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Riassunti di STORIA DEL PENSIERO ECONOMICO

Parte Prima

a.a. 2006-2007
Maria Rosa Baglieri mary1986@iol.it

MERCANTILISMO, FISIOCRAZIA E ALTRI PRECURSORI

CAPITOLO 2. IL

MERCANTILISMO, LA FISIOCRAZIA E GLI ALTRI PRECURSORI DEL PENSIERO

ECONOMICO CLASSICO

Il mercantilismo Mercantilismo il nome con il quale viene solitamente indicato un intero periodo sia nella letteratura, sia nell'attivit economica, durato circa 250 anni, tra il 1500 e il 1750. Potere e ricchezza In questo periodo di declino del feudalesimo e di crescita dello Stato nazionale, i mercantilisti tentarono di individuare le politiche pi appropriate per favorire la potenza e la ricchezza della nazione. L'ipotesi fondamentale da cui essi partivano era che la ricchezza globale del mondo fosse fissa: la ricchezza e il potere in uno stato potevano essere aumentati solo a spese di qualche altro Stato. I mercantilisti si concentrarono dunque sul ruolo del commercio internazionale, e della bilancia commerciale in particolare, come strumenti per favorire la crescita economica. Secondo la maggior parte di questi autori lo scopo dell'attivit economica la produzione, non il consumo. L'aumento della ricchezza nazionale poteva quindi essere ottenuto incoraggiando la produzione, aumentando le esportazioni e al tempo stesso contenendo il consumo interno: la ricchezza della nazione era basata sulla povert della maggior parte dei suoi abitanti. La politica economica suggerita da questi autori contemplava bassi livelli di salario per due fondamentali motivi: per assicurare alla nazione un vantaggio competitivo sugli altri paesi; perch salari al disopra del livello di sussistenza avrebbero determinato un minore sforzo lavorativo con conseguente contrazione della produzione nazionale. La bilancia commerciale Seguendo le indicazioni del pensiero mercantilista un paese dovrebbe incoraggiare le esportazioni e disincentivare le importazioni per mezzo di tariffe, dazi, tasse, sussidi e qualsiasi altro mezzo che consente di raggiungere un attivo della bilancia commerciale. I primi mercantilisti si dichiaravano favorevoli a una bilancia commerciale in attivo perch questa avrebbe generato un flusso di metalli preziosi verso la nazione (i primi mercantilisti definivano la ricchezza di una nazione non in termini della sua produzione o del suo consumo ma in termini delle sue riserve di metalli preziosi). Se i primi mercantilisti sostenevano l'idea di una bilancia attiva nei confronti di un singolo paese estero, successivamente si arriv a sostenere la significativit soltanto della bilancia complessiva verso il resto del mondo. L'Inghilterra, ad esempio, avrebbe
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potuto anche intrattenere un disavanzo commerciale con l'India se ne avesse importato le materie prime a un costo cos basso da produrre all'interno beni per l'esportazione e raggiungere cos l'attivo della bilancia complessiva. Il mercantilismo e la moneta Le questioni e le perplessit sollevate dall'insistenza dei mercantilisti sulla bilancia commerciale in attivo possono essere affrontate con pi attenzione si esamina la loro concezione della moneta. Se i primi mercantilisti identificavano la ricchezza di una nazione con le sue riserve di metalli preziosi (essi erano rimasti colpiti dalla portata del gigantesco flusso di metalli preziosi che dall'America si riversava in Europa), gli autori successivi abbandonarono questa posizione e furono in grado di sviluppare strumenti analitici importanti circa il ruolo della moneta nell'economia. La relazione tra quantit di moneta e il livello generale dei prezzi, per esempio, venne riconosciuta gi nel 1569 dal francese Jean Bodin: egli individuava l'incremento della quantit di oro e di argento susseguente alla scoperta del "nuovo mondo" come il pi importante motivo della crescita del livello generale dei prezzi in Europa durante il sedicesimo secolo. Sul finire del XVII secolo John Locke fu in grado di analizzare il ruolo della moneta con ancora maggiore precisione e dimostr come il livello dell'attivit economica dipendesse dalla quantit di moneta e dalla sua velocit di circolazione. A met del XVIII secolo, David Hume presenta una descrizione ragionevolmente completa delle interrelazioni esistenti tra il saldo della bilancia commerciale di un paese, la quantit di moneta e il livello generale dei prezzi. Hume affermava in particolare che sarebbe stato impossibile per l'economia mantenere costantemente un avanzo di bilancio commerciale perch questo avrebbe provocato il suo interno un aumento della quantit di oro e argento che, a sua volta, avrebbe causato un aumento di prezzi. La continua fuoriuscita di oro e di argento sperimentate invece negli altri paesi avrebbe portato a una caduta del livello dei loro prezzi interni. L'economia che inizialmente sperimentasse un salto di bilancio positivo avrebbe perci visto ridursi le proprie esportazioni e aumentare le importazioni a causa dei suoi prezzi relativamente pi alti e il contrario sarebbe accaduto per l'economia che inizialmente si fosse trovata in una situazione di disavanzo commerciale (questo sistema prende il nome di price specieflow mechanism). Solo verso la met del XVIII secolo si arriv a una certa padronanza dei meccanismi che regolano un'economia di mercato.

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Una delle caratteristiche principali della letteratura mercantilista data dalla convinzione che le principali determinanti del livello di attivit economica e del suo saggio di crescita, sono i fattori monetari piuttosto che quelli reali; in particolare, viene sottolineato il ruolo essenziale di un adeguata offerta di moneta per la crescita del commercio, tanto interno quanto internazionale, cos che variazioni della quantit di moneta dovrebbero comportare variazioni del livello della produzione reale.

Il contributo teorico di mercantilisti Il risultato teorico pi significativo dell'era mercantilista fu il riconoscimento esplicito della possibilit di analizzare l'economia. Tale sviluppo raggiunse l'apice dopo Isaac Newton e il suo impatto avvertibile ancora oggi. L'idea che le leggi dell'economia potessero essere scoperte grazie allo stesso metodo d'indagine che aveva rivelato le leggi della fisica rappresent un passo decisivo verso gli sviluppi successivi della teoria economica. Parecchi dei mercantilisti intravidero nell'economia una causalit quasi automatica e ritenevano che, se si fossero comprese le regole della causalit, si sarebbe potuta controllare l'economia. La legislazione, se disposta saggiamente, avrebbe potuto influenzare il corso di eventi economici e l'analisi economica avrebbe saputo indicare quali forme di intervento pubblico avrebbero consentito di raggiungere un obiettivo prefissato. Molti degli ultimi mercantilisti ammisero gli errori analitici commessi dai loro predecessori e riconobbero: che la moneta non era una misura della ricchezza di una nazione; che tutte le nazioni non avrebbero potuto avere contemporaneamente un attivo di bilancia commerciale; che nessun paese avrebbe potuto conservare un salto di bilancio positivo nel lungo periodo; che il commercio avrebbe potuto portare vantaggi reciproci alle nazioni e che tali vantaggi sarebbero aumentati per quelle nazioni che avessero sperimentato la specializzazione e la divisione del lavoro. Un numero sempre maggiore di autori inizi a raccomandare una riduzione dell'intervento pubblico dell'economia e la produzione letteraria racchiuse sempre pi affermazioni dell'incipiente liberismo classico. Nonostante tutto questo nessuno degli economisti classici fu in grado di offrire una descrizione completa dell'operare di un'economia di mercato, cio del modo in cui si formano i prezzi e in cui vengono collocate le risorse scarse. Quest'insuccesso pu essere attribuito a un'importante differenza tra pensiero mercantilista e pensiero classico: i mercantilisti erano
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convinti dell'esistenza di un conflitto fondamentale tra gli interessi privati e il benessere pubblico e quindi ritenevano necessario che il governo incanalasse gli interessi individuali verso il vantaggio collettivo; gli economisti classici invece intravedevano un'armonia di fondo del sistema e immaginavano che il bene pubblico scaturisse naturalmente dalla ricerca dell'interesse personale. Precursori del pensiero classico Thomas Mun Mun era un dirigente della Compagnia delle Indie Orientali che veniva criticata per la sua attivit in quanto contribuiva a determinare due risultati ritenuti all'epoca poco desiderabili: 1. l'Inghilterra importava dall'India pi di quanto gli portasse e 2. vi inviava, come mezzo di pagamento metalli preziosi. Mun in effetti affermava che la ricchezza dell'Inghilterra veniva dal commercio estero e, con impronta tipicamente mercantilista, confondeva la ricchezza di un paese con le riserve di metalli preziosi; ne conseguiva che la bilancia commerciale fosse in attivo, cos che fosse garantito un afflusso di oro e argento verso le casse nazionali. A parere di Mun il governo avrebbe dovuto regolamentare il commercio estero, cos da mantenere un attivo di bilancio: incoraggiando l'importazione di materie prime a basso costo e l'esportazione di beni manufatti; stabilendo tariffe protezionistiche sui beni manufatti di importazione; adottando altre misure che favorissero la crescita della popolazione e il mantenimento dei salari a un livello basso e concorrenziale. Se da una parte Mun teorizzava queste posizioni tipicamente mercantiliste, allo stesso tempo ne respingeva delle altre (proprio quelle che davano corpo alle critiche contro la Compagnia delle Indie Orientali. La spiegazione di questa apparente contraddizione era che, nonostante la desiderabilit di una favorevole bilancia commerciale verso tutti i paesi, e l'indesiderabilit di una fuoriuscita di metalli preziosi, nel caso specifico dell'India un bilancio in passivo e un deflusso di metalli preziosi sarebbero stati complessivamente un beneficio per l'Inghilterra in quanto questo le avrebbe consentito vantaggi commerciali verso il resto del mondo. William Petty Petty il primo pensatore che con cognizione di causa si fa promotore dell'impiego di quelle che noi oggi chiameremo tecniche statistiche al fine di misurare i fenomeni sociali. Egli tent infatti di misurare la popolazione, il reddito nazionale, le importazioni e le esportazioni, e lo stock di capitale della nazione, e tutto questo
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nonostante disponesse di tecniche assai primitive. La seconda intuizione di Petty di esprimere le idee in termini di numero, peso e misura, e di accettare solo quelle argomentazioni che hanno un visibile fondamento nella natura, rappresenta la "prima pietra" del moderno approccio all'economia. Bernard Mandeville Uno degli aspetti pi interessanti in Mandeville senza dubbio l'idea di accettare uomini e donne come sono, piuttosto che tentare di propugnare precetti morali in merito a come dovrebbero essere: il compito del governo appunto quello di partire dal dato dell'umanit imperfetta e piena di vizi, reindirizzando i comportamenti tramite leggi e regolamenti verso il bene comune. In altre parole, egli era convinto che il mondo fosse pieno di vizi, ma che nonostante questo "i vizi privati potessero essere trasformati in benefici collettivi dall'opera accorta di un abile politico". Ci che faceva di Mandeville un mercantilista era l'insistenza sul ruolo del governo del regolamentare il commercio estero cos da assicurare un'eccedenza delle esportazioni sulle importazioni. Partendo dal presupposto che l'obiettivo della societ la produzione, Mandeville era contro la pigrizia e a favore della popolazione numerosa in cui anche i bambini lavorassero: una popolazione numerosa con un alto tasso di partecipazione alla forza lavoro avrebbe determinato bassi salari, e questo avrebbe comportato per la nazione un vantaggio comparato delle esportazioni e del commercio internazionale. David Hume Hume potrebbe essere classificato tra i mercantilisti liberali, ossia tra coloro che, con un piede ancora nel mercantilismo, gi si muovevano verso l'economia politica classica. L'adesione di Hume alle posizioni mercantiliste rappresentata dalle sue opinioni circa le conseguenze di un incremento graduale dell'offerta di moneta sul livello della produzione in termini reali e dell'occupazione. Su questo punto la differenza tra i mercantilisti e i classici sta nel fatto che mentre per i primi la produzione in termini reali avrebbe potuto essere aumentata attraverso variazioni dell'offerta di moneta, per i classici sarebbero state necessarie variazioni carattere reale piuttosto che monetario, laddove variazioni dell'offerta di moneta avrebbero modificato soltanto il livello generale di prezzi. La posizione di Hume era che, nonostante il livello assoluto di denaro della nazione non avesse alcuna influenza sulla produzione in termini reali, tuttavia un incremento graduale dell'offerta di moneta avrebbe comportato una maggiore produzione. Sono state poi sviluppate da Hume altre due idee che vale la pena ricordare. Hume era interessato al legame tra libert politica e libert economica ed era convinto che un
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ampliamento della sfera di libert economica dovesse accompagnarsi a una crescita della libert politica. La seconda che Hume distinse per primo tra considerazioni di tipo positivo e considerazioni di tipo normativo: ci che deve essere (affermazione normativa) non pu essere derivato da ci che (affermazione positiva).
Richard Cantillon Cantillon un pensatore originale dal punto di vista analitico, autore di avanzamenti importanti verso la comprensione del funzionamento di un sistema di mercato e seguace di Petty nello sforzo di quantificare il ragionamento economico, ma sfortunatamente ha avuto scarsa influenza sul pensiero economico successivo.

La fisiocrazia La fisiocrazia nacque intorno al 1750 in Francia con l'obiettivo di studiare l'interrelazione tra i diversi settori dell'economia e analizzare il funzionamento dei mercati non regolamentati. La legge naturale Il perno del pensiero fisiocratico costituito dalla legge naturale. Il fisiocratici erano convinti che vi fossero delle leggi naturali che governavano il funzionamento dell'economia e che tali leggi fossero indipendenti dalla volont degli uomini: questi ultimi, per, avrebbero potuto studiarle e conoscerle in modo oggettivo, cos come facevano con le leggi delle scienze naturali. L'interdipendenza del sistema economico Quando nacque il pensiero fisiocratico la Francia conosceva la seguente situazione economica: mentre alcune zone del nord della Francia si stavano modernizzando, la gran parte del paese restava ancorato alle vecchie tecniche, comportando uno sviluppo complessivo irregolare. Per far fronte a questo problema i fisiocratici intendevano scoprire la natura e le cause della ricchezza delle nazioni, e le politiche pi efficaci per promuovere la crescita economica. Contrariamente ai mercantilisti, i fisiocratici misero al centro della loro analisi le forze reali che promuovono lo sviluppo economico (piuttosto che la moneta). Il sistema economico, a quell'epoca, produceva pi beni di quelli necessari a ripagare i costi reali che la societ aveva sostenuto per produrli, e quindi presentava un sovrappi. I fisiocratici si dedicarono alla ricerca dell'origine e delle dimensioni del sovrappi dell'economia e questa loro ricerca culmin con l'idea del prodotto netto. Secondo i fisiocratici era la produzione ottenuta impiegando la terra a dare luogo a un sovrappi o, come lo chiamavano i fisiocratici, "prodotto netto". Dopo che i vari fattori della produzione (sementi, lavoro, macchinari ecc.) sono stati pagati, il raccolto annuale lascia una parte ulteriore che i fisiocratici interpretarono con il risultato della produttivit della natura. Secondo questi autori, infatti, il lavoro avrebbe potuto produrre soltanto i beni sufficienti a coprire i costi del lavoro e ci sarebbe avvenuto analogamente anche
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per tutti gli altri fattori della produzione, con l'unica eccezione della terra. Le attivit economiche non agricole erano per questo motivo considerate "sterili" visto che in esse non si creava alcun prodotto netto. Avendo dunque stabilito che l'origine del prodotto netto andava ricercata nella terra, i fisiocratici conclusero che la rendita sulla terra costituiva la misura del prodotto netto della societ. La teoria elaborata dai fisiocratici sul funzionamento del sistema economico venne sintetizzata da Quesnay (il leader di fisiocratici) nel Tableau conomique esemplificato nella figura in basso. In essa sono rappresentati tre settori della societ, vale a dire gli agricoltori, i proprietari fondiari, e gli artigiani e i servitori.
L'analisi dei fisiocratici inizia assumendo l'esistenza di un prodotto netto all'inizio del periodo di produzione che si trova nelle mani dei proprietari terrieri e che pari a 2.000 libbre (unit monetaria francese prima del franco): esso stato pagato loro a titolo di rendita in seguito all'attivit economica svolta nel periodo precedente. In linea con l'ipotesi che solo la terra potesse generare un output pi grande dei costi della sua produzione, nel Tableau si assume che la produttivit della terra sia pari al 100% (mentre l'attivit di artigiani, ad esempio, si traduce in beni prodotti il cui valore uguale al pagamento dei fattori della produzione). Partendo dalla colonna centrale del

Tableau, i proprietari spendono il prodotto netto dell'anno precedente acquistando 1.000 libbre di beni dagli artigiani e 1.000 libbre di beni agricoli dagli agricoltori (corrispondenti alle linee diagonali marroni). Le 1.000 libbre spese nel settore agricolo generano 2.000 libbre di credito, di cui met sono dirette verso i proprietari sotto forma di prodotti, e l'altra met sotto forma di rendita. Le 1.000 libbre di reddito ricevute dagli artigiani vengono in parte spese in beni agricoli (prima diagonale verde), e quindi, secondo l'ipotesi di base, generano un identico prodotto netto: le 500 libbre della colonna di sinistra che si traducono quindi in un uguale ammontare di rendita diretta verso i proprietari. Le spese degli agricoltori per i beni prodotti dagli artigiani sono poi rappresentate dalle linee diagonali arancioni che vanno dalla colonna di sinistra a quella di destra.

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I fisiocratici considerarono la "tavola economica" di Quesnay come il loro supremo risultato analitico, capace di dare una rappresentazione, bench grossolana: del flusso dei redditi monetari tra i vari settori dell'economia; della creazione e della circolazione annuale del prodotto netto all'interno del sistema economico. I fisiocratici e la politica economica Nella teoria fisiocratica i prezzi si formavano sul mercato per mezzo dell'attivit economica, e tale processo di formazione dei prezzi avrebbe potuto essere studiato perch soggiaceva alla legge naturale ed era quindi indipendente dalla volont degli individui. Nonostante essi non svilupparono una coerente teoria di prezzi, furono in grado di giungere alla conclusione che la libera concorrenza avrebbe prodotto i prezzi migliori e che la societ nel suo insieme avrebbe tratto beneficio se ciascun individuo avesse seguito il proprio interesse personale. Sulla base dell'ipotesi che l'unico settore economico che producesse prodotto netto fosse l'agricoltura, essi stabilirono inoltre che il carico fiscale dovesse gravare in ultima istanza sulla terra. Ma la conclusione pi importante a cui giunsero i fisiocratici fu la loro crescente consapevolezza della funzione dei prezzi nell'integrare le attivit dei vari settori dell'economia. Essi riconobbero che un individuo all'interno di un'economia di mercato, bench apparentemente sembri lavorare in modo indipendente, in realt sta lavorando per gli altri individui, cos che le attivit interdipendenti di tutti i soggetti sono integrate per mezzo del sistema di prezzi. L'idea di un'economia perlopi capace di autoregolarsi veniva loro dalla convinzione che esistesse un ordine naturale al di sopra delle intenzioni e dei comportamenti umani. Le politiche mercantiliste sul commercio tanto in patria che all'estero vennero dunque indicate dai fisiocratici come il principale ostacolo alla crescita economica, in particolare fu il sistema fiscale ad essere attaccato sulla scorta della convinzione dell'opportunit di una sola tassa da applicare ovviamente alla terra1. Essi erano convinti che una politica di lassez faire sarebbe stata sufficiente a generare una crescita imponente dell'agricoltura francese e a trasformarne la struttura basata sull'impresa di piccole dimensioni, tipica dell'economia feudale, nella moderna

Delle molte regolamentazioni governative la pi inopportuna per i fisiocratici era la proibizione dell'esportazione del grano francese che, a loro giudizio, manteneva basso il livello del prezzo del grano in Francia e impediva di conseguenza lo sviluppo agricolo.
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agricoltura su grande scala, con un aumento generale di ricchezza e di potenza per l'intera economia francese. Per i mercantilisti la fonte del prodotto netto era lo scambio, in particolare nella forma del commercio internazionale, e perci proponevano misure di politica economica che promuovessero una bilancia commerciale in attivo. Per i fisiocratici la fonte del prodotto netto era l'agricoltura, essi quindi sostenevano che il lassez faire avrebbe generato un aumento della produzione agricola e, in ultima istanza, una crescita economica pi sostenuta.

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ADAM SMITH

CAPITOLO 3. ADAM SMITH Adam Smith e l'economia classica Adam Smith unanimamente considerato il primo degli economisti classici. La concezione di Smith a proposito dello scopo della scienza economica segue quella dei mercantilisti, tendente alla spiegazione della natura e delle cause della ricchezza delle nazioni. L'analisi dei mercati e le conclusioni di politica economica La grandezza di Smith viene dalla sua concezione dell'interdipendenza tra i vari settori dell'economia e delle politiche che devono essere conseguentemente adottate per favorire la crescita della ricchezza di una nazione. Una politica economica contestualizzata La propensione smithiana al lassez faire fondata sull'approccio metodologico che si pone la seguente domanda: vero che l'esperienza dimostra che l'intervento del governo produce risultati migliori rispetto al libero funzionamento dei mercati? Nel rispondere, Smith disposto ad ammettere che i mercati spesso non raggiungono risultati ideali dal punto di vista del benessere sociale, ma per realismo altres convinto che le conseguenze dell'intervento pubblico fossero ancora meno accettabili di quelle del libero mercato. Egli pertanto invocava il lassez faire non perch riteneva che i mercati fossero perfetti ma perch nel contesto storico e istituzionale dell'Inghilterra del suo tempo i mercati erano soliti raggiungere risultati migliori di quelli ottenuti con la loro regolamentazione. L'ordine naturale, l'armonia, e il laissez faire Il messaggio che traspare da quasi ogni pagina della Ricchezza delle nazioni che in uneconomia di mercato non soggetta a regolamentazione l'interesse privato condurr all'ottenimento del bene comune. La chiave per comprendere questo processo tutta nell'attivit dei capitalisti. Smith dimostr prima di tutto che i capitalisti non sono spinti da motivazioni altruistiche, ma dalla ricerca del profitto: "se noi otteniamo il nostro pane quotidiano, questo non dovuto alla benevolenza del nostro panettiere!". Il capitalista considera il mercato in termini di beni finali e al fine di incrementare i propri guadagni produce quei beni che sono richiesti dalla popolazione; poi la concorrenza fra capitalisti a far si che i beni vengano prodotti a un costo che garantisce al produttore un ricavo appena sufficiente a coprire i costi-opportunit dei vari fattori impiegati. Un profitto superiore a quello normale in un certo settore dell'economia attirer infatti nuove imprese, finch il prezzo sar sceso a un livello tale per cui siano eliminati gli extraprofitti. Anche i consumatori, infine, hanno un certo controllo sull'intera economia tramite il loro potere d'acquisto sul mercato: mutamenti nelle loro preferenze sono immediatamente
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rilevati dai prezzi in aumento o in diminuzione, e conseguentemente da profitti superiori o inferiori delle diverse attivit produttive. La conclusione di Smith di una certa meraviglia per come il mercato, senza essere pianificato o pilotato dall'intervento pubblico, conduca a soddisfare i desideri dei consumatori al minor costo sociale possibile. Nel gergo dell'economia moderna si direbbe che si raggiunge una locazione ottima di risorse all'interno di mercati concorrenziali non regolamentati. Il funzionamento dei mercati concorrenziali Smith fu capace di specificare con notevole accuratezza il meccanismo in base al quale il prezzo determinato in condizioni di concorrenza eguagli nel lungo periodo il costo di produzione. Nel corso della sua analisi della formazione dei prezzi e dell'allocazione delle risorse egli defin i prezzi di breve periodo "prezzi di mercato", e quelli di lungo periodo, che costituivano l'oggetto principale della sua trattazione, "prezzi naturali". Se il prezzo di un bene finale si rivelasse superiore a quello naturale di lungo periodo, questo implicherebbe profitti, o salari, o una rendita maggiori, nel settore in cui viene prodotto, rispetto al livello naturale, e questo darebbe luogo a un processo di aggiustamento durante il quale alcune risorse si sposterebbero dagli altri settori fino a che si ristabilisse il prezzo naturale. In questo modo i mercati concorrenziali senza regolamentazione da parte del governo garantirebbero non solo unallocazione ottima delle risorse ma anche il massimo saggio di crescita possibile.
Avendo stabilito la superiorit di mercati concorrenziali, Smith passa poi a costruire la sua critica ai monopoli e agli interventi pubblici dell'economia. Egli infatti riconosce la tendenza da parte degli uomini di affari a riunirsi allo scopo di monopolizzare il commercio, e bench non sia in grado di specificare esattamente quale sarebbe il prezzo di monopolio, intuisce per che rispetto alla concorrenza esso sarebbe mantenuto pi alto attraverso la produzione di una minore quantit di beni. Smith critica molte delle proposte di regolamentazione avanzate a loro tempo dai mercantilisti, e dimostra come esse portassero a unallocazione delle risorse peggiore di quella ottenibile tramite la concorrenza sui mercati. L'opinione di Smith che molti degli argomenti adottati dai mercantilisti a sostegno dell'intervento pubblico erano di fatto suggeriti da un interesse di parte (i mercantilisti erano per la maggior parte dei commercianti), malgrado fossero apparentemente diretti a promuovere il bene pubblico. Nonostante la sua posizione generalmente contraria alla regolamentazione del commercio internazionale, egli ammise l'eccezione per il caso delle tariffe volte a proteggere le industrie nascenti. Analogamente, una regolamentazione si sarebbe resa necessaria qualora la politica di un commercio internazionale assolutamente libero avesse indebolito la difesa della nazione. Maria Rosa Baglieri
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Il capitale e i capitalisti Smith sottoline che la ricchezza corrente di una nazione dipende dall'accumulazione del capitale, dato che l'accumulazione a determinare la divisione del lavoro e la proporzione della popolazione che impiegata nei lavori produttivi. In secondo luogo, Smith arriv alla conclusione che l'accumulazione di capitale gode anche della propriet di condurre allo sviluppo economico. Infine, l'interesse individuale abbinato all'accumulazione di capitale, favorisce unallocazione ottimale del capitale tra le varie industrie. Smith riteneva che i lavoratori non potessero accumulare capitale, poich il livello dei salari da loro percepiti permetteva soltanto la soddisfazione degli immediati desideri di consumo; i proprietari terrieri, d'altro canto, pur avendo redditi sufficienti all'accumulazione li spendevano per soddisfare la loro insaziabile proprensione per il lusso, e quindi finivano per mantenere soltanto lavoro improduttivo. Restavano quindi i membri della nascente classe industriale come unici soggetti dai quali ci si potevano attendere comportamenti tesi alla realizzazione di profitti, all'accumulazione di capitale tramite il risparmio e l'investimento, e quindi meritevoli, secondo Smith, di essere considerati come i veri benefattori della societ. Una distribuzione del reddito diseguale a favore dei capitalisti era perci di importanza decisiva dal punto di vista della societ, dal momento che senza tale disuguaglianza tutto il prodotto annuale sarebbe stato consumato e non sarebbe stata possibile alcuna crescita economica. La natura e le cause della ricchezza delle nazioni L'opinione di Smith era che tutti mercantilisti avevano fatto una certa confusione pensando la ricchezza nei termini di un fondo formato dall'accumulazione di metalli preziosi invece che di un flusso annuale di beni e servizi prodotti. Lo scopo dell'attivit economica per Smith il consumo mentre il lavoro e la fonte per eccellenza della ricchezza di una nazione. Le cause della ricchezza delle nazioni Smith era convinto che la ricchezza di una nazione dipendesse: a) dalla produttivit del lavoro, e b) dalla proporzione di lavoratori impiegati in modo utile o produttivo.

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Cosa determina la produttivit della forza lavoro? Nel Libro I della Ricchezza delle nazioni, Smith afferma che la produttivit del lavoro dipende dalla divisione del lavoro (e dalla conseguente specializzazione). Quando ogni lavoratore effettua tutte le operazioni necessarie per produrre uno spillo il prodotto per lavoratore molto basso, quando invece il processo produttivo frazionato in una serie di operazioni distinte, e ogni lavoratore si specializza in una sola di esse, allora esso aumenta notevolmente.
interessante notare che insieme ai benefici dal punto di vista economico legati alla socializzazione, Smith sottoline anche alcuni seri svantaggi dal punto di vista sociale. Uno degli svantaggi della divisione del lavoro che i lavoratori, costretti a compiti semplici e ripetitivi che presto diventano monotoni, sono in un certo senso disumanizzati e assimilati a delle macchine. Nonostante tali conseguenze negative, per, Smith non aveva dubbi che a conti fatti la divisione del lavoro portasse a un aumento complessivo del benessere.

La divisione del lavoro a sua volta dipende da quella che Smith chiamava l'estensione del mercato e dall'accumulazione di capitale. Infatti pi grande il mercato tanto maggiore la quantit vendibile e quindi l'opportunit di introdurle la divisione del lavoro; essa pu progredire soltanto in proporzione alla preventiva e graduale accumulazione del capitale poich l'accumulazione del capitale consente di sopportare la distanza tra l'inizio della produzione e la vendita di prodotto finale. Per Smith lavoro produttivo quello impiegato per produrre beni vendibili, mentre lavoro improduttivo quello impiegato per produrre servizi. Smith argomenta che l'attivit dei capitalisti, determinando una maggiore produzione di merci, sia di beneficio per la crescita economica e lo sviluppo, a differenza delle spese dei proprietari terrieri dirette verso la servit e verso altri beni intangibili che costituiscono uno spreco. E poich per Smith quel che vero per l'individuo anche vero per la nazione, la ricchezza complessiva sar tanto pi grande quanto maggiore sar nell'economia la quota di forza lavoro assorbita dalla produzione di beni tangibili. La divisione tra lavoro produttivo e improduttivo serve inoltre a Smith per articolare la sua posizione circa il ruolo del governo in economia. Essendo la crescita economica ostacolata dalla spesa pubblica destinata ai lavori improduttivi, la cosa migliore da fare ridurre l'intervento del governo, con la conseguenza di poter abbassare le tasse sui capitalisti e consentire loro di accumulare pi capitale.

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Tirando le somme la vera causa della ricchezza e l'accumulazione del capitale. Se le due infatti, determinanti sono la immediate della ricchezza delle nazioni, produttivit del lavoro e la proporzione tra lavori produttivi e improduttivi, nel pensiero di Smith schema (rappresentato accanto), dallo entrambe

dipendono in ultima istanza dall'accumulazione del capitale. La crescita economica sar tanto pi sostenuta quanto maggiore la proporzione con la quale il prodotto totale destinato all'accumulazione del capitale piuttosto che ai beni di consumo. L'accumulazione di capitale richiede un modello istituzionale di libero mercato e di propriet privata. in condizioni di libero mercato che un dato livello della spesa di investimento sar allocato in modo da garantire il maggiore saggio possibile di crescita economica, ed in un sistema basato sulla propriet privata che si potr raggiungere quella diseguale distribuzione del reddito necessario a sostenere alti saggi di accumulazione del capitale. La teoria del valore Cosa determina il prezzo di un bene? Cosa determina il livello generale dei prezzi? Qual la migliore misura del benessere? Smith non diede una risposta chiara e priva di ambiguit a nessuna di queste tre domande. Nel tentativo di fornire queste risposte egli elabor varie teorie: una teoria dei prezzi relativi basata sul costo del lavoro e sul lavoro comandato valida per la societ primitiva e una basata sul costo di produzione per la societ avanzata; una teoria intesa a spiegare il livello generale dei prezzi; la formulazione di un indice che misurasse i cambiamenti di benessere nel tempo.

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Prima di analizzare le risposte di Smith alla domanda Cosa determina il livello generale dei prezzi?, definiamo il significato di prezzi relativi e valore in Smith. I prezzi relativi L'analisi smithiana dei prezzi relativi, riferita all'economia del suo tempo, include due riferimenti temporali, il breve e il lungo periodo, e due grandi settori del sistema economico, l'agricoltura e la manifattura. Nel breve periodo, a volte chiamato anche periodo di mercato, Smith identifica per entrambi settori delle curve di domande inclinate verso il basso e delle curve di offerta inclinate verso l'alto, con i prezzi di mercato determinati da entrambe le forze. Le contraddizioni emergono nell'analisi, pi complessa, di prezzi naturali che si riferiscono al lungo periodo. Nel settore agricolo il prezzo naturale determinato dalla domanda e dall'offerta, dato che la curva di offerta di lungo periodo inclinata positivamente ad indicare costi crescenti. Nel settore della manifattura, invece, tale curva di offerta di lungo periodo a volte assunta come perfettamente elastica (orizzontale), e a volte inclinata verso il basso, ad indicare costi costanti nel primo caso, o addirittura decrescenti nel secondo. Se dunque la curva perfettamente elastica il prezzo dipende interamente dal costo di produzione mentre se inclinata negativamente dipende al tempo stesso dalla domanda e dall'offerta. Smith percep senza incoerenza, il ruolo della domanda della formazione dei prezzi naturali e nell'allocazione delle risorse tra i vari settori dell'economia. Nonostante ci, al di l della forma che pu assumere la funzione di offerta di lungo periodo della manifattura, l'enfasi posta principalmente sul ruolo del costo di produzione nella determinazione dei prezzi relativi, ed un'enfasi caratteristica non solo di Smith ma anche degli economisti classici successivi. Il significato del valore Occorre distinguere tra valore di scambio, che il potere che ha un bene di acquistarne altri, cio il suo prezzo, ed una misura oggettiva espressa dal mercato; e valore d'uso, che dato dalla caratteristica che ha un bene di soddisfare i desideri, e quindi dall'utilit se ne ricava possedendolo o consumandolo. Dei vari tipi di utilit implicati dal consumo, Smith si concentr sull'utilit totale piuttosto che su quella marginale e fu proprio questo il suo errore. chiaro che l'utilit totale dell'acqua maggiore di quella dei diamanti. Tuttavia, poich l'utilit marginale di un bene spesso diminuisce l'aumentare del suo consumo, piuttosto probabile che un'unit addizionale di acqua conferisca meno utilit rispetto a un'unit addizionale di diamanti. Il prezzo che siamo disposti a pagare per un bene non dipende dalla sua utilit totale ma da quella marginale. Smith non riconobbe questo
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passaggio: questo spiega perch egli non riuscisse n a trovare una soluzione convincente al paradosso dell'acqua e dei diamanti, n ad individuare la relazione appropriata tra valore d'uso e valore di scambio. Le tre teorie smithiane dei prezzi relativi Le tre teorie dei prezzi relativi sviluppate da Smith sono: una teoria del valore basata sul costo del lavoro; una teoria del valore basata sul lavoro comandato; una teoria del valore basata sul costo di produzione. A tal fine egli ipotizz due stadi dell'economia ben distinti: uno stadio rozzo e primitivo, o societ primitiva, definita come un'economia in cui il capitale non stato accumulato e la terra non stata fatta oggetto di appropriazione individuale; e un'economia avanzata, in cui il capitale e la terra non sono pi beni liberi (hanno cio un prezzo maggiore di zero). Per il primo di questi due stadi dell'economia egli sugger due spiegazioni dei prezzi relativi, una basata sul costo del lavoro e una basata sul lavoro comandato. La teoria del costo del lavoro in una societ primitiva Smith sostiene che in un'economia in cui non esistono terra e capitale, o in cui essi sono beni liberi, il valore di scambio (o il prezzo) di un bene determinato dalla quantit di lavoro necessaria per produrlo. Se occorrono due ore per catturare un castoro o pure due cervi, Smith concluse che due cervi dovranno valere sul mercato quando un castoro, ovvero il prezzo di un castoro sar il doppio di quello di un cervo. Il rapporto di scambio per cui due cervi valgono come un castoro nella terminologia di Smith il prezzo naturale, o, in termini moderni, il prezzo di equilibrio di lungo periodo. Supponiamo che in seguito a un aumento della domanda di castoro il mercato genera un nuovo prezzo, poniamo tre cervi uguale un castoro, 3Cv = 1Ct . Il prezzo del castoro sale e contemporaneamente quello del cervo scende: per Smith questo un prezzo di mercato, o, in termini moderni, un prezzo di equilibrio di breve periodo. In seguito a questa modifica i cacciatori non si dedicano pi alla caccia del cervo, ma solo a quella del castoro. Essi possono procurarsi il cervo che desiderano non solo attraverso la caccia, ma anche in modo indiretto, per mezzo della caccia di castori da scambiare poi contro cervi sul mercato. La conseguenza di questo meccanismo una maggiore offerta di castori e una minore offerta di cervi, cos che il prezzo dei primi scende e quello dei secondi aumenta.

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Abbiamo in tal modo stabilito che tutti prezzi superiori a 1Ct = 2Cv sono prezzi di disequilibrio, e che le forze di mercato provvederanno ad abbassarli fino al loro livello di equilibrio di lungo periodo. Analogamente, ogni volta che il prezzo inferiore a
1Ct = 2Cv l'offerta di castori caler e il prezzo dei castori salir fino a quel livello che

Smith chiamava naturale. Questo modello smithiano di determinazione del prezzo attraverso una teoria del costo del lavoro in una societ primitiva incontra dei limiti: a) Smith riconobbe che la quantit di lavoro richiesta dalla produzione di un bene non pu essere misurata in termini di ore-lavoro, poich oltre che del tempo bisogna tener conto anche dell'ingegnosit o dell'abilit del lavoratore e della difficolt o della sgradevolezza delle varie mansioni. Il problema che si trov di fronte a questo punto era per lui insormontabile: se la quantit di lavoro funzione di parecchie variabili, allora occorre trovare il modo di stabilire la loro importanza relativa. Il tentativo di Smith consiste nel ricondurre il tempo, la fatica e l'abilit di una prestazione di lavoro a un denominatore comune, assumendo che le differenze in queste variabili si riflettano nel salario con cui viene retribuito il lavoro. Dire, come faceva Smith, che la retribuzione del lavoro una misura dell'ammontare relativo del tempo, della fatica e dell'abilit richiesti per produrre un bene un modo di aggirare il problema: cos si finisce infatti per affermare che un bene vale in base al salario pagato, non in base alla quantit di lavoro contenuto in esso. Il ragionamento circolare, perch in questo modo un insieme di prezzi, i salari, viene utilizzato per spiegare un altro insieme di prezzi. b) L'ipotesi di Smith che i cacciatori di questo stato arcaico della societ siano comunque agenti razionali, calcolatori, e guidati dalla ricerca del tornaconto personale, proprio come se fossero in una sala di contrattazioni di borsa anzich in una trib di primitivi, viene smentita dall'antropologia culturale che porterebbe a considerare invece fattori quali le abitudini e le usanze. c) C' poi nel modello di Smith l'ipotesi di concorrenza perfetta: i cacciatori prendono i prezzi come dati e possono solo adattare le quantit. d) Smith ipotizza che sia il castoro che il cervo possono essere procurati in grandi quantit a un costo medio costante per unit di prodotto, o, in altre parole, che le curve di offerta nel lungo periodo sono orizzontali o perfettamente elastiche, mentre ci si dovrebbe attendere che le ore necessarie per uccidere un castoro crescano con

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l'offerta complessiva di castori, cos che la curva di offerta risulti inclinata positivamente. Assumendo costi costanti la domanda non giova alcun ruolo nel determinare i prezzi relativi di lungo periodo: le sue eventuali variazioni avrebbero come unico effetto una riallocazione dei fattori della produzione tra le varie industrie, ma nessuna influenza sui prezzi di lungo periodo. Tali prezzi, quindi, dipendono interamente dal costo di produzione, o dall'offerta. Nel caso in cui, come nel modello di Smith, il lavoro sia l'unico costo di produzione, ne risulta una teoria del valore-lavoro. e) Il modello di Smith, infine, fondamentalmente statico. Si tratta di un'analisi "atemporale" in quanto, partendo da una posizione di equilibrio di lungo periodo, ipotizza alcuni disturbi e quindi ricava l'equilibrio finale, senza considerare il sentiero temporale delle variabili del sistema: il processo di aggiustamento dunque trattato come istantaneo. Il lavoro comandato in una societ primitiva Seguendo Smith, nella teoria del lavoro comandato "il valore di ogni merce per la persona che la possiede e che non intende usarla o consumarla personalmente ma scambiarla con altre merci, dunque uguale alla quantit di lavoro che le consente di acquistare o avere a disposizione". In altri termini, chi acquista un bene si risparmia il lavoro cui avrebbe dovuto sottoporsi per produrlo direttamente. Il valore del bene quindi il lavoro risparmiato da chi acquista la merce, ovvero "comandato", attraverso l'atto di scambio, al produttore della merce medesima. Quindi, ad esempio, il bene x "comanda" il lavoro necessario a produrre il bene y con cui si scambia. Per rimanere nell'esempio fatto in precedenza, sappiamo che un castoro comander due ore di lavoro e che un cervo comander un'ora di lavoro, cos che il loro prezzo relativo sar di nuovo 1Ct = 2Cv : in una societ primitiva avremo dunque lo stesso prezzo sia che adottiamo la teoria del costo di lavoro che la teoria del lavoro comandato. La teoria del lavoro in una societ avanzata In una societ avanzata il capitale stato accumulato e la terra stata fatta oggetto di appropriazione individuale. Dunque nell'economia avanzata non ci sono pi beni liberi, il prezzo finale di ogni bene deve includere una quota per la retribuzione dei capitalisti, che prender la forma dei profitti, e una quota per la retribuzione dei proprietari terrieri, che prender la forma della rendita.

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In una societ avanzata l'acquirente di un castoro dovr offrire pi unit di lavoro di quelle necessarie a procurarselo, perch ora occorre includere anche un pagamento al capitalista e al proprietario della terra oltre a quello che spetta al lavoratore. Una volta che il capitale stato cumulato e la terra fatta oggetto di appropriazione, e quindi si devono pagare profitti e rendite, la teoria del lavoro come costo e la teoria del lavoro comandato non coincidono pi. Tuttavia, se si considera il prezzo relativo di cervo e castoro si vede che i loro rapporto di scambio identico nelle due teorie, ci dipende da un'ipotesi cruciale: le retribuzioni del lavoro costituiscono la stessa quota proporzionale del prezzo finale in tutte le industrie. In altri termini, in un sistema economico progredito il lavoro contenuto minore del lavoro comandato ma se il costo del lavoro incide per la stessa percentuale sul prezzo finale per tutte le industrie i prezzi relativi sono gli stessi per entrambe le teorie. Ma un'ipotesi del genere non pu ritenersi coerente con le condizioni prevalenti in un'economia progredita in cui la fertilit di terreni non uniforme e la rendita sar probabilmente una quota del prezzo finale diversa per i beni prodotti su terre di diversa qualit. Cos pure i rapporti capitale-lavoro varieranno probabilmente da industria a industria e il profitto tender a rappresentare una quota superiore del prezzo finale nelle industrie a maggior intensit di capitale. Smith si rese conto di alcune delle reali difficolt connesse con la teoria dei prezzi relativi basata sulla quantit di lavoro e, non riuscendo a risolverle dal punto di vista teorico, per il modello di un'economia progredita abbandon la teoria basata sulla quantit di lavoro a favore di una teoria basata sul costo di produzione. La teoria dei prezzi relativi basata sul costo di produzione Il valore di un bene dipende dalle remunerazioni accordate a tutti i fattori della produzione, e quindi anche al capitale e alla terra, oltre che al lavoro. Il costo totale per produrre un castoro allora uguale a salari, profitti e rendite,
TC (Ct ) = W (Ct ) + P (Ct ) + R (Ct ) ,

ugualmente

per

il

cervo

sar

TC (Cv) = W (Cv) + P (Cv) + R (Cv ) . Il prezzo relativo di castoro e cervo pu essere cos

ricavato dal rapporto TC (Ct ) TC (Cv) . Secondo Smith il prevalere della concorrenza farebbe s che l'interesse personale di imprenditori, di lavoratori e di proprietari terrieri porti a prezzi naturali uguali ai costi di produzione.

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La teoria della distribuzione Poich salari, profitti e rendite, in un sistema economico, non sono altro che prezzi, i loro valori relativi determineranno la distribuzione dei redditi al suo interno. I salari Le diverse teorie proposte da Smith per spiegare i salari possono essere rintracciate nell'ottavo capitolo del Libro I, dove egli appoggi una teoria della sussistenza, una teoria della produttivit, una teoria della contrattazione, una teoria della rivendicazione residuale, e una teoria del fondo-salari. Ai nostri fini gli aspetti che meritano un commento sono due. 1. Innanzitutto Smith mise in chiaro che nel processo di contrattazione sul salario i lavoratori partono da una posizione di svantaggio. Non solo i datori di lavoro sono molto meno numerosi dei lavoratori, e questo permette loro di accordarsi pi facilmente per rafforzare la propria posizione, ma la legge permette questa loro coalizione mentre proibisce ai lavoratori di costituirsi in sindacato. 2. Inoltre i datori di lavoro possono contare su unampia disponibilit di risorse che consentono loro di sopravvivere anche quando non impiegano lavoro, come durante uno sciopero o una serrata, mentre "senza impiego molti lavoratori non potrebbero sussistere neppure per una settimana, pochi un mese, e quasi nessuno un anno". Questi passaggi indeboliscono le sue stesse argomentazioni circa il funzionamento "benevolente" dei mercati. La dottrina del fondo-salari Tale dottrina parte dall'assunto che vi sia un fondo fisso di capitale destinato al pagamento dei salari, reso necessario per l'intervallo di tempo richiesto dal processo produttivo: tra il suo inizio e la vendita finale dei prodotti, infatti, necessario che vi siano delle merci, prodotte in precedenza, che i lavoratori possono usare per mangiare, per vestirsi e per tutte le altre necessit della vita. La fonte di questa massa di merci, o fondo-salari, il risparmio dei capitalisti. Dati il fondo-salari e la dimensione della forza lavoro, il loro rapporto determina il saggio di salario.
saggio di salario = fondo - salari forza lavoro

Un aumento del saggio di salario avrebbe comportato un aumento della popolazione e della forza lavoro, cos che il salario sarebbe pian piano ricaduto al suo livello di partenza. I profitti Smith sembra accettare senza obiezioni di sorta la legittimit del profitto quale remunerazione per l'attivit socialmente utile svolta dal capitalista, vale a dire per aver
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fornito ai lavoratori, durante il processo produttivo, i mezzi di sostentamento e i macchinari con cui lavorare. A loro volta i lavoratori tollerano questa deduzione dall'output perch non hanno i materiali per lavorare e perch non sono in condizioni di mantenersi in modo indipendente. Il profitto quindi visto come la risultante di due componenti: una remunerazione per il rischio sopportato, e una remunerazione a titolo di puro interesse. Le rendite Vi sono almeno quattro teorie smithiane sull'origine della rendita, tutte in contraddizione tra di loro: 1. la domanda di proprietari terrieri; 2. il monopolio; 3. i vantaggi differenziali; 4. la generosit della natura. All'inizio della Ricchezza delle nazioni la rendita vista come una delle determinanti dei prezzi, mentre nei capitoli successivi Smith considera la rendita come determinata dai prezzi. L'andamento nel tempo del saggio di profitto Smith addusse a tre ragioni per giustificare la previsione che il saggio di profitto sarebbe caduto nel corso del tempo. 1. La concorrenza sul mercato del lavoro. Spinti dall'accumulazione del capitale, i capitalisti si sarebbero fatti concorrenza sul mercato del lavoro provocando la crescita dei salari, cosa che a parere di Smith avrebbe spinto in basso i profitti. 2. La concorrenza sul mercato dei beni. Via via che l'output fosse aumentato, i capitalisti avrebbero dovuto farsi concorrenza sul mercato dei beni, abbassando i prezzi di vendita e riducendo quindi i profitti. 3. La concorrenza sul mercato degli investimenti. Stante l'opinione di Smith che esistesse solo un numero limitato di opportunit d'investimento, una cresciuta accumulazione di capitale avrebbe provocato profitti sempre minori. Il benessere e il livello generale dei prezzi Le altre due domande a cui Smith cerc di dare risposta erano: Cosa determina il livello generale dei prezzi? Qual la migliore misura del benessere? L'obiettivo di Smith consisteva nel pervenire a una definizione e a una successiva misurazione del benessere in un sistema economico dove si producessero due o pi prodotti finali. Se si adotta la definizione per la quale il benessere coincide con il consumo totale o con il prodotto della societ, nel caso di un'economia multi-prodotto vi un problema da
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risolvere a monte, cio quello di sommare tra loro l'output o il consumo di prodotti diversi. Una possibile soluzione a questo problema la conversione di tutti prodotti in un'unica unit di misura. Supponiamo che tale unit di misura sia data dall'unit di conto monetaria. Nelle nostre economie l'output totale misurato sommando il valore monetario di ciascun bene per ottenere quello che chiamiamo prodotto interno lordo. Se dunque il prodotto interno lordo aumenta da un anno all'altro siamo autorizzati a pensare che sia aumentato anche il benessere? Misurare in questo modo i cambiamenti di benessere in un'economia multi-prodotto presenta delle difficolt, poich l'unit di misura scelta, cio la moneta come unit di conto, a sua volta variabile con il livello generale dei prezzi: cos facendo, il valore monetario dell'output pu non rappresentare fedelmente ci che realmente stato prodotto. Smith pens dapprima alla possibilit di utilizzare l'oro o l'argento come numerario, ma dovette concludere che si trattava di una misura altrettanto insoddisfacente essendo il loro prezzo variabile. Quindi prov con il lavoro, ma anche in questo caso trov che il suo prezzo non era stabile nel tempo. Alla fine l'unica misura invariante di valore che riusc ad identificare al fine di valutare i cambiamenti di benessere fu la disutilit del lavoro. Se il valore monetario della produzione aumenta del 10 per cento, e il livello generale dei prezzi misurato in base al prezzo dell'oro aumenta del 10 per cento, allora il valore reale dell'output non cambia. Il benessere invece aumenta se la disutilit richiesta per produrre questo stesso output diminuisce, o, detto pi semplicemente, se riusciamo a produrre la stessa quantit di prodotto impiegando meno lavoro.

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CAPITOLO 4. RICARDO E MALTHUS La dottrina malthusiana della popolazione Il principio fondamentale espresso da Malthus che la popolazione tende a crescere con maggiore velocit dell'offerta di cibo, tale principio si fonda su due ipotesi: 1. il cibo necessario all'esistenza dell'umanit; 2. la passione tra i due sessi altrettanto necessaria e quindi non potr mai venire meno. Egli era convinto che gli esseri umani, a meno di efficaci misure di controllo demografico, si sarebbero moltiplicati in progressione geometrica (1, 2, 4, 8, 16...) laddove la velocit di crescita dell'offerta di cibo avrebbe seguito una progressione aritmetica (1, 2, 3, 4, 5...) e questa , secondo Malthus, la vera causa della povert e della miseria. La conclusione di Malthus andava verso la direzione dei controlli dello sviluppo demografico atti a mantenerlo in linea con i saggi di crescita dell'offerta di alimenti. Di tali forme di controllo egli ne prese in esame alcune, in particolare distinse tra due tipi di controllo: positivo e negativo. I controlli di tipo positivo sono sostanzialmente incrementi del tasso di mortalit dovuti a guerre, carestie, malattie ed altri tipi di eventi catastrofici. Quelli di tipo negativo sono costituiti invece da diminuzione del tasso di natalit, ottenuta prevalentemente rinviando i matrimoni nel tempo: Malthus tuttavia comment che quest'ultima soluzione avrebbe comportato vizio, miseria e degrado, poich avrebbe favorito le relazioni sessuali prematrimoniali. Insoddisfatto della sua prima esposizione, Malthus pubblic nel 1803 una seconda edizione del suo saggio. Mentre nella prima edizione i controlli demografici conducevano inevitabilmente al vizio e alla miseria, ora ne viene considerato un nuovo tipo basato su un freno di natura morale per il quale posticipare i matrimoni implica l'esclusione di rapporti sessuali prematrimoniali. La tesi malthusiana della popolazione soffre di numerose limitazioni. Come molti dei suoi contemporanei, Malthus non ha mai discusso seriamente la fattibilit di controlli demografici tramite la contraccezione. Egli inoltre confondeva il desiderio istintivo di relazioni sessuali con il desiderio di avere figli. Un'ulteriore difficolt in Malthus la sua ipotesi secondo cui la produzione di cibo non pu crescere pi velocemente della popolazione, cio la negazione gi in linea di principio della possibilit che uno sviluppo delle tecniche agricole riuscisse a garantire

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aumenti della produzione alimentare sufficienti a nutrire una popolazione sempre crescente. Nonostante i suoi limiti, la tesi malthusiana della popolazione ebbe comunque un importante applicazione all'interno della teoria e della politica economica classica: la dottrina del fondo-salari. In base alle prescrizioni di tale "dottrina" un incremento del salario reale avrebbe comportato un aumento della popolazione, che a sua volta avrebbe poi portato a una diminuzione del salario sino a che questo fosse ritornato al proprio livello di partenza. L'economista che pi di ogni altro incorpor la teoria malthusiana della popolazione nell'economia politica classica fu David Ricardo. Ricardo: il metodo, le motivazioni, lo scopo Il metodo di Ricardo Il metodo seguito da Ricardo rappresenta una rottura palese con quello di Smith, comportando il passaggio da una combinazione imprecisa di teoria e descrizione storica a una metodologia basata su modelli di notevole astrazione teorica. Lo scopo della scienza economica secondo Ricardo Laddove Adam Smith condivideva la preoccupazione mercantilista per le forze che determinano la ricchezza delle nazioni, l'obiettivo principale di Ricardo e quello della determinazione delle leggi che governano la distribuzione del reddito tra proprietari terrieri, capitalisti e lavoratori. L'attenzione di Ricardo era dunque rivolta a ci che ora indicato come distribuzione funzionale del reddito, cio alle quote relative del prodotto annuale che vanno al lavoro, al capitale e alla terra. Quel che interessava Ricardo era in particolare di mettere a fuoco i cambiamenti che avvenivano nel corso del tempo nella distribuzione funzionale del reddito sotto il profilo macroeconomico. Per affrontare questo problema egli prese come contesto di riferimento una societ composta da tre classi: i capitalisti, che ricevono profitti e interessi; i proprietari terrieri, che ricevono rendite; e i lavoratori, che ricevono salari. Il modello ricardiano Una panoramica Nel modello ricardiano vi sono tre grandi gruppi di soggetti economici: i capitalisti, i lavoratori e i proprietari terrieri. I primi assolvono alle funzioni fondamentali dell'attivit economica, dal momento che sono i produttori, i dirigenti e i soggetti pi importanti in quanto:
contribuiscono ad allocare le risorse in modo efficiente spostando i loro capitali

laddove questi possono rendere maggiormente e quindi nei settori dove la domanda
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dei consumatori (in condizioni di concorrenza perfetta) viene soddisfatta al minor costo sociale possibile;
mediante il loro risparmio e i loro investimenti si collocano all'origine della crescita

economica. I lavoratori hanno invece un ruolo essenzialmente passivo. Per spiegare il salario reale Ricardo si affida alla dottrina del fondo-salari e alla teoria malthusiana della popolazione: in questo caso dunque
salario reale = fondo - salari forza lavoro

La dimensione del fondo-salari data dall'accumulazione del capitale, mentre la dimensione della forza lavoro regolata dal principio malthusiano. Se il fondo-salari aumenta in seguito all'accumulazione, allora nel breve periodo cresceranno anche i salari reali; ma questo far poi aumentare la popolazione e la forza lavoro, fino a che si raggiunga l'equilibrio di lungo periodo dove i salari reali sono ritornati a loro livello di sussistenza. Vi infine la classe dei proprietari terrieri che nel sistema ricardiano sono rappresentati come veri e propri parassiti. I proprietari terrieri ricevono il loro reddito, cio la rendita, semplicemente per il possesso che hanno di uno dei fattori della produzione, ma senza svolgere alcuna funzione socialmente utile. La relazione che intercorre tra questi tre gruppi e la crescita della ricchezza della nazione la seguente: il prodotto totale, o reddito lordo, viene distribuito ai lavoratori, ai capitalisti e ai proprietari terrieri; in particolare, la parte che non impiegata per pagare il salario di sussistenza e per rimpiazzare i beni capitali esauriti nel processo produttivo viene definita come reddito netto, o sovrappi:
reddito lordo - (salari di sussistenza + deprezzamento) = reddito netto

Esso consiste dunque nella somma dei profitti, delle rendite e della quota di salari al di sopra del livello di sussistenza: nell'equilibrio di lungo periodo, dove i salari sono a loro livello di sussistenza, il reddito netto quindi uguale semplicemente alla somma dei profitti e delle rendite. Dal momento che i lavoratori e i proprietari terrieri spendono il loro reddito interamente in consumi, i profitti sono l'unica possibile fonte di risparmio e, quindi, di accumulazione di capitale. Attraverso la sua teoria della rendita Ricardo giunse alla conclusione che se i profitti fossero calati e le rendite aumentate, nel corso del tempo sarebbe avvenuta una redistribuzione del reddito a favore dei proprietari terrieri che avrebbe
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conseguentemente condotto alla riduzione del saggio di crescita del sistema economico. Strumenti analitici e ipotesi Ricardo svilupp un modello teorico assai raffinato ed esaustivo, e nel far ci adott una serie di strumenti analitici e di ipotesi.
Una teoria del costo del lavoro, in base alla quale le variazioni dei prezzi relativi nel

corso del tempo sono spiegate da quelle del costo del lavoro misurato in ore.
La neutralit della moneta, per cui variazioni dell'offerta di moneta avrebbero potuto

comportare variazioni sia del livello assoluto dei prezzi che dei prezzi relativi. A Ricardo, tuttavia, interessavano le variazioni dei prezzi relativi diverse da quelle causate dalle variazioni dell'offerta di moneta, e quindi fece nel suo modello l'assunzione che quest'ultima non avrebbe influenzato i prezzi relativi.
Coefficienti di produzione fissi per il lavoro e per il capitale. Il rapporto capitale-lavoro

fisso in base a considerazioni tecnologiche per qualsiasi tipo di produzione e non varia al variare dell'output.
Rendimenti costanti nel settore manifatturiero e rendimenti decrescenti in

quell'agricolo.
Piena occupazione, ossia l'ipotesi che l'economia tende automaticamente, nel lungo

periodo, verso la piena occupazione delle risorse.


Concorrenza perfetta, per la quale il mercato formato da tanti produttori

indipendenti che vendono prodotti omogenei e che non sono in grado di influenzare il prezzo di equilibrio.
I soggetti economici sono visti come individui razionali e calcolatori: i capitalisti

cercano di raggiungere il maggior tasso possibile di profitto, i lavoratori salari pi alti e i proprietari terrieri le rendite pi elevate possibili.
La tesi malthusiana sulla popolazione, per la quale la popolazione tende a crescere

pi velocemente rispetto alla produzione alimentare.


La dottrina del fondo-salari, che prevede che il saggio di salario sia uguale al fondo-

salari diviso per la dimensione della forza lavoro. La teoria ricardiana della rendita I rendimenti decrescenti Il principio dei rendimenti decrescenti afferma che se un fattore della produzione viene progressivamente aumentato mentre gli altri fattori restano costanti, il tasso d'incremento del prodotto totale via via minore.

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La rendita vista dal lato del prodotto Per Ricardo vi sono due ragioni che spiegano l'esistenza della rendita: la scarsit di terra fertile; la legge dei rendimenti decrescenti. Ricardo considerava la rendita un pagamento al proprietario della terra tale da eguagliare il saggio di profitto su terre di fertilit differente. Ipotizziamo terre di tre qualit diverse: assumiamo che alla terra di qualit A vengono applicate tre unit di lavoro e capitale, due unit alla terra di qualit B, e una unit alla terra di qualit C. I prodotti marginali dei tre apprezzamenti sono riportati nella tabella sotto:

Il margine intensivo illustra l'effetto dell'applicazione di unit successive di lavoro e di capitale su un dato apprezzamento di terra. Se si applica una sola unit alla terra di qualit A, si ottengono 100 quintali di grano; se ne viene applicata una seconda il prodotto totale di 190 quintali e il prodotto marginale di questa seconda unit di 90 quintali, e cos via. Esso illustra quindi il principio dei rendimenti marginali decrescenti, che nel nostro esempio si assume operativo fin dalla prima unit applicata. Man mano che il prodotto marginale sulla terra di qualit A diminuisce, aumenta la convenienza a usare terre di qualit inferiore nella produzione. Lo spostamento dalla terra di qualit A a quella di qualit B, ad esempio dalla pianura, pi fertile, alla collina, rappresenta il margine estensivo. Per comprendere la nozione ricardiana possiamo ora misurare la rendita di queste terre: se essa il pagamento al proprietario che uguaglia i saggi di profitto per i diversi appezzamenti, la rendita sulla terra di qualit A 30 quintali, quella sulla terra di qualit B 10 quintali e quella sulla terra di qualit C zero. Il processo concorrenziale che conduce a tale risultato il seguente. Se si applicasse una singola unit di lavoro e capitale a tre apprezzamenti di qualit C si otterrebbe un prodotto complessivo di 240 quintali; mentre tre unit di lavoro e capitale su un'appezzamento di qualit A renderebbero 270 quintali (100+90+80). Il prezzo (cio la rendita) della terra A pertanto crescer per via della concorrenza che si faranno di agricoltori per assicurarsela, fino a che esso arriver a 30 quintali di grano, che il prezzo che uguaglia il profitto sulle terre di diversa qualit.
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La rendita vista dal lato dei costi Il costo marginale si definisce come l'incremento del costo totale che deve essere sostenuto per poter produrre un'unit addizionale di prodotto finale. Con l'abbassarsi del margine intensivo i costi marginali aumentano e quello dell'ultimo quintale per A lo stesso del costo marginale per l'ultimo quintale prodotto sulle terre B e C. Nell'equilibrio di lungo periodo dunque, allorch i prodotti marginali in termini fisici sono uniformi sulle diverse terre, al margine i costi marginali devono essere uguali per definizione. Questo modello del funzionamento del settore agricolo evidenzia alcuni aspetti importanti:
la concorrenza tra gli agricoltori sul mercato far convergere il prezzo del grano

verso il costo marginale dell'unit di output pi costosa;


la concorrenza per la terra pi fertile avr l'effetto di fruttare delle rendite ai proprietari

delle terre migliori;


la concorrenza assicurer che su tutti i tipi di terra vi sia un saggio di profitto

uniforme. Nello schema di Ricardo la rendita dunque determinata dal prezzo, non viceversa: gli alti prezzi del grano che si registravano in quegli anni non erano causati dagli alti livelli delle rendite, ma, al contrario, erano le rendite ad essere alte perch era alto il prezzo del grano. In base all'analisi precedente si pu concludere che le restrizioni alle importazioni introdotte con le leggi sul grano avrebbero provocato la caduta dei margini intensivo ed estensivo, a causa della scarsit di terra fertile e del principio dei rendimenti decrescenti, mentre i prodotti marginali in termini fisici di unit addizionali di lavoro e capitale sarebbero calati: i costi marginali sarebbero conseguentemente cresciuti provocando la crescita, a propria volta, dei prezzi del grano e delle rendite. La teoria del valore in Ricardo Che cosa provoca le variazioni nel tempo dei prezzi relativi? La teoria ricardiana del valore basata sul costo del lavoro Alla questione del valore Ricardo dedica il capitolo di apertura del suo libro, e fin dal principio evidente la sua premura nel prendere le distanze dalle posizioni di Adam Smith. Ricardo afferma esplicitamente che il valore dipende dalla quantit di lavoro necessario alla produzione, non dai salari pagati ai lavoratori.
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Chiarito questo, egli si rivolge alla confusione tra valore d'uso e valore di scambio. Mentre Smith, che aveva illustrato tale questione per mezzo del paradosso dell'acqua e dei diamanti, non vedeva uno stretto collegamento tra i due concetti, Ricardo sostenne che il valore d'uso era essenziale per l'esistenza del valore di scambio, anche se non per la sua misura. In termini moderni, ci equivale ad affermare che la condizione finch un bene abbia un prezzo sul mercato data dall'esistenza di una domanda, ma, al tempo stesso, che la domanda non costituisce la misura del prezzo. Il prezzo dei beni che danno qualche utilit deriva da due fonti: la loro scarsit e la quantit di lavoro necessario a produrli. Beni prodotti in un contesto concorrenziale Dopo aver esaminato le argomentazioni di Smith sulle cause determinanti i prezzi relativi, Ricardo scarta le teoria del valore basata sul lavoro comandato e sul costo di produzione a favore di una teoria basata sul costo del lavoro. Le difficolt in una teoria del valore basata sul costo del lavoro Analizziamo la soluzione data da Ricardo a cinque dei problemi fondamentali che attendono chiunque si accinga a elaborare una teoria del valore-lavoro: 1. misurare le quantit di lavoro; 2. tenere in considerazione il fatto che le abilit dei lavoratori sono diverse; 3. spiegare come la presenza di beni capitali influenzi i prezzi; 4. come includere la terra fra i fattori che determinano i prezzi; 5. come includere i profitti tra i fattori che determinano i prezzi. Una misura della quantit di lavoro. la quantit di lavoro a determinare i prezzi, non la sua remunerazione. La soluzione individuata da Ricardo consiste nel misurare la quantit di lavoro attraverso il tempo richiesto dalla produzione di un bene, ossia semplicemente attraverso le ore lavorate. Le diverse abilit dei lavoratori. Tale soluzione per ripropone lo stesso problema che Smith aveva cercato di evitare, quello del lavoro qualificato: se in un'ora di lavoro uno si procura due cervi e l'altro se le procura uno solo, come si fa a stabilire qual la quantit di lavoro necessaria a produrre un cervo? Ricardo identifica la soluzione nell'utilizzo dei salari quale misura della loro produttivit relativa. Il salario pagato al lavoratore che si procura due cervi sar il doppio di quello pagato al lavoratore meno produttivo. In apparenza sembrerebbe che egli incappi qui nello stesso ragionamento circolare smithiano, dato che i salari relativi (che non sono altro che prezzi) vengono impiegati per spiegare i prezzi relativi; in realt Ricardo non intende spiegare i prezzi
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relativi in un dato istante nel tempo, ma a elaborare una teoria in grado di spiegarne le variazioni nel tempo, e in questo caso il ragionamento non pi circolare. Infatti, se le differenze dei salari dei lavoratori imputabili alle loro diverse abilit sono costanti nel tempo, ci significa che le variazioni dei prezzi dei prodotti finali non saranno provocate dalla remunerazione del lavoro. I beni capitali. La maggior parte dei beni prodotta utilizzando sia lavoro che capitale; occorre chiarire l'influenza del capitale sui prezzi dei beni finali. Per Ricardo il problema si risolve semplicemente considerando il capitale come lavoro accumulato, cio lavoro che stato utilizzato in un periodo precedente. Quando un bene prodotto utilizzando lavoro e capitale, il capitale si deprezza nel corso del processo produttivo. L'idea di Ricardo dunque di trattare il problema del capitale sommando, al lavoro che viene impiegato in modo diretto e immediato, il tempo equivalente al deprezzamento dei beni capitali all'interno del processo produttivo. La rendita sulla terra. Supponiamo che vi siano due lavoratori con capacit identiche che lavorano su due apprezzamenti di terra di fertilit differente. Dato che in un anno il lavoratore impiegato sulla terra fertile produrr rispetto a quello impiegato sulla terra meno fertile quantit maggiori, come si fa a stabilire qual la quantit di lavoro necessaria a produrre un quintale di grano? A questo problema Ricardo rispose attraverso la sua teoria della rendita. In base ad essa il prezzo dipende dal costo marginale del quintale di grano prodotto nel modo meno efficiente: il prezzo, cio, e determinato al margine, dove la rendita nulla. Come abbiamo gi visto, la rendita ad essere determinata dal prezzo, e non viceversa: le diverse rendite riscosse dai proprietari di terre di fertilit differente non avranno quindi alcuna influenza sui cambiamenti dei prezzi relativi nel corso del tempo. I profitti. Dopo aver esaminato a fondo i problemi legati al ruolo dei profitti all'interno della teoria del valore, Ricardo giunge alla conclusione che la loro influenza quantitativamente trascurabile: le variazioni dei prezzi relativi nel tempo dipendono dai cambiamenti nelle quantit relative di lavoro incorporato nei beni. La teoria ricardiana della distribuzione Cosa determina la distribuzione funzionale del reddito tra salari, profitti e rendite a un dato istante temporale? Come si modifica nel tempo la distribuzione del reddito in presenza di sviluppo economico? E quali sono le conseguenze delle leggi sul grano sulla distribuzione del reddito e sul saggio di crescita?

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La teoria della distribuzione Con l'aiuto di un semplice grafico possibile ripercorrere il ragionamento ricardiano sulla distribuzione del reddito, a partire dal modello in cui dosi di capitale e lavoro (in proporzioni fisse) vengono via via aggiunte alla quantit data di terra disponibile nel sistema economico. Nel grafico di seguito le dosi successive di capitale e lavoro sono riportate sull'asse orizzontale, i loro prodotti marginali in termini fisici sono misurati in quintali di grano sull'asse verticale. La retta verde (ABM) rappresenta tali prodotti marginali in termini fisici. Ipotizziamo di partire da una situazione di equilibrio assumendo che una certa quantit di capitale e lavoro, rappresentata dal segmento OC, venga applicata alla terra disponibile. Il prodotto marginale dell'ultima unit applicata di capitale e lavoro dunque dato dal segmento BC, e il prodotto totale dell'agricoltura uguale all'area OABC, dal momento che il prodotto totale la somma di tutti prodotti marginali. Il problema ora determinare la divisione del prodotto totale tra salari, profitti e rendite. Determiniamo prima di tutto la rendita: al margine essa cade a zero, e tutto il prodotto sopra la linea BD costituisce del la remunerazione proprietario

terriero. La rendita dunque uguale all'area DAB. Il livello di sussistenza dei salari lo si ricava dalla teoria malthusiana della popolazione, e nel nostro esempio pari alla linea arancione EFN: questo implica che il saggio di salario misurato da FC e i salari totali dall'area OEFC. Infine, se si sottrae il saggio di salario dal prodotto marginale calcolato al margine, il profitto per l'ultima dose di capitale e lavoro dato da BF, mentre il profitto totale dato dall'area EDBF. In questo mondo siamo riusciti a dividere il prodotto totale nelle sue quote di rendita (DAB), profitto (EDBF) e salario (OEFC). Il passaggio cruciale quello per cui il livello di profitti dipende dal prodotto marginale dell'ultima dose di capitale e lavoro e dal livello di sussistenza del salario reale. La distribuzione del reddito nel corso del tempo Come variano nel tempo le quote di reddito nazionale ricevuto da capitalisti, proprietari terrieri e lavoratori? Non trovando
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risposte esaurienti nell'analisi di Smith o di altri autori Ricardo dovette in un certo senso elaborare una propria teoria, secondo la quale la conclusione era la medesima raggiunta da Smith, cio che il saggio di profitto sarebbe caduto con il trascorrere del tempo, ma le ragioni addotte da questi (la concorrenza sul mercato del lavoro, gli investimenti, e dei beni) andavano respinte. Ricardo attribuisce quindi a Smith la risposta giusta al suo problema di fondo (e cio che i profitti sarebbero caduti nel corso del tempo) ma per delle motivazioni sbagliate. L'analisi di Ricardo consiste nel prendere in considerazione un sistema economico "giovane" e seguirlo passo passo nel suo processo di sviluppo, secondo la seguente sequenza. All'inizio la caratteristica principale un elevato saggio di profitto e, poich questo ne la fonte, un elevato saggio di accumulazione del capitale. L'accumulazione a sua volta mantiene alti i saggi di salario reale cos che, in base all'ipotesi malthusiana, la popolazione aumenta: via via che questo processo si svolge vengono richieste quantit sempre maggiori di prodotti alimentari dal settore agricolo, dove i margini intensivo ed estensivo si abbassano con lo sfruttamento superiore delle terre gi coltivate e la messa a coltura di terre sempre meno fertili. In seguito allabbassarsi dei margini le rendite aumentano mentre i profitti diminuiscono. Ne consegue che l'accumulazione decelera progressivamente fino a cessare del tutto quando il profitto diventa nullo e l'intera dinamica del capitalismo viene ad essere bloccata: non ci sono profitti, non c' accumulazione del capitale e quindi crescita economica, la popolazione ha cessato di crescere, i salari sono a livello di sussistenza e le rendite hanno raggiunto il livello massimo. L'intero processo pu essere rappresentato sempre per mezzo del grafico precedente riproposto di seguito. Quando l'accumulazione del capitale e la popolazione aumentano nel corso della fase di crescita, sempre pi unit di capitale e lavoro vengono applicate alla quantit fissa di terra. Se il margine si estende in modo che OI rappresenta l'ultima dose di capitale e lavoro, il nuovo e pi elevato livello della rendita dato

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dall'area GAH, i profitti si sono ridotti all'area EGHJ e l'ammontare dei salari corrisponde all'area OEJI. Utilizzando la terra in modo sempre pi intensivo il livello della rendita aumenta progressivamente fino a che il prodotto totale si ripartisce esclusivamente tra salari e rendite, i profitti divengono nulli. Questo lo stato stazionario: OP sono le dosi di capitale e lavoro impiegate, EAQ e la rendita, OEQP i salari. Le leggi sul grano avrebbero accelerato questo processo; esse avrebbero portato a un'espansione della produzione nazionale, avrebbero quindi avuto l'effetto di premere sui margini intensivo ed estensivo, cosicch i profitti si sarebbero ridotti con l'aumentare delle rendite. In sostanza tali leggi avevano l'effetto poco desiderabile di rallentare la crescita e di affrettare l'avvicinarsi dello stato stazionario. Il vantaggio comparato Ricardo fece ricorso al vantaggio comparato per sostenere la causa della libert dei commerci. Se la nazione A riesce a produrre un bene a un costo inferiore della nazione B, e viceversa la nazione B riesce a produrre un altro bene a costi inferiori rispetto ad A, allora entrambe le nazioni potrebbero guadagnare dalla specializzazione nella produzione e dal successivo commercio. Il vantaggio assoluto Se una nazione ha un vantaggio assoluto nella produzione di una merce, e un'altra nazione ha un vantaggio assoluto nella produzione di un altra merce, ciascuna di queste guadagna se si specializza nella produzione della merce che le costa meno produrre. Il vantaggio comparato Ma cosa accade quando un paese pi efficiente dell'altro nella produzione di tutte le merci? Analizziamo la tabella seguente...
Vino (litri) Inghilterra Portogallo 12 8 Stoffa (metri) 6 1

In questa situazione l'Inghilterra ha una produttivit superiore a quella portoghese in entrambe le industrie, e, corrispondentemente, i suoi costi di produzione misurati in tempo di lavoro sono minori per entrambi beni. Il principio del vantaggio comparato

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mostra che anche con i dati di questa tabella il commercio sar la soluzione pi vantaggiosa per entrambe le nazioni. Non il vantaggio assoluto il criterio cruciale che determina la convenienza del commercio internazionale, ma il vantaggio comparato. In quest'esempio si vede che l'Inghilterra ha un vantaggio comparato nella produzione di stoffa cos come il Portogallo lo ha nella produzione di vino. Come si fa a determinarlo? Occorre esaminare le produttivit relative all'interno di ciascun sistema economico: il vantaggio comparato degli inglesi nella produzione di stoffa risulta dal fatto che mentre in Inghilterra una unit addizionale di stoffa implica la perdita di due unit di vino, in Portogallo i litri di vino cui bisogna rinunciare sono 8; d'altro canto il vantaggio comparato dei portoghesi per produrre il vino indicato dal fatto che per avere un litro di vino in pi in Portogallo si rinuncia a solo 1/8 di metro di stoffa, mentre in Inghilterra occorre 1/2 metro. Ci che conta non il confronto tra la produttivit dell'industria inglese del vino e quella portoghese, ma il confronto tra i costi opportunit della stoffa nei due paesi. Con i dati della tabella precedente possiamo costruire una nuova tabella e misurare i costi opportunit dei due beni nei due paesi. Mantenendo l'ipotesi ricardiana della piena occupazione, se vogliamo produrre quantit maggiori di un bene in un'industria il costo da sostenere pu essere misurato in termini della quantit di beni cui dobbiamo rinunciare in altre industrie per poter spostare risorse verso l'industria in espansione. Nel nostro semplice modello a due beni il costo opportunit di un bene esprimibile nei termini dell'altro bene.
Vino Inghilterra Portogallo metro di stoffa 1/8 metro di stoffa Stoffa 2 litri di vino 8 litri di vino

In Inghilterra il costo opportunit della stoffa (2 litri di vino) minore di quello portoghese (8 litri di vino), mentre il costo opportunit di vino minore in Portogallo (1/8 metro di stoffa) che in Inghilterra (1/2 metro di stoffa). Perci se l'Inghilterra produce stoffa e la scambia con il vino prodotto dal Portogallo la produzione totale di entrambi i beni a livello mondiale superiore a prima, ed entrambi i paesi possono trarne un guadagno. Se dunque il principio smithiano del vantaggio assoluto aveva incrinato la posizione mercantilista di protezione dell'industria, la dottrina del vantaggio comparato la distrusse del tutto.

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Stabilit e crescita in un'economia capitalistica La legge di Say afferma che un sistema capitalistico garantisce automaticamente la piena occupazione delle sue risorse e alti tassi di crescita economica. La concezione mercantilista della domanda aggregata Se per la maggior parte dei mercantilisti la parsimonia e il risparmio dei soggetti economici rappresentavano un bene per la nazione, vi erano per alcuni di essi che ritenevano che il risparmio avrebbe condotto alla disoccupazione, e che soltanto una maggiore spesa per i consumi avrebbe provocato un incremento dell'attivit economica e dunque un vantaggio collettivo. Tra i pi spinti sostenitori di questa posizione ricordiamo Bernard Mandeville secondo cui la prosperit e l'occupazione sono conseguenza delle spese, in particolare delle spese per i consumi di lusso, mentre il risparmio avrebbe danneggiato l'economia abbassandone il livello di produzione e di occupazione. La concezione di Smith della domanda aggregata Smith respinse apertamente le posizioni di Mandeville e dei mercantilisti sostenitori dell'orientamento appena descritto: a suo parere erano invece frugalit e parsimonia a dover essere apprezzate, dato il ruolo svolto nel suo sistema teorico dall'accumulazione del capitale come determinante principale della crescita e della prosperit. Secondo Smith il risparmio non riduce la domanda aggregata ma semplicemente la reindirizza dai beni di consumo verso i beni di investimento. Il sottoconsumismo malthusiano Anche per Ricardo l'accumulazione di capitale la principale determinante della crescita della ricchezza per una nazione. Tuttavia l'analisi di questi due autori (Smith e Ricardo) basata esclusivamente su considerazioni dal lato dell'offerta aggregata: la crescita limitata soltanto dal grado con cui una nazione pu aumentare la sua offerta di lavoro, di capitale e di risorse naturali. Cosa succede invece quando la domanda aggregata per il prodotto finito scende al di sotto dell'offerta, provocando una situazione di sottooccupazione o di depressione? All'inizio del 1800 ci si pose il problema e Lord Lauderdale e Jean Charles Sismondi misero in discussione la possibilit che un sistema economico garantisca in modo automatico la piena utilizzazione delle risorse. Nel 1820 Malthus riprese le loro argomentazioni e diede vita con Ricardo a un dibattito divenuto famoso. Malthus afferm che il processo di risparmio e investimento non pu proseguire indefinitamente senza condurre nel lungo periodo alla stagnazione. Il punto di partenza che esiste un tasso appropriato di accumulazione di capitale che l'economia riesce ad assorbire, e che un livello troppo elevato di risparmi e investimenti creano dei problemi: infatti, da un
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lato, con il risparmio si riduce la domanda per i beni di consumo, e dall'altro con l'investimento si determina la produzione di pi beni di consumo nel futuro. La conclusione di Malthus era la seguente: poich la domanda effettiva dei lavoratori e dei capitalisti si dimostra essere insufficiente, occorre che il divario sia colmato da quei soggetti che nella societ consumano senza produrre, ossia da coloro che forniscono servizi e dai proprietari terrieri. Una delle funzioni sociali dei proprietari terrieri dunque quella di consumare senza produrre, e per questa via contribuire a impedire la depressione e l'eventuale stagnazione dell'economia. La legge di Say Per i sostenitori della legge di Say, il processo di produzione dei beni sufficiente a generare un potere d'acquisto tale da poterli poi ricomprare sul mercato a prezzi soddisfacenti, essendo il fenomeno della sovrapproduzione possibile per mercati particolari ma non a livello dell'intero sistema economico. Qualsiasi flessione nel livello generale dell'attivit economica sarebbe stato infatti di breve durata, poich il mercato da solo avrebbe ripristinato il pieno impiego delle risorse, e questo spiega perch i classici insistessero nel sostenere che nel lungo periodo non vi sarebbe stata un'accumulazione di capitale in eccesso. Il valore del prodotto annuale distribuito a titolo di potere d'acquisto tra i vari soggetti economici e non si pone quindi il problema di accertare se il potere d'acquisto generato dal processo produttivo sia sempre sufficiente al riacquisto dei beni prodotti. L'offerta crea la propria domanda: tutto il potere d'acquisto potenziale sarebbe ritornato al mercato a titolo di domanda o per beni di consumo o per beni di investimento. La "controversia bullionista" Le posizioni di Ricardo sulla legge di Say si svilupparono nel corso delle dispute a cui ci si riferisce con il nome di controversia bullionista che ebbero luogo agli inizi del 1800 in merito alle cause dell'inflazione verificatasi al tempo delle guerre napoleoniche. I bullionisti la identificavano nell'espansione monetaria verificatasi nel corso delle guerre, mentre per gli anti-bullonisti le cause erano diverse e complesse, e comunque includevano anche fattori reali, come ad esempio le cattive annate per i raccolti. Uno dei principali esponenti della corrente anti-bullionista fu Robert Torrens che diede un'esposizione di quelle posizioni teoriche nel suo Saggio sulla moneta e la valuta cartacea. All'interno di questo dibattito Ricardo divenne presto uno degli alfieri della posizione bullionista la quale, anticipando lattuale monetarismo, vedeva nell'inflazione un fenomeno esclusivamente monetario. Partendo dalla concezione che il funzionamento
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dell'economia risieda tutto nel settore reale, la sua teoria monetaria descrive la moneta come nient'altro che un velo che ricopre l'economia reale, e gli interventi che egli fece nel corso della disputa sono pensati esattamente con l'obiettivo di rimuovere quel velo. La disoccupazione tecnologica Ricardo analizz anche le conseguenze dell'introduzione delle macchine nell'economia. Egli era dell'idea che se il macchinario di nuova introduzione viene finanziato destinando a capitale fisso quello che prima era capitale circolante, allora il fondo-salari si riduce generando disoccupazione. Se per il nuovo macchinario viene finanziato con il risparmio piuttosto che con il capitale circolante, allora la disoccupazione non si verifica.

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CAPITOLO 5. JOHN STUART MILL E IL DECLINO DELLECONOMIA POLITICA CLASSICA Gli sviluppi teorici post-ricardiani Lo scopo e il metodo propri della scienza economica Ricardo non si pose mai direttamente il problema della metodologia pi appropriata alla scienza economica, un problema al quale trovarono invece una soluzione i suoi seguaci. Le due pi consapevoli esposizioni che videro la luce in questo periodo a proposito della questione dello scopo e del metodo pi appropriati per la scienza economica furono quelle di Nassau Senior e di John Stuart Mill. Senior definisce l'economia politica come la scienza "in cui si tratta la natura della produzione e della distribuzione delle ricchezze". Secondo Senior le fondamenta scientifiche dell'economia politica potrebbero essere ricondotte a quattro principi evidenti di per s, e il compito dell'economista sarebbe quello di approntare una terminologia curata e di seguire le regole della logica al fine di assicurarsi che le conclusioni raggiunte discendano effettivamente dalle premesse iniziali. Secondo Senior le quattro proposizioni di base sulle quali poggiano le fondamenta dell'economia in quanto scienza sono: 1. il principio di razionalit, ossia il principio secondo cui gli individui sono esseri razionali calcolatori, e cercano sempre di procurarsi la maggiore ricchezza con il minore sacrificio possibile; 2. la dottrina malthusiana della popolazione; 3. il principio dei rendimenti decrescenti in agricoltura; 4. storicamente, il principio dei rendimenti crescenti nell'industria. Senior fu uno dei primi economisti ad affermare in modo inequivocabile che la scienza economica doveva essere una scienza positiva; egli era convinto infatti che un economista dovesse prestare molta attenzione a distinguere tra giudizi normativi e analisi economica di tipo descrittivo. Uno degli esempi di questa posizione che appaiono nel suo sistema teorico la distinzione tra le leggi universali che regolano la natura e la produzione della ricchezza, e i principi che governano la distribuzione del reddito, i quali sono invece contingenti rispetto alle usanze e alla struttura istituzionale che caratterizzano un particolare sistema economico. L'economista dovrebbe occuparsi di ci che "" piuttosto che di ci che "dovrebbe essere": "le conclusioni a cui giunge, qualunque sia la loro generalit e il loro grado di verit, non lo autorizzano minimamente ad aggiungere una singola parola di commento".
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La dottrina malthusiana della popolazione Malgrado egli fosse giunto nel 1836 a descrivere tale teoria come uno dei pilastri portanti sui quali si fondava la scienza economica, gi nel 1829 aveva pubblicato la corrispondenza da lui trattenuta con Malthus, insieme con alcune lezioni tenute l'anno precedente, dove si metteva seriamente in discussione la proposizione malthusiana secondo cui la popolazione tenderebbe ad aumentare pi velocemente dell'offerta di cibo: la conclusione di Senior in quel caso era stata a favore dell'evidenza storica, dalla quale si vedeva come fosse invece l'offerta di cibo a crescere pi velocemente rispetto alla popolazione. La riluttanza ad abbandonare la teoria malthusiana della popolazione pu essere compresa quando si pensi al ruolo decisivo che essa occupa all'interno dello schema analitico ricardiano. Nell'esempio della teoria ricardiana della distribuzione riportato nella figura, il livello di sussistenza dei salari (EN) ricavato dalla teoria malthusiana della popolazione: ma se il livello di sussistenza dei salari non pu pi essere determinato con precisione, allora la curva EN ha un'infinit di possibili forme e posizioni, e il calcolo dei profitti e salari a un istante temporale, cos come quello delle variazioni della distribuzione del reddito nel corso del tempo, resta indeterminato. La teoria ricardiana della distribuzione del reddito dipende quindi in modo decisivo da quella malthusiana della popolazione. La dottrina del fondo-salari Secondo il meccanismo descritto dalla teoria malthusiana, allorch il salario si trova al suo livello di sussistenza, un aumento dei salari reali dell'anno corrente non avrebbe ripercussioni sul futuro livello per almeno qualche anno, secondo l'et media di ingresso nella forza lavoro. Ammettendo ad esempio che si verifichino aumenti immediati della popolazione conseguentemente ad aumenti del salario reale, l'offerta di lavoro non ne sarebbe influenzata per almeno quattordici anni. La dottrina del fondo-salari implica invece una spiegazione di breve periodo del livello di salari e suggerisce una dipendenza del salario unitario dalla domanda e dall'offerta di lavoro. La domanda di lavoro nell'accezione qui considerata fissata dalla dimensione

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del fondo-salari, ossia dalla dimensione di quella parte di capitale che stata precedentemente accantonata per poter pagare i lavoratori. Conosciuta tale dimensione, il saggio di salario di breve periodo quindi determinato semplicemente dividendo il fondo-salari per il numero di soggetti presenti sul mercato del lavoro. Nel breve periodo, essendo il fondo-salari fisso nel suo montare, la quantit di lavoro a sua volta fissa e il saggio di salario determinato in modo univoco. Quando, per i problemi teorici che abbiamo illustrato nei paragrafi precedenti, si arriv ad accantonare la teoria malthusiana della popolazione, la dottrina del fondo-salari dovette sobbarcarsi l'onere di fornire una spiegazione del livello di salari tanto nel breve quanto nel lungo periodo: un compito semplicemente impossibile ad assolversi, dal momento che non vi era nulla in tale dottrina che dicesse alcunch riguardo l'offerta di lavoro di lungo periodo. Eppure furono in molti, sia fra gli autori di successo che fra i divulgatori, ad invocarla allo scopo di contrastare gli sforzi dei lavoratori diretti ad ottenere salari pi elevati, in modo particolare quegli sforzi che andavano compiendosi attraverso la formazione dei sindacati. I rendimenti (storicamente) decrescenti La posizione di fondo di Ricardo consisteva nel ritenere che, applicando quantit successive di lavoro e capitale ad una quantit fissa di terra, il loro prodotto marginale si sarebbe progressivamente ridotto. Lo sviluppo tecnologico applicato al settore agricolo avrebbe poi potuto, teoricamente, controbilanciare in modo esatto tali rendimenti decrescenti di breve periodo, oppure controbilanciarli solo parzialmente, oppure ancora pi che controbilanciarli, cos che nel lungo periodo in tale settore sarebbe stato storicamente possibile il verificarsi di rendimenti di scala costanti, decrescenti o crescenti. A questo proposito Ricardo, riteneva che lo sviluppo tecnologico non sarebbe stato in grado di controbilanciare i rendimenti decrescenti di breve periodo, e quindi formul la previsione che storicamente si sarebbe assistito a rendimenti decrescenti in agricoltura. Tutti i dati allora disponibili sull'economia britannica indicavano per che le previsioni del modello ricardiano, fondate sul fatto che il settore agricolo avrebbe storicamente sperimentato rendimenti decrescenti di scala, erano sbagliate. Avvenne cos che gli economisti ricardiani, curiosamente, da un lato ammettevano l'evidenza storica e dall'altro continuavano ad attenersi fedelmente al modello tradizionale e alla sua predizione che i rendimenti sarebbero successivamente diminuiti. Essi enfatizzavano esclusivamente il processo deduttivo grazie al quale il ragionamento doveva svolgersi a partire da un dato insieme di ipotesi iniziali, con la conseguenza che
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si sentivano autorizzati a ignorare le contraddizioni tra il modello e i fatti, per concentrarsi nel raffinamento logico della loro struttura teorica. La caduta tendenziale del saggio di profitto Nell'opinione di Ricardo la caduta tendenziale del saggio di profitto si sarebbe protratta fino a che questo si fosse annullato, ossia finch si fosse raggiunto lo stato stazionario con una redistribuzione del reddito dei capitalisti a favore dei proprietari terrieri. Nonostante non avessero il riscontro dell'evidenza empirica sul fenomeno dei rendimenti storicamente decrescenti nel settore agricolo, e della caduta tendenziale del saggio di profitto con il successivo graduale approssimarsi dello stato stazionario, gli economisti ricardiani, e in particolare John Stuart Mill, insistevano nellattenersi a tali previsioni. La teoria del profitto (e dell'interesse) Ricardo era giunto alla conclusione che le variazioni del saggio di profitto non avessero un ruolo significativo nello spiegare le variazioni nel tempo dei prezzi relativi. In sostanza egli decise che, sebbene in teoria i prezzi relativi dipendessero sia dal costo del lavoro che dal costo del capitale (il secondo essendo rappresentato dai profitti), di fatto l'importanza dei profitti nella loro determinazione era cos poco rilevante da poter essere trascurata. La particolare modellizzazione approntata da Ricardo non manc per questo motivo di attirare l'attenzione di molti economisti, che si sforzarono successivamente di perfezionarne la coerenza logica includendovi, oltre ai costi di produzione imputabili al fattore lavoro, anche i costi imputabili al fattore capitale. La preoccupazione dei suoi seguaci per la teoria del valore venne poi acuita dagli attacchi che a questa venivano portati dai socialisti ricardiani, i quali vi facevano ricorso per dimostrare che il lavoro veniva sfruttato, perch pur producendo l'intero prodotto esso non veniva remunerato nella stessa misura sotto forma di salari. Il contributo pi significativo che venne dato nella prima fase del periodo post-ricardiano alla teoria del valore e del profitto fu quello di Nassau Senior, che per primo tent di sviluppare una teoria dell'interesse basata sull'astinenza. Nel formulare la propria teoria del valore Senior attribu, dal lato della domanda, molta pi importanza all'utilit di quanta gliene avesse attribuita Ricardo, e analogamente, dal lato dell'offerta, enfatizz il ruolo della disutilit quale costo reale della produzione. Ricorrendo alle ipotesi fondamentali fatte dall'economia politica classica in merito alla psicologia dei soggetti economici, egli sostenne che gli individui erano razionali e calcolatori.

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I salari diventavano cos il premio pagato ai lavoratori per compensarli della fatica spesa attraverso il lavoro; e dato che se si vogliono produrre beni capitali occorre che qualcuno si astenga dal consumo, i capitalisti sicuramente non rinuncerebbero a possibili consumi a meno che non siano compensati per il loro sacrificio. Essendo il lavoro e il capitale due fattori necessari alla produzione dei beni finali, il prezzo di questi ultimi dovrebbe essere sufficientemente alto da poter remunerare entrambi i costi reali sostenuti per la produzione. In questo modo Senior elabor una teoria del valore basata sul costo di produzione, dove il salario era interpretato come il rimborso ai lavoratori e il profitto come il rimborso ai prestatori di capitale. In tal modo egli non diede alcuna giustificazione sociale o economica al fatto della riscossione degli interessi sui capitali acquisiti per dono o per eredit. Per questo motivo la teoria dell'interesse di Senior fin alla lunga per suscitare molti pi interrogativi di quanti ne avesse risolti. John Stuart Mill: il retroterra culturale del suo sistema di pensiero L'approccio di Mill all'economia politica Per Mill la scienza economica una scienza ipotetica fondata sul metodo a priori: l'economista e cio colui che pone determinate assunzioni iniziali e da quelle deduce le conclusioni. Data l'impraticabilit del metodo sperimentale della scienza economica, gli economisti sono quindi costretti ad affidarsi al ragionamento deduttivo, non potendo ricorrere a quelle analisi induttive rivelatesi feconde nell'ambito delle scienze naturali. Nonostante questa impostazione, Mill afferma che le conclusioni raggiunte dagli economisti in virt dei loro modelli deduttivi dovrebbero essere verificate alla luce dei fatti registrati nella realt. Il manifestarsi di una contraddizione dei risultati previsti utilizzando il metodo deduttivo e l'evidenza empirica potrebbe infatti rivelare, a parere di Mill, la presenza di importanti "fattori di disturbo" in precedenza sottovalutati. Tali fattori potrebbero, o costringere l'economista a ripartire da nuove ipotesi, e quindi giungere attraverso il ragionamento deduttivo a nuove conclusioni, oppure segnalare l'effetto dell'operare di forze di natura non economica non tenute in debita considerazione da parte dell'economista. I "fattori di disturbo" divennero per ben presto il tappeto sotto il quale gli economisti iniziarono a nascondere tutte le divergenze che si verificavano tra le previsioni teoriche derivabili dal modello economico ricardiano e l'evidenza empirica. La distinzione tra economia positiva ed economia normativa che occupava un posto di rilievo all'interno del pensiero di Senior viene ripresa da Mill. L'intenzione di Mill quella
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di mostrare che la gran parte degli economisti suoi contemporanei sono in errore nel ritenere che n le leggi della produzione n quelle della distribuzione potrebbero essere modificate per mezzo della struttura istituzionale della societ. Dal suo punto di vista, infatti, se le leggi della produzione sono ineludibili, in realt la distribuzione personale del reddito suscettibile di essere modificata attraverso interventi di riforma sociale. La predizione dello stato stazionario, nel quale i salari sarebbero stati al loro livello di sussistenza, ossia la predizione che scaturiva dalla teoria ricardiana, viene controbilanciata dalla convinzione pi ottimistica di Mill per la quale nel corso del tempo si sarebbero instaurati standard di vita sociale pi ragionevoli e umanitari, cos da garantire una distribuzione dei redditi pi equa e egualitaria. Egli vede perci con favore l'applicazione di alte aliquote di imposizione fiscale sulle eredit, ma si oppone alla tassazione progressiva perch ne teme gli effetti in termini di disincentivo; invoca poi la formazione di cooperative di produttori poich ritiene che i lavoratori avrebbero notevoli incentivi ad aumentare la propria produttivit se potessero percepire non soltanto il loro salario, ma anche i profitti e gli interessi attivi delle cooperative. Inoltre giunge alla conclusione che le conseguenze dei rendimenti decrescenti nel settore agricolo potrebbero essere mitigate dalla crescita del livello culturale dei cittadini e dalla riduzione del saggio di crescita della popolazione ottenibile grazie al rinvio di matrimoni e al controllo delle nascite. Secondo Mill, infine, la societ non pu modificare le funzioni di produzione, ma di fatto ha la capacit di modellare una distribuzione personale del reddito che risponda ai propri giudizi di valore. L'influenza esercitata da Jeremy Bentham Bentham partiva dall'idea che gli uomini sono motivati all'azione da due forti desideri: raggiungere il piacere ed evitare il dolore. Se la societ fosse riuscita a misurare i piaceri si sarebbero perci potute promuovere leggi appropriate cos da assicurare la maggior quantit possibile di piacere al maggior numero possibile di persone. Proprio come questi filosofi radicali (di cui Bentham era un esponente) Mill era molto interessato alle questioni di riforma economica, politica e sociale, ma arriv a respingere, almeno parzialmente, alcuni aspetti del benthamismo che suo padre (James Mill) aveva invece accettato; egli in particolare criticava:
il calcolo edonista dei piaceri e delle pene quale strumento per analizzare la

totalit del comportamento umano;


il fatto che i filosofi radicali non erano abbastanza radicali.
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"Laissez faire", interventismo o socialismo? Mill potrebbe essere collocato, dal punto di vista delle politiche pubbliche, a met strada tra il liberismo classico e il socialismo. Analizziamo le sue ideee sulle politiche pubbliche. Ruolo del governo. Mill affermava in proposito che l'unico esercizio legittimo del potere da parte del governo al di sopra e contro la volont del singolo individuo sarebbe consistito nell'"impedirgli di nuocere agli altri". Mill tuttavia abbandon nel tempo questa posizione rigorosamente liberale e riconobbe che l'assenza di intervento da parte del governo non comporterebbe necessariamente il raggiungimento della massima libert, poich quest'ultima impedita da molti altri ostacoli che di fatto soltanto la legislazione o il governo potrebbero rimuovere. Funzionamento dei mercati. Mill percepisce l'esistenza di un conflitto di classe tra i proprietari terrieri e gli altri gruppi sociali. Per via di tale conflitto egli esprime la propria condanna verso i proprietari terrieri, pervenendo poi a raccomandazioni di politica economica che suggeriscono di espropriarli di tutti gli ulteriori incrementi delle rendite e del valore della terra. Propriet privata. I diritti di propriet privata non sono visti come assoluti, e la societ potrebbe eliminarli nel caso in cui li giudicasse in conflitto con il bene comune. Ma se si fosse corretta la legislazione sulla propriet privata con lo scopo di raggiungere una distribuzione del reddito pi equa e una pi stretta conformit del contributo dato dagli individui al sistema economico e il loro redditi, "allora il principio della propriet individuale non avrebbe avuto nessuna necessaria connessione con quei mali fisici e sociali che quasi tutti gli scrittori socialisti ritengono invece inseparabili da esso". Concorrenza. Per Mill la concorrenza fondamentalmente benigna e la conseguenza del potere di monopolio all'interno dei mercati sarebbe un'allocazione inefficiente delle risorse. Un differente stato stazionario Mill si attenne fedelmente al modello ricardiano di base, che prevedeva saggi di profitto decrescenti nel tempo e il raggiungimento dello stato stazionario. Tuttavia lo stato stazionario che egli prefigur era assai diverso da quello triste e deprimente immaginato da Ricardo. Mill considerava la felicit individuale, il benessere e il miglioramento generale come criteri per tracciare il profilo della buona societ; egli era consapevole che questi non fossero necessariamente misurabili attraverso beni materiali ed arriv ad affermare che " soltanto nei paesi arretrati che una maggiore produzione rappresenta ancora uno scopo importante; in quelli pi progrediti, ci di cui vi bisogno una maggiore distribuzione".
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La teoria economica milliana Il ruolo assegnato alla teoria Mill era convinto dell'esistenza di due forze che governavano la distribuzione del reddito: la concorrenza e la consuetudine. Egli mise in evidenza come loperare della concorrenza all'interno di un'economia di mercato fosse un fenomeno relativamente recente per il suo tempo, e che se si fosse guardato alla storia passata si sarebbe scoperto che usi e consuetudini avevano da sempre occupato un ruolo centrale nella soluzione dei problemi legati alla distribuzione del reddito. La teoria del valore L'idea di fondo di Mill che affinch un bene possa avere un valore di scambio, e quindi un prezzo, occorre che esso sia utile e difficile da ottenere.

Se l'offerta fosse limitata in modo assoluto, allora la curva di offerta sarebbe perfettamente inelastica (verticale) e il prezzo dipenderebbe dalla domanda e offerta (figura A). Di fatto secondo Mill questa una classe di merci relativamente poco importanti, visto che poche merci presentano un'offerta perfettamente inelastica: si tratta per lo pi di vini, opere d'arte, libri vari... Egli per fa uso di questo primo caso per analizzare quelle situazioni di monopolio in cui il monopolista ha la possibilit di limitare l'offerta in modo artificioso. Il secondo gruppo di merci, i beni manufatti, presentano invece una curva di offerta perfettamente elastica (orizzontale), e a proposto di questi Mill conclude che il loro prezzo determinato dal costo di produzione; in questo caso infatti egli adotta l'ipotesi che tutte le industrie manifatturiere producano a costi costanti (figura B), cio che i loro costi marginali non si modificano all'aumentare del livello di produzione. Per quanto riguarda invece il terzo gruppo di beni (figura C), ovvero quelli prodotti nel settore agricolo, l'ipotesi di Mill di una produzione soggetta a costi crescenti, dove cio i costi marginali aumentano con l'aumentare dell'output prodotto: il prezzo di tali merci determinato dal costo di produzione registrato nelle circostanze meno favorevoli.

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La teoria del commercio internazionale Mill si sofferma sul modo in cui i vantaggi del commercio internazionale si ripartiscono tra le diverse nazioni che vi partecipano. L'idea di fondo di Mill consiste nel far dipendere le ragioni di scambio dalla domanda per i prodotti importati da parte dei due paesi. La forza relativa delle domande di importazioni legata, a giudizio di Mill, alle tendenze e alle condizioni dei consumatori dei due paesi. Egli approfond la nozione di "tendenze e condizioni di consumatori", indicando in modo chiaro che con tale fraseologia si riferiva alle posizioni e alle elasticit delle curve di domanda, e senza aver mai esplicitamente introdotto il concetto di elasticit della domanda, di fatto egli stava descrivendo proprio i casi di domande caratterizzate da elasticit, inelasticit ed elasticit unitaria. La teoria monetaria di Mill e l'eccesso di offerta: una ripresa della legge di Say Mill si schier a favore della legge di Say controbattendo l'argomento, avanzato da molti "sottoconsumisti", in base al quale il sistema economico avrebbe tratto giovamento se i ricchi avessero risparmiato di meno e speso di pi in consumi improduttivi. Mill giunse a distinguere tre possibili tipi di sistemi economici:
un'economia di baratto; un'economia dove la moneta una merce e non esiste credito; un'economia dove esiste credito monetario.

In un'economia di baratto non potrebbe mai esserci un tasso di insufficienza della domanda aggregata, dal momento che una qualsiasi decisione di offerta di merci presuppone a propria volta una domanda per quelle stesse merci; in un sistema economico di questo tipo ogni singolo produttore o ogni singola impresa produrrebbero e porrebbero in vendita il proprio prodotto solo in seguito al desiderio di ottenere altri beni. Se in questo sistema si introduce la moneta intesa solo come mezzo di scambio la conclusione non cambia; se per la moneta assolve anche alla funzione di riserva di valore, allora un venditore potrebbe anche non tornare immediatamente sul mercato per effettuare i propri acquisti. Mill dimostr che con l'introduzione del credito avrebbe potuto verificarsi il caso di una sovrapproduzione di merci a livello di sistema economico nel suo complesso: una sovraemissione di credito in un periodo di espansione e di prosperit avrebbe potuto essere seguita da una contrazione del credito in seguito a un'ondata di pessimismo nella comunit degli affari. A parere di Mill, quindi, l'introduzione del credito in un sistema economico avrebbe consentito la possibilit di un eccesso di offerta a livello aggregato, non a causa del
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fenomeno malthusiano della sovrapproduzione dovuta a saturazione del mercato, ma a causa del modificarsi delle aspettative da parte del mondo degli affari. La scuola metallica e la scuola bancaria La prosecuzione del dibattito bullionista nota come la controversia tra la scuola metallica e la scuola bancaria. La scuola metallica si rifaceva la posizione bullionista e sosteneva che un regime di circolazione misto (ossia consistente di banconote e di oro) avrebbe dovuto essere soggetto ad una rigida regolamentazione, e che quindi la quantit di monete in circolazione avrebbe dovuto essere fatta variare esattamente allo stesso modo in cui sarebbe variata se il sistema fosse stato completamente metallico. I suoi fautori sostenevano che questa politica era infatti l'unica che impedisse delle missioni inflazionistiche. La scuola bancaria, dal canto suo, invocava la necessit di una politica monetaria pi flessibile e sosteneva che non vi sarebbe stato bisogno di effettuare alcun controllo sull'emissione di banconote fintanto che le banche avessero agito in accordo con la dottrina delle cambiali reali. La teoria monetaria di Mill si colloc a mezza strada tra la scuola bancaria e quella metallica: a suo modo di vedere infatti le indicazioni della scuola bancaria sarebbero state quelle pi corrette da applicare in tempi normali, cio quando i mercati fossero stati tranquilli. Per la dottrina delle cambiali reali non avrebbe rappresentato un solido riferimento teorico valido in qualsiasi situazione: nel caso di periodi caratterizzati da una crescita finanziaria speculativa, infatti, Mill riteneva che la politica economica suggerita dalla scuola metallica, consistente nel legare l'emissione di banconote alla quantit d'oro disponibile come riserva, diventava quella pi appropriata da seguire. Il fondo-salari e la ritrattazione di Mill La dottrina del fondo-salari fu utilizzata al tempo di Mill da alcuni economisti e da una serie di divulgatori come uno degli argomenti da opporre alla formazione dei sindacati. In base a tale dottrina il saggio di salario era determinato dalla dimensione della forza lavoro e dal fondo-salari, cosicch qualsiasi tentativo messo in atto dai lavoratori per alzare il livello delle retribuzioni si sarebbe rivelato comunque vano. Bench accettasse la dottrina del fondo-salari, Mill giunse a sostenere la formazione di sindacati dei lavoratori, seguendo il ragionamento di Adam Smith che aveva osservato come il singolo lavoratore non sindacalizzato si sarebbe trovato in una situazione di svantaggio concorrenziale rispetto al proprio datore di lavoro quando avessero stabilito contrattualmente la remunerazione.
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Secondo la dottrina del fondo-salari la domanda di lavoro era fissata in modo assoluto dalla dimensione del fondo-salari; Mill sostenne che laddove sia fisso l'ammontare massimo dei fondi disponibili al pagamento dei salari, una data forza lavoro e un dato livello di salario potrebbero anche non esaurire quest'ammontare fisso. Seguendo questo ragionamento il saggio di salario non risulta determinato in modo univoco, anzi, sarebbero possibili diversi livelli salariali, essendoci cos lo spazio perch i sindacati possano alzare il saggio corrente attraverso il processo della contrattazione.

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CAPITOLO 6. KARL MARX Uno sguardo dinsieme Lobiettivo perseguito da Marx La teoria economica di Marx il risultato dell'applicazione della sua concezione della storia all'economia capitalista, e rispecchia il suo sforzo di svelare le leggi della dinamica del capitalismo. Laddove gli altri economisti classici prima di lui si erano concentrati sull'equilibrio statico del sistema economico, Marx si concentr piuttosto sul processo dinamico del cambiamento. La concezione marxiana della storia L'analisi del capitalismo compiuta da Marx non altro che l'applicazione, con riferimento al sistema economico della propria epoca, della concezione della storia che egli deriv da Hegel. Quest'ultimo aveva sostenuto che la storia non procede, come molti credevano, in modo ciclico attraverso una serie di situazioni che si ripetono, ma si evolve in modo lineare e progressivo, determinato da una triade di forze che egli denomin tesi, antitesi e sintesi. In ogni istante temporale esiste un'idea dominante, la tesi, che viene per presto contraddetta dal suo opposto, l'antitesi: da questo conflitto di idee scaturisce una sintesi, che rappresenta il raggiungimento di una forma di verit superiore ed allo stesso tempo la tesi del periodo storico successivo. Il nome dato da Hegel a questo processo infinito di evoluzione storica, cos come al modello utilizzato per investigarlo, era quello di "dialettica". Anche Marx fece ricorso a un metodo di indagine dialettico simile a quello adottato dal suo maestro; tuttavia il suo apparato filosofico si differenziava da quello di Hegel, idealistico, per le sue connotazioni materialistiche. Per Hegel il mondo dove si sarebbe verificato il cambiamento era quello delle idee, mentre per Marx era quello della materia, contenente in s i semi di un conflitto perenne, ed per questa ragione che la filosofia marxiana viene spesso indicata con il nome di materialismo dialettico. Nell'opinione di Marx qualsiasi societ pu essere considerata dal punto di vista analitico come composta da due aspetti: le forze della produzione e i rapporti di produzione. Le forze di produzione costituiscono la tecnologia impiegata dalla societ per produrre i beni materiali: esse quindi si manifestano nell'abilit dei lavoratori, nella conoscenza scientifica, negli strumenti e nei beni capitali, e hanno natura intrinsecamente dinamica. I rapporti di produzione sono invece rappresentabili come le "regole del gioco", e includono le relazioni tra una persona e un'altra, ossia i rapporti sociali, e le relazioni tra le persone e le cose, ossia i rapporti di propriet.
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A differenza delle forze della produzione, che sono mutevoli e dinamiche, i rapporti di produzione sono di natura statica e sono vincolati al proprio passato. Questa caratteristica della staticit dei rapporti di produzione rafforzata da quella che Marx indica come la "sovrastruttura sociale", che ha appunto lo scopo di conservare i rapporti di produzione che si sono venuti determinando storicamente: si tratta dell'arte, della letteratura, della musica, della filosofia, della giurisprudenza, della religione e di tutte le altre forme di vita culturale accettate dalla societ, le quali sono organizzate in modo tale da mantenere intatti i rapporti di produzione esistenti, ossia lo status quo. I rapporti di produzione, con la loro staticit, hanno il ruolo della tesi, mentre le forze della produzione, con la loro mutevolezza e dinamicit, hanno il ruolo dell'antitesi. All'inizio di ogni periodo storico vi armonia tra le forze e i rapporti di produzione, ma nel corso del tempo i cambiamenti che interessano le prime introducono una serie di contraddizioni nel sistema. Tali contraddizioni si manifesteranno, diceva Marx, nella forma di una lotta di classe, e alla fine diverranno cos intense da determinare un periodo di rivoluzione sociale, al termine del quale scaturir un nuovo genere di rapporti di produzione, pi adeguato alle mutate forze produttive. Il nuovo insieme di rapporti di produzione rappresenter la sintesi generata dal conflitto tra la vecchia tesi (i rapporti di produzione) e l'antitesi (le forze della produzione), e avr il ruolo della nuova tesi all'interno del periodo storico successivo: a questo punto si sar di nuovo raggiunta l'armonia, anche se non si dovr attendere molto perch la dinamica delle forze di produzione faccia nascere altre contraddizioni. Qualche precisazione sulla dialettica marxiana Marx sostiene che l'economia politica classica si limitata ad accettare i mercati come un dato di fatto, senza considerare la natura della propriet privata e gli effetti indotti dall'esistenza dei mercati sulle persone. Vivendo in un'economia capitalista gli esseri umani sarebbero rimasti intimamente alienati da se stessi. A suo parere, infatti, la propriet privata e il sistema di mercato conducono a svalutare e privare di senso tutto ci con cui entrano in contatto, e quindi anche gli individui, la cui sorte l'alienazione della propria identit. La stessa alienazione intrinseca ai diritti di propriet e al sistema dei mercati avrebbe spinto gli individui a liberarsi dal mercato per creare una societ dove non fosse esistita la propriet privata e quindi nemmeno l'alienazione che l'accompagna. Il capitalismo reca dunque in s i germi della propria distruzione, che sarebbe avvenuta via via che si fossero sviluppati gli inevitabili conflitti indotti dal cambiamento nelle forze della produzione. Con la caduta del capitalismo sarebbe emerso un nuovo tipo di
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relazioni di produzione che Marx individu sotto il nome di socialismo, e questo avrebbe in seguito dato vita, come ultimo stadio, al comunismo. Socialismo e comunismo Socialismo e comunismo sono dunque per Marx degli stati attraverso i quali sarebbe passato il processo di evoluzione della storia.
Il socialismo, nell'accezione di Marx, quel particolare insieme di rapporti di produzione che avrebbe seguito il capitalismo e che ancora ne avrebbe contenuto delle tracce. Se una delle principali caratteristiche del capitalismo quella per cui i mezzi di produzione, ossia il capitale, non sono posseduti o controllati dal proletariato, il cambiamento fondamentale che sarebbe intervenuto nella transizione dal capitalismo al socialismo sarebbe stato il possesso dei mezzi di produzione da parte del proletariato. Accanto a questa sostanziale trasformazione, il socialismo avrebbe tuttavia conservato dei residui del capitalismo, nel senso che l'attivit economica sarebbe comunque stata organizzata, sostanzialmente, in base a un sistema di incentivi: per indurre le persone a lavorare si sarebbe comunque dovuto in qualche modo compensarle. Il comunismo, secondo l'accezione di Marx, sarebbe scaturito dal superamento dei sistemi economici di tipo socialista, e avrebbe comportato, rispetto a questi, alcune differenziazioni notevoli. Le persone sarebbero state infatti motivate al lavoro in modo autonomo, senza cio bisogno di incentivi di tipo materiale o monetario; sarebbero scomparse le classi sociali esistenti sia nel capitalismo sia, in misura minore, nel socialismo: il comunismo avrebbe portato con s una societ senza classi dove perfino lo Stato si sarebbe ridotto sino a scomparire.

Le teorie economiche di Marx Lapproccio metodologico di Marx Se nell'approccio metodologico della teoria ortodossa il principale legame di causalit va dalle parti al tutto, nello schema analitico marxiano il tutto determina le parti. Merci e classi Il primo passo compiuto da Marx fu quello di esaminare la relazione di scambio che esiste tra i capitalisti, ovvero coloro che posseggono i mezzi di produzione, e i proletari, coloro che vendono il proprio lavoro sul mercato. Egli riteneva infatti che tale relazione illustrasse bene quella che una delle principali caratteristiche del capitalismo: la separazione del lavoro dalla propriet dei mezzi di produzione. Marx decise di esaminare le forze che determinavano sia i prezzi delle merci prodotte con l'impiego del lavoro, sia il prezzo con cui veniva remunerato il lavoro in seguito alla fatica spesa della produzione delle merci. La teoria del valore-lavoro di Marx Dal momento che i prezzi delle merci rendono manifeste alcune relazioni di tipo quantitativo, tutte le merci devono per forza avere un elemento in comune, quantitativamente misurabile in modo certo. Il lavoro l'elemento

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comune a tutte le merci ed proprio la quantit di lavoro necessaria alla produzione delle merci il fattore che governa la determinazione dei prezzi relativi. Per Marx l'unico costo sociale richiesto dalla produzione delle merci il lavoro. La quantit totale di lavoro disponibile all'interno della societ per produrre merci una quantit omogenea, chiamata, appunto, lavoro astratto. La produzione di una qualsiasi merce richiederebbe l'impiego di una parte dell'intera offerta di lavoro astratto, e i prezzi relativi delle varie merci rispetterebbero le diverse quantit di questa astratta offerta di lavoro, misurata in ore di lavoro, necessaria alla loro produzione.
La nozione secondo cui il lavoro contenuto nelle merci a determinare il loro valore solleva per quel problema che abbiamo gi incontrato e che potremmo chiamare del lavoro qualificato. Per far fronte a questo problema Marx propone di misurare la quantit di lavoro richiesto dalla produzione di un bene attraverso il "tempo di lavoro socialmente necessario", definito come il tempo di lavoro impiegato nella produzione da parte di un lavoratore in possesso del livello medio di abilit normalmente posseduta dai lavoratori in quel periodo.

Un altro problema delicato che occorre affrontare all'interno di una teoria del valorelavoro dato dall'influenza esercitata dai beni capitali sulla formazione dei prezzi relativi. Su questo punto Marx adotta la soluzione che era gi stata individuata da Ricardo, ovvero quella di considerare il capitale come lavoro accumulato. In base a tale soluzione il tempo di lavoro necessario a produrre un bene finisce per coincidere con il numero di ore di lavoro immediatamente applicato alla produzione, pi il numero di ore di lavoro richiesto dalla produzione del capitale andato poi distrutto nel processo di produzione.
Una teoria del valore-lavoro deve poi risolvere tutte le questioni legate all'esistenza di terre di diversa fertilit, per cui la stessa quantit di tempo di lavoro conduce a una diversa produzione. Marx affronta questo problema facendo ricorso alla teoria della rendita differenziale gi sviluppata da Ricardo. In base a questa teoria la superiore produttivit del lavoro svolto su una terra di maggiore fertilit assorbita dal proprietario terriero a titolo di rendita differenziale, e la concorrenza farebbe s che la rendita pagata sulle terre migliori cresca fino a che il saggio di profitto risulti lo stesso su tutti gli apprezzamenti. In questa accezione dunque la rendita ad essere determinata dal prezzo, piuttosto che il contrario.

L'algebra marxiana Nella costruzione analitica di Marx il valore di una merce sempre scomponibile in tre parti:
valore = C + V + S

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Il capitale costante (C) definito come la spesa dei capitalisti per le materie prime e il costo del deprezzamento sul capitale fisso. Conviene considerarlo come la somma di tutti i costi non da lavoro che i capitalisti sostengono per produrre le merci. Il capitale variabile (V) definito come la somma delle spese per salari e stipendi. Il plusvalore (S) un valore residuo, ottenuto sottraendo le spese per il capitale costante e per il capitale variabile dal ricavo lordo dei capitalisti. Secondo Marx le spese per il capitale costante fruttano ai capitalisti un ritorno di un ammontare esattamente uguale, da cui il nome di capitale costante. Le spese per il capitale variabile invece, laddove gli affari siano profittevoli, generano un ritorno di entit superiore. Attraverso questa duplice ipotesi Marx riesce ad incorporare nel suo sistema teorico l'ipotesi fondamentale che solo il lavoro crea il valore. Come nasce il plusvalore nel contesto dei mercati concorrenziali? Il lavoro la sola merce che ha la capacit di creare plusvalore. Se in quattro ore di lavoro un lavoratore riesce a produrre merci sufficienti per acquistare tutto quanto necessario al suo mantenimento, allora il prezzo del lavoro sar equivalente a quattro ore di tempo lavorativo, e le spese di un capitalista per il capitale variabile sar equivalente a quattro ore di tempo lavorativo. Se la giornata lavorativa fosse lunga soltanto quattro ore allora non verrebbe generato alcun plusvalore o reddito da propriet. Una giornata lavorativa pi lunga, come ad esempio quella di otto ore, genera invece un plusvalore poich, dopo che il lavoro stato remunerato con il salario determinato in modo concorrenziale e pari a quattro ore di tempo di lavoro, rimane un surplus di merci pari a quanto prodotto nelle altre quattro ore di lavoro. Marx definisce "saggio di plusvalore" o "saggio di sfruttamento" il rapporto tra plusvalore (S) e spese per il capitale variabile (V):
saggio di plusvalore = S ' = S V

Poich il capitalista a possedere e controllare i mezzi di produzione, questi nella condizione di chiedere ai lavoratori di lavorare pi a lungo di quello che sarebbe strettamente necessario al loro mantenimento e di trarne quindi un reddito da propriet uguale al plusvalore. Il plusvalore creato dal lavoratore gli sottratto a causa della mancanza di controllo sui mezzi di produzione. L'unica soluzione che avrebbe potuto mettere fine a questa situazione sarebbe quindi stata una rivoluzione, che avesse lo scopo di espropriare i
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capitalisti dei loro mezzi di produzione e di restituire il plusvalore a chi lo aveva creato, ossia ai lavoratori proletari. Di nuovo sull'algebra marxiana Sono possibili diversi modi di aumentare il saggio di plusvalore: un allungamento della giornata lavorativa, un aumento della produttivit del lavoro, una riduzione della quantit di merce equivalente al salario reale con cui si remunera il lavoro. Il capitalista, sostiene Marx, cerca costantemente di aumentare il saggio di plusvalore attraverso un allungamento della giornata lavorativa o un incremento della produttivit del lavoro. Poco invece pu fare per abbassare il salario reale dei lavoratori, poich il saggio di salario determinato dalle forze dei mercati concorrenziali. Il saggio di profitto uguale al rapporto tra il saggio di plusvalore e le anticipazioni per il capitale totale:
saggio di profitto = P = S C +V .

La composizione organica del capitale (il termine con il quale Marx indicava l'intensit di capitale di un'industria o di una singola impresa) invece uguale al rapporto tra le spese per il capitale costante e le spese per il capitale totale:
composizione organica del capitale = Q = C C +V .

Essendo il saggio di plusvalore pari al rapporto tra il plusvalore e le spese per il capitale variabile,
saggio di plusvalore = S ' = S V ,

quanto maggiore questo rapporto, tanto pi l'impresa o l'industria sar ad elevata intensit di capitale. Attraverso alcuni passaggi algebrici rispetto alle definizioni precedenti di plusvalore, saggio di profitto e composizione organica del capitale, si pu dimostrare che il saggio di profitto varia direttamente con il saggio di plusvalore e inversamente con la composizione organica del capitale:
saggio di profitto = P = S ' (1 Q) .

Alcuni problemi con la teoria del valore di Marx Marx partiva dall'ipotesi che il funzionamento dei mercati perfettamente concorrenziali avrebbe portato automaticamente all'uguaglianza del saggio di plusvalore in tutte le industrie e in tutte le

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imprese; e che le stesse forze concorrenziali avrebbero determinato un saggio uniforme di profitto per tutte le imprese e per tutte le industrie. Per esempio, un saggio di profitto superiore che si fosse verificato in un settore di un'industria o del sistema economico avrebbe provocato uno spostamento di risorse tali da ristabilire, nel lungo periodo, l'uniformit del saggio di profitto in tutti i settori. Se dunque sia il saggio di plusvalore, sia il saggio di profitto, devono essere uniformi all'interno del sistema economico, allora lo sar necessariamente anche la composizione organica del capitale, come si pu facilmente dimostrare. Il saggio di profitto dato dalla formula P = S ' (1 Q) ; se il saggio di plusvalore ( S ' ) e quello di profitto ( P ) sono ovunque gli stessi nel sistema economico per via del funzionamento concorrenziale del mercato, allora anche la composizione organica del capitale ( Q ) dovr essere allo stesso livello in ogni impresa e in ogni industria. Tuttavia un fatto osservabile che sia il rapporto tra capitale del lavoro, sia la composizione organica di capitale, differiscono da un'industria all'altra. La soluzione trovata da Marx e alcune delle sue implicazioni La teoria del valore-lavoro impiegata nel corso di primi due volumi del Capitale costruita sulla base dell'ipotesi restrittiva che la composizione organica del capitale sia la stessa per tutte le industrie, mentre nel terzo volume Marx prov ad eliminare quest'ipotesi iniziale e s'impegn a sviluppare una teoria del valore-lavoro che avesse una propria coerenza interna. La cosa non gli riusc e tale difficolt incontrata dalla teoria del valore-lavoro di Marx anche divenuta famosa con il nome di problema della trasformazione: con esso si vuole alludere al tentativo fatto da Marx nel terzo volume del Capitale di "trasformare" il valore delle merci nei prezzi di mercato, per poter trattare anche il caso generale di un sistema economico caratterizzato da industrie con differenti intensit di capitale. Anche se indubbiamente lo spessore teorico del sistema marxiano risulta complessivamente indebolito dalla confutazione della sua teoria del valore-lavoro, egli avrebbe potuto sollevare quelle questioni di ordine etico che gli stavano a cuore, e in modo particolare sottolineare le gravi iniquit della distribuzione del reddito in un regime capitalistico, senza dover necessariamente fare riferimento a questa particolare teoria del valore. L'analisi marxiana del capitalismo Nella sua analisi del capitalismo Marx giunse a enunciare alcuni principi che sono conosciuti come "leggi marxiane". Queste leggi del capitalismo includono:
trasformazione di un "esercito industriale di riserva" composto dai disoccupati;
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la caduta tendenziale del saggio di profitto; le crisi economiche ricorrenti; la progressiva concentrazione industriale in un numero sempre pi piccolo di

imprese e l'impoverimento progressivo del proletariato. L'esercito industriale di riserva composto dai disoccupati. Marx non condivide la teoria malthusiana della popolazione. Secondo gli economisti classici l'accumulazione del capitale conduce a una maggiore domanda di lavoro e a una conseguente crescita del salario reale dei lavoratori, ma qualsiasi aumento dei salari provocherebbe un aumento della popolazione e della forza lavoro tale da riportarli a livello di sussistenza (teoria malthusiana). Il rifiuto di questa teoria comporta per Marx il dover rispondere alla domanda: cosa impedirebbe al plusvalore e ai profitti di ridursi progressivamente fino a zero in corrispondenza del continuo aumento dei salari? La risposta di Marx a quest'interrogativo contenuta nella sua analisi dell'esercito di riserva dei disoccupati. Secondo Marx, infatti, sul mercato del lavoro vi sempre un eccesso di offerta che ha l'effetto di comprimere i salari e mantenere cos livelli positivi e significativi del plusvalore e dei profitti. Le motivazioni a monte di questo perenne eccesso di offerta di lavoro sono pi di una:
sostituzione della manodopera con macchinari all'interno dei processi di produzione; ingresso di nuovi elementi nella forza lavoro.

Durante i periodi di espansione dell'attivit economica e di accumulazione del capitale i salari aumentano e l'esercito di riserva si riduce; tuttavia la crescita dei salari porta alla lunga a una riduzione del profitto, cosa a cui i capitalisti reagiscono sostituendo lavoratori impiegati con macchine. La disoccupazione generata da questa sostituzione tra capitale e lavoro abbassa nuovamente i salari e ripristina i profitti. Il presupposto di Marx equivale a respingere la legge di Say e quindi la sua previsione di pieno impiego delle risorse presenti nel sistema. La caduta tendenziale del saggio di profitto. Nel modello marxiano il saggio di profitto varia direttamente con il saggio di plusvalore, e inversamente con la composizione organica del capitale, secondo la formula: P = S ' (1 Q) . Assumendo che il saggio di plusvalore non si modifichi con l'andare del tempo, ci significa che qualsiasi incremento della composizione organica del capitale avr come conseguenza la riduzione del saggio di profitto.

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Essendo Marx persuaso che la concorrenza, sia sul mercato di beni che sul mercato del lavoro, avrebbe comportato il progressivo aumento della composizione organica del capitale, egli giunse la conclusione che i saggi di profitto si sarebbero conseguentemente ridotti.
Secondo Marx il capitalista portato per sua natura a cercare di accumulare capitale; tale accumulazione di capitale comporta anche che un aumento di capitale variabile comanderebbe maggiori quantit di lavoro, spingendo i salari verso l'alto e riducendo la dimensione dell'esercito industriale di riserva composto dai disoccupati. Dato che all'aumentare dei salari il saggio di plusvalore dovrebbe diminuire, anche il saggio di profitto varierebbe nella stessa direzione. La reazione dei capitalisti di fronte all'aumento dei salari e alla riduzione dei profitti sarebbe quindi di sostituire lavoratori impiegati con macchinari, cio di incrementare la composizione organica del capitale per cui i profitti sarebbero spinti ulteriormente verso il basso. Anche il processo concorrenziale sul mercato dei beni avrebbe come conseguenza una progressiva riduzione del saggio di profitto, poich i capitalisti cercherebbero costantemente di ridurre i costi di produzione per poter vendere i beni finali a un prezzo inferiore. La spinta competitiva tra i capitalisti riporterebbe a cercare nuovi e meno costosi metodi di produzione per ridurre il tempo di lavoro socialmente necessario richiesto dalla produzione di una determinata merce. Tuttavia queste nuove tecniche, pi efficienti, si risolverebbero quasi sempre in un aumento della composizione organica del capitale, la quale a propria volta avrebbe l'effetto di provocare una progressiva riduzione dei profitti.

L'origine delle crisi economiche. Marx non accett la legge di Say, ovvero quel principio secondo cui, al di l di fluttuazioni di minore importanza nel livello del prodotto, un'economia capitalista avrebbe manifestato la tendenza ad operare sempre a un livello corrispondente al pieno impiego delle risorse. Egli ammetteva che in una semplice economia di baratto i soggetti economici producono beni o per il valore d'uso che ne possono trarre consumandoli direttamente, o per il valore d'uso che ne traggono barattandoli, e che in tali circostanze la produzione e il consumo sono perfettamente sincronizzati: se qualcuno produce le scarpe, lo fa per metterle in piedi o per scambiarle, ad esempio, con del cibo. L'introduzione della moneta in un sistema economico di questo tipo non distoglie necessariamente la produzione da questa sua finalit: in un'economia monetaria, infatti, i produttori scambiano beni contro moneta, e la moneta a sua volta scambiata contro altri beni che portano un valore d'uso a chi consuma (la moneta dunque l'intermediario degli scambi).

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Possiamo rappresentare in modo schematico come segue i due tipi di sistema economico appena descritti: economia di baratto economia monetaria
M M M DM M = merci D = denaro

Il capitalismo comporta invece unmportante modifica della finalit dell'attivit economica, che dalla produzione di valori d'uso si rivolge ora alla produzione di valori di scambio. Il capitalista, entra nel mercato come portatore di denaro, acquista i fattori della produzione e li coordina in vista della produzione delle merci; allorch le merci siano state prodotte, egli le cede sul mercato in cambio di nuovo denaro, e il suo successo misurato esattamente dal plusvalore che egli riesce a realizzare, ovvero dalla differenza tra le quantit iniziale e finale di denaro a sua disposizione. Un'economia di tipo capitalistico pu perci essere schematicamente rappresentata in questo modo:
D M D'

dove la differenza D tra D' e D rappresenta il plusvalore realizzato dal capitalista. In un'economia capitalista, orientata alla realizzazione di valori di scambio e di profitti, la sovrapproduzione diventa una possibilit concreta. L'approccio di fondo con cui Marx si accost allo studio delle fluttuazioni economiche fu quello di esaminare come avrebbero reagito i capitalisti una volta posti di fronte a variazioni nel saggio di profitto. Le fluttuazioni cicliche. Uno dei modelli di fluttuazione economica suggeriti da Marx quello delle fluttuazioni cicliche o ricorrenti. Egli ipotizz che un'improvvisa accelerazione del progresso tecnologico potesse generare un ciclo economico. Tale accelerazione avrebbe riguardato anche l'accumulazione del capitale e, con essa, la domanda di lavoro da parte delle imprese: la dimensione dell'esercito industriale di riserva si sarebbe ridotta, i salari sarebbero cresciuti, il plusvalore diminuito e cos pure il saggio di plusvalore e il saggio di profitto. La riduzione del saggio di profitto avrebbe a sua volta decelerato l'accumulazione di capitale, innescando una spirale depressiva per l'intero sistema economico. La fase di depressione economica, secondo Marx, avrebbe tuttavia contenuto in s quegli elementi che presto o tardi avrebbero generato una nuova espansione: con il contrarsi della produzione e linfoltirsi dell'esercito industriale di riserva dei disoccupati, infatti, sarebbe senz'altro cresciuta la pressione competitiva sul livello di salario, la cui diminuzione avrebbe migliorato l'opportunit di profitto. A questo punto i livelli di profitti superiori avrebbero stimolato il processo di

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accumulazione del capitale e l'attivit economica avrebbe ripreso quota con l'inizio della fase espansiva del ciclo. Le crisi derivanti da sproporzione. Marx mise in discussione la capacit che il mercato potesse assolvere senza problemi il compito di allocare le risorse tra i vari settori. Si supponga che vi sia un aumento della domanda di prodotti dell'industria A e una diminuzione della domanda di prodotti dell'industria B. In un'economia di tipo capitalistico dove tutto funzioni regolarmente, i prezzi e i profitti dell'industria A aumenterebbero mentre diminuirebbero quelli dell'industria B, e la reazione dei capitalisti a questo mutamento nei profitti sarebbe quella di spostare risorse dall'industria in declino verso quella in espansione. In questo modo l'eccesso di offerta, o la sovrapproduzione, che si verificato nell'industria B sarebbe un fenomeno di breve durata e non avrebbe alcuna influenza percettibile sul livello generale dell'attivit economica. In aperto contrasto con le posizioni degli economisti classici, Marx sostenne che la disoccupazione creata nell'industria B in seguito al contrarsi della domanda avrebbe potuto estendersi al resto del sistema e provocare un declino generale per l'attivit economica. La concentrazione e centralizzazione del capitale. Marx era consapevole del fenomeno della crescita delle dimensioni delle imprese e del conseguente indebolimento della logica concorrenziale al crescere del potere monopolistico. Egli giunse alla conclusione che tale fenomeno derivava sia dalla concentrazione che dalla centralizzazione progressive del capitale. Una crescente concentrazione del capitale si verifica allorch singoli capitalisti accumulano quantit di capitale sempre maggiori, e quindi aumentano l'ammontare complessivo di capitale soggetto al loro controllo: le dimensioni dell'impresa o dell'unit produttiva aumentano corrispondentemente, e il grado di concorrenza sui mercati tende a diminuire. L'altra ragione, ancor pi importante, adottata per spiegare il ridursi della concorrenza sui mercati quella legata alla centralizzazione del capitale, che si realizzi in seguito a una redistribuzione del capitale gi esistente tale da lasciarne il possesso e il controllo nelle mani di un numero sempre minore di persone. Marx sostenne che le imprese di dimensioni superiori sarebbero state in grado di conseguire delle economie di scala e di produrre a costi medi inferiori di quelli delle imprese pi piccole, cos che la concorrenza tra le prime e le seconde avrebbe portato alla scomparsa delle imprese di dimensioni pi ridotte e alla creazione di monopolio.
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L'immiseramento progressivo del proletariato. L'immiseramento progressivo del proletariato la dizione utilizzata da Marx per riferirsi a un'altra delle contraddizioni che avrebbero portato alla crisi finale del capitalismo. Di questa particolare tesi, oggetto di accesi dibattiti, sono state date tre diverse interpretazioni, non necessariamente incompatibili tra di loro. 1. Secondo la prima interpretazione, il crescente immiseramento del proletariato in termini assoluti implica che il reddito reale per la maggior parte dei lavoratori sarebbe diminuito con lo sviluppo del capitalismo. 2. Una seconda interpretazione possibile fa riferimento a un crescente immiseramento del proletariato in senso relativo, volendo con ci indicare che la quota del reddito nazionale spettante al proletariato diminuisce nel corso del tempo. 3. La terza ed ultima interpretazione della dottrina dell'immiseramento progressivo del proletariato che essa riguarda aspetti non economici della vita, ovvero il fatto che l'avanzare del capitalismo avrebbe assoggettato la maggioranza delle persone al processo della produzione industriale, deteriorando progressivamente la qualit della vita.

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