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STORIA DEL PENSIERO ECONOMICO

Data di nascita convenzionale dell’economia politica: 1776, pubblicazione della


Ricchezza delle Nazioni di Adam Smith.
Per quanto riguarda l’economia politica vi sono due approcci allo studio dei fatti
economici:
1) L’approccio della riproducibilità. Basato sulla convinzione che l’oggetto di studio
della disciplina siano i meccanismi di produzione e di distribuzione della ricchezza.
L’analisi viene condotta tenendo conto che la società è strutturata in classi (i proprietari
terrieri, i capitalisti e i lavoratori) e che il contesto storico, sociale e istituzionale non sia
separabile dal contesto economico.
I fattori riproduttivi (lavoro e capitale) sono riproducibili senza vincoli di scarsità e in un
orizzonte di lungo periodo, ad eccezione della Terra.
Olismo metodologico: ciò che conta non è il comportamento dei singoli ma delle classi
prese nel loro insieme.
2) L’approccio della scarsità. Vi sono due convinzioni: gli operatori economici
effettuano le proprie scelte indipendentemente da condizionamenti sociali e istituzionali;
le scelte sono razionali: la razionalità neoclassica è riconducibile all’idea che ogni
individuo massimizzi una data funzione/obiettivo, dati i costi.

Per quanto riguarda la storia del pensiero economico vi sono le seguenti posizioni:
- sulla relazione tra fatti economici e modelli economici, si contrappone la visione
assolutistica, secondo la quale la teoria economica evolve indipendentemente dalla realtà
storica, alla visione relativistica, secondo la quale lo svolgimento dei fatti economici
influenza l’elaborazione dei modelli economici.
- sull’evoluzione delle teorie economiche, si contrappone la visione continuista (visione
cumulativa = le teorie di ieri sono meno rigorose di quella attuali), secondo la quale le
teorie economiche evolvono mediante progressiva eliminazione degli errori, alla visione
discontuinista (visione competitiva = non esiste una sola verità in campo economico),
secondo la quale l’evoluzione dell’economia è segnata dall’alternarsi di periodi di
normalità, a periodi con anomalie e a fasi con rivoluzioni economiche.

IL MERCANTILISMO
Corrente culturale sviluppatasi tra il XVI e il XVIII secolo in Inghilterra, basato sul
seguente presupposto: l’obiettivo ultimo della politica economica è la Potenza dello
Stato. L’indicatore della potenza dello Stato è l’attivo della bilancia del commercio
(ovvero la differenza fra valore delle merci esportate e valore delle merci importate) e la
politica economica deve mirare a realizzare l’attivo permanente della bilancia del
commercio.
Dato che questa ricerca è durata circa due secoli, vi sono molte divergenze:
1) la prima fase viene detta Bullionismo, caratterizzata dall’errata identificazione fra
metalli preziosi e ricchezza
2) la seconda fase è caratterizzata da una maggiore consapevolezza degli effetti delle
dinamiche dell’economia reale sulla ricchezza di un Paese.
3) la terza fase è caratterizzata da una sensibilità verso le condizioni di vita dei poveri.

LE TESI SUL COMMERCIO ESTERO


- Una prima teoria (1500) si basa sulla convinzione che il commercio internazionale è un
gioco a somma zero. La quantità di risorse X è un dato su scala globale. L’acquisizione
di moneta da parte Paese A comporta quindi una riduzione di pari proporzione della
moneta disponibile nei Paesi B, e la politica economica ci suggerisce di importare
moneta, esportando merci (teoria nota come Profit upon alienation)
- Una seconda teoria (1600) afferma che l’attivo della bilancia del commercio può essere
ottenuto mediante l’aumento della produzione interna. Aumentando l’importazione di
materie prime, si attiva una maggiore produzione interna, il che consente di esportare un
maggior volume di merci attraverso la lavorazione delle materie prime importate.
- Una terza teoria afferma che è possibile mantenere l’attivo della bilancia del
commercio mediante lo scambio di prodotti con diversa potenzialità produttiva.
Si suggerisce cioè di favorire l’esportazione di beni di lusso (che non possono essere
oggetto di ulteriore lavorazione) e di importare beni che possano generare occupazione
aggiuntiva.

LE TEORIE DELLA CRESCITA ECONOMICA


- Una prima teoria si basa sulla convinzione che la crescita economica sia trinata dai
bassi salari
- Una seconda teoria è basata sull’idea che la crescita economica sia trainata
dall’espansione della domanda.
Acquisizione di moneta → riduzione dei tassi di interesse → più investimenti →
aumento della domanda
- Una terza teoria è basata sulla convinzione che la crescita economica sia trainata
dall’avanzamento tecnico.

IL DIBATTITO SULLA NATURA DELLA MONETA


La tesi più accreditata è quella del metallismo teorico, secondo la quale la moneta non
può che essere una merce.
Il cartalismo teorico afferma che la moneta è puro segno e convenzione sociale.
Gli autori del periodo propongono comunque misure orientate al metallismo pratico: si
suggerisce di evitare il passaggio a un sistema di moneta-segno.
FISIOCRAZIA
Scuola di pensiero sviluppatasi in Francia nel 700 e vuol dire Potere della natura, a
indicare una delle idee-guida dei fisiocrati, ovvero l’esclusiva produttività
dell’agricoltura.
Essi ritengono che solo il settore agricolo sia in grado, per ragioni naturali, di generare
un’eccedenza di produzione rispetto ai costi, e che gli altri settori non facciano altro che
trasformare la ricchezza creata in agricoltura.
Ritengono inoltre che il sistema economico sia in grado di autoregolarsi in base a un
principio di ordine naturale, che impone la tutela della proprietà privata.

ADAM SMITH (1723-1790)

Viene considerato il fondatore della scienza economica: le sue opere più importanti sono
Teoria dei sentimenti morali, e L’Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle
nazioni.
Le tesi maggiori della prima opera sono:
- la maggior parte della felicità umana sorge dalla consapevolezza di essere amati
(principio della symphathy)
- la valutazione che ciascun individuo dà del proprio comportamento deriva dal porsi
nella condizione di uno spettatore imparziale.

LA TEORIA DEL VALORE


Il valore per Smith ha un fondamento oggettivo.
In un’economia pre-capitalistica il valore di una merce è spiegabile con la quantità di
lavoro necessaria per produrla.
In un’economia capitalistica il valore di una merce è dato dalla quantità di lavoro che
essa è in grado di comandare (acquistare) sul mercato.
Il prezzo di mercato può essere temporaneamente diverso dal prezzo naturale, ma vi è
una tendenza spontanea all’eguaglianza PN=p. Data una curva d’offerta positivamente
inclinata e una curva di domanda negativamente inclinata, si mostra che se il prezzo di
mercato è maggiore del prezzo naturale, essendo i profitti superiori al loro valore
naturale, aumentano gli investimenti da parte delle imprese.
Ciò determina un aumento dell’offerta che può generare una differenza negativa fra il
prezzo di mercato e il prezzo naturale.

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