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Storia della Filosofia

Prof. Francesco Fiorentino

Platone

Una delle costanti della produzione filosofica di Platone è l'opposizione al relativismo dei sofisti: la
teoria delle idee o forme - che pone l'esistenza di modelli ideali ed eterni come fondamenti delle
cose sensibili e alla quale si ricollegano le altre dottrine caratteristiche del pensiero platonico -
risponde proprio all'esigenza di trovare dei punti di riferimento stabili sia nell'ambito della
conoscenza sia in quello dell'agire pratico.
Platone, pur avendo scritto molte opere, ha sempre dichiarato un'aperta sfiducia nei
confronti della possibilità di mettere la filosofia per iscritto. Questo paradosso si spiega
considerando sia il fatto che egli si trova a vivere nel momento del passaggio dalla cultura orale a
quella scritta, sia il fatto che Platone condivide la concezione socratica della filosofia come pratica
di vita. Il dialogo più importante a questo riguardo è il Fedro, in cui Platone dichiara che la scrittura
è soltanto un mezzo per acquisire conoscenze dall'esterno. Ma lo scopo della filosofia è un altro:
mettere in gioco sé stessi e generare, a partire da sé, una forma autentica di conoscenza.
La teoria delle idee risponde a due ragioni convergenti: una di carattere etico e politico e
l'altra di carattere ontologico e conoscitivo. In entrambi i casi si tratta di contrapporre alla
molteplicità e alla mutabilità che caratterizzano la nostra esperienza quotidiana il richiamo a
qualcosa di stabile ed eterno. Per quanto riguarda il primo aspetto, le profonde delusioni patite da
Platone nelle sue personali esperienze politiche lo avevano portato a interrogarsi sull'essenza della
giustizia, ovvero a tentare di identificare la sua definizione immutabile e universale, al di là delle
diverse situazioni o azioni contingenti.
A questo scopo nella Repubblica Platone propone in primo luogo la propria ricostruzione di
come gli uomini siano pervenuti alla vita associata. Alla base di questo processo, c'è il
riconoscimento, da parte degli individui, di non poter essere autosufficienti e la conseguente
decisione di procedere a una divisione delle diverse attività per rispondere meglio alle necessità
dell'esistenza. Tuttavia, questa forma primitiva di comunità tende gradualmente a degenerarsi e a
corrompersi per la crescita eccessiva dei bisogni, che mette in crisi l'equilibrio sociale della città
spingendola a cercare nuove risorse e a conquistare nuovi territori. Nasce così all'interno della
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comunità cittadina il nuovo gruppo sociale dei guerrieri. Per correggere le deformazioni della vita
associata occorre educare adeguatamente questi guerrieri, o custodi, attraverso un preciso percorso
formativo che serve anche a suddividere il gruppo dei custodi in due classi distinte: quella di chi è
adatto al comando, i reggitori o comandanti, e quella di chi deve semplicemente obbedire ed
eseguire, i soldati veri e propri. I reggitori devono guidare la collettività verso il bene sulla base di
un requisito preciso: la conoscenza del bene. Questa è dunque l’esigenza politica o pratica di
postulare le idee: perché la città possa essere giusta, deve esistere un modello stabile, eterno di
giustizia. Ma perché questo modello ideale separato dalle realtà materiali e mutevoli possa essere
efficace, c'è bisogno di qualcuno che lo conosca: tali sono appunto i reggitori e cioè i filosofi.
La società platonica è divisa in tre gruppi: quello di chi produce (contadini, artigiani,
commercianti); quello dei militari; quello dei politici, o "re-filosofi". Solo il primo di questi gruppi
può possedere beni propri, mentre la proprietà privata è vietata ai militari e ai politici, perché
rappresenta la principale causa di corruzione. Platone suggerisce anche di abolire i tradizionali
vincoli familiari.
Platone non considera il suo modello di città come qualcosa di irrealizzabile, in quanto la
tripartizione della pòlis si fonda sul modo stesso in cui è costituita l'anima umana. Questa, accanto
alla componente razionale, possiede una doppia componente irrazionale: un principio irascibile, che
spinge verso l'affermazione di sé e il riconoscimento sociale, e un principio concupiscibile o
desiderante, che spinge verso il soddisfacimento dei desideri legati al cibo e alla sessualità.
L'appartenenza di un individuo a un determinato gruppo sociale si giustifica in base alla
predominanza di uno dei tre princìpi: nei reggitori prevale il principio razionale, nei guerrieri il
principio irascibile e nei produttori/lavoratori l'elemento concupiscibile. Inoltre ciascun membro
deve coltivare la virtù che gli è propria: la sapienza è la virtù dei governanti, il coraggio la virtù dei
guerrieri, la temperanza, cioè la capacità di moderare e contenere i propri desideri, la virtù della
terza classe. La giustizia consiste nel fatto che ognuno deve fare ciò che risponde alla propria
natura, ovvero al principio che è in lui dominante.
Nella seconda parte della Repubblica, Platone propone anche uno schema preciso del
processo di degenerazione della forma politica ideale. Se la città sana corrisponde all'aristocrazia, al
governo dei migliori, essa è destinata a cedere il passo alla timocrazia, ovvero al regime fondato
sull'impulso all'autoaffermazione, dove il principio irascibile prende il sopravvento su quello
razionale. Alla timocrazia segue l'oligarchia, in cui il potere è in mano a pochi ricchi: in questo
caso è l'elemento desiderativo, nella forma della brama di ricchezze, a prevalere. Seguono poi la
democrazia, che è caratterizzata dalla compresenza delle varie forme di desideri, e infine la forma
peggiore, la tirannide, dove a prevalere è il puro desiderio sessuale.
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Secondo la ragione ontologica e conoscitiva, le idee ingenerate, immutabili non


appartengono al nostro mondo sensibile, ma devono essere collocate in un mondo intelligibile,
accessibile alla sola visione intellettuale. L'idea è dunque il fondamento intelligibile - stabile e
unitario - di ciò di cui facciamo esperienza in questo mondo sensibile.
Il rapporto tra le molteplici cose sensibili e le loro forme o idee viene espresso da Platone
attraverso quattro nozioni: partecipazione, imitazione, comunanza e causa. Le cose partecipano
delle idee nel senso che ciò che ogni singola cosa è (la sua natura) dipende dalla natura della forma
o idea corrispondente. Le cose imitano le idee, cioè possiedono in forma imperfetta e derivata ciò
che le idee possiedono in sé e in modo assoluto, ovvero le cose di questo mondo sono copie dei loro
modelli ideali. La comunanza esprime il fatto che ciò che vi è di comune in più cose sensibili
dipende dalla medesima forma. Le idee sono cause delle cose in quanto sono princìpi esplicativi e
ontologici delle cose stesse.
La teoria platonica della conoscenza parte dalla divisione tra l'ambito di ciò che è
intelligibile, di cui si può avere propriamente conoscenza, e quello di ciò che è sensibile, di cui si
può avere soltanto opinione. Ciascuno di questi due ambiti è a sua volta ulteriormente suddiviso: la
conoscenza sensibile comprende sia gli oggetti sensibili che sono oggetto di credenza, sia le copie
di questi ultimi, conosciute attraverso la rappresentazione sensibile. L'ambito intelligibile
comprende il pensiero discorsivo, relativo agli enti matematici, e l’intuizione, relativa alle idee.
Questi quattro gradi procedono da ciò che è più instabile e incerto a ciò che è più stabile e certo.
Il bene non è un'idea come tutte le altre, ma gode di uno statuto particolare: è la causa della
visibilità intelligibile delle idee stesse e non semplicemente delle cose che dalle idee dipendono. Ciò
significa che il buono è superiore alle altre idee, ed è in qualche modo causa del loro essere.
Le idee possiedono sia un'unità che una molteplicità, data dalla rete di relazioni in cui
ognuna è inserita. Ogni idea è unica e unitaria in sé, e tuttavia, considerata insieme alle altre, essa
forma evidentemente una molteplicità. Platone, nel Sofista, individua alcune idee massimamente
generali, di cui tutte le altre in qualche modo partecipano. Queste idee, chiamate "generi sommi",
sono: l'essere, l'identico, il movimento, la quiete e il diverso. Con l'introduzione del "diverso" e il
superamento della contrapposizione assoluta tra essere e nulla, Platone uccide metaforicamente il
padre Parmènide, rompendo con l'idea dell'essere come unità compatta.
Il mito della caverna illustra la differenza tra la conoscenza del mondo sensibile e quella del
mondo intelligibile paragonando la condizione degli uomini a quella di alcuni prigionieri incatenati
nel fondo di una caverna: costretti a vedere solo le ombre proiettate di alcuni oggetti, essi credono
che tali ombre costituiscano la vera realtà. Queste ombre rappresentano ciò che per noi è il mondo
sensibile e la conoscenza che se ne può avere. A causa della condizione in cui sono tenuti, i
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prigionieri non riescono a immaginare una realtà differente, e anche una volta liberati farebbero
fatica a convincersi di essersi illusi fino a quel momento. Se poi qualcuno, una volta liberato,
tornasse indietro e cercasse di spiegare la realtà ai compagni di prigionia, sarebbe con ogni
probabilità preso per pazzo. Questo è appunto il destino dei re-filosofi, che sono pervenuti alla
conoscenza delle realtà intelligibili, ma non ricevono una giusta considerazione da parte dei
concittadini. E tuttavia i filosofi sono comunque tenuti a tornare indietro: invece di dedicarsi alla
pura speculazione (cioè alla pura attività di pensiero), essi devono farsi carico del compito di
liberare gli altri.
Oltre alla dialettica, Platone indica un altro possibile accesso al mondo delle idee, quello
fornito dall'anamnesi o reminiscenza. Nel Fedone, tale teoria viene introdotta a partire dalla
constatazione per cui ciascuno di noi fa uso di nozioni che non sembrano risultare da un'esperienza
diretta, come nel caso della nozione di uguaglianza: bisogna allora supporre che l'anima abbia
appreso tale nozione in una vita precedente. L'apprendimento viene così trasformato nel ricordo di
conoscenze pregresse. Nel Menone il tema della reminiscenza si lega alla maieutica socratica:
Platone immagina qui che Socrate conduca uno schiavo completamente sprovvisto di conoscenze
matematiche alla soluzione di un problema geometrico preciso. Per Platone quindi l'anima è
immortale e prima di incarnarsi ha potuto contemplare le idee.
Platone si occupa della struttura e dell'origine del mondo nel Timeo. Il mondo è il risultato di
due cause: una intelligente, l'altra necessaria e in sé indeterminata. La "generazione" del mondo è
un processo di determinazione o ordinamento, da parte del principio razionale, di ciò che è cieco e
indeterminato. In questo processo, Platone distingue tre livelli di mediazione: il demiurgo che
trasferisce i modelli ideali sulla materia informe; l'anima del mondo che ha il compito di guidare
dall'interno il mondo sensibile; gli enti matematici che rivelano nella struttura geometrico-
matematica del sensibile la presenza dell'intelligibile.

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