Sei sulla pagina 1di 5

L’ARRETRATEZZA DELL’ITALIA

Intorno alla metà dell’Ottocento nei vari stati italiani vivevano 24 milioni di abitanti
rispetto ai 15.3 di cento anni prima. Anche nel nostro paese quindi si era verificato
un forte aumento demografico. Quest’incremento però non era stato accompagnato
da un progresso nelle tecniche di coltivazione. L’agricoltura era prevalentemente
estensiva; quella intensiva era praticata in poche zone, soprattutto nella pianura
Padana. In Toscana si praticava ancora la mezzadria che risaliva addirittura al
trecento. Nel resto del centro e del sud si praticava un’agricoltura estensiva e si
diffuse il latifondo in cui lavoravano i braccianti. L’agricoltura estensiva è tipica del
latifondo e in genere si tratta di monocolture come per esempio quella del grano;
quella intensiva è tipica di piccoli appezzamenti di terreno e in genere le colture
vengono ripetute

A metà ottocento le industrie operavano soprattutto nei settori tessile e siderurgico,


ma si trattava di industrie di piccole dimensioni e sorgevano lungo dei corsi d’acqua
per sfruttarne la forza motrice. Il settore più sviluppato era quello tessile in cui
prevaleva la produzione di seta. Il cotone era invece lavorato in Lombardia e
nell’Italia meridionale

A metà ottocento le condizioni dei contadini non erano migliorate rispetto a quelle
del seicento. L’alimentazione era molto povera ed erano molto diffuse le malattie
come per esempio la pellagra. Un’altra tipica malattia dell’ottocento era la
tubercolosi, dovuta all’umidità delle abitazioni e le precarie condizioni igieniche
favorivano, inoltre, la diffusione di epidemie come quella del tifo e colera. Assai
conosciuta era infine la malaria, in grado di provocare la morte se non curata

L’Italia era quindi in condizione di grande arretratezza e questo ritardo dipendeva da


varie cause: il paese disponeva di poche materie prime; la rete viaria era poco
sviluppata; le banche non sostenevano lo sviluppo agricolo e industriale; il reddito
procapite era basso e prevaleva l’autoconsumo

IL DIBATTITO RISORGIMENTALE

Il processo che portò alla formazione di un unico Stato italiano venne definito
Risorgimento: anche se l’Italia, prima dell’Ottocento, non era mai stata unita , ma si
era formata nel corso dei secoli. Dal Medioevo si erano infatti sviluppate un’identità
culturale italiana e la consapevolezza di un comune interesse economico. Se ne
trovano testimonianze in scrittori come Dante, Petrarca e Machiavelli
A diffondere grandemente l’idea d’Italia contribuì il dibattito risorgimentale. Due
furono gli schieramenti che si contrapposero: quello moderato e quello
democratico: i moderati sostenevano di voler raggiungere l’unità gradualmente; i
democratici ritenevano opportuno puntare sul creare una repubblica

Nato a Genova, Giuseppe Mazzini fin dalla giovinezza si avvicinò alle idee
patriottiche e democratiche. Iscrittosi alla Carboneria, nel 1830 venne arrestato per
la delazione di un informatore. Convinto successivamente al suo esilio che la
Carboneria fosse irriformabile, nel 1831 egli fondò una nuova organizzazione
politica, la Giovine Italia, con l’obiettivo di unificare il paese. Il metodo da seguire era
quello del’insurrezione e aderì successivamente anche Garibaldi, che poi si distanziò
dalle posizioni più radicali di Mazzini

La concezione che Mazzini aveva della religione era tipicamente romantica, lontana
dalla visione cristiana. Dio si identificava con lo spirito presente nella storia e quindi
con la stessa umanità. Gli italiani, dopo aver dominato il mondo con la Roma dei
Cesari e poi con quella dei papi, dovevano ora illuminarlo con l’avvento della Terza
Roma, quella del popolo. Inoltre Mazzini sosteneva il principio dell’associazionismo,
e per lui l’individuo per raggiungere la libertà doveva unirsi nella famiglia, che faceva
parte della nazione, che associandosi con altre nazioni formava l’unità

Vicino a Mazzini fu il milanese Carlo Cattaneo, ma a differenza di Mazzini egli


riteneva assurdo il ricorso allo spiritualismo, tipica visione di Mazzini, e soprattutto
riteneva si dovesse puntare ad una repubblica federale. Cattaneo guardava come
modello gli Stati Uniti e riteneva che lo stato centralizzato avesse ormai mostrato
tutta la sua inadeguatezza. L’Italia federale avrebbe poi fatto parte di una
confederazione più grande: gli Stati Uniti d’Europa.

La visione confederale venne sostenuta invece dal sacerdote torinese Vincenzo


Gioberti, il quale auspicava la costituzione di una confederazione fra gli stati italiani
presieduta dal papa. Questa proposta venne definita neoguelfa, con allusione alla
posizione filo papale dei guelfi medievali

Cesare Balbo, considerando la presenta austriaca in Italia, riteneva che l’azione


diplomatica piemontese avrebbe potuto dirottare gli interessi austriaci verso i
Balcani e permettere la nascita di una confederazione italiana sotto i Savoia.
Secondo Massimo d’Azeglio invece, primo ministro del Regno di Sardegna, la causa
nazionale andava risolta con la diplomazia e le armi di Casa Savoia e non con le
insurrezioni. Ma l’esponente più significativo dei filo sabaudi fu Camillo Benso, conte
di Cavour, colui che, in poche parole, individuò la via per l’unificazione dell’Italia

Accanto alle grandi figure di teorici e combattenti per raggiungere l’unità d’Italia,
molte donne seppero distinguersi nella diffusione dell’idea dell’unità nazionale.
Alcune intervennero addirittura in prima persona nella lotta, come Anita, la moglie
di Garibaldi, si distinse anche la principessa milanese Cristina Trivulzio di Belgioioso,
che durante la difesa di Roma organizzò un efficiente pronto soccorso per i feriti

L’ESPLOSIONE DEL QUARANTOTTO

Gli anni 40 dell’800 furono un periodo di crescente crisi e il paese a rimanerne


maggiormente colpito fu l’Irlanda, in cui in circa un decennio metà della popolazione
morì o emigrò. Le ragioni di questa catastrofe furono diverse. In primo luogo
bisogna ricordare la crescita demografica dell’Irlanda e ricordare inoltre che
l’agricoltura irlandese era condotta con sistemi arretrati e si fondava esclusivamente
sulla coltivazione della patata. Quando nel 1845 ci fu una malattia che colpì proprio
le patate, l’alimentazione degli irlandesi venne gravemente ridotta. Infine, l’isola era
controllata dall’Inghilterra come fosse una colonia. Sul piano politico non bisogna
dimenticare che i principi della rivoluzione francese continuavano ad influenzare.
Tutto ciò fece esplodere una rivoluzione senza precedenti nel 1848

Filippo d’Orleans era uno dei sovrani meno oppressivi di tutta l’Europa. La politica
del governo di Guizot era esclusivamente espressione degli interessi della grande
borghesia e quando nel 1845 decise di aumentare le tasse, la sua popolarità crollò.
L’opposizione era molto articolata: i socialisti chiedevano riforme economiche e
sociali; i democratici avevano come obiettivo il suffragio universale; i repubblicani
miravano all’allontanamento di Filippo d’Orleans; i legittimisti rivendicavano i diritti
al trono della dinastia borbonica. Quando nel febbraio 1848 il governo proibì lo
svolgimento di un comizio, il popolo insorse nella rivoluzione di febbraio, e in soli tre
giorni proclamò la repubblica

I rivoltosi diedero vita ad un governo provvisorio che emanò provvedimenti


democratici. Vennero reintrodotti gli ateliers de charitè, cioè cantieri per le opere
pubbliche, mentre fu respinta la proposta degli ateliers sociaux e gli ateliers
nationaux non ebbero successo

Il 23 aprile si tennero le elezioni a suffragio maschile in cui vinsero i moderati. Il 21


giugno un decreto cancellò gli ateliers nationaux e obbligò tutti gli operai al di sotto
di 25 anni ad arruolarsi nell’esercito. A questo punto però, gli operai e i disoccupati
decisero di insorgere. L’insurrezione scoppiò nel giugno del 1848 e durò 4 giorni. Il
10 dicembre venne eletto presidente Carlo Luigi Napoleone Bonaparte, nipote di
Napoleone, il quale nel 1851 fece approvare una nuova Costituzione che gli
conferiva la presidenza decennale. Infine nel 1852 si fece proclamare imperatore dei
Francesi

La notizia dell’insurrezione a Parigi diede vita ad altre rivolte in tutta l’Europa.


Scoppiò nel 1848 a Vienna e per cercarla di arginare, l’imperatore licenziò
Metternich e concesse la libertà di stampa. Poi Budapest insorse a marzo e sotto la
guida del liberale kossuth iniziò a costruire un esercito nazionale. Infine Praga si
sollevò con l’intento di ottenere maggiore autonomia e libertà politiche. La prima a
soccombere fu però proprio Praga, che venne bombardata nel giugno del 1848; poi
ad ottobre fu la volta di Vienna e a dicembre Ferdinando I abdicò in favore del
nipote diciottenne. La rivoluzione scoppiò poi anche a Berlino il 14 marzo e le
richieste si inserivano nel contesto della Confederazione Germanica, in cui ne erano
membri 39 stati che si riunivano nella Dieta di Francoforte. Ma la discussione
all’interno dell’assemblea si divise in due parti: i fautori della Grande Germania
spingevano per l’unificazione inserendo anche l’Austria; altri ritenevano più
opportuno dare vita ad una Piccola Germania, escludendo dunque l’Austria. Dopo
alcune discussioni prevalse la tesi della Piccola Germania

IL QUARANTOTTO IN ITALIA

Il periodo che va dal 1846 al 1848 è noto come biennio delle riforme e tutto ebbe
inizio quando nel 1846 fu eletto papa il cardinale Ferretti. Il nuovo papa era di idee
moderate e non aveva mai manifestato simpatie liberali e così concesse l’amnistia ai
detenuti politici, aprì anche ai laici la consulta e abolì, in parte, la censura preventiva
sulla stampa. Queste iniziative suscitarono entusiasmo nell’opinione pubblica, ma
l’unico stato che continuava a rifiutare ogni tipo di riforma era il regno delle due
Sicilie. Infatti si scatenò una rivoluzione che partì da Palermo ed arrivò a Napoli e
preoccupato dalla piega che stavano prendendo queste rivoluzioni, Ferdinando II
proclamò l’autonomia della Sicilia

Alla notizia dell’insurrezione di Vienna, Milano e Venezia insorsero e la protesta si


estese anche in zone non sottoposte al dominio asburgico. In Piemonte i patrioti
premevano su Carlo Alberto affinchè intervenisse in Lombardia. Solo il 23 marzo
decise di dichiarare guerra all’Austria assumendo il carattere di una guerra federale.
Gli austriaci subirono le prime sconfitte a Goito e Pastrengo, ma Radetzky non
abbandonò la Lombardia, fece invece asserragliare il suo esercito nel quadrilatero,
una strategica posizione difensiva. Nel contempo l’Austria minacciò Pio IX di uno
scisma nel caso non avesse ritirato le proprie truppe. Così, il 29 aprile Pio IX
pronunciò un discorso in cui dichiarò di voler rimanere estraneo al conflitto

Nonostante il ritiro delle truppe degli altri sovrani italiano, Carlo Alberto riuscì a
sconfiggere nuovamente gli Austriaci, ma attese per lo scontro definitivo, così gli
Austriaci ebbero tempo di ricevere rinforzi e quando a Custoza avvenne finalmente
lo scontro i Piemontesi persero nettamente. Così Carlo Alberto preferì accordarsi
con gli austriaci, firmando un armistizio a Vigevano, terminando così la prima fase
della guerra. Ma se la guerra regia era finita, i patrioti non intendevano accettare
una sconfitta e così ci fu un’altra ondata di proteste. Nello Stato Pontificio, Pio IX fu
costretto a fuggire e nel febbraio 1849 una Costituente dichiarò la fine del potere
temporale dei papi e affidò la Repubblica romana ad un triumvirato formato da
Mazzini, Armellini e Saffi. Carlo Alberto decise infine di abdicare in favore del figlio
Vittorio Emanuele II. Per le repubbliche che ancora resistevano, la prima a capitolare
fu Brescia che per 10 giorni resistette eroicamente all’Austria; poi l’esercito
austriaco intervenne in Toscana, mentre il 4 luglio le truppe francesi attaccarono
Roma. A maggio era avvenuta la capitolazione di Palermo a cui era seguita la
restaurazione del Regno delle due Sicilie. Il 23 agosto infine, gli insorti veneziani
stremati dalla fame e dalle epidemie si arresero agli Austriaci

Potrebbero piacerti anche