali modificano lo statuto della
rappresentazione: l’immagine è sia spazio illusorio sia strumento d’azione, sia originale nella sua particolare
attualizzazione, sia standardizzata nel suo essere dato.
L’articolazione dell’immagine in un doppio livello, informatico e culturale, ha conseguenze sull’effetto realtà:
“I nuovi oggetti mediali ci ricordano continuamente la loro artificialità, la loro incompletezza. Ci presentano
15
una perfetta illusione salvo poi rivelare il meccanismo” .
Da questo punto di vista i nuovi media oscillano tra le due logiche dell’immediatezza trasparente e
dell’ipermediazione descritte da Bolter e Grusin. Nel ripercorrere la storia della rappresentazione in
Occidente, i due autori mostrano come gli artefatti culturali siano attraversati da due tensioni contrapposte: il
desiderio di rappresentare la realtà “così com’è”, creando immagini perfettamente realistiche, che ha
condotto gli uomini a sviluppare apposite tecnologie - dalla prospettiva albertiana alla fotografia - e la
consapevolezza della mediazione tecnologica, le cui tracce sono presenti e visibili nella rappresentazione,
16
caratterizzata da uno stile che “privilegia la frammentazione, l’indeterminatezza e l’eterogeneità” . In ambito
pittorico, possiamo allora leggere l’impressionismo come il primo momento di rottura con la tradizione, che
aveva, fino ad allora, privilegiato l’immediatezza, per inaugurare l’inizio di una feconda esplorazione da parte
degli artisti delle potenzialità comunicative dell’interfaccia. Da allora, passando per le avanguardie storiche, il
modernismo, il dadaismo, fino alla net art contemporanea, sempre più l’arte ha giocato con le due logiche
dell’immediatezza e dell’ipermediazione: “all’interno della logica dell’ipermediazione, l’artista (o
programmatore multimediale o web designer) cerca di rendere lo spettatore consapevole del medium come
17
medium e di far sì che si rallegri di questa scoperta” . Nei nuovi media, tuttavia, la ricerca della trasparenza
non si è “arresa” all’ipermediazione strutturale dell’ambiente informatico: la realtà virtuale ne è un esempio,
mentre i web designer lavorano alla progettazione di un ambiente in cui “l’interfaccia scompare sullo sfondo
esperienziale mentre l’analogia sulla quale si basa il software (macchina da scrivere, tavolo da disegno,
18
scatola dei colori ecc.) passa in primo piano” .
Nel frattempo, l’esperienza di fruizione dei nuovi media presenta ancora i segni di una forte mediazione:
l’attesa del caricamento della pagina web o dell’immagine da un archivio; l’articolazione dello spazio di
visualizzazione in finestre sovrapposte, anziché in un’unica “finestra sul mondo”; l’oscillazione continua tra
partecipazione e azione, tra spettatore e utente, rendono l’immagine digitale non realistica, ma
metarealistica: l’utente è consapevole della natura artificiale della rappresentazione eppure si lascia
coinvolgere. “I nuovi media incorporano delle illusioni in stile cinematografico nell’ambito più vasto di una
superficie di controllo interattiva. L’illusione è subordinata all’azione, la profondità alla superficie, la finestra
sul mondo è subordinata al pannello di controllo. Nata per ipnotizzare la platea, l’immagine cinematografica,

14
L. Manoviche 2002 op. cit. p. 90.
15
L. Manovich 2002 op.cit. p. 259.
16
W. J. T. Mitchell Picture Theory, Chicago 1994 in J. Bolter, D. Grusin 2002 op. cit. p. 56.
17
J. Bolter, D. Grusin 2002 op. cit. p. 67.
18
Simon Penny Critical Issue in Electronic Media, New York 1995 p. 55, in J. Bolter, D. Grusin 2002 op. cit. p. 57.
macchina illusoria e terapeutica per eccellenza, diventa ora una piccola finestra sullo schermo del computer,
19
uno dei tanti flussi che arrivano attraverso la Rete, uno dei tanti file sul nostro disco fisso.”

1.3 Multimedialità

La multimedialità discende dalla codifica digitale di tutti i formati mediali: per dirla con le parole chiare e
concrete di Negroponte “i bit si possono mescolare facilmente. Si possono usare e riusare, insieme o
separatamente. L’insieme di audio, video e dati viene chiamato multimedia; sembra complicato, ma non è
20
altro che una mescolanza di bit” .
Tuttavia, la possibilità di “mescolare” diversi formati non è una novità esclusiva dei nuovi media: un film con
colonna sonora e sottotitoli sarebbe, secondo questa accezione, già un multimedia; un’enciclopedia illustrata
è altrettanto composta di due diversi media, la parola stampata e l’immagine. La multimedialità centripeta,
intesa cioè come integrazione di diverse forme mediali non è un elemento innovativo, e può essere forse
descritta più correttamente con il termine multimodalità: multimodale è un media che veicola messaggi che si
compongono di diverse sostanze espressive e che coinvolgono pertanto più sensi, diverse “modalità
21
sensoriali” .
Multimediale può essere considerato, invece, un medium che, componendosi di più formati, si arricchisce
della qualità dell’interattività: “la possibilità di una fruizione attiva da parte dell’utente, in grado di determinare
22
con le proprie azioni le reazioni del sistema o dell’utente che interagisce con lui” .
Dunque, un multimedia, è un oggetto che si compone di più formati mediali interconnessi che l’utente può
richiamare quando vuole e nell’ordine che ritiene migliore per la sua comprensione o per il suo
intrattenimento; è un oggetto da cliccare, selezionare, aprire ed esplorare. Ancora Negroponte: “è importante
pensare alla multimedialità come qualcosa di più di una Esposizione mondiale privata o di un “son et
lumière” dell’informazione, in cui vengono mescolati spezzoni video audio e dati. Poter passare liberamente
23
dall’uno all’altro è l’obiettivo fondamentale della multimedialità” .
Da un altro punto di vista, quello dell’industria, possiamo intendere il multimedia come un prodotto progettato
e pensato per essere distribuito su più media: un esempio è costituito dal settore Educational della RAI, in
cui i contenuti sono realizzati per generi e distribuiti attraverso una pluralità di canali: tv generalista e
tematica, radio, web, libri. Potremmo definire questa strategia multimedialità allargata o polimedialità. Come
afferma Parascandolo “la multimedialità non è né una tecnologia né, tanto meno, un prodotto, ma una
precisa modalità di progettazione, realizzazione e distribuzione integrata di prodotti concepiti in diverse
24
versioni per molti media” .
Un esempio piuttosto evidente di questa strategia è rappresentato dai format come Big Brother, pensati e
prodotti per poter essere distribuiti su più piattaforme mediali, dalla televisione in chiaro a quella satellitare,
dal web al telefonino: in ogni passaggio da un medium ad un altro, i contenuti vengono adattati, ripensati in

19
L. Manovich 2002 op. cit. p. 265.
20
N. Negroponte 1999 op. cit. p. 8.
21
P. Levy 2002 op. cit. p. 65.
22
Nicoletta Vittadini Comunicare con i new media, in G. Bettetini, F. Colombo Le nuove tecnologie della comunicazione,
Milano 1993 pag. 143.
23
N. Negroponte 1999 op. cit. p. 69.
24
R. Parascandolo La televisione oltre la televisione. La tv pubblica nell’era della multimedialità, Roma 2000 p. 90.
funzione delle possibilità del singolo medium; in questo modo la serie ottiene il massimo della copertura
mediale, ottiene la ridondanza necessaria per catturare l’audience, senza apparire ripetitiva.
Come vedremo nell’ultimo capitolo questa strategia è stata scelta anche dal nostro caso di studio, l’emittente
Nessuno tv: i suoi contenuti sono pensati e realizzati per essere trasmessi sul web, dal satellite, via etere e
in radio.

1.4 Convergenza

L’altra faccia della multimedialità è il processo di convergenza, cioè la progressiva integrazione dei supporti
che riunisce differenti mezzi di comunicazione sotto regimi operativi (diffusione, comunicazione, informatica)
simili e contigui.
Nella formulazione originale di Negroponte e dei suoi colleghi del MIT, la convergenza si connotava in senso
centripeto, cioè come trasfusione di tutti i contenuti precedentemente fruiti attraverso diversi media dentro il
personal computer, supporto elettivo dei media digitali: “la crescita del pc sta avvenendo a un ritmo così
veloce, che la futura tv basata su architetture aperte verrà a coincidere esattamente con il pc [..] In futuro
non ci sarà più un’industria di televisori. Essa sarà invece più o meno come un’industria di computer:
25
schermi dotati di un’enorme quantità di memoria e una grande potenza di elaborazione” .
Indubbiamente il personal computer è al centro della dinamica di convergenza: innanzitutto, perché è esso
stesso frutto della convergenza di due tecnologie precedentemente distinte, il computer miniaturizzato e il
monitor; in secondo luogo perché ne è, per così dire, il motore, per via della sua multifunzionalità strutturale
(strumento di lavoro, mezzo di comunicazione, fornitore di intrattenimento e informazione); è grazie
all’integrazione avvenuta per suo tramite tra informatica e telecomunicazione, all’origine di Internet, che
l’utente può sia fruire contenuti broadcast (con tutte le differenze date dal linguaggio digitale: ipertestualità,
logica del database, fruizione on demand), sia intraprendere conversazioni del tipo uno-uno o molti-molti. E’
pur vero però che queste caratteristiche si stanno estendendo anche ad altri dispositivi grazie alla tecnologia
wireless, rendendo il computer solo uno dei supporti possibili per i contenuti digitali, e realizzando pertanto
un tipo di convergenza centrifuga: più mezzi ospiteranno tecnologie digitali per arricchire le loro funzionalità
di origine.
Un caso particolarmente evidente è quello dei telefoni cellulari di terza generazione che, usando lo standard
UMTS (Universal Mobile Telecommunications System), permettono di connettersi tramite wi-fi a Internet e,
grazie alla banda larga, raggiungere ogni genere di oggetto mediale. Sono già disponibili versioni di serial
televisivi (la serie americana “Lost” e la fiction italiana “Un posto al sole” per citare solo due esempi), pensati
per la fruizione sullo schermo del cellulare, più piccolo ma con risoluzioni impensabili fino a pochissimi anni
fa. Persino film girati con il telefonino. La stessa tecnologia può essere applicata potenzialmente a tutti i
dispositivi digitali connessi in rete: “microprocessori a prezzo contenuto incominciano ad essere incorporati
in mobili, edifici e prodotti che sono disponibili sul mercato, dai coperchi alle scatole da scarpe, e provvisti di
invisibili dispositivi di comunicazione. Quando si mettono in collegamento con Internet gli oggetti concreti e i
luoghi della nostra vita quotidiana, i mezzi di comunicazione portatili si trasformano in congegni indossabili
26
con funzione di telecomando per il mondo fisico” .

25
N. Negroponte 1999 op. cit. p. 42.
26
Howard Rheingold Smart mobs. Tecnologie senza fili, la rivoluzione sociale prossima ventura Milano 2003 pag. 6.
Senza incappare nel rischio della logica della “polifunzionalità incontrollata”, cioè la progettazione di
dispositivi che presentano numerose funzioni, di cui però non è chiara l’utilità, Marinelli suggerisce di
27
distinguere una convergenza “secondo tecnologia” da una convergenza “secondo funzione” . La prima è
potenzialmente applicabile a tutti gli artefatti tecnologici che parlano il linguaggio digitale e possono essere
connessi alla rete; la seconda provvede a progettare strumenti dotati di tecnologie integrate allo scopo di
fornire servizi aggiuntivi funzionali al supporto da cui si fruiscono: di nuovo l’esempio migliore è il cellulare;
ma pensiamo anche alla televisione dotata di set top box dal quale l’apparecchio “sordo” che era la tv
terrestre diventa interattivo, permettendo la navigazione tramite browser e la fruizione on demand; alle game
console in grado di funzionare da lettori di cd e dvd; al pod-cast. Come affermano Bolter e Grusin “si pensa,
spesso erroneamente, alla convergenza come se comportasse una soluzione tecnologica unica, ma in
realtà, quando fanno la loro comparsa, queste nuove tecnologie cominciano a rimediare tutte le altre
esistenti, mixandole con modalità e quantità diverse, con l’obiettivo di produrre strumenti e pratiche sociali.
28
Convergenza significa maggiore diversificazione per le tecnologie digitali che abitano la nostra cultura” .
Il processo di convergenza configura pertanto un nuovo livello di pervasività delle tecnologie di
comunicazione: un ubiquitous computing che abbatte le barriere tra naturale e artificiale, tra mondo fisico e
sua rappresentazione.
In questa dinamica, i cui sviluppi sono solo agli inizi, “sembra che nessun medium possa in questo momento
storico funzionare indipendentemente, costruendo il proprio spazio di significati culturali separato e privo di
29
contaminazioni” . Tutti i media coinvolti nel processo di ibridazione sono destinati a rimodellarsi, ripensare le
proprie funzioni e caratteristiche, i propri usi e le proprie estetiche. A ri-mediarsi, appunto.

2.0 Lo spazio navigabile

La logica di funzionamento fin qui descritta, basata sulla separazione di contenuto (dati), layout di
presentazione (interfaccia) e dispositivo di visualizzazione (terminale video fisso o trasportabile), configura
una nuova interfaccia culturale basata su due componenti essenziali, due forme chiave: “userò il termine
interfaccia culturale per descrivere un’interfaccia uomo-computer-cultura, cioè le modalità con cui i computer
30
presentano i dati culturali e consentono di interagire con essi” . Queste due modalità sono il data-base e
l’ipertesto come spazio navigabile.
Per chiarezza espositiva analizzeremo le due forme separatamente, fermo restando che l’una non può
prescindere dall’altra: l’ipertesto è una delle possibili modalità di “attraversamento” di un data-base, “una
narrazione interattiva (che potremmo chiamare ipernarrazione in analogia con l’ipertesto) si può intendere
31
come la sommatoria di più traiettorie che attraversano un database”.

27
A. Marinelli op. cit. 2004 pag. 151.
28
J. Bolter, D. Grusin 2002 op. cit. pag. 260.
29
J. Bolter, D. Grusin 2002 op. cit. pag. 82.
30
L. Manovich 2002 op. cit. p. 98.
31
L. Manovich 2002 op. cit. p. 283.
2.1 La forma data-base

Tecnicamente il data-base consiste in una raccolta strutturata di dati, organizzati secondo una logica che
permetta la più facile procedura di information retrivial secondo gli scopi e le condizioni di accesso
dell’utente. Tuttavia, la sua logica permea la cultura contemporanea in maniera molto più profonda,
modificando contemporaneamente la figura dell’autore e quella del fruitore.
L’autore è, infatti, sempre stato considerato nella storia colui che da forma a un’idea attraverso un’opera
originale e unica. Con la logica del data-base, invece, l’artista ha a disposizione una serie di materiali, di
oggetti già esistenti: il suo lavoro creativo consisterà nel manipolarli, modificarli e ricombinarli in maniera del
tutto particolare, nell’attualizzare quei dati in una particolare forma che non può, dunque, prescindere dalla
specifica modalità di visualizzazione, cioè dall’interfaccia.
Anche questo non è un cambiamento che avviene contestualmente alla diffusione dei computer, ma era già
in nuce all’epoca dei media di massa: come ci ricorda Benjamin, già la standardizzazione della riproduzione
meccanica aveva sostanzialmente modificato lo statuto dell’opera d’arte, che uscendo dal museo e
materializzandosi in un numero indefinito di copie, perdeva l’aura data dalla sua unicità.
I media digitali compiono, tuttavia, un ulteriore balzo in avanti rispetto alla riproducibilità tecnica: non solo
l’opera non è unica, ma è virtuale. La sua attualizzazione in una forma definita è solo una delle combinazioni
possibili a partire dai dati di cui si compone, riproducibili su scale diverse e infinite volte. Trasformando
l’oggetto culturale in dato variabile e processabile si entra nell’era della riproducibilità digitale: da tecnologia,
il data-base si trasforma in forma estetica.
Artisti come i dj e i vj sfruttano e estremizzano la logica del data-base, creando opere e performance uniche,
a partire da moduli di materiale già esistente, attraverso un processo di destrutturazione e ricomposizione in
forme nuove e originali, in tempo reale. L’unicità è doppiamente messa in discussione: da un lato, l’opera si
compone a partire da frammenti preesistenti; dall’altro, caratterizzandosi come performance, non è unica e
immutabile, ma sempre diversa, variabile ogni volta che si manifesta.
Anche su un altro piano, quello della progettazione di oggetti e spazi abitativi, la logica che si persegue è
sempre più quella dei moduli componibili: la multinazionale svedese Ikea è l’esempio lampante di come
anche lo spazio intimo dell’abitazione diventi la combinazione e ricombinazione di oggetti e moduli, a loro
volta componibili, uguali nell’origine, diversi nella loro contestualizzazione particolare.
L’estetica del data-base diventa allora metafora della condizione post-moderna: l’identità è il risultato della
scelta, sempre mutevole e derogabile, di un modello, uno stile di vita tra i tanti possibili; la selezione tra un
numero variabile di opzioni, e la composizione di elementi discreti in un tutto organico, ma instabile e
mutevole, si configura come la modalità di costruzione del sé che ha sostituito il ruolo e la classe sociale
come elementi distintivi, come categorie significanti attraverso le quali il soggetto si definisce; è giunto il
tempo della “fine della caratterizzazione dell’uomo come essere sociale, definito dal posto che occupa nella
32
società, che ne determina condotta e azioni” .
Il processo di individualizzazione che caratterizza la società contemporanea consiste proprio nel trasformare
l’identità da “cosa data” a “compito individuale”, scaricando sull’individuo le responsabilità e i rischi delle sue

32
Alain Touraine Can we live together, equal and different ?, in European Journal of Social Theory, novembre 1998,
pag. 177.
scelte: “Il mondo diventa una gamma infinita di possibilità: un contenitore ricolmo di innumerevoli opportunità
33
ancora da inseguire o già sfumate” .

2.2 L’ipertesto

L’archiviazione delle informazioni nel data-base prelude all’articolazione di una modalità di accesso, che
renda tali informazioni raggiungibili e consultabili.
Proprio la constatazione della mole di conoscenza accumulata dall’uomo e dispersa in milioni di supporti
materiali nel mondo, conduce il ricercatore americano Vannevar Bush a riflettere sul progetto di una
macchina in grado di rendere archiviazione e consultazione facili e immediati. Nel saggio del 1945 “As we
may think” Bush scrive:
“The difficulty seems to be, not so much that we publish unduly in view of the extent and variety of present
day interests, but rather that publication has been extended far beyond our present ability to make real use
of the record. The summation of human experience is being expanded at a prodigious rate, and the means
we use for threading through the consequent maze to the momentarily important item is the same as was
34
used in the days of square-rigged ships” .
La critica di Bush è dunque rivolta alle modalità di archiviazione delle informazioni tipica della cultura umana,
l’indicizzazione, cioè la tendenza a catalogare i dati secondo indici alfabetici o numerici. L’autore nota come
questa forma di organizzazione del sapere sia lontana dal funzionamento della mente umana che, invece,
lavora per associazione. Bush pensa e progetta una macchina, il memex (contrazione di memory expansion)
che, combinando differenti tecnologie analogiche, avrebbe permesso all’utente di archiviare e consultare
informazioni, libri, comunicazioni personali attraverso una procedura di richiamo dei dati basata
sull’associazione semantica. Cosa più importante di tutte, il memex avrebbe dovuto consentire la creazione
di collegamenti stabili tra documenti diversi, attraverso la loro semplice selezione e la pressione di un tasto
da parte dell'utente.
La macchina di Bush non vide mai la luce, ma la sua eredità venne raccolta negli anni sessanta da
ricercatori come Ted Nelson e Douglas Engelbart che, avvantaggiandosi delle tecnologie digitali, realizzano
l’ipertesto, cioè un sistema di organizzazione dei contenuti basato su moduli testuali, chiamati nodi, connessi
tramite legami, definiti hyperlink: “con ipertesto intendo una scrittura non sequenziale, testo che si dirama e
consente al lettore di scegliere; qualcosa che si fruisce meglio davanti a uno schermo interattivo. Così come
è comunemente inteso un ipertesto è una serie di brani di testo tra cui sono definiti legami che consentono al
35
lettore differenti cammini” .
L’ipertesto, dunque, realizza una sorta di esplosione del testo lineare in frammenti che si ricompongono in un
tutto significante e molteplice, esplicitazione della costellazione di rimandi intertestuali di cui ogni testo si
compone. Alla sequenzialità narrativa, in cui i rinvii si manifestano solo nell’attività cognitiva del lettore, si
sostituisce la multilinearità interattiva, cioè la possibilità di percorrere le linee di fuga del senso, che si
diramano in testi legati tra loro per coerenza tematica, ma autonomi per significato: da sentiero della

33
Zigmund Bauman Modernità liquida Bari 2002 pag. 61.
34
Vannevar Bush As we may think, 1945 http://www.ps.uni-sb.de/~duchier/pub/vbush/vbush-all.shtml.
35
Teodhor Nelson Leterary Machines Padova 1992.
conoscenza il testo diventa mappa dei sensi possibili. Tale mappa descrive uno spazio in cui il significato si
articola su due livelli: un livello semantico e un livello sintattico.
Al primo, definito spazio logico, corrisponde la ratio che organizza la rete in cui i singoli nodi trovano
collocazione e che si basa sull’associazione semantica e spaziale (relazioni di prossimità/lontananza,
inclusione/esclusione, similarità/dissimilarità); la sua organizzazione si costruisce dunque sulla base di una
struttura topologica che costituisce la manifestazione del progetto testuale e dell’intenzione comunicativa
dell’autore: il testo svela la sua struttura, parla di sé mentre comunica altro.
L’associazione semantica tra i nodi realizzata dal link, tuttavia, non è una proprietà del link stesso, ma solo
una convenzione stabilita e riconosciuta dall’utente: è l’uomo che attribuisce significati, mentre la macchina
si limita a legare due entità sulla base della loro localizzazione, a prescindere dal loro contenuto o proprietà.
Da questo punto di vista, le prospettive per la progettazione di un Web semantico potrebbero modificare la
natura dei collegamenti, rendendo i computer “intelligenti”, in grado cioè di leggere il contenuto di un testo e
capirne il significato. L’architettura di questa nuova versione del web si basa sulla codifica dei dati su più
livelli: a un primo livello, ad un oggetto (qualunque esso sia) viene attribuito un indirizzo univoco URI
(Uniform Resource Identifier), che identifica l’oggetto in questione come una risorsa; tale risorsa viene
codificata tramite il linguaggio XML che sostituisce l’attuale HTML, e descritta attraverso RDF (Resource
Description Framework) per l’insieme degli attributi che possiede e delle relazioni con altre risorse. Con
questo sistema il web trasforma la sua natura da contenitore di informazioni in banca di dati. Rendendo i link
significanti, non solo per l’uomo, ma anche per la macchina, molte operazioni svolte manualmente potranno
essere automatizzate: comprendere il significato dei testi presenti sulla rete; creare percorsi in base alle
informazioni richieste dall'utente, guidandolo poi verso di esse (in alcuni casi si può anche sostituire
all'utente); spostarsi di sito in sito collegando logicamente elementi diversi dell'informazione richiesta,
saranno operazioni affidate a software conosciuti come agenti intelligenti, o, secondo la metafora di
Negroponte, maggiordomi digitali.
Sulla base dell’organizzazione topologica dei significati, si possono classificare diverse tipologie di ipertesto;
Nelson parla di ipertesti a brani, in cui l’autore predispone delle connessioni di unità di testo leggibili secondo
vari ordini; a liste incernierate, in cui si rende possibile una lettura comparata di diversi testi (“un elemento
poteva essere un titolo importante in una versione e un banale paragrafo in un’altra”); ipertesti a finestre, in
cui i singoli moduli aprono finestre sulle citazioni in modo da esplicitare il co-testo di un brano, ripreso in un
36
testo nuovo e in esso ricontestualizzato .
Al secondo livello di articolazione l’ipertesto così strutturato si rende visibile all’utente in uno spazio, la
pagina sul monitor, sul quale i frammenti testuali, eterogenei per contenuto e linguaggio, si dispongono
secondo una logica di disseminazione opposta alla ricomposizione semantica dello spazio logico. Il
significato si articola pertanto a livello sintattico, cioè sul piano delle relazioni tra le componenti diverse della
pagina (sintassi interna), e dell’ipertesto con il resto della struttura reticolare (sintassi esterna). La pagina
ipertestuale organizza i moduli testuali in un quadro sinottico, in cui la fruizione si orienta in primis come
sguardo d’insieme, attento a cogliere le relazioni tra i significanti più che il significato che essi veicolano, le
relazioni spaziali più che i contenuti informativi.

36
Teodhor Nelson 1992 op. cit. pp. 1/16.
37
Come suggerisce Bettetini , può allora essere utile applicare a questo livello il concetto di topografia planare
di Thurelmann, definito come “il complesso dei fenomeni di spazializzazione che si incontrano ogni volta che
38
un testo viene manifestato nello spazio attraverso una materia sensibile” . Tali fenomeni possono essere
analizzati ricorrendo all’analisi del livello plastico di articolazione del significato, in cui le forme significano a
prescindere dal loro riferimento figurativo, in base alla loro configurazione e disposizione spaziale. Il testo
elettronico è iconico.
Non è obiettivo di questo lavoro approntare un’analisi semiotica della pagina ipertestuale, ma la riconduzione
dell’ipertesto alla sua dimensione spaziale permette di coglierne le dinamiche fruitive, che si caratterizzano
39
appunto come percorsi e attraversamenti di spazi “adirezionali e multiplanari” in cui l’oggetto della
conoscenza non sono solo i contenuti, ma anche lo spazio che li ospita. Percorsi a volte privi di progettualità,
se non la scoperta ludica di nuovi territori, in cui il principio guida è perdersi anziché trovare: sono
esperienze in cui lo scopo conoscitivo è l’osservazione della struttura reticolare in cui ci si muove, al di là dei
singoli nodi che si incontrano/attraversano, il metatesto più che il testo: “l’attenzione e l’interesse del lettore
40
si rivolgono all’articolazione del labirinto più che al contenuto delle sue stanze” .
La dinamica fruitiva che si delinea è dunque quella dell’esplorazione di “tutte le grandi dimensioni di uno
41
spazio nuovo” , accessibile attraverso la porta-link, in cui ogni singola lettura costruisce significati diversi e
originali, per percorsi, scopi e tempi. La monologicità del testo tradizionale si rompe in schegge di significato
non ordinate gerarchicamente, ma “appiattite” in un unico spazio che le rende ugualmente rilevanti. Il lettore
non procede speditamente lungo un cammino rettilineo univoco e irrevocabile, ma naviga in un mare senza
confini: “Per la prima volta il lettore ha a disposizione uno spazio agito, uno spazio specificamente disegnato
per l’interazione tra testo e fruitore: uno spazio che rompe la barriera tra dentro e fuori, stravolgendo le
42
dimensioni del patto comunicativo previste dai vecchi media” . Nell’esplorare l’ipertesto, il lettore coopera
43
alla sua costruzione e muta la sua condizione da spettatore a spett-attore , i cui contributi variano a
seconda della natura dell’ipertesto in questione. In un ipertesto chiuso (in cui cioè l’utente può solo
selezionare link creati dall’autore dell’ipertesto) nonostante la molteplicità dei percorsi possibili, tale pluralità
non è infinita, poiché i rimandi intertestuali sono comunque limitati dalle scelte autoriali, delineate nello
spazio logico a monte della manifestazione concreta dell’ipertesto. Diverso il caso degli ipertesti aperti, in cui
l’interattività consiste non solo nell’attraversare una soglia cliccando un link, ma nella possibilità per il fruitore
di modificare lo spazio che esplora, aggiungendo legami o contenuti ulteriori, divenendo così co-autore del
testo in un processo di generazione continua e potenzialmente infinita.
In un ipertesto aperto e in rete, chi è l’enunciatore e chi l’enunciatario? Chi è l’intelligenza produttrice di
sapere? Con l’ipertesto “le funzioni di lettore e autore si trovano intrecciate tra loro molto più profondamente
44
di quanto non fossero mai state prima” .
45
L’ipertesto nella sua forma più radicale si configura come Opera (infinitamente) Aperta .

37
Gianfranco Bettetini, Barbara Gasparini, Nicoletta Vittadini Gli spazi dell’ipertesto, Milano 2002 p. 78.
38
Felix Thurelmann La doppia spazialità in pittura: spazio simulato e topologia planare 1991 pp. 55-56.
39
G. Bettetini, B. Gasparini, N. Vittadini 2002 op. cit. p. 102.
40
G. Bettetini, B. Gasparini, N. Vittadini 2002 op. cit. p. 135.
41
René Berger Il nuovo Golem. Televisione e media tra simulacri e simulazione, Milano 1992.
42
A. Marinelli 2004 op. cit. p. 103.
43
Jean-Louis Weissberg Le compact réel/virtuel, in AA.VV. 1989, pp 7/28.
44
George Landow Ipertesto. Il futuro della scrittura, Bologna 1993 p. 87.
45
Umberto Eco Opera aperta 1962.
3.0 Il cyberspazio

Un’ultima e fondamentale rivoluzione nella comunicazione umana va infine citata per completare questa
breve panoramica sui nuovi media: la nascita e l’enorme sviluppo di Internet.
La Rete nasce applicando il concetto di nodo non più al singolo modulo di contenuto, come nell’ipertesto, ma
alla macchina computer nella sua interezza, rendendo possibile la condivisione in tempo reale di risorse di
calcolo e intellettuali in tutti gli angoli del pianeta.
Dal punto di vista tecnico il funzionamento si basa su due elementi: l’utilizzo delle linee di telecomunicazioni
come vettori di dati attraverso la codifica e decodifica del segnale digitale/analogico per mezzo del modem;
la commutazione a pacchetto, ovvero la divisione dei bit che compongono il messaggio da trasmettere, in
pacchetti indirizzati singolarmente e ricomposti a destinazione; tali pacchetti di dati percorrono la rete
toccando vari nodi e possono essere associati ad altri pacchetti con altre destinazioni e provenienze.
Questi due elementi permettono due vantaggi enormi: il primo è che i contenuti, viaggiando su vettori
comuni, non sono sottoposti a controlli, poiché disciplinati dallo stesso codice che regolamenta la normale
corrispondenza postale o le normali conversazioni telefoniche; l’altro è relativo all’utilizzo dei protocolli aperti
e consiste nella saturazione della banda disponibile, che permette di sfruttare al meglio l’infrastruttura, e
nella flessibilità consentita dal sistema: viaggiando separatamente e toccando diversi punti della rete, si
aggirano eventuali problemi dovuti a guasti o interruzioni nella linea. Questo secondo aspetto è, in effetti, ciò
che ha guidato le ricerche di Paul Baran, che ideò la commutazione a pacchetto per fornire al dipartimento
della Difesa USA un sistema di comunicazione invulnerabile a eventuali attacchi nucleari.
Il passo successivo fu rendere i protocolli di segmentazione e indirizzamento standardizzati, permettendo di
far comunicare tutti i nodi tra loro: di questo si occuparono Robert Kahn, Vincent Cerf e il Network Working
Group, che nel 1978 definiscono quella che é tuttora l’architettura di Internet, basata sui protocolli TCP/IP. Il
TCP (Transfer Control Protocol), si occupa di segmentare le informazioni in pacchetti, indicare l’applicazione
che le ha generate e verificare che arrivino correttamente al destinatario; l’IP si occupa invece
dell’indirizzamento, cioè di inviare e instradare il pacchetto.
In questo modo si è reso possibile mettere in comunicazione i diversi network di computer che tra gli anni
sessanta e settanta si erano via via formati sotto la spinta dei gruppi accademici e delle tecnoculture
libertarie, creando il network dei network: Internet.
Con questa conformazione Internet giunge negli anni novanta: da allora nuovi nodi si sono aggiunti con un
ritmo di crescita sorprendente, che ha scatenato un acceso e variegato dibattito. Da una parte i media che,
sentendosi minacciati dal nuovo medium, lo presentano come ricettacolo di contenuti devianti, fonte di
isolamento e alienazione sociale; aspetti, questi, indubbiamente presenti in rete, ma non necessariamente
maggioritari e sicuramente non esclusivi... ma come ormai tutti sappiamo “only bad news are good news”.
Dall’altra, gli stessi media hanno iniziato a tentare una colonizzazione del nuovo mezzo attraverso la
sperimentazione di forme di presenza on line, che ancora oggi procedono tra la semplice trasmigrazione di
contenuti sul web e la ricerca di formule ibride in grado di sfruttare al meglio il nuovo ambiente. Nel dibattito
non potevano inoltre non inserirsi i governi e l’industria delle telecomunicazioni, che si sono concentrati su
aspetti quali la regolamentazione di un medium strutturalmente anarchico e decentralizzato, e il
potenziamento dell’infrastruttura materiale: da quest’ultimo punto di vista si è dato molto rilievo al progetto
delle “autostrade dell’informazione”, reti a banda larga per far fronte all’aumento del volume di dati scambiati,
dovuto sia all’aumento dei nodi della rete, sia alla tipologia dei dati stessi che, comprendendo sempre più
audio, video, grafica e animazioni, richiedono software di compressione e maggiore capacità trasmissiva
dell’infrastruttura.
Tutti questi sono aspetti assolutamente rilevanti e interconnessi: maggiore capacità di banda avremo,
maggiori possibilità espressive si apriranno; più forme di controllo applicheremo alla rete, più muterà la
natura del medium. Tuttavia, ciò che appare più urgente e utile ai fini del presente lavoro, è comprendere i
meccanismi di addomesticamento della tecnologia da parte degli utenti, l’utilizzo concreto che determina un
cambiamento epocale nella gestione dell’informazione, nel consumo e nella produzione di conoscenza .
Concordiamo dunque con Levy nel sostituire il termine autostrada dell’informazione, troppo connotato in
senso tecnologico, con il termine, sicuramente un po’ romantico, ma efficace, di cyberspazio. Non è solo
questione di sottigliezze terminologiche, ma di impostazione concettuale: la rilevanza di Internet sul piano
sociale è data dall’apertura di un nuovo spazio virtuale di interazione: “il cyberspazio non è un’infrastruttura,
46
ma è un certo modo di servirsi delle infrastrutture esistenti” .

3.1 I primi utilizzatori: tecno-élite e hackers

L’architettura della rete descritta in precedenza non può prescindere dagli utenti/produttori che l’hanno
progettata e migliorata e dalla specifica cultura di cui facevano parte: “i sistemi tecnologici sono una
produzione sociale. La produzione sociale è modellata dalla cultura. Internet non fa eccezione. La cultura dei
produttori di Internet ha plasmato il mezzo. Questi produttori sono stati, allo stesso tempo, i suoi primi
47
utilizzatori” .
Così come per comprendere i nuovi media abbiamo dovuto analizzarne il linguaggio, per afferrare il
potenziale del nuovo spazio di interazione globale dobbiamo risalire a chi l’ha forgiato e con quali ideali.
Spesso si parla di utopie tecnologiche e di relative distopie: emancipazione mondiale versus grande fratello
digitale. Il nostro parere è che, al di là della propaganda, occorra guardare alla Rete come qualcosa che
contiene in sé entrambe le tensioni, e che sta a noi, all’uso che vorremo farne, propendere per l’una o per
l’altra: “non si tratta, dunque, di ragionare esclusivamente in termini di impatto (quale sarà l’impatto delle
autostrade elettroniche sulla vita politica, economica o culturale?) ma anche di progetto (per quali fini
48
sviluppare le reti digitali di comunicazione interattiva?)” .
Dal momento che oggi ci troviamo di fronte a importanti decisioni tecniche, normative e tariffarie, che
muteranno inevitabilmente la forma delle reti, è opportuno ritornare alle origini di Internet per ritrovare la
cultura che l’ha supportata e fatta crescere. “You can't understand where mind-amplifying technology is
49
going unless you understand where it came from” .
Quali sono state dunque le basi culturali dello sviluppo di Internet? Quali soggetti hanno lavorato al network
dei network e con quali scopi ed orientamenti? Innanzitutto la comunità degli accademici. Non gli
accademici, ma la comunità: la differenza è sostanziale. L’attività cooperativa è stata infatti da subito la
caratteristica fondante delle ricerche sul networking: cooperazione significa scambio e condivisione di saperi

46
P. Levy 2002 op. cit. p. 120.
47
Manuel Castells Galassia Internet, Milano 2002 p. 45.
48
Pierre Levy L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Milano 2002 p. 15.
49
Howard Rheingold The virtual community, 1993, http://www.rheingold.com/vc/book/index.html
con l’unico fine dell’implementazione e del miglioramento del sistema. L’evoluzione tecnologica è un bene in
sé, non ha bisogno di giustificazioni o applicazioni specifiche (se così non fosse non sarebbe certo semplice
spiegare l’entusiasmo che illustri intellettuali liberali hanno profuso nel progettare soluzioni militari in piena
guerra fredda).
D’altra parte ciò che si stava costruendo era un’infrastruttura dedicata al lavoro di gruppo, alla libera
circolazione della conoscenza: la libertà è perciò l’altra spinta allo sviluppo della Rete. La filosofia libertaria
trasmigra in ambito informatico dalle controculture degli anni settanta, improntate alla lotta per la libera
espressione e per l’emancipazione dall’ideologia del capitale, dai governi e dal sistema mass mediatico, che
la sostiene ed alimenta; in questo contesto nasce la cultura Hacker.
La libertà si esprime a due livelli: a un primo livello la cultura hacker, in quanto controcultura, è
assolutamente svincolata da inquadramenti istituzionali; anche laddove i membri fossero impegnati in attività
di ricerca per istituzioni, universitarie o di altro genere, resta sempre un forte senso di autonomia, e il
riferimento ultimo è alla comunità più che all’istituzione: “esiste un sentimento comunitario nella cultura
hacker, fondato sull’appartenenza attiva a una comunità, strutturata intorno alle consuetudini e ai principi di
un’organizzazione sociale informale [...] Anche nella cultura hacker c’è un’organizzazione, ma essa è
50
informale; ovvero: non è imposta dalle istituzioni della società” . La libertà intesa in questo senso si coniuga
dunque con la cooperazione e sfocia nella pratica della “cultura del dono”: la condivisione in rete dei
contributi dei singoli hacker produce un riconoscimento all’interno della comunità proporzionale all’utilità del
contributo stesso.
Ad un altro livello la cultura hacker intende la libertà come lotta per la libertà di espressione. Nel mondo del
linguaggio digitale libertà di espressione ha un significato molto preciso: libertà del software. “La rapida
diffusione dei protocolli aperti non ci sarebbe stata senza la libera e aperta distribuzione del software e
51
l’utilizzo cooperativo delle risorse che è diventato il codice di comportamento degli hacker della prima ora” .
Non a caso una delle icone della cultura Hacker è Richard Stallmann, fondatore della Free Software
Foundation e creatore di GNU, il sistema operativo che, pur basandosi su UNIX, si emancipa dal suo
copyright (GNU sta per Gnu Not Unix), che riunisce attorno a sé l’idea del codice sorgente del software
come progetto aperto e collaborativo. La messa in sinergia delle competenze è infatti l’unico strumento che
consente di ottenere risultati ottimali; l’apertura del progetto tende al coinvolgimento di quanti più contributi
possibili e, allo stesso tempo, alla migliorabilità illimitata del sistema stesso, pensato dagli utenti per gli
utenti. In senso più ampio la libertà di espressione rappresenta la libertà di creazione, manipolazione e uso
dei nuovi strumenti del comunicare.
Se non tutti gli utenti sono hacker, tutti i cybernauti vivono un ambiente che è diretta emanazione degli ideali
della tecno-élite accademica e della cultura hacker, imperniati sulla partecipazione attiva alla libera
circolazione dei saperi e delle competenze.
Intorno a tali saperi e competenze gli utenti si orientano, si muovono, popoli nomadi, coagulandosi in forme
di socialità nuove, mobili e in divenire: comunità che non condividono uno spazio fisico, ma vivono nello
spazio virtuale del cyberspazio.

50
M. Castells 2002 op. cit. p. 55.
51
M. Castells 2002 op. cit. p. 34.
3.2 Le comunità virtuali

“People in virtual communities use words on screens to exchange pleasantries and argue, engage in
intellectual discourse, conduct commerce, exchange knowledge, share emotional support, make plans,
brainstorm, gossip, feud, fall in love, find friends and lose them, play games, flirt, create a little high art and a
lot of idle talk. People in virtual communities do just about everything people do in real life, but we leave our
bodies behind. You can't kiss anybody and nobody can punch you in the nose, but a lot can happen within
those boundaries. To the millions who have been drawn into it, the richness and vitality of computer-linked
52
cultures is attractive, even addictive” .
Nel passaggio dalla cultura hacker, e del mondo informatico in generale, alla società nel suo complesso,
possiamo notare due movimenti: da un lato, come già detto in precedenza, gli usi sociali della Rete sono
fortemente permeati dai valori promossi e praticati dai primi utilizzatori; lo spirito comunitario e la spinta
libertaria animano le comunità di “non-informatici” esattamente come i network dei primi esperimenti di time-
sharing; dall’altro, la società con tutte le sue sfaccettature e diversità, permea la Rete, rendendola un luogo
in cui tali diversità possono esprimersi liberamente e diventare motivi di aggregazione spontanea per
persone disperse geograficamente: “There is no such thing as a single, monolithic, online subculture; it's
more like an ecosystem of subcultures, some frivolous, others serious. The cutting edge of scientific
discourse is migrating to virtual communities, where you can read the electronic pre-preprinted reports of
molecular biologists and cognitive scientists. At the same time, activists and educational reformers are using
the same medium as a political tool. You can use virtual communities to find a date, sell a lawnmower,
53
publish a novel, conduct a meeting” .
Le comunità virtuali ripropongono dunque la socialità del mondo fisico, ma ne ampliano i confini: anzi, li
eliminano. Il concetto di comunità è sempre stato piuttosto ambiguo, vertendo sulla distinzione di Toennies
tra comunità e società: comunità come luogo idilliaco in cui l’individuo è protetto da appartenenze e pratiche
consolidate; la società come luogo dell’anonimato che può condurre all’anomia se non disciplinato
dall’organizzazione burocratica.
Ora, il fatto che il mondo sia globalizzato, che la modernità abbia sradicato l’individuo dal suo contesto di
appartenenza per inserirlo in metropoli anonime e caotiche, è un dato acquisito; meno discusso è invece il
fatto che l’urbanizzazione non ha eliminato la comunità tout court, ma ne ha modificato il significato, la
composizione, le modalità di formazione: non più dato di fatto immutabile, la comunità di appartenenza
diventa una scelta basata su ideali e valori condivisi: ”il passaggio chiave è dalla comunità al network come
54
forma centrale di interazione organizzativa” . Le comunità diventano allora “reti di legami personali che
55
forniscono socialità, supporto, informazione, un senso di appartenenza e d’identità sociale” . Il novecento è
stato il secolo dell’associazionismo, dell’unione degli individui per classi (movimenti operai), gender
(femminismo), etnia (movimenti per i diritti delle minoranze); ma anche gusti musicali, artistici, letterari. Tutti
questi movimenti si basano sulla comunanza di obiettivi e retroterra culturale, ma il loro essere comunità

52
H. Rheingold 1993 op. cit.
53
H. Rheingold 1993 op. cit.
54
M. Castells 2002 op. cit. p. 126.
55
Barry Wellman Phisycal place and cybersplace: the rise of networked individualism, in “The International Journal of
Urban and Regional Research”, 2002 p. 1.
dipende ancora in gran parte dal costituire una massa critica fisica, che condivide uno spazio comune: non
c’è movimento operaio senza la fabbrica.
La Rete, come luogo di interazione privo di confini, supplisce al limite spaziale, permettendo agli individui di
incontrarsi e scoprirsi nella loro somiglianza e diversità, di discutere, confrontarsi e in definitiva formarsi
anche senza interazione faccia a faccia. La rete come network dei network è allora il luogo privilegiato della
costruzione di soggettività dinamiche e comunitarie. Nel 1968 Licklider e Taylor scrivono a proposito delle
comunità virtuali: “In most fields they will consist of geographically separated members, sometimes grouped
in small clusters and sometimes working individually. They will be communities not of common location, but
of common interest...”.
56
Tale modello di socialità è ciò che Castells definisce individualismo in rete : dopo la transizione dalla
predominanza delle relazioni sociali primarie - famiglia e comunità - a quelle secondarie - basate
sull’associazionismo - ci troviamo ora di fronte ad una nuova modalità di organizzazione sociale, fondata su
“network io-centrati”, “comunità di scelta” e interazione individualizzata, basate sulla selezione di tempo,
luogo e compagni dell’interazione. Questo non significa accettare la tesi secondo la quale internet e le
comunità on-line producono individui isolati e alienati rispetto al contesto reale: spesso anzi si verifica un
contatto tra mondo on-line e off-line, sia come prosecuzione nello spazio fisico di relazioni virtuali, sia come
traduzione in azione politica di movimenti nati in rete: i cittadini filippini che nel 2001, attraverso uno scambio
capillare di SMS, si sono dati appuntamento per protestare contro Marcos, riuscendo a deporlo; il “popolo di
Seattle”, che attraverso la Rete ha organizzato la protesta contro il summit del WTO; la Critical Mass, che dal
1992 porta in strada con le loro biciclette migliaia di persone, sono esempi di quelle che Rheingold chiama
57
smart mobs , folle intelligenti. A dispetto, infatti, della descrizione sociologica della folla come aggregato in
cui l’individuo, protetto dall’anonimato, assume comportamenti antisociali, le smart mobs si caratterizzano
per un grado elevato di coordinamento e un uso consapevole e tattico delle reti sociali e delle tecnologie di
comunicazione.
Questo uso tattico delle tecnologie a scopi politici configura il passaggio dal networking alla netwar. Netwar è
un termine coniato da John Arquilla e David Ronfeldt per descrivere la combinazione di reti sociali,
tecnologie di comunicazione e organizzazione decentrata all’interno del conflitto politico: “Netwar is an
emerging mode of conflict in which the protagonists - ranging from terrorist and criminal organizations on the
dark side, to militant social activists on the bright side - use network forms of organization, doctrine, strategy,
and technology attuned to the information age [...] These protagonists are likely to consist of dispersed
organizations, small groups, and individuals who communicate, coordinate, and conduct their campaigns in
an internetted manner, often without a central command [...] What all have in common is that they operate in
small, dispersed units that can deploy nimbly - anywhere, anytime. [...] The tactics they use range from
58
battles of ideas to acts of sabotage - and many tactics involve the Internet” .
Al di là comunque della connotazione politica delle smart mobs, ciò che emerge è, da un lato, l’uso di
Internet e delle tecnologie mobili in generale, come prosecuzione della vita sociale “reale” di individui e
gruppi; dall’altro, la trasposizione del modello culturale e organizzativo proposto da Internet, all’interno della
società: condivisione e messa in sinergia di saperi e competenze; relazioni e transazioni orizzontali basate

56
Manuel Castells, 2002 pag.127.
57
Howard Rheingold 2003 op. cit.
58
John Arquilla, David Ronfeld Networks, netwars, and the fight for the future
http://firstmonday.org/issues/issue6_10/ronfeldt/index.html RAND 2001.
sulla fiducia sono sempre meno utopie e sempre più realtà: società come E-bay o Google traggono profitti
considerevoli offrendo un servizio gratuito grazie al rapporto fiduciario che instaurano con gli utenti. In
questo senso l’articolazione della società in collettivi intelligenti prefigura nuove possibilità per gli agenti
umani, poiché il lavoro intellettuale non è subordinato a organizzazioni o centri decisionali, ma converge con
quello di altri individui costruendo un’intelligenza in fieri, aperta e collettiva: “un’intelligenza distribuita
ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta a una mobilitazione effettiva delle
59
competenze” . Le nuove tecnologie di comunicazione diventano allora il principale motore dell’intelligenza
collettiva: sia lo spazio in cui i collettivi intelligenti si formano, sia lo strumento attraverso il quale si
organizzano; il cyberspazio come “infrastruttura tecnica del cervello collettivo o dell’ipercorteccia delle
60
comunità viventi” .
Concludendo, le società manifestano una nuova forma di organizzazione: la rete. Sostituendosi all’opacità
dell’organizzazione burocratica, la trasparenza della rete permette nuove forme di partecipazione ed
61 62
emancipazione. Dalle prime BBS , ai newsgroup , gli individui hanno imparato a relazionarsi non con un
universo di informazioni preconfezionate e anonime, ma con altri individui, con cui parlare, approfondire,
progettare, scambiare.
Nel XXI secolo appena iniziato, l’evoluzione delle comunità virtuali ha visto l’esplosione di un nuovo modo di
articolazione dell’esperienza in rete: il weblog, un sito personale che i lettori possono commentare, linkato ad
altri analoghi, con cui costituisce una comunità. Pur avendo le sue radici nei primi esempi di comunità in rete,
il blog presenta caratteristiche peculiari che ne hanno decretato il successo. In primo luogo, a differenza
delle BBS e dei newsgroup, i blog non hanno confini stabiliti, ma abitano tutta la Rete, la attraversano e ne
sono attraversati, consentendo la creazione di comunità dinamiche e a crescita esponenziale, accessibili da
qualunque device connesso in rete (ipod, telefono cellulare, PSP); inoltre, il sistema di interazione previsto
tra autore del blog e utente-visitatore, articolato in post e commenti, permette di evitare lo spam e le tensioni
che hanno caratterizzato i newsgroup: se un commento non è pertinente, semplicemente verrà ignorato.
Vediamo allora più in dettaglio cosa è un weblog e perché possa essere considerato la Killer Application di
Internet.

3.3 Il weblog

Weblog è una parola coniata nel 1999 dalla contrazione di web e log e viene generalmente tradotta come
63
“diario di bordo”, o diario personale (o “intellettuale”, secondo la precisazione di Granieri ), poiché il
64
contenuto del blog sono generalmente le riflessioni, le preferenze e le opinioni di un individuo . Un weblog è
definibile come: “un sito web che contiene un diario personale on-line con riflessioni e hyperlink dell’autore e
65
commenti dei lettori” .

59
P. Levy 2002 op. cit. p. 34.
60
P. Levy 2002 op. cit. p. 31.
61
Una BBS (o Bulletin Board System) è un computer che utilizza un software per permettere a utenti esterni di
connettersi ad esso attraverso la linea telefonica.
62
Un newsgroup è uno degli spazi virtuali creato su una rete di server interconnessi per discutere di un argomento
(topic) ben determinato.
63
Giuseppe Granieri Blog Generation Bari 2005 p. 28.
64
Non mancano comunque casi di blog collettivi: per esempio Slashdot.
65
Casaleggio Associati Focus: La blogosfera e i media. La diffusione dei blog e il declino dei media 2006 p. 3,
http://www.casaleggio.it/rapporto.asp?articleID=286&titolo=Focus:%20La%20Blogosfera%20e%20i%20Media.
Ciò che differenzia i blog dalle altre esperienze di connettività presenti in rete è, infatti, il fatto di raggruppare
i contenuti intorno a un individuo, anziché per topics, stabilendo relazioni molto strette tra soggetti e fornendo
uno strumento di forte identificazione. Questo fa sì che i blog non siano classificabili “per generi” o per
66
argomenti, poiché ogni post è l’espressione degli interessi, variabili, dell’autore: “un blog è un’applicazione
67
del network sociale che rappresenta l’elemento singolo del sistema: l’individuo” . Ma fa anche sì che
68
all’interno della blogosfera si instaurino relazioni forti tra persone, nonché un meccanismo di
fiducia/reputazione che regola le informazioni pubblicate: se qualcuno pubblica informazioni inesatte o
addirittura false, gli altri blogger smentiranno immediatamente l’informazione e classificheranno il blogger in
questione come inaffidabile.
Il meccanismo è lo stesso che regola la visualizzazione delle pagine web su Google, il Page Rank. Il Page
Rank è un algoritmo (noto solo in parte) che interpreta il numero di link a una pagina come un valore, “un
69
voto del webmaster nei confronti del sito cui punta il collegamento” : il link assume un valore di scambio,
diventa la valuta di Internet.
E’, lo si intuisce subito, una logica profondamente diversa da quella dei media tradizionali: nel sistema dei
vecchi media, infatti, le diverse emittenti sono in lotta per l’attenzione e il tempo del pubblico, tentando in tutti
i modi di trasportare gli spettatori sui propri contenuti e allontanandoli dalla concorrenza. Nella blogosfera
succede esattamente l’opposto, e cioè l’autore di un blog “dirotterà” l’utente verso altri contenuti e altri siti
70
usando due strumenti: il blogroll e il link alla fonte.
Il primo, generalmente posto in colonna a sinistra o a destra del corpo centrale, occupato dai post, contiene i
link ad altri blog; il blogroll rappresenta la manifestazione visibile dell’orizzonte di appartenenza e degli
interessi dell’autore, fornendone un ritratto che si va ad aggiungere a quello delineato dai post pubblicati; i
link alle fonti delle informazioni di cui il post tratta, invece, permettendo agli altri utenti di reperire
l’informazione originale ed eventualmente continuare a commentarla sul proprio blog, mettono in moto la
grande conversazione della Rete; citando il blog che l’ha commentata per primo, si otterrà una sorta di storia
dell’informazione.
In questo senso il blog rappresenta l’espressione migliore e più compiuta dell’ipertesto così come definito da
Bettetini, Gasparini e Vittadini: “macrotesto composto di microtesti, tra loro connessi in una mappa-labirinto
esplorabile dall’utente, in cui sono presenti non solo le origini dei rimandi intertestuali, ma anche le loro
destinazioni. L’ipertesto si manifesta allora come visibilizzazione della struttura testuale in cui sono inclusi
71
anche gli strumenti della sua interpretazione [...] rete semantica e concettuale intorno a un argomento” .
Il meccanismo del Page Rank determina una sorta di classifica tra blogger, che trasferisce in rete la legge di
potenza, secondo cui il 20% della popolazione detiene l’80% della ricchezza, convalidando la regola del “rich
get reacher”: ciò significa che nella blogosfera il 20% dei blogger detiene l’80% dei link, decretando chi ha il
diritto di ottenere lo status di “blogstar”. Ciò non significa tuttavia che la blogosfera sia statica: anche un
nuovo arrivato può ottenere la sua visibilità, se rispetterà le regole della conversazione: aggiornare il blog,

66
“I pensieri i testi e le immagini pubblicati dall’autore del blog” da Casaleggio Associati 2006 op. cit. p. 15.
67
Peter Kaminski http://peterkaminski.com/archives/000219.html.
68
“L’insieme dei blog con elementi comuni appartenenti ad un certo insieme” Casaleggio Associati 2006 op. cit. p. 13.
69
Giuseppe Granieri 2005 op. cit. p. 41.
70
“La lista dei link ad altri blog, presenti in un determinato blog. E’ un modo per segnalare la qualità dei contenuti di un
altro blog o per esprimere la relazione di appartenenza con un altro blogger” Casaleggio Associati 2006 op. cit. p. 13.
71
Gianfranco Bettetini, Barbara Gasparini, Nicoletta Cittadini 2002 op. cit. p. XIII.
rispondere ai commenti, linkare la fonte, presentare un buon numero di connessioni con altri blog ed esserne
a sua volta linkato.
Il sito più noto per il monitoraggio dei blog è Technorati, che valuta il posizionamento dei blog a livello
mondiale valorizzando il numero di blog che ne linkano un altro: nella classifica mondiale il primo posto lo
guadagna www.boinboing.net, mentre in Italia è il blog di Beppe Grillo (www.beppegrillo.it ) a registrare il
72
numero maggiore di link .
73
Ma, ancora più importante, tali applicazioni sono aggregatori di contenuti, che sfruttano le tag attribuite ai
post e li visualizzano per contenuti comuni; in questo modo è allora possibile sondare gli umori della rete:
l’argomento più discusso, l’informazione più cercata, il film più apprezzato. Durante le presidenziali
americane del 2004 la CNN ha accreditato Technorati come fonte per seguire la Convention dei Democratici,
dimostrando l’utilità dei tag nella presentazione delle informazioni e anticipando le funzionalità rivoluzionarie
del web semantico per la ricerca dei dati. In effetti, se guardiamo alle origini dei blog, essi nascono proprio
dalla volontà di alcuni utenti di filtrare e selezionare l’oceano di informazioni presenti sul web: in questo
senso si può dire che i weblog abbiano fatto da detonatore per il feed RSS, acronimo di Really Simple
74
Syndacation .
I feed RSS sono una tecnologia che consente, attraverso un client software detto “news aggregator”, di
visualizzare automaticamente le informazioni provenienti da altri siti selezionati dall’utente e ricevere i titoli
degli aggiornamenti appena pubblicati: “Per usare una descrizione efficace, la syndacation è simile al lavoro
di un’agenzia di stampa che trasmette le notizie ai suoi clienti senza preoccuparsi dell’impaginazione, che
75
sarà poi effettuata dagli utenti finali” . Questo perché, come abbiamo visto, i post sono permalink, ovvero
possiedono un proprio URL a partire dal quale il post può essere reperito univocamente. Attraverso la
circolazione dei post, i blog favoriscono lo scambio di opinioni e il contatto tra cybernauti; si è configurata
76
pertanto una blogosfera come un “gigantesco word-of-mouth” , un passaparola basato sul feedback degli
77
utenti stessi, che si comportano in definitiva come Stackelberg Leaders : il vantaggio relativo di mentire e
ingannare gli altri utenti-consumatori di informazione è inferiore a quello dato da un rapporto di fiducia a
lungo termine. Questo perché il weblog non è, generalmente, anonimo: “prima dei weblog l’identità in Rete
non aveva uno storico, non aveva un indirizzo e non aveva una voce [...] L’identità è la base per la
78
reputazione, la responsabilità è un valore aggiuntivo” .
Punti di riferimento per la navigazione, centri di discussione e formazione dell’opinione pubblica, strumento
di espressione personale e socializzazione, i weblog si sono rivelati la Killer Application di Internet: la
79
dimensione attuale della blogosfera conta 35,3 milioni di blog con 50.000 post all’ora ed è indubbiamente
destinata a crescere. Un numero di voci che negli anni ha imparato a farsi ascoltare dai media tradizionali e
dall’opinione pubblica off-line: “Internet ha trasformato definitivamente le necessità di aggregazione, non le

72
Fonte: Casaleggio Associati su dati Technorati, 2006 Casaleggio Associati 2006 op. cit. p. 6.
73
“Riferito a un post indica la categoria di appartenenza, ad esempio ecologia o politica” Casaleggio Associati 2006 op.
cit. p. 15.
74
Altre interpretazioni dell’acronimo sono Rich Site Summary e RDF Site Summary.
75
G. Granieri 2005 op. cit. p. 101.
76
G. Granieri 2005 op. cit. p. 51.
77
Viene definita Stackelberg Leader (dal nome dell’economista tedesco) un’azienda che si comporta nel modo ottimale
nell’ottica del consumatore.
78
D.A. Whetten, A. Mackey A social Actor Conception of Organizational Identity and its Implication for the Study of
Organizational Reputation, in G. Granieri op. cit. p. 52.
79
http://www.technorati.com/weblog/.
ha eliminate del tutto, ma le ha cambiate in maniera significativa. Pensiamo ad una sezione o sottosezione
qualsiasi di un quotidiano: ci sono decine di persone che on-line competono con noi costruendo contenuti
80
specifici per quell’area” . Un esempio particolarmente evidente è la copertura della guerra in Iraq da parte
del blog di Salam Pax (dear_raed.blogspot.com), da cui sono stati tratti un libro e un film; o il blog di Pino
Scaccia nei giorni terribili del rapimento di Enzo Baldoni. La cronaca recente ha registrato sempre più casi in
cui i blogger hanno assunto la funzione di “cani da guardia”, non solo del potere, ma anche dei big media:
dal blogger italiano Macchianera (www.macchianera.net) che, con un semplice copia-incolla, ha rivelato gli
omissis del rapporto Calipari, alle dimissioni dell’anchorman della Cbs Dan Rather, colpevole di aver esibito
in onda un documento militare del ’72, che svelava i favori riservati all’allora recluta George W. Bush; i dubbi
espressi da un blogger circa l’autenticità di quel documento hanno ricevuto in poche ore decine di conferme,
svelando che era stato scritto al computer: cosa semplicemente impossibile 34 anni fa.
Questo non significa che i weblog sostituiranno i vecchi media broadcast nella diffusione dell’informazione.
Tuttavia è innegabile che i mass media dovranno fare i conti con un pubblico più attento ed esigente, che ha
81
voglia non solo di ascoltare, ma di essere ascoltato: “il weblog è una nuova avventura per il giornalismo” .
Negli ultimi anni, inoltre, i weblog si sono arricchiti di contenuti multimediali, come grafica, foto, audio e
video; i videoblog - o vlog -, in particolare, stanno tentando ibridazioni tra Internet e televisione attraverso il
videocasting: la ricchezza ipertestuale e interattiva dei media digitali, con la ricchezza sensoriale
dell’audivisivo. Tra i vlog più famosi ricordiamo Crash Test Kitchen (www.crashtestkichen.com), Mobuzz Tv
(www.mobuzztv.com) e il documentaristico Green Green Water (greengreenwater.com), nato per dare voce
alle popolazioni indiane di Manitoba, danneggiate dalla costruzione di una centrale idroelettrica. Dal punto di
vista tecnico, oltre a una videocamera, un computer per il montaggio e una connessione veloce, appare
fondamentale lo spazio fisico su un server e la disponibilità di piattaforme di distribuzione dei video: tra i
primi a fornire una soluzione per l’archiviazione dei filmati è stata la fondazione Internet Archive
(www.archive.org), che tramite il sito www.ourmedia.org, offre banda e spazio gratuito agli utenti, che
82
possono decidere se porre le proprie creazioni sotto licenza Creative Commons o sotto copyright
tradizionale; per quanto riguarda invece l’aspetto distributivo, segnaliamo il sito www.mefeedia.com, da cui è
possibile raggiungere circa 400 videoblog; tali opportunità non sono sfuggite al grande protagonista del web,
Google, che ha lanciato la versione Beta di Google Video: attraverso questo plug-in chiunque, semplici
utenti, televisioni e produttori professionisti, potranno uploadare i propri video e renderli ricercabili attraverso
Google.
Ma il fenomeno più interessante appare la trasmissione dei vlog in tv, di cui parleremo diffusamente nel terzo
capitolo, analizzando il primo esperimento in questo senso, l’emittente satellitare NessunoTv
(www.nessuno.tv).
Quella che si sta verificando è allora “una sorta di chiusura del cerchio in cui il pubblico non è più recettore
passivo della comunicazione, ma diviene strumento attivo di produzione di contenuti, anche dal punto di

80
C. Schroeder Digital Frontiers: One Book You Should Read This Year, in
http://wwww.mediapost.com/dtls_dsp_news.cfm?newsID=265357.
81
G. Granieri 2005 op. cit. p. 119.
82
Creative Commons è un’organizzazione no-profit che ha prodotto un copyright più flessibile, pensato in funzione della
libera circolazione e diffusione delle opere e dei saperi, in particolare in ambiente digitale. Si tratta delle Creative
Commons Public Licenses (CCPL), sei licenze che permettono all’autore di riservare alcuni diritti, autorizzando tutti gli
altri (traduzioni, adattamenti, campionamenti ecc.).
83
vista operativo e non solo come ospite/oggetto delle trasmissioni” . Questa chiusura del cerchio appare
determinata più da un cambiamento culturale, favorito e accompagnato da una disponibilità tecnologica a
basso costo, che dalla tecnologia in sé: “Da questo punto di vista i blog consentono di sperimentare sul
versante della produzione mediale riconnettendo la forma di rappresentazione dei vissuti ai vissuti stessi.
Costruiti sui linguaggi di massa, rappresentati dai prodotti culturali che abbiamo imparato a consumare, ci
troviamo oggi a poter oscillare sull’altro versante, quello della produzione, delle forme di riappropriazione
della rappresentazione. Siamo stati socializzati ai linguaggi mediali, li abbiamo praticati ed incorporati sul lato
del consumo, siamo stati sollecitati ad attivarci e partecipare ai prodotti mediali, in modi discreti e massicci -
dalle telefonate da casa ai programmi costruiti sulle storie del pubblico sino alle possibilità dischiuse dalla
responsiv television. Questo oggi si associa ad una crescita di disponibilità nel quotidiano di tecnologie di
produzione e distribuzione sempre più simili tecnicamente a quelle dei media mainstream e praticabili a
partire da abilità che spesso non richiedono una specializzazione tecnica ma una capacità di saper abitare i
84
media ed apprendere nell’abitarli” .
Nel prossimo capitolo analizzeremo le origini di questa progressiva socializzazione al linguaggio mediale,
ripercorrendo le tappe dello spesso difficile rapporto tra attività delle audience e unidirezionalità dei media
mainstream, mediatizzazione dell’ambiente sociale e fisico e modalità di abitazione di tale spazio.

www.Technorati.com: dimensioni di crescita della blogosfera.

83
Ivan Montis Il videocasting. Nuovi media crescono in Link. Idee per la televisione n. 4 / 2005 p. 254.
84
Giovanni Boccia Artieri dal blog media mondo, aprile 2005 http://media-mondo.blogspot.com/2005_04_01_media-
mondo_archive.html.
CAPITOLO SECONDO
IL PUBBLICO EDITORE

2.0 Pubblico o utente? Le audiences diffuse

La trasformazione dello spettatore in spett-attore, che determina il passaggio dalla fruizione passiva di un
flusso di informazioni all’azione su un certo numero di dati, è ciò che caratterizza il rapporto che oggi
intratteniamo con i media digitali.
Non c’è dubbio che i nuovi media segnino una svolta nel rapporto tra medium e ricevente, rendendo realtà
quello che fino a non molto tempo fa era un ossimoro, il pubblico-editore; ma non è nei nuovi media che
questo processo si origina. Rientra piuttosto in una più vasta trasformazione sociale e culturale, che si
articola lungo due poli: lo statuto del sapere nella società contemporanea, e l’evoluzione del sistema
capitalistico dal fordismo al post-fordismo. Questi due poli definiscono il continuum della società
performativa, ovvero il contesto in cui si origina il pubblico editore. Vediamo allora quali sono i passaggi che
ne determinano lo sviluppo.
La modernità fonda, con l’Illuminismo, l’idea di scienza come sistema coerente, che ruota sul perno del
pensiero speculativo: il vaglio della ragione, il sapere sul sapere come garanzia di correttezza e validità. Ma
proprio la speculazione, mettendo continuamente in discussione i saperi acquisiti, crea quella riflessività
della modernità che produce “un’erosione interna del principio di legittimazione”, una frattura del sistema-
85
scienza in mille frammenti, “una rete immanente e per così dire ‘piatta’ di investigazioni” .
Il sapere non prelude più all’azione e non da una spiegazione organica del reale, ma si limita a trasmettere
conoscenze giudicate come acquisite (almeno fino a quel momento). In questo modo, l’idea di progresso
come progetto razionale dell’umanità, al centro della modernità, viene meno, caratterizzandosi invece come
dinamica autonoma, fuori dal controllo, fuori dalle categorie di etico e giusto: “What kind of thought is able to
sublate Auschwitz in a general (either empirical or speculative) process towards a universal
86
emancipation?” . L’autonomia del sapere che, a partire da una divisione della ragione in teoretica e pratica,
aveva fondato l’idea di emancipazione, di conoscenza come volontà, mostra la sua natura discorsiva, il suo
statuto di gioco linguistico: la scienza non legittima sé stessa, né l’azione dello Stato e dell’umanità. L’istanza
enunciativa - politica, scienza, istituzioni - perde la sua autorità, sostituita dalla coesistenza di saperi diversi e
contraddittori, di fonti di conoscenza in competizione tra loro. In questo processo anche il concetto di cultura
subisce un ripensamento: non più la cultura, sistema organico e ordinato di conoscenze, tradizioni, modelli,
opere; ma le culture: tradizioni, rituali, forme simboliche condivise da un gruppo umano, e dunque non
universali, ma particolari, situate.
La pluralità dei saperi legittima l’assurgere di forme simboliche prima disprezzate al rango di forme culturali
degne di analisi scientifica. Nelle società occidentali questo ha significato l’estensione del campo culturale ai
prodotti popolari: i film, non solo d’autore, la musica, più tardi la televisione, diventano oggetti di culto che
raccontano la società contemporanea; la pop art esplora i segni e i simboli della contemporaneità attraverso
la zuppa Campbell’s e il volto di Marilyn Monroe.

85
J. F. Lyotard La condizione post-moderna Milano 2005 p. 72.
86
J. F. Lyotard Defining the post-modern in The subcultural reader a cura di S. During Londra 1999 p. 142.
Il sapere si riduce ad essere informazione-merce venduta e dispersa nei circuiti della comunicazione
computerizzata. Il sapiente, trasformato in scienziato, compie l’ultima separazione dall’ideale romantico
dell’intellettuale-artista: se già Benjamin sottolineava la trasformazione dell’autore in operaio dell’industria
culturale, oggi lo stesso intellettuale non è che un membro del nuovo proletariato cognitivo. E’ nato il
87
“cognitariato” .
Questo processo, traslato nel campo delle comunicazioni di massa, determina l’instaurarsi di un nuovo
rapporto tra emittente e ricevente. Seguendo il modello proposto da Bordevijk e Van Kaam (1986),
all’allocuzione - il modello da uno a molti - in cui chi parla è legittimato a parlare, ne ha l’autorità riconosciuta,
si sostituiscono la consultazione (cioè la ricerca di un contenuto in un data-base) e la conversazione - il
modello trasmissivo da uno a uno; modelli, questi, che ricalcano la moltiplicazione delle fonti di informazione
e conoscenza e il declino dell’autorità della comunicazione ufficiale.
A questo declino del sapere a discorso-merce non è estranea la trasformazione del sistema economico: con
l’esplosione della società dei consumi, negli anni del dopoguerra, la società, oltrepassando la soglia della
88
“sua propria abbondanza”, si consacra alla “sopravvivenza aumentata” . Il capitalismo maturo, dopo aver
trascorso gli ultimi duecento anni nella produzione di merci e lavoratori, comprende che la sua stessa
sopravvivenza è legata alla produzione di un terzo polo, indispensabile: i consumatori. Questo significa, da
un lato, permettere ai lavoratori di accedere alle merci, riducendo l’orario di lavoro e sostituendolo con il
tempo libero; dall’altra, significa far apparire le merci come necessarie, desiderabili, investendole di un valore
simbolico: “la semiosi entra nell’economia [...] come lavoro che produce attese di mondo: la pubblicità, la
89
televisione, la produzione di opinione, di immaginario, di mitologie” . Il discorso dei media, perciò, non è che
la spettacolarizzazione della merce, il suo investimento simbolico attraverso la dimensione patemica ed
evocativa; il suo valore aggiunto tramite investimenti emotivi, merce feticcio, determinati socialmente
nell’autoriproduzione della macchina spettacolare stessa. Il valore di scambio diventa superiore e decisivo
rispetto al valore d’uso; la merce perde le sue qualità materiali, per divenire riflesso, apparenza, spettacolo:
90
“Lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine” .
Sul piano sociale, lo spettacolo osservato diviene spettacolarizzazione di sé, ovvero performance. La
performance può essere definita come “a kind of activity in which the person performing accentuate his or
91
her behaviour under the scrutiny of others. That accentuation is deliberate even if uncounscious” .
Mediatizzazione della vita, ubiquità delle rappresentazioni mediate tecnologicamente, conducono alla
pervasività della performance, non più, o non solo, legata alla messa in scena teatrale, ma costitutiva della
vita quotidiana degli individui: “Simoultaneosly, the mediatisation of developed society disperses the
theatrical by inserting performance in everyday life - everytime we switch into the media we are immediately
92
confronted by a performative world of representational styles” .
93
Così come lo spettacolo è integrato , cioè inscindibile dalla realtà che apparentemente si limita a descrivere
e che in realtà sottilmente costruisce, l’esperienza performativa è invisibile: “So deeply infused into everyday

87
Franco Berardi Il Sapiente, il mercante, il guerriero. Dal rifiuto del lavoro all’emergere del cognitariato Roma 2004.
88
G. Debord La società dello spettacolo Bologna 1997.
89
F. Berardi 2004 op. cit. p. 94.
90
G. Debord 1997 op. cit. p. 64.
91
N. Abercrombie, B. Longhurst Audiences Londra 1998 p. 40.
92
B. Kershaw The politics of postmodern performance Manchester 1996 p. 133.
93
Nei Commentari alla società dello spettacolo Debord riflette sulla metamorfosi dello spettacolare dopo la fine del
bipolarismo: lo spettacolo diffuso - il modello statunitense, che prevedeva la libera scelta tra un set di beni/modelli in
competizione tra loro - e lo spettacolo concentrato - il modello dei regimi totalitari, in cui l’ideologia si riassume intorno a
life is performance that we are unaware of it in ourselves or in others. Life is a costant performance; we are
audience and performer at the same time; everybody is an audience all the time. Performance is not a
94
discrete event” .
Ma, pur essendo invisibile, la performatività trasforma concretamente i comportamenti: il percepire sé stessi
come attori induce gli individui al narcisismo. Lash (1980) caratterizza la personalità narcisista come una
rottura dei confini tra il sé e gli altri, il narcisista ha bisogno degli altri per vedere sé sesso: “the narcisist
depends on others to validate his self-esteem. He cannot live without an admiring audience […] for the
95
narcisist the world is a mirror” .
Un’altra caratteristica fondamentale del narcisista è l’impossibilità di soddisfare il desiderio: “narcisism makes
96
the person feel that, at the moment of gratification, this is not what he wants” .
Se nella formulazione di Lash il narcisismo è inquadrato come comportamento patologico, per Abercrombie
e Longhurst è invece caratteristico della società contemporanea, in cui il secolarismo e il capitalismo
“leggero”, post-fordista, provocano un ripiegamento dell’individuo su se stesso : “Nei nostri tempi, con Dio in
congedo prolungato o del tutto assente, il compito di pianificare e preservare l’ordine è ricaduto sulle spalle
97
degli esseri umani” .
98
L’identità, allora, non è più il frutto di credenze, tradizioni o appartenenze, ma un progetto riflessivo , scelta
tra modelli ed esempi veicolati dai media e acquistabili negli shopping mall di tutto il mondo. I media
diventano un’importante risorsa per l’immaginazione, forniscono modelli di comportamento e diffondono stili,
stabiliscono l’orizzonte verso il quale l’io si muove. Il consumo rende tale movimento perpetuo: la scelta tra
un set di opzioni-prodotti è infinita, mai definitiva, sempre derogabile. Il desiderio è il motore immobile delle
99
nostre identità, ridotte ad essere “an endless programme of wanting” .
A partire da queste osservazioni, Abercrombie e Longhurst individuano un nuovo tipo di “comunità
immaginata”, che emerge nelle società performative, la diffused audience. La diffused audience può essere
definita come una situazione in cui l’esperienza di far parte di un pubblico non è legata a un particolare
evento, spettacolo o canale mediale, ma è una caratteristica che contraddistingue l’esperienza quotidiana, in
tutti i suoi molteplici aspetti. Le diffused audience emergono allora nell’intersezione di quattro fattori: 1)
quantità di tempo che gli individui investono nel consumo mediale; 2) pervasività dei media nella vita
moderna; 3) società performativa; 4) dinamiche di spettacolarizzazione della vita e del mondo
accompagnate da un atteggiamento narcisista.
Nella società performativa si realizza pertanto un dissolvimento dei confini tra performer e pubblico: “since
people are simoultaneosly performers and audience members, cultural consumers become cultural
producers and viceversa. Being a member of a diffused audience is not necessarly to be in the position of
100
receiving a message from a producers of messages; it is not like being addressed by a producer” .

una personalità dittatoriale - si fondono nello spettacolo integrato: “il senso dello spettacolo integrato è che si è integrato
nella realtà stessa man mano che ne parlava [...] Così adesso questa realtà non gli sta più di fronte come qualcosa di
estraneo [...] Lo spettacolo si è mischiato a ogni realtà, irradiandola.” G. Debord 1997 op. cit. p. 194.
94
N. Abercrombie, B. Longhurst 1998 op. cit. p. 72.
95
C. Lash The culture of narcissism Londra 1980 p. 10.
96
N. Abercrombie, B. Longhurst 1998 op. cit. p. 91.
97
Z. Bauman Modernità liquida Roma 2002 p. 53.
98
A. Giddens Le conseguenze della modernità Bologna 1994.
99
C. Campbell The romantic ethic and the spirit of modern consumerism Londra 1987 p. 58.
100
N. Abercrombie, B. Longhurst 1998 op. cit. p. 75.
Il pubblico è dunque molto più di un semplice ricevente di messaggi codificati da un’emittente: è un insieme
di individui impegnati nella manipolazione di oggetti mediali; manipolazione che implica l’interiorizzazione di
una serie di competenze e abilità circa la produzione e il funzionamento del linguaggio dei media.
L’esempio più evidente è il montaggio cinematografico: corpi frammentati la cui ricomposizione è affidata allo
spettatore, che riempie i vuoti, ricostruendo figure e tempi. Tutto questo lavoro cognitivo è svolto con
assoluta naturalezza, quasi inconsapevolmente; la facilità con la quale leggiamo il film è indicativa di quanto
il suo linguaggio sia stato assimilato e faccia ormai parte del nostro bagaglio di conoscenze implicite.
Abercrombie e Longhurst parlano di competenze tecniche, analitiche e interpretative: nella prima categoria
rientrano l’apprezzamento delle qualità della recitazione, la sceneggiatura, i costumi, la regia e i movimenti
della macchina da presa; per competenze analitiche gli autori si riferiscono al riconoscimento di ricorrenze e
schemi che definiscono uno specifico genere (film d’azione, sentimentale, commedia etc.); le competenze
interpretative coinvolgono infine la capacità di confrontare un testo con altri testi o con la realtà, e dunque
arrivare a giudizi di valore comparativi.
Il linguaggio dei media, così incorporato e fatto proprio, diventa la base per la fruizione e manipolazione degli
oggetti mediali che rendono lo spettatore produttore.
Se vogliamo comprendere i comportamenti e l’individualità nella società performativa, e come questa
conduca all’emergere del pubblico-editore, occorre analizzare il rapporto tra soggetto e media: cosa è un
pubblico e cosa significhi farne parte; qual è il grado di legittimazione dell’emittente nell’incontro con lo
spettatore situato nel proprio contesto; come le logiche e i linguaggi mediali sono incorporati e fatti propri,
trasformando il pubblico passivo in performer e produttore simbolico.

2.1 Il concetto di pubblico

Pubblico è un termine familiare all’industria e alla ricerca sui media ed entrato nell’uso comune. E’ tuttavia un
concetto piuttosto problematico poiché, dal momento in cui i mass media hanno fatto la loro comparsa, il
pubblico come temporanea formazione sociale non è più identificabile come un aggregato di individui
compresenti, ma si è disperso e reso anonimo. Janice Radway sottolinea tale passaggio ricordando il
significato etimologico della parola: audience in inglese si riferisce infatti all’atto individuale di ascoltare
nell’ambito dell’interazione verbale faccia a faccia (to give audience); solo più tardi è stata usata come
termine collettivo per indicare i destinatari dei messaggi veicolati da apparecchiature elettroniche, la cui
composizione e i cui comportamenti non sono direttamente visibili e indagabili (Radway, 1988).
Come afferma McQuail, “I problemi riguardo a tale concetto sono dovuti soprattutto al fatto che una sola e
semplice parola viene applicata ad una realtà sempre più composita e complessa, aperta a differenti
101
formulazioni teoriche in contrasto tra loro” . Lo stesso McQuail tenta comunque una categorizzazione delle
tipologie di pubblico, così come sono state concettualizzate, partendo dalla separazione (per sua
ammissione puramente formale) tra pubblico originato dalla società e pubblico originato dai media. A loro
volta, queste categorie si articolano in due ulteriori livelli, macro o micro, a seconda delle formazioni sociali
oggetto dell’analisi. Incrociando queste quattro variabili si ottiene uno schema che, seppur rigido, è un punto
di partenza per comprendere la multidimensionalità del concetto.
Pubblico originato dalla società:

101
D. McQuail L’analisi dell’audience Bologna 2001 p. 11.
Livello macro-sociale:
1. Pubblico come gruppo sociale: gruppo sociale che preesiste indipendentemente dalla sua identificazione
come pubblico. Appartiene a questa categoria il pubblico dei media locali, della stampa quotidiana, della tv
nazionale e dei media alternativi, dalla stampa radicale di partito, fino al web.
2. Pubblico come insieme di gratificazioni: possibilità dei pubblici di formarsi e riformarsi sulla base di
necessità, preferenze o interessi connessi ai media. Il termine insieme indica che sono individui dispersi
senza legami reciproci, ma uniti provvisoriamente da una serie di bisogni, che può avere natura sociale;
questo tipo di ascolto ha gradualmente soppiantato il pubblico più tradizionale in conseguenza della
differenziazione della produzione e dell’offerta mediale per venire incontro alla domanda.
Livello micro-sociale:
3. Pubblico del mezzo: coloro la cui percezione di sé o il cui comportamento li identifica come utenti regolari
e fedeli di un mezzo; può però essere esteso a tutti coloro i quali sono raggiunti da un messaggio mediale.
Ormai la maggior parte dei pubblici è talmente sovrapposta che non c’è una grande differenziazione se non
nei termini di affinità soggettive e frequenza relativa di ascolto.
4. Pubblico del canale o del contenuto: rappresenta il significato dominante del termine pubblico, il solo che
abbia un immediato significato pratico e un chiaro valore di mercato; implica un progetto di pubblico come
prodotto dei media, poiché è quello che più si adatta alla misurazione con indici di ascolto.
Quest’ultima tipologia, il pubblico come “prodotto dei media”, ha in effetti finito per assorbire gli altri
significati, producendo una corrispondenza semantica che ha omogeneizzato e oggettivato in cifre e
proiezioni statistiche una realtà invece complessa e varia; come ci ricorda Hartley “il pubblico non è affatto
102
un oggetto ‘reale’ o esterno alla sua costruzione discorsiva” .
La ricerca di Ien Ang (Ang, 1998) si propone di esaminare le modalità attraverso cui i media costruiscono il
concetto di pubblico, per destrutturarlo e rivelarne la complessità. Nel discorso dei media, il pubblico appare
come un aggregato misurabile di individui che guardano un determinato canale a una certa ora, o un
insieme di preferenze che orienta le scelte di programmazione. Questo dipende dal fatto che la televisione
esiste come impresa grazie agli introiti pubblicitari; il pubblico è la merce di scambio, la moneta che regola il
sistema broadcast come buisness: “Le diverse forme di conoscenza istituzionale sull’audience sono, per
definizione, forme di conoscenza interessata, legate inestricabilmente all’esercizio di un potere [...] Questo ci
conduce a pensare che, se le istituzioni televisive hanno bisogno di conoscere l’audience per poter stabilire
e mantenere una relazione, non sono invece interessate a indagare che cosa la gente in realtà pensi, provi e
103
faccia nel corso del suo rapporto quotidiano con la televisione” .
Ciò che interessa dal punto di vista commerciale non è conoscere l’esperienza del consumo televisivo degli
individui che “guardano la televisione”, ma sapere quanti sono e quali categorie demografiche occupano
questi individui, cioè la dimensione dell’audience e la sua composizione. Per ottenere questa “mappa” le
imprese, insieme agli istituti di ricerca, hanno messo a punto modalità di rilevazione dei dati con l’intento di
poter descrivere il pubblico e anticipare le sue preferenze. In questo modo si stabilisce un nesso tra
superiorità numerica e popolarità, rendendo possibile la “mercificazione dell’audience”: “misurare l’audience
ha una rilevanza economica, in quanto crea lo standard di prezzo necessario in base al quale determinare le
quote pubblicitarie. Questo standard viene stabilito rispetto al numero di persone che guardano i programmi

102
J. Hartley Invisible fictions: television audiences, paedocracy, pleasure, 1987 in S. Moores Il consumo dei media
Bologna 1998 p. 9.
103
I. Ang Cercasi audience disperatamente Bologna 1998 pp. 35/39.
in cui compaiono le inserzioni pubblicitarie, e dà luogo al cosiddetto prezzo per mille che le reti, in teoria,
104
possono esigere, e i pubblicitari pagare” .
Ma non è solo attraverso le conoscenze empiriche che le emittenti costruiscono il pubblico televisivo. Altre
procedure, decisamente informali, conducono alla definizione di un pubblico implicito, ovvero l’insieme delle
credenze, delle immagini e delle percezioni che gli autori televisivi hanno a proposito dei destinatari dei loro
messaggi: “queste immagini dell’audience rappresentano le credenze soggettive e intuitive dei produttori [...]
Per i produttori, l’audience è più che altro una categoria culturale, che si costruisce in base a diverse fonti,
incluse l’esperienza che hanno derivato da programmazioni precedenti, le proiezioni personali su chi
105
componga la loro audience, e la conoscenza dell’ambiente in cui lavorano” .
Anche in questo caso l’obiettivo è oggettivare, semplificare e rendere programmabile la variabilità irrazionale
delle scelte di consumo mediale; come afferma Maria Pia Pozzato: “Si potrebbe dire che la tv si comporti in
questi casi come quelle macchinette che mescolano automaticamente le carte: prende in considerazione
l’intero grande ‘mazzo’ nazionale delle persone, lo rimescola a piacimento e infine distribuisce per segmenti,
106
trasceglie fra ruoli parziali, o assegna a qualcuno un ruolo momentaneo” .
Tuttavia, negli anni ottanta, la disponibilità di nuove tecnologie di trasmissione e fruizione, dal cavo al
satellite, dal videoregistratore al telecomando, portarono alla luce i limiti delle misurazioni effettuate con
strumenti tradizionali. Quando infatti una famiglia ha a disposizione non dieci, ma cento canali; quando può
“saltare” da un canale all’altro senza soffermarsi mai su nessun programma in particolare; quando può
decidere di differire la visione del programma rispetto ai tempi della sua trasmissione registrandolo su VHS,
la misurazione elettronica si complica.
Segmentazione e frammentazione sono i termini che definiscono questa nuova situazione, sempre più
diffusa grazie alle nuove tecnologie digitali; con il termine segmentazione ci si riferisce alla maggiore
omogeneità dei pubblici di uno stesso canale o contenuto, dovuta alla specializzazione dell’offerta mediale e
alle maggiori opportunità di scelta tra canali; per frammentazione si intende invece “il processo attraverso il
107
quale la stessa quantità di attenzione è dispersa su un numero sempre maggiore di fonti mediali” . Per far
fronte a questa nuova situazione sono state messe a punto tecniche di rilevazione più sofisticate, che
dovrebbero fornire resoconti più congruenti con la realtà.
Nel 1987 fa il suo ingresso sulla scena il people meter, il cui scopo è quello di rimediare alle imprecisioni del
meter; in Italia è attualmente in corso la riforma dell’Auditel, che dovrebbe trasformare le rilevazioni, da
quantitative a qualitative, e ampliare le fonti mediali monitorate, includendo i canali via satellite e internet.
Rimane, comunque, l’interrogativo di quanto una tale descrizione del pubblico, ottenuta tramite rilevazioni
elettroniche, o tramite proiezioni di un “pubblico modello”, possa essere fedele all’esperienza di consumo, e
quanto, in definitiva, sia utile ai fini di comprendere cosa la gente fa con i media.
Questo non deve, tuttavia, condurre a un abbandono del concetto di pubblico, ma a una sua
problematizzazione, in grado di portare alla luce le pratiche connesse al consumo mediale. A questo scopo
Ang ricorre alla differenziazione tra “audience televisiva”, ovvero il pubblico così come è inteso dalle imprese
mediali, e “mondo sociale delle audience effettive”, per descrivere invece “le pratiche e le esperienze

104
Ivi, p. 111.
105
Ivi, p. 62.
106
M. Pozzato Dal gentil pubblico all’auditel Roma p. 101.
107
D. McQuail 2001 op. cit. p. 179.
dinamiche, disperse, infinite e contraddittorie proprie della vita quotidiana della gente che si riunisce in un
108
pubblico televisivo” (Ang, 1998) .
Fiske propone di analizzare l’attività del guardare la televisione come l’articolazione di due componenti
interconnesse, la soggettività dei membri del pubblico e la testualità, intesa come il potenziale di significati
che un testo televisivo propone ai suoi spettatori: “making sense of popoular television, then, is the process
of activating meanings from it, and this process is controlled within more or less determined boundaries by
109
the socially situated viewer” .
I confini e le posizioni dello spettatore, la sua soggettività, non sono tuttavia stabili, ma diversificati ed
eterogenei, dipendenti dalle appartenenze sovrapposte che contraddistinguono la nostra società: classe,
genere, etnia, età, esperienze fatte nel corso della nostra vita e situazione di consumo, funzionano come un
co-testo rispetto al programma televisivo. Tali appartenenze ed esperienze modificano i significati che
attribuiamo al testo mediale, rendendo l’esperienza dell’ascolto molto diversificata, e i significati estrapolati
anche in aperta opposizione rispetto all’intentio autoris. Può così capitare che un gruppo di Aborigeni legga i
film western integrandoli nel proprio vissuto e nella propria cultura, attraverso lo sviluppo di una categoria
culturale che accomuna Indiani d’America, Afro-Americani e Aborigeni stessi nella lotta contro l’imperialismo
110
americano ; il significato del testo è totalmente sovvertito, permettendone la fruizione grazie alla “riscrittura”
da parte dello spettatore.
Per comprendere la dinamica di appropriazione della rappresentazione simbolica da parte degli individui-
spettatori occorre allora abbandonare una nozione rigida e quantitativa di audience televisiva, per focalizzare
l’attenzione sulle pratiche ed esperienze, sui significati che le audience effettive attribuiscono al consumo
mediale e ai suoi specifici contenuti.

2.2 Lo studio etnografico e i Cultural Studies: il mondo sociale delle audience effettive

L’approccio teorico che più di ogni altro ha contribuito a problematizzare il concetto di pubblico è
indubbiamente quello del Centre for Contemporary Cultural Studies di Birmingham e riconducibile all’area
dei Cultural Studies. Innanzitutto per il metodo: applicando l’etnografia, metodologia mutuata
dall’antropologia e dalla sociologia, ai processi di significazione operanti nella cultura popolare, i cultural
studies permettono di studiare il fenomeno del consumo mediale nelle sue concretizzazioni quotidiane,
spostando l’attenzione della ricerca sul ricevente piuttosto che sull’emittente, sulla significazione anziché
sugli effetti.
Questa impostazione emerge nel passaggio dal paradigma comportamentista, che aveva caratterizzato la
ricerca fino agli anni sessanta, al paradigma semiotico: non il significato, ma la significazione. Quelli che per
la teoria comportamentista erano gli “effetti”, per i cultural studies sono le “interpretazioni”; quello che era il
messaggio diventa il testo, configurazione articolata di segni, la cui natura polisemica può dar luogo a
differenti letture; il ricevente si eleva a lettore. Nella socio-semiotica l’inserto della dimensione sociologica di
analisi arricchisce gli studi sulla significazione, analizzando le relazioni tra variabili sociali - classe, gender,

108
I. Ang 1998 op. cit. p. 51.
109
J. Fiske Moments of television: neither the text nor the audience in Media studies. A reader a cura di P. Marris e S.
Thornham Edimburgo 2004.
110
Dallo studio di Hodge e Tripp Children and Television.
111
etnia ecc. - e interpretazione di un testo. Emerge il concetto di “capitale culturale” , ovvero l’insieme di
risorse simboliche cui l’individuo ricorre per comprendere la propria realtà; ma soprattutto ci si sofferma sulla
relazione tra capitale economico e capitale culturale: in altre parole, la classe sociale influenza il gusto e la
capacità di dare senso agli eventi e agli oggetti della vita quotidiana.
Ciò che i Cultural Studies in effetti colgono è la componente ideologica soggiacente i testi mediali, i significati
112
nascosti che contengono. Rifacendosi alle teorizzazioni di Althusser relative all’ideologia e al concetto di
113
egemonia di Gramsci , i cultural studies individuano nei mass media l’estensione del controllo esercitato
dalle classi dominanti sulle classi subalterne, controllo ottenuto attraverso la costruzione del consenso. I
media forniscono rappresentazioni del mondo, chiavi di lettura, credenze, che diventano senso comune,
affermazioni con valore di verità; in questa naturalizzazione si nasconde il loro potere ideologico.
Nell’analizzare il processo di mediazione, Silverstone individua tre strategie testuali, usate alternativamente
dai media per persuadere, piacere o sedurre: la retorica, la poetica, l’erotismo. “La pubblicità è
l’industrializzazione della retorica, che marchia la sua commercializzazione. I notiziari e i documentari ci
forniscono la sostanza del mondo reale in forme, strutture e toni che ci persuadono della loro veridicità e
114 115
onestà” . Culler distingue a questo proposito i cinque modi attraverso i quali un testo costruisce la
verosimiglianza: il primo è la rivendicazione di rappresentare un mondo reale, e si basa sull’aspettativa che
ciò che viene rappresentato sia semplice, coerente e vero; il secondo fa leva sulla rappresentazione di una
conoscenza condivisa, considerata naturale, ovvia e autoevidente a chi vi partecipa: “questi richiami testuali
sono culturalmente specifici e dipendono, per esempio, dalla presenza di stereotipi culturali. Possiamo
116
considerare questo aspetto della verosimiglianza, ideologico” . Il terzo modo è dato dall’appartenenza del
testo a un genere riconoscibile: il genere serve a istituire un patto con il lettore, “tale da rendere operative
117
certe aspettative rilevanti e permettere l’adesione o la deviazione da certi modi di intelligibilità accettati” ; il
quarto modo è quello che Silverstone definisce come riflessività di secondo grado, ovvero il riconoscimento
dell’artificialità del testo, che tramite questa sorta di autocoscienza, afferma la sua autenticità; il quinto e
ultimo modo è l’intertestualità: “attraverso la parodia, l’ironia, il pastiche, o anche soltanto attraverso il

111
Il concetto nasce nella ricerca di Pierre Bourdieu La distinction sulle differenze di gusto tra le classi sociali nella
Francia del 1968; sebbene B. non si sia avvalso di strumenti etnografici, questo studio condivide con i cultural studies
l’interesse per le pratiche quotidiane di consumo, i significati attribuiti dai consumatori a tali pratiche e agli oggetti che
coinvolgono.
112
Nella teorizzazione di Althusser l’ideologia è intesa come espressione dinamica delle relazioni che gli individui
intrattengono con le condizioni reali dell’esperienza, “la qual cosa suppone, al tempo stesso, un rapporto reale e un
‘rapporto vissuto’, ‘immaginario’. L’ideologia è allora l’espressione del rapporto degli uomini col loro ‘mondo’, ossia l’unità
(surdeterminata) del loro rapporto reale e del loro rapporto immaginario con le loro reali condizioni di esistenza”. Tale
rapporto è continuamente ribadito da quelli che Althusser definisce Apparati Ideologici di Stato: la scuola, la famiglia, le
organizzazioni religiose e massmediatiche, definendo codici di comportamento e distribuendo saperi, “interpellano” gli
individui trasformandoli in soggetti; i soggetti sono pertanto gli individui assoggettati all’ideologia. Le citazioni sono tratte
da L. Althusser Per Marx Roma 1967 p. 209.
113
Gramsci individua nel consenso l’elemento chiave del potere e attribuisce agli intellettuali un ruolo fondamentale nella
costruzione del consenso: “Gli intellettuali sono i ‘commessi’ del gruppo dominante per l’esercizio delle funzioni
subalterne dell’egemonia sociale e del governo politico, cioè del consenso spontaneo dato dalle grandi masse della
popolazione all’indirizzo impresso alla vita sociale dal gruppo fondamentale dominante, consenso che nasce
storicamente dal prestigio (e dunque dalla fiducia) derivante al gruppo dominante dalla sua posizione e dalla sua
113
funzione nel mondo della produzione” . A. Gramsci Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Roma 1991 in R.
Grandi I mass media tra testo e contesto Milano 1994 p. 114.
114
R. Silverstone Perché studiare i media Bologna 2002 p. 72.
115
J. Culler Structuralist poetics. Structuralism, linguistics and the study of literature Londra 1975.
116
R. Silverstone 2002 op. cit. p. 79.
117
J. Culler 1975 op. cit. p. 147.
riferimento a un altro contenuto e a un’altra forma, i testi si riferiscono l’uno all’altro e così facendo affermano
118
un certo tipo di naturalezza” .
Queste modalità di costruzione del testo mediale costituiscono la loro poetica, intesa come “insieme delle
119
leggi generali che presiedono alla nascita di ogni opera” . Ma i testi possiedono anche un loro erotismo,
cioè la capacità di sedurci, di farci provare piacere in senso fisico, coinvolgendo il nostro corpo: la
sensazione di godimento dato dalla sorpresa, la scoperta, lo sconvolgimento del consolidato. La ripresa dal
vivo, in tempo reale, di un corpo in movimento - l’azione di un calciatore, il ballo di un’artista - scatena
l’identificazione, il riconoscimento, la sorpresa: “per tutti noi ci sono momenti, perfino sullo schermo, in cui il
crudo e fisico eccitamento della vita, l’esplosione di forza o di abilità o di bellezza trascende i piaceri normali
e placidi del consumo dei media, scoppia nei nostri sensi senza annunciarsi prima, ma sempre desiderata e
120
pregustata” . Queste strategie testuali danno al testo mediale un’illusione di trasparenza, una percezione di
naturalezza della rappresentazione, che può essere in tal modo confusa con la realtà; l’ideologia è così
nascosta, resa aproblematica e autoreplicantesi nel discorso dei media.
Una tale visione non deve però condurre a ritenere l’assoggettamento degli individui come un fatto
ineluttabile. Ed è questo il maggior punto di divergenza dei Cultural Studies con la Scuola di Francoforte e il
marxismo classico: svelando le matrici ideologiche dei messaggi mediali, l’individuo può svincolarsi dal
controllo della classe dominante e dall’egemonia culturale cui è sottoposto. La lettura può essere un atto
sovversivo. Il terreno dello scontro sociale cessa allora di essere il campo politico ed economico, per far
spazio alla cultura, il linguaggio, lo scontro agonistico dei giochi linguistici: è attraverso i significati che
circolano in una data società che potere e resistenza si confrontano e scontrano. Il pubblico dei media
diventa allora il soggetto di questa resistenza all’egemonia; resistenza che si estrinseca nell’attività di
interpretazione dei testi mediali.
Il manifesto di questo nuovo approccio allo studio del pubblico, che prenderà il nome di Critical Audience
Studies, è il saggio di Stuart Hall “Encoding/decoding model in television discourse”. Hall parte dalla critica al
modello informazionale, che descrive la comunicazione come un circuito chiuso, per adottare invece un
modello più complesso, che articola il processo comunicativo in momenti distinti, tra loro collegati, analoghi a
quelli individuati da Marx nella produzione industriale: produzione, circolazione, distribuzione/consumo e
riproduzione. A differenza però dei beni materiali, i prodotti mediali sono discorsi, cioè “veicoli segnici di un
genere particolare, organizzati, come qualunque forma di comunicazione o di linguaggio, attraverso
l’operazione di codifica entro la catena sintagmatica di un discorso. Così, in un determinato momento (quello
della produzione/circolazione) gli apparati, le relazioni e le pratiche di produzione emergono sotto forma di
veicoli simbolici, costituiti all’interno delle regole del linguaggio. E’ in questa forma discorsiva che avviene la
121
circolazione del ‘prodotto’ ” .
Il discorso dunque presuppone un codice che permetta di trasmetterne il significato; ma il codice, l’abbiamo
visto brevemente nel primo capitolo a proposito dell’interfaccia, non è trasparente, descrive il reale entro i
suoi termini: “La realtà esiste al di fuori e al di là del linguaggio, ma è sempre mediata da e attraverso il
linguaggio: quello che possiamo conoscere e quello che possiamo dire deve essere prodotto ne, e

118
R. Silverstone 2002 op. cit. p. 80.
119
T. Todorov Introduction to poetics Minneapolis 1981 p. 6 cit. in R. Silverstone 2002, op. cit. p. 76.
120
R. Silverstone 2002 op. cit. p. 89.
121
S. Hall 1980 op. cit. p. 68.
attraverso il linguaggio. La ‘conoscenza’ discorsiva è il prodotto non della rappresentazione trasparente del
122
‘reale’ nel linguaggio, ma dell’articolazione del linguaggio con i rapporti e le condizioni reali” .
In questo modo il linguaggio organizza il mondo che vuole descrivere, modellandolo secondo le
classificazioni della società, della cultura e della politica: “Le diverse aree della vita sociale sembrano essere
123
mappate intorno a campi discorsivi, organizzati gerarchicamente in significati dominanti e preferiti” .
Tuttavia queste mappe di significato, pur essendo dominanti, non sono chiuse, ma dipendono da “regole
performative - regole di competenza e uso, o di logica pratica - che cercano attivamente di imporre o
124
promuovere un campo semantico rispetto all’altro” . Ciò significa che la costruzione dell’ordine culturale
dominante implica un processo di legittimazione della decodificazione secondo i limiti delle definizioni
dominanti in cui il messaggio è stato codificato; occorre dunque che ci sia corrispondenza tra codifica e
decodifica.
Ma se, come abbiamo visto, il processo comunicativo è descrivibile come un’articolazione di momenti
correlati, (produzione, circolazione, distribuzione/consumo e riproduzione), eppure distinti, nessun momento
è interamente determinato da quelli precedenti; non è cioè scontato che ci sia piena corrispondenza tra
codifica e decodifica: “questa corrispondenza non è già data, bensì costruita; non è ‘naturale’ ma è il
prodotto di un’articolazione fra due momenti distinti, il primo dei quali non può determinare o garantire quali
125
codici saranno usati nella decodifica” . Ben lungi dal sogno di una comunicazione “perfettamente
trasparente”, Hall postula una “teoria della comunicazione sistematicamente distorta”. Il grado e il tipo di
distorsione dipendono dalle possibili combinazioni tra le diverse articolazioni dei due momenti.
L’ipotesi di Hall, che diventerà il suo contributo più apprezzato, è che esistano tre posizioni che regolano la
decodifica di un discorso televisivo: la posizione dominante egemonica, la posizione negoziata e quella
opposizionale. Nel primo caso lo spettatore decodifica il messaggio usando il codice di riferimento con cui è
stato codificato, assumendone il significato connotativo senza fraintendimenti. Particolarmente interessante
è l’analisi che Hall conduce sulle routines produttive nei telegiornali: il professionista dei media codifica un
messaggio che è già stato dotato di senso in modo egemonico, poiché sono la politica, le istituzioni, e in
definitiva, la classe dominante che determinano i campi semantici entro cui collocare un evento; questa
operazione può essere pensata dunque con una metacodifica che, basandosi su un codice professionale (o,
a questo punto, un metacodice) “relativamente indipendente”, riproduce le definizioni dominanti “mettendo in
secondo piano la loro qualità egemonica, soppiantata da codici professionali che mettono bene in vista le
questioni apparentemente neutre e tecniche, come la qualità dell’immagine, il valore delle notizie e della loro
126
presentazione, la qualità televisiva, la ‘professionalità’ ecc.” . Un tentativo di eliminare l’ideologia dei testi
mediali attraverso un’equa distribuzione dei tempi e degli spazi: come a dire, due ideologie contrapposte,
una dopo l’altra, garantiscono la neutralità del messaggio.
La seconda posizione è quella definita negoziata. In questo caso lo spettatore decodifica il messaggio
combinando logiche adattive a logiche opposizionali: dal punto di vista del significato globale del messaggio,
accorderà una posizione privilegiata alle definizioni dominanti; allo stesso tempo, però, contratterà tali
definizioni in funzione del suo contesto situato, delle sue condizioni locali. Una decodifica negoziata può, per

122
Ivi, p. 73.
123
Ivi, p. 78.
124
Ibidem
125
S. Hall 1980 op. cit. p. 80.
126
Ivi, p. 81.
esempio, essere quella di un cittadino statunitense che, pur concordando con la necessità di far fronte al
pericolo del terrorismo transnazionale, non sarà disposto ad una limitazione delle sue libertà civili, sancite
dalla Costituzione, tramite il Patriot Act. La lettura negoziata è pertanto il luogo della contraddizione tra
ordine dominante e logiche situate.
Il terzo tipo, la posizione opposizionale, è il caso in cui lo spettatore riesce ad individuare nel messaggio sia il
suo significato letterale, sia quello connotativo, e lo decodifica in modo completamente opposto: “lo
spettatore scompone il messaggio nel codice preferito, allo scopo di ricomporlo entro qualche cornice di
127
riferimento alternativa” . E’ il caso, per esempio, di uno spettatore che decodifica l’espressione
”esportazione della democrazia” come “imperialismo”.
Con questo saggio si sancisce perciò il funzionamento della “politica della significazione”, ovvero la “lotta per
il discorso”; una lotta cui lo spettatore partecipa attivamente.
Le ricerche portate avanti dal CCCS hanno fatto luce su dinamiche di fruizione ben più complesse della
semplice ricezione di messaggi da un’emittente a un ricevente, mostrando un pubblico estremamente attivo,
competente e creativo: così, non solo gli spettatori decodificano i testi, ma sono anche in grado di produrne
di nuovi a partire dal materiale esistente. Questo ci fa tornare al principio che informa questo capitolo, e cioè
come e quando il pubblico inizia a diventare editore, dimostrando l’estrema attualità e validità
dell’impostazione culturalista: come afferma Sonia Livingstone “Mediated communication is no longer simply
or even mainly mass communication ( ‘from one to many’ ) but rather the media now facilitate
communications among peers (both ‘one to one’ and ‘many to many’). Does this means that the concept of
the audience is obsolete? Or does the growing talk of ‘users’, instead of audiences, fall into the hyperbolic
discourse of ‘the new’, neglecting historical continuities and reinventing the wheel of media communications
128
research?” .
Nell’esplorare le continuità storiche di cui parla la Livingstone, analizzeremo tre aree di interesse in cui la
ricerca critica sulle audiences ha prodotto numerose evidenze, e che possono essere intese come le matrici
originarie del nostro pubblico editore: le subculture, il fandom e il media attivismo.

2.3 Le subculture

Nel passaggio dalla teoria sociale funzionalista al modello strutturalista, anche il concetto di subcultura
subisce una ridefinizione. Lo studio delle subculture nasce infatti in relazione e contrapposizione al concetto
di società, intesa come organismo in cui ogni parte è funzionale al mantenimento del sistema complessivo. I
gruppi sottoculturali sono allora descritti come deviazione dalla norma, come problema sociale: i vagabondi, i
mendicanti, i ladri che affliggono Londra sono l’oggetto delle prime riflessioni, databili già a partire dal XVI
129
secolo , e delle prime analisi sociologiche.
Il primo studio etnografico sulle subculture, “London Labour and London Poor”, di Henry Mayhew, raccoglie
le interviste pubblicate dal 1861 al 1862 sul giornale Morning Chronicle, e da lui svolte tra i criminali e la
gente di strada dei quartieri suburbani di Londra; tali soggetti sono descritti in relazione al loro rapporto con il
lavoro, e divisi pertanto in due categorie, chi lavorerà e chi non lavorerà, i secondi “possessing nothing but

127
Ivi, p. 84.
128
S. Livingstone The Challenge of changing audiences 2004 European Journal of Communication.
129
E’ del 1560 il testo di John Awdeley “The fraternity of vagabonds”, in cui l’autore delinea una tassonomia della
marginalità in termini di sottocultura.
130
what they acquire by depredation from the indoustrious, provident, and civilized portion of the community” .
In una società capitalista, fondata sull’etica del lavoro e sulla sacralità della proprietà privata, i vagabondi, i
senzatetto, i mendicanti, “as well as itinerant, moving across property rather than settled within its orderly
131 132
confines” , sono descritti come improduttivi, parassiti, “caterpillars in the Commonwealth” .
Anche Marx, ne “Il Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte” (1851-1852), condannerà questi soggetti,
etichettandoli come lumpenproletariat, individui che, in quanto improduttivi, sono privi di coscienza di classe,
e dunque di potere rivoluzionario; il loro interesse è rivolto esclusivamente alla soddisfazione dei propri
bisogni immediati; le loro attività hanno più a che fare con la sfera del divertimento e dello svago piuttosto
che con l’etica del lavoro: “vagabondi, soldati in congedo, forzati usciti dal bagno, galeotti evasi, birbe,
furfanti, lazzaroni, tagliaborse, ciurmatori, bari, ruffiani tenitori di postriboli, facchini, letterati, sonatori
ambulanti, straccivendoli, arrotini, stagnini, accattoni, in una parola, tutta la massa confusa, decomposta,
133
fluttuante, che i francesi chiamano la bohème” .
Alla condanna severa si alterna, durante l’ottocento e i primi decenni del novecento - quando la sociologia
delle subculture approda alla criminologia-, un approccio paternalistico, di derivazione illuminista: lo studio
delle subculture come comprensione che prelude all’azione riformatrice dello Stato e delle organizzazioni di
134 135
solidarietà . Analizzando il lavoro di Mayhew, Andrew Tolson individua nell’uso dell’intervista,
l’attualizzazione dell’approccio moderno alla “governabilità”, così come descritto da Foucault (1979): il
discorso sociologico, la cui legittimazione emerge dalla mediazione professionale, costituisce una
formazione discorsiva tesa alla classificazione, supervisione e controllo delle popolazioni urbane.
La prima teoria generale sulle subculture è il lavoro di Albert K. Cohen, “A general theory of subcultures”
(1955). L’autore inizia la sua discussione definendo l’azione sociale come un costante sforzo da parte degli
individui di risolvere problemi; tali problemi emergono dall’intersezione di due fattori: la situazione e il quadro
di riferimento entro cui l’attore si muove. Il quadro di riferimento, il punto di vista del soggetto sul problema, è
ciò che gli fa percepire il problema come tale; ne deriva che un’efficacie soluzione comporterà una qualche
modificazione del suo punto di vista: “The actor may give up pursuit of some goal which seems unattainable,
but is not a solution unless he can first persuade himself that the goal is afterall, not worth pursuing; in short,
136
his values most change” . Se diversi attori, posti di fronte a situazioni problematiche, propongono soluzioni
di adattamento analoghe, gradualmente si determinerà uno slittamento verso un nuovo, comune, quadro di
riferimento: “The emergence of these group standards of this shared frame of reference, is the emergence of
a new subculture. It is cultural because each actor’s participation in this system or norms is influenced by his
perseption of the same norms in other actors. It is subcultural because the norms are shared only among

130
Henry Mahyew London labour and London poor Londra1868 p. 3, in Ken Gelder The subcultures reader Abingdon UK
2005 p. 4.
131
K. Gelder 2005 op. cit. p. 3.
132
William Harrison Description of England 1587 in K. Gelder op. cit. p. 3.
133
Karl Marx Il Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte, 1852 da http://www.progettomarx.it/biblioteca.htm.
134
A questo proposito Hebdige ricorda l’opera di Mary Carpenter: la sua guerra all’ignoranza e all’incompetenza della
famiglia come agenzia di socializzazione, spinse il governo inglese a costruire strutture diversificate, che suddividevano i
ragazzi della working-class in tre categorie, ognuna delle quali destinata a diverse istituzioni scolastiche : Ragged
School, scuole industriali, riformatori. Una realtà raccontata con estrema poesia da Charlie Chaplin ne “Il monello”.
135
Andrew Tolson Social Surveillance and Subjectification. The emergence of subculters in the work of Henry Mayhew
1997 K. Gelder op. cit. p. 175.
136
Albert K. Cohen A general theory of subcultures 1955 in K. Gelder op. cit. p. 51.
those actors who stand somehow to profit from them and who find in one another a sympathetic moral
137
climate” .
Questa definizione della subcultura diverge completamente dalle letture funzionaliste, ed ha due
conseguenze fondamentali, che verranno esplorate compiutamente dalla Scuola di Birmingham: la
sottocultura è una risposta culturale alle pressioni della struttura sociale (sia in termini di adattamento - è il
caso dei mods nell’analisi di Cohen - sia di resistenza - è il caso dei punk analizzati da Hebdige); i membri
del gruppo sono consapevoli della loro appartenenza alla subcultura, che diventa la scelta di un preciso stile
di vita: “one’s beliefs, values and cultural meaning have become explicit categories of action. Furthermore,
the ordinary man tends to conceive of these categories as a set making up a whole - a lifestyle or cohesive
138
social world” .
Gli studi sulle sottoculture diventano allora la mappatura di questi mondi, la descrizione delle forme di
negoziazione della sottocultura con l’ordine dominante; negoziazione che avviene attraverso il rituale, lo
stile, il linguaggio: “They adopt and adapt material objects - goods and possesions - and reorganise them
into distinctive stiles which express the collectivity of being-as-a-group. These concerns, activities,
relationship, materials become embodied in rituals of relationship and occasion and movement. Sometimes,
the world is marked out, linguistically, by names or an argot which classifies the social world exterior to them
139
in terms meaningful only within their group perspective, and maintains its boundaries” .
Questa modalità di produzione culturale, in cui i beni di consumo sono “adottati e adattati” è quella che
caratterizza le sottoculture come nuove rispetto ad altre formazioni culturali: “Fondamentalmente è dalla
maniera in cui gli oggetti sono usati nella sottocultura che la sottocultura si distingue da formazioni culturali
140
più ortodosse” . De Certeau descrive tali usi come una forma di tattica, un saper fare dei consumatori-
lettori, contrapposta alla strategia dell’istanza produttrice: laddove la strategia implica la delimitazione di un
luogo circoscritto come proprio, che funge da base per la gestione dei rapporti con un’esteriorità distinta, la
tattica “ha come luogo solo quello dell’altro [...] Deve approfittare, grazie ad una continua vigilanza, delle falle
che le contingenze particolari aprono nel sistema di sorveglianza del potere sovrano, attraverso incursioni e
azioni di sorpresa, che le consentono di agire là dove uno meno se lo aspetta. E’ insomma astuzia, un’arte
141
del più debole” . I consumatori, come cacciatori di frodo, estrapolano tramite le loro incursioni nel territorio
nemico significati di cui si appropriano nell’uso dei beni stessi.
Per definire questo processo creativo, analogo a quello dei movimenti surrealisti e dadaisti, Hebdige ricorre
al concetto di bricolage: ne “Il pensiero selvaggio” (1962) Lévi Strauss conia questo termine per descrivere il
modo in cui le società primitive creano un sistema coerente di connessioni tra oggetti, che spiega e da senso
al loro mondo. Tali sistemi coerenti non sono, tuttavia, chiusi e definitivi, ma capaci di infinite estensioni e
ricombinazioni, dando luogo a nuovi significati: “Toghether objects and meaning constitute a sign, and, within
any one culture, such signs are assembled, repeatedly, into characteristic forms of discourse. However,
when the bricoleur re-locates the significant object in a different position within that discourse, using the
same overall repertoire of signs, or when that object is placed within a different total ensemble, a new
discourse is constituted, a different message conveyed” (Clarke, 1975).

137
Ivi, p. 56.
138
John Irwing Notes on the status of the concept subcultures 1970 in K. Gelder op. cit. p. 75.
139
John Clarke, Stuart Hall, Tony Jefferson and Brian Roberts Subculture, cultures and class 1975 in K. Gelder op. cit. p.
97.
140
Dick Hebdige Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale Genova 1983 p. 116.
141
M. De Certeau L’invenzione del quotidiano Roma 2001 p. 73.
Le sottoculture, estrapolando i beni di consumo dal loro originario contesto e associandoli in nuovi insiemi
coerenti, ne sovvertono i significati originari e ne creano di nuovi: “Il punk esemplifica nel modo più chiaro
l’utilizzazione da parte della sottocultura di questi moduli anarchici [...] Come i ‘ready made’ di Duchamp [...]
gli oggetti più irrilevanti e più impropri - una spilla, una gruccia di plastica, un pezzo di televisore, una lametta
142
da barba, un assorbente igienico - potevano essere portati entro la provincia della non-moda punk” .
In questo modo, l’intero mondo dei beni di consumo e della cultura popolare diventa un immenso data-base,
da cui attingere per costruire nuove province di significato, e intorno alle quali fondare comunità coese e
creative. Tali comunità possono essere in aperta opposizione ai valori della società dei consumi, acquisendo
una dimensione politica: hippies, beats, in seguito i punks, si definiscono come alternativi rispetto alla
mainstream culture, e danno luogo a produzioni culturali, dal campo musicale a quello artistico, la cui
diffusione è affidata a propri organi di informazione e comunicazione, riviste, fanzines distribuite
fotocopiando l’originale, dischi e film autoprodotti; “Certain organizational effects of punk rock may turn out to
be harbingers of a future, more widespread medium. In particular, the very small-scale of ‘do it yourself’
world of small labels but especially of home-made taped music represented the virtual dissolution of the
143
barrier between performer and audience” . Da questo filone nascerà quello che oggi definiamo “media
attivismo”, e che va dalla stagione dei cento fiori, fino al net attivismo contemporaneo: da Radio Alice a
Indymedia ciò che cambia è il mezzo, non lo spirito.
A volte, invece, tali comunità non hanno un’aperta connotazione politica, ma creano ugualmente connessioni
tra individui che condividono le stesse passioni e interessi. E’ il caso del fandom dei media: i gruppi di fans
non si limitano ad ascoltare, vedere, consumare i prodotti dell’industria culturale, ma li utilizzano come
materiale grezzo per produzioni “di secondo grado”: a partire dalle storie diffuse dalle “macchine dei sogni”
(cinema, televisione, musica, radio), nuove storie possono essere narrate ricombinandone gli elementi.
Analizziamo allora più nel dettaglio queste due aree sottoculturali, poiché è qui che possiamo individuare
l’origine del nostro pubblico editore.

2.5 Il fandom: p2p analogico

Il fandom dei media è un fenomeno che nasce contestualmente alla diffusione dei mezzi di comunicazione di
massa e alla spettacolarizzazione di manifestazioni fino ad allora non destinate ad un grande pubblico: il
termine fan viene utilizzato per la prima volta in riferimento ai sostenitori delle squadre di sport, come il
baseball o il football; in seguito l’espressione viene estesa alle cosiddette “matineé girls”, accusate di
preferire gli attori alle opere recitate a teatro. Col passare degli anni l’idea diffusa che associa il fan al
fanatico, cioè colui che nutre un’ammirazione esagerata, quasi un’idolatria, verso i personaggi dello star
144
system, non cambia, ma anzi si rafforza. Come dimostrato da Jenkins , i fans sono visti come individui privi
di senso critico e di una vita personale soddisfacente, “nerdy guys with glasses and rubber vulcan ears, ‘I got
145
Spock’ T-shirts streched over their bulging stomachs”. Da queste immagini-stereotipo del fan, e da episodi
estremi, quali quelli di Charles Manson e Dwight Chapman, ampliamente strumentalizzati dalla stampa e dai

142
D. Hebdige 1983 op. cit. p. 119.
143
Dave Laing Listening to Punk in K. Gelder op. cit. p. 456.
144
H. Jenkins Textual poachers. Television fans and partecipatory culture New York 1992.
145
Ivi, p. 9.
mass media, il fan viene descritto come uno psicopatico, affetto da una frustrazione che non sa gestire, e
che tenta di superare nell’adorazione irrazionale dei personaggi famosi.
Nel saggio ”Fandom as pathology: the consequences of characterization”, Joli Jenson tenta di dare una
spiegazione di questa associazione semantica tra fan e comportamento deviante. L’autrice distingue due tipi
di discorsi a proposito del fandom: il solitario ossessivo, e la folla urlante.
In un caso il fan è visto come un individuo isolato dalla normale vita sociale, non in grado di intrattenere
relazioni con altri individui. Per compensare questa inadeguatezza, il fan sostituisce le relazioni sociali con
relazioni para-sociali: in un testo del 1956 Horton e Whol definiscono la relazione media-audience come una
forma di interazione para-sociale, cioè un surrogato di interazione sociale, che tenta di riprodurre il contatto e
la prossimità della conversazione faccia a faccia; gli autori suggeriscono che “when the para-social
relationship becomes a sobstitute for autonomous partecipation, when it proceeds in absolute defiance of
objective reality, then it can be regarded as pathological”. Il fan è allora un individuo che ha perso la capacità
di distinguere la realtà dalla finzione, il mondo reale da quello mediatico: questo spiega il suo isolamento,
sintomatico di una patologia.
Nell’altra versione del fandom, è la folla urlante ad essere fonte di preoccupazione, a causa dell’irrazionalità
che la caratterizza e che la rende potenzialmente pericolosa: “In this literature, fans are characterized as
146
easily roused into violent and destructive behaviour, once assembled into a crowd” . I comportamenti dei
fans durante i concerti o durante gli avvenimenti sportivi sono spesso associati all’uso di droghe o agli effetti
ipnotici della musica, o alla presenza di pulsioni violente che trovano uno sfogo nell’identità ultras o hooligan.
Jenson riconduce queste due immagini del fandom alle idee più generali riguardo la modernità: “Each fan
type mobilizes related assumptions about modern individuals: the obsessed loner invokes the image of the
alienated, atomized ‘mass man’; the franzied crowd member invokes the image of the vulnerable, irrational
147
victim of mass persuasion” . Il fandom è visto come una risposta all’influenza pervasiva dei mass media e
alla disgregazione della società nell’epoca moderna.
Tuttavia, osservando il fenomeno da vicino, l’esperienza di essere un fan appare molto più complessa di
quanto non sembri dai resoconti giornalistici: non solo folle urlanti o individui pericolosi, ma una comunità
organizzata, comunicante e viva; capace di entrare in conflitto con il sistema mediale, di opporvisi e di creare
propri produzioni culturali.
Tali sono le conclusioni dello studio etnografico compiuto tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta
da Henry Jenkins, e riportato nel testo “Textual Poachers. Television fans and partecipatory culture”. Il titolo
della ricerca è un riferimento alla teoria del quotidiano di Michel De Certeau, e vuole sottolineare l’attività dei
fan come opposizione creativa alla passività indotta dalla televisione: i fans sono nomadi, si muovono nel
mediascape, lo attraversano; “scrivono sui margini dei prodotti culturali”, usano e riusano i testi mediali, vi
costruiscono pratiche sociali e identità comunitarie, creano propri canali mediali in cui discutere.
Una fan writer spiega a Jenkins cosa sia per lei il fandom di Star Trek: “Trekfandom....is friends and letters
and crafts and fanzines and trivia and custumes and artwork and filksongs and buttons and film clips and
conventions - something for everybody who has in common the inspiration of a television show which grew
148
far beyond its tv and film incarnations to become a living part of world culture” . Il fattore decisivo non è

146
Joli Jenson Fandom as pathology: the consequences of characterization, in The adoring audience a cura di Lisa A.
Lewis Londra 2001 p. 13.
147
Ivi, p. 14.
148
H. Jenkins 1992 op. cit. p. 45.
l’oggetto del fandom in sé, quanto piuttosto la condivisione con gli altri fans: come abbiamo visto parlando
delle comunità virtuali, alle forme di associazione e identità basate sulle relazioni primarie (famiglia e
comunità locale) e secondarie (associazionismo), si sostituiscono nella società performativa, network io-
centrati, comunità di scelta e interazione individualizzata, “reti di legami che forniscono socialità, supporto,
149
informazione, un senso di appartenenza e di identità sociale” . Il fandom è, allora, un network in cui “much
of the pleasure lies in the fan talk that it produces, and many fans report that their choice of their object of
fandom was determined at least as much by the oral community they wished to join as by any of its inherent
150
characteristics” .
Nell’analizzare le pratiche di fruizione dei fans, Fiske parla di produttività, una lettura dei testi mediali che li
arricchisce di significati, rendendoli parte della vita quotidiana del suo pubblico; tale produttività si articola in
vari gradi: una produttività semiotica, una enunciativa e una testuale.
La prima è caratteristica della cultura popolare nel suo insieme, più che del fandom in particolare, e consiste
nel trarre significati identitari ed esperienze sociali dalle risorse simboliche veicolate dalla cultura del
consumo: “the Madonna fans who made their own meaning of their sexuality rather than the patriarchal ones
151
were engaging in semiotic productivity” . Ad un secondo livello questi significati, interiorizzati e vissuti
individualmente, vengono condivisi con altri fans attraverso il dialogo; la circolazione di significati attraverso
la conversazione (o lo stile, come insieme di segni che dichiarano un’appartenenza) è un tipo di produttività
che determina l’emergere di nuovi significati, nuovi punti di vista sull’oggetto del fandom: per esempio,
quando le spettatrici delle soap-opera analizzate dalla Hobson riconducono le esperienze e i comportamenti
152
dei personaggi alle loro vite quotidiane .
Attraverso la conversazione i confini tra produzione e ricezione si mescolano, si confondono, fino a sparire:
“Fandom here becomes a partecipatory culture which transforms the experience of media consumption into
153
the production of new texts, indeed of a new culture and community” . Il terzo tipo di produttività delineato
da Fiske, la produttività testuale, è infatti l’emergere all’interno del fandom, di testi prodotti dalla comunità,
per la comunità: “because fan text are not produced for profit, they do not need to be mass-marked, so
154
unlike official culture [...] they are narrowcast, not broadcast texts” .
Jenkins riporta un vasto numero di esempi di produzioni “di secondo grado”, racconti in cui lo spettatore-
autore riscrive il plot originario, modificandone la struttura: a volte questi racconti sono un approfondimento
della storia personale dei protagonisti e dei personaggi minori, che ne spiegano meglio azioni e decisioni; a
volte, invece, rovesciano la prospettiva e raccontano la storia dal punto di vista dei “cattivi”: tra questi “a
smaller number provide sharp critiques... asserting a world view where the program bad guys may in fact be
155
fighting on the morally superior side” ; per esempio quando i fans di Star Trek mettono in questione la
logica che sorreggeva la serie negli anni ‘60, in piena guerra fredda, e presentano il capitano Kirk e
l’Enterprise come agenti del controllo della Federazione, in realtà un regime totalitario votato alla
soppressione degli altri popoli. In alcuni casi, i fans giocano con l’intertestualità televisiva, producendo dei
veri e propri cross-over di serie televisive: storie in cui Scott Hayden (protagonista della serie Starman)

149
Barry Wellman Phisycal place and cyberspace: the rise of networked individualism, in The international journal of
urban and regional research 2002 p. 1.
150
J. Fiske The cultural economy of fandom in L. A. Lewis 2001 op. cit. p. 38.
151
Ivi, p. 37.
152
D. Hobson Crossroads: the drama of a soap opera Londra 1982.
153
H. Jenkins 1992 op. cit. p. 46.
154
J. Fiske 2001 op. cit. p. 39.
155
H. Jenkins 1992 op. cit. p. 168.
assiste ad un omicidio e viene interrogato da Crockett e Tubbs (Miami Vice); o in cui Sam Beckett (Quantum
Leap) si trova ad occupare il corpo di altri personaggi di serie famose, dai marziani di War of the Worlds a
Indiana Jones.
156
In tutti questi esempi “the fan simply wanted more stories than the producers provided. Fan writers
157
respond to the community desire to continue these narratives” : lo spettatore parla, e non un solo
linguaggio.
Per alcuni fans, infatti, la riscrittura si confronta con la stessa sostanza espressiva dell’opera originaria.
Avremo perciò ascoltatori che formano band, fenomeno inaugurato dal punk e dalla sua mentalità do it
yourself, che ha prodotto moda, stile, registrazioni “casalinghe” su nastro magnetico. Così come avremo fans
di serie televisive che creano video: le puntate vengono registrate e archiviate dalla comunità su VHS,
costruendo un data-base aperto a tutti i partecipanti della comunità. Un membro dei California Crew, un
collettivo di video artisti, racconta: “Between us, we have practically everything. Some of our peaple have
800 tapes because they’ve been taping since the ‘70s [...] If I want to know when Simon & Simon filmed at
the Sheriton Universal, I know the person in the group to call to find the right shot”.
Questi esempi mostrano che il peer to peer non nasce su Internet, ma fa parte di un’attitudine culturale, una
familiarità con gli oggetti della cultura popolare, che conduce al desiderio di una loro appropriazione da parte
del pubblico. I video artisti usano infatti le registrazioni come materiale grezzo per storie alternative: le
immagini, estrapolate dal loro contesto originario, vengono remixate e commentate da canzoni, che ne
diventano la sceneggiatura. Per esempio K. F. seleziona delle immagini dalla serie Starsky e Hutch e le
monta sulla canzone “Leaving the straight life behind”, di Jimmy Buffet: il testo della canzone da alle
immagini nuovi significati, “shifting from a pop fantasy about escaping from mundane constraints into a
158
celebration of coming out” . Produrre video di questo genere implica una grande dimestichezza con il
materiale mediale, ma anche con la tecnologia. Non ancora disponibili le work stations digitali, tutto viene
creato con il VCR, che richiede una notevole capacità tecnica: “’I needed you’, a Star Trek video which is 3
½ minutes in length employs 55 shots (of which less than half are linked by internal edits); the images are
selected from many series episodes and four of the feature films. Cuts are timed so that the shot change with
159
each edit line and at several places, she makes multiple shot changes within a single line” . L’estetica del
data-base prescinde dalla digitalizzazione dei contenuti, ed è piuttosto riconducibile alla pratica
sottoculturale del bricolage e del cut up come modalità di creazione tipica del post-moderno.
Il fatto che gli archivi siano aperti e gratuiti rafforza ancora di più il senso di appartenenza alla comunità: per
ottenere la puntata persa su VHS basterà rivolgersi ad un membro della comunità, a nessun costo se non
quello dalla cassetta su cui registrare e le eventuali spese di spedizione.
Una comunità con caratteristiche analoghe a quelle dei bloggers del nuovo millennio: le fanzines, come la
Rete, offrono lo spazio per costruire e tenere viva la conversazione tra fans; sono autoprodotte e distribuite
gratuitamente fotocopiando l’originale; non seguono regole di mercato, tanto che “Established publisher
often publicize newer zines, running advertisements for them free of charge....established editors see these

156
Jenkins elenca “dieci modi per riscrivere uno show televisivo”, ovvero dieci tecniche testuali di cui i fans si servono:
ricontestualizzazione; espansione del backgraund; rifocalizzazione; riallineamento morale; passaggio di genere; cross-
over; dislocazione del personaggio; personalizzazione; drammatizzazione; esplorazione della dimensione erotica.
Jenkins 1992 op. cit. pp. 162-177.
157
H. Jenkins 1992 op. cit. p. 164.
158
H. Jenkins 1992 op. cit. p. 225.
159
Ivi, p. 244.
160
newer publications not as competition but rather as welcome additions to the community” . Esattamente
come il blog, un link ad un altro autore non costituisce una perdita, ma un arricchimento; proprio come in
rete, il rapporto tra autori e lettori è personale e diretto; i due ruoli si sovrappongono continuamente,
ciascuno è lettore e scrittore allo stesso tempo.
Il fandom realizza e anticipa appieno questa transizione dal pubblico passivo al pubblico editore: liberando la
sua forza creativa e costruendo propri significati, riscrive i testi e da luogo ad una shadow cultural
161
economy al di fuori dell’industria culturale delle grandi corporations.

2.6 Il media attivismo: ricombinazione mediatica

Il media attivismo non può essere considerato una sottocultura, ma piuttosto il punto di convergenza
programmatica di diverse sottoculture, che condividono il progetto di liberazione del reale dalla sua
spettacolarizzazione mediatica, e degli individui dal dominio delle big corporations sull’ecologia sociale e
mentale.
L’espressione media attivismo irrompe nel linguaggio comune nel 1999, durante le giornate di Seattle, ma le
sue origini risalgono alle lotte studentesche ed operaie degli anni ‘60-‘70: dal movimento californiano Free
Speech, alle radio libere italiane e Autonomia Operaia, passando per l’esperienza situazionista del maggio
francese, il punto nodale della lotta di liberazione ed emancipazione passa dall’economia politica alla politica
della significazione.
Studenti e operai uniti nella lotta corrisponde al riconoscimento del mutamento avvenuto dall’epoca
industriale a quella post-industriale: la condizione dell’operaio sostituito dalle macchine e dello studente-
macchina, il cui sapere è al servizio delle imprese, procedono sullo stesso terreno; questo terreno è il
linguaggio, l’immaginazione, l’infosfera come territorio occupato dalla macchina capitalista, dai monopoli
mediali. Un territorio da riconquistare.
La battaglia si gioca allora su due piani. Da un lato eliminare l’ideologia celata nei messaggi mediali: offrire
una contro informazione non viziata dalla logica economica, creando media indipendenti in grado di ritrovare
un rapporto immediato con la realtà. Dall’altro, sovvertire la struttura molare della comunicazione di massa,
proponendo dispositivi di comunicazione che rendano l’individuo padrone dell’immaginario: “marxianamente
parlando, l’obiettivo è riappropriarsi dei media in quanto mezzi di produzione, piuttosto che mezzi di
162
rappresentazione” .
Media tattici, contro le strategie dell’impero mediatico. Lo slogan “Don’t hate the media, become your media”
è il punto di svolta dell’empasse in cui la scuola critica era entrata. Se, come affermato da McLhuan, le
tecnologie di comunicazione determinano anche la forma mentis di una civiltà, la sua organizzazione
cognitiva, la generazione videoelettronica subisce una mutazione in cui “si atrofizza la capacità di
immaginare creativamente, ma si acquisiscono nuove competenze di lettura e di orientamento in un universo
semiotico prevalentemente immaginario, competenze di manipolazione semiotica sempre più complessa, di
163
elaborazione di segnali sempre più veloci” . Per questo appare inutile e sterile un accanimento contro il
demone medium, che si traduce in nostalgia per la cultura alfabetica; è proprio l’uso alternativo

160
Ivi, p. 159.
161
J. Fiske 2001 op. cit.
162
Matteo Pasquinelli Media Activism Roma 2002 p. 14.
163
Franco Berardi Skizomedia. Trent’anni di media attivismo Roma 2006 p.16.
dell’immagine che, invece, può palesare le contraddizioni che il dominio delle classi egemoni, esercitato
attraverso il senso comune, determinano nelle nostre società.
Il media attivismo può allora creare un’interferenza semantica nei messaggi che inondano il madiascape,
detournando i messaggi e le immagini diffuse dal potere: “nella battaglia della comunicazione sociale
vediamo avanzare uno strano soldato, che non usa le armi dell’opposizione ragionevole, ma combatte la
follia con la follia, la suggestione con la suggestione, la falsità con la falsificazione creativa. Questo soldato è
un attivista mediatico che usa le armi della pubblicità sovvertita, e per questo lo hanno chiamato
164
subvertiser” . Il subvertising, nato con la rivista canadese Adbusters, ma riconducibile alle esperienze di
sabotaggio linguistico delle avanguardie artistiche, dal surrealismo al dadaismo, dal situazionismo alla beat
generation, lavora sul margine di indeterminatezza dei messaggi mediali, costituisce una strategia di
sabotaggio semiotico: la più famosa campagna degli Adbusters è una “rivisitazione” della bandiera
americana, dove al posto delle 53 stelle che ne rappresentano gli Stati, compaiono 53 loghi di aziende
multinazionali, dalla Nike alla Microsoft, dalla McDonald alla Coca Cola. In questo modo si traduce in
immagine l’idea del dominio del capitalismo sugli Stati, utilizzando per i propri scopi lo stesso linguaggio che
165
si vuole incriminare .
Un’altra strategia del media attivismo è la destrutturazione dei media stessi, la creazione di un cortocircuito
nel loro funzionamento che “punta a manomettere le concatenazioni, le interfacce, a ricombinare e
166
rifinalizzare il dispositivo, non solo il contenuto” . L’uso della diretta telefonica, inaugurata dalle radio libere
degli anni ’70, appare oggi come la più blanda delle forme di partecipazione da parte del pubblico; ci ricorda
interi pomeriggi di Domenica in e fagioli in un barattolo. Tuttavia, fu la prima rottura del modello
unidirezionale che, fino ad allora, era parso un tratto ineliminabile della trasmissione radiofonica e televisiva.
Alcuni anni dopo, l’esperienza delle Street Tv punta a contagiare con quel modello anche la televisione.
Scrive Macchina, di Candida Tv: “Avevamo una visione della tecnologia televisiva ispirata all’etica hacker: la
televisione può essere fatta da tutti, ognuno può metterci le mani sopra [...] Infiltrare un mass medium come
la televisione per noi significava...dirottare le traiettorie del consumo televisivo. Spostare il fuoco
167
dell’attenzione dai meccanismi di fruizione a quelli di produzione” .
L’idea di una tv comunitaria, che è alla base delle esperienze delle Telestreet, è l’idea di una tv costruita dal
168
basso, dalle comunità urbane: “non tv ‘comunitaria’, ma tv ‘divenire comunità” . Questo significa creare
strutture produttive aperte e connettive, in cui alla mentalità del public access si sostituisce il modello del
community access: mentre nel primo caso si tratta di un servizio che dall’alto viene offerto acriticamente a
tutta la cittadinanza, nel secondo è la cittadinanza che costruisce e fruisce la televisione, assicurando la
presenza di tutte le minoranze e i gruppi che ne fanno parte.
L’esempio migliore di questo programma di contaminazione della televisione con le logiche di rete, è offerto
dalla televisione via cavo di Amsterdam: dopo i ripetuti assalti dei pirati della comunicazione, tra gli anni ‘70
e gli anni ‘80, alle infrastrutture del sistema televisivo cittadino, le autorità decisero di costituire un altro
canale che riportasse questi programmi, peraltro molto seguiti, nella legalità. Open Access Channel, posto
sotto l’amministrazione di Salto, un’organizzazione nominata dal governo, è un canale via cavo che dal

164
Ivi, p. 68.
165
Sul sito della rivista è possibile trovare materiali di vario genere: articoli, video, persino un “kit di contropotere
mediatico”. http://www.adbusters.org/home/
166
Franco Berardi 2006 op. cit. p. 22.
167
Macchina, Candida Tv Candida. La tv elettrodomestica in M. Pasquinelli 2002 op. cit. pp. 106-107.
168
Ivi, p. 144.
1989, quando la tv pirata Staats tv Rabotnik coprì i risultati delle elezioni, si fa avanguardia del progetto di
apertura della tv alla cittadinanza: studi aperti al pubblico e programmazione indipendente. Come
raccontano i protagonisti di quest’avventura mediatica, Nicole Smits e Raoul Marroquin, “Rompendo le
regole dell’alta qualità, la produzione di programmi televisivi diventa semplice come usare il telefono. Questo
169
ha prodotto un nuovo approccio: chiunque può fare televisione in ogni momento” .
Il media attivismo degli anni ‘90 trova infine un ambiente perfettamente congeniale nella Rete,
strutturalmente rizomatica e costruita a partire da un’idea del sapere e della conoscenza come bene
pubblico, anziché come fonte di profitto: “Il punto fondamentale che oggi si pone per la prima volta è la
170
possibilità di un uso democratico di massa dei media” .
Indymedia è sicuramente l’esempio più imponente di network media attivo: una rete capillare di media center
indipendenti, gestita localmente, con processi decisionali non gerarchici, e che è stata in grado di compiere
una potente integrazione tra movimenti e media alternativi. La copertura dei Social Forum e delle
manifestazioni di Seattle, Davos, Washington, Praga, Napoli, Genova etc. non ha avuto pari perché filmata,
gestita e raccontata da una quantità di occhi elettronici, aggiornamenti on-line in tempo reale, dirette
radiofoniche, irrealizzabili per qualunque pachiderma del broadcast mainstream. Indymedia realizza la
convergenza, non solo tra tecnologie, ma tra tecnologie e corpo sociale.
A un livello di minore strutturazione, i blog e i vlog si stanno diffondendo come mini-media tattici, la cui
potenza è però paragonabile a quella dei grandi network: il meccanismo di funzionamento e la facilità di
accesso, li rendono particolarmente adatti ad una diffusione virale e contagiosa delle notizie prodotte dal
basso; notizie che vengono valorizzate tramite i link che ricevono nella blogosfera. Uno dei problemi cui il
media attivismo in rete deve far fronte è, infatti, il rischio di creare altro ‘rumore bianco’, contenuti che non si
distinguono dalla massa di informazioni on-line. Da questo punto di vista, il blog può presentarsi come una
soluzione ottimale, grazie alla sua doppia funzione: da una parte, con il meccanismo del permalink e del
171
commento, è la “tappa di partenza per un’indicizzazione altra dell’informazione alternativa” ; dall’altra
permette la creazione di una comunità che dibatte e partecipa, sempre aperta, basata sulla riconoscibilità dei
partecipanti: “Ciò che determina il successo di un contenuto on-line è la capacità di creare e sfruttare
networks, di ottenere attenzione, link e segnalazioni da parte di quell’imprevedibile e sconfinato sciame di
172
operatori della rete” .
I blog hanno avuto, e continuano ad avere, un ruolo notevole nella copertura dei grandi eventi mondiali: dallo
Tsunami, durante il quale vlog improvvisati con telecamere amatoriali e videofonini furono usati come vere e
proprie agenzie di informazione; alla guerra in Iraq, dove soldati-blogger americani e civili-blogger iracheni
discutono, si confrontano e analizzano insieme gli avvenimenti che li coinvolgono direttamente.
Televisione che segue logiche di rete e rete che si fa filtro delle informazioni, come una redazione televisiva.
Il media attivismo propone una ricombinazione delle logiche e delle modalità di comunicazione dei diversi
media; una ricombinazione che ne modifica i presupposti, consentendone la liberazione.
Nel prossimo capitolo vedremo come un’ulteriore ibridazione sia già all’opera: Nessuno Tv. Come una
scatola cinese, la televisione si compone delle voci dei blogger, si fa portavoce della comunità on-line,

169
Nicole Smits e Raoul Marroquin Esperimenti tecnologici nella televisione di Amsterdam in M. Pasquinelli 2002 op. cit.
p. 153.
170
Davide Sacco, Sapienza Pirata, Internet evade dal pc in M. Pasquinelli 2002 op. cit. p. 41.
171
Ugo Vallauri Weblog. Informazione indipendente tra comunità reali e virtuali in M. Pasquinelli 2002 op. cit. p. 48.
172
Franco Berardi 2006 op. cit. p. 75.
fornisce ai contenuti dei vlog la visibilità e l’attenzione della trasmissione satellitare, diffondendo voci locali
nel mediascape globale.
Questo modello rappresenta una soluzione originale alla rimediazione televisiva, contemporaneamente,
opportunità e minaccia per le industrie televisive esistenti.
CAPITOLO TERZO
LA TELEVISIONE NELL’EPOCA DEI NUOVI MEDIA.
IL CASO NESSUNO TV

3.0 Switch-off: problemi di una transizione difficile.

La rimediazione è la grande sfida che il digitale pone ai vecchi media; sfida che coinvolge entrambi i poli
della comunicazione: le emittenti, che devono gestire una transizione capace di mettere in discussione
posizioni acquisite, routines produttive e infrastrutture consolidate; il pubblico, che deve imparare a
conoscere e fruire un medium in trasformazione.
Per la televisione questo processo è particolarmente tormentato: nata e cresciuta in un regime di oligopolio,
dovuto alla scarsità delle frequenze via etere e alle forti barriere all’accesso, assiste ora al dissolvimento di
queste due condizioni, che ne avevano determinato struttura e dispositivo comunicativo centro-periferia.
Il digitale consente, infatti, una liberazione dello spettro di frequenze, che modifica la conformazione del
mercato: da un lato, comprimendo i segnali e servendosi di infrastrutture di trasmissione digitali (satellite o
multiplex), moltiplica i canali utilizzabili; dall’altro la convergenza tecnologica rende difficile tracciare i confini
tra un medium e un altro, creando nuove opportunità, ma anche nuovi competitors; pensiamo, ad esempio,
alle compagnie di telecomunicazioni, che stanno entrando nel mercato audiovisivo grazie alla messa a punto
173
di tecnologie quali l’UMTS o il DVB-H : come si organizzeranno i rapporti tra questi due settori industriali
tradizionalmente separati? La tv si limiterà a fornire contenuti? E quali? Il cellulare diventerà il luogo del
simulcast dei canali analogici (o digitali terrestri), o di contenuti specificamente progettati per una fruizione
mobile? A queste domande si dovrà dare risposta.
Un’altra forte fonte di insicurezza ed instabilità proviene dalla tv multichannel satellitare: i contenuti premium,
come il calcio e i film di prima visione, e la fruizione di bouquet sempre più compositi, modificano l’attitudine
del pubblico verso la tv generalista; si è venuta, pertanto, a creare una disaffezione alla televisione analogica
proprio tra quei target che i vertici televisivi, e soprattutto i pubblicitari, ricercano costantemente, cioè i
giovani e i professionisti dei centri urbani.
Un ultimo aspetto riguarda infine l’ampliamento della banda disponibile per la trasmissione tramite protocollo
IP, che rende disponibile la IPtv: i costi contenuti e la disponibilità di tecnologia la rendono un formidabile
strumento per una reale apertura del mercato.
Quello che la televisione deve affrontare al momento è, in sintesi, una profonda revisione industriale, che
investe le infrastrutture tecnologiche e i rapporti tra comparti produttivi (fornitura di contenuti, gestione della
rete di trasmissione); ma anche una sorta di autoanalisi, che le faccia ritrovare il suo ruolo nel tessuto sociale
e un nuovo appeal per il pubblico, sempre più abituato a una modalità di fruizione dei contenuti più flessibile
(Tv on Demand, p2p) e a una massiccia migrazione verso il medium computer; come affermano Lisa di
Feliciantonio e Michele Mezza, “la convergenza sistemica tra computer e televisione, seppure non realizzata
nei nuovi codici tecnologici, sicuramente verificabile nel corpo vivo delle platee di utenti che vedono al loro

173
L’UMTS è una tecnologia di trasmissione broadcast via rete cellulare, mentre il DVB-H si serve del protocolllo IP per
trasmettere dati, audio e video sul telefono cellulare.
interno coincidere operatori della rete con telespettatori della tv, rende inevitabili corti circuiti fra diversi
174
moduli comportamentali” .
Non stupisce, dunque, che il driver del mutamento tecnologico e culturale della televisione sia stata, accanto
all’alta risoluzione, l’interattività: il digitale terrestre (DTT) si afferma come tecnologia in grado di fornire
quell’ormai mitico canale di ritorno, che permette all’utente-telespettatore di interagire con e attraverso il
medium, di arricchire cioè i contenuti televisivi tramite ipertesti legati ai programmi, o di effettuare transazioni
commerciali, grazie appunto alla trasmissione bidirezionale dei segnali. I punti nevralgici dell’interattività
televisiva sono il decoder, l’anima del DTT, che dopo una fase di profonda diversificazione, andrà
probabilmente incontro ad una standardizzazione tecnologica; il canale di ritorno dallo spettatore ai suoi
server; la guida elettronica ai programmi, che dovrebbe riprodurre in tv la modalità di fruizione del browising.
Le forme che l’interattività televisiva può assumere sono diverse, e, seguendo la descrizione di Davide
175
Bogi possono essere schematicamente descritte a partire da una distinzione in due tipologie. Un primo
gruppo di formati interattivi riguarda l’interattività intorno al contenuto dei programmi: l’enhanced tv, testi o
grafica con funzione di approfondimento di specifici contenuti, visualizzabili in porzioni dedicate dello
schermo; i servizi interattivi del tipo televoting, quiz, e-mail, pubblicità interattiva. Il secondo gruppo di servizi
riguarda, invece, l’impostazione dell’offerta: avremo pertanto i virtual channel, magazine tematici che offrono
contenuti testuali o grafici, non necessariamente correlati a un canale o a un contenuto specifici; i walled
garden, sorta di portali da cui l’utente può fruire dei servizi transattivi, dunque con contenuti indipendenti
dalla programmazione dell’emittente (t-commerce, home-banking); il video on demand (VOD), che prevede
la costruzione di libraries tra cui l’utente sceglie il contenuto desiderato, consentendo una fruizione
personalizzata, non legata alla predisposizione di un palinsesto.
Questo modello si è declinato in maniera diversa a seconda dei Paesi oggetto della transizione: in ognuno di
essi prevalevano differenti modelli economici (per esempio, prevalenza della tv commerciale su quella
pubblica e viceversa), culturali (alfabetizzazione informatica, centralità del medium televisivo rispetto ad altri
media, come stampa, cinema, internet) e politici (intervento o meno dello Stato nella transizione).
Sostanzialmente si sono avute due tipologie di transizione: una in cui lo Stato ha lasciato che fosse il
mercato a stabilire standard tecnologici e tipologie di business, e una seconda, in cui il regolatore ha trovato
opportuno intervenire per garantire la permanenza del concetto di servizio universale nel nuovo panorama
digitale, preferendo il modello free to air.
La soluzione market driven, adottata in un primo momento da Gran Bretagna e Spagna, consiste
nell’attribuire un ruolo trainante alla pay tv, come vettore per allargare il numero delle “famiglie digitali”. Il
vantaggio di questo modello consiste nel non prevedere un impegno finanziario da parte dello Stato, poiché
sono gli operatori delle piattaforme a farsi carico dei costi per la messa in opera della rete di trasmissione,
per la realizzazione di contenuti originali e per il sostegno alla diffusione dei ricevitori digitali. Tuttavia è una
strategia che presenta anche forti criticità: la difficoltà principale consiste nella penetrazione nel mercato di
soggetti nuovi (ITV in Gran Bretagna e Quiero Tv in Spagna), che devono competere con i canali satellitari
già esistenti (Sky sopra tutti, affermatasi come monopolista di fatto del satellitare); questo ha condotto ad un
innalzamento vertiginoso dei prezzi dei contenuti premium e ad una scarsa raccolta pubblicitaria, dovuta

174
L. di Feliciantonio e M. Mezza Switch over. Scenari e obiettivi della tv al tempo del digitale terrestre Milano 2004 p.
31.
175
Davide Bogi La televisione interattiva, in Francesco De Domenico, Mihaela Gavrila, Augusto Preta (a cura di) Quella
deficiente della tv. Mainstream television e multichannel Milano 2002 pp. 136-138.
all’incertezza degli inserzionisti circa l’audience effettivamente raggiunta dai nuovi canali. A questo va
aggiunta un’offerta di contenuti, composta da pochi canali e da pochi o inesistenti servizi interattivi, non in
grado di conquistare il segmento alto del mercato televisivo, già soddisfatto dai canali via cavo e satellitari.
Dopo ripetute crisi, entrambe le piattaforme digitali si trovano costrette a chiudere.
Il modello free to air è stato, invece, adottato da Paesi quali Svezia, Finlandia e Stati Uniti, i quali hanno
puntato sulla continuità con la televisione analogica, con l’obiettivo di conquistare i telespettatori non disposti
a pagare per contenuti televisivi che ha sempre percepito come gratuiti; in questo caso è lo Stato, tramite i
ministeri competenti e le Autorità di regolamentazione, a distribuire la capacità trasmissiva, selezionando
direttamente i programmi parte del line up digitale. In questa tipologia di transizione si definisce pertanto una
situazione molto simile a quella della scarsità delle frequenze terrestri: lo Stato seleziona i canali più
meritevoli di trasmettere sulla base di criteri quali il pluralismo, la diversità, la tutela dell’identità nazionale,
con l’obiettivo di fornire ai telespettatori un’offerta di canali maggiore senza costi aggiuntivi. Questo modello
presenta, dunque, una rigidità intrinseca nel processo di licensing, che rischia di annullare il principale fattore
di vitalizzazione del digitale, cioè l’apertura a nuovi soggetti; il fatto, inoltre, che lo Stato non appronti nessun
tipo di finanziamento, rende il modello ibrido, affidato alle forze di mercato, ma segnato da grossi limiti per le
emittenti nelle scelte editoriali.
Queste esperienze hanno condotto verso un terzo modello di transizione, in cui lo Stato entra
prepotentemente nel settore del DTT attraverso la predisposizione di strumenti di regolamentazione e di
sostegno industriale. E’ in questa fase che le emittenti di servizio pubblico si interessano al digitale: la
concorrenza dei canali satellitari rende palese la difficoltà della tv analogica nel conquistare un’audience
sempre più frammentata; ma soprattutto mostra l’incapacità di venire a capo di quel processo di
delegittimazione, iniziato con l’ingresso della tv commerciale nel panorama mediatico, che conduce ad una
crisi nel rapporto tra medium ed audience. La soluzione prevede pertanto la costituzione di un’offerta digitale
di canali in chiaro, non in concorrenza, ma complementare alle piattaforme a pagamento, con un ruolo
trainante da parte delle emittenti terrestri, sia pubbliche che commerciali. Questo modello presenta indubbi
vantaggi, quali la possibilità di raggiungere un ampio numero di utenti interessati ad avere una maggiore
offerta, ma non disponibili a pagare; inoltre, può essere un forte fattore di traino per l’industria dell’elettronica,
rinvigorita dalla vendita di decoder e televisori. Il maggiore svantaggio consiste però proprio nel
coinvolgimento diretto dello Stato: in primo luogo per l’onere finanziario di un sostegno - diretto o indiretto -
al settore televisivo, tutto a carico delle emittenti terrestri e dello Stato; in secondo luogo per l’inevitabile
distorsione della concorrenza che gli strumenti di policy pubblica inseriscono nel mercato, penalizzando cavo
e satellite, o prevedendo una transizione “blanda”, che non coglie le reali potenzialità dello strumento.
L’Italia ha seguito questo terzo modello, ed ha perciò sperimentato sulla sua pelle gli svantaggi che
176
presenta: lo switch-off è stato infatti rallentato dalla particolare situazione che caratterizza dagli anni ‘80 il
nostro sistema radiotelevisivo, cui si sono aggiunte le resistenze dei due gruppi principali, Rai e Mediaset,
alla transizione.
Il sistema televisivo italiano muta radicalmente negli anni ’80: l’irrompere di Mediaset provoca l’incrinarsi di
un modello di televisione che aveva caratterizzato non solo l’Italia, ma tutta l’Europa; un modello imperniato
sul ruolo sociale della tv, definita un servizio universale, la cui mission “educare, informare, intrattenere”

176
Lo spegnimento delle frequenze analogiche e il passaggio al digitale.
poteva essere garantita solo dalla proprietà delle emittenti da parte dello Stato, che avrebbe assicurato alla
comunicazione televisiva obiettività, completezza ed imparzialità.
La logica commerciale costringe il servizio pubblico ad adottare comportamenti concorrenziali, mutandone
alla lunga i caratteri originari ed obbligandola ad una rincorsa senza sosta degli indici di ascolto; il fatto che il
servizio pubblico si fosse sviluppato in un regime di finanziamento misto, in parte tramite canone annuo, in
parte tramite raccolta pubblicitaria, ha aggravato la disaffezione del pubblico alla Rai, che agli occhi degli
utenti non appare diversa dalla tv commerciale, fruita gratuitamente.
A questo si aggiunge, dal 1994 ad oggi, ed in particolare nel quinquennio 2001-2006, il conflitto di interessi
dell’ex-premier Berlusconi, proprietario di Mediaset e, in quanto capo del governo, in grado di nominare il
C.d.A. Rai. Il duopolio, solo in minima parte scalfito dalla presenza di La Sette, diventa monopolio di fatto,
tanto che l’Italia finisce al 43° posto della classifica mondiale della libertà di espressione, dietro Paesi come il
177
Belin e il Costa Rica , suscitando la preoccupazione di giornalisti, intellettuali e pubblico stesso.
Il sistema televisivo italiano risulta così bloccato, e il dibattito sul digitale terrestre non può che risentirne:
178
persa l’occasione di un ingresso della Rai nel settore della pay tv nel 1995 , la transizione epocale verso il
digitale viene percepita dai due competitors più come una minaccia e un onere, che come un’opportunità; le
distorsioni connaturate al sistema televisivo italiano determinano perciò l’emergere di “soluzioni, norme e
modelli del tutto artificiosi, dove i veri risvolti di ogni decisione non vanno ricercati negli obiettivi e nelle
ambizioni che il paese si pone rispetto al suo ruolo sul mercato internazionale della comunicazione, quanto
179
invece nelle formule politiche che possono derivare dal primato di questa o quella impresa tv” .
Il dibattito sul digitale riceve una prima spinta dal Libro bianco sul digitale terrestre, un testo del 2000 con cui
l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni introduce le opzioni praticabili per la transizione. Tali opzioni
sono due: la prima si basa sull’attuazione del piano di assegnazione delle frequenze, che dovrebbe liberare
quattro multiplex (sedici canali), da utilizzare in parte per il simulcast di programi esistenti, in parte per
programmi nuovi; il secondo prevede invece una transizione “a macchia di leopardo”, in cui i servizi digitali
sono avviati laddove vi siano frequenze disponibili, assegnate ai broadcaster tramite il trading delle
180
frequenze . Questa seconda soluzione presenta, però, indubbie problematicità: consentire alle emittenti di
acquistare frequenze da altri operatori, significa porre i concessionari televisivi esistenti in una posizione
privilegiata, creando distorsioni nella concorrenza difficilmente recuperabili, e aggravando ulteriormente la
staticità del sistema complessivo.
181
La legge Gasparri opta, tuttavia, per questa soluzione, lasciando, inoltre, liberi i futuri operatori di rete di
decidere business plan e piani editoriali, senza esercitare alcun vincolo rispetto alla programmazione da
veicolare. Questa scelta determina una situazione in cui né l’offerta né i soggetti coinvolti nella transizione
risultano sostanzialmente diversi dal mondo analogico: le emittenti nazionali, infatti, “gestendo di fatto il
processo, decidono di mantenere audience di massa su alcuni canali, riempiendo i multiplex con canali di

177
Reporters sans frontieres, classifica mondiale della libertà di stampa 2005,
http://www.rsf.org/IMG/pdf/CM_2005_Eu.pdf.
178
E’ di quell’anno il decreto Gambino, ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni del governo Dini, con cui si inibiva
alla Rai di entrare nel mercato della pay tv.
179
L. di Feliciantonio e M. Mezza 2004 op. cit. p. 113.
180
Per trading delle frequenze si intende la cessione dei diritti di utilizzo delle frequenze da parte di emittenti locali a
favore di soggetti in grado di acquistare e di utilizzare tali frequenze per la trasmissione digitale.
181
Legge n. 66, 2001. Il testo è consultabile sul sito del Ministero delle comunicazioni all’indirizzo
http://www.comunicazioni.it/it/index.php?IdPag=836.
scarso valore [...] per creare poca competizione ai propri canali e replicare nel mondo digitale il predominio
182
dei canali generalisti” .
183
Rete 4, già dal novembre 2002 in attesa di essere trasferita sul satellite, rimane al suo posto grazie al
decreto approvato dal governo Berlusconi la notte del 23 dicembre 2003: basta modificare i criteri per il
calcolo delle frequenze, considerando non più il limite del 20% sui canali irradiabili da ciascun soggetto, ma
calcolando quello stesso 20% sulla somma dei programmi televisivi diffusi sia in tecnica digitale che
analogica. Un escamotage che conduce alla proroga sine die del periodo di transizione e a un congelamento
del mediascape italiano nello status quo: i canali sono gli stessi, i programmi anche.
L’appuntamento con il cambiamento viene così mancato, deludendo le aspettative di chi vedeva nel DTT
l’inizio di un nuovo modo di fare televisione e la possibilità di un’apertura del mercato tale da rendere l’offerta
maggiore e migliore.

3.1 La rimediazione televisiva: dal network al networking

La delusione, temuta o auspicata, delle prime iniziative di DTT deve essere il segnale della necessità per la
nostra “cattiva maestra” di percorrere strade diverse, che la inducano a ritrovare presso il pubblico modalità
di legittimazione come strumento di informazione, e appeal come fonte di intrattenimento. Incalzata dalla
concorrenza di altri media, in primis Internet, la televisione si trova a dover interagire con un pubblico che in
più di cinquanta anni ha abbandonato la sua condizione di ascoltatore passivo, ed ha imparato la “cattiva
lezione” diventando produttore e performer.
La transcodifica culturale, operata dai nuovi media, offre in questo senso “una straordinaria occasione -
tecnologica, culturale e sociale - per ripensare i sistemi comunicativi e mediali, per costringerli a un dialogo
che non tollera forme di sbarramento e altezzosi isolamenti. [...] Il dialogo però non avviene in astratto;
assume piuttosto le condizioni tecnologiche, le interfacce, le strutture comunicative e anche le utopie
maturate nel contesto delle ICT come elemento costitutivo, come segno di discontinuità che delinea la
184
transizione a una nuova epoca delle forme comunicative umane” . Una transizione che il DTT non compie,
ma anzi ostacola apertamente.
A questo proposito, ci sembra opportuno proporre una distinzione teorica all’interno della logica della
rimediazione, che determina la forma del dialogo vecchi-nuovi media espressa da Marinelli: una
rimediazione secondo l’estetica digitale, e una rimediazione secondo la sua logica.
Nel primo caso il dialogo avviene su un piano formale, all’interno del quale la televisione opera una
trasposizione delle estetiche dei nuovi media all’interno dei suoi linguaggi: il narrowcasting, la tv on demand
185
trasformano i contenuti televisivi in file di un data base, navigabile attraverso le EPG , destrutturando così il
flusso televisivo. Lo stile a finestra, caratteristico per esempio dei tg, imita lo stile delle pagine web, ponendo

182
L. di Feliciantonio e M. Mezza 2004 op. cit. p. 113.
183
E’ del 20 novembre 2002 la sentenza della Corte Costituzionale n. 466 che dichiarava la «illegittimità costituzionale
dell'articolo 3, comma 7, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione della Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine
finale certo, e non prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003, entro il quale i programmi irradiati
dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al comma 6 dello stesso articolo 3, devono essere trasmessi esclusivamente via
satellite o via cavo». Dal sito dell’associazione italiana dei costituzioanlisti:
http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/materiali/speciali/messaggiociampi031215/index.html.
184
A. Marinelli Connessioni. Nuovi media, nuove relazioni sociali Milano 2004 p. 55.
185
Electronic Programs Guide.
la tv a cavallo tra immediatezza e ipermediazione: “Paradossalmente, lo stile a finestra, tipico del computer,
è più evidente in quei programmi che offrono una visione trasparente degli eventi in diretta [...] Questo
atteggiamento porta a quello che può essere chiamato ‘look CNN’, nel quale l’immagine televisiva del
conduttore è coordinata con la grafica e con una molteplicità di sottotitoli che integrano il flusso informativo,
186
così che l’emittente broadcast somiglia sempre più a un sito web o a un applicativo multimediale” .
La somiglianza, però, non è equivalenza: la televisione rimane, infatti, un mezzo broadcast, da uno a molti,
senza possibilità per l’utente di sperimentare le forme di attività e partecipazione che caratterizzano la rete, e
alle quali si è ormai abituato. L’iperteso chiuso del narrowcasting e della tv on demand permette solo
l’esplorazione di link predisposti dall’emittente, senza possibilità per l’utente di dare il suo contributo.
L’interattività che ne risulta è qualcosa di molto più simile al vecchio teletext, che all’ambiente di rete, che
dichiara, invece, di voler riprodurre; i contenuti tra i quali l’utente può navigare sono, infatti, informazioni circa
il programma in onda - orario di inizio, durata, titolo, breve descrizione - ridondanti rispetto ad altre fonti
mediali, per esempio la pagina dei programmi televisivi sui giornali quotidiani o il televideo. L’unico servizio
davvero innovativo sembra essere dunque il t-commerce, un servizio che su Internet ha ottenuto, dopo i
primi timori per la sicurezza dei dati, uno sviluppo notevole: basti pensare al numero e all’entità delle
transazioni on line, per esempio nel settore del trasporto aereo, dove la possibilità di acquistare
esclusivamente tramite internet ha determinato un abbattimento dei costi tale da far emergere un numero
elevatissimo di nuove compagnie.
Ci si chiede, tuttavia, quanto la tv si presti a un tale utilizzo: intanto perché è già disponibile dal medium
computer, dove è nato e continua a fiorire; e poi perché appare come un servizio decisamente lontano dalla
televisione, cui si richiede informazione e intrattenimento, più che la possibilità di acquistare beni o servizi.
Rischia insomma di essere solo un altro esempio di riproduzione pedissequa dei formati del web, lasciando
inalterato il meccanismo comunicativo e la natura della tv.
La rimediazione secondo la logica dei nuovi media mira, al contrario, a trasferire all’interno della televisione
le prassi e le modalità di fruizione tipiche dei nuovi media: l’interattività, non solo con la macchina, ma con gli
oggetti culturali nella loro forma di dati e, soprattutto, con gli altri individui-utenti. E’ possibile, oggi, trasferire
all’interno della televisione le caratteristiche fondamentali dei nuovi media, cioè la partecipazione alla
produzione e circolazione di immaginario e di conoscenza, e la creazione di formazioni sociali coese, le
comunità virtuali. Già nel 1995 Negroponte aveva intuito che la partita tv-pc si giocava su un piano diverso
da quello su cui si stavano muovendo le industrie: “Invece di pensare al prossimo passo nell’evoluzione della
televisione in termini di maggior risoluzione, miglior colore o più programmi, pensate a un cambiamento nella
distribuzione dell’intelligenza -o, più esattamente- allo spostamento dell’intelligenza, da chi trasmette a chi
187
riceve” .
La sfida consiste perciò nel decostruire il modello trasmissivo della televisione, nel sostituire l’allocuzione
con la conversazione, spostando e moltiplicando i centri di produzione, trasformando il pubblico, disperso e
anonimo, in una comunità di utenti attivi e partecipativi, che contribuiscono alla programmazione e al
palinsesto: trasformare il network televisivo in networking multimediale.
In questo modo si potrebbe venire a capo di quella crisi di legittimazione che investe in generale tutte le fonti
di enunciazione tradizionali, ma particolarmente la tv, in quanto concentrazione di poteri polico-economici e

186
J. D. Bolter e R. Grusin Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi Milano 2005 p. 222.
187
N. Negroponte Essere digitali Milano 1995 p. 10.
luogo in cui la produzione di realtà è affidata a gerarchie professionali consolidate ed isolate dal mondo delle
audience effettive. La televisione può riacquistare il suo ruolo di promozione dell’innovazione e della
coesione sociale, a patto di modificare la sua natura: cessare di essere una finestra sul mondo, per
diventare un’arena pubblica di discussione, una trasposizione del sociale sullo schermo, il racconto che la
società fa di se stessa.
Le logiche e le prassi che caratterizzano la rete, incontrando quelle televisive, creano un corto circuito
dovuto alle profonde differenze che intercorrono tra televisione e rete: “nel primo caso le regole sono quelle
dello spettacolo (della rappresentazione) e, quindi, di una piattaforma espressiva storicamente e socialmente
consolidata nel quadro delle estetiche di massa; nel secondo caso si tratta di una piattaforma espressiva più
complessa [...] Essa consiste soprattutto di relazioni sociali ad alto indice partecipativo, pratiche di
comunicazione da molti a molti, di vocazioni comunitarie, dunque di originali forme di autoproduzione,
autogoverno e connessione interattiva fra culture storicamente escluse dai modi tradizionali di produrre
188
realtà” .
Date queste condizioni di partenza, sembrerebbe impossibile una fusione e una sinergia tra due media così
lontani tra loro, quasi opposti; eppure è proprio questa decostruzione ed apertura la strada che la
rimediazione potrebbe percorrere per rivitalizzare la televisione e renderla competitiva nel nuovo panorama
digitale.
Una rimediazione secondo la logica dei nuovi media potrebbe, pertanto, fornire alla televisione due vantaggi
immediati: innanzitutto una legittimazione del medium, non più percepito come roccaforte del potere politico
o come abbassamento del livello culturale del suo pubblico, ma come luogo di incontro e scambio, come
aggregatore di comunità; in secondo luogo potrebbe condurre ad un’accelerazione del processo di
alfabetizzazione informatica presso quei settori della società familiarizzati al medium televisivo, ma ancora
poco disinvolti nell’uso dei media digitali. La rivoluzione democratica proposta dagli entusiasti del digitale
non può, infatti, non scontrarsi con le reali condizioni di esistenza del sistema mediale, con quell’intreccio di
fattori economici e politici che hanno lavorato congiuntamente nella definizione del DTT; occorre allora
domandarsi quale sia il vero fattore di democrazia, se la maggiore offerta (laddove si verifica) o la
partecipazione al dibattito pubblico.
La scelta di Nessuno tv come caso di studio dipende proprio dalla sperimentazione che l’emittente sta
compiendo in questa direzione: Nessuno tv è il primo caso di tv partecipata e di ibridazione tra logiche di rete
e logiche televisive, con l’obiettivo di sovvertire il paradigma comunicativo imperante nella società di massa
e fornire al medium televisivo nuova aderenza alla realtà del suo pubblico.
Lo studio si è avvalso dell’osservazione delle routines produttive e dell’offerta dell’emittente, analizzando in
particolare le realizzazioni concrete del progetto di apertura al pubblico: i programmi Blog Tv e Blog
Generation, e il film prodotto dall’emittente, “Le mie elezioni”. Particolarmente utili si sono rivelate le
conversazioni, riportate in appendice al presente volume, con l’amministratore delegato di Nessuno Tv,
Bruno Pellegrini, e con l’autore dei programmi oggetto dell’analisi, Marco Esposito.
L’osservazione si riferisce al periodo che va dal novembre 2005 al giugno 2006.

188
A. Abruzzese, citato in L. di Feliciantonio e M. Mezza 2004 op. cit. p. 20
3.2 2004 Odissea nello spazio: Nessuno va sul satellite.

Nessuno Tv nasce nel 2004 da un’idea di Bruno Pellegrini, ex produttore Rai, e Luciano Consoli, editore di
testate come LiberaL e il Riformista, e attualmente Presidente della rete. La sua fondazione si connota come
reazione alla crisi del panorama mediale italiano: “Nessuno nasce per mettere in discussione lo stato attuale
dei mezzi di comunicazione. Uno stato che vede un oligopolio politico-economico detenere il controllo dei
media e quindi dell’informazione. Noi crediamo invece che nessuno, ovvero tutti debbano avere il controllo
189
dei media” .
Nella sua prima fase, dal 2004 all’inizio del 2005 Nessuno Tv entra nel panorama mediale come società
190
fornitrice di contenuti per il canale Planet Tv di Sky ; la novità fondamentale di Nessuno tv consiste nella
produzione di programmi in diretta per i bouquet satellitari, “che non prevedevano altro fino a quel momento
191
che mandare in onda delle cassette registrate.” . Già in questa prima fase si distingue, dunque, per una
forte spinta verso l’innovazione, e per un’attenzione particolare allo sviluppo in profondità delle tematiche
politico-sociali: “Ci si rivolge a Nessuno non per avere l'ultima notizia prima degli altri, ma per capirla meglio
degli altri, per approfondire e dibattere temi ed eventi che altrove vengono bruciati in una giornata o più
192
spesso nemmeno trattati” .
La programmazione viene però interrotta, e l’emittente riorganizza la propria struttura produttiva: “i risultati
furono talmente buoni, che gli pseudo-editori di Planet decisero di rescindere d’arbitrio il contratto e di farsi
da soli la trasmissione. A quel punto si impose la scelta di prendere noi un canale satellitare per evitare di
sottostare a questo tipo di angherie”. Nel gennaio 2005 la Nessuno Tv s.r.l., proprietà di Bruno Pellegrini e
Paolo Rossetti, con la partecipazione di due società, la Data & Management e la lussemburghese Cored
Holding, inaugura un proprio canale satellitare, l’890 di Sky. Nonostante la soddisfazione per questa
guadagnata autonomia editoriale, la collocazione non rispetta i contenuti dell’emittente, finita tra i canali
pornografici; ancora oggi è perciò in lotta con Sky per l’assegnazione di un canale nella fascia dei 500,
riservata alle emittenti all news.
Dal punto di vista economico, si caratterizza come servizio pubblico gratuito, senza canone né pubblicità
commerciale. Il 70% dei finanziamenti sono pubblici, e provengono dal Fondo per le agevolazioni di credito
alle imprese del settore editoriale, istituito dalla legge n. 62 del 7 marzo 2001. Legge, questa, entrata
nell’occhio del ciclone in seguito all’inchiesta della trasmissione di RaiTre, Report, del 23 aprile 2006: è
sufficiente fondare un giornale, o un’emittente radio-televisiva, che figuri come organo di un movimento
politico, e dunque abbia l’appoggio di almeno due esponenti della politica (deputati, senatori, membri di
partito), per avere diritto al Fondo per il sostegno all’editoria. L’autore dell’inchiesta, Bernardo Iovene, mostra
come tale legge sia stata applicata a diverse testate, la cui natura di movimento politico risulta essere solo
193
un escamotage per ottenere il finanziamento . La cifra che lo Stato italiano spende annualmente è pertanto
194 195
passata dai 28 milioni di euro previsti dalla legge del 1981 , ai 667 milioni attuali . La legge Gasparri,

189
Bruno Pellegrini intervista a Punto.com disponibile sul sito:
http://www.altratv.tv/html/nessuno_tv.htm.
190
In questa prima fase produce programmi come Insider e A schiena Dritta, condotti da Giancarlo Santalmassi, ex
vicedirettore del Tg2 dal 1987 al 1993, e Turbo Tg, telegiornale satirico animato da Stefano Disegni.
191
Bruno Pellegrini, intervista in appendice.
192
Giancarlo Santalmassi sul sito di Nessuno Tv:
http://www.nessuno.tv/site/it/nessuno/istituzionale/cosa_facciamo.asp.
193
Giuliano Ferrara, fondatore del Foglio, nell’intervista parla di “trucco legale”.
194
Legge 5 agosto 1981, n. 416. Il testo è consultabile sul sito della Federazione italiana giornalisti:
infine, all’articolo 7, equipara i canali tematici a diffusione satellitare alle radio di partito, garantendone
l’accesso ai contributi di Stato.
Anche Nessuno Tv fa pertanto parte dei beneficiari del Fondo, non solo come canale satellitare, ma anche
come proprietaria della testata giornalistica “La tv di Nessuno”, organo di informazione dell’associazione
Ulisse, fondata dai senatori Franco Debenedetti (Ds) e Luigi Zanda (Margherita), per promuovere la libertà di
espressione e il pluralismo dell’informazione.
Un escamotage? “E’ giusto che lo Stato investa nella ricerca e nello sviluppo e nel pluralismo delle opinioni,
che sostenga diverse voci e progetti di ricerca e sviluppo nel campo dei media, e per questo motivo mi sento
abbastanza sereno di averli presi. Che poi il fine della legge fosse quello di dare dei soldi in più ai partiti
politici... in questo momento abbiamo trovato delle risorse per fare dei progetti che altrimenti non sarebbero
potuti essere finanziati, in quanto, per colpa di altre leggi, fatte ancora peggio di questa, il mercato
pubblicitario è strozzato e quindi non si può innovare in questo Paese, se non perdendoci un sacco di soldi
[...] Se non ci fossero non avremmo sperimentato la blog tv, non avremmo fatto la video partecipazione, non
avremmo creato un ambiente dove si può discutere di politica in modo diverso rispetto al precedente.”
(Bruno Pellegrini).
Insomma, senza pubblicità non per scelta, ma per necessità: “Il mercato pubblicitario, dove vede delle teste
e un posizionamento, in teoria dovrebbe investire perché ha dei ritorni sul tipo di audience che andrà a
cercare. Purtroppo il nostro mercato pubblicitario è in mano a due sole concessionarie di pubblicità e non è
culturalmente preparato a premiare progetti innovativi specifici, segmentati, di target”.
Con questo assetto Nessuno Tv inizia la sua avventura: la programmazione si arricchisce di altre
196
trasmissioni di approfondimento , con un’offerta basata sull’attualità e sul talk show. Una scelta che ha due
motivazioni principali: la prima è il target di riferimento, un pubblico di età compresa tra i 25 e i 45 anni, la cui
necessità di informazione non è soddisfatta dai media mainstream; la formula del talk show consente di
fornire questo servizio puntando sull’approfondimento anziché sulla novità, mantenendo, ed è questa la
seconda motivazione, costi bassissimi.
E’ in questa seconda fase che parte anche il progetto Blog-Tv, cui segue Blog Generation. Sono le
esperienze più innovative, che tentano di ripensare la natura stessa della televisione tradizionale: “Come
fosse un contatto tra due pianeti, o una fusione nucleare, stiamo assistendo ad un fenomeno unico di
contaminazione tra due media e di fusione tra due linguaggi molto diversi. Uno estremamente codificato,
burocratico, centralizzato, obsoleto come quello televisivo. L’altro anarchico, destrutturato, diffuso e molto
innovativo come quello dei blog” (Bruno Pellegrini).
Vediamo allora qual è il nuovo fluido che si ottiene dalla fusione tra blogosfera e mediasfera e come è stato
possibile realizzare questa ibridazione.

http://www.gusnazionale.org/Leggi/legge_editoria.htm.
195
Il testo e il filmato dell’inchiesta sono disponibili sul sito della trasmissione,
http://www.report.rai.it/R2_popup_articolofoglia/0,7246,243%255E90227,00.html.
196
Come Reporter, condotto da Paolo Mondani; ControAdinolfi, di Mario Adinolfi; EffeDi, di Franco Debenedetti; Presa
Diretta, di Aldo Torchiaro.
3.3 Multimedialità allargata e copy left

Il progetto di apertura della televisione al pubblico e alle logiche di rete non sarebbe stato possibile senza
una revisione dei confini del medium televisivo e delle sue peculiarità. Il processo di convergenza è stato
pertanto affrontato non in senso centripeto, come nel caso del DTT, ma in senso centrifugo, prendendo la
forma che abbiamo definito multimedialità allargata: non un unico apparecchio di ricezione che riassume in
sé tutte le funzioni, ma molteplici supporti mediali sui quali distribuire e “spalmare” l’offerta dell’emittente.
“Limitarsi a un unico medium poteva essere una strategia efficiente quando questo medium era egemone e
poteva influenzare l’opinione pubblica; ma anche in quel tempo lì, le campagne di comunicazione, piuttosto
che i progetti e i format, i programmi più efficaci, erano quelli che riuscivano in qualche modo a sfruttare e a
fare leva sulle caratteristiche dei diversi mezzi [...] C’è sempre stata una strategia del multimediale, tanto più
oggi. Quello che si sta facendo non può essere ridotto a occupare uno spazio televisivo [...] il progetto
comunicativo deve saper sfruttare efficientemente tutti i diversi mezzi che sono a disposizione per
massimizzare il proprio valore”.
Oltre che dal satellite, Nessuno Tv è perciò fruibile in streaming dal web: tramite un link sull’home page del
sito è possibile scaricare sul proprio computer (o qualunque altro device connesso alla rete) il software
peercast; terminato il download inizia in automatico lo streaming.
Il limite della trasmissione su internet è principalmente dovuto alle ancora consistenti carenze di copertura
197
del territorio delle tecnologie adsl o fibra ottica: a fine 2005 c’erano in Italia 6,7 milioni di connessioni adsl ,
che arrivavano a 7 milioni con le altre tecnologie di accesso, essenzialmente la fibra ottica; nonostante il
numero di utenti continui a crescere, il rapporto Anfov colloca l’Italia in posizione di inferiorità rispetto agli altri
198
paesi Ocse, dopo la Spagna e subito prima del blocco costituito dai Paesi dell’Est Europa . E’ un problema
cui si dovrà presto dare soluzione per colmare il digital divide, ormai considerato da governi e organizzazioni
internazionali una limitazione dei diritti della persona nella società dell’informazione. Come affermato un po’
enfaticamente da Marco Esposito durante la nostra intervista: “Un pc non connesso a Internet è un pc morto.
Io ritengo che l’adsl dovrebbe essere un diritto garantito dalla costituzione”.
Purtroppo, però, il problema esiste, così come esiste una scarsa penetrazione del satellite: non tutti sono
infatti disposti a pagare per contenuti televisivi che, sebbene più pregiati, sono offerti gratuitamente dalla tv
analogica.
Per questo Nessuno Tv trasmette, tramite accordi di syndacation, anche sulle reti locali terrestri; oltre ad
avere rapporti ormai consolidati con la maggior parte delle reti locali italiane (circa trenta), i programmi sono
messi a disposizione di qualunque emittente ne faccia richiesta: basta inviare un’e-mail alla redazione con il
programma e la puntata desiderati, per ottenerla senza costi.
Tutti i programmi dell’emittente sono infatti copy-left: la logica e la cultura di rete rompono così uno dei
capisaldi del mercato televisivo, la proprietà dei programmi e dei contenuti prodotti o acquistati dall’emittente.
Abbiamo visto come la logica di mercato, soprattutto nel terreno dei contenuti premium, abbia creato un
rialzo dei prezzi che ha letteralmente tagliato fuori dalla competizione nuovi soggetti, annullando di fatto la
promessa del digitale di moltiplicare le voci nel mediascape.

197
Rapporto Anfov, Affari & Finanza 19/06/06 anno 21 n. 23
198
Rapporto Anfov, disponibile sul sito http://www.anfov.it/.
La logica del copy-left non cerca il profitto, né l’esclusiva sui prodotti, ma crea ugualmente valore:
innanzitutto permette di avere una visibilità non relegata ad un solo medium, o ad un solo canale, ma estesa
all’intera filiera dell’industria audiovisiva; attraverso una politica del marchio, che renda riconoscibile il
contenuto come prodotto da Nessuno Tv, si ottiene un tipo di marketing molto efficace, senza costi aggiuntivi
rispetto a quelli della creazione del programma. In secondo luogo permette di instaurare un rapporto
fiduciario con il pubblico e con i partner degli accordi, basato sulla percezione di un interesse non economico
al progetto editoriale, ma in qualche modo etico: diffondere la voce di nessuno, e quindi di tutti, è un valore in
sé, così come, lo abbiamo visto parlando della nascita di Internet, per la cultura hacker l’innovazione e la
partecipazione al miglioramento del sistema sono scopi che non hanno bisogno di motivazioni economiche.
Già in questa impostazione è ravvisabile, dunque, una rimediazione della tv che accoglie le istanze della
cultura di rete, sovvertendo il paradigma televisivo.
Ci rendiamo conto della difficoltà di applicare un tale modello industriale a realtà non finanziate da fondi
pubblici, realtà che hanno dunque necessità di creare profitti per produrre contenuti di qualità. E’ pur vero
però che l’abbattimento dei costi legati alla produzione audiovisiva è ormai una realtà, in particolare per
quanto riguarda l’hardware: telecamere, work station per il montaggio e la post produzione hanno costi
minimi se comparati con quelli dell’analogico; la multimedialità allargata elimina la necessità di
un’infrastruttura invasiva e costosa, totalmente a carico dell’emittente. Solo la necessità di preservare
professioni e tecnologie già esistenti sta rallentando una trasformazione per la quale esistono già le
condizioni tecnologiche. Pur riconoscendo, dunque, la difficoltà di applicazione alla realtà industriale,
riteniamo che il copy-left applicato ai contenuti televisivi sia un primo passo verso la sua rimediazione
secondo le logiche dei nuovi media.
Un’altra piattaforma di trasmissione è la radio: attraverso un accordo con Radio Città Futura ed EcoRadio,
199
alcuni programmi sono registrati negli studi radiofonici, e mandati in onda su entrambe le piattaforme. Il
risultato è una radio che si guarda e una tv che, finalmente, si ascolta: l’approfondimento della radio e la
visibilità dello speaker arricchiscono il linguaggio dei due media, e ne ampliano la diffusione.
Anche qui le opportunità, oltre che di linguaggio, sono di visibilità e di richiamo per un pubblico diverso da
quello televisivo: l’ascoltatore radiofonico assiduo potrebbe, infatti, decidere di fruire quello stesso contenuto
su un medium differente da quello cui è abituato; vedere lo speaker mentre conduce la trasmissione e
decidere, in seguito a questa esperienza, di dedicare parte del suo consumo mediale a Nessuno Tv. Il fatto
poi che Mario Adinolfi, conduttore di Reporter, abbia un’altra trasmissione autonoma su Radio Città Futura in
un altro orario, ed un’altra ancora su Nessuno Tv, permette di creare un’osmosi tra audience dei due media,
sostituendosi alla lotta per l’attenzione che i media affrontano quotidianamente gli uni contro gli altri.
Anche questo approccio non è che una trasposizione televisiva della logica del linking tipica della cultura di
rete, e in particolare del blog: la strategia dell’emittente non punta alla permanenza del pubblico sul proprio
canale, ma al suo movimento da una piattaforma all’altra, da un canale all’altro, senza temere la
concorrenza tra emittenti e media diversi, ed anzi, alleandosi per una copertura diffusa del mediascape.
Ma il partner più rilevante è, senza dubbio, Il Cannocchiale, piattaforma blog del quotidiano Il Riformista: è
attraverso la sinergia tra comunità di blogger ed emittente, che Nessuno Tv può procedere con il suo
programma di contaminazione e apertura della televisione ai linguaggi e agli utenti della rete.

199
Reporter e Stampa e Regime.
La collaborazione nasce nell’ottobre del 2005 per rendere possibile la realizzazione di Blog Tv: per ottenere
l’adesione dei bloggers, Nessuno tv si allea con Il Cannocchiale, che nel frattempo mette a disposizione la
possibilità di inserire dati audio-video, trasformando alcuni dei suoi blog in vlog. L’accordo non è di natura
commerciale: “E’ una collaborazione gratuita che porta audience e bloggers a noi e nuovi bloggers a loro; Il
Cannocchiale ha molte iniziative, per esempio l’inserto cartaceo su Il Riformista; diciamo che così hanno
anche l’inserto televisivo”.
L’home page della community ha una sezione dedicata alle notizie di Nessuno: il lancio di Blog Tv prima e
Blog Generation poi, le richieste di adesione per il film, il tema della puntata di Blog Generation. E,
ovviamente, il link www.nessuno.tv. Anche questo non fa che allargare l’audience della tv, e inoltre, crea un
contatto con il mondo del blogging.
Un ultimo partner fondamentale è Digital Magic che ha fornito MyCast, un sistema di comunicazione per la
video partecipazione del pubblico di Blog Generation.
Con questo impianto concettuale e con questa strategia pervasiva, Nessuno Tv si avvia verso la
sperimentazione della televisione partecipata.

3.4 Dal blog al blob: i video dei vloggers dalla rete al satellite.

Introdotto da una breve sigla, accompagnata da una grafica accattivante, Blog Tv è una finestra sul mondo
della produttività delle audience: i video in onda sono i video estrapolati dai vlog della rete, prodotti e postati
dagli autori dei vlog stessi.
Provenendo dall’ambiente di rete, i video recano con sé le tracce di questa genitura, profondamente diversa
dallo stampo che da forma ai contenuti televisivi: la trasfusione di frammenti audiovisivi, originariamente
dislocati lungo una miriade di nodi-individui, nella scatola televisiva, modifica completamente la loro natura e
il loro significato; in questo salto le possibilità di innovazione dei linguaggi di entrambi i media sono
potenzialmente infinite, dipendenti solo dalla fantasia dei video maker e degli autori televisivi, nella
combinazione e ricombinazione dei file, nel gioco con la loro duplice natura, di dato informatico e oggetto
culturale.
E’ attraverso questa esperienza che Nessuno Tv propone un modo nuovo di intendere la tv e il suo pubblico:
non una massa amorfa da catturare, ma un insieme di individui impegnati nella manipolazione di oggetti
mediali, nella produzione di immaginario, e in grado, quindi, di partecipare al palinsesto e alla
programmazione dell’emittente: “Blog tv è un’estrema contaminazione dei mezzi, non tanto nella fase
distributiva, che sinceramente mi interessa anche meno, quanto nella fase produttiva e creativa, che invece
è la nuova novità; da tempo le tv distribuiscono i propri programmi su internet, però fatti così, per la
televisione e poi messi a disposizione di tutti su internet o sulle cassette. La vera novità è la fase produttiva e
creativa: per la prima volta le persone sono state abilitate a fare comunicazione audio video con le due lire
della telecamera che c’ho davanti” (Bruno Pellegrini).
La nascita di Blog Tv è stata anticipata, come accennavamo sopra, dall’evoluzione della piattaforma di blog
Il Cannocchiale, in piattaforma per il vlogging: questo ha creato le premesse perché nuovi video maker
nascessero all’interno della comunità, dunque in un ambiente già fortemente coeso e caratterizzato dallo
scambio gratuito delle proprie produzioni.
L’accordo tra Nessuno Tv e Il Cannocchiale ha fatto sì che l’emittente avesse un accesso privilegiato alla
comunità, effettuando una campagna di marketing dall’interno: il fatto che fosse la piattaforma stessa a
promuovere il progetto di Blog Tv ha reso più semplice la conquista della fiducia dei vloggers e più efficace
la comunicazione del progetto.
Dal punto di vista legale, sia i vlogger che l’emittente sono tutelati dalla firma di una liberatoria nel momento
in cui l’utente decide di partecipare alla trasmissione: “E’ una liberatoria che consente di trasmettere i video
senza incorrere in rischi di violazione del copyright, e allo stesso tempo è un’assicurazione per Nessuno tv
200
che questi contenuti non vengano venduti a terzi in esclusiva” .
Il programma consiste in un’ora giornaliera di Blog Tv italiana, suddivisa in quattro blocchi da un quarto
201 202
d’ora . I video vengono trasmessi sul satellite e archiviati per tutta la giornata sul sito di Nessuno Tv ,
dove i vlogger possono controllare se sono stati selezionati e a che ora saranno messi in onda.
La sequenza dei video non segue una struttura narrativa, ma si abbandona all’eterogeneità che caratterizza
la blogosfera; abbiamo visto come il blog sia un oggetto mediale di natura particolare, non classificabile per
generi (anche se ci sono certamente dei temi e delle issues privilegiate in ognuno), ma intorno alla
personalità dell’autore: “un blog è un’applicazione del network sociale che rappresenta l’elemento singolo del
203
sistema: l’individuo” . Sono i suoi interessi, la sua personalità, le sue opinioni sul mondo, che determinano i
contenuti del blog. Questo fa sì che ogni video che compone Blog Tv non sia parte di un plot: la puntata non
è un racconto, ma una raccolta di frammenti, il cui significato è racchiuso tra l’inizio e la fine del singolo
video; il video successivo non assume un significato nuovo o aggiuntivo rispetto al precedente, ma racconta
un’altra storia, con codici e linguaggi propri, e registri comunicativi totalmente differenti.
L’estetica del data base entra prepotentemente a contaminare la narrazione televisiva, tradizionalmente
lineare, destrutturandola in un flusso audio-video sconnesso e scomposto. Potremmo dire che BlogTv
realizza una trasformazione del blog in blob, un fluido mediatico che invade lo schermo, privo di forma e di
204
confini . Opinionisti, media attivisti locali, lezioni di cucina, consigli e informazioni sul mondo
dell’alimentazione vegana e biologica; ma anche cortometraggi, racconti di viaggio, remix di immagini
registrate dalla televisione, da film o scaricate dalla rete: Blog tv è tutto questo.

200
Marco Esposito, intervista in appendice.
201
I primi due blocchi vanno in onda dalle 19,15 alle 19,30 e dalle 20,15 alle 20,30, inframezzate da Presa Diretta e
seguiti da ControAdinolfi, programmi di punta dell’emittente, attribuendo dunque a Blog Tv una funzione di traino; un
altro inserto è a chiusura di Blog Generation, dalle 18,20 alle 18,35 e presenta un quarto d’ora di blog tv internazionale
(soprattutto statunitense); poi dalle 23 alle 23,30 c’è un’altra fascia di blog tv italiana.
202
I video sono elencati in una colonna a destra della home page con fermo immagine del video, titolo, indirizzo del blog
da cui proviene e ora di messa in onda; ciccando sul fermo immagine è possibile vedere il filmato; non è invece possibile
scaricarlo, per rispettare l’accordo stabilito alla firma della liberatoria.
203
Peter Kaminski, http://peterkaminski.com/archives/000219.html.
204
Nella puntata del 7 giugno 2006, per esempio, la sequenza dei video segue questo ordine: Retracto, un video di
Wouq che presenta il progetto di una rivista d’arte; Skeleton Gig, di Ledz, che mostra lo spettacolo di strada di un
burattinaio; Donna Estate, di Drogamaro, un video realizzato in grafica 3D; Casa Batillò, di Beginning with I, il video del
suo viaggio in Spagna; Grazie, di Lilly Davis in cui l’autrice si pronuncia a favore del ponte sullo stretto di Messina; Il
curato di campagna, di Maurizio Dovigi, che riporta l’opinione del vlogger sull’ultima riunione dell’esecutivo; Sindaco di
Gela, di Comunicalo, un video informativo, realizzato sullo stile dei servizi giornalistici, sull’esternazione del Sindaco a
proposito dell’ultimo video game sulla mafia, Il Padrino; Il corvo Joe, di BlogBlob, un cortometraggio di ottima qualità
tecnica; La squadra di Antonio Masotti, in cui le immagini della riunione di governo del 4 giugno 2006, tratte dal tg2, sono
commentate dalla radiocronaca di una partita di calcio; in questo modo l’autore realizza un’associazione tra la
formazione della squadra di governo e l’azione sul campo di una squadra calcistica, proponendo una lettura ironica degli
avvenimenti di politica interna.
Per comprendere l’eterogeneità dei contributi, facciamo alcuni esempi più concreti; sceglieremo due autori,
particolarmente significativi per il numero di passaggi televisivi ottenuti, tanto da sancirne lo status di blogstar
di Nessuno Tv: Maurizio Dovigi e Antonio Masotti.
205
Maurizio Dovigi ha un vlog (anzi, tiene a specificare di essere stato il primo in Europa ad averne aperto
uno) dal novembre 2003, e un archivio video, perciò, decisamente consistente. I suoi video hanno una
durata media di circa tre minuti, e consistono in una sorta di editoriale sui temi di attualità più dibattuti.
L’interpretazione di Dovigi del Vlog è pertanto una traduzione nel linguaggio audiovisivo del post
tradizionale, verbale: come il post è l’opinione dell’autore, la sua visione su un tema oggetto di discussione,
più in generale il suo “pensiero del giorno”, così il video-post è questa stessa opinione, da lui espressa
davanti a una telecamera; la riconoscibilità dell’autore, che sul blog è data dal contesto di lettura, nel video
viene conservata mostrandone il volto. Questa tipologia di vlog può essere letta come esemplificativa del
discorso sulla performatività delle audience, e degli individui in generale, nella società post moderna: le
tecniche oratorie, l’espressività e la persuasione del public speech sono incorporate e fatte proprie; l’uomo
comune, il nostro Leo Bloom italiano, si trasforma nel leader d’opinione, il cui vlog conta ben 185.699
206
visite , e i cui video hanno ulteriore risonanza nella messa in onda sul satellite. L’individuo, da ascoltatore,
si fa attore: la sua esistenza è vissuta come continua performance di fronte a un pubblico, come messa in
scena della propria personalità, del proprio pensiero. Ben lungi dalla condizione di anonimato della società di
massa, la società performativa si compone di individui-attori i cui pensieri e le cui sensazioni assumono
narcisisticamente la rilevanza accordata alle elite intellettuali o ai membri dello star system.
207
Il secondo caso, Antonio Masotti , si differenzia dal primo per l’uso che fa del linguaggio audiovisivo e per
il significato che attribuisce ai video-post: i suoi lavori, anch’essi di durata molto breve, circa due minuti, sono
un remix di spezzoni video tratti dai telegiornali nazionali, da trasmissioni in onda sulla tv in chiaro, da film
celebri o da video trovati sulla rete. Il significato del video nasce dalla giustapposizione di tre differenti
linguaggi: il montaggio, che stabilendo una corrispondenza semantica tra i singoli spezzoni e la loro
successione, stabilisce già un primo livello di significato; la musica, o gli effetti sonori, sono un ulteriore
canale di comunicazione che indirizza la lettura del video; il linguaggio verbale, attraverso l’uso di titoli in
sovraimpressione, infine, completa e esplicita il senso che l’opera vuole complessivamente comunicare.
Questa tecnica di produzione ricorda il bricolage e il cut up, che avevamo descritto a proposito della
produzione sottoculturale: gli oggetti di consumo (compreso il consumo culturale), sono estrapolati dal loro
contesto tradizionale e caricati di nuovi significati. Con il fandom l’estetica dell’uso, come concettualizzato da
De Certeau, diventa il motore per la produzione di narrazioni seconde a partire dai testi veicolati dai mass
media: il cross-over, il riallineamento morale, la rifocalizzazione sono tutte strategie testuali che mirano a
decostruire il senso originale e a raccontare storie diverse da quelle diffuse nel sistema mediale. Ma anche il
media attivismo si basa sulla stessa logica, decostruendo tramite il subvertising e il detournément i significati
ideologici celati nel senso comune, facendone così esplodere le contraddizioni. I video di Masotti usano e ri-
usano frammenti video provenienti da telegiornali, film e documentari in chiave ironica, e sono perciò
riconducibili a un uso del vlog come riappropriazione della semiosi, come affermazione di un significato altro
rispetto a quello diffuso dalla mainstream culture.

205
http://nofilter.splinder.com/.
206
Dato riferito al 3 giugno 2006 .
207
http://antoniomasotti.ilcannocchiale.it/.
Attraverso le sue diverse anime, Blog Tv porta in televisione la frammentarietà e le estetiche dei nuovi
formati: brevi, visivamente “sporchi”, basati sul remix di materiale pre-esistente o sulla autorappresentazione
narcisistica degli individui performers.
Ma ancora più importante, porta in tv la performatività del pubblico, che trova un suo canale di visibilità al di
fuori della rete. La televisione diventa uno spazio di libera espressione nelle mani del pubblico, un luogo in
cui l’immaginario si diffonde e procede in senso inverso rispetto al percorso tradizionale: dal corpo sociale,
attraverso una molteplicità di canali, giunge al centro di irradiazione televisiva, per poi diffondersi e ritornare
al punto di origine. E ricominciare il suo percorso di riscrittura e commento.
Forse, per una volta, l’affermazione “è quello che il pubblico vuole” ha un suo fondamento.

3.5 Blog Generation: un nuovo pubblico nella tv.

Blog Generation è un programma interamente dedicato al mondo del blogging. Il format è quello del talk
show: un argomento di discussione viene lanciato all’inizio della trasmissione tramite un filmato che ne
spiega i punti fondamentali, e alcuni ospiti iniziano un dibattito moderato dal conduttore. Fin qui niente di
nuovo.
La particolarità del programma sta nella tipologia di ospiti, nella modalità della loro partecipazione e nella
scelta del tema di discussione.
Sono infatti i bloggers che vengono invitati a partecipare e commentare la notizia in trasmissione: tramite le
web cam e un sistema di comunicazione, che l’utente attiva da un link sull’home page, i bloggers possono
intervenire di persona al dibattito, dire la loro come fosse un post sul proprio blog.
Lo studio, molto piccolo e semplice, sembrerebbe uno studio virtuale: il conduttore è seduto su uno sgabello,
e alle sue spalle troviamo una parete con due piccoli monitor-oblò, sui quali appaiono i filmati oggetto del
dibattito e i volti degli spettatori che partecipano alla trasmissione. Il conduttore introduce gli interventi e
dialoga con i partecipanti, ma l’aspetto più interessante è senza dubbio il dialogo che gli stessi video
partecipanti intrattengono tra loro, replicando l’uno alle affermazioni dell’altro, precisando, rispondendo.
In questo modo un formato ormai classico della tv, quale il talk show, si rinnova a partire dal superamento
dei suoi limiti strutturali: la partecipazione del pubblico nel classico talk è, infatti, limitata alla partecipazione
in studio, “delle cattedrali nel deserto di Cologno Monzese o di Saxa Rubra, dove vengono deportati con
degli autobus”; l’alternativa, cioè la partecipazione tramite telefono, non permettendo la presenza fisica
dell’interlocutore, ne sancisce in qualche modo l’inferiorità rispetto al conduttore e agli ospiti in studio: ha un
tempo di intervento limitato e una qualità decisamente scarsa rispetto a un collegamento video, che
permette di usare anche la comunicazione non verbale. “La video partecipazione è più congeniale al mezzo
televisivo, al contrario della telefonata, è un modo di arricchire la trasmissione; inoltre quando è l’utente
semplice a collegarsi, succedono sempre cose carine: il passante che si incuriosisce, la telefonata dall’amico
sul cellulare dell’utente collegato con noi...”.
La visibilità del pubblico determina l’emergere di leader d’opinione, persone la cui partecipazione è un
appuntamento fisso, che si trasformano in veri e propri personaggi televisivi: “Se tu riesci a creare il
personaggio, la trasmissione ne guadagna: è come se avessi un ospite fisso. Timoteo per esempio è
giovane, spontaneo e diretto, mentre molti ripropongono modalità di intervento più tradizionali. Chi è più
spontaneo può invece risultare più simpatico, più alla portata”. Anche in questo caso una grande spinta alla
partecipazione è il narcisismo e la voglia di identità forti e riconosciute: diventare personaggio televisivo è
alla portata di tutti, basta volerlo; le adesioni in trasmissione dimostrano quanto un tale desiderio sia diffuso.
Il tema della trasmissione è il mondo del blog e la blogosfera, un argomento ancora poco conosciuto al di
fuori della comunità. Per questo la strategia dell’emittente ha puntato su un’evoluzione del programma in due
fasi: “La prima è stata quella settimanale, che è andata avanti da metà ottobre 2005 fino ad aprile 2006 […]
In questa fase abbiamo scandagliato il mondo dei blog, è stato come se li avessimo accompagnati verso la
conoscenza di questo nuovo mondo: abbiamo spiegato prima cosa è un blog, perché i blog potevano essere
rivoluzionari. Anche perché altrimenti sarebbe stato incomprensibile per chi ci avesse seguito”. In questa
prima versione gli ospiti non sono solo bloggers, ma “esperti” invitati dalla redazione, presenti in studio o
raggiunti da tradizionali collegamenti televisivi via satellite.
Il programma nasce, dunque, inizialmente come un’esplorazione e un’analisi di questo nuovo strumento di
comunicazione, di cui si intravedono subito le potenzialità rivoluzionarie. Terminato il processo di
familiariarizzazione con l’oggetto blog, si è passati perciò alla seconda fase: “La fase del quotidiano, più
corto, dura 20 minuti ed è completamente diverso come format: in studio siamo io o Bruno e le web cam e
basta, cosa che era successa solo una volta in BG settimanale. Sono tre, quattro anche cinque interventi a
puntata, a seconda di quante persone intendono video partecipare”.
E’ in questa seconda fase che il contatto tra blog e tv si fa più interessante, poiché può abbandonare
l’argomento blogging dal punto di vista tecnico-teorico, ed affrontarlo nelle sue manifestazioni concrete,
mutuarne i meccanismi e le logiche: dal racconto del blog, alla pratica del blogging. Vediamo come.
A differenza del classico talk, i temi del dibattito non sono decisi dalla redazione e calati dall’alto, ma
individuati dai bloggers stessi attraverso i loro percorsi in rete. Come abbiamo visto analizzando il blog, ogni
post ha un indirizzo univoco (permalink), denominato con un tag, grazie al quale programmi detti aggregatori
(Technorati in testa), possono stabilire una classifica dei blog più visitati e, soprattutto, dei post più linkati.
Questo consente di monitorare la blogosfera e palesare quali sono i movimenti degli utenti al suo interno: la
notizia più letta, il blog più seguito, il post più commentato. La redazione di Nessuno tv recupera questa
notizia e la propone al suo pubblico, portando il dibattito dalla realtà virtuale della blogosfera a quella quasi-
reale della mediasfera: “ogni giorno c’è un tema tratto da uno degli argomenti che hanno ricevuto il rank
208
maggiore secondo Technorati; la trasmissione si chiude invece con una pillola dedicata alla piattaforma
del Cannocchiale, in cui si parla di un post in particolare della giornata, cercando di sceglierne uno
particolarmente commentato e raccontandolo con un tono abbastanza leggero”.
In questo modo la tv diventa l’altra faccia, il complemento, di Technorati: mentre il sito, infatti, coagula il
variegato mondo dei blog intorno a parole chiave, eliminandone le sfaccettature e annullando le singole
posizioni, Blog Generation compie il percorso inverso, riproponendo la scomposizione della notizia nelle voci
che l’hanno resa tale; dalla notizia si ritorna così al fatto, e da questo alle opinioni e alla conversazione, che
arricchiscono la notizia stessa, riconducendola alla sua matrice fondamentale, cioè la componente umana, la
soggettività degli individui.
Questo consente una maggiore rappresentatività del dibattito rispetto alla realtà, rompendo il circolo vizioso
dell’autoreferenzialità, che troppo spesso caratterizza i talk show televisivi: la notizia è stata valutata e
trattata dal pubblico, e sarà da lui dibattuta e sviscerata; la mediazione dell’emittente è la condizione che

208
Breve servizio costituito, in questo caso, da una grafica che riproduce la pagina di un blog e il post di cui si parla, letto
da una voce fuori campo, lo speaker.
consente di mettere in contatto gli interlocutori al di fuori di internet. Bruno Pellegrini la vede così: “Chi ci
guarderà sul satellite o sul mobile in quel momento non è al computer, e magari vuole e ha bisogno di
sapere nell’altro mondo, quello che lui visita quattro o cinque volte al giorno, cosa sta succedendo: è un
servizio”.
Come per i video di Blog Tv, infine, la conversazione e la circolazione della notizia non si fermano alla
trasmissione televisiva, ma continuano il loro percorso nei gangli del sistema mediale, tornando in rete. La
trasmissione tv è infatti accompagnata da un suo blog sul Cannocchiale, dove gli utenti possono trovare ogni
mattina il tema di discussione della puntata pomeridiana e l’archivio delle puntate sotto forma di post:
209
“Questa pillola finisce poi sul blog della trasmissione, e questo fa aumentare il giro della community: io
lascio un commento a quel post, creando il dibattito intorno all’argomento; tutta la comunità conosce la
trasmissione, quindi va sul blog e commenta la pillola speakerata e questo aumenta la comunità intorno alla
trasmissione”.
Questo gioco di attraversamento di territori mediali diversi, garantisce a Nessuno un feedback continuo e
una crescita esponenziale del proprio pubblico: non dimentichiamo che i blogger sono in primo luogo autori,
ed hanno pertanto un loro pubblico, presumibilmente a sua volta autore. La strategia di sconfinamento della
tv nella rete determina, perciò, un circolo virtuoso in cui il pubblico può crescere proporzionalmente alla
crescita della comunità blogger: che abbiamo visto proseguire con ritmi sorprendenti (vedi Fig. p.).
In un frammento temporale di circa mezz’ora, la televisione apre le porte-monitor al disordinato mondo delle
audience effettive, permettendo di mostrarne la competenza (sia culturale che tecnologica), e la voglia di
partecipare alla realtà, altrettanto disordinata, in cui viviamo. Ma, soprattutto, la rottura dei confini televisivi e
la creazione di una presenza dell’emittente in rete, consentono di estendere l’attenzione del pubblico ben
oltre la mezz’ora di programma, trasformando l’esperienza di guardare la televisione, nell’esperienza di far
parte di una comunità di autori-lettori continuamente in dialogo tra loro: la tv non è più un sistema di
allocuzione, ma un luogo di conversazione.

3.6 Le mie elezioni: smart mobs e networked-cinema

L’ultimo esperimento di casa Nessuno Tv unisce televisione e rete in un viaggio verso la contaminazione di
un ulteriore territorio mediale, il cinema. “Le mie elezioni” è il primo film interamente costruito a partire dai
contributi video dei vloggers italiani, chiamati da Nessuno e dal Cannocchiale a documentare le due giornate
di elezioni politiche dell’aprile 2006.
Lo scopo del progetto era produrre un documentario che raccontasse un momento molto delicato della
società italiana, colpita da tensioni sul piano politico tali da rendere questa tornata elettorale particolarmente
importante, soprattutto per quanto riguarda la libertà di informazione e il sistema dei media.
Il progetto è stato lanciato dall’emittente nei mesi precedenti le elezioni attraverso un banner, sia sul sito di
Nessuno tv che su quello del Cannocchiale, che invitava i vloggers, e i video-maker in generale, a filmare,
con qualunque mezzo, dalla telecamera professionale ai videofonini, tutto ciò che potesse descrivere
l’atmosfera pre-elettorale: le sensazioni degli italiani al voto, le loro opinioni circa il governo in carica e
l’opposizione, le speranze per il futuro. L’iniziativa ha ricevuto subito un gran numero di adesioni: “Il film è

209
Il post selezionato dal Cannocchiale con cui si conclude la puntata.
arrivato al momento giusto, nel senso che era un anno esatto dall’inizio della blog tv e quindi avevamo un
buon numero di vloggers che potevano partecipare, eravamo già sopra i 100. Poi l’evento ha permesso di
estendere la partecipazione ad altri bloggers che non avevano mai lavorato con noi [...] E’ stato un momento
decisivo, siamo cresciuti di numero, siamo passati da 100 a 150”.
Il materiale è stato quindi raccolto dall’emittente che, con la direzione del regista Stefano Mordini, ha
selezionato, tra le centinaia pervenuti, i contributi più significativi: “E’ stato un lavoro molto stressante, perché
i filmati erano tantissimi e concentrati su due giorni; la scelta definitiva è spettata a Stefano, il mio compito
era coinvolgere e far partecipare più possibile i vloggers e raccogliere il materiale, scremarlo dicendo a
Stefano cosa si poteva aspettare da ogni filmato. Prima di dargli il materiale gli avevo illustrato un po’ tutti i
nostri blogger: che tipo di video facevano, come sapevano usare la telecamera e devo dire che tra alcuni di
loro ce ne sono di veramente bravi”.
I vloggers, coordinati dall’emittente, si organizzano, e da comunità di individui, che procedono
210
parallelamente ma individualmente, diventano una smart mob : come gocce d’acqua, si insinuano per due
giorni tra gli spazi delle manifestazioni, tra le cabine elettorali; scivolano nei bar e chiedono opinioni,
commenti, riflessioni, anticipazioni. Gli italiani si prestano al gioco: rilasciano interviste, dichiarazioni di voto,
speranze e timori per il futuro.
La qualità tecnica delle immagini è secondaria rispetto ai contenuti e alla drammatizzazione operata dal
montaggio e dalla traccia audio. Ma soprattutto passa in secondo piano rispetto alla ricerca del realismo,
della spontaneità di un racconto fatto dai protagonisti: mentre giornali e telegiornali si affannano a riportare le
dichiarazioni dei candidati e dei partiti, le dispute e le proiezioni sull’esito delle votazioni, questo film sposta il
palcoscenico, da quello dei candidati, a quello degli elettori.
Il risultato è una fotografia dell’Italia contemporanea composta da tante voci, un film corale, successione di
micro-racconti che, come in un puzzle, solo nella perfetta unione dell’uno con l’altro, mostrano un’immagine
completa: “Con due lire e con lo sforzo di tutti siamo riusciti a fare un documentario che nessun altro network
ha fatto, dando una reale e veritiera rappresentazione di quello che è successo”.
“Le mie elezioni”, selezionato al Bellaria film Festival, è un esperimento di networked-cinema, che capovolge
le regole della produzione cinematografica: nonostante l’organizzazione industriale del film abbia bisogno di
una divisione del lavoro che chiama in causa diverse professionalità, la figura dell’autore (regista o
sceneggiatore) è, nel circuito cinematografico, ancora preponderante; la sceneggiatura, da lui scritta o
211
tradotta nello storyboard , nasce a monte della realizzazione, che procede dunque sulla base di una
struttura narrativa precostituita.
In questo caso, invece, il film non ha un vero e proprio autore: non solo perché girato da centinaia di “micro-
autori”, ma perché il regista non ha una sceneggiatura cui fare riferimento, né un’idea di quali immagini potrà
servirsi per costruire la sua narrazione. Potremmo dire che non avendo costruito il suo data-base, il regista
deve esplorarlo per estrarne frammenti con cui far nascere una storia, un significato. Il suo ruolo è perciò più
simile a quello del v.j., basato sul remix, anziché sulla creazione di un’opera unica e lineare.

210
H. Rheingold Smart mobs. Tecnologie senza fili, la rivoluzione sociale prossima ventura Milano 2003

211
Lo storyboard è un disegno usato per progettare la realizzazione di film o altri progetti audiovisivi: è composto da
disegni che creano sulla carta un premontaggio di quello che si intende realizzare, una sorta di versione del film a
fumetti.
La sperimentazione delle contaminazioni, rese possibili dalla codifica binaria degli oggetti culturali, può
dunque realizzarsi in tutti i media, che vogliano accogliere le istanze della cultura e della società post-
moderna, abbandonando la logica del network per far propria quella del networking.
Questo progetto, come blog tv, manifesta la partecipazione degli individui alla vita sociale e alla costruzione
di conoscenza e immaginario, indicativa di una rottura del rapporto fiduciario con le istituzioni mediali
tradizionali: “Il problema vero è che con la tv si era spaccato il mondo, tra chi ne faceva parte, cioè i
giornalisti, i politici, i personaggi dello spettacolo, e chi era ridotto a una coach potato, che stava lì e doveva
sorbirsi tutto quanto, leggere i giornali in cui si parlava di loro ed ambire ad essere loro, come nel Grande
Fratello. [...] Adesso si stanno rivoltando le cose: abbiamo capito che loro non riescono a rappresentare la
realtà, la nostra realtà, che sono staccati dal nostro senso comune [...] Con “Le mie elezioni” abbiamo visto
che non è così, la realtà è molto diversa da come ce la stanno raccontando, e il loro racconto è fatto
esclusivamente per conservare il loro privilegio, perché qualsiasi racconto diverso li rivolterebbe subito [...]
Questa è la battaglia che è in atto, perché in qualche modo dovremo aver ragione di questa distonia, tra una
rappresentazione fine a sé stessa e la realtà così com’è”.
Il farsi media dei vloggers è la consapevolezza dell’importanza politica della rappresentazione e dello spazio
che separa il segno dalla realtà, e attraverso la codifica, la realtà raccontata dalla realtà decodificata.
Riappropriarsi della semiosi, del racconto, è allora l’unica strategia possibile per agire nella realtà, per
osservarla per quello che è, al di là del senso comune diffuso dalle istituzioni: i nuovi media, e le logiche che
li sorreggono, rendono possibile ora combattere la lotta per il discorso su un piano di parità con gli
affabulatori mediatici di professione, svelare i meccanismi del racconto e usarli per puntare i riflettori laddove
in genere regna il buio.

3.7 La tv-comunità: dall’audience al rank

L’esperienza di Nessuno Tv invita a trarre alcune considerazioni circa la praticabilità di una rimediazione
della televisione secondo le logiche dei nuovi media: quale tv otterremo dalla miscellanea di vecchi e nuovi
media, comunicazione di massa e masse in comunicazione?
Il passaggio che si può osservare è nel diverso rapporto del pubblico con l’emittente. Nessuno Tv, aprendo il
progetto editoriale alla collaborazione del pubblico-editore modifica lo statuto della tv, da “scatola parlante”,
che divide il mondo fra chi fa comunicazione e chi si limita ad ascoltarla, a luogo di un progetto comunitario,
in aggregatore di network sociali: “siamo una meta-community, perché gli interessi di questi vloggers sono
diversi, sono già community per il loro gruppo di amici, vivono già in altre community come il Cannocchiale.
Quello che noi dobbiamo riuscire a fare è farli riunire intorno a noi e renderli consapevoli ed essere
trasparenti nei loro confronti, di quello che stiamo facendo, non tanto per noi stessi, quanto per dare ancora
più forza al movimento”.
Essere trasparenti significa in primo luogo non intervenire sulle produzioni del pubblico, non censurare, né
tagliare o manipolare i contributi dei bloggers, o le video partecipazioni: “Non abbiamo nessuna selezione,
né censura e vorremmo in tutti i modi evitare di farla”; “io non metto nessun filtro, non ho mai detto a
nessuno ‘questo non lo puoi dire, chiudi questa web cam’, e neanche Bruno l’ha mai fatto. Sotto questo
punto di vista è un piccolo successo il fatto che la video partecipazione sia spontanea, da un mese comincia
ad andare da sola, senza invitare i bloggers”.
La trasparenza conduce alla creazione di un rapporto fiduciario con l’emittente, un rapporto che si traduce
nella fidelizzazione del pubblico-editore alla tv: in Blog Tv “a volte c’è persino il gruppo d’ascolto per quel
212
video; addirittura c’è un’associazione culturale che partecipa a blog tv che fa i comunicati stampa [...] I
bloggers vengono spesso sul mio blog per informarmi di aver inserito un nuovo post, o sul blog di Bruno”.
Il rapporto fiduciario con l’emittente è, in un progetto di tv partecipata, un ingrediente irrinunciabile, poiché
consente alla programmazione di poter continuare: “Alcuni rapporti con gli storici sono diventati poi anche se
vuoi rapporti personali e molti di questi sono diventati video partecipanti di Blog Generation”; nella
preparazione del progetto “Le mie elezioni”, “si era creato un rapporto di fiducia con loro, e di comunicazione
ormai abbastanza esistente per cui nel momento in cui sono andato a contattarli, anche telefonicamente -
perché ormai avevo anche i numeri di telefono! -, ho avuto risposta positiva da quasi tutti, tranne chi non era
in Italia o chi era impegnato in quei due giorni, per esempio chi faceva lo scrutatore”. Rafforzare i rapporti
personali all’interno della comunità è la strategia che consente di avere un feedback dal pubblico, sia in
termini di ascolti, che di partecipazione alla produzione del palinsesto.
La fidelizzazione dell’audience, così centrale per tutti i media, tanto da giustificare spese di centinaia di
milioni in rilevazioni e campagne marketing, avviene per Nessuno Tv in modo totalmente gratuito:
riproducendo il meccanismo del rank all’interno della logica televisiva, l’emittente non deve più convincere
l’audience a sintonizzarsi, ma solo fare in modo che la comunità aumenti di numero, facendola parlare di sé
sul proprio blog, o sul proprio canale (radio o tv locale). Il fatto di essere una meta-community permette,
infatti, che l’audience di Nessuno sia la risultante della sovrapposizione di pubblici provenienti da media
diversi: bloggers, ascoltatori radiofonici, spettatori televisivi.
Il punto di maggior forza è, ovviamente, il pubblico-editore composto dai bloggers: non solo perché è quello
che più di ogni altro partecipa al progetto comunitario, e dunque è più legato all’emittente: ma anche perché
consente una moltiplicazione potenzialmente infinita. Allargando la partecipazione a un numero sempre
maggiore di individui-nodi, Nessuno Tv ha costruito una campagna di marketing virale che procede da sola,
per passaparola e linking.
Esplorando i blog del blogroll, sull’home page dell’emittente, si nota subito la grande diffusione di uno
strumento essenziale e potentissimo: i banner di Nessuno Tv. Questi banner sono sostanzialmente di due
tipi.
Il primo tipo è il logo di Blog Tv, ed è una sorta di dichiarazione di appartenenza alla comunità: il blogger
informa i suoi lettori della partecipazione al progetto, e contemporaneamente li invita a fruire delle sue
creazioni anche dal satellite. Il meccanismo della blogstar fa sì che l’emittente possa avvalersi di testimonial
d’eccezione, persone la cui influenza sulla comunità è decretata dalla comunità stessa, più che da una
strategia di spettacolarizzazione del personaggio; in questo modo il prodotto è stato filtrato e garantito dai
leader della comunità, e può, dunque, essere consigliato a tutti gli altri membri. Consiglio che diventa invito
alla partecipazione e al coinvolgimento nel progetto. A questo proposito è illuminante il caso scatenato
dall’assenza temporanea dal palinsesto e dal vlog di Antonio Masotti. In quell’occasione i membri della
comunità hanno reagito, e tre vloggers hanno prodotto un video che riproduce lo stile di Masotti, a lui
dedicato, in cui si dichiara ammirazione e preoccupazione per il timore di non vedere nuove opere: in quella
occasione “si è creata una sottocomunità di fans del vlogger”. Poco tempo dopo, ecco comparire un nuovo
video-post della star di Nessuno.

212
Il centro culturale Filonide, http://www.filonidetaranto.it/.
L’altra tipologia di banner è il link diretto, non al sito di Nessuno, come nel precedente tipo, ma alla diretta
televisiva: un bottone è dedicato allo streaming live; un altro al software peercast, nel caso l’utente non abbia
mai seguito l’emittente e debba installare il programma necessario alla visione dal pc. In questo caso il blog
dirotta l’attenzione del suo pubblico verso la fruizione di Nessuno tv, predisponendo non solo una vetrina per
l’emittente, ma un ingresso privilegiato all’audience, che finisce catapultata nel bel mezzo del flusso
televisivo.
La Tv partecipata, cioè decostruita attraverso l’acquisizione delle logiche dei nuovi media, produce, in
conclusione, tre vantaggi sorprendenti: programmi senza costi di produzione, perché ceduti gratuitamente
dai vloggers; un’audience potenzialmente infinita ed estremamente fidelizzata; una campagna marketing,
anche questa gratuita, e assolutamente efficace, grazie al meccanismo virale del banner e della meta-
community.
Le logiche dei nuovi media, aprono, dunque la strada ad un nuovo modello di business per la tv: non più
impresa che produce nuovi contenuti e li distribuisce attraverso costose infrastrutture, ma spazio che il
pubblico prima riempie e poi guarda. Quello che si ottiene è una tv a costo zero e un’audience garantita.
Un buon risultato, indubbiamente. Ma cosa succede ai blog nel passaggio dalla rete al satellite, dal rizoma al
flusso?
Nel prossimo capitolo cercheremo di comprendere quali significati assume la rimediazione televisiva del
blog, e come questi possano essere indicativi di un conflitto in corso per il territorio aperto dalla frontiera dei
nuovi media.
CAPITOLO QUARTO
LA FRONTIERA, TRA SCONFINAMENTI E RIDEFINIZIONI

E’ il segnale di un Rifiuto. Mi piacerebbe pensare che tale Rifiuto avesse un valore, che tali gesti avessero
un significato, che sorrisi e sogghigni avessero una certa qual validità sovvertitrice, anche se, in ultima
analisi, essi restituiscono solo il lato oscuro del regolamento, solo il graffito sul muro di un carcere.
- Dick Hebdige Sottocultura, il fascino di uno stile innaturale, 1979.

Coloro di cui si parla volentieri sono i ribelli più felicemente spettacolari, i ribelli che si ama odiare, poi si ha la
disonestà di mostrarsi delusi dal loro conformismo, senza il quale, precisamente, non si sarebbe mai
accettato di costituirli pubblicamente in innovatori. Così la cultura dominante gioca con la sua contraddizione
centrale: il bisogno e il terrore di una novità che sarebbe la sua morte.
- Internationale Situationniste, n. 6, agosto 1961.

4.0 Flusso, data-base, palinsesto, rizoma

Finora abbiamo visto come le logiche di rete possano contaminare la televisione, rendendola un aggregatore
di network sociali e un luogo che accoglie la comunicazione dal basso.
In questa trasfusione di formati e in questo rovesciamento di rapporti di produzione, tuttavia, alcune costanti
del mezzo televisivo non possono essere rimosse, ma anzi, intervengono a bilanciare la rimediazione,
modificando alcune delle caratteristiche fondamentali dei nuovi media, ed in particolare del blog.
Il punto fondamentale su cui avviare la riflessione è il diverso statuto del tempo nei due media, a partire dal
quale gli oggetti culturali acquistano caratteristiche peculiari, che li distinguono in quanto a meccanismi di
produzione e modalità di fruizione.
La televisione è un medium fortemente basato sul tempo: ha a disposizione ventiquattro ore e le deve
“riempire” di immagini, suoni, parole. Il risultato di questa operazione è quello che Raymond Williams definì il
flusso: “In tutti i sistemi sviluppati di radiodiffusione l’organizzazione caratteristica, e quindi l’esperienza
caratteristica, è quella della sequenza o flusso. Questo fenomeno, di un flusso programmato, è dunque forse
la caratteristica che definisce la radiodiffusione, allo stesso tempo, come tecnologia e come forma
213
culturale” .
Il flusso implica una pianificazione rigorosa, che avviene attraverso lo strumento fondamentale del network
televisivo, il palinsesto. Il palinsesto è una continua cancellazione e riscrittura da parte della struttura
produttiva di combinazioni possibili di “pezzi” isolati, i programmi, dato un tempo limitato: la giornata, la
settimana, la stagione televisiva, l’anno, il triennio (che rappresenta il momento delle scelte editoriali di
fondo, il posizionamento dell’emittente rispetto alla concorrenza, l’identità di rete).
Questa modalità di disposizione e fruizione degli oggetti culturali, basata sulla trasmissione sequenziale di
contenuti audiovisivi, decisi da gerarchie consolidate (autori, programmisti, editori) e disposti verticalmente, è
profondamente diversa dall’esplorazione, tendenzialmente individuale, più o meno casuale, di uno spazio

213
R. Williams Television: technology of cultural form 1974, in Roberto Grandi I mass media fra testo e contesto Milano
1994 p. 101.
navigabile, forma culturale che caratterizza, invece, i nuovi media. Nel nuovo ambiente digitale e
interconnesso la comunicazione si disperde in uno spazio strutturalmente rizomatico: “uno spazio infinito
senza centro, senza alcun ordine che non sia quello del desiderio, della ricerca creativa e della guida di sé.
214
Uno spazio infinito di azione reciproca, di proiezione condivisa di mondi” .
Questo spazio privo di confini definisce una modalità di organizzazione dei contenuti orizzontale, senza
centro, né periferia: il data-base e l’ipertesto. Entrambe queste forme culturali lavorano per compresenza,
per archiviazione cumulativa di oggetti comunicativi nella loro dimensione virtuale (di dati informatici).
Il tempo televisivo e il tempo digitale hanno, inoltre, una diversa valenza sul piano sociale, definiscono un
diverso rapporto degli individui rispetto al contesto in cui vivono.
La televisione, medium della modernità fordista, organizza il tempo sulla base di una divisione della giornata
in intervalli significativi per la società nel suo complesso: i programmi del prime-time serale corrispondono
all’organizzazione del tempo degli individui in lavoro e non lavoro, lavoro di giorno e tempo libero durante la
sera e nei week-end; il telegiornale della mattina, del pranzo e della sera corrisponde all’organizzazione
della giornata lavorativa dei cittadini, cui si da modo di seguire, tutti alla stessa ora, il racconto del mondo e
della società. Non è un caso che gli studiosi della diffusione degli apparecchi radiotelevisivi in Italia negli
anni del boom economico, a partire da Tullio De Mauro, vi abbiano individuato una delle spinte fondamentali
alla creazione del sentimento nazionale e alla diffusione della lingua italiana nelle province dove ancora si
usavano i dialetti. Più in generale, la televisione ha compiuto quella cucitura del tessuto sociale in una
215
comunità nazionale, descritta da Anderson in Comunità immaginate .
Il tempo nei nuovi media, in rete in particolare, ha, al contrario, uno statuto del tutto peculiare: né
esclusivamente sociale, né esclusivamente soggettivo. E’ una sorta di tempo soggettivo della società, in cui
il sociale si scompone nei suoi elementi singoli, gli individui: ne segue i ritmi, ne asseconda i pensieri. E’ un
216
tempo che riproduce e porta in evidenza i mutamenti avvenuti nella modernità liquida , post-fordista: il
lavoro flessibile, basato sulla conoscenza e sullo scambio di informazioni, ha rotto i confini tra tempo di
lavoro e tempo libero, rendendo superflue e poco congruenti con la realtà dei soggetti le suddivisioni in fasce
orarie standardizzate, uguali per tutti; ma ha anche reso l’appartenenza ad una comunità una questione di
scelta individuale, non necessariamente legata alla dimensione nazionale, ma risultato della formazione di
network io-centrati, sempre più spesso trans-nazionali.
Uno spazio infinito e un tempo finito, il tempo sociale e il tempo soggettivo: sono questi gli elementi che
differenziano le due forme culturali, trasmissione broadcast e comunicazione orizzontale. E’ perciò con
queste dicotomie che la rimediazione deve fare i conti; è qui che incontra le asperità delle superfici che
sovrappone.
Per quanto all’avanguardia, Nessuno Tv è comunque un’istituzione mediale broadcast. E’ comunque
televisione. Questo significa che le sue logiche fondamentali si sovrappongono a quelle di rete, che il flusso,
incontrando il data-base, vi agisce, modificandolo.
Attraverso l’analisi delle routines produttive che costruiscono il palinsesto di Nessuno Tv, vedremo quali
rimediazioni subisce il blog, e attraverso questo, come si definiscono il ruolo e la figura del blogger rispetto
all’impresa televisiva.

214
F. Berardi Skizomedia. Trent’anni di mediattivismo Roma 2006 p. 4.
215
B. Anderson Comunità immaginate Roma 1996
216
Z. Bauman Modernità liquida Roma 2002
4.1 Nessuno mi può giudicare: la rimediazione del blog, tra routines produttive e selezione dei video.

La sostituzione dell’orizzontalità spaziale con la verticalità temporale, determina una transizione della forma
blog da rete di rimandi ipertestuali, compresenza in uno spazio di molteplici produzioni culturali, a flusso,
sequenzialità di segmenti che, come abbiamo visto, modifica il blog in blob. Questo passaggio ha due
conseguenze.
In primo luogo, una conseguenza estetica e fruitiva: il blog, estrapolato dal suo contesto di ideazione,
subisce degli interventi da parte della struttura televisiva che ne modificano i caratteri.
In secondo luogo, una conseguenza sul piano della produzione e distribuzione, che consiste essenzialmente
nel processo di gatekeeping e selezione dei video da parte dell’emittente. Vediamo questi due elementi più
nel dettaglio.
L’inserimento del vlog nella programmazione ha richiesto alla struttura televisiva uno sforzo di
contestualizzazione necessario per non snaturare eccessivamente i video. Nel loro contesto naturale, infatti,
questi attivano significati dialogando con altre informazioni circostanti: il profilo dell’autore, la grafica, i link
presenti nel blogroll, i post verbali, i commenti degli altri utenti. Tutti questi elementi funzionano come un co-
testo rispetto al video, arricchendone la comprensione.
In televisione questi elementi co-testuali sono eliminati; al loro posto rimane un’unica traccia della
provenienza dei video dall’ambiente di rete, cioè l’indirizzo del vlog da cui sono estratti: “Togliendo il video
dal suo contesto originale, non dico lo snatura, ma lo cambia sicuramente: per esempio mentre nel blog
217
l’autore può inserire un titolo, che spiega meglio il significato del video, noi inseriamo nella maschera solo
il titolo del blog da cui il video è tratto; questo impone di mettere un testo accanto per contestualizzare il
video che sta andando in onda” (Marco Esposito).
La maschera e l’indirizzo del blog (e l’eventuale testo, non sempre presente), usati congiuntamente, sono la
marca della doppia enunciazione del video: la maschera uniforma e ingloba la diversità dei contributi e li
colloca all’interno del tutto omogeneo di Blog Tv; l’indirizzo web dichiara, al contrario, l’autonomia della fase
creativa rispetto alla fruizione televisiva, rimandando l’approfondimento del significato del singolo contributo
all’esplorazione del suo luogo di nascita, il vlog dell’autore.
Potremmo dire, dunque, che la televisione non aggiunge senso, ma, anzi, omette dei significati: “Non credo
che la televisione aggiunga particolarmente al linguaggio utilizzato dai vlogger, ma che sia semplicemente
una vetrina che possa stimolare la produzione ancora maggiore di questi video da parte della comunità dei
vloggers, un modo di farsi vedere, di essere lì anche nel mezzo considerato mainstream” (Bruno Pellegrini).
Nel caso de “Le mie elezioni”, l’omissione non viene dichiarata, poiché la struttura narrativa, assicurata dal
film, permette di integrare perfettamente i video gli uni con gli altri rendendone la lettura lineare, nonostante
la costruzione tramite collage.
Da questa esperienza sta emergendo una nuova consapevolezza circa le possibilità espressive della Blog
Tv, che si concretizzeranno, probabilmente, in un restyling della trasmissione nella prossima stagione:
“Arrivati a questo punto è necessaria una trasformazione: il blob è una prima espressione, ed è giusto che
sia stato così. Adesso bisogna andarli a tematizzare: per esempio creare una maschera diversa che divida
per argomento -attualità, citizen journalism, news, politica- in modo che siano più contestualizzati.” (Marco
Esposito). Dello stesso parere Bruno Pellegrini: “Ci dovrà essere assolutamente una direzione artistica,

217
Per maschera si intende un elemento grafico che crea intorno ai video una cornice omogenea.
giornalistica, editoriale, autoriale che faccia più comunità, e quindi si formeranno vari gruppi di vloggers, che
magari svilupperanno un programma basato sui loro video fatti all’esterno e lo porteranno in televisione; lì ci
218
sarà un’organizzazione, una formattizzazione , probabilmente, di quello che è. Adesso è una semplice
trasposizione, ma si dovrà capire come aggiungere valore a queste risorse, quindi che tipo di direzione dare,
nella selezione, nell’organizzazione, nella miscellanea che si va a fare”.
A questa omissione di significatività, o meglio, a questa risemantizzazione, si aggiunge un problema di
inclusione/esclusione, che deriva dalla necessità di selezionare i contributi sulla base del tempo loro
concesso, cioè un’ora di trasmissione. Questa selezione, come abbiamo anticipato, non avviene su basi
politiche o ideologiche, e segue invece criteri estetici, di adeguatezza rispetto al mezzo televisivo: "La
selezione non è legata ad alcun giudizio sui contenuti e le idee espresse ma alle caratteristiche di qualità,
linguaggio, tecniche di compressione, inattaccabilità legale e al tempo e lo spazio fisico a nostra
219
disposizione" .
Seppur trasparente, è chiaro che il ruolo del gatekeeping, che nella blogosfera si trova a valle del processo
creazione -produzione- distribuzione, cioè direttamente nell’utente finale, in televisione è ricoperto da una
persona appartenente alla redazione, che agisce sulla base di una direzione artistica e editoriale: “La
puntata si costruisce al mio arrivo la mattina, quando controllo tutti i vlog dei nostri video blogger e finché
non arrivo a un’ora non mi fermo” (Marco Esposito).
Durante l’intervista chiediamo a Marco Esposito di spiegarci i criteri e le prassi con i quali costruisce ogni
giorno Blog Tv: “Dopo un anno i criteri si sono standardizzati e routinizzati. La prima cosa è la conoscenza
del vlogger: c’è il vlogger che se non si vede selezionare due video consecutivi ti scrive [...] Tu hai le chiavi
del regno, ma se vuoi la partecipazione del pubblico devi essere pronto a darle”. Quindi, in primo luogo, il
mantenimento della relazione fiduciaria; in secondo luogo la qualità dei video: “Devi dare dei riferimenti, per
questo abbiamo aggiunto la blog tv internazionale, perché questo può essere un riferimento, uno standard,
anche dal punto di vista stilistico ed estetico” (Marco Esposito).
La rimediazione del blog da parte della televisione definisce, dunque, due elementi di novità: la
ricontestualizzazione del video originale all’interno del palinsesto televisivo; la formattizzazione del vlog, che
da forma culturale originale e priva di criteri estetici standardizzati, si “normalizza” in cornici significanti
appartenenti alla televisione tradizionale.
220
Molto interessante da questo punto di vista il caso di Road Tv : “Da dicembre abbiamo iniziato a creare
degli appuntamenti fissi; ad esempio il venerdì alle 23 c’è l’appuntamento con roadtv.ilcannocchiale.it, un
nostro video blogger che ci segue da settembre e che ha inventato un format in cui dei ragazzi napoletani -
che sono poi bloggers- vanno in giro per le strade di Napoli a parlare con i passanti; hanno fatto anche, non
221
so se ti ricordi, “Colpo di fulmine” con Alessia Marcuzzi ... ecco una versione di quel format nel vlog [...] Un
222
altro blogger storico è Leofilm , che è un critico cinematografico, ed è diventato un po’ un punto di
riferimento della comunità per la scelta dei film da andare a vedere; ogni lunedì, chi vuole sapere cosa

218
Espressione che allude ad una trasformazione del contenuto audiovisivo in format, modulo standardizzato e pertanto
riconoscibile e replicabile
219
Dal testo della liberatoria per aderire a Blog Tv, presente in appendice e all’indirizzo web:
http://www.nessuno.tv/site/it/nessuno/nessuno_presenta/blogtv/btv_liberatoria_invio_video.asp.
220
http://www.roadtv.ilcannocchiale.it/
221
Trasmissione televisiva in onda tra il 1995 e il 1997 su Italia Uno.
222
http://leofilm.ilcannocchiale.it/
223
pensa dei film nelle sale, trova un suo videopost in onda sempre alla stessa ora. Altri sono Interact tv che
ci fornisce ‘Non leggere’ e ‘In cucina’: è il nostro ‘Gusto’, una versione in cui la casalinga si apre il blog, con
la sua telecamerina si registra mentre cucina la sua ricetta, la mette online e a disposizione di tutta Europa
tramite noi, di tutto il mondo tramite internet” (Marco Esposito).
Quel che possiamo dedurre da questi esempi, è che la rimediazione sia un processo reciproco: il vlog
diventa riproduzione di format; la tv si fa luogo di networking. Il vlogger lavora come un autore televisivo,
mentre la redazione televisiva lavora come un vlogger: da un lato, tramite bricolage e cut up, come nel caso
del film; dall’altro, creando una sua presenza riconoscibile in rete, non solo come emittente televisiva,
dunque, impersonale e burocratica, ma come insieme di persone che fanno parte della community: “L’aver
aperto un blog mio ha aiutato molto la creazione di un rapporto tra di noi: io vado sul loro blog, loro vengono
sul mio” (Marco Esposito).
La conclusione è che il processo di ibridazione tra televisione e blog sia più profondo, e investa, più in
generale, i ruoli e i reciproci rapporti tra bloggers e struttura televisiva: il passaggio dalla rete al satellite
determina la modificazione della produzione culturale da cluster di un data-base a segmento di palinsesto e,
attraverso tale passaggio, inquadra il lavoro del blogger da dono alla comunità a tassello della produzione
dell’emittente; l’autore dell’emittente, per contro, diventa sempre più simile al net-surfer, che al creatore di
contenuti.
Il rapporto tra bloggers e Nessuno Tv si definisce in un momento molto preciso della partecipazione al
progetto editoriale, la firma della liberatoria. La liberatoria rappresenta, pertanto, la linea di confine tracciata
da Nessuno Tv all’interno della blogosfera, attraverso cui marcare un territorio che si espande e si dilata. Lo
sconfinamento della tv nelle logiche di rete produce, specularmente, la ridefinizione della capacità creativa
del blog, in favore di un ampliamento della sua visibilità.

4.2 Diritti di frontiera: lo sconfinamento della tv e la ritirata del blog.

La possibilità per l’emittente di usare e riusare il materiale video dei vloggers ha richiesto la definizione di un
quadro legale all’interno del quale definire i diritti e gli obblighi delle due controparti. Per questo motivo nasce
224
la liberatoria , il documento che sancisce le relazioni tra pubblico-editore ed emittente.
La prima constatazione da fare riguarda la cessione dei diritti di utilizzo del materiale. Coerentemente con la
logica del copy-left e del dono, il blogger si impegna a concedere “a Nessuno TV S.r.l. il diritto, ma non
l’obbligo, di conservare, diffondere nonché sfruttare e consentire di sfruttare il Materiale, sia sul proprio sito
www.nessuno.tv che attraverso la TV digitale e analogica, satellitare e terreste, in tutto o in parte, anche
rieditandolo, senza limiti di territorio, di durata e di passaggi, anche mediante cessioni totali o parziali a terzi.
I predetti diritti sono concessi gratuitamente e irrevocabilmente”.
La gratuità delle collaborazioni permette a Nessuno Tv di avere oggi “una redazione di 150 persone, e in più
distribuite sul territorio: in questo modo abbiamo notizie da Messina, Palermo, Milano, Roma...per esempio
c’è un nostro blogger di Sesto Fiorentino che ci aggiorna settimanalmente sullo stato di avanzamento dei
lavori [...] a Napoli abbiamo una street tv che ci ha inviato il filmato dello spettacolo di Beppe Grillo.
Fortunatamente copriamo tutto il territorio e questo ci è tornato utile per “Le mie elezioni”. [...] C’è chi è

223
http://www.interactv.it/
224
Il testo completo è riportato appendice.
andato per noi a Piazza Santi Apostoli ad aspettare l’uscita di Prodi e poverino ha fatto le tre di notte” (Marco
Esposito).
La gratuità non esclude, tuttavia, la previsione di un suo sfruttamento commerciale: “Riconosco il diritto di
NessunoTV di effettuare il più ampio sfruttamento pubblicitario dello stesso [materiale video] nelle forme
decise, ad esempio mediante l’inserimento di spot, altre forme di pubblicità, manifestazioni, concorsi a premi,
giochi, programmi e spettacoli vari”.
Nessuno Tv è un’emittente non commerciale non per scelta, ma per necessità, per una difficoltà cioè, da
parte del mercato pubblicitario italiano ad investire nel progetto: “Purtroppo il nostro mercato pubblicitario è
in mano a due sole concessionarie di pubblicità e quindi vanno tutte lì, Sipra e Publitalia, Rai e Mediaset, e
non è culturalmente preparato a premiare progetti innovativi specifici, segmentati, di target” (Bruno
Pellegrini).
Questa situazione potrebbe però modificarsi in seguito ad un’apertura del mercato ad altri soggetti, o alla
voglia di investire da parte dei due soggetti esistenti; o, semplicemente, il suo modello potrebbe essere
mutuato da un’impresa commerciale. Un tale cambiamento renderebbe i contributi dei vloggers fonte di un
profitto non ridistribuito tra i produttori dei contributi stessi.
Quel che i bloggers ottengono è, per contro, l’attribuzione dell’opera: “I predetti diritti sono concessi
gratuitamente e irrevocabilmente alla condizione che appaia sempre in grafica, in qualità di autore del
contenuto, l’indicazione del mio nome nelle forme ritenute più adeguate”.
Dunque il blogger che entra a far parte di Nessuno, uscendo dalla rete ed entrando in tv, ottiene una visibilità
che amplia i confini del suo pubblico e del suo messaggio: “Credo che sia paragonabile, se vuoi, da un punto
di vista di organizzazione, da un punto di vista sociologico, a una rivoluzione: tante persone che cominciano
a manifestare qualcosa in maniera disaggregata, e che invece poi trovano il modo, magari per qualcuno che
ci investe, gli da le risorse, di esporsi in una maniera ancora più efficace e di rivoltare il sistema così come
era costituito” (Bruno Pellegrini).
Nel fare questo il blogger, da un lato, ottiene lo scopo di diffondere il più possibile la sua voce in quanto
“nessuno”, nell’ottica, cioè, di una riappropriazione dello spazio simbolico da parte dell’uomo comune, non
più soggiogato al discorso dominante; dall’altro mostra la componente narcisista del suo essere performer, la
voglia di apparire e diventare “star”: “the narcisist [...] cannot live without an admiring audience […] for the
225
narcisist the world is a mirror” .
Il rapporto definito dalla liberatoria mostra gli elementi chiave che ci permettono di leggere il fenomeno
Nessuno Tv all’interno del quadro teorico della società dello spettacolo: la merce, nella sua conquistata
immaterialità, ha subito un’ulteriore metamorfosi, in cui è il consumatore stesso che produce il plusvalore,
diventando produttore dello stesso spettacolo che consuma; è l’individuo che diventa merce spettacolare, in
un circuito autonomo e autoreplicantesi. Il capitale, dal canto suo, si limita a permettere che il circuito
funzioni, così da accumulare profitti: in Big Brother e negli altri reality show, la struttura televisiva
226
commercializza la voglia degli individui di apparire e ottenere i suoi “cinque minuti di celebrità” ; altre forme
di business sorgono dallo sfruttamento della spinta relazionale degli individui, dalla loro voglia di comunità e
227
ampliamento di network sociali, come dimostra il successo imprenditoriale di siti per il dating, da Meetic a

225
C. Lash The culture of narcissism Londra 1980 p. 10.
226
G. Debord La società dello spettacolo Bologna 1997.
227
Meetic conta attualmente 19,9 milioni di iscritti in Europa ed ha una media di 23.700 nuove iscrizioni al giorno (dati
riferiti all’anno 2005-2006); i suoi servizi coprono 13 Paesi europei, tre aree geografiche (anglosassone, ispanica,
Friendster: “Friendster è un sito web che permette alle persone di articolare in modo esplicito il loro network
sociale, di presentarsi attraverso un profilo [...] Friendster incoraggia gli utenti a partecipare anche se non
sono alla ricerca di un partner, partendo dal presupposto che probabilmente anche questi conoscono un
228
gran numero di amici che sono interessati, fungendo così da connettori” .
Nel caso di Nessuno Tv lo sfruttamento commerciale avviene su entrambi i piani: la combinazione di
individualismo narcisistico e adesione comunitaria sono le spinte sociali che permettono di assicurarsi
programmi, audience e marketing senza costi.
Questa metamorfosi si inserisce nel passaggio, più ampio, dal capitalismo industriale, fordista, a quello post-
industriale, cognitivo: “con il termine capitalismo cognitivo si intende focalizzare l’attenzione sul rapporto
dialettico tra i due termini che lo compongono. Il termine capitalismo determina la permanenza, nella
metamorfosi, delle variabili fondamentali del sistema capitalistico: il ruolo guida del profitto e del rapporto
salariale, o più precisamente le differenti forme di lavoro dipendente dalle quali viene estratto il plusvalore.
L’attributo cognitivo mette in evidenza la nuova natura del lavoro [...] che grazie alla costituzione di
229
un’intellettualità diffusa, ha condotto all’aumento del lavoro immateriale e intellettuale.”
Nel nostro caso, le competenze delle audience diffuse sono al servizio di un profitto che non contempla un
rapporto salariale, ma che ne riproduce la direzione verticista: “L’editore che si vorrà confrontare con questa
moltitudine di vloggers, dovrà essere in grado, carismaticamente o no, di attribuire senso, di incanalare, di
farsi seguire, quindi di gestire questa comunità; una sorta di condottiero di questo nuovo esercito” (Bruno
Pellegrini).
Gestire la comunità, condurre l’esercito, creare il personaggio, formattizzare: tutti elementi che hanno poco a
che vedere con l’autonomia editoriale, lo scambio paritario, l’originalità, che sono i caratteri del blog e della
comunicazione in rete. La struttura molare della televisione trasforma la comunicazione molecolare della
rete.
In questo modo, il potere di rottura ed innovazione dei linguaggi e di riappropriazione del racconto sociale e
personale, reso possibile dalla pratica del blogging, viene “anestetizzato”. Cinti in una riserva controllabile, i
nuovi comunicatori, da concorrenti, diventano alleati.

4.3 Il pubblico spettacolo dell’assimilazione ri-creativa.

Un tipo di dinamica tale, che crea un movimento a spirale tra innovazione e conservazione, tra esplorazione
di spazi ai margini del circuito mainstream, e recinzione di confini in questi spazi, era già stata descritta da
Hebdige, quando notava come le sottoculture, dopo una prima fase di rottura di codici e forme culturali
stabilizzate, subiscano un processo di integrazione: “Quando la sottocultura comincia ad assumere una serie
di atteggiamenti perfettamente vendibili, quando il suo lessico (sia visivo che verbale) diviene sempre più

asiatica) e la Cina. E’ il primo portale per il dating in Italia, per tempo di permanenza dei visitatori e per numero di
iscrizioni, più che raddoppiate nel corso dell’ultimo anno. Nel primo trimestre del 2006 ha chiuso il suo fatturato con una
crescita del 74%, per un giro d’affari di 43 milioni di euro e un utile operativo di 8,2 milioni (+118%). Dati Affari&Finanza,
supplemento a La Repubblica, 19 giugno 2006.
228
M.D. Boyd Friendster and publicly articulated social network Berkeley 2004, in F. Comunello Reti nella rete. Teorie e
definizioni tra tecnologia e società Milano 2006.
229
D. Lebert, C. Vercellone Il ruolo della conoscenza nella dinamica di lungo periodo del capitalismo: l’ipotesi del
capitalismo cognitivo, in C. Vercellone (a cura di) Capitalismo Cognitivo. Conoscenza e finanza nell’epoca postfordista
Roma 2006 pp. 22-30.
familiare, allora il quadro di riferimento a cui si può convenientemente assegnare si fa sempre più
230
evidente.”
Questo processo avviene attraverso due strategie, spesso sovrapposte e usate congiuntamente: la forma
merce e l’ideologia.
Nella forma merce, la produzione sottoculturale, sia essa uno stile (di abbigliamento, musicale, artistico,
letterario, cinematografico), o un comportamento, viene inserita nel circuito della produzione di massa,
rendendola indistinguibile dalla cultura di consumo: “Una volta rimosse dal loro contesto privato [...] sono
codificate, rese comprensibili, immediatamente trasformate in pubblica proprietà e in merce che dà
231
profitto” .
Nell’integrazione ideologica, l’alterità della sottocultura viene negata attraverso la familiarizzazione con i
codici che le sono propri, e questo, a sua volta, può avvenire in due modi: “La prima: l’Altro può esser reso
banale, esser naturalizzato, addomesticato. In questo caso la diversità è semplicemente negata. Come
232
alternativa l’Altro può essere trasformato in esotismo insignificante, un puro oggetto, spettacolo, clown” .
Nessuno Tv da un lato, rende familiare lo strumento del blog all’interno del contesto televisivo, dunque non
necessariamente in antitesi, ma complementare alla comunicazione unidirezionale; dall’altro commercializza
la produzione di immaginario e di comunicazione da parte del pubblico, sfruttandone non solo le abilità, ma
le connessioni e il network sociale.
La formattizzazione del blog, la creazione di personaggi televisivi con appuntamenti fissi, la necessità di una
durata e dei criteri estetici e stilistici standardizzati permettono di normalizzare, di rendere familiare, e,
dunque, di incorporare il blog all’interno dei meccanismi televisivi. E rivenderlo, così, ai suoi autori.
La possibilità di applicare alla pratica del blogging i processi di formazione ed evoluzione delle sottoculture,
va incontro, però, alla difficoltà oggettiva di interpretare tale fenomeno in un quadro unitario e stabile.
Le voci della blogosfera sono costitutivamente molteplici e diverse, anche opposte: diari personali e micro-
agenzie di stampa; manifestazione di un atteggiamento narcisista, ma anche costruzione di comunità attive
al di fuori della rete.
Da questo punto di vista appare difficile assegnare al blog un valore propriamente sottoculturale, né
tantomeno, controculturale: non sempre il blog manifesta atteggiamenti alternativi o oppositivi alla cultura
dominante. Nel caso di Blog Tv, anzi, alcuni vloggers riproducono stili comunicativi propri della televisione
mainstream.
Lo strumento blog si presenta, inoltre, con forti elementi di limitazione creativa, dovuti alla standardizzazione
dell’interfaccia proposta dalla piattaforma: il servizio che questa offre è, per l’appunto, quello di semplificare
al massimo l’usabilità, predisponendo una “scatola” che l’utente finale deve solamente riempire, seguendo i
percorsi e i comportamenti inscritti nell’interfaccia stessa.
Ciò che accomuna i bloggers, tuttavia, sono proprio queste modalità di fruizione e utilizzo: è l’abitazione
degli stessi spazi virtuali il minimo comune denominatore che determina standard condivisi e codici di
condotta. Più precisamente, permette di percepirsi come una comunità, e pertanto assimilarne e rispettarne i
codici: linkare la fonte della notizia postata, di cui il blogger deve, pena l’esclusione dalla comunità, accertare
la veridicità; commentare e rispondere ai commenti; aggiornare frequentemente il blog; partecipare alla
conversazione. Questi principi base, validi a prescindere dall’uso che si fa del mezzo, e cioè dei contenuti

230
D. Hebdige Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale Genova 1983 p. 103.
231
D. Hebdige 1983 op. cit. p. 105.
232
Ivi, p. 107.
specifici che questo veicola, fanno sì che i bloggers condividano uno steso quadro di riferimento. Da questo
punto di vista possiamo estendere al blog la definizione di sottocultura data da Albert Cohen: “The
emergence of group standards of shared frame of reference, is the emergence of a new subculture. It is
cultural because each actor’s participation in this system or norms is influenced by his perception of the
same norms in other actors. It is subcultural because the norms are shared only among those actors who
233
stand somehow to profit from them and who find in one another a sympathetic moral climate” .
Il blog è, dunque, sia oggetto tecnologico, medium, che pratica sottoculturale: per questa ragione interviene
sui vecchi media, rimediandoli; contemporaneamente subisce un processo di progressiva assimilazione, che
ne favorisce lo sfruttamento commerciale nella cultura di massa e nell’industria culturale.
Se accettiamo questo assunto, possiamo tirare le fila del nostro discorso, ovvero le nuove frontiere che i
media digitali aprono per la comunicazione televisiva: uno sconfinamento della tv nel nuovo spazio di
comunicazione sociale, il cyberspazio, e, per questa via, un’osmosi tra vecchia comunicazione broadcast e
nuova comunicazione orizzontale.
Accogliendo non tanto le estetiche, quanto le logiche dei nuovi media la tv può ristabilire un contatto con la
propria audience, di cui riconosce la natura molteplice, e non riducibile a proiezioni statistiche monolitiche,
ma anzi coinvolgendo le diverse soggettività che la compongono in un progetto comunitario che li vede
protagonisti.
Per fare questo deve assumere comportamenti riconducibili agli elementi di contatto e condivisione del suo
referente: copy-left, attribuzione delle opere ai propri autori; mobilitazione dello spettatore da un canale
mediale all’altro anziché conquista di un’attenzione esclusiva; creazione di comunità attraverso il
passaparola e mantenimento di una conversazione libera ed aperta.
L’elezione della blogosfera a spazio privilegiato di presenza in rete, determina la fidelizzazione di un tipo di
audience molto particolare: un’audience con un’audience. Questo permette una diffusione virale del marchio
di Nessuno Tv, che innesca un circolo virtuoso di crescita, non solo di utenti raggiunti, ma degli utenti
coinvolti, aumentando la disponibilità di contenuti per il palinsesto.
Agendo sul blog, la televisione ne modifica alcuni tratti essenziali, lo integra nella sua forma culturale,
diametralmente opposta per tradizione e struttura. Il palinsesto si impone sull’ipertesto, determinando una
decontestualizzazione che ne ridefinisce il significato: non più inserito in un tutto coerente, il video del vlog
non mantiene traccia, se non nell’indicazione della sua provenienza, del suo autore, né del suo significato
complessivo. Diventato blob, il blog si accinge a subire un’ulteriore metamorfosi per venire incontro alla
logica lineare della narrazione televisiva: diventare format, programma televisivo come tutti gli altri, fonte di
profitti come tutti gli altri. Nella società dello spettacolo, il pubblico-performer si fa media, e scegliendo il
medium mainstream per eccellenza, la tv, diventa esso stesso spettacolo.
La lotta per il discorso si gioca, allora, non tanto sull’essere nessuno, rappresentare l’uomo comune, quanto
sull’ambire ad essere qualcuno, un io che si prende il diritto di occupare il tempo televisivo con le proprie
istanze, con i propri racconti. Cedendone i diritti di utilizzo.
La relazione che Nessuno tv stabilisce con il suo pubblico-editore è, dunque, duplice: i confini tra
generazione di profitti dalla produzione creativa dei vloggers e offerta di spazio per la diffusione di una
comunicazione diversa, tra commercializzazione del narcisismo performativo e sviluppo di un progetto di
riappropriazione dello spazio di rappresentazione, sono estremamente labili, in continuo movimento e

233
Albert K.Cohen A general theory of subcultures 1955 in K. Gelder op. cit. p. 56.
ridefinizione: “A questo punto non è secondo me tanto importante discutere su quale sarà l’effettivo risultato
finale, a cosa sarà ridotta la televisione, perché sarebbe una discussione sterile [...] Possiamo però decidere
da che parte stare, nel senso che mi sembra abbastanza ovvio che qualsiasi movimento di resistenza, anzi
qualunque resistenza a questo movimento sia controproducente per l’intero panorama dei media e della
società; si tratterebbe praticamente di arginare un fiume con pochi ciottoli, non è possibile più arginarlo. Se si
potesse dare un suggerimento, sarebbe quello di cavalcare il più possibile questa ondata, questo
cambiamento, e cercare di sperimentare il più possibile, per non farci trovare fermi” (Bruno Pellegrini).
In un suo video, Masotti gioca su questo doppio livello: fermo-immagine di Bruno Pellegrini che conduce
Blog Generation; loop di un brano audio tratto dal film “Star Wars” che recita: “La resistenza è inutile, voi
sarete assimilati”. Masotti scherza con i testi: ponendo Nessuno tv nella posizione dell’eroe della resistenza
(mediale) alle prese con l’egemonia dei media mainstream, le dedica un tributo; contemporaneamente ne
dissacra lo status, attraverso un uso delle immagini che le pone sullo stesso piano di qualunque altra
immagine del mediascape. Anche Nessuno Tv non è che infosfera, proliferazione di immagini ed immaginari.
Chi sarà assimilato? La tv dalla rete, o i bloggers dalla tv?
La resistenza è quella sottile linea che separa la realtà dalla rappresentazione, e questa dalla mistificazione.
L’esperienza della Tv partecipata rappresenta una prima, vera e profonda modificazione della struttura
televisiva, e può essere un punto di partenza per il futuro: per la tv un modello di business e una riconquista
dell’audience e della sua credibilità; per il pubblico una contaminazione della tv con le proprie istanze; per le
sottoculture della rete una nuova spinta per spostare ancora più lontano le sue frontiere, inventare altre
concatenazioni possibili.
CONCLUSIONI

Questo lavoro è nato con il proposito di descrivere un’esperienza, una delle forme che la televisione
potrebbe assumere a partire dalla rivoluzione digitale.
Per farlo è stato necessario intraprendere un viaggio alla scoperta di territori inesplorati, nelle periferie della
comunicazione di massa: dal punk ai blog, da Star Trek alla televisione partecipata.
Durante questo viaggio sono stati descritti e fotografati panorami e dettagli, paesaggi e immagini: abbiamo
visto la narrazione lineare esplodere nell’ipertesto e ricomporsi nel bricolage e nel cut-up; abbiamo visitato la
galleria delle produzioni sottoculturali, le sue possibilità di innovazione dei codici; abbiamo assistito alla
trasformazione del blog in blob.
Ancora più importante, abbiamo conosciuto gli abitanti di questi spazi: le abitudini, le modalità di relazione, la
cultura di rete. Abbiamo osservato i comportamenti degli individui-performer sfuggire alle categorizzazioni
rigide della scienza statistica, per assumere il controllo della rappresentazione di sé stessi e del mondo;
siamo entrati nella blogosfera, ne abbiamo descritto le interfacce e i meccanismi, fino a seguirne lo
sconfinamento e l’incorporazione nella struttura televisiva.
In questo viaggio ci siamo accorti che quei confini che si pensavano invalicabili sono stati attraversati,
spostati, ridisegnati nella lotta tra innovazione culturale e integrazione commerciale, tra liberazione della
creatività individuale e assoggettamento alla legge del profitto.
L’esperienza di Nessuno Tv è emblematica di questo processo: nell’integrazione di forme culturali
provenienti dall’ambiente di rete, la struttura televisiva riesce a innovare i propri linguaggi, a ristabilire il
contatto che i media mainstream avevano perso con il loro pubblico, risolvendo l’incontro con il digitale in un
successo commerciale. Nell’infiltrare la televisione, il pubblico-utente, incastrato nella scatola parlante,
ottiene, tuttavia, la visibilità del medium mainstream per eccellenza, contaminandolo con le proprie
produzioni e portando in primo piano le proprie istanze.
Qualunque sia il risultato finale, ciò che conta è che vecchie forme culturali e gerarchie consolidate si stiano
mettendo in discussione, che il cyberspazio non sia solo un altro canale mediale, ma il terreno di coltura di
esperienze e sperimentazioni che travalicano il mondo virtuale, per diffondersi anche in quello reale.
La nostra speranza è che il lettore torni da questo viaggio un po’ più ricco; che le culture e le esperienze di
cui abbiamo parlato siano entrate nella sua mente non come semplice ricordo, ma come stimolo per un
nuovo viaggio, per nuove traiettorie da disegnare, nuove rotte nel mare del sistema mediale.
La frontiera non è un confine.
APPENDICE
INTERVISTA /A:
BRUNO PELLEGRINI,
AMMINISTRATORE DELEGATO NESSUNO TV s.r.l.
STUDI DI NESSUNO TV, ROMA 09/06/2006

PARTE1: NASCITA DI NESSUNO TV

Nessuno è partita 4 anni fa con l’idea di creare una nuova televisione partecipata dal pubblico. Inizialmente
si prevedeva addirittura di far partecipare il pubblico al sostegno della televisione attraverso finanziamenti o
sottoscrizioni come avviene in America con grandi network .
Partì TeleSogno che diciamo aggregò tante forze, tipo quella della Dandini, Santoro ecc. ma poi
miseramente fallì per la pavidità degli imprenditori che ci dovevano sostenere. A quel punto, con le poche
risorse rimaste, decidemmo di continuare; ci facemmo dare in appalto degli spazi di palinsesto su Planet tv,
per fare la prima trasmissione in diretta dei bouquet satellitari, che non prevedevano altro fino a quel
momento che mandare in onda delle cassette registrate. Santalmassi condusse quindi questo spazio di
approfondimento quotidiano, fino a che i risultati furono talmente buoni, che gli pseudo-editori di Planet
decisero di rescindere d’arbitrio il contratto e di farsi da soli la trasmissione.
A quel punto si impose la scelta di prendere noi un canale satellitare per evitare di sottostare a questo tipo di
angherie. Con altri nuovi soci, tutti finanziatori privati, quindi senza nessuna grande risorsa industriale o
editoriale dietro, aprimmo il canale alla fine dell’anno scorso. Nessuno tv incorpora, in parte, gli obiettivi
iniziali, cioè avere una televisione molto partecipata dal pubblico; questo in due modi: il primo con gli studi
aperti al pubblico (e questo è il primo esperimento in Europa e il secondo al mondo), degli studi che non
sono delle cattedrali nel deserto di Cologno Monzese o di Saxa Rubra, dove vengono deportati con degli
autobus dentro questi teatri di posa, ma degli studi che possono vivere come questo nostro locale, con caffè,
libreria ecc. , a contatto con la realtà quotidiana. Secondariamente, cavalcando quelle che sono le
grandissime, enormi potenzialità che piano piano ci siamo resi conto ha dischiuso la rivoluzione digitale nel
campo dei media.
E questo credo che sia il filone più interessante su cui stiamo lavorando; credo anche che siamo
probabilmente i primi, il fronte più avanzato di lavoro quantomeno in Italia su questo filone, che è quello della
video partecipazione, piuttosto che del pubblico editore. Assomiglia molto a quanto successe qualche
centinaio di anni fa quando Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili. Si passò dal medioevo, non solo
sociale, ma anche della comunicazione, a un nuovo rinascimento, dove la cultura e l’informazione, venne
portata più o meno a livello di tutti e non rimase appannaggio dei nobili e del clero. In quel momento
l’umanità, la società, la cultura, fecero un passo in avanti. Noi siamo adesso in un’epoca storica molto simile,
che probabilmente verrà ricordata dalle future generazioni come la preistoria di una nuova era. Fa parecchio
ridere, se vuoi anche rabbrividire, come ci sia scarsa consapevolezza di questo intorno a noi e come, non
solo l’opinione pubblica e l’umanità, ma anche personaggi che dovrebbero essere un po’ più illuminati e
lucidi non si rendono conto di quello che sta succedendo e continuino imperterriti a guardarsi l’ombelico in
una società decadente come quella italiana. Andando in giro negli altri paesi ti rendi conto che sono davvero
molti passi in avanti: hanno una rapidità e una lungimiranza diversa dalla nostra.
PARTE 2 : IL FUTURO DELLA TV

Si procede per contaminazione, nel senso che i mezzi, anche precedenti, non vengono soppiantati, ma si
evolvono, in quanto hanno delle caratteristiche diverse. La tv avrà sempre delle caratteristiche diverse come
mezzo rispetto a internet; stiamo parlando a questo punto di una contaminazione totale, dove comunque la
televisione rimarrà, ma dovrà rivedere il proprio ruolo. A questo punto non è secondo me tanto importante
discuter su quale sarà l’effettivo risultato finale, a cosa sarà ridotta la televisione, perché sarebbe secondo
me una discussione sterile, non abbiamo le basi per la comprensione adesso, non possiamo saperlo.
Possiamo però decidere da che parte stare, nel senso che mi sembra abbastanza ovvio che qualsiasi
movimento di resistenza, anzi qualunque resistenza a questo movimento sia controproducente per l’intero
panorama dei media e della società; si tratterebbe praticamente di arginare un fiume con pochi ciottoli, non è
possibile più arginarlo. Se si potesse dare un suggerimento, sarebbe quello di cavalcare il più possibile
questa ondata, questo cambiamento, e cercare di sperimentare il più possibile, per non farci trovare fermi,
con un ritardo di decenni rispetto ad altri paesi che hanno compreso meglio questo tipo di fenomeno e che
hanno investito delle risorse per il cambiamento. E’ necessario evolversi, è necessario mettersi in
discussione. Ora il problema è come è possibile che la tv italiana si metta in discussione dopo che ha vissuto
di rendita per così tanto tempo, chi si può mettere in discussione?
Probabilmente le poche speranze le possiamo riporre sulle nuove televisioni che stanno nascendo perchè
ne Mediaset, così gonfia di profitti può mettersi in discussione, perché ormai talmente sono grossi i privilegi
che combatterà fino alla morte per evitare di perderli, né una Rai completamente lottizzata dal potere
politico, sia di destra che di sinistra, che ha perso di vista assolutamente la sua vocazione di sevizio
pubblico, per diventare un servizietto per i partiti politici. Quindi probabilmente, se c’è una speranza per
l’Italia come paese, è riposta o nelle facoltà individuali di questi nuovi soggetti, questi nuovi media individuali,
questo pubblico editore; o nella lungimiranza di qualcuno di questi nuovi network che sta nascendo.

PARTE 3 : CONVERGENZA E MULTIMEDIALITA’

Limitarsi a un unico medium poteva essere una strategia efficiente quando questo era egemone e poteva
influenzare l’opinione pubblica. Ma anche in quel tempo lì, le campagne di comunicazione, piuttosto che i
progetti e i format, i programmi più efficaci, erano quelli che riuscivano in qualche modo a sfruttare e a fare
leva sulle caratteristiche dei diversi mezzi. Ricordo esperimenti di programmi che andavano in onda in
contemporanea in radio e televisione e che comunque avevano a disposizione un ufficio stampa che
cominciava a far parlare le persone di quel programma sui giornali. C’è sempre stata una strategia del
multimediale, tanto più oggi. Quello che si sta facendo non può essere ridotto a occupare uno spazio
televisivo, il progetto comunicativo deve saper sfruttare efficientemente tutti i diversi mezzi che sono a
disposizione per massimizzare il proprio valore.
Per quanto riguarda noi siamo sul satellite, abbiano trenta reti locali, andiamo in onda su internet, abbiamo
un accordo con Il Cannocchiale, molti programmi vengono distribuiti via pod-cast piuttosto che dispersi in
rete, perché il progetto è quello di farci conoscere il più possibile. Il nostro progetto, soprattutto della Blog tv,
è un’estrema contaminazione dei mezzi, non tanto nella fase distributiva, che sinceramente mi interessa
anche meno, quanto nella fase produttiva e creativa, che invece è la vera novità; da tempo le tv
distribuiscono i propri programmi su internet, però fatti per la televisione, e poi messi a disposizione di tutti su
internet o sulle cassette.
La vera novità è la fase produttiva e creativa: per la prima volta le persone sono state abilitate a fare
comunicazione audio-video con le due lire della telecamere che c’ho davanti. Le immagini dello tsunami,
della metropolitana di Londra, altre immagini che diventano segnali, simboli, cioè mediologicamente
importanti, vengono prodotti non da grandi network, ma dalla gente comune; e questo è spaventosamente
eccitante, perché ha dell’influenza, avrà degli effetti, non solo sui media, ma anche sulla società. Quindi è la
fase produttiva, lì c’è ancora molto da imparare, lì siamo veramente nella preistoria, perché ancora non si è
capito come fare, come si organizzerà questa moltitudine, attorno a che cosa riuscirà ad organizzarsi per
contrastare efficacemente lo strapotere dei network tradizionali.

PARTE 4: TV, SMART MOBS, COMMUNITY

Più che una community, mi piacerebbe riuscire a trovare il modo per aggregare le forze e renderle ancora
più potenti. Sai diventare una community poi è strano, è diverso; si poi saremo anche una community, una
meta-community probabilmente, perché gli interessi di questi vlogger sono diversi, sono già community per il
loro gruppo di amici, vivono già in altre community come il cannocchiale. Quello che noi dobbiamo riuscire a
fare è farli riunire intorno a noi e renderli consapevoli ed essere trasparenti nei loro confronti: di quello che
stiamo facendo, non tanto per noi stessi, quanto per dare ancora più forza al movimento. Credo che sia
paragonabile, se vuoi, da un punto di vista di organizzazione, da un punto di vista sociologico, a una
rivoluzione: tante persone che cominciano a manifestare qualcosa in maniera disaggregata, e che invece poi
trovano il modo, la modalità, magari per qualcuno che ci investe, gli da le risorse, di esporsi in una maniera
ancora più efficace e di rivoltare il sistema così come era costituito.

PARTE 5: LE MIE ELEZIONI

Con due lire e con lo sforzo di tutti siamo riusciti a fare un documentario che nessun altro network ha fatto,
dando una reale e veritiera rappresentazione di quello che è successo.
Perché poi il problema vero è che con la tv si era spaccato il mondo, tra chi ne faceva parte, cioè i giornalisti,
i politici, i personaggi dello spettacolo, e chi era ridotto ad una couch potato, che stava lì e doveva sorbirsi
tutto quanto, leggere i giornali in cui si parlava di loro ed ambire ad essere loro, come nel grande fratello.
Questo meccanismo assomiglia molto a quello di un campo di concentramento, dove c’è il loro e c’è una
miriade di gente, che nonostante sia in numero maggiore, non riesce a organizzarsi.
Ecco, adesso si stanno un po’ rivoltando le cose: abbiamo capito che loro non riescono a rappresentare la
realtà, la nostra realtà, che sono staccati dal nostro senso comune; i politici, i giornalisti e tutta quella gente
là, per colpa loro, perché si è rinchiusa in una sorta di limbo, un po’ come potevano essere i nobili negli ultimi
giorni di Pompei, a guardarsi l’ombelico e a pensare che erano la civiltà più splendida del mondo, quando
intorno a loro il mondo stava cambiando e stava distruggendosi e rivoltandosi e c’era il caos. Siamo
esattamente nello stesso modello, solamente che ancora i media tradizionali hanno un’influenza nel farci
percepire che quasi quel modello continua ad essere quello reale. Ecco, con le mie elezioni abbiamo visto
che non è così, la realtà è molto diversa da come ce la stanno raccontando e il loro racconto è fatto
esclusivamente per conservare il loro privilegio, perché qualsiasi racconto diverso li rivolterebbe subito. E
questa è la battaglia che è in atto, perché in qualche modo dovremo aver ragione di questa distonia tra una
rappresentazione fine a sé stessa e la realtà così com’è.

PARTE 6: BLOG GENERATION

La tv partecipata risponde a due idee: una, che non solo le persone possono realizzare i propri video,
mandarceli e farceli mandare in onda, ma che possono interagire in diretta con una web cam con un
videofonino con gli altri programmi.
La vecchia telefonata poneva il pubblico ad un livello inferiore rispetto a chi stava in televisione; adesso il
pubblico sta quasi allo stesso livello, perché ci mette anche la faccia, e quindi non può essere staccato
prepotentemente, sta quasi alla pari con il conduttore. Questa cosa qui la stiamo cercando di incorporare in
tutti i nostri programmi.
La seconda esigenza cui risponde Blog Generation è una comprensione del target, nel senso che quello cui
ci vorremmo rivolgere sono quelle persone che potremmo definire “internet generation”, abituate a un certo
tipo di informazione, che la vanno a ricercare in certi tipi di siti, nei blog, su La Repubblica, su Il
Cannocchiale ecc.. Questo programma quotidiano deve rispondere proprio a questo, ad aggiornare questa
internet generation di quello che succede nel mondo di internet, di cui loro fanno parte.
Chi ci guarderà sul satellite o sul mobile in quel momento non è al computer, e magari vuole, ha bisogno di
sapere nell’altro mondo, quello che lui visita quattro, cinque volte al giorno cosa sta succedendo. E’ un
servizio, e così in effetti è la risposta del pubblico.

PARTE 7: SELEZIONE DEI VIDEO

Non abbiamo nessuna selezione, né censura e vorremmo in tutti i modi evitare di farla. Certo quando il
palinsesto sarà affollatissimo probabilmente qualche scelta la dovremo fare, ma chi la farà non dovrà
assolutamente farlo su basi politiche, ma quantomeno su basi estetiche. Ci sarà un coordinamento, ci sarà
una direzione editoriale, insomma, però sarà chiara e trasparente quale sarà la scelta.

PARTE 8: RAPPORTO VLOG E TELEVISIONE

Non credo che la televisione aggiunga particolarmente al linguaggio utilizzato dai vlogger, ma che sia
semplicemente una vetrina che possa stimolare la produzione ancora maggiore di questi video da parte
della comunità dei vloggers; un modo di farsi vedere, di essere lì, anche nel mezzo considerato mainstream,
nel mezzo alto.
Ma sono proprio due comunicazioni diverse: il prodotto che noi mandiamo in onda è stato ideato per internet,
quasi non avrebbe senso che andasse in tv se non per farsi vedere ancora di più. In una nuova fase
probabilmente nasceranno dei prodotti ideati sia per internet che per la tv, che potranno fidelizzare sia il
pubblico della rete che il pubblico da casa: quando cresceremo noi, quando cresceranno i vloggers. In
questo momento non c’è un reale valore aggiunto dato dalla tv ai vloggers, se non, ripeto, per una visibilità.
PARTE 9: I VLOGGERS E IL RUOLO DELL’EDITORE TELEVISIVO

Ci deve essere una voglia comune, in questo momento, di rappresentare se stessi, di far vedere che ci
siamo; e questo è l’obiettivo, sfumato, ma molto comune. In un secondo momento, quando questo
passaggio l’avremo svolto, ci dovrà essere assolutamente una direzione artistica, giornalistica, editoriale,
autoriale che faccia più comunità, e quindi si formerano vari gruppi di vloggers, che magari svilupperanno un
programma basato sui loro video fatti all’esterno, e lo porteranno in televisione; lì ci sarà un’organizzazione,
una formattizzazione, probabilmente, di quello che è. Adesso è una semplice trasposizione, ma si dovrà
capire come aggiungere valore a queste risorse, quindi che tipo di direzione dare, nella selezione,
nell’organizzazione, nella miscellanea che si va a fare. Le mie elezioni è un caso di questo tipo: non è
successo niente di diverso dal fatto di prendere i video e mandarli in onda; però i vloggers si sono coordinati,
c’era un obiettivo comune di rappresentare due giorni in particolare, sono stati selezionati e montati ed è
uscito un prodotto che effettivamente è di una qualità maggiore rispetto a un’ora qualsiasi di Blog tv, perché
ha un senso. Ecco, questa attribuzione di senso, dovrà essere il ruolo di questo nuovo editore, o dell’editore
che si vorrà confrontare con questa moltitudine di vloggers; dovrà essere in grado, carismaticamente o no, di
attribuire senso, di incanalare, di farsi seguire, quindi, di gestire questa comunità; una sorta di condottiero di
questo nuovo esercito.

PARTE10: FINANZIAMENTO

Nessuno tv si finanzia esclusivamente con il rimborso previsto per l’editoria, alla pari di quelle che possono
essere le radio o i giornali di partito. E’ giusto che lo Stato investa nella ricerca e nello sviluppo e nel
pluralismo delle opinioni, che sostenga diverse voci e progetti di ricerca e sviluppo nel campo dei media, e
per questo motivo mi sento abbastanza sereno di averli presi. Che poi il fine della legge fosse quello di dare
dei soldi in più ai partiti politici... In questo momento ho trovato, abbiamo trovato, delle risorse per fare dei
progetti che altrimenti non sarebbero potuti essere finanziati, in quanto, per colpa di altre leggi, fatte ancora
peggio di questa, il mercato pubblicitario è strozzato, e quindi non si può innovare in questo Paese, se non
perdendoci un sacco di soldi.
Che dire, se non ci fossero non avremmo sperimentato la Blog tv, non avremmo fatto la video
partecipazione, non avremmo creato un ambiente dove si può discutere di politica in modo diverso rispetto al
precedente. Quindi non vorrei dire il fine giustifica il mezzo, perché secondo me va cambiata radicalmente
questa legge, con un’altra che premi questo tipo di progetti qui; quindi sia adesso che nel futuro me li sarei
presi comunque, probabilmente invece qualcun altro non sarebbe stato legittimato a prenderli.

PARTE11: PUBBLICITA’

Il mercato pubblicitario, dove vede delle teste e un posizionamento, in teoria dovrebbe investirci perché ha
dei ritorni sul tipo di audience che andrà a cercare. Purtroppo il nostro mercato pubblicitario è in mano a due
sole concessionarie di pubblicità e quindi vanno tute lì, Sipra e Publitalia, Rai e Mediaset, e non è
culturalmente preparato a premiare progetti innovativi specifici, segmentati, di target, perché continua ad
essere gonfiato e drogato da queste due grandi concessionarie. Siamo un po’ nell’epoca Telecom prima
della privatizzazione, dove chiunque, anche il piccolo imprenditore, volesse entrare nel mercato si prendeva
delle stangate enormi, perché Telecom poteva fare degli sconti notevoli. A 15 anni di distanza oggi c’è un
mercato più libero nelle telecomunicazioni, che consente anche un’innovazione di prodotto, maggiore valore
distribuito al consumatore.
Ci sono studi classici, di economia aziendale e politica, che dimostrano come, nel monopolio, il valore
all’interno di un mercato venga tenuto e trattenuto dal produttore, e come solamente in situazione di
concorrenza perfetta, il valore venga distribuito in tutti quanti gli operatori, e dal produttore al consumatore
soprattutto. Valore è anche che progetti come il nostro per trovare risorse devono rivolgersi da altre parti;
questo è il problema italiano.
INTERVISTA /B:
MARCO ESPOSITO,
RESPONSABILE BLOG TV E BLOG GENERATION
STUDI DI NESSUNO TV, ROMA 9/06/2006

ILARIA NICOSIA:
Come nascono Blog Tv e Blog Generation?
MARCO ESPOSITO:
Blog Tv è la premessa per Blog Generation, perché ha consentito di entrare nel mondo dei blogger,
conquistarne la fiducia e studiarne le dinamiche.
I. N.:
Quando nasce il progetto di BlogTv?
M. E.:
Nel marzo del 2005 c’è stata la prima riunione sui video blog. E’ nata in collaborazione con Il Cannocchiale,
che ha inserito sulla sua piattaforma la possibilità di inserire video. Questi blogger, che diventavano video
blogger, nello stesso tempo concedevano a Nessuno Tv la liberatoria per trasmettere sul suo canale
satellitare i loro video.
I. N.:
In cosa consiste la liberatoria?
M. E.:
E’ una liberatoria che consente di trasmettere i video senza incorrere in rischi di violazione del copyright, e,
allo stesso tempo, è un’assicurazione per Nessuno tv che questi contenuti non vengano venduti a terzi in
esclusiva. Dopo la liberatoria è nato il bottone, a dicembre: ha avuto subito un grande successo e molti
blogger inseriscono sia il bottone di Blog Tv che quello di Nessuno tv. Questo a testimonianza che c’è un
legame forte, ed evidentemente è una cosa che a loro piace, altrimenti non la farebbero. Ci tengono anche a
partecipare, ad avere commenti su quello che loro fanno e scrivono. Alcuni rapporti con gli storici sono
diventati poi anche, se vuoi, rapporti personali, e molti di questi sono diventati video partecipanti di Blog
Generation. Per questo ti dicevo che Blog Tv è la premessa per Blog Generation, perché è stata la base per
poi costruire tutto il resto.
I. N.:
Raccontami ancora della nascita di Blog tv...
M. E.:
Sì, abbiamo cominciato piano piano, e si è andata mano a mano strutturando anche dal punto di vista del
palinsesto, acquisendo una sua propria fascia oraria, che è sempre stata quella delle 20,00, del prime time,
con una funzione di traino per il resto dei programmi, prima del Contro Adinolfi e dopo Presa diretta, le due
trasmissioni di punta della rete. Crescendo il numero dei videoblogger...
I. N. :
Che sono attualmente?
M. E. :
All’inizio eravamo pochissimi, ora siamo cresciuti andando oltre i confini del Cannocchiale e siamo sui 150.
Questo consente di fare un’ ora di palinsesto di Blog Tv italiana al giorno, ogni giorno nuova.
La puntata si costruisce al mio arrivo la mattina, quando controllo tutti i vlog dei nostri video blogger e finché
non arrivo a un’ora non mi fermo. Il lunedì infatti è il giorno da una parte più semplice da una parte più
complicato: il materiale è tantissimo, anche perché il week end favorisce la produzione.
Oggi come oggi costruiamo 4 fasce di Blog Tv: la prima va in onda alle 19,15, prima di Presa Diretta, ed è
un quarto d’ora di Blog Tv italiana; poi alla fine di presa diretta, dalle 20,15 alle 20,30 un altro quarto d’ora di
Blog Tv sempre italiana; un altro inserto è a chiusura di Blog Generation, che va in onda dalle 18,00 alle
18,20 (anche se ora per i mondiali abbiamo anticipato l’appuntamento alle 17,45), e presenta un quarto d’ora
di Blog Tv internazionale, soprattutto statunitense; poi dalle 23 alle 23,30 c’è un’altra fascia di Blog Tv.
In questa fascia oraria, da dicembre, abbiamo iniziato a creare degli appuntamenti fissi: ad esempio il
venerdì alle 23 c’è l’appuntamento con roadtv.ilcannocchiale.it, un nostro video blogger che ci segue da
settembre e che ha inventato un format in cui dei ragazzi napoletani -che sono poi i blogger- vanno in giro
per le strade di Napoli a parlare con i passanti; hanno fatto anche, non so se ti ricordi “Colpo di Fulmine” con
Alessia Marcuzzi, ecco una versione di quel format sul vlog. Quello è diventato un appuntamento fisso.
Un altro blogger storico è Leofilm, che è un critico cinematografico, ed è diventato un po’ un punto di
riferimento della comunità per la scelta dei film da andare a vedere; ogni lunedì, chi vuole sapere cosa
pensa dei film nelle sale, trova un suo videopost in onda sempre alla stessa ora. Altri sono Interact Tv che ci
fornisce “Non Leggere” e “In Cucina”: è il nostro “Gusto”, una versione in cui la casalinga si apre il blog: con
la sua telecamerina si registra mentre cucina la sua ricetta, la mette on line e a disposizione di tutta Europa
tramite noi, di tutto il mondo tramite internet.
I videopost, oltre ad essere reperibili nei blog degli autori, linkabili dal sito, sono messi a disposizione sul sito
con titolo, anteprima, nome del blog e orario di messa in onda. Quindi anche il video blogger, una volta
entrato a far parte della nostra squadra va sul sito, vede se è stato selezionato e a che ora andrà in onda il
suo video.
I. N. :
Dunque, Il blogger per scoprire se è stato selezionato deve controllare sul sito..
M. E. :
Bé, all’inizio li avvertiamo, ma quando capiscono bene il meccanismo vanno da soli. Io sono rimasto
sorpreso soprattutto all’inizio, per la qualità dei video prodotti; quando vidi i primi video blog l’anno scorso,
rimasi stupefatto: non mi aspettavo né una tale capacità tecnica, né tanta inventiva. Poi col tempo forse ci si
abitua, però all’inizio avevano proprio una forza dirompente, vedevi cose talmente dissacranti che non le
avresti viste da nessuna altra parte. Era un periodo tra l’altro in cui c’era il conclave per la nomina del nuovo
Papa, c’erano le elezioni regionali, quindi è coinciso con un momento particolare della vita della società; in
questo contesto si è verificata la necessità di una comunicazione diversa rispetto a quella istituzionale,
troppo rigida. I video blogger facevano e dicevano delle cose che nella tv tradizionale non avresti visto.
I. N. :
Pensi che Nessuno tv possa essere un momento di raccordo tra televisione tradizionale, e la voglia di
rompere quel modello?
M. E. :
Si mischiano un po’ le due cose. Non so, Presa diretta per esempio è una trasmissione più tradizionale.
I. N. :
Quali sono i criteri che ti guidano nella selezione del materiale, così abbondante?
M. E. :
Dopo un anno i criteri si sono standardizzati e routinizzati. La prima cosa è la conoscenza del vlogger: c’è il
vlogger che se non si vede selezionare due video consecutivi ti scrive; se si dice che i blogger sono
esibizionisti, il vlogger forse lo è ancora di più: ha fatto un lavoro, sa che ha la possibilità di andare in onda,
se non succede, ti chiede perché; alcuni ci hanno anche scritto dicendo “mi avevate detto che andavamo in
onda alle 20,03 e invece sono andato alle 20,11”...insomma a volte sono difficili da gestire.
I. N. :
C’è un grande scambio tra te e i blogger...
M. E. :
Bè, l’aver aperto un blog mio ha aiutato molto la creazione di un rapporto tra di noi: io vado sul loro blog, loro
vengono sul mio.
I. N. :
Altri fattori che hanno concorso alla creazione di questo rapporto?
M. E. :
Sono stati due i momenti decisivi: uno l’inizio di Blog Generation, l’altro la creazione del film.
Il film è arrivato al momento giusto, nel senso che era un anno esatto dall’inizio della Blog Tv, e quindi
avevamo un buon numero di vlogger che potevano partecipare, eravamo già sopra i 100. Poi l’evento ha
permesso di estendere la partecipazione ad altri blogger che non avevano mai lavorato con noi. Ma
soprattutto si era creato un rapporto di fiducia con loro, e di comunicazione ormai abbastanza esistente, per
cui nel momento in cui sono andato a contattarli, anche telefonicamente (perché ormai avevo anche i numeri
di telefono!), ho avuto risposta positiva da quasi tutti, tranne chi non era in Italia o chi era impegnato in quei
due giorni (per esempio chi faceva lo scrutatore).
Anzi nei giorni che hanno preceduto l’anteprima sentivamo l’attesa, la pressione, soprattutto dopo il trailer
che abbiamo presentato per Pasqua, quindi una decina di giorni dopo le elezioni; dopo la trasmissione del
trailer abbiamo avuto un’impennata di ascolti, perché tutti quelli che avevano visto i propri filmati premiati,
hanno cominciato a bombardarci di mail, volevano sapere notizie del film; gli altri invece volevano sapere se
erano stati selezionati o meno. Quella è stata la parte se vuoi un po’ più infelice per me, perché dovevo
comunicare ad alcuni che non erano stati selezionati. Ancora oggi ho ricevuto mail di chi mi diceva “non
capisco perché non sono stato selezionato..”. In realtà la scelta non era mia, ma del regista, Stefano Mordini.
E’comunque stato un momento decisivo, siamo cresciuti di numero, siamo passati da 100 a 150.
I. N. :
Questo film sancisce anche l’uscita della comunità dal circuito sia del Cannocchiale che di Nessuno tv, il suo
riconoscimento all’esterno
M. E. :
Il film è venuto molto bene e infatti è stato selezionato per partecipare al Bellaria film festival.
E’ stato un lavoro molto stressante, perché i filmati erano tantissimi e concentrati su due giorni; la scelta
definitiva è spettata a Stefano, il mio compito era coinvolgere, far partecipare più possibile i vloggers e
raccogliere il materiale, scremarlo dicendo a Stefano cosa si poteva aspettare da ogni filmato. Prima di dargli
il materiale gli avevo illustrato un po’ tutti i nostri blogger: che tipo di video facevano, come sapevano usare
la telecamera e devo dire che tra alcuni di loro ce ne sono di veramente bravi.
I. N. :
Quali sono i vloggers più quotati?
M. E. :
Donne e libertà di stampa, ma anche Maurizio Dovigi, uno dei primi vlogger in Italia, che fa cose molto
provocatorie, fa il suo editoriale con un linguaggio molto particolare: inquadrature dall’alto, dalla
macchina...sono cose che attirano molta attenzione. Poi abbiamo vlogger più creativi, meno
documentaristici, basati su animazioni: non so, Avanzidicuore, Antonio Masotti, Talentosprecato,
Lunadivelluto.
A far parte della Blog Tv ci sono anche le web tv e lì abbiamo una comunicazione più istituzionale; Messina
web tv ci ha mandato molto materiale, ma era molto tradizionale, sembrava più un tg se vuoi.
C’è chi andato per noi a piazza Santi Apostoli ad aspettare l’uscita di Prodi e poverino ha fatto le tre di notte!

I. N. :
Parliamo di blog generation
M. E. :
La particolarità di blog generation è sicuramente la video partecipazione: tramite Mycast, che è un sistema di
comunicazione messo a disposizione da Digital Magic, le persone da casa si possono collegare, muniti di
microfono e webcam, con il nostro sito, dove c’è un link per la video partecipazione; linkando si accede a un
front end: basta riempire i campi ed acconsentire all’uso dei dati nel rispetto delle leggi sulla privacy, e a quel
punto si entra in video moderazione; lì ci siamo io o la mia collega Carola, che accogliamo le persone,
scalettiamo gli interventi a seconda di quanti ce ne sono, e poi li mandiamo in onda.
I. N. :
Il tema della puntata come viene scelto?
M. E. :
Blog Generation ha avuto due fasi: la prima è stata quella settimanale, che è andata avanti da metà ottobre
fino ad aprile. Era una sorta di talk show, in cui in video partecipazione c’erano i bloggers, ma anche
personaggi contattati da noi. In questa fase abbiamo scandagliato il mondo dei blog, è stato come se li
avessimo accompagnati verso la conoscenza di questo nuovo mondo: abbiamo spiegato prima cosa è un
blog, perché i blog potevano essere rivoluzionari. Anche perché altrimenti sarebbe stato incomprensibile per
chi ci avesse seguito.
Finita questa fase abbiamo cominciato la fase del quotidiano, più corto, dura 20 minuti ed è completamente
diverso come format: in studio siamo io o Bruno e le web cam e basta, cosa che era successa solo una volta
in Blog Generation settimanale. Sono tre, quattro anche cinque interventi a puntata, a seconda di quante
persone intendono video partecipare. Questa trasmissione è fatta in collaborazione con Il Cannocchiale: la
mattina perciò scegliamo l’argomento e lo comunichiamo al Cannocchiale e sul blog della trasmissione;
quindi tutta la comunità è informata su quella che è la nostra iniziativa, e su tutte le variazioni della
trasmissioni, tramite la newsletter, sia del sito, che del blog.
Il tema è generalmente d’attualità: ogni giorno c’è una pillola che è tratta da uno degli argomenti che hanno
ricevuto il rank maggiore secondo Technorati; la trasmissione si chiude invece con una pillola dedicata alla
piattaforma Il Cannocchiale, in cui si parla di un post in particolare della giornata, cercando di sceglierne uno
particolarmente commentato e raccontandolo con un tono abbastanza leggero. Questa pillola finisce poi sul
blog della trasmissione, e questo fa aumentare il giro della community: io lascio un commento a quel post,
creando il dibattito intorno all’argomento; tutta la comunità conosce la trasmissione, quindi va sul blog e
commenta la pillola speakerata e questo aumenta la comunità intorno alla trasmissione. In effetti il post nella
sua versione televisiva subisce dei mutamenti e degli adattamenti: viene sintetizzato, letto da uno speaker e
riletto nella sua versione televisiva.
I. N. :
Qual è l’ostacolo maggiore alla video partecipazione

M. E. :
Può sembrare strano, ma l’ostacolo più grande è ancora tecnico: di capacità di banda, di compatibilità tra i
loro strumenti e i nostri; la web cam inoltre non è uno strumento così diffuso come si può pensare,
nonostante costi pochissimo; oppure c’è chi ha l’adsl, usa il pc per lavorare, ma magari scopre solo con noi
che ha la scheda audio rotta da un anno.
I. N. :
Quindi Blog Generation può essere considerato anche uno strumento di alfabetizzazione informatica, date
dei motivi per essere connessi
M. E. :
Sì, molte persone si sono comprate la web cam , qualcuna l’abbiamo regalata anche noi, qualcuno si è fatto
mettere a posto il computer...
Se tu riesci a creare il personaggio, la trasmissione ne guadagna: è come se avessi un ospite fisso. Timoteo
per esempio è giovane, spontaneo e diretto, mentre molti ripropongono modalità di intervento più
tradizionali. Chi è più spontaneo può invece risultare più simpatico, più alla portata.
I. N. :
Quali sono, secondo te, le matrici che portano le persone a partecipare: è puro esibizionismo, o ci sono altre
componenti?
M. E. :
L’esibizionismo è una componente, ma c’è una voglia di esprimersi clamorosa. Poi c’è anche quella di non
fidarsi più dei media tradizionali, si è rotto un rapporto. Questo è stato il motivo per cui ho aperto il mio primo
blog, e per cui molti hanno fatto lo stesso. Ormai i meccanismi sono piuttosto palesi: quello che è successo
nel mondo del calcio, per esempio, dove i giornalisti prendevano ordini da Moggi o chi per lui...
Ci sono le condizioni perché l’individuo si faccia media, affinché le oligarchie dei mass media vengano
spazzate via. Negli USA c’è un movimento dei blogger molto importante. In Italia c’è una debolezza
intrinseca della blogosfera, che non riesce ad incidere sulla realtà come dovrebbe e potrebbe; forse oggi ci
sono le condizioni, si inizia a muovere qualcosa: penso a macchianera e la scoperta degli omissis del caso
Calipari.
I. N. :
Pensi che Nessuno Tv possa rappresentare uno stimolo per la blogosfera a muoversi diversamente, e a
cogliere tutte le potenzialità del blog?
M. E. :
Devi dare dei riferimenti, per questo abbiamo aggiunto la blog tv internazionale, perché questo può essere
un riferimento, uno standard, anche dal punto di vista stilistico ed estetico. Parliamo chiaro: a Blog Tv ci
sono delle cose carine, ma anche cose meno interessanti; il fatto di metterle lo stesso serve a mantenere il
rapporto con il video blogger, che rimane comunque un rapporto di fiducia. Essendo una collaborazione
totalmente gratuita, la ricompensa è la messa in onda e non puoi deluderli. Il loro comportamento va
comunque premiato, però in un’ ora ci sono venti minuti buoni, quaranta un po’ sonnacchiosi, e allora
occorre fare delle scelte. Se tu dai dei riferimenti stilistici questi vengono colti: la comunità automaticamente
va subito a fare commenti ai vlogger più bravi, che diventano leader e trascinanti. Per esempio pensa ad
Antonio Masotti: si è creata una sottocomunità di fans del vlogger.
I. N. :
Come cambia il significato di un video dal blog alla tv: si può parlare di una trasformazione dal blog al blob?
M. E. :
Assolutamente sì, e infatti bisogna pensare a un’evoluzione sotto questo punto di vista: da una parte il blob è
tendenzialmente molto bello, perché puoi vedere Berlusconi che fa le corna e poi il vlog di destra e poi quello
serio e poi il cartone animato. Però questo accostamento, togliendo il video dal suo contesto originale, non
dico lo snatura, ma lo cambia sicuramente: per esempio mentre nel blog l’autore può inserire un titolo, che
spiega meglio il significato del video, noi inseriamo nella maschera solo il titolo del blog da cui il video è
tratto; questo impone di mettere un testo accanto per contestualizzare il video che sta andando in onda.
Cerchiamo comunque di toccarli il meno possibile: l’unica cosa che ogni tanto facciamo è tagliarli se sono
troppo lunghi; lo standard del video blog ideale sono 2-3 minuti, fino a 5 e 30 tolleriamo; a volte, specie nella
fascia oraria delle 23 metto anche cose più lunghe, sono arrivato a mettere anche cose di 18 minuti, a volte
perché era richiesto, a volte perché c’era persino il gruppo d’ascolto per quel video; addirittura c’è
un’associazione culturale che partecipa a Blog Tv che fa i comunicati stampa...lì diventa difficile tagliare.
I. N. :
Dovete scendere a compromessi...

M. E. :
Sicuramente sì: tu hai le chiavi del regno, ma se vuoi la partecipazione del pubblico devi essere pronto a
darle; se tagliamo mettiamo un titolo, in cui si spiega che per vedere il video intero bisogna visitare il sito
www....ilcannocchiale.it .
I. N. :
State recuperando, con questi esperimenti, un rapporto diretto con l’audience?
M. E. :
Per quanto mi riguarda assolutamente sì: loro vengono spesso sul mio blog per informarmi di aver inserito
un nuovo post, o sul blog di Bruno...
I. N. :
Pensi che la vostra esperienza possa insegnare qualcosa ai media mainstream?
M. E. :
Penso che la video partecipazione sia la caratteristica fondamentale di nessuno tv e può diventare molto
diffusa, qualunque trasmissione può avvalersene. La video partecipazione è più congeniale al mezzo
televisivo, al contrario della telefonata, è un modo di arricchire la trasmissione; inoltre quando è l’utente
semplice a collegarsi, succedono sempre cose carine: il passante che si incuriosisce, la telefonata dall’amico
sul cellulare dell’utente collegato con noi...
Il futuro forse può essere quello di non scalettarle proprio, aprire al flusso continuo. Già adesso si crea una
bella conversazione: io non metto nessun filtro, non ho mai detto a nessuno “no questo non lo puoi dire,
chiudi questa web cam”, e neanche bruno l’ha mai fatto. Sotto questo punto di vista è un piccolo successo il
fatto che la video partecipazione sia spontanea, da un mese comincia ad andare da sola, senza invitare i
blogger, che partecipano da soli. Certo un po’ di attività di marketing sui blog c’è sempre, però è anche molto
spontanea.
I. N. :
E questa attività di marketing in cosa consiste?
M. E. :
Prima di tutto il blog della trasmissione è stato fondamentale, perché è diventato un punto di incontro. Poi
oramai abbiamo un database di tutte le persone che hanno video partecipato; anche il fatto di lasciare un
commento al post selezionato per la pillola finale di Blog Generation incrementa la video partecipazione. Il
Cannocchiale ci ha dato, inoltre, una grande visibilità, dunque arrivano sempre nuovi video partecipanti.
I. N. :
Quali sono i termini dell’accordo con Il Cannocchiale?
M. E. :
E’ una collaborazione gratuita che porta audience e blogger a noi e nuovi blogger a loro; Il Cannocchiale ha
molte iniziative, per esempio l’inserto cartaceo su Il riformista; diciamo che così hanno anche l’inserto
televisivo.
I. N. :
Qual è una possibile evoluzione di Blog Tv?
M. E. :
Arrivati a questo punto è necessaria una trasformazione: il blob è una prima espressione, ed è giusto che sia
stato così. Adesso bisogna andarli a tematizzare; per esempio creare una maschera diversa che divida per
argomento: attualità, citizen journalism, news, politica...in modo che siano più contestualizzati. Sicuramente
ci sarà un cambiamento per settembre.
I. N. :
Ed ogni cambiamento viene comunicato ai blogger?
M. E. :
Certo, sempre
I. N. :
E’ come se 150 persone facessero parte della redazione...è mai capitato che un blogger desse dei
suggerimenti che sono stati poi effettivamente seguiti?
M. E. :
Arrivano continuamente suggerimenti, soprattutto rispetto agli argomenti di Blog Generation. Così come
arrivano le critiche: per esempio avevamo inserito l’editoriale all’interno di Blog tv e qualcuno si è arrabbiato,
la comunità si è ribellata e così lo abbiamo eliminato. Noi l’avevamo messo perché si prestava: durava 5
minuti, televisivamente parlando era la collocazione migliore; ma siamo stati accusati per il fatto che quello
non era un vlog e che non potevamo metterlo con la maschera di blog tv...
E’ davvero come se avessimo una redazione di 150 persone, e in più distribuite sul territorio: in questo modo
abbiamo notizie da Messina, Palermo, Milano, Roma... per esempio c’è un nostro blogger di Sesto
Fiorentino che ci aggiorna settimanalmente sullo stato di avanzamento dei lavori; a Napoli abbiamo una
street tv che ci ha inviato il filmato dello spettacolo di Beppe Grillo.
Fortunatamente copriamo tutto il territorio, e questo ci è tornato utile per “Le mie elezioni”. Il citizen
journalism è sicuramente una parte fondamentale del blogging e del vlogging; per esempio un tema cui
abbiamo dato molto spazio è stata la vicenda di Federico Aldovrandi: abbiamo fatto due puntate speciali di
mezz’ora su di lui con i vlog a lui dedicati; la madre, grazie al suo blog, è riuscita a riportare la sua storia
all’attenzione della stampa e dei grandi media nazionali, riaprendo il caso. E questa è una grande conquista
della blogosfera italiana: il passo successivo è l’attesa che si rompa questo muro e si superi il digital divide.
Per esempio l’adsl dovrebbe essere un diritto costituzionale: chi non ce l’ha è tagliato fuori da un mondo, dal
circuito comunicativo. Un pc non collegato a internet è un pc morto.
La mia paura è che ci sia una piccola elite che va avanti, mentre gli altri saranno costretti a restare pubblico,
appagati solo dalle gioie della identificazione televisiva.
TESTO DELLA LIBERATORIA DI PARTECIPAZIONE A BLOG TV

Io sottoscritto (nome e cognome):


nato a (città):
il (data di nascita):
residente a (indirizzo esteso):
provincia (sigla):
codice fiscale:

in relazione al video allegato dal titolo:

(di seguito il “Materiale”) concedo a NessunoTV Srl il diritto, ma non l’obbligo, di conservare, diffondere
nonché sfruttare e consentire di sfruttare il Materiale, sia sul proprio sito www.nessuno.tv che attraverso la
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