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corso di perfezionamento in teoria critica della società

Maria Turchetto (Università Ca’ Foscari di Venezia)


ECONOMIA E SOCIETÀ
1
www.turchetto.eu/corsi
Nascita della «ragion di Stato»

Lo sviluppo della ragion di Stato è correlata al venir


meno del tema imperiale. Roma, alla fine, scompare.
Si forma una nuova percezione della storia: non è più
polarizzata sulla fine dei tempi e sull'unificazione di
tutte le sovranità particolari nell’impero degli ultimi
giorni; ora si apre su un tempo indefinito in cui gli
Stati devono lottare gli uni contro gli altri per
assicurarsi la sopravvivenza. E, più che i problemi di
legittimità di un sovrano su un territorio, ciò che
appare importante è la conoscenza e lo sviluppo delle
forze di uno Stato: entro uno spazio (insieme europeo
e mondiale) di concorrenza statale, molto diverso da
quello in cui si affrontavano le rivalità dinastiche, il
problema principale è quello di una dinamica delle
forze e delle tecniche razionali che permettono di
intervenirvi.

Michel Foucault, Résumé des cours 1970-1982


Nuove tecnologie politiche

Così la ragion di Stato, al di fuori delle teorie che l’hanno


formulata e giustificata, prende forma entro due grandi
insiemi di sapere e di tecnologia politiche: una
tecnologia diplomatico-militare, che consiste
nell’assicurare e sviluppare le forze dello Stato attraverso
un sistema di alleanze e l’organizzazione di un apparato
armato; la ricerca di un equilibrio europeo, che fu uno
dei principi conduttori dei trattati di Westfalia, è una
conseguenza di questa tecnologia politica. L’altro
insieme è costituito dalla "polizia", nel senso che si dava
allora a questa parola: ovvero l’insieme dei mezzi
necessari a far crescere, dall’interno, le forze dello Stato.
Al punto di congiunzione di queste due grandi
tecnologie, e come strumento comune, occorre porre il
commercio e la circolazione monetaria fra Stati: è
dall’arricchimento grazie al commercio che si attende la
possibilità di aumentare la popolazione, la manodopera,
la produzione e l’esportazione, e di dotarsi di eserciti
forti e numerosi. La coppia popolazione-ricchezza fu,
all’epoca del mercantilismo e del cameralismo, l’oggetto
privilegiato della nuova ragione di governo.
Michel Foucault, Résumé des cours 1970-1982
Cameralisti
attivi soprattutto negli Stati di lingua tedesca, sono teorici della
buona amministrazione e della «buona polizia» con cui si intende
«ogni disposizione su questioni interne, con cui è possibile creare
e incrementare in modo durevole il patrimonio complessivo dello
Stato, impiegandone le forze nel modo migliore e soprattutto
accrescere la felicità comune» [von Justi citato da Ritter, Storia
dello Stato sociale, Laterza 1996,p. 42]

Mercantilisti
sono i primi «economisti»; ritengono che la ricchezza di uno
Stato derivi principalmente dal commercio (da una bilancia
commerciale attiva, cioè da esportazioni superiori alle
importazioni) e dalla popolazione produttiva
«la ricchezza non è data dalla moneta, ossia
dall'oro e dall'argento, ma da ciò che la
moneta può procurare; essa ha valore
solamente come mezzo di acquisto»

«Non è sempre necessario accumulare oro e


argento perché un paese possa sostenere una
guerra all'estero e mantenere flotte ed eserciti
in paesi lontani. Una flotta o un esercito si
mantengono non con l'oro e l'argento, ma con
i beni di consumo. Il paese che dal prodotto
annuo della propria industria nazionale e dal
reddito che deriva dalla terra, dal lavoro e dalle
sue scorte trae i mezzi per acquistare beni di
consumo in paesi lontani, può anche sostenere
il costo di una guerra all'estero»

A. Smith, Una ricerca sulla natura e le cause


della ricchezza delle nazioni, cap. 1: Del
sistema commerciale e mercantile
«un governo ha buone ragioni per proteggere
con cura il suo popolo e le sue industrie. Ma la
moneta può essere tranquillamente affidata al
corso degli affari umani, senza paure né
gelosie».
D. Hume, Essays, Moral, Political, and
Literary (1752)

«la ricchezza in se stessa non è altro che il


nutrimento, le comodità e gli agi della vita»
R. Cantillon, Essai sur la nature du commerce en
général (1755)

«Che il sovrano e la nazione non perdano mai


di vista che la terra è l’unica sorgente delle
ricchezze, e che è l’agricoltura che le
moltiplica»
F. Quesnay, Massime generali del governo
economico (1766)
TERRA E LAVORO SONO LE CAUSE DELLA RICCHEZZA
«La terra è la fonte o la materia donde si trae la
ricchezza; il lavoro dell’uomo è la forma che la produce»
R. Cantillon, Essai sur la nature du commerce en général
(1755)

LA TERRA È L’UNICA CAUSA DELLA RICCHEZZA


«Che il sovrano e la nazione non perdano mai di vista
che la terra è l’unica sorgente delle ricchezze, e che è
l’agricoltura che le moltiplica»
F. Quesnay, Massime generali del governo economico
(1766)
IL LAVORO È L’UNICA CAUSA DELLA RICCHEZZA
«Il lavoro annuale di ogni nazione è il fondo da cui
originariamente provengono tutti i mezzi di sussistenza
e di comodo che essa annualmente consuma e che
sempre consistono nel prodotto diretto del lavoro o di
ciò che con esso viene acquistato da altre nazioni»
A. Smith, La ricchezza delle nazioni (1776)
Fisiocratici

Secondo gli autori appartenenti a questa Scuola di pensiero, attiva in Francia


nella seconda metà del XVIII secolo, la creazione di ricchezza avviene
soltanto attraverso I processi naturali della crescita delle piante e della
riproduzione degli animali. La crescita eonomica si realizza perciò solo nel
settore agricolo: il settore manifatturiero non crea nulla, si limita a cambiare
forma ai prodotti naturali.

“Date al cuoco una misura di piselli che ve li appresti per il pranzo, egli ben
cotti e ben conditi ve li manda in tavola; date al contrario quella misura
all’ortolano acciò che li confide alla terra, egli vi riporta a suo tempo il
quadruplo della misura ricevuta. Ecco la vera e sola produzione”
Ferdinando Paoletti, I veri mezzi per rendere felice la società (1772)
LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE IN INGHILTERRA
Karl Marx, Il Capitale, libro I, sezione IV La
produzione del plusvalore relativo (capp.
10, 11, 12, 13)

Paul Mantoux, La rivoluzione industriale nel


diciannovesimo secolo

Arnold Toynbee, La rivoluzione industriale


Malthus, Ricardo ...
Smith
scuola classica inglese

mercantilisti
Cantillon si apre un ventaglio di
posizioni sulla definizione
delle cause della
ricchezza
Fisiocratici

˝rottura epistemologica˝: cambia la definizione


della natura della ricchezza
Ogni lavoro delle scienze della cultura in un’epoca di
specializzazione, dopo essersi indirizzato sulla base di
determinate impostazioni problematiche verso un
determinato materiale, e dopo essersi creato i suoi principi
metodici, considererà l’analisi di questo materiale come
uno scopo a sé, senza controllare di continuo in maniera
consapevole il valore conoscitivo dei fatti particolari in
base alle idee di valore ultime, perfino senza essere
consapevole del suo legame con queste. Ed è bene che sia
così. Ma ad un certo momento muta il colore: il significato
dei punti di vista impiegati in maniera non riflessa diventa
incerto, e la luce si perde nel crepuscolo. La luce dei grandi
problemi culturali è di nuovo spuntata. Allora anche la
scienza si appresta a mutare la propria impostazione e il
proprio apparato concettuale e a guardare nella corrente
del divenire dall’alto del pensiero

Max Weber, L’“oggettività” conoscitiva della scienza sociale


e della politica sociale (1904)
LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE IN INGHILTERRA
il pauperismo in Inghilterra tra XVIII e XIX secolo
Da dove vengono i poveri? Questa era la domanda posta da una quantità di
pamphlets che s'infoltiva con l'avanzare del secolo. Su di un punto sembra
esservi stato un accordo generale e cioè sulla grande varietà di cause che
spiegavano il fatto di questo aumento. Tra queste era la scarsità di grano, i
salari agricoli troppo elevati che causavano alti prezzi dei prodotti alimentari;
salari agricoli troppo bassi, salari urbani troppo alti, irregolarità del lavoro
nelle città; scomparsa della classe dei piccoli proprietari terrieri, inettitudine
del lavoratore urbano per le attività rurali, riluttanza degli agricoltori a pagare
salari più elevati, timore da parte dei proprietari che le rendite sarebbero
Da dove state ridotte se si fossero pagati salari più elevati. Alcuni scrittori criticavano
un nuovo tipo di bestiame ovino, altri i cavalli che avrebbero dovuto essere
vengono i sostituiti con i buoi, altri ancora sostenevano che si dovessero mantenere
poveri? meno cani. Alcuni sostenevano che i poveri dovessero mangiare di meno o
non mangiare pane mentre altri ritenevano che anche il nutrirsi "del pane
migliore non avrebbe dovuto rappresentare un'accusa contro di loro". Si
sosteneva che il tè danneggiasse la salute di molti poveri mentre la "birra
fatta in casa" l'avrebbe ristabilita [...]. Pevale nell'insieme l'impressione che il
pauperismo fosse considerato un fenomeno sui generis, una malattia sociale
causata da una varietà di ragioni la maggior parte delle quali diventava attiva
soltanto attraverso il fallimento da parte della Poor Law di impiegare il
rimedio giusto.

K. Polanyi, La grande trasformazione (1944)


Vicende della legislazione sui poveri in Inghilterra
La discussione che si scatena all'inizio del XIX secolo tra gli economisti inglesi ha al centro
l'efficacia della Poor Law, la legge per l'assistenza ai poveri emanata in Inghilterra nel 1601 e
ancora in vigore all'epoca. Ne La grande trasformazione Polanyi ricostruisce il sistema
assistenziale inglese, in realtà assai complesso.
Nel XVII secolo tre erano i capisaldi del sistema:
la Poor Law, che affidava l'assistenza dei poveri alle parrocchie e istituiva le poorhouses;
lo Statute of Artificers che prevedeva l'imposizione del lavoro, regolava apprendistato e tariffe
salariali e prevedeva controlli salariali annuali da parte di pubblici ufficiali;
lo Act of Settlement and Removal (1662) che limitava la mobilità della popolazione, con lo scopo di
proteggere le parrocchie "migliori" dall'afflusso di indigenti.
Nel 1795 lo Act of Settlement and Removal fu abrogato, con la conseguenza di una piena mobilità
dei lavoratori sul territorio nazionale. Nello stesso anno fu introdotta la Speenhamland Law o
"sistema dei sussidi", che stabiliva sussidi da aggiungere ai salari in base al carico familiare e
secondo una scala dipendente dal prezzo del pane, in modo da assicurare un reddito minimo ai
poveri indipendente dai loro guadagni. "La Speenhamland Law era destinata a prevenire la
proletarizzazione della gente comune o almeno a rallentarla. Il risultato fu semplicemente
l'impoverimento delle masse che nel processo quasi persero la loro forma umana" [K. Polanyi, La
grande trasformazione]. Di fatto, la Speenhamland Law trasferiva interamente il peso dei salari
sulla comunità. La situazione divenne particolarmente grave quando, in seguito alle guerre
napoleoniche, la Corn Law (legge protezionista sul grano) ebbe l'effetto di spingere alle stelle il
prezzo del grano, cui era agganciata la scala Speenhamland. L'assurdità di questa organizzazione
fomentò le posizioni favorevoli all'abolizione di ogni forma di assistenza e alla liberalizzazione dei
salari.
Lo Statute of Artificers fu abolito nel 1813-14, la vecchia Poor Law sostituita dalla nuova Poor Law
di ispirazione malthusiana nel 1834. Nel 1834 cominciano ad essere emanate le leggi sulle
fabbriche.
«Penso di poter formulare in tutta onestà due postulati.
Primo, che il cibo è necessario all’esistenza dell’uomo.
Secondo, che la passione tra i sessi è necessaria e che press’a
poco resterà nello stato attuale.
[…]
Considerando ammessi i miei postulato, affermo che il potere
di popolazione è infinitamente maggiore del potere che ha la
terra di produrre sussistenza per l'uomo.
La popolazione, quando non è frenata, aumenta in
progressione geometrica. La sussistenza aumenta soltanto in
progressione aritmetica. Una familiarità anche superficiale
con i numeri mostrerà l’immensità del primo potere a
paragone con il secondo».

T. R. Malthus, Saggio sul principio di popolazione (1798)


«Questa naturale diseguaglianza dei due poteri, di
popolazione e di produzione da parte della terra, e quella
grande legge della nostra natura che costantemente deve
mantenere in equilibrio i loro effetti, costituiscono la grande
difficoltà, che a me pare insormontabile, sulla via che conduce
alla perfettibilità della società. Tutte le altre argomentazioni
sono di importanza scarsa e subordinata a paragone di questa.
Non vedo alcuna via per la quale l'uomo possa sfuggire al
peso di questa legge che pervade tutta la natura animata.
Nessuna sognata forma di eguaglianza, nessuna legge agraria
spinta al massimo grado, potrebbero rimuovere la pressione
anche per un solo secolo. Ed essa appare dunque decisiva per
negare la possibile esistenza di una società nella quale tutti i
suoi membri possano vivere con agio, felicità e relativo ozio e
riposo, e non sentire l'ansia di procurare mezzi di sussistenza
per sé e per le proprie famiglie».
T. R. Malthus, Saggio sul principio di popolazione (1798)
David Ricardo,
Principi dell’economia politica e della
tassazione (1817)
"C'era una volta, in un'età da lungo tempo trascorsa, da una
parte una élite diligente, intelligente, lavoratrice e
risparmiatrice, e dall'altra c'erano degli sciagurati oziosi che
sperperavano tutto il proprio e anche più [...]. Così è
avvenuto che i primi hanno accumulato ricchezza e che gli
altri non hanno avuto all'ultimo altro da vendere che la
propria pelle [...]. Sono insipide bambinate. Nella mite
economia politica ha regnato da sempre l’idillio. Nella storia
reale la parte importante è rappresentata [...] dalla
conquista, dal soggiogamento, dall’assassinio e dalla rapina,
in breve dalla violenza"
«La popolazione rurale espropriata con la forza, cacciata
dalla sua terra e resa vagabonda veniva spinta con leggi fra il
grottesco e il terroristico a sottomettersi, a forza di frusta, di
marchio a fuoco, di torture, a quella disciplina che era
necessaria al sistema del lavoro salariato […]. Per il corso
ordinario delle cose l’operaio può rimanere affidato alle
‘leggi naturali della produzione’, cioè alla sua dipendenza dal
capitale che nasce dalle stesse condizioni della produzione e
che viene garantita e perpetuata da esse. Altrimenti vanno
le cose durante la genesi storica della produzione
capitalistica. La borghesia, al suo sorgere, ha bisogno del
potere dello Stato e ne fa uso per «regolare» il salario, cioè
per costringerlo entro limiti convenienti a chi vuol fare del
plusvalore, per prolungare la giornata lavorativa e per
mantenere l’operaio stesso a un grado normale di
dipendenza»
«La scoperta delle terre aurifere e argentifere in America, lo
sterminio e la riduzione in schiavitù della popolazione
aborigene, seppellita nelle miniere, la conquista e il
saccheggio delle Indie Orientali, la trasformazione dell’Africa
in una riserva di caccia commerciale delle pelli nere, sono i
segni che contraddistinguono l’aurora della produzione
capitalistica. Questi procedimenti idillici sono momenti
fondamentali dell’accumulazione originaria. Alle loro
calcagna viene la guerra commerciale delle nazioni europee,
con l’orbe terracqueo come teatro»

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