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Stesura provvisoria

Giorgio Lunghini Elementi di economia politica


Il modello standard e le teorie alternative

Dispense a uso esclusivo degli studenti dellIstituto Universitario di Studi Superiori Pavia 2012

INDICE

Premessa La teoria neoclassica Un semplice modello neoclassico aggregato Leconomia politica classica e la critica marxiana Economia politica e capitalismo Le determinanti del sovrappi Quesnay: Le condizioni per la riproduzione Smith: Il lavoro Ricardo: La distribuzione del prodotto sociale Ricardo: Accumulazione e saggio dei profitti Marx e i Classici: Il valore come sostanza e come misura Marx: Plusvalore e profitto Marx: Riproduzione e crisi Marx: La caduta tendenziale del saggio dei profitti Critica della teoria neoclassica : Keynes e Sraffa La critica di Keynes La critica di Sraffa Letture consigliate

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Queste dispense sono tratte da: G. Lunghini, Riproduzione, distribuzione e crisi, Edizioni Unicopli, Milano 1996; S. Lucarelli, Critica delleconomica: Keynes e Sraffa - Appunti dalle lezioni di Giorgio Lunghini nellUniversit L. Bocconi, Milano 2004; G. Lunghini e E. Vesentini, La teoria economica e il suo linguaggio, in: Enciclopedia del XXI Secolo, vol.1, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2009.

Premessa

La teoria economica oggi dominante - la teoria neoclassica - si presenta come una teoria capace di indagare qualsiasi aspetto della attivit umana. Essa sembra essere riuscita in unimpresa che sinora la fisica ha mancato, la proposta di un modello unificato di spiegazione della realt considerata di propria competenza; di certo essa riuscita a imporre come elementare e indiscutibile buon senso la sua visione del mondo e le conseguenti raccomandazioni politiche. Tuttavia non esiste una sola teoria economica: a fianco della teoria dominante coesistono altre teorie, teorie che si possono definire eterodosse ma che non per questo si possono considerare superate o irrilevanti. Sono numerosi e attivi, anche e in alcuni campi soprattutto in Italia, gli economisti che si rifanno alla tradizione classica e marxiana, o a quei grandi autori del Novecento, come J.M. Keynes, P. Sraffa e J. A. Schumpeter, che alla teoria neoclassica hanno mosso critiche radicali. Leconomia una disciplina che non progredisce, o per lo meno non progredisce nel senso in cui progrediscono la fisica e la medicina, cio con lacquisizione di nuovi risultati sostanziali. Anche nelle scienze della natura coesistono teorie rivali, ma le scienze della natura dispongono, in generale, di criteri sufficientemente robusti per accertare lo statuto epistemologico delle diverse teorie. Leconomia non si occupa di un oggetto naturale, bens della societ e di una societ storicamente determinata; nel lavoro teorico, e nella competizione tra le diverse teorie economiche per legemonia culturale, lelemento politico ha perci un peso importante, talora determinante. Bisogna allora chiedersi quali siano le caratteristiche della teoria neoclassica, quando e come questa teoria sia nata, e in che modo essa sia diventata e sia tuttora dominante; e ripercorrere poi le altre epoche della storia delle teorie economiche, per proiettare su uno sfondo questa teoria e cos mettere in evidenza quei temi che essa ha rimosso, temi cruciali in questo inizio di secolo. Lo studio della storia del pensiero, scrive Keynes, premessa necessaria alla emancipazione della mente. Non so che cosa renderebbe pi conservatore un uomo, se il non conoscere niente altro che il presente, o niente altro che il passato.

La teoria neoclassica

Intorno al 1870, in curiosa coincidenza con linizio della Grande depressione, la teoria economica travolta da una vera e propria rivoluzione (nel senso di T. Kuhn), da un radicale rovesciamento di prospettiva rispetto a quella delleconomia politica classica e della critica di questa da parte di Marx. Ne sono protagonisti studiosi di diversi paesi e di varia formazione (W. S. Jevons, P. H. Wicksteed, F. Y. Edgeworth e A. Marshall in Inghilterra, C. Menger e E. Bhm Bawerk in Austria, il francese L. Walras e litaliano V. Pareto in Svizzera, I. Fisher in America, K. Wicksell in Svezia). Tutte le teorie economiche comprendono una teoria del valore, cio una qualche spiegazione di che cosa determini il valore e i prezzi delle merci. Il cambiamento pi importante e vistoso, nella teoria neoclassica, labbandono della teoria del valore-lavoro, su cui si fondavano le teorie dei classici e di Marx, e ladozione di una teoria del valore-utilit, una teoria che pone come unico principio di tutta la teoria del valore di scambio quella piccola cosa, cos facilmente trascurata, che la variabilit del valore duso o della stima soggettiva del valore. Lintroduzione della categoria dellutilit nel discorso economico, come nuovo fondamento della teoria del valore, si accompagna a un importante cambiamento metodologico. La meccanica razionale, e con essa il calcolo infinitesimale, viene assunta come paradigma teoretico. Un modello epistemologico, quello della fisica dellOttocento, del tutto inappropriato per una scienza sociale e per accademicamente seducente. La scientificit o meno di un ragionamento economico viene fatta dipendere dalla sua formalizzazione matematica, e la teoria del valore viene ridotta a un mero problema di calcolo: si tratta di calcolare, sulla base di determinate condizioni, quei prezzi che sul mercato assicurano lequilibrio tra la domanda e lofferta dei beni. Nella teoria neoclassica, a differenza delleconomia politica classica, loggetto dellanalisi non sono pi le classi sociali, definite sulla base delle loro relazioni con la produzione e la distribuzione del sovrappi, ma lindividuo con i suoi gusti (o preferenze) e i suoi bisogni. La teoria neoclassica una teoria essenzialmente microeconomica, una teoria che come suo compito principale assume quello di spiegare, sulla base dei loro gusti e dei loro bisogni, le scelte che gli individui compiono nel mercato. Lhomo conomicus analogo a un punto materiale soggetto a vincoli nel mondo della meccanica razionale; egli si muover nello spazio del mercato, entro i limiti imposti dalle proprie risorse e dai comportamenti altrui, finch il sistema non avr raggiunto un equilibrio statico. La teoria economica si riduce cos a una scienza pseudonaturale, libera da coordinate storiche e ideologiche. Questi due sviluppi, la matematizzazione del discorso economico e lindividualismo metodologico (ovvero il principio secondo cui scientifica soltanto una spiegazione che parta dallanalisi del comportamento dei

singoli individui), si sposano perfettamente con la nuova categoria dellutilit. Il problema delle scelte individuali viene concepito e formulato come un semplice problema matematico di massimizzazione di una funzione obiettivo, il cui argomento lutilit. Ogni individuo caratterizzato da una propria funzione di utilit, e dalla soluzione del problema individuale di massimizzazione dellutilit si ricavano le funzioni individuali di domanda e di offerta, ovvero le quantit di beni che, dati i propri gusti e la propria dotazione iniziale (la propria ricchezza), ogni soggetto desidera domandare o offrire sul mercato in corrispondenza di ogni possibile valore dei prezzi dei beni stessi. Cos determinate le quantit dei beni domandate e offerte da ogni singolo soggetto, sulla base delle funzioni individuali di utilit, possibile procedere alla loro aggregazione, in modo da calcolare le quantit domandate e offerte nel mercato dallinsieme dei soggetti, in corrispondenza dei diversi prezzi. Il prezzo di equilibrio di mercato di un bene risulta essere quel prezzo, in corrispondenza del quale la quantit domandata uguale alla quantit offerta. La legge della domanda e dellofferta non altro che questo: la determinazione, attraverso variazioni delle quantit e dei prezzi, di quella configurazione prezzo - quantit che soddisfa la condizione di uguaglianza tra domanda e offerta del bene. Se nel mercato la quantit domandata eccedesse la quantit offerta, il prezzo del bene aumenterebbe finch viene ristabilito lequilibrio (se fosse invece la quantit offerta a eccedere la quantit domandata, si avrebbe una diminuzione del prezzo). Allequilibrio dei mercati presiederebbe dunque una sorta di ordine naturale. Secondo Walras (il massimo teorico della scuola neoclassica), il mercato funziona come un calcolatore: Anche nella pratica, ci sono dei mercati in cui le vendite e gli acquisti si fanno la crie per mezzo di agenti, quali agenti di cambio o agenti di commercio, e questi mercati sono proprio quelli meglio organizzati sotto laspetto della concorrenza. Ma, da un punto di vista teorico, la presenza degli agenti forse pi necessaria di quella degli scambisti stessi? Niente affatto. Questi agenti sono gli esecutori puri e semplici di ordini scritti su dei carnets; se invece di gridare i prezzi, essi dessero questi carnets a un calcolatore, il calcolatore determinerebbe il prezzo di equilibrio non certo altrettanto rapidamente, ma senzaltro pi rigorosamente di quanto non avvenga mediante il meccanismo del rialzo e del ribasso. Noi siamo questo calcolatore: le nostre curve di domanda rappresentano gli ordini degli scambisti; ci si dia il tempo necessario e potremmo determinare matematicamente i nostri prezzi di equilibrio. Una impostazione simile ha conseguenze di grande portata circa la visione del processo economico. La teoria neoclassica essenzialmente microeconomica, ma si pronuncia anche sul funzionamento del sistema economico nel complesso, funzionamento che viene concepito come

risultato degli esiti aggregati dei comportamenti microeconomici. Se sul mercato del lavoro non vi sono attriti o rigidit artificiali, vi si determiner un saggio di salario di equilibrio, nel senso che in corrispondenza a esso vi sar piena occupazione (non ci sar disoccupazione involontaria). Dato il livello delloccupazione di pieno impiego, lintera capacit produttiva verr utilizzata; la produzione che ne risulter, nella forma di beni di consumo e di beni di investimento, verr interamente venduta. Infatti la teoria neoclassica fa propria la cosiddetta legge di Say, secondo la quale lofferta crea la propria domanda. La moneta presente soltanto come strumento utile per facilitare gli scambi, non anche come possibile riserva di valore; dunque non vi saranno problemi di realizzazione. Nel mondo neoclassico la moneta neutrale, nel senso che la quantit di moneta non ha nessuna influenza sulle grandezze reali, cio sul livello delloccupazione e della produzione. Quanto al modo in cui il prodotto sociale verr distribuito nella forma di redditi, anchesso sarebbe governato da un ordine naturale, anzich da un conflitto tra le parti. Se si concepisce e si legittima ciascuna quota distributiva come il corrispettivo per i servizi produttivi dei fattori della produzione, di cui ciascun soggetto proprietario, la distribuzione del prodotto sociale non determinata anche da un conflitto tra le classi, ma soltanto dalle condizioni tecniche della produzione, condizioni che sono assunte come date. Si costituisce cos quella Grande teoria, o Grande sistema della scienza economica (G. L. S. Shackle), che si affermer come teoria dominante, quale ancora oggi. In breve: la Grande teoria la teoria di un equilibrio generale atemporale, perfettamente concorrenziale e di piena occupazione. Con lavvento della Grande teoria la teoria economica, da indagine sistemica circa le cause e le leggi della ricchezza, della sua distribuzione e della sua accumulazione, quale era leconomia politica per i classici e per Marx, si riduce alleconomica; economica che secondo la fortunata definizione di L. Robbins la scienza che studia la condotta umana come una relazione tra scopi e mezzi scarsi applicabili a usi alternativi. Scienza che vorrebbe essere la scienza di un sistema economico in generale, di un sistema economico astratto; astratto non nel senso in cui lo qualsiasi oggetto teorico, ma nel senso che non soggetto a determinazioni storiche o istituzionali: nella teoria neoclassica, la storia non conta. Di un sistema in cui vi sarebbero armonia, certezza e equilibrio, se il mercato fosse liberato da qualsiasi impedimento artificiale e da improvvidi interventi dello Stato. Per realizzare il migliore dei mondi possibili, sarebbe dunque necessaria e sufficiente la politica del laissez faire.

Un semplice modello neoclassico aggregato

La teoria economica neoclassica (la teoria egemone dopo il 1870), anzich analisi di un dato modo di produzione, tecnica di soluzione del problema economico che vi assunto come generale ed eterno: secondo quali rapporti gli individui dovrebbero redistribuirsi, mediante lo scambio (e come se la produzione fosse produzione per luso), i beni e i servizi produttivi di cui dispongono inizialmente, allo scopo di ottenere la situazione finale pi vantaggiosa, secondo le loro preferenze. In questo schema la struttura di classe diventa analiticamente irrilevante, e cos il concetto di sovrappi. I parametri dello schema neoclassico sono i seguenti: a) le dotazioni iniziali di risorse e una tecnologia efficiente, come determinanti dellofferta; b) i gusti o preferenze degli individui e la distribuzione fra questi della propriet delle risorse, come determinanti della domanda. Sono invece variabili endogene: a) le quantit di servizi produttivi destinate alla produzione di ciascun bene; b) le quantit di ciascun bene o servizio destinate a ciascun consumatore; c) i prezzi dei servizi produttivi (dunque i redditi dei proprietari delle risorse); d) i prezzi dei beni finali (e dunque i redditi degli addetti alla produzione). Questi prezzi assicurano lequilibrio del sistema, in quanto assicurano che per nessun bene o servizio produttivo la domanda ecceda lofferta, e in quanto tutti i redditi sono determinati simultaneamente, poich il caso e il mercato mediano e rimediano i privilegi e i rapporti di forza. Nel sistema neoclassico la teoria e la pratica economica si risolvono tutte e interamente nella teoria e nella pratica dei rapporti di scambio. Questo approccio riduce la teoria del valore a teoria dei prezzi di mercato, sopprimendo i problemi lasciati irrisolti dai classici e resi espliciti dalla marxiana critica delleconomia politica. Se nel sistema teorico classico la teoria dei prezzi solo un termine medio dellanalisi del valore, della distribuzione e dellaccumulazione, e i prezzi di equilibrio sono condizione soltanto necessaria per la riproduzione del rapporto capitalistico, nel sistema teorico neoclassico i prezzi di equilibrio sono condizione sufficiente per il mantenimento dello status quo ante, e ogni problema viene ridotto a un problema di scelta. La teoria neoclassica infatti una teoria dellallocazione ottima di risorse date, in vista della massima soddisfazione del consumatore. Questo

problema, e conseguentemente quello distributivo, si pone e si risolve nella sfera dello scambio piuttosto che della produzione. Se si assumono le risorse e la tecnologia come parametri, le scelte individuali di consumo possono essere trattate come le determinanti di tutte le variabili importanti: allocazioni dei fattori, prezzi, redditi e allocazioni delle merci. La teoria della scelta dunque il nucleo delleconomia neoclassica. Questo nucleo teorico, e le conseguenti scelte di politica economica che da esso derivano, possono essere illustrate con un semplice modello di equilibrio economico generale aggregato, in cui il prezzo dei beni, dei servizi e dei fattori della produzione, risulta determinato dalle leggi della domanda e dellofferta: leggi tali che non esister disoccupazione involontaria, la produzione verr massimizzata sotto il vincolo delle tecnologie disponibili, i prezzi verranno minimizzati date le condizioni di circolazione della moneta.

Mercato del lavoro Sul mercato del lavoro si individua un salario (reale) di equilibrio (w* = w*/p*), tale che - date le tecniche che massimizzano la produzione e date le condizioni di circolazione della moneta che minimizzano i prezzi in corrispondenza a quel livello di salario non vi sar disoccupazione

involontaria. In questo senso, lequilibrio descritto da un modello di equilibrio economico generale un equilibrio di piena occupazione. Lofferta di lavoro (NS) viene determinata a partire dallutilit marginale dei singoli agenti; la domanda di lavoro (ND) viene determinata a partire dalla produttivit marginale delle singole imprese. Le due curve sono ricavate dallaggregazione delle singole offerte e delle singole domande. Si suppone che il mercato del lavoro funzioni in condizioni di concorrenza perfetta e che i lavoratori siano perfettamente mobili da un settore allaltro e da un territorio allaltro. Per ogni dato livello dello stock di capitale, le imprese richiedono lavoro, in modo da massimizzare i profitti totali. Detto in termini microeconomici, le imprese assumono lavoratori fino a che la produttivit marginale del lavoro non sia uguale al saggio di salario reale. Esisterebbe, in altre parole, un livello naturale del salario, in corrispondenza del quale si ha piena occupazione della forza lavoro, piena utilizzazione della capacit produttiva, e - data la quantit di moneta - il pi basso livello dei prezzi. Ne segue un importante corollario: tra profitti e salari, dunque tra capitale e lavoro, non vi sarebbe conflitto, poich qualsiasi tentativo di spingere i salari al di sopra del livello di equilibrio comprometterebbe un presunto ordine naturale. Mercato dei beni La teoria neoclassica accetta la legge di Say, dunque assume lesistenza di meccanismi di mercato capaci di assicurare che il reddito non consumato sia interamente speso in investimenti. Il livello del prodotto dipende dalle quantit impiegate dei fattori capitale e lavoro. Ci viene rappresentato da una funzione di produzione del tipo, Y= f(K, N), fN> 0, fK> 0. Le funzioni prevalentemente assunte dalla teoria neoclassica standard postulano: a) rendimenti costanti di scala: f(aK, aN)=aY, a > 0; b) produttivit marginale decrescente di ciascun fattore al crescere della sua quantit impiegata (ceteris paribus): fN> 0, fN < 0. Una funzione che soddisfa questi requisiti la cosiddetta funzione di produzione Cobb-Douglas: Y= AK N , + = 1.

La funzione di produzione neoclassica rappresenta una sintesi del principio che per qualsiasi livello della produzione, il valore della domanda non sar mai inferiore al valore dei beni prodotti. Lo stesso principio espresso dalla legge di Say, secondo cui lofferta crea sempre la propria domanda. Dalla funzione di produzione pu essere dedotta lofferta aggregata di beni (YS), una volta noto lo stock di capitale corrente K e la

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quantit di lavoro che le imprese desiderano occupare al salario reale di equilibrio: YS = f(ND, K) = f[f(w*), K] La domanda di beni di consumo viene costruita partendo dallipotesi che le famiglie preferiscano in generale consumare il proprio reddito disponibile nel presente piuttosto che in futuro. Ci implica che esse saranno disposte a rinunciare a una parte del loro consumo presente solo se questa rinuncia, o risparmio, sar remunerata da un interesse. La scelta dei consumatori si riduce quindi allalternativa tra lacquisto di beni di consumo (C) o il risparmio (S, il quale coincider con linvestimento I). La domanda aggregata di beni viene pertanto a dipendere dal livello del tasso di interesse reale (r) che premia i parsimoniosi. Il tasso di interesse viene inteso come costo della capitalizzazione e non considerato un fenomeno monetario, ma un prezzo qualunque sul mercato delle merci. D = D(r) = C(r) + I(r), D(r) < 0 Nellambito della teoria neoclassica domanda e offerta sono le determinanti dellequilibrio: la legge della domanda e dellofferta la legge dellequilibrio, su tutti i mercati e per il sistema nel complesso: come se domanda e offerta fossero forze indipendenti e simmetriche: YS = D(r) La domanda complessiva si compone di due parti fondamentali, per beni di consumo e per investimenti; dunque un altro modo di esprimere la condizione di equilibrio postulare una relazione di identit fra risparmio (S) e investimenti (I): YS - C(r) = S(r) = I (r), S(r) > 0 Si tratta allora di vedere se esista un meccanismo in grado di garantire luguaglianza tra risparmio e investimenti in corrispondenza di qualsiasi livello di risparmio. Secondo gli economisti neoclassici tale meccanismo esiste e fornito dai movimenti del tasso di interesse (r). Al diminuire di r diventa conveniente un maggior volume di investimenti: esiste sempre un livello di r in corrispondenza del quale il volume degli investimenti in grado di assorbire qualunque ammontare di risparmio. La possibilit di suscitare un ammontare di investimenti di qualunque grandezza desiderata garantisce un volume di domanda di pari ammontare, cos che il sistema si assester in assenza di attriti sui mercati o di improvvidi interventi dello Stato a un livello di piena occupazione (Y*).

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Mercato della moneta Nello schema neoclassico la moneta un soltanto un numraire, dunque non influisce sui livelli di produzione, occupazione, salario reale e tasso di interesse. Si assume che la moneta sia desiderata soltanto al fine di effettuare scambi. Inoltre essa non rende alcun interesse e quindi non pu entrare in concorrenza con i titoli. Vale pertanto la teoria quantitativa della moneta: la quantit di moneta in circolazione (M), moltiplicata per il numero medio di volte che circola nellunit di tempo (v) eguaglia il valore della produzione scambiata (pY): Mv = pY Una volta che la produzione di equilibrio, Y*, sia stata determinata sul mercato dei beni, e assumendo che la velocit di circolazione della moneta (v) sia una costante istituzionale determinata dalle abitudini di pagamento della collettivit, le variazioni dellofferta di moneta (M) si riflettono unicamente sul livello dei prezzi assoluti (p). p = Mv/Y Dunque la moneta neutrale, non avendo influenza n sul salario reale, n sul tasso di interesse. Una notevole implicazione di questo assunto che le decisioni delle banche centrali sullo stock di moneta non avrebbero alcuna influenza sui livelli di produzione e occupazione. Il sistema dei prezzi In questo contesto, il sistema dei prezzi assume per tutti i singoli agenti una funzione parametrica: nel senso che ciascuno degli agenti deve assumerli come dati. Il ruolo dei prezzi nella determinazione dellequilibrio neoclassico pu dunque essere descritto nel modo seguente. Si supponga che in un certo momento si fissino a caso dei prezzi. Soggetti e imprese li assumono come dati e vi conformano i propri comportamenti massimizzanti. In conseguenza di tali comportamenti si formeranno sul mercato offerte e domande di beni e servizi produttivi da parte dei soggetti e delle imprese; niente assicura, tuttavia, che lofferta complessiva e la domanda complessiva siano uguali su tutti i mercati. Lo sarebbero soltanto se i prezzi cris par hazard, per caso (ecco il caso neoclassico) coincidessero con quelli di equilibrio. Se per i prezzi non sono quelli di equilibrio, su alcuni mercati vi sar un eccesso di offerta, su altri un eccesso di domanda: cosicch le posizioni di massimo individuali non saranno compatibili fra loro. Si dar allora una nuova fissazione dei prezzi, tale che saranno minori, rispetto a quella iniziale, i prezzi nei mercati sui quali vi un eccesso di offerta, maggiori l dove vi un eccesso di domanda. Gli

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aggiustamenti proseguiranno fin quando offerta e domanda non saranno uguali su tutti i mercati. La stabilit dunque presupposta, e la concorrenza costituisce il meccanismo che assicurerebbe in maniera impersonale e oggettiva il raggiungimento della configurazione di equilibrio. La soluzione teorica, mediante il calcolo matematico, e la soluzione pratica del problema della determinazione dellequilibrio, mediante i ttonnements del mercato, cio mediante il meccanismo della concorrenza, vengono a coincidere. Nello schema neoclassico il mercato funziona come una macchina perfetta, anzi come un calcolatore, direbbe Walras:
Anche praticamente, ci sono dei mercati in cui le vendite e gli acquisti si fanno la crie per mezzo di agenti, quali agenti di cambio o agenti di commercio, e questi mercati sono proprio quelli meglio organizzati sotto il rapporto della concorrenza. Ma, da un punto di vista teorico, la presenza degli agenti forse pi necessaria di quella degli scambisti stessi? Niente affatto. Questi agenti sono gli esecutori puri e semplici di ordini scritti su dei carnets; se invece di gridare i prezzi, essi dessero questi carnets a un calcolatore, il calcolatore determinerebbe il prezzo di equilibrio non certo altrettanto rapidamente, ma senzaltro pi rigorosamente di quanto non avvenga mediante il meccanismo del rialzo e del ribasso. Noi siamo questo calcolatore: le nostre curve di domanda rappresentano gli ordini degli scambisti; ci si dia il tempo necessario e potremmo determinare matematicamente i nostri prezzi di equilibrio.

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Leconomia politica classica e la critica marxiana

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Economia politica e capitalismo

Leconomia politica si costituisce come disciplina autonoma quando si afferma il modo di produzione capitalistico, inteso come forma storicamente determinata di organizzazione dei rapporti materiali dellesistenza. Lautonomia teoretica delleconomia politica corrisponde alla costituzione del processo economico come processo a s stante, come processo circolare: in questo senso si pu dire che leconomia politica scienza del capitalismo. Questa coincidenza pu essere argomentata a partire dal concetto di sovrappi, concetto su cui si fondano leconomia politica classica e la critica marxiana. Il sovrappi quel che resta del prodotto sociale (tutto quanto viene prodotto in uneconomia, in un dato periodo di tempo), una volta reintegrati i mezzi di consumo necessari per la sussistenza e la riproduzione dei lavoratori produttivi (produttivi di sovrappi), nonch i mezzi di produzione consumati o logorati nel processo produttivo. Per definizione il sovrappi sar nullo in uneconomia di mera sussistenza o in stato stazionario, ma normalmente sar positivo. Il sovrappi pu essere positivo in qualsiasi modo di produzione. Ci che distingue le diverse formazioni economiche della societ, per esempio la societ della schiavit da quella del lavoro salariato, sono le forme in cui il sovrappi viene prodotto, le persone o classi che se ne appropriano, luso che ne verr fatto, e il ruolo che in tutto ci hanno listituto della propriet, il mercato e la moneta. In unastratta societ precapitalistica (feudale) il sovrappi viene prodotto mediante il comando diretto, non mediato dal mercato, del lavoro dei servi. Si pensi alla corve, il lavoro non pagato dovuto al signore: tre giorni alla settimana dedicati a coltivare i fondi servili e tre impiegati sui fondi dominici. Del sovrappi, in natura o in denaro, il signore si appropria in forza di un rapporto di potere strettamente politico, e lo impiega non per lallargamento del processo produttivo, ma per quello che si pu chiamare consumo signorile. Il sovrappi esce, per cos dire, dal processo produttivo e viene destinato ad altro. Al mercato si ricorre essenzialmente per gli scambi intercomunitari, e la moneta ha come funzione pressoch esclusiva quella di agevolare gli scambi, evitando il baratto. Quali che ne siano stati i percorsi e i momenti, laccumulazione originaria o la grande trasformazione, la recinzione delle terre e lintroduzione del sistema di fabbrica, le rivoluzioni borghesi e la rivoluzione industriale, con lavvento del capitalismo si assiste ad una polarizzazione della societ. Se si trascurano i residui feudali (i rentiers, gli artigiani) sul mercato si fronteggiano due classi: i capitalisti, proprietari dei mezzi di produzione, e i lavoratori salariati, liberi ma proprietari di ununica merce: la propria forza lavoro. Il sovrappi (se realizzato) prende la forma

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di profitto, e questo, il profitto e non luso, diventa lo scopo della produzione. Del sovrappi il capitalista si appropria in quanto possiede o controlla i mezzi di produzione, ma dopo aver pagato al suo prezzo la forza lavoro. Il sovrappi, daltra parte, non pi destinato al consumo ma alla riproduzione allargata del processo produttivo. Tutti i rapporti fra gli uomini passano per il mercato, il mercato pervade tutta la societ. La moneta diventa essenziale al processo di produzione e riproduzione, poich il processo capitalistico non volto alla produzione di valori duso ma alla produzione di valori di scambio. Questo un punto particolarmente importante, che dopo Marx ha sottolineato Keynes: noi non viviamo in uneconomia cooperativa, nella quale il processo del tipo Merce-Denaro-Merce, cio inteso a scambiare una merce contro denaro al fine di ottenere unaltra merce, atta a soddisfare bisogni diversi da quelli che possono essere soddisfatti con la merce posseduta e ceduta inizialmente. Questa pu essere la prospettiva del singolo consumatore, per il quale scopo dello scambio il valore duso. In uneconomia monetaria di produzione, invece, questa non la prospettiva del mondo degli affari, che dal denaro si separa in cambio di una merce secondo un processo del tipo Denaro-Merce-Denaro, cio un processo inteso a ottenere pi denaro per chi lo muove anzich al soddisfacimento dei bisogni dei consumatori. Nel sistema feudale limmissione di lavoro nel processo produttivo e la destinazione del sovrappi che ne risulta hanno determinazione extraeconomica. Il processo , per cos dire, un processo lineare, e il momento economico qui un momento, un segmento, del processo di riproduzione sociale. Nel capitalismo tutto soggetto a determinazione economica: i fattori economici entrano anche dove possono non essere desiderati. Da finalizzato ad altro, alla produzione di valori duso e al consumo signorile, con il capitalismo il processo economico diventa fine a se stesso, autonomo, circolare: un processo di produzione di denaro a mezzo di denaro. Allora acquista possibilit e senso una sua scienza autonoma e sistematica, leconomia politica.

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Le determinanti del sovrappi

Il prodotto sociale P, cio tutto quanto viene prodotto in uneconomia in un dato periodo di tempo, si divide in tre parti: il consumo necessario N, cio i mezzi di consumo necessari per la sussistenza e la riproduzione dei lavoratori produttivi (produttivi di sovrappi), il reintegro dei mezzi di produzione C e il sovrappi S (che pu prendere due forme: rendita e profitto). Il sovrappi dunque quel che resta di P, una volta reintegrati N e C: S = P - (N + C). Ai fini della determinazione quantitativa del sovrappi gli economisti classici assumono come note le circostanze seguenti: a) le condizioni tecniche della produzione (in termini di prodotto medio per lavoratore e di fabbisogno per lavoratore di mezzi di produzione); b) il livello di sussistenza del salario reale dei lavoratori; c) il numero dei lavoratori. Noto il prodotto medio per lavoratore e il numero dei lavoratori, risulta determinato il prodotto sociale P. Dato il salario reale e il numero dei lavoratori, risulta determinato il consumo necessario N. Dato il numero dei lavoratori e il fabbisogno per lavoratore di mezzi di produzione, risulta determinato lammontare C delle merci necessarie per reintegrare i mezzi di produzione consumati nel processo produttivo. Il sovrappi S risulter dalla somma algebrica di P, N e C. In generale il prodotto sociale sar composto da beni eterogenei, mentre la determinazione quantitativa del sovrappi richiede che i termini della somma algebrica da cui questo risulta siano espressi nella stessa unit di misura. Di qui la necessit di una teoria del valore. Da un lato una teoria del valore necessaria al fine di spiegare lorigine del sovrappi, dallaltro una teoria del valore necessaria per fondare una teoria dei prezzi, mediante i quali rendere omogenee le diverse grandezze. Di ci si dir pi avanti. invece necessario qui un cenno alla verosimiglianza delle ipotesi circa la tecnologia e il salario di sussistenza. Tecniche di produzione e salario Normalmente gli economisti trattano le tecniche di produzione come una variabile esogena. Ci non avrebbe conseguenze teoriche (e politiche) rilevanti se leconomia in cui viviamo fosse uneconomia cooperativa. In questo caso le tecniche di produzione potrebbero essere trattate parametricamente, perch in ogni periodo la comunit sceglierebbe concorde le tecniche che rendono massimo il valore duso sociale dei beni e servizi prodotti. Nella realt capitalistica le condizioni tecniche della produzione non sono una variabile extraeconomica. In una economia

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capitalistica la scelta delle tecniche di produzione demandata a imprese che perseguono propri obiettivi, quali la massimizzazione dei profitti. Questi obiettivi non coincidono necessariamente con quelli della societ nel suo complesso, e le scelte pi convenienti per le imprese possono avere conseguenze indesiderabili per i lavoratori. Le macchine non sono neutrali, poich possono avere usi (o addirittura forme) differenti nelle diverse societ. I robot, ad esempio, potrebbero essere impiegati per risparmiare lavoro anzich lavoratori: per ridurre le ore di lavoro e la fatica degli occupati, che sarebbero pi numerosi, e non per ridurre il numero dei lavoratori occupati, creando disoccupazione. Per quanto riguarda lipotesi circa il salario, sia gli economisti classici sia Marx, ma con ragioni diverse, assumono che il salario pagato sia quello di sussistenza, ovvero quello che in una data societ e in un dato periodo consente la riproduzione della forza lavoro. Sul mercato del lavoro, tuttavia, possibile che nel breve periodo il salario corrente sia maggiore di quello di sussistenza, ad esempio come conseguenza di un eccesso di domanda di lavoro. Occorre dunque una teoria ausiliaria circa le forze che faranno tendere il salario al suo livello di sussistenza. Ricardo risolve il problema rinviando alla demografia malthusiana, secondo la quale la variazione nel numero dei lavoratori una funzione della differenza fra salario di mercato e salario di sussistenza. Salari alti stimoleranno la crescita demografica (oggi si potrebbe pensare allimmigrazione) e faranno aumentare lofferta di lavoro, riconducendo cos il salario al livello di sussistenza. Marx suggerisce unaltra spiegazione, economica anzich demografica. Per i singoli capitalisti il salario un costo di produzione e dunque cercheranno di renderlo minimo, cos come faranno per qualsiasi altro costo di produzione. una visione miope, perch i salari da un lato sono costi di produzione ma dallaltro sono potere dacquisto, cos che una riduzione dei salari pu comportare una domanda effettiva minore: ai minori costi corrisponderanno minori ricavi. In ogni caso il singolo capitalista non pu controllare direttamente il mercato del lavoro, mentre signore nella fabbrica quanto a scelta delle tecniche di produzione. Nellintento di minimizzare il costo del lavoro, egli adotter tecniche di produzione risparmiatrici di lavoratori, alimentando un esercito industriale (e politico) di riserva, che a sua volta spinger i salari verso il basso.

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Quesnay: Le condizioni per la riproduzione

Nella Francia della met del Settecento lindustria, nel senso moderno del termine, assente. Le attivit manifatturiere e commerciali hanno forma artigianale. Leconomia fondamentalmente uneconomia agricola, retta da rapporti giuridici di tipo feudale (alla corve si rinuncia nel 1776). Nelle campagne francesi del settentrione il processo lavorativo comincia per a prendere forma capitalistica, sia per luso che vi si fa dei mezzi di produzione sia e soprattutto perch il lavoro diventato lavoro salariato. Nel sistema fisiocratico lagricoltura il settore produttivo in cui si manifesta la produzione capitalistica, cio la produzione di sovrappi. La rivoluzione dellOttantanove e la rivoluzione industriale sono ancora lontane, tuttavia i fisiocratici, per dirla con Marx, riescono a scoprire lessenza borghese nascosta nellinvolucro feudale. A Franois Quesnay (1694-1774), il massimo esponente della scuola fisiocratica, si devono intuizioni e categorie analitiche ancora oggi insuperate, in primo luogo la visione del processo produttivo come processo circolare, come processo di produzione-riproduzione. Qualunque sia la forma sociale del processo di produzione, esso insieme processo di riproduzione. Si riproduce costantemente il prodotto materiale, ma si riproducono anche i rapporti economici e sociali. Il Tableau conomique mostra come il prodotto annuo, determinato in valore, si ripartisca attraverso la circolazione in maniera tale che, rimanendo invariate le altre circostanze, possa svolgersi la sua riproduzione semplice, cio in maniera tale che il sistema possa riprodursi su scala invariata. Gli innumerevoli atti individuali di circolazione sono riassunti nella circolazione tra le grandi classi economiche della societ. Per Quesnay infatti essenziale, ai fini dellanalisi del processo di riproduzione, il concetto di classi sociali, sia pure nella loro forma precapitalistica: la classe produttiva, o degli agricoltori, la classe dei proprietari terrieri, la classe sterile o dei manifatturieri. A Quesnay, infine, si deve la nozione di capitale come anticipazione. Il capitale non soltanto un insieme di beni capitali o una somma di denaro, ma un rapporto sociale. Lidea di capitale come anticipazione sottolinea la presenza di alcune condizioni necessarie per lavvio del processo produttivo capitalistico. Se il salario a livello di sussistenza, e quindi i lavoratori non possono accantonare mezzi propri, il processo produttivo pu essere avviato solo mediante una transazione denaro-merce tra capitalisti e lavoratori (in questo caso la merce la forza lavoro).

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Il capitale come anticipazioni Per Quesnay le anticipazioni sono indispensabili ai fini della produzione di un sovrappi. Soltanto il capitale investito (in agricoltura) fa s che il processo produttivo dia luogo ad un produit net; e lorigine di questo va ricercata non nella sfera della circolazione, che pure essenziale alla riproduzione del sistema, ma nella sfera della produzione. La produzione non pu essere ridotta a un rapporto immediato fra uomo e natura. Il processo di produzione di merci non pu essere descritto semplicemente in termini di una combinazione di lavoro e terra, poich per produrre merci occorre impiegare come mezzi di produzione anche quantit appropriate di queste stesse merci. Lammontare del sovrappi dipende crucialmente dalla entit e dalla composizione delle anticipazioni. Quesnay distingue tre tipi di anticipazioni: anticipazioni primitive, ossia quelle che hanno reso le terre coltivabili; anticipazioni fondiarie, che dotano i terreni delle attrezzature necessarie alla coltura; e anticipazioni annuali, ossia quelle spese che sono sostenute annualmente per il lavoro della coltura. Sono anticipazioni primitive il bestiame, gli edifici, gli attrezzi; anticipazioni fondiarie le opere idrauliche e di recinzione e in generale le opere di miglioramento permanente dei fondi; anticipazioni annuali i salari dei lavoratori, le sementi e tutte le altre spese annuali ricorrenti. Anticipazioni primitive e anticipazioni fondiarie hanno la natura del capitale fisso, e partecipano alla produzione del prodotto netto cedendo il loro valore nel corso di pi periodi di produzione (e richiedendo quindi adeguati reintegri per ciascun periodo di produzione). Le anticipazioni annuali dei ricchi fittavoli hanno invece la natura di capitale circolante, in quanto trasferiscono il loro valore nei beni prodotti nel corso di un solo periodo di produzione. Tutte e tre queste forme di anticipazioni, nella loro composizione ed ammontare, sono essenziali nella determinazione dellammontare e della composizione del sovrappi, che si forma soltanto nellagricoltura ma che una volta distribuito e speso sostiene tutti i ceti e tutte le professioni. Cos, il prodotto netto reso possibile da un dato ammontare di anticipazioni annuali non dipende soltanto da queste, ma anche dallammontare delle anticipazioni primitive e fondiarie. Laccumulazione di capitale in agricoltura essenziale affinch crescano il prodotto lordo e la parte di questo costituita da prodotto netto. In particolare occorre che le anticipazioni siano di natura e ammontare tali da consentire la grande coltura, poich soltanto cos sar possibile lintroduzione di metodi sempre pi produttivi (di sovrappi). Una somma di denaro diventa capitale soltanto se si trasforma in capitale produttivo, e quindi procura un prodotto netto per lintera societ.

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Le classi sociali Le tre classi sociali che Quesnay considera sono le seguenti: a) La classe produttiva (CP), identificata nellagricoltura: quella che coltivando la terra riproduce la ricchezza annuale della nazione, anticipa le spese dei lavori agricoli e paga annualmente il reddito ai proprietari terrieri. b) La classe dei proprietari terrieri (PT): comprende il sovrano, i possessori dei terreni e i percettori di decime. Questa classe vive del reddito, o produit net, della coltura, che le viene pagato annualmente dalla classe produttiva dopo che questa ha prelevato dalla riproduzione, che essa fa rinascere annualmente, le ricchezze necessarie a rimborsarsi delle anticipazioni annuali e a conservare inalterate le ricchezze investite per lo sfruttamento dei terreni. c) La classe sterile (CS), costituita dai cittadini occupati in servizi e in lavori diversi da quelli dellagricoltura, le cui spese sono pagate dalla classe produttiva e dalla classe dei proprietari. Lunica caratteristica che le tre classi hanno in comune la capacit di spendere, ed proprio nella circolazione che si danno (che si possono dare) le condizioni necessarie per la riproduzione del sistema. Il Tableau conomique Il modo in cui il processo circolare si originariamente avviato non pu essere spiegato allinterno dello schema di Quesnay (n in qualsiasi altro modello). Si d infatti come ipotesi che la classe produttiva (CP) allinizio di ciascun periodo si ritrovi con due miliardi di lire, che sono lintera quantit di denaro esistente nel sistema. Si suppone inoltre che con anticipazioni annuali pari a due miliardi, la CP ottenga un prodotto pari a cinque miliardi, dei quali due miliardi di reddito o produit net. Ci si deve ora chiedere quale debba essere la successione di transazioni (monetarie e reali) fra le diverse classi, necessaria affinch ciascuna classe disponga delle anticipazioni o redditi necessari per riavviare il processo. I flussi monetari necessari affinch il processo di riproduzione possa ripetersi sono, in ordine temporale, i seguenti: - to: La CP paga ai PT il reddito netto di due miliardi. - t1: I PT, che possono comperare senza vendere, spendono un miliardo nellacquisto di prodotti agricoli, e un miliardo nellacquisto di prodotti manifatturati. - t2: La CS spende un miliardo per lacquisto, come mezzi di sussistenza, di prodotti agricoli.

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- t3: La CP compera prodotti manifatturati per un miliardo. - t4: La CS spende un miliardo per lacquisto di prodotti agricoli, con i quali sostituisce le proprie anticipazioni. - t5 La CP cos tornata in possesso dei due miliardi di lire disponibili, e il processo di circolazione monetaria pu ricominciare. Se si considerano i flussi reali corrispondenti ai flussi monetari descritti sopra, compiuti gli scambi si avr che: - Presso i PT si troveranno prodotti agricoli per un miliardo e prodotti manifatturati per un miliardo, disponibili per il loro consumo. - Presso la CS si troveranno prodotti agricoli per due miliardi, di cui un miliardo come mezzi di sussistenza per i lavoratori ivi impiegati e un miliardo per la sostituzione delle anticipazioni annuali. - Presso la CP, oltre ai due miliardi in denaro che vi sono tornati e che al prossimo to dovranno essere pagati ai proprietari come reddito, saranno rimasti prodotti agricoli per due miliardi e vi si troveranno prodotti manifatturati per un miliardo. Di questo fondo annuo di prodotti, di valore pari a tre miliardi, due miliardi costituiscono le anticipazioni annuali consumate per il lavoro diretto della riproduzione dei cinque miliardi (che questa classe fa rinascere annualmente per restituire e perpetuare le spese che il consumo annulla) e laltro miliardo prelevato dalla stessa classe produttiva sulle proprie vendite, come interesse sulle anticipazioni originarie. Questi interessi, che Quesnay giustifica con le manutenzioni rese necessarie dal deterioramento delle anticipazioni primitive e fondiarie, possono farsi ragionevolmente consistere, dal punto di vista fisico, nei manufatti che la classe produttiva ha acquistato dalla classe sterile. La classe produttiva cos di nuovo in grado di pagare, in denaro, il reddito dei proprietari. altres in grado, avendo reintegrato le anticipazioni annuali, di provvedere ad una riproduzione complessiva pari a cinque miliardi. Di questi, uno sar comperato dalla classe dei proprietari e due dalla classe sterile. Questa potr riprodurre due miliardi di manufatti, che vender alle altre due classi. E cos via: il processo produttivo potr ripetersi.

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Smith: Il lavoro

NellInghilterra di Adam Smith (1723-1790) il rapporto capitalistico ha ormai pervaso tutta lattivit produttiva. Ci consente a Smith di fare un importante passo avanti rispetto ai fisiocratici: di riconoscere che in tutte le attivit possibile produrre sovrappi, e che il sovrappi prende non solo la forma di rendita (per i fisiocratici il produit net prende per lappunto la forma di rendita pagata dalla classe produttiva alla classe dei proprietari), ma anche e soprattutto quella di profitto. Daltra parte Smith compie un passo indietro: trascura, nella determinazione quantitativa del sovrappi, la quota del prodotto sociale necessaria al reintegro dei mezzi di produzione consumati nel processo produttivo: sarebbe capitale soltanto quello speso in salari, e sarebbe vero il dogma veramente fantastico per il quale il prezzo delle merci composto soltanto di salario, profitto e rendita fondiaria, quindi soltanto di salario e sovrappi. Errore analogo compir David Ricardo, e questo, come si vedr con Marx, ha conseguenze importanti sulla definizione e lanalisi del saggio dei profitti. Lavoro produttivo e lavoro improduttivo Per Smith il lavoro svolto in un anno il fondo da cui ogni nazione trae in ultima analisi tutte le cose necessarie e comode della vita che in un anno consuma, e che consistono in effetti o nel prodotto immediato di quel lavoro o in ci che in cambio di quel prodotto viene acquistato da altre nazioni. Occorre distinguere, tuttavia, tra lavoro produttivo e lavoro improduttivo. Per Quesnay lunico lavoro produttivo (di sovrappi) quello prestato in agricoltura, mentre improduttiva la classe dei manifatturieri e dei mercanti. Questa rappresentazione, per Smith, inesatta. La classe dei manifatturieri e dei mercanti riproduce pur sempre, secondo lo stesso Quesnay, il valore del suo consumo annuo e perpetua lesistenza dei fondi o capitali che la mantengono e la impiegano: come un matrimonio dal quale nascono tre figli certamente pi produttivo di quello dal quale ne nascono solo due, cos il lavoro degli agricoltori e dei lavoratori agricoli certamente pi produttivo di quello dei mercanti, degli artigiani e dei manifatturieri. Tuttavia la superiorit del prodotto di una classe non rende laltra sterile e improduttiva. Davvero improduttivi sono invece, per Smith, quei lavori, come quello dei domestici, che consistono in servizi che generalmente si esauriscono nel medesimo istante in cui vengono compiuti e non si fissano e non si realizzano in nessuna merce adatta alla vendita, che possa ricostituire il valore dei loro salari e del loro mantenimento. Invece il lavoro degli artigiani, dei manifatturieri e dei mercanti si fissa naturalmente in qualche

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merce vendibile. Secondo questa prima distinzione, sarebbe dunque produttivo soltanto il lavoro che si fissa in una merce vendibile sul mercato, e la merce la forma pi elementare della ricchezza borghese. Questa definizione esprime quindi un punto di vista superficiale: rappresenta le cose come esattamente appaiono al capitalista. Laltra distinzione smithiana, quella che coglie il nesso interno dei rapporti borghesi di produzione, muove dalla considerazione seguente. Lintero prodotto annuo si divide in due parti: una di queste in primo luogo destinata a reintegrare un capitale, ossia a rinnovare i viveri, i materiali e il prodotto finito che sono stati ritirati da un capitale. Laltra parte destinata a costituire un reddito: o come profitto per il possessore di questo capitale, o per qualche altra persona come rendita della sua terra. La prima di queste due parti non mai immediatamente impiegata per mantenere altro che i lavoratori produttivi; essa paga soltanto i salari del lavoro produttivo. La parte che immediatamente impiegata per costituire un reddito, o come profitto o come rendita, pu mantenere indifferentemente il lavoro produttivo o quello improduttivo. dunque lavoro produttivo (di sovrappi) quello che si scambia contro un capitale, ossia unanticipazione volta alla realizzazione di una somma maggiore di quella anticipata. lavoro improduttivo quello che si scambia contro un reddito, ossia contro una spesa il cui unico fine il consumo. Per Smith volta a volta lavoro produttivo quello che si fissa in una merce vendibile e quello che produce un sovrappi. La nozione qui rilevante la seconda, per la quale lavoro produttivo (di sovrappi) il lavoro che si scambia contro capitale, mentre lavoro improduttivo quello pagato dal reddito dei capitalisti e dei rentiers. Simmetricamente, si potr dire che capitale quella parte del fondo posseduto da un individuo che viene impiegata per mettere in attivit il lavoro produttivo, e che quindi non solo consentir di reintegrare le spese inizialmente sostenute, ma dar altres luogo ad un reddito. Laltra parte del fondo, in quanto destinata al consumo immediato, non dar invece alcun reddito. Soltanto con limpiego di lavoro produttivo sar possibile un processo di accumulazione di capitale. Si manifesta cos la duplicit del rapporto fra capitale e lavoro salariato: in quanto lavoro produttivo di sovrappi, il lavoro produce il capitale, ma in quanto lavoro salariato esso viene comandato dal capitale. Il capitale pu prendere la forma di capitale fisso e di capitale circolante. Come quasi tutte le distinzioni smithiane (quella fra lavoro produttivo e lavoro improduttivo, ma soprattutto quelle interne alla teoria smithiana del valore), anche questa confusa, poich gli elementi del capitale produttivo vengono distinti a seconda del modo in cui compaiono nella sfera della circolazione, anzich in quella della produzione. La distinzione fra capitale fisso e capitale circolante in Smith si regge

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letteralmente sul fatto che il capitale circoli oppure no, che generi un profitto restando presso il capitalista, dentro al processo produttivo, oppure distaccandosene, circolando con le merci prodotte. Per Smith, ad esempio, sono capitale fisso i fondi impiegati nel miglioramento delle terre coltivate, le costruzioni destinate alla locazione, gli strumenti di produzione di qualsiasi genere, il bestiame da lavoro, e le stesse abilit acquisite e utili dei lavoratori; mentre sono capitale circolante la moneta, le merci prodotte per la vendita, le materie prime impiegate in un processo produttivo o nel mantenimento del bestiame da lavoro, i salari dei lavoratori. Per quanto riguarda lorigine del sovrappi e in particolare del profitto, Smith la individua nella produttivit del lavoro. A sua volta, la produttivit del lavoro dipende dalla divisione del lavoro, e questa dalla tendenza propria della natura umana al baratto e allo scambio: Poich in questo modo, col baratto e con lo scambio, che noi otteniamo la maggior parte di quei reciproci buoni uffici di cui abbiamo bisogno, cos questa stessa tendenza a trafficare che in origine d occasione al sorgere di quella divisione del lavoro, sulla quale si fonda tutto il benessere delle societ evolute. Nella produzione capitalistica il capitale, riunendo insieme un grande numero di lavoratori e anticipando loro le sussistenze di cui essi non dispongono, pu attuare la migliore divisione del lavoro e pu fornire agli operai le migliori macchine. La forma capitalistica di produzione sarebbe dunque destinata a diventare la forma dominante e definitiva delleconomia e della societ. Se cos fosse, la storia sarebbe finita. In effetti la forma capitalistica della divisione del lavoro, mentre rende il lavoro massimamente produttivo, fa anche s che il lavoro sia un lavoro diviso. A questa forma di divisione sociale del lavoro, inoltre, non corrisponde una distribuzione equa del prodotto. La societ borghese, secondo Smith, si regge sulla classe dei lavoratori produttivi e questi, producendo prodotto netto, sostengono se stessi e tutte le altre classi. I padroni, che avendo anticipato le sussistenze si appropriano del prodotto netto, ne trattengono per s una parte come profitto, destinandola elettivamente alla accumulazione del capitale, e ne redistribuiscono laltra parte ai proprietari fondiari e ai lavoratori improduttivi: In un paese civile i poveri provvedono a se stessi e allenorme lusso dei loro signori. La rendita che va a sostenere lo sfarzo dellindolente padrone stata tutta guadagnata dalla laboriosit del contadino. Chi possiede denaro, indulge ad ogni sorta di ignobile e sordido libertinaggio a spese del mercante e dellartigiano, ai quali presta ad interesse il suo capitale. Tutte quelle frivole ed indolenti persone che sono addette alla Corte, sono, allo stesso modo, nutrite, vestite ed alloggiate da coloro che pagano le tasse per mantenerle. Tra i selvaggi, invece, ognuno gode dellintero prodotto della propria attivit.

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Valore e prezzi Smith, a differenza dei fisiocratici, si trova a dover affrontare il problema di che cosa determini il valore delle merci. Poich per i fisiocratici il sovrappi si produceva soltanto in agricoltura, di esso si poteva dare una determinazione quantitativa in termini fisici, come semplice differenza fra le quantit di beni prodotte e le quantit di beni impiegate come mezzi di produzione e mezzi di sussistenza. Quando possa darsi sovrappi in tutte le attivit produttive, come per Smith, lunica determinazione quantitativa logicamente possibile diventa quella in valore. Di qui la centralit della teoria del valore nellanalisi delleconomia capitalistica. Nella teoria smithiana del valore, il lavoro ha un ruolo cruciale come misura del valore stesso, come sua misura reale. Normalmente il valore di scambio di una merce espresso in termini del denaro che se ne pu avere in cambio, anzich in termini di lavoro o di unaltra merce. La moneta per una unit di misura variabile. Anche il lavoro lo , tuttavia, a differenza della moneta e di qualsiasi merce, preferibile come unit di misura poich in ogni tempo e luogo, uguali quantit di lavoro si pu dire abbiano uguale valore per il lavoratore. Nel suo stato ordinario di salute, di forza e danimo, al livello ordinario della sua arte e della sua destrezza, egli deve sacrificare sempre la stessa quantit del suo riposo, della sua libert e della sua felicit. Il prezzo che egli paga deve essere sempre lo stesso, qualunque sia la quantit di beni che ne riceve in cambio. Di questi, in effetti, a volte se ne potr comprare una quantit maggiore, a volte una quantit minore, ma il loro valore che cambia, non quello del lavoro con cui si comprano. [...] Soltanto il lavoro dunque, non variando mai nel suo proprio valore, lultima e reale misura con cui il valore di tutte le merci pu essere stimato e paragonato in ogni tempo e luogo. il loro prezzo reale; la moneta solo il loro prezzo nominale. Lavoro contenuto e lavoro comandato Se il lavoro svolto in un anno il fondo da cui ogni nazione trae in ultima analisi tutte le cose necessarie e comode della vita, sembrerebbe ragionevole dedurre che il valore di una merce dipende dal lavoro che vi contenuto. Smith ritiene invece che ci sia vero soltanto in quello stadio rozzo e primitivo della societ, nel quale tutto il prodotto del lavoro appartiene al lavoratore. Cos, se in un popolo di cacciatori uccidere un castoro costa di solito un lavoro doppio rispetto a quello che occorre per uccidere un cervo, un castoro si scambier naturalmente per due cervi, ovvero avr il valore di due cervi. Soltanto in questo caso il rapporto fra le quantit di lavoro necessarie a procurarsi diversi oggetti sembra sia la

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sola circostanza che possa offrire una qualche regola per scambiarli luno con laltro. Quando la produzione abbia modi e fini capitalistici, sia cio produzione per il profitto anzich per luso, questa semplice regola di determinazione dei prezzi relativi non vale pi, poich il prezzo di una merce dovrebbe pagare non soltanto il lavoro che vi contenuto, ma anche profitti ed eventualmente rendite: Non appena i capitali si sono accumulati nelle mani di singole persone, alcune di loro li impiegheranno naturalmente nel mettere al lavoro gente operosa, a cui forniranno materiali e mezzi di sussistenza allo scopo di trarre profitto dalla vendita delle loro opere o da ci che il loro lavoro aggiunge al valore dei materiali. Nello scambiare il manufatto finito con moneta, con lavoro o con altri beni, oltre a quanto basti a pagare il prezzo dei materiali e il salario degli operai, qualcosa devessere dato per i profitti dellimprenditore dellopera, il quale rischia i suoi capitali nellimpresa. Il valore che gli operai aggiungono ai materiali si divide dunque in questo caso in due parti, una delle quali paga il loro salario, mentre laltra paga i profitti di chi li impiega sul complesso dei capitali che ha anticipato per i materiali e i salari. In una situazione capitalistica il prodotto del lavoro non appartiene tutto al lavoratore: Nella maggior parte dei casi egli dovr spartirlo col proprietario dei capitali che lo occupano. E la quantit di lavoro comunemente impiegata nel procurarsi o nel produrre una merce non pi lunica circostanza che pu regolare la quantit di lavoro che essa dovrebbe comunemente comprare, o comandare o ricevere in cambio. evidente che una quantit addizionale deve spettare ai profitti dei capitali che hanno anticipato i salari e fornito i materiali di quel lavoro. Non appena la terra di un paese diventa tutta propriet privata, i proprietari della terra, come tutti gli altri uomini, amano mietere dove non hanno seminato ed esigono una rendita anche per il suo prodotto naturale. Il legno della foresta, lerba del campo e tutti i frutti naturali della terra che, quando la terra era in comune, costavano al lavoratore solo la pena di raccoglierli, vengono ad avere anche per lui un prezzo addizionale che si fissa su di essi. Egli deve pagare per il permesso di raccoglierli e deve dare al proprietario una quota di ci che il suo lavoro raccoglie o produce. Di qui un paradosso, peraltro fecondo: se si assume che il valore di una merce corrisponde al lavoro che si pu comperare (comandare) con il ricavato della sua vendita, sembrerebbe che il lavoro comandato da una merce sia maggiore di quello che vi contenuto. In verit Smith commette un errore, confondendo il lavoro contenuto con il salario pagato. Lambigua conclusione smithiana questa: Il valore reale di tutte le diverse parti componenti del prezzo misurato dalla quantit di lavoro che ognuna di esse pu comprare o comandare. Il lavoro misura il valore non

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solo della parte del prezzo che si risolve in lavoro, ma anche di quella che si risolve in rendita e di quella che si risolve in profitto. In ogni societ il prezzo di ogni merce si risolve, in definitiva, nelluna o nellaltra di queste parti o in tutte e tre, mentre in ogni societ progredita tutte e tre entrano, poco o tanto, come componenti del prezzo della maggior parte delle merci. Da un lato Smith pensa che sia il salario sia il profitto sono il risultato della divisione di un valore che ha precedentemente avuto origine dal lavoro erogato dal lavoratore. Dallaltro egli accenna una teoria additiva del valore, sostenendo che salario, profitto e rendita sono le fonti originarie di ogni reddito, cos come di ogni valore di scambio. Da questa ambiguit hanno origine le due grandi linee di pensiero in tema di teoria del valore: da un lato chi ritiene che salario, profitto e rendita siano parti di un valore ad essi presupposto e che ha come sola origine il lavoro; dallaltro chi ritiene che dietro a ciascuna forma di reddito vi sia un distinto fattore produttivo. Prezzi naturali e prezzi di mercato La distinzione fra lavoro comandato e lavoro contenuto (e poi quella fra prezzi naturali e prezzi di mercato) pu essere chiarita a partire dalla seguente definizione additiva del prezzo p di una merce: p=wl+rk+rt dove w, r, e r stanno, rispettivamente, per saggio di salario, di profitto e di rendita; l, k, e t per fabbisogno unitario (o coefficiente) di lavoro, mezzi di produzione e terra. Se si prende a unit di misura il saggio di salario, dividendo primo e secondo membro per w si ottiene che il lavoro comandato (il quale assume il significato di un prezzo relativo) pari a: p (r k +r t) ____ = l + _____________ > l. w w Il lavoro comandato risulta maggiore del lavoro contenuto: la differenza fra lavoro comandato (p / w) e lavoro contenuto ( l ) pari al sovrappi (profitto e rendita) per unit di prodotto. Si dir poi che il prezzo di una merce al suo livello naturale se i saggi di salario, di profitto e di rendita sono uniformi nei diversi settori. Quando non lo fossero, i prezzi di mercato saranno diversi da quelli naturali. Se nel settore interessato i prezzi di mercato sono superiori alla media, saranno impiegati pi lavoro, mezzi di produzione e terra, in tal modo aumentando la produzione offerta sul mercato. Il processo di concorrenza far abbassare il prezzo di mercato. Vale il contrario quando i

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prezzi di mercato sono inferiori a quelli naturali. Si pu dunque pensare che i prezzi di mercato gravitino attorno ai prezzi naturali. Smith, tuttavia, non spiega che cosa determini i saggi naturali di salario, profitto e rendita.

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Ricardo: La distribuzione del prodotto sociale

Per David Ricardo (1772-1823) il problema principale delleconomia politica non lindagine sulle cause della ricchezza delle nazioni, bens la determinazione delle leggi che regolano la distribuzione del prodotto sociale, al netto della rendita, fra capitalisti e lavoratori. Come Smith, Ricardo concepisce il capitale nella sua materialit, e lo riduce alle anticipazioni salariali. Sotto questa ipotesi, il saggio dei profitti, che per definizione uguale al rapporto fra lammontare dei profitti e il valore del capitale, risulta pari al rapporto fra profitti e salari, ed dunque la misura ricercata della distribuzione del prodotto sociale netto di rendita fra capitalisti e lavoratori. Si tratter perci di individuare le determinanti del saggio dei profitti; il modo in cui il saggio dei profitti si muove con il procedere dellaccumulazione del capitale; e se e come lintroduzione delle macchine nel processo produttivo abbia influenza sugli interessi delle diverse classi della societ (argomento questo di grande importanza, che sembra non sia stato mai esaminato in modo da condurre a risultati certi e soddisfacenti). Le determinanti del saggio dei profitti Ricardo non d una spiegazione dellorigine del profitto, poich lo concepisce come un residuo: come quel che resta nelle mani dei capitalisti, una volta pagati rendita e salari. Tuttavia la teoria ricardiana del saggio dei profitti mostra che il rapporto fra capitalisti e lavoratori salariati un rapporto conflittuale, e questa una importante implicazione politica dellanalisi ricardiana delle relazioni fra capitale sociale e processo lavorativo sociale, quali si danno nel modo di produzione capitalistico. Il saggio dei profitti, secondo Ricardo, dipende da due ordini di circostanze: dalle condizioni tecniche della produzione e dal saggio di salario. Date le condizioni tecniche della produzione (e in ogni dato momento esse sono date), saggio dei profitti e saggio di salario stanno fra di loro in una relazione inversa: ad un alto saggio di salario corrisponde un basso saggio dei profitti, e viceversa. Inoltre, e a differenza di quanto sosterr la teoria neoclassica nella sua versione egemone, non vero che ad una data configurazione delle tecniche di produzione corrisponda una ed una sola configurazione distributiva di equilibrio. In astratto, compatibile con una configurazione data delle tecniche di produzione qualsiasi configurazione distributiva, compresa fra i due estremi in cui tutto il prodotto netto (di rendita) va ai salari, o in cui (al limite) tutto il prodotto netto va ai profitti. importante sottolineare che ci vero soltanto in astratto: nella realt non vero che non esista un vincolo distributivo alla

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determinazione del livello di attivit o al processo di accumulazione del capitale, e dunque non vero che il salario sia una variabile indipendente. Il prodotto sociale che si spartiscono capitalisti e lavoratori il prodotto sociale al netto della rendita. Sul livello del saggio dei profitti, e sulla sua dinamica nel corso del processo di accumulazione, hanno perci influenza le determinanti della rendita stessa. Questa, secondo Ricardo (che ne mutua la spiegazione da Malthus), dipende dal fatto che il processo produttivo caratterizzato da rendimenti decrescenti. Se si suppone, come Ricardo fa nella versione pi semplice della sua teoria, che lunica attivit produttiva sia quella agricola e che le diverse terre abbiano diversa fertilit, allora la concorrenza fra capitalisti da un lato e fra proprietari terrieri dallaltro far s che la rendita risulti pari alla differenza fra il prodotto effettivamente ottenuto, e quello che si sarebbe ottenuto se tutte le terre fossero di fertilit pari a quella della terra meno fertile fra quante messe a coltura. Su questultima la rendita nulla e il suo prodotto (il prodotto marginale) baster appena a pagare i salari e i profitti, ad un saggio dei profitti che per effetto della concorrenza dovr essere uniforme su tutte le terre. Anche il saggio di salario dovr essere uniforme su tutte le terre, e sar mantenuto al livello di sussistenza dalloperare di un meccanismo demografico di tipo malthusiano. Il saggio dei profitti in un modello semplificato Nella sua versione pi semplice della teoria del saggio dei profitti, Ricardo ragiona come se: a) il capitale consistesse soltanto nelle sussistenze anticipate dai capitalisti ai lavoratori (cio nel consumo necessario N); b) tali sussistenze consistessero interamente e soltanto in unico tipo di merce: il grano. Ricardo ragiona cio come se vi fosse omogeneit fisica fra mezzi di produzione e prodotto. In questo modo il problema del valore viene eluso, e il saggio dei profitti pu essere espresso come rapporto fra quantit omogenee. Ricardo, inoltre, suppone che esistano terre di tipo differente, ordinabili secondo il grado di fertilit; e che quindi la produttivit del lavoro applicato alla terra sia decrescente, via via che vengono messe a coltura nuove terre (col procedere dellaccumulazione del capitale, crescer la popolazione e dunque aumenter il fabbisogno di grano). Per determinare il saggio dei profitti, e dunque la relazione fra salario e profitto, occorre in primo luogo determinare lammontare della rendita, al fine di calcolare il prodotto sociale netto di rendita e quindi di analizzare il vero problema, quello delle quote relative dei profitti P e dei salari W. La rendita non entra nel valore delle merci: essa una deduzione ex ante dal prodotto sociale, che ha origine dalla diversa fertilit delle terre coltivate e dalla concorrenza da un lato fra i capitalisti, dallaltro fra i rentiers. Poich in regime di concorrenza il capitale va in cerca degli

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impieghi pi fruttiferi, i capitalisti si disputeranno le terre pi fertili fino a quando la rendita pagata ai proprietari delle terre non avr coperto interamente la differenza fra il prodotto sociale totale e il prodotto sociale marginale, ossia il prodotto che si otterrebbe se tutte le terre avessero la fertilit della terra marginale. Sulla terra marginale non si paga rendita perch anche i proprietari terrieri si fanno concorrenza, e dunque accetteranno una rendita (tendenzialmente) nulla, purch la loro propriet sia coltivata. per questo che la rendita non entra nella determinazione del prezzo del grano, che infatti si determina sulla terra marginale: perch anche il prezzo del grano prodotto sulla terra marginale, che non pu essere diverso da quello del grano prodotto sulle terre inframarginali, deve poter pagare saggi di profitto e di salario uniformi su tutte le terre. Al ragionamento ricardiano circa le determinanti del saggio dei profitti, nel caso semplificato in cui si produca soltanto grano, si pu dare la forma seguente: (1) Funzione di produzione: X = f(N), dove X sta qui per il prodotto sociale totale, e N per il numero dei lavoratori. Le ipotesi su f sono: f(0) 0: si escludono produzioni negative; f(0) > x, dove x sta qui per salario di sussistenza: se nemmeno la terra pi fertile in grado di produrre sovrappi nella forma di profitti, il sistema, in quanto sistema capitalistico, non sarebbe vitale; f(N) < 0: il lavoro, in quanto venga applicato a terre di fertilit via via minore, ha produttivit marginale decrescente. (2) R = f(N) - N f(N): la rendita pari alla differenza fra il prodotto sociale totale e il prodotto sociale marginale. (3) W = N x: i salari sono pari al prodotto del numero dei lavoratori per il saggio di salario corrente. (4) K = W: il capitale consiste nelle sole anticipazioni salariali. (5) P = X - W - R: i profitti sono quel che resta del prodotto sociale, pagati i salari e la rendita. Si noti che il sistema (1) - (5) sottodeterminato: comprende sette incognite ma solo cinque equazioni. Il modello pu essere completato con una delle seguenti coppie di ipotesi: (6) N = N* e (7) K = K* (assumendo cio che N* e K* siano dei dati), oppure (6 bis) x = x e (7). Definito il saggio dei profitti come r = P / K, dalle equazioni precedenti si ricava: {f (N) - [f (N) - N f (N)] - N x} f (N) _______________________________ = ______ - 1. r = Nx x

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Questo vuole dire che il saggio dei profitti, la distribuzione del prodotto sociale (netto di rendita) fra capitalisti e lavoratori, dipende da due ordini di circostanze: non soltanto dalle condizioni tecniche della produzione, ma anche, e inversamente, dal saggio di salario. La spartizione del prodotto sociale dipende crucialmente dai rapporti di forza fra capitalisti e lavoratori, e non soltanto dalle condizioni tecniche della produzione. La teoria neoclassica sosterr invece che il capitale, cos come ogni altro fattore della produzione, dovrebbe essere remunerato secondo la sua produttivit marginale, produttivit che dipenderebbe soltanto dalle condizioni tecniche della produzione. Per Ricardo i profitti sono invece un residuo: nella sfera della distribuzione non vi armonia, bens conflitto. Saggio di salario (x) e saggio dei profitti (r) stanno in una relazione inversa.

Dato il numero dei lavoratorie delle terre messe a coltura, e date le condizioni tecniche della produzione, esiste una ed una sola relazione, inversa, fra saggio di salario e saggio dei profitti. Il saggio di salario ovviamente non pu salire al di sopra del prodotto marginale f(N*), e quando lo esaurisse il saggio dei profitti sarebbe pari a zero. Daltra parte, il saggio dei profitti tenderebbe allinfinito se il saggio di salario tendesse a zero. La gratuit degli operai un limite in senso matematico: se gli operai potessero vivere daria, non si potrebbero comperare a nessun prezzo. In ogni dato momento, fra le tante configurazioni distributive che giacciono sulla curva x - r, prevarr una sola coppia salario-profitto. In quanto il sistema sottodeterminato (in quanto la distribuzione del prodotto

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sociale non dipende soltanto dalle condizioni tecniche della produzione), in ogni dato momento il valore del saggio di salario (o del saggio dei profitti) dipender dal valore che avr assunto laltra variabile distributiva. In ogni dato momento, la configurazione distributiva dipende dunque dalle forze, e dai rapporti di forza, che determinano una delle due variabili, il saggio di salario o il saggio dei profitti. Potrebbe trattarsi del saggio di salario, tenuto al suo livello di sussistenza da processi demografici o da scelte dei capitalisti circa le tecniche di produzione. Oppure del saggio dei profitti, che pu essere condizionato da influenze estranee al sistema della produzione, e particolarmente dal livello dei tassi dellinteresse monetario. Tutte le infinite configurazioni distributive che appartengono alla x - r sono compatibili con le condizioni tecniche date, dunque una delle due variabili distributive deve avere determinazione esogena. Rendita, salari e profitti Data la funzione di produzione, le parti della rendita, dei salari e dei profitti nel prodotto totale corrispondente a un certo numero di lavoratori (N*) e a un qualche livello del saggio di salario (x), possono essere rappresentate graficamente a partire dalla funzione del prodotto marginale (f(N)).

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Ricardo: Accumulazione e saggio dei profitti

Per Ricardo (che almeno in questo senso aderisce alla legge di Say, secondo la quale tutti i redditi sono interamente spesi) se vi sono profitti positivi, questi saranno investiti dai capitalisti nella coltivazione di nuove terre, che avranno una produttivit via via decrescente. I profitti saranno progressivamente schiacciati fra rendita e salari (vi dunque conflitto non soltanto fra capitalisti e lavoratori salariati, ma anche fra queste due classi e quella dei rentiers). Venendo meno i fondi necessari per lallargamento della produzione, il sistema, prima o poi, raggiunger lo stato stazionario. Le conseguenze ricardiane del processo di accumulazione del capitale sulla distribuzione del prodotto sociale, e in particolare sul saggio dei profitti, si possono descrivere nel modo seguente, partendo da una funzione della produzione al netto della rendita: X - R = N f(N).

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Si consideri il punto No e si supponga che il salario sia al livello di sussistenza x. Dal punto di vista dinamico il sistema non in equilibrio: essendo positivi i profitti (dati dalla differenza fra la funzione di produzione al netto della rendita e la semiretta che rappresenta il monte salari, W = N x), i capitalisti sono mossi ad accumulare. Secondo quanto prescrive la legge di Say, fino a quando i profitti sono positivi, i capitalisti li reinvestiranno. Sul mercato del lavoro si crea allora un eccesso di domanda: essendo il salario al livello di sussistenza, tutti i lavoratori sono occupati. Si apre perci la concorrenza tra i capitalisti, che si disputano i lavoratori scarsi offrendo un salario pi elevato. La distribuzione del prodotto (netto di rendita) si sposta a favore dei lavoratori (ci si pu leggere come rotazione verso nord-ovest della semiretta del monte salari, o come spostamento verso lalto sulla x - r associata a No). Entra allora in azione la legge di Malthus: la popolazione aumenta, leccesso di domanda di lavoro viene compensato dallaumento dellofferta, la concorrenza tra lavoratori nuovi e vecchi riporta il salario al livello di sussistenza. Crescendo la popolazione aumenta la domanda di grano. Si passa cos al punto N1, con pi lavoratori occupati e un maggiore numero di terre messe a coltura. Il prodotto marginale diminuisce, dunque la x - r si sposta verso il basso. A parit di saggio di salario, che tornato al livello di sussistenza, il saggio dei profitti diminuisce a causa della minor fertilit delle nuove terre messe a coltura. Finch il saggio dei profitti resta positivo, il processo si ripeter. Alla fine il monte salari esaurir il prodotto netto di rendita, in corrispondenza al punto in cui il prodotto marginale pari al salario di sussistenza, e dunque profitti e saggio dei profitti si annullano. Si raggiunge cos lo stato stazionario, in cui il sistema avr realizzato la massima espansione possibile, date le risorse disponibili e date le condizioni tecniche della produzione (un cui cambiamento potrebbe soltanto rinviare nel tempo il raggiungimento dello stato stazionario). A tale stato si arriver senza crisi: gli squilibri possono essere al pi temporanei e limitati a particolari settori, ma non estesi al sistema nel complesso grazie alloperare della legge di Say e della teoria quantitativa della moneta. Leffetto delle macchine Il rapporto fra capitale e lavoro salariato non istituito, per Ricardo, soltanto dalle leggi naturali che governano la relazione inversa fra saggio di salario e saggio dei profitti e la caduta di questo nel corso del processo di accumulazione (caduta non tendenziale, ma necessaria), bens anche dalleventuale introduzione di macchine nel processo produttivo: che non un fatto di natura ma il risultato di decisioni dei capitalisti.

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Per Ricardo, e contro lopinione allora e oggi dominante, lintroduzione di macchine nel processo produttivo riesce spesso dannosa agli interessi della classe dei lavoratori. Loccupazione aumenta sicuramente soltanto quando aumentano le anticipazioni salariali e il salario al suo livello naturale, di sussistenza. Lintroduzione delle macchine pu invece far s che aumenti il reddito netto della societ (rendite e profitti) e contemporaneamente diminuisca il reddito lordo (e dunque lammontare dei salari). A ci consegue, secondo Ricardo, che la stessa causa che pu aumentare il reddito netto del paese, pu nello stesso tempo rendere esuberante la popolazione e peggiorare le condizioni dei lavoratori: lopinione nutrita dalla classe lavoratrice, secondo cui limpiego delle macchine spesso dannoso ai suoi interessi, non fondata sul pregiudizio e sullerrore, ma conforme ai corretti principi delleconomia politica. Da ci non si deve trarre che limpiego delle macchine non vada incoraggiato: Limpiego delle macchine in uno stato non pu mai essere scoraggiato impunemente. Se al capitale non si consente di ottenere il massimo del reddito netto che limpiego delle macchine pu dare, esso verr inviato allestero, e questo suo esodo deve scoraggiare la domanda di lavoro in modo molto pi serio del pi esteso impiego delle macchine. Da ci si deve invece trarre che occorrono politiche economiche appropriate per riassorbire la disoccupazione.

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Marx e i Classici: Il valore come sostanza e come misura

La categoria centrale delleconomia politica classica quella del sovrappi: leconomia politica classica, tuttavia, non dice quale sia lorigine della forma capitalistica del sovrappi, il profitto. Questa la domanda che pone Karl Marx (1818-1883), e la sua teoria del valore ne costituisce la risposta. Limportanza che in questa impresa hanno per Marx i classici testimoniata dalle Teorie sul plusvalore, che del Capitale sono parte integrante. La premessa marxiana, tuttavia, una Critica delleconomia politica, intesa ad andare al di l dei risultati delleconomia politica classica, a disvelare lessenza stessa, il nesso interno, del rapporto capitalistico: ogni scienza sarebbe superflua se lessenza delle cose e la loro forma fenomenica direttamente coincidessero. Si potr mettere in dubbio il risultato dellimpresa, come stato fatto (soprattutto per ragioni politiche), ma non che i suoi scopi e metodi siano altri, e vadano oltre, rispetto a quelli delleconomia politica classica. Marx muove da una riflessione critica circa i concetti di lavoro comandato di Smith e di lavoro contenuto di Ricardo. Da Ricardo Marx accetta lidea che il valore di scambio delle merci sia regolato dal principio del lavoro contenuto non solo nello stadio rozzo e primitivo della societ ma anche nel modo di produzione capitalistico; tuttavia Ricardo, secondo Marx, sbaglia poich fa scambiare il capitale direttamente contro lavoro invece che con la merce forza lavoro. Questo non significa che il principio smithiano del lavoro comandato sia erroneo o inutile. Per Marx vero che in Smith vi sono incertezze e confusioni, tuttavia le contraddizioni di Smith hanno questo di importante: che contengono problemi che egli in verit non risolve, ma che egli, contraddicendosi, enuncia. Sotto questo rapporto, lesattezza del suo istinto dimostrata, nel migliore dei modi, dal fatto che i suoi successori accolgono, in contrasto tra di loro, ora luno ora laltro aspetto della sua dottrina. Per Marx, in particolare, resta vero che quando la merce funziona come capitale, quando essa viene impiegata nellacquisto di lavoro vivo, allora il valore acquistato maggiore del lavoro che stato necessario per produrre il capitale merce. Il modo in cui Marx concilia i due principi smithiani il seguente: nel capitalismo anche il lavoro una merce e dunque ha un valore di mercato; tuttavia il luogo in cui si determina il nesso e la differenza fra lavoro contenuto e lavoro comandato la sfera della produzione e non il mercato, che di quella soltanto la proiezione. Lavoro e forza lavoro Il lavoro, in generale, la principale attivit materiale con la quale luomo si pone in rapporto con la natura, al fine di cavarne valori duso. Per Marx il processo capitalistico di produzione per una forma storicamente

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determinata del processo di produzione sociale in generale. Questultimo al tempo stesso il processo di produzione delle condizioni materiali della vita umana e un processo che si sviluppa entro specifici rapporti di produzione storico-economici, producendo e tentando di riprodurre questi rapporti stessi di produzione e dunque i rappresentanti di questo processo, le loro condizioni materiali di esistenza e i loro rapporti reciproci, ossia la loro determinata forma economica e sociale. Il complesso di questi rapporti, in cui i rappresentanti di questa produzione stanno con la natura e fra di loro, costituisce per Marx la societ, considerata nella sua struttura economica. La caratteristica principale del modo capitalistico di produzione, se ad esso si guarda dal punto di vista della circolazione, che il processo del tipo Denaro - Merce - Denaro, e non Merce - Denaro - Merce. Ci vuol dire che mentre nel ciclo M - D - M lo scopo dello scambio quello di ottenere una merce finale atta a soddisfare bisogni diversi da quelli che possono essere soddisfatti con la merce posseduta e ceduta inizialmente (scopo dello scambio in questo caso quello di ottenere valori duso, e la moneta serve soltanto allintermediazione nello scambio delle merci: questa pu essere la prospettiva del singolo consumatore), nel ciclo D - M - D si cede denaro per ottenere altro denaro. Questo denaro, daltra parte, non viene mai speso definitivamente, ma rifluisce al punto di partenza. Scopo di questo processo non lottenimento di valori duso, bens la realizzazione di un plusvalore. Questa la prospettiva del mondo degli affari, che dal denaro si separa in cambio di una merce secondo un processo inteso a ottenere pi denaro per chi lo muove anzich al soddisfacimento dei bisogni dei consumatori. Perch loperazione abbia un senso, la somma ottenuta (se il plusvalore realizzato, se la merce che lha incorporato stata venduta vantaggiosamente), dovr essere maggiore di quella anticipata: la forma effettiva del ciclo dovr dunque essere D - M - D, dove D sar maggiore di D. La differenza rispetto al valore originario sar costituita dal profitto. Si tratta ora di spiegare come mai D possa risultare, e per il capitalista debba risultare, maggiore di D. La spiegazione marxiana la seguente. Il processo si apre con uno scambio di potere dacquisto contro una merce, e il potere dacquisto originario si trasforma in capitale proprio in quanto prende la forma intermedia di merce. Tuttavia non esiste nessuna risorsa o merce (salvo una) che allo stesso tempo abbia valore duso e sia fonte di valore, cos come deve essere affinch D sia maggiore di D. Diventa dunque necessario indagare come si svolga il modo capitalistico di produzione e riproduzione. Secondo Marx Il capitalista compera agli stessi operai, a quanto sembra, il loro lavoro con del denaro. Per denaro essi gli vendono il loro lavoro. Ma ci non che lapparenza. Ci che essi in realt vendono al capitalista per una somma di denaro la loro forza lavoro. [...]

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La forza lavoro dunque una merce, che il suo possessore, il salariato, vende al capitale. Perch la vende? Per vivere. Lidea di Marx che lunica merce che abbia insieme valore duso e capacit di valorizzazione sia la forza lavoro. Di questa merce, che costituisce lunica propriet del lavoratore libero, il lavoratore stesso non pu fare uso, poich non possiede i mezzi di produzione, e dato che lo stadio di sviluppo delle forze produttive esclude la produzione desarmata manu. Questa merce pu soltanto venderla a chi, il capitalista, possiede potere dacquisto da trasformare in capitale, la immette e la utilizza nel processo produttivo, e ne trae il plusvalore che con lulteriore trasformazione della merce prodotta in denaro si realizzer (se si realizzer) nella forma di profitto. Nel modo capitalistico di produzione il capitale non pu pi essere pensato come entit materiale e come categoria distinta e separata dal lavoro, come semplice insieme di mezzi di produzione che vengono combinati con il lavoro per produrre valori duso. Nel modo capitalistico di produzione il lavoratore lavoratore salariato, e il rapporto fra strumenti e capacit lavorativa, quale si d nel processo lavorativo, sottende un nesso sociale fra capitale e lavoratore che condiziona tutto il processo di produzione, valorizzazione e riproduzione. Scrive Marx :
Anche il capitale un rapporto sociale di produzione. Esso un rapporto borghese di produzione, un rapporto di produzione della societ borghese. [...] Il capitale non consta soltanto di mezzi di sussistenza, di strumenti di lavoro e di materie prime, esso consta pure di valori di scambio. Tutti i prodotti di cui esso consta sono merci. Il capitale non dunque soltanto una somma di prodotti materiali; esso una somma di merci, di valori di scambio, di grandezze sociali. [...] Come dunque una somma di merci, di valori di scambio, diventa capitale? Per il fatto che essa, come forza sociale indipendente, cio come forza di una parte della societ, si conserva e si accresce attraverso lo scambio con la forza lavoro vivente, immediata. Lesistenza di una classe che non possiede nullaltro che la capacit di lavorare, una premessa necessaria del capitale.

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Marx: Plusvalore e profitto

Per Marx il valore di una merce si scinde in tre parti: capitale costante, capitale variabile, plusvalore. Il processo produttivo si apre con la spesa, da parte del capitalista, del suo capitale monetario nellacquisto dei mezzi di produzione e della forza lavoro, la quale costituisce il capitale produttivo. La forza lavoro, come qualsiasi altra merce, viene pagata secondo il suo valore, che pari al tempo di lavoro necessario per riprodurla, cio per produrre i mezzi di sussistenza del lavoratore. Al termine del processo di produzione il capitale produttivo trasformato in capitale merce, in merci che hanno un valore superiore a quello del capitale produttivo iniziale. La parte di capitale monetario spesa nei mezzi di produzione (capitale costante) non cambia la sua grandezza di valore; mentre la parte spesa in forza lavoro (capitale variabile) ha aumentato il suo valore, producendo il plusvalore che viene trattenuto dal capitalista, e che una volta realizzato pu essere trasformato in nuovo capitale produttivo. Il lavoratore salariato si trover cos di fronte il valore che egli stesso ha prodotto: egli vende la propria forza lavoro per produrre ci che gli si contrapporr come propriet del capitalista. Da un lato la forza lavoro, in quanto produce plusvalore, allorigine del profitto; dallaltro il lavoro, in quanto lavoro salariato, incluso nel capitale. Per Marx la soluzione del problema lasciato irrisolto da Smith e da Ricardo, quale sia lorigine del profitto, questa: allorigine del profitto sta il plusvalore, e allorigine di questo sta il pluslavoro prestato nella fabbrica dal lavoratore, dopo che questi aveva venduto sul mercato, e al suo prezzo, la propria forza lavoro. Lo scambio che ha per oggetto la merce forza lavoro uno scambio fra equivalenti nella sfera della circolazione, mentre uno scambio fra non equivalenti se si considera il processo capitalistico complessivo, che allo stesso tempo processo di produzione, circolazione e riproduzione. Loperaio riceve in cambio della sua forza lavoro dei mezzi di sussistenza, ma il capitalista, in cambio dei suoi mezzi di sussistenza, riceve del lavoro, lattivit produttiva delloperaio, la forza creatrice con la quale loperaio non soltanto ricostituisce ci che consuma, ma conferisce al lavoro accumulato un valore maggiore di quanto aveva prima. La giornata lavorativa si divide dunque in due parti: una parte serve a ricostituire i beni di consumo necessari alla riproduzione della forza lavoro (lavoro necessario), laltra parte (pluslavoro) costituisce il plusvalore, quella parte del valore del prodotto che non ritorna al lavoratore salariato e che anzi gli si contrapporr come nuovo capitale. Un rapporto di sfruttamento non si d soltanto nel modo di produzione capitalistico, ma soltanto in questo esso mediato e celato dallo scambio: il profitto il risultato della forma capitalistica del rapporto di sfruttamento. Poich il

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valore (W) di ogni merce prodotta capitalisticamente si scinde in capitale costante (C), capitale variabile (V) e plusvalore (S), la grandezza alla quale vanno commisurati i profitti al fine della determinazione del saggio dei profitti sar il valore dellintero capitale speso negli elementi della produzione, cio la somma del capitale costante e del capitale variabile e non soltanto lammontare dei salari anticipati, come si ha in Ricardo. Se il plusvalore si trasforma in profitto (se cio la merce prodotta viene venduta, realizzata) il saggio dei profitti sar dato da S r = ______ . C+V Se si divide numeratore e denominatore per V, il saggio dei profitti risulter pari a S/V s _________ = ______ . r = C/V+1 q+1 Il saggio dei profitti dipende dunque dal rapporto fra S / V (s, che si pu chiamare saggio del plusvalore o di sfruttamento e che coincide con il rapporto cui Ricardo riduce il saggio dei profitti) e (C / V + 1) (dove q si pu chiamare composizione organica del capitale). Per Marx le determinanti del saggio dei profitti sono dunque la distribuzione del reddito fra capitalisti e lavoratori e le condizioni tecniche della produzione. Si noti che mentre il saggio del plusvalore rende manifesta lorigine del plusvalore stesso, che il capitale variabile, nel saggio dei profitti tale origine viene occultata, poich perdendosi la distinzione fra capitale costante e capitale variabile, il profitto apparir come generato da qualit segrete del capitale nel suo complesso e non soltanto da quella sua parte che per Marx ha capacit di valorizzazione. Il capitalista anticipa il capitale complessivo senza riguardo alle diverse funzioni assolte nella produzione del plusvalore dalle singole parti costitutive del capitale, e dunque ai suoi occhi (e di quanti sono impigliati nei rapporti di produzione borghesi) il profitto originato dal capitale in s; mentre in realt esso non altro che la forma mistificata del plusvalore, la forma fenomenica del plusvalore.

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Marx: Riproduzione e crisi

Per Marx il processo di produzione capitalistico una forma storicamente determinata del processo di produzione sociale. Questultimo al tempo stesso il processo di produzione delle condizioni materiali della vita umana, e un processo di riproduzione di determinati rapporti di produzione. Il complesso di questi rapporti costituisce la societ considerata nella sua struttura economica. Per gli economisti classici i rapporti economici e sociali sono invece retti da un ordine naturale, che ne assicura il regolare dispiegamento e la ripetizione ininterrotta in condizioni di equilibrio. Essi concepiscono il capitalismo come storicamente determinato, ma determinato da una storia che sarebbe finita. Lo concepiscono come se si trattasse di un modo di produzione nel quale lo scambio scambio immediato, oppure nel quale la produzione produzione sociale, cos che la societ, quasi fosse retta da un piano, ripartirebbe i suoi mezzi di produzione e le sue forze produttive nella misura e nelle proporzioni necessarie al soddisfacimento dei diversi bisogni, in modo tale che ad ogni sfera di produzione tocchi il quanto del capitale sociale richiesto per il soddisfacimento del bisogno al quale essa corrisponde. I classici non negano il fenomeno della crisi, tuttavia essi ammettono soltanto la possibilit delle crisi. Le crisi, per gli economisti classici, sono un caso, come tali saranno temporanee e locali, non potranno investire il sistema nel suo complesso e soprattutto avranno cause esogene, naturali. Marx (e dopo di lui Keynes) rovescia questa posizione, negando la finzione su cui si regge: non la crisi, bens lequilibrio un caso. Non vero che lo scambio scambio immediato e non vero che il fine della produzione il soddisfacimento dei bisogni: il processo non del tipo M - D - M, ma del tipo D - M - D. Gli schemi di riproduzione Nel modo capitalistico di produzione non si tratta di ricavare dalla vendita di una merce una massa di valore equivalente sotto altra forma, denaro o altra merce, ma si tratta di ricavare dal capitale anticipato per la produzione lo stesso plusvalore e profitto di ogni altro capitale della stessa grandezza, qualunque sia il ramo di produzione in cui esso impiegato. Si tratta quindi di vendere le merci prodotte e di venderle a prezzi che assicurino almeno il profitto medio, ossia di venderle ai loro prezzi di produzione. Il processo annuale di riproduzione non facile a comprendersi. I movimenti dei capitali singoli e dei redditi personali si incrociano, si mescolano, si perdono in uno spostamento generale, cio nella circolazione della ricchezza sociale, che confonde la vista e d allindagine compiti molto complicati da risolvere. nel processo di circolazione-riproduzione

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che si manifesta la crisi, o pu manifestarsi lequilibrio, del capitale. Gli schemi marxiani della riproduzione, che dichiaratamente riprendono lidea del tableau conomique di Quesnay, hanno lo scopo di individuare le condizioni necessarie affinch il processo di produzione possa ripetersi: riprodursi. Per fare astrazione da ci che non incide sul processo di riproduzione, Marx presuppone che le merci vengano vendute al loro valore e che le tecniche di produzione non mutino. Inoltre presuppone che vi siano due sole classi, la classe capitalistica e la classe operaia: si presuppone, in altre parole, il dominio generale ed esclusivo della produzione capitalistica. Questi presupposti sono funzionali allobiettivo che Marx si pone qui: mostrare che lequilibrio capitalistico possibile, ma che il suo verificarsi un caso. Si suddivida ora il sistema economico nelle due sezioni fondamentali, quella che produce mezzi di produzione (1) e quella che produce mezzi di consumo (2). Come il valore di ogni singola merce, cos anche quello del prodotto complessivo annuo di ciascuna sezione si suddivide in capitale costante, capitale variabile e plusvalore. Dunque si avr: W 1 = C1 + V 1 + S 1 W2 = C2 + V2 + S2. Ciascuna sezione (e dunque il sistema nel complesso) sar in equilibrio soltanto se lammontare di valore delle sue vendite uguale allammontare di valore dei suoi acquisti. A fronte dellammontare di valore W1 offerto per la vendita dal settore che produce mezzi di produzione star la domanda di mezzi di produzione da parte di entrambe le sezioni, per il reintegro e per leventuale allargamento del capitale costante che vi impiegato. A fronte dellammontare di valore W2 offerto per la vendita dal settore che produce mezzi di consumo star la domanda di beni di consumo da parte di entrambe le sezioni, per il reintegro del capitale variabile che vi impiegato e per il consumo dei capitalisti. Le due condizioni di equilibrio sono: C1 + V1 + S1 = C1 + C2 + g (S1 + S2) C2 + V2 + S2 = V1 + V2 + l (S1 + S2) dove g la quota del plusvalore complessivo destinata allallargamento del capitale costante mediante lacquisto di nuovi mezzi di produzione, mentre l la quota di plusvalore destinata al consumo dei capitalisti. Se g > 0, si dir

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che il sistema in uno stato di riproduzione allargata. In generale si pu ritenere che (g + l) 1. Si avr (g + l) < 1 se parte del plusvalore viene tesaurizzata, mentre si potrebbe avere (g + l) > 1 se si ammette (come far Keynes) che si possano effettuare investimenti non soltanto ricorrendo a profitti realizzati in precedenza, ma anche attingendo al credito. Per definire le condizioni di riproduzione per il sistema nel complesso, si sommino membro a membro le due condizioni settoriali. Dopo aver semplificato, si otterr S1 + S2 = (g + l) (S1 + S2). Affinch le condizioni di riproduzione siano soddisfatte per il sistema nel complesso, perci necessario che (g + l ) = 1. Deve cio valere la legge di Say, nel senso che sia i capitalisti sia i lavoratori spendono per intero i loro redditi (per i lavoratori ci dipende dal fatto che il salario a livello di sussistenza). In questo caso, condizione necessaria per lequilibrio intersettoriale che la domanda di mezzi di consumo da parte della sezione che produce mezzi di produzione sia uguale alla domanda di mezzi di produzione da parte della sezione che produce mezzi di consumo. Se si semplificano separatamente le due condizioni di riproduzione settoriali, si ha V1 + (1 - g) S1 = C2 + gS2 V1 + lS1 = C2 + (1 - l) S2. Questo significa che se (g + l) = 1, anche in riproduzione allargata quando una sezione in equilibrio anche laltra lo . Altrimenti ci non vero. Se i capitalisti si comportano come devoti funzionari dellaccumulazione (cos che g = 1 e l = 0), si avr: V1 = C2 + S2 , e il sistema sar nello stato di massima riproduzione allargata. Se invece i capitalisti consumano lintero plusvalore, comportandosi da gaudenti (g = 0 e l = 1), la condizione di equilibrio si ridurr a: V1 + S1 = C2, e si dir che il sistema in uno stato di riproduzione semplice (che corrisponde allo stato stazionario degli economisti classici). La conclusione marxiana che lequilibrio capitalistico possibile, come implicito nel fatto che le condizioni sopra individuate possono

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essere soddisfatte. Tuttavia lequilibrio non imposto da una necessit naturale: soltanto un caso, dato il carattere primitivo della produzione capitalistica. In assenza di un piano, chiaro non soltanto che il verificarsi spontaneo di queste condizioni improbabile; ma anche che se esse per caso si verificano, nulla assicura che esse comportino il massimo livello di attivit e di occupazione del sistema. Nella determinazione del livello, delle proporzioni, e della regolarit e stabilit delle modalit di riproduzione del sistema, sono cruciali le decisioni dei capitalisti circa limpiego dei profitti realizzati. Lequilibrio pu esistere, ma non necessariamente unico, non necessariamente stabile, ed almeno improbabile che sia ottimo (anche soltanto nei termini quantitativi del numero di lavoratori occupati). In particolare, la funzione del denaro quale capitale monetario produce determinate condizioni dello svolgimento normale della riproduzione, sia su scala semplice sia su scala allargata, che si trasformano in altrettante condizioni di svolgimento anormale della produzione, in possibilit di crisi (in questo caso, crisi da sproporzione). Nel capitalismo la congruenza tra composizione della produzione e struttura del bisogno sociale lasciata al mercato, della cui efficienza lecito dubitare. Si pensi ai due veri, grandi fallimenti del mercato, ai giorni nostri particolarmente evidenti: la disoccupazione e i bisogni sociali insoddisfatti Circa la possibilit, o impossibilit, di una realizzazione sistematica delle merci prodotte, prima di Marx si erano affermate due tendenze teoriche. La prima, egemone, passa per Say e (da questo punto di vista) per Ricardo, ed esclude la possibilit di crisi generali, poich chi vende non avrebbe altro scopo che ritornare sul mercato nella veste di compratore utilizzando tutto il potere dacquisto ottenuto dalla vendita. Si suppone, in questo caso, che la moneta sia soltanto lo strumento per effettuare lo scambio e dunque che il valore complessivo della domanda sociale sia sempre uguale al valore complessivo dellofferta. La seconda tendenza, che passa per Sismondi e Malthus, vuole invece che vi sia necessariamente uneccedenza della produzione rispetto al consumo, con conseguente impossibilit di realizzazione da parte del mercato e dunque impossibilit di un processo regolare di riproduzione allargata. Gli schemi marxiani di riproduzione mostrano invece, contro Malthus e Sismondi, che lequilibrio capitalistico in realt possibile, ossia non affetto da una difficolt iniziale dirimente, che gli impedirebbe una dispiegata vita storica. Contro Say e Ricardo gli schemi mostrano che il processo di riproduzione pu manifestarsi soltanto attraverso crisi, nelle quali lo squilibrio tra produzione e consumo svolge un ruolo essenziale: nel capitalismo lo scopo della produzione non il consumo ma la valorizzazione del capitale. La faccia vera dellequilibrio capitalistico per Marx la crisi, che le teorie dominanti hanno invece sempre visto come eccezione; e lanalisi della crisi va

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ricondotta alla contraddizione tra capitale e lavoro salariato, alla concorrenza tra i tanti capitali, alluso capitalistico della scienza e della tecnica, al denaro. Le crisi Al termine del processo di produzione il capitale produttivo trasformato in capitale merce, in merci che hanno un valore superiore a quello del capitale produttivo iniziale. La parte di capitale monetario spesa nei mezzi di produzione (capitale costante) non cambia la sua grandezza di valore; mentre la parte spesa in forza lavoro (capitale variabile) ha aumentato il suo valore, producendo il plusvalore che viene trattenuto dal capitalista, e che una volta realizzato pu essere trasformato in nuovo capitale produttivo. Ciascun singolo capitale, tuttavia, pu riprodursi soltanto se la merce prodotta viene venduta e se il ricavato viene riconvertito in nuovo capitale produttivo. La realizzazione della merce pu essere ostacolata da tre ordini di circostanze: il bisogno che la collettivit ha della merce stessa (valore duso), la quantit di moneta esistente, leffettiva trasformazione in denaro dellintera quantit prodotta. Le diverse forme di crisi sono connesse fra di loro. Si possono per distinguere le crisi da sproporzione, che in generale si danno quando non siano soddisfatte le condizioni della riproduzione, le crisi da tesaurizzazione e le crisi di realizzazione. Allorigine delle crisi sta comunque il fatto che la forza motrice della produzione capitalistica costituita dal saggio dei profitti: viene prodotto solo quello che pu essere prodotto con profitto, e nella misura in cui tale profitto pu essere ottenuto. In un mondo alla Ricardo una diminuzione del saggio dei profitti non avrebbe determinato nessuna crisi. Semplicemente, quando non vi fossero pi stati profitti investibili il processo di accumulazione si sarebbe esaurito e il sistema economico sarebbe entrato nello stato stazionario. In ogni caso era implicito nella legge di Say che tutti i redditi sarebbero stati spesi, in consumi se non in investimenti. Secondo Marx c una terza possibilit. In una economia capitalistica il denaro non soltanto un mezzo di pagamento, ma pu anche essere tesaurizzato. Dopo aver venduto le sue merci in cambio di denaro, il capitalista, quando giudichi troppo basso il saggio dei profitti, pu decidere di tenere il ricavato in forma di tesoro, anzich rimetterla in circolazione e trasformarla in nuovo capitale. Se i capitalisti non spendono lintero plusvalore precedentemente realizzato n nellacquisto di mezzi di produzione n nellacquisto di mezzi di consumo, le condizioni della riproduzione non vengono soddisfatte. In questo caso il denaro esce dal ciclo del capitale industriale da cui scaturito, e potr essere trattenuto in forma liquida oppure potr essere impiegato in attivit finanziarie o speculative. Il denaro non opera pi come capitale, e diventa

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un peso morto della produzione capitalistica. Si pu dunque pensare che esista un saggio minimo del profitto, al di sotto del quale si avr una crisi da tesaurizzazione, che interrompe e devia il processo di produzione e riproduzione. Laltra forma di crisi, la crisi di realizzazione, ha origine dal fatto che il salario non soltanto un costo di produzione per il capitalista, ma anche il potere dacquisto con il quale i lavoratori acquisteranno le merci da essi stessi prodotte. La situazione ideale, per ciascun singolo capitalista, sarebbe quella in cui egli potesse pagare ai propri lavoratori il salario pi basso possibile, mentre tutti gli altri lavoratori ricevessero i pi alti salari possibili. Ci per impossibile, poich il saggio di salario (cos come il saggio dei profitti e il saggio di plusvalore, che corrisponde al rapporto tra profitti e salari) tende ad essere uniforme. Esister dunque un saggio massimo del profitto, cio il massimo saggio dei profitti realizzabile con una data distribuzione del reddito tra profitti e salari. Il plusvalore si trasforma in profitto soltanto se le merci in cui incorporato vengono vendute, e gli acquirenti potenziali delle merci prodotte sono in massima parte i lavoratori stessi: a condizione che dispongano del denaro necessario. (Leconomia capitalistica concretamente irrazionale, secondo Max Weber, perch non soddisfa i bisogni in quanto tali, bens solo i bisogni dotati di capacit dacquisto). Si consideri ora la situazione seguente. Nellintento di aumentare il saggio dei profitti, o di contrastarne la diminuzione, i capitalisti aumentano la composizione organica del capitale. Sostituendo macchine a lavoratori, aumenta la disoccupazione (lesercito industriale di riserva). La concorrenza fra lavoratori fa diminuire il saggio di salario, e ci fa diminuire i costi di produzione. Laumento della composizione organica del capitale, che sta al denominatore del saggio dei profitti, fa per diminuire il saggio dei profitti: a meno che non cresca il saggio del plusvalore. Per compensare la diminuzione del saggio dei profitti, ai capitalisti sembrer conveniente un aumento del saggio del plusvalore (o di sfruttamento). I conti tornerebbero, se in conseguenza dellaumento della disoccupazione e dello spostamento della distribuzione del reddito dai salari ai profitti non diminuisse il potere dacquisto dei lavoratori. Il valore totale (W1 + W2), che i capitalisti possono realizzare con la vendita delle merci prodotte, infatti prodotto da una quota via via decrescente delle forze di lavoro. Una riduzione del potere dacquisto dei lavoratori impedirebbe la vendita di tutte le merci prodotte, e si darebbe una crisi di realizzazione (o di sovrapproduzione). La dinamica effettiva del saggio dei profitti dunque costretta entro un sentiero delimitato dal saggio minimo e dal saggio massimo dei profitti. Poich in un sistema capitalistico la forma tipica del cambiamento tecnico

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la sostituzione di macchine a lavoratori, il che comporta la caduta tendenziale del saggio dei profitti, il saggio massimo tender sempre pi ad avvicinarsi a quello minimo. Cos il sentiero delimitato dai due si restringer progressivamente, fino a quando, cadendo il saggio massimo al di sotto di quello minimo, laccumulazione cesser e il sistema capitalistico si trover in una crisi irreversibile (a meno di riforme strutturali).

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Marx: La caduta tendenziale del saggio dei profitti

Per Marx lindustria moderna non considera e non tratta mai come definitiva la forma di un processo di produzione, quindi la natura della grande industria porta con s variazione del lavoro, fluidit delle funzioni, mobilit delloperaio in tutti i sensi. Di questo processo ininterrotto le macchine sono un momento essenziale, e in fondo lo sono in quanto le condizioni di esistenza della borghesia la costringono a calcolare. La forma pi semplice nella quale Marx espone la questione la seguente.
Maggiore divisione del lavoro, pi macchinario, una scala pi grande su cui vengono sfruttate la divisione del lavoro e il macchinario. E la concorrenza produce nuovamente la stessa reazione a questo risultato. Vediamo dunque che il modo di produzione, i mezzi di produzione, sono costantemente sconvolti, rivoluzionati, che la divisione del lavoro porta con s necessariamente una maggiore divisione del lavoro, limpiego di macchine - un maggiore impiego di macchine, il lavoro su vasta scala - un lavoro su scala pi vasta. questa la legge che di continuo getta la produzione borghese fuori del suo vecchio binario e costringe il capitale a tendere sempre pi le forze produttive del lavoro, perch esso le ha tese una prima volta; la legge che non gli concede nessuna tregua e gli mormora senza interruzione: Avanti! Avanti! [...] Se ci si rappresenta questa agitazione febbrile contemporaneamente su tutto il mercato mondiale, si comprender come laumento, laccumulazione e la concentrazione del capitale hanno come conseguenza una divisione del lavoro ininterrotta, che travolge se stessa e viene introdotta sopra una scala sempre pi gigantesca, un ininterrotto impiego di nuovo macchinario e il perfezionamento del vecchio. [...] La guerra industriale tra capitalisti ha come carattere specifico che le battaglie in essa vengono vinte meno con larruolamento di nuove armate di operai che con il loro licenziamento. I comandanti, i capitalisti, fanno a gara a chi pu licenziare il maggior numero di soldati dellindustria. vero che gli economisti ci raccontano che gli operai resi superflui dalle macchine trovano lavoro in nuove branche dellindustria. Essi non osano sostenere direttamente che gli stessi operai che vengono licenziati trovino un rifugio in nuovi rami di lavoro. I fatti gridano troppo forte contro questa menzogna. Essi si limitano ad affermare che per altre parti costitutive della classe operaia, per esempio per quella parte della giovane generazione operaia che era gi pronta a entrare nel ramo dellindustria rovinato, si apriranno nuovi campi di impiego. [...] Riassumendo: quanto pi il capitale produttivo cresce, tanto pi si estendono la divisione del lavoro e limpiego delle macchine. Quanto pi la divisione del lavoro e limpiego delle macchine si estendono, tanto pi si estende la concorrenza fra gli operai, tanto pi si contrae il loro salario. [...] Nella misura in cui i capitalisti sono costretti da questo movimento a sfruttare su una scala pi grande i mezzi di produzione gi esistenti, e a mettere in moto per questo scopo tutte le leve del credito, nella stessa misura aumentano le crisi. Esse diventano pi frequenti e pi forti per il solo fatto che, nella misura in cui cresce il bisogno di mercati pi estesi, i nuovi mercati da sfruttare si fanno sempre pi rari, poich ogni crisi precedente ha gi conquistato al

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commercio mondiale un mercato fino ad allora non conquistato o sfruttato dal commercio soltanto in modo superficiale. [...] Si ha cos la produzione progressiva di una sovrappopolazione operaia relativa, ossia di un esercito industriale di riserva. Questo costituisce la leva dellaccumulazione capitalistica e addirittura una delle condizioni desistenza del modo di produzione capitalistico. Il meccanismo della produzione capitalistica fa in modo che laumento assoluto del capitale non sia accompagnato da un corrispondente aumento della domanda generale di lavoro. Se da un lato laccumulazione del capitale aumenta la domanda di lavoro, dallaltro essa aumenta lofferta di operai mediante la loro messa in libert. Allo stesso tempo la pressione dei disoccupati costringe gli operai occupati a rendere liquida una maggior quantit di lavoro, rendendo in tal modo lofferta di lavoro in una certa misura indipendente dallofferta di operai. Il movimento della legge della domanda e dellofferta di lavoro su questa base porta a compimento il dispotismo del capitale.

Il processo di costituzione e crescita di un esercito industriale di riserva disponibile in Marx laltra faccia del processo di caduta tendenziale del saggio dei profitti. Questa dualit non poteva essere colta da Ricardo, che fonda la sua legge della caduta del saggio dei profitti non sulla contraddittoria razionalit capitalistica ma sullavarizia della natura. Per Ricardo il saggio dei profitti dipende dalle condizioni tecniche della produzione e dal saggio di salario La messa a coltura di terre via via meno fertili, dato il saggio di salario, comporta necessariamente e naturalmente una caduta del saggio dei profitti. In Marx la dinamica del saggio dei profitti ha invece cause endogene e, a differenza di quanto si sostiene abitualmente, non ha carattere deterministico. Largomentazione che la vulgata lectio imputa a Marx, attribuendogli una visione deterministica della dinamica capitalistica, la seguente. Per definizione il saggio dei profitti pari al rapporto fra profitti e capitale investito (costante e variabile), dove tutti i termini sono espressi in valore. Se si dividono numeratore e denominatore per il valore del capitale variabile si ottiene che il saggio dei profitti pari al saggio di sfruttamento (corrispondente al rapporto fra profitti e salari), diviso per il rapporto fra capitale costante e capitale variabile (la composizione organica del capitale), pi uno. Data la distribuzione del reddito fra capitalisti e lavoratori, i primi cercheranno di comprimere i salari sostituendo lavoratori con macchine. La sostituzione di macchine a lavoratori produce disoccupazione, dunque concorrenza fra disoccupati e occupati, dunque diminuzione del salario. Questa pratica, per il singolo capitalista, razionale: al singolo capitalista conviene che la forza lavoro sia pagata il meno possibile. Ci che conviene al singolo capitalista non conviene per al complesso dei capitalisti, poich i redditi che pagano le merci prodotte sono principalmente i salari. Daltra parte laumento del capitale costante rispetto al capitale variabile, a parit di ogni altra circostanza, far algebricamente diminuire il saggio dei profitti. A

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seconda dei punti di vista si potr dunque sostenere che il sistema capitalistico destinato a crollare, oppure che Marx ha torto poich le statistiche dimostrerebbero che tale tendenza non si d. Nel primo caso il capitalismo come forma storica che sarebbe destinato a finire, nel secondo la storia stessa che con il capitalismo sarebbe finita. Sono ovvie le implicazioni politiche: nel primo caso non ci sarebbe che da aspettare, con timore o con speranza; nel secondo si dovrebbe concludere che il capitalismo la forma definitiva dellorganizzazione economico-sociale. Non vera n luna n laltra prognosi, poich non vero che le circostanze restino ferme, e non sempre vero che i capitalisti siano miopi. Henry Ford e il fordismo ne hanno dato dimostrazione. Daltra parte leventuale stabilit del saggio dei profitti non contraddice, secondo un suggerimento di Sraffa, la legge di Marx: quando tendenziale sia inteso relativamente ad una particolare astrazione, cio essa sia il risultato dellazione di un gruppo di forze (accumulazione) supponendo che altre forze (progresso tecnico, invenzioni e scoperte) non operino. Il risultato che la caduta tendenziale costringe i capitalisti a continue rivoluzioni tecniche per evitare la caduta del saggio dei profitti. Le cause antagonistiche Le circostanze non restano ferme poich la tendenza contrastata da quelle che Marx chiama cause antagonistiche. La tendenza a una disoccupazione crescente e a una caduta del saggio dei profitti
non altro che una nuova espressione del progressivo sviluppo della produttivit sociale del lavoro, che si dimostra per lappunto nel fatto che, per mezzo dellimpiego crescente di macchinario e di capitale fisso in generale, una maggiore quantit di materie prime e ausiliarie vengono trasformate in prodotto da un eguale numero di operai nello stesso tempo, cio con un lavoro minore. [...] La progressiva tendenza alla diminuzione generale del saggio generale del profitto dunque solo unespressione peculiare al modo di produzione capitalistico per lo sviluppo progressivo della produttivit sociale del lavoro. [...] Dato che la massa di lavoro vivo impiegato diminuisce costantemente in rapporto alla massa di lavoro oggettivato da essa messo in movimento (cio ai mezzi di produzione consumati produttivamente), anche la parte di questo lavoro vivo che non pagato e si oggettiva in plusvalore dovr essere in proporzione costantemente decrescente rispetto al valore del capitale complessivo impiegato. Questo rapporto costituisce per il saggio dei profitti, che dovr per conseguenza diminuire costantemente.

Nella realt questa diminuzione non stata forte e rapida cos come la legge in quanto tale indurrebbe a prevedere, dunque devono agire delle influenze antagonistiche che contrastano o neutralizzano lazione della legge in generale, dandole il carattere di una semplice tendenza. Le pi generali di queste cause antagonistiche, per Marx, sono laumento del grado di sfruttamento del lavoro, la riduzione del salario al di sotto del suo valore, la diminuzione di prezzo degli elementi del capitale costante, la

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sovrappopolazione relativa, il commercio estero, laccrescimento del capitale azionario. Lelenco dovrebbe e potrebbe essere riveduto e allungato, ma la conclusione rimane. La contraddizione esistente nel modo capitalistico di produzione consiste nella sua tendenza allo sviluppo assoluto delle forze produttive, che vengono continuamente a trovarsi in conflitto con le specifiche condizioni di produzione entro le quali il capitale si muove e pu solo muoversi: Non vengono prodotti troppi mezzi di sussistenza in rapporto alla popolazione esistente. Al contrario, se ne producono troppo pochi per poter soddisfare in modo conveniente ed umano la massa della popolazione. Il limite del modo capitalistico di produzione si manifesta nei fatti seguenti:
1. Lo sviluppo della forza produttiva del lavoro, determinando la caduta del saggio dei profitti, genera una legge che, ad un dato momento, si oppone inconciliabilmente al suo ulteriore sviluppo e che deve quindi di continuo essere superata per mezzo di crisi. 2. Lestensione o la riduzione della produzione non viene decisa in base al rapporto fra la produzione ed i bisogni sociali, i bisogni di unumanit socialmente sviluppata, ma in base allappropriazione del lavoro non pagato e al rapporto tra questo lavoro non pagato e il lavoro oggettivato in generale o, per usare unespressione capitalistica, in base al profitto ed al rapporto fra questo profitto ed il capitale impiegato, vale a dire in base al livello del saggio dei profitti. La produzione capitalistica incontra quindi dei limiti ad un certo grado di sviluppo, che sembrerebbe viceversa assai inadeguato sotto laltro punto di vista. Essa si arresta non quando i bisogni sono soddisfatti, ma quando la produzione e la realizzazione del profitto impongono questo arresto.

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Critica della teoria neoclassica: Keynes e Sraffa

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Una critica radicale della teoria economica ortodossa lobiettivo comune perseguito sia da Sraffa che da Keynes, sebbene i due ricorrano a strategie diverse. Con la General Theory of Employment, Interest and Money (1936) Keynes svela le determinanti effettive del livello di occupazione. Produzione di merci a mezzo di merci. Premesse a una critica della teoria economica (1960) di Piero Sraffa, nega leffettiva universalit della teoria marginalista del valore e della distribuzione. un peccato, e un problema interessante per gli storici del pensiero economico, che queste critiche non abbiano ottenuto lo stesso successo che in altre discipline sarebbe stato garantito da un simile potere teoretico. Contro la tesi neoclassica. che afferma larmonia di interessi propria del capitalismo, Sraffa ci offre una dimostrazione definitiva dellesistenza di un conflitto interno fra salari e profitti. Keynes, daltro canto, sostiene in modo convincente che in uneconomia fondata sullattivit imprenditoriale la disoccupazione rappresenta la normalit. La General Theory di Keynes e le Premesse a una critica della teoria economica di Sraffa hanno quindi gettato le basi per unanalisi critica del capitalismo contemporaneo. Stando ai fatti, la General Theory stata seppellita dalla cos detta sintesi neoclassica e Produzione di merci solitamente non nemmeno menzionata nei libri di testo.

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La critica di Keynes

Nella sua opera pi famosa, la Teoria generale delloccupazione, dellinteresse e della moneta, apparsa nel 1936, Keynes esamina due punti cruciali della costruzione neoclassica: la determinazione del livello delloccupazione e la determinazione del tasso di interesse. Per quanto riguarda il livello delloccupazione, Keynes mostra come esso non sia determinato nel mercato del lavoro dalloperare congiunto di due funzioni, una di domanda e una di offerta, cos come afferma la teoria neoclassica, bens da altre forze che agiscono su altri mercati (mercati della moneta, dei capitali, dei beni), dei quali si deve tener necessariamente conto (superando cos il metodo neoclassico del ceteris paribus). In particolare non vi sarebbe necessariamente una relazione inversa fra il salario e loccupazione: una diminuzione del salario potrebbe anche non condurre a un aumento delloccupazione. Per quanto riguarda il tasso di interesse, Keynes mostra come esso, a differenza di quanto affermato dalla teoria neoclassica, non sia il prezzo che equilibra domanda e offerta di beni capitali, cio investimenti e risparmi in un dato mercato. Per spiegare la determinazione di questo prezzo particolare si dovrebbe invece far riferimento a elementi diversi dal mero interagire delle forze di domanda e offerta: in particolare, bisogna riferirsi alla preferenza per la liquidit dei soggetti che operano in un mondo e in una storia caratterizzati dallincertezza. Il problema diventa allora quello di determinare che cosa determini gli imprenditori a fare quel che fanno, posto che la Teoria generale si pu ridurre a questa proposizione: loccupazione quella che i capitalisti decidono di dare, secondo le loro aspettative. Secondo lo stesso Keynes, la teoria si pu riassumere dicendo che, data la psicologia della gente, il livello della produzione e delloccupazione complessiva dipende dallammontare dellinvestimento. La psicologia della gente Al centro del ragionamento di Keynes sta lidea che noi, nella realt, abbiamo soltanto una percezione molto vaga delle conseguenze non immediate dei nostri atti. La nostra conoscenza, in generale e anche per quanto riguarda le decisioni economiche pi importanti, una conoscenza incerta. Il significato in cui Keynes usa questo termine quello per cui si pu dire che sono incerti la prospettiva di unaltra guerra in Europa, o il prezzo del rame e del tasso di interesse di qui a ventanni, o lobsolescenza di una nuova invenzione, o la posizione dei proprietari di ricchezza privata nel sistema sociale tra cinquantanni: Su queste cose non c alcuna base scientifica su cui fondare un qualsivoglia calcolo probabilistico. Noi

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semplicemente non sappiamo. Anche se in condizioni di conoscenza incerta, tuttavia, dovremo prendere delle decisioni, e ci faremo rimuovendo lesperienza passata e dunque sottovalutando la possibilit di mutamenti futuri; oppure fingendoci che lo stato attuale delleconomia sia basato su una corretta ponderazione delle prospettive future (che lassunto epistemologicamente ingenuo della moderna teoria delle aspettative razionali); oppure ammettendo che il nostro giudizio individuale non vale nulla, e che perci ci converr ricorrere al giudizio del resto del mondo, che forse meglio informato. La psicologia di una societ di individui, ciascuno dei quali cerca di copiare gli altri, conduce a ci che Keynes definisce un giudizio convenzionale. Una siffatta concezione del futuro, essendo basata su fondamenta inconsistenti, soggetta a improvvisi e violenti mutamenti. La pratica della calma e della immobilit, della certezza e della sicurezza, improvvisamente viene meno. Nuovi timori e speranze, senza preavviso, vengono a influenzare il comportamento umano. Le forze della delusione potrebbero improvvisamente imporre una nuova convenzione. Tutte queste piacevoli, elaborate tecniche fatte per una sala delle riunioni lussuosamente arredata e per un mercato appropriatamente regolato possono crollare da un momento allaltro. In ogni momento, vaghi timori panici e ugualmente vaghe e ingiustificate speranze non sono del tutto acquietati e giacciono solo di poco sotto la superficie. Il fatto che la nostra conoscenza sia incerta ha dunque come conseguenza principale la fragilit, la precariet dellequilibrio del sistema. Leconomia capitalistica come economia monetaria Per Keynes lanalisi tradizionale dellequilibrio capitalistico difettosa in quanto non riuscita a isolare correttamente le variabili indipendenti del sistema: risparmio e investimenti non sono le determinanti del sistema, bens i risultati gemelli delle determinanti del sistema, che sono la propensione al consumo, la scheda dellefficienza marginale del capitale e il saggio di interesse. Queste determinanti sono esse stesse complesse e ciascuna suscettibile di essere influenzata da cambiamenti prospettivi delle altre. Le variabili dipendenti sono il volume delloccupazione e il reddito nazionale (misurato in unit di salario). Per Keynes lequilibrio capitalistico non solo possibile, ma anche normale, nel senso che un qualche equilibrio si d sempre. Tuttavia normalmente esso iniquo. E perfettamente possibile che la domanda (effettiva) uguagli il reddito, ma normalmente luguaglianza fra domanda e offerta sul mercato della moneta e sul mercato dei beni si accompagna allesistenza di disoccupazione involontaria (il marxiano esercito industriale

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di riserva). Uneventuale diminuzione del salario, comunque ottenuta, non un rimedio alla disoccupazione, poich non determina necessariamente una modifica delle aspettative e perci delle decisioni dei capitalisti, dalle quali dipende il volume delloccupazione. Nella determinazione dellequilibrio capitalistico i prezzi sono del tutto secondari rispetto allinvestimento e alla moneta; mentre per la teoria ortodossa vero il contrario. Per Keynes (come per Marx) lequilibrio classico (e per Keynes anche lequilibrio neoclassico) - un equilibrio che esiste come unico, stabile (e ottimo in un qualche senso) - non affatto il caso naturale, necessario e generale. Tutta lopera di Lord Keynes intende dimostrare che i postulati della teoria classica sono applicabili soltanto a un caso speciale e non al caso generale, alla situazione che essa assume essere un punto limite delle possibili soluzioni di equilibrio. Inoltre, le caratteristiche del caso speciale presupposto dalla teoria classica risultano non essere quelle proprie alla societ economica nella quale effettivamente viviamo, con la conseguenza che il suo insegnamento fuorviante e disastroso se si tenta di applicarlo ai fatti dellesperienza. In questo quadro assume unimportanza centrale la visione keynesiana dellequilibrio capitalistico come equilibrio monetario: limportanza della moneta scaturisce essenzialmente dal fatto che essa costituisce un legame fra presente e futuro. A causa di questa propriet della moneta, gli effetti di aspettative mutevoli circa il futuro delle attivit correnti non possono essere discussi altro che in termini monetari. Qui Keynes concede che a Marx si deve unosservazione feconda:
La natura della produzione nel mondo reale non , come gli economisti sembrano spesso supporre, un caso del tipo Merce-Denaro-Merce, cio inteso a scambiare una merce contro denaro al fine di ottenere unaltra merce. Questo pu infatti essere la prospettiva del singolo consumatore, ma certamente non quella del mondo degli affari: che dal denaro si separa in cambio di una merce soltanto al fine di ottenere pi denaro, secondo un processo del tipo Denaro-Merce-Denaro.

Cio un processo inteso a ottenere pi denaro per chi lo muove anzich al soddisfacimento dei bisogni dei consumatori. Keynes prende subito le distanze da Marx, sostenendo che di tale osservazione Marx far un uso altamente illogico. Il punto di partenza, tuttavia lo stesso: noi non viviamo in una real-exchange economy, bens in una monetary economy of production. Moneta e saggio di interesse La domanda totale di moneta (L) pu essere considerata la somma di due componenti: la prima, dovuta ai moventi delle transazioni e a quello

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precauzionale, dipende dal livello del reddito [L1(Y)]; la seconda, dovuta al movente speculativo dipende dal livello del tasso di interesse [L2(i)]. L = L1(Y) + L2(i) Lintera domanda di moneta risulta composta di una parte che dunque insensibile rispetto alle variazioni del tasso di interesse, e di una parte decrescente al crescere del tasso di interesse:

Lofferta di moneta pu essere invece considerata rigida rispetto al tasso di interesse, in quanto viene discrezionalmente decisa dalla Banca Centrale, in funzione di determinati obiettivi di politica monetaria (graficamente essa sar cos rappresentata da una linea verticale). Ora il tasso di interesse viene determinato a quel livello che rende eguale la domanda e lofferta di moneta (cio assicura lequilibrio di mercato). Se per esempio lofferta pari a M1, il tasso corrispondente sar i1 e la quantit di moneta richiesta a scopi speculativi sar pari alla differenza M1-L1. Se la Banca Centrale aumenta lofferta fino al livello M2 vi sar un ribasso del tasso fino a i2, ma questo effetto non pu essere ottenuto con qualsiasi incremento della liquidit. Infatti se il tasso di interesse si trova gi al livello i3, non sar pi possibile scendere al di sotto di esso a causa della trappola della liquidit. Lopinione di Keynes che il tasso di interesse determinato non da fenomeni reali (come la domanda di investimenti o lofferta di risparmio), bens da grandezze puramente monetarie, cio dalla domanda e dallofferta di moneta. Si tratta perci di spiegare le circostanze che influenzano lo stato del mercato monetario. La relazione tra domanda di moneta e tasso di interesse dipende dal fatto che esiste un movente speculativo, cio il desiderio di detenere risorse in forma liquida allo scopo di trarre vantaggio

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dal mercato (in particolare dal mercato dei titoli, lucrando una differenza tra il prezzo corrente ed il prezzo futuro). Lincertezza circa il corso futuro del saggio di interesse , secondo Keynes, lunica spiegazione intelligibile della domanda speculativa, che dipende dal rapporto tra il saggio corrente e le aspettative circa un saggio normale o sicuro. Se i inferiore al normale, gli operatori, attendendosi generalmente un suo aumento e una futura diminuzione delle quotazioni, preferiranno detenere moneta anzich titoli, e la domanda speculativa sar elevata. Infatti la domanda speculativa varia inversamente rispetto al tasso di interesse. A tassi di interesse molto elevati essa si annulla, poich tutti gli operatori, attendendosi un ribasso verso un livello normale di i, temono che la perdita in conto interessi sia cos forte da non essere compensata dal guadagno in conto capitale dovuto allaumento della quotazione di mercato. Per contro vi sar un livello molto basso di i in corrispondenza del quale lattesa del suo rialzo e di una diminuzione del valore di mercato dei titoli talmente generale (se non unanime) che tutti vogliono vendere i titoli stessi in cambio di moneta speculativa, anche se la loro quotazione elevata. Il saggio di interesse, in questo contesto, non una ricompensa per il risparmio o lastinenza come tali; infatti se un uomo tesaurizza i suoi risparmi in denaro, non percepisce alcun interesse bench risparmi esattamente tanto quanto prima: il saggio di interesse invece la ricompensa allabbandono della liquidit per un periodo determinato. Esso misura la riluttanza di coloro che possiedono la moneta ad abbandonare il loro controllo liquido su di essa; esso non il prezzo che porta allequilibrio la domanda di mezzi da investire con la disposizione a astenersi dal consumo presente; il prezzo che equilibra il desiderio di tenere ricchezza in forma di denaro con la quantit di denaro disponibile. Questa preferenza per la liquidit richiede per una spiegazione: perch mai vi dovrebbe essere qualcuno, al di fuori delle mura di un manicomio, che desideri usare la moneta come riserva di ricchezza? La spiegazione keynesiana che, per motivi in parte ragionevoli, in parte istintivi, il nostro desiderio di tenere moneta come riserva di ricchezza un barometro del nostro grado di sfiducia nelle nostre capacit di calcolo e nelle nostre convenzioni sul futuro. Sebbene questo nostro atteggiamento verso la moneta sia esso stesso convenzionale o istintivo, esso opera, per cos dire, a un livello pi profondo delle nostre motivazioni. Esso subentra nei momenti in cui le pi superficiali, pi instabili convenzoni si sono indebolite: il possesso della moneta culla la nostra inquietudine, e il premio che noi pretendiamo per dividerci da essa la misura della nostra inquietudine.

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Capitale, investimenti e animal spirits Mentre la teoria neoclassica determina il valore dello stock di capitale sulla base del tasso di interesse che risulta dal confronto tra domanda e offerta dei servizi dei beni capitali, per Keynes lefficienza marginale del capitale il tasso di profitto atteso, ci che limprenditore mosso dai suoi animal spirits e in condizioni di conoscenza incerta - si aspetta di ottenere, e non ci che egli otterr davvero: lefficienza marginale del capitale va definita in termini dellaspettativa di reddito e del prezzo corrente dellofferta del capitale: essa dipende dal saggio atteso di rendimento in termini di moneta, se questa venisse investita in un dato capitale di nuova produzione; non dal risultato storico di ci che un investimento ha reso rispetto al suo costo originario se si guarda indietro a ci che ha fruttato quando la sua vita giunta al termine. Lammontare effettivo dellinvestimento corrente dipender da un confronto tra lefficienza marginale del capitale e il saggio di interesse corrente, poich si realizzeranno soltanto quei progetti di investimento per i quali lefficienza marginale maggiore, o almeno uguale, al saggio di interesse corrente. Da ci deriva che lincentivo a investire dipende in parte dallefficienza marginale del capitale (dalle aspettative degli imprenditori), e in parte dal saggio di interesse. Per Keynes il rendimento del capitale dipende dal fatto che esso (artificialmente) scarso. Ci sufficiente per consigliare di non dire che il capitale produttivo: assai meglio dire che esso fornisce, nel corso della sua vita, un reddito maggiore del suo costo originario. Lunica ragione per la quale un bene capitale offre una prospettiva di rendere, durante la sua vita, servizi aventi un valore complessivo superiore al suo prezzo di offerta iniziale perch esso scarso; e viene mantenuto scarso a causa della concorrenza del saggio di interesse: se il capitale diviene meno scarso, il suo rendimento rispetto al costo diminuir, senza che diminuisca la sua produttivit fisica. Equilibrio capitalistico e disoccupazione La teoria keynesiana si pu riassumere cos: data la psicologia della gente, il livello della produzione e delloccupazione complessive dipende dallammontare dellinvestimento. Pi esaurientemente, la produzione totale dipende dalla propensione al tesoreggiamento, da come la politica monetaria influenza la quantit di moneta, dallo stato di fiducia relativamente al rendimento futuro dei beni capitali, dalla propensione alla spesa, e dai fattori sociali che influenzano il livello del salario monetario. Di questi diversi fattori sono per quelli che determinano il tasso dellinvestimento, quelli dei quali ci si pu fidare di meno, perch sono

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quelli che sono influenzati dalle nostre previsioni sul futuro del quale sappiamo cos poco. Quando loccupazione cresce, il reddito reale aggregato cresce. La psicologia della collettivit tale che quando il reddito reale aggregato cresce, il consumo cresce, ma non quanto il reddito. Di conseguenza i datori di lavoro avrebbero delle perdite se destinassero lintero aumento di occupazione alla soddisfazione dellaumento nella domanda per il consumo immediato. Cos, per giustificare ogni dato ammontare di occupazione vi deve essere un ammontare di investimento corrente sufficiente ad assorbire leccesso della produzione totale rispetto a quanto la collettivit sceglie di consumare quando loccupazione al livello dato. Se non vi fosse questo ammontare di investimento, i ricavi degli imprenditori sarebbero minori di quanto occorre per indurli ad offrire quel dato ammontare di occupazione. Ne segue perci che, data quella che chiameremo la propensione al consumo della collettivit, il livello di equilibrio delloccupazione, cio il livello al quale non vi alcun motivo perch i datori di lavoro nel complesso espandano o contraggano loccupazione, dipender dallinvestimento corrente. Lammontare di investimento corrente, a sua volta, dipender da quello che chiameremo lo stimolo a investire; e lo stimolo a investire si vedr che dipende dalla relazione fra la scheda di efficienza marginale del capitale e il complesso dei tassi di interesse su prestiti di varie scadenza e rischi. Cos, data la propensione al consumo e il saggio di nuovo investimento, vi sar un solo livello di occupazione compatibile con lequilibrio; poich qualsiasi altro livello condurrebbe a una disuguaglianza fra il prezzo di offerta aggregata della produzione nel complesso e il suo prezzo di domanda aggregata. Questo livello non pu essere maggiore della piena occupazione, cio il salario reale non pu essere minore della disutilit marginale del lavoro. Tuttavia non vi alcuna ragione in generale per aspettarsi che esso sia uguale alla piena occupazione. La domanda effettiva associata alla piena occupazione un caso speciale, che si realizza soltanto quando la propensione al consumo e lo stimolo a investire stanno fra loro in una relazione particolare. Questa relazione particolare, che corrisponde ai presupposti della teoria classica, in un certo senso una relazione di ottimo. Tuttavia pu esistere soltanto quando, per caso o per disegno deliberato, linvestimento corrente fornisce un ammontare di domanda giusto uguale alleccesso del prezzo di offerta aggregata della produzione corrispondente alla piena occupazione, rispetto a quanto la collettivit sceglier di spendere in consumi quando pienamente occupata. Nella teoria classica (e neoclassica) si suppone invece che la domanda effettiva assuma sempre un valore uguale al prezzo di offerta aggregato, per qualsiasi ammontare di occupazione. Ci come dire che la

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domanda effettiva, anzich avere un unico valore di equilibrio, un serie infinita di valori tutti ugualmente ammissibili; cosicch il volume delloccupazione in un equilibrio neutrale per tutti i valori delloccupazione stessa, fuorch per il suo valore massimo: la concorrenza fra gli imprenditori spinger il volume delloccupazione verso tale valore massimo, che lunico punto di equilibrio stabile. Per Keynes, al contrario, in ogni situazione data vi un unico livello di occupazione compatibile con lequilibrio, e tale equilibrio stabile anche se loccupazione non piena. A ci basta che la domanda aggregata sia uguale allofferta aggregata (e che in presenza di variazioni negli investimenti si abbia una variazione nel reddito commisurata al moltiplicatore). Questa analisi ci fornisce, secondo Keynes, una spiegazione del paradosso della povert nel bel mezzo dellabbondanza:
caratteristica saliente del sistema economico in cui viviamo che, mentre soggetto a fluttuazioni severe per quanto riguarda la produzione e loccupazione, esso non violentemente instabile. In effetti esso sembra capace di permanere in una condizione cronica di attivit subnormale per un periodo considerevole, senza una tendenza marcata n verso la ripresa n verso il collasso complesso [...]. Una situazione intermedia, n disperata n soddisfacente, la nostra sorte normale.

Lo schema keynesiano A differenza di un modello di equilibrio economico generale, il ragionamento di Keynes parte dallidea che i mercati non siano tra loro indipendenti. Se analizziamo le condizioni di equilibrio I(i) = S(Y) M = L(i, Y) vediamo che nessuna di esse in grado di realizzarsi per le variazioni di una sola variabile. Il mercato della moneta esercita un effetto sul mercato delle merci, attraverso linfluenza del tasso di interesse sugli investimenti, ed il mercato delle merci, determinando il livello di Y, esercita un effetto sul mercato della moneta, attraverso la domanda per transazioni. Lordine causale delle relazioni keynesiane si presenta allora nel modo seguente. Innanzitutto occorre considerare i fattori che determinano il livello della domanda effettiva e degli investimenti: le aspettative (E) che possiamo assumere come esogene, ed il livello del tasso di interesse (i) che dipende, data la preferenza della liquidit, dallofferta di moneta (M). La domanda effettiva determina il livello del reddito (Y), e quindi quello del risparmio (S = Y-C) che serve a finanziare la domanda autonoma costituita dagli investimenti (I). In un certo senso il mercato della moneta precede nellordine causale il mercato delle merci.

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Tale ordine pu essere rappresentato come segue:

E E i M I Y N

Il mercato della moneta dipende dallo stato delle aspettative (E), che influenza la forma e la posizione della domanda di moneta L(i), nonch della moneta in circolazione (M). Questo insieme di circostanze determina il livello del tasso di interesse (i): E i M Lammontare degli investimenti (I) che corrispondono a un certo tasso di interesse, secondo una domanda di investimenti I(i), dipende a sua volta dalle aspettative:

E i I

Il volume degli investimenti insieme allammontare dei consumi, dipendenti dalla propensione al consumo della collettivit, determina il livello del reddito:

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Y1 rappresenta il reddito di equilibrio, dato il livello degli investimenti. Ad esso corrisponde un certo livello di occupazione.

Si noti che lequilibrio sul mercato della moneta e sul mercato dei beni (anche se questo in equilibrio nel senso particolare di eguaglianza expost, ma non tra grandezze decise ex-ante), si realizza senza che ci implichi necessariamente equilibrio sul mercato del lavoro. Infatti nel grafico loccupazione corrispondente al reddito di equilibrio Y1 inferiore al livello di piena occupazione N*. Per Keynes il mercato del lavoro non pu essere descritto come mercato tendente allequilibrio, in virt di una domanda e di unofferta in funzione di una stessa variabile. Lunica condizione che Keynes introduce che i salari monetari non possono essere inferiori al livello corrente w0, cio: w w0 In ci non implicita nessuna idea di equilibrio inteso come eguaglianza fra domanda e offerta. Ne consegue una differenza essenziale con il modello neoclassico: Keynes non ipotizza il pieno impiego della capacit produttiva n che il livello di occupazione sia quello di pieno impiego.

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Attualit di Keynes Lopinione comune circa le cosiddette politiche keynesiane che esse consistano in qualche generica forma di spesa pubblica, intesa a innalzare la domanda effettiva a un livello pi alto di quello che altrimenti si avrebbe con i soli consumi e investimenti privati, a un livello possibilmente pari a quello che comporta la piena occupazione. A questa interpretazione spuria della lezione keynesiana hanno contribuito il keynesismo bastardo (nel senso di Joan Robinson, di riduzione della Teoria generale a caso particolare della teoria neoclassica dellequilibrio economico generale), che riduce la ricetta keynesiana a un rilancio della domanda effettiva accompagnato da un taglio dei salari; e il keynesismo criminale (secondo la definizione di Marcello De Cecco), di cui il nostro paese ha avuto lunga e rovinosa esperienza. In Italia Keynes ha spesso suscitato forti antipatie, a destra come a sinistra. A sinistra, quasi sempre per ignoranza. A destra per ragioni pi serie. Keynes, probabilmente, non se ne sarebbe meravigliato: Queste franche conclusioni di un economista possono essere interpretate in un senso sia conservatore che rivoluzionario. [...] Cos credo proprio di essere stato capace, una volta tanto, di accontentare tutti. Il pensiero di Keynes realmente pericoloso, poich comporta una riflessione e una scommessa sui fini, anzich sui mezzi, che la politica pu e deve darsi in questo mondo. Questo mondo, il capitalismo decadente, internazionale ma individualistico, a Keynes non piace: Non intelligente, n bello, n giusto, n virtuoso, n si comporta come dovrebbe. In breve non ci piace e anzi stiamo cominciando a detestarlo. Ma quando ci domandiamo che cosa mettere al suo posto, siamo estremamente perplessi. Per quanto perplesso, anzi proprio per questo, Keynes non un conservatore. Infatti esclude che i difetti di questo mondo possano essere emendati applicando la dottrina del laissez faire, di cui confuta i princpi metafisici e denuncia le conseguenze: Se lo scopo della vita di cogliere le foglie dagli alberi fino alla massima altezza possibile, il modo migliore di raggiungere questo scopo di lasciare che le giraffe dal collo pi lungo facciano morire di fame quelle dal collo pi corto. I difetti pi evidenti della societ economica nella quale viviamo sono, per Keynes, l'incapacit a provvedere una occupazione piena e la distribuzione arbitraria e iniqua della ricchezza e del reddito. Keynes nega, con eccellenti argomentazioni teoriche, che possa essere lui - il grande capitano di industria, il maestro individualista - che ci condurr per mano in Paradiso. Dunque dovr intervenire il governo. Questo non significa che il governo debba sostituirsi all'impresa privata:
Dobbiamo tendere a separare quei servizi che sono tecnicamente sociali da quelli che sono tecnicamente individuali. Lazione pi importante dello stato si riferisce non a quelle

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attivit che gli individui privati esplicano gi, ma a quelle funzioni che cadono al di fuori del raggio d'azione degli individui, a quelle decisioni che nessuno compie se non vengono compiute dallo stato. La cosa importante per il governo non fare ci che gli individui fanno gi, e farlo un po meglio o un po peggio, ma fare ci che presentemente non si fa del tutto. [...] Il nostro problema di elaborare unorganizzazione sociale che sia la pi efficiente possibile, senza offendere le nostre nozioni di un soddisfacente sistema di vita.

E impressionante che i difetti pi evidenti della societ economica nella quale viviamo siano oggi gli stessi che Keynes denunciava nel 1936: l'incapacit a provvedere una occupazione piena e la distribuzione arbitraria e iniqua della ricchezza e del reddito. Questa persistenza patologica non trova spiegazioni convincenti nellantropologia e nellanalisi economica reazionarie; mentre la possono spiegare la Teoria generale di Keynes e la miopia dei conservatori: La difficolt sta nel fatto che i leaders capitalisti nella City e in parlamento non sono capaci di distinguere i nuovi strumenti e le misure per salvare il capitalismo da quello che loro chiamano bolscevismo. Per lunghi periodi il keynesismo pu anche essere sembrato dominante, in forme pi o meno oneste di spesa pubblica. Keynes ha certamente autorizzato un intervento, diretto o indiretto, a sostegno della domanda effettiva e dunque delloccupazione. Lidea era che soltanto by accident or design la domanda effettiva, per consumi e per investimenti, avrebbe coinciso con la produzione corrispondente al pieno impiego, e che perci un intervento attivo del governo normalmente sarebbe stato necessario. Anche questo tipo di intervento oggi potrebbe essere utile. Anzich il Keynes del breve periodo, tuttavia, il Keynes radicale cui si dovrebbe pensare, anche perch ce ne sono le condizioni (non anche la volont politica). Questo Keynes, il Keynes del capitolo 24 della Teoria generale, sulla filosofia sociale verso la quale la teoria generale potrebbe condurre, in verit non ha mai dominato, in nessun governo e in nessuna universit. Eppure vi si trovano analisi e disegni di estremo interesse. Che cosa si dovrebbe fare, e si potrebbe fare, se davvero si condivide il giudizio che la disoccupazione e lineguaglianza sono dei mali da guarire? Secondo questo Keynes si dovrebbero fare tre cose:
1. Nelle condizioni contemporanee laumento della ricchezza, lungi dal dipendere dallastinenza dei ricchi, come in generale si suppone, probabilmente ostacolato da questa. Viene quindi a cadere una delle principali giustificazioni sociali della grande disuguaglianza delle ricchezze. [...] Per mio conto, ritengo che vi siano giustificazioni sociali e psicologiche per rilevanti disuguaglianze dei redditi e delle ricchezze, ma non per disparit tanto grandi quanto quelle oggi esistenti. Vi sono pregevoli attivit umane che richiedono il movente del guadagno e lambiente del possesso privato della ricchezza affinch possano esplicarsi completamente. Inoltre, lesistenza di possibilit di guadagni monetari e di ricchezza privata pu istradare entro canali relativamente innocui pericolose tendenze umane, le quali, se non potessero venir soddisfatte in tal modo, cercherebbero uno sbocco in crudelt, nel perseguimento sfrenato del potere e dellautorit personale e in altre

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forme di autopotenziamento. meglio che un uomo eserciti la sua tirannia sul proprio conto in banca che sui suoi concittadini. [...] Ma per stimolare queste attivit e per soddisfare queste tendenze non necessario che le poste del gioco siano tanto alte quanto adesso. Poste assai inferiori serviranno ugualmente bene, non appena i giocatori vi si saranno abituati. Per non deve confondersi il compito di tramutare la natura umana col compito di trattare la natura umana medesima. Sebbene nella repubblica ideale sarebbe insegnato, ispirato o consigliato agli uomini di non interessarsi affatto alle poste del gioco, pu essere pur tuttavia saggia e prudente condotta di governo consentire che la partita si giochi, sia pure sottoponendola a norme e limitazioni, fino a quando la media degli uomini, o anche soltanto una sezione rilevante della collettivit, sia di fatto dedita tenacemente alla passione del guadagno monetario. 2. Ora, sebbene questo stato di cose sarebbe affatto compatibile con un certo grado di individualismo, esso significherebbe tuttavia l'eutanasia del rentier e di conseguenza l'eutanasia del potere oppressivo e cumulativo del capitalista di sfruttare il valore di scarsit del capitale. Oggi linteresse non rappresenta il compenso di alcun sacrificio genuino, come non lo rappresenta la rendita della terra. [...] Potremmo dunque mirare in pratica (non essendovi nulla di tutto ci che sia irraggiungibile) a un aumento del volume di capitale finch questo non fosse pi scarso, cosicch linvestitore senza funzioni non riceva pi un premio gratuito: e a un progetto di imposizione diretta tale da permettere che lintelligenza e la determinazione e labilit del finanziere, dellimprenditore et hoc genus omne (i quali certamente amano tanto il loro mestiere che il loro lavoro potrebbe ottenersi a molto minor prezzo che attualmente) siano imbrigliate al servizio della collettivit, con una ricompensa a condizioni ragionevoli. 3. Lo Stato dovr esercitare uninfluenza direttiva circa la propensione a consumare, in parte mediante il suo schema di imposizione fiscale, in parte fissando il saggio di interesse e in parte, forse, in altri modi. Per di pi, sembra improbabile che l'influenza della politica bancaria sul saggio di interesse sar sufficiente da s sola a determinare un ritmo ottimo di investimento. Ritengo perci che una socializzazione di una certa ampiezza dellinvestimento si dimostrer lunico mezzo per consentire di avvicinarci alloccupazione piena; sebbene ci non escluda necessariamente ogni sorta di espedienti e di compromessi coi quali la pubblica autorit collabori con la privata iniziativa. [...] Non la propriet degli strumenti di produzione che importante che lo Stato si assuma. Se lo Stato in grado di determinare lammontare complessivo dei mezzi dedicati ad aumentare gli strumenti di produzione e il saggio base di remunerazione per coloro che li possiedono esso avr compiuto tutto quanto necessario. Inoltre la necessarie misure di socializzazione possono essere introdotte gradualmente e senza apportare una soluzione di continuit nelle tradizioni generali della societ.

Proporre queste tre ricette (redistribuzione della ricchezza e del reddito, eutanasia del rentier, e una socializzazione di una certa ampiezza dell'investimento) come strumenti per combattere la disoccupazione e l'ineguaglianza pu sembrare una predica. Esse si reggono invece su analisi difficili da liquidare, tanto che il problema viene spesso rimosso definendo la disoccupazione e lineguaglianza come fenomeni naturali. Citando Paul Valery, Keynes ricorda che i conflitti politici distorcono e disturbano nella gente il senso di distinzione tra questioni di importanza e questioni di urgenza e che dunque il cambiamento economico di una societ cosa da realizzare lentamente. E vero che il cambiamento economico di una societ un processo lento, poich richiede consenso politico circa un diverso

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modello di societ, diverso circa la strada da prendere anzich restare in un centro inesistente. Eppure Keynes sicuro che
il potere degli interessi costituiti assai esagerato in confronto con la progressiva estensione delle idee. Non per immediatamente, [...] giacch nel campo della filosofia economica e politica non vi sono molti sui quali le nuove teorie fanno presa prima che abbiano venticinque o trentanni di et, cosicch le idee che funzionari di Stato e uomini politici e perfino gli agitatori applicano agli avvenimenti correnti non probabile che siano le pi recenti. Ma presto o tardi sono le idee, non gli interessi costituiti, che sono pericolose sia in bene che in male.

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La critica di Sraffa

La critica alla teoria neoclassica del valore e della distribuzione stata sviluppata a partire dal dibattito sul concetto di capitale, sulla funzione aggregata di produzione e sul ritorno delle tecniche in seguito alla pubblicazione di Produzione di merci a mezzo di merci (1960) di Piero Sraffa. In questo libro schematico ed enigmatico si dimostra, in un centinaio di pagine, limpossibilit di concepire il capitale come una merce, di cui il profitto possa essere considerato il prezzo, essendo il capitale in realt un insieme di mezzi di produzione eterogenei. Da ci consegue che il capitale non pu essere dato, cio misurato in termini di valore, indipendentemente dalla determinazione dei valori delle merci che lo costituiscono e anteriormente ad essa. Se questo non possibile, allora non possibile nemmeno misurare il prodotto marginale del capitale, e nemmeno quello del lavoro. Pertanto non esiste la possibilit di risolvere il problema distributivo adottando limpianto marginalista, che calcola il profitto e il salario dequilibrio proprio sulla base dei prodotti marginali di capitale e lavoro. Ne deriva che larmonia distributiva postulata dai neoclassici non dimostrabile: non esiste nessun livello naturale del salario, e di conseguenza nessuna configurazione distributiva del prodotto sociale dequilibrio. Esistono invece limiti alquanto ampi entro i quali le quote distributive possono variare, e entro tali limiti la situazione viene determinata in primo luogo dalle influenze storiche esercitate dalle forze sociali e politiche. Lo scopo principale di Produzione di merci a mezzo di merci enunciato nel sottotitolo: Premesse a una critica della teoria economica, e ancora nella Prefazione: carattere particolare della serie di proposizioni che vengono ora pubblicate che esse, per quanto non si addentrino nellesame della teoria marginale del valore e della distribuzione, sono state tuttavia concepite cos da poter servire di base per una critica di quella teoria. Oggetto dellanalisi la relazione che corre, in un dato momento di un sistema economico, tra i prezzi relativi e le grandezze distributive. Lobiettivo lelaborazione di una teoria economica che giunga alla determinazione dei prezzi delle merci e delle variabili distributive in maniera indipendente dal concetto di scarsit relativa dei fattori produttivi. Lanalisi di Sraffa si struttura su uno schema del processo economico che non presuppone lagire delle forze della domanda e dellofferta come determinanti dei valori di equilibrio. La visione del sistema di produzione e di consumo che si ricava di un processo circolare; la stessa visione propria del Tableau conomique di Quesnay e degli schemi di riproduzione di Marx.

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Consideriamo uneconomia in cui si produce pi del minimo necessario per la reintegrazione e vi quindi un sovrappi da distribuire. Si producono tre merci base: a1, a2, a3. Una merce si dice base quando entra direttamente o indirettamente nella produzione di tutte le altre merci. I metodi di produzione sono unici per ogni merce e differenti tra di loro, pur esibendo tutti rendimenti di scala costanti. In realt non si vuole limitare largomento al caso di industrie a rendimenti costanti. Se tale supposizione pu riuscire di qualche aiuto, non c nessun male a che il lettore ladotti come temporanea ipotesi di lavoro. In realt per largomento non comporta alcuna limitazione del genere. Non viene qui considerato alcun cambiamento nel volume della produzione e neppure alcun cambiamento nelle proporzioni in cui i diversi mezzi di produzione sono usati in ciascuna industria, cos che la questione se i rendimenti siano costanti o variabili non sorge nemmeno. Lindagine riguarda esclusivamente quelle propriet di un sistema economico che sono indipendenti da variazioni nel volume della produzione e nelle proporzioni tra i fattori impiegati. Questo il punto di vista degli economisti classici da Adamo Smith a Ricardo, sommerso e dimenticato in seguito allavvento della teoria marginale. Le incognite sono rappresentate dai prezzi relativi delle tre merci presenti nel sistema (p1, p2, p3) e dalle variabili distributive, cio del salario e del saggio del profitto (w, r). L1, L2 e L3 sono le quantit di lavoro annualmente impiegate nelle industrie che producono rispettivamente a1, a2, a3. I coefficienti tecnici di produzione sono rappresentati da aij, con i, j = 1, 2, 3 (aij indica la quantit di bene i-esimo impiegata nella produzione del bene j-esimo): a1 p1 = (a11 p1 + a21 p2 + a31 p3) (1+r) + L1 w a2 p2 = (a12 p1 + a22 p2 + a32 p3) (1+r) + L2 w a3 p3 = (a13 p1 + a23 p2 + a33 p3) (1+r) + L3 w Lalgebra elementare ci dice che questo un sistema di tre equazioni in cinque incognite. E ragionevole ritenere uniforme, nelle tre sfere della produzione, il livello di w e r. Vale infatti la definizione di concorrenza propria dei classici che presuppone luniformit del saggio del profitto, ovvero lassenza nel lungo periodo - di ostacoli allingresso di nuove imprese nei diversi settori. Il sistema risulta sottodeterminato. Possiamo allora prendere come unit di misura il primo bene e quindi porre p1 = 1. A questo punto il sistema ancora sottodeterminato, ma pu muoversi con un grado di libert. Questo significa che, fissata una variabile distributiva (per esempio w), laltra (r) risulta di conseguenza determinata, e il sistema chiuso.

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La conclusione la seguente: in un mondo con pi merci, date le sole condizioni tecniche di produzione (la matrice dei coefficienti tecnici), e una delle due variabili distributive (poniamo il salario), mediante un sistema di equazioni simultanee si determinano i prezzi che assicurano il pareggio del bilancio nelle diverse industrie e laltra variabile distributiva (cio il saggio del profitto). Viceversa se si ponesse come dato il saggio del profitto, il quale suscettibile di esser determinato da influenze estranee al sistema della produzione, e particolarmente dal livello dei tassi di interesse monetario, si determinerebbero i prezzi e laltra variabile distributiva (cio in questo caso il salario). Poich a seconda del valore dato a una variabile distributiva cambia il valore dellaltra variabile distributiva, lo schema di Sraffa mostra come non vi sia un unico salario o profitto di equilibrio, ma vi siano, dal punto di vista logico, infinite configurazioni distributive ammissibili. Questa una profonda differenza con la teoria tradizionale. Per la teoria tradizionale, la distribuzione del reddito non che la conseguenza necessaria delle dotazioni iniziali dei soggetti e delle scelte che essi hanno compiuto relativamente al consumo e alla produzione. Nella concezione di Sraffa, invece, e proprio come nella concezione di Ricardo, la distribuzione del reddito non dipende soltanto dalle condizioni della produzione: vi anche una componente esogena. Affermare che la remunerazione dei fattori della produzione, lavoro e capitale, ovvero la distribuzione del reddito tra salario e profitto, esterna alle condizioni della produzione significa negare che esistano leggi di mercato che univocamente e necessariamente stabiliscano una giusta retribuzione dei fattori. Allinterno di Produzione di merci a mezzo di merci lopposizione tra le variabili distributive diventa una propriet logico matematica del sistema economico reale che pu essere illustrata in termini generali ricorrendo a un sistema tipo:
Possiamo dire che se R il rapporto tipo, cio il massimo saggio del profitto, e w la proporzione del prodotto netto tipo che va ai salari, il saggio del profitto sar: r = R(1-w) Ne deriva che quando il salario venga gradualmente ridotto da 1 a 0 il saggio del profitto aumenta in proporzione diretta della riduzione complessiva del salario. Questa relazione pu essere rappresentata graficamente da una linea retta [inclinata negativamente].

La teoria del valore dopo Sraffa: critica e ideologia Nellimpostazione di Sraffa, il problema dei classici (e di Marx) quale sia lorigine e la sostanza del valore delle merci, e con esso il problema marxiano della trasformazione - vengono soppressi. Sraffa pretende di ristabilire Marx senza la metafisica e la terminologia

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hegeliana. Tuttavia i fini cui Karl Marx e Piero Sraffa mirano le loro analisi non sono gli stessi. Il fine ultimo al quale tiene Marx svelare la legge economica del movimento della societ moderna, la quale non un solido cristallo, ma un organismo capace di trasformarsi e in costante processo di trasformazione. Mentre Il Capitale una critica integrale delleconomia politica, in Produzione di merci a mezzo di merci Sraffa pubblica delle premesse a una critica della teoria economca. Le verit qui pubblicate sono verit enunciate come tali, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno una qualche importanza diretta per la politica pratica. Il risultato che dopo Sraffa non ci sarebbe pi bisogno di una teoria del valore. Nello schema teorico di Sraffa, i coefficienti del sistema di equazioni simultanee da cui si ottengono i prezzi e il saggio del profitto, dato il salario (o il salario, dato il saggio del profitto) possono essere espressi in quantit di lavoro, ma una teoria del valore lavoro diventa superflua. Come scrive lo stesso Sraffa, nel sistema tipo il saggio del profitto si presenta come un rapporto fra quantit di merci, senza bisogno di ricorrere ai loro prezzi, ed curioso che in tal modo siamo posti in grado di esprimere i prezzi in una misura che non sappiamo di cosa consista: i prezzi delle merci possono essere considerati indifferentemente come espressi o nel prodotto netto tipo o nella quantit di lavoro che [...] sappiamo equivalente al prodotto netto tipo. Nello schema di Sraffa, in altre parole, possibile, ma non necessario (dunque superfluo) ricondurre i prezzi di produzione alle quantit di lavoro. Cos, per battere neoclassici e marginalisti, si devono indebolire tutte le categorie marxiane. bens vero che il sistema dei prezzi di Sraffa pu essere interpretato come quel sistema di prezzi atto a garantire la riproduzione del sistema economico nel tempo (anzich come strumento capace di allocare in maniera efficiente risorse scarse in un dato momento, cos come vuole lottica neoclassica della scarsit). Nulla si dice tuttavia di quanto avviene allinterno della fabbrica, luogo capitalistico del lavoro umano. Daltra parte Sraffa ci dice che per determinare i prezzi e il saggio del profitto, cos come non occorre riferirsi a quantit di lavoro, non occorre nemmeno riferirsi a utilit soggettive (e quindi diventa superflua anche una teoria del valore utilit, la quale risente inoltre di tutti i vizi logici messi in luce nelle Premesse a una critica della teoria economica). La teoria dei prezzi diviene cos completamente autonoma, da un punto di vista logico, da qualsiasi teoria del valore. Quando ci si chieda se la struttura economica della societ retta da uno scambio tra uguali oppure da un rapporto di sfruttamento, la teoria del valore non per una parte della teoria economica come le altre, che si possono giudicare erronee per il principio di non contraddizione

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quando non rispettano le regole del calcolo, o superflue per il principio di Occam quando le rispettano. Come ha notato Claudio Napoleoni,
con questa rinuncia alla teoria del valore si perde molto. Si perde, pi precisamente, leconomia. Ma tenendo conto dello status delleconomia prima di Sraffa, un bene che questa perdita sia accaduta [...]. Egli obbliga, per ragioni che a questo punto dovrebbero essere evidenti, a ricominciare tutto da capo.

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Letture consigliate

M. Dobb, Theories of Value and Distribution since Adam Smith. Ideology and Economic Theory, Cambridge 1973; trad. it. Storia del pensiero economico, Editori Riuniti, Roma 1974. Keynes J. M., The End of Laissez-faire (1926), in The Collected Writings, vol. IX, Macmillan, Londra 1972; trad. it. J. M. Keynes, La fine del laissez-faire e altri scritti, Bollati Boringhieri, Torino 1991.
http://www.panarchy.org/keynes/laissezfaire.1926.html

Keynes J. M., The General Theory of Employment, Interest, and Money, Macmillan, Londra 1936; trad. it. Occupazione, interesse e moneta. Teoria generale, UTET, Torino 1947. http://etext.library.adelaide.edu.au/k/keynes/john_maynard/k44g/k44g.html Keynes J. M., The General Theory of Employment, The Quarterly Journal of Ecomomics, 1937; trad. it. J. M. Keynes, La fine del laissez-faire e altri scritti, Bollati Boringhieri, Torino 1991. Marx K., Das Kapital: Kritik der politischen konomie (1867, 1885, 1894), Dietz, Berlino 1947-49; trad. it. Il capitale. Critica delleconomia politica, Editori Riuniti, Roma 1965-68. Quesnay F., Franois Quesnay et la physiocratie, Presses Universitaire de France, Parigi 1958; trad. it. Il Tableau conomique e altri scritti di economia, ISEDI, Milano 1973. Ricardo D., On the Principles of Political Economy and Taxation, 1821; trad it. Sui principi delleconomia politica e della tassazione, ISEDI, Milano 1976. http://oll.libertyfund.org/files/113/0687.01_LF.pdf Smith A., An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, 1776; trad. it. Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, ISEDI, Milano 1973.
http://www.econlib.org/LIBRARY/Smith/smWN.html

Sraffa P., Produzione di merci a mezzo di merci. Premesse a una critica della teoria economica, Einaudi, Torino 1960.

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Giorgio Lunghini

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