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Il Mulino - Rivisteweb

Alessandro Somma
Il diritto latinoamericano tra svolta a sinistra e per-
sistenza dei modelli neoliberali
(doi: 10.17394/89138)

Diritto pubblico comparato ed europeo (ISSN 1720-4313)


Fascicolo 1, gennaio-marzo 2018

Ente di afferenza:
Università di Torino (unito)

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Alessandro Somma
Il diritto latinoamericano tra svolta
a sinistra e persistenza dei modelli
neoliberali

Latin-American law between turn to the left and persistence of neoliberalism. In the last
decades, Latin America has experienced three following transitions: from dictatorship to
democracy, then from keynesianism to neoliberalism, finally from the latter to what has been
defined in terms of «turn to the left». The last transition was interpreted as a surrender to
populism, due to a wrong assimilation of western democracy and market order. The article
analyzes the different transitions and argues that the latter opinion is influenced by an ethno-
centric point of view, which can be opposed by comparative law scholarship engaged in the
search of Latin-American law identity. Finally a last possible ongoing transition is described:
the one consisting in the comeback of neoliberalism, which the article intends as a result of
what may be defined as the attractive force of capitalist normality.
Keywords: Latin-American law, left politics, populism, neoliberalism.

1. Una terra di transizioni

L’America latina è notoriamente un’area instabile, nella quale l’ordine po-


litico e l’ordine economico subiscono mutamenti tanto frequenti quanto
radicali. Almeno tre sono le fasi che hanno caratterizzato gli ultimi de-
cenni, nel corso dei quali si è assistito prima all’avanzata della democrazia,
poi all’imporsi delle ricette neoliberali riassunte nel cosiddetto Washington
consensus, e infine al tentativo di superarlo o almeno limitarlo con ricette
da molti ritenute affette da populismo. Il tutto mentre si stanno deline-
ando i termini di una nuova fase, caratterizzata da un ritorno delle teorie
e delle pratiche neoliberali.
L’avanzata della democrazia ha caratterizzato gli anni Ottanta, fa-
cendo seguito a un decennio durante il quale l’America latina si era distinta
in quanto terreno fertile per le dittature. In molti casi, più che un’avanzata
è stato un riaffacciarsi timido, o eventualmente un avvento timido, sovente
frutto di compromessi con le élite militari1. Del resto il tutto avveniva mentre

1
  Ad es. V. Castronovo, Piazze e caserme. I dilemmi dell’America latina dal Novecento a oggi, Roma-
Bari, Laterza, 2007, 148 ss.
ISSN 1720-4313
1 | 2018 DPCE, pp. 57-80 © Società editrice il Mulino
Alessandro Somma

l’ordine economico mondiale viveva un momento di forte instabilità, provo-


cata per un verso dalla fine del sistema di regolazione dei cambi internazio-
nali voluta dagli Stati Uniti, e per un altro dalle crisi energetiche seguite alla
guerra del Kippur e alla rivoluzione iraniana. Di qui un contributo rilevante
all’instabilità delle nuove democrazie, afflitte da elevata disoccupazione e
povertà, oltre che da preoccupanti livelli di inflazione e debiti sovrani, questi
ultimi aggravati da crescenti tassi di interesse.
Nello stesso periodo il neoliberalismo promosso da Ronald Reagan
e Margaret Thatcher iniziò la sua marcia trionfale, ispirando innanzi tutto
l’azione delle istituzioni preposte al governo dell’ordine economico in-
ternazionale. In particolare il Fondo monetario internazionale fornì assi-
stenza finanziaria nell’ambito di una sorta di mercato delle riforme, per
cui essa veniva concessa come contropartita per l’allineamento all’orto-
dossia neoliberale: in cambio di tagli alla spesa sociale, di liberalizzazioni
e privatizzazioni, oltre che di precarizzazione e svalutazione del lavoro.
È questo il contenuto del cosiddetto Washington consensus, o meglio di
quanto finì per riassumere il concetto, elaborato a partire da uno specifico
mercato delle riforme: quello che interessò il Portogallo tra la fine degli
anni Settanta e il principio degli anni Ottanta2, quanto il Paese iberico ri-
cevette assistenza dal Fondo monetario internazionale, e questo la subor-
dinò all’adozione delle misure che l’allora Comunità economica europea
aveva ritenuto un presupposto per l’adesione3.
A ben vedere non furono Reagan e Thatcher a inaugurare la stagione
di ossequio all’ortodossia neoliberale: vi furono significative anticipazioni
in Europa e in America latina. In Europa si segnala il contributo di James
Callaghan, Primo ministro laburista tra il 1976 e il 1979, che al princi-
pio del suo mandato rifiutò di affrontare la grave crisi economica in cui
si trovava il Regno Unito ricorrendo alle tradizionali ricette keynesiane.
Preferì rivolgersi al Fondo monetario internazionale, e accettare il varo di
un piano di privatizzazioni e tagli alla spesa pubblica richiesti in cambio
dell’assistenza finanziaria. Con ciò alimentando il menzionato mercato
delle riforme, e contribuendo a renderlo nel tempo la modalità preferita
per procedere nella costruzione europea4.

2
  Sulla vicenda A.B. Nunes, The International Monetary Fund’s Standby Arrangements with Por-
tugal. An Ex-Ante Application of the Washington Consensus, Gabinete de História Económica e
Social - Documentos de Trabalho 44/2011.
3
  Per tutti A. Somma, La dittatura dello spread. Germania, Europa e crisi del debito, Roma, Deri-
veApprodi, 2014, 211 ss.
4
  Cfr. A. Somma, Il mercato delle riforme. Appunti per una storia critica dell’Unione europea, in
corso di pubblicazione in Materiali per una storia della cultura giuridica, 39, 2018.

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L’America latina non fu da meno. È noto, infatti, che il dittatore cileno


Augusto Pinochet, al potere dal 1973, attuò fin da subito la combinazione
alla base della ricetta fascista: la soppressione delle libertà politiche realizzate
anche e soprattutto per consentire la riforma di quelle economiche, e più
precisamente il presidio della proprietà privata e del funzionamento della
concorrenza5. Il tutto con il contributo fondamentale di un gruppo di econo-
misti, detti Chicago boys perché si formarono all’università di Chicago sotto
la guida di Milton Friedman: il noto economista di fede monetarista, i cui
insegnamenti sono stati presi a punto di riferimento dal Fondo monetario
internazionale nel suo sforzo di imporre l’ortodossia neoliberale a livello pla-
netario6. Non bisogna però dimenticare il contributo offerto dalle formazioni
politiche della sinistra latinoamericana alla diffusione del neoliberalismo nel
corso degli anni Ottanta, le stesse formazioni prima impegnate a sviluppare
un ordine economico più attento al profilo della redistribuzione della ric-
chezza e ad assicurare in tale prospettiva un ruolo attivo dei pubblici poteri7.
Comunque sia, gli anni Novanta sono stati, e non solo per l’America
latina, il periodo in cui l’ortodossia neoliberale è divenuta pervasiva, fino
ad assumere i connotati di un pensiero unico capace di screditare in modo
inappellabile gli approcci di tipo keynesiano che avevano prevalso fino ad
allora. È del resto l’epoca della globalizzazione dei mercati, che in quanto
tale richiede la libera circolazione dei fattori produttivi, e con ciò misure
destinate ad attrarre capitali: in particolare la riduzione della pressione
fiscale sugli investitori, quindi la svalutazione e precarizzazione del lavoro.
Il tutto determinando forti ostacoli alla possibilità di redistribuire risorse
in chiave perequativa: possibilità sottratta ai pubblici poteri in virtù della
contrazione del gettito e dunque del perimetro dello Stato sociale, e ai
lavoratori a causa delle caratteristiche assunte dalla relazione con il capi-
tale, tendenzialmente degradata a relazione di mercato qualsiasi. Di qui
la particolare virulenza che caratterizzò le crisi con le quali si chiusero gli
anni Novanta e si aprì il nuovo Millennio, e che fece sentire i suoi effetti
proprio laddove le ricette neoliberali erano state applicate con maggiore
fervore dogmatico e ossequio per i loro principi ispiratori.
Si diceva che le teorie economiche sponsorizzate da Reagan e
Thatcher non si sono diffuse solo in America latina. Nel Vecchio conti-

5
  È in sintesi il noto schema elaborato da K. Polanyi, La grande trasformazione. Le origini econo-
miche e politiche della nostra epoca (1944), Torino, Einaudi, 1974.
6
  Sulla vicenda ad es. D. Harvez, A Brief History of Neoliberalism (2005), Oxford, Oxford Uni-
versity Press, 2007, 7 s.
7
  Cfr. M.V. Murillo, Del populismo al neoliberalismo: sindacatos y reformas de mercado en America
latina, in Desarrollo económico, 40, 2000, 179 ss.

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nente esse rappresentano da tempo l’indiscutibile credo di riferimento per


la costruzione europea, che come è noto ha ribadito il suo attaccamento
all’ortodossia neoliberale persino nei momenti in cui sono particolarmente
evidenti i danni da essa provocati: quando cioè la crisi economica richiede
misure volte a sostenere la domanda e ad alleviare il disagio sociale.
L’Unione europea è del resto la culla dell’economia sociale di mercato,
espressione confezionata ad arte per far ritenere che si intenda alludere a
una sorta di capitalismo dal volto umano, in verità espressiva della volontà
di ridurre l’inclusione sociale a inclusione nel mercato8.
Diversa è stata invece la sorte del neoliberalismo nel contesto la-
tinoamericano, dove la consapevolezza circa l’utilità di un intervento
perequativo dei pubblici poteri ha determinato una svolta politica, più
precisamente un giro a la izquierda: una svolta a sinistra. Quest’ultima
è l’espressione utilizzata per descrivere un insieme certo multiforme di
esperienze, che tuttavia denotano nel complesso una tendenza sufficien-
temente omogenea, se non altro dal punto di vista della reazione alle
principali politiche contemplate dal Washington consensus: motivo per cui
si è parlato nel merito di «postneoliberalismo», o di «neosviluppismo»,
o ancora di «socialismo del 21. Secolo»9. Il tutto si aprì con l’avvento al
potere di Hugo Chávez in Venezuela (1998), epoca in cui la sinistra latino-
americana era al potere solo a Cuba. E proseguì con l’elezione di Ricardo
Lagos in Cile (2000), di Lula da Silva in Brasile (2002), di Néstor Kirchner
in Argentina (2003), di Tabaré Vázquez in Uruguay (2005), di Evo Morales
in Bolivia (2006), di Daniel Ortega in Nicaragua (2007), di Rafael Correa in
Ecuador (2007), di Álvaro Colom in Guatemala (2007), di Fernando Lugo
nel Paraguay (2008) e di Mauricio Funes in El Salvador (2009).

2. Dalla svolta a sinistra allo scontro tra capitalismi

Si è detto che l’insieme appena ricostruito era decisamente multiforme,


motivo per cui alcuni hanno voluto differenziare tra una sinistra «mo-
derna, aperta e riformista», come quelle cilena, uruguayana e brasiliana,
e una sinistra «nazionalista, sguaiata e chiusa», i cui principali esponenti
sedevano in Bolivia, Ecuador e Venezuela10. Altri hanno contrappo-

8
  Al proposito A. Somma, Economia sociale di mercato e scontro tra capitalismi, in Diritto pubblico
comparato ed europeo online, 2015-4, 1 ss.
9
  Citazioni in S. Stoessel, Giro a la izquierda en la América Latina del siglo XXI. Revisitando los
debates académicos, in Polis Revista Latinoamericana, 39, 2014, 8 ss.
10
  J. Castañeda, Latin America’s Left Turn, in Foreign Affairs, 85, 2006, 28 ss.

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sto una sinistra «populista» e «nazionalista», da un lato, e una sinistra


«democratica»11 o «responsabile»12 o ancora «riformista»13, dall’altro.
Questa e altre etichette utilizzate dai commentatori delle vicende
latinoamericane sono però inevitabilmente impregnate dei significati as-
sunti nel contesto in cui sono sorte: in quanto tipicamente utilizzate nel
discorso pubblico occidentale, sono espressive di un metro di giudizio di
matrice inevitabilmente etnocentrica14. Il che impedisce di vedere i tratti
comuni del giro a la izquierda, tutti relativi alla reazione all’ortodossia ne-
oliberale e al relativo ripristino di un ruolo attivo dei pubblici poteri nella
conformazione dell’ordine economico, finalizzato in particolare a tenere
insieme crescita ed equa redistribuzione delle risorse15. Il tutto amplifi-
cando differenze a ben vedere prive di reale sostanza in quanto ricondu-
cibili alle caratteristiche del contesto in cui si è sviluppata la menzionata
reazione al neoliberalismo16: se diverse sono le manifestazioni di quest’ul-
timo, tutte riconducibili alle modalità attraverso cui esso viene reso stori-
camente possibile, lo stesso vale evidentemente per le forme assunte dal
suo contrasto.
Il modo etnocentrico di descrivere una simile transizione non è però
un caso isolato: si colloca nel solco di una lunga e persistente tradizione.
Sono in effetti ricorrenti le riflessioni degli studiosi che, considerando
l’area latinoamericana come la periferia di un centro rappresentato ora
dall’Europa, ora dagli Stati Uniti, sono naturalmente portati a trascurare
i dati da cui ricavare invece i termini di una specifica identità. Un’identità
non certo in tutto e per tutto alternativa a quella occidentale, di cui si
condividono in effetti alcuni tratti, tuttavia combinati con caratteristiche
di altro tipo, che come diremo meglio in seguito indicano una specificità
e non anche una scarsa capacità di imitazione.
Probabilmente, se la tradizionale considerazione dell’esperienza la-
tinoamericana alla stregua di una periferia del centro occidentale risulta
particolarmente radicata, è anche a causa degli ultimi sviluppi che contri-
buiscono a consolidare una simile immagine. Sembra infatti che la svolta a

11
  A. Touraine, Entre Bachelet y Morales, ¿existe una izquierda en América Latina?, in Nueva Socie-
dad, 205, 2006, 46 ss.
12
  K. Weyland, The Rise of Latin America’s Two Lefts: Insights from Rentier State Theory, in Com-
parative Politics, 41, 2009, 145 ss.
13
  L. Zanatta, Storia dell’America Latina contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 2017, 235.
14
  Per tutti A. Escobar, Latin America at a Crossroads. Alternative Modernizations, Postliberalism,
or Post-Development?, in Cultural Studies, 24, 2010, 1 ss.
15
  J. Grugel e P. Riggirozzi, Post-Neoliberalism in Latin America: Rebuilding and Reclaiming the
State after Crisis, in Development and Change, 43, 1, 2012, 1 ss.
16
  F. Ramírez Gallegos, Mucho más que dos izquierdas, in Nueva Sociedad, 205, 2006, 30 ss.

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Alessandro Somma

sinistra stia lentamente ma inesorabilmente cedendo il passo a una diversa


svolta, per molti aspetti alimentata dalla crisi economica e finanziaria degli
ultimi anni: quella che prelude a un ritorno in campo degli schemi affer-
matisi negli anni Novanta. E ciò autorizzerebbe a discorrere di una nuova
transizione verso il neoliberalismo, o meglio di un suo ritorno, se non in
atto, come nell’Argentina di Mauricio Macrì, almeno in potenza: circostanza
ipotizzata alla luce delle vicende che interessano alcuni Paesi sia della co-
siddetta sinistra populista, come il Venezuela di Nicolás Maduro, sia della
cosiddetta sinistra democratica, come il Brasile di Michel Temer.
Il tutto mentre resistono e anzi vivono momenti di riscatto i Paesi
latinoamericani che non hanno conosciuto l’avvento al potere della sini-
stra, come in particolare la Colombia di Juan Manuel Santos. E mentre da
più parti si sottolinea che in non pochi casi la sinistra ha perso i connotati
che i suoi detrattori mirano ad attribuirle: non è cioè antidemocratica e
anticapitalista, ovvero non intende sovvertire l’ordine costituito, bensì in
massima parte renderlo compatibile con il perseguimento di finalità con-
cernenti una più ampia e incisiva rappresentanza dei portatori di debo-
lezza sociale17: sul punto torneremo fra breve.
Se così stanno le cose, i recenti sviluppi nell’area latinoamericana ben
possono essere letti alla luce dello scontro in atto tra modelli di capitalismo,
che da tempo caratterizza l’Occidente e si traduce nel conflitto tra common
law e civil law: il primo essendo il diritto tipico del capitalismo neoameri-
cano, quello in linea con l’ortodossia neoliberale, e il secondo quello del
capitalismo renano, sviluppatosi ai tempi del compromesso keynesiano
e dunque più adatto a combinare crescita e piena occupazione18. Ci tro-
viamo insomma di fronte a una tendenza che alcuni segnalano affondare
le radici nel tempo, giacché attiene al processo di «dis-europeizzazione»
dell’area e della sua contestuale «americanizzazione»19. Anche se, a ben
vedere, la stessa area viene menzionata da coloro i quali discutono di un
nuovo modello di capitalismo che in prospettiva potrebbe prevalere su
quelli ereditati dal passato: il nuovo capitalismo di Stato20, a cui si potreb-
bero ricondurre le esperienze latinoamericane in virtù della riscoperta del
ruolo dei pubblici poteri alla base della svolta a sinistra.

17
  B. Arditi, El giro a la izquierda en América Latina: ¿una política post-liberal?, in Ciências Sociais
Unisinos, 45, 2009, 232 ss.
18
  Citazioni in A. Somma, Diritto e capitalismo. Leggi dello Stato e leggi del mercato nella costruzione
della soggettività neoliberale, in M.G. Bernardini e O. Giolo (cur.), Teorie critiche del diritto, Pisa,
2017, 295 ss.
19
  L. Zanatta, Storia dell’America Latina contemporanea, cit., 12.
20
  Ad es. A. Musacchio, S.G. Lazzarini e R.V. Aguilera, New Varieties of State Capitalism: Strategic
and Governance Implications, in Academy of Management Perspectives, 29, 2015, 120 ss.

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Insomma, è più che mai opportuno concentrare l’attenzione sulla


possibilità di individuare i caratteri di una specifica identità del diritto la-
tinoamericano, e a monte sugli espedienti utilizzati dai comparatisti per
negarne l’esistenza. Potremo così riprendere quanto emerso in sede di
analisi delle transizioni ricostruite in apertura, per rileggerlo alla luce delle
proposte avanzate per interpretarle e in particolare per sottrarre final-
mente il diritto latinoamericano allo schema per cui esso costituisce una
periferia condannata a imitare i modelli del centro.

3. Il selvaggio imitatore e la circolazione dei modelli

Che i comparatisti siano tradizionalmente inclini a negare l’identità del


diritto latinoamericano, non deve stupire più di tanto. La loro disciplina
nasce nel momento in cui si diffonde la modernità capitalistica e subito
si presta ad amplificarne le tensioni razionalizzatrici: ad alimentare, come
contributo alla weberiana «schematizzazione coercitiva dell’esistenza»21,
i processi di unificazione del diritto oltre i confini nazionali.
È in questo contesto che si sviluppano le classificazioni incentrate
sulle distinzioni interne al diritto occidentale, con l’identificazione di un
«gruppo latino» comprendente «la Francia, il Belgio, l’Italia, la Spagna,
il Portogallo, la Romania e le Repubbliche latine dell’America centrale e
meridionale»22. Restituendo così l’immagine di una rigida gerarchia evi-
dentemente ricavata da un punto di osservazione privatistico, come quello
incentrato sulla circolazione del codice civile in quanto codice per antono-
masia. Invero il gruppo latino è tale perché i Paesi dell’America centrale e
meridionale si sono ispirati alla codificazione francese, e perché lo stesso
hanno fatto in particolare la Spagna e il Portogallo, ovvero i colonizzatori
prima e i punti di riferimento poi di quella porzione di mondo. E ciò equi-
vale a dire che, se la Francia è collocata al centro dell’esperienza giuridica
occidentale, i Paesi latinoamericani ne rappresentano la periferia estrema.
Questo modo di concepire l’area latinoamericana e il suo diritto, ri-
corrente nelle ricostruzioni più risalenti, appare ancora sufficientemente
diffuso23, mostrandosi come il portato ineliminabile della classificazione dei
diritti nazionali in sistemi e famiglie di sistemi. Anche di recente, even-

21
  M. Weber, Economia e società (1922), vol. 3, Torino, Edizioni di Comunità, 2000, 85.
22
  A. Esmein, Le droit comparé et l’enseignement du droit, in Nouvelle Revue historique de droit
français et étranger, 24, 1900, 495.
23
  Sul punto i rilievi critici di M. Siems, Comparative Law, Cambridge, Cambridge University
Press, 2014, 84 s. e S. Lanni, Il diritto dell’America latina, Napoli, Esi, 2017, 24 ss.

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Alessandro Somma

tualmente dopo aver avvertito circa le banalizzazioni alla base di un simile


inquadramento, ci si limita a menzionare il diritto latinoamericano come
periferia della famiglia di civil law24. E magari si spiega così, muovendo cioè
dalla sua «origine legale», la minore capacità di quel diritto di produrre be-
nessere materiale, come affermano i fautori della New comparative econo-
mics nell’ambito dell’approccio di Law and finance25. Chi poi utilizza il punto
di vista del diritto pubblico, segnala che il diritto latinoamericano è debi-
tore nei confronti delle elaborazioni provenienti dalla famiglia di common
law, per affermare in particolare che esso costituisce una periferia del centro
statunitense26: originano da quest’ultimo in particolare il federalismo e il
presidenzialismo diffusisi in Sudamerica27. Non manca infine chi è disposto
a riconoscere l’autonomia del diritto latinoamericano, tuttavia solo nella mi-
sura in cui esso coincide con l’esperienza giuridica indigena28, trascurando
la quale permane il rapporto di dipendenza dal diritto occidentale.
Le cose non mutano significativamente neppure considerando le
classificazioni che, volendo evitare di ricorrere ai diritti nazionali come
punto di riferimento della tassonomia29, adottano altri punti di vista: ad
esempio le modalità di controllo o incentivazione sociale. In questo modo
l’area latinoamericana perde il carattere di periferia rispetto all’area euro-
pea e nordamericana, ricondotta ai sistemi a «egemonia professionale», e
tuttavia finisce per essere identificata con caratteristiche che la pongono
comunque in posizione subordinata rispetto al diritto occidentale. Questo
traspare dall’inclusione delle esperienze latinoamericane tra gli ordina-
menti a «egemonia politica», in quanto la loro posizione di «Paesi in tran-
sizione e in via di sviluppo» non consente loro di realizzare il divorzio tra
circuito del diritto e circuito della politica tipico del diritto occidentale30. E
ciò equivale a dire che, se da un lato l’area latinoamericana non costituisce

24
  Ad es. M. Fromont, Grands systèmes de droit étrangers, 3. ed., Paris, Dalloz, 1998, 6 e U. Kischel,
Rechtsvergleichung, München, C.H. Beck, 2015, 629.
25
  Per tutti S. Djankov et al., The New Comparative Economics, in Journal of Comparative Econo-
mics, 31, 2003, 595 ss.
26
  Ad es. R.B. Schlesinger et al., Comparative Law, 6. ed., New York, Foundation Press, 1998, 291.
27
  L. Mezzetti, L’America latina, in P. Carrozza, A. Di Giovine e G.F. Ferrari (cur.), Diritto costitu-
zionale comparato, Roma-Bari, Laterza, 2009, 471 s. e 482. Anche A. Gambaro e R. Sacco, Sistemi
giuridici comparati, 3. ed., in Trattato di diritto comparato, dir. da R. Sacco, Torino, Utet, 2008, 301.
28
  Ad es. R. David e C. Jauffret-Spinosi, Les grands systèmes de droit contemporains, 11. ed., Paris,
Dalloz, 2002, 56. Anche V. Varano e V. Barsotti, La tradizione giuridica occidentale. Testo e materiali
per un confronto civil law common law, 5. ed., Torino, Giappichelli, 2014, 496 s.
29
  Cfr. A. Somma, La geografia dei corpi politici. Classificazioni e genealogie tra diritto privato com-
parato, diritto pubblico comparato e ortodossia neoliberale, in questa Rivista, 19, 2017, pp. 1217 ss.
30
  U. Mattei, Three Patterns of Law: Taxonomy and Change in the World’s Legal Systems, in Ameri-
can Journal of Comparative Law, 45, 1997, 5 ss.

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la periferia di un modello, essa rappresenta dall’altro lato il centro di un


modello reputato complessivamente periferico, tale in quanto arretrato
rispetto alle esperienze occidentali.
Lo stesso vale per il ricorso al concetto di tradizione giuridica, che
indica il rifiuto della positivistica «autorità normativa delle fonti formali
del diritto» cui di norma rinvia il riferimento al sistema o alla famiglia di
sistemi31. Ciò non impedisce infatti di riprodurre gli schemi tradizionali in
sede di descrizione del diritto latinoamericano, e con essi il peso attribuito
ai caratteri tradizionalmente evocati per sostenere quel rapporto: primo fra
tutti il ruolo della codificazione civile «come espressione di un’ideologia»
che si sviluppa in area europea, per essere poi recepita in Sudamerica32. Si
possono cioè ampliare gli orizzonti della classificazione, includendovi dati
di natura in senso lato culturale, ma il proposito di produrre narrazioni
attorno ai grandi sistemi espone comunque al rischio di riprodurre schemi
gerarchici, e dunque di sacrificare la specificità delle esperienze che in
quelle narrazioni rivestono un ruolo tipicamente subordinato33.
Ma torniamo alle classificazioni per diritti nazionali e dedichiamoci
alla gerarchia cui esse rinviano in modo più o meno esplicito. Nel merito
è evidente il nesso con lo studio della mutazione giuridica, giacché la ge-
rarchia in discorso attiene in ultima analisi alle dinamiche che presiedono
alla circolazione dei modelli giuridici. Il tutto, anche qui, riproducendo
schemi e credenze risalenti, come quelli proposti alla nascita della mo-
derna comparazione giuridica: quando, proprio con riferimento all’imita-
zione di modelli elaborati in seno alle «grandi civilizzazioni», si osservava
che «il selvaggio non copia nulla senza snaturarlo per goffaggine, esatta-
mente come i bambini sono soliti disegnare»34.
Se ne ricava che il modo tradizionale di classificare sistemi e famiglie
di sistemi è etnocentrico anche perché muove dalla considerazione che
l’imitazione costituisce una fedele riproduzione di modelli, vicenda nella
quale non vi sarebbe spazio alcuno per l’apporto del soggetto importatore.
Si trascura così che l’imitazione implica innanzi tutto una selezione ne-
cessariamente arbitraria di quanto si reputa opportuno imitare35. E che al

31
  H.P. Glenn, Legal Traditions of the World: Sustainable Diversity in Law, Oxford, Oxford Uni-
versity Press, 2000, xxi.
32
  J.H. Merryman, La tradizione di civil law nell’analisi di un giurista di common law (1969), Mi-
lano, Giuffrè, 1973, 40 ss.
33
  J. Vanderlinden, Comparer les droits, Diegem, Story-Scientia, 1995, 375.
34
  G. Tarde, Le droit comparé et la sociologie, in Bulletin mensuel de la société de législation comparé,
31, 1990, 536.
35
  Cfr. D.E. Lopez Medina, Teoría impura del derecho. La transformación de la cultura jurídica
latinoamericana, Bogotá, Legis - Universidad de los Andes, Universidad Nacional, 2004.

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Alessandro Somma

processo di imitazione dei modelli è coessenziale una loro modifica e in-


tegrazione, «una reinvenzione a livello periferico del diritto del centro»36.
Ma non è tutto. In letteratura si suole dire che la scelta del modello
da imitare dipende da «una qualità che non sappiamo come chiamare, se
non con il nome prestigio»37: una qualità valutata autonomamente dalla
classe dei cultori del diritto dell’ordinamento imitatore, i quali operano
pertanto secondo criteri di ordine tecnico, essendo tutt’al più condizionati
nella scelta dalla effettiva accessibilità di quanto si reputa prestigioso38.
Si occulta così la recezione imposta di modelli39, che è stata il principale
motore della circolazione del diritto occidentale. Lo documenta la storia
del periodo coloniale, ma anche le vicende successive alla sua conclu-
sione: l’imperialismo occidentale è sopravvissuto al colonialismo storico,
indicando una sorta di gusto innato per il ricorso alle più disparate forme
di controllo40.
Proprio a partire da questo schema, tra gli anni Cinquanta e Sessanta
del secolo scorso si è sviluppato il movimento di Law and development,
intenzionato ad approfondire la relazione tra mutazione giuridica e svi-
luppo economico, anche e soprattutto in area latinoamericana. Ebbene, in
quell’ambito venne fin da subito tracciata la distinzione tra Paesi «avan-
zati» e Paesi «inseguitori», i primi produttori e i secondi assimilatori di
modelli giuridici occidentali, ritenuti la punta avanzata in termini di pro-
gresso41. E fin da subito fu evidente che i modelli da sponsorizzare erano
quelli mutuati dal common law statunitense, punto di riferimento per
quanto è stata ritenuta, più che una forma di assistenza legale, un’opera-
zione di vero e proprio «imperialismo giuridico»42.
Un’operazione assimilabile ha interessato gli anni Novanta, quando
in area latinoamericana ha preso corpo la svolta neoliberale, accompa-

36
  G. Marini, La costruzione delle tradizioni giuridiche e il diritto latinoamericano, in Rivista critica
del diritto privato, 29, 2011, 168.
37
  R. Sacco, Introduzione al diritto comparato, in Trattato di diritto comparato, dir. da R. Sacco,
Torino, Utet, 1992, 147.
38
  A. Watson, The Evolution of Western Private Law, Baltimore e London, Johns Hopkins Uni-
versity Press, 2001, 263.
39
  Ad es. M. Rheinstein, Einführung in die Rechtsvergleichung, 2. ed., München, C.H. Beck, 1987,
125.
40
  J. Kleinheisterkamp, Development of Comparative Law in Latin America, in M. Reiman e R.
Zimmermann (cur.), The Oxford Handbook of Comparative Law, Oxford, Oxford University Press,
2006, 267 ss.
41
  Cfr. R. Benedix, Nation-Building and Citizenship. Studies of our Changing Social Order, Berkeley,
Wiley, 1964, 413.
42
  Cfr. J.A. Gardner, Legal Imperialism. American Lawyers and Foreign Aid in Latin America, Ma-
dison, University of Wisconsin Press, 1980, part. 27 ss.

66
Il diritto latinoamericano tra svolta a sinistra e persistenza dei modelli neoliberali

gnata da una rinnovata attenzione per i modelli statunitensi, naturale


punto di riferimento per articolare dal punto di vista istituzionale e nor-
mativo il favore per il libero mercato43. A conferma di come lo scontro tra
common law e civil law, e a monte tra varietà di capitalismo più o meno
rispettose dell’ortodossia neoliberale, occupi da tempo i cultori del diritto,
per i quali l’ultima delle transizioni latinoamericane dovrebbe pertanto
costituire materia di particolare interesse e analisi.

4. L’identità del diritto latinoamericano

Il quadro appena ricostruito, ovvero l’immagine di un diritto latinoame-


ricano la cui identità viene di norma sistematicamente negata, costituisce
lo sfondo per le numerose analisi impegnate, se non direttamente a deni-
grarlo, almeno a documentarne il carattere esotico44.
Particolarmente diffusa è la critica al formalismo dei giuristi, il loro
culto per la «purezza della scienza giuridica», a cagione del quale il diritto
sarebbe divenuto uno strumento inadatto a «soddisfare i bisogni della
società»45. Il che viene presentato come ulteriore conferma di come i la-
tinoamericani abbiano compiuto errori nell’imitazione del modello fran-
cese, solo inizialmente dedito al formalismo: nella fase in cui prevaleva
l’omaggio al positivismo legislativo, dal quale ci si è allontanati a partire
dalla svolta della Scuola scientifica, affermatasi proprio per risintonizzare
il fenomeno diritto con il suo contesto spazio temporale. Similmente si
svaluta il recepimento del presidenzialismo statunitense, ritenendolo di-
fettoso per essere stato realizzato in forme inidonee a produrre un efficace
meccanismo di checks and balances46. Di qui le pulsioni populiste e il cau-
dillismo, sul quale avremo modo di tornare in seguito.
Eppure anche le deviazioni latinoamericane dal modello occidentale,
che evidentemente si possono evidenziare sebbene non a testimonianza
di una cronica inferiorità, ben possono essere imputate a cattive influenze
provenienti dal centro di quel modello. Si ammette infatti che le deviazioni
rispetto alla tripartizione dei poteri, alla base della ritenuta imperfezione

43
  Per tutti E. Philips, The War on Civil Law? The Common Law as a Proxy for the Global Ambition
of Law and Economics, in Wisconsin International Law Journal, 24, 2007, 915 ss.
44
  D.E. López Medina, La teoria impura del diritto: le trasformazioni della cultura giuridica latino-
americana, in Rivista critica del diritto privato, 29, 2011, 198 ss.
45
  J.H. Merryman, La tradizione di civil law, cit., 164. Sul punto J. Esquirol, The Fictions of Latin
American Law, in Utah Law Review, 50, 1997, 425 ss. e Id., Continuing Fictions of Latin American
Law, in Florida Law Review, 2003, 55, 41 ss.
46
  L. Mezzetti, L’America latina, cit., 471 s.

67
Alessandro Somma

delle recezioni sudamericane, possono essere viste come un’eredità della


tradizione autoritaria spagnola47. Mentre la letteratura più consapevole dei
rischi di etnocentrismo segnala influenze europee sul caudillismo, consi-
derato alla stregua di una versione latinoamericana del cesarismo, quindi
un retaggio del modello napoleonico, oltre che un riscontro di quanto
abbiano attecchito dottrine come quelle sviluppate a partire dal pensiero
di Auguste Comte48. E difatti proprio il positivismo comtiano, nella lette-
ratura europea come in quella latinoamericana, era invocato in combina-
zione con visioni organiciste ed evoluzioniste della società, o comunque
a sostegno del proposito di produrre per l’individuo costruzioni idonee a
valorizzare il profilo del suo scioglimento nell’ordine49.
Il tutto mentre, con riferimento alla nascita del costituzionalismo
latinoamericano come costituzionalismo impregnato di nazionalismo in-
terclassista50, è bene ricordare che esso è stato storicamente inteso come
terza via tra liberalismo classico e socialismo51, alternativa a quella indi-
viduata dal fascismo europeo, ma per molti aspetti anche dal New Deal
statunitense52. L’Europa fascista era infatti vista con sospetto e preoccu-
pazione, e in tale contesto il nazionalismo diveniva «il vettore culturale
che permise di adeguarsi, senza contrapporsi, al contesto internazionale
negativo», consentendo di percorrere vie autonome rispetto alle dramma-
tiche contrapposizioni dell’epoca53.
Da rivedere sono anche i giudizi circa l’incapacità del diritto latinoa-
mericano di sostenere un ordine economico florido, che sappiamo essere
formulati in particolare dai teorici dell’origine legale. È infatti noto che
l’ordine economico è tale anche a causa di quanto messo in luce fin dalla
conclusione del secondo conflitto mondiale dai teorici della dependencia
nell’ambito della Commissione economica per l’America latina presso le
Nazioni Unite: lo scambio economico tra centro e periferia non aveva
favorito la seconda, come sostenuto dagli economisti di formazione ne-
47
  Ivi, 472. Anche K.S. Rosenn, Teaching Latin American Law, in American Journal of Comparative
Law, 19, 1971, 692.
48
  M. Losano, I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai diritti europei ed extraeuropei, Roma-Bari,
Laterza, 2000, 177.
49
  J.L. Kunz, Contemporary Latin-American Philosophy of Law, in American Journal of Comparative
Law, 3, 1954, 213.
50
  J. Vanderlinden, Comparer les droits, cit., 258.
51
  M. Carmagnani e G. Casetta, America latina: la grande trasformazione 1945-1985, Torino, Ei-
naudi, 1989, 66 ss.
52
  Sulle somiglianze tra fascismo e New Deal per tutti W. Schivelbusch, 3 New Deal. Parallelismi
fra gli Stati Uniti di Roosevelt, l’Italia di Mussolini e la Germania di Hitler. 1933-1939, Milano,
Tropea, 2008.
53
  M. Carmagnani, L’altro Occidente, cit., 303 ss.

68
Il diritto latinoamericano tra svolta a sinistra e persistenza dei modelli neoliberali

oclassica, che anzi si trovava in una condizione di dipendenza rispetto al


primo54. Il tutto per assecondare la dottrina Monroe, che aveva perso la
sua carica anticolonialista per divenire lo scudo dietro il quale praticare
politiche di egemonia sul continente americano. E queste erano bensì de-
stinate a incrementare la capacità di spesa dei latinoamericani acquistando
da loro materie prime, tuttavia solo per trasformarli in consumatori di
prodotti finiti importati55. Da ciò le critiche formulate dagli intellettuali
latinoamericani, i quali accusavano gli statunitensi di imporre forme di
economía destructiva, capaci solo di produrre dipendenza economica e non
anche di stimolare un’economía reproductiva y progresiva, fonte di una cre-
scita duratura ed equilibrata56.
Ma torniamo all’identità negata del diritto latinoamericano per con-
siderare i pochi che nel tempo, almeno fin dalla fine dell’Ottocento57,
hanno cercato invece di individuarne i tratti originari58. Il che riguarda le
classificazioni incentrate sul sistema delle fonti, maggiormente ricorrenti
presso i cultori del diritto privato comparato, dove si fa lentamente strada
la consapevolezza che l’esperienza latinoamericana comprende modelli
mutuati dal diritto occidentale, mescolati tuttavia a elementi autoctoni
o comunque specifici, in forme tali da produrre un diritto dai tratti ori-
ginali59. E riguarda evidentemente le classificazioni dei cultori del diritto
pubblico comparato, più differenziate quanto a scelta dei punti di riferi-
mento per la tassonomia, tra le quali si segnalano importanti contributi
attenti alla specifica identità del diritto latinoamericano60.
Si potrebbe qui richiamare la letteratura intenta a ricostruire l’iden-
tità latinoamericana a partire dalla sua matrice romanistica61, apprezza-

54
  Per tutti Th. Dos Santos, The Structure of Dependence, in American Economic Review, 60, 1970,
231 ss.
55
  Ad es. G. Pighini, Venezuela Paese dell’avvenire, Firenze, Le lingue estere, 1950, 10 s.
56
  A. Uslar Pietri, Sembrar el petróleo, in Ahora del 14 luglio 1936.
57
  Al proposito per tutti M. Losano, Clóvis Bevilaqua entre comparação e filosofia do direito, in AA.
VV., VII Congresso Brasileiro de Filosofia, João Pessoa, Governo do Estado - Tribunal de Justiça
da Paraíba - Centro Universitario de João Pessoa, 2002, 389 ss.
58
  Citazioni in M. Pargendler, The Rise and Decline of Legal Families, in American Journal of Com-
parative Law, 60, 2012, 5 ss. e M. Rosti, Sull’esistenza di un sistema giuridico ibero-americano, in
Cardozo Electronic Law Bulletin, 13, 2007, 3 ss.
59
  Ad es. P. Gallo, Voce America latina, in Digesto delle Discipline privatistiche – Sezione civile, vol.
1, Torino, Utet, 1987, 296.
60
  Per tutti L. Pegoraro, Giustizia costituzionale comparata. Dai modelli ai sistemi, Torino, Giap-
pichelli, 2015.
61
  V. S. Schipani (cur.), Diritto romano, codificazione e sistema giuridico latino-americano, Milano,
Giuffrè, 1981 e Id., Codici civili nel sistema latinoamericano, in Digesto delle Discipline privatistiche
– Sezione civile, Aggiornamento n. 5, Torino, Utet, 2010. Al proposito S. Lanni, Il diritto dell’A-
merica latina, cit., 27 ss.

69
Alessandro Somma

bile soprattutto per la resistenza che oppone alla penetrazione nell’area


dei modelli di common law, ovviamente di matrice statunitense. Si tratta
peraltro di un’operazione culturale che non produce una reale emanci-
pazione del diritto latinoamericano, del quale è facile documentare il ca-
rattere periferico rispetto al centro europeo, ovvero rispetto alla patria dei
modelli romanistici.
Nella letteratura degli ultimi anni spicca il contributo di un autore
che, muovendo da una critica all’etnocentrismo imperante tra i compara-
tisti, si sofferma sulla necessità di tenere conto delle diversità tra i diritti
nazionali dell’area, ma nel contempo di valorizzare vicende comuni utili
a ricostruire l’identità del diritto latinoamericano: in particolare la circo-
stanza che esso risulta condizionato dalle caratteristiche del processo di
colonizzazione, così come dalle vicende relative alla conclusione di quel
processo62.
Quanto al primo aspetto, l’autore sottolinea come la colonizzazione
si sia espressa con modalità diverse da quelle successivamente assunte
dall’imperialismo mercantile ottocentesco in area africana o asiatica, mo-
tivo per cui le popolazioni indigene sono state assimilate e almeno formal-
mente poste sullo stesso piano delle popolazioni della madrepatria. Di qui
lo sviluppo di particolari manifestazioni di pluralismo giuridico, seppure
non nella forma della «stratificazione fra sistemi giuridici forti»63, comun-
que idonee a conferire tratti peculiari all’esperienza latinoamericana.
Quanto ai caratteri dell’identità latinoamericana influenzati dalle
modalità con cui è terminata la colonizzazione, si osserva che essa av-
venne nello stesso torno di anni, cioè quando le colonie sudamericane
approfittarono dell’espansionismo francese in epoca napoleonica per li-
berarsi dalla dominazione iberica, e iniziare così la costruzione di Stati
nazionali indipendenti64. Similmente si è individuato nel costituzionali-
smo postcoloniale una tensione libertaria ed egualitaria, magari rivisitata
al fine di dare risposte alla questione sociale, espressiva di «idee forza
comuni»65, se non di una vera e propria «unità spirituale»66.

62
  M. Losano, I grandi sistemi giuridici, cit., 175 ss.
63
  Ivi, 176 s. Anche A.C. Wolkmer, Voce South and Central America: Legal Pluralism, in S.N. Katz
(cur.), Oxford International Encyclopedia of Legal History, vol. 5, Oxford, Oxford University Press,
2008, 297 ss.
64
  M. Losano, I grandi sistemi giuridici, cit., 177.
65
  A. Alvarado Velloso, Voce Diritto dei Paesi latino-americani, in Enciclopedia giuridica Treccani,
vol. 6, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1989, 11.
66
  Cfr. la Dichiarazione di principi sull’insegnamento del diritto compilata sul finire degli anni
Cinquanta dall’Unione delle università latinoamericane: First Conference of Latin-American Law
Schools, in Inter-American Law Review, 1, 1959, 241.

70
Il diritto latinoamericano tra svolta a sinistra e persistenza dei modelli neoliberali

Lo schema appena proposto può essere messo in discussione da


molti punti di vista, in particolare per quanto attiene alla lettura della con-
quista come caratterizzata da pratiche assimilazioniste67. È tuttavia incon-
testabile, e centrale dal nostro punto di vista, che il diritto latinoamericano
contenga elementi risultanti dalla circolazione di modelli provenienti dal
continente europeo prima e dall’area statunitense poi. Altrettanto incon-
testabile è tuttavia la circostanza che essi si sono mescolati a elementi au-
toctoni o comunque specifici, in forme tali da produrre un diritto dai tratti
originali. Di qui l’essenza dell’identità del diritto latinoamericano, ovvero
dei caratteri di un ordine politico ed economico plasmato dall’olismo cui
rinvia l’incontro con l’esperienza giuridica indigena.

5. Modernità, tradizione indigena e olismo

Occorre a questo punto dire qualcosa sull’esperienza giuridica indigena,


per analizzare la quale muoveremo dai rilievi di un autore che la riconduce
alla «tradizione ctonia»: la tradizione giuridica primordiale, quella che
«semplicemente è emersa perché l’esperienza si è accumulata, e la memo-
ria e la sua trasmissione orale hanno fatto il loro lavoro». Ebbene, la tradi-
zione ctonia è l’unica a essere menzionata come tratto specifico dell’area
latinoamericana, assieme ad alcuni suoi caratteri che costituiscono ancora
oggi un punto di riferimento per identificare il nucleo essenziale del diritto
indigeno di quell’area, e di riflesso del diritto latinoamericano: l’olismo
di fondo che emerge dal culto per l’armonia tra i componenti il gruppo
umano, così come tra quest’ultimo e l’ambiente naturale68.
La stessa dottrina discute poi della tradizione di civil law, per affer-
mare che «la sua influenza storica nel mondo appare inconfondibile», ma
anche che essa non è dovuta unicamente alla «semplice ammirazione» e
dunque al prestigio. La tradizione di civil law viene infatti «associata all’i-
dea di dominazione», tanto da legittimare la domanda se «gli occidentali
sono essenzialmente dei fondamentalisti, a tal punto da ritenere che le
loro soluzioni siano talmente vere da dover essere seguite ovunque»69.
Queste precisazioni sembrano preludere all’impossibilità di com-
binare le due tradizioni in forme capaci di delineare lo spazio per una
specifica modernità latinoamericana. Invero la tradizione di civil law è

67
  Per tutti A. Alvarado Velloso, Voce Diritto dei Paesi latino-americani, cit., 2. Anche L. Nuzzo, Il
linguaggio giuridico della conquista. Strategie di controllo nelle Indie spagnole, Napoli, Jovene, 2004.
68
  H.P. Glenn, Legal Traditions of the World, cit., 56 ss.
69
  Ivi, 153.

71
Alessandro Somma

«relazionale», incentrata cioè sul rapporto tra individui portatori di «diritti


soggettivi». Al contrario, nella tradizione ctonia «l’individuo è immerso
nel passato e nella comunità», motivo per cui non è concepibile il «potere
di ottenere l’oggetto della volontà individuale», non sono possibili «diritti»
e neppure «interessi individuali» tutelati dall’ordinamento: la tradizione
«fa quadrato contro di essi»70. Da ciò la presunta carica antimodernista del
diritto indigeno, e dunque la sua radicale alterità rispetto al progetto in-
carnato dalla tradizione giuridica occidentale e dal suo modo di concepire
l’ordine politico e l’ordine economico.
A ben vedere le cose non possono però essere rappresentate in ter-
mini di radicale contrapposizione. Le due impostazioni, l’approccio olista
da un lato e l’attenzione per l’individuo dall’altro, ben possono convivere,
se solo si trova il giusto equilibrio tra il singolo e l’ordine, e se nel con-
tempo si fa chiarezza circa i valori di cui l’ordine si rende interprete.
Un esempio di equilibrio particolarmente felice è quello cui prelude
la Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni approvata dall’Assemblea
generale delle Nazioni Unite nel 2007. Quest’ultima accoglie per un verso
l’impostazione olistica tipica della tradizione ctonia, in particolare ricono-
scendo il diritto collettivo degli indigeni «alle terre, territori e risorse che
hanno tradizionalmente posseduto, o occupato o altrimenti utilizzato o
acquisito». Per un altro verso la Dichiarazione valorizza anche il punto di
vista moderno in quanto prevede una serie di diritti dei «singoli individui
indigeni»71. Diritti da tutelare anche nei confronti della loro comunità,
che dunque diviene un’entità alla ricerca di un equilibrio tra individuo e
ordine finalizzato a promuovere valori come l’armonia con la natura, o se
si preferisce la sostenibilità ambientale delle condotte umane.
La frizione tra diritto indigeno e modernità non è dunque insa-
nabile. È al contrario il punto di riferimento per complicare il discorso
sulla modernità, per sviluppare l’idea di «modernità alternative» 72, o
«parallele»73, o ancora «multiple»74. Il tutto secondo schemi che a ben
vedere non sono esclusivi delle cosiddette periferie della tradizione giu-
ridica occidentale. Anche il centro di quest’ultima ha da tempo messo
sotto accusa l’individualismo proprietario di norma annoverato invece
70
  Ivi, 67 e 130 s.
71
  Cfr. l’art. 26 della Dichiarazione. Sul punto A. Xanthaki, Indigenous Rights and United Nations
Standards. Self-Determination, Culture and Land, New York etc., Cambridge University Press,
2007, 29 ss.
72
  Per tutti D.P. Gaonkar, On Alternative Modernities, in Public Culture, 11, 1999, 1 ss.
73
  Ad es. B. Larkin, Indian Films and Nigerian Lovers. Media and the Creation of Parallel Moder-
nities, in Africa, 67, 1997, 407 ss.
74
  S.N. Eisenstadt, Multiple Modernities, in Deadalus, 129, 2000, 1 ss.

72
Il diritto latinoamericano tra svolta a sinistra e persistenza dei modelli neoliberali

tra suoi tratti identitari, e prodotto per l’ordine economico regole de-
stinate a democratizzarlo. In particolare regole concernenti la dissocia-
zione tra titolarità e amministrazione dei beni cui prelude la teoria dei
beni comuni75, non a caso riconducibile a schemi presenti nella tradi-
zione indigena e per il suo tramite nel diritto latinoamericano, da molti
ritenuto un’imprescindibile fonte di ispirazione per la critica complessiva
all’ordine proprietario76.
Detto questo, occorre precisare che la modernità occidentale ha sto-
ricamente prodotto costruzioni tutt’altro che incentrate sull’individuo e
sulle sue strategie di emancipazione. Ha infatti promosso costruzioni oli-
stiche pensate per preservare valori molto diversi da quelli cui rinvia la
tradizione indigena: per presidiare la funzionalizzazione delle condotte
economiche del singolo nelle forme di volta in volta ritenute necessarie ad
assicurare l’equilibrio e lo sviluppo dell’ordine proprietario.
Non è sempre stato così. Modernità e individualismo hanno pro-
ceduto insieme sino a quando ha retto l’ordine economico tipico della
società borghese, fondata sul patto per cui al sovrano si affidava l’im-
pero e all’individuo la proprietà, che ben poteva costituire uno strumento
di emancipazione: chiunque poteva acquisire la titolarità di un bene nel
momento in cui lo trasformava con il suo lavoro77. L’avvento della società
industriale ha però inceppato questo schema: con il sistema di fabbrica il
lavoro non poteva immettere nella condizione proprietaria, che da stru-
mento di emancipazione individuale diveniva un’attività fondamental-
mente preposta al sostegno dell’equilibrio e dello sviluppo dell’ordine
proprietario, oltre che una fonte di immobilità sociale. Di qui una serie di
conflitti che evidenziavano come l’ordine economico si potesse governare
solo reprimendo la logica individualistica ereditata dalla società borghese
e applicando quella olistica, tipica dell’ordine politico simboleggiato dal
Leviatano. La logica olistica era cioè chiamata a invadere l’ordine econo-
mico un tempo cittadella dell’individuo, ora bisognosa di essere presidiata
per non mettere a rischio la sopravvivenza della società industriale.
Il tutto consolidatosi per effetto della prima guerra mondiale che,
come è stato detto efficacemente all’epoca, aveva affossato l’individuali-
smo esattamente come la Rivoluzione francese aveva decretato la fine del
75
  Cfr. A. Somma, Democrazia economica e diritto privato. Contributo alla riflessione sui beni co-
muni, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 41, 2011, 461 ss.
76
 V. in particolare il dibattito attorno al buen vivir: per una panoramica S. Bagni (cur.), Dallo
Stato del bienestar allo Stato del buen vivir. Innovazione e tradizione nel costituzionalismo latinoame-
ricano, Bologna, Filodiritto, 2013 e S. Baldin e M. Zago (cur.), Le sfide della sostenibilità. Il buen
vivir andino dalla prospettiva europea, Bologna, Filodiritto, 2014.
77
  Ad es. P. Costa, Cittadinanza, Roma-Bari, Laterza, 2005, 33 ss.

73
Alessandro Somma

feudalesimo78. È però il secondo conflitto mondiale a mettere in evidenza


le tensioni che caratterizzano la modernità capitalistica: per sostenere
l’ordine economico era a tal punto indispensabile funzionalizzare i com-
portamenti individuali che, come ricordato in apertura menzionando lo
schema riassuntivo della ricetta fascista, all’esigenza di salvare la moder-
nità capitalistica ben si potevano sacrificare i principi ispiratori dell’ordine
politico democratico79.
È questo il fondamento dell’ortodossia neoliberale, che fin dagli anni
Trenta si forma come dottrina volta a riformare il liberalismo classico at-
traverso la subordinazione dell’ordine democratico all’ordine proprietario:
a consentire l’edificazione di uno Stato di «polizia del mercato», capace di
presidiare il meccanismo concorrenziale e realizzare così «la coincidenza
di interesse privato e interesse collettivo»80. Con ciò evidenziando al me-
glio come il liberalismo costituisca in ultima analisi una teoria relativa al
modo di combinare profitto individuale e collettivo, e non certo una te-
oria sulla libertà illimitata: una pratica governamentale che si regge sulla
produzione della libertà, ma anche e necessariamente sul suo consumo81.
Se così stanno le cose, la descrizione dell’esperienza giuridica lati-
noamericana come incentrata su forme di autoritarismo al servizio della
modernità, in ciò cattiva imitatrice di modelli occidentali, deve essere rivi-
sta. Anche quei modelli comprimono da tempo le libertà politiche, almeno
in tutti i casi in cui sia ritenuto utile a consentire la riforma delle libertà
economiche. E se ciò avviene in forme meno cruente di quelle ricorrenti
in area latinoamericana, non per questo si deve concludere che esse sono
meno efficaci dal punto di vista dello scioglimento dell’individuo nell’or-
dine, esito non certo in linea con la tradizione liberale.
Per converso, le forme di olismo tipiche dell’esperienza latinoameri-
cana non possono essere intese con lo stesso metro utilizzato per studiare
le vicende relative a quanto si reputa il centro dell’esperienza occidentale.
Il che vale innanzi tutto per i riferimenti al populismo, utilizzato come
sappiamo per analizzare il giro a la izquierda e differenziare tra svolte mo-
derate e svolte considerate radicali: quelle boliviana, ecuadoregna e ve-
nezuelana.

78
  N. Stolfi, La rivoluzione francese e la guerra mondiale, in Rivista di diritto pubblico, 13, 1922, I,
388 ss.
79
  Citazioni in A. Somma, Alle radici del diritto privato europeo. Giustizia sociale, solidarietà e
conflitto nell’ordine proprietario, in Rivista critica del diritto privato, 28, 2010, 39 ss.
80
  A. Rüstow, Das Versagen des Wirtschaftsliberalismus, 2. ed. (1950), Marburg, Metropolis, 2001,
26.
81
  Così M. Foucault, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-79), Milano, Fel-
trinelli, 2007, 65 e 264 s.

74
Il diritto latinoamericano tra svolta a sinistra e persistenza dei modelli neoliberali

6. Populismo e normalità capitalistica

Insomma, il populismo è un concetto dal campo semantico sfuocato82, e


tuttavia ha assunto una connotazione in massima parte negativa, se non
la valenza di imprecazione indefinita rivolta all’interlocutore di cui non si
condividano le idee. Occorre pertanto verificare la possibilità di intenderlo
in modo diverso, ovvero di rovesciare il senso con il quale ci si riferisce
all’America latina in quanto «paradiso del populismo»: l’ideologia per cui
il popolo costituisce una comunità omogenea ed armonica fondata sulla
condivisione di valori premoderni, in cui sono pertanto sconosciute le di-
stinzioni tipicamente riconducibili al funzionamento dell’ordine politico
ed economico moderno, che si pretende di difendere contro un nemico
esterno cui sono state attribuite le sembianze più disparate. Anche per
questo una simile comunità si esprime con la voce del leader, la cui azione
scardina pertanto «quel polo costituzionale che nelle democrazie rappre-
sentative suole garantire contro la tirannia della maggioranza». Giacché
quello a misura di populismo è un ordine di tipo corporativo, che degrada
le istituzioni della democrazia liberale a meri «canali di reclutamento
clientelare delle reti politiche familiari». Motivo per cui i populisti sono
rivoluzionari se si tratta di rimpiazzare le élites politiche, ma non anche di
innovare il complessivo ordine sociale, che anzi deve essere ricomposto
olisticamente, attuando la collaborazione tra le classi per meglio perse-
guire il fine comune83.
La stessa dottrina che ha descritto il populismo in questi termini si
sofferma sulle motivazioni per cui esso, fenomeno planetario, è partico-
larmente radicato nell’area latinoamericano. Ciò dipenderebbe innanzi
tutto dalla incapacità della democrazia rappresentativa di produrre eman-
cipazione: le regole sui diritti e sul funzionamento delle istituzioni restano
lettera morta o comunque evidenziano un notevole scarto tra forma e
sostanza. Di qui la particolare frammentazione della società latinoameri-
cana, che dunque vive una condizione stridente con un immaginario oli-
stico decisamente radicato in quanto affonda le sue radici nella cristianità
coloniale84.

82
  Come si ricava ad es. dai contributi ospitati nel numero monografico di questa Rivista (2015,
3), dedicato ai «partiti antipartito» e introdotto da E. Mostacci, Sintomo, patologia, talora medi-
cina: il partito antipartito e la multiforme crisi delle democrazie europee, 583 ss. Tra i contributi v.
soprattutto G.F. Ferrari, Partiti antipartito e partiti antisistema: nozione e tipologie alla prova del
diritto comparato, 921 ss.
83
  L. Zanatta, Il populismo in America latina. Il volto moderno di un immaginario antico, in Filosofia
politica, 18, 2004, 377 ss.
84
  Ivi, 388 s.

75
Alessandro Somma

In questa spiegazione sono rappresentati i due principali vizi che


caratterizzano le riflessioni sull’America latina: da un lato la sua identifi-
cazione come terra di imitazioni incompiute, ovvero la sua incapacità di
far funzionare le istituzioni della democrazia e del capitalismo, e dall’altro
l’autorappresentazione di queste ultime come motori di emancipazione
sociale. Come se il modello imitato non fosse necessariamente cosa di-
versa dall’originale, che dunque non può fornire punti di riferimento per
formulare valutazioni circa le qualità dell’imitatore. E come se in Occi-
dente democrazia e capitalismo non fossero costantemente in equilibrio
precario, il secondo sempre pronto a sacrificare la prima: circostanza rica-
vabile dalla combinazione alla base della ricetta fascista, precedentemente
richiamata, ma anche dalla complessiva evoluzione dello Stato neolibe-
rale85.
Il tutto anche a scapito della ricchezza del dibatto, e del conflitto,
attorno al modo di essere dell’ordine politico ed economico occidentale,
che sappiamo essere particolarmente acceso in ragione del corrente scon-
tro tra modelli di capitalismo. Una ricchezza sovente sacrificata ad arte
proprio per denigrare il populismo, se è vero che in letteratura si utilizza
l’espressione «economia populista» per indicare il costume latinoameri-
cano di promuovere la giustizia e la solidarietà sociale senza tenere «conto
di come questi obiettivi possano essere compromessi dall’inflazione, dal
deficit fiscale, dall’isolamento rispetto al commercio e alla finanza interna-
zionale, nonché dall’attuazione di politiche protezioniste e di intervento
statale, volte a controllare più che a regolare le forze di mercato»86. Eb-
bene, quanto si descrive qui in termini di populismo è la reazione all’or-
todossia neoliberale, è il favore per politiche destinate a tenere insieme
crescita e piena occupazione. Le stesse politiche ora screditate nell’occi-
dente capitalista, e tuttavia riconducibili a teorie economiche che possono
vantare una nobile tradizione e una qualificata schiera di studiosi e pratici
impegnati a sostenerne la fondatezza e l’opportunità87.

85
  Da ultimo E. Mostacci, Evoluzione del capitalismo e struttura dell’ordine giuridico: verso lo Stato
neoliberale?, in corso di pubblicazione in M. Brutti e A. Somma (cur.), Diritto: storia e compa-
razione. Nuovi propositi per un binomio antico, Frankfurt M., Max Planck Institute for European
Legal History, 2018.
86
  M. Carmagnani, L’altro Occidente. L’America latina dall’invasione europea al nuovo millennio,
Torino, Einaudi, 2003, 348 s. Anche S. Stoessel, Giro a la izquierda en la América Latina del siglo
XXI, cit., 16.
87
  Per tutti A. Barba e M. Pivetti, La scomparsa della sinistra in Europa, Reggio Emilia, Imprima-
tur, 2016 e S. Cesaratto, Sei lezioni di economia. Conoscenze necessarie per capire la crisi più lunga
(e come uscirne), Reggio Emilia, Imprimatur, 2016. V. anche V. Ronchi, Populismo e neopopulismo
in America latina. Differenze e specificità, in Equilibri, 11, 2007, 341 ss. con una riflessione sul
populismo neoliberale.

76
Il diritto latinoamericano tra svolta a sinistra e persistenza dei modelli neoliberali

A ben vedere la letteratura che stiamo qui criticando appare con-


divisibile per un giudizio che può essere utilizzato per ridimensionare di
molto la distinzione, richiamata in apertura, tra svolta a sinistra moderata e
svolta a sinistra radicale. Il riferimento è all’affermazione che quest’ultima,
anche nelle versioni più estreme, non ha mai realizzato il superamento
del capitalismo, bensì semplicemente tentato di mediare tra persona e
mercato: di «umanizzarlo»88.
Un giudizio dello stesso tenore, in linea con la definizione del po-
pulismo come ideologia votata a ricomporre in senso olistico il conflitto
sociale, lo ritroviamo anche presso i critici da sinistra del giro a la izquierda.
In quel contesto si sottolinea la distinzione tra postneoliberalismo e
postcapitalismo per chiarire come il primo non abbia inciso sui fonda-
menti di un ordine economico dominato dal capitale privato, consentendo
di redistribuire ricchezza solo in presenza di una congiuntura economica
positiva. Per il resto la svolta a sinistra non sarebbe stata significativa-
mente distinguibile dal desarrollismo sponsorizzato negli anni Cinquanta e
Sessanta dalla Commissione economica per l’America latina presso le Na-
zioni Unite: ha stimolato la produzione interna per emancipare i Paesi del
Sudamerica dalla condizione di esportatori di materie prime e importatori
di prodotti finiti, senza però incidere sul carattere estrattivista del modello
di sviluppo. Così facendo ha però promosso una «modernizzazione acri-
tica della società», incapace di mettere in discussione l’ordine proprietario
e di affrontare così il tema della sua sostenibilità ambientale89.
A questo punto torna in campo la riflessione sul populismo, questa
volta inteso in un’accezione meno negativa, e soprattutto rispettosa delle
caratteristiche del contesto in cui opera: un contesto nel quale le forze di
sinistra non potevano affidare le speranze di riscatto sociale all’azione di
una specifica classe sociale, essendo in particolare la classe operaia deci-
samente minoritaria in un contesto oltretutto fortemente frammentato.
Motivo per cui si sono necessariamente dovute reinventare come forze
postmarxiste, capaci di coinvolgere raggruppamenti più eterogenei o se
si preferisce interclassisti, e in tal senso più in linea con un discorso di
matrice populista90. Detto questo, il populismo a cui si fa riferimento non
rinvia, come invece reputano i suoi critici, a costruzioni di natura corpo-

88
  L. Zanatta, Il populismo in America latina, cit., 386. Anche M. Carmagnani, L’altro Occidente,
cit., 349.
89
  F. Houtart, Amérique Latine: Fin d’un cycle ou épuisement du post-néolibéralisme (2016), www.
cadtm.org/Amerique-Latine-Fin-d-un-cycle-ou.
90
  Sui presupposti teorici di questa opzione v. C. Formenti, La variante populista. Lotta di classe
nel neoliberismo, Roma, DeriveApprodi, 2016, 200 ss.

77
Alessandro Somma

rativa di tipo premoderno, in quanto tali votate a reprimere il conflitto.


Al contrario allude alla costruzione di uno spazio politico capace di com-
prendere la molteplicità del sociale, capace di operare sintesi ma anche
riconoscimento delle identità: non rinvia a una società omogenea, né a un
popolo concepito come realtà precostituita91.
Il tutto non conduce così a mortificare la rappresentanza tradizio-
nale, bensì a completarla con forme di democrazia radicale e diretta,
indispensabile a prevenire le derive corporative92, e con ciò a ripensare il
modello di sviluppo e stabilizzare così la svolta a sinistra oltre lo spazio
del postneoliberalismo93. Anche per impedire che la cultura indigena sia
degradata a mera «etnicità politicizzata» capace di produrre modernità
solo ove sia adattabile «ai modelli organizzativi di Stato, Nazione, po-
polo e cittadinanza che si sono diffusi in tutto il mondo negli ultimi due
secoli»94.
Nulla di più distante dal modello neoliberale che, diversamente da
quello liberale tradizionale, reprime il conflitto, punta ad accentrare il
potere politico per polverizzare il potere economico e indurre compor-
tamenti individuali accostabili a mere reazioni automatiche agli stimoli
di mercato. Proprio ciò che la democrazia radicale mira a scardinare
consentendo la costruzione di contropoteri, a cui l’ordinamento redistri-
buisce le armi del conflitto sociale bilanciando la debolezza sociale con la
forza giuridica, e realizzando così l’imperativo della parità sostanziale95:
in tal senso lo Stato della svolta a sinistra può divenire garante di un
nuovo patto sociale96.
Riassunti i termini del populismo inteso in un’accezione differente
rispetto a quella prevalente, dobbiamo però constatare che esso non ha
trovato riscontro nel funzionamento dell’ordine politico e dell’ordine
economico del contesto latinoamericano. Da questo punto di vista, come

91
  Questo schema si deve in particolare alla riflessione di Ernesto Laclau, di cui v. ad es. La
ragione populista (2005), cur. D. Tarizzo, Roma-Bari, Laterza, 2008 e Post-Marxism, Populism and
Critique (1997-2007), cur. D. Howart, London e New York, Routledge, 2015. Al proposito per
tutti M. Baldassari e D. Melegari (cur.), Populismo e democrazia radicale. In dialogo con Ernesto
Laclau, Verona, Ombre corte, 2012.
92
  S. Ellner, The Distinguishing Features of Latin America’s New Left in Power: The Chávez, Morales,
and Correa Governments, in Latin American Perspectives, 39, 2012, 96 ss.
93
  F. Houtart, Amérique Latine, cit.
94
  R. Brubaker, Nazionalismo, etnicità e modernità, in C. Corradi e D. Pacelli (cur.), Dalla moder-
nità alle modernità multiple. Percorsi di studio su società e culture, Soveria Mannelli, Rubbettino,
2011, 93.
95
  Cfr. A. Somma, Verso il postdiritto? Fine della storia e spoliticizzazione dell’ordine economico, in
corso di pubblicazione in Politica del diritto, 49, 2018.
96
  J. Grugel e P. Riggirozzi, Post-neoliberalism in Latin America, cit., 1 ss.

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Il diritto latinoamericano tra svolta a sinistra e persistenza dei modelli neoliberali

abbiamo detto, la svolta a sinistra è stata un fallimento, e questo costi-


tuisce la base di partenza per la nuova transizione in atto, quella relativa
al ritorno del neoliberalismo. Viene da chiedersi se vi era spazio per un
esito differente, ovvero per una modernità capitalista umanizzata resi-
stente nel tempo, oppure se questa rappresenta una forma di equilibrio
instabile destinata ad evolvere primo o poi verso il superamento del
capitalismo, o in alternativa verso il suo opposto: il ritorno della «nor-
malità capitalistica»97, concetto riassuntivo delle condizioni storiche di
funzionamento di un ordine economico incentrato sulla proprietà pri-
vata e la concorrenza, costantemente minacciato dal prevalere di moti
verso l’emancipazione sociale, se non direttamente verso il superamento
di quell’ordine.
La recente storia dell’Occidente testimonia una notevole forza at-
trattiva della normalità capitalistica, se è vero che l’approccio keynesiano
al governo dell’ordine economico, da ritenersi una forma di capitalismo
dal volto umano, è caduto in disgrazia nel corso degli anni Ottanta e da al-
lora non si è più risollevato. L’America latina ha tentato una strada diversa
sperimentando il postneoliberalismo, anch’esso una forma di capitalismo
dal volto umano, ma non sembra che questo abbia potuto introdurre un
diverso epilogo.
***
Le riflessioni che precedono hanno fatto da sfondo a un seminario inter-
nazionale che si è tenuto presso l’Università di Ferrara il 22 e 23 maggio
scorso, intitolato Dove va l’America latina? Vi hanno partecipato cultori del
diritto comparato, ma anche politologi, giornalisti, diplomatici ed espo-
nenti della società civile. Il seminario si è articolato lungo tre sessioni: la
prima dedicata alle coordinate storiche e metodologiche alla base dello
studio dell’esperienza giuridica latinoamericana, la seconda alla crisi di
consenso nei Paesi della svolta a sinistra, e la terza allo stato dell’arte nei
Paesi in cui prevale il modello neoliberale.
Di seguito sono riportati tre contributi rappresentativi dei tre blocchi
tematici: Lucio Pegoraro si è occupato di introdurre le principali proble-
matiche legate allo studio del diritto latinoamericano, Michele Carducci
ha ricostruite le vicende del costituzionalismo progressista, mentre Liliana
Estupiñan Achury si è dedicata al processo di pace in corso in Colombia.
Altri contributi presentati al seminario sono pubblicati nella Revista
General de Derecho Público Comparado 22 (2017): quelli di Silvia Bagni,

  A. Maddison, La natura e il funzionamento del capitalismo europeo, in Moneta e Credito, 51,


97

1988, 72 ss.

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Alessandro Somma

Lidia Patricia Castillio Amaya, Roberto Viciano Pastor e Rubén Martínez


Dalmau, Sabatino Alfonso Annecchiarico, Serena Baldin.

Alessandro Somma
Dipartimento di Giurisprudenza
Università di Ferrara
C.so Ercole I d’Este, 34 - 44121 Ferrara
alessandro.somma@unife.it

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