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riassunto IL Manifesto DEL Partito Comunista

STORIA DELLA FILOSOFIA CONTEMPORANEA (Università degli Studi di Urbino Carlo


Bo)

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Prima lezione
Il nome di Marx viene associato certamente alla poli5ca, alla teoria economica. Marx è l’autore di
un’opera importante per la storia dell’economia in5tolata “il Capitale”. La sua conversione allo studio
dell’economia fu il prodo@o di una riAessione che lo portò a capire che, ai Dni di comprendere i
rappor5 sociali come Dlosofo, la comprensione dell’economia fosse fondamentale. Considera i
rappor5 economici il fondamento dei rappor5 sociali e della vita intelle@uale e culturale degli
uomini.
Marx si professava come un materialista. Il materialismo a cui egli approdò, il materialismo storico, si
regge sulla credenza che alla base dei rappor5 sociali e culturali tra gli uomini si trovino i rappor5 di
produzione, economici.
Marx era comunista.
Il 1848 fu un anno di rivoluzione in Europa. PerDno nel nostro linguaggio comune si dice “hai fa@o un
quaranto@o” quando qualcuno fa uno scompiglio.
1789 Rivoluzione Francese che solo a@raverso l’espansione armata si diPuse nel resto del con5nente.
Nel ’48 scoppiarono dei mo5 rivoluzionari contro le truppe austriache e il Regno dei Savoia diede
inizio alla Prima Guerra di Indipendenza, che si risolse in un successo, ma che segnò anche la
partecipazione dell’Italia a questo grande subbuglio.
Versante poli-co
Il versante poli5co era quello che andava nella direzione di promuovere la partecipazione poli5ca
degli uomini nella vita poli5ca degli Sta5 di appartenenza e dentro questa rivendicazione c’erano due
sfumature:
- cara@ere liberale;
- cara@ere democra5co.
Chi vuole la libertà vuole anche la democrazia, il secondo di quei tre valori che già la rivoluzione
francese aveva rivendicato.
La partecipazione alla vita poli5ca, non più riservata solo a ce5 dis5n5, come l’aristocrazia, era spesso
condizionata da requisi5 o economici o culturali: si pensava che avessero la mentalità per partecipare
alla vita poli5ca e quindi partecipare alle decisioni poli5che solo persone che avessero un certo grado
di patrimonio o di nozione, poiché si pensava che gli individui non avessero mentalità suZcien5 per
partecipare alla vita poli5ca. Il requisito dell’istruzione era un elemento di selezione importante: chi
non sa leggere o scrivere od è ignorante, Dnirà per soccombere a persone che gli suggeriranno come
comportarsi, quindi riproduce per ossequi l’opinione di una seconda persona.
Ci sono delle società, dei Paesi, dove la partecipazione sul censo e sul grado di istruzione formava già
lo status quo, la regola del giorno e in questo caso la spinta rivoluzionaria sul piano poli5co era
indirizzata a rimuovere queste barriere, poiché bisognava che alle decisioni poli5che partecipassero
tu[.
Dove parliamo di monarchia assoluta tendiamo ad indicare un monarca che non segue una carta
cos5tuzionale ed è proprio per questo che si iniziarono a chiedere spinte rivoluzionarie.
In Francia una monarchia cos5tuzionale era sempre stata mantenuta e l’aspirazione era quella di un
ulteriore passo in avan5 verso il godimento dei pieni diri[ per tu[.
Le rivoluzioni del 1948 avevano come obie[vo, quindi, l’allargamento dei diri[ poli5ci ad una sfera
più ampia della società.
In Francia la rivoluzione del 1948 avrebbe assunto un cara@ere di passaggio dalla Monarchia alla
Repubblica e il ruolo del capo dello Stato sarebbe stato scelto tramite un’elezione.
Tu@avia nelle monarchie vigeva un diri@o di nascita, succedeva al re il suo discendente, quindi già
all’altezza della Rivoluzione Francese, ma a maggior ragione nel 48 c’erano for5 istanze di
contestazione della forma monarchica stessa, infa[ all’altezza di queste rivoluzioni in Francia si passò
da una Monarchia alla Repubblica, dove il ruolo di capo dello Stato veniva a@ribuito sulla base di una
elezione, un voto, e non sulla base di un diri@o di nascita.
La necessità di dover passare dalle Monarchie alle Repubbliche nacque proprio in questo anno, in
quanto mol5 pensavano che la democrazia non fosse compa5bile con la Monarchia.

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Repubblica= res publica, “cosa pubblica”a voler dire che la partecipazione alla vita dello Stato è un
diri@o di tu[.
Versante nazionale
Aspirazione dei popoli che si consideravano oppressi di o@enere l’indipendenza, o, i altri casi
l’aspirazione all’unità nazionale, qualora una Nazione appartenesse a una pluralità di Sta5 all’interno
dei quali la popolazione della Nazione fosse divisa.
Es: Movimento all’uniDcazione dell’Italia e la lo@a per l’indipendenza contro l’Austria.
Non era scontato che uno Stato corrispondesse a una Nazione, una volta uno stesso Stato poteva
comprendere Nazioni diverse, c’erano casi anche di Nazioni senza uno Stato unitario, ma che erano
suddivise in una pluralità di en5tà poli5che dipenden5.
Che cosa bisogna avere in comune per appartenere alla stessa Nazione? L’elemento linguis5co ha un
peso enorme, è l’elemento fondamentale dell’iden5tà nazionale. Principalmente sono fa@ori
culturali, ma anche religiosi quelli che concorrono a sancire l’unità di un popolo. Una Nazione era
accomunata dal fa@o di pra5care la stessa religione, tu@avia ciò funzionava dove c’era omogeneità di
fede religiosa, in altri casi fu più complicato. Poteva cos5tuire un elemento di tensione all’interno
della Nazione. Esempio: il problema della minoranza ebraica, che spesso si discostava in maniera
vistosa alle usanze religiose della maggioranza, quindi erano percepi5 come una popolazione
straniera che viveva all’interno della stessa Nazione, ciò ha portato a sviluppi anche terribili: gli ebrei
dovevano essere rimossi in quanto corpo estraneo, questo addiri@ura in Germania si è risolto in un
tenta5vo di eliminazione Dsica sistema5ca degli ebrei (olocausto). Tu@avia spesso chi non
apparteneva alla religione della maggioranza era relegato ad una condizione di minorità giuridica,
meno diri[ poli5ci e civili.
Perciò alla base del versante nazionale c’era l’dea che ogni Nazione dovesse governarsi da sola.
Versante sociale
La novità delle rivoluzioni del 48 fu che si pose con maggior forza il problema della disuguaglianza sul
piano delle disponibilità materiali di beni. Quelli esclusi dalla proprietà considerata indispensabile,
per poter godere della libertà, dovevano in qualche modo farsi valere per o@enere una
partecipazione alla ricchezza dalla quale erano rimas5 esclusi.
Lo sfondo di queste rivendicazioni era il pensiero che avere dei diri[ sulla carta senza poter godere
delle condizioni materiali che perme@essero di partecipare davvero su un piano di uguaglianza a quei
diri[ era inu5le. Coloro che si trovavano in questa condizione dovevano ba@ersi per la
ridistribuzione della ricchezza, altrimen5 tu@e le varie opportunità di maggiori diri[ rischiavano di
non servire a nulla, diventavano solo un lusso perché le problema5che più impellen5 erano altre.
Il paese più avanzato nell’industrializzazione era la Gran Bretagna, ma anche la Francia, dove il
problema sociale era vissuto più intensamente.
Nei Paesi ancora basa5 sull’agricoltura era ancora diPusa l’idea che determinate disuguaglianze
fossero naturali, spesso i proprietari terrieri erano vis5 come tali per un volere divino.
Con lo sviluppo dell’industrializzazione si rese evidente il cara@ere mobile delle dis5nzioni sociali e
non erano più viste come consacrate dal tempo, come un diri@o di nascita non modiDcabile.
La società industriale mise in evidenza la dis5nzione tra coloro che possedevano tu@e le ricchezze e
coloro che invece possedevano solo la loro forza lavoro per la quale erano retribui5. Si tra@a allora di
quella dinamica che Marx chiamava “lo@a di classe”, cioè che all’interno del mercato del lavoro vi
sono interessi conAiggen5 tra chi de5ene i mezzi di produzione e chi può oPrire solo la propria forza
lavoro.

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Seconda lezione
1848 movimento che si risolse in un insuccesso da parte di ques5 agitatori repressione militare.
Francia: non si ebbe ritorno a un regime monarchico, in poco più di 3 anni, si arrivò allo stabilimento
di un regime personale di un nuovo napoleone, napoleone III. Dal 1852 avrebbe governato la Francia
Dno al 1870, quando sconD@o in guerra dalla Prussia fu costre@o ad abdicare. Questo regime
napoleonico moderno rappresenta questa repressione militare dei movimen5 del 48.
Il nipote proclamò il secondo Impero e rivendicò come lo zio, il cara@ere nuovo del suo Governo, che
doveva essere un regnante inves5to dal consenso popolare. Napoleone infa[ fece approvare
l’ascesa al trono da un referendum, i plebisci5, una votazione a suPragio universale, seppur maschile.
Era una richiesta al popolo: “acce@ate che io sia vostro imperatore oppure no?”.
Questa richiesta fece breccia, sia perché si necessitava una legi[mazione dal basso ma anche nei
monarchi tradizionali. Anche i monarchi scoprirono di avere bisogno di una legi[mazione dal basso,
perché non dipendevano dalla volontà divina.
Un po' meno bene andrò all’Europa in generale. Il Piemonte fu sconD@o dall’Austria, in Lombardia
tornò il governo austriaco. La Polonia rimase so@omessa alla Russia e la Germania non si unì in uno
Stato coeso. In 10/20 anni saremmo arriva5 all’uniDcazione del regno d’Italia e della Germania.
Ques5one sociale: in Francia a giugno, ci fu una sommossa di lavoratori parigini, dove il diri@o al
lavoro fosse riconosciuto o comunque avere il diri@o di riscuotere dallo Stato un reddito anche senza
lavoro, questo era considerato una minaccia da parte di subalterni rivoltosi.
Ques5 movimen5 sperimentarono una sconD@a più secca, non o@ennero nemmeno diri[ a livello
poli5co, però si evidenziò lo sviluppo di un problema. Le persone nelle industrie e concentrate
a@orno alle ci@à, si trovavano in una condizione di par5colare bisogno di a@enzione, richiedevano
lavoro ed avevano bisogno di sostentamentoURBANESIMO: passaggio dalle campagne alle ci@à.
Nel caso del lavoro industriale, vi era un legame a livello industriale tra produ@ori e lavoratori
industriali. Non vi era un interesse a livello feudale, dove vigevano principi di protezione del maestro
ar5giano nei confron5 dei suoi lavoratori. Invece l’interesse del padrone era quello di o@enere
proD@o dalla vendita dei prodo[ che i lavoratori dovevano vendere per ricavare proD@o, del resto
non c’era alcun altro 5po di interesse o di protezione nei loro confron5.
Sviluppo di una società capitalis5ca: accrescere sempre di più la disparità tra i produ@ori e i
lavoratori. La soluzione era quella di abolire il possesso privato dei mezzi di produzione, che faceva
dei produ@ori pieni di un potere eguale agli an5chi ce5 eleva5, aristocrazia e clero.
Diveniva sempre più forte la ricchezza economico-Dnanziaria dovuta alle industrie e i proletari
sembravano essere le vi[me di questo sviluppo.
Gli scioperi potevano venire repressi con l’intervento della forza pubblica, o anche le associazioni o le
riunioni dei lavoratori, potevano essere considerate avversive.
Ques5 diri[ che oggi conosciamo riguardo i lavoratori, come il diri@o allo sciopero, furono ques5oni
nuove, dalla metà dell’800 che inves5rono la società europea. La maggior parte della popolazione
era comunque composta da agricoltori.
La svolta fu la meccanizzazione dell’agricoltura. La ques5one nazionale era quella più diZcile da
promuovere. Il diri@o all’autodeterminazione, ovvero che il popolo debba governarsi da sé, è stata la
base del 900, come processo di de-colonizzazione di determina5 paesi, come l’Africa.
La cos5tuzione di uno Stato autonomo è una idea Dglia dell’800 messa in a@o nella seconda metà del
900. En5tà statali, come l’india, gli sta5 africani, non esistevano come tali nel passato e sono una
creazione di questo processo di de-colonizzazione.
I capitalis5 vogliono una tassazione uguale per tu[, mentre, i socialis5/comunis5 chiedono una
tassazione progressiva in base alla ricchezza.

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MARX ED ENGELS
Figure importan5 dell’800. Il sodalizio tra i due si strinse in gioventù e durò per tu@a la loro vita. Un
sodalizio intelle@uale, poli5co ed economico. Engels proveniva da una famiglia benestante e nelle
fasi in cui Marx doveva a@raversare come oppositore poli5co poteva essergli economicamente di
aiuto. Marx apparteneva ad una famiglia di ebrei tedeschi conver55 al cris5anesimo, egli fu
conver5to al cris5anesimo all’età di sei anni. Ebbe una formazione evangelica-luterana.
Analisi del -tolo
Manifesto= annuncio pubblico di un programma, ogge@o di richiamo e di diPusione massiccia di
proposte di ordine poli5co e sociale che devono essere riconoscibili dalla maggior parte delle
persone. Non ha il cara@ere di un tra@ato scien5Dco o di DlosoDa, ma vuole raggiungere un pubblico
molto più vasto. Il Manifesto infa[ è qualcosa che si apre, spalanca davan5 agli occhi di tu[. Aveva il
signiDcato di una sorta di proclamazione, per il tono in cui è reda@o e per le dimensioni contenute si
propone a raggiungere una vasta gamma di persone.
Par-to= I par55 non sono sempre esis55 nella società europea di una volta, sono una creazione del
movimento verso la democrazia, per la quale il 1848 ha dato un aiuto potente. La terra d’origine dei
par55 fu, se vogliamo, l’Inghilterra, ma erano una sempliDcazione dei par55 che conosciamo oggi. I
par55 di massa sono un prodo@o della democra5zzazione delle società. Per aPermare un certo
modello di società, secondo Marx ed Engels, bisognava organizzarsi e unirsi in un par5to. Infondo la
parola par5to con5ene la parola “parte”, cioè la nozione che la società sia divisa, ci siano valori e
interessi diversi a cui bisogna dar voce, quindi non ci può essere un par5to unico che li rappresen5
tu[. La nozione di Marx ed Engels è che la parte di società alla quale loro si rivolgono sia la
maggioritaria e che quindi non ha bisogno di cercare il sostegno in coloro che non appartengono in
essa e rappresenta valori e interessi di gran lunga maggioritari, ma comunque di una parte e non
della totalità, quindi un par5to. Tu@avia, vi sono società nelle quali in cui è presente un solo par5to e
anche il comunismo dove si è realizzato ha assunto questa forma, questa è una delle contraddizioni
di questo movimento, che poi ne hanno portato al tramonto, anche in maniera catastroDca.
Comunista= comunità, società intesa come socializzazione. Nozione che contrasta il conce@o che i
beni siano proprietà par5colare e privata di qualcuno. Si risponde a ciò assumendo che i mezzi di
produzione debbano essere proprietà di tu[, la redistribuzione della ricchezza da parte dello Stato è
insuZciente so@o la prospe[va dei comunis5, nelle società in cui è presente la proprietà privata.
Pierre-Joseph Proudhon arrivò addiri@ura a sostenere che la proprietà fosse un furto, fu un modo per
dichiarare che il principio che la proprietà rappresentasse in sé un valore con un principio non esa@o,
ma avesse le sue radici in una sorta di esproprio ai danni della comunità, che andava riparato. Marx
non la pensava proprio così, ma comunque pensava che la proprietà dei mezzi di produzione dovesse
essere comune. Il problema fu stabilire come doveva avvenire questa colle[vizzazione, la soluzione
di fare proprietario unico lo Stato fu quella che fu messa in a@o, come unica pra5cabile, ma
probabilmente non era quella approvata da Marx ed Engels.

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Terza lezione
Le insurrezioni del 48 avvennero in una maniera un poco nuova rispe@o al passato, gli is5n5 di
ribellione sono sempre esis55, li troviamo già nel mondo classico e medioevale dove erano
l’espressione della soPerenza sociale, ma nel periodo nuovo che cara@erizza l’azione del par5to
comunista sono proprio cara@erizzate dalla svolta della Rivoluzione Industriale che stava producendo
la creazione di una classe sociale nuova, la classe operaia, a seguito della migrazione contadina.
L’industrializzazione viene richiedendo delle forze produ[ve sempre maggiori e di sogge[ che,
diversamente da una volta, non apprendevano tu@e le varie fasi per generare un prodo@o Dnito, ma
grazie al meccanismo della divisione del lavoro si tra@ava di sogge[ adibi5 alla produzione di una
parte, o di un singolo pezzo, che componesse poi il prodo@o Dnito. Quindi svolgevano solo una
singola mansione e nel mondo a venire non erano capaci di fare qualcosa di diverso e non avevano
perciò la padronanza di un vero mes5ere, a diPerenza di quanto avveniva in passato. Quindi i
lavoratori erano poco specializza5 rispe@o al passato, per questo più facilmente espos5 al pericolo
dello sfru@amento e del licenziamento senza che il datore di lavoro ne risen5sse un danno.
La gran massa dei contadini rappresentò una platea fol5ssima alla quale a[ngere per la forza lavoro
che richiedeva l’industria, in quanto l’agricoltura diventava sempre più diZcoltosa e compe55va,
questo e la riorganizzazione delle a[vità agricola li portò a trasferirsi in ci@à, così c’era un surplus di
manodopera agricola impiegabile nell’industria. C’era anche un tasso di fer5lità delle famiglie assai
superiore a quello a cui siamo abitua5 oggi, le condizioni di vita precarie facevano sì che i Dgli stessi
delle famiglie rappresentassero un’ePe[va fonte di sostentamento e venivano messi subito a
lavorare. Questo fenomeno lo guardavano con preoccupazione i detentori della proprietà, che
numericamente erano ovviamente minori, tu@avia, esisteva anche un tornaconto derivante da
questo fenomeno, proprio perché la sovrabbondanza di manodopera comportava un più basso costo
del lavoro e la facilità di sos5tuzione di un lavoratore con l’altro. Almeno Dno a quando gli uomini
vennero sos5tui5 con le macchine e quindi il bisogno di manodopera era ne@amente inferiore.
Ques5 erano i fenomeni che nella prima meta dell’800 incominciavano ad aPacciarsi sopra@u@o in
Gran Bretagna, ma poi anche nel resto dell’Europa a par5re dalla Francia. Quindi si allargò di gran
lunga la massa di proletari, termine che venne ripreso dall’an5ca Roma per descrivere gli operai della
fabbrica industriale.
Socialismo e comunismo sono termini che ad oggi tendono a sovrapporsi, presero già le mosse dalla
Rivoluzione Francese, processo volto ad una più equa distribuzione dei diri[ e degli oneri Dscali,
venne, tu@avia, ad assumere il cara@ere almeno parziale di una Rivoluzione sociale, cioè che volesse
incidere sulla distribuzione della ricchezza e non solo dei diri[, a par5re del fa@o che se non
avveniva, la distribuzione della ricchezza appunto, non poteva avvenire neanche una più equa
distribuzione dei diri[. Nella Rivoluzione Francese già si richiedeva la ridistribuzione della proprietà
o la sua abrogazione o l’abrogazione dell’ereditarietà della proprietà, una delle nozioni che i primi
teorici del socialismo ravvisarono come più facile da a@accare. La ridistribuzione della proprietà era
materia di divisioni poli5che e veniva richiesta nel nome dei diri[ dei quan5 che ne venivano esclusi.
Tra i mezzi di produzione rientrano anche le materie prime, che a@raverso il lavoro dei fabbrican5
vengono trasformate, perciò è il datore di lavoro che ha comprato la materia prima, le merci nella
sua fabbrica che si producono con le sue macchine (che velocizzano i tempi di lavoro), con la materia
che lui ha acquistato e quindi devono essere sue e non di quelli che materialmente le lavorano.
Concorrenza tra i produ@ori: quello più eZciente elimina il meno eZciente dal mercato.
Per svolgere l’a[vità industriale ci vuole disponibilità di denaro, altrimen5 non si possono comprare
materie prime, avere il capannone dove svolgere la trasformazione, s5pendiare i lavoratori, comprare
le macchine. Per fare tu@o questo ci vuole il capitaletermine che darà il nome a una delle opere
più famose di Marx, esso è l’origine della disuguaglianza tra gli uomini, solo una minoranza può
perme@ersi di svolgere questo ruolo all’interno del sistema produ[vo, e quindi di essere il
capitalista, il datore di lavoro, mentre la restante parte ha bisogno di essere adibita ad una mansione
dal capitalista per poter sostentare.

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A@raverso la produzione e la vendita delle merci il capitalista aumenta il suo capitale di partenza, in
caso contrario sarebbe portato al fallimento e alla chiusura. Lo scopo è quello di riprodurre il capitale
in misura accresciuta altrimen5 non ha senso. Il prodo@o viene venduto a un prezzo più alto rispe@o
a quello della produzione, plusvalore. Nei tempi di crisi economica può essere necessario ridurre al
minimo il suo margine di guadagno o in caso estremo anche di vendere in perdita, ma non per molto.
Se si scopre un mercato più reddi5zio si può anche conver5re la propria produzione, perché in
quanto detentore di capitale per me è indiPerente produrre una cosa o un’altra, ovviamente non è
facile conver5re una società, ma è fa[bile allo scopo sempre di aumentare il capitale di partenza.
Alla produzione industriale deve aZancarsi tu@a l’a[vità della distribuzione commerciale, il
commerciante, come il produ@ore, può anche ridurre i prezzi per abbassare la concorrenza, una volta
eliminata i prezzi potranno rialzarsi. Quindi la logica del mercato sia a livello di produzione che
commerciale presuppone questa possibilità, ma solo per un periodo di tempo limitato, altrimen5 la
ricchezza si erode e Dnisce.
Capitale di rischiol’impiego del capitale in forme di produzione che grazie ad esso vengono messe
in opera, ha un fa@ore di rischio basato sul fa@o che le mie merci trovino compratori. La
conservazione della ricchezza, puramente in forma cautelare e senza rischio, non è producente,
perché alla Dne il capitale verrà sempre intaccato e se non c’è modo di accrescerlo terminerà.
Bisogna correre il rischio di inves5re il capitale se c’è una prospe[va di ricavo.
Nel sistema capitalis5co vale il principio: denaromerce+denaro
Il denaro nacque in origine come una sorta di facilitazione dello scambio delle merci, che
inizialmente valevano per il loro valore d’uso e non di scambio, il principio era:
mercedenaromerce 2
Nei rappor5 Dnanziari il denaro è l’insieme del valore d’uso e di scambio, non vi è alcuna merce nel
mezzo, do il denaro per o@enere più denaro.
Già all’altezza della metà dell’800 la produzione delle merci su scala industriale ha comportato una
Rivoluzione sia nel modo di produrre le merci, nella loro quan5tà, che è maggiore, e nel prezzo, che è
calato, ma non per questo chi le produce si arricchisce meno.
Questo è lo sfondo sul quale si innesta la riAessione su cui si fonda il movimento del socialismo:
grazie al sistema di produzione capitalis5co il divario tende ad accrescersi e anche se i lavoratori
arrivano a guadagnare di più questo è in funzione della necessità di me@erli in condizione di
comprare di più e quindi di accrescere la ricchezza del capitalista, in maniera maggiore rispe@o a
quanto cresce il salario del lavoratore. Ci sono condizioni per le quali io come capitalista sono
costre@o a pagare di più il lavoro, ma mai di più di quello che sarà il mio ricavo.
In questo sistema anche il lavoro è una merce come un’altra.
A par5re dalla Rivoluzione Francese questa riAessione, di una riorganizzazione dell’economia che
debba scongiurare la disuguaglianza di ricchezza all’interno della società, crebbe e si sviluppò e nelle
forme più radicali di essa venne proprio intaccando la nozione che l’is5tuto della proprietà privata
(sopra@u@o dei mezzi di produzione) sia incontrover5bile, ma che in realtà sia un meccanismo che
comporta il diri@o di usare e abusare di ciò che si possiede, in quanto la cosa è mia e solo io decido
cosa farne anche a discapito degli altri.
Il principio della proprietà privata quindi pare avesse sul piano morale anche questo problema, Marx
ed Engels ovviamente volevano andare oltre la cri5ca morale, anche sulla base dell’evidenza che una
produzione industriale aveva dei suoi dife[ intrinsechi, potevano capitare delle situazioni in cui si
produceva merce in eccesso che ePe[vamente andava bu@ata. Il problema della proprietà privata
era quindi che si tra@ava di una sorgente di sperequazione sociale e di ingius5zia.
Socialismo e comunismo nascono da qui, sull’assunto che la proprietà debba essere comune e che
ciò poteva essere una forma di uscita dalla disuguaglianza.

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Quarta lezione
Fondamentalmente nel caso di Marx e Engels la predilezione accordata nel 5tolo di quest’opera e nei
loro scri[ e nella loro a[vità di propagandis5, al termine di comunismo rispe@o a socialismo, si deve
alla volontà di prendere un poco le distanze rispe@o a quei teorici e a[vis5 poli5ci a loro
contemporanei che facevano del socialismo un obie[vo poli5co e sociale da realizzare.
In comune le due concezioni avevano la nozione della contestazione dell’is5tuto della proprietà
privata, di una messa in comune.
Per cer5 versi, il richiamo al comunismo era più an5co e rimandava alla nozione della comunione dei
beni, della messa in comune degli averi, dei membri di un determinato corpo sociale. Nel corso della
storia, molto prima della Rivoluzione Industriale, proge[, prospe[ve, utopie di condivisione della
ricchezza dei beni erano già apparse, perché la nozione della disuguaglianza economica, materiale tra
i membri della società era una nozione preesistente. Questo portava a ribellismo.
Esempio più famoso e ricordato, anche nell’800 da coloro che nuovamente si ponevano il problema
della condivisione dei beni, era quello dei cris5ani primi5vi: in tes5, come anche quelli contenu5 nel
Vecchio Testamento, no5amo che un tra@o marcato della componente protocris5ana, ancora
fortemente minoritaria, era proprio il richiamo alla condivisione dei beni e delle risorse, che i
conver55, a questa fede ancora in seme, fossero tenu5 a pra5care, proprio in base alla trasmissione
pra5ca di de@ami morali, che portavano a considerare la ricchezza come una fonte di corruzione e
peccato. Emergevano ques5 elemen5 di condanna come molto for5: condanna della ricerca del
benessere materiale a discapito di quello spirituale. La volontà di una eguale distribuzione della
ricchezza, e l’esigenza di una condivisione dei beni nella tradizione cris5ana primi5va ricorrevano con
forza, un esempio è poi il voto di povertà degli ordini monas5ci, la proprietà privata viene eliminata
in quanto sorgente di peccato.
Questo è un Dlone importante, nel quale troviamo un ampio retroterra della comunione dei beni
come forma di organizzazione della società preferibile rispe@o a quella in cui invece esiste la
proprietà privata: me@ere in comune quello che si ha venendo ad appartenere alla società ele@a
quale è la Chiesa.
Fondamentalismo religiosocerte grandi religioni storiche rivelate, che si rifanno per la loro nozione
a libri sacri, che sono sor5 in una certa epoca sempre più lontana del tempo, sono esposte
periodicamente a questo richiamo alle origini.
Tu@avia, come contraltare di questa spinta, c’è il bisogno, avver5to in maniera più o meno sensibile,
di riada@are il messaggio originario ai tempi muta5. Per questo esiste una diale[ca fra il desiderio di
fedeltà ai fondatori e il bisogno di ada@amento a condizioni completamente diverse rispe@o ad
allora, il che poi è ciò che consente alle religioni stesse di con5nuare a esistere. Parte di questa
tensione riguardava il tema dell’organizzazione della società cris5ana nei termini della distribuzione
della ricchezza: Dno a che la comunità dei cris5ani era marginale, perseguitata e non aveva su di sè il
compito di informare dei propri valori le is5tuzioni mondane, la comunione dei beni era assoluta
richiesta e raccomandazione della comunità cris5ana, poi con il trascorrere delle generazioni diventò
necessario il bisogno di ada@arsi alle condizioni mondane e quindi a società in cui la proprietà privata
esiste. Perciò andava trovato un compromesso nell’is5tuto della chiesa, e vennero introdo@e forme
parziali di rinuncia alla proprietà privata, come donazioni, oPerte… oppure vennero fondate società
monas5che nelle quali fosse possibile la comunione dei beni, ma solo in virtù di un voto e di una
scelta libera e personale. Nella comunità cris5ana si sono, quindi, col tempo diPuse forme di
compromesso, nelle quali si cerca di mantener fede al valore originario della religione e quindi si
considera superAuo il valore della ricchezza, ma senza rinunciare totalmente alla proprietà privata.
De@o questo, secondo Marx ed Engels le azioni rivoluzionarie dovevano spingersi oltre la semplice
richiesta di una parità di diri[, ma spingere in primo luogo per una parità di ricchezza, di mezzi e
risorse.
Durante la Rivoluzione Francese l’obie[vo era espropriare dei loro privilegi i ce5 favori5, in seguito,
durante la Rivoluzione poli5ca e sociale, i privilegi da espropriare ai ce5 avvantaggia5 diventarono

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quelli materiali. Ai Dni dell’impresa produ[va è necessario disporre di capitale e questa è già in
partenza la enunciazione della disparità che veniva denunciata da socialis5 e comunis5.
Ad oggi, al Dne di distribuire maggiormente la ricchezza si sono formate le is5tuzioni Dnanziarie e la
funzione delle banche è quella di me@ere a disposizione capitale fresco a sogge[ che altrimen5 non
ne hanno abbastanza, in modo tale che possano avviare un’inizia5va produ[va che una volta avviata
gli perme@a di risanare il loro debito e di andare avan5 con la loro a[vità.
Questa invocazione, rivolta a una società più giusta, è un’aspirazione non nuova, ma an5ca,
antecedente rispe@o allo sviluppo della società capitalista, ma l’elemento nuovo consiste nella
nozione che sia lecito e necessario, e anche diven5 possibile, me@er Dne a questa disparità anche
con il ricorso alla forza e quindi all’espropriazione degli averi di coloro che non avevamo alcuna voglia
di spogliarsene a@raverso l’u5lizzo della coercizione.
In contrapposizione a questa nozione c’era invece l’idea che l’abolizione della proprietà privata o la
forte a@enuazione della disparità, non dovesse intendersi come beneDca, in quando solo
l’accumulazione di proprietà nelle mani di alcuni avesse permesso a ques5 di realizzare inizia5ve che
altrimen5 la società non avrebbe potuto conoscere, pagando il prezzo della povertà più generalizzata
rispe@o a quella che si avrebbe nella comunione dei beni.
Il problema che accompagnò l’azione di movimen5 quali comunismo e socialismo fu questo: nel
momento in cui si abolisce la proprietà privata, fosse anche solo dei mezzi di produzione, chi allora
possederà davvero ques5 beni?
È diZcile pensare di dire che li possiedono tu[, ePe[vamente è impossibile, ed è qui il problema
che ha accompagnato non solo la riAessione dei teorici socialis5 e comunis5, ma poi anche la messa
in pra5ca di queste do@rine, in cui gli esponen5 erano chiama5 a decidere a chi dovesse andare la
proprietà so@ra@a ai detentori passa5. Quindi si fece lo Stato il solo detentore della proprietà privata
e dei mezzi di produzione, laddove il comunismo si realizzò, con il risultato che chi era all’interno
della gerarchia amministra5va dello Stato potesse poi divenire il detentore e fruitore beneDciario di
questa proprietà colle[va. Una volta che si socializzano i mezzi di proprietà chi decide come usarli?
Lo Stato, la Chiesa? Ma queste sono is5tuzioni che per funzionare richiedono la creazione di
gerarchie interne, funzionali all’azione di uomini che svolgano determinate mansioni all’intero di
queste, il rischio è che costoro abbiano un maggior vantaggio degli altri nel trarre un qualche proD@o
da questa ricchezza. In più un altro problema è che questo modo di u5lizzare la ricchezza è davvero
più eZcace rispe@o a quello in cui si amme@a che la ricchezza appartenga a pochi individui come nel
capitalismo? Quale sistema produce più ricchezza? La direzione personale o centralizzata delle
risorse? Problema che ancora oggi si ripropone. Sullo sfondo di tu@e le riAessioni dei movimen5
aleggiava questo problema, una volta che sosteniamo che va cancellata la proprietà privata dove va a
Dnire la ricchezza stessa? Era una riAessione sui cara@eri che doveva assumere la società a venire,
che fu un problema di divisione e confronto tra i teorici di comunismo e socialismo. Cosa
intendevano Marx ed Engels con la di@atura del proletariato? Sono problemi che hanno occupato le
men5 e le inizia5ve degli esponen5 del movimento comunista per decenni e alla luce dell’esperienza
nostra non sono mai sta5 risol5 con una soluzione eZcace.
Elemento della cri5ca, il punto di partenza è questa distruzione della società esistente e la nozione
che questa distruzione è lo scivolamento in secondo piano dell’istanza morale in favore di un’istanza
più ogge[va, de@ata dal riconoscimento di un interesse generale a questo cambiamento, necessità
della transizione dall’organizzazione di stampo capitalis5co a quella colle[vis5ca. Necessità storica
che le cose vadano in questa via di transizione.
Tra@o eminente che Marx ed Engels cercarono di dare alla loro visione era proprio questo
subordinamento dell’elemento morale in favore invece di quello più necessario e ogge[vo quale era
l’approdo alla società comunista, era anche la principale diPerenza rispe@o all’idea di condivisione
dei beni che invece aveva la comunità cris5ana originaria.
La cri5cità del capitalismo industriale, che misero in luce Marx ed Engels, era rappresentata dai
periodici fenomeni di sovrapproduzione che il mercato della produzione industriale portava con sé.
L’idea di Marx ed Engels era che la società capitalis5ca nel tempo tende a ridurre, suo malgrado, i

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guadagni dell’imprenditore e aveva la tendenza a ridurre in una misura via via più insostenibile il
proD@o.
Si riduce quello che Marx chiama il “saggio di prodo@o”, cioè la percentuale di guadagno: diPerenza
tra la spesa che devo sostenere e quanto capitale mi ritorna a merci vendute.
Marx ed Engels sviluppano questa nozione, anche se poi il corso degli even5 si è incaricato di
smen5re ciò che loro professavano, la nozione del sistema capitalis5co si è in realtà rivelata molto
più duratura nel tempo di quanto loro si aspe@assero. Questo grazie anche alla progressiva
espansione mondiale del sistema capitalis5co industriale, che andò ad allargare la base di coloro che
detenevano la ricchezza, ciò rese più lontana la prospe[va di crisi Dnale del sistema.
Rispe@o al tempo di Marx e Engels l’apertura di nuovi merca5 fu un fenomeno potente e dirompente
che facilitò l’aumento dei proD[, al di là dei conDni statali di questa o quella industria.
Il fenomeno della colonizzazione rappresentò in questo senso una spinta for5ssima, e che trasformò i
termini della ques5one, me@endo a disposizione del sistema produ[vo materie e risorse nuove,
aprendo nuovi merca5, nuovi teatri di potenziali compratori di quelle merci Dnite e prodo@e.
Mutando i rappor5 e le gerarchie, che a quel tempo vedevano l’egemonia dell’Europa, tra i vari Sta5
può tu@’ora cos5tuire un elemento di vitalità del sistema. Si produce un rimescolamento della
distribuzione della ricchezza, con tu@e le conseguenze che ciò produce su una determinata società,
ma che poco incide sullo sviluppo progressivo generale.
Socialismo e comunismo variamente hanno diba@uto sul problema di una espropriazione,
all’occorrenza anche coerci5va, della ricchezza detenuta in forma privata delle persone e la
riorganizzazione della società, e anche sul cara@ere più o meno volontario che debba avere questa
espropriazione.
Marx ed Engels erano contrari al modello di ispirazione cris5ana del processo di socializzazione dei
beni, il cara@ere utopis5co di queste forme di socialismo era rappresentato secondo loro dal fa@o
che non fosse per niente scontata la buona disponibilità degli uomini di fare la cosa giusta in vista del
benessere generale. Non si può concretamente realizzare in ques5 termini la colle[vizzazione dei
beni.
Marx ed Engels ritenevano che alcuni loro predecessori dife@assero del senso della realtà e che
fossero ancora basa5 troppo su idee di ispirazione religiosa. Uno di ques5 socialis5 al quale fanno
riferimento è il Conte francese Saint-Simon che aveva ba@ezzato il movimento spirituale, ancor più
che poli5co e sociale, con “nuovo cris5anesimo”, proprio a voler una con5nuità con la condivisione
dei beni cris5ana.
Questo genere di modelli sociali basa5 su di una forte ispirazione morale è qualcosa del quale Marx
ed Engels diZdavano, eredità anche della tradizione DlosoDca alla quale appartenevano, che si riduce
alla riAessione di Hegel: andava nella direzione di considerare limitata la capacità dell’individuo, sulla
base di istanze morali, di cambiare le cose, e me@eva una sorta di meccanismo di rappor5 che anche
contro alla volontà degli individui dovesse produrre determina5 risulta5. Il comunismo ha bisogno di
a@ori in carne d’ossa per realizzarsi, ma il successo dipende dalla spinta che su di essi sor5sce
l’interesse. Le masse operaie dovevano rappresentare il vero motore della rivoluzione comunista. Da
qui un altro problema della loro riAessione, per la non perfe@a coincidenza tra i due sogge[:
proletariato inteso come classe ai margini della società capitalista e la classe operaia che Marx ed
Engels vennero considerando i des5natari privilegia5 del messaggio comunista.
Non per forza il proletariato coincide con i lavoratori dell’industria, non necessariamente tu[
partecipavano al processo produ[vo, potevano anche essere contadini falli5.
Fino a che punto essi sviluppano la coscienza di classe? Cioè la consapevolezza di essere una classe
sfru@ata, ma indispensabile ai Dni della produzione della ricchezza? Altra diale[ca diZcile da
risolvere nella prospe[va di creare la società comunista. Bisognava dis5nguere il ruolo degli operai
dagli altri sogge[ al servizio dei borghesi. Avevano davvero la stessa mentalità? O i secondi
tenderanno a simpa5zzare con la causa del borghese che ne consente il sostentamento?

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Marx ed Engels riconoscevano queste diPerenze, ma trovavano diZcile trovarne una soluzione.
Proletariato straccione, considerato meno rice[vo del messaggio comunista e quindi in qualche
modo dove essere trainato dalla classe operaia invece maggiormente interessata.

Quinta lezione
MARX ED ENGELS
La loro collaborazione nell’ambito degli scri[ DlosoDci era inusuale, non era consueto che un’opera si
presentasse come realizzata da due pensatori e per quanto riguarda Marx ed Engels non in maniera
eccezionale, perché vi è una serie di scri[ che vide i due a compartecipare alla stesura di essi, che
venissero pubblica5 o meno, come il caso dell’opera risalente al 1846 in5tolata “Ideologia tedesca”
che fu poi pubblicata nel 1932 sulla base degli appun5 dei due. C’è però un problema in ques5 casi,
che è quello di ricondurre par5 di uno scri@o a più mani, e quindi capire che bisogna ricondurre la
stesura ad uno più che all’altro degli autori dichiara5. Nel loro caso laddove non sia dis5nguibile il
contributo di uno o dell’altro è d’uso assumere il ruolo egemone di Marx, è ovvio che, dei due, la
testa più brillante sul piano intelle@uale fosse lui, Engels ha scri@o poi anche opere sue, ma non c’è
dubbio che questo sodalizio prevedeva un riconosciuto primato sul piano DlosoDco di Marx, mentre
Engels aveva qualche altra qualità di 5po economico e organizza5vo che poteva me@ere a
disposizione per Marx nella loro ba@aglia.
I due provenivano da un più generale movimento di contestazione dell’ordine cos5tuito risalente al
congresso di Vienna, era un movimento di contestazione che a par5re dall’inizio degli anni 40 aveva
cominciato a germogliare e che andava nella direzione di una contestazione di ordine poli5co,
religioso e morale. Era un a@acco ai valori convenu5 sui quali sembrava che la società tradizionale si
reggesse, l’assunto era quello che infondo l’ordine della restaurazione si fondasse su due pilastri,
iden5Dca5 formalmente nel trono e nell’altare, cioè lo Stato guidato dal monarca e la Chiesa, intesa
come l’is5tuzione che consacrava il potere del Re come voluto da Dio e che procurasse in questo
modo al Re il consenso, in quanto la popolazione era in grande maggioranza cris5ana osservante.
Questa commissione tra poli5ca e religione fece sì che questo legame di per sé non scri@o della
religione con la poli5ca fosse però solido e apparisse un dato di fa@o, per cui era normale, da parte di
chi contestava l’ordine poli5co, contestare anche quello religioso, e viceversa.
Questo movimento di contestazione intelle@uale, che si sviluppò nell’Europa degli anni 40,
sopra@u@o in Germania, ebbe questo duplice cara@ere, contestava l’insieme dei valori, anche morali,
che sia la religione che lo Stato venivano a diPondere.
Il movimento socialista che prese corpo nella prima meta dell’800 me@eva in discussione, insieme
alla proprietà privata, anche gli is5tu5 tradizionali che ad essa erano lega5: l’ereditarietà, il legame
tra l’is5tuto della proprietà e della famiglia, infa[ la discendenza viene a determinare quale sia la
linea di trasmissione della proprietà privata. Lo stesso is5tuto famigliare era quindi un prodo@o della
storia, che però potesse essere sogge@o a trasformazioni anche profonde, non solo sul piano morale,
ma anche riguardo tu@o il complesso di valori che presiedevano alla stabilità dell’is5tuto familiare
stesso, ai Dni di tramandare la proprietà: indissolubilità del matrimonio, fedeltà coniugale,
assogge@amento della donna al marito...
La religione insegnava alla popolazione più povera la consolazione dell’aldilà, la virtù dell’obbedienza,
della rinuncia e della povertà o a quella più ricca i meri5 insi5 l’esercizio della carità come strumen5
di acquisto di merito agli occhi di Dio. Queste nozioni erano funzionali al mantenimento delle
dis5nzioni, insegnavano a ciascuno ad acce@are la sua sorte e a trovare in essa mo5vi di consolazione
purché si mantenesse fede ai comandamen5 stabili5 appunto dalla Chiesa stessa. Queste do@rine
erano le@e come qualcosa che dovesse in qualche modo consolare gli uomini per quello che si
svolgeva nella società terrena e quindi fossero una sorta di oppiaceo, come lo deDnivano proprio
Marx ed Engels, che veniva somministrato ai mol5 per mantenerli nella rassegnazione,
sopportazione. La nozione stessa dell’esistenza di Dio e i suoi cara@eri carichi di implicazioni morali e
umani rappresentava in certo qual modo una sorta di indebita spogliazione di da parte dell’uomo, a
causa della sua privazione materiale, di una serie di aspe@a5ve e legi[me aspirazioni, che in realtà
fosse sbagliato aZdare a qualcun altro, cioè a Dio, in condizioni normali era in realtà legi[mo che gli

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uomini in carne d’ossa stessi si muovessero per realizzare certe aspirazioni. Gli uomini avevano
ideato una sorta di loro contraltare su cui avevano iscri@o quelle capacità, che gli appartenevano, ma
che si erano dimen5ca5 di possedere, ma se ne avessero preso nuovamente coscienza esse
avrebbero potuto nuovamente fare degli uomini gli arteDci del loro des5no.
L’ideale del Regno dei Cieli, che veniva presentato ai fedeli come traguardo, era semplicemente la
proiezione in cielo di un’aspirazione alla gius5zia che doveva essere in realtà perseguita in Terra, non
ne dovevano aZdare l’esecuzione a un ente extra-terreno. Si Dniva per assumere che il Regno dei
San5, dei fedeli, fosse qualcosa che dovesse realizzarsi in Terra per inizia5va umana a@raverso una
conversione della popolazione, che però non fosse quella interiore tramandata dalla Chiesa, ma che
fosse una Rivoluzione dei rappor5 sociali da5, che potesse riportare ad una parità.
Il movimento a cui appartenevano Marx ed Engels era quello che cri5cava queste is5tuzioni e fu
proprio all’interno di esso che si incontrarono. Il lato più radicale di questo movimento era quello che
riteneva la religione stessa un ostacolo al raggiungimento della società giusta. Il des5no dell’uomo
risiedeva nelle mani dell’uomo stesso secondo Marx. Ques5 movimen5 di contestazione
rappresenta5 da intelle@uali, mol5 dei quali forma5 nella scuola di Hegel, credevano che bisognasse
so@rarre alla DlosoDa la funzione di dimostrare la razionalità dell’ordine cos5tuito, per invece farne
uno strumento di cri5ca, che doveva me@ere in discussione Dio e lo Stato a fronte di un modello di
società nuovo in cui le disuguaglianze non ci fossero più.
L’accusa era quella che tanto la DlosoDa, quanto la religione, quanto le leggi, predicando a parole
l’uguaglianza degli uomini, l’esistenza di diri[ e doveri per tu[, occultassero in realtà so@o questa
rappresentazione, di società come un organismo sano, tu@’altra realtà e cioè che questa gerarchia
sociale fosse iniqua e non desse aPa@o diri@o o avesse gius5Dcazione e quindi non dovesse venire
acce@ata dalle classi subalterne.
Marx ed Engels entrarono in polemica con i loro compagni di avventura per quanto riguardava
l’ordine delle priorità che si tra@ava di stabilire in questo processo di cri5ca: mol5 dei primi
contestatori erano persuasi, ad esempio, che il punto di partenza verso la società giusta dovesse
consistere nella cri5ca della religione e che bisognasse liberare gli uomini da questa so@omissione
ispirata dalla Dducia nella Chiesa e che quindi bisognasse insegnare all’uomo di essere lui quello che
impropriamente iscriveva a Dio. Quindi anche sul piano sociale e poli5co gli uomini dovevano
imparare ad aspe@arsi da se stessi il miglioramento delle loro condizioni e non da Dio, capito questo
gli uomini sarebbero sta5 spin5 a cooperare nella realizzazione di una società giusta.
Marx ed Engels reputavano invece che quest’idea sbagliata e che fosse un ePe@o nega5vo di una
lunga tradizione di occultamento di realtà dei fa[, per la quale si tendesse a credere che la riforma
delle cose dovesse par5re dalla teoria anziché dalla pra5ca. Ciò porta anche il Dlosofo a
sopravvalutare la sua missione, portandolo a credere che fosse possibile, cambiando le idee,
cambiare anche la realtà. Marx ed Engels credevano, al contrario, che queste stesse rappresentazioni
religiose fossero in realtà un prodo@o secondario di un ordine delle cose, che si fonda nei rappor5 di
produzione, materiali, economici che loro vedevano come la chiave di volta di tu@o. Nemmeno la
poli5ca in senso stre@o era la dimensione ul5ma sulla quale agire, altri loro contemporanei
riconoscevano che bisognava modiDcare l’ordinamento dello Stato prima di quello religioso, ma Marx
ed Engels non concordavano nemmeno su questo, anche quest’idea appariva a loro altre@anto
illusoria, nella pra5ca l’uguaglianza della società non c’è e non ci sarebbe stata nemmeno in una
Repubblica, se non fosse stata prima abolita la nozione della proprietà privata.
La legge dà comunque molta più garanzia al proprietario della proprietà privata e allora la domanda
era: Dno a che punto l’uguaglianza di diri[ poli5ci, grande obie[vo di mol5 rivoluzionari, poteva
rappresentare un traguardo Dnale verso una società più giusta? Era inu5le avere gli stessi diri[
poli5ci senza una ridistribuzione della ricchezza, non ci sarebbe mai stata l’uguaglianza ePe[va tra i
ci@adini. L’idea di Marx era che il traguardo dell’uguaglianza di diri[, in quanto ci@adini, tendesse a
far perdere di vista il fa@o che so@o il ci@adino c’è l’uomo e l’uomo nelle società non si può ridurre al
ci@adino, perché poi alla Dne possiamo essere formalmente uguali di fronte alla legge, ma non tu[
riusciamo a trarne il medesimo proD@o.

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Le mansioni diverse che gli uomini assolvono all’interno del meccanismo di distribuzione del lavoro
portano inevitabilmente disuguaglianze: formalmente il proprietario di un’impresa e i suoi
dipenden5 sono uguali di fronte alla legge, ma il proprietario può privare del suo lavoro il so@oposto
e quest’ul5mo pur di non perderlo è disposto a subire ingius5zie.
Non è possibile che uno possieda tu[ i mezzi di produzione e uno possieda solo la sua forza lavoro, è
una condizione di disuguaglianza che, al paragone di questa, la nozione che si sia davan5 alla legge
eguali impallidisce. Materialmente la parità non sussiste. Questa è la tesi di Marx ed Engels.
I datori di lavoro sono in una condizione ogge[va di vantaggio, il lavoratore può avere un peso
contra@uale solo Dntanto che non c’è nessun altro che acce@a di lavorare a condizioni peggiori delle
sue, a quel punto lui perde ogni potere di contra@azione.
Vi è la nozione di una centralità della dimensione produ[va dell’esistenza umana, rispe@o alle
dimensioni morali e intelle@uali, è una priorità che gli uomini non possono più nascondere a se
stessi, pena il rimanere in una condizione di sfru@amento e disuguaglianza.
Marx ed Engels, già in età giovanile, volsero nella direzione di entrare a far parte di movimen5 poli5ci
e non solo intelle@uali, per poter fare ascoltare la propria voce e si de@ero ad a[vità divulga5ve
delle proprie idee, non quelle consuete di un puro e semplice intelle@uale. E di conseguenza si
ritrovarono dapprima a dover lasciare la Prussia e andare a Parigi e da qui in Belgio.
I due si trovavano in Belgio quando cominciarono a scrivere il Manifesto.

Sesta lezione
MARX ED ENGELS: LA CRITICA DELL’ECONOMIA E L’ORGANIZZAZIONE DEL PARTITO COMUNISTA
Il movimento del comunismo non l’hanno inventato loro, c’erano già determinate organizzazioni e
quando arrivarono in Belgio, a Bruxelles, entrano in conta@o con degli esuli tedeschi che già avevano
aderito a questo movimento, in par5colare Wilhelm Weitlig, operaio autodida@a, il quale predicava e
cercava di a@uare la realizzazione di una comunità ugualitaria, che dovesse me@ere Dne alle
sperequazioni sociali, formando la comunità ideale che già Gesù aveva predicato.
Gli autori non sono conten5 di questo socialismo utopis5co, in quanto tendente a risolvere la
trasformazione della società in un fenomeno di Rivoluzione morale, interiore, come se i ricchi
dovessero convincersi da sé a me@ere in comune gli averi con i poveri.
Marx ed Engels promuovono invece una lo@a, non per forza solo violenta, ma anche poli5ca. Questo
fu l’embrione del movimento comunista internazionale e che andava so@o il nome di “Lega dei
Gius5”, la loro partecipazione a questa associazione assume il cara@ere di un tenta5vo di rendere
questo movimento più rivoluzionario e ba@agliero, che si associ all’impulso della fe@a più larga della
popolazione che mira verso la democrazia, ma che ciò non si arres5 alla semplice uguaglianza
formale dei diri[, perché non è risolu5va dei bisogni della parte di società più svantaggiata
economicamente.
Al Manifesto iniziarono a lavorarci nel 1847 e poi lo fecero apparire nel 1848; anche questa
pubblicazione rientra nella loro azione di propaganda delle loro idee che debbono cos5tuire una
sorta di Dlo condu@ore per i membri di questa “Lega dei Gius5”, alla quale viene aZdato il compito di
promuovere la trasformazione della società anche nei suoi fondamen5 economici.
Una delle molle robuste verso la contestazione dell’ordine cos5tuito fu rappresentata dal desiderio
delle Nazioni oppresse o so@omesse poli5camente di emanciparsi da questa condizione e quindi di
ribellarsi al Dne di o@enere l’indipendenza e qui entra in gioco un altro elemento di conAi@o per
Marx ed Engels: pensare che l’appartenenza nazionale venga prima e crei una solidarietà di interessi
maggiore rispe@o alla solidarietà di classe secondo gli autori è un’ingenuità.
Questo può rappresentare ai loro occhi un contributo allo scardinamento dell’ordine vigente, ma non
bisogna a@ribuirgli troppa importanza e considerarlo il punto di partenza verso una società più giusta
perché ciò porta nuovamente ad una mis5Dcazione.
Per questo mo5vo Marx ed Engels ebbero pessimi rappor5, per esempio, con Dgure come quella di
Mazzini, perché lui era l’apostolo di una maggior gius5zia sociale religiosamente ispirata, ma era

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anche convinto che l’appartenenza a una determinata Nazione fosse parte integrante di questo
bisogno di emancipazione che muoveva gli uomini a sovver5re l’ordine esistente.
Il fa@o di far parte di una Nazione piu@osto che l’altra avesse di per sé un valore intrinseco, le nazioni
dovevano avere valori di fratellanza tra loro, ma non sparire in una comunità mondiale. Ma per gli
autori il diro@are il movimento verso un ideale che rischia di produrre divisioni tra gli sfru@a5
me@endoli uno contro l’altro rischia di divenire una nuova ideologia e produrre nuova alienazione.
Marx ed Engels avevano l’idea che i conDni dagli Sta5 determinassero a loro volta delle forme di
distorsione della comprensione di quello che è il vero interesse del lavoratore all’interno della
società. Le divisioni poli5che basate sulla nazionalità, su determina5 costumi, rischiano di fungere da
paravento rispe@o al fa@o che questa organizzazione produ[va non conosca conDni statali, ma miri a
cancellare determinate barriere, che sono controproducen5 ai Dni dell’ingrandimento del mercato:
chi produce i beni ha interesse a venderli ovunque. Secondo Marx ed Engels, quindi, a@ribuire troppa
importanza a queste divisioni nazionali signiDca occultare il fa@o che il sistema economico nuovo non
conosce ques5 conDni.
Il nazionalismo se elevato a livelli supremi è una delle ideologie create proprio dall’ordine vigente,
che mira a indirizzare la rabbia dell’oppresso contro lo sfru@atore esterno invece che quello interno.
Quindi la Rivoluzione deve essere realizzata su scala mondiale e non all’interno di una sola Nazione.
Nel ‘900 le rivoluzioni ispirate alla loro do@rina hanno invece avuto un cara@ere nazionale e si è
ritenuto di creare il comunismo in un solo Paese, ma in realtà loro erano essenzialmente convin5 che
la via nazionale fosse contraddi@oria con il loro pensiero, il quale invece era pre@amente
internazionalista. Internazionalismo: tra@o cara@eris5co del movimento comunista che lo
diPerenziano da altri movimen5 del ‘48.
Il socialismo appariva come una minaccia e fa5cò a svilupparsi, perché il fronte di quelli che hanno
qualcosa da perdere è in realtà popolato, non solo da quelli più privilegia5, ma anche dai piccoli o
medi proprietari, quindi l’a@acco alla proprietà creava paura non solo ai detentori di grandi proprietà,
ma anche in quelli che ne avevano poca ed essi trovavano più solidarietà nei grandi proprietari
piu@osto che nella restante parte della popolazione, la quale era sfru@ata.
Marx ed Engels cercarono di scardinare questa solidarietà di interessi, che non erano realmente
uguali, ma che potevano apparire coinciden5 per coloro che hanno qualcosa da perdere, che esso sia
poco o molto. Se i ce5 intermedi arrivassero a capire che si ha maggior benessere dalla condivisione,
che non dalla gelosa custodia di quel poco che si ha, la Rivoluzione sarebbe facilitata.
Gli autori, quindi, considerano come beneDca la scomparsa di ques5 corpi intermedi, grazie al
sistema economico vigente, proprio perché in questo modo l’insurrezione di coloro che sono sta5
priva5 di ogni avere sarà ancora più eZcace, in quanto non sarebbe più esis5to il freno di questa
alleanza, secondo loro sbagliata.

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IL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA


1. BORGHESI E PROLETARI
“Uno spe/ro s’aggira per l’Europa, lo spe/ro del comunismo. Tu/e le potenze della vecchia Europa si
sono alleate in una santa ba/uta di caccia contro questo spe/ro: Papa e Zar, Me/ernich e Guizot,
radicali francesi e polizioC tedeschi”.
Incipit sul piano le@erario pieno di allusioni un poco fantasiose, tu@a la le@eratura roman5ca della
prima meta dell’o@ocento era piena per questo gusto go5co, che oggi chiameremmo “horror”, la
fantasia dei romanzieri del roman5cismo si era par5colarmente sbizzarrita in questa direzione, certe
tema5che le ritroviamo ancora oggi e hanno lì le loro radici, come romanzi che hanno per
protagonis5 vampiri, Frankenstein… risalgono a questa a@razione verso il mostruoso e il deforme che
deriva da roman5cismo. Quindi in questo incipit Marx ed Engels so@olineano come il comunismo per
coloro che lo vedono come una minaccia sia uno spe@ro, per i ce5 benestan5 il comunismo è
qualcosa che ha il cara@ere minaccioso di un fantasma, che si aggira nel con5nente europeo, teatro
della Rivoluzione Industriale.
Marx ed Engels delineano un campo dei nemici del comunismo estremamente ar5colato, popolato
da individui con interessi tra loro molto diversi, ma accomuna5 da questa paura. Inoltre, deDniscono
la ba@uta di caccia volta a eliminare il comunismo come “santa”, ciò a so@olineare il legame tra
poli5ca e religione. Gli autori ovviamente sanno che nella cornice europea vi sia un’esecrazione del
comunismo come cosa inacce@abile moralmente e coloro che contrastano il comunismo aPermano
di farlo in nome di valori sacri. Non a caso la coalizione di Sta5 formatasi dopo il congresso di Vienna,
per impedire che qualcosa come la Rivoluzione Francese si ripetesse, era stata chiamata “Santa
Alleanza”. Marx con questa metafora dello spe@ro demoniaco ha di mira proprio il sodalizio tra
religione e poli5ca. Infa[ quando elenca i partecipan5 del sodalizio di caccia accosta personaggi che
possono in primo luogo sembrare in contrasto tra di loro: da una parte il Papa, capo della Chiesa, e
dall’altra parte lo Zar, che era invece ortodosso, poi Me@ernich, il primo ministro dell’Austria, che da
30 anni governava la poli5ca internazionale europea, prendendo anche parte del congresso di Vienna
per la restaurazione, accostato a Guizot, primo ministro della Francia di allora, uscita da una
Rivoluzione liberale, era un intelle@uale liberare e rappresentate di valori per cer5 versi quanto più
distan5 rispento a quelli di Me@ernich, accostò radicali francesi e polizio[ tedeschi. Insomma, una
serie di sogge[ che non dovrebbero andare d’accordo, ma che, per l’autore, sono tu[ accomuna5
dalla paura del fantasma del comunismo, davan5 al quale non esistono diPerenze di nazionalità,
religione, valori…. C’è un nemico più grande che minaccia tu[.
Marx vuole invitare a diZdare anche di coloro che si presentano più benevoli, perché al momento
buono, quando capiranno il reale interesse dei lavoratori e dei più poveri di aderire al comunismo gli
volteranno le spalle e si alleeranno con coloro che prima erano gli avversari.
La parola comunismo è divenuta una sorta di marchio di infamia. L’interesse dei nemici di esso è
caricare di un signiDcato nega5vo questo epiteto per dissuadere tu[ coloro che vorrebbero
diventare comunis5. Alla Dne si assiste al paradosso che agli occhi di coloro che vogliono un
cambiamento, ma non più di tanto, ma anche coloro che non vogliono nessun cambiamento,
possano essere bolla5 di comunismo qualora cercano una solidarietà con i più poveri, anche se
vogliono in realtà fermare l’avanzata borghese per non perdere i loro diri[ di aristocra5ci.

Se[ma lezione
“Due cose emergono da questo dato di fa/o: il comunismo viene già conosciuto da tu/e le potenze
europee come una potenza”.

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No5amo questo uso del termine “potenza”, normalmente si u5lizza per deDnire le grandi potenze
che quella volta erano europee, ad oggi la ques5one è più controversa, comunque al tempo di Marx
erano decisamente i maggiori Sta5 Europei: Francia, Gran Bretagna, Prussia, Russia… ma c’è un'altra
potenza di diversa natura dice Marx, non cara@erizzata dai contorni di un Impero: il comunismo, che
sa farsi temere proprio da quegli Sta5 che passano per essere i più for5, pur essendo un movimento
internazionale, che non si ferma entro dei conDni.

“È venuto il momento che i comunisG espongano apertamente il loro modo di vedere le cose, i loro
Hni, le loro tendenze, al cospe/o del mondo intero, e alla favola dello spe/ro del comunismo
contrappongano un manifesto del parGto stesso” così gli autori dichiarano la funzione dell’opuscolo:
contrapporre a quella che è la visione dei poten5 del comunismo, uno spauracchio, a ciò che invece il
comunismo davvero è per coloro che ne fanno parte.
È un’analisi della società dell’epoca e dei maggiori movimen5 poli5ci che la a@raversavano, a par5re
dalla quale posizione dei comunis5 doveva venire leggibile a tu[: “A questo scopo i comunisG delle
diverse nazionalità si sono uniG a Londra, bozzando il seguente manifesto, che viene pubblicato in
lingua inglese, francese, tedesca, italiana, Hamminga e danese”.
C’è una riunione della Lega dei Gius5 a cui Marx ed Engels erano iscri[ ed erano riusci5 a farsi
assegnare il compito di redigere il manifesto e a riprova dell’internazionalismo del movimento esso
viene pubblicato contemporaneamente in più lingue diverse, l’elencazione delle lingue, oltre a
corrispondere alla facilità di trovare tradu@ori a quell’epoca, rispecchia anche lo stato di
avanzamento delle economie, il Manifesto si diPonde in quelle nazionalità dove il par5to comunista
ha cominciato ad esistere e sappiamo che è legato alla Rivoluzione Industriale, quindi nelle società
più indietro è più diZcile che si sia sviluppato, dove non vi è la produzione industriale.
L’Italia in questo elenco non era tra i Paesi più avanza5, ma sul piano culturale godeva di un certo
rispe@o ed essendo ancora irrisolta la ques5one nazionale, movimen5 clandes5ni di questo 5po
c’erano già. L’origine di questo testo, legato a questo embrione di organizzazione internazionale del
movimento, con lo scopo di abba@ere i pregiudizi sul comunismo e opporsi alla propaganda nega5va
tramite uno scri@o chiariDcatore così che il pubblico poteva conoscere i veri Dni, le vere tendenze, la
visione del mondo di coloro che comunis5 si dichiarano. È in un certo qual modo anche una guerra di
propaganda tra le potenze e su questo piano gli autori essendo intelle@uali si sentono chiama5 a
intervenire. Dopo questo preambolo sugges5vo c’è il primo capitolo che si in5tola “borghesi e
proletari” cioè le due classi sociali che secondo gli autori sono al centro della contesa economica e
poli5ca nell’Europa del tempo, non c’è traccia di riferimen5 ai vecchi ce5 privilegia5, è evidente per
Marx che dopo la Rivoluzione Francese ques5 ce5 avessero perduto terreno e che invece il Terzo
Stato, cioè coloro che non sono nobili, sia diviso al suo interno: una parte favorita dallo sviluppo
economico e sociale e una svantaggiata. Questo è quello che vuole rendere evidente il primo
capitolo.
“La storia di ogni società esisGta Hno ad oggi è la storia di una lo/a di classe”.
Inizio secco, ma incisivo e importante da me@ere in chiaro per gli autori. Nel caso degli autori la lo@a
di classe per loro era il fa@ore ul5mo di trasformazione storica, sin dai tempi più remo5.
Classeper gli autori signiDca i facen5 parte di una determinata componente nella organizzazione e
distribuzione del lavoro produ[vo all’interno della società. Può corrispondere a quello che un tempo
era il ceto sociale, ma questo termine vuole spazzare via il ricordo dei mes5eri e delle ar5 di
estrazione medievale, che andavano so@o termini come “ceto”, “professione”, per indicare qualcosa
di più generale con il termine “classe” e cioè la dis5nzione tra coloro che possiedono i mezzi di
produzione e coloro che non li possiedono.
“Signori e schiavi, patrizi e plebei, baroni, servi della gleba, maestri arGgiani e apprendisG, in breve
oppressori e oppressi si sono sempre trovaG in una costante anGtesi gli uni rispe/o agli altri, hanno
indo/o una lo/a ininterro/a, ora nascosta, ora erta, una lo/a che ogni volta è sfociata in una
trasformazione rivoluzionaria dell’intera società, oppure nella comune rovina delle classi in lo/a”.

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Marx ci fa una serie di esempi canonici che rimandano Dno l’an5chità di che cosa egli intenda per
lo@a di classe: liberi contro schiavi nelle società an5che, greche e romane o asia5che e orientali, che
amme@evano la schiavitù, oppure tra patrizi e plebei, il richiamo qui è alla storia romana dove i
plebei non erano schiavi, ma ci@adini poveri, mentre i patrizi erano gli aristocra5ci, baroni e servi
della gleba, richiamando alla società medioevale, il servo della gleba era il contadino legato al
terreno del signore, che il terreno possedeva, il servo non apparteneva al padrone come con la
schiavitù, ma era comunque vincolato al terreno e doveva lavorare per il signore, senza poter
so@rarsi.
Sempre nel Medioevo, ma nel campo della produzione di beni non agricoli, Marx parla delle
corporazioni di ar5 e mes5eri, che erano organizzate in una maniera rigida e chiusa, non tu[
potevano svolgere il mes5ere che desiderassero, ma questo sistema a tutela di coloro che
possedevano un certo mes5ere, prevedeva che l’ammissione di certe Dgure fosse regolamentata
dalla corporazione, la quale aveva il diri@o di escludere dallo svolgimento di questo mes5ere quan5
fossero considera5 di troppo per tutelare la reddi5vità del mes5ere stesso.
Quindi per avvicinarsi a determina5 mes5eri l’unico modo era di me@ersi al servizio di qualche
maestro ar5giano nella speranza di venire accol5 poi un giorno all’interno della stessa corporazione,
ciò non avveniva per tu[, gli altri erano lavoratori salaria5 e spesso so@opaga5. Non c’era una libera
concorrenza, ma un controllo della comunità, di modo che gli interessi di coloro che già svolgevano
queste mansioni fossero prote[.
Marx riduce queste coppie a una categoria generalissima: gli oppressori e gli oppressi. Questo spiega
cosa lui intenda con il termine “lo@a di classe”, perché è ovvio che queste classi non possono vivere
in armonia, per quanto diversi siano i loro rappor5 interni sono accomunate dall’oppressione e dove
c’è oppressione non può esserci pace, ma cova la guerra. Questa lo@a ha due possibili esi5, gli autori
sono categorici, dicono che storicamente queste lo@e possono Dnire solo in due modi:
- Trasformazione della società da parte degli oppressi;
- Rovina della società in lo@a e quindi sconD@a comune di oppressori e oppressi.
Quindi gli autori escludono che gli oppressori possano vincere deDni5vamente o la società verrà
rivoluzionata dagli oppressi oppure ci sarà una rovina generale, esempi sono:
- La Rivoluzione Francese, Dne dei privilegi di nobiltà e clero;
- Caduta dell’Impero Romano, travolto dai barbari, durante la disputa tra patrizi e plebei e quindi la
loro rovina comune a favore di nuovi venu5 da fuori.
“Nelle epoche passate della storia quasi dappertu/o troviamo una arGcolazione della società in
diversi ceG sociali, nell’anGca Roma abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel Medioevo signori
feudali, vassalli, servi della gleba, (fuori dalla campagna) maestri arGgiani, apprendisG e, in ciascuna
di queste classi, altre arGcolazioni parGcolari”.
Nel passato questa lo@a di classe era meno radicalizzata in due estremi contrappos5 rispe@o a
quanto avvenga oggi, i campi di oppressi e oppressori erano ar5cola5 al loro interno secondo altre
gerarchie per le quali questa contesa appariva quindi meno evidente rispe@o al presente degli autori
e quindi assumeva contorni più complica5. Gli autori ricordano la suddivisione della società romana,
che prevedeva altri ce5 intermedi tra patrizi e plebei, come i cavalieri, che non erano nobili
primogeni5, ma comunque ricchi, oppure gli schiavi, che non avevano niente, in condizioni anche
peggiori dei plebei, ciò quindi rendeva meno evidente il loro conAi@o sociale. Così pure nel
Medioevo: la società feudale è andata in rovina, ma da essa è sorta una società nuova che Marx
e5che@a come “borghese” in origine borghese signiDcava “abitante dei borghi” cioè colui che vive
in ci@à, dis5nto dall’abitante delle campagne, e anche dai signori aristocra5ci che vivevano nei loro
castelli, ecco perché il termine borghese via via poi viene acquistando il valore di detentore di mezzi
di produzione legato alla vita urbana e non di origini nobiliari. Le ci@à sono i luoghi dove si concentra
il maggior numero di popolazione e quindi di probabili acquiren5 o di lavoratori, quindi il termine
borghese assume questo signiDcato: appartenente a una classe sociale benestante, che per Marx si
cara@erizza per il possesso dei mezzi di produzione.

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“La società borghese moderna non ha abolito le anGtesi di classe essa ha solo messo nuove classi,
nuove condizioni di oppressione, e nuove conHgurazioni della lo/a, diverse da quelle anGche”.
Sebbene la rovina della società feudale sia avvenuta nell’insegna di parole come “libertà”,
“uguaglianza”, “fratellanza” della Rivoluzione Francese, tu@avia l’oppressione non è scomparsa,
quindi può apparire diversa solo perché ques5 rappor5 di oppressione si sono modiDca5 dando
origine a classi diverse, ma non per questo meno contrapposte l’una all’altra, l’oppressione ha
semplicemente cambiato condizioni. È come se gli autori ammonissero “guardate che la Dne dei
privilegi feudali non coincide, diversamente da quanto si crede, con la Dne dell’oppressione”.
“La nostra epoca, l’epoca della borghesia” (sebbene i nobili ci fossero ancora, Marx vuole dire che la
dis5nzione fra aristocra5ci e non aristocra5ci, non è più quella determinante, il vero ceto oppressore
è la borghesia), “l’intera società sempre più si scinde in due grandi campi osGli, classi che si
fronteggiano l’un l’altra: borghesia e proletariato”.
La società nella quale Marx ed Engels si trovano a redigere il manifesto è secondo loro sempliDcata
rispe@o a quelle preceden5, al loro tempo esistevano soltanto due classi: i detentori dei mezzi di
produzione e coloro che ne erano privi.
“Dai servi della gleba del Medioevo vennero fuori gli abitanG dei borghi delle prime ci/à da questa
borghesia ci/adina si sono sviluppaG i primi elemenG della borghesia”.
Marx qui descrive brevemente il processo per cui mol5 abitan5 delle campagne si sono trasferi5 in
ci@à. Quanto più andiamo indietro nel tempo troviamo condizioni di rela5va insigniDcanza delle ci@à
alcune delle quali erano addiri@ura scomparse, o comunque si erano molto rimpicciolite, perché la
popolazione tendeva a disperdersi nelle campagne per evitare i saccheggiatori, man mano che però
viene stru@urandosi la società feudale le ci@à cominciarono a riprendere vita e divenire come una
calamita per quella parte di popolazione feudale che cercò di trovare fortuna altrove, fuori dal
controllo del signore, così si sviluppò poi quel che diverrà nel corso dei secoli la borghesia,
cara@erizzata per l’appartenenza alla ci@à, che venne acquistando inAuenza e peso sociale.
“La scoperta dell’America, la circumnavigazione dell’africa, crearono alla borghesia nascente un
nuovo terreno”.
Il riferimento qui è al grande sviluppo mercan5le dell’Europa a seguito delle grandi scoperte
geograDche, che ebbero un ruolo decisivo per la promozione della società europea e favorendo il
passaggio a un’economia agricola ad un’economia mercan5le, industriale. Quindi le scoperte
geograDche sono alla base del grande sviluppo dell’Europa, che ne fa il con5nente economicamente
all’avanguardia rispe@o al resto del mondo, perme@endogli di allargare i propri merca5 agli angoli più
remo5 della Terra.
“Il mercato delle Indie orientali, il mercato cinese, la colonizzazione dell’America, lo scambio con le
colonie, l’accrescimento dei mezzi di scambio e delle merci in generale diedero al commercio, alla
navigazione e all’industria uno slancio mai prima conosciuto e con ciò un brusco sviluppo
dell’elemento rivoluzionario (borghesia) all’interno della società feudale in via di decomposizione”.
In America gli europei hanno creato colonie, questo rappresentava l‘esempio più clamoroso di
espansione economica dell’Europa, a@raverso la creazione di merca5 secondari dove esportare le
proprie merci e a[ngere per nuove materie prime. Al tempo degli autori queste colonie già non
c’erano più, perché gli americani avevano già acquistato l‘indipendenza, c’era solo il Canada ad essere
rimasto ancora colonia britannica. Il risultato è stata la mol5plicazione dei mezzi di scambio e delle
merci che ha dato all’economia e all’industria un nuovo slancio e che ha minato alle basi il potere
dell’aristocrazia feudale e ha fa@o sì che l’elemento borghese, che viveva di ques5 scambi, potesse
aPermarsi come elemento rivoluzionario all’interno di quella società e quindi vincere la lo@a contro
la classe degli oppressori, perché ormai più numeroso e più ricco rispe@o ai nobili.
“Il modo di far funzionare l’industria feudale o arGgianale esisGto Hno ad allora, non bastava più per
il fabbisogno crescente dei nuovi mercaG”.
L’avvio di quella che noi chiamiamo “società industriale” è avvenuto grazie alla manifa@ura. Con il
termine “manifa@ura” Marx intende quella forma di produzione industriale basata su di una
invenzione prima poco impiegata che noi chiamiamo “divisione del lavoro”, quindi non veniva

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realizzato il prodo@o Dnito dal medesimo lavoratore, preroga5va del lavoro ar5gianale, ma la
manifa@ura è invece una forma di organizzazione della produzione per la quale si concentrano in un
unico luogo tan5 lavoratori a cui, per rendere più eZciente la produzione, viene assegnato un singolo
compito nella realizzazione del prodo@o che deriva da molte mani. La scoperta è che se mi aZdo a
più persone per la produzione di un singolo pezzo del bene e la fase successiva, il montaggio Dnale,
relegata ad altre persone, impiegherò molto meno tempo per produrre il bene Dnitocatena di
montaggio, che prevede anche l’u5lizzo di macchine. La manifa@ura permise di mol5plicare la
produzione. I maestri ar5giani furono quindi spazza5 via dal ceto medio industriale.

O@ava lezione
“La produzione manifa/uriera soppiantò i maestri arGgiani, la divisione del lavoro fra le diverse
corporazioni scomparve, davanG alla divisione del lavoro nella singola oUcina stessa. Ma i mercaG
crescevano sempre, il fabbisogno saliva sempre, neppure la manifa/ura era più suUciente”.
Viene illustrato uno sviluppo ulteriore del sistema di produzione industriale e ce ne viene indicata
anche una causa: l’allargamento dei merca5 e di conseguenza il maggior fabbisogno di merci. Da un
lato in Europa la popolazione era in crescita, il miglioramento delle condizioni di vita faceva sì che le
persone incominciassero a vivere più a lungo e a diminuire la mortalità infan5le e ad aumentare le
nascite, in più i merca5 si erano allarga5, cioè ampliamento della sfera di prodo[ di vendita europei
al di fuori del con5nente (colonie).
La prima Rivoluzione Industriale viene chiamata così perché ha generato una trasformazione
talmente profonda da rendere impossibile tornare indietro. A@raverso la prima forma di
meccanizzazione dell’a[vità produ[va, non più soltanto mol5 lavoratori concentra5 in un luogo, ma
anche l’introduzione delle macchine, in primo luogo nell’industria tessile con l’introduzione dei telai
meccanici che funzionavano tramite la macchina a vapore, inventata da John Wa@.
“Subentrò la prima industria moderna, basata sulla meccanizzazione, al medio ceto industriale
subentrarono i milionari dell’industria, i capi di interi eserciG industriali, i borghesi moderni”.
Questa trasformazione, quindi, secondo gli autori si riverbera nella società, perché per introdurre le
macchine nel processo produ[vo occorrono capitali maggiori per acquistarle. Quindi per Marx
signiDca una scrematura del ceto borghese produ[vo industriale. Non tu[ coloro che possedevano
manifa@ure avevano capitali abbastanza corposi per poter meccanizzare i loro impian5 produ[vi.
Scrematura a vantaggio dei più ricchi, che Marx chiama in senso stre@o i “borghesi moderni”, che
hanno la disponibilità di risorse per avviare la produzione meccanizzata, che lui paragona quasi a
degli al5 uZciali. Questa è anche una rappresentazione intui5va della grande sproporzione numerica
tra gli appartenen5 alla borghesia e gli appartenen5 al proletariato.
“La grande industria ha creato quel mercato mondiale che era stato preparato dalla scoperta
dell’America”.
L’industria risponde al bisogno proveniente dal mercato per una maggior fabbisogno di merci, ma al
tempo stesso crea essa stessa un nuovo mercato. Gli industriali per non rimanere con merci
invendute hanno bisogno di cercare sempre più compratori, perciò me@ono a disposizione le loro
merci a un’utenza sempre più elevata, raggiungendo popolazioni e luoghi anche molto lontani.
L’industria stessa è causa ed ePe@o dell’allargamento del mercato.
La scoperta dell’America viene presentata come un fenomeno preparatorio alla globalizzazione del
mercato dei prodo[ dell’industria, che ha dato uno sviluppo immenso al commercio, dei sistemi di
trasporto e comunicazione, sia per mare sia per terra. Questo mercato non è più conDnato a un solo
Stato, ma può deDnirsi già all’altezza del 1848 come un mercato mondiale.
“Questo sviluppo ha reagito a sua volta, ecco le cause e gli eWeC che si riproducono gli uni dagli altri
sulla espansione dell’industria e nella stessa misura in cui si estendevano industria, commercio,
navigazione, ferrovia, così si è sviluppata la borghesia, ha accresciuto i suoi capitali e ha respinto nel
retroscena tu/e le classi tramandate dal Medioevo”.
Ancora una volta meccanizzazione, ma in questo caso dei traspor5: i treni, che andavano grazie alla
forza prodo@a dal vapore. C’erano già anche i primi ba@elli a vapore, che sfru@avano la forza di
ruote, pale o eliche e conver5vano l’energia o@enuta dal vapore in movimento. Quindi

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potenziamento del sistema mondiale mercan5le a@raverso il quale le merci viaggiavano più veloci e
di conseguenza si abbassava il loro costo di distribuzione anche in merca5 lontani.
Marx sos5ene che la società in cui vive ha sempliDcato la stra5Dcazione sociale e di conseguenza la
lo@a di classe. Vi è la scomparsa dei ce5 medi e quindi l’estremizzazione del conAi@o sociale tra
oppressori e oppressi. La borghesia moderna è essa stessa il prodo@o di un lungo processo di
sviluppo. Le classi sociali sono a loro volta il prodo@o dei sistemi di produzione che sono all’opera
all’interno di una determinata società e di conseguenza sono anch’esse prodo@o della storia, quindi
non è scri@o da nessuna parte che debbano esistere per sempre.
“Ognuno di quesG stadi di sviluppo della borghesia è accompagnato da un conseguente stadio di
sviluppo della poliGca”.
Questo è importante perché so@olinea il legame tra poli5ca e economia, trasformazioni a livello
produ[vo secondo Marx si rispecchieranno in trasformazioni anche nei rappor5 poli5ci, in virtù dei
quali l’emanazione delle leggi sono preroga5va di una certa parte della società che qui ha inizia5va
rispe@o all’altra.
“Il ceto oppresso so/o il dominio dei signori feudali, insieme di associazioni armate ed autonome nel
comune, talvolta so/o forma di repubblica municipale indipendente, talvolta di terzo Stato, tributario
della monarchia, poi all’epoca dell’industria manifa/uriera, nella monarchia controllata dagli staG,
contrappeso della nobiltà e fondamento principale delle grandi monarchie generali, la borghesia
inHne, dopo la creazione della grande industria e del mercato mondiale, si è conquistata il dominio
poliGco esclusivo nello Stato rappresentaGvo moderno”.
Il sogge@o è sempre la borghesia, descri@a nelle sue trasformazioni, all’inizio comunale e ci@adina
della società medioevale feudale, che cercava di aPrancarsi dal dominio dei nobili, recandosi
all’interno delle ci@à e opponendo resistenza al tenta5vo di ques5 signori di ridurre i borghesi
all’obbedienza, a@raverso tribu5. Sul piano poli5co la borghesia medioevale si organizzava quasi in
forma di ci@à-stato, che cos5tuivano en5tà poli5che indipenden5 (comuni, signorie) poi, anche in
altre zone dell’Europa, si cos5tuisce al di so@o del potere regio come una classe tributaria, quindi
chiamata a versare le tasse, che però a poco a poco, una volta acquistata ricchezza, accrescerà le
proprie pretese di rappresentanza poli5ca aspirando a spogliare la nobiltà dai suoi privilegi e
limitando i poteri del Re.
Da un lato lo sviluppo del potere regio in forma di monarchia assoluta faceva l’interesse del Terzo
Stato, perché limitava i poteri dell’aristocrazia. Poi però ci fu la pretesa della borghesia di
compartecipare alla ges5one del potere e quindi di sos5tuire il potere assoluto con una forma
partecipa5va di ges5one del potere, resa possibile da forme di rappresentanza. Cioè aspiravano
all’organizzazione di organismi parlamentari che, ai Dni dell’emanazione delle leggi, dovevano avere
una propria inizia5va e non dipendere solo da quella del Re.
Ciò provocò una crescente compe5zione fra il monarca e forme di rappresentanza del ceto borghese
che cercano di evocare a sé preroga5ve. Il primo spe@acolo di questo genere fu oPerto
dall’Inghilterra nel ‘600 al termine della dinas5a Steward, che scaccia5 deDni5vamente, introdussero
poi gli antena5 di coloro che sono tu@’ora i regnan5 in carica, che furono trapianta5 in Inghilterra
dalla Germania, per via di legami di sangue con la dinas5a regnante precedente, e solo in occasione
della Prima Guerra Mondiale depose la denominazione dinas5ca di origine tedesca, per assumere
quella di Windsor. Ma il caso più vistoso fu quello della Rivoluzione Francese.
Questo è il processo che Marx ha di mira: con la Restaurazione l’Europa diventa lo scenario di una
serie di fermen5 vol5 a una liberalizzazione dei rappor5 poli5ci, alla trasmissione del potere dal
monarca ai parlamen5 della borghesia, ele[ da una minoranza della popolazione cara@erizzata da
maggiore reddito, quindi non era una vera democrazia, ma c’erano forme di rappresentanza su base
censitaria. Marx aPerma questa subalternità della poli5ca rispe@o all’economia arrivando a dire che
l’organizzazione statale altro non è che il riAesso del perseguimento degli interessi economici e
materiali della borghesia, coloro che pensano di fare aZdamento sulla poli5ca per cambiare le cose
sono degli illusi, perché non si rendono conto che lo Stato è solo un amministratore degli interessi
della classe avvantaggiata e quindi non potrebbe mai creare una maggiore uguaglianza andando a

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ledere gli interessi proprio di questa classe. Anche il reggitore meglio disposto di una certa forma di
organizzazione poli5ca, per Marx, non può prendere inizia5ve tali da scontentare quelle componen5
della società che, proprio lo Stato così organizzato, è incaricato di tutelare sul piano economico e
produ[vo, senza rischiare di autodistruggersi. Quindi un cambiamento radicale e profondo non può
che venire dal basso, in maniera rivoluzionaria. Qui gli autori evocano il tema della Rivoluzione.
La borghesia ha avuto nella sua storia una parte sommamente rivoluzionaria. Anche questo
so@olinea il dinamismo dei rappor5 sociali, quella classe che oggi appare egemone non è sempre
stata tale, ma lo è divenuta anche a@raverso la rivoluzione, anche poli5ca.
Dunque la borghesia è una classe che a suo tempo è stata anche rivoluzionaria, quindi ha avuto una
funzione progressiva. Il cambiamento storico per gli autori non è un cambiamento che non ha
traguardo, ma c’è una linea di sviluppo di cui la borghesia è stata per mol5 secoli il primo a@ore,
contro i ce5 feudali. Tu@avia, ci sono Sta5 non ancora molto industrializza5 in cui la borghesia non ha
ancora Dnito di essere rivoluzionaria, ma dove ha o@enuto il dominio ha distru@o le is5tuzioni
patriarcali, feudali e idilliche del passato. Quindi dove non ha preso il potere bisogna aiutarla a
prenderlo, per poter accelerare gli sviluppi successivi, gli autori la considerano per questo un mezzo
per raggiungere l’obie[vo.
Tre agge[vi della società pre-borghese: patriarcale, feudale e idillica.
Idilliche hanno di mira gli avversari dello sviluppo industriale, i vecchi dominatori spossessa5,
rappresentazioni abbellite di una vita agricola che si oppone alle condizioni urbane della vita
industriale, cioè gli autori vogliono dire che sorge di fronte alla spinta borghese una specie di
nostalgia per la condizione precedente degli uomini. Ma quello che gli autori ritengono è che questa
nostalgia sia ingenua, perché quelle condizioni non erano davvero migliori, ma così appaiono solo a
chi ha perduto qualcosa (nobili, clero…). L’apparente regresso nelle condizioni di vita che ha portato
lo sviluppo industriale, quindi, è da considerarsi necessario per arrivare a una società più eguale,
eliminando i privilegi di ce5 come Aristocrazia e Clero, e da qui arriva la funzione progressiva della
borghesia, in quando agente che tende alla soppressione dei privilegi che sono di ostacolo
all’espansione dell’economia industriale.
“La borghesia ha lacerato spietatamente tuC i variopinG vincoli feudali, che legavano l’uomo al suo
suddito naturale e non ha lasciato tra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo
pagamento in contanG”.
Marx dice che i vecchi rappor5 feudali potevano apparire più umani, perché non erano media5 dal
denaro, come nella società industriale moderna della borghesia. Il feudatario aveva diri@o a
dominare i suoi so@opos5 in cambio della sua protezione, disponendo di armi e arma5 al suo
servizio, proteggeva, almeno apparentemente, coloro che gli giuravano fedeltà da qualsiasi sopruso
che derivasse dall’esterno.
Il rapporto tra datore di lavoro e so@opos5 nella società industriale è da considerarsi più cinico e
freddo, era un rapporto impersonale, senza una frequentazione reciproca stre@a. Il datore di lavoro
non conosce uno ad uno tu[ gli operai nella fabbrica, si risolvono ai suoi occhi solo in termini di
numeri, di s5pendi che deve erogare. Quindi ciò riduce il rapporto di sfru@amento a un nudo
interesse, al calcolo. Ciò non vuol dire che prima lo sfru@amento non c’era, tu@avia le condizioni
an5che possono apparire più “dolci” proprio per quel cara@ere personale che gli era intrinseco e che
può venire rimpianto, sebbene a torto secondo Marx ed Engels.
“La borghesia ha aWogato nell’acqua gelida del calcolo egoisGco i brividi dell’esaltazione devota,
dell’entusiasmo cavalleresco, della malinconia Hlistea”.
Marx qui è ironico, rappresenta coloro che rimpiangono il passato come la condizione di qualcuno a
cui viene ge@ata in testa l’acqua fredda, per spegnere i bollori della religione, che abbelliva le
condizioni sociali medioevali, rappresentandole come volute dai Dio, della cavalleria che
rappresentava l’is5tuzione medioevale per antonomasia, che si descriveva come mo5vata dal Dne
morale e religioso, nobile, di proteggere i deboli.
Questo abbellimento di certe funzioni sociali assolte, almeno in apparenza, dai soppressori non regge
con l’avvento della borghesia.

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Malinconia Dlistea, cioè la condizione di coloro che rimpiangono il passato, Dlistea, cioè indica
l’a@eggiamento ipocrita di coloro che si raccontano una favola consolatoria alla quale non
corrisponde realtà auten5ca.
“La borghesia ha disciolto la dignità al valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà
patentate e onestamente conquistate, ha messo unica la libertà di commercio, priva di scrupoli”.
Le an5che società medioevali, feudali erano cara@erizzate dall’elargizione di ten5, licenze, da parte
dei signori, mediante le quali fosse possibile a qualcuno svolgere una determinata a[vità.
C’erano quindi una serie di libertà par5colari, che erano preroga5va dei detentori del potere e che
potevano elargire mediante acquisizione di una tassa da coloro che queste libertà non avevano.
Invece, la società borghese è una società nella quale le libertà individuali vengono riconosciute come
tali e non devono più essere mendicate. E questo avviene anche grazie al libero commercio, cioè
all’eliminazione dei vincoli che la società tradizionale frapponeva alla circolazione delle merci. Tu@e
le restrizioni tendono a scomparire, è una tendenza quella che gli autori descrivono, alcuni limi5
c’erano ancora, ma lo sviluppo della borghesia tende all’abolizione di ques5 vincoli, perché il suo
scopo è favorire la circolazione delle merci. Quindi la borghesia ha messo lo sfru@amento aperto e
arido sos5tuendo invece il vecchio sfru@amento mascherato e velato da illusioni religiose, ma che
sempre sfru@amento era. La borghesia non ha più interesse a ques5 abbellimen5 morali e religiosi,
che cos5tuirebbero altre@ante limitazioni alla libertà di impresa e circolazione delle merci che i
borghesi considerano valori supremi. Quindi la borghesia appare come più crudele rispe@o a i ce5
egemonici passa5, senza però esserlo.
L’illusione religiosa che i vecchi ce5 privilegia5 sapevano u5lizzare contro i ce5 sfru@a5 ormai non
funzionava più, e quindi lo sfru@amento appariva semplicemente per quello che era.
“La borghesia ha spogliato della loro aureola tu/e le aCvità che prima erano venerate e considerate
con pio Gmore” insis5to linguaggio di sapore religioso.
Quindi l’apparente crudeltà della borghesia è secondo Marx una dura necessità, perché è ipocrita il
richiamo alla bontà che comunque man5ene gli sfru@a5 nella loro condizione.
“La borghesia ha strappato il commovente velo senGmentale al rapporto familiare e lo ha ricondo/o
a un mero (semplice) rapporto di denaro”.
La borghesia ha spogliato di quell’abbellimento, posto dalla religione, anche i rappor5 familiari.
Perché il padre comanda sulla moglie e suoi Dgli? Semplicemente perché porta a casa lo s5pendio e
questo è il segreto dell’autorità maritale e ciò porta a spogliare anche qui ques5 ornamen5, per
mostrare che al fondo di tu@o stanno i rappor5 economici.

Nona lezione
La sempliDcazione dei rappor5 sociali è avvenuta con l’industrializzazione. I corpi intermedi tendono
a venire risol5 in lavoratori salaria5 o sopraPa[ dalla concorrenza dell’industria. Anche la famiglia
non è al riparo da questa trasformazione sociale.
I corpi intermedi che la società feudale conosceva tendono a venire risol5 in a[vità salariate oppure
esposte alla libera concorrenza senza la protezione delle gilde medievali.
Tu[ vengono rido[ a salaria5.
La borghesia ha ricondo@o a un rapporto di denaro anche il rapporto famigliare.
Mai, per la verità, so[ntendono gli autori, la famiglia è stata qualcosa del genere, sempre è stata
cara@erizzata dalla incidenza anche su di essa dei rappor5 economici e produ[vi, anzi, molto più di
quando non sia avvenuto in seguito la famiglia in origine fosse un vero e proprio centro di
produzione dei beni economici, quando le famiglie tendevano a soddisfare al proprio interno il più
possibile i loro bisogni, delegando i compi5 di produzione a servi e schiavi, ma quello che è evidente
al tempo di Marx ed Engels è come all’interno della famiglia quelle Dgure che sono i perce@ori di un
reddito, essendo in grado di promuovere il sostentamento della famiglia stessa, sono per questa
ragione, e non in virtù di altre (es: valori religiosi, ecc..), i detentori dell’autorità.
“La borghesia ha svelato come la brutale manifestazione di forza, che la reazione ammira tanto nel
Medioevo, avesse la sua appropriata integrazione nella più pigra inHngardaggine, solo la borghesia

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ha dimostrato che cos possa compiere l’aCvità dell’uomo, essa ha compiuto ben altre meraviglie che
piramidi egiziane, acquedoC romani e ca/edrali goGche, ha portato a termine ben altre spedizioni
che le migrazioni dei popoli e le Crociate.”
InDngardo= vile
Qui Marx va a colpire certa rappresentazione, ai suoi occhi abbellita, del mondo medioevale che i
nostalgici di quest’ordine idealizzavano, ma tale idealizzazione non corrispondeva alla realtà.
A confronto delle grandi realizzazioni avvenute nel passato, elencate dall’autore, secondo i nostalgici
il presente apparirebbe come un tempo di decadenza.
Le varie opere culturali, piramidi egizie, acquedo[ della Roma an5ca e le ca@edrali go5che sono
indica5 come elemen5 del mondo an5co, che agli occhi dei nostalgici del passato, non hanno eguale
nel mondo presente. Sul piano militare, le Crociate, che dovevano riconquistare la Terra Santa o le
invasioni barbariche, che distrussero l’Impero Romano, erano fenomeni di conquista insupera5 nelle
generazioni successive, quello che la borghesia fa nel presente dell’autore non può reggere il
confronto, secondo i nostalgici. Anche l’amore per la violenza è un’ammirazione ingenua, secondo
Marxuno sfoggio primi5vo di violenza proprio del mondo an5co.
“La borghesia non può esistere senza rivoluzionare gli strumenG di produzione, i rapporG di
produzione, dunque tuC i rapporG sociali”.
Anche qui la borghesia industriale viene considerata rivoluzionaria, una classe che non riesce mai a
stare tranquilla, ma provoca sempre uno sconvolgimento dei rappor5 di produzione, quindi anche
nei rappor5 sociali. Prima, invece, ciò che cara@erizzava le classi dominan5 era il mantenimento
immutato del vecchio sistema di produzione. La borghesia industriale ha introdo@o un sistema di
produzione così diverso da quelli passa5 da non poter più condividere la condo@a con le atre classi
dominan5 e quindi aveva l’esigenza di cambiare anche i rappor5 sociali. Secondo la classe borghese
ciò che è iscri@o nell’ordine naturale del mondo è che il mondo cambia sempre, è una classe che per
conservare il suo potere deve cambiare le cose e in questo verso è quindi diversa dalle classi
dominan5 del passato e magari per questo anche meno riconoscibile in quanto classe dominante,
proprio per la sua dinamicità.
“Il conGnuo rivoluzionamento della produzione, nell’interro/o scuoGmento delle situazioni sociali,
l’incertezza e il movimento eterni contraddisGnguono l’epoca dei borghesi rispe/o a tu/e quelle
precedenG”.
Il movimento, il cambiamento, e l’insicurezza che ad esso si accompagna, cara@erizzavano la società
borghese. Le società an5che erano cara@erizzate da una certa Dducia verso la loro immutabilità,
mentre la società moderna è cara@erizzata dall’incertezza.
Per le società an5che vi era una sorta di iden5Dcazione is5n5va fra la novità e la minaccia e di
conseguenza della stabilità, con la natura e il bene.
I romani stessi indicavano come “novus” = “nuovo” tu@o ciò che era rivoluzionario. La novità era una
minaccia. Gli agitatori sociali erano chiama5 “omines novi” = che vuol dire le@eralmente “uomini
nuovi”, ma in realtà contraddis5ngue coloro che essendo per estrazione sociale non i detentori del
potere, promuovono la novità intesa come la sovversione.
Nella società della borghesia l’innovazione invece è considerata un valore posi5vo.
Ciò vale per noi ancora oggi: la novità è posi5va, perché tu@o il nostro modo di vivere è scandito da
una serie di cambiamen5 origina5 nelle innovazioni tecnologiche, che con5nuamente scandiscono
cambiamen5 nella nostra vita che lasciano a terra coloro che non sono in grado di ada@arsi. Ma
queste vi[me appaiono come una sorta di prezzo da pagare in nome del progresso.
“Si dissolvono tuC i rapporG stabili e irrigidiG con il loro seguito di idee e di conceC anGchi e
venerandi e tu/e le idee e i conceC nuovi invecchiano addiri/ura prima di potersi Hssare”.
Marx ed Engels danno un giudizio posi5vo di questa trasformazione, perché riconoscono alla
borghesia il merito, a suo modo rivoluzionario, di aver permesso a tu[ di aprire gli occhi sulla realtà,
avendo spazzato via gli abbellimen5 dell’ordine cos5tuito che potevano funzionare solo Dn tanto che
quest’ordine fosse stabile. La borghesia proprio perché rivoluziona con5nuamente i rappor5 di

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produzione, non può avere una stabilità dei rappor5 sociali, poli5ci… e quindi quel rispe@o ingenuo
del quale essi nell’an5chità godevano.
Questo sistema per mantenersi ha bisogno di produrre sempre di più a prezzi sempre più bassi di
raggiungere merca5 sempre più estesi e quindi non può mai fermarsi, chi resta indietro
nell’innovazione viene spazzato via dalla concorrenza. EPe@o di una società sconsacrata dove non c’è
più spazio per il senso del sacro su cui si basavano le società an5che. Tu@o può divenire merce, nulla
è inviolabile e al riparo da questo tra@amento.
Nemmeno gli ideali, des5na5 a cambiare nella misura in cui cambiano le cose economiche.
La religione, quindi, perde rilevanza in questa società, per questo tu[ i cri5ci della religione,
so@olineano gli autori, sono il prodo@o di questo cambiamento, perché l’autorevolezza della
religione è già stata rido@a da chi agisce nei livelli di produzione.
La società industriale moderna è una società profana e, agli occhi degli uomini lega5 alla religione,
addiri@ura blasfema, che non rispe@a i valori tradizionali.
Ma questo per gli autori appare come posi5vo, non perché di per sé i due si considerino immoralis5,
ma perché viene meno l’abbellimento dei rappor5 di sfru@amento e ciò perme@e di me@ere alla luce
lo sfru@amento stesso, non più prote@o dallo scudo della religione o della morale, come nella società
an5ca.
“Il bisogno di uno smercio sempre più esteso per i suoi prodoC spinge la borghesia a percorrere tu/o
il globo terrestre, dappertu/o deve annidarsi, costruire le sue basi, creare relazioni”.
Il fenomeno della globalizzazione, che ormai da 30 anni a questa parte descrive le condizioni della
nostra società a@uale priva di freni allo spostamento di persone e merci, gli autori lo vedevano già
all’opera al tempo loro, seppur in una scala più piccola rispe@o ai nostri tempi, ma se paragonato ai
tempi a loro preceden5, era un cambiamento talmente rilevante che può essere eZcacemente
descri@o come un passaggio da un’economia su base locale a un’economia su base mondiale.
“Con lo sfru/amento del mercato mondiale la borghesia ha dato un’impronta cosmopoliGca al
consumo o produzione di tuC i Paesi”.
In questo modo tu@o il processo della produzione e del consumo acquista un’impronta
cosmopoli5cacosmopolita è la condizione per la quale si è in qualche modo ci@adini del mondo. La
produzione industriale moderna tende a subire questo ePe@o: non è cara@erizzata dalle diPerenze
che separano popoli e nazioni, ma riscontra dappertu@o delle simili condizioni materiali di vita. Gli
uomini tendono ovunque a consumare le stesse merci e ad acquisire gli stessi valori, le vecchie
separazioni tendono a scomparire. La società industriale moderna tende a omologare l’umanità,
proprio in virtù della produzione di beni uniformi e del fa@o che debbano arrivare a merca5 sempre
più vas5, quindi per forza gli uomini devono u5lizzare dappertu@o determina5 beni. Non ci saranno
più società dove i beni prodo[ verranno considera5 inu5li e superAui, come ad esempio
l’automobile o il computer, ma tende a prodursi ovunque a@raverso la mondializzazione del mercato,
una possibile utenza di ques5 servizi uguale in tu@e le regioni nella Terra.
Le merci trovano compratori in virtù della loro capacità di soddisfare i bisogni, quindi devono
convincere i consumatori a comprare, questo fa@o tende a produrre una omologazione dei
comportamen5, dei valori… degli uomini all’interno della Terra e questo secondo Marx è il vero
cosmopoli5smo. La vera realizzazione pra5ca dell’uguaglianza di principi fra gli uomini in tu@o il
mondo, al di so@o delle apparen5 dis5nzioni, è l’opera della società industriale moderna. Ha tolto di
so@o i piedi all’industria il suo terreno nazionale, in rammarico dei reazionari, che sono coloro che ne
vorrebbero fermare lo sviluppo, i nostalgici del vecchio ordine. Vano è il tenta5vo di porre limi5 al
libero mercato.
“Le anGchissime industrie nazionali sono state distru/e, vengono soppiantate da industrie nuove, la
cui produzione diventa quesGone di vita o di morte per tu/e le Nazioni civili. Industrie che non
lavorano più soltanto materie prime del luogo, ma delle zone più remote, i cui prodoC non vengono
consumaG solo nel Paese stesso, ma anche in tuC i mercaG del mondo”.

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L’abolizione delle barriere nazionali dell’industria vuol dire che le materie prime non vengono più
prodo@e solo nel luogo dove l’industria sorge e allo stesso modo le merci prodo@e non vengono più
vendute solo dove l’industria sorge.
Nel passato era così, si u5lizzavano le risorse del luogo, anche se fossero minori o di minor qualità
rispe@o a quelle presen5 da altre par5 e ugualmente si vendeva il prodo@o Dnito nello stesso luogo.
Poi con le scoperte geograDche, il colonialismo, la società borghese ha imparato anche a valorizzare
risorse eso5che, scavando la fossa a tu@e quelle forme di produzione che sfru@avano solo le risorse
del luogo.

“Ai vecchi bisogni soddisfaC con i prodoC del Paese subentrano nuovi bisogni, che per essere
soddisfaC esigono i prodoC dei Paesi e dei climi più lontani”.
Mentre una volta era normale accontentarsi delle risorse fruibili sul posto, la produzione industriale
capitalis5ca tende a far sì che le merci più economiche tendano ad imporsi facendosi desiderare di
più anche da parte di coloro che altrimen5 non si sognerebbero nemmeno di desiderarle. Quindi il
rivoluzionamento consiste anche nell’alimentare con5nuamente nuovi bisogni.
L’autosuZcienza è un an5co ideale che viene deDni5vamente superato con lo sviluppo dell’industria
e le industrie cominciano a dipendere le une dalle altre anche se molto distan5.
Virtù una volta era sos5tuire le merci di importazione con altre prodo@e dalle risorse disponibili del
territorio, ma questo è un’ideale che la società moderna tende a eludere. PerDno le idee, i prodo[
dell’arte e della cultura diventano loro malgrado merci e quindi non conoscono più i conDni della
Nazione. Come i prodo[ commerciali anche quelli intelle@uali subiscono questo tra@amento di
merciDcazione, anche se tendono a soddisfare i nostri bisogni spirituali e non materiali.
“L’unilateralità e la ristre/ezza nazionali divengono sempre più impossibili, dalle forme di le/eratura
mondiali e locali si forma una le/eratura mondiale”.
C’era l’idea che anche le produzioni ar5s5che dovessero aPermarsi sul mercato senza conoscere
barriere linguis5che. Ad esempio, laddove i libri diventano merce la tendenza sarà quella di
trasme@erli anche dove non fosse normale u5lizzarli. Così via lo sviluppo di forme di comunicazione
sempre più immateriali e mobili condanna all’invecchiamento e al decadimento le altre più sta5che.
“Il rapido miglioramento di tuC gli strumenG di produzione, con tu/e le comunicazioni inHnitamente
agevolate, la borghesia trascina nella civiltà tu/e le Nazioni, anche quelle più barbare. I prezzi bassi
delle sue merci sono l’arGglieria pesante con la quale essa spiana tu/e le muraglie cinesi, con la
quale costringe alla capitolazione la più tenace xenofobia (paura dello straniero) dei barbari”.
Questa metafora spiega perché la borghesia realizza delle spedizioni di conquista molto più vaste di
quelle che erano le Crociate o le invasioni barbariche.
La Cina al loro tempo era una ci@à tradizionale, chiusa alla penetrazione delle merci europee.
Gli europei stavano cercando di penetrare a@raverso una colonizzazione strisciante. Le mura cinesi
vengono spianate dalle cannonate, ma al presente, grazie all’industria non c’è più bisogno per
penetrare con le merci in un paese straniero di abba@ere le muraglie con difese Dsiche, ma è il prezzo
basso che ne consente la penetrazione e quindi c’è una civilizzazione dei cosidde[ barbari che
avviene creando anche in ques5 popoli i nostri stessi bisogni e quindi assimilandoli a noi, proprio per
il bisogno di diPondere le merci. La borghesia costringe tu@e le Nazioni di introdurre in casa loro la
cosidde@a civiltà e cioè a diventare borghesi, per creare un mondo a loro immagine e somiglianza,
senza limitarsi, quindi, a distribuire le loro merci nel mondo, ma lo trasformano in virtù delle loro
esigenze. Tu[ devono ada@arsi alle innovazioni, se non vogliono essere sopraPa[ e le società
tradizionali vengono spazzate via. La conclusione vuole essere quasi provocatoriamente blasfema, è
Dio che crea l’uomo a sua immagine e somiglianza, questo per gli autori è uno dei mi5 e delle favole
che la religione diPonde, ma secondo loro la borghesia fa invece esa@amente questo processo.

Decima lezione
La borghesia si crea un mondo a propria immagine e somiglianza voluta riproduzione della genesi,
virtù creatrice della borghesia più concreta che quella tramandataci dalla religione.

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La borghesia ha assogge@ato la campagna al dominio della ci@à, con la rivoluzione industriale ha


ribaltato il rapporto di forza tra campagna e ci@à, una volta la campagna era il cuore della vita
economica in quanto si producevano beni di sostentamento alimentari, ma con l’industrializzazione
la ci@à diventa il centro della vita produ[va, in più l’industria ha bisogno di popolazione e quindi
innesca un processo per il quale il rapporto demograDco tende a capovolgersi in favore della ci@à,
processo molto lungo che va so@o il nome di urbanesimo. Le fabbriche hanno bisogno di
concentrazione di popolazione e delle vie di comunicazione.

“Ha creato ci/à enormi, ha accresciuto su grande scala la cifra della popolazione urbana in confronto
di quella rurale, strappando così una parte notevole della popolazione dell’idioGsmo della vita
rurale”.
Idio5smo = “idios” in greco vuol dire le@eralmente “proprio”, chi vive in campagna è portato a una
sorta di vita autarchica, fa da sé, e quindi tu@o sommato minor necessità di relazioni con il mondo
esterno. AutosuZcienza basata sull’aver a disposizione solo lo stre@o indispensabile. Ma da qui
consegue come ePe@o secondario la rappresentazione dell’idio5smo che rimanda alla nozione di una
cortezza di vedute: il contadino non sviluppa le abilità sociali indispensabili nella vita ci@adina. La
società urbana tende a sviluppare un uomo meno semplice e ignorante di quello che invece si
dedicava alla vita agricola, fa parte dello spirito di stabilità conservazione, rassegnazione, si tra@a
quindi anche questo di un progresso per gli autori, l’industrializzazione produce una popolazione più
scaltrita, chiamata a sviluppare rappor5 sociali.
“Come ha reso la campagna dipendente dalla ci/à, la borghesia ha reso i paesi barbari dipendenG da
quelli inciviliG, i popoli di contadini da quelli borghesi, l’oriente dall’occidente. È un fenomeno
addiri/ura planetario, all’interno delle nostre società si assiste al passaggio dalla campagna alla ci/à
e tendenzialmente all’assorbimento di coloro che conGnuano a dedicarsi all’economia agricola
rispe/o agli interessi della borghesia industriale ci/adina”.
I contadini scivolano in qualche modo più in basso nella scala sociale e allo stesso modo su scala
planetaria si ingigan5sce il divario tra i popoli civilizza5 e quelli meno, e ques5 ul5mi vengono, anche
loro malgrado, civilizza5, tramite la creazione di bisogni nuovi, trasformazione della mentalità e dei
costumi e vengono trasforma5 in consumatori dei beni che l’industria ha bisogno di smerciare.
Il cuore dello sviluppo industriale moderno è stato il con5nente europeo e per emanazione quello
nord americano. Ecco che si accentuano le diPerenze tra Occidente e Oriente, Europa e Asiale
civiltà asia5che si trovano in diZcoltà a competere sul piano economico con l’Europa, perché non
sono ancora industrializzate, ecco che questo dualismo fra Oriente e Occidente, che già esisteva in
passato, dove si erano alternate le fortune tra gli uni e gli altri, adesso comincia a diventare un
rapporto unico, l’Asia tende a divenire il teatro dell’azione coloniale delle grandi potenze europee
a@raverso la via del commercio, ma anche poli5ca e militare.
“Ha agglomerato la produzione, ha centralizzato il potere di produzione, ha concentrato in poche
mani la proprietà. Ne è stata conseguenza necessaria la centralizzazione poliGca”.
Viene riproposto il primato della sfera economica su quella poli5ca che Marx ed Engels teorizzano.
Gli Sta5 moderni dove la sede del potere è concentrata nella capitale o nella corte o nel parlamento,
sono una conseguenza dell’industrializzazione.
Le società an5che erano cara@erizzate da una dispersione del potere poli5co, es: an5ca Grecia, ogni
ci@à era uno Stato. Formalmente c’era un Imperatore o un Re a volte, ma il suo potere era limitato,
non c’erano grandi eserci5 di massa arruola5 dal potere centrale, questo è un processo che si è
sviluppato nel corso della società moderna che è stato accelerato dalla borghesia, ma è un processo
che è iniziato in conseguenza a un bisogno economico, il fa@o che il potere poli5co sia centralizzato e
non disperso è dato dal bisogno dell’industria e della circolazione delle merci.
“Province indipendenG legate quasi solo da vincoli federali, con interessi, leggi, governi e dazi
diWerenG, vogliono una sola Nazione, un solo governo, con un solo interesse nazionale di classe, entro
una sola barriera doganale”.

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Uno degli aspe[ delle Rivoluzioni del ‘48 è dato dalla esigenza di autoaPermazione di tu@e le
Nazioni che non avevano un’autonomia poli5ca, come il caso nostro, italiano, ma anche quello
tedesco. In ques5 luoghi le Rivoluzioni ebbero anche questo signiDcato: spinta verso la creazione
degli sta5 nazionali moderni. Gli autori sostengono che questa tendenza all’unità nazionale non è
ritrovata da chissà quale bisogno puramente spirituale, o con un fondamento naturale, ma questo
bisogno è il prodo@o dell’esigenza della borghesia industriale di un Governo centrale che non sia
sparpagliato in tante en5tà poli5che autonome e che abbia una coerenza di comportamen5 quale i
grandi Imperi sopranazionali non riescono più ad avere, per i territori troppo vas5 e disomogenei
sono ineZcaci nella legislazione.
L’appartenenza a una certa Nazione dovrebbe accomunare gli appartenen5 a diverse classi sociali che
però appartengono a una determinata Nazione, ma per gli autori è un’ingenuità, l’unità nazionale è
interesse 5pico dei borghesi che hanno necessità di aPermarsi con l’aiuto del potere poli5co, che
favorisca l’esportazione delle merci o il ritardo di quelle straniere in modo da perme@ere lo sviluppo
dell’industria locale. Gli sfru@a5 non hanno un auten5co interesse nazionale. Il loro interesse è
sovranazionale, l’indicazione delle Nazioni straniere, come potenziali nemici, rappresenta un
diversivo con il quale si intende distrarre le classi subalterne per portarle a pensare che il ca[vo
venga da fuori e non da dentro.
Solidarietà fasulla tra sfru@a5 e sfru@atori in nome di un nazionalismo.
“Durante il suo dominio di classe appena secolare, la borghesia ha capacità produCve di massa
molto maggiori e colossali come non avessero mai fa/o tu/e insieme le altre generazioni del
passato”.
Viene descri@a un’accelerazione storicain un secolo si è fa@o molto di più che in tu@a la storia
precedente.
“Il prosciugamento delle forze naturali, le macchine, l’applicazione della chimica all’industria e
all’agricoltura, la navigazione a vapore, le ferrovie, i telegraH ele/rici, il dissodamento di interi
conGnenG, la navigabilità dei Humi, popolazioni intere sorte quasi per incanto sul suolo. Quale dei
secoli precedenG immaginava che nel verbo del lavoro sociale stessero sopite tali forse produCve?”.
Quadro che siamo porta5 a condividere pensando a tu@e le invenzioni poi successive anche al tempo
degli autori, che hanno stravolto il nostro modo di vita. Questo elenco ci suona molto famigliare, ma
al di là di ques5 progressi eviden5, dicono gli autori, rimane il fa@o che il mondo è stato reso
irriconoscibile rispe@o a un secolo prima.
Popolazioni sorte quasi per incanto dal suolo: si va indietro nella mitologia greca, con la nozione che
ge@ando determina5 semi potessero crescere come autoctoni, na5 dalla terra stessa degli uomini. La
borghesia realizza questo miracolo, in qualche modo: spostando grandi quan5tà di uomini da un
luogo all’altro della terra. Pensiamo all’epopea del Far West, migrazione di coloni verso la sponda del
PaciDco, facendo proprio le cose elencate dagli autori: dissodando la terra, navigando i Dumi,
impiantando strade sterrate… grandi concentrazioni umane in luoghi in cui un secolo prima non vi
era niente.
I mezzi di produzione e di scambio su cui si era cos5tuita la borghesia erano sta5 prodo[ dalla
società feudale e a un certo grado dello sviluppo di quei mezzi di produzione i rappor5 di proprietà
non corrispondevano più alle forze produ[ve ormai sviluppate.
Perché il mondo feudale è crollato? Non per ragioni morali, è solo quello che si raccontano coloro
che si fermano alla superDcie poli5ca delle cose, ma in realtà la società feudale era divenuta
disfunzionale rispe@o ai bisogni dell’economia industriale moderna, i vecchi ce5 dominan5 erano
divenu5 parassitari nella società industriale, rappresentavano un ostacolo allo sviluppo nel loro
tenta5vo di conservare privilegi anacronis5ci: proibivano ad esempio l’acquisto delle terre, che
dovevano essere conservate inta@e di generazione in generazione. Così come i vincoli delle
corporazioni divengono disfunzionali.
“Quei rapporG incepparono la produzione, si trasformarono in altre/ante catene, queste dovevano
essere spezzate e furono spezzate”.

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Che i rappor5 feudali fossero rappor5 iniqui, oppressivi e insopportabili è divenuto chiaro agli uomini
solo nel momento in cui ques5 rappor5 hanno cominciato a divenire di ostacolo alla produzione
industriale, prima non ci si accorgeva di questo, per rassegnazione che le cose stessero così. Con la
borghesia cer5 ostacoli allo sviluppo non sono più acce@abili. L’esenzione dalle tasse dei ce5
privilegia5 è inacce@abile, ad esempio.
“Subentrò a queste catene la libera concorrenza, con la confacente cosGtuzione sociale e poliGca, con
il dominio economico e poliGco della classe dei borghesi”.
La borghesia si sos5tuisce all’aristocrazia come classe egemone anche sul piano poli5co, non solo su
quello economico, perché il piano economico è poi quello che determina anche gli altri. So@o i nobili
ideali si nascondono interessi, profondamente diversi da quelli delle società di una volta.
“So/o i nostri occhi si svolge un moto analogo, i rapporG borghesi di produzione e di scambio, i
rapporG borghesi di proprietà, la società borghese moderna, che ha creato per incanto mezzi di
produzione e scambio così potenG, assomiglia al mago che non riesce più a dominare gli eWeC della
sua magia”.
Metafora della magia che viene presentata per descrivere il cara@ere nuovo delle trasformazioni.
Descrive la trasformazione della società industriale quasi come una magia, ma, dicono gli autori, la
borghesia è un mago che non è padrone Dno in fondo degli ePe[ della sua magia. La borghesia è
costre@a con5nuamente a rinnovare e trasformare, ma non è padrone Dno in fondo delle
conseguenze che ciò produce.
“Sono decenni ormai che la storia dell’industria e del commercio è soltanto la storia della rivolta delle
forze produCve moderne contro i rapporG moderni della produzione, cioè contro i rapporG di
proprietà che perme/ono le condizioni di esistenza della borghesia e del suo dominio”.
La borghesia senza saperlo sta me@endo al mondo il suo antagonista, che è per l’appunto il
proletariato, una classe sempre più grande di oppressi e sempre più consapevole della propria
produzione, che comincia a me@ere i bastoni tra le ruote all’azione della borghesia. Inoltre lo
sviluppo del capitalismo conosce periodiche crisi, non è lineare, questo la costringe a ristru@urare
l’industria, a potenziare sempre più la meccanizzazione, ad aprire merca5 più reddi5zi.
Per Marx ed Engels, il segreto di ques5 fenomeni è proprio che il sistema industriale per sua natura
non è capace di porsi un limite e quindi sperimenta crisi di sovra-produzione, troppa merce che non
trova consumatori, quindi bisogna abbassare i pressi e ciò conAigge con la reddi5vità dell’impresa. Gli
autori pensano che il mercato non sia intelligenze e in grado di governarsi da solo, ma si migliora
a@raverso prove ed errori. Si corregge diro@ando le proprie energie in altre direzioni, solo dopo la
crisi. Ciò produce un malessere sociale concreto che non viene soPocato immediatamente.
“BasG ricordare le crisi commerciali che con il loro periodico ritorno me/ono in forse sempre più
minacciosamente l’esistenza di tu/a la società borghese”.
Convinzione degli autori è che queste crisi sarebbero diventate a poco a poco sempre più gravi Dno a
rendersi insostenibili, provocando il tracollo della borghesia e l’ascesa del proletariato. Non soltanto
rimangono merci invendute, ma anche i capannoni stessi e le macchine invecchiano.
“Le crisi fanno scoppiare un’epidemia sociale che in tu/e le epoche anteriori sarebbe parsa un
assurdo: epidemia della sovra-produzione”.
Gli autori dicono che quella della sovra-produzione è una mala[a nuova, prima il problema era la
cares5a, la penuria.
“La società si trova ricondo/a all’improvviso ad uno stato di momentanea barbarie, sembra che la
caresGa, una guerra generale di sterminio le abbiano tagliato tuC i mezzi di sussistenza: l’industria, il
commercio sembrano distruC”.
Le conseguenze che una volta gli uomini sperimentavano nei frangen5 sfortuna5 della storia, sono
invece nella società moderna il prodo@o della troppa fortuna e del troppo benessere, ma gli ePe[
sono gli stessi e cioè l’immiserimento e la povertà. La grande produzione industriale andando oltre il
necessario produce miseria e non benessere, barbarie.
“Le forze produCve a sua disposizione non servono più a promuovere la civiltà borghese e i rapporG
borghesi proprietà, sono anzi divenute troppo potenG per quei rapporG e ne vengono ostacolate e

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appena superano questo ostacolo me/ono in disordine tu/a la società borghese, me/ono in pericolo
l’esistenza della proprietà borghese”.
Gli autori preDgurano una società nuova, quella comunista dicendo che la società borghese stessa a
causa delle crisi che va incontro si mostra inadeguata alle capacità produ[ve a disposizione e quindi
questa distribuzione diseguale della ricchezza è controproducente ed è la causa dell’irrazionalità del
sistema produ[vo.
- Distruzione coa@a di una massa di mezzi di produzione e dall’altro con la conquista di nuovi merca5.
- Mol5plicazione del bisogno della merce tramite la pubblicità.
- Sfru@amento più intenso dei vecchi merca5.
Ques5 rimedi funzionano, ma a poco a poco da una crisi all’altra, sono sempre più diZcili da me@ere
in opera e tendenzialmente avvicinano il momento nel quale ques5 rimedi non funzionano più. I
bisogni degli uomini per quanto noi li solleci5amo saranno sempre quelli di creature mortali, la terra
per quanto la spremiamo presenta determinate risorse. Il consumo che l’industria moderna è in
grado di realizzare non è suZciente a fermare le crisi di sovrapproduzione.
“Ecco che le armi che sono servite alla borghesia per fermare il feudalesimo si rivolgono contro la
borghesia stessa”.
Profezia di una Rivoluzione che non veda più la borghesia come sogge@o a[vo, ma passivo, verso
l’incursione del proletariato. La borghesia ha fabbricato armi che le porteranno la morte, ma ha
anche generato gli uomini che impugneranno quelle armi, i moderni operai.
Ci sono uomini i quali avranno un sempre più chiaro interesse a far cadere la borghesia dalla sua
posizione egemone, perché sono coloro che pagano le conseguenze di questo sviluppo irrazionale
del sistema industriale capitalis5co.
“Nella stessa proporzione in cui si sviluppa la borghesia, cioè il capitale, si sviluppa il proletariato, che
vive solo Hn tanto che trova lavoro, e che trovano lavoro solo Hnchè il loro lavoro aumenta e il datore
di lavoro ha interesse ad assumerli. QuesG operai che sono costreC a vendersi al minuto (l’operaio si
presenta da solo nel mondo del lavoro e ha un debole potere contra@uale nei confron5 del datore di
lavoro) sono una merce come ogni altro arGcolo commerciale e sono esposG a tu/e le vicende alterne
della concorrenza e alle oscillazioni del mercato”.
Il lavoro stesso e gli uomini che lo pra5cano sono merci, come tu@e le merci ha i suoi prezzi (salari),
alle volte al5, quando c’è più bisogno e alle volte bassi, quando il bisogno non c’è, concorrenza anche
tra i lavoratori. Oggi c’è anche la dislocazione della produzione, cioè si produce dove gli operai
acce@ano salari che nella società autoctona sono da fame.
“Con l’estendersi dell’uso delle macchine e con la divisione del lavoro, il ruolo dei proletari ha perduto
ogni cara/ere indipendente e con ciò ogni a/raCva per l’operaio”.
Gli operai sono come solda5 di un grande esercito, sono tu[ subordina5 da qualcuno al di sopra,
diviene un semplice accessorio della macchina, ePe@o della con5nua meccanizzazionel’uomo
diventa lo strumento della macchina e non il contrario.
“Ecco quindi che le spese che causa l’operaio si limitano quasi esclusivamente ai mezzi di sussistenza
dei quali egli ha bisogno per il proprio mantenimento e per la riproduzione della sua specie”.
Gli autori dicono: non c’è mo5vo, per il datore di lavoro, di pagare il lavoro di più di quel che serve
per il sostentamento e il mantenimento in vita dell’operaio, nulla più di questo.
Il costo della merce è uguale a quello che serve a produrla, il prezzo sempre più cresce quanto più
aumenta il tedio del lavoro. Oggi basta una sola abilità per essere adibi5 a un determinato ruolo del
processo produ[vo, ed è un’abilità così semplice che non richiede par5colari studi o par5colari do5,
può essere svolta anche da un bambino, meno bisognoso di risorse materiali per mantenersi in vita, e
così via… il bisogno intrinseco al processo di produzione industriale capitalis5co è quello di
mol5plicare le merci facendo lavorare gli operai e quindi estendendo il loro orario di lavoro e
rendendolo produ[vo, velocizzando le mansioni umane aZnchè le macchine lavorino. L’industria
moderna ha trasformato l’oZcina del maestro ar5giano e patriarcale nella grande fabbrica del
capitalista industriale.

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Tra il maestro ar5giano e i suoi lavoratori c’era un rapporto ePe[vo, anche se magari nega5vo, il
capitalista non conosce i suoi operai, opera astra@amente con loro, come fa con i grandi numeri.
Masse di operai addensate nelle fabbriche vengono organizzate militarmente, viene introdo@a una
disciplina di 5po militare che prevede un sistema di premi e cas5ghi par5colarmente duro e queste
masse vengono mosse so@o la sorveglianza di una gerarchia di so@ouZciali e uZciali.
Marx ed Engels si abbandonano a un giudizio di valore morale dicendo che questo genere di
dispo5smo è tanto più esasperante quanto più lo è anche il suo scopo, cioè il denaro. Il borghese non
ha una missione morale o religiosa, non nasconde che il suo scopo è il guadagno, il tornaconto.

Undicesima lezione
“Quanto meno il lavoro manuale esige abilità ed esplicazione di forza, cioè quanto più si sviluppa
l’industria moderna, tanto più il lavoro degli uomini viene soppiantato da quello delle donne (e dei
fanciulli). Per la classe operaia non hanno più valore sociale le diWerenze di sesso e di età. Ormai ci
sono soltanto strumenG di lavoro che contano più o meno a seconda dell’età e del sesso”.
Il lavoro manuale nelle fabbriche è parcellizzato, frammentato e rido@o ad una singola operazione da
svolgere vicino ad altri lavoratori che fanno lo stesso. Questo fa sì che per svolgere questo lavoro non
servano par5colari capacità, tecniche e do5 di energia muscolare che molte a[vità umane, non
ancora rimpiazzate dalle macchine o dagli animali, esigevano (abba@ere la legna, scavare nelle
miniere a colpi di piccone). Secondo Marx ed Engels, tu@e quelle qualità tradizionalmente possedute
dal lavoro vengono svalutate, tanto che si pensa perDno le donne e i bambini possano farlo. Per
quella società, il fa@o che le donne fossero adibite a lavori tradizionalmente maschili era un
elemento di novità (industria tessile). I bambini sono sempre sta5 u5lizza5 come fonte di
sostentamento e di arricchimento, specialmente per le famiglie povere. Questa sempliDcazione del
processo produ[vo, per la quale si chiede all’operaio di svolgere una singola a[vità sempliDcata
dalle macchine, abolisce quella diPerenza naturale tra gli adul5 e i bambini o i maschi e le femmine
che prima presiedeva una sempliDcazione dei ruoli. Il numero dei potenziali lavoratori, tra i quali il
datore di lavoro può scegliere i suoi dipenden5, si allarga e la merce forza-lavoro diventa ancora più
abbondante e il valore della merce decade e il salario diminuisce. Questa inclusione produce una
svalutazione del lavoro, la cui ricompensa diminuisce quante siano le do5 richieste al lavoratore. Si
tra@ava di società nelle quali l’orario di lavoro era estremamente esteso, la libertà di lavoro in
occasioni di vacanze era limitata e ques5 lavoratori potevano vivere in condizioni promiscue. Il
lavoratore quando termina la sua giornata, torna a casa e si trova davan5 a Dgure che reclamano a lui
denaro, come può essere il bo@egaio e il padrone di casa, che hanno necessità di valorizzare al
massimo le loro merci e così il loro prezzo è elevato.
Coloro che vivevano di piccole rendite allora precipitano nel proletariato, in parte perchè il loro
salario non era elevato e in parte perché la loro abilità viene svalutata da nuovi sistemi di produzione.
Tu[ color che non riescono a tener aperta la loro bo@ega o vivere del loro or5cello, sono costre[ a
vendere la loro forza lavoro e farsi assumere per venire poi sfru@a5.
Se la proporzione tra sfru@atori e sfru@a5, dal punto di vista numerico, diviene clamorosa, se
vengono a meno quelle Dgure intermedie che, nella società tradizionale, a@enuavano la visibilità e la
durezza della disparità di condizioni tra sfru@atori e sfru@a5, è evidente che il senso di una ingius5zia
profonda, di una condizione nella quale talmente in pochi beneDcino della soPerenza, della fa5ca di
talmente pochi, deve portare ad un collasso, che non nasce solo da un senso morale e sogge[vo di
ingius5zia, secondo Marx ed Engels, ma dal fa@o che oltre un certo limite, il capitalismo non
trovando più sbocchi per le proprie merci, si autodistrugge.
“Il proletariato passa a/raverso diversi gradi di sviluppo. La sua lo/a contro la borghesia comincia
con la sua esistenza”.
Per Marx ed Engels, la convinzione che vi sia una lo@a tra sfru@atori e sfru@a5 e alla base del mondo
che descrive l’operato de comunista che vuole guadagnare. Questa lo@a non può che terminare con
un vincitore e un vinto.

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“Da principio singoli operai, poi gli opera di fabbrica, poi gli operai di una branca di lavoro in un dato
luogo lo/ano contro il singolo borghese che li sfru/a dire/amente”.
Da principio questa lo@a, dicono Marx ed Engels, è circoscri@a, riguarda le rivendicazioni, i conAi[ di
dipenden5 ad un determinato datore di lavoro conducono contro costui. Questa lo@a deve allargarsi
e chi è sfru@ato deve sviluppare un senso di solidarietà reciproca, che vada al di là dei singoli rami di
produzione.

“Essi non dirigono i loro a/acchi soltanto contro i rapporG borghesi di produzione, ma contro gli
stessi strumenG produzione; distruggono le merci straniere che fan loro concorrenza, fracassano le
macchine, danno fuoco alle fabbriche, cercano di riconquistarsi la tramontata posizione del
lavoratore medievale”.
Queste maniere non portano lontano per gli autori. Le macchine sono indispensabili per il
capitalismo, in quanto perme@ono di ridurre il prezzo delle merci e qui di allargare la platea dei
compratori. Gli operai che distruggono i prodo[ di esportazione, non comprendono che
l’allargamento dei compratori è indispensabile per il comunismo. Gli operai non fanno altro che
tagliare il ramo sul quale siedono, portando il loro datore a chiudere la fabbrica o a spostarla. Non
possono o@enere un ritorno ad un sistema di produzione più a carico.
“In questo stadio gli operai cosGtuiscono una massa disseminata per tu/o il paese e dispersa a causa
della concorrenza. La solidarietà di maggiori masse operaie non è ancora il risultato della loro
propria unione, ma della unione della borghesia, la quale, per il raggiungimento dei propri Hni
poliGci, deve me/ere in movimento tu/o il proletariato, e per il momento può ancora farlo. Dunque,
in questo stadio i proletari comba/ono non i propri nemici, ma i nemici dei propri nemici, gli avanzi
della monarchia assoluta, i proprietari fondiari, i borghesi non industriali, i piccoli borghesi. Così tu/o
il movimento della storia è concentrato nelle mani della borghesia; ogni vi/oria raggiunta in questo
modo è una vi/oria della borghesia”.
Qui Marx ed Engels si spostano dal piano economico-produ[vo al piano poli5co. Essi osservano che
la borghesia Dnchè è impegnata nella lo@a con i ce5 tradizionali, che hanno un qualche interesse ad
ostacolare la marcia borghesia e lo sviluppo della produzione industriale su base capitalis5ca,
vengono addita5 dai grandi borghesi detentori del grande capitale produ@ori come coloro che, in
qualche modo, volendo mantenere in forma di privilegi un regime di diseguaglia sono gli arteDci della
miseria nella quale gli operai si trovano.
Marx ed engels descrivono il fenomeno per il quale si crea un’apparente solidarietà di interessi e di
inten5 tra coloro che detengono i mezzi di produzione e coloro che vendono la propria forza lavoro
contro tu@e quelli par5 della società che non rientrano nel processo capitalis5co di produzione e
quindi vogliono ostacolare l’estensione o beneDciarne in maniera transitaria, pretendono una sorta di
rendita che perme@a loro, senza calarsi nel processo produ[vo, di conservare un certo benessere e
beneDcio.
“Ma il proletariato con lo sviluppo dell’industria non solo si molGplica, viene addensato in masse più
grandi, la sua forza cresce ed esso la sente di più, gli interessi le condizioni di esistenza all’interno del
proletariato vanno sempre più uguagliandosi man mano che le macchine cancellano le diWerenze del
lavoro e fanno discendere quasi dappertu/o il salario a un livello egualmente basso”.
Tendenzialmente il salario che basta alla retribuzione del lavoro di un bambino è quello che si può
cercare di imporre anche all’adulto.
“Crescente concorrenza dei borghesi tra di loro e le crisi commerciali che ne derivano rendono
sempre più oscillante il salario degli operai, l’incessante e sempre più rapido sviluppo del
perfezionamento delle macchine rende sempre più incerto il complesso della loro esistenza”.
Gli agge[vi come “oscillante, “incerto” ci trasme@ono il senso di una grande insicurezza sociale,
proprio perché i cambiamen5 sono talmente rapidi che far conto che le cose ad oggi vadano come
vanno domani è ingenuo.

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“Le collisioni per il singolo operaio, per il singolo borghese sempre più assumono il cara/ere di
collisioni di due classi”.
Ecco che non sono più contese individuali, ma il rapporto di lavoro all’interno della società
capitalis5ca è quanto di più impersonale si possa immaginare, di conseguenza rappresentarlo in
termini personali, dando una le@ura in chiave morale è quanto di più ingiusto e ingenuo si possa fare.
Il capitalista non si pone problemi di coscienza, altrimen5 non potrebbe più fare quello che fa.
“Gli operai Hniscono per formare coalizioni contro i borghesi, si uniscono in associazioni permanenG
per approvvigionarsi in vista degli eventuali sollevamenG qua e là, sommosse, scioperi…”.
Marx ed Engels descrivono quelle che sono le prime forme di acce@azione sociale e di rivendicazione
salariale che già al tempo loro si conoscevano e che il movimento comunista vuole in qualche modo
egemonizzare per fornire a ques5 uomini una sorta di guida poli5ca, che serva loro al Dne di rendere
più eZcacie la loro lo@a. I termini della ques5one sono chiari: il lavoro sempre più svalutato, sempre
meno retribuito, l’allargamento della concorrenza su scala planetaria che rende più diZcile al singolo
industriale di tenere il mercato, che lo porta ad abbassare s5pendi o licenziare, per potersi
mantenere in sella, tu@o questo fa sì che cresca nei lavoratori il senso di essere parte in causa di una
lo@a, con una controparte che assume cara@eris5che via via più delineate. Sempre più man mano la
borghesia si aPerma, abolendo i vecchi privilegi feudali, quanto più emerge suo malgrado in primo
piano come controparte di questa mol5tudine di sfru@a5, che come unica arma hanno quella di
unirsi. Il bisogno che il capitalismo ha di concentrare insieme i lavoratori genera una accelerazione
nell’acquisto di questa consapevolezza, la vicinanza anche Dsica di queste persone genera
consapevolezza.
“Ci si rende conto di avere interessi condivisi e che quesG interessi sono diametralmente opposG a
quelli di una comune controparte”.
Per gli autori, le inizia5ve dei lavoratori che cercano di danneggiare il datore per renderlo più
“buono”, sono forme di lo@a ingenue, ma ingenerano solidarietà dagli oppressi e mostrano loro
l’origine della loro oppressione. Queste lo@e così contorte tendono ad essere però piu@osto
ineZcaci, ogni tanto gli operai o@engono dalle contropar5 migliori condizioni di lavoro, ma solo
transitoriamente, sin tanto che il datore non si è ancora riorganizzato in modo di aver meno bisogno
dei dipenden5 contestatori, a quel punto tornerà a comportarsi come prima.
“Il vero e proprio risultato delle loro lo/e non è il successo immediato, ma il fa/o che l’unione degli
operai si estenda sempre di più”.
Questo è il tema su cui gli autori insistono, la nozione di una grande solidarietà che deve svilupparsi
tra gli sfru@a5, che deve essere mondiale.
“Essa è favorita dall’aumento dei mezzi di comunicazione promossi dalla grande industria, che me/e
in collegamento gli operai delle diWerenG località”.
Risulta5 diversi da quelli che ci si preDgge che il capitalismo sor5sce: esso aumenta le vie di
comunicazione in modo tale da agevolare lo spostamento delle merci, ma ciò agevola anche lo
spostamento delle persone e delle idee, delle no5zie, così gli operai capiscono che alcuni lavoratori
stanno lo@ando per migliori condizioni e quindi magari sono porta5 a fare lo stesso, laddove in
condizioni di ignoranza tu@o sarebbe rimesso all’inizia5va personale.
“E basta questo collegamento per centralizzare in una lo/a nazionale, in una lo/a di classe, le molte
lo/e locali che hanno dappertu/o uguale cara/ere”.
Viene preDgurata un’organizzazione di queste lo@e, che non devono essere più circoscri@e al singolo
luogo produ[vo, ma che debbano in tu[ i luoghi produ[vi, all’interno di un territorio più possibile
vasto, procedere nello stesso modo, in modo che sia più diZcile per il datore di lavoro aPermare le
sue ragioni.
“Ogni lo/a di classe è anche lo/a poliGca, moGvo per il quale i ci/adini del Medioevo con le loro
strade vicinali avessero bisogno di secoli, i proletari moderni la a/uano in pochi anni (u5lizzando le
ferrovie)”.
L’accelerazione dei tempi di comunicazione fa sì che anche i tempi della storia si contraggano, per
realizzare cambiamen5 nella società capitalis5ca i tempi si accorciano. Qui c’è tu@a l’a@esa dei teorici

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del comunismo i quali aspe@ano che questo rivoluzionamento prospe@ato non debba avvenire a
distanza di secoli, ma sia rela5vamente vicino.
“Questa organizzazione dei proletari in classe e quindi in parGto poliGco torna a essere spezzata a
ogni momento dalla concorrenza tra gli operai stessi”.
Par5to poli5co  gli autori hanno in mente che non si debba agire solamente sulla base delle
relazioni interne al mondo produ[vo e quindi associarsi solo in un movimento di natura sindacale,
ma deve avere anche un riAesso poli5co, quindi una sorta di rappresentanza che por5 la voce degli
interessi delle masse degli sfru@a5.
Quindi la voce di un par5to poli5co che vada alla ricerca del consenso, portando le idee degli operai
o che comunque por5 una sorta di forza rivoluzionaria anche nel sistema poli5co. La poli5ca ha una
funzione di sostegno degli interessi dei capitalis5 e quindi la lo@a deve avvenire anche sul piano
poli5co. L’interesse della controparte è quello di dividere la massa di sfru@a5 e di me@erli gli uni
contro gli altri, cercando di spuntare condizioni da parte dei lavoratori più vantaggiose per il
capitalista rispe@o a quelle che altri lavoratori sarebbero dispos5 ad acce@are. Quindi cercano di
me@erli in concorrenza.
“Ma insorge sempre di nuovo questa organizzazione, più forte, più salda, più potente, cercando
riconoscimenG in forma di legge dei singoli interessi degli operai, approH/ando delle scissioni
all’interno della borghesia, così fu per la legge delle 10 ore di lavoro in Inghilterra”.
C’è il risvolto poli5co di questa lo@a, che ha come suo terreno imminente di azione la legislazione.
Il quadro all’inizio sembrava lineare, con una contrapposizione secca tra borghesi e proletari, in realtà
intervengono elemen5 di complicazione che però sono necessari per comprendere la storia che si
trovano davan5 agli occhi: la borghesia stessa non è così compa@a come ci è stata descri@a all’inizio.
Anche al suo interno coloro che di volta in volta sono i perden5 della concorrenza hanno una
resistenza, sia pure tendente a ridursi, che fa di ques5 elemen5 dei potenziali temporanei allea5 dei
proletari. Oppure proprio coloro che sono i grandi innovatori nel processo di produzione possono
avere un interesse comune con i lavoratori, nel togliere di mezzo i detentori di an5chi privilegi che
non partecipano in modo costru[vo nel processo produ[vo. Quindi anche nella causa comune degli
oppressi alcune alleanze, seppur temporanee o improprie, con la controparte possono essere stre@e,
ma questo richiede l’intelligenza di una guida poli5ca che sappia indicare agli operai la convenienza
di certe alleanze strumentali. La giornata lavora5va era fa5cosissima e una delle prime rivendicazioni
era la riduzione dell’orario di lavoro, che ovviamente era un costo per i datori, che o dovevano
sospendere la produzione o pagare più operai. Ma questo è l’ogge@o delle prime lo@e. Ci sono degli
elemen5 nella borghesia i quali non hanno bisogno di far lavorare i propri operai più di 10 ore al
giorno e saranno certamente quegli elemen5 più progredi5 nella organizzazione del lavoro, o hanno
una capacità di smerciare i prodo[ tale che se anche facessero lavorare i loro operai di più
avrebbero dei problemi nella vendita delle merci in sovrannumero. Quindi può avvenire che anche
all’interno della borghesia certe rivendicazioni degli operai trovino ascolto perché sono funzionali
anche al datore di lavoro, grazie anche alla lo@a sempre in a@o fra i produ@ori, per espellersi gli uni
gli altri dal mercato a proprio beneDcio. Quindi la controparte borghese non è poi così compa@a,
sempre proprio per la concorrenza del mercato.
“In genere i coneiC insiG nelle vecchie società promuovono in molte maniere il processo evoluGvo del
proletariato, di principio contro l’aristocrazia, successivamente contro la stessa borghesia i cui
interessi vengano a contrastare il progresso dell’industria e sempre contro la borghesia di tuC i Paesi
stranieri”.
Queste divisioni sono in qualche modo la regola e rappresentano in qualche modo la debolezza della
controparte, per gli autori.
“In tu/e queste lo/e la borghesia si vede costre/a a fare appello al proletariato, ad avvalersi del suo
aiuto e a trascinarlo così dentro un movimento poliGco, essa stessa quindi reca al proletariato i suoi
elemenG di educazione e cioè armi contro se stessa”.
È chiaro che i ce5 produ[vi divisi tra di loro per aPermarsi, sopra@u@o nell’arena poli5ca, hanno
bisogno di consenso presso la popolazione e questa ricerca si traduce nel bisogno di mobilitare fasce

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di popolazione più larghe rispe@o a quelle cos5tuite dai produ@ori veri e propri. Questo malgrado la
borghesia stessa Dnisce per cos5tuire una sorta di scuola ed educazione che viene impar5ta a queste
masse ben oltre rispe@o all’interesse della borghesia. Se per o@enere una poli5ca di protezione
reclamo l’introduzione di dazi doganali, dovrò mobilitare una vasta più vasta di ele@orato indicando
anche a loro il pericolo che la concorrenza estera mi provoca in quanto borghese, e che questo
pericolo può poi avere conseguenze anche su di loro. In questo modo la parte di popolazione che
viene forzatamente coinvolta nella dinamica poli5ca della distribuzione del consenso a@raverso
ques5 discorsi, in maniera più o meno rozza o più o meno superDciale intanto impara qualcosa.
In questo modo insomma la borghesia stessa per i suoi bisogni di consenso me@e a disposizione della
controparte una conoscenza di come il mercato funziona, di come il capitalismo tende a riprodursi…
acquistandola esse arrivano a rendersi conto quanto profondo sia il divario di interessi tra loro.
“Inoltre come abbiamo veduto il progresso dell’industria precipita nel proletariato intere sezioni della
classe dominante, o per lo meno ne minaccia le condizioni di esistenza, anch’esse recano al
proletariato una massa di elemenG di educazione”.
Il fa@o che il proletariato si ingrossi anche tramite elemen5 che prima erano benestan5 e poi
decadu5, fa sì che all’interno del proletariato vengano introdo@e delle conoscenze che normalmente
non gli appartengono. Anche questa è una forma di educazione, si impara a@raverso l’esperienza
dura del lavoro e lo scambio di no5zie tra coloro che condividono la stessa sorte, tramite la quale si
viene a conoscere il funzionamento della società in un modo che se noi fossimo solamente rimessi
alla nostra esperienza personale non potremmo mai conoscere. Formazione rela5va a fenomeni di
oppressione e che devono mobilitare la reazione del proletariato.
“InHne, i tempi nei quali la lo/a per le classi si avvicina al momento decisivo, il processo di
disgregazione all’interno della classe dominante e tu/a la vecchia società, assume un cara/ere così
violento e aspro che una piccola parte della classe dominante si distacca da essa e si unisce alla
classe rivoluzionaria, alla classe che Gene in mano l’avvenire. Così come una parte della società era
passata alla borghesia, così una piccola parte della borghesia passa al proletariato. E specialmente
una parte degli ideologi borghesi che sono riusciG ad aggiungere all’intelligenza teorica del
movimento storico nel suo insieme”.
Qui gli autori parlano di se stessi e dei loro simili, i quali non nascono come operai nelle fabbriche,
ma sono esponen5 di un ceto intelle@uale di estrazione borghese. Spin5 in parte dagli interessi e in
parte dalla comprensione della necessità dello sviluppo verso il quale il capitalismo è avviato e che lo
condurrà alla sua autodistruzione vi sono elemen5 della borghesia stessa che scoprono di avere un
potenziale interesse di porsi alla guida del movimento di coloro che contro la borghesia
insorgeranno, quindi faranno da guida, da lezione, ai proletari per accelerare la riuscita e il successo
delle loro rivendicazioni.

Dodicesima lezione
“Fra tu/e le classi che ad oggi stanno di contro alla borghesia il proletariato soltanto è una classe
realmente rivoluzionaria, le altre classi decadono e tramontano con la grande industria, il
proletariato è il suo prodo/o più speciHco”.
Noi già sappiamo che secondo gli autori tendenzialmente la società capitalis5ca si scinde in due
classi, borghesia e proletariato, anzi sappiamo che si tra@a di classi che conoscono ancora alcune
ar5colazioni residue, comunque le classi della vecchia società feudale sono des5nate a scomparire.
Ma questo processo non è immediato, il contrasto al sistema vigente viene indo@o non soltanto dal
proletariato, ma anche da queste classi residue, sopra@u@o aristocrazia fondiaria, che sopravvivono
all’industrializzazione. Però quello che gli autori vogliono dirci è che è solo il proletariato a possedere
le qualità per cos5tuire un’opposizione rivoluzionaria al sistema sociale vigente. L’opposizione delle
classi decadute e decaden5 della vecchia società feudale non è un’opposizione des5nata a cambiare
le cose, può solamente frenare la trasformazione della società verso la compiuta aPermazione della
borghesia industriale, ma il suo tramonto può essere opera soltanto, mediante una rivoluzione, del
proletariato, in quanto è esso stesso una creazione della società industriale e alla quale non

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preesiste. Gli ordini intermedi comba@ono tu[ la borghesia, ma per prevenire dalla scomparsa la
propria esistenza.
Queste classi intermedie sono quelle che in qualche modo pa5scono a loro volta lo sviluppo del
capitalismo industriale su larga scala e svolgono un’azione pura e semplice di ritardo nello sviluppo di
questo sistema, al Dne di salvaguardare le proprie condizioni di esistenza anche se sono des5nate a
fallire secondo poi il percorso storico. Non sono rivoluzionari ma conservatori, in quanto cercano di
mandare indietro la ruota della storia.
Mentre il proletariato è descri@o come una classe rivoluzionaria, e anche la borghesia stessa, queste
classi residuali della società precedente, o che appartengano a pieno 5tolo nella società capitalis5ca,
ma sono però composte da sogge[ in via di soccombere alla produzione industriale (coloro che non
sono in grado di competere: ar5giani, contadini…) sono tendenzialmente dei conservatori anzi dei
reazionari.
Conservatore  qualcuno che voglia il mantenimento di una condizione esistente che è minacciata
di scomparire.
Reazionario conservatorismo spinto all’estremo, colui che vuole far girare all’indietro la ruota della
storia, cioè riportare in vita condizioni che già sono scomparse.
Agli occhi degli autori si tra@a di una situazione nostalgica e sterile per quanto riguarda l’o@enimento
dei suoi obie[vi, ma incide, rallentando il progresso del capitalismo industriale.
La metafora della storia paragonata a una ruota è importante: la storia ha un movimento orientato
verso una direzione, implica la nozione di ciò che noi chiamiamo “progresso”, la nozione cioè che la
storia muova in una direzione che abbia il cara@ere di un progresso. Condizione nella quale non si
possono riprodurre situazioni passate, ma c’è una con5nua innovazione. I reazionari vorrebbero che
il nuovo non esistesse, è qualcuno che reagisce a qualcosa che è avvenuto senza la sua volontà,
vorrebbero che la rivoluzione non ci fosse mai stata. Questa posizione è fondamentalmente
insostenibile per gli autori, non si può far in modo che qualcosa che è avvenuto non lo sia. L’esempio
più 5pico è stato quello nel 1815 del Congresso di Vienna, nel tenta5vo di reintrodurre le condizioni
sociali che la Rivoluzione Francese e poi napoleone avevano spazzato via. Tenta5vo totalmente
fallito, troppi cambiamen5 erano intervenu5 perché le cose potessero tornare come prima. Il
monarca stesso non poté più recuperare quella convinzione che il suo diri@o fosse consacrato da Dio,
ma aveva dovuto ricercare in qualche modo un consenso dal basso. Il ritorno al passato era
un’utopia.
“Quando sono rivoluzionari sono tali in vista del loro imminente passaggio al proletariato, non
difendono i loro interessi presenG, ma i loro interessi futuri e abbandonano il loro punto di vista per
unirsi a quello del proletariato”.
È un processo del quale abbiamo de@o sopra, il proletariato acquista consapevolezza e numero
anche grazie al mischione con sogge[ appartenen5 a classi sociali avanzate ma declinan5, che
Dniscono per sposare la causa del proletariato, il quale si ingrossa di numero e mezzi per condurre la
propria lo@a.
“Il so/oproletariato, questa putrefazione passiva degli inHmi straG della società, che in seguito alla
rivoluzione proletaria viene scagliato qua e là nel movimento, sarà meglio disposto, per le sue
condizioni di vita, a farsi comprare”.
Il quadro della società che all’inizio sembrava così semplice, viene sempre più ar5colandosi e
compare un nuovo sogge@o, il so@oproletariato: composto da sogge[ emargina5 dal processo
produ[vo e che quindi tendono, per sopravvivere, a me@ersi al servizio di coloro che sono i
detentori di risorse, che hanno bisogno di ausili materiali da reclutare laddove vi sia la disponibilità.
Quindi gli autori intendono tu@e le Dgure della società le quali si me@ono al servizio della borghesia:
prestandole dei lavori, delle mansioni, che servono ad alleggerire e abbellire la vita di questa classe
privilegiata, oppure sono coloro che ingrossano le Dle degli strumen5 di repressione di coloro che
detengono il potere e vogliono conservarlo, quindi coloro che si prestano a essere recluta5
nell’esercito, nella polizia… che uno Stato deve avere a propria disposizione, sopra@u@o nella
prospe[va di una rivoluzione del par5to comunista, proprio per questo il so@oproletariato non è un

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ordine rispe@ato dagli autori. Sviluppano solidarietà di interessi con una classe sociale che in realtà
non è funzionale per loro, avrebbero più beneDci nell’aiutare la causa del comunismo. Per i
so@oproletari il governo della borghesia appare vantaggioso, Dniscono per farsi comprare. Coloro che
vivevano più ai margini della società formavano spesso la massa di manovra per azioni repressive
delle inizia5ve rivoluzionarie del proletariato industriale.

“Putrefazione passiva degli inDmi stra5 della società” gli autori sembrano deDnire una classe
cos5tuita da scar5 della società. Una massa più o meno estesa di disoccupa5 è Dsiologica all’interno
della società capitalis5ca secondo gli autori, e oPre, occasionalmente, un sostegno malinteso alla
classe borghese proprio per il fa@o che ques5 sogge[ non hanno risorse proprie per mantenersi e
sono a disposizione di chi li paga per svolgere determina5 servizi.
“Le condizioni di esistenza della vecchia società sono già annullate nelle condizioni di esistenza del
proletariato, il proletario è senza proprietà, il suo rapporto con moglie e Hgli non ha più nulla in
comune con il rapporto familiare borghese. Il lavoro industriale moderno, il soggiogamento moderno
al capitale, idenGco in Inghilterra, in Francia, in America e in Germania, lo ha spogliato di ogni
cara/ere nazionale: leggi, morale, religione… sono per lui altre/anG pregiudizi borghesi, dietro i
quali si nascondono altre/anG interessi borghesi”.
Il proletario viene descri@o come l’elemento di novità che invano i reazionari vorrebbero scomparisse
dalla faccia della terra, è un’umanità nuova la quale proprio per la sua completa spoliazione di
qualsiasi forma di proprietà non può più riconoscersi nei valori tradizionali. Sono valori strumentali
della classe che cos5tuisce la sua controparte: la morale che insegna il rispe@o della proprietà è la
morale che insegna il rispe@o di un bene che in quella società era preroga5va di pochi; la religione
che insegna la consolazione di una vita ultraterrena dopo la morte è quella religione che insegna a
coloro che in questa vita soProno, la rinuncia ai tenta5vi di me@ere Dne a tale soPerenza.
La religione per questo è l’oppio dei poveri, che non gli perme@eva di avver5re il dolore, che però
rimaneva. Così la famiglia, che nelle società di una volta poteva apparire la dimensione più privata
dove chiunque potesse avere una sorta di rifugio, anch’essa viene so@ra@a al proletario, in primo
luogo perché i suoi Dgli e la moglie condividono la sua stessa sorte di essere assorbi5 all’interno del
processo produ[vo e poi proprio perché quella forma residua di organizzazione gerarchica della
famiglia viene scardinata, da un lato da questa introduzione di donne e bambini all’interno del
lavoro, e dall’altro della perdita della posizione di superiorità del capo famiglia, la quale gli derivava
dal fa@o che fosse l’unico che assicurava reddito e ostentamento, ma ormai on era più così.
“Tu/e le classi che si sono Hnora conquistate il potere hanno cercato di garanGre le condizioni di vita
già acquistata assogge/ando l’intera società alle condizioni della loro acquisizione. I proletari
possono conquistarsi le forze produCve della società solo abolendo il proprio sistema di
appropriazione avuto Hno a questo momento e per ciò stesso l’intero sistema di appropriazione che
c’è stato Hnora. I proletari non hanno da salvaguardare nulla di proprio, hanno da distruggere tu/a
la sicurezza privata e tu/e le assicurazioni private che ci sono state Hn qui”.
La novità di questa classe sociale viene ulteriormente cara@erizzata, come quella di una classe che
non ha semplicemente di mira di sos5tuirsi alla classe avvantaggiata di turno, nel detenere in forma
di proprietà privata i mezzi di produzione, o nell’acquistare determinate preroga5ve giuridiche,
perché nella mentalità degli autori, questa nuova classe sociale non può più, proprio per il suo
cara@ere di completa privazione e per la sua numerosità, far conto sulla cos5tuzione di una nuova e
diversa classe sociale di sfru@a5 che possa lavorare per lei. Come, invece, è avvenuto in passato.
Dove può trovare chi lavori per lui? Non si può immaginare una condizione sociale nella quale esso
torni ad essere detentore di una forma di proprietà della quale è stato spogliato, laddove essa ci
fosse stata, ma deve a@accare e abolire i pilatri della società tradizionale che sono tu[ riconducibili
alla nozione stessa della proprietà. È una classe sociale che deve arrivare a comprendere che non è
più in gioco il problema della redistribuzione della proprietà, ma dell’abolizione della stessa. Il
proletariato non vede davan5 a sé di poter godere degli stessi beneDci della borghesia e quindi deve
puntare a una vera e propria rivoluzione della società in cui non vi sia la proprietà privata.

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“TuC i movimenG precedenG sono staG movimenG di minoranze o avvenuG nell’interesse di


minoranze”.
La storia umana è costellata di Rivoluzioni, ma esse, ci dicono gli autori, sono state compiute o da
minoranze o nell’interesse di minoranze. Ciò signiDca che sì, spesso erano realizzate dai mol5, ma
non hanno avuto come conseguenza la realizzazione dell’interesse colle[vo, ma solo di una parte di
popolazione che ha avuto la capacità di u5lizzarle ai propri scopi.
La Rivoluzione Francese ne è un esempio, essa ha avuto una partecipazione di massa, ma i vantaggi
sono anda5 nella direzione di essere proD@o solo della borghesia, che già era in possesso di mezzi
economici e aveva l’interesse di spazzare via i privilegi delle classi parassitarie. Quindi l’uguaglianza
proclamata era solo un’uguaglianza sulla carta. Chi è in svantaggio materiale può essere dotato degli
stessi diri[ dei più ricchi, per quanto riguarda la legge, ma è evidente che fra chi possiede mezzi
economici e chi non li possiede il godimento di ques5 diri[ è estremamente diverso. Chi ha maggiori
risorse ha maggiore capacità di avvalersi di ques5 diri[, rispe@o a coloro che ques5 mezzi non
hanno e rimangono nell’ignoranza conDna5 nel luogo in cui sono na5, e magari una vita più breve
perché non hanno i mezzi per curarsi. Quindi è un’uguaglianza più utopica che reale, va solo a
vantaggio dei più ricchi. Una parte minoritaria della società riesce a reclutare nella propria causa una
parte maggioritaria della società, presentandola come una causa comune, ma una volta raggiunto
l’obie[vo, quest’ul5ma parte scoprirà di non poter ugualmente godere dei diri[ e dei beneDci
promessi e viene ricacciata nella sua condizione di svantaggio.
“Il movimento proletario è un movimento indipendente dell’immensa maggioranza, nell’interesse
dell’immensa maggioranza, il proletariato non può sollevarsi, non può alzarsi, senza che salG per aria
l’intera sovrastru/ura degli straG che formano la società uUciale”.
Viene di nuovo descri@o il ruolo del proletariato come quello di una classe che, essendo priva di
tu@o, non può di fa@o aPermarsi, se non facendo piazza pulita di tu@o l’ordine preesistente. Per
ordine preesistente gli autori intendono l’organizzazione e la vita della società basata sul principio
della proprietà dei mezzi di produzione. nelle rivoluzioni preceden5 c’era solo un passaggio di
proprietà dei mezzi di produzione, prima nelle mani degli uni e poi degli altri. Questo non è più
possibile, ci dicono gli autori, con una metafora che so@olinea il cara@ere radicale che la rivoluzione
del proletariato dovrebbe avere. Ci deve essere una rideDnizione di tu[ i rappor5 giuridici e sociali
che Dno ad ora erano conosciu5 e riconosciu5 come funzionali al mantenimento dello status quo e
della disuguaglianza fra borghesi e proletari.
“È naturale che il proletariato di ogni paese debba anzitu/o sbrigarsela con la propria borghesia”.
Le Rivoluzioni del 48 si intrecciano con movimen5 nazionali di ricerca di indipendenza e le lo@e
sociali tendono ad avere ancora un cara@ere circoscri@o alla Nazione alla quale coloro che premono
verso la rivoluzione appartengono. È una classe che si dis5ngue dalle altre perché non ha barriere di
conDne a separare i suoi componen5. Ma è un risultato a cui si deve ancora arrivare, perché ciascuna
classe operaia di ciascuna Nazione tende a fare per conto proprio, cioè a rivolgere le rivendicazioni
alla borghesia del suo stato di appartenenza, senza realizzare di avere un interesse comune con tu[
quelli che appartengono al suo stato di tu@o il mondo. Per questo c’è un’a@ra[va insita
all’appartenere tu[ alla stessa Nazione, perché vengono predica5 valori di fratellanza che ancor
prima che umana è nazionale, l’ideale nazionale ha un cara@ere rivoluzionario che si basa
sull’esaltare il valore comune di appartenenza a una stessa cultura, presentato come elemento tale
da prevalere su tu@o il resto. Dal punto di vista degli autori questo è un elemento di verità solo
parziale: gli interessi e i valori che uniscono coloro che nel processo produ[vo assolvono il
medesimo compito sono più for5, non conoscono i conDni nazionali. E anche se si realizzasse una
società più equa in una nazione questo risultato potrebbe essere minacciato dal fa@o che all’esterno
di ques5 conDni il processo di sviluppo dell’evoluzione industriale, promosso dalla borghesia,
con5nua a aver luogo e di conseguenza a so@oporre anche coloro che si vedessero isola5 in questa
condizione felice di gius5zia sociale raggiunta, alla sDda di essere in grado di produrre ricchezza che
non possa essere intaccata dalla produzione globale.

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“Delineando le fasi più generali dello sviluppo del proletariato, abbiamo seguito la guerra civile più o
meno latente all’interno della società a/uale, Hno al momento in cui quella guerra erompe in
rivoluzione aperta, e nel quale il proletariato fonda il suo dominio a/raverso l’abbaCmento violento
della borghesia.”
Agge[vazioni importan5, si parla di guerra civile, tradizionalmente intesa come la contesa tra par5
della medesima società per il potere poli5co, che si dis5ngue dalla guerra in modo propriamente
inteso perché vede oppos5 gli uni altri gli appartenen5 a una stessa Nazione.
La lo@a di classe ha tu[ i cara@eri di una guerra civile però no5amo che è strisciante, latente, fa@a di
singole sommosse, che solo al tempo degli autori sembra divenire una guerra dichiarata, che
comporta l’abba[mento della borghesia in forma violenta, rivendicazione della violenza da parte
degli autori come uno strumento necessario ai Dni dell’o@enimento di una società diversa. Non tu[
erano d’accordo su questo, mol5 pensavano che fosse possibile cambiare le cose a@raverso
rivoluzioni moderate o@enendo il consenso della borghesia, facendo perno sull’immoralità delle loro
azioni. Secondo gli autori qualsiasi compromesso aveva il cara@ere di una rivoluzione a metà, e non
era possibile, posizione estremis5ca.
“Ogni società si è basata Hnora, come abbiamo visto, sul contrasto fra classe di oppressori e classe di
oppressi, ma per poter opprimere una classe le debbono essere assicurate condizioni entro le quali
essa possa per lo meno ostentare la sua vita di schiava. Il servo della gleba, lavorando nel suo stato
di servo della gleba ha potuto elevarsi a membro del comune, come ci/adino minuto, lavorando
so/o il giogo dell’assoluGsmo feudale ha potuto elevarsi a borghese, ma l’operaio moderno invece di
elevarsi, man mano che l’industria progredisce, scende sempre più al di so/o delle condizioni della
sua propria classe. L’operaio diventa povero e il pauperismo si sviluppa anche più rapidamente che
non la popolazione e la ricchezza”.
Gli autori ci dicono che mentre i vecchi sistemi di sfru@amento lasciavano aperta la porta verso un,
sia pur parziale, miglioramento delle condizioni, il proletario così come gli autori lo descrivono è
molto più disgraziato nella sua sorte, perché lo sviluppo del capitalismo industriale tende a
peggiorare le sue condizioni: deprezzamento del lavoro, per far divenire le merci sempre più
concorrenziali.
“Pauperismo”: termine emerso in quegli anni, che indica il decadere in condizioni di povertà di coloro
che poveri prima non lo erano, o l’impoverimento ancora maggiore di coloro che già poveri erano. Gli
autori ci dicono che tanto più aumenta il pauperismo, quanto più aumenta la popolazione e anche la
ricchezza solo però di coloro che la detengono. Vi è la convinzione che questa società per riprodursi
debba determinare una crescente esclusione di fasce, persone, dalla condizione di coloro che
possano partecipare alla produzione di beni. La maggior parte della popolazione viene rido@a a poter
soltanto aspirare a un sostentamento quo5diano, senza che possano partecipare alla ricchezza
generale che viene prodo@a. Tende sempre di più a me@ere la maggior parte della popolazione nelle
condizioni di poter aspirare solo a un sostentamento quo5diano, che diventa sempre più miserabile.
Laddove vi sia una maggiore diPusione della ricchezza, spiegano gli autori, questo avviene solo
perché masse ancora più numerose di uomini vengono ulteriormente private di quei mezzi sia pur
minimi di sostentamento che le società pre-industriali a loro fornivano e asservite alla produzione
industriale. Ciò spiega come mai grazie alle acquisizioni coloniali la popolazione europea nel suo
complesso potesse tendenzialmente migliorare le sue condizioni di vita, e quindi trarre beneDcio dal
progresso industriale, solo perché lo sfru@amento delle materie prime e della forza lavoro veniva
trasferito fuori dai conDni nazionali, nella direzione delle colonie.
Il capitalismo non riesce a produrre abbastanza ricchezza in modo che tu[ ne abbiano un godimento
almeno parziale.
“Da tu/o ciò appare manifesto che la borghesia non è in grado di rimanere ancora più a lungo la
classe dominante della società e di imporre ad essa le condizioni di vita della propria classe come
legge regolatrice, non è capace di dominare perché non è capace di garanGre l’esistenza al proprio
schiavo, neppure entro la sua schiavitù, perché è costre/a a lasciarlo sprofondare in una situazione

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per la quale invece di essere da lui nutrita essa è costre/a a nutrirlo. L’esistenza della classe borghese
non è più compaGbile con la società”.
Lo sviluppo della società industriale deve far deperire il proletariato in modo tale che non sia più
pensabile che tali condizioni siano acce@abili, questa società o distrugge la parte di popolazione di
cui ha bisogno, per miseria e per fame, oppure deve sperimentare l’azione rivoluzionaria di questa
parte della società che è costre@a ad abolire l’ordine sociale vigente. Il tempo ha dimostrato la
capacità di evolvere della società industriale, e di far beneDciare un maggior numero di persone a
questa ricchezza prodo@a. Ad oggi la rappresentazione degli autori ci sembra lontana.
Questa pauperizzazione che gli autori descrivono è qualcosa che nel corso del tempo è stata
smen5ta. Tu@avia, loro ritenevano che la direzione del processo in a@o fosse un’altra, quella appunto
descri@a precedentemente. L’a@esa che nutrivano e diPondevano di una rivoluzione prossima e di
una realizzazione della società comunista a@raverso lo sconvolgimento da compiersi all’altezza dei
movimen5 del 48, si reggeva proprio sulla loro convinzione che le classi sociali meno abbien5
sarebbero cadute sempre di più nella cares5a. I borghesi non riuscivano nemmeno a renderli nella
loro condizione minima di sopravvivenza e questo doveva determinare il tracollo del sistema.
“La condizione più importante per l’esistenza e il dominio della classe borghese è l’accumularsi della
ricchezza nelle mani dei privaG, la formazione e la molGplicazione dei capitali, condizione del capitale
è il lavoro salariato, esso poggia principalmente sulla concorrenza degli operai fra di loro. Il progresso
dell’industria, per il quale la borghesia è veicolo involontario e passivo, fa subentrare all’isolamento
degli operai la loro unione rivoluzionaria. L’interesse della borghesia è che gli operai siano divisi e in
compeGzione tra loro per vendere il proprio lavoro a un prezzo sempre più basso, ma essi arrivano a
comprendere di avere un interesse comune e di doversi associare contro la borghesia al Hne di non
precipitare in una miseria irreversibile. Con lo sviluppo della grande industria viene quindi tolto da
so/o i piedi alla borghesia il terreno stesso sul quale essa produce e si appropria dei prodoC. Essa
produce anzitu/o i suoi seppellitori. Il suo tramonto e la vi/oria del proletariato sono egualmente
inevitabili”.
Aspe@a5va descri@a come uno sviluppo storco necessario, della rovina della borghesia e del
rivoluzionamento dei rappor5 di proprietà, che è alla base del comunismo. Questo è l’elemento che
toglie di mezzo qualsiasi condizione di 5po spirituale a questa lo@a, gius5Dca il ricorso alla violenza,
gli autori non sempre riescono a tener ferma questa condizione sociologica di una necessità di
questo esito e si trovano nella condizione di dover riconoscere anche un’importanza dell’inizia5va
degli oppressi. Un’inizia5va che secondo gli autori nasce dal prendere coscienza dell’avere questo
interesse comune e la pubblicazione dell’opera ha la funzione di accelerare questo processo. Da un
lato viene so@olineato il momento ogge[vo del processo storico, che deve avvenire per forza di
cose, ma dall’altro lato c’è il riconoscimento che l’inizia5va personale debba esserci, altrimen5 le
cose non possono cambiare. La sogge[vità, l’inizia5va è però il prodo@o delle condizioni materiali in
cui essi si trovano. Questa consapevolezza quindi se gli autori non scrivessero il manifesto si
produrrebbe comunque per altra via, secondo il loro pensiero.

Tredicesima lezione
2. PROLETARI E COMUNISTI
Rapporto comunis5 e proletari, che rappresentano l’interlocutore a cui Marx e Engels vogliono
rivolgersi, ma a@raverso l’intermediazione del par5to comunista.
“In che rapporto sono i comunisG con i proletari in genere? I comunisG non sono un parGto
parGcolare di fronte agli altri parGG operai”.
Abbiamo l’impressione di non trovarci di fronte ad una risposta dire@a alla domanda, ma ad una
risposta che cominci a rimuovere un possibile equivoco: i comunis5 sono i membri di un par5to fra
gli altri che rivolga la sua ricerca di consenso e adesione a quei membri della classe operaia, ovvero i
proletari. Marx ed Engel sanno di non arare un terreno vergine e di non trovarsi per primi di fronte a
questa platea di proletari, ma di essere sta5 precedu5 da altri che si sono organizza5 in par55 e di

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fronte ai quali è importante marcare la propria diPerenza”non siamo un par5to fra gli altri” dicono
i comunis5.
“I comunisG non hanno interessi disGnG dagli interessi di tu/o il proletariato”.
Si parla del proletariato nella sua interessa e ci viene suggerito che a diPerenza di altri par55, che ai
proletari si rivolgono, i comunis5 si contraddis5nguono per non avere interessi separa5 da quelli di
questo ele@orato. Quasi a voler suggerire che altri par55, di quelli che si professano sensibili agli
interessi degli operai, rappresentano non soltanto ques5 interessi, ma anche altri.
Quindi rivendicavano una sorta di primato, in termini di ogge[va adesione delle aspirazioni e azioni
del movimento, con gli interessi del proletariato, dichiara5 indis5nguibili da quelli dei comunis5.
Sembrerebbe una rivendicazione di maggior disinteresse da parte degli ul5mi, rispe@o agli altri
par55 che allo stesso modo vorrebbero farsi voce del proletariato.
“I comunisG non pongono principi speciali sui quali vogliono modellare il movimento proletario”.
Questa comunità di interessi assume una sorta di ideale immedesimazione degli uni e negli altri. I
comunis5 non indicano dei valori ai quali i proletari debbano educarsi e adeguarsi, ma quelli che i
comunis5 sviluppano sono gli stessi ideali ai quali i proletari sono ogge[vamente indo[ a ispirarsi,
almeno è quello che dicono gli autori. Rige@o di quel modello di predicazione del socialismo rivolto ai
proletari, che andava nella direzione di un indo@rinamento intorno a valori che debbano trascendere
la popolazione stessa degli operai e dei proletari, per avere una portata universale, valida per tu[. In
qualche modo, dunque, quei rappor5 che andavamo nella direzione di oPrire un surrogato della
religione, anche se non apertamente, un modello calato dall’alto, da parte di un élite pensante di
uomini dedi5 al bene comune, che dovesse ammaestrare la mol5tudine.
“I comunisG si disGnguono dagli altri parGG proletari da una parte per il fa/o che me/ono in rilievo
gli interessi comuni, indipendenG dalla nazionalità del proletariato, e dall’altra perché sostengono
costantemente l’interesse del movimento complessivo a/raverso i vari stadi di sviluppo compresi
nella lo/a tra proletariato e borghesia”.
Ecco che, questa dis5nzione tra comunis5 e gli altri par55, acquista contorni più concre5: i comunis5
non vogliono limitarsi nella loro azione a una dimensione nazionale, il tu@o proletariato sta a
signiDcare il proletariato assunto senza dis5nzioni di appartenenza nazionale. Questo è un primo
elemento dis5n5vo dei comunis5 rispe@o agli altri par55 operai del tempo: l’internazionalismo.
L’altro elemento è quello di una sorta di coerenza superiore, costanza, per la quale, a@raverso le varie
fasi della lo@a tra proletariato e borghesia, i comunis5 si cara@erizzano per il fa@o di non perdere mai
la bussola e rappresentano sempre la causa del proletariato, questo vogliono dirci gli autori. Il
proletariato, infa[, spesso viene messo in mezzo in lo@e che non sono davvero sue, può essere
arruolato dalla borghesia stessa, nel nome di valori come: uguaglianza, libertà e fraternità, ma nella
realtà il proletariato viene impiegato da essi come massa di manovra contro i vecchi ce5 privilegia5.
Ques5 stessi ce5 privilegia5 di fronte all’avanzata della borghesia e all’apparente peggioramento che
questa avanzata sembra arrecare anche alle sor5 del popolo, anche essi possono cercare di far leva
sul malcontento della mol5tudine, per cercare di frenare lo sviluppo dell’industria moderna,
raccontando che una volta le condizioni erano migliori, i rappor5 più umani, più sensibilità morale e
religiosa… anche se nella realtà erano solo un velo che copriva lo sfru@amento. Gli autori, quindi,
vengono a dirci che i comunis5 sono quelli che non si lasciano confondere, e non sposano, dietro
l’apparenza di sostenere gli interessi dei lavoratori, altri interessi che vogliono realizzarsi dietro a
questa apparenza. Non scendono a compromessi, c’è una pretesa di rigore, intransigenza, il non
confondere una causa per un’altra.
“In praGca i comunisG sono la parte progressiva più risoluta dei parGG operai di tuC i paesi”.
Accentuazione al cara@ere della decisione e determinazione, l’intransigenza prelude a una azione
inesorabile, che non conosce esitazioni.
“Quanto alla teoria, essi hanno il vantaggio, rispe/o alla restante massa del proletariato, di
comprendere le condizioni, i risultaG generali del movimento proletario”.
I comunis5 vengono presenta5 come coloro che incarnano sino in fondo gli interessi del proletariato,
avendo una conoscenza di questa classe così profonda che nemmeno mol5 membri di questa classe

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sociale stessa posseggono. C’è un primato di natura intelle@uale, ma più propriamente di


consapevolezza di quale sia la propria condizione, la quale consapevolezza è il prerequisito per non
lasciare che i propri interessi vengono manipola5 da altri.
“rispe@o alla restante parte del proletariato” si inseriscono nel proletariato stesso, poi parlano di
movimento, quindi, bisogna pensare a un’azione organizzata che il proletariato me@e in a@o, però
all’interno di un grado di consapevolezza della situazione generale inferiore rispe@o al quale i
comunis5 e gli autori credono di inserirsi.
“Lo scopo immediato dei comunisG è lo stesso di tuC gli altri parGG proletari: formazione dei
proletari in una classe, abbaCmento della borghesia mediante la conquista del potere poliGco da
parte del proletariato”.
Obie[vi al quale tu[ i par55 che si rivolgono agli operai fanno riferimento.
Il primo vuol dire: organizzazione e trasmissione di un certo livello di consapevolezza per il quale tu[
quelli che appartengono a questa classe si riconoscano come tali, senza me@ersi gli uni contro gli
altri, come era invece l’intento borghese.
Il secondo prevede l’abba[mento delle forme di comando della società. Dopo aver presentato
questo scopo, dove agge[vo importante è “immediato” perché è uno scopo che si può credere
raggiungibile in diversi modi e non esaurisce il compito e l’azione dei comunis5.
“Le proposizioni teoriche, cioè i principi del comunismo, non poggiano aWa/o su idee o principi
inventaG o scoperG da quesG o quei riformatori del mondo”.
I due autori si presentano come due scienzia5: non pretendono di aver scoperto, in virtù di chissà
quale dote personale, delle verità rimaste Dno ad allora nascoste agli altri, ma aPermano che questa
conoscenza, necessaria per ricongiungere il proletariato come classe, non l’hanno a[nta in qualche
intelligenza superiore, e non vogliono assumere i panni di riformatori del mondo o di un profeta che
annuncia un mondo più giusto. Ma credono di descrivere un processo che racchiude in sé dei
cara@eri di necessità, dove il lavoro della loro intelligenza, che vantano di aver raggiunto, non è il
fru@o di do5 personali, a ma sia il fru@o di un’analisi della società e del modo di funzionamento
dell’economia capitalis5ca, più profonda e cosciente di quella fa@a da altri teorici del socialismo
preceden5 a loro.
“Le proposizioni teoriche dei comunisG sono sempre espressioni generali di rapporG di fa/o, di una
lo/a di classe esistente, cioè di un movimento storico, che si svolge so/o i nostri occhi”.
Scandita so@o questa serie di agge[vi si apprende la vocazione, presunta almeno, alla concretezza e
al realismo che contraddis5ngue l’azione del comunismo rispe@o a quella degli altri par55. Lo@a di
classi esistente, cioè reale e concreta, di un movimento storico, avente l’ogge[vità della storia, che si
svolgono so@o i nostri occhi. Non parlano di qualcosa di astra@o, o ideale, il loro approccio alla
ques5one è di cara@ere in qualche modo scien5Dco, ciò consiste nell’analizzare questa società reale
stessa con la pretesa di rintracciare all’interno della stessa un movimento des5nato a condurre nella
direzione che i comunis5 additano come l’esito necessario dello sviluppo del capitalismo, del
rovesciamento dei rappor5 di forza tra borghesi e proletari.
“Abolizione dei rapporG di produzione esisGG Hno a un dato momento non è qualcosa di disGnGvo e
peculiare del comunismo”.
Il fa@o di aPermare, come fanno tu[ i fautori del socialismo, che il comunismo sia abolire i rappor5
di proprietà esis55 Dno ad oggi, non è giusto. La nozione del socialismo ovviamente si basa su questa
idea, dell’abolizione della proprietà privata, ma il punto è che non si tra@a soltanto di questo.
“TuC i rapporG di proprietà sono staG ogge/o di cambiamenG storici e di una conGnua alterazione
storica”.
È come se gli autori dicessero: “se il problema fosse soltanto quello di cambiare i detentori della
proprietà saremmo sempre del corso di fenomeni storici già vis5”.
“Certo che la proprietà feudale è stata abolita ma per far posto a una faCspecie di proprietà diversa”.
La proprietà feudale aveva cara@eri incompa5bili con quella borghese, spesso aveva un cara@ere
inalienabile: il possessore del feudo non poteva scegliere di vendere, perché era una proprietà
dinas5ca e colui che la riceveva non poteva fare ciò che voleva con essa, doveva trasme@erla il più

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possibile inta@a al discendente, il feudo non amme@eva nemmeno la mobilità delle persone, coloro
che nascevano nel feudo del signore, lì dovevano prestare il loro lavoro a vita. La proprietà borghese
invece è per deDnizione un bene individuale, del quale il possessore può farci quello che crede. Il
signore feudale è solo l’anello di una catena, di una s5rpe, che è la vera detentrice dei connessi diri[,
nel caso della borghesia invece ques5 diri[ appaiono meritevoli di abolizione, le terre divengono
spezzabili e vengono ridistribuite.
“Quel che contraddisGngue il comunismo non è l’abolizione della proprietà in generale ma
l’abolizione della proprietà borghese”.
Mentre alcuni teorici del socialismo sembravano prospe@are un ideale di società in cui non esistesse
più la proprietà privata, gli autori dicono che quel che il comunismo persegue è l’abolizione
semplicemente della proprietà che la borghesia ha portato all’aPermazione. Ma la proprietà privata
borghese moderna è l’ul5ma è più perfe@a espressione della produzione e quindi dello sfru@amento.
Non è in se stessa la nozione di proprietà che scandalizza i comunis5, ma è il fa@o che essa sia
l’espressione di rappor5 di sfru@amento fra gli uomini e che quelli instaura5 dall’industria
capitalis5ca moderna sono quelli più perfeziona5 ed eZcien5. Dove maggiore è la capacità di
produrre ricchezza a par5re dallo sfru@amento stesso. Le forme più an5che erano meno eZcaci. non
si tra@a di una gradazione di giudizio morale, ma di una gradazione basata su un elemento che gli
autori vogliono ogge[vo e che è la reddi5vità.
“E di conseguenza l’ulGma e più perfe/a espressione”.
Non è tanto che la proprietà debba scomparire ma che non è pensabile che in questo modello di
società basata sullo sfru@amento se ne possa pensare un’altra.
“Abolizione della proprietà privata”.
I comunis5 possono riassumere il loro pensiero in questa frase. Che si declina in maniera più speciDca
e dis5n5va nel senso di voler signiDcare “aboliamo la proprietà privata borghese”. Anche in passato si
erano presentate forme o utopie di società più giuste basate sulla abolizione della proprietà, ma a
diPerenza di allora, proprio perché i rappor5 di sfru@amento hanno raggiunto questo grado di
eZcienza, questo ideale di abolizione diviene realizzabile e iscri@o nel movimento di sviluppo stesso
della società capitalis5ca industriale, che è des5nata ad autodistruggersi, generando essa stessa la
forza che la distruggerà: il proletariato.
“Ci si è rinfacciato che vogliamo abolire la proprietà acquistata personalmente fru/o del lavoro
dire/o e personale”.
Ragionamento che è stato opposto alla predicazione del comunismo, ma anche agli altri movimen5
poli5ci voce del proletariato: Il fa@o che ci fosse una proprietà lecita, acquistata con il lavoro
personale, della quale sarebbe ingiusto che le persone venissero private, e una proprietà illecita,
acquistata sfru@ando gli altri. Quindi, secondo questo discorso, doveva rimanere esclusa dalla
abolizione la proprietà lecita: esempio il campo del contadino che perme@e a lui e la famiglia di
sostentare non può essere espropriato come proprietà illecita.
Questo 5po di dis5nzione suona agli occhi degli autori fallace, una proprietà presentata come diri@o
fondamentale dell’individuo, in quando generata dalla sua autonomia e libertà, è già un 5po di
proprietà che si iscrive nell’arche5po della proprietà borghese. Nessun borghese amme@erebbe che
la sua proprietà sia illegi[ma. Quella descri@a precedentemente è secondo gli autori la aPermazione
che alimenta il conce@o stesso della proprietà borghese.
La nozione quindi che ci sia una proprietà legi[ma e una illegi[ma, secondo gli autori è falsa.
Secondo questa visione la prova dell’ingius5zia è la dis5nzione fra il necessario e il superAuo: quando
uno diventa ricchissimo è la dimostrazione che questa ricchezza è eccessiva e quindi è lecito
redistribuirla, ma ciò non me@e in discussione la natura stessa della proprietà privata, ne prende di
mira solo gli ePe[ estremi e cioè la grande disuguaglianza, senza capire che essa è proprio l’ePe@o di
questa concezione della proprietà, se il principio non cambia le sperequazioni non Dniscono.
“La proprietà fru/o del proprio lavoro acquistata e guadagnata con le proprie forze! Parlate della
proprietà del piccolo ci/adino e contadino che ha preceduto la proprietà borghese, ma essa non c’è
bisogno che la aboliamo noi, ma è già stata abolita o la abolirà lo sviluppo dell’industria”.

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Quindi qui ci viene fa@o capire che questa dis5nzione tra la proprietà è fa@a valere semplicemente
da coloro che si me@ono al servizio di esponen5 di un modello di società invecchiato, nel quale la
conservazione di questa forma ristre@a di proprietà fosse ancora ammessa. Coloro che difendono
questo modello di proprietà non capiscono che è condannato di suo, per la concentrazione della
proprietà in un numero sempre più ristre@o di mani.
L’ar5giano viene bu@ato fuori dal mercato industriale, il contadino viene spazzato via allo stesso
modo, questo è già un ePe@o dello sviluppo della società del capitalismo. Non c’è bisogno del
comunismo per spogliarli della loro proprietà, è la grande borghesia che man mano la erode.
“Oppure non parlate di questa proprietà arcaica, ma parlate della moderna proprietà privata
borghese: ma il lavoro salariato crea proprietà al proletario? Nient’aWa/o, crea il capitale, cioè la
proprietà che sfru/a il lavoro salariato, il quale può molGplicarsi solo tramite il lavoro salariato per
sfru/arlo di nuovo”.
La sola proprietà del lavoratore è la sua forza lavoro, il salario gli è stre@amente indispensabile per la
sua sussistenza e riproduzione, nulla più di questo. I proletari producono un genere di proprietà, il
capitale, che non è loro, ma appar5ene al datore, che funziona in maniera tale da produrre e
replicare questo genere di relazione lavora5va.
“La proprietà nella sua forma a/uale si muove entro l’antagonismo fra capitale e lavoro salariato”.
Anziché parlare di borghesia e proletari questo antagonismo viene presentato come l’an5tesi fra
lavoro e capitale.
“Esaminiamo i due termini: essere capitalista signiHca occupare nella produzione non soltanto una
pura posizione personale, ma anche una posizione sociale”.
I protagonis5 di questa relazione conAi@uale non sono considera5 nella loro individualità personale
come sogge[ che per propensione vengano ad occupare un determinato posto all’interno della
società, sono semplicemente funzioni della società, la quale è così organizzata e così si riproduce,
indiPerentemente di chi siano i sogge[ che occupano queste due posizioni, non importa chi siano
come individui.
“Il capitale stesso è un prodo/o colleCvo e può essere messo in moto solo mediate una aCvità
comune di molG membri, anzi, in ulGma istanza, solo mediante la aCvità comune di tu/a la società”.
Gli autori ci vogliono dire che la proprietà borghese in senso più alto e cioè il capitale, è in fondo, non
fru@o del lavoro di uno, ma del lavoro di mol5, senza i quali questo accumulo di ricchezza non
potrebbe prodursi e naturalmente questo implica che questo genere di p.p. nella misura in cui
prodo@a da mol5, ma detenuta da pochi, con5ene al suo interno il cara@ere riprovevole di un abuso,
esproprio, come un furto.
“Il capitale non è una potenza personale è una potenza sociale”.
Non importa da chi è detenuto, importa il fa@o che c’è e che perme@a di realizzare il processo
produ[vo.
“Se il capitale viene trasformato in proprietà colleCva non c’è trasformazione di proprietà personale
in proprietà sociale, si trasforma soltanto il cara/ere sociale della proprietà e la proprietà perde il
suo cara/ere di classe”.
A coloro i quali denunziano il comunismo come iniquo, perché non si accontenta di spogliare del
superAuo coloro che hanno troppo, ma spoglia della proprietà tu[ coloro che hanno saputo
acquistare per sé e detenere alcuni beni, gli autori riba@ono che la socializzazione della proprietà
non è una iniqua spogliazione degli averi, ma sono i proprietari borghesi dei detentori illegi[mi del
capitale, che da soli non avrebbero mai potuto accumularlo, ma lo so@raggono a coloro che lavorano
per loro. Il comunismo rappresenta non un’abolizione della proprietà, ma una trasformazione del
modo nel quale la proprietà viene detenuta: da privata a colle[va, per rendere gius5zia ai lavoratori
che contribuiscono in maniera determinante a produrre, ma non gli viene riconosciuto nulla. La
riproduzione del capitale stesso si basa proprio sulla forma speciDca di sfru@amento economico, che
si basa sul fa@o di ricavare proD@o dal lavoro contenuto nella merce, che viene venduta, e che non
viene retribuito per intero.

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Qua@ordicesima lezione
“Veniamo al lavoro salariato”.
Abbiamo appena descri@o il cara@ere di proprietà di fa@o colle[va del capitale, di diri@o esclusiva,
in quanto riconosciuta come interamente in possesso del capitalista.
“Il prezzo medio del lavoro salariato è il minimo del salario del lavoro, cioè la somma dei mezzi di
sussistenza necessari per mantenere in vita l’operaio in quanto operaio”.
Secondo Marx il costo del lavoro è fa@o coincidere con il minimo suZciente a mantenere in vita il
lavoratore, di conseguenza è come dire che il prezzo medio del lavoro salariato è quello più basso
possibile, al di so@o di una certa soglia il lavoratore non sarebbe in grado di mantenersi in vita e
quindi cesserebbe di prestare il suo lavoro al datore di lavoro, solo questo è il requisito che il prezzo
del lavoro salariato deve soddisfare. Quindi in realtà non c’è una media tra un massimo e un minimo,
ma solo un minimo che viene elargito a tu[, è molto diZcile che il salario aumen5.
“Mantenere in vita l’operaio in quanto operaio”.
A seconda dei bisogni che ognuno di noi sviluppa il minimo necessario per soddisfarli varia, se quel
che mi serve è solo quello che mi serve per la sussistenza, la somma corrispondente a queste mie
esigenze sarà inferiore rispe@o se si includono bisogni lega5 allo svago, all’istruzione,
all’abbigliamento più pregiato… il lavoratore viene retribuito proprio solo per la sua funzione di
lavoratore, che lui abbia altri bisogni non importa nulla al datore di lavoro.
“Quello di cui l’operaio salariato si appropria mediante la propria aCvità è suUciente soltanto per
riprodurre la sua lunga esistenza”.
Queste parole non ci sorprendono, il lavoratore è proprietario solo della sua prole.
“Noi non vogliamo aWa/o abolire questa appropriazione personale dei prodoC del lavoro per la
riproduzione dell’esistenza immediata, appropriazione che non lascia residuo di prodo/o ne/o tale
da poter conferire potere sul lavoro altrui, vogliamo eliminare soltanto il cara/ere miserabile di
questa appropriazione nella quale l’operaio vive solo allo scopo di accrescere il capitale e vive
soltanto quel tanto che esige l’interesse della classe dominante”.
Gli autori con questo “noi” si riferiscono al movimento comunista del quale si vogliono gli ispiratori e
all’obiezione che possiamo immaginare: voi comunis5 abolendo la proprietà pretendete di togliere
agli individui anche la proprietà che serve loro per il sostentamento, quindi predicate un modello di
società orribile. A questo rispondono che a loro non interessa abolire questo genere di proprietà, che
è già il capitalismo che riduce al minimo, vogliono eliminare soltanto il cara@ere miserabile di questa
appropriazione. Miserabile agge[vo importante: introduce un elemento di valutazione morale,
a@raverso la trasformazione della società in senso comunista vogliono togliere alla condizione del
lavoratore quel cara@ere miserabile, è il rapporto di sfru@amento che vogliono abolire e il cara@ere
miserabile non nasce soltanto dal fa@o che poca è la proprietà personale che gli viene lasciata, ma
anche dal fa@o che alle spalle di questa condizione deprivata nella quale gli autori riconoscono che i
lavoratori vengano tenu5, qualcun altro nel fra@empo mol5plica il suo capitale.
La miseria sta nella sproporzione fra il poco e il molto che altri detengono.
“Nella società borghese il lavoro vivo e soltanto un mezzo per molGplicare il lavoro accumulato”.
Il lavoro accumulato è quello che si trova depositato, in quanto è la radice del loro valore, nelle merci
che i lavoratori producono perme@endo di imme@erle sul mercato. Il lavoro vivo è quello prestato
materialmente nell’industria ed esso, dicono gli autori, è soltanto un mezzo per accrescere la
quan5tà di merce.
“Nella società comunista il lavoro accumulato è soltanto un mezzo per ampliare arricchire e far
progredire il ritmo di esistenza degli operai”.
Ritmo di esistenza, formula che si contrappone alla nuda esistenza di cui si parlava prima, che
cara@erizza l’operaio. Il lavoratore è al servizio del capitale depositato, nella società capitalista,

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mentre in quella comunista il lavoro accumulato è soltanto un mezzo per migliorare le condizioni di
vita dei lavoratori. La ragion d’essere delle merci non consiste più nella mol5plicazione del capitale,
ma nel soddisfare i fabbisogni dei lavoratori. In qualche modo c’è un ritorno alla natura: si produce
per soddisfare i bisogni. Il Dne del capitalista non è quello di soddisfare i bisogni di quelli che
comprano nella sua industria, il suo Dne è mol5plicare il capitale della sua azienda.
“Nella società borghese, dunque, il passato domina sul presente, il lavoro accumulato domina sul
lavoro vivo, il capitale sul lavoro”.
Il capitale ha bisogno di essersi formato per poter esercitare il suo dominio, dunque è una creazione
del passato, dove il lavoro vivo è il presente.
“Nella società comunista, al contrario, il presente domina sul passato: i bisogni del lavoratore
vengono prima dell’accumulazione di ricchezza depositata nelle merci. Nella società borghese il
capitale è dipendente personale, mentre l’individuo operante è dipendente impersonale”.
Il cara@ere personale del capitale è riconoscibile a@raverso la Dgura del suo detentore, l’individuo
operante è impersonale proprio perché facilmente sos5tuibile a@raverso la concorrenza alla quale il
lavoro viene esposto.
“E la borghesia chiama abolizione della personalità e della libertà l’abolizione di questo rapporto!”.
La società egualitaria alla quale i comunis5 pensano è una società, secondo i borghesi, nella quale la
libertà individuale è rido@a, non si perme@e a qualcuno di diventare più ricco di un altro.
Nella società comunista tu[ devono essere in una situazione di uguaglianza e quindi ad un livello
basso di benessere.
Quindi, gli autori ci dicono che spesso l’obiezione dei borghesi: Prospe@ate una società di tu[
individui uguali, dove chi vale più dell’altro deve rassegnarsi a valere quanto l’altro per non
scavalcarlo, una società degradante.
“È in gioco infaC l’abolizione della personalità, dell’indipendenza e della libertà del borghese”.
Ques5 valori non sono astra@amente assolu5, ma concretamente incarna5 e possedu5 da alcuni
membri della società a@uale, non da tu[.
Il modo nel quale si concepisce la libertà individuale è un modo che si a@aglia solamente alla
condizione di coloro che sono i beneDcian5 del modo a@uale in cui è organizzata la società, cioè i
borghesi.
Costoro grazie alle loro risorse possono condurre una vita libera, ma questo non è il caso dei mol5 il
cui lavoro è la condizione che i pochi possano rimanere nel privilegio, che è impensabile venga esteso
a tu[, perché la sua esistenza sta nel fa@o che sia di pochi.
“Entro gli a/uali rapporG di produzione borghesi si intende per omertà il libero commercio, la libera
compravendita”.
Si nasconde una libertà che è la sola che sta davvero a cuore a ques5 paladini ed è appunto il libero
mercato. Quando i nemici del movimento comunista lo accusano di essere liber5cida, questo in
fondo hanno in mente e cioè il 5more che la libertà di commerciare venga ristre@a.
“Ma scomparso il traUco scompare anche il libero traUco, le frasi sul libero traUco, come tu/e le
altre bravate hanno senso in genere soltanto rispe/o il traUco vincolato, al ci/adino asserGvo del
medioevo, ma non rispe/o alla concezione comunista del traUco e della borghesia stessa”.
L’enfasi sulla retorica della libertà dei borghesi ha un signiDcato reale solo Dn tanto che il bersaglio
polemico erano i vincoli alla proprietà presen5 nell’organizzazione feudale della società. Il caso della
società comunista è troppo diverso perché questo paragone regga.
Un conto è che il traZco delle merci so@os5a a dei vincoli, quindi i sostenitori del libero mercato
possono presentarsi come illumina5, ma in una società dove sia abolito il commercio stesso e quindi i
rappor5 di produzione che reggono e funzionano solo in vista della trasformazione del lavoro in
merci, ecco che tu@o questo parlare di libertà perde il suo senso.
Gli autori sembrano prospe@arci una società nella quale il commercio dei beni prodo[ al Dne di
soddisfare i bisogni dei membri della stessa non vi sia più, cioè all’interno della quale il modo in cui
ciascuno entra in possesso di quei beni che servono a soddisfare i bisogni non sia la compravendita.

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Infa[, una delle ques5oni tradizionalmente riba@ute è se all’interno della società comunista il
denaro fosse ancora necessario, gli autori non si pronunciano su questa materia, ma ci fanno capire
che il modo nel quale l’individuo dovrebbe arrivare a soddisfare i suoi bisogni, entrando in possesso
dei mezzi u5li a questo scopo, non debba più essere la compravendita.
“Ci a/accate perché vogliamo abolire la proprietà privata, ma nella vostra società a/uale la
proprietà privata è abolita per i nove decimi dei suoi membri ed esiste proprio per il fa/o che per i
nove decimi della società essa non esiste”.
Viene ribadito il cara@ere sperequa5vo delle condizioni nelle quali si vive nella società industriale.
Nominalmente tu[ hanno il diri@o alla proprietà privata, ma materialmente le cose non stanno così
e non in virtù di un dife@o temporaneo che può essere risolto, ma è proprio questa la condizione
necessaria per cui la proprietà privata esista, che la maggioranza dei membri della società ne sia
esclusa.
“Voi ci rimproverate di voler abolire una proprietà che predispone come condizione necessaria la
privazione di proprietà della grande maggioranza”.
Il cara@ere polemico degli autori si alimenta proprio grazie alla sproporzione di questa
sperequazione. Allora ecco che sul piano morale l’obiezione che fanno i borghesi, del fa@o che i
comunis5 vogliono abolire la libertà, cioè la proprietà privata, viene depotenziata con la
constatazione che di fa@o la società borghese la libertà non la conferisce ai suoi membri, se non a
una ristre@a cerchia.
“In una parola voi ci rimproverate di voler abolire la vostra proprietà, certo è proprio questo che
vogliamo”.
Gli autori sembrano dire: Voi che ci accusate dal vostro punto di vista avete tu@e le ragioni di
accusarci, perché sono i vostri beneDci che noi abbiamo di mira, ma non potete pretendere che tu[
debbano iden5Dcarsi con la vostra posizione. La convinzione degli autori è che l’accesso alla
proprietà per il signor x può avvenire soltanto se gli altri siano esclusi, le fortune mutano nella società
capitalis5ca, è vero, ma non cambia il dato fondamentale: i detentori saranno sempre pochi e mol5
gli esclusi. La loro convinzione è che l’egoismo borghese sia necessario per mantenere in vita la
società capitalis5ca, chi non si comportasse così rischierebbe di aPondare e di essere sopraPa@o
dalla concorrenza.
“Appena il lavoro non può più essere trasformato in capitale, in denaro, in rendita fondiaria,
insomma in una potenza sociale monopolizzabile, cioè appena la proprietà personale non può più
converGrsi in proprietà borghese voi dichiarate che è abolita la persona”.
Gli autori dicono che non appena si parla di abolire la proprietà privata come i borghesi la intendono,
essi ritengono che venga recata oPesa alla personalità umana in quanto tale. Ma non c’è un modo
solo di essere persona e il modo nel quale all’interno della società borghese si concepisce la
personalità nei fa[ si ritaglia soltanto ad alcuni. Per gli autori non si tra@a del solo modo di intendere
la persona umana, e verso coloro che questo assumono, rivendicano che proprio all’interno della loro
stessa amata società la stragrande maggioranza vive già in questa condizione deplorevole di formiche
laboriose, quindi questa personalità che si vuole difendere è già oPesa.
“Confessate dunque che per persona non intendete altro che il proprietario borghese”.
Non si tra@a ai loro occhi di abolire la libertà e nemmeno la personalità, ma di abolirle così come
ques5 valori sono intesi all’interno della società borghese.
“Il comunismo non toglie a nessuno il potere di appropriarsi i prodoC della società, ma il diri/o di
assogge/arsi il lavoro altrui in funzione di questa appropriazione”.
Nella società comunista viene abolita quella proprietà il cui impiego consente di asservire a sé il
lavoro altrui. È il rapporto di lavoro inteso come rapporto di dipendenza che vuole essere abolito.
“Si è anche obie/ato che con l’abolizione della proprietà privata cesserebbe ogni aCvità e
prenderebbe piede una pigrizia generale”.
Se ci si priva della proprietà secondo i borghesi nessuno si darebbe più da fare, in mancanza dello
s5molo che agli uomini viene solo nella prospe[va di un arricchimento, e la società di conseguenza
diventerebbe nel suo complesso più povera. L’ipote5ca società comunista sognata sarebbe una

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società dove tu[ sarebbero eguali non nella ricchezza, ma nella povertà, perché senza la p.p.
cesserebbe ogni s5molo di lavorare e renderebbe gli uomini oziosi. I beni che soddisferebbero i
bisogni quindi diminuirebbero dras5camente.
“Da questo punto di vista già da molto tempo la società borghese dovrebbe essere andata in rovina
per pigrizia, poiché in essa coloro che lavorano non guadagnano e coloro che guadagnano non
lavorano”.
Gli autori dicono che se quello che loro dicono fosse vero sarebbe già una norma, perché la società
borghese di per sé già per la maggioranza va così.
“Tu/o questo scrupolo sbocca nella tautologia che appena non c’è più capitale non c’è più lavoro
salariato”.
TAUTOLOGIA: aPermazione ovvia, auto-evidente.
Dal punto di vista degli autori quindi l’argomento della borghesia si riduce a un’ovvietà, che non
risolve nulla in quanto il borghese quando parla di lavoro pensa al lavoro salariato, che per loro è il
solo esistente in quella società. Ma gli autori si domandano: siamo cer5 che sia il solo possibile?
Quindi gli autori recriminano ai borghesi di scambiare per natura ciò che invece è storia, e cioè di
assumere la società nella quale vivono come immodiDcabile, dimen5cando che è invece un prodo@o
della storia e come tale può anche modiDcarsi. Se si abolisce il lavoro salariato si abolisce solo una
forma storicamente data di lavoro, che i borghesi danno per unica e sola.
“Tu/e le obiezioni che vengono mosse al sistema comunista di appropriazione e produzione di
prodoC materiali sono state anche estese alla appropriazione e produzione di prodoC intelle/uali,
come, per loro, il cessare della proprietà di classe è il cessare della proprietà stessa, allo stesso modo
il cessare della cultura di classe è il cessare della cultura in genere”.
Mol5 sostenevano che le opere culturali esistevano proprio perché una parte della società godeva
del tempo libero e dell’ozio per realizzare beni non di prima necessità, per elevazione morale, svago e
diver5mento, lavori crea5vi. L’ar5sta e il le@erato che viveva alla corte poteva dedicarsi all’arte e alla
le@eratura perché questo signore lo manteneva in vita avendo di suo una ricchezza tale da poterselo
perme@ere. Se nessuno avesse avuto il tempo libero, le risorse, o il desiderio di fare determinate
cose, musicis5, pi@ori, scultori e poe5 non sarebbero potu5 esistere. Perché l’esercizio di queste
a[vità, che concepiscono come ammissibile, è quello che si è dato all’interno di una società in cui la
disuguaglianza di proprietà fosse spropositata e che coloro che potessero fruire delle creazioni
culturali fossero solo i privilegia5. Ma questa conseguenza, che la eliminazione di questo ceto di
privilegia5 elimini anche tu@a la cultura è tu@a da dimostrare.
“Quella cultura che egli rimpiange è per la stragrande maggioranza la preparazione a diventare
macchine”.
Forza del cara@ere provocatorio. Coloro che rimpiangono una cultura che nella società comunista
non si avrebbe più tacciono di fronte al fa@o che nella società a@uale i mol5 sono esclusi dal
godimento della cultura, perché gli si richiede soltanto di lavorare. Il tempo libero in più, rispe@o a
quello stre@amente necessario, all’interno della società borghese è di pochi. Ai mol5 si prospe@a
un’esistenza nella quale l’uomo possa svolgere il suo lavoro in una forma tanto anonima e
impersonale da diventare non tanto diversa da quella di una macchina, non ha bisogno di svago, di
diver5mento… perché privi di un’anima.
“Ma non discutete con noi misurando l’abolizione della proprietà borghese sul modello delle vostre
idee borghesi di libertà, diri/o e così via, le vostre idee stesse sono prodoC dei rapporG borghesi
produCvi e di proprietà, così come il vostro diri/o è soltanto la volontà della vostra classe elevata
alla legge, volontà il cui contenuto è dato nelle condizioni materiali di esistenza della vostra classe”.
I valori, le idee che si vorrebbe fossero assolu5 ed eterni, sono in realtà anch’essi il prodo@o di una
storia all’interno della quale l’elemento determinante è dato proprio dai rappor5 di produzione. Le
idee e i conce[ di libertà, personalità, bellezza che i difensori dell’ordine cos5tuito fanno mostra di
voler difendere sono gli stessi che possono esistere anche all’interno di una società organizzata
diversamente, ma loro non la riescono a immaginare e non perché manchino di intelligenza, ma
perché sono talmente domina5 dai loro interessi da non poter immaginare qualcosa di diverso.

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Il diri@o, la cultura, non sono il diri@o e la cultura in assoluto, ma sono così solo per come li
conosciamo e per come possiamo concepirli, non per l’umanità in quanto tale.
“Voi condividete con tu/e le classi dominanG già tramontate, quell’idea interessata mediante la
quale trasformate in eterne leggi della natura e della ragione, i rapporG storici, quali sono i vostri
rapporG di produzione e di proprietà”.
Tu[ coloro che difendono un certo ordine sociale, immaginano che una società diversa nella quale
vivono non possa esserci, danno per naturale ciò che invece può essere modiDcato. Anche i difensori
della società feudale dicevano che un determinato ordine fosse voluto da Dio. Ricondurre il vecchio
ordine feudale della società all’inizia5va divina era soltanto un altro modo per dire che quell’ordine
non andava modiDcato. Nella società borghese il ricorso alla religione era molto meno forte, in
quanto la borghesia per la lo@a che ha dovuto condurre si è trovata a dover me@ere in discussione
questo principio e richiamo alla divinità. Ma la ragione e la natura di cui parlano i borghesi non sono
la ragione e la natura in assoluto, ma della società a@uale. Tu@e le società tradizionali si concepivano
come immodiDcabili, ma in realtà il conce@o di natura è storicamente determinato, acce@abile e
conducibile solo in determinate condizioni produ[ve. Se la società moderna oggi vede le cose
diversamente, non è perché siamo più intelligen5, ma perché viviamo in una società in cui certe cose,
come la schiavitù, non sono più necessarie. Nella società degli autori si era instaurato un rapporto di
sfru@amento diverso rispe@o alla schiavitù, quello del lavoro salariato.
“Abolizione della famiglia, anche i più estremisG si riscaldano parlando di questa ignobile abolizione
del comunismo!”.
La pietra dello scandalo di fronte alla quale mol5 si arrestano è il santuario della famiglia, organizzata
secondo il modello borghese: con la so@omissione dei Dgli ai genitori e della moglie al marito e che il
solo modo di educare le nuove generazioni sia quello basato sull’autorità educa5va e della
dipendenza materiale dei Dgli nei confron5 dei genitori. Anche qui gli autori hanno il loro dubbio: su
cosa si basa la famiglia borghese? Sul capitale. La famiglia, così come le is5tuzioni giuridiche e la
morale comune la contemplano, non è la famiglia in assoluto, ma così come la società borghese la
conosce e la realizza solo per quello strato sociale avvantaggiato che è la borghesia. Patrimonio
famigliare anche la famiglia è un’en5tà economica, suo malgrado. Perché i sen5men5 nobili, come
l’amore, possano svilupparsi bisogna che i membri di questa famiglia siano aPranca5 dalle
preoccupazioni di dover trovare il denaro di sopravvivere, chi non avrà questa condizione secondo il
borghese sarà un padre o una madre degenere. In una società così sperequata che senso ha
rappresentare la famiglia così come armoniosa, cara@erizzata da profondo aPe@o, quando in
mancanza dei beni necessari per sopravvivere tu[ ques5 divengono lussi dei quali ci si può
spogliare. La famiglia così come i borghesi la celebrano è solo di alcuni, che possono vivere in queste
condizioni idealmente elevate.

Quindicesima lezione
“L’abolizione della famiglia, anche i più estremisG si riscaldano parlando di questa ignobile abolizione
dei comunisG”.
Non solo della proprietà privata, ma ancora una pretesa più scandalosa, quella di abolire la famiglia,
che è un elemento del sistema economico anche e proprio per quel 5po di produzione che è
peculiare alla famiglia e cioè la riproduzione della specie umana stessa, processo essenziale.
“Su che cosa si basa la famiglia a/uale, borghese”.
A@uale implica il fa@o che non è de@o che la famiglia sia stata sempre organizzata così e di
conseguenza che sarà sempre così, borghese è la sua qualiHcazione.
“Sul capitale, sul guadagno privato una famiglia completamente sviluppata esiste solo nella
borghesia, ma essa ha il suo complemento nella coa/a mancanza di famiglia del proletariato e nella
prosGtuzione pubblica”.
Alcuni materialmente di questo diri@o che sulla carta posseggono non traggono proD@o. Lo stesso
vale infondo anche per la famiglia, a@eso che la famiglia, così come vige nelle società borghesi, ha
uno sfondo economico, si basa anch’essa sull’esistenza della p.p., che nel caso della borghesia, è così
estesa da favorire il capitale e quindi il proD@o.

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La famiglia esiste materialmente soltanto per quel ceto sociale che si può perme@ere le spese che la
vita famigliare comporta, laddove quella fe@a di membri della società che non hanno introi5
suZcien5 per realizzare il compito della famiglia: messa al mondo, educazione e allevamento dei
Dgli, essi sono tanto privi della famiglia quanto lo sono della proprietà e sono espos5 da un lato dal
dover trarre proD@o economico dalla loro stessa prole, oppure devono, in contrasto con quelli che
sarebbero i valori borghesi della fedeltà matrimoniale, abbandonarsi a una vita sessuale promiscua,
per avere un ritorno economico. Quindi anche la vita famigliare si risolve in una sorta di
comportamento promiscuo.
“La famiglia del borghese cade naturalmente con il cadere di questo suo complemento ed entrambi
scompaiono con la scomparsa del capitale”.
Il borghese può vivere nel modo che la sua moralità gli comanda solo perché tan5 altri non sono in
grado di fare come lui, in quanto privi di guadagno privato. Entrambi scompariranno sia la vita
famigliare del borghese che quella del proletario con la scomparsa del capitale che è la condizione di
esistenza dell’una e dell’altra. Se si aboliranno i rappor5 di produzione della società a@uale la famiglia
come la conosciamo non potrà mantenersi, quindi la ba@aglia degli autori non è contro la famiglia,
ma solo una conseguenza della ba@aglia che intendono muovere verso il sistema economico a@uale.
“Ci rimproverate di voler abolire lo sfru/amento dei Hgli da parte dei genitori; confessiamo questo
deli/o”.
Dove queste risorse economiche mancano i Dgli non sono aPa@o sogge[ di cure amorose da parte
dei genitori, e non perché siano genitori ca[vi, ma semplicemente perché non hanno i mezzi e
quindi la corrispondente responsabilità nel provvedere ai Dgli, ma ne vedono una risorsa economica,
per sé. quando i genitori mandano i Dgli a lavorare in fabbrica non fanno altro che consegnarli al
rapporto di sfru@amento capitalis5co nel quale sono immersi e di conseguenza partecipano a questo
sfru@amento, togliendo ai Dgli ciò che guadagnano per il proprio sostentamento. I cri5ci del
movimento comunista dicono.
“Ma voi dite che sosGtuendo l’educazione sociale a quella famigliare noi aboliamo i rapporG più cari”.
Il problema dell’educazione è legato anche a coloro che sognano una società a venire diversa, i
comunis5 ritenevano che non fosse possibile aZdare l’allevamento dei Dgli esclusivamente ai
genitori borghesi, la maggioranza non sarebbe stata in grado di educare i propri Dgli. Quindi entra
l’idea di un’educazione sociale, cioè che sia la società nel suo insieme a provvedere all’educazione e
quindi la relazione genitori e Dgli va in qualche modo a depotenziarsi, presupponendo che non tu[ i
genitori siano in grado di assolvere il proprio compito, quindi è la società che prenderà questo posto.
Ma i cri5ci del comunismo dicono che l’educazione sociale è un’educazione che genera degli individui
impoveri5 della loro vita aPe[va e sen5mentale in mancanza dei legami naturali di genitorialità e
Dgliolanza.
“Ma anche la vostra educazione non è determinata dalla società?”.
Gli autori con questa domanda vogliono so@olineare come il modo di concepire l’educazione da
parte dei borghesi essi credono che sia l’unico naturale, mentre quello dei comunis5 no. Gli autori
so@olineano che ciò non è giusto: la società, come la famiglia o l’educazione si sono formate ed
evolute con il processo della storia, non sono is5tuzioni naturali non modiDcabili.
“Non è forse determinata dai rapporG sociali entro i quali voi educate? Dall’interferenza più o meno
dire/a della società mediante la scuola e così via”.
Solo in apparenza la famiglia è la cellula che provvede all’allevamento e l’educazione dei Dgli.
l’educazione è già aZdata a una serie di is5tuzioni preposte, prima fra tu@e la scuola, che
introducono i valori della società che le dirige e le me@e in funzione.

“I comunisG non inventano l’ineuenza della società nell’educazione, ma si limitano a cambiare il


cara/ere di questa ineuenza, e strappano l’educazione dall’ineuenza dalla classe dominante”.

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L’inAuenza della società nell’educazione esisterà sempre ed è sempre esis5ta, nelle diverse forme nel
corso della storia in cui la società si organizza. I comunis5 prospe@ano una forma sociale di
educazione delle nuove generazioni non aZdata soltanto alle cure famigliari, quindi propongono
semplicemente delle is5tuzioni educa5ve diverse, le quali nondimeno hanno un cara@ere sociale
molto forte. Mentre i borghesi hanno l’intento di allevare le nuove generazioni nelle condizioni che
l’ordine sociale vigente sia quello naturale, e che quindi non si deve avere la pretesa sovver5va di
modiDcarlo.
“La fraseologia borghese sulla famiglia e sull’educazione e sull’aWe/uoso rapporto tra genitori e
Hgli”.
APe@uoso, insistenza sull’elemento sen5mentale che governa i rappor5 famigliari, che
rappresenterebbe un bisogno naturale insopprimibile degli umani.
“Diventa tanto più nauseante quanto più, per eWe/o della grande industria, si lacera per il proletario
tuC i vincoli familiari e i Hgli sono trasformaG in semplici arGcoli di commercio e strumenG lavoro”.
Gli autori intervengono a denunciare l’ipocrisia dei teorici borghesi della famiglia, che accusano i
comunis5 di voler spogliare della vita aPe[va i Dgli e la famiglia, senza la quale la vita risulterebbe
per loro molto più povera. Ma gli autori non dicono che la vita aPe[va per loro non abbia valore, ma
dicono che la nausea viene loro dal fa@o che coloro i quali si riempiono la bocca dell’amore tra Dgli e
genitori sono gli stessi che chiudono gli occhi di fronte al fa@o che le famiglie proletarie non
corrispondono assolutamente a questo modello, anzi nella prassi lo capovolgono.
“Nella prassi i rapporG famigliari sono laceraG nel caso del proletariato e i Hgli si trasformano in
arGcoli di commercio e strumenG lavoro”.
Impiego dei bambini all’interno dell’industria da parte dei genitori, che contra@ano le condizioni del
lavoro con l’imprenditore, e cedono così i loro Dgli allo sfru@amento capitalista. Un cara@ere del
tu@o privo degli elemen5 amorosi e aPe@uosi che secondo i borghesi dovrebbero cara@erizzare la
relazione famigliare. Riduzione dei rappor5 famigliari a rappor5 economici di sfru@amento, con i
genitori dei bambini stessi come complici del capitalista. I bambini, in quanto consumatori di beni a
loro des5na5, vengono precocemente risucchia5 all’interno della società borghese in funzione del
mantenimento di quest’ul5ma. Anche i Dgli di famiglie più agiate sono parte integrante del sistema di
consumo dei beni prodo[ dall’industria.
“Tu/a la borghesia ci venga contro in coro, ma voi comunisG volete introdurre la comunanza delle
donne”.
Questo è il punto ul5mo per quanto riguarda l’abolizione della famiglia. Tema an5co, risalente sino a
Platone, che all’abolizione della p.p. non dovesse anche accompagnarsi l’abolizione della famiglia
monogamica, quindi avere per risultato la promiscuità sessuale. Fine della relazione coniugale, che
rappresenta il cuore dell’is5tuto famigliare, basato sulla nozione che all’interno di una certa famiglia
le a[vità sessuali hanno il loro luogo deputato, mentre al di fuori sono riprovevoli. Finchè i rappor5
avvengono all’interno della famiglia sono leci5, al di fuori divengono illeci5. Il comunismo
produrrebbe la perdita di questa dis5nzione nella sfera della vita sessuale degli esseri umani.
Ridurrebbe gli uomini ad animali che si accoppiano spin5 dal loro is5nto.
“Il borghese vede nella moglie un semplice strumento di produzione, non serve dire che gli strumenG
di produzione debbano essere sfru/aG in comune e il borghese non può farsi che venire in mente che
la comunanza debba riguardare quindi anche le donne”.
Questa polemica quindi ha un so@ofondo non dichiarato, che rimanda alla natura priva5s5ca dei
rappor5 di proprietà all’interno della società borghese: i borghesi hanno in realtà paura di perdere
una risorsa economica, quale è la Dgura della donna all’interno della società borghese, che svolge
una serie di mansioni che cos5tuiscono lavoro a tu[ gli ePe[ e nella organizzazione tradizionale
della famiglia borghese non è retribuito, ma prestato sulla base dell’aPe@o che la moglie deve avere
per marito e Dgli. Quindi il borghese si preoccupa non tanto per l’immoralità sessuale galoppante, ma
per la messa in discussione di una risorsa economica.
“Non sospe/a neppure che si tra/a proprio di abolire la posizione delle donne come semplici
strumenG di produzione”.

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Il comunismo prospe@a una società più eguale, di conseguenza vuole abolire anche la disuguaglianza
tra uomo e donna, le quali all’interno della famiglia tradizionale sono a tu[ gli ePe[ degli strumen5
di produzione.
“Del resto, non c’è nulla di più ridicolo del moralissimo orrore che i nostri borghesi provano per la
pretesa comunanza uUciale delle donne tra i comunisG. I comunisG non hanno bisogno di introdurre
la comunanza delle donne, essa è esisGta quasi sempre”.
Anche la riprovazione dell’abolizione di questo valore, quale sarebbe la fedeltà coniugale, abolizione
che seguirebbe a quella della famiglia, e sarebbe altre@anto priva di qualsiasi ritegno e pudore, ma
questo orrore che i borghesi appaiono provare di fronte a questa privazione è ipocrita, moralis5co e
ridicolo, secondo gli autori. Infa[, anche all’interno della società borghese non è vero che vigono e
regnano sempre rappor5 cas5 e fedeli, la fedeltà coniugale è spesso sempre più ogge@o di proclami,
che non messa in pra5ca realmente all’interno della società borghese.
“La comunanza delle donne è esisGta tanto più di quanto non si voglia amme/ere che tu/’ora esista.
I nostri borghesi hanno a disposizione le mogli e le Hglie dei proletari, per non parlare della
prosGtuzione uUciale, trovano uno dei loro diverGmenG principali nel sedursi reciprocamente le
mogli”.
Gli autori si abbandonano a una certa moralis5ca riprovazione dell’ipocrisia borghese, che sono i
primi a infrangere i loro valori morali e famigliari. In primis, non avendo abolito il fenomeno della
pros5tuzione. In più la sperequazione economica che vige tra borghesi e proletari fa sì che le donne
proletarie siano facilmente seducibili dai borghesi in quanto hanno mezzi di seduzione da esercitare
su di esse per le quali è molto diZcile rinunciare: il datore di lavoro che minaccia la sua operaia di
licenziarla nel momento in cui questa non si conceda sessualmente, la moglie o la Dglia del proletario
che non può perme@ersi cer5 lussi o beni può essere alle@ata o sedo@a da chi il capitale de5ene, a
oPrire la sua disponibilità sessuale in cambio di ques5 beni. In più i borghesi anche tra di loro non
sono così a@en5 e rispe@osi del vincolo di fedeltà coniugale che predicano, anzi è uno dei loro
passatempi di dedicarsi a sedurre donne sposate anche di famiglie appartenen5 alla loro classe
sociale. La fedeltà coniugale è un valore più proclamato che messo in a@o.
Tu@o questo sdegno contro la nozione di promiscuità sessuale che l’abolizione della famiglia
provocherebbe è semplicemente ipocrita, perché essa c’è già.
“In realtà il matrimonio borghese è la comunanza delle mogli, tu/alpiù ai comunisG si potrebbe
rimproverare una comunanza delle donne uUciale e franca, al posto di quella velata”.
Le relazioni extra-coniugali si tengono nascoste, la diPerenza rispe@o alla società borghese sarebbe
allora più di forma che di sostanza nella società comunista, la quale renderebbe superAuo
nascondere queste relazioni.
“Questo è ovvio, che con l’abolizione dei rapporG di produzione scopare anche quella comunanza
delle donne che ne deriva e cioè la prosGtuzione uUciale e non uUciale.”
Scomparendo i rappor5 di produzione borghesi la comunanza delle donne che i borghesi hanno in
mente scomparirebbe, perché è quella comunanza basata sulla condizione sociale inferiore, nella
quale la donna è mantenuta all’interno della società tradizionale. In cui la sua inferiorità economica si
traduce in una costrizione esplicita o meno di dare una prestazione sessuale. Insomma, di qui
capiamo che gli autori respingono i rimproveri di moralità che i borghesi muovono al modello
comunista di società. Ma il modo nel quale tu@a la funzione riprodu[va e sessuale verrebbe
riorganizzata in questa nuova società gli autori non lo chiariDcano, si limitano a depotenziare le
cri5che morali dei borghesi, mostrando che determinate cose già esistono, nonostante si cerchi di
nasconderle.
“Ai comunisG si rimprovera anche che vorrebbero abolire la patria, la nazionalità”.
Gli autori passano in rassegna tu[ i valori morali che al comunismo viene recriminato voglia
eliminare. I comunis5 con il loro internazionalismo, unendo i proletari in una causa comune, perdono
di vista l’appartenenza alla nazione, e vengono cri5ca5 anche per questo.

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“Gli operai non hanno patria non si può togliere loro quello che non hanno, la prima cosa che il
proletariato deve fare è riconquistarsi il dominio poliGco, elevarsi a classe nazionale e cosGtuire sé
stesso una nazione, anch’esso ancora nazionale, seppur non nel senso della borghesia”.
Gli autori sembrano dire: non è che noi come comunis5 vogliamo abolire la patria, ma all’interno
della società borghese anche l’avere una patria è un privilegio di pochi. Coloro che sono esclusi dalla
classe dominante il senso di appartenenza alla nazione non ce l’hanno, proprio perché la loro
condizione di degrado e esclusione è talmente grande da impedire loro di sviluppare questa
sensibilità. La loro condizione di proletari è uguale dappertu@o a prescindere dai conDni, e quindi
ques5 conDni non possono essere riconosciu5 come preziosi da coloro che non traggono nessun
beneDcio dall’essere cresciu5 in uno stato piu@osto che l’altro. Sarà quindi la realizzazione del
comunismo all’interno di cer5 conDni che perme@erà agli appartenen5 a questo stato di avver5re
questo sen5mento di patria e appartenenza.
“Le separazioni di antagonismi nazionali dei popoli vanno scomparendo sempre più già con lo
sviluppo della borghesia, con la libertà di commercio, col mercato mondiale, con l’uniformità di
produzione industriale e delle corrispondenG condizioni di resistenza”.
Gli autori dicono: per coloro che sono ai margini di questa società l’iden5tà nazionale è un lusso. In
più ci dicono che rispe@o al passato questa iden5tà è in via di depotenziamento proprio per via della
borghesia stessa. Perché gli sviluppi universalis5ci sono intrinseci alla natura della società industriale
capitalis5ca, che non tollera barriere insuperabili di 5po nazionale, statale, etnico… si Dniscono per
uniformare i gus5 e i bisogni della popolazione mondiale. La società capitalis5ca industriale tende ad
abolire le diversità del genere umano, quindi il richiamo a etnia religiosità… perde signiDcato.
DiZcilmente gli uomini potranno conservare questo senso di appartenenza a una certa nazione,
come poteva avvenire invece nel mondo an5co. Quindi questa accusa rivolta al comunismo è, di
nuovo, ipocrita.
“Certo il dominio del proletariato li farà scomparire ancora di più, le separazioni e gli antagonismi
nazionali dei popoli. Una delle cara/erisGche della loro azione è l’azione unita delle nazioni civili”.
Lo sfru@amento si radica sulla capacità di mantenere divisi gli sfru@a5, ma questo insegna ai proletari
che se non vogliono fare il gioco dei borghesi devono passare sopra a tu@e le diPerenze che li
dividono. Se gli appartenen5 a una certa nazione acce@ano condizioni peggiori rispe@o a quelli di
un'altra lo sfru@amento tenderà a prolungarsi, ci deve essere una solidarietà per fare in modo che la
lo@a abbia buon Dne. Per questo il movimento comunista non può che essere un movimento
internazionalista, almeno all’interno dei paesi civili, cioè industrializza5, quelle popolazioni che
vivono in con5nen5 e regioni più arretrate non saranno immediatamente a[ngibili come forza
lavoro da parte della classe borghese, quindi il comunismo si svilupperà maggiormente in quei luoghi
dove l’industria si è sviluppata.
“Lo sfru/amento di una nazione da parte di un’altra viene abolito nella stessa misura in cui viene
abolito lo sfru/amento di un individuo da parte di un altro”.
Con la Dne dello sfru@amento sono des5na5 a scomparire anche i rappor5 di egemonia tra le
nazioni, infa[ so@o i loro occhi c’era lo sviluppo del colonialismo, ma anche i rappor5 per i quali la
popolazione di un determinato stato era costre@a a fare gli interessi della popolazione di un altro
stato, qui gli autori potevano avere anche in mente gli imperi sovranazionali nella quali le popolazioni
diverse da quella prevalente erano in una condizione economica e giuridica svantaggiata.
“Con l’antagonismo delle classi all’interno delle nazioni scompare l’antagonismo di reciproca osGlità
tra le nazioni”.
Tu[ quegli antagonismi che la storia ci ha insegnato essere così profondi, in realtà secondo gli autori
sono des5na5 a scomparire. Prospe@ano un futuro di pace, Dne delle guerre che ai loro occhi
rappresentano una forma di sopraPazione economica.

“Non meritano di essere discusse in parGcolare le accuse che si fanno al comunismo da punG di vista
religiosi, HlosoHci e ideologici in genere”.

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Le accuse di eliminare la famiglia, la patria, la proprietà… che i borghesi muovono ai comunis5 sono
talmente gravi che su di esse bisogna soPermarsi, in modo da far capire che sono accuse ipocrite
all’orecchio ingenuo di chi le ascolta. Il proletario è spogliato di quella proprietà che nominalmente
avrebbe il diri@o di avere, così come per l’ePe@o famigliare e l’iden5tà nazionale, sono però i
borghesi stessi che tendono a spogliarli di ques5 diri[. Viceversa, le accuse che si fanno al
comunismo da pun5 di vista religiosi, DlosoDci, ideologici in generale sono secondarie rispe@o a
queste prime. Accusare il comunismo di voler portare gli uomini a perdere la fede in Dio, o di farne
degli individui materialis5, dedi5 soltanto a bisogni pra5ci… sono accuse meno importan5 perché in
qualche modo è evidente il loro cara@ere strumentale.
“C’è bisogno di profonda comprensione per capire che anche le idee, le opinioni, i conceC, insomma,
anche la coscienza degli uomini cambia con il cambiare delle loro condizioni di vita, delle loro
relazioni sociali, della loro esistenza sociale”.
Questo è uno dei capisaldi della concezione degli autori, che spesso viene anche sempliDcato con la
nozione che tu@o il mondo delle idee, dei valori e dello spirito siano il prodo@o delle condizioni
economiche in cui gli uomini si trovano a vivere. Quindi anche religione, DlosoDa… hanno un
cara@ere socialmente improntato e non sono così naturalmente, e immodiDcabili.
“Cos’altro dimostra la storia delle idee se non che la produzione intelle/uale si trasforma insieme a
quella materiale. Le idee dominanG di un’epoca sono sempre state le idee della classe dominante”.
L’accusa di spogliare gli uomini di valori culturali profondi ed eterni, gli autori la considerano fallace
sulla base dell’assunzione che anche le idee e i valori più spirituali sono prodo[ storici e non
appartengono all’uomo come un dato naturale.

Sedicesima lezione
Il richiamo alla storia come la dimensione che, opposta alla natura, contempla il divenire, la
trasformazione e poi l’impiego del termine “produzione” applicato anche ai prodo[ dello spirito e
non solo materiali di consumo. Anche queste dimensioni che i loro celebratori vorrebbero superiore
alla sfera degli interessi e in qualche modo elevate a una sfera superiore del commercio, in realtà
anche questa dimensione spirituale è a suo modo produ[va e ha un qualche legame con l’a[vità
produ[va di beni tangibili. Ogni qual volta che i cri5ci del comunismo aPermano che qualche
elemento della società vigente abbia un valore assoluto, gli autori obie@ano che questo valore è tale
da essere creduto invariabile solo per la classe sociale che ne trae realmente beneDcio. Mentre non
dice nulla ai proletari, che nella realtà ne sono esclusi e lo stesso vale per le idee. Quelle idee che
sono ogge@o di venerazione e trasmissione a@raverso gli is5tu5 educa5vi posseggono questo valore
solo in quanto sono l’espressione del modo di vedere della classe dominante.
“Si parla di idee che rivoluzioneranno un’intera società e con queste parole si esprime semplicemente
il fa/o che entro la vecchia società si sono formaG gli elemenG di una nuova e la dissoluzione delle
vecchie idee procede di pari passo con la dissoluzione dei vecchi rapporG di esistenza”.
In queste righe viene so@olineato come i prodo[ dell’a[vità intelle@uale degli uomini di cultura
hanno il potere di cambiare le cose. Come sarebbe avvenuta la Rivoluzione Francese senza
l’illuminismo? Come sarebbe caduto l’Impero Romano senza la predicazione del cris5anesimo? I
detentori della cultura hanno la tendenza di credere che le cose possano modiDcarsi per l’intervento
delle idee, perché ci si convince che un tale cambiamento sia posi5vo. Quindi si pensa che l’uomo
abbia la forza di modiDcare le condizioni reali della sua esistenza. Gli autori qui ci vengono a dire che
quando si diPondono nuove idee che portano gli uomini a un cambiamento concreto, ciò non
avviene semplicemente per la forza che la dimensione intelle@uale che la nostra esistenza possiede
di suo, ma perché la dimensione materiale so@ostante è già sogge@o a una trasformazione per la
quale le vecchie idee, che prima erano solidali ad essa, perdono la loro capacità di persuasione sugli
uomini che prima le avevano credute valide. Quindi contrappongono all’immaginazione degli
intelle@uali che con le loro idee pensano di cambiare le cose, l’idea che invece le loro idee siano
semplicemente il prodo@o di un cambiamento già avvenuto nella sfera produ[va.

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Anche l’ideologia comunista si fa luce quando la società capitalis5ca borghese incomincia a


barcollare, quindi si raPorza la sua controparte naturale, quali sono gli sfru@a5.
“Quando il mondo anGco fu al tramonto le anGche religioni furono vinte dalla religione crisGana.
Quando nel secolo XVIII le idee crisGane si indebolirono di fronte alle idee dell’illuminismo la società
feudale dove/e comba/ere la sua ulGma lo/a contro la borghesia a suo tempo rivoluzionaria. Le
idee della libertà di coscienza e della libertà di religione furono soltanto l’espressione del dominio
della libera concorrenza nel campo dei pensieri della coscienza”.
Anche fenomeni culturali grandiosi come cris5anesimo e illuminismo sono divenu5 possibili solo
all’interno di società nelle quali i valori preesisten5 non avevano più capacità di persuasione. La forza
delle idee, quindi, nasce dal fa@o che un determinato tempo è intrinsecamente un tempo di
trasformazione, in quanto vi è già una trasformazione della sfera produ[va. Quindi non esiste
un’autonomia della sfera spirituale rispe@o a quella materiale. Si può discutere sull’incidenza di
questa dipendenza, ma quello che agli autori importa è proprio mandare il messaggio che la
dimensione ideale della vita umana ha qualcosa da spar5re con la dimensione materiale, sopra@u@o
per quella dimensione che determina la dis5nzione nella società tra sfru@atori e sfru@a5. Quando i
detentori del potere economico e poli5co non riescono più a persuadere gli altri membri della
società della bontà delle loro idee è perché questo potere è già minato alla base. Le condizioni della
società sono già cambiate e certe idee non sono più ada@e. E in par5colare tu[ i valori di libertà dei
quali i teorici della borghesia si riempiono la bocca per me@ere in evidenza la superiorità della
società borghese rispe@o a quelle preceden5, repressive, laddove la società moderna difende invece
le libertà individuali, guadagnate da diZcoltose guerre di religione, queste libertà sono il riAesso di
una libertà materiale so@ostante vitale per il sistema produ[vo capitalis5co che è appunto quella
inerente alla circolazione delle merci e della forza lavoro stessa, intesa anch’essa come una merce. La
società borghese aveva bisogno di liberare la società dai vincoli della società feudale, solo grazie a
questo la medesima borghesia sente il bisogno di aPermare la libertà di coscienza contro la di@atura
e l’oppressione esercitata da un’agenzia spirituale come poteva essere nel medioevo la chiesa
ca@olica romana. C’è un nesso tra queste due libertà, che non è esa@amente biunivoco, ma il valore
va ricercato nella dimensione economica e produ[va, nella quale la dimensione intelle@uale
rappresenta in qualche modo un ePe@o, che poi una volta prodo@osi interagisce con la dimensione
economica. Quando gli uomini prendono a@o che un declino di una determinata società è in declino,
solo in quel caso possono accelerarlo, ma non potrebbero determinarlo solo per la loro inizia5va, se
non fosse già iniziato. Primato dell’economia per gli autori. L’incidenza di tu@e le altre sfere è
secondaria.
“Ma, si dirà: certo che nel corso dello svolgimento storico le idee religiose, morali, HlosoHche,
poliGche, giuridiche si sono modiHcate, però in quesG cambiamenG la religione, la morale, la HlosoHa,
la poliGca, il diri/o si sono sempre conservaG”.
Immaginano Marx ed Engels che obie[no i loro cri5ci: Avete ragione che le idee del mondo an5co
sono diverse da quelle del mondo moderno. Tu@avia, queste categorie di credenze rimangono
invariabili e non scompaiono. Vi sono verità eterne come la libertà, la gius5zia… che sono comuni a
tu[ gli stadi della società, ma il comunismo abolisce le verità eterne invece di trasformarle quindi il
comunismo si me@e in contraddizione con tu[ gli svolgimen5 storici avu5 sino ad ora. Dicono,
dunque i cri5ci: amme[amo che l’umanità non sia rimasta costante nella storia, ma il 5po di
trasformazione sociale che i comunis5 preDgurano non sembra essere semplicemente quello nel
quale vi sia una modiDcazione delle idee degli uomini, ma sembra una dimensione in cui valori e idee
non debbano più avere posto. Una società nella quale scompaiono le gerarchie e delle dis5nzioni
sociali fra gli uomini renda impossibile la pra5ca di queste dimensioni della vita spirituale a uomini
che non siano più dis5n5 dagli altri come prepos5 a riservare tu@e le loro energie allo sviluppo di
ques5 ambi5 dell’esperienza umana. Di conseguenza lo spauracchio di una società imbes5alita nella
quale le esperienze più nobili divengano impossibili e l’uomo sia degradato a un animale.

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“Ma a che cosa si riduce quest’accusa? La storia della società che ci è stata Hno ad oggi si è mossa in
contrasG di classe che hanno avuto un aspe/o diWerente a seconda delle diWerenG epoche”.
L’accusa si riduce alla constatazione che al mutare delle epoche storiche, quindi al mutare delle
condizioni in cui il sistema economico è organizzato e contras5 di classe via via diversi, anche la
dimensione spirituale ha conosciuto trasformazioni.
“Lo sfru/amento di una parte della società per opera dell’altra parte è dato di fa/o di tuC i secoli
passaG, qualunque sia la forma che esso abbia assunto”.
Allora se alcuni uomini credono che determinate dimensioni di idee, come religione, DlosoDa… sono
eterne, a variare sono solamente le concezioni degli uomini da un’epoca all’altra della storia hanno
ragione solo da questo punto di vista: tu@e le società Dno ad ora conosciute hanno avuto al loro
interno come tra@o dis5n5vo la dis5nzione tra sfru@atori e sfru@a5 e coloro che scambiano come
eterne le dimensioni che passano so@o il nome di religione, DlosoDa, diri@o e poli5ca e imputano ai
comunis5 di non riconoscere il cara@ere assoluto e immodiDcabile di ques5 aspe[ della vita umana
e intelle@uale, sono coloro i quali danno per scontato che la dis5nzione tra sfru@atori e sfru@a5 non
possa mai cessare, ma soltanto si trasformi. L’accusa che i cri5ci del comunismo gli muovono, di voler
cancellare completamente tu[ ques5 ambi5 più eleva5 della vita, sono semplicemente coloro che
consacrano la diPerenza tra sfru@atori e sfru@a5 come dato ineliminabile. Ques5 valori più eleva5
sono sempre sta5 l’interesse delle diverse classi dominan5 nelle diverse epoche di abbellire e
consacrare il loro potere come qualcosa di indistru[bile. Una società nella quale questa dis5nzione
tra sfru@atori e sfru@a5 non ha più luogo potrebbe essere una società che potrebbe non aver più
bisogno delle dimensioni spirituali all’interno delle quali lo sfru@amento sia abbellito e quindi reso
ina@accabile da parte delle vi[me.
“Lo sfru/amento di una parte della società per opera dell’altra parte è dato di fa/o comune a tuC i
secoli passaG, qualunque sia la forma che esso abbia assunto, quindi non c’è da meravigliarsi che la
coscienza sociale di tuC i secoli si muova, nonostante ogni molteplicità e diWerenza, in certe forme
comuni, forme di coscienza, che si dissolvono completamente soltanto con la completa scomparsa
dell’antagonismo delle classi”.
Gli autori vogliono dirci che bisogna aspe@are se la DlosoDa, la religione, la poli5ca, il diri@o sono
dimensioni irrinunciabili nella vita umana. Vediamo se una società senza sfru@a5 avrà ancora bisogno
di queste dimensioni, quasi rappresentano quanto di più prezioso gli uomini sappiano ravvisare nella
loro condizione mondana.
“La rivoluzione comunista è la più radicale ro/ura con i rapporG tradizionali di proprietà, nessuna
meraviglia dunque che nel corso del suo sviluppo si rompa con le idee tradizionali nella maniera più
radicale”.
Il rapporto di inizia5va, il primato, della dimensione materiale rispe@o a quella spirituale viene
ribadito. Aspirano a una rivoluzione che cancelli i rappor5 tradizionali di proprietà sui quali si regge lo
sfru@amento di una società, è ovvio che anche sul piano spirituale si sperimenterebbe una ro@ura
mai conosciuta nel passato. Perché prima non si è mai potuto prescindere dalla dis5nzione tra
sfru@atori e sfru@a5, per questo le categorie spirituali pur modiDcandosi non sono mai state messe
in discussione come dimensioni connaturate alla esistenza umana. Quello che gli autori ci vogliono
dire è che la società che prospe@ano non avrà bisogno di queste gius5Dcazioni. Tu@avia, non ci
dicono cosa sarà des5nato a prendere il loro posto.
Ma lasciamo stare le obiezioni della borghesia contro il comunismo, sono obiezioni che hanno
portato via molto spazio all’interno di questa sezione del manifesto in5tolata “proletari e comunis5”
e che, tu@avia, a stre@o rigore, non sembravano dover cos5tuire il cuore di questa sezione, che dal
tutolo avremmo pensato des5nata a descrivere il rapporto tra proletario e comunista. Queste
obiezioni hanno richiesto tanto spazio proprio perché la preoccupazione degli autori è quella di
so@rare gli operai e i proletari all’inAuenza di queste obiezioni, soccombendo alla loro retorica, con la
quale i dirigen5 tentano di paralizzarli.

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“Il primo passo sulla strada della rivoluzione operaia consiste nel fa/o che il proletariato si eleva a
classe dominante e cioè nella conquista della democrazia”.
Punto importante: rapporto tra rivoluzione poli5ca e rivoluzione sociali, sebbene gli autori aPermino
il cara@ere dominante del momento economico e produ[vo rispe@o a tu@e le altre dimensioni, dal
punto di vista pra5co in quanto organizzatori del movimento operaio, gli autori devono anche
prestare a@enzione agli obie[vi intermedi e, di conseguenza, ogge@o delle rivoluzioni del 48, la
trasformazione dell’ordinamento poli5co in senso democra5co viene fa@a propria dai comunis5
come obie[vo intermedio in vista della più radicale trasformazione sociale alla quale i proletari sono
chiama5.
Democrazia governo della maggioranza. Potere del popolo, signiDcato le@erale del termine greco.
Dal momento che i proletari sono la maggioranza dei membri della società borghese ecco che
l’introduzione della democrazia avrebbe il signiDcato di trasferire il potere poli5co dalla borghesia al
proletariato. Quindi sebbene dal punto di vista ul5mo del comunismo la democrazia non è
suZciente, rappresenta comunque un passaggio importante e la presa del potere poli5co da parte
del proletariato una leva importante per a@uare la rivoluzione. La democrazia rappresenta un primo
passo al quale il movimento comunista guarda come indispensabile per raggiungere il suo auten5co
traguardo, che non è solo l’uguaglianza formale, ma materiale nel godimento delle risorse che la
produzione economica me@e a disposizione.
“Il proletariato adopererà il suo dominio poliGco per strappare a poco a poco alla borghesia tu/o il
capitale, per accentrare tuC gli strumenG di produzione nelle mani dello stato, cioè del proletariato
organizzato come classe dominante, e per molGplicare al più presto possibile la massa delle forze
produCve”.
Gli autori Dn qui sono sembra5 molto riserva5 nel descrivere come verrà a conDgurarsi la società
comunista, qui ci dicono qualcosa di più sul modo nel quale questo cambiamento dovrà avere luogo,
e rispe@o al richiamo enfa5co della rivoluzione del proletariato, questa non ci viene rappresentata
come un processo che si realizza dall’oggi al domani, ma come un processo graduale a@raverso la
trasformazione dei rappor5 poli5ci e sociali che il processo di declinazione della società borghese
perme@erà di a@uare. A poco a poco strappare alla borghesia il capitale, accentrare gli strumen5 di
produzione, è evidente che il proletariato, assunto il potere della democrazia nella dimensione
poli5ca, potrà legiferare in modo tale da erodere gradualmente anche il potere economico della
borghesia. Nelle mani di chi va a Dnire la proprietà che a poco a poco viene so@ra@a dalla borghesia?
Mediante magari a@raverso delle imposte che penalizzino i più ricchi. Qui ci viene de@o: lo
spostamento di tu[ gli strumen5 di produzione nelle mani dello stato. Prima potevamo chiederci,
chi sarà il 5tolare della proprietà colle[va? Qui gli autori ci rispondono. Pur essendo lo stato uno
degli ordinamen5 is5tuzionali della società tradizionale, o per lo meno borghese, che consacrano lo
sfru@amento esistente rappresentandolo come giusto, ebbene esso non sembra des5nato a
es5nguersi con il comunismo, ma diviene uno strumento al servizio del proletariato. Il proletariato
nel suo insieme deve prendere il posto dei singoli priva5 borghesi nella detenzione delle forze
produ[ve.
La società comunista a venire non deve rimanere indietro nella eZcacia e produ[vità del suo
sistema economico, anzi deve essere tanto migliore quanto più capace di aumentare le forze
produ[ve e quindi venire in contro ai bisogni materiali non solo di una parte dei membri della
società, quella avvantaggiata, ma di tu[. Quella comunista ci viene rappresentata dagli autori come
una società in cui le forze produ[ve verrebbero sviluppate in una misura così superiore da
soddisfare i bisogni di tu[, al contrario della società borghese. Quindi non c’è una acce@azione di
una povertà condivisa, ma una ambizione che prospe@a una società nella quale la capacità di
soddisfare i bisogni umani risul5 accresciuta.

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“Naturalmente ciò può avvenire in un primo momento solo mediante intervenG dispoGci nel diri/o di
proprietà e nei rapporG borghesi di produzione. Cioè per mezzo di misure che appaiono insuUcienG e
poco consistenG dal punto di vista dell’economia, ma che nel corso del movimento si spingono al di là
dei propri limiG e sono inevitabili come mezzi per il rivolgimento dell’intero sistema di produzione”.
Qui abbiamo una speciDcazione mediante una descrizione più accurata di come il dominio poli5co
del proletariato perme@a a poco a poco di espropriare dei propri beni la borghesia. Si tra@a di
interven5 dispo5ci, il dispo5smo di per sé rimanda all’idea di un potere esercitato in maniera
oppressiva e arbitraria, ma gli autori ci dicono che in un certo qual senso ciò è vero se noi ci caliamo
nell’o[ca della borghesia che si troverà a subire l’azione poli5ca del proletariato. Dispo5smo
esercitato dalla maggioranza sulla minoranza. La maggioranza può legiferare senza tenere conto dei
bisogni e delle idee della minoranza, essa non potrà che so@ostare ad una legislazione che dal loro
punto di vista è oppressiva e quindi più dispo5ca, ma che nell’o[ca generale è salutare. Quindi
sanno bene che questa società all’inizio comporterà una lesione a dei diri[ ritenu5 Dno a quel
momento inviolabili, ma che essa è inevitabile e che l’oPesa a ques5 diri[ altro non sia che la
riparazione di un’oPesa ancora più an5ca ai tempi di quando, essendo sfru@a5, non sono percepi5
come detentori di diri[, anche se nella teoria lo sarebbero.
“Non sono che appelli insuUcienG e poco consistenG dal punto di vista dell’economia”.
Obiezioni andavano nella direzione di me@ere in dubbio che questa società dal punto di vista
economico potesse funzionare bene. Questo trasferimento di proprietà dai priva5 allo stato
rappresenterà una forma di impoverimento dell’inizia5va economica, senza il desiderio di diventare
più ricchi, di poter tramandare i mezzi per godere di questo tenore di vita superiore, senza queste
molle l’uomo perde l’intraprendenza e non è più spinto come prima al lavoro. Quindi come potete
pensare voi comunis5 che essendo scardinate queste molle la società sarà più ricca e più capace di
soddisfare i bisogni? Gli autori qui fanno una concessione a questa obiezione: è ovvio che queste
misure non basteranno, ma rappresentano solo uno stadio di passaggio, però indispensabile per far
scomparire la dis5nzione tra sfru@atori e sfru@a5. Il danno di eZcienza produ[va iniziale sarà
necessario.
“Queste misure saranno naturalmente diWerenG a seconda dei diWerenG paesi”.
Questo è un grande problema con cui il comunismo si è dovuto confrontare, le diPerenze di sviluppo
dell’economia capitalis5ca tra i paesi si rispecchieranno nel fa@o che i provvedimen5 dei quali il
proletariato dovrà avvalersi per espropriare la borghesia dei propri beni potranno essere diversi.
Qui possiamo concludere che nella mente degli autori il passaggio al comunismo non deve seguire
per forza un passaggio obbligato e una certa strada ovunque, ma ragionano nei termini di essere i
teorici di un movimento che si rivolge a tu[ gli sfru@a5 di tu[ gli angoli della terra e quindi amme@e
il ricorso a strumen5 diPerenzia5 a seconda delle diverse condizioni economiche. Questo è un
aspe@o che avrà una lunga vita e diverse ripercussioni poi nella storia, basta pensare che la prima
società ePe[vamente capitalis5ca fu quella russa, di certo non quella più avan5 dal punto di vista
industriale, ma gli autori questo non se lo sarebbero di certo aspe@ato.
“Tu/avia, nei paesi più progrediG potrebbero essere applicaG quasi generalmente i provvedimenG
seguenG:”
Abbiamo una sorta di programma che in maniera sommaria ci dice che sono 10 i comandamen5
(richiamo alla religione) al quale il proletariato dovrà a@enersi per a@uare la rivoluzione:
- Espropriazione della proprietà fondiaria e impiego della rendita fondiaria per le spese dello
stato. So@razione della rendita dalle tasche dei proprietari, con la quale potranno venire
foraggiate determinate spese dello stato che si assume debbano avere luogo per ePe@uare la
transizione da un’economia priva5sta a una socialista.
- Imposta fortemente progressiva. La terra non può appartenere a priva5, ma deve essere un
valore comune, per quanto riguarda la proprietà Dnanziaria, su di esso si inciderà per via
Dscale con un’imposta progressiva, cioè quanto più uno guadagna tanto maggiore è la
percentuale del guadagno che questo sogge@o è costre@o ad alienare a beneDcio dello stato
a@raverso le tasse. Se io guadagno 10 do allo stato 2, se io guadagno 100 do allo stato 20.

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La proporzione di questo prelievo Dscale è la stessa, ma è evidente che in questo modo la


disparità di mezzi e risorse da chi guadagna 10 e chi 100 non venga assolutamente intaccata.
Se invece presuppongo che colui che guadagna 100 debba versare 40, è evidente che in
questo modo l’imposizione Dscale avrà agito nei confron5 della disparità economica fra chi
guadagna 10 e chi 100. Quindi si arriverà al punto che chi possiede tanto dovrà redistribuire
la maggior parte della sua ricchezza allo stato e quindi i suoi beneDci economici saranno
annulla5.
- Abolizione del diri@o di successione. Punto fermo dei teorici del movimento socialista.
Incidere sull’ereditarietà per incidere sui rappor5 di proprietà. Se quest’ul5ma si trasme@e
inta@a ai discenden5 con5nuerà ad esserci una distribuzione di proprietà iniqua anche nel
futuro. Se invece si me@e in discussione il principio dell’ereditarietà, ecco che per quanto nel
corso della sua vita un uomo possa arricchirsi tu@o questo suo grande sforzo cesserà di avere
ePe@o con la sua morte e ci sarà una redistribuzione del suo ricavato. “conDsca della sua
proprietà di tu[ gli emigra5 e i ribelli” mol5 saranno indo[ a scappare, a seguito della
rivoluzione del proletariato, pur di so@rarsi alla spogliazione, ma tu[ i beni lascia5 in patria
dai fuggiaschi andranno considera5 di proprietà comune. Fenomeno che si è puntualmente
prodo@o poi nella storia del socialismo. Agli occhi degli autori un provvedimento del genere
non solo è giusto ma necessario.
- Accentramento del credito nelle mani dello stato. Le banche sono un grande ritrovato della
società borghese moderna, che devono prestare denaro a coloro che non hanno capitale a
suZcienza, ma vogliono avviare società produ[ve. Grande leva della società borghese
moderna. Per quanto riguarda il sistema bancario ci sarà una sola grande banca centralizzata
che a[nga il proprio capitale dire@amente dallo stato mediante le risorse che le tasse
me@ono a disposizione e che abbia il monopolio esclusivo di elargire il credito. Non possono
agire altre banche su base priva5s5ca.
- Accentramento di tu[ i mezzi di trasporto nelle mani dello stato . Si parla sopra@u@o di navi
e treni, ma anche i mezzi di trasporto su ruote quali carri e carrozze che devono essere di
proprietà statale e messi a disposizione di tu[.

Diciasse@esima lezione
- Mol5plicazione delle fabbriche tradizionali, degli strumen5 di produzione, dissodamento e
miglioramento della rendita dei terreni secondo un piano colle[vo. L’economia capitalis5ca
ha la tendenza naturale a espandersi e accrescere gli strumen5 di produzione rendendola più
eZciente. Ma le crisi alle quali la società capitalis5ca va periodicamente in contro,
producendo troppe merci, non devono esserci. Abolito il meccanismo di compe5zione
selvaggia fra i produ@ori, se ne deve instaurare un altro nel quale la pianiDcazione centrale
dei bisogni della società perme@a di distribuire le risorse e le forze dei lavoratori in dei canali
che non determinino un eccesso di produzione e la carenza di altri beni a cui invece la
società capitalis5ca lasciata a se stessa portava.
- Eguale obbligo di lavoro per tu[ cos5tuzione di eserci5 industriali specialmente per
l’agricoltura. Rappresentazione dei lavoratori come solda5, che per gli autori rappresentava
una cosa nega5va, anche il cara@ere impersonale del rapporto di lavoro, questa
rappresentazione non sembra essere qui del tu@o respinta, ma essere rivisitata in una chiave
diversa, che ai loro occhi non debba contemplare lo sfru@amento, anche in base al principio
dell’eguale obbligo di lavoro per tu[. Agge[vo “eguale”, esistenza all’interno delle società
capitalis5che di una fe@a di popolazione che può fare a meno di lavorare essendo
abbastanza ricca, nella società comunista tu[ saranno costre[ a lavorare, scompare questa
disparità di sor5 fra gli appartenen5 della società stessa. Ciò comporta ore e condizioni di
lavoro più sopportabili. Si so@olinea, specialmente per l’agricoltura, che va industrializzata, la
convinzione degli autori è che essa divenga tanto più produ[va quanto più venga esercitata

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in maniera organizzata. Non si può aZdare la reddi5vità del lavoro agricolo all’inizia5va
privata.
- UniDcazione dell’esercizio dell’agricoltura e dell’industria in misure a@e a eliminare
l’antagonismo tra ci@à e campagna. La Dgura del contadino possidente rappresentava un
potenziale impedimento alla realizzazione del comunismo, l’antagonismo tra ci@à e
campagna nasce dalle modalità diverse di lavoro che dis5nguevano l’industria
dall’agricoltura. Questo antagonismo va tendenzialmente eliminato, contadini e operai
devono andare a formare una classe unica cara@erizzata da interessi comuni e non
antagonis5.
- Istruzione pubblica e gratuita di tu[ i fanciulli in modo da estrarre il bambino dal mondo del
lavoro nelle fabbriche in età già infan5le. In questa forma di società egualitaria non devono
permanere diPerenze rispe@o al grado di istruzione e cultura raggiunto dai membri della
stessa. Ma siccome il lavoro deve essere obbligatorio per tu[ c’è la combinazione
dell’istruzione con la produzione, lo studio e il lavoro devono alternarsi nella vita di ciascuno
di noi, magari anche oltre l’età infan5le nella quale si pensa che lo studio debba
rappresentare la priorità, ma deve protrarsi anche all’età più matura. Cara@ere forma5vo,
che evita la creazione di gruppi di individui i quali esenta5 dal lavoro possano sen5rsi
superiori agli altri. L’eliminazione delle diPerenze di classe sarà un processo lungo, non
scompariranno subito.
“Quando tu/a la produzione sarà concentrata in mano agli individui associaG, il pubblico potere
perderà il suo cara/ere poliGco”.
Abbiamo visto prima il ruolo dello stato: la proprietà terriera, la banca nazionale… ma questo ruolo,
gli autori sembrano farci capire, ha molto a che vedere con la fase di transizione, ma una volta che si
sarà creata ePe[vamente la società comunista l’esistenza di un potere pubblico cos5tuito perderà in
qualche modo la sua ragion d’essere, avente a che fare con la necessità di mantenere un ordine che
non tu[ i membri della società sembrano gradire sia in vigore. Lo Stato non dovrà più esercitare il
ruolo di autorità sorvegliante e repressiva, non sarà più il detentore della proprietà colle[vizzata,
quest’ul5ma apparterrà a questa Dgura meno facilmente inquadrabile quali sono gli “individui
associa5”.
“In senso proprio, il potere poliGco è il potere di una classe organizzato per opprimerne un’altra”.
La convinzione degli autori è che il potere poli5co ha stre@amente a che fare con la divisione della
società in classi e con lo sfru@amento, quindi può permanere nella società comunista in gestazione,
perché vi saranno membri che tenderanno a ribellarsi e dovranno essere rido[ all’ordine. Ma una
volta che questa opposizione interna scompare, per il buon funzionamento della società, la necessità
dell’apparato repressivo, che cos5tuisce il tra@o dis5n5vo dello Stato, verrebbe meno.
“Il proletariato, unendosi di necessità in classe nella lo/a contro la borghesia, facendosi classe
dominante a/raverso la rivoluzione e abolendo con la forza gli anGchi rapporG di produzione,
abolisce insieme ad essi le condizioni di esistenza dell’antagonismo di classe, cioè abolisce le
condizioni di esistenza delle classi in genere e così anche il suo proprio dominio in quanto classe”.
Siamo di fronte all’unico esempio di una classe la quale grazie alla sua stessa inizia5va Dnisce per
distruggere le condizioni a@raverso le quali essa esercita un dominio sulla classe antagonista, ma
proprio perché il proletariato è la classe degli sfru@a5 che esercita il dominio sulla classe degli
sfru@atori solo Dn quanto basta per formare le condizioni in cui una produzione impegnata sullo
sfru@amento non serva più. Una volta colle[vizza5 i mezzi di produzione e i prodo[ della
produzione stessa, siano proprietà degli individui associa5, una volta creata questa condizione la
necessità di reprimere qualcuno viene meno. Quindi lo Stato stesso, inteso come l’autorità preposta
alla repressione, perde la sua funzione.
La difesa della proprietà privata, che rappresenta una delle mansioni dello Stato, ha senso solo sin
tanto che la proprietà esiste e torna comoda solo a chi la proprietà detenga, perché chi ne è privo
non sa di cosa farsene di questo is5tuto. Ecco in questo senso il potere poli5co è l’espressione di una

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disuguaglianza interna alla società in virtù della quale chi ne trae beneDcio ha bisogno di uno
strumento di repressione nei confron5 di coloro che recriminano questo vantaggio.
“Alla vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi tra le classi, subentra una
associazione, in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione per il libero sviluppo di tuC”.
Formula e preDgurazione di quale sia la natura radicalmente nuova della società comunista, che i
teorici del socialismo tendono a prospe@are, quanto realizzabile rimane rimesso alla Dducia di coloro
che questo ideale lo fanno proprio.
Tornaconto di tu[ è il fa@o che individualmente presi tu[ i membri della società possano
svilupparsi. In una società comunista non è pensabile che qualcuno goda di agi dei quali altri siano
privi, anzi solo in quanto ques5 agi siano di tu[, saranno di tu[ come colle[vità. Non posso avere
un libero sviluppo se non ce l’hanno anche tu[ gli altri singoli individui della società. Gli agi e i
beneDci si mol5plicano quanto più sono diPusi in maniera eguale, la condizione che questo possa
realizzarsi è che i mezzi di produzione vengano detenu5 dalla colle[vità. La società comunista da
loro concepita è una società dove viene a scomparire il principio della compe5zione, non posso
godere di qualcosa che vale solo nel momento in cui questo non è goduto da altri, mentre ciò che è
comune a tu[ è ciò che vale di meno. Queste sono società basate sullo sfru@amento. Mentre per gli
autori, la più completa realizzazione di ognuno di noi, nella società che prospe@ano, sia l’ePe@o per il
quale tu[ gli altri riescano a compiere una realizzazione di se stessi. Come questo possa darsi è
naturalmente un problema, ma alla luce delle raccomandazioni citate sopra, possiamo immaginarci
quali sono le condizioni preliminari che loro immaginano. Tu@e condizioni che preDgurano
l’abolizione di disparità delle risorse. Questo non deve rappresentare un ingrigimento della vita
umana, ma al contrario una liberazione da una serie di assilli che le società compe55ve tendono a
sviluppare nei loro membri, con risulta5 nega5vi. Sebbene gli autori insistono sul cara@ere scien5Dco
della loro do@rina, e sul suo fondamento storico, aZora comunque un lato morale.

3. IL SOCIALISMO REAZIONARIO
Sembra un ossimoro questa formula, se è l’ideale di una società a venire, come fa a rappresentare
una reazione? Ci sono una serie di vi[me dello sviluppo industriale della società borghese che
possono ingenuamente o in maniera interessata rimpiangere il passato e contestare su questa base
lo sviluppo della società borghese. C’è il rischio che il socialismo venga proie@ato all’indietro e quindi
per promuovere un ritorno all’an5co, rappresentando i rappor5 di una volta come maggiormente
ispira5. Quindi il socialismo reazionario è formato da uomini interessa5 ad arrestare lo sviluppo della
società borghese, ma che auspicano a un ritorno al passato.
“Data la sua posizione storica…”.
Qui vediamo la prima 5pologia del socialismo reazionario, chiamato “socialismo feudale” e questo
agge[vo già ci dice molto, è il socialismo così come lo presentano i difensori della società feudale.
“… l’aristocrazia francese e inglese era chiamata a scrivere livelli (scriC polemici) contro la moderna
società borghese...”.
Proprio francese e inglese perché sono i due paesi dove l’industrializzazione capitalis5ca è progredita
di più e quindi la sos5tuzione della aristocrazia con la borghesia è progredita di più, e l’aristocrazia
espropriata dei suoi privilegi è più scontenta.
“…nella Rivoluzione Francese del Luglio 1830, nel movimento inglese per la riforma ele/orale
l’aristocrazia era soggiaciuta ancora una volta all’aborrito nuovo venuto (borghesia).”
I due fenomeni a cui alludono sono la Rivoluzione di Luglio del 1830, che decretò la Dne della
restaurazione post-napoleonica, quindi la caduta della dinas5a regnante dei Borboni, che era stata
restaurata nel 1815 ed era andato sul trono un fratello minore di Luigi XVI, che era stato
ghiglio[nato. E nel 1830 la sos5tuzione di Carlo X (fratello minore di luigi XVI) con un nuovo re preso
da un ramo cade@o, cioè da un Dglio non primogenito della famiglia regnante. Questo re Luigi Filippo
era stato messo sul trono per fare gli interessi della borghesia e doveva consacrare l’avvento di una
società più liberale, nel senso borghese del termine, che con l’avvento di Napoleone si aveva 5more
potesse essere soPocata.

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In Inghilterra, nel fra@empo, vi era stata una riforma del diri@o di voto che aveva allargato la
partecipazione al voto a una serie di sogge[ che Dno a quel momento ne erano esclusi, si era
allargata la platea di votan5 a una fe@a superiore di esponen5 della borghesia, privi di nobili natali.
A seguito di ques5 due sviluppi in Inghilterra e in Francia, di nuovo, aristocra5ci sconten5, che
vedevano minacciata la loro posizione di forza, avevano preso la penna per dipingere a 5nte fosche il
modello di società che la borghesia industriale stava venendo ad imporre a tu[.
Non c’era più da pensare a una mera lo@a poli5ca, che si potesse davvero ritornare al feudalesimo
era ormai escluso, era quindi il momento di tradurre questa lo@a infru@uosa in una sorta di guerra di
retroguardia degli intelle@uali fa@a per me@ere in ca[va luce i borghesi.
“Ma anche nel campo della le/eratura la vecchia fraseologia dell’età della restaurazione era ormai
impossibile. Per destare qualche simpaGa l’aristocrazia era costre/a a distogliere gli occhi, in
apparenza, dai propri interessi e a formulare il suo a/o d’accusa contro la borghesia solo
nell’interesse della classe operaia sfru/ata”.
Mentre Dno all’età della restaurazione, 1815, i vecchi ce5 privilegia5 avevano creduto di poter
difendere la loro causa idealizzando il passato e sopra@u@o difendendo la legi[mità dei loro diri[, e
quindi respingendo la raZgurazione di privilegi che ne davano i borghesi. Dopo la svolta del 1830 in
Francia e in Inghilterra questa celebrazione del medioevo come un’era di più eleva5 valori non è più
credibile. Troppo evidente è l’interesse malcelato di coloro che difendono i vecchi privilegi e ques5
cosa fanno, cercano di ca@urare la Dducia dei nuovi esclusi e cioè gli operai. I vecchi privilegia5 sono
alla ricerca di allea5 per difendere le loro preroga5ve residue.
“Così essa preparava la soddisfazione di intonare inveCve contro il suo nuovo signore (borghesia) e
di potergli mormorare all’orecchio profezie più o meno gravi di sciagura”.
Gli autori non sembrano prendere molto sul serio ques5 scri@ori della nobiltà che bollano di
ingius5zia il governo della borghesia presentandosi come sensibili alla situazione degli operai.
Sembra che vogliano sibilare nell’orecchio dei nuovi dominan5 la minaccia che “come siamo cadu5
noi cadrete voi”
“Sorse a questo modo il socialismo feudalisGco, metà lamentazione, metà scri/o polemico, metà
riecheggiamento del passato, metà minaccia del futuro. A volte colpisce al cuore la borghesia con un
giudizio amaro e spiritosamente sarcasGco, ma ha sempre un eWe/o comico per la sua totale
incapacità di comprendere il corso della storia moderna”.
I cri5ci della borghesia dal passato, anche se magari trovano, essendo col5, delle espressioni
folgoran5 per denunziare l’ingius5zia del potere che i borghesi detengono non riescono a non
uscirne ridicoli e comici, per il fa@o che sono quello che sono, cioè ex privilegia5 che indossano panni
moralis5, e il loro interesse recondito è semplicemente quello di poter tornare a ciò che erano in
passato, cioè loro gli sfru@atori.
“QuesG aristocraGci hanno impugnato la proletaria bisaccia da mendicanG agitandola come
bandiera per raggruppare dietro a sé il popolo”.
Perché gli autori si accaniscono tanto con ques5 sogge[? Il senso non sta solo nel fa@o che ques5
sogge[ sono pur sempre an5chi sfru@atori e sognano di riacquisire il loro posto, ma sta anche nella
preoccupazione che questo genere di predicazione nostalgica possa far breccia nella mente
dell’operaio, che potrebbe arrivare a credere che davvero in passato si stesse meglio e quindi, venga
distolto dall’azione rivolta alla creazione della società comunista che gli autori auspicano. Quindi
cercano di colpire un concorrente, che appare improprio, ma che potrebbe sedurre coloro che invece
sono i des5natari privilegia5 del messaggio degli autori.
“Ma tu/e le volte che li ha seguiG il popolo ha visto sulle loro parG posteriori i vecchi blasoni feudali,
e si è sbandato con forG e riverenG risate”.
Con5nua la raZgurazione comica di ques5 an5chi nobili, dicendo che sul loro sedere si vede la
traccia dei loro an5chi blasoni, che un tempo li abbellivano.
“Una parte dei legiCmisG francesi e la giovane Inghilterra hanno oWerto questo spe/acolo”.
I legi[mis5 erano coloro che rivendicavano la legi[mità del buon tempo an5co, cioè i diri[ aboli5
in quanto ritenu5 privilegi del clero e della aristocrazia.

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“Giovane Inghilterra”, nome del par5to poli5co, che era divenuto l’emblema di un movimento
interno al par5to conservatore che esecrava l’allargamento al diri@o di voto.
“Quando i feudali dimostrano che il loro sistema di sfru/amento era diverso dallo sfru/amento
borghese essi soltanto dimenGcano che esercitavano lo sfru/amento in circostanze e condizioni
totalmente diWerenG e che queste condizioni oggi hanno fa/o il loro tempo”.
Non hanno torto ques5 an5chi oppressori a dire che il loro genere di oppressione era diverso e può
anche darsi che per cer5 aspe[ fosse più mite e tollerabile, ma ciò che i socialis5 reazionari
dimen5cano di dire è che le condizioni ogge[ve per la restaurazione della società passata non
esistono più.
“Quando dimostrano che il proletariato moderno non è esisGto al tempo del loro dominio
dimenGcano soltanto che la borghesia moderna è un necessario rampollo del loro ordine sociale”.
L’autore vuole dire che la società borghese presente è stata un prodo@o proprio della società
feudale, suo malgrado, la quale ha lasciato ai borghesi una serie di a[vità e il campo libero per
determinate inizia5ve che hanno Dnito per concentrare nelle mani della borghesia dei capitali che
sono sta5 la leva per l’industrializzazione. Quindi coloro che rimpiangono il passato non capiscono
che il presente è il Dglio di esso e che anche se si dovesse tornare indietro poi il presente
rinascerebbe.
“Del resto costoro celano tanto poco il cara/ere reazionario della loro criGca che la loro principale
accusa contro la borghesia è proprio che so/o il suo regime si sviluppa una classe che farà saltare in
aria tu/o quanto l’ordine sociale”.
Cara@ere reazionario, deDnizione dell’a@eggiamento di coloro che vogliono cancellare gli ePe[ di
una rivoluzione, per riprodurre l’ordine preesistente ormai non più reale. Questo cara@ere è
talmente nascosto nei cri5ci, vecchi privilegia5, che l’accusa principale che essi sanno muovere ai
borghesi è quella di aver creato il proletariato, che essi dicono s5a molto peggio di quanto stavano gli
sfru@a5 del passato. Di auten5co, di nuovo e di credibile ques5 cri5ci non hanno nulla, perché
riescono ad aggrapparsi allo stesso argomento dei comunis5, con la diPerenza che ques5 ul5mi
vogliono guardare avan5, sognando l’instaurazione di una società diversa, mentre ques5 vecchi
privilegia5 sognano di tornare indietro, a una società con le vecchie disuguaglianze.

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Dicio@esima lezione
1. IL SOCIALISMO REAZIONARIO.
a) Il socialismo feudale.
In questo caso coloro che si fanno i difensori, almeno in apparenza, delle classi povere sono in realtà i
detentori di quei privilegi feudali, che spoglia5 di queste loro preroga5ve sognavano un ritorno al
passato, all’an5co regime, società nella quale nobiltà e clero godessero della posizione di pres5gio
massima. In quanto ormai era evidente che un ritorno al passato non fosse più possibile tendevano a
presentarsi come i paladini umanitari delle condizioni di vita precarie del proletariato industriale, al
Dne di u5lizzare il consenso di quest’ul5mo contro la borghesia, per salvaguardare quel che restava
della propria tradizionale rendita di posizione. Nobiltà che tende a presentarsi come una classe
sociale più benigna della borghesia dalla parte del popolo e quindi maggiormente meritevole del
sostegno di quest’ul5mo. Questa denuncia dimen5ca di riconoscere che la società borghese e
l’industria sono fenomeni che aPondano le loro radici proprio nella società feudale stessa nella quale
si fonda la restaurazione. L’e5ca della nobiltà non era un’e5ca del lavoro, ma era più basata sul valore
dell’onore, che la nobiltà non si procurava con il lavoro, ma con altre a[vità, prima di tu@e quella
militare, proprio per questo mo5vo la tradizionale aristocrazia tendeva a tenersi lontana dalle a[vità
commerciali, ar5gianali e Dnanziarie… che però via via nel tempo erano venute crescendo, Dno ad
accrescere enormemente il potere della borghesia che piano piano strappò via il potere
dall’aristocrazia stessa.
“Del resto essi nascondono così poco il cara/ere reazionario della loro criGca, che la loro principale
accusa contro la borghesia è precisamente quella che so/o il suo (borghese) regime si sviluppa una
classe che manderà̀ per aria tu/o quanto il vecchio ordinamento sociale. Essi rimproverano alla
borghesia non tanto di produrre un proletariato in generale, quanto di produrre un proletariato
rivoluzionario”.
Marx ci dice che ques5 autori tradiscono l’impronta reazionaria della loro denunzia alla società
borghese nel momento in cui non esprimono la Dducia che il proletariato possa emanciparsi dalla sua
servitù, ma piu@osto additano il proletariato agli occhi dei borghesi stessi come una parte della
società che Dnirà per ribellarsi, pericolosa. Ques5 scri@ori mostrano sensibilità e compassione verso
il proletariato per cercare di accreditarseli come amici, ma i loro interlocutori veri sembrano i
borghesi, per me@erli in guardia del fa@o che questa massa di sfru@a5 li spazzerà via, il so[nteso del
discorso è che i borghesi dovrebbero conservare buoni rappor5 con gli aristocra5ci al Dne che essi
possano aiutarli a tenere a bada il proletariato.
“Perciò̀ nella prassi poliGca essi partecipano a tu/e le misure di violenza contro la classe operaia, e
nella vita di tuC i giorni si ada/ano, malgrado il loro gonHo frasario, a cogliere le mele d'oro e a
bara/are fedeltà̀, amore e onore con lana, barbabietola e acquavite”.
Gli autori denunziano la contraddizione pra5ca nella quale i nostalgici dell’ordine feudale vivono.
Quando il proletariato intraprende davvero inizia5ve per risca@arsi dalla sua condizione di
emarginazione, immediatamente si scopre che i suoi a@esi amici nobiliari si me@ono in realtà in
difesa dell’ordine cos5tuito e quindi contro l’azione del proletariato, che difendono solo a parole, ma
non nei fa[. Le metafore dimostrano che i nobili sono subito pron5 a rinunciare ai loro valori tanto
decanta5, per ridursi a cercare di trarre guadagno da alcune a[vità, spesso anche disdicevoli, che la
borghesia non ha mai esitato di pra5care (commercio degli alcolici, della lana…). “Si ada@ano a
raccogliere le mele doro” rimando alla tradizione della mitologia greca, in cui c’era una fanciulla di
origini divine (Atalanta), la quale non volendosi sposare sDdava i suoi ammiratori a una gara di corsa,
e siccome lei era velocissima non sarebbero mai riusci5 a superarla, ma uno di ques5 ebbe la
furbizia, nel mentre le correva davan5 di ge@arle delle mele d’oro lungo il percorso che la fanciulla si
fermava a raccogliere per la loro bellezza, perdendo così terreno nella gara. In questo caso le mele
d’oro sono meno pregiate e raZnate perché rappresentano il guadagno di queste sporche a[vità,
che la nobiltà si vorrebbe molto più elevata dei suoi compe5tori borghesi in realtà non disdegna
dallo svolgere, in quanto si rende conto di non poter più sopravvivere grazie a privilegi ormai
decadu5 e quindi deve imparare i mes5eri della borghesia.

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“Come il prete andò̀ sempre d'accordo con i feudali, così il socialismo clericale va d'accordo col
socialismo feudale”.
Così come nobiltà e clero sono sempre sta5 due ce5 privilegia5, così oggi, che l’uno e l’altro sono
sta5 sopravanza5, entrambi si dedicano a questa a[vità di lamentazione e deprecazione della sorte
in cui la borghesia riduce il proletariato. Gli autori vogliono screditare queste forme di socialismo che
sembravano di voler additare alla società borghese una sorta di regno del demonio, rappresentando
invece quella feudale come devota e religiosa, quindi dove anche la sorte dei poveri fosse migliore,
suggerendo quindi una redistribuzione di beni ai poveri ispirata a quella del vangelo. Gli autori
vogliono suggerire che anche questo socialismo a sfondo cris5ano non rappresenta la soluzione, in
quanto anche la religione ormai è tropo compromessa dal dover difendere l’ordine cos5tuito per
essere ePe[vamente credibile.
“Nulla di più̀ facile che dare all'asceGsmo crisGano una vernice socialista. Il crisGanesimo non ha forse
inveito anche contro la proprietà̀ privata, contro il matrimonio, contro lo Stato? Non ha forse
predicato in loro sosGtuzione la beneHcienza e la mendicità̀, il celibato e la morGHcazione della carne,
la vita claustrale e la Chiesa? Il socialismo sacro è soltanto l'acqua santa con la quale il prete
benedice il dispe/o degli aristocraGci”.
Gli autori ci dicono che il clero non cessa ancora nella sua funzione di sostegno ideologico e morale
dell’aristocrazia, in quanto per tanto tempo ha celebrato valori che appaiono in contraddizione con
quelli propri della borghesia: povertà, contenimento di desideri e passioni, valore della verginità.
Tu[ ques5 valori ad oggi tornano buoni ai socialis5 cris5ani per dipingersi come più vicini alla vita di
soPerenze e rinunzia alla quale il proletariato è costre@o. L’ipocrisia consiste nel fa@o che non si
invita il popolo a sollevarsi contro questa condizione, ma al contrario la si trasDgura in qualcosa di più
nobile e vicino a Dio che di conseguenza non si dovrebbe più sperare di abolire. La deprecazione del
modo di vivere borghese, lontano dalla cura dell’anima e troppo a@ento ai bisogni materiali, si risolve
solo nel sostegno dato ai reclami arrabbia5 dell’aristocrazia, che si vede messa ai margini dalla
borghesia nel godimento del potere e della ricchezza e che vuole riguadagnare terreno,
presentandosi come più benigna verso il popolo. Sono delle cri5che che vanno prese con una certa
cautela, gli autori hanno ogni interesse a smascherare come ipocri5 i loro compe5tori, ma ques5
autori, di movimen5 anche sociali, non erano interamente così o@usi o interessa5 come possono
apparire dalla le@ura di queste righe, ma una buona fede nella loro causa magari c’era davvero, e ciò
li rendeva anche credibili ad alcuni. Quindi l’opera di smascheramento è tanto più feroce quanto più i
due (Marx ed Engels) sono preoccupa5 della concorrenza di ques5 autori aristocra5ci.

b) Il socialismo piccolo-borghese.
Di questo fa la parte di borghesia che non riesce per mancanza di mezzi e capitale tenere il passo
della borghesia più ricca e che si vede a poco a poco calare in basso verso la condizione del
proletariato.
“L'aristocrazia feudale non è la sola classe che sia stata rovesciata dalla borghesia, che abbia visto le
proprie condizioni di vita paralizzarsi e morire nella moderna società̀ borghese. I borghigiani
medievali e il piccolo ceto rusGco (contadini) furono i precursori della borghesia moderna. Nei paesi
in cui il commercio e l'industria sono meno sviluppaG, questa classe vegeta ancora accanto alla
borghesia che si sta sviluppando”.
La borghesia è nata nel medioevo da ce5 che appartenevano agli sfru@a5 e che a poco a poco si è
sviluppata facendo fru@are le a[vità che l’aristocrazia considerava indegne. Ma nei Paesi non ancora
del tu@o sviluppa5 sopravvivono ancora ques5 ce5 borghesi più piccoli, che però vedono minacciate
le loro condizioni di vita non riuscendo a stare al passo della borghesia più ricca. Quindi insorgono
contro questo des5no che li vorrebbe ridurre al rango dei proletari.

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“Nei Paesi dove la civiltà̀ moderna si è sviluppata, si è formata una nuova piccola borghesia, che
oscilla tra il proletariato e la borghesia e si viene sempre ricosGtuendo come parte integrante della
società̀ borghese, i cui componenG però, conGnuamente ricacciaG nel proletariato per eWe/o della
concorrenza, per lo sviluppo stesso della grande industria, vedono avvicinarsi un momento in cui
spariranno completamente come parte autonoma della società̀ odierna e saranno sosGtuiG nel
commercio, nella manifa/ura e nell'agricoltura da ispe/ori e domesGci”.
Questo è un quadro che complica un poco l’apparente sempliDcazione dei rappor5 che gli autori
inizialmente ci avevano presentato: non ci sono solo sfru@atori e sfru@a5, borghesi e proletari. Qui ci
viene de@o che nella società borghese c’è una sorta di cuscine@o fra le due classi, rappresentato
proprio da questa piccola borghesia, che svolgono una serie di piccole mansioni tese al
miglioramento delle condizioni di vita della borghesia agiata e interviene fra essa e il proletariato
come un elemento di separazioni e ne riduce l’a@rito. Ma gli autori non rinunciano alla loro tesi che
la lo@a si risolverà semplicemente tra borghesi e proletari, però qua dicono che la piccola borghesia
viene con5nuamente riprodo@a dalla società industriale, variandone però sempre i componen5, che
tendenzialmente tendono a scivolare nel proletariato, ma vengono riprodo[ in forme sempre
diverse rispe@o al passato. La tendenza è di trasformare in lavoratori salaria5, tra@a5 in qualche
modo meglio rispe@o al proletariato, ques5 piccoli borghesi.
“In Paesi come la Francia, dove la classe rurale forma più̀ di metà della popolazione, era naturale che
gli scri/ori, i quali scendevano in campo contro la borghesia a favore del proletariato, applicassero
nella loro criGca del regime borghese la scala del piccolo borghese e del piccolo possidente contadino,
e che pigliassero parGto per gli operai dal punto di vista della piccola borghesia. Si formò così il
socialismo piccolo-borghese”.
La scala del piccolo borghese e del contadino è la scala nel senso dell’unità di misura, che indica la
proporzione che esiste tra le due classi, come dire ques5 personaggi che scrivono contro il
proletariato possono anche farlo dei criteri e dei valori proprio di questa piccola borghesia
minacciata di es5nzione. Sopra@u@o in Francia dove è molto folta, proprio in conseguenza della
Rivoluzione, è la classe sociale dei contadini piccoli proprietari terrieri. Con la Rivoluzione i grandi
feudi possedu5 dalla nobiltà e ancor più dalla chiesa erano sta5 spezze@a5 e cedu5 dallo stato ai
contadini che prima li lavoravano per conto del Signore. Ques5 contadini erano porta5 a difendere il
diri@o di proprietà, ma dall’altro lato non avevano i mezzi per competere contro l’esercizio
dell’agricoltura su scala industriale, né con la concorrenza di derrate alimentari e merci agricole
provenien5 dall’estero, che erano più a buon mercato. Ciò fa sì che anche questo genere di sogge[
sociali possa vivere con paura l’espansione del capitalismo industriale e vaneggiare, in maniera
ancora una volta ipocrita, condizioni di vita vecchie in cui la loro condizione era più sicura.
“Sismondi è il capo di questa le/eratura non soltanto per la Francia, ma anche per l'Inghilterra”.
Sismondi era un cri5co dei meccanismi dell’industria moderna ed era un nostalgico di quelle
is5tuzioni contadine le quali governassero il sistema economico mediante il sistema tradizionale delle
corporazioni delle ar5 e dei mes5eri, le quali limitavano la concorrenza tra di esse, limitandone il
numero, e avevano l’apparenza di tra@are con maggiore umanità i subordina5.
“Questo socialismo anatomizzò molto accuratamente le contraddizioni esistenG nei moderni rapporG
di produzione”.
Gli autori qui riconoscono che ques5 scri@ori non sono dei parolai, degli imbonitori dell’opinione
pubblica, ma hanno una loro capacità di analizzare le contraddizioni della società borghese moderna.

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“Esso mise a nudo gli eufemismi ipocriG degli economisG. Esso dimostrò in modo incontestabile gli
eWeC deleteri dell'introduzione delle macchine e della divisione del lavoro, la concentrazione dei
capitali e della proprietà̀ fondiaria, la sovrapproduzione, le crisi, la rovina inevitabile dei piccoli
borghesi e dei piccoli contadini, la miseria del proletariato, l'anarchia della produzione, le stridenG
proporzioni nella distribuzione della ricchezza, la guerra industriale di sterminio fra le nazioni, il
dissolversi degli anGchi costumi, degli anGchi rapporG di famiglia, delle anGche nazionalità̀”.
Insomma ques5 esponen5 del socialismo piccolo borghese, Dnchè si tra@ava di ePe@uare un analisi
cri5ca della società industriale ne fanno cogliere tu[ i dife[ e le ingius5zie di questo mondo nuovo
nascente, una serie di fenomeni stre@amente collega5 ai tra[ fondamentali del sistema economico
capitalis5co: il libero mercato, la libera distribuzione delle merci… autori che sanno denunziare a
ragion veduta gli ePe[ iniqui e nocivi di questa libertà, che torna sempre a vantaggio dei più for5.
“Quanto al suo contenuto posiGvo, però, questo socialismo, o vuole ristabilire i vecchi mezzi di
produzione e di scambio e con essi i vecchi rapporG di proprietà̀ e la vecchia società̀, oppure vuole per
forza imprigionare di nuovo i moderni mezzi di produzione e di scambio nel quadro dei vecchi
rapporG di proprietà̀ che essi hanno spezzato e che non potevano non spezzare. In ambo i casi esso è
a un tempo reazionario e utopisGco”.
Quando si tra@a di presentare una rice@a alterna5va, ques5 autori o indicano un ritorno al passato
come la sola soluzione pra5cabile, quindi propongono la rinuncia a delle conquiste materiali, ma non
è pensabile che una volta che si è imparato che il ricorso alle macchine e la manifa@ura rende molto
più produ[va la produzione, si possa tornare indietro. Ma è anche impensabile che u5lizzando
queste risorse che la società industriale moderna me@e a disposizione degli uomini, il vecchio modo
di produrre piccolo borghese possa conservarsi. Ques5 autori cadono nella contraddizione
dell’utopia, perché o immaginano un ritorno al passato o che il presente possa venire trasformato
Dno ad assomigliare al passato, senza rinunciare alle macchine e alla divisione del lavoro, ma
conservando le restrizioni della società del passato, che rendono meno feroce la concorrenza e
quindi salvino un’armonia sociale che la società an5ca avrebbe conosciuto. Illusione credere che sia
possibile lo sviluppo controllato del capitalismo, è la forza delle cose stesse che porta il sistema
industriale a reclamare la libertà di commercio, incompa5bile con la difesa del modello di società
tradizionale.
“Le corporazioni nella manifa/ura e l'economia patriarcale nell'agricoltura, queste sono le sue ulGme
parole”.
Mi5gare la manifa@ura con le an5che restrizioni delle corporazioni, che decidevano i prezzi e ne
limitavano il numero, ponendone il freno alla concorrenza. Economia patriarcale nelle campagne
rappresentazione della vita agricola come incentrata sulla famiglia del contadino, un piccolo sistema
di distribuzione delle mansioni dominata dagli aPe[ familiari che renderebbe impossibile lo
sfru@amento cinico al quale l’industria è ormai abituata e incline. Anche questa è un’illusione.
“Nella sua evoluzione ulteriore questa scuola Hnisce in un vile piagnisteo, dopo l’ebrezza”.
Metafora: chi assume sostanze alcoliche inizialmente vive una certa ebrezza gioia di vivere, alla quale
però poi segue una condizione di annebbiamento delle idee di spossatezza Dsica e depressione che
rappresenta una sorta di contrappasso rispe@o all’euforia iniziale. La tendenza del socialismo piccolo
borghese ha un po’ la tendenza degli alcolici: di tu@a prima sembra abbia fa@o grandi scoperte nel
me@ere in luce i dife[ della società borghese, ma quando poi si va a vedere i rimedi da essi propos5
ci si può soltanto scoraggiare e a{iggere di fronte all’evidenza che ques5 rimedi non funzionano e di
conseguenza il nemico non può essere vinto lungo questa strada. Possiamo notare una diPerenza di
tono fra la cri5ca del socialismo feudale, dove prevale disprezzo e sarcasmo da parte degli autori, e la
cri5ca rivolta al socialismo piccolo borghese, dove intanto è fa@o il nome di uno degli esponen5,
inoltre, si riconosce per quando riguarda la parte cri5ca della denuncia dei mali una ePe[va capacità
di analisi dei dife[, che può essere riconosciuta dai comunis5 come un contributo alla loro causa, il
disprezzo subentra in merito ai rimedi che propongono. Concorren5 ques5 più pericolosi, ma anche
meritevoli di un maggiore rispe@o, qualcosa c’è da imparare da loro.

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c) Il socialismo tedesco o il "vero" socialismo.


Si tra@a della corrente alla quale dedicano più a@enzione, perché è quella che in Germania sembra
loro riscuota più a@enzione.
“La le/eratura socialista e comunista della Francia, nata so/o la pressione di una borghesia
dominatrice ed espressione le/eraria della lo/a contro questo dominio, fu importata in Germania in
un periodo in cui la borghesia aveva appena incominciato la sua lo/a contro l'assoluGsmo feudale”.
Questo periodo ci fa capire che nel corso dello sviluppo storico non c’è un perfe@o parallelismo tra
l’evoluzione della società tra i vari paesi, alcuni sono più avanza5 altri meno, secondo gli autori
Inghilterra e Francia sono più avanza5, ma anche nei paesi rimas5 più indietro le idee e le opere
elaborate in quelli più avanza5 circolano e si sviluppa uno strano fenomeni per cui in uno stesso
paese convivono le condizioni arcaiche con le idee e i valori più sviluppa5 e agiscono in ques5 paesi
più arretra5 in maniera diversa. Quindi in Germania, che ancora deve fare i con5 con la monarchia
assoluta e le divisioni feudali, la le@eratura socialista e comunista prodo@asi nei paesi più sviluppa5
incomincia ugualmente a circolare.
“FilosoH, semi-HlosoH e begli spiriG tedeschi si impadronirono avidamente di questa le/eratura e
dimenGcarono semplicemente che con gli scriC francesi non erano in pari tempo passate in
Germania le condizioni della vita francese”.
Vi è una sorta di contemporaneità di fa@ori sociali che hanno invece alle loro spalle storie molto
diverse e origini ancora diverse nel tempo.
“In rapporto alle condizioni tedesche la le/eratura francese perde/e ogni signiHcato praGco
immediato e assunse un aspe/o puramente le/erario. Essa doveva apparire come un'oziosa
speculazione sulla vera società̀, sulla realizzazione dell'essenza umana. Similmente, per i HlosoH
tedeschi del secolo dicio/esimo le rivendicazioni della prima Rivoluzione Francese avevano
semplicemente avuto il senso di rivendicazioni della "ragion praGca" in generale, e le aWermazioni
della volontà̀ della borghesia francese rivoluzionaria avevano assunto ai loro occhi il signiHcato di
leggi del puro volere, del volere quale deve essere, del vero volere umano”.
Primo punto: la le@eratura socialista Francese, che in Francia svolge un ruolo di indicazione della
strada da seguire, anche se insuZciente, agli operai per migliorare le proprie condizioni di vita, ma in
Germania dove, l’antagonismo tra borghesi e proletari non si è ancora sviluppato, non possono
svolgere questa funzione, divengono quindi oziose speculazioni su quale sia la forma migliore di
società alla quale gli uomini sono chiama5 a lavorare perché si realizzi. Certe idee che in alcune
società possono avere funzione di orientamento, trasportate in condizioni più arcaiche divengono
semplicemente uno strumento di elevazione solo sogge[va del cara@ere e della moralità di una
classe di intelle@uali che si compiacciono di presentare come scoperte dell’ingegno delle verità, dei
valori e dei principi che invece sono il prodo@o dei nuovi rappor5 e condizioni produ[ve che in paesi
avanza5 già esistono. Qui gli autori fanno un riferimento a[nto al passato recente: anche in tempo
della Rivoluzione Francese la Germania era indietro rispe@o alla Francia e questo fa sì che i valori e i
principi della borghesia del tempo fece valere contro l’aristocrazia e il clero venissero trasDgura5
dagli intelle@uali tedeschi in principi astra[ aven5 la pretesa di avere validità universali anche fuori
dal loro tempo storico, che la ragione, mediante l’esercizio di approfondimento cri5co delle proprie
facoltà fosse stata capace di nucleare, senza riguardo alle lo@e poli5che e sociali che invece in Francia
erano state la vera leva per la rivendicazione dei diri[ dell’uomo. Qui il riferimento è in par5colare a
Kant, importante Dlosofo illuminista tedesco, il quale aveva sviluppato in una delle sue opere più
famose, La Cri5ca della Ragion Pra5ca, un’analisi del modo di funzionare della volontà umana e su
questa base una teoria su quale fosse in assoluto il comportamento morale degno dell’uomo inteso
come essere libero, senza bisogni materiali che vincolassero in qualche modo la sua libertà. Quindi
tu[ ques5 riferimen5 alla volontà come deve essere, alla volontà veramente umana, rimandano a
questo autore, il quale aveva proprio teorizzato che la moralità cos5tuisse la vocazione naturale
dell’essere umano, e che in quanto essere dotato di ragione aveva modo di applicarsi.

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Secondo gli autori questa rappresentazione dell’uomo, in grado di agire in maniera disinteressata,
fosse semplicemente la traduzione in una società più arretrata dei principi rivoluzionari che in Francia
non cos5tuivano semplicemente un trastullo degli intelle@uali, ma la materia della lo@a poli5ca in
a@o. Gli autori ci fanno notare come questo fenomeno si stesse ripetendo nel loro tempo, dove
anziché Kant c’erano altri DlosoD.
“Il lavoro dei le/eraG tedeschi consiste/e esclusivamente nel me/ere d'accordo le nuove idee
francesi con la loro vecchia coscienza HlosoHca o piu/osto nell'appropriarsi delle idee francesi dal
loro punto di vista HlosoHco”.
Gli autori hanno di mira gli scri@ori tedeschi loro contemporanei che hanno la pretesa di far proprie
le idee socialiste, ma spogliandole del loro cara@ere poli5co e trasformandole in idee DlosoDche
traducibili dall’analisi della natura umana in quanto tale, come se questa natura potesse essere
conosciuta a prescindere dalle condizioni storiche in cui gli uomini vivono. Per gli autori l’uomo non
può essere considerato al di fuori della storia, non esiste una natura che prescinde dalla storia e che
quindi può essere vera sempre e in assoluto. Questo modo di rappresentare le cose è ingenuo e
inadeguato, infa[ le idee dell’uomo non sono separate dal contesto in cui vive, ma ne sono il
prodo@o.
“Questa appropriazione si compì nello stesso modo in cui ci si appropria in generale di una lingua
straniera: traducendo”.
In Germania non era possibile res5tuire pari pari il frasario del socialismo francese in quanto la
società tedesca era diversa, perciò fu necessario un certo lavoro di traduzione.
“È noto come i monaci scrivessero insipide storie ca/oliche di sanG su manoscriC contenenG le opere
classiche dell'anGco mondo pagano. I le/eraG tedeschi procede/ero in senso inverso con la
le/eratura profana francese. Scrissero le loro assurdità̀ HlosoHche so/o all'originale francese. Per
esempio, so/o la criGca francese dei rapporG monetari scrissero "alienazione dell'essenza umana",
so/o alla criGca francese dello Stato borghese scrissero "superamento del dominio dell'universale
astra/o", eccetera”.
Da un lato c’è il richiamo al passato, carico di polemica nei confron5 del comportamento dei cris5ani
an5chi, i quali u5lizzavano le vecchie opere greche e romane, cancellando l’originale e
sovrapponendogli un testo nuovo, per diPondere le proprie preghiere e can5 come i monaci erano
soli5 fare. Giudizio svaluta5vo degli autori di questa cultura medioevale cris5ana. Ma anziché
ricoprire il testo originale con le proprie trovate come facevano i monaci, i le@era5 tedeschi di natura
socialista, non fanno altro che andare a scrivere so@o l’originale francese le loro sciocchezze
DlosoDche in lingua tedesca. Gli autori pensano a tu[ quegli autori, esponen5 come loro della
cosidde@a sinistra hegeliana, i quali avevano condo@o una forma di denuncia e di cri5ca della società
basata sulla scoperta raggiunta mediante l’analisi DlosoDca razionale delle cose di tu@o ciò di
sbagliato e distorto che la società umana Dno ad ora avesse prodo@o e conosciuto al proprio interno.
Ad esempio, il richiamo alla alienazione è riferito a Feuerbach, il quale aveva teorizzato che nella
religione, nella rappresentazione di Dio gli uomini non avessero fa@o altro che alienare e cioè
a@ribuire a Dio anziché a se stessi, una serie di cara@eri che in qualche modo appartenevano a
all’umanità nel suo insieme intesa come genere. A ques5 autori Marx rimprovera l’astra@ezza delle
loro conclusioni universali e sciolte dalla storia. A ques5 DlosoD si contrapponevano le opere Francesi
che invece si basavano su una realtà concreta che si stava svolgendo all’interno della stessa società.

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Diciannovesima lezione

Ventesima lezione
2. SOCIALISMO CONSERVATORE
Ci imba[amo nell’indicazione di un riferimento preciso a un autore: “la DlosoDa della miseria” di
Proudhon, esponente del socialismo francese, aveva la qualità che lo rendeva diverso dagli
intelle@uali tedeschi con i quali gli autori hanno polemizzato, la qualità di essere di estrazione
familiare un operaio, uomo proveniente dal popolo che istruitosi come autodida@a fosse volto ad
aPrancare i propri simili dalla loro condizione sociale. Nel suo testo “che cos’è la proprietà” fa
emergere la tesi che la proprietà non cos5tuisca altro che un furto. Appropriazione indebita che un
proprietario vuole riservare solo a se stesso. Egli però non aveva di mira la proprietà personale di
ciascuno di noi tesa a soddisfare i bisogni immedia5, ma la grande proprietà che poteva avere più
grande u5lità se messa a disposizione di tu[.
Più avan5 nel 1846 Proudhon scrisse “DlosoDa della miseria” nella quale aveva cercato di dare una
veste DlosoDca, teoricamente più sviluppata delle sue concezioni, ispirandosi a Hegel, Dlosofo del
quale anche Marx si ispirò, seppur in maniera cri5ca e polemica. Marx rispose a questo scri@o con
“miseria della DlosoDa” nel quale aveva elaborato l’idea secondo la quale la DlosoDa non rappresenta
una risposta adeguata dei problemi sociali, proprio per il suo cara@ere astra@o, quindi aveva messo
alla berlina l’idea di Proudhon di rifondare la società a@raverso la FilosoDa. Secondo Marx, Proudhon
aveva frainteso la DlosoDa Hegeliana, e mostrò tu[ i limi5 della sua preparazione DlosoDca,
nonostante questo godeva di mol5 credi5 sopra@u@o in Francia, quindi merita agli occhi di Marx un
tra@amento speciale all’interno del manifesto, come esponente di un socialismo borghese e
conservatore. Proudhon, a dispe@o del clamore della proprietà considerata come un furto, d’altra
parte legi[mava la proprietà personale dell’individuo, nella concezione comunista degli autori essa
doveva essere completamente superata, poi aveva anche un forte a@accamento all’is5tuto della
famiglia, considerata da lui come la cellula vitale di qualsiasi forma di società, mentre nella
concezione degli autori la famiglia rappresenta a sua volta un prodo@o della società e non un dato
naturale che non muterà mai. Questo fece pensare la concezione di Proudhon del socialismo come
conservatrice, a@accato a valori che dovevano essere rige@a5 nel passato.
“I borghesi socialisG vogliono le condizioni di vita della società moderna senza le lo/e e i pericoli che
necessariamente ne risultano. Vogliono la società a/uale senza gli elemenG che la rivoluzionano e la
dissolvono. Vogliono la borghesia senza il proletariato. E' naturale che la borghesia ci rappresenG il
mondo dove essa domina come il migliore dei mondi. Il socialismo trae da questa consolante
rappresentazione un mezzo sistema o anche un sistema completo”.
Allusione alle velleità DlosoDche, para-hegeliane di Proudon. “Ma quando invita il proletariato a
me/ere in praGca i suoi sistemi se vuole entrare nella nuova Gerusalemme” Allusione alla parte
religiosa della DlosoDa di Proudon, nonostante lui si dichiarasse ateo, per gli autori era permeato di
valori cris5ani.
“Gli domanda, in fondo, soltanto di restare nella società presente, e di rinunciare alla odiosa
rappresentazione che si fa di essa.”
Gli autori vogliono dire che il socialismo borghese non ripudia per intero i valori della borghesia, che
considera valori umani in senso naturalis5co, ed è come se questo socialismo sognasse una società
nella quale tu[ siano borghesi, scomparsi i ver5ci della borghesia industriale, e tu[, su un piano di
uguaglianza, possano godere di quegli agi che la borghesia considera irrinunciabili e che fa credere
che siano davvero alla portata di tu[. Il socialismo borghese vuole far credere che l’antagonismo tra
borghesia e proletariato non sia un dato di fa@o storico dal quale non si può prescindere, ma sia
solamente il prodo@o di eccessi da parte della borghesia e un malcontento da parte del proletariato
che potrebbe essere risolto tramite un comportamento meno arrogante della borghesia. Appianato
per avere una sorta di condizione ideale di fratellanza fra gli uomini in una società nella quale tu[
possano condividere i valori morali quali la borghesia predica al popolo come validi universalmente
per tu[. La colpa di Proudhon è quella di depotenziare la volontà rivoluzionaria del proletariato,
facendogli credere che esso possa partecipare a questa sorta di banche@o al quale la borghesia invita

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i membri della società a unirsi. Ma secondo gli autori questo sistema di lavoro non può fare a meno
di mandare nella miseria gli operai, perché la ricchezza il datore la ricava anche grazie al fa@o che
con5nua a so@opagare i lavoratori, quindi non potranno mai arrivare ad o@enere il benessere che
Proudhon prome@e. Realizzare quasi il regno di Dio in terra, Proudhon era un ateo, ma infondo,
fermo alla condivisione dei valori cris5ani: fratellanza tra gli uomini, moralità, convinto che una
società ideale, con la buona volontà potesse essere alla portata degli uomini del suo tempo. Per gli
autori il solo modo per abolire lo sfru@amento è abolire la società borghese, perché essa si fonda
sullo sfru@amento, quindi quello che dice Proudon è falso, lo sfru@amento non si può abolire, senza
me@ere in discussione l’is5tuto della proprietà in quanto tale.
“Una seconda forma di questo socialismo, meno sistemaGca ma più praGca, ha cercato di distogliere
la classe operaia da ogni moto rivoluzionario, dimostrando che ciò che le può giovare non è questo o
quel cambiamento poliGco, ma soltanto un cambiamento delle condizioni materiali di vita, dei
rapporG economici”.
Gli autori prendono di mira una concezione in qualche modo imparentata alla loro, che dicesse
“quello che conta sono i rappor5 economici e non i rappor5 poli5ci, quindi non preoccupatevi di
avere diri[ in teoria ma di fa@o non avere niente, bisogna correggere le stru@ure dell’economia” qui
c’erano altri teorici socialis5 che andavano in questa direzione, riconoscendo che l’importante era
riorganizzare il lavoro in favore dei lavoratori, mentre il potere poli5co era un problema secondario.
“Questo socialismo però non intende minimamente per cambiamento delle condizioni materiali di
vita l'abolizione dei rapporG di produzione borghesi, che può conseguire soltanto per via
rivoluzionaria, ma dei miglioramenG amministraGvi realizzaG sul terreno di quesG rapporG di
produzione, che cioè non cambino aWa/o il rapporto tra capitale e lavoro salariato, ma, nel migliore
dei casi, diminuiscano alla borghesia le spese del suo dominio e sempliHchino l'asse/o della sua
Hnanza statale”.
Come a dire: il suo tenta5vo di rifondare per via amministra5va i rappor5 economici e produ[vi, che
scarichi sulla colle[vità, lo stato, quei cos5 che altrimen5- all’interno della contra@azione salariale e
della ricerca di un miglioramento delle condizioni di lavoro da parte dei proletari- il datore di lavoro
sarebbe costre@o a sobbarcarsi se vuole mantenere alle sue dipendenze gli operai. La risposta alla
miseria del proletariato dovrebbe venire mediante forme di assistenza da parte del pubblico, che non
si capisce come dovrebbero essere Dnanziate se non immaginando, appunto, delle forme di
produzione parallele rispe@o a quelle di stampo privato della borghesia che perme@ano allo stato di
avere risorse da redistribuire ai produ@ori.
“Questo socialismo borghese raggiunge la sua più esa/a espressione quando diventa semplice Hgura
retorica. Libero commercio! nell'interesse della classe operaia; dazi proteCvi! nell'interesse della
classe operaia; carcere cellulare! nell'interesse della classe operaia: ecco l'ulGma, la sola parola
seriamente pensata del socialismo borghese”.
I valori della borghesia sono mantenu5 fermi dai teorici come Proudhon, ma presenta5 come
passibili di essere rivisita5 in un modo più a vantaggio degli operai. Raccontano quindi che la società
borghese possa essere conver5ta, mediante alcune riforme, nell’interesse dei più. Anche valori
contraddi@ori: “libero commercio e dazi prote[vi”. Il libero commercio presuppone che non ci siano
dazi doganali sul commercio. Ma il senso è quello di voler far credere che a seconda dei casi cer5
strumen5 messi in a@o dalla borghesia capitalis5ca per avvantaggiarsi possano tornare u5li anche al
proletariato. Nascondendo la verità che tanto il libero commercio quanto il protezionismo, ovunque
vengano invoca5 lo sono sempre negli interessi del detentore della proprietà e mai dell’operaio.
La diPerenza fra il socialismo reazionario e conservatore non è poi così profonda, entrambi vogliono
far credere al proletariato che la difesa dell’ordine vigente può essere u5le anche ad esso stesso. Il
socialismo reazionario vuol far credere che ha più a cuore gli interessi di par5 della società che sono
soccomben5 all’interno dello sviluppo borghese: aristocrazia, clero, piccola borghesia. Il socialismo
borghese è meglio compa5bile con i valori della grande borghesia stessa. In comune queste due
forme di socialismo hanno il cara@ere di cos5tuire una sorta di raggiro e inganno esercitato nei
confron5 del proletariato al quale si vuole far credere che la rivoluzione non sia necessaria.

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3. SOCIALISMO CRITICO-UTOPISTICO
È a forma più avanzata agli occhi degli autori, seppur diversa dalla loro, e la più insidiosa. “cri5co”
questo socialismo, a diPerenza di quelli più ipocri5, è di fa@o reazionario e conservatore, ma dife@a
di senso della realtà. Si ha di mira la nozione di una cri5ca che sì è radicale della società borghese, ma
sopravvaluta il lavoro del momento intelle@uale rispe@o a quella della poli5ca.
“Utopia” visione del mondo che muove a par5re da un ideale che non si fa problema di poi avere
una traducibilità reale nei fa[. Modello irrealizzabile.
Sono teorie realmente cri5che dell’ordine sociale borghese, che prospe@ano nuovi modelli di società,
ma che hanno il dife@o di immaginare una sorta di ideale della società che debba prodursi solo sulla
base di buona volontà degli uomini, come discendere dall’alto, senza tenere conto delle stru@ure
a@uali e future della società, quindi senza avere una base di realtà.
“Non parliamo qui della le/eratura che in tu/e le grandi rivoluzioni moderne enunciò le
rivendicazioni del proletariato (scriC di Babeuf, ecc...)”.
Babeuf, insieme a Buonarro5, era un rivoluzionario di Dne 700, il quale dopo la Rivoluzione, con la
caduta di Robespierre e dei giacobini e l’avvento del Dire@orio, avevano ordito una congiura,
chiamata la congiura degli eguali, la quale par5va dall’assunto che ciò che fosse mancato alla
Rivoluzione fosse stato proprio il versante economico, si fosse insis5to sui diri[ poli5ci, lasciando da
parte quelle che erano proprio le condizioni materiali del popolo, redistribuendo la ricchezza. Babeuf
e Buonarro5 si professavano apertamente comunis5, ma un comunismo più basato su ideali ancora
di 5po vagamente morale e religioso, e ispira5 a un’idea di una limitazione dei bisogni degli uomini
allo stre@o necessario, una sorta di economia di sussistenza.
Ma gli autori ci dicono che in questa sede non hanno modo di analizzare tu@e queste forme di
socialismo utopis5co e che in qualche modo hanno accompagnato tu@e le rivoluzioni moderne
(rivolta dei contadini, Cromwell e i puritani…). Tu@e le grandi rivoluzioni poli5che della storia
moderna hanno conosciuto al loro interno la presenza di corren5 radicali che già hanno guardato al
comunismo come al traguardo naturale di ogni movimento rivoluzionario che si rispe[, a
prescindere dal fa@o che le condizioni per la realizzazione davvero si dessero. Ma non è intenzione
degli autori di ripercorrere la storia del comunismo, il loro obie[vo è più determinato.
“I primi tentaGvi faC dal proletariato per far valere il suo proprio interesse di classe in un tempo di
fermento generale, nel periodo del rovesciamento della società feudale, dovevano necessariamente
fallire, sia per il dife/o di sviluppo del proletariato, sia per la mancanza di quelle condizioni materiali
della sua emancipazione, le quali non possono essere che il prodo/o dell'epoca borghese”.
Ques5 movimen5 rivoluzionari del passato, ten5 a scuotere l’aristocrazia fondiaria, erano condanna5
al fallimento per due ragioni: il proletariato, in quanto prodo@o dell’organizzazione capitalis5ca
industriale della società, è il solo sogge@o capace di realizzare una società comunista, e a quel tempo
ancora non c’era, o comunque non in numeri abbastanza imponen5. Gli arteDci naturali del
comunismo non sono i contadini, ma gli operai. In più la società comunista come gli autori la
immaginano è una società che deve possedere i ritrova5 tecnici, organizza5vi e materiali che la
borghesia industriale ha introdo@o, perché non dovrà essere solo una società di sussistenza, di
uomini che rinunziano al superAuo, senza chiedere di più, non sarà la società che immaginava
Babeuf, che idealizza il buon selvaggio, considerando invece degradato l’uomo che vive in condizioni
di avanzata civilizzazione, che ne presuppongono immoralità. Secondo gli autori non si può tornare
indietro, credono nel progresso, non si può rinunciare a dei bisogni che ormai sono sor5, la via è far
capire che all’interno della società borghese quei bisogni che tu[ provano sono soddisfa[ solo per
una minoranza. E le risorse che la società borghese ha messo a disposizione non verranno eliminate,
semplicemente razionalizzate e messe a disposizione di tu[. La produzione industriale non verrà
abbandonata, ma verrà ePe@uata nell’interesse di tu[, quindi sganciandola dalla nozione del
capitale che ne rappresenta la precondizione.
“La le/eratura rivoluzionaria che accompagnò quesG primi moG del proletariato è, per il suo
contenuto, necessariamente reazionaria. Essa insegna un asceGsmo universale e una rozza tendenza
a uguagliare tu/o”.

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Inevitabilmente una 5ntura regressiva appar5ene a tu@e le visioni del socialismo diverse dalla loro,
ed è in questo il cara@ere utopis5co che hanno le altre forme di socialismo, che ubbidiscono ai
bisogni non solo del proletariato, ma anche della società borghese. Sono cara@erizzate da un
asce5smo generale e un rozzo egualitarismo. Asce5smo valore della rinunzia ai desideri superAui
che non portano alla felicità, visione del mondo che concepisce il raggiungimento del massimo
appagamento come da o@enersi a@raverso un’opera di rinuncia a tu[ i desideri innaturali, in quanto
gli uomini per soddisfarli vanno in contro alla infelicità, e che comunque non saranno mai
soddisfacibili per tu[. Desideri vani.
Rozzo Egualitarismo in una società nella quale le risorse per averlo non erano ancora presen5 e
quindi per averlo bisognava andare in contro a delle rinunce, tu[ sarebbero sta5 uguali, ma nella
loro povertà. Ideale dell’autosuZcienza, spinto anche all’estremo. Non si poteva realizzare in maniera
soddisfacente l’uguaglianza e dunque si passava a@raverso la rinuncia. Ma questo secondo gli autori
non è il mondo nel quale la storia umana procede e le comunità si sviluppano. La mol5plicazione dei
bisogni è parte integrante del progresso dell’umanità. L’uomo non è naturalmente libero, ma
naturalmente bisognoso. Il dife@o di queste concezioni è quello di voler riparare gli uomini
dall’oppressione dei propri simili, ma renderli così invece maggiormente espos5 alla oppressione
della natura e dei bisogni. Non è raccomandabile per una vita realmente soddisfacente, le diPerenze,
appianate, invece, dalla civilizzazione, diventerebbero ancora più pesan5. Rozzo proprio perché
basato sulla nozione che l’egualitarismo si realizzi per so@razione. Togliere a tu[ è molto più facile,
piu@osto che dare a tu[. Questo è proprio il rimprovero che i teorici difensori della borghesia
muovevano al comunismo in quanto tale e gli autori riconoscono che c’è un fondamento in questa
cri5ca, ma che non tocca la loro visione del comunismo, ma di quei teorici che, arriva5 troppo
an5cipatamente nel tempo, per realizzare il comunismo predicavano la rinunzia perché nella società
non erano ancora presen5 le risorse adeguate.
“I sistemi socialisG e comunisG propriamente deC, i sistemi di Saint-Simon, di Fourier, di Owen,
eccetera, appaiono nel primo e poco sviluppato periodo della lo/a fra proletariato e borghesia che
abbiamo esposto sopra (si veda "Borghesia e proletariato")”.
Ecco chi sono i socialis5 utopis5 ai quali gli autori si rivolgono. Coloro che credono che si possano
realizzare società giuste solo sulla base di un’ispirazione volontaria e appartenente a uomini
illumina5 circa i loro reali interessi, quindi fosse possibile in qualche modo creare società parallele
nelle quali si realizzassero forme di vita comunitarie che dovessero determinare una sorta di
conversione poi anche del resto della comunità. Fourier li chiamava falansteri, ques5 centri
produ[vi, nei quali immaginava una comunità senza ranghi sociali, ma tu[ in egual misura
condividevano gli ePe[ posi5vi e nega5vi del lavoro, alternandosi in egual modo nelle fasi della
produzione. Idea di un’umanità nella quale i singoli componen5 reci5no diverse par5. Saint Simon
aveva prospe@ato una sorta di nuovo industrialismo, governato dagli scienzia5, anziché dai
capitalis5, che potevano rendere il lavoro industriale sia più funzionale che più equo. Gli inventori di
ques5 sistemi vedono l’antagonismo delle classi, rispe@o agli altri teorici del socialismo che invece
tendono a oPuscare questa nozione, colgono la tendenziale direzione del sistema di produzione
capitalis5co verso l’autodistruzione, qui sta l’a@eggiamento cri5co di ques5 socialis5, ma non vedono
nessun movimento poli5co proprio e par5colare del proletariato, ciò li rende utopis5ci, il fa@o di
distribuire la missione di cambiare le cose a elitè intelle@ualmente nobili, che prendano l’inizia5va di
varare esperimen5 sociali di produzione su basi diverse da quelle capitalis5che e che quindi poi
Dniscano di prevalere nei confron5 della borghesia tradizionale semplicemente a@raverso l’esempio,
semplicemente mostrando che si può fare diversamente e non a@raverso la rivoluzione.
“Gli inventori di quesG sistemi, ravvisano bensì il contrasto fra le classi e l'azione degli elemenG
dissolvenG nella stessa società dominante, ma non scorgono dalla parte del proletariato nessuna
funzione storica autonoma, nessun movimento poliGco che gli sia proprio.
Siccome gli antagonismi di classe si sviluppano di pari passo con lo sviluppo dell'industria, gli autori di
quesG sistemi non trovano neppure le condizioni materiali per l'emancipazione del proletariato e
vanno in cerca, per crearle, di una scienza sociale e di leggi sociali”.

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Intelle@ualismo il male di ques5 socialis5, che li rende utopici. L’idea che la società migliore debba
realizzarsi a@raverso la scoperta di leggi sociali, di una scienza non ancora conosciuta, che sia
ques5one solo di mancanza di sapere se non si ha una società ancora più equa, sia solo un dife@o di
conoscenza ciò di cui soPre la società presente. Manca a ques5 teorici la comprensione di quelle che
sono le condizioni materiali che servono per realizzare questa società, e che secondo gli autori, è
compito della borghesia produrre, non si producono a tavolino mediante lo studio, ma a@raverso la
dura compe5zione alla quale la borghesia stessa so@ostà. Solo a@raverso questo passaggio, per
quanto doloroso, il proletariato può entrare in possesso dei mezzi, espropriandoli dalla borghesia, ed
emanciparsi.

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