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TESI MAGISTRALE – ARGOMENTI

Tesi di Socrate: “La cattiveria non esiste, esiste solo l’ignoranza intorno al bene”. Il
ragionamento volto a dimostrare la validità e veridicità di questa tesi fu il seguente: “Ogni
uomo cerca e vuole il massimo di bene per la propria vita. Se un uomo conosce in che cosa consiste
il bene non può non agire in modo da ottenerlo. Quindi il vero problema è conoscere il bene. Chi
conosce il bene non farà mai il male.” Va precisato che il discorso in questione presuppone un
concetto di bene che sia valido nello stesso tempo sia per una singola persona che per il
gruppo sociale in cui essa si trova a vivere.
Si osserva che la tesi in questione comporta un paradosso molto imbarazzante: da un lato
essa appare inconfutabile. È impossibile infatti pensare che una persona sana di mente
possa coscientemente fare del male a se stessa dopo aver conosciuto ciò che le può
procurare il bene. Dall’altro la tesi appare del tutto in contrasto con ciò che ognuno può
constatare ogni giorno con i propri occhi: difatti, vi sono moltissimi individui che, pur
essendo in condizione di conoscere e quindi di compiere il bene proprio e altrui, agiscono
in modo da produrre il male (sia a se stesse che al loro prossimo).
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cattiveria/

Il libro Psicologia e fenomenologia della cattiveria ci porta così di fronte, tra molti altri, a due
grandi problemi: quello della responsabilità personale di chi fa il male; quello del male
causato dalla distorsione della personalità prodotta dall’ambiente sociale. La tesi che
intendo sostenere e dimostrare è che gli individui non nascono malvagi, ma lo diventano a
causa di svariati e molteplici fattori che dipendono, da un lato, dalla loro struttura psichica
e da eventuali disfunzioni e disturbi del sistema nervoso e, dall’altro, dall’ambiente sociale
nel quale si vive.

ABSTRACT
Gli interrogativi sulla malvagità e sulle sue annesse cause sono stati, e sono ancora oggi,
oggetto di numerosi dibattiti filosofici e scientifici volti a spiegare l’origine e la natura
stessa del male. In questa sede potremmo esemplificare il problema nel breve ma
estremamente problematico quesito: ‘’Cattivi si nasce o si diventa?’’, in relazione al quale è
gradualmente emersa una personale esigenza di approfondimento che mi ha condotta
verso un’analisi della letteratura interessata all’indagine sulla natura del male e della
violenza, sia essa fisica o psicologica.
Il presente elaborato vuole essere il frutto di un lavoro bibliografico volto a chiarire,
seppur in minima parte, le opposte posizioni filosofiche e scientifiche che sostengono l’una
o l’altra tesi – che la cattiveria sia innata o che venga acquisita – e a proporre una personale
visione che intende sostenere quella grande massa di autori, filosofi e psicologi, che, con i
loro esperimenti, hanno invalidato la prima tesi dimostrando che la malvagità non è una
‘’qualità’’ che nasce e muore con l’essere umano, ma è il frutto delle personali esperienze
di vita del soggetto, di condizionamenti socio-culturali e dell’ambiente circostante.

Convinto sostenitore della tesi secondo la quale “cattivi si nasce” è lo psicologo inglese
Simon Baron-Cohen che nella “Scienza del male” e nel testo “Zero Degrees of Emphaty. A
New Theory of Human Cruelty” spiega la crudeltà umana da un punto di vista puramente
scientifico, considerandola una “malattia” dovuta ad una scarsa capacità empatica del
soggetto. Per Baron-Cohen è la totale assenza di empatia – quella capacità innata di
immedesimarsi nell’altro per comprenderne appieno i vissuti – a determinare la malvagità
perché, dagli studi condotti, lo psicologo ha potuto notare come soggetti con insufficiente
o del tutto assente capacità empatica fossero più propensi a compiere azioni malvagie
rispetto ai soggetti dotati di un buon livello di empatia.
La filosofa Laura Boella non sente di concordare appieno con la tesi proposta da Baron-
Cohen e mette in guardia dal rischio di attribuire tutta la responsabilità ai cosiddetti “geni
della malvagità” sostenendo che, in questo modo, finiremmo per giustificare sia le
scorrettezze quotidiane che la crudeltà.

Nel dizionario italiano la cattiveria è definita come “l’innata disposizione a far del male, a
recare danno al prossimo nelle sue cose o nelle sue aspirazioni”; ciò vuol dire che, secondo
il vocabolario della lingua italiana, la bontà e la malvagità sono delle “qualità” innate e,
per certi versi, impresse nel nostro corredo genetico. Un esperimento effettuato da
Philippe Zimbardo, psicologo presso l’Università di Stanford, ha dimostrato, al contrario,
che cattivi non si nasce ma si diventa (“Effetto Lucifero: cattivi si nasce o si diventa?”).
Tale tesi è ulteriormente avvalorata dagli esperimenti condotti dallo zoologo ed etologo
austriaco Konrad Lorenz che, attraverso l’osservazione diretta del mondo animale,
comprese che un cucciolo vivente di qualsiasi specie tende a riconoscere come figura
materna il primo essere vivente che incontra e non chi vede al momento della nascita. Nel
processo di crescita egli tende, così, ad imitare quella figura e ad assumerne i
comportamenti (imprinting). Questo risultato è una chiara dimostrazione di come il genere
umano non nasca con un’indole definita e caratterizzante, ma diventi specchio e identità
del mondo nel quale cresce e vive. Di conseguenza, una società corrotta e ingiusta sarà
abitata da uomini malvagi; se, al contrario, incarnerà i valori e i principi di bontà e
benevolenza, questi stessi principi caratterizzeranno i suoi abitanti.

Nel corso del XVIII secolo si diffuse la cosiddetta “dottrina del Buon Selvaggio” secondo la
quale l’uomo, in origine, era un animale buono e pacifico che, solo in un secondo
momento, è stato corrotto dalla società. Il filosofo illuminista Jean-Jacques Rousseau era
fortemente convinto della bontà primitiva dell’essere umano, un’indole, questa, che viene
poi lentamente deteriorata da uno Stato che priva l’uomo della sua libertà e dei suoi diritti
naturali. Al contrario, il filosofo inglese Thomas Hobbes, concepiva l’essere umano come
un essere malvagio, frenato nel proprio egoismo e nella propria cattiveria dallo Stato e
dalla società che ne limitavano l’agire. La natura umana è, per Hobbes, profondamente
egoistica; le azioni umane sarebbero determinate unicamente dall’istinto di sopravvivenza
e da quello di sopraffazione. Hobbes nega che i rapporti d’amore o di amicizia che gli
uomini instaurano tra loro possano essere guidati da un amore naturale; al contrario, è
convinto che questi rapporti siano il frutto di un timore reciproco. Nello stato di natura –
uno stato nel quale è completamente assente la legge – ciascun individuo, mosso dai suoi
istinti egoistici, tenta in ogni modo di danneggiare gli altri (homo homini lupus – l’uomo è
lupo per l’altro uomo) poiché l’uomo vede nell’altro uomo soltanto un nemico.

Esperimento di Milgram
Esperimento di Zimbardo
Esperimento di Darley e Latané: l’effetto spettatore. L’effetto spettatore – o apatia dello
spettatore – è un fenomeno della psicologia sociale che si riferisce ai casi in cui gli individui
non offrono alcun aiuto ad una persona in difficoltà, in una situazione d’emergenza,
quando sono presenti anche altre persone, convinte che queste altre se ne assumeranno la
responsabilità. Dall’esperimento in questione emerge che la probabilità dell’intervento è
inversamente correlata al numero degli spettatori: maggiore è il numero di spettatori,
minore è la probabilità che qualcuno di loro interverrà per prestare soccorso. Numerose
sono le variabili che determinano l’effetto spettatore, esse comprendono: l’ambiguità, la
coesione sociale e la diffusione della responsabilità.

Bibliografia
- Zimbardo, Effetto lucifero
- Simon Baron-Cohen, La scienza del male
- Simon Baron-Cohen, Zero Degrees of Emphaty. A New Theory of Human Cruelty
- Piero Bocchiaro, Psicologia del male
- Hannah Arendt, La banalità del male

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