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Nel 1919 ha il suo primo contatto con il Partito dei Lavoratori Tedeschi, una
formazione antisemita e nazionalista, denunciando l’ingiustizia del trattato di
Versailles. Un partito che si stava evolvendo in fretta: nel 1921 cambia nome, ed è
ormai ufficialmente la NSDAP, Partito Nazional Socialista dei Lavoratori Tedeschi - in
altre parole il partito nazista, che già allora riconosce Hitler come leader. In una
Germania in condizioni economiche disastrose, nel 1923, il partito conta già 56.000
membri, e moltissimi sostenitori.
Naturalmente, il principale bersaglio delle persecuzioni naziste sono gli Ebrei, una
comunità numerosa (quasi il 10% della popolazione) e relativamente benestante.
Risale al 7 aprile del 1933 una legge che impediva agli Ebrei di lavorare
nell’amministrazione statale, nelle università, negli ospedali, nei tribunali e persino nel
mondo dell’arte. Nel 1935 venne istituita una legge che vieta il matrimonio tra ‘ariani’
ed ebrei. Tutti i non tedeschi vengono esclusi dal diritto di cittadinanza, e gli ebrei
vengono privati di qualunque diritto civile.
Alla base del programma nazista c’era anche una politica estera fondata su un
imperialismo aggressivo; nell’ottobre del 1933 la Germania esce dalla Società delle
Nazioni: era evidente che il regime puntava sulla forza, piuttosto che sulla diplomazia,
per mettere in discussione la Pace di Versailles. Nonostante questo, vengono stipulati
accordi bilaterali con l’Unione Sovietica e con la Polonia. Ma il 1 settembre del 1939,
la Germania nazista invade la Polonia e scatena la Seconda Guerra Mondiale.
Il nazismo raggiunse la sua fine definitiva durante gli ultimi giorni della Seconda
Guerra Mondiale. Nel corso degli ultimi mesi della guerra, le forze sovietiche si
avvicinarono sempre di più a Berlino, e il 25 aprile 1945, le truppe sovietiche
sferrarono l'assalto finale contro la città. I crimini commessi dal regime nazista
vennero portati alla luce, inclusi gli orrori dell'Olocausto, che si rivelò come una delle
peggiori atrocità nella storia dell'umanità. In definitiva, il nazismo terminò con la
sconfitta militare della Germania e la distruzione del suo regime oppressivo. La
guerra mondiale si concluse con la vittoria degli Alleati e la liberazione dell'Europa dal
giogo del nazismo.
FASCISMO
Il Fascismo è un movimento politico sorto in Italia negli anni successivi alla fine della prima
guerra mondiale come reazione alla crisi generale provocata dagli anni di conflitto, crisi
economica, sociale, politica.
Durante il cosiddetto “Biennio rosso”, 1919-1920, si presentarono sempre più numerose le
agitazioni operaie e contadine, con occupazioni di terre, fabbriche e scioperi e proteste delle
classi lavoratrici e una crescita di partiti popolari e socialisti che, insieme alla dilagante crisi
economica e la strategia di non intervento dei governi liberali, portano a un malcontento
generale.
Dal movimento socialista si distaccherà ben presto, trasformandosi nel difensore della
monarchia, della proprietà, dei valori della religione cattolica, Benito Mussolini, il quale
cercherà di mostrarsi al popolo come un “uomo d’ordine”, l’unico in grado di evitare che
l’Italia precipiti nel caos, attraverso l’uso della violenza organizzata contro i movimenti operai
che destabilizzavano la società. Loa borghesia operava con le forze dell’ordine e
dell’esercito, mentre le forze liberali, pur non condividendone i metodi violenti, pensarono, di
poter sfruttare i metodi di Mussolini per sconfiggere la protesta delle classi lavoratrici.
Il 24 ottobre 1922, Mussolini raduna a Napoli le camicie nere (squadre d’azione fasciste
costituite soprattutto da giovani), e minaccia di marciare su Roma, cominciando ad
avvicinarsi verso la capitale. Il Re, di fronte al rischio di una guerra civile, rifiuta di firmare lo
stato d’assedio e nonostante l’esercito avrebbe potuto fermare Mussolini e i suoi uomini
senza difficoltà, il 29 ottobre gli assegna l'incarico di formare il nuovo governo.
Dopo la Marcia su Roma, il fascismo al governo dà inizio ad una delicata fase di ridefinizione
e trasformazione delle istituzioni liberali italiane, e i ceti medi, gli industriali e lo stesso re
sono favorevoli a Mussolini, perché sembra davvero l’uomo giusto per ‘riportare l’ordine’ nel
paese. Nel dicembre del 1922, viene istituito il gran consiglio del fascismo: un organo
composto da dirigenti del partito, il cui ruolo è stabilire la linea di azione del governo.
Nel gennaio del 1923 le ‘camicie nere’ vengono inquadrate in un corpo militare definito, la
Milizia volontaria per la sicurezza nazionale.
Un deputato socialista riformista, Giacomo Matteotti, dopo aver denunciato in parlamento le
violenze e le irregolarità elettorali, viene rapito ed ucciso da un gruppo di squadristi (10
giugno 1924). Le opposizioni a questo punto, sperando in un intervento del re che non ci
sarà, abbandonano il Parlamento. Vari mesi dopo, il 3 gennaio del 1925 Benito Mussolini si
assumerà la responsabilità civile, morale e storica non soltanto dell’omicidio Matteotti, ma di
tutto ciò che era successo negli ultimi mesi.
Alla fine del 1925 gli oppositori politici verranno spediti in ‘confino’ (isolati in luoghi remoti e
inaccessibili). Inoltre vennero ratificate le “Leggi fascistissime”che cambieranno
completamente l'assetto istituzionale del paese: verrà istituito un tribunale speciale per la
difesa dello stato, introdotta la pena di morte per chi attentava alla sua sicurezza, e da allora
i sindaci non verranno più eletti, ma sostituiti da ‘podestà’ nominati dal partito. Inoltre per un
periodo di tempo indefinito, le libertà di associazione e di stampa sono soppresse.
Nel corso degli anni 1925-26, il sistema parlamentare liberale fu progressivamente sostituito
da un regime dittatoriale, dove Mussolini ne diventò il Duce.
Il regime fascista era un regime repressivo ed antidemocratico: questo significa che non
c’era spazio per l’anticonformismo, né per il dissenso. Per Benito Mussolini chi pensava con
la propria testa, assumendo posizioni critiche verso il suo regime, era un problema in
particolare gli oppositori politici: socialisti, comunisti, democratici e radicali.
Contro questi dissidenti politici erano stati istituiti tribunali speciali, che condanneranno a
morte più di 40 persone, ne spediranno più di 4.000 in carcere, mentre altri 15.000 verranno
esiliati al ‘confine’. Non era facile rimanere in Italia per un oppositore: molti di loro
decideranno quindi di continuare la lotta al fascismo emigrando all’estero, anche se
qualcuno, come i comunisti, manterrà in Italia importanti ‘cellule’ di resistenza.
Ma anche la semplice indisciplina, i comportamenti individuali che andavano contro la
morale cattolica, e persino le barzellette sul duce venivano puniti dal regime ed oltre al
tribunale e alla galera, la violenza e l’intimidazione (manganello e olio di ricino) non
smettono mai di rimanere armi del regime per contrastare oppositori, ma anche semplici
anticonformisti.
Allo stesso tempo i bambini venivano reclusi in strutture di associazioni paramilitari, dove
imparavano la disciplina e l’obbedienza, partecipando ad un vero e proprio culto della
persona dell’onnipresente e protettivo duce; gli universitari partecipavano a GUF (Gruppi
universitari fascisti); le donne i Gruppi femminili fascisti.
Dal 1936, con le prime politiche antiebraiche, assume anche ideali razzisti: viene vietato il
matrimonio ‘misto’, e gli ebrei italiani, alcuni dei quali erano stati fascisti sin dall’inizio, non
potevano più ottenere impieghi pubblici, né semplicemente andare a scuola.
Per quanto riguarda la politica economica fascista, è stata definita ‘liberistica’: puntava al
pareggio del bilancio (ottenuto nel 1925), ‘lasciando fare’ il mercato. Quando nel 1926
Mussolini si impegna a rivalutare la lira, da una parte questo era un segnale di stabilità,
dall’altra le merci italiane diventavano troppo care per gli investitori stranieri, crollava cosi
l’esportazione destinata a peggiorare con la crisi del ‘29.
Il fascismo tenta di imprimere all’Italia una svolta di tipo agricolo, in particolare dal 1926 con
la battaglia del grano: l’Italia puntava all’autosufficienza alimentare, ma coltivare più grano
voleva dire trascurare altri possibili usi della terra, come l’allevamento o altre colture.
In definitiva le politiche economiche fasciste degli anni ‘30 porteranno buoni risultati, con
aumenti del PIL e della produzione industriale, mentre a peggiorare saranno le condizioni
delle classi subalterne, decisamente trascurate in favore dei ceti medi. I bassi salari e la
disoccupazione andranno a creare una serie di disagi ed un netto calo dei consumi, in
particolare nel Mezzogiorno.
Per poter ricevere il consenso del regime c’era bisogno di mezzi di comunicazione moderni,
di massa. Dal 1927, l’Eiar (Ente italiano audizioni radiofoniche) inizia a curare la
programmazione nazionale via radio, che comprendeva non soltanto informazioni ufficiali,
ma anche intrattenimento, canzoni, varietà. Infine attraverso i Patti lateranensi, dell’11
febbraio 1929 si ebbe la pacificazione fra Stato e Chiesa. Il concordato prevedeva il
giuramento di fedeltà dei vescovi allo stato in cambio d’importanti privilegi alla chiesa
cattolica: il cattolicesimo diventava religione di stato insegnata in tutte le scuole mentre
Mussolini raccolse maggior consenso dalle masse e rafforzò il suo regime.
Relativamente alla politica estera del fascismo negli anni ‘20 Mussolini cerca legittimazione
tra le potenze europee, e quando il regime inizia a stabilizzarsi l’Italia fascista è pronta per
provare a realizzare le proprie mire espansionistiche, ma a causa della debolezza del paese,
dovrà cercare l’appoggio delle ‘grandi potenze’.
Nel 1932 Mussolini assume personalmente il ruolo di ministro degli Esteri, tentando di agire
come mediatore tra la Germania e potenze come la Francia e la Gran Bretagna, ma deve
fare immediatamente i conti con l’aggressività di Hitler, che nel 1933 porta la Germania ad
uscire dalla società delle nazioni.
Mussolini si avvicina alla Francia ed Inghilterra, e ribadisce la volontà di contrastare i pericoli
per la pace in Europa.
Posteriormente, l’Italia si avvicina alla Germania e nell’ottobre del 1936 nasce l’asse
Roma-Berlino. Secondo gli accordi, alla Germania spettava l’Oriente, all’Italia il
Mediterraneo. Inoltre in occasione della guerra civile spagnola, Mussolini invia dei volontari
in appoggio al generale Francisco Franco contro la Spagna repubblicana. Nel 1937 dopo
aver firmato un patto antisovietico con Germania e Giappone, l’Italia esce dalla Società delle
Nazioni.
Nel maggio del 1939 l’Italia stipula con la Germania il patto d’acciaio, in cui Italia e Germania
si impegnavano ad entrare in guerra l’una a favore dell’altro, anche nel caso di conflitti
offensivi. Tuttavia, allo scoppio della 2 guerra mondiale nel settembre del 1939, l’Italia era
priva di risorse per fronteggiare un serio impegno bellico: per questo motivo, l’Italia sceglie
all’inizio la ‘non belligeranza’.
Durante gli anni della Seconda guerra mondiale le condizioni economiche e sociali già
critiche della Russia si aggravarono. Le campagne si trovavano in un pesante grado di
arretratezza, la miseria dilagante colpiva la maggioranza della popolazione e a questa
situazione critica, si aggiunsero nel 1916 le sconfitte di guerra che generarono malcontento
e risentimento.
Nella Russia zarista vigeva una forma di governo nota come AUTOCRAZIA (lo zar
incarnava potere assoluto = legislativo, esecutivo e giudiziario; era anche capo della Chiesa
ortodossa e nominava personalmente i suoi ministri). nelle campagne dominava la nobiltà
latifondista mentre la maggior parte della popolazione era costituita da servi della gleba,
comprati e venduti insieme alla terra che lavoravano. ma nella seconda metà dell’ottocento
lo zar Alessandro II aveva stipulato una serie di riforme finalizzate a modernizzare il paese.
Aveva, per esempio, decretato l’abolizione della servitù della gleba e promosso lo sviluppo
dei ceti medi intellettuali, la cosiddetta INTELLIGENCIJA (professori, giornalisti, giudici,
funzionari…).
L’ultimo Zar di Russia, Nicola II, nonché l’ultimo esponente della dinastia dei Romanov, per
lunghi anni costrinse la sua popolazione a uno dei più drammatici assolutismi europei. Per di
più, intraprese una guerra contro il Giappone (guerra russo-giapponese), ma la sconfitta che
ne scaturì, provocò l’indebolimento dello zarismo e la crescita dei sempre più numerosi
conflitti interni. Il più importante fu quello del 1905, che passò alla storia come la domenica
di sangue, ovverosia quando la polizia uccise un migliaio di persone nel corso di uno
sciopero nazionale per presentare una petizione allo zar, le ciò lo costrinse a concedere
l’elezione della prima DUMA (= assemblea parlamentare).
In realtà, proprio agli inizi del Novecento, già in molti pensavano che il regime assolutistico
degli Zar non potesse ancora resistere a lungo, a causa dell’incapacità dell’autocrazia di
affrontare le crescenti richieste di partecipazione politica provenienti dalla borghesia e
dall’aristocrazia liberale e di risolvere la questione agraria e sociale.
Tra il 1906 e il 1914, la Russia provò a dotarsi di una sorta di regime semi-rappresentativo,
dove alcune libertà politiche e civili vennero parzialmente riconosciute. Ciò nonostante, il
regime zarista si mostrò incapace di andare incontro alle sempre più crescenti richieste di
contadini e operai.
Nel 1914, con l’inizio della Prima Guerra mondiale, l’Impero russo entrò in guerra a fianco di
Francia e Gran Bretagna, contando su una rapida vittoria contro l’Austria-Ungheria alleata
della Germania. Tuttavia, dopo alcuni successi iniziali, l’esercito zarista dimostrò la stessa
inadeguatezza che l’aveva portato alla sconfitta con il Giappone dieci anni prima. Nel
frattempo, però, il logorio del conflitto stava colpendo non solo i soldati nelle trincee, ma
anche le masse nelle città: la condizione catastrofica dell’economia del Paese, la carestia
che aveva ormai provocato più di due milioni di morti e l’aumento dei prezzi dei prodotti
alimentari, portò il popolo in strada a manifestare la propria esasperazione attraverso una
violenta rivolta. Queste dimostrazioni di piazza dell’8 e il 9 marzo 1917 (23 e 24 febbraio
secondo il calendario ortodosso), dilagarono in tutto il Paese, travolgendo il regime zarista.
Nicola II abdicò decretando la fine della dinastia dei Romanov. Dopo la caduta dello zar, la
successione fu assunta da un governo provvisorio liberale costituito dai membri della Duma
e presieduto dall’aristocratico Georgij L’vov e da Aleksandr Kerenskij (ministro della guerra)
con l’obiettivo di continuare la guerra e la ripresa economica-politica del paese.
Esistevano però anche altri partiti:
- PARTITO SOCIALISTA RIVOLUZIONARIO
(fondato nel 1901 e avente come programma il riscatto economico dei contadini e la
socializzazione delle terre)
- PARTITO SOCIALDEMOCRATICO (operai), diviso tra:
menscevichi, che sostenevano un percorso graduale verso il socialismo e credevano nella
collaborazione con le altre forze democratiche: ritenevano che la Russia dovesse passare
una fase borghese di sviluppo prima di raggiungere le condizioni per una rivoluzione
socialista. Pertanto, erano favorevoli alla partecipazione al governo provvisorio dopo la
caduta del regime zarista nel febbraio 1917.
bolscevichi, rivoluzionari anti-zaristi, guidati da Vladimir Lenin, rappresentavano una
fazione più radicale all'interno del partito. Lenin, che a soli ventitré anni era diventato una
figura di spicco nel Partito Operaio Socialdemocratico Russo; essi sostenevano la necessità
di una rivoluzione immediata e la presa del potere da parte del proletariato per instaurare il
socialismo. I bolscevichi sostenevano la creazione di un governo socialista basato sui soviet,
organi di autogoverno e di rappresentanza popolare dei lavoratori e dei soldati. Inoltre i
bolscevichi volevano porre fine alla partecipazione russa nella Prima guerra mondiale e
portare avanti un programma di redistribuzione delle terre e del potere agli operai e ai
contadini.
Kerenskij intanto aveva assunto la guida del governo provvisorio, ma gli eserciti russi
continuavano a subire in guerra delle sconfitte sempre più pesanti. Anche per questo motivo,
il fronte andava sfaldandosi e decine di migliaia di contadini russi disertavano le trincee e
tornavano nelle campagne.
Dopo aver sventato un tentativo di colpo di stato (da parte del generale Lavr G. Kornilov)
l’influenza dei bolscevichi sulle masse degli operai e dei soldati si andava allargando, ed
essi conquistarono la maggioranza nei soviet. L’autorità del governo provvisorio era a pezzi
e i bolscevichi in quel momento costituivano l’unico partito saldamente organizzato e in
grado di prendere il potere.
Così, a fine ottobre si decise di rovesciare il governo Kerenskij. Alcuni dirigenti erano
contrari, mentre Lev Trockij, proveniente dalla sinistra menscevica, venne eletto presidente
dei soviet di Pietrogrado e fu l’organizzatore e la mente militare dell’insurrezione russa.
In poco tempo la Guardia Rossa e le truppe regolari conquistarono il Palazzo d’Inverno,
residenza invernale dello Zar e ora sede del governo provvisorio.
Questo gesto rivoluzionario doveva simboleggiare la presa della Bastiglia russa e nell’arco di
una giornata i bolscevichi s’impadronirono anche del potere, costringendo Kerenskij a una
fuga precipitosa. Le resistenze furono assai deboli e l’intera operazione risultò quasi senza
spargimenti di sangue, eccezion fatta per la famiglia Romanov che venne sterminata poco
tempo dopo. Il giorno successivo il tumulto divampò a Mosca e in tutte le altre grandi città
russe. Era il trionfo della cosiddetta Rivoluzione russa o Rivoluzione d’Ottobre.
Nei giorni successivi, a Pietrogrado si riunì il Congresso Panrusso dei Soviet e venne
costituito un nuovo governo rivoluzionario composto da bolscevichi di cui Lenin era
presidente. Il nuovo potere tendeva a garantirsi l’appoggio delle masse contadine,
accontentandole nelle loro aspirazioni più elementari. Ma la vera priorità era quella di uscire
da una guerra che stava portando l’intero Paese all’annientamento economico.
Il 3 marzo 1918 fu concluso con gli Imperi centrali il Trattato di pace Brest-Litovsk. Per
protesta i menscevichi abbandonarono il governo e in Russia era in atto la dittatura del
proletariato. Era stata un’idea di Lenin, che non credeva alle regole della democrazia
borghese e riconosceva al solo proletariato il diritto di guidare la rivoluzione e sosteneva che
la rivoluzione socialista, pur mirando a realizzare un obiettivo di libertà collettiva, dovesse
passare attraverso una fase di esercizio del potere assoluto da parte del “partito degli operai
e dei contadini”, con la sospensione delle garanzie civili e politiche tipiche delle democrazie
liberali (libere elezioni, libertà di stampa e di associazione).
Il 30 dicembre 1922, nel corso del primo congresso dell’Unione dei soviet, si decise la
creazione di una federazione di repubbliche, l’Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche (URSS, in russo CCCP), ciascuna governata da un soviet locale. La capitale
della federazione fu fissata a Mosca, dove i Bolscevichi avevano trasferito il potere centrale
fin dal 1918 —-> URSS