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STORIA DEL PENSIERO ECONOMICO

Libro: dispense per frequentanti, Masini

L’economia è una risposta a delle domande che nel tempo diventano fondamentali. Non esiste una teoria
economica cumulativa che faccia piazza pulita del passato perché raggiunge livelli più elevati di sapere.

Popper: ideologia delle rivoluzioni scientifiche di tipo liberale. Teoria della falsificazione: ciò che bisogna fare
è andare a cercare qualcosa che dimostri il contrario rispetto a quello che si tenta di dimostrare.
Khun: visione più tradizionale rispetto a Popper, visione che implica una crescita di tipo più o meno
cumulativo che va avanti per paradigmi. La riflessione scientifica, anche in campo economico e sociologico,
nasce da delle anomalie esistenti che si cerca con una nuova teoria di sanare.

Triangolo ai cui vertici: 1. Eventi che impattano sull’economia: come l’economia ha creato trasformazioni
sociali e viceversa come l’economia ha sfruttato le trasformazioni sociali; 2. Teorie economiche; 3. Politiche
economiche. La pretesa della storia del pensiero economico è quella di tentare di ricostruire quello che sta
dentro a questo triangolo, cioè il modo in cui questi tre operatori logici dialogano tra loro: gli eventi sono
probabilmente derivati da precedenti scelte o sono stati guidate dalle teorie, e a loro volta hanno dato vita a
nuove scelte politiche e teorie economiche. La storia del pensiero economico è principalmente una
ricostruzione del contesto.

PENSIERO PRE-CLASSICO
La produzione anche scritta che c’è stata da parte di questi autori è stata la più varia: questi autori non sono
economisti, si tratta invece di mercantilisti.
Il mercantilismo è una dottrina economica che domina la storia dal ‘500 al ‘700. Da i diversi contesti e
diverse esperienze di vita, i mercantilisti tirano fuori dei concetti economici che non esauriscono la loro
potenzialità con il pensiero mercantilismo, ma che verranno ripresi e modificati nel corso del tempo.
Ciò che li accomuna sono due fattori: 1. La visione comune della circolazione della ricchezza; 2. La visione
comune delle dinamiche economiche.
Una delle caratteristiche principali dei mercantilisti è l’analisi diretta dei fenomeni economici: visione sul
campo, vita giornaliera come modo di validare le proposizioni scientifiche ed economiche.
Quali sono i presupposti teorici del mercantilismo?
Cameralismo (bullionismo) ed evidenza empirica.
Il bullionismo è l’“antenato” del mercantilismo. I bullionisti erano più che altro consiglieri del sovrano,
gestivano la politica economica (es. Colbert). La loro teoria sosteneva che lo Stato si arricchisse riempiendo
le casse del sovrano  più moneta = più ricchezza. Da questi il mercantilismo riprende sia l’idea della forza
statale che l’interesse collettivo (potenza di uno stato, economica e militare: stato forte, pensiero
colonialista).
A metà del ‘500 vi fu la grande inflazione spagnola: gli spagnoli vanno in America latina e importano
quantità massicce di oro e argento  questo aumenta l’inflazione in maniera esponenziale e diminuisce il
potere d’acquisto della moneta spagnola. Nello stesso periodo iniziano i grandi scambi commerciali.

La parte teorica più forte della teoria mercantilista sono le tre teorie della bilancia commerciale (EX – IM). La
bilancia commerciale fornisce un’idea della situazione in cui lo Stato si trova. I mercantilisti vedevano
domanda e offerta di beni come un prodotto istituzionale: è lo Stato che decide come sta messa la bilancia
commerciale, come stanno domanda ed offerta. La politica economica in questo senso ha un ruolo decisivo,
plasmando i rapporti di scambio a proprio vantaggio. Ai mercantilisti ciò che importa è la prosperità del
proprio stato.

Aumentando le esportazioni vi è un grande afflusso di moneta. Il bullionismo voleva un grande afflusso di


moneta, ma al tempo stessa voleva che il sovrano lo tenesse nelle proprie tasche. I mercantilisti vedono
invece nell’afflusso di moneta un investimento: investimento significa produzione. Tutte quelle monete
entrano in circolo ed arricchiscono quelli che producono. Un altro aspetto fondamentale dell’aumento delle
esportazioni è che aumentando le vendite sempre di più, si aprono nuovi mercati e nuovi sbocchi (es.
l’Inghilterra vendeva merce in tutto l’ambito coloniale).
Aumento delle esportazioni  aumento della moneta  aumento dei mercati in cui commerciare.

Tre teorie della bilancia commerciale


1. Profit upon alienation
Il profitto si fa solamente con l’alienazione: l’unico modo per arricchirsi è vendere le merci. Il profitto si fa
con la forza, il profitto individuale si fa con il commercio.
2. Teoria della bilancia commerciale attiva
Aumentare l’oro della nazione, non permettere il deflusso di capitali verso l’estero, le importazioni devono
essere molto ridotte. Da un punto di vista di politiche economiche sta a significare protezionismo: tariffe
sulle importazioni, dazi doganali. All’apice della potenza delle monarchie assolute europee si riteneva che il
commercio internazionale fosse da ampliare ma in senso stretto: scambiare senza importare troppe merci.
3. Potenzialità produttive
Es. mentre un sacco di grano può essere riutilizzato per produrre altre merci, mentre un tappeto no.
Venivano importati materiali primari a poco prezzo (es. importare il grano da un paese significa che quello è
un paese agrario) e venivano prodotti e rivenduti beni di lusso (ciò che costa)  esportare beni di lusso fa
guadagnare, ma i paesi che li acquistano con quei beni non ci fanno niente (es. i tappeti finiscono nelle case
degli aristocratici); si importano invece i beni primari e si usano internamente (es. grano x alimentazione).
Da qui deriva il concetto della bilancia del lavoro. I redditi del paese esportatore in questo modo li paga il
paese importatore, quindi l’estero: i salari dei lavoratori ad esempio vengono remunerati dall’esterno.
Questo sarà parte di due critiche che vengono mosse al mercantilismo.

Critica di Hume
I sovrani iniziano a spendere, vogliono tutta una serie di lussi che necessitano la spendita di denaro. Vi è
tutta una serie di ruoli lavorativi nuovi (es. colui che affresca un palazzo, architetto, ecc). I soldi, quindi,
dall’essere in un forziere, vengono immessi nell’economia. Questo rapido aumento dell’attività economica è
ben visto dai mercantilisti. Hume studia però ciò che accade in Spagna e Portogallo nel ‘500: il circolo di
moneta scalda l’attività economica finché non arrivano monete dall’estero attraverso conquiste coloniali.
Questo produce un aumento dei prezzi: si surriscalda la moneta, si alza l’inflazione. All’epoca questo
aumento dei prezzi non era mal visto (dovrebbe aumentare la produzione): il problema è che mancava
l’aumento del potere d’acquisto della moneta. Questo perché si tratta di Spagna e Portogallo nel ‘500, due
economie che non avevano un bacino di produzione ampio, perché non industrializzate: viene offerta
moneta in più ma gli individui non sanno che farsene, non si può comprare più merce perché non c’è merce
a sufficienza a corrispondere a questa maggiore quantità di moneta. Inoltre, l’inflazione sfavorisce le
esportazioni.
La domanda di moneta deve essere uguale all’offerta di moneta  Md = Mo
Nel contesto spagnolo e portoghese questo non funziona. Hume da questa equazione criticherà il
mercantilismo. Va quindi a scomporre questa equazione degli scambi, dicendo che Md = P (livello dei prezzi)
x T (quantità di transazioni); mentre Mo = M (q di moneta in circolazione) x V (indicatore della velocità di
transazioni).
Ne deriva che PT = MV  P = MV/T
V e T sono variabili esogene (sono fisse). Bisogna quindi concentrarsi sulla quantità di moneta: M influenza
P, c’è quindi un diretto collegamento tra M e P, mentre non influenza V e T. I mercantilisti invece volevano
che M influenzasse V e T. Ne deriva che P = f(M)
Hume afferma quindi che la moneta è come un velo che ricopre il sistema economico ma modifica solo le
variabili nominali e non intacca quelle reali.
Price - specie flow  Hume sostiene, al contrario dei mercantilisti, che l’afflusso di oro comporti un
aumento dei prezzi e quindi un aumento di importazioni e diminuzione di esportazioni.
EXP = f(εPe/Pi)

Cantillon invece afferma che T = MV/P. In un primo momento può succedere che tutti gli agenti economici
vedono questo enorme afflusso di moneta, aumentano le transazioni, l’economia cresce; solo una volta che
l’economia si è assestata cresce l’inflazione, ma oramai l’economia si è assestata su un livello più alto. Vi è
quindi una fase prospera che precede l’assestamento: la grande differenza è che la moneta non è più
neutrale, non ricopre più l’economia, ma è invece il mezzo che penetra il sistema economica e ha la capacità
di modificarlo.

FISIOCRAZIA (1750 – 1780)


I pensatori fisiocratici hanno fatto un passaggio fondamentale che porterà poi all’avvento dell’industria
capitalista.
Lo spazio geografico della fisiocrazia è la Francia, i pensatori sono solamente francesi, l’ambiente culturale
dal quale venivano era l’illuminismo.
Innanzitutto, al contrario del mercantilismo, la fisiocrazia è una vera e propria scuola, la quale fa capo a due
periodici specifici. Si riconosce intorno alla leadership di Francois Quesnay.
Il protezionismo inizia a sfiancare l’agricoltura, iniziano ad essere vistosi gli squilibri tra città e campagna
(lusso e povertà), si inizia a capire che la logica della ricchezza del sovrano e dello Stato non stava
funzionando, bensì stava indebolendo gli stati. Nello stesso periodo la Francia perde tutti i possedimenti in
America del Nord e in Spagna: si perde così una quota importantissima del commercio, si perde un bacino
commerciale enorme  grosso deficit finanziario.
C’è sicuramente una grande differenza tra Francia ed Inghilterra, ma anche una grande comunicazione tra
queste due: i pensatori francesi cominciano a vedere che l’Inghilterra era uscita dal feudalismo, mentre la
Francia ancora non si era liberata dei vincoli medievali, ha un regime politico di tipo assolutistico, un regime
che, in più, schiaccia anche l’agricoltura. Nello stesso periodo nasce però una borghesia agraria che cerca di
superare l’agricoltura di sussistenza tipica del feudalesimo: proprietari terrieri stufi di questo assetto che
non porta profitto né guadagni ma solamente rendite  sistema basato su uno scambio di ricchezza non
ingente. Inoltre, questa nuova classe è stufa anche dei dazi imposti tra i territori interni.
I pensatori fisiocratici iniziano quindi a vedere che l’Inghilterra si era liberata di ogni retaggio del
feudalesimo, soprattutto in termini di rapporti sociali  si creano nuove classi, nuove dinamiche tra
produttori e lavoratori.
Fenomeno dell’accumulazione: i proprietari terrieri, gli imprenditori, cominciano a mettere da parte le
ricchezze, smettono di far circolare la stessa moneta nello stesso circolo, ma cominciano a reinvestirla.
Nasce il lavoro salariato e l’industrializzazione delle campagne. L’imprenditore accumula ricchezza e la usa
per acquistare nuovi macchinari: aumenta la produttività e aumentano i salari  aumentando i salari, la
domanda interna aumenta nettamente.
La visione alla base del pensiero fisiocratico è sostanzialmente la visione di un processo economico come
distribuzione della ricchezza. Questa visione così radicata in una distribuzione dell’economica si va ad
intrecciare con una visione filosofica, fideistica: in questo senso non si può scindere la filosofia
dall’economia.
Visione idealistica di un mondo che può raggiungere davvero la perfezione, adeguandosi a quelle che sono
le leggi naturali: il pensiero fisiocratico è molto imbevuto di questa visione romantica, illuminista, che però
viene relativizzata a livello economico  i fisiocratici credevano davvero che ci fosse un ordine naturale
delle cose e che l’uomo, lo Stato, dovessero rispondere a delle leggi naturali al fine di raggiungere l’interesse
collettivo. Questo non è fine a sé stesso, ma si completa in una visione politica, che scansa il passato
mercantilista: rivalutazione dell’individuo, rivalutazione della libertà individuale e di impresa.
Se è vero che c’è un ordine naturale perfetto e delle leggi di natura da seguire, sono gli individui a dover
scegliere come, quando e come  ‘magia della società’: ognuno lavora per sé e per il proprio interesse, ed
è giusto così, ma ciascuno, lavorando per sé, contribuisce a un benessere collettivo  bilancia psicologica:
l’individuo risponde a delle leggi di comportamento insite dentro di lui, le persone sono pronte a lavorare
per sé ma anche per creare una società migliore.
Le leggi naturali sono conoscibili attraverso l’analisi scientifica: l’economia per la prima volta con i fisiocratici
diventa suscettibile di studio scientifico.

Francois Quesnay
Inventa un modello economico che lui studierà attraverso un modello analitico. Con questo modello egli
vuole semplificare il sistema economico e le relazioni tra i vari sistemi economici stessi.
Agricoltura come fonte più importante di reddito di una nazione: la Francia era un paese feudale ed
agricolo, non esisteva proprio l’industria francese.
TABLEAU ECONOMIQUE
Modello generale di equilibrio, equilibrio circolare che studia una condizione di ottimo. Questo modello
studia lo scambio: produzione  scambio  distribuzione del reddito.
La rivoluzione di questa visione è che per i fisiocratici la virtus generativa della ricchezza derivava dalla
produzione: dire che la produzione genera ricchezza è un pensiero capitalista.
Modello statico, che parte da zero e va a crescere. Vi è una divisione in gruppi a seconda del loro rapporto
con la crescita economica:
1. Classe produttiva, ovvero la classe agricola;
2. Classe sterile, ovvero gli artigiani, coloro che secondo Quesnay non fanno altro che modificare
prodotti già creati dalla classe produttiva;
3. Classe oziosa, ovvero i proprietari terrieri, che non svolgono alcun tipo di attività produttiva, ma
percepiscono solamente la rendita (guadagnano e spendono).
L’anticipazione altro non è che un antenato dell’investimento. Queste anticipazioni sono divise in quattro
tipologie, le quali sono tutte necessarie per il processo produttivo:
1. Capitale fisso: quello che viene investito per cose che stanno ferme, ad esempio le infrastrutture;
2. Anticipazioni per la messa a coltura del terreno;
3. Altrettanti capitali fissi, in questo caso per aiutare il lavoratore nello svolgere le sue mansioni;
4. Capitale circolante per la sussistenza del lavoratore (remunerazione) e per la preparazione del
suolo.
[foto su dispense]
Il proprietario terriero anticipa e avvia la produzione. I beni prodotti dalla classe sterile e dalla classe
produttiva vengono comprati dalla classe oziosa, la quale immette così denaro nel mercato  la classe
produttiva acquista prodotti per migliorare produzione; la classe sterile compra prodotti dalla classe
produttiva per sopravvivere. Immettendo denaro nel mercato si crea un sovrappiù.
Crescita  surplus o prodotto netto, sovrappiù. Cos’è? Motore della crescita economica, quello che esce in
più dalla produzione. È la differenza fra il valore degli input e il valore dei prodotti finali (o output). Questo
sovrappiù è ciò che rimane dopo tutto il processo produttivo, una somma di denaro in più, e viene assorbito
sotto forma di rendita, e poi rimesso in circolazione. Quello che va al lavoratore, quello che viene
remunerato sotto forma di spese, non corrisponde in realtà all’esuberanza della terra (stacco tra ciò che si
investe e si guadagna). Questo è ciò che stimola l’anticipazione.

Adam Smith (1723 – 1790)


Si colloca in un periodo storico in cui si pensava che il protezionismo fosse la cura per i mali di quei paesi il
cui obbiettivo era crescere economicamente.
Contesto prettamente inglese: in quel periodo in Inghilterra c’era la prima rivoluzione industriale.
I due grandi temi da affrontare con Adam Smith sono: a. Teoria dello sviluppo; b. Teoria del valore e del
prezzo.
Innanzitutto, Smith riesce a dare una sintesi completa ai frammenti teorici degli economisti precedenti,
schematizzandoli in maniera chiara ed analitica; da queste considerazioni lui poi trae delle considerazioni di
politica economica liberista che si adattavano perfettamente al nascente capitalismo inglese industriale.
Il problema dell’Inghilterra dell’epoca era a chi vendere i beni prodotti: il bacino interno di mercato non era
così ampio e mancava il bacino internazionale, necessario per un paese che aveva aumentato la sua
produzione. Non solo mancava una giustificazione scientifica al capitalismo, in più i politici avevano un
timore quasi riverenziale nei confronti del mondo accademico-scientifico.
Smith viene dal contesto sociale scozzese dove c’erano le migliori università, al contrario di Ricardo, il quale
era solo un banchiere. Smith diventa solamente alla fine un economista, all’inizio era un filosofo, insegnava
filosofia morale: quello che più l’ha influenzato è stata sicuramente la filosofia del diritto naturale. Iniziano a
fiorire i pensieri di Locke, Hobbes, un filone utilitaristico che credeva nella società civile come il modo
migliore per il fiorire individuale (interesse individuale motore dell’interesse sociale, ma sempre con uno
sguardo al benessere civile).
Teoria dei sentimenti morali, 1759  C’è un ritorno alla visione dell’individuo come punto centrale dello
studio economico. Proprio dalla situazione di capitalismo sfrenato si va a guardare all’individuo e a studiare
il comportamento umano. La teoria dei sentimenti morali non è altro che lo studio del comportamento del
soggetto.
“La massima felicità per il massimo numero”  secondo Smith è come se il comportamento umano fosse
guidato da una serie di istinti naturali che portano senza forzatura a garantire il risultato migliore possibile, è
come se un individuo avesse in sé la stessa matrice, fatta per conciliarsi perfettamente nell’ambiente sociale
(uomo come animale sociale). Garantendoci il meglio singolarmente, creiamo per un movimento naturale
dei nostri istinti, una situazione di sviluppo collettivo. Questo è un egoismo del tutto naturale, l’istinto
proprio di sopravvivenza umana: si pensa al proprio interesse in un contesto sociale e di commercio,
garantendo così la ricchezza della società.
Come fa l’azione egoistica individuale a garantire tutto questo? Tre elementi fondamentali: 1. Capitale; 2.
Terra; 3. Lavoro.
Concetto della simpathy (empatia): tratto, secondo Smith, tipico dell’essere umano, che traduce l’interesse
egoistico individuale in un rapporto collaborativo con coloro che ci circondano. Io, in un rapporto
comunicativo, avverto quello che gli altri pensano di me e, nella mia forma di egoismo individuale, per il
fatto che entro in un rapporto sociale, in un contesto socializzato, questo egoismo si trasforma in altruismo
(scambio con l’altro)  voglio avere un ruolo sociale, voglio che gli altri pensino bene di me, voglio che ciò
che faccio per perseguire il mio interesse mi dia un ruolo sociale. Importanza del riconoscimento sociale: un
grande imprenditore, per esserlo, deve essere riconosciuto anche dagli altri come tale (commistione tra ciò
che sono e ciò che gli altri credono io sia). Il self-interest è quindi temperato dal desiderio di piacere agli
altri, perché passa attraverso un concetto di autostima e percezione del sé.
La ricchezza delle nazioni, 1776  Il capitalista che impiega il proprio capitale nell’industria capitale,
sostiene l’industria nazionale in modo tale che quel prodotto, che l’industria produce, possa garantire il più
alto valore. Questo significa che perseguendo la mia ricchezza individuale, in realtà sto sostenendo lo Stato.
Come dicevano anche i fisiocratici, si comprende che la ricchezza deriva dalla produzione, e gli inglesi, in
piena rivoluzione industriale, lo sapevano bene.
In questo contesto si introduce il concetto della mano invisibile: la mano invisibile non ha niente a che
vedere con il mercato o con l’autoregolazione del mercato. La mano invisibile è questo processo invisibile,
non guidato da nessuno (né Stato né individui) che porta l’interesse individuale a promuovere l’interesse
collettivo e contribuire al benessere collettivo  autoregolazione. Per Smith è molto più efficace ciò che
accade in maniera invisibile piuttosto che l’azione di qualcuno che si muove per ottenere qualcosa: se lo
Stato si muovesse per ottenere lo stesso obiettivo, sarebbe meno efficace di questo processo di
autoregolazione. Lo Stato deve esserci per garantire le infrastrutture, i servizi pubblici e quei servizi che non
fanno arricchire il capitalista (es. scuola pubblica, orfanotrofio)  lo Strato serve a garantire ciò che non
interessa a coloro che investono i propri soldi. Questo laissez-faire non significa che lo stato vada abolito o
che sia inutile: lo Stato serve quando non persegue i propri interessi (non è infatti un individuo, bensì
un’entità astratta, la quale garantisce l’interesse generale).
Qual è la ricchezza per Smith? Cosa per Smith è la misura della ricchezza di un paese? La produttività
nazionale, del lavoro. Fino al ‘700, il mondo era dominato dai paesi più grandi (numero della popolazione),
perché per il mercantilismo la ricchezza era lo scambio (più persone, più scambi). Con Smith si giunge
all’idea che la produttività nazionale è la misura del benessere di un paese, il lavoro annuo determina la
produttività. Stiamo quindi parlando della teoria dello sviluppo: la domanda che Smith si fa è “Cos’è che
aumenta la produttività di un paese?”  Quello che realmente garantisce l’aumento della produttività di un
paese è la divisione del lavoro. La produzione della prima rivoluzione industriale assume il carattere della
sistematicità, del lavoro in serie, in fabbrica ognuno ha il suo ruolo nella catena di montaggio: è la
specializzazione del lavoro ad aumentare la produttività del lavoro stesso, la sua sequenzialità. Importante
poi la capacità di scambiare data dall’aumento della produttività.
Divisione del lavoro  Aumento della produttività  Capacità di scambio, vendita sul mercato
Questa divisione del lavoro, secondo Smith, deve essere proporzionata all’ampiezza del mercato, cioè delle
persone che voglio scambiare: bisogna garantire la ricchezza delle nazioni, si devono arricchire tutti per
garantire la nostra ricchezza (Smith chiaramente si riferiva alla ricchezza inglese). Per aumentare la propria
ricchezza bisogna essere circondati da nazioni con lo stesso obbiettivo, altrimenti si entrerebbe in una crisi
da sovrapproduzione. La divisione del lavoro a questo punto ritorna centrale: se devo far arricchire le altre
nazioni, perché non traslare il concetto di divisione del lavoro a livello internazionale?  Come portarla a
livello internazionale? Libertà di commercio con l’estero.
Vent for surplus: quando una nazione produce più di quanto può consumare, questa va a creare un surplus.
Teoria dei vantaggi (o dei costi) assoluti: il presupposto che vede Smith è il fatto che esistono dei divari di
costo fra i paesi in termini di produzione, non tutti i paesi pagano gli stessi costi per produrre beni diversi. In
una situazione di libertà commerciale ci sarebbe la possibilità di dividere i costi, specializzazione: a livello
nazionale significa un risparmio (si produce nel paese in cui è conveniente), a livello internazionale (più
importante) il costo diminuisce, con un aumento pure della produttività della nazione.

(esempio)
PAESE A PAESE B
Bene X 100 (ore/uomo) 120 (ore/uomo)
Bene Y 130 (ore/uomo) 110 (ore/uomo)
Tot. 230 230
In una situazione di autarchia, il costo mondiale sarebbe pari a 460, ma con una divisione del lavoro si
produrrà il bene X nel paese A (si acquisterà da lì) e il bene Y nel paese B, arrivando così a un costo
nazionale minore (200 per il paese A, 220 per il paese B), ma soprattutto a un costo mondiale che passerà
da 460 a 420 (100 x 2 + 110 x 2). Soluzione per Smith  specializzazione di un paese in uno dei due beni,
andando poi a scambiarlo: al paese B conviene maggiormente acquistare il bene X dal paese A piuttosto che
produrlo internamente, la stessa cosa vale per il paese A riguardo al bene Y. Questa situazione è possibile
solo se c’è la libertà di commercio, che per Smith porta per forza alla divisione del lavoro: il vero motore è la
libertà di commercio, la specializzazione viene dopo. Il paese quando si apre al commercio si rende conto
che è preferibile non esportare beni che non conviene produrre, quando invece costa meno acquistarli
dall’estero  la divisione del lavoro è una conseguenza, avviene solo con la libertà del commercio
internazionale. L’autarchia è una situazione di non commercio, non di non specializzazione: quando poi una
nazione si apre al commercio si rende conto che i costi sono minori  accordo ed equilibrio nello scambio.
Quando si aprono i commerci, i due paesi produttori si accordano su un prezzo per scambiare.
Il libero scambio aumenta l’efficacia complessiva del sistema.

Teoria del valore: secondo Smith ogni bene ha due tipi di valore, il valore d’uso (il beneficio che trai dal
possedere un determinato bene) e il valore di scambio (potere d’acquisto conferito da quel determinato
bene). Bisogna concentrarsi sul valore di scambio  come si determinano i prezzi? Secondo Smith è la
quantità di lavoro necessaria. Due tipi di lavoro inseriti in un bene: lavoro incorporato e lavoro comandato. Il
lavoro incorporato è quello tipico di un contesto in cui c’è una grande disponibilità di terra rispetto al reale
bisogno (lavoro incorporato: quantità di sforzo e di ore che servono per un bene); per Smith questo si
inserisce in un contesto che non c’è più, è un contesto appartenente a una società primitiva.
Il lavoro comandato si inserisce in un contesto economico il cui centro è la scarsità (contesto più
progredito), caratterizzato dall’impiego di terra, capitale e lavoro. Il prezzo si sceglie attraverso la quantità di
lavoro che permette di produrre il bene e di riacquistarlo. Concettualmente: quanto lavoro mi serve pagare
e impiegare per un bene che una volta venduto mi permette di riacquistare altro lavoro. Il prezzo in una
società di scarsità è più alto perché quando pago il lavoro comandato, pago prima la rendita e poi necessito
un profitto. Il lavoro incorporato esiste anche nella società avanzata, ma passa del tutto inosservato di
fronte al valore di gran lunga maggiore del lavoro comandato.

Ricardo
Non era un accademico: ricardo è stato un banchiere, un operatore finanziario, è stato un uomo pratico, ha
avuto a cuore problematiche che hanno avuto effetti proprio in termini di policy.
Ha vissuto nel periodo di una rivoluzione industriale già un po' più consolidata in cui la borghesia industriale
cominciava già a crescere. Inizia la sua carriera leggendo la ricchezza delle nazioni di Adam Smith e inizia a
scrivere i suoi principi di economia politica in maniera un po' più matematica e scientifica rispetto
all’approccio filosofico di Smith. Comincia a costruire un modello economico che ancora rimane insuperato
per il suo rigore logico e sistematicità. Inoltre, quello che separa Smith da Ricardo sono decenni decisivi per
lo sviluppo dell’industria inglese e per il consolidarsi di una mentalità nuova, utilitaristica per il capitalismo,
che Smith non aveva vissuto. La visione di Ricardo è quindi un pochino più realistica del processo economico
e ritiene che il sistema non sia assolutamente capace di autoregolarsi, anzi se non aiutato tende alla stasi.

Teoria dei vantaggi comparati

(esempio)
PAESE A PAESE B
BENE X 100 (costo-opportunità = 0,6) 180 (0,9)
BENE Y 150 (1,5) 200 (1,1)

Secondo la teoria di Smith, al paese A converrebbe essere in una situazione di autarchia. Ricardo critica
questa visione, perché introduce il concetto del costo-opportunità: sacrificio economico che si compie
facendo una scelta produttiva piuttosto che un’altra.
Come si calcola il costo-opportunità? Ad esempio, per il bene Y: 150/100
Il paese A ha un costo opportunità minore nella produzione del bene X, ma maggiore nella produzione del
bene Y. In termini di profitto e accumulazione di capitale, a produrre il bene X si guadagna, ma si perde a
produrre il bene Y. Anche per Ricardo il libero scambio è decisamente preferibile all’autarchia, perché
permette l’accumulazione di capitale.
Questione dei dazi sul grano per difendere i proprietari terrieri  Ricardo dice che lo stato non si deve
mettere in mezzo incentivando il protezionismo per proteggere gli interessi dei proprietari terrieri,
considerati già dai fisiocratici una classe improduttiva.

Teoria della rendita differenziale


Parte dal presupposto che all’epoca di Ricardo l’industrializzazione aveva dato uno scossone in termini di
ricchezza interna, e quindi c’era stato un netto aumento della popolazione. L’Inghilterra aveva vietato
l’importazione di grano per proteggere gli interessi dei proprietari terrieri: tutto il grano che la popolazione
necessitava per sopravvivere doveva essere prodotto internamente.
La teoria della rendita differenziale nasce dalla scarsità. L’economia è lo studio della locazione dei beni in un
sistema di scarsità: qui abbiamo una scarsità in termini agricoli, che in qualche modo deve fare i conti con la
crescente do manda; in più Ricardo nota che c’è un sistema concorrenziale, la concorrenza capitalistica. A
questo punto però si cominciano a mettere a coltura terre sempre meno fertili. Quando c’è un’esuberanza di
terra (produttività > domanda) non esiste la rendita, non esistono dei proprietari terrieri. In una situazione
di scarsità, invece, c’è gente che si appropria delle terre e le affitta.

Barra più alta: situazione iniziale  esuberanza della terra, tolta la parte da dare ai lavoratori, il resto è tutto
profitto. A questo punto si iniziano a mettere sempre più terre a coltura e piano piano vediamo che la
produttività scende (produttività decrescente  fertilità decrescente). Ricardo si chiede se una volta arrivati
alla terra meno fertile (terra marginale) cosa succede? La terra marginale non ha rendita, questo significa
che schiaccia il livello dei profitti, e va a determinarne il livello stesso (in un sistema di concorrenza
capitalistica non può esistere un saggio di profitto diverso dall’altro, altrimenti ci si sposta in un altro
settore).
Dovendo il saggio di profitto essere uguale tra tutte le terre, ciò che avanza è tutta rendita: più la terra è
fertile, più costa. La rendita è ciò che rimane tra salario e profitto, il profitto qui è una c.d. grandezza
residuale.
Qui capitalista e proprietario terriero sono ancora due figure diverse: il proprietario è colui che possiede la
terra, mentre il capitalista è colui che affitta la terra ed avvia la produzione.
Per Ricardo bisognerebbe negare la messa a coltura dei campi infertili, in modo tale da consentire il
riequilibrio di rendite e profitti, anche attraverso le importazioni estere  tutto questo è dovuto alla
concorrenza capitalistica.

Teoria del valore lavoro (incorporato)


Ci si trova in un contesto in cui occorre attaccare la teoria del valore come costo di produzione, a sua volta
derivante dalla concezione di valore come valore-lavoro comandato di Smith. Il valore dipende dall’utilità,
dalla scarsità (e non riproducibilità) e dal lavoro necessario per produrle. Mentre per i beni non-riproducibili
vale unicamente la scarsità, in quanto anche applicando molte ore di lavoro non sarebbero realizzabili, il
valore dei beni riproducibili dipende interamente dal valore necessario a produrli. Ricardo critica, dunque,
Smith per la teoria del valore comandato, in quanto porta ad un ragionamento circolare, tentando di
esprimere il valore sulla base del salario, come se fosse una grandezza invariante, mentre è anch’esso una
merce con un suo valore variabile. Il prezzo invece è la somma del valore + profitto, anch’esso ricondotto al
lavoro pregresso necessario per realizzarlo, mentre la rendita è pari a zero, perché il prezzo si forma sulla
terra marginale, dove per definizione la rendita è nulla. I prezzi relativi, invece, variano in risposta a diverse
quantità di lavoro utilizzato (non di salario, come suggeriva Smith). I prezzi relativi possono variare
indipendentemente dalle variazioni di salario, perché esistono beni a diversa intensità di lavoro e capitale
che richiedono quindi diverse quantità di lavoro incorporato, direttamente applicato alla produzione.

Friedrich List
List, un politico ed economista, ha rivolto una critica a Ricardo: egli contestualizza la libertà commerciale e
ne limita il ruolo. Egli fa parte del filone dei neo-mercantilisti: secondo List, il cui obbiettivo è proteggere
l’economia tedesca, esistono tre tipi di sviluppo economico  1. Agricolo; 2. Industriale; 3. Commerciale.
Lo scambio tra paesi che stanno vivendo una fase di sviluppo diversa sfavorisce l’arricchimento di quello più
avanzato: nello stato più povero arriveranno beni finiti non lavorabili (in Germania), mentre quello più ricco
(Inghilterra) riceverà prodotti primari, i quali, venendo venduti, causeranno un arricchimento sequenziale.

TRA LA SCUOLA CLASSICA E MARX


Contesto storico: Il 1800 porta a un enorme sviluppo economico, sembra che liberalismo abbia vinto e
aperto porte a benessere sociale enorme. Con le industrie cominciano a vedersi prime crepe: ci sono guerre
e un dilagante disagio in classe proletaria. In questo contesto nasce una nuova classe, quella borghese,
caratterizzata dalla libertà impresa, commerciale e proprietà privata, potere della macchina, concorrenza,
risparmio (= investimento); questa classe è sicura di poter assicurare processo sociale e che il liberalismo
economico porti alla felicità umana. In questi anni di capitalismo e imperialismo, l’economia resta ancora
legata alla filosofia e all’etica.
Sismondi
Figura quasi più vicina a Marx: critica la scuola classica in termini socialisti. Lascia intravedere, tra la visione
ideologica, dei bagliori analitici. Muove inoltre una critica verso Ricardo e Smith, accusandoli di aver portato
avanti un calcolo gelido e asettico. Ponendo che ricchezza = produzione, di che ricchezza si parla? Si tratta
sempre di profitti, non di ricchezza generale  i salari rimangono sempre al minimo livello della sussistenza.
Ma, se i salari sono al livello della sussistenza, si va a privare il mercato del bacino di domanda interna: si è
di fronte a una popolazione in una situazione di indigenza, non viene sfruttata l’opportunità di allargare il
mercato. Lasciando la situazione secondo quanto indicato da Ricardo e Smith si entrerebbe in una crisi di
sovrapproduzione.
Jean-Baptiste Say
Gli anni tra il 1767 e il 1832 aprono la strada ad obiezioni più analitiche mosse alla scuola classica. Say è
imbevuto di fisiocrazia ma dall’Inghilterra prende l’idea dell’industria: unisce, così, due mondi.
Temi principali: a) Come arricchire il popolo; b) Condizioni di vita del sistema economico basato sulle
transazioni di moneta.
Si nota una grande influenza da parte della fisiocrazia: egli crede nell’ordine naturale e nella legge naturale,
all’economia spetta scoprire queste leggi. La differenza sta nel fatto che Say le ricerca nei fatti e le sottopone
alle prove della realtà. Riprende il concetto di valore/utilità tipicamente francese (fisiocrazia), parte da
Smith e lo unisce alla valutazione del consumatore stesso. Studia le relazioni funzionali tra il costo, il prezzo
e la valutazione del consumatore: elaborazione organica del fenomeno distributivo, come si distribuiscono i
prodotti in un mercato.
La produttività del lavoro non va considerata in base a quante merci vengono prodotte, ma in base al valore
di merce prodotta. Il valore da attribuire ai fattori produttivi (macchine e salari) è da considerare in base al
valore della merce stessa, rilevante è l’importanza che quel bene ha per i consumatori. Il valore/prezzo dei
mezzi di produzione rispecchia il valore del prodotto che viene prodotto. Imprenditore è colui che fornisce
una prestazione produttiva e il compenso che riceve è il prezzo che pone sul mercato, ma dipende dalla
valutazione consumatori  Tutto questo può avvenire in un regime di concorrenza perfetta, dove i prezzi di
tutti i fattori dipendono da quello dei prodotti finiti.
Legge di Say o legge degli sbocchi
Ricerca di condizione di equilibrio tra domanda e offerta: l’offerta crea la domanda.
Mentre Sismondi si preoccupa di una produzione illimitata (crisi di sovrapproduzione), Say al contrario dice
che i prodotti si scambiano con i prodotti: domanda e offerta complessive non sono indipendenti l’una
dall’altra.
Prodotti si scambiano con prodotti: incrocio tra offerta e domanda, grazie al quale è possibile remunerare
tutti quanti. Tutti guadagnano dal processo di scambio, e attraverso questo si creano nuovi scambi.
Creo bene, lo vendo, guadagno e compro altri beni dall’offerta creo la domanda.
Ci si trova in un contesto sempre capitalista e di concorrenza perfetta. Se si va in crisi di sovrapproduzione, i
capitali si spostano e si torna a equilibrio. Nel lungo periodo la domanda aggregata equivale l’offerta
aggregata, evitando una crisi sovrapproduzione.
Say, pur rendendosi conto dei limiti della teoria, afferma che compito dell’economia è definire concetti
generali del consumo.
Prima offerta e poi domanda: viene considerato un apologista del laissez-faire, ma in realtà per lui scienza
economica deve osservare le dinamiche e semplificarle in modelli, non avere un compito di indirizzo.
DIBATTITO SULLA LEGGE DI SAY
Mercantilisti: il risparmio equivale alla disoccupazione, mentre la spesa equivale alla ricchezza
Smith: risparmio  investimenti  ricchezza
Ricardo: si trova d’accordo non solo per quanto riguarda le merci, ma anche i capitali. Non si rischia una crisi
di sovrapproduzione.
Sismondi: è il salario a portare al consumo.

Walras
Teoria sintetica dell’attività economica  è importante perché è il primo a teorizzare equilibrio economico
generale; trova anche un modo grafico per rappresentare l’equilibrio, attraverso un sistema che ha il fine di
capire e studiare come si forma il prezzo sul mercato. Mentre il valore di scambio è astratto, il prezzo è
concreto.
Come si mette in equilibrio il mercato sulla base del prezzo (sempre regime di concorrenza perfetta,
modello ideale ma consapevole che la realtà è diversa)?
Evitare i dettami o la politica economica, è necessaria unicamente l’analisi. Da Ricardo in poi solo Keynes dà
ricette di politica economica.
Ipotetico meccanismo di bilanciamento tra variabili economiche (costi dei fattori produttivi – quantità):
NUMERARIO  selezionare un bene e assumerlo come unità di conto (per x beni si avranno x-1 equazioni di
offerta e domanda e x-1 di equazioni dei prezzi).
Approfondisce poi il ragionamento concependo l’attività economica come interazione tra 3 gruppi di
mercati: 1. Prodotti; 2. Servizi produttivi; 3. Capitali.
Cosa ci dice l’equilibrio di Walras? Ciascuno di questi mercati, per mezzo di movimenti (prezzi che scendono
e salgono), porta domanda ed offerta ad eguagliarsi. Ciascun movimento di prezzi in ciascuno di questi
mercati ha effetto sugli altri, interdipendenti tra loro con al centro i prezzi che portano ad eguagliare
domanda e offerta. Ciascun movimento di prezzi ha quindi effetto sugli altri mercati.
L’imprenditore è una figura tra il mercato prodotti e i servizi produttivi e corre rischio più grande: rischia
infatti di non guadagnare se il prezzo della vendita è minore del servizio produttivo.
La condizione di equilibrio si ha quando domanda aggregata – offerta aggregata = zero
I prezzi sono una variabile indipendente e la principale incognita, la quale si può muovere e aggiustarsi sino
a quando non raggiunge l’equilibrio.
Curva offerta e domanda in situazione non di equilibrio.
Teoria dell’equilibrio
L’utilità è il prezzo economico centrale: i prezzi sono indipendenti e sono dati solo dalle scelte del
consumatore. Walras introduce un nuovo concetto, il “tentativo – esplorazione”: i prezzi all’interno di un
sistema economico tendono tutti quanti ad eguagliarsi, questo all’interno di diverse tipologie di mercati. Il
consumatore non subisce più il prezzo ma lo crea.
Banditore di Walras

Malthus
Era un religioso, non un economista né accademico. Avrà poi una cattedra di economia politica. Ricardo era
un Malthusiano, poiché Malthus studiò urbanizzazione e popolazione.
Saggio sulla popolazione
Ha una visione negativa influenzata dall’Inghilterra dopo la rivoluzione industriale: si ha uno spopolamento
delle campagne, la popolazione aumenta ma in una situazione di indigenza totale, vi è degrado sociale e
alta mortalità infantile. L’Inghilterra non è indipendente per la sussistenza.
Malthus ritiene che alla lunga questo non sia sostenibile: la popolazione cresce in proporzione geometrica
(2, 4, 8, 16), mentre la produzione in proporzione aritmetica (2, 4, 6)
Egli è contrario alle leggi per aiutare i poveri (poor laws) perché secondo lui avrebbe tolto risorse alla classe
sociale fondamentale, quella dei proprietari terrieri, ovvero coloro che consumano.
La soluzione sta nel controllo demografico:
- Positivo: aumenta il tasso di mortalità (guerre, carestie);
- Negativo: diminuisce il tasso di fertilità.
La povertà non è un prodotto istituzionale ma derivante dal comportamento dei poveri che, pur in
mancanza di mezzi di sussistenza, continuano a procreare.
Gli sono state mosse delle critiche in quanto non è statistico e considera, inoltre, i rendimenti agricoli come
stabili, i quali, però, si sono rivelati crescenti grazie all’avanzamento tecnologico.
Teoria della rendita differenziale
Elabora anche lui una teoria della rendita differenziale, diversa da quella Ricardo: per lui rappresenta
un’ottima soluzione.
Vi sono sempre tre classi:
1. Lavoratori: i salari sono al livello di sussistenza, questi quindi consumano il minimo indispensabile;
2. Imprenditori agricoli: il profitto viene reinvestito per la produzione, non ci sono consumi;
3. Proprietari terrieri: con la rendita possono spendere, quindi consumano.
Per Malthus i proprietari terrieri devono arricchirsi: è quindi favorevole ai dazi sul grano e ai privilegi dei
proprietari terrieri stessi.

Marx
Nasce nel 1818 da una famiglia borghese, cresce in pieno romanticismo e nella cultura filosofica che ha poi
portato ai movimenti del ’48.
Marx si stacca un po' da quello che era il contesto filosofico e si avvicina al giornalismo, a Bruxelles incontra
Engels grazie a cui si avvicina all’economia. Per quanto sia importante la preparazione filosofica di Marx, in
realtà, come sottolinea anche Schumpeter, non è rilevante per la sua visione economica. Marx partecipa al
1848 tedesco, ma questi sono stati fallimentari. Dopo questi si sposta a Londra.
Marx critica il sistema capitalistico di produzione: non è un sistema astorico, bensì guarda a quello che è il
contesto. Lui si emancipa molto da quello che era il pensiero socialista del tempo, dei suoi contemporanei.
Quello che era il pensiero socialista del tempo era molto idealista, utopico, molto poco scientifico. Marx
voleva criticare il sistema di produzione capitalistico in termini scientifici, innanzitutto perché prende parte
alla fede nazionalistica, e quello che abbracciava questa idea dell’analisi scientifica era lo scoprire le leggi
dell’evoluzione storica (studiare le leggi del passato per vedere come hanno influenzato il presente, e come
questo presente è destinato a fallire ed implodere).
La visione marxiana si basa su due premesse teoriche importanti:
1. Interpretazione economica della storia: per Marx l’uomo è concepito come il produttore sociale dei
propri mezzi di sussistenza. Marx pensa che ci sia un aspetto di socialità all’interno del processo
produttivo, perché secondo lui la produzione si realizza sulla base di determinati rapporti umani,
che a loro volta dipendono dal grado di sviluppo delle forze produttive, le quali non sono altro che
la struttura economica della coesistenza umana. Sopra questa struttura economica si eleva la
sovrastruttura: secondo lui l’economia politica è la scienza dei rapporti sociali di produzione, ed è la
struttura che genera i bisogni della sovrastruttura  da questa base teorica deriva tutta
l’interpretazione economica della storia di Marx: varie fasi dello sviluppo delle forze produttive (il
cambiare dei mezzi di produzione) hanno portato a diversi momenti storici: mutandosi le forze
produttive, cambiano anche i rapporti sociali, i quali si devono per forza adeguare al nuovo contesto
economico. Con il capitalismo, i nuovi mezzi di produzione e la nuova struttura economica si è
espressa in termini giuridici in rapporti di proprietà, e si è divisa in due classi opposte: proletariato e
capitalisti. La classe dei capitalisti e dei proletari è tale a seconda del loro rapporto con i mezzi di
produzione. La visione economica della storia pone in evidenza l’antagonismo tra le classi, il quale
comporta la precarietà dei rapporti di produzione, perché se ogni volta i rapporti di produzione
mutano, a un certo punto questo conflitto tra classi esplode ed una è destinata a perire: secondo
Marx questo riguarda soprattutto il conflitto tra capitalisti e proletari. Non c’è possibilità che questi
rapporti della produzione possano sostenere secoli di capitalismo borghese. Il materialismo storico
è dunque una visione negativa della storia: questo processo per forza di cose deve portare a
un’implosione del sistema, e in questo sistema struttura e sovrastruttura dialogano costantemente
(la sovrastruttura viene influenzata dalla struttura, cioè dall’economia, perché la sovrastruttura
riflette il rapporto di produzione del momento);
2. Lotta di classe.

Teoria del valore – lavoro


Nel processo di scambio i beni acquistano il profilo sia di valore d’uso che di valore di scambio: per Marx il
suo studio parte dal ritenere le merci tutte uguali. Dalla teoria del valore lavoro scaturisce un concetto che è
centrale per il valore marxiano: riguarda la teoria della produzione e dello scambio, da queste teorie prende
inizio la teoria di Marx riguardante il plusvalore. Per capire cos’è il plusvalore, dobbiamo andare alle radici
dello scambio antico  M – D – M = merce – denaro – merce
Arrivando in un processo di inizio sistema capitalista  D – M – D  è da qui che Marx inizia la teoria del
plusvalore: capisce che nel processo capitalista abbiamo D – M – D1, dove D1 deve essere necessariamente
più grande di D, questo perché ci deve essere qualcosa in questo processo che ha un valore in più, non è
quindi il capitale ad avere in valore in più, ma questo plusvalore va ricercato in M. il passo in avanti che fa
Marx è capire che questa M, per far sì che D1 sia più grande di D, non deve avere un grande valore di
scambio ma un grande valore d’uso, perché se ha un valore di scambio M è il mezzo di scambio tra D e D1:
quale merce ha il valore d’uso che è la fonte del suo lavoro di scambio? La forza lavoro.
Il valore di scambio del lavoro è la quantità di tempo socialmente necessario oggettivato nei mezzi di
sussistenza del lavoratore: questo valore di scambio diventa concreto ed assume un costo, il salario è ai
livelli di sussistenza, non viene pagato di più di quello che è il minimo salariale. Nell’economia marxiana il
lavoratore è sempre pagato il minimo che basta per sopravvivere, anche se lavora di più. La forza lavoro
viene acquistata dal capitalista, il quale la oggettivizza nel processo produttivo: il lavoratore a sua volta
eroga quello che è il suo valore d’uso sui mezzi di produzione e sui beni, e la incorpora in queste merci, le
quali però hanno un valore di scambio, il quale è determinato dalla quantità di lavoro necessario per
produrle. Quindi, il valore di scambio viene determinato da quello che paga il capitalista per disporre della
forza lavoro. Il plusvalore è determinato dal fatto che la forza umana può essere utilizzata per un tempo più
lungo di quello necessario alla produzione di un bene singolo e di quello che viene pagato, c’è quindi un
divario tra quanto viene pagato nei salari e il tempo che il lavoratore lavora. Da questo scollamento tra
quanto può lavorare un individuo e quanto guadagna nasce il plusvalore.

Differenza tra capitale costante e capitale variabile: il capitale costante (c minuscolo) è quello che viene
impiegato per acquistare materie prime e strumenti della produzione, è costante perché non altera il suo
valore ma si limita ad aggiungere valore alla merce prodotta. Il capitale variabile, al contrario, è un capitale
che modifica il suo valore, perché produce sia il suo equivalente che il plusvalore: è il capitale necessario a
pagare i lavoratori  è il lavoro che produce il plusvalore in una misura variabile, a seconda del processo
produttivo.
C = c (capitale constante) + v (capitale variable) + p (plusvalore)
S’ (saggio di sfruttamento o plusvalore) = p/v
Il capitalista potrà: a) Allungare la giornata lavorativa (plusvalore assoluto); b) Ridurre il salario e le ore di
lavoro, aumentando però la produttività del lavoro (plusvalore relativo).
CADUTA TENDENZIALE DEL SAGGIO DI PROFITTO
Il saggio di prodotto è l’incentivo fondamentale dell’attività imprenditoriale, è il motore del sistema
capitalistico, senza il saggio di profitto non esisterebbe la produzione capitalistica.
Questa legge da lui ipotizzata è il motivo secondo il quale si arriverà al crollo inevitabile del sistema
capitalistico. Il saggio di profitto ( = p/(c+ v)) varia a seconda delle quote impiegate tra capitale costante e
capitale variabile: ovviamente deve sempre esserci un saggio positivo, deve esserci più plusvalore.
c + v è il capitale totale
c/v è la composizione organica del capitale: è un indicatore della salute del saggio di profitto, ci dice
sostanzialmente quanto stiamo guadagnando e se stiamo guadagnando.
s’ * v / (c + v) : il saggio di profitto è direttamente proporzionale al saggio di sfruttamento dato dall’impiego
del capitale variabile, e inversamente proporzionale alla composizione organica del capitale (più aumenta la
composizione organica, più diminuisce il saggio di profitto): questo comporta che se io aumento la
composizione organica del capitale (c > v) sto abbassando il saggio di profitto.
Per aumentare il plusvalore, si vuole aumentare la produttività del lavoro, e per fare questo bisogna basare
il lavoro sulla meccanicità della produzione: aumentare c (capitale costante), ma sappiamo che il saggio di
sfruttamento dipende dal capitale variabile e dal saggio di plusvalore  secondo M. ci sarà un momento
della storia in cui aumenteranno le macchine e aumenterà la meccanicizzazione, finché il capitalista non
pagherà più capitale costante che capitale variabile. In questo modo aumenterà la composizione organica:
in una prima fase la meccanicizzazione della produzione porterà a un iniziale arricchimento, quando però
questo processo prende avvio e inizia a dominare la scena capitalista, aumenta nettamente il capitale
costante, perché il capitalista nota che x macchine che compra, moltiplica di x la produttività  si arriva a
sostituire il lavoro con le macchine  se il capitale variabile è a zero, va a zero il saggio di profitto. Questa,
secondo Marx, è la fine inevitabile del capitalismo.

Marx è l’ultimo autore della scuola classica  Quali sono gli elementi fondanti della scuola classica?
Mercantilisti: il valore dipende dai metalli preziosi, tutto deve essere orientato a raccogliere il più possibile
metalli preziosi 2 fasi: bisogna farli entrare e bisogna far in modo che ne entrino più di quanti ne escono.
Con la fisiocrazia c’è un cambiamento paradigmatico: la fonte della ricchezza è la terra, non è più lo scambio
che determina la ricchezza. Questo è un passaggio verso poi la scuola classica, la quale capisce, attraverso
Smith, che il punto è il lavoro che viene applicato alla terra e alla divisione del lavoro stesso, questo crea
produttività che crea ricchezza. Altra grande caratteristica dei classici è che per loro si afferma l’idea che la
società è divisa in tre parti: salariati, capitalisti, latifondisti. Queste tre classi, nei classici, dipendono a loro
volta dalle categorie distributive in cui si distribuisce il prodotto: salario, rendita e profitto.

Il cambiamento paradigmatico avviene con i marginalisti, si parla infatti di rivoluzione marginalista.


Si passa da una visione di un certo tipo del sistema economico a un’altra, radicalmente diversa: si passa a
questo nuovo paradigma tra il 1871 e il 1874, questo si può affermare perché tra il ’71 e il ’74 vengono
pubblicati tre libri da tre diversi autori europei che non si conoscevano tra loro, che fanno ipotizzare un
nuovo paradigma per leggere e interpretare le variabili economiche. Anche in questo caso c’è una fase di
transizione, ci sono autori che precedono la transizione marginalista, seppur non ne fanno parte.
Von Thunen
Scrive sulla base degli assunti ricardiani. È importante perché elabora un modello ne “Lo stato isolato” (’26)
in cui emerge che la rendita è si differenziale ma non dipende dalla fertilità dei terreni, ma dalla diversa
distanza dai centri di scambio. Mentre ricardo sta in Inghilterra dove ci sono chiaramente terre a fertilità
diversa, von Thunen che invece abita in Russia non poteva immaginare una diversa fertilità dei terreni 
secondo lui, abitando vicino a un mercato di sbocco, si ha la possibilità di vendere a un prezzo migliore;
abitando lontano il costo aumenta. Chi detiene quindi le terre più vicine ai centri di smercio riesce ad avere
una rendita migliore.
Cournot
Si pone il problema dei mercati non concorrenziali: i classici si pongono il problema che ci potessero essere
dei mercati di concorrenza. Tutti i classici infatti parlavano, fino a Marx di concorrenza: concorrenza fra
capitalisti, può esserci un solo saggio di profitto. Questo ora cambia: ci sono dei mercati concorrenziali, dove
il profitto viene letto sul mercato, dove nessuno può modificarlo; ci sono poi dei mercati oligopolistici dove è
possibile fissare il prezzo, c’è un potere di mercato.
Gossen
Nel 1854 pubblica un volume delle leggi del commercio umano, in cui espone due leggi fondamentali.
1. La grandezza di un piacere soddisfatto in modo completo e continuo decresce fino alla sazietà. La
soddisfazione dal consumo aumenta ma in maniera meno che proporzionale.

2. L’uomo libero di scegliere tra bisogni diversi ma limitato a un unico vincolo di bilancio, deve
soddisfare tutti i suoi bisogni ma parzialmente, in modo che alla fine, tragga la stessa utilità
marginale dal loro consumo.

Diventa fondamentale il rapporto psicologico che ha l’individuo con i beni  elemento soggettivo invece
che oggettivo della struttura sociale, non più le classi ma due tipi di individui: produttori e consumatori, i
quali entrambi cercano di massimizzare qualcosa (profitto e utilità) sulla base di alcuni vincoli (vincolo di
bilancio per i consumatori, vincolo di tipo tecnico – macchinari a disposizione, per i produttori). Abbiamo
quindi individui, i quali si possono rapportare in maniera diversa rispetto a quelle che sono le loro funzioni
sociali, consumo e produzione.
Il metodo non è più empirico, come era invece in Smith, ma deduttivo: ci si immagina un funzionamento del
sistema economico, dopo di che si va verificare se tenga o meno, analizzando i fatti che si vanno ad
osservare. Si ragiona in termini di margine, cioè in termini dell’ultima unità prodotta e domandata.
Il primo autore è Karl Menger, il quale nasce, vive e prolifica a Vienna, è l’anticipatore di quella che sarà poi
la scuola austriaca di economia.
Menger è quello che da avvio al metodo deduttivo contro quelli che erano i metodi induttivi: conduce
questa battaglia perché in Germania c’è una forte scuola storica, che si era già affermata nei decenni
precedenti, contro la quale si scaglia Menger. La logica di questa scuola storia prevedeva un metodo alla
Smith: analizzare tutti i fatti storici che si sono succeduti, da quei dati empirici si ricavano delle deduzioni di
tipo scientifico. Il metodo della scuola storica tedesca era molto empirico. Menger si scaglia in maniera
violenta contro questi metodi empirici: il problema sta nel creare una struttura logica che sia consistente. La
diatriba sul metodo diventa un punto fondamentale.
Il secondo punto sta nella centralità dell’utilità marginale. Le persone scelgono sulla base dell’utilità
marginale il consumo dei beni. Quello che conta è la dose aggiuntiva, la dose ennesima.
Ultimo elemento che dà il via alla riflessione marginalista: in quegli anni c’è un cambiamento anche nelle
altre scienze che vengono insegnate all’università. Nell’ ‘800 arriva il calcolo differenziali (derivate,
integrali, ..): incorporando questa analisi matematica nell’economia, consento all’economia di differenziarsi
dalle altre scienze sociali e morali, c’era bisogno di affrancare questa nuova disciplina dalle altre discipline
etiche  era una battaglia di potere. L’utilità marginale si calcola attraverso il calcolo marginale.
Menger fa proprie tutte e due le leggi di Gossen: c’è una legge del consumo che porta a un decrescente
aumento di utilità, e soprattutto c’è una ripartizione del consumo sulla base di9 utilità marginale. Menger è
il primo che4 costruisce quella che verrà poi denominata “tabella mengeriana”.

Questa tabella rappresenta il consumatore di fronte a delle scelte di consumo. I numeri romani
rappresentano i beni primari  es. bene I: l’acqua. I, II, III, etc. rappresentano la gerarchia dei beni secondo
la necessità dei singoli individui. I bisogni vengono gerarchizzati sulla base delle priorità, e a ciascuno di loro
viene “affibbiata” un’utilità, i cui gradi sono indicati dai numeri arabi. Questo rispecchia la seconda legge di
Gossen. Homo economicus: proprio in quanto razionale, l’uomo massimizza la sua utilità in base ad un
vincolo di bilancio. Il marginalismo è una rivoluzione perché il comportamento degli individui si rifà a una
logica unitaria matematicamente rappresentabile.

Jevons
Fa parte della corrente dei marginalisti. Nasce a Liverpool nella seconda metà dell’‘800 da un padre
economista, per i suoi studi sceglierà però la botanica. Si trasferisce poi a Sydney, dove si avvicina
all’economia; dopo questo avvicinamento torna in Inghilterra: qui comincia a parlare di sostenibilità delle
risorse come il carbone  scrive “The Coal Question”, in cui si interroga sul futuro dell’industria inglese
dopo la fine del carbone.
Paradosso di Jevons: si può aumentare il consumo di risorse con tecnologie più sofisticate; questo comporta
un consumo del prodotto sempre maggiore. Questo ha come conseguenza l’abbassamento dei prezzi di
produzione: si abbassa quindi il prezzo di vendita del prodotto per renderlo più accessibile alle masse.
Jevons ragiona sul lungo periodo in termini di sostenibilità: si inizierà a parlare di sostenibilità solo dal 1950
Al contrario degli altri marginalisti la sua analisi è induttiva non deduttiva.
All’interno del marginalismo centrale è il concetto di utilità: questo si rifà al bisogno e alla necessità di un
determinato prodotto. Jevons, in particolare, si concentra sulle necessità individuali (individualismo
metodologico) e sull’utilitarismo. Non considera invece la “simpathy” di Smith, della quale Jevons individua
un limite: ognuno esercita la propria simpathy in un modo singolare, modo che dipende molto dal fattore
economico. Riprendendo questo concetto, però, va ad elaborare una nuova teoria: pone l’individuo ed i suoi
bisogni al centro della riflessione  gli individui hanno dei bisogni comuni all’interno della società, per
questo la domanda sul mercato di un prodotto si equivale. Il ruolo dell’investitore in questo contesto è
quello di creare nuove tecnologie, le quali portino a uno sviluppo sostenibile  capacità di creare
tecnologie per abbassare i costi di estrazioni di beni primari come il carbone.

Böhm-Bawerk
Fa il ministro delle finanze per vari governi, ha questo incarico per praticamente dieci anni.
Il tempo nella teoria classica sostanzialmente non c’è: in Smith c’è una prospettiva evolutiva, in Ricardo
questo rimane appena nel concetto di crescita (tempo sostanzialmente meccanico, e comunque
ininfluente). BB dice che il tempo entra come protagonista nella teoria economica e nelle valutazioni
economiche: il tasso di interesse è esattamente il prezzo del tempo  se io decido di risparmiare piuttosto
di consumare significa che io sacrifico delle scelte di consumo oggi. Il tasso di interesse è quindi il sacrificio
per la rinuncia al consumo attuale. Prima il tasso di interesse era semplicemente considerato la
remunerazione del capitale. Nasce l’idea dell’intertemporalità delle scelte.

Fisher
Anche Fisher ha una teoria del tasso di interesse: è interessato alla valutazione degli asset sul mercato.
Prima di Fisher, il valore di un’impresa era considerato come il valore del capitale esistente per l’impresa
stessa (somma dello stato patrimoniale di quell’azienda: uffici, macchinari, etc., al netto delle passività).
Fisher rivoluziona il mercato della valutazione dell’impresa perché osserva che il problema non è lo stato
patrimoniale, ma il conto economico: il valore dell’impresa non dipende che già ha, ma dalle sue
prospettive di generare flussi di cassa. L’intuizione di Fisher è: non contano gli asset già in mano ad
un’azienda, ma conta UNICAMENTE la capacità di generare flussi di cassa, quindi le prospettive di guadagno
dell’impresa. Il tasso di interesse è, quindi, semplicemente, la valutazione sulle prospettive future.

Marshall
Marshall nasce a Clapham, Londra. Quello che interessa a Marshall è capire perché il capitalismo genera
così tante differenze sociali. Questi sono gli anni in cui matematica ed economia si fondono: Marshall è di
fatto un matematico, ma si occupa di questioni economiche  diventa la punta di diamante delle riflessioni
sull’economia dell’‘800.
Marshall entra presto come professore universitario: conosce una studentessa molto brava di 25 anni più
giovane, che condivide con lui molte cose, e soprattutto era molto attenta ai rapporti tra economia e
società. Assieme negli Stati Uniti studiano la formazione del sistema capitalistico in quegli anni: osservano
che molti contesti industriali americani non nascono dalle economie di scala, ma da dei distretti produttivi,
ovvero piccolissime imprese che teoricamente non dovrebbero avere capacità di sviluppare beni
fondamentali come le relazioni con i mercati. Un distretto ha però una forza contrattuale di mercato rispetto
a quella di una singola impresa: riescono quindi a fare le cose insieme.
Tornano in Inghilterra e scrivono “The Economics of Industry”.
Marshall, dopo il divorzio da Mary, prende una diversa direzione, diventando l’economista neoclassico per
eccellenza. Egli cerca di mettere insieme i classici e i marginalisti: questo lo fa inventandosi le curve di
domanda e offerta. Questa cosa è neoclassica perché  l’interesse fondamentale degli autori classici era
dato dalle condizioni dal lato dell’offerta (vincolo sull’offerta: l’offerta è vincolata da rendimenti di scala
decrescenti). Se è un’offerta a rendimenti decrescenti, posso rappresentarla come una curva che
rappresenta una correlazione positiva tra prezzo e quantità. La curva di offerta, inclinata positivamente,
rappresenta proprio il concetto dei rendimenti di scala decrescenti dei classici: per produrre di più devo
avere di più. La domanda è invece quella di derivazione marginalista: rapporto inverso tra quantità e prezzo,
quando il prezzo diminuisce chiedo di più, quando il prezzo sale chiedo di meno.
Le domande di curva e offerta di Marshall, quindi, derivano dal mettere insieme una logica di tipo classico
sull’offerta e una di tipo marginalista sulla domanda: da qui derivano tutta una serie di raffinamenti teorici
che portano Marshall a costituire tutto l’apparato teorico neoclassico.
Marshall nota che il concetto di equilibrio dipende dall’elemento temporale, il tempo non è un elemento
astratto. Marshall individua tre momenti tipici all’interno dei quali il momento va a trovare dei punti di
equilibrio:
1. Breve periodo: l’offerta è ferma, rigida (curva di offerta verticale), è la domanda che determina
l’andamento in alto o in basso del prezzo;
2. Medio periodo: l’offerta, soprattutto, cerca di adattarsi alle condizioni di domanda, ma questo su
impianti fissi;
3. Lungo periodo: si possono modificare gli impianti quindi l’offerta è perfettamente elastica, si adegua
perfettamente alle condizioni della domanda.
Mentre nel caso di Walras l’equilibrio è unico, in Marshall questo dipende dall’orizzonte temporale con i
quale lo si guarda. Non solo, secondo M. l’equilibrio generale è pura follia: tenere insieme un sistema di
interdipendenze così complicato è follia  prevale il ceteris paribus, quindi il sistema degli equilibri parziali:
si prendono in considerazione due variabili, che si vanno a mettere in corrispondenza  da qui fiorisce l’uso
dei diagrammi cartesiani per analizzare le questioni economiche.
Marshall ha anche creato o dato il là ad altre discipline, una di queste è l’economia del benessere: in realtà
questa nasce con l’alunno prediletto di Marshall, Pigou: il mercato di concorrenza genera un effetto
complessivo (surplus consumatore e produttore) rispetto a un mercato non in concorrenza perfetta.
Concetto di elasticità della domanda, concetto che ha dato vita alla teoria del marketing: la sensibilità con la
quale la domanda reagisce ai cambiamenti di prezzi. Questo fa nascere il problema di capire quali sono i
propri mercati: come si comportano, come sono fatti, quali sono gli acquirenti, etc. Non è detto che le
variazioni di prezzo abbiano un vantaggio o uno svantaggio in termini di profitto.
Marshall ha una strana idea della teoria della moneta che si rivelerà parecchio feconda per la teoria
keynesiana.
Marshall inventa un modo per rappresentare il commercio internazionale e per chiudere il dubbio su chi si
avvantaggia dei vantaggi del commercio attraverso un prezzo definito. (v. dispense per grafico)
Il grande competitor dell’Inghilterra diventa la Germania: Marshall prende quindi in considerazione queste
due. Qui la valutazione dei vantaggi comparati di Ricardo è già stata fatta. In questo schema è necessario
esportare, per poter pagare le importazioni. L’Inghilterra produce abiti, mentre la Germania, paese ancora
prevalentemente agricolo, produce grano. La curva GB è la curva di domanda di grano da parte
dell’Inghilterra, che non lo produce: questa curva ha questo tipo di concavità perché all’inizio, pur di avere
un minimo quantitativo di grano è disposta a dare molti vestiti (questa concavità dipende dalla forza della
domanda derivante dal fatto che all’inizio lo stock è zero). La stessa cosa vale per la Germania: curva per la
domanda di abiti  all’inizio è disposta a vendere tanto grano per pochi abiti. Per Marshall, se queste due
curve stanno così, queste due domande hanno una concavità opposta; quindi, andranno a incontrarsi in un
punto che è quello di equilibrio. Il problema è capire qual è la ragione di scambio: la ragione di scambio è il
coefficiente angolare della retta che incrocia il punto di equilibrio. Qui non c’è un prezzo monetario, ma un
prezzo rispetto all’altro bene.
La teoria della moneta che ha in mente Marshall va avanti attraverso tutta la tradizione, arrivando a
Cambridge a quelli che hanno la cattedra dopo M.  K di Cambridge.
Il punto di partenza di Marshall era la critica a Fisher, la cui idea portava a una concezione del mercato della
moneta come neutrale in termini reali (se aumenta la q di moneta, aumentano i prezzi: se aumentano i
prezzi con la q di moneta, l’impatto di quest’ultima è 0). Marshall critica questa relazione così meccanica e
la neutralità della moneta. La versione di Marshall: la sua idea fondamentale è che la velocità di circolazione
della moneta è un concetto astratto, quello che è importante è la preferenza per la liquidità. K è l’inverso
della circolazione della moneta dal punto di vista dell’equazione di Fisher, dal punto di vista di Marshall è la
preferenza per la liquidità: quanto gli agenti economici desiderano tenere sotto forma liquida; questa scelta
è tutt’altro che data. Quel K non è più un qualcosa che esce dalla funzione, ma entra perfettamente: la
moneta ora è funzione di k, p e y. Questo chiaramente ha un impatto sul livello dei prezzi: a seconda del
livello di liquidità che preferisco detenere, i prezzi cambiano. Questo perché restringendo l’offerta
monetaria, i prezzi si alzano (e viceversa).
Marshall scrive una serie di articoli, tra cui “The Machine”  rappresentazione del sistema economico a
partire dal cervello umano. Per M. il sistema economico è più un sistema neuronale.
Pigou
Le esternalità: questo è un problema che fino a Marshall nessuno si era posto. Marshall se lo pone e
soprattutto se lo pone in maniera attenta e ne fa un progetto di ricerca Pigou. L’esternalità è una scelta di
qualcuno dei soggetti economici che va ad influenzare le scelte di qualcun altro.
Esternalità positiva: impatto positivo sugli altri (es. scoperta scientifica e tecnologica).
L’esempio da cui parte Pigou è quello dell’esternalità negativa (va a penalizzare, es. inquinamento, guerre): il
problema che si pone è quello dell’inquinamento, problema che si pone anche Marshall  Marshall si era
posto il problema di finanziare un Fresh Air Rate, imponendo tasse sulla proprietà immobiliare e con quella
finanziare parchi. Pigou riprende questo problema: l’impresa nel produrre inserisce un’esternalità negativa
sul fiume che arriva in città  la città subisce un costo derivante dal fatto che l’impresa ha massimizzato il
profitto ignorando il problema del fiume che arriva in città. Pigou dice che questo è un elemento
fondamentale per creare una cornice pubblica in cui internalizzare l’esteriorità negativa, imponendo ad es.
all’impresa di pagare quel costo derivante dall’inquinamento: questo giustifica, anzi necessita, l’intervento
pubblico che regoli il rapporto fra i due soggetti (intervento pubblico nell’economia).

Keynes
È figlio di un economista, il quale si occupa, però, più che altro, di epistemologia (si domanda più che altro
di che si occupa l’economia). Keynes diventa un personaggio quando viene invitato a fare da osservatore
nella delegazione del tesoro inglese nella conferenza di pace a Versailles. La questione più importante da
definire era cosa fare con la Germania: riparazioni di guerra  44 miliardi di marchi d’oro vengono chiesti
alla Germania da restituire. Keynes si pone il problema di quale sia la conseguenza di questa richiesta:
uscendo dalla conferenza scrive un pamphlet  The economic consequences of the peace: la Germania ha
solo due possibilità per affrontare questa cosa: 1. Chiedere dilazioni di pagamento, il che creerà tensioni
anche tra gli alleati stessi; 2. La Germania per poter mandare all’estero tutti i marchi d’oro è usare la carta
per la circolazione interna. Tutte e due le sue previsioni si sono attuate: già nel ’20 c’è la prima conferenza
sulle riparazioni di guerra. Poi nel ’23 scrive il Tract on monetary reform, nel ‘30/31 il Critics of money, fino
ad arrivare al ’36 quando pubblica la General Theory.
Rivoluzione keynesiana: il primo elemento è negli anni ’20, quando ingaggia una battaglia teorica contro il
tesoro inglese. Il tema è quello del come far a far ripartire la ripresa in Inghilterra dopo la Prima guerra
mondiale, la quale l’ha lasciata in grosse difficoltà riproduttive. L’Inghilterra rischia di perdere la sua
posizione egemonica come produttore e come centro finanziario globale. La proposta di Keynes, supportata
da Lloyd George è quella di lanciare un grande programma di lavori pubblici: questo determinerebbe
erogazione di redditi  aumento della spesa, alimentando così la ripresa economica. Il problema è che per
fare spesa pubblica devo stampare moneta: stampare moneta significa non rientrare nel gold standard. Se la
sterlina non rientrava nel gold standard 1. Perdeva la supremazia; 2. Rischiava che l’intero mercato
finanziario entrasse in crisi. Keynes, quindi, propone di abbandonare l’idea di ritornare nella convertibilità,
prima è importante la ripresa del sistema economico.
La risposta del tesoro è che questa cosa è inutile e/o “rischiosa”.
DA = C + I + G  il consumo a sua volta è in funzione del reddito disponibile.
Mercato dei capitali: il capitale è quella cosa, sotto forma più o meno monetaria, che viene scambiata
all’interno del mercato bancario tra chi la domanda e chi la offre (l’offerta di capitale sono i risparmi). Il
tasso di interesse, nell’ottica neoclassica, è il prezzo del capitale. Questo mercato è cruciale dal punto di
vista dell’economia: questo perché l’equilibrio macroeconomico (DA = OA) si ha nel momento in cui risparmi
ed investimenti sono uguali. L’offerta aggregata, dal punto di vista della contabilità nazionale, è l’output dal
punto di vista produttivo (OA = C + S). Si può immaginare che gli output sia uguale agli input, dato dal
reddito. Se esiste un meccanismo e un luogo in cui I = S stanno in equilibrio, noi abbiamo l’equilibrio
macroeconomico.
Questo è lo schema logico del tesoro. In quegli anni la proposta di Keynes non va a buon fine: andrà a buon
fine quando egli saprà dare a questa una diversa spiegazione.
BD = Go – TA  Se faccio spesa pubblica devo avere un corrispondente ammontare di imposte, a loro volta
funzione del reddito disponibile, altrimenti bado in budget deficit (deficit di bilancio). Il tesoro si chiede, e
chiede anche a Keynes, quali modi abbia per finanziare la spesa pubblica:
1. Se non intendo intaccare il BD, per aumentare la spesa pubblica devo aumentare anche le tasse: in
questo modo però da un lato aumento la spesa pubblica, ma dall’altro diminuisco i consumi. Questo
risulta quindi essere irrilevante.
2. Aumento della spesa pubblica in deficit: lo Stato emette titoli di debito pubblico  il problema è
che se io vado a emettere titoli del debito pubblico e li metto sul mercato, vado a mettere sotto
pressione quel mercato della moneta e quindi per potermi collocare sul mercato devo sottostare a
un tasso di interesse più alto, ma questo alza anche i tassi di interesse  se io vado in deficit di
bilancio per finanziare la spesa pubblica, avrò una diminuzione degli investimenti.

Nel ’26 la sterlina rientra nel gold standard: con la crisi del ’29 l’Inghilterra si ritrova, negli anni successivi, in
una profonda crisi, anche di carattere reale e non solo monetaria. Nel ’30 Keynes scrive il Treaty on money:
per Keynes bisogna concentrarsi sull’esistenza del mercato dei capitali, il quale presuppone ci siano
investimenti e risparmi nello stesso diagramma cartesiano, dipendendo dalle stesse variabili (tasso
d’interesse e quantità di capitale)  Keynes dice: ma siamo sicuri che l’investimento dipenda dal tasso di
interesse o non dipende piuttosto da una valutazione soggettiva da parte degli imprenditori di quello che è
il rapporto fra il tasso di interesse e le aspettative di reddito? La vaòlutazione è soggettiva sulla base
dell’idea della domanda attesa nel periodo soggettivo: l’interesse gioca un ruolo, ma è solo una parte di
quel meccanismo  efficienza marginale del capitale. Quindi, gli investimenti non dipendono SOLO dal
tasso di interesse.
Questo aiuta Keynes in una diatriba con Hayek in quegli anni: si confrontano su quale sia la causa di quella
crisi. Tutti e due nell’immediato attribuiscono la causa all’idea dixeliana del titolo economico: dixel diceva
che il titolo economico dipende dalla discrasia tra il tasso di interesse naturale e quello di mercato; le
banche praticano un tasso di interesse che in qualche modo fa gioco al sistema economico: se quello è più
basso di quello naturale, ci sarà un surriscaldamento del sistema; altrimenti un raffreddamento.
Keynes nel ’29 dice che la crisi è stata una crisi da sotto investimento: il tasso di interesse era troppo alto
rispetto a quello naturale. Hayek invece sostiene che questo tasso di interesse di mercato era sotto rispetto
a quello naturale, e quindi ci fosse un eccesso di domanda: over investment. Mentre il tasso bancario si
legge sui bancari, il tasso naturale nessuno lo sa: ecco perché è potuta esistere una divisione platealmente
opposta tra due economisti che partivano dallo stesso punto.
Hayek scrive rise and production.

Rimane il problema del BD, il quale aumenterebbe. Siamo sicuri ci siano le condizioni per ripianarlo? A
questo ci arriverà soltanto nel ’36 con la General Theory.
[grafico su dispense]
Concetto del moltiplicatore keynesiano

Mercato del lavoro: Keynes mette in evidenzia che ci sono intanto delle distinzioni da fare tra salario
nominale e reale, a seconda di quale si guarda questo ha un impatto diverso sul potere d’acquisto e
l’inflazione. Gli aggiustamenti che avvengono su questo mercato sono anche influenzati dalla presenza dei
sindacati, il che naturalmente impatta sulla disoccupazione.

Keynes a Bretton Woods


Il sistema presuppone che l’economia sia chiusa: se l’economia è aperta la domanda non rimane in casa.
Tema di ricerca di Keynes degli ultimi anni della sua vita: ricostruire un ordine internazionale dopo la guerra.
Dal ’41 si dedica a scrivere un progetto del sistema monetario internazionale che poi diventerà il contraltare
di quello degli Stati Uniti. O mi isolo chiudendomi alle interdipendenze internazionali o tutti fanno la stessa
cosa, deflazionando l’economia. Bisogna trovare il modo di far fare un’operazione deflattiva globale nel
sistema economico nel mondo.
Nel ’44 si va a scontrare con White, dirigente del tesoro americano: a) L’ipotesi di White è un sistema
monetario internazionale basato sul dollaro e la centralità degli stati uniti: il dollaro diventa convertibile in
oro assicurando la stabilità, chiunque voglia commerciare o lo fa in oro o in dollari, valuta di riserva (dollar
exchange standard); b) Il piano di Keynes è creare una banca mondiale che emetta una banca mondiale
autonoma. Se io ho un’istituzione terza che emette una moneta aggiuntiva, questo è come deflazionare
tutte le economie.

Appelli: 24/01, 7/02, 21/02

Schumpeter
Con lui il capitalismo diventa un meccanismo autorigenerante. Lui per primo darà un significato scientifico
alla parola innovazione.
Nasce nel 1883 a Moravia.
La sua vita viene segnata da un importante event o che sarà importante per lo sviluppo del suo pensiero:
ministro delle finanze per la nuova repubblica austriaca e acquisisce la presidenza di uno dei più grandi
istituti bancari dell’epoca.
È sempre figlio della rivoluzione marginalista: partirà quindi da premesse neoclassiche. Vuole partire da
premesse marginaliste (stato di equilibrio stazionario – flusso circolare), ma vuole studiare lo sviluppo
economico, concetto caro ai classici.
Per Schumpeter, se partiamo da questo flusso circolare, lo sviluppo economico potrà avvenire con la rottura
di questa stasi ad opera di un soggetto che per S. rappresenta l’anima del capitalismo, e cioè l’imprenditore.
È con l’innovazione che l’imprenditore va a rompere il flusso circolare e dà il via allo sviluppo economico.
Per Schumpeter l’imprenditore è una figura positiva, che guadagna legittimamente il profitto dalla propria
capacità di innovare. L’innovazione, per S., avviene attraverso un flusso circolare: l’imprenditore introduce
un’innovazione nel sistema, a quel punto l’innovazione comincia a produrre crescita (sviluppo economico,
profitti), finché questa non inizia ad essere imitata da altri imprenditori: a questo punto l’offerta del
prodotto innovativo sul mercato aumenta, e i prezzi si abbassano  spinta deflazionistica, iniziamo ad
entrare in una situazione di crisi. Rimangono quindi in piedi solo le imprese veramente innovative.
Prima fase: invenzione  è un’idea;
Seconda fase: innovazione  l’invenzione diviene innovazione quando viene introdotta nel processo
produttivo;
Terza fase: imitazione.
Schumpeter è quindi il primo che da rigore scientifico all’innovazione. Adam Smith parla sì di innovazione,
ma un’innovazione di tipo tecnologico (introduzione dei macchinari), la lega alla crescita della domanda, ne
è una conseguenza. Per Marx, l’innovazione, che coincide sempre con l’introduzione di nuovi capitali, porta
alla caduta del sistema capitalistico. In un mondo fatto di macchine completamente automatizzato ci sarà la
caduta del capitalismo  M. prende soltanto la parte ‘distruttiva’ dell’innovazione.
Le innovazioni che Schumpeter delinea sono cinque (le prime due possono essere riconnesse all’ambito
tecnologico):
1. Innovazione di prodotto (identifica beni e servizi) – o migliorare prodotti già esistenti;
2. Innovazione di processo produttivo;
3. Nuove fonti di materie prime;
4. Apertura di nuovi mercati;
5. Modifica dell’organizzazione dell’impresa stessa.
Tutte queste innovazioni non sono compartimenti stagni: tra di loro sono interdipendenti.
Agente altrettanto importante sono le banche, le quali gestiscono il sistema creditizio. Le banche sono
coloro che decidono come allocare le risorse, ma scelgono anche a chi prestare i finanziamenti:
sostanzialmente le banche sono i fautori principali dello sviluppo economico di un paese secondo S. Un
paese economicamente sviluppato è un paese in grado di fare innovazioni: le banche sono coloro che sono
in grado di decidere meglio di chiunque altro quale innovazione mandare avanti e quale no.
Schumpeter, partendo dalla teoria dell’innovazione, ne aggiunge dei corollari.
Secondo S. non è vero che ad oggi tutti i beni sono prodotti con le stesse tecnologie: la leva del prezzo non
ha più senso di esistere, è l’innovazione a diventare la discriminante per avere vantaggi concorrenziali
rispetto ai propri competitor.
Fino ad adesso  P = costo marginale. Per S. questo non ha più senso: il prezzo dei beni innovativi viene
fissato avendo come punto di riferimento (benchmark) il prezzo delle imprese che non innovano, fissandolo
un poco più alto magari.
In concorrenza perfetta ci sono innumerevoli imprenditori all’interno del sistema: più imprenditori ci sono,
più concorrenziale è il sistema  per Schumpeter non è così perché per lui la concorrenzialità di un sistema
economico non è necessariamente legata al numero di operatori presenti nel sistema: pure un monopolista
può essere oggetto di competizione, anche il monopolista è a rischio perché oltre alla concorrenza attuale,
esiste per S. la concorrenza attuale. Questo significa che in ogni mercato monopolistico può entrare un
imprenditore innovatore che destabilizzi completamente l’innovazione di quell’impresa.

SCUOLA AUSTRIACA
Nasce nel 1871: si sceglie questa data perché è quella della pubblicazione delle tesi di Menger. Si tratta di
un’economia molto più algebrica, basata sul concetto di equilibrio, ma riprende in realtà anche molte delle
scienze sociali: il problema economico diventa un problema di scelta  ogni individuo ha una serie di fini
soggettivi, tra cui deve operare una scelta, egli ha una scarsità di mezzi suscettibili di essere utilizzati in
maniera alternativa.
Guardando le azioni dell’uomo si studiano quelle che sono le dinamiche più razionali che ogni individuo
tende a portare avanti: l’economia è lo studio dell’attività sociale, con però la lente della visione economica.
La scuola austriaca non sarà neoliberista da subito, ma getterà le basi per quello che è il neoliberismo
moderno.
Viser sarà il maestro di Von Hayek, considerato il maggior esponente della scuola austriaca insieme a Von
Mises. I primi autori della scuola austriaca sono quelli importanti perché consolidano la reputazione
scientifica della scuola di Vienna: ebbero posizioni di rilievo sia nell’accademia che nell’impero asburgico 
è proprio con la fine dell’impero dopo la Prima guerra mondiale che si innesca una grave crisi economica: la
scuola austriaca va di pari passo con lo sviluppo dell’impero.
Partendo da Von Mises nasce questa teoria che è quella degli opposti totalitarismi: i totalitarismi di destra e
di sinistra alla base hanno la stessa matrice. Il liberalismo economico della scuola austriaca rientra in un
ragionamento di tipo politico.
La scuola austriaca ha lasciato dei dogmi di politica istituzionale e soprattutto ha posto un pilastro che è
stata l’opposizione al Keynesismo. Con la scuola austriaca il keynesismo trova un nemico: a vincere la prova
del tempo è stato sicuramente il neoliberismo.

Teoria del ciclo economico: studio che va a guardare il perché di certe ricorrenze nell’economia, in
particolare delle crisi. I fautori sono Von Mises e Von Hayek, che si concentrano sulla crisi del ’29.
Analisi di Mises: all’inizio fa una breve ricostruzione del pensiero economico, poi studia il ruolo
dell’espansione monetaria nel ciclo economico. Parte dall’idea che questo ciclo economico venga fatto
scaturire dall’espansione monetaria, la quale altro non è che immissione monetaria ed espansione del
credito. Partendo da questo arriverà a conclusioni in cui si cercherà di rispondere alla domanda: Cosa
bisogna fare per evitare le crisi economiche?
Il suo ragionamento inizia affermando che il mondo sta entrando in un momento difficilissimo (post-bellico)
 necessità di liberismo: togliere i dazi, ad esempio, e ricondurre l’economia sui binari della
liberalizzazione. Non bisogna toccare determinati fattori dell’economia: prezzi, tassi d’interesse, etc. Von
Mises si rende conto che nei periodi che precedono la depressione, le banche possono espandere
comunque il credito, possono emettere moneta anche se questa non è coperta dalle riserve auree. Questo
dà loro la possibilità di creare strumenti fiduciari ignorando i limiti della disponibilità delle risorse di uno
stato. Questo intervento che fanno le banche sul mercato, ponendosi come prestatori di questi crediti
addizionali, fa in modo che il tasso di interesse si riduca drasticamente, il quale si assesta sotto quello che
sarebbe il suo livello naturale. Se si abbassa il tasso di interesse sto dando un enorme spinta economica
perché si abbassa il prezzo del denaro  iniziativa per l’imprenditore verso la spinta economica. Ciò che
dice Mises è che questo livello del tasso di interesse non è quello che esisterebbe normalmente (tasso di
interesse naturale) se le banche non facessero questi prestiti. Questo accrescimento dell’attività produttiva
dato da questa nuova spinta innanzitutto ha come conseguenza una domanda maggiore dei mezzi di
produzione e di manodopera: questo porta a un aumento di mezzi della produzione e dei salari. Questo che
ripercussioni ha? Aumenta il prezzo dei beni di consumo: se l’imprenditore ha dovuto pagare di più per
produrre la merce, deve alzare anche i prezzi altrimenti non avrebbe guadagno  inflazione, l’economia si
surriscalda: in un’economia surriscaldata prezzi e salari continuano a salire. Mises a questo punto dice che è
chiaro che questa dinamica non possa continuare all’infinito. Il punto di non ritorno si ha quando l’opinione
pubblica si rende conto che i prezzi stanno inesorabilmente crescendo: scatta il panico, nessuno vuole più
avere denaro perché possederlo vuol dire avere perdite giorno dopo giorno. Questo è il fenomeno che ha
caratterizzato la Germania del post Prima guerra mondiale. E se le banche fermano l’espansione del credito?
Mises dice che se la crescita si arresta in maniera così brusca, il panico che si crea è ancora maggiore: quella
che definiamo la redditività (avere un’impresa che fa reddito) che è stata creata dall’espansione del credito
a un certo punto diventa sterile. Se iniziano a chiudere le imprese i prezzi crollano: depressione e crisi in
conseguenza della deflazione, crisi che risulta essere ancora più lunga di una crisi inflazionistica perché il
risultato di mosse azzardate. Tutto questo parte dall’abbassamento del tasso di interesse delle banche.
Conclusioni di Mises: innanzitutto, i tentativi di abbassare artificialmente il tasso di interesse, che secondo
lui dovrebbe portarsi liberalmente sul mercato, non possono che portare a risultati pessimi o incerti.
L’economia non può svilupparsi in maniera armoniosa, dove tutti gli indicatori si assestano su un piano di
equilibrio, se le banche decidono di agire su prezzi, salari e tassi di interesse, perché secondo Mises, e
secondo la scuola austriaca in generale, tutto quello che si crea con le forze del libero mercato è in
equilibrio. La conclusione finale è che solo il tasso di interesse di equilibrio che si viene a formare
liberamente sul mercato è in grado di assicurare la stabilità del livello dei prezzi: non ha senso che le banche
mettano mano per gonfiarlo o abbassarlo.

Analisi di Von Hayek: egli muove come critica a Mises il fatto di aver sottovalutato il ruolo della moneta. La
stabilità dei prezzi non solo non dipende dalla stabilità del tasso di interesse, ma è assolutamente in
contrapposizione con esso. Secondo Hayek, quando ci sono variazioni della moneta in circolazione, questa
variazione della quantità di moneta può non avere alcun effetto sul livello generale dei prezzi come generico
indicatore macroeconomico, ma può cambiare la struttura dei prezzi relativi e modificare quindi la
produzione. I prezzi relativi sono dati dal rapporto tra il prezzo di un bene e il prezzo di un altro bene 
potere d’acquisto. La stabilità del livello generale dei prezzi, ovvero quello di cui parlava Mises (tasso
d’inflazione generico) non ha niente a che vedere con l’esistenza di un equilibrio economico, il quale può
rimanere stabile: i prezzi relativi possono cambiare e dare una sterzata al sistema produttivo precedente.
L’iniezione dice credito in realtà tende ad aumentare la quota di capitale fisso investimenti fissi,
investimento nei mezzi della produzione) ma riduce parallelamente la quantità di denaro circolante
disponibile: questo perché secondo Hayek non è vero che aumentano così tanto i prezzi di consumo rispetto
a quelli dei mezzi di produzione. In realtà non aumentano tutti i prezzi del sistema: aumentano solo i prezzi
dei beni di consumo in termini di prezzi relativi, ma non quelli dei mezzi di produzione. Hayek sposta il focus
sui prezzi relativi: la sua visione è molto più monetaria rispetto a Mises. Questo aumento dei prezzi di
consumo ha come conseguenza quella di far crescere la profittabilità di nuovi investimenti, quindi verranno
concessi nuovi crediti. L’azienda in questo senso sembra molto più remunerativa e si è spinti sempre a nuovi
investimenti, i quali vengono concessi perché si è in un momento di economia surriscaldata.
Semplicemente, dice Hayek, a un certo punto le banche avranno più timore a concedere nuovi crediti
perché si trovano in una situazione di non equilibrio  smetteranno di cedere credito, il boom economico
cessa.
Che si deve fare perché il sistema economico funzioni nel lungo periodo? Bisogna mantenere, secondo
Hayek, un equilibrio tra quello che è il consumo e quello che è il reddito: il sistema capitalistico funziona
solo se si consuma non più di quella parte del reddito totale che è destinata al consumo. La problematica è
il ruolo che in questo caso assume la moneta: se il sistema capitalistico deve funzionare così, allora la
moneta deve essere neutrale  pensare di mantenere la moneta stabile, andrebbe a scaricare solo sul lato
della produzione. Hayek dice che considerando il fatto che vi è rigidità salariale, se ci si mette a iniettare
sempre più moneta, si crea uno scollamento tra la domanda dei beni di consumo e la domanda dei beni di
produzione (scollamento tra domanda e offerta).
Conclusione: ritenere di poter aggiustare la quantità di moneta relativamente alle esigenze della produzione
è impossibile, ci sono anche altre forze di mercato. L’offerta di moneta deve rimanere invariata: l’elasticità
dell’offerta di moneta è una condizione sufficiente per la nascita del ciclo economico. L’iniezione di liquidità
a questo punto va a scaricarsi sul risparmio, ad esempio. La moneta non deve modificare le dinamiche degli
agenti economici. La sua teoria è ciò che si chiama federalismo strumentale: pericolosa la collaborazione fra
banche centrali, perché permette di accrescere la liquidità, permette di accrescere tassi tendenzialmente
bassi. Per evitare la cooperazione tra banche bisogna creare un sistema di istituzioni sovranazionali fondato
sulla struttura federale, per il solito auspicio di ridurre l’intervento delle autorità pubbliche nazionali nel
campo dell’attività economica. È un federalista perché è un metodo per togliere gradi di libertà alle autorità
pubbliche nazionali perché lui crede che queste siano corrotte dall’influenza delle lobby economiche e
politiche, non coerenti con le esigenze del sistema economico.

Tutto questo è sempre tutto finalizzato alla libertà economica: secondo Hayek la libertà economica non è il
prodotto di un sistema in grado di assicurare beni pubblici, pace, stabilità, ma è un obbiettivo di per sé che
va perseguito all’interno di ciascun paese, obbiettivo nazionale che va coordinato a livello internazionale. È
talmente l’obbiettivo primario che non si può lasciarlo in mano alle autorità pubbliche: è la prima cosa a cui
si deve auspicare. Il federalismo è strumentale a una visione economica e anche sociale rivolta a difendere
l’ordine sociale espresso dal mercato con le sue forze equilibratrici, mercato che deve essere difeso dalle
interferenze degli organismi politici.

Curva di Philips
Dal 1861 fino al 1957 studia il rapporto tra disoccupazione e inflazione  inversamente proporzionali. Se
aumenta P diminuisce U.
Ritiene importante lo studio delle policy: per diminuire disoccupazione è necessario sacrificare il tasso di
inflazione. I costi di policy sono una scelta  è una scelta, disoccupazione o inflazione?
Influenza processo di integrazione monetaria in EU: contesto dei trattati di Roma, si pensa a un’unione
monetaria.
Nel 1967-68 Friedmann e Phelps rivedono la curva di Phillips, la smontano e la criticano. Affermano che in
realtà esiste questo trade-off ma lui lo ha studiato in un modello statico: è necessario introdurre la variabile
temporale (T1 e T2). Nel T1 il modello di Philips va bene. Ma in T2 la curva diventa verticale: è vero che
l’espansione monetaria in un primo momento genera più inflazione e quindi meno disoccupazione, ma gli
agenti economico si rendono conto dell’illusione monetaria e della spirale inflazionistica  disinvestimento,
adeguano le aspettative. I lavoratori chiedono salari più alti perché aumentano i prezzi.
In T1 l’illusione monetaria va bene: si pensa di avere più soldi e quindi più potere di acquisto. Ma in T2
aggiustamento della curva inclinata a verticale (Cantillon).
Tale critica funziona: Lucas dà via a una nuova macroeconomia classica  crisi di espansione monetaria
(1972, neo-monetarismo).
Gli agenti economici sono talmente tanto razionali che non cascano nell’illusione monetaria.
La curva di Philips è sempre verticale: T1 = T2. Gli agenti economici sono centrali.
La disoccupazione si adegua all’inflazione, entrano in gioco le istituzioni. Su questo si basa l’integrazione
monetaria tra EU e USA: i costi però erano molto alti perché si riferivano alla curva di Phillips. La curva è
verticali rappresenta i salari: aumentando l’inflazione aumentano i salari.
[vedi grafici dispense)

Teoria della crescita


Sia la visione neokeynesiana (aggiustamento tra salari e profitti) che quella neoclassica (aggiustamento
produttività capitale e lavoro) sono ottimistiche: la crescita è infinita.
Modello Harrod – Domar  visione tutt’altro che ottimistica. Il presupposto è dato dall’equilibrio I = S’;
DA=OA. Parte del modello sono la formula dell’acceleratore e la formula del moltiplicatore.
Formula dell’acceleratore  Gli investimenti sono dati da aδY*. Questo vuol dire che le decisioni dipendono
da quanto gli imprenditori si aspettano che vari il livello del reddito. A rappresenta la parte del reddito che
gli imprenditori decidono di reinvestire per soddisfare la quota di reddito in più che si aspettano.
Y = Y*  significa che il reddito effettivamente che ci sarà al tempo x qualsiasi è quello che gli imprenditori
hanno immaginato (le loro aspettative sono state corrette). Se questo è vero, sY = aδY
Chiamiamo GW il saggio di crescita garantita, cioè quello che mi garantisce che il sistema economico sia in
equilibrio secondo le aspettative degli imprenditori. GW = δy/Y = s/d
Ci sono però due fattori che modificano l’economia: produttività e popolazione. C’è quindi anche un saggio
di crescita naturale che tiene conto sia degli andamenti demografici che degli andamenti della produttività.
Il punto fondamentale di questo modello è che per crescere in equilibrio senza disturbi di alcuna natura, c’è
bisogno che il saggio di crescita naturale sia uguale a quello di crescita garantita. C’è un qualsiasi tipo di
relazione che ci possa garantire che queste due cose stanno insieme? La risposta di Harrod e Domar è no:
sono tutte variabili esogene. La crescita è di per sé instabile: il sistema economico è sempre ‘sulla lama di un
rasoio’. È più facile cadere o dal lato della disoccupazione o da quello dell’inflazione: l’equilibrio è molto più
difficile.

15 settembre 2008
Lehman Brothers: istituto finanziario che si lascia fallire in quegli anni. Esempio tipico del processo di rischio
sistemico che viene perso. Viene lasciata fallire per lanciare un segnale  diventa un simbolo.
Con il fallimento di Lehman Brothers gli economisti si ricordano di un collega che nel 1982 aveva scritto un
libro: egli era Minsky, ed il libro era “Can it happen again?”, con cui si riferiva alla crisi del ’29 conseguente
al crollo di Wall street. Il problema di questo libro è che non solo la risposta era positiva, ma anche
inevitabile (“non può che accadere di nuovo”) perché il sistema economico di stampo capitalista ha dentro
di sé delle tare che implicano la sua distruzione.

MINSKY
Ragionamento a fasi: sono tre quelle attraversate nel ciclo economico.
1. Coperte: quando un debitore ha un reddito e un patrimonio sufficiente per garantire alla banca che
restituirà sia gli interessi che il montante. Il punto è che il capitalismo passa facilmente dalle
posizioni coperte a quelle speculative;
2. Speculative: il debitore ha redditi e patrimoni sufficienti solo per coprire gli interessi, mentre per
quanto riguarda il capitale scommette che il suo asset salirà di valore;
3. Ponzi finance: Negli anni ’20 del ‘900 Charles Ponzi aveva truffato la gente vendendogli dei titoli che
rendevano un tot %. Aveva costruito una multilevel structure con cui pagava con i soldi di chi
entrava gli interessi altrui per dare segnali positivi. Vedendo che rende, tutti vogliono entrare 
avendo guadagnato abbastanza, Ponzi sparisce. Minsky dice che così è come funziona il capitalismo:
scommetto sul rialzo degli asset non solo per pagare il montante, ma anche gli interessi.
Il punto è che proprio negli anni ’80, che sono gli anni del grande ottimismo economico, in cui dominano le
teorie che dicono che i mercati sono sempre efficienti (in media del lungo periodo), in questo arriva Minsky
che dice che i mercati sono sistematicamente inefficienti  esposizione del rischio sistemico che
inevitabilmente porterà alla crisi.

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