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"Creare sognatori con sogni socialisti"1

L’arte al servizio del regime stalinista: caratteristiche contraddizioni

Tra gli innumerevoli fenomeni che hanno indelebilmente segnato il Novecento, di particolare rilevanza per
l'assetto geopolitico mondiale, nonché per le forti implicazioni culturali che ne sono derivate, è stata la
diffusione delle cosiddette società di massa: in un numero sempre crescente di Stati, la nascita e lo sviluppo
delle industrie, in misura più o meno ampia a seconda dei casi, ha inevitabilmente portato ad un ruolo più che
significativo per le masse. A livello politico, economico, e sociale, la manovalanza industriale ha man mano
assunto una posizione di crescente rilievo e questo importante cambiamento ha rappresentato una svolta a
livello mondiale. Infatti, nonostante il discorso sulla democratizzazione delle masse sia spesso collegato
prevalentemente ai regimi totalitari del XX secolo, il fenomeno è tipico di grossomodo tutte le grandi potenze,
europee e non: basti pensare al Taylorismo e le sue conseguenze economiche e sociali negli USA.
Ma una società di massa, oltre che dal fondamentale apporto delle masse, è senza dubbio caratterizzata, anche
e soprattutto, da una decisa omologazione. Va da sé che ogni Stato ha declinato questo concetto in modo
diverso, e che in non pochi casi ciò sia sfociato in estremismi in una o nell'altra direzione. In molti paesi la
burocratizzazione del potere ed il ruolo sempre più determinante di organizzazioni quali, tra le altre, i partiti di
massa, hanno favorito una crisi dell'individuo e della sua autonomia e un suo graduale immergersi e omologarsi
nella società di massa.2
Come ha dichiarato Eugenio Tibaldi (Artista), “l’opera d’arte è come una spugna che raccoglie e assorbe ciò che
la società lascia a terra, per cui spesso diventa politica”3: non c’è quindi da stupirsi che un ruolo chiave è stato
svolto in questo complesso processo dell'arte, nelle sue forme più disparate. Ovviamente, l'arte ha da sempre
rappresentato un potente mezzo di propaganda politica: già, ad esempio, nell'antica Roma, la statuaria si faceva
carico di portare alla gente comune l'immagine che l'Imperatore intendeva dare di sé, in quanto personalità
politica e leader militare, così come i ritratti rinascimentali dei sovrani europei ne celebravano le doti, la bellezza,
e la potenza. Non è difficile intuirne il perché: ammirare un dipinto, una scultura, un monumento, e coglierne la
maestosità, così come il potere di chi lo commissiona, non richiede un elevato grado di istruzione, ed è, quindi,
un metodo semplice ed incisivo di entrare nelle menti delle masse.
La propaganda del XX secolo, tuttavia, pur mantenendo le essenziali caratteristiche che la contraddistinguono da
secoli, ha apportato novità stravolgenti. Ai classici mezzi espressivi che accompagnano la storia umana da tempo
immemore, se ne aggiungono di nuovi, come il cinema, la radio e la fotografia, che con la loro immediatezza non
faticano a trasmettere al popolo i messaggi più disparati. Inoltre, la possibilità di stampare e produrre in serie
poster, dipinti, e sculture, rendono l'influenza dell'espressione artistica, e dell'ideologia politica che essa
convoglia, quanto mai efficace. Esempi di questo ritrovato potere artistico possono essere rintracciati negli
archivi di decine di potenze mondiali: è facile ricordare i famosi manifesti di chiamata alle armi utilizzati dal
governo britannico ai tempi della Grande Guerra, così come anche durante il Secondo Conflitto Mondiale. I

1 Art Power, Boris Groys. Cambridge, Massachusetts; London, England. The MIT Press (2008).
2 "Società di massa" - Treccani, Dizionario di Storia (2011).
3 Arte e politica in un presente sempre più complesso; Alcuni protagonisti del dibattito artistico attuale si sono interrogati su

come debba porsi l’arte in questo momento storico, Santa Nastro per www.artribune.com (06 gennaio 2019) –
https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2019/01/attualita-politica/3/
nuovi mezzi di comunicazione hanno così reso più che mai facile ed immediata l'influenza del potere sui cittadini.
Pur rappresentando un fenomeno mondiale, quest’opera di persuasione della pubblica opinione ha avuto
indubbiamente particolare successo, e ancor più peculiari conseguenze, negli ambiti dei regimi totalitari.
L’analisi di quest’aspetto risulta estremamente interessante da un punto di vista artistico, ma anche storico:
come affermato da Werner Haftmann (Storico dell’Arte), “il Totalitarismo è una denominazione comune sotto
cui vengono a trovarsi in stretta vicinanza forme apparentemente opposte, come il bolscevismo della fase
leninista-stalinista, il fascismo di Mussolini e il nazionalsocialismo di Hitler”.
In questo senso risulta utile una digressione sul termine “totalitarismo”, che tanta fortuna ha avuto in anni
recenti. Il concetto fa la sua comparsa nel 1923, ideato da Giovanni Amendola (Politico, Giornalista), che, in suo
articolo del 1923 per Il Mondo, lo utilizzò per descrivere la dottrina politica del fascismo italiano; in un secondo
momento, il termine è stato adottato per fare riferimento a molti altri sistemi politici, ed è pian piano entrato
nell’uso comune, avendo molta fortuna a livello internazionale. Cosa intendiamo, quindi, con “totalitarismo”?
Potremmo definirlo come un sistema politico in cui tutti i poteri sono concentrati nelle mani di un unico partito
politico, che opera nel tentativo di controllare capillarmente la società, in ogni ambito della vita pubblica o
privata, e di imporre non solo direttive, ma anche e soprattutto l’assimilazione di un’ideologia. Ulteriori
caratteristiche tipicamente attribuite ai regimi totalitari sono l’impiego massiccio delle tecniche di
comunicazione come strumenti di propaganda e l’uso sistematico del terrore come strumento di governo.4
Nonostante gli ampi consensi ottenuti dalla dicitura nel corso degli anni, essa ha sicuramente delle sue
problematicità: ad esempio, nell’accorpare un numero così ampio di sistemi politici effettivamente molto diversi,
si rischia di perdere quelle che sono le particolarità dei singoli contesti, che pure hanno giocato un ruolo
fondamentale nello sviluppo degli eventi. Inoltre, alcuni studiosi hanno affermato che lo stesso sistema
capitalistico possa essere definito come totalitario, trattandosi di un sistema che sfrutta la cultura di massa per
omologare gli individui e, quindi, controllarli.
Riprendendo quanto scritto da Haftmann, “la più evidente e sorprendente dimostrazione di questo loro intimo
accordo […] è proprio il fatto che […] lo stile artistico ufficiale dei Paesi totalitari è ovunque il medesimo”5.
Sebbene infatti, siano molteplici le differenze sul piano politico ed ideologico, sono evidenti le similitudini
estetiche che sembrano unire i principali regimi totalitari: in pittura e scultura trionfa il realismo, in architettura
spicca il monumentalismo, pur non mancando elementi classici che rimandano alla tradizione. Temi ricorrenti in
pittura sono la valorizzazione della comunità e della famiglia, l’esaltazione della vita contadina e/o operaia, ed
occasioni di socializzazione tra i più giovani. In architettura, pur in assenza di un vero e proprio stile ben definito,
primeggia una sorta di monumentalità, a cui veniva affidato il compito di simboleggiare il potere del regime, ed
emularlo con dimensioni e forme imponenti. Un ulteriore ambito, in cui non solo non mancano somiglianze, ma
anzi sembrano proliferare ancor più che in altri settori, è quello della propaganda svolta tramite poster e
manifesti. Come già accennato in precedenza, essendo stato rivoluzionato il modo di produrre (opere d’arte e
non solo), una pratica che si diffonde sempre maggiormente in tutto il mondo è la creazione in serie di dipinti e
poster identici, prodotti nell’ordine delle migliaia, che sarebbero andati ad adornare le strade della città. Lo
scopo è evidente: con uno sforzo produttivo minimo, il partito al potere riesce a raggiungere ogni giorno, in
qualsiasi momento, milioni di cittadini, e gli pone davanti esattamente tutti i ragionevoli motivi per cui è giusto
sostenere l’ideologia di partito ed impegnarsi personalmente negli sforzi del paese. (Pratiche di questo tipo non
si sviluppano esclusivamente in contesti totalitari; abbiamo già citato i poster britannici. Nei cosiddetti regimi

4 “Totalitarismo” – Treccani, Enciclopedia online.


5 Malerei im 20. Jahrhundert, Werner Haftmann. München, Germany. Prestel-Verlag, (1955)
totalitari, però, il fenomeno assume particolari caratteristiche). Tra i tratti tipici dei poster fascisti, nazisti, e del
periodo staliniano, troviamo, ad esempio, il costante utilizzo di simboli, che rafforzano l’idea di potere del regime
e fanno in modo che le masse, essendovi sempre esposte, finiscano col riconoscervisi; similmente, il ricorso a
slogan, brevi ed efficaci, di facile comprensione e, conseguentemente, assimilazione; il culto della personalità del
leader, raffigurato come una personalità forte ed imponente alla guida del popolo e del Paese.
Sono quindi comuni gli stili che dominano la scena artistica di questi Paesi, tant’è che sempre più studiosi d’arte
si impegnano in osservazioni comparative di queste diverse realtà.
È tuttavia di estrema importanza tenere presente che, nonostante questi presupposti comuni, l’arte
propagandistica ha attraversato percorsi distinti nell’URSS di Stalin, nella Germania hitleriana e nell’Italia fascista,
seguendo le caratteristiche uniche dei contesti storico-culturali, dei popoli, dell’ideologia imposta dal regime, e
delle stesse personalità dei dittatori.
Vediamo infatti, che l’atteggiamento degli uomini al potere ha decisamente influenzato l’andamento artistico dei
singoli paesi: come ben spiegato da Emilio Gentile (Studioso di Storia Contemporanea) nel suo articolo
Totalitarismi uniti dall’arte6, Hitler è l’unico ad essere mosso nelle scelte che compie in campo stilistico e
architettonico dalle sue personali velleità artistiche: aspirante pittore, appassionato di architettura, egli tradurrà
il suo gusto personale in quello del nazionalsocialismo e della Germania del Terzo Reich, specialmente in campo
architettonico. Il Duce, invece, non aveva particolare interesse per l’arte, ed il suo atteggiamento in merito fu
decisamente eclettico: simpatizzava per le avanguardie moderniste, che a suo parere ben rappresentavano il
dinamismo fascista, ma conservava una grande attenzione al Classicismo ed alla tradizione latina. Dal canto suo,
Stalin, almeno inizialmente, non aveva preferenze specifiche da un punto di vista estetico (pur facendosi poi
fautore, in un secondo momento, del Classicismo che caratterizzò l’architettura sovietica di quegli anni).
L’attenzione di Stalin, più che all’arte in quanto tale, era riservata allo spettatore, e a ciò che una composizione
poteva suscitare in lui. Secondo quanto riportato da un articolo di Luca Scarlini (Saggista) per Il Manifesto, il 26
ottobre 1932 Stalin si presentò di sorpresa ad un raduno di scrittori, voluto e coordinato da Maksim Gor’kij, e
comunicò ai presenti la sua visione: gli artisti avrebbero dovuto assumere un ruolo scientifico, in modo da
contribuire alla formazione del nuovo uomo sovietico, sarebbero dovuti diventare Ingegneri di anime.7
Ovviamente le differenze tra questi tre leader non sono solo personali, ma riconducibili in gran parte anche al
contesto all’interno del quale operavano.
Un ulteriore, fondamentale, elemento di contrasto separa sostanzialmente l’arte dell’URSS da quella delle sue
controparti occidentali: mentre in Occidente, infatti, il mercato dominava, se non addirittura definiva, la cultura
di massa, in Unione Sovietica andava molto diversamente. La cultura stalinista era quanto più distante possibile
dalle logiche di mercato, considerando che il mercato libero, e quindi anche quello dell’arte, aveva cessato di
esistere, sostituito da un sistema economico centralmente pianificato. Ne consegue, naturalmente, che l’arte
prodotta nell’URSS è profondamente diversa da quella prodotta altrove. Per la concezione di un’opera d’arte è
fondamentale quella che sarà la sua collocazione, il suo posto nel mondo; l’arte sovietica del periodo staliniano,
però, non era destinata a musei, gallerie, o collezioni private. Non doveva dare prova di sé economicamente, né
tantomeno soddisfare il gusto del grande pubblico. Difatti, esisteva un unico cliente al quale era rivolta la
produzione artistica, e questo era lo Stato Socialista; è implicito che l’unica arte a cui lo Stato era interessato era

6 Totalitarismi uniti dall’arte, Emilio Gentile per Il Sole24Ore. (11 gennaio 2015) -
https://st.ilsole24ore.com/art/cultura/2015-01-11/totalitarismi-uniti-arte-081458.shtml?uuid=AB9LrFcC&refresh_ce=1 .
7 Frank Westerman, cervelli al servizio di Stalin, Luca Scarlini per Il Manifesto. (09 febbraio 2020) -

https://ilmanifesto.it/frank-westerman-cervelli-al-servizio-di-stalin/ .
quella definita come socialmente utile, in grado di attrarre, istruire, ispirare e guidare le masse.8
Inoltre, come già accennato in precedenza, il ruolo dello spettatore è di assoluta importanza. Mentre ciò può
essere detto, generalmente, di tutta l’arte propagandistica, si tratta di un concetto che diventa particolarmente
vero nell’ambito del Realismo Socialista (così fu denominato il metodo obbligatorio di fare arte, in ogni sua
accezione – “realista nella forma e socialista nel contenuto”). Nell’ambito della teoria del Realismo Socialista,
infatti, lo spettatore era considerato come vera e propria parte integrante dell’opera d’arte e, al contempo, il
suo prodotto finale. Si riteneva che le masse sarebbero state attratte da questo tipo di arte una volta
abbandonati i decadenti e corrotti valori borghesi, e la missione unica dell’attività creativa diventa, come ha
eloquentemente scritto Boris Groys, tentare di creare sognatori con sogni socialisti.
Da un punto di vista strettamente artistico, il Realismo Socialista ha spesso portato a risultati che potremmo
definire deludenti, soprattutto quando messi a confronto con la produzione artistica russa precedente, dal
valore immenso in pressoché ogni ambito (dalla letteratura alla pittura, passando per la musica, e non solo).
Parlando di arti figurative, possiamo dire che l’ascesa del Realismo Socialista ha portato alla fine di qualsiasi
forma di pluralismo estetico, con un’adesione universale a canoni riconducibili ad una sorta di neoclassicismo. Si
affermarono dipinti grandi, dal disegno netto e preciso (scuole come quella Impressionista, che avevano
abbandonato l’uso di contorni ben definiti, erano definite borghesi). L’ omologazione imperante, non solo degli
individui alla massa, ma anche, inevitabilmente, degli artisti ai canoni imposti dall’alto, rende impossibile
l’emergere di ogni forma di individualità, creativa o personale.
In campo architettonico, l’arte sovietica, in particolare durante il periodo di governo di Stalin, dà vita alla
corrente conosciuta con il nome di Classicismo Socialista (anche noto come Gotico Staliniano, o Stile a Torta
Nuziale); non si tratta di uno stile ben definito, bensì di un insieme di riferimenti eclettici a scuole preesistenti.
Troviamo, infatti, elementi di Costruttivismo, Neoclassicismo e Art Déco. Importanti progetti realizzati in questo
periodo sono alcune fermate della metropolitana di Mosca, il Canale di Mosca, ed il gruppo di edifici noto come
“Sette Sorelle”, sempre a Mosca.
I dettami del Realismo Socialista si ritrovano, incredibilmente, anche in musica; le composizioni che erano
ritenute “lontane dai canoni” erano categorizzate senza indugio come formaliste ed intellettualiste,
escludendole dal panorama musicale e, con loro, anche chi ne era stato l’autore.
Anche il cinema si attiene al conformismo dominante, concentrandosi principalmente su tematiche quali la
celebrazione del dittatore e degli eroi della storia russa. Un caso interessante è rappresentato dal regista Sergej
Michajlovič Ėjzenštejn, che, pur facendo rientrare le sue opere entro i limiti fissati dal partito, riesce ad
esprimere la sua critica attraverso un sapiente uso delle inquadrature e delle loro forme, creando per lo Zar (che
richiama Stalin) una figura quasi disumana, che suscita non solo ammirazione, ma anche orrore e timore.
Una forma d’arte che raggiunge buoni livelli durante questo periodo è quella del neonato poster: manifesti
murali con slogan efficaci e riportati con un semplice carattere in grassetto, ed immagini immediate e facilmente
comprensibili, diventano il metodo di comunicazione (e persuasione) più diffuso e proficuo. Accompagneranno
gli abitanti dell’URSS per gran parte del Novecento, e spesso saranno modello per simili opere di propaganda in
altri stati.
Oltre alle numerose caratteristiche che contraddistinguono la cultura stalinista ed il suo approccio al mondo
dell’arte, non manca una buona dose di contraddizioni. Ad esempio, a partire dal 1934, con il Primo Congresso
dell’Associazione degli Scrittori Sovietici, Il Realismo Socialista diventa il solo metodo artistico consentito; ciò
porta alla fine, almeno in parte, dei movimenti avanguardisti che avevano costituito un fenomeno artistico

8 Art Power, Boris Groys. Cambridge, Massachusetts; London, England. The MIT Press (2008).
notevole, ed in particolare negli anni ’20 avevano ottenuto importanti riconoscimenti a livello nazionale ed
internazionale. Non è, però, così semplice: nonostante, infatti, il programma estetico propugnato da questi
movimenti sia stato in larga misura respinto dal Realismo Socialista (appunto perché si trovavano in pieno
conflitto: modernisti e formalisti gli uni, realisti gli altri), lo stesso non può essere detto della loro ideologia
fondante. Il Realismo Socialista, sulla carta, non solo si discosta dai movimenti avanguardisti, ma li critica anche
aspramente, sia in merito alla forma, che a varie questioni concettuali (tra le altre, l’approccio alla storia ed alla
tradizione. I movimenti avanguardisti aspiravano ad una completa distruzione del passato in termini artistici e
culturali, per poter poi costruire un mondo completamente nuovo. Quest’ottica era giudicata dai realisti come
eccessivamente nichilistica; essi proponevano, invece, di limitarsi ad adottare un nuovo punto di vista –
proletario piuttosto che nobile o borghese – alla storia, alla cultura, alla tradizione, in modo da poter
salvaguardare l’eredità del passato, eliminando quegli elementi impuri che l’hanno contaminata). In realtà,
esistono numerosi punti di contatto tra le due, apparentemente opposte, correnti. In primis, entrambi i gruppi
miravano a creare, attraverso l’arte, un nuovo pubblico, capace di guardare al mondo con occhi nuovi. Inoltre,
parte del programma degli artisti d’avanguardia consisteva nel porre l’arte sotto la diretta influenza di
un’autorità, in modo da riuscire a realizzare il piano di costruzione di un modo di vivere originale ed innovativo:
ritenevano che creare un paese socialista rappresentasse l’unica vera opera d’arte collettiva non solo possibile,
ma anche e soprattutto necessaria. Per quanto questo desiderio sembra essersi ritorto contro il gruppo che l’ha
espresso, il progetto sembra diventare realtà proprio negli anni di Stalin e del Realismo Socialista.9
Altro punto importante da discutere in fatto di contraddizioni è l’ambiguità stessa del nome del movimento e
della sua definizione. Come abbiamo già visto, il Realismo Socialista doveva produrre opere “realiste nella forma
e socialiste nel contenuto”; mentre questa spiegazione può sembrare estremamente diretta ed esplicita ad un
occhio inesperto, essa risulta abbastanza problematica. Genera infatti moti dubbi: come può una forma essere
realista? Cosa vuol dire esattamente “contenuto socialista”? E soprattutto, chi risponde a queste domande?10
Per quanto la questione possa sembrare superficiale, in realtà non lo è affatto. Non si tratta di un problema
meramente teorico e pertinente esclusivamente alla dottrina del sistema, che sembra vacillare; la risposta a
queste domande poteva avere serie ripercussioni sugli artisti, non solo da un punto di vista lavorativo, ma anche
per quanto riguardava la loro libertà, se non la loro stessa vita. Inoltre, il nome stesso del movimento sembra
trarre in inganno: esso porta a presupporre una sorta di adesione alla realtà, ma all’artista non era richiesto di
raffigurare la vita nell’URSS così com’era. Il suo compito era quello di ritrarre un futuro idilliaco, prospero e
felice, che sarebbe giunto in futuro grazie al Partito, ma che non era ancora, appunto, realtà.

In conclusione possiamo affermare che l’arte propagandistica del Novecento assume spesso forme simili, in
particolare nei contesti dei cosiddetti totalitarismi, dove sembra percorrere strade che un occhio disattento
definirebbe identiche. Eppure, nonostante questa apparente vicinanza, l’arte sovietica ha saputo distinguersi, e
rappresenta un prodotto del suo tempo dall’indiscutibile valore storico-culturale, oltre che strettamente
artistico.

9 The Total Art of Stalinism – Avant-Guard, Aesthetic Dictatorship and Beyond, Boris Groys. Princeton, New Jersey. Princeton
University Press (1992).
10 Art Power, Boris Groys. Cambridge, Massachusetts; London, England. The MIT Press (2008).

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