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Crisi della democrazia e regimi autoritari tra le due guerre

Il Fascismo in Italia è una specificità, ma è anche l’espressione di un più generale


tracollo della Borghesia. In Italia questo si traduce con la debolezza della classe
dirigente.

A partire dagli anni 20 non è infatti un caso che inizino a sorgere regimi autoritari
nell’europa centro-orientale, dove la tradizione democratica è più giovane.

Questi regimi sono di tipo “tradizionale”, nel senso che sono sostenuti dall’esercito e
da gruppi conservatori dell’elite. Li rende simili il fatto che non hanno nessun
sostegno popolare: sviluppano un carattere esclusivamente impositivo sulla società.

Un esempio è quella di Horthy in Ungheria, che abolisce le libertà politiche e


sindacali.

In Polonia ci sarà un regime meno autoritario ma ugualmente conservatore.

I governi impongono quindi un rapporto diretto con il paese, scavalcando i partiti.

In Grecia ci sono i gruppi monarchici che fanno pressione sui partiti per spostarli
verso posizioni più conservatrice.

Quello che avviene fra la prima e la seconda guerra mondiale è una crisi.

Innanzitutto una crisi economica che scoppia negli Stati Uniti e si diffonde nel resto
del mondo.

Nel primo dopo guerra gli USA sono il primo produttore industriale e agricolo e
impongono il dollaro come moneta internazionale. Questo fece scatenare una frenesia
di investimenti che alla fine crollò su se stessa nel 1929.

Questo portò alla chiusura delle fabbriche e all’aumento della disoccupazione.

Il rapporto di dipendenza fra Europa e Stati Uniti sviluppatasi dopo il primo


dopoguerra quindi fece spargere questa crisi in tutto il mondo.

La produzione mondiale crolla di un terzo, quella delle materie prime del 26%.

Gli stati rispondono quindi con misure protezionistiche: innalzano i dazi, ma gli
scambi commerciali si riducono di più del 60%.

Roosevelt, presidente degli USA, propone il New Deal, un intervento diretto statale
sull’economia, mai visto prima nel paese.
Anche in Europa vengono messi da parte i principi del liberismo in favore
dell’economia Keynesiana.

Oltre alla crisi economica, il primo dopoguerra è caratterizzato anche dalla crisi della
democrazia: i danni della così detta “Crociata per la Democrazia” sono enormi e i
principi di questa crociata saranno difficilissimi da applicare.

Primo fra tutti l’agevolazione degli scambi commerciali, che invece va a crollare.

Altro elemento cardine è il rispetto del principio di Nazionalità (a ogni popolo, i suoi
giusti confini), che ad esempio in Italia ai confini del nord-est è difficilissimo da fare,
così come fra Austria e Ungheria.

In tutta Europa quindi questa crisi inizia a cambiare la mentalità delle popolazioni.

Inizia a diffondersi l’idea che la democrazia liberale sia vecchia, inefficace e


traditrice delle sue stesse promesse.

Si iniziano quindi ad affermare militari e autoritari, che derivano dalla crisi del
positivismo e dalla mentalità della guerra che invade la vita civile.

Viene esaltata l’idea della nazione e della razza. Si diffonde anche l’idea di dover
costruire un “uomo nuovo”, tornando al contempo a una “gloriosa società arcaica”
perlopiù agraria.

Davanti a questa nuova ondata autoritaria, i ceti medi sono quelli più disponibili a
tutto questo. L’Alta Borghesia ne è meno convinta, ma si servirà comunque
dell’autoritarismo per schiacciare il movimento operaio. In generale la classe operaia
è meno consensuale: è prostrata dalla sconfitta del Biennio Rosso e non riesce a
reagire.

Si affermano quindi regimi fascisti, nazisti e stalinisti, eterogenei e comunque con


genesi diverse.

Sono tutti regimi che derivano dalla guerra, si basano tutti sulla sconfitta della
rivoluzione dei loro paesi. Negano la società di massa, di cui tuttavia esaltano alcuni
elementi.

Fascismo e nazismo sono diversi dai regimi di tipo autoritario di tipo classico perché
stabiliscono un rapporto complesso con la società civile, finalizzato a un suo
coinvolgimento.

Un rapporto che ha un intreccio costante fra costruzione del consenso e dimensione


impositiva. Ed è sulla costruzione del consenso che misuriamo il totalitarismo.
In Germania ad esempio, i caratteri dell’affermazione del nazismo sono:

Risposta alla fragilità della repubblica di Weimar, estremamente fragile ma con una
costituzione estremamente libera e democratica.

Risposta alla crisi economica e sociale, e riesce a incanalare il revanscismo del


popolo tedesco rispetto alle condizioni umilianti dei trattati di Versailles del 1919.

Hitler è a capo di una piccola formazione politica e raggiungerà il potere dopo dieci
anni.

Il suo partito si proclama operaio e socialista, e Hitler spiega di averla usata perché è
quella più amata dalla popolazione. E esattamente come ha fatto il fascismo, essendo
Hitler un grande ammiratore di Mussolini, agisce su un doppio binario: da una parte
si presenta come rispettabile che ha a cuore l’ordine civile e al tempo stesso utilizza
la violenza politica contro gli avversari tramite le Squadre d’Assalto (SA).

Ancora nel 1928 il partito di Hitler otterrà solo il 2,5% dei voti. 4 anni dopo diventerà
il primo partito col 37% dei voti.

Questo perché fra il 28 e il 32 c’è la crisi economica del 1929, che in Germania fa
diminuire della metà la produzione industriale e produrrà 6 milioni di disoccupati.

E in questo frangente Hitler troverà l’appoggio sia della grande borghesia, sia dei ceti
medi, sia dei disoccupati arrabbiati e disperati.

Si potrà poggiare quindi su una larghissima base sociale, a cui offrirà una risposta
sintetizzata nel Mein Kampf, pubblicato nel 1925.

In questo c’è già una differenza col fascismo: Hitler ha un programma certo che
tenderà ad applicare integralmente, a differenza dell’approccio situazionale di
Mussolini.

Nel Mein Kampf il punto centrale è il conflitto fra razze: il popolo tedesco, gli Ariani,
destinati a conquistare il mondo contro le altre.

Hitler dà ai tedeschi il compito di eliminare i nemici del popolo tedesco, fra cui
soprattutto gli ebrei, considerati dei senza patria. In più, agli ebrei viene addossata
anche la responsabilità della crisi economica. Altro nemico sono i Comunisti,
responsabili della decadenza della società.

Altro compito è quello di conquistare uno Spazio Vitale (Lebensraum) per il popolo
tedesco, ora occupato da altre nazioni dopo i trattati del 19.
Hitler andrà al governo il 30 Gennaio del 33, perché fino a quel momento in
Germania ci son stati una serie di governi di destra conservatori ma molto fragili. E di
fronte a questa fragilità, i gruppi conservatori, l’esercito e il presidente della
repubblica stesso chiederà ad Hitler di entrare al governo.

La loro intenzione è quella di rafforzare il governo e al contempo di ammansire


Hitler, cosa che chiaramente non successe qui come in Italia.

Il 27 Febbraio del 33, una settimana prima di una nuova consultazione elettorale,
viene incendiato il Reichstag e viene incolpato un comunista olandese. Non si sa se
sia stato effettivamente lui: al processo questo ragazzo piuttosto giovane arriverà
sanguinolento e confesserà, forse sotto minaccia.

La responsabilità viene quindi addossata ai gruppi dell’estrema sinistra. Nelle


elezioni, una Germania sconcertata vota i Nazisti col 44% dei voti.

Hitler quindi ora ha un governo tutto suo e instaura immediatamente la dittatura: dà al


governo il potere di fare le leggi, togliendolo al Parlamento che ora non serviva più
niente.

Sempre nel 33 vengono sciolti i partiti d’opposizione: socialisti, social democratici


per primi, seguono gli altri.

Sempre nel 33 viene creato il primo campo di concentramento a Dachau, dove


vengono internati gli oppositori politici.

A pochi mesi dalla salita al potere inaugura nuove elezioni con lista unica dove
prendono il 92%.

L’anno dopo crea le SS ed elimina i dirigenti delle SA e sempre nel 34 per una legge
di pieni poteri assume anche la carica di capo dello stato ed estende il suo potere
anche alle forze armate, che ora dovranno giurare fedeltà a lui direttamente.

Con questo proclama la nascita del Terzo Reich: il primo era il Sacro Romano
Impero, il secondo era quello di Bismark.

Questo voleva dire avere un mito fondativo che offriva al popolo un senso di potenza.

Il governo tedesco si basa su un rapporto piramidale col governo, col Fuhrer in cima e
il Partito e le organizzazioni di massa che facevano capo al Partito (es. Gioventù
Hitleriana) a fare da mediazione fra Fuhrer e popolo.
Una volta salito al potere Hitler appunto attua il suo programma: l’eliminazione dei
nemici del popolo tedesco. Per socialisti e comunisti scioglie i loro partiti e li mette
nei campi di concentramento.

Nel 37 promulga le leggi anti-ebraiche, con cui si instaura un regime di apartheid, in


cui esiste un sistema legale per i Tedeschi e uno per gli Ebrei.

Avrà luogo quindi la Notte dei Cristalli, durante la quale vengono infrante tutte le
vetrine dei negozi ebraici. Vengono al contempo uccise moltissime persone e
incendiate le sinagoghe. L’ultima fase avrà luogo durante la guerra, chiamata
Soluzione Finale, in cui ci sarà la deportazione di massa col fine dello sterminio.

E tutto questo è finalizzato al mantenimento della razza ariana, che comprende anche
la sterilizzazione forzata dei portatori di malattie ereditarie e l’eliminazione fisica
degli infermi.

In questo caso, parliamo di un totalitarismo perfetto perché c’è un meccanismo


impositivo in cui le opposizioni vengono annullate e non c’è alcun contraltare (in
Italia c’erano comunque la corona e la chiesa a rimanere afasciste). E la società
tedesca è controllata da una fitta rete poliziesca per mano della Gestapo e delle SS.

Inoltre, il dissenso era punito con l’internamento a Dachau. In più troverà subito
l’appoggio della Chiesa, già nel 33, e stipuleranno un concordato in cui si dice che la
Chiesa riconosce il Nazismo e il Nazismo riconoscerà le libertà religiose dei
Cattolici. E anche i Luterani finiranno con l’appoggiare il potere di Hitler.

C’è in tutto questo anche la conquista dei sentimenti del popolo tedesco: da una parte
tramite la riscoperta dell’orgoglio nazionale, con una politica estera aggressiva e
tramite anche la ripresa produttiva, col riarmo e il varo di imponenti lavori pubblici,
che in pochi anni porteranno a quasi 0 la disoccupazione tedesca verso il 39, dai 6
milioni che erano dopo la crisi economica.

Qui dunque le classi subalterne trovano convenienza nel sostenere il regime Nazista.
A tutto ciò si affianca una straordinaria opera di propaganda, architettata da
Goebbels, che propone la costruzione di un Uomo Nuovo Nazista, in salute, bello,
senza difetti, un contadino-guerriero che con una mano coltiva la terra e con l’altra
impugna la spada che la difende.

Vuole quindi una dimensione rurale con l’uomo contadini bello, salubre e forte, ma
utilizzerà tutti gli strumenti della società di massa: cinema, radio, pubblicità.
E Goebbels architetterà anche immense adunate di massa che rendevano il Nazismo
una specie di religione laica in uno Stato Etico.

(Stato Etico = Stato che accetta solo la propria etica.)

La politica estera di Hitler è quindi estremamente aggressiva, che alimenterà una


forte instabilità in tutta Europa fino a far scoppiare la Seconda Guerra Mondiale.

Nel 33 Hitler fa uscire la Germania dalla Società delle Nazioni, segno di ostilità nei
confronti del mondo democratico uscito dai trattati di Versailles, ritenuto artefice
dell’umiliazione tedesca.

Hitler nel 36 tenterà quindi l’annessione dell’Austria, paese di nascita di Hitler. E qui
le potenze democratiche reagiscono: Francia, Bretagna e anche l’Italia fascista e
stipuleranno un patto di difesa contro la Germania per difendere l’Austria.

Pochi mesi dopo, nel 36, questo accordo verrà vanificato dal voltafaccia degli Italiani,
che seguiranno Hitler in Spagna a supporto della contro-rivoluzione di Francisco
Franco.

Nel 38, due anni dopo, Hitler annette l’Austria e inizia a rivolgersi verso est: la
regione dei Sudeti e nel 39 la Polonia, cosa che farà scoppiare la Seconda Guerra
Mondiale.

Allo stesso tempo, negli anni 20 e 30, dopo la morte di Lenin nel 1924 assistiamo a
un’ulteriore concentrazione del potere e uno sviluppo dell’apparato burocratico che
viene articolato in una complessa struttura istituzionale, con al vertice il Congresso
Panrusso dei Soviet dell’Unione, in teoria. In realtà il potere è nelle mani del Partito
Comunista, che controlla la Ceca, la polizia politica, e controlla completamente anche
i Soviet stesso controllandone le elezioni interne.

Il Partito è a sua volta nelle mani di un ristretto gruppo dirigente con a capo il
Segretario del Partito.

Dopo la morte di Lenin tuttavia si apre un’aspra lotta per la sua successione, dalla
quale Stalin, già Segretario Generale nel 22, prenderà il potere.

Unica opposizione è quella di Leon Trotsky, che è l’unico a riconoscere che ci sia
un’eccessiva accentrazione del potere che sta decretando un’involuzione autoritaria
del Comunismo Russo. Questo secondo lui è per via dell’isolamento della Russia e
propone di romperlo tramite il programma della Rivoluzione Permanente.
Tuttavia Trotsky è temuto dagli altri bolscevichi perché troppo popolare per via del
suo grande protagonismo durante la Rivoluzione. In più, gran parte del gruppo
dirigente diffida di lui perché non entrò subito fra i Bolscevichi ma all’inizio si teneva
al centro fra loro e i Menscevichi.

Stalin invece aveva una fitta rete di contatti nel Partito e prevarrà sia lui politicamente
che la sua teoria, condensato nell’idea del Socialismo in un solo paese, che invece era
l’opposto di quello che diceva Trotsky.

La sua linea politica è effettivamente però quella più pragmatica, anche perché la
rivoluzione in Europa è scoppiata ed è stata sconfitta, anche perché i paesi Europei
stavano effettivamente iniziano un riallaccio delle relazioni con l’Unione Sovietica.

Alcuni dirigenti del partito tuttavia si spostano verso Trotsky, che cercano di dare
un’opposizione interna contro Stalin. Stalin quindi li escluderà dalle discussioni
interne e nel 27 li espellerà dal partito e alla fine farà anche espellere Trotsky dalla
stessa Unione Sovietica che aveva contribuito a creare.

Da lì in poi quindi si apre un periodo autoritario per i Russi.

Il programma di Stalin voleva dire l’autosufficienza della Russia, cioè una potenza
militare in grado di competere con gli altri paesi. Per fare questo tuttavia c’era
bisogno di un forte sviluppo industriale, e l’URSS era un paese largamente rurale.

Questo sarà fatto con una concentrazione del lavoro agricolo in grandi fattorie statali
e una guerra ai contadini più ricchi. Questo vorrà dire un nuovo scontro fra lo Stato e
la realtà rurale, poi conclusasi con deportazioni di massa e repressione violenta.

Questo si tradurrà invece in una diminuzione della produzione agricola, e quindi una
drammatica carestia. Nella sola Ucraina ci saranno 4 milioni di morti, in particolare
bambini.

Il secondo passaggio è quello dell’industrializzazione forzata, cioè un programma


industriale con obiettivi stabiliti ogni 5 anni, dei piani quinquennali.

Gli obiettivi saranno effettivamente troppo ambiziosi e non saranno mai raggiunti, ma
i piani quinquennali fra il 28 e il 33 forniranno un balzo in avanti impensabile nella
produzione industriale, l’occupazione nelle fabbriche e l’industrializzazione generale
della Russia.

In questo Stalin sta materialmente costruendo il suo consenso: grazie a questi indubbi
successi l’URSS aumenta enormemente il suo prestigio internazionale, che
galvanizza anche i partiti comunisti all’estero, ma desta anche l’ammirazione dei suoi
avversari.

L’isolamento dell’URSS quindi diventa un pregio, perché non soffre della crisi
economica del 29. Questa industrializzazione è anche possibile per la forte
concentrazione di potere nelle mani di Stalin. Questo potere si traduce anche nello
sviluppo del centralismo già presente nel partito bolscevico, fino a trasformarlo in
qualcosa di diverso.

Stalin esaspera il nazionalismo e il paternalismo presente nella cultura Russa e il suo


potere è accompagnato da un’epurazione interna sia del Partito che della società
Russa stessa.

Nel 34 in seguito all’omicidio di Kirov, uno dei dirigenti più in vista del Partito
Comunista, probabilmente commissionato dallo stesso Stalin, permetterà a Stalin di
innescare un’ondata repressiva contro i “nemici del popolo”.

Questo darà origine alla stagione delle “Grandi Purghe”: milioni di persone saranno
deportate nei Gulag senza neanche conoscere le imputazioni.

Verranno organizzati processi-farsa contro dirigenti del partito comunista stesso, che
si concluderanno inevitabilmente con la fucilazione.

Trotsky verrà assassinato con un piccone nella nuca a Città del Messico.

In un decennio, le vittime della repressione Staliniana, sia dirette che indirette, si


possono contare fra i 10 e gli 11 milioni di persone.

Ciò che è significativo è che il partito responsabile effettivamente della rivoluzione


sarà ucciso, deportato o messo in posizione di sinecure.

Stalin quindi tira un linea di demarcazione fra il suo potere e quello che era stato il
Bolscevismo fino ad allora.

Al contempo, in Sud America nasceranno molti regimi autoritari, come conseguenza


della crisi economica, in cui si instaurano dittature personali o militari o populiste o
semplici accentramenti di potere.

In Brasile ad esempio ci sarà un regime molto simile a quello Italiano.

In Asia invece ci saranno fenomeni anche molto diversi: dopo una sanguinosa guerra
civile in Cina, salgono al potere i Nazionalisti col Kuomintang di Chiang Kai-Shek,
contro i Comunisti. Tuttavia di fronte all’aggressione del Giappone queste due fazioni
dovranno allearsi fra loro per far fronte agli invasori.

In Giappone invece c’è stata un’ulteriore crescita industriale e demografica, oltre a


una crescita dei movimenti di estrema destra e dell’imperialismo.

In Giappone anche si affermerà un regime molto simile a quello Italiano.

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