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Storia Delle Dottrine Politiche
Università del Salento (UNISALENTO)
11 pag.
- [il partito unico - il fulcro potremmo dire dell’ideologia totalitaria che si pone di
sostituire lo Stato come vero centro del potere e detentore del monopolio della
violenza]
- [l’uso discrezionale e non legale - o almeno fittiziamente legale - del potere politico
nonché uso terroristico del potere dello Stato e del partito contro la società in modo
- [infine il controllo pieno da parte del potere politico sulla comunicazione e l’economia
quindi direttamente sulle risorse simboliche e materiali della società]
quindi, se una forma politica non rispetta questi criteri estremi, benché calpesti le libertà
democratiche allora sarà interpretata come autoritaria.
[la risposta a questi quesiti è la riflessione filosofica politica sul totalitarismo che si dimostra
essere di straordinario rilievo poiché coinvolge figure del progresso, la tecnica, il nichilismo e
la modernità]
[va sottolineato che l’ingresso delle masse sulla scena politica e il ruolo crescente della
tecnica non sono di per sé totalitari ma semmai le prime vittime di questo sistema di violenza
e la tecnica, da sua parte, non mostra una diretta correlazione con l’intenzionalità terroristica
- anzi il secondo dopoguerra ci mostra che sono possibili ordinamenti politici dove i confini
tra Stato, masse e tecnica coincidono con la libertà individuale e collettiva. Inoltre, risulta
chiaro come sia necessario distinguere i valori ultimi dei totalitarismi come la differenza tra
l’emancipazione socialista e il dominio germanico sul mondo e che i parallelismi strutturali
fra stalinismo e nazismo non ne indicano l’identità storica; anzi questi due regimi si
scontreranno in una lotta mortale nella seconda guerra mondiale]
Rispetto allo Stato, i regimi totalitari risultano l'opposto di esso ed è per questo che è errato
parlare di Stato totalitario - la politica formale e istituzionalizzata dello Stato moderno è
negata dalla tensione del totalitarismo nonché la stabilità dello Stato stesso che viene
minacciata dalla mobilità pertinente dei totalitarismi. Noi ricordiamo lo spazio politico istituito
nello Stato dove il compito - a partire da Hobbes - di preservare spazi multipli per la privacy
[COMUNISMO SOVIETICO]
Gli sviluppi totalitari all’interno dell’Urss sono stati resi ampiamente possibili dalla mano di
Lenin, di fatto a lui si deve la costruzione del potere abnorme e illimitato del comunismo che
eventualmente divenne totalitario quando verso la fine degli anni 20 cadde interamente nelle
mani del successore Stalin. Negli anni della sua introduzione, questo movimento vede
l’opposizione da parte delle figure di maggior rilievo della Rivoluzione d’Ottobre tra cui
Nikolaj Ivanovic Bucharin - il quale nonostante fosse uno dei primi protagonisti della nascita
e degli sviluppi dello Stato sovietico, aveva maturato le proprie convinzioni e teorie politiche
in modo ben distinto dalle immediate contingenze politiche. Il nucleo del suo pensiero è
caratterizzato dalla convinzione che la sempre più stretta interdipendenza tra economia e
politica possa risultare in un fattore duraturo di stabilizzazione economica - di conseguenza
crede che il nuovo comunismo di Stalin pone una revisione della tradizionale distinzione tra
struttura e sovrastruttura di Marx dal momento che ora gli apparati regolatori dello Stato
sono diventati parte integrante della struttura economica; e questo significa
fondamentalmente che lo Stato non può più essere neutrale e indipendente
Lui, oltre alla fondamentale critica del capitalismo occidentale, affianca l’analisi
dell’esperienza sovietica dopo la morte di Lenin attualizzando un’osservazione mossa verso
la logica autoritaria dell'industrializzazione che avrebbe portato a riprodurre il meccanismo
dell’accumulazione capitalistica - lui a questo modello dunque oppone un prototipo di
socialismo in termini di qualificazione dello sviluppo, quindi un rapporto di interdipendenza
tra razionalizzazione produttiva e crescita del mercato interno anche sul piano dei consumi
di massa; conseguentemente diviene un sostenitore della NEP [la Nuova Politica
Economica] > a questa NEP si opporrà Trockij che considerava il mondo agricolo secondo il
tradizionale progetto marxiano dell’accumulazione originaria [quindi oggetto di sfruttamento
ai fini dell’industria. Una volta sconfitto da Stalin nel 192, Trockij elaborerà in tempi
successivi una critica allo stalinismo che non sfocerà mai nella negazione del carattere
fondamentalmente socialista dell’Unione Sovietica; quindi le critiche vengono mosse sulla
base di due punti
- [in secondo luogo, Trockij ritiene che sia necessario ricercare la dimensione
internazionale del movimento in Occidente, ricercandovi il ruolo di iniziativa
rivoluzionaria che nel 1917 i bolscevichi avevano assegnato all’esperienza sovietica
nei confronti dell’Occidente]
viene formalmente esiliato dall’Urss nel 1927 e a Parigi nel 1939 fonda la IV Internazionale
contro la III Internazionale egemonizzata dall’Urss stalinista - viene poi condannato a morte
ai processi di Mosca nel 1936 e si stabilisce dopo lunghe peregrinazioni in Città Del Messico
nel 1937 dove verrà assassinato eventualmente per volontà di Stalin.
[secondo una tendenza propria dei totalitarismi anche il regime staliniano detiene una
visione radicale ed utopistica della storia ispirata all’avvento di una nuova era, ma questo
obiettivo può essere raggiunto solo attraverso una pratica sistematica di terrore e
repressione di massa parallele a forti trasformazioni dell’impostazione economica e politica]
La trasformazione politica più importante avviene all’inizio degli anni 30 e prende origine
dalle trasformazioni economiche avvenute durante il primo piano quinquennale [dal 1928 al
32] - durante questo processo il partito non soltanto diventa la suprema autorità in termini di
decisioni economiche ma si pone anche come strumento di mobilitazione delle masse allo
scopo di attuare tali decisioni. Nonostante si fosse preservata la tendenza del marxismo di
individuare nella razionalità pianificata il tratto qualificante dell’economia socialista, la novità
di questo modo di concepire la pianificazione stessa sta nell’attribuire agli organi dirigenti del
partito nonché Stalin stesso in vista di segretario generale il ruolo propulsivo dell’economia.
[FASCISMO]
Fascismo e Nazismo fanno la loro comparsa in Europa nel momento in cui i processi di
dissoluzione della politica dello Stato liberale e costituzionale danno origine a tendenze ostili
nei confronti delle classi dirigenti e tradizionali dello Stato, della democrazia parlamentare
nonché di ogni forma di evoluzione riformistica della legittimità democratica - per molti la loro
incubatrice è la prima guerra mondiale con le dinamiche estreme e sovvertitrici dove queste
premesse dei totalitarismi si realizzano in pieno; quindi il fascismo tanto quanto il nazismo
non pongono le motivazioni dietro le loro azioni su organiche premesse dottrinali poiché
regimi che proclamano l’inadeguatezza della ragione e la superiorità dell’istinto e della
volontà evitano di vincolarsi a programmi ideologici
Mussolini scrive che il fascismo non fu tenuto in balia da una dottrina elaborata in
precedenza a tavolino ma nacque per una necessità di azione e fu azione - quindi in politica
quello che conta è l’azione purché sia autenticamente creatrice più che il pensiero. In
generale noi possiamo dire che il fascismo si pone in luce di un’ideologia strutturalmente
contraddittoria che incorpora in sé concetti incompatibili tra di loro in un conglomerato
incoerente di idee come l’idea di un connubio tra una tendenza repubblicana e al contempo
eversiva, una monarchica e conservatrice, un rivoluzionarismo anarcoide e un’idea di Stato
forte o un socialismo nazionale ma privo di contenuti sociali
Sarà il nazionalismo italiano a fornire al fascismo buona parte del suo corpus dottrinale tra
cui il mito della nazione, la lotta delle nazioni povere contro le potenze plutocratiche, il
richiamo alla roma imperiale e la visione irrazionale e vitalistica dell’esistenza nonché
l’esaltazione dello Stato come suprema autorità - questi sono tutti temi presi dal patrimonio
culturale del nazionalismo; ma la differenza sostanziale che separa i due regimi è che il
nazionalismo è un fenomeno quasi esclusivamente borghese/aristocratico mentre il
fascismo può esistere unicamente grazie alle masse e al controllo di esse - quindi, in
prospettiva di ciò il fascismo si pone nell’ottica di fare i conti con tali masse che, non fa
nonostante il fascismo elogi la retorica dei valori tradizionali della ragione, in realtà non è in
alcun modo un regime che ci tiene a preservare le istituzioni tradizionali dello Stato,
considerando che non si richiama alla Chiesa o alla monarchia e vuole sostituirle
appellandosi a principi altro che tradizionali - il fascismo è una leadership fondata sul culto
carismatico del capo legittimato dal consenso della massa e da rituali secolarizzati nonché il
monopolio della rappresentanza politica da parte di un partito unico di massa organizzato
gerarchicamente. Essenzialmente questi regimi sono caratterizzati di incorporare
totalitariamente nelle strutture di controllo del partito o dello Stato l’insieme dei poteri. Il
fascismo alle origini incorpora secondo il Programma dei fasci di combattimento del 1919
delle richieste per certi aspetti democratiche, derivanti potremmo dire
dall’anarco-sindacalismo. Da un punto di vista politico questo programma richiede il suffragio
universale a scrutinio regionale, la rappresentanza proporzionale, il voto e l'eleggibilità delle
donne nonché un’assemblea nazionale per poter discutere una forma costituzionale dello
Stato e la rappresentanza degli interessi [che diventano corporazioni]. Dal punto di vista
sociale il programma invoca le 8 ore, salari minimi, la partecipazione dei lavoratori alla vita
delle aziende, la concessione della gestione di industrie e servizi pubblici a organizzazioni
operate; mentre dal punto di vista finanziario vige un’imposta progressiva sul capitale, la
revisione dei contratti di guerra e il sequestro dell’85 per cento dei profitti di guerra
Quindi, essenzialmente, la formulazione ideologica del fascismo presenta nei primi anni
della sua incubazione una tendenza rivoluzionaria che sembra ambiguamente richiamare ad
un programma di trasformazioni economiche e sociali, tuttavia la Dottrina del Fascismo nel
1932 curato da Mussolini e Gentile evidenzia già le prime irregolarità di questo regime
attraverso un punto focale che risulta essere l’eliminazione di quel principio democratico di
uguaglianza che caratterizzava il programma precedente, dato che risultava essere dannoso
per l’uomo in vista della naturale gerarchizzazione del genere umano, affermando che gli
uomini non possono livellare attraverso un fatto meccanico ed estrinseco come il suffragio.
In breve, all’individualismo dissolvitore e alla lotta di classe socialista si oppone l’autorità di
Stato. L’idea di nazione che la Carta del Lavoro promulgata nel 1927 è quella di un
organismo di fini e mezzi superiori a quelli degli individui che lo compongono - non è la
nazione che genera lo Stato ma lo Stato in quanto espressione di una volontà etica
universale a creare la nazione. Il fascismo adatta ai propri scopi il concetto di Stato etico
proiettandovi i tratti autoritari e antiliberali del nazionalismo.
Il partito unico e la corporazione sono i due strumenti atti a realizzare la fusione tra popolo
ripoliticizzato autoritariamente e lo Stato - questo è un organismo politico fondato sul
solidarismo corporativo dal punto di vista economico e non vi sono forze economiche e
produttive capaci di sottrarsi all’autoritarismo interventista dello Stato e al suo comando. La
corporazione serve invece ad attuare serve ad attuare, sotto il diretto controllo dell'esecutivo,
la disciplina integrale, organica e unitaria delle forze produttive in funzione della potenza
politica e degli interessi dello Stato. Sul piano politico, il modello corporativo intende porsi in
netta antitesi rispetto al modello rappresentativo democratico, in quanto prefigura una
[Il partito fascista, subordinato allo Stato, è basato sul culto del capo carismatico, a cui viene
conferito il monopolio della rappresentanza politica, rappresenta la struttura di mediazione
tra l’élite governante e le masse ormai interamente subordinate agli obiettivi della potenza
nazionale e inquadrate in imponenti rituali di partecipazione simbolica alla politica. Al partito
vengono conferite due differenti funzioni: da un lato quella di assicurare allo Stato il
consenso 'volontario' del popolo e dall'altro quella di selezionare gli elementi migliori della
«schiatta» italica, alla quale spetta il compito di trasferire nel mondo la civiltà della romanità
imperia. Questa idea di nazione dispensatrice di civiltà non è separabile da quella della
«superiorità»
[NAZISMO]
Come il fascismo, anche il nazismo [abbreviazione di nazionalsocialismo] non scaturisce da
un corpo unitario di pensiero ma è semmai un amalgama di idee e principi derivanti da fonti
disparate. Prima di tutto rispetto al fascismo è un regime totalitario oltre che autoritario,
quindi risulta ancor più marcata la rottura della tradizione storica e intellettuale della
modernità che sostituisce un passato deformato da atti propagandistici in una visione
d’insieme del potere terroristico e ruolo mobilitante dell’ideologia - nel delirio d’onnipotenza
di formare l’uomo nuovo e di creare un rapporto diverso tra Partito [Partito nazionalsocialista
dei lavoratori tedeschi] e Stato. Fino alla crisi del 1929 il nazionalsocialismo è una forza
minoritaria della società tedesca anche se riprende dei principi del revanscismo [lo spirito di
rivincita] in seguito al desiderio dei tedeschi di non arrendersi dinanzi alla sconfitta
alimentata dal mito della schiena pugnalata e delle condizioni imposte al paese con la pace
di Versailles del 1919 e sarà con la grande crisi e la rovina del ceto medio che il nazismo
attualizzerà la sua ascesa attraverso le elezioni politiche del 1932. Nonostante la sua opera
legislativa andasse in accordo con la sincronizzazione omogenea di tutta la vita pubblica e
delle istituzioni, gli storici si trovano ad essere d’accordo su come il nazismo sia stato un
sistema caotico, disorganizzato e caratterizzato da molti conflitti dei poteri centrali che erano
prettamente unificati dalla volontà di Hitler - mentre il fascismo ha subordinato il partito agli
interessi dello Stato, con il nazismo vediamo il partito sovrapposto allo Stato e quindi al
partito viene data la piena responsabilità politica e onnipervasiva che va al di là delle
imposizioni e dei limiti che la modernità ha imposto al potere politico, ne risulta quindi che il
partito è l’unica istanza di legittimità. Lo Stato nazista è uno Stato-partito a differenza del
fascismo, di fatto delle truppe armate della società hanno sovrastato l’apparato statale per
imporre la propria legalità caratterizzante le loro politiche di dominio e sterminio - in definitiva
La fonte principale dell'ideologia nazista è il Mein Kampf [la mia battaglia] di Hitler, il libro nel
quale si ritrovano quegli aberranti principî che troveranno conseguente realizzazione nel
regime nazista. Lo Stato, per Hitler, Volkrstaat, Stato di popolo, in polemica contro il totaler
Staat che caratterizza le teorie di destra sullo Stato totale, per lui ancora troppo tradizionale;
ed è quindi solo lo strumento dell'unità razziale dei tedeschi mentre il Partito nazista ne
rappresenta la volontà politica. E questa idea del popolo, dello Stato e del partito è colIocata
al'interno di una concezione del mondo fortemente improntata ad un rozzo darwinismo
storico e politico - della legge del più forte, che vede nella storia e nella natura null’altro che
la lotta mortale di civiltà a base etnico razziale una lotta di volta in volta vinta dalle civiltà
razzialmente pure, e persa da quelle imbastardite. Compito del nazismo è realizzare una
rinascita razziale della Germania per assicurare al popolo tedesco, la razza superiore, lo
spazio vitale in cui realizzare il proprio impero razziale germanico contro gli ebrei [attuata
attraverso l’Olocausto] o generalmente parlando dell’elemento non tedesco, la razza
inferiore per cosi dire
[ANTISEMITISMO]
L'antisemitismo va trattato a parte per il suo rilievo nell’ideologia e nella pratica politica
nazista; non risulta essere solo strumento di questo totalitarismo ma piena essenza
Hitler si avvale, con eclettismo demagogico, dell’antisemitismo per guadagnarsi l'appoggio
sia dei ceti superiori (cui suggerisce l'equivalenza di ebraismo, marxistno e materialismo),
sia del proletariato (deviandone le spinte anticapitalistiche verso l'odio per una fantomatica
plutocrazia ebrea, come quela denunciata nei cosiddetti Protocoli di Sion», un falso costruito
in Russia nell'epoca zarista), sia della piccola borghesia rovinata dalla crisi del 1929 (per
fornire un nuovo ideale razziale e non più statuale. L’antisemitismo non è neanche soltanto
un mito moblitante, ma, come emerge nel Mein Kampf, è veramente una personale
ossessione di Hitler, il quale Ia trasforma in una volontà di sterminio ancora più importante
dell’espansionismo. La razza ebraica, infatti, è per Hitler non tanto una razza 'inferiore
quanto una razza non umana e pericolosissima, I'unica di cui gli ariani debbano avere timore
perché la razza ebraica contende a loro il dominio del mondo; ma non attraverso una lotta
aperta, si invece attraverso un subdolo avvelenamento del sangue e della forza vitale degli
ariani [i veicoli di questo avvelenamento sono appunto le ideologie universalistiche- liberali,
socialiste, razionalistiche e pacifiste che indeboliscono la razza superiore.
Non c'è nulla di nuovo, per certi versi, in questa accozzaglia di luoghi comuni
del razzismo di fine secolo; ma c'è molto di nuovo, invece, nella spietata energia
con cui Hitler realizzò una politica ferreamente coerente rispetto a questi princ-
pi. Una politica i cui risultati apocalittici mostrano bene che cosa c'è di implicito
nel razzismo: l'idea che l'umanità non sia un'unità, che non esista alcuna forma possibile di
comunicazione razionale capace di coinvolgere tutti gli uomini. Il fatto che attesta che
l’antisemitusmo e lo sterminio siano il vero obiettivo della politica nazista è dimostratio dal
fatto che gli ebrei sono stati perseguitati fino all’ultimo anche a dispetto di ogni valutazione di
[BOTERO]
Giovanni Botero fu un campione della reazione contro Machiavelli e Tacito. Nel suo libro
Della ragion di Stato sostenne che bisognava ricollegare il valore della guerra alla forza della
fede. L'opera mira a individuare le tecniche specifiche necessarie al principe per il
mantenimento della sua domitio. Per Botero la prudenza non è un sapere privato basato sul
silenzio e sulla simulazione, ma una tecnica pubblica di governo, che ha le sue fonti nella
storia, nella conoscenza geografica e nella filosofia morale. La prudenza deve anche essere
agile e flessibile per poter sfruttare la contingenza e la sua ineliminabile novità. La ragion di
Stato è poco più che una ragion d'interesse, come afferma Botero. "Si possono ricondurre a
unità le molteplici strategie di governo, a cui Botero fa appello, se si sottolinea la centralità
che la categoria di interesse assume nel suo pensiero". Nel caso dei poveri, la cui presenza
manifesta un possibile punto di crisi nel rapporto comando-obbedienza, che sono un
pericolo per la tranquillità pubblica, la Ragion di Stato cerca di interessarsi. Se i popoli
conquistati - altra fonte di possibili problemi - sono naturalmente inclini alla rivalutazione,
sarà necessario che il principe faccia del suo meglio affinché questi "abbiano interesse al
suo governo e alla sua amministrazione". Per Botero, al fine di mantenere il suo popolo in
obbedienza, deve anche puntare direttamente all'ampliamento del proprio Stato, attraverso
l'aumento della sua popolazione e delle sue forze. Consigli come l'elogio della segretezza,
della prontezza delle armi e degli stratagemmi bellici, della forza e della disciplina, fanno
della Ragion di Stato di Botero qualcosa che, pur essendo strettamente cattolico, è anche
strettamente mondano.
[BODIN]
I Six Livres de La République di Bodin traggono la loro ragion d'essere dal desiderio di
rimborsare sia il comando che la disobbedienza. Secondo Bodin, le guerre civili di religione
e il machiavellismo come teorie che spingono alla tirannia sono le due facce dello stesso
problema. Bodin insiste sulla necessità che lo Stato abbia qualcosa di pubblico, come il
tesoro pubblico o lo spazio occupato dalle città. La concezione di Bodin della sovranità è
quella di un potere assoluto e perpetuo che è proprio dello Stato, ma che non è soggetto a
vincoli temporali. Il re è per Bodin anche indivisibile (cioè fortemente unitario) e inalienabile:
tutte queste caratteristiche della sovranità saranno riprese, con modalità argomentative,
anche da Hobbes e Rousseau. Può essere utile confrontare questa definizione con le idee
sul summum imperium che lo stesso Bodin aveva espresso nel 1566 nella Methodus. Il
pensiero di Bodin sembra oscillare tra due principi che sono allo stesso tempo assoluti e
non. Lo Stato ben ordinato a cui Bodin guarda è in grado di rappresentare a livello umano lo
stesso ordine divino che struttura il macrocosmo. È quindi quello monarchico, dove il potere
di uno è legittimo e regale, cioè legale. Per Bodin, qualsiasi condivisione del potere
introduce elementi di debolezza e confusione nelle campagne statali, che devono invece
essere tenute insieme dalla sovranità. Egli nega legittimità alla forma mista che era stata
assunta dai teorici del diritto di resistenza.
Ciò che il miscuglio produrrebbe non sarebbe uno Stato, ma solo la corruzione di uno Stato.
Bodin distingue tra forme di Stato, che sono solo quelle semplici che riguardano
l'identificazione del soggetto della sovranità, e forme di governo, che possono essere