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Prefazione italiana
Per Marx, il comunismo non è una costruzione utopistica delle aspirazioni e delle
volontà rivoluzionarie delle masse o dell'avanguardia, è bensì il prodotto necessario
della società borghese 1, che, in quanto sintesi e rottura - abolizione creatrice - di tutta
1
Siamo stati sorpresi di vedere che nella sua opera sul fondatore del Partito comunista d'Italia a
Livorno (che oggi non è più Gramsci, come predicavano i togliattisti che amano scrivere e riscrivere
creativamente la storia), Franco Livorsi attribuiva a questo grande compagno la paternità del presente
testo sulle Forme. Apparentemente questo intellettuale di sinistra cerca di creare una nuova disciplina, e
contemporaneamente un nuovo mezzo di sostentamento per gli innumerevoli studiosi in vena di scrivere e
minacciati di non trovare più un impiego per i loro talenti, cioè: incollare etichette di nomi d'autore sulle
opere anonime di partito o di scuola, rappresentanti di una corrente sociale, la cui caratteristica è
l'anteriore storia universale, procede essa stessa dialetticamente. Questo comunismo è
un prodotto sociale del mondo moderno, borghese, che per la prima volta l'ha reso
possibile alla scala di tutta l'umanità, e in ciò la netta sua distinzione dal comunismo
primitivo che era circoscritto ai limiti delle piccole comunità umane isolate e autonome.
Proprio per questo, l'opera fondamentale di Marx è Il Capitale, il cui obiettivo non
è nella descrizione dell'economia borghese per proporne un miglior modo di gestione,
del che egli altamente si fregava, ma nello stabilire per le masse sfruttate in lotta il
chiaro programma dell'organizzazione sociale che scaturirà dalla rivoluzione operaia:
la società comunista.
Grande attenzione presta dunque la teoria marxista, in primo luogo, alla
definizione di ciascun modo di produzione, e soprattutto a quello capitalista e al
comunista che lo soppianterà, per concentrarsi in seguito al massimo sui trapassi
rivoluzionari da una forma all'altra, a quella del comunismo superiore in ispecie. In
questo senso, la sua teoria della dittatura del proletariato — trapasso rivoluzionario al
comunismo — è basilare e rappresenta — a dire dello stesso Marx — il suo più alto
contributo.
Insomma: per il marxismo, la trasformazione dell'economia da capitalista a
socialista non può in alcun caso operarsi se nella struttura di un paese il grande
industrialismo, il capitalismo delle grandi aziende, la formazione del generale mercato
di scambio, la commercializzazione di tutta la terra e dei suoi prodotti, non sono fatti e
caratteri dominanti. Quando queste condizioni sono presenti, la trasformazione non è
graduale e spontanea, ma, giusta Marx, Lenin e noi loro fedeli e lontani continuatori,
non si avvia senza la rivoluzione politica; ovvero violento abbattimento dello Stato
precisamente di non essere individuale. Ma la sacrosanta proprietà prevale sul significato aggettivo di un
lavoro, e addirittura sul suo contenuto. La facoltà di astrazione del nostro intellettuale di Sinistra non
arriva a concepire le idee diversamente dai disegni dei fumetti: circondati da una nuvoletta di cui un capo
parte dalla bocca di questo o quell'altro, mentre l'altro va a finire nel suo portafoglio per i diritti d'autore.
Il gruppo di Programma Comunista ha seguito le orme di Livorsi, dopo avergli amaramente rimproverato
la sua mania di personalizzare lavori di partito: la cancrena guadagna anche questi fieri polemisti, che non
vedono oltre alle loro contraddizioni E tutt'una ondata di opere sono state pubblicate sotto il nome del
Grande Uomo nell'intento di ottenere un successo di vendita non grazie al contenuto, ma grazie al frusto
culto della personalità.
Questi pionieri della ricerca di paternità non possono afferrare che un'opera è l'espressione di un fatto e
di un gruppo sociale, e che ricondurla ad un nome di persona è una falsificazione - non foss'altro perché
un libro non è mai opera di una persona, ma sovente di parecchie, o addirittura di un gruppo o di un
partito — ed è disonesto incollarvi un nome. Se si volessero semplicemente incollarvi i nomi di tutti
coloro che vi hanno collaborato, ci si accorgerebbe subito che la lista non ha fine, che una idea implica
l'altra, non può essere espressa senza essere legata ad un'altra, e non si spiega che in opposizione ad
un'altra ancora, ecc. Ma con un nome si può manovrare, e privare un gruppo o un partito di un'intera parte
del suo pensiero o della sua teoria. Cosi il Manifesto non è l'opera teorica del proletariato internazionale,
ma di due individui barbuti.. dei tedeschi, che sono il prodotto dei toro tempi e del loro paese, dunque
limitati e contingenti
Bisogna denunciare questi falsari e la loro mania di castrare le masse del loro prodotto intellettuale.
Consideriamo d'altronde come una grande vittoria che i fatti siano oggi divenuti a tal punto clamorosi e
confermino a tal punto la teoria marxista, che questa è ormai accessibile a ometti senza alcun talento
particolare, né formazione intellettuale scolastica per vedere ed evidenziare luminosamente la teoria
rivoluzionaria che si delinea dalla storia e si applica agli avvenimenti storici di ieri e di oggi.
Quale miglior dimostrazione che i tempi sono arcimaturi e che il partito avrà una forza teorica e una
pratica irresistibile, quando il rapporto di forza sarà cambiato non solo nei continenti di colore, ma anche
nelle nostre vecchie decrepite metropoli. Non abbiamo più bisogno di grandi uomini, i compagni di
gavetta saranno sufficienti al compito, purché siano fedelmente legati alla teoria e al metodo marxista e
lavorino indefessamente - come formiche.
capitalista, fondazione del nuovo Stato del proletariato, con il partito marxista
chiaramente alla testa. Non basta quindi scatenare questa lotta politica: essa dev'essere
legata, nella crisi del capitale, al compito della trasformazione socialista.
Con le parole dei nostri classici: "Non si tratta — come rileva il Capitale — di
associare gli operai al capitale dello Stato, come vorrebbe Lassalle, ma di abolire il
capitale in generale", perché "quel che a Marx stava a cuore era di svelare la legge
dello sviluppo economico della società moderna verso il comunismo" 2, seguendone la
dialettica, dalla sua genesi, al suo crescere, al suo pieno sviluppo e alla sua
dissoluzione, allorché sgorga dalle sue viscere l'embrione della forma seguente: il
comunismo superiore.
Nella successione delle forme di produzione, quella comunista — come le
precedenti — non è un prolungamento della forma che essa soppianta, ma il suo
superamento in un atto creatore — mediante una positiva abolizione. Ciò va ribadito
poiché implica ogni volta una rivoluzione politica e sociale che permette l'intervento di
ritorno di una classe sul corso economico. L'evoluzione è quindi dialettica, e non -
come suggerisce la sterile concezione delle classi improduttive cui si riallaccia lo stesso
Hegel - un ripetitivo processo di metamorfosi, che vede ad esempio il seme trasformarsi
in grano, quest'ultimo convenirsi nuovamente in seme, ecc. ecc., in un'operazione
ripetentesi all'infinito, cieca 3.
Il plus dialettico
Lenin spiega che ridurre le forze produttive all'economia, come fanno i borghesi, è
dimenticare che il processo è biologico, metabolismo tra uomo e natura. La società è
infatti un organismo vivente il cui presente è il frutto, radioso o avvelenato, di tutta la
storia umana. Se essa nel suo divenire o crescita si trova divisa in strati o forme
successive ed opposte — comunismo primitivo, schiavismo, feudalesimo, capitalismo,
ecc. - di cui ciascuna è nuova e originale in quanto sintesi delle precedenti, ciò è dovuto
alle contraddizioni di classe. Così l'attuale capitalismo è l'esasperazione, ad un livello
devotissimo, di tutti gli antagonismi non superati — anzi aggravati — delle società
precedenti, sì che la possibilità di continuare a produrre all'interno di queste
opposizioni sempre più nette e insopportabili è subordinata alla presenza di nuovi
rapporti economici così come di sovrastrutture giuridiche, statali e ideologiche sempre
più totalitarie, massive e costrittive.
2
Cf. Engels, Presentazione del Libro primo del Capitale per la Gazzetta renana, 12.10.1867. La
citazione precedente è tratta dalla presentazione di Engels sempre del Capitale per la Gazzetta di
Dusseldorf, 16.11.1867.
3
Cf. Note preparatorie all'Anti-Dühring. Dialettica della natura, in cui Engels rileva: "II processo
infinito non è in Hegel che vuoto deserto, concepito semplicemente come eterna ripetizione di uno stesso
processo: 1+1+1+1, ecc. " Egli infatti, pur riscoprendo il movimento, non esce dall'inganno idealistico e
mistico alla cui base è la mistificazione individualista. Non vede la nuova forza sociale portatrice della
dialettica reale; "Per ridiventare da non se stesso, se stesso; da non uomo, uomo, il lavoratore estraniato
non tenderà a riconquistare la sua persona, il suo individuo di prima, chiudendo un ciclo inutile e stupido
che non avrebbe altra prospettiva che una seconda ed etema autovendita come schiavo, ma riconquisterà,
con la sua classe, e per tutta la società e la specie umana, la qualità di uomo, non più come individuo
singolo, ma come parte della nuova umanità, del comunismo. Il quadro della società nuova è da questo
momento tracciato, e questo modello è valido fino al tempo storico della sua attuazione futura".
Giusta la Prefazione alla prima edizione del Capitale I, ciò che è specifico del
socialismo scientifico è che ciascuna forma è il prodotto della precedente, in quanto sua
contraddizione in divenire dapprima nel suo stesso seno, poi in crescente sviluppo a
misura della sua dissoluzione economica. Così la forma della società comunista futura
esiste già nel grembo dell'attuale. Mentre la violenza rivoluzionaria ha la funzione di
"abbreviare il periodo di gestazione e di lenire le doglie del parto" 4, l'intervento
dispotico del Partito nel trapasso al socialismo segna il rovesciamento della prassi che
mette fine al cieco brancolamento, sotto la pressione delle forze naturali, della
preistoria e schiude un mondo in cui l'uomo plasma i suoi rapporti, la sua attività, la
sua produzione e la stessa Natura secondo i suoi bisogni ed esigenze coscienti e
volontarie sulla base della cooperazione di tutta l'umanità pensante e agente.
E' nello stesso grembo della attuale società capitalista che Marx scopre questo
nuovo modo comunista che i proletari moderni hanno forgiato giorno dopo giorno
cooperando e socializzando la base economica - e ribadisce che tali rapporti non sono
soltanto rapporti materiali, ma racchiudono anche quelle che oggi sono dette le
"condizioni soggettive": "Io considero la grande industria non solo come la madre
dell'antagonismo, ma anche come la generatrice delle condizioni materiali e spirituali
per risolvere questi antagonismi, soluzione che certo non può realizzarsi placidamente
".
La visione marxista, assolutamente originale, è rigorosamente scientifica e
conforme allo sviluppo determinato delle cose. Essa spiega del tutto fedelmente le
nuove forme e fenomeni con il loro plus nel divenire o crescita storica. Così lo stadio
mercantile del capitalismo — sorto per la prima volta alla scala sociale nella storia
umana nell'Italia del XIII secolo — è stato ripreso CON UN PLUS dall'Inghilterra nel
1640 in un processo rivoluzionario. Una volta divenuto il mercantilismo universale con
la creazione del mercato mondiale, esso fu sviluppato fin nella produzione ove lo
scambio mercantile non si effettua dunque più tra equivalenti, come nel precedente
stadio della produzione e della circolazione mercantile semplice, ma producendo per i
capitalisti un plusvalore che va ad aggiungersi allo scambio tra equivalenti del salario
nella circolazione, dopo che l'operaio ha creato un eccedente, un sovraprodotto nel
processo di lavoro.
Il marxismo non trova dunque semplicemente nelle forme successive del passato la
fonte e le spiegazioni dell'oggi, ma vi scopre la dinamica essenziale del loro
superamento determinato nella lotta reale contro le forme superate, che sono di
ingombro, a qualsiasi livello di struttura, al divenire nuovo. Non è perciò un sistema
chiuso, rigido e stereotipato come — nonostante le sue apparenze dialettiche —
l'hegelismo, il quale teorizza, ad esempio, la Ragione incarnata nello Stato razionale
che si rivela in tal modo conservatore con la sua formula capitolarda davanti all'ordine
stabilito: "Tutto quanto è reale è razionale" - sì che gli è sufficiente spiegare idealmente
le cose, anziché trasformarle. Ma attraverso questo procedimento, Hegel ha capovolto
la dialettica, mistificandola, invece di seguire il divenire complesso dell'umanità nella
sua evoluzione e nelle sue rivoluzioni creatrici verso forme più alte — perfettamente
materiali.
4
Cf. Marx a Kugelmann, 17.3.1868.
In questa lettera Marx commenta il capitolo fondamentale del Capitale sulla Grande industria, il cui
paragrafo 9 sulla Legislazione di fabbrica termina con la stessa conclusione.
Le leggi scientifiche della società nuova derivano dall'attuale corso della società
borghese e si contrappongono formula per formula e parola per parola a quelle della
presente; noi difendiamo la nozione delle vere e non false leggi della dinamica
produttiva capitalistica, non perché tali leggi debbano sopravvivere, ma perché la loro
chiara percezione è l'arma prima per lo sterminio della infame macchina sociale
borghese. Si deve bene conoscere la struttura e il moto di una macchina che si vuole al
momento dato della storia saper far saltare, sgombrando il cammino anche dai suoi
sinistri rottami.
Socialismo scientifico è il prevedere non secondo piani razionali né preferenze
sentimentali o morali, tanto gli svolgimenti dei fenomeni della forma sociale borghese,
quanto i processi storici attraverso i quali passeranno, e la nuova e diversa dinamica
delle forze economiche che ad essa seguirà, non solo, ma si contrapporrà, nella
dialettica della ricerca dottrinale e del combattimento rivoluzionario.
Anche se il corso dell'umanità assume dapprima forme contraddittorie, l'umanità
tende verso la propria creazione che corona la natura, da cui l'uomo è generato e di cui
è anzitutto il prodotto grezzo, poi attivo ma incosciente, ed infine creatore e cosciente.
La visione di questo divenire storico è in Marx per la propria natura,
profondamente antidemocratica e antiegualitaria: la società umana — come la natura
— dispone di infinite energie e di possibilità incommensurabili quanto a ricchezza e
generosità, simile ad un albero i cui rami e germogli a centinaia e migliaio si spingono
nelle più diverse direzioni, mentre il tronco prosegue, solo, la sua ascensione fino alla
cima. Nondimeno, la ricchezza e la sovrabbondanza di colori, luci e forme innumeri si
manifestano più nel rigoglio della chioma che in questo tronco che si drizza come una i
e concentra in sé tutto il succo e l'orientamento dell'insieme. E' merito dell'etnologia (a
cui Marx ha consacrato numerosi lavori, di cui soltanto oggi si pubblicano le linee
dorsali) aver posto in evidenza il radicale e quanto mai difficile compito della creazione
di nuove forme agli albori dell'umanità e le straordinarie varietà dei modi di vita umani
delle prime società, la cui nobiltà contrasta con la brutalità e il carattere robotizzante e
canagliesco dei rapporti mercantili delle odierne società di classe. Così Marx parla di
almeno quattro successivi strati sedimentari per la sola società comunista primitiva, la
cui capacità di adattamento alle più svariate condizioni climatiche e geofisiche — dai
poli ghiacciati ai tropici, passando, per le foreste folte e le steppe, l'acqua e la terra, le
pianure, le paludi e le montagne - diede una fioritura infinita di micro-società, viventi
le une di pesca o di caccia, le altre di agricoltura, di artigianale, dell'estrazione di
metalli, dell'allevamento, ecc., ossia una ricchezza infinita di condizioni particolari.
Insomma, nell'evoluzione umana è sufficiente che un solo ramo della specie
compia la nuova esperienza per tutta l'umanità, la quale, ove si tratti di una esperienza
universale a partire da radici comuni all'intera specie, ne riprende il succo per un
ulteriore progresso che sarà ancora, alla fine, generale.
Si è rimproverata a Marx una visione eurocentrica della storia moderna. E' infatti
proprio il capitalismo bianco ad aver imposto il suo sistema al mondo intero. Per Marx,
al contrario — come attesta la sua teoria della rivoluzione doppia o permanente del
balzo oltre il modo capitalista con il sostegno fraterno dei paesi sviluppati — sarebbe
bastato che la sola razza bianca sperimentasse questo orribile stadio del progresso
umano, la cui sintesi più alta nel comunismo sarebbe stata introdotta dal proletariato
(questo rapporto negativo del capitale) a profitto di tutta l'umanità, essendo rimasti sia
il feudalesimo che il capitalismo circoscritti ad una parte relativamente piccola di
quest'ultima. Ma la borghesia riuscì a respingere i reiterati assalti proletari ed impose
non l'eurocentrismo, ma il capitalismo tout court tutte le razze del mondo, costrette a
subire nella loro carne questo infame sistema di oppressione e di frustrazione delle
masse.
Passiamo ora a considerare quel che distingue l'attuale edizione italiana delle
Forme dalla prima, apparsa una ventina di anni or sono, e dalle traduzioni successive
in diverse lingue europee, avendoci le circostanze lasciato il tempo di riabbordare
questo lavoro semielaborato per definizione, non nel senso che le idee sarebbero in
evoluzione, mentre sono in realtà stabilite dacché Marx-Engels hanno sistematizzato il
corpo del programma comunista della classe operaia mondiale nel tempo in cui ciò era
possibile, ma nel senso che le condizioni sociali ci hanno portato a evidenziare alcuni
punti che la storia rende brucianti. Ad esempio, l'edizione francese esigeva che si
sviluppassero ulteriormente alcuni punti quando la lotta dei popoli di colore contro il
colonialismo aveva posto segnatamente il problema del passaggio da una forma
all'altra, in particolare al capitalismo.
Le nostre spiegazioni sull'elaborazione progressiva dell'attuale testo mirano
soprattutto a illuminare il lettore sulla portata, pratica e teorica, di questa Monografìa,
poi sulla sua articolazione e dunque la sua chiave — insomma a fornirgli il piano della
costruzione perché vi si orienti più efficacemente come su un terreno già conosciuto.
Il primo testo delle Forme non costituiva che un succinto schema in cui si definiva
ciascun modo di produzione e se ne abbozzavano le linee dorsali di sviluppo e di
dissoluzione. Le prime nuove precisazioni vertevano sulla nascita della forma nuova nel
seno della base economica precedente. Nondimeno il primo testo conserva intatto il suo
valore, non foss 'altro in quanto ricollega organicamente tutte le definizioni essenziali
di ciascun modo di produzione, accuratamente distinti l'uno dall'altro. Sempre al fine di
una maggior chiarezza avevamo allegato un quadro sinottico delle Forme che
precedono il capitalismo, da noi completato, precisamente per l'edizione francese,
includendovi la forma capitalista.
Nel testo francese abbiamo aggiunto (cf. l'annesso quadro sinottico) la forma
quaternaria, il capitalismo, le cui definizioni e descrizioni abbiamo trovato
particolarmente nell'opera economica di Marx, a completamento del capitolo dei
Grundrisse che trattava esclusivamente delle Forme anteriori al capitale.
Per il primo testo ci siamo infatti basati sul capitolo delle Forme che precedono il
capitalismo dei Grundrisse, pubblicati e tradotti soltanto da una decina d'anni. Questo
capitolo di circa quaranta densissime pagine ci aveva fornito i punti di riferimento e le
basi essenziali per la vita e la morte di ciascuna forma di produzione. Si ritroverà lo
schema dell'evoluzione delle società di classe nel quadro sinottico, di cui forniamo le
linee essenziali per illuminare il lettore desideroso di una visione organica e
sistematica di tutta la traiettoria dell'umanità. In orizzontale troviamo le voci che
riguardano dapprima i rapporti o strutture di base quali le forze produttive (lavoro
umano, strumenti, materie prime ecc.) che danno il prodotto immediato e sociale, ossia
alla scala individuale le derrate per la sussistenza, alla scala sociale gli articoli per la
produzione o meglio la riproduzione, su cui riposa la divisione del lavoro con
l'organamento dei rapporti di proprietà e di classe e, su quest'ultima distribuzione, le
sovrastrutture dell'organizzazione generale di ogni società: lo Stato, gli istituti
giuridici, politici, artistici, religiosi, filosofici.
La necessità di un tale testo sulle Forme si era fatta particolarmente sentire per
ogni marxista all'epoca delle rivoluzioni anticoloniali che travolgevano le vecchie
società dei continenti di colore, giacché il socialismo esprime non la morta descrizione,
ma la dinamica della società umana, essendone progetto, volontà, attività e scopo
rivoluzionario, sulla base del movimento determinato della stessa storia — non
dell'arbitrio o della scelta di qualche demiurgo.
Nel corso delle successive edizioni, il testo delle Forme ha raccolto dei brani
estratti dalle opere più diverse di Marx, specie quelle in cui egli descrive i meccanismi e
la dinamica del passaggio attraverso i diversi modi di produzione — l'Ideologia
tedesca, la Sacra Famiglia, la famosa prefazione del 1859 al Contributo in cui enuncia
le linee dorsali del materialismo storico e dialettico e soprattutto il Capitale, in cui
descrive in filigrana vita e morte dell 'ultima società di classe con la nascita della
società comunista superiore tramite le lotte, le sofferenze e il lavoro della classe
operaia.
Il primo testo italiano sulle Forme precapitaliste si poneva anzitutto due scopi: I.
stabilire la serie storica dei modi di produzione successivi e abbozzarne a grandi linee
lo sviluppo; 2. spiegare la meccanica dell'ingranarsi di ogni rotella (o struttura di
ciascuna società) sulle altre per imprimere una determinata dinamica alla produzione,
nonché ai rapporti sociali e alle sovrastrutture, che a loro volta reagiscono come freno
o motore — rivoluzionariamente o controrivoluzionariamente — sulla base economica
o sui rapporti di produzione e di distribuzione.
Sullo slancio dell'edizione francese, che descriveva la forma capitalista e la sua
dissoluzione, abbiamo proseguito utilizzando i vari brani sulle misure di transizione,
proposte da Marx e Lenin, della dittatura del proletariato, aggiungendo nell'edizione
tedesca delle Forme, lo stadio inferiore e superiore del comunismo. Non si tratta qui di
proiettare il solido testo delle Forme che precedono verso un avvenire utopico. Marx —
contrariamente alla nostra infelice generazione — aveva già assistito al rovesciamento
della borghesia e dello Stato capitalista, seguito dall'instaurazione del regime
comunista con l'erezione della dittatura del proletariato divenuto classe dominante,
senza parlare del fatto che le sue analisi gli avevano già permesso di osservare e di
definire la base comunista esistente in seno alla società borghese 5.
Queste aggiunte delle forme capitalista e comunista alle Forme che precedono
andavano evidentemente di pari passo con un ampliamento sempre più sistematico del
testo stesso che si arricchiva di argomenti supplementari, di spiegazioni più
approfondite, nonché di illustrazioni o di dettagli caratteristici.
Marx aveva fornito la sintesi delle Forme nei Grundrisse, sulla base di lunghe
ricerche particolareggiate sull'economia e sui rapporti di proprietà, le classi e le
sovrastrutture, e noi ci siamo riferiti a questi diversi studi per sostenere l'articolazione
dei diversi livelli costituenti l'impalcatura di ogni società: economia, politica,
ideologia, arte, ecc. Sul filo delle diverse opere di Marx, su dei temi particolari, ad
esempio lo studio dello Stato nella Critica della filosofìa del diritto di Hegel, a quello
dell'Ideologia nell'opera contro Bauer, Stimer e compagnia, alle Lotte politiche di
classe sui tentativi rivoluzionavi in Francia (1848-49) volti a rovesciare il modo di
5
Rinviamo il lettore alla raccolta di Marx-EngeIs su La société communiste e La dictature du
prolétariat, 415 p. e 435 p., edizioni Maspéro, Parigi, 1980.
produzione borghese, e che rappresentano altrettante azioni di ritorno delle
sovrastrutture di violenza sui rapporti di distribuzione della base economica, il lettore
superficiale perde troppo sovente di vista la dialettica dell'insieme. Ma non vedere il
legame profondo, la completa sistematizzazione di Marx, leggendo ogni monografìa
come parte a sé, sarebbe come se nella descrizione delle lotte politiche del 1848-49, ad
esempio, si perdessero di vista le indicazioni essenziali di Marx sul loro scopo: la
trasformazione della base produttiva, di cui enuncia le leggi nelle opere economiche.
E' anzitutto per evitare gli errori di una lettura specialistica che, spezzando e
isolando incoerentemente il movimento in diverse e addirittura opposte discipline,
mutilerebbe la visione rivoluzionaria del marxismo, siamo stati indotti man mano nelle
successive edizioni e riedizioni ad incorporare i diversi grandi temi trattati da Marx nel
corpo unitario di spiegazione delle Forme sempre più ampiamente e organicamente
collegando alla decisiva base economica i rapporti di proprietà e di classe, quindi le
sovrastrutture, il cui legame non era che sommariamente indicato nel testo originale.
Questo lavoro prosegue in uno studio particolare sulla storia d'Italia che per oltre due 5
millenni ha fornito apporti specifici alle diverse forme di produzione e di società —
dallo schiavismo al capitalismo 6.
8
Perché un modo di produzione prevalga definitivamente, si devono adempiere due condizioni: 1.
vittoria politico-militare della rivoluzione, e 2. sufficiente maturità della base economica. Ciò si è
verificato non solo per la lotta del comunismo contro il capitalismo, ma anche nella lotta della borghesia
contro il feudalesimo. Per prevalere, la controrivoluzione feudale condusse a tipi storici diversi: disfatta
totale militare e sociale (guerra dei contadini tedeschi nel 1525); vittoria sociale ma disfatta militare totale
(sconfitta della Francia nel 1815 da parte della coalizione europea): vittoria militare, ma riassorbimento e
degenerazione delle basi sociali (progressivo annientamento del capitalismo dopo il XIV secolo,
malgrado la vittoria dei Comuni collegati a Legnano contro l'Impero feudale). Cf. Lezioni della
controrivoluzione, riunione di Napoli del 1.9.1951.
Per quel che concerne l'azione di ritorno del proletariato rivoluzionario sulla base economica,
rileviamo ancora che essa attraversa due fasi storiche successive: quella in cui il proletariato non dispone
che delle sue organizzazioni economiche e del partito politico per difendere le sue condizioni di vita e
conquistare il potere: e quella in cui si è costituito in classe dominante forgiandosi il proprio Stato,
dunque un esercito per parare gli attacchi della controrivoluzione internazionale e una forza per
intervenire dispoticamente nei rapporti di produzione e di distribuzione al fine di cambiarli in senso
collettivista.
Il Partito deve, come Marx sottolinea, mirare alla dittatura del proletariato che da armi nuove alla
classe operaia e permette di rivoluzionare praticamente l'economia e la società.
9
Nel suo manoscritto sulle Condizioni e prospettive di una guerra della Santa Alleanza contro una
Francia rivoluzionaria del 1852, Engels delinea i tratti caratteristici dell'arte militare da un modo di
produzione all'altro, che risultano dal livello delle forze produttive.
"La strategia moderna presuppone l'emancipazione dei borghesi e dei contadini; essa è l' espressione
militare di questa emancipazione.
"Anche l'emancipazione del proletariato avrà una sua propria espressione militare, produrrà un metodo
di guerra a parte, nuovo. Questo è chiaro. E' persino possibile stabilire sin d'ora quali saranno le basi
materiali di questa nuova strategia e tattica militare.
"Ma, come la semplice conquista del dominio politico da parte del proletariato tedesco e francese, ora
confuso e parte del quale è al traino di altre classi, non costituisce ancora la vera emancipazione del
proletariato, la quale consiste nell'abolizione di tutti i contrasti di classe, allo stesso modo la strategia
iniziale della rivoluzione futura è ben lungi dall'essere quella del proletariato realmente emancipato. "La
reale emancipazione del proletariato, la totale abolizione di ogni differenza di classe e la concentrazione
totale di tutti i mezzi di produzione presuppone, in Germania e in Francia, la collaborazione
dell'Inghilterra o almeno il raddoppio dei mezzi di produzione attualmente disponibili in Germania e in
Francia. Ma proprio questo presuppone a sua volta un nuovo modo di condurre la guerra".
In un primo approccio, al fine di sintetizzare principi e linee essenziali, abbiamo
dunque sistematizzato le forme di violenza specifiche di ciascun modo di produzione o
classe dominante successiva della storia umana, facendo fronte all'urgenza più grave:
donde un primo sintetico esposto.
In un secondo momento, abbiamo integrato all'opera teorica conosciuta del partito
quegli elementi che erano stati tralasciati, staccati od occultati, riannodandoli,
dapprima sommariamente, a tutta la restante opera — in questo caso anche alle Forme.
Le ultime aggiunte
In ragione delle nostre possibilità di lavoro teorico, siamo stati indotti ad ampliare
ancora il testo delle Forme, e ad integrarvi degli argomenti supplementari. Era d'uopo
operare certi collegamenti e ribadirne altri per gettare un saldo ponte verso
l'articolazione centrale di ogni forma di produzione - il blocco dell'infrastruttura
produttiva e quello delle sovrastrutture politiche e ideologiche. Ora, le ramificazioni
con tutte le altre parti dell'opera sono infinitamente più numerose e sottili.
Citiamo, a titolo di illustrazione, l' Origine della famiglia, della proprietà privata e
dello Stato, di cui lo studio approfondito e il confronto con le Forme permettono una
comprensione più profonda degli scritti di Marx e di Engels su queste questioni. Essa è
stata scritta sulla base della Società antica di Morgan, che descriveva semplicemente i
successivi stadi del progredire dell'umanità primitiva secondo il prodotto (terraglie,
bronzo, ferro, arco, ecc.) della loro civiltà. Integrando questi dati essenziali ai testi
delle Forme secondo il metodo del socialismo scientifico dei Grundrisse consistente
nell'evidenziare la dinamica e i meccanismi della serie successiva dei modi di
produzione, le descrizioni di Engels si chiariscono mentre illustrano le spiegazioni di
Marx.
Allo stesso scopo, nell'edizione tedesca, sono stati ripresi alcuni dati dai
Manoscritti etnologici di Marx gettando alcune passerelle di passaggio tra essi e le
Forme, talché quest'ultimo testo ne è risultato ulteriormente ampliato. Peraltro il
contenuto non cambia di una virgola, ma la sua comprensione diviene, per l'attuale
generazione di marxisti, meno superficiale e unilaterale che per il passato — alla luce
di avvenimenti sempre più colossali e brucianti
Le altre aggiunte al presente testo italiano sulle Forme sono nella stessa linea.
Alcune formulazioni, troppo brevi e raffazzonate nel capitolo sulle Forme dei
Grundrisse, venivano chiarite nell'opera scritta di Marx, soprattutto in quella
economica. L'accenno ne richiedeva la spiegazione. Onde realizzare un insieme
sistematico e organico, la nostra sistematizzazione delle Forme implicava, per
definizione, l'integrazione degli schemi forniti da Marx stesso in altre sue opere. Ad
esempio,nell' Ideologia tedesca (capitolo su Feuerbach) Marx distingueva tre forme di
proprietà: collettiva della tribù primitiva, comunale o statale della forma germanica e
schiavista di Roma e di Atene, e feudale.
Inoltre, abbiamo incorporato nella presente riedizione un passo fondamentale
tratto dai Manoscritti inediti del 1861-63 di Marx sui lavori preparatori del Capitale.
Vi è spiegato che l'uomo primitivo, prima di lavorare per nutrirsi, elabora attraverso il
proprio lavoro gli utensili, a conferma della fondamentale tesi di Engels su Il ruolo
svolto dal lavoro nella trasformazione della scimmia in uomo (1876) che l'uomo non è
stato spinto inizialmente a creare utensili per mangiare di più, per quanto attanagliato
dal bisogno immediato nelle società del comunismo primitivo. Tale affermazione attesta
una visione e una realtà umana più alte. Col lavoro, l'uomo si stacca nettamente dal
resto del mondo animale: "All'origine i prodotti esistono già prima che l'uomo li abbia
lavorati, sia per il consumo individuale che per quello produttivo. E' la natura stessa a
costituire le riserve. L'uomo è presupposto anch'egli a se stesso in quanto prodotto
grezzo immediato della Natura, in cui trova i prodotti già finiti per il proprio consumo.
Allo stesso modo, trova in parte negli organi del proprio corpo i primi mezzi di
produzione (strumenti) per appropriarsi tali prodotti. Il mezzo di lavoro (utensile), che
si sviluppa in seguito in mezzo di produzione, si presenta dunque come il primo
prodotto che l'uomo elabora (prima dei propri alimenti che si limita a raccogliere) e di
cui trova già pronte in natura le prime forme, ad esempio la pietra".
L'eminente linguista marxista Marr (messo alla berlina dal revisionista Stalin),
rileva che lo strumento della lingua non è nato dal pensiero o dalla lingua stessa, ma
dall'utensile delle mani parlanti 10. La Natura ha copiosamente provveduto ai mezzi di
nutrimento dell'umanità e, creando l'uomo, è passata, dapprima nell'alienazione, ad un
nuovo livello di mediazione attraverso i mezzi di produzione materiali e intellettuali che
sfocerà in una forma di vita più alta: quella del comunismo di domani.
Nella presente edizione italiana abbiamo aggiunto al testo delle Forme e al grande
Schema sinottico la sistematizzazione dei due stadi successivi del socialismo o forma
quinaria. Ci siamo basati essenzialmente sulle deduzioni del Capitale che colleghiamo
ai diversi testi sulla dittatura del proletariato ( particolarmente gli scritti sulla Comune
di Parigi) e ai molteplici programmi sulle misure di transizione al socialismo. Abbiamo
completato queste spiegazioni centrali con dati forniti da alcuni teorici marxisti di
primo piano che, non disponendo all'epoca dei corrispondenti testi di Marx, hanno
tentato da parte loro e coi loro mezzi di ordinarne le formulazioni sparse nell'opera
classica in un insieme coerente su un punto decisivo per i rivoluzionari: l'azione di
ritorno delle sovrastrutture di violenza sulla base economica. Così, Trotsky si trovava
di fronte al bruciante problema dell'influenza dello Stato — violenza organizzata e
concentrazione del fascio delle sovrastrutture politiche, giuridiche ed ideologiche — sui
rapporti economici e sociali della base produttiva nella fase seguita in Russia alla
presa del potere. Nel suo opuscolo Terrorismo e comunismo egli fornisce alcune
preziosissime indicazioni sullo scarto crescente, e dunque la minor potenza e valore,
delle diverse sovrastrutture man mano che si allontanano dalla base economica: la
coscienza è in ritardo di secoli e millenni sullo sviluppo attuale della produzione reale.
E collega, tra l'altro, la piccola-borghesia e alcuni strati contadini con la loro
ideologia ai metodi produttivi superati loro propri 11.
10
Cf. N. Marr, Sulla genesi della lingua, tratto da Sotto la bandiera del marxismo, ed. tedesca, anno I,
dal marzo 1925 al giugno 1926, p. 558-5S9. La lingua non è dunque una sovrastruttura, ma una vera e
propria forza produttiva sociale. Tale punto è brillantemente esplicitato in Fattori di razza e nazione nella
teoria marxista, ai capitoli: Preistoria e linguaggio. Lavoro sociale e parola, Base economica e
sovrastrutture, Stalin e la linguistica. Tesi idealista della lingua nazionale, Riferimenti e deformazioni, in
II Programma Comunista n. 16-20/1953. Notiamo, ad esempio, che le attuali vuote sovrastrutture della
nazione e della razza hanno costituito saldi rapporti sociali e addirittura fattori di produzione nelle passate
società, e talvolta nel comunismo primitivo.
Il valore relativo di ogni struttura muta di significato e di funzione da una forma di produzione all'altra
e all'interno di ciascuna forma, che da rivoluzionaria all'inizio diviene in seguito conservatrice e
controrivoluzionaria. Ciascun concetto, struttura e rapporto ha dunque un senso squisitamente storico,
donde l'importanza di un riferimento preciso alla forma di produzione e di società e al suo grado di
maturità.
11
Per una magistrale applicazione di questa dialettica, che si rivela di primaria importanza dopo il
Seguendo lo stesso ordine di idee, il testo Proprietà e capitale pubblicato
nell'immediato dopoguerra sulla rivista teorica Prometeo (n. 10-14) sistematizza in
modo particolarmente felice alcuni aspetti del legame tra base produttiva e
sovrastrutture al punto cardine dei rapporti di proprietà, di classe e di appropriazione
che costituiscono la cinghia di trasmissione nel meccanismo delle società di classe. Tali
previsioni ci permettono di afferrare meglio tutta l'importanza di questi rapporti che
soltanto nel movimento e nel legame dialettico possono essere compresi. Integreremo
tali apporti, per quanto possibile, nel presente testo per illustrare gli effetti di ritomo
delle sovrastrutture sui rapporti di produzione.
Alle diverse traduzioni del testo sempre più organicamente sistematizzato delle
Forme abbiamo fatto precedere di volta in volta una prefazione che confrontasse la
storia dei diversi paesi — Italia, Francia, Germania o Portogallo - con le leggi generali
del progresso umano, al fine di collegarle alla loro base internazionale e di collocare in
questo contesto la loro esperienza. Abbiamo inoltre tratteggiato il "contributo"
apportato da ogni singolo paese all'insieme dell'umanità negli svolti decisivi della sua
storia. Nel caso del Portogallo, ad esempio, la prefazione trattava essenzialmente di un
punto particolare: la creazione del mercato mondiale agli albori del capitalismo, che
diede slancio al colonialismo e fornì una larga base mercantile allo sviluppo del
capitale nella produzione, attuatesi con un nuovo balzo rivoluzionario nell'Inghilterra
del XVII sec.
E' di Engels la seguente formidabile sintesi dell'apporto del Portogallo al
progresso mondiale dell'umanità. Esso non si estende semplicemente ai rapporti
esistenti e a nuovi spazi geografici: "I limiti dell'antico mondo (orbis terrarum) furono
infranti, la terra fu veramente scoperta allora per la prima volta, e furono gettate le
basi per l'ulteriore commercio mondiale e per il passaggio dall'artigianato alla
manifattura, che a sua volta rappresentò il punto di partenza per la grande industria
moderna. La dittatura della Chiesa fu infranta (azione sulle sovrastrutture): i popoli
germanici la respinsero senz'altro nella loro maggioranza e accolsero il
protestantesimo, mentre trai latini si andava sempre più radicando un vivace libero
pensiero, mutuato dagli arabi ed alimentato dalla filosofìa greca allora riscoperta
(dall'iconoclasta atto materiale della rottura delle frontiere del mondo antico), che
preparava il materialismo del XVIII secolo. Fu il più grande rivolgimento che l'umanità
avesse finora vissuto: un periodo che aveva bisogno di giganti - e che li generò" 12.
Un nano, il Portogallo, divenne questo gigante al fianco delle Fiandre e della
Spagna, i quali tutti raccolsero l'eredità della prima nazione capitalista — sotto l'egida
rovesciamento della borghesia, allorché si tratta di intervenire con la violenza rivoluzionaria nei rapporti
della base produttiva per stimolare il trapasso ad un nuovo modo di società, rimiamo il lettore al discorso
di Trotsky al IV Congresso dell'Internazionale comunista del 1922, pubblicato sotto il titolo: La nuova
politica economica e la rivoluzione mondiale e al suo magistrale commento in Il Programma comunista
del 1966, n. 8-12: 1l poderoso discorso di Trotsky al IV Congresso dell'Internazionale (1922) sulla
politica economica dell'URSS e le prospettive della rivoluzione mondiale. Il cammino non è più qui
dall'economia alla politica, ma viceversa dalla politica rivoluzionaria ai rapporti economici della base
produttiva, da cui l'espressione "politica economica" del proletariato.
12
Cf. Engels, Introduzione del 1875- 76 alla Dialettica della Natura.
della potenza militare internazionale della Chiesa di Roma — all'epoca delle Crociate
che favorirono la fioritura di Venezia, Pisa e Genova; la loro rete marittima raggiunge
ora l'India e l'America partendo dalle nazioni dell'Europa occidentale situate sulla
costa atlantica, verso le quali si è spostato il centro di gravita del nuovo mondo 13. Ecco
quello che afferma Engels a proposito del piccolo Portogallo: "Nella penisola iberica
due ceppi linguistici romani si unirono per formare il regno di Spagna, quando il regno
di Aragona dall'idioma provenzale si sottomise al castigliano come lingua scritta; il
terzo ceppo unificò il suo territorio linguistico ad eccezione della Galizia, per formare
il regno di Portogallo (questa Olanda iberica) quando si allontanò dall'interno e
dimostrò, con la sua attività sugli oceani, di avere diritto ad una esistenza separata".
Le nazioni moderne cominciarono a fiorire, mentre la vita si ritirava dalla madre
Italia e dalla Germania: "In tutta l'Europa non vi erano che due paesi in cui il regno e
l'unità nazionale, impossibile allora senza di esso, non esistevano o non erano esistiti
che sulla carta — l'Italia e la Germania" 14.
Quest'impresa mondiale di un paese tanto piccolo non è evidentemente — lo si vede
bene — frutto delle sue sole forze; ma si tratta del gesto epico di un paese
all'avanguardia del movimento generale. Storicamente la sintesi nuova di tutte le spinte
sociali dell'epoca si manifesta nel dislocamento verso l'Atlantico delle forze del
progresso, che nel Mediterraneo hanno avuto la loro incubazione e hanno svolto la loro
opera sviluppandosi fino alla dissoluzione nella madrepatria — l'Italia.
Se nella spiegazione dello sviluppo sociale il marxismo parte sempre dal campo di
forza totale rappresentato dal mondo intero e dalla storia e dall'economia di tutta
l'umanità, non per questo esso minimizza i fattori locali, quali la nazione, che per un
certo periodo — e non più a lungo — concentra e centralizza in una manifestazione
particolare, per forza di cose limitata, una prima spinta dell'umanità verso una nuova e
superiore forma di organizzazione nelle società di classe — come è il caso del
capitalismo che nasce nel quadro nazionale.
Il marxismo non procede come la falsa scienza borghese, che fa iniziare ad esempio
la storia dei Greci e dei Romani dal loro insediamento nei rispettivi paesi, occludendo
in tal modo ogni possibilità di scoprire di quei popoli e l'origine e le spinte
internazionali che li hanno fatti nascere e continuano a spingerli in avanti. Inoltre, il
marxismo — come attestano le Forme — integra sempre i fattori economici alle sue
spiegazioni storiche perché decisivi per lo sviluppo e il declino di un paese. Ci siamo
dovuti perciò inoltrare nel labirinto degli studi classici dei borghesi per ritrovare, dopo
minuziose ricerche, l'itinerario seguito da Greci e Latini prima della loro
sedentarizzazione sulle rive del Mediterraneo per illustrare la progressione storica
della forma secondaria dall'Asia in Europa. Marx stesso ce ne aveva fornito la chiave,
segnalando che l'India, ossia la forma asiatica, ne era stata la madre, e dunque la
causa iniziale.
13
Come è risaputo, più elevata è l'altezza, più dura è la caduta, e a questo proposito Marx dice
sull'Olanda, la Svizzera e la Danimarca ecc.: "Oggigiorno non c'è situazione peggiore di quella di un
piccolo paese che ha dietro di sé una grande storia". Tutte queste nazioni non hanno infatti effettuato che
con ritardo la loro unità nazionale (alla metà del XIX secolo) e senza grandezza rivoluzionaria — il che
marca fortemente la classe borghese al potere con la sua appendice piccolo-borghese. L'apogeo dei
Comuni italiani non aprì tanto una crisi violenta quanto un marasma, con la mediocrità, la pusillanimità e
l'abilità di cavarsela nelle faccende private e nell'ambiente gretto del provincialismo.
14
Cf. Engels, La decadenza del feudalesimo e lo sviluppo della borghesia, annesso ai lavori sull'Anti-
Dühring.
Rivoluzione e controrivoluzione
Questi necessari sviluppi — data l'ampiezza assunta dal testo delle Forme — sul
filo delle successive edizioni ci hanno indotti a preparare una serie di monografie
specifiche, due delle quali centrate sull'esperienza storica ed economica della nostra
penisola. Il contributo italiano alle Forme — per via della sua situazione-chiave e della
sua lunga storia — è infatti particolarmente importante e multiforme e solleva
fondamentali questioni per le sue implicazioni universali, in quanto, data la sua
situazione geografica e la sua economia di volta in volta schiavista, mercantile e
borghese, essa è aperta a tutto il mondo e poco protetta nazionalmente dalle invasioni e
influenze delle forze egemoni mondiali, prestandosi le molte isole delle sue
interminabili coste ottimamente da base per allestirvi preparativi di aggressione.
La storia dell'Italia ci fornisce un esempio classico che chiarisce il rapporto
essenziale di rivoluzione e controrivoluzione nel succedersi delle formazioni sociali e
produttive. Dopo una prima vittoria storica sul suo terreno, il nuovo modo di
produzione borghese vi ristagna, per essere in seguito nuovamente assorbito ad opera
del modo di produzione anteriore in cui resta immerso fino al XIX secolo, mentre il
capitale riprende altrove la sua corsa con maggior vigore, ampiezza e profondità.
Questa questione della rivincita di una forma di produzione superata su una forma
nuova, superiore, è oggi assolutamente fondamentale per il proletariato, che fu
sconfitto ad opera dei suoi avversari borghesi coalizzati una prima volta al tempo della
Comune di Parigi e una seconda volta in un processo graduale - come in Italia -
quando la dittatura rossa, peraltro saldamente in sella nella Russia del tempo di Lenin,
è degenerata sino a ricadere al livello di quel capitalismo che nella lotta contro lo
zarismo e la borghesia russa era stato per alcuni anni superato. Tale fenomeno di
declino e di rinculo sotto l'azione della controrivoluzione, ben lungi dall'essere nuovo, è
anzi universale, avendo variamente interessato quasi tutti i paesi del mondo 15. Per tutti,
varranno gli esempi della riedizione negli Stati Uniti nel 1860-65 della rivoluzione
borghese che era stata limitata nel 1775-83 a 13 Stati; dei tentativi reiterati di
rivoluzione borghese in Germania nel 1525, 1805-6, 1813, 1830, 1848, fino alla sua
riuscita nel 1866-71 su un territorio amputato dell'Austria, ecc. A questo proposito,
l'Italia ha mostrato, per così dire, questa via a tutti gli altri paesi. Non è stata forse la
15
Esso in fondo sta in ciò: finché racchiude ancora nel suo seno potenzialità rivoluzionarie, la
borghesia soppianterà ipso facto il proletariato in una controrivoluzione schiacciando i tentativi
rivoluzionari degli operai volti a strapparle il potere nella società. Essa è di pari forza rispetto al
proletariato nelle lotte sociali contro il feudalesimo. Questa dialettica è spiegata nella citazione seguente
che descrive le lotte rivoluzionarie preludio al 1848: "Così termina l'anno trascorso, e con esso una serie
di vittorie per i partiti progressisti di quasi tutti i paesi. Anche là dove sono stati battuti, la sconfitta li ha
aiutati a progredire più di quanto avrebbe fatto la vittoria immediata", cf. Engels, I movimenti del 1847 in
Deutsche Brusseler Zeitung 23.1.1848. Se gli operai erano provvisoriamente battuti, il movimento in
senso progressivo borghese nondimeno continuava.
Sull'attuale dialettica tra controrivoluzione e rivoluzione nella fase della crisi del capitalismo divenuta
generale dopo il 1975, cf. La crisi storica del capitale drogato, Edizioni 19/75, cap. Il sovvertitore
sovvertito, p. 156-63. Essendo il terreno storico d'elezione per la controrivoluzione, l'Italia ha permesso
analisi particolarmente incisive sul rapporto tra rivoluzione e controrivoluzione condotte dal gruppo
rivoluzionario che fondò il Partito comunista d'Italia a Livorno e seppe difendere l'integrità del
programma comunista oltre la degenerazione di tutta la Terza Internazionale. Nella monografia
riprenderemo su questo tema intere parti della sua opera teorica senza nulla cambiarvi.
prima a fare la sua rivoluzione borghese che la mise alla testa di tutti i paesi capitalisti
del mondo nella gloria e più ancora nell'onta?
Un tale apporto — per la luce che getta sui meccanismi del capitalismo — merita
un esame più dettagliato di quanto non consenta il presente testo-sintesi, e sarà ripreso
nella nostra monografia dedicata all'Italia.
Tale questione del rapporto tra rivoluzione e controrivoluzione ne richiama altre,
in ispecie quella di sapere in quale misura una data forma di produzione ha fatto il suo
tempo, e deve cedere - dove e come - il posto a una forma superiore. Questa involuzione
nelle società di classe discende dal fatto che esse sono antagoniste a tutti i loro livelli e
seguono in genere un corso contrastato, segnato di vittorie come di disfatte a piccoli
lembi — nazione dopo nazione — complicando lo sviluppo all'infinito. Di più: la stessa
rivoluzione è borghese, ossia va a profitto di una classe dominante sfruttatrice 16. Dal
momento in cui la borghesia giunge al potere, le volontà della rivoluzione si realizzano
infatti in condizioni di alienazione e di oppressione, e gli interessi generali che hanno
fatto muovere le masse e, a dati svolti, tutte le classi della società, sono monopolizzati
dalla sola classe dominante. Inoltre, questa si impadronisce dei frutti degli sforzi delle
forze internazionali che le hanno aperto un varco e usurpa il lavoro accumulato da
tutte le società e generazioni precedenti - e la borghesia al potere sfrutta tutto questo
nel meschino quadro nazionale ad essa proprio. La sua azione complessiva ne è
impregnata: ad esempio, i vari Napoleoni condussero le guerre di liberazione nazionale
in Italia, Germania, Polonia, Spagna, ecc. sotto la spinta, alla scala internazionale,
delle forze moderne; pur facendosene loro esecutori testamentari, ne approfittarono per
saccheggiare e annettere ricchezze e province intere alla nazione francese, cioè alla
borghesia. Tuttavia il criterio rimane sempre internazionale e si misura in funzione
delle potenzialità che ancora racchiude nel suo seno la forma di produzione e di società
16
L'azione nazionale, inizialmente rivoluzionaria, della borghesia, ossia l'instaurazione sotto la sua
direzione più o meno assicurata di un modo di produzione superiore a quelli precapitalistici trova dunque
la sua giustificazione limitata, TEMPORANEA, agli occhi del marxismo, per la classe operaia, le cui fila
ingrossano man mano che il capitale si sostituisce al feudalesimo nella produzione: "Continuate pure a
lottare con animo, egregi signori del capitale! Per ora abbiamo bisogno di voi, qua e là il vostro potere ci
è persino necessario. Dovete sgombrarci il campo dalle forme patriarcali [precapitaliste], dovete
centralizzare, dovete trasformare per noi in veri proletari, in reclute, tutte le classi più o meno possidenti,
con le vostre fabbriche e le vostre relazioni commerciali dovete fornirci la base e i mezzi materiali di cui
il proletariato ha bisogno per liberarsi. Come compenso, terrete il potere per breve tempo" (Engels, I
movimenti del 1847, in Deutsche Brusseler Zeitung, 23 gennaio 1848).
Infatti, "lo sviluppo del proletariato industriale è anzitutto subordinato a quello della borghesia
industriale. Soltanto sotto il suo dominio esso comincia ad acquistare una. consistenza che si estende a
tutta la nazione" (Marx).
17
. Ciò spiega, ad esempio, la vittoria del capitalismo nella Francia del 1815,
nonostante la disfatta militare finale.
Mentre nel testo-sintesi delle Forme mettiamo in evidenza gli ingranaggi e la
dinamica di tutto lo sviluppo sociale, nella monografia "italiana" vedremo
l'applicazione delle leggi e meccanismi generali alle condizioni storiche, economiche e
sociali di questo paese. Il tema italiano richiede letteralmente questo modo di
spiegazione di portata internazionale.
Il segreto dell'ascesa nazionale del Portogallo (come della Spagna, dei Paesi Bassi,
della Francia e in certa misura dell'Inghilterra) sta in ciò, che essa è stata, a titolo
diverso, opera del primo paese capitalista, appunto l'Italia, che, svuotata delle forze
vive, degenerava, ristagnando per secoli fino al Risorgimento — ed è un fatto
determinato e per nulla accidentale. Non v'è dubbio che a fallire in questo crollo sono
state le forze nazionali italiane, che non furono mai in fondo altro che l'espressione di
spinte più ampie su un terreno limitato e che mai pervennero a mantenere né a
sviluppare quanto avevano seminato presso altri. Miseria della grandezza nazionale, o
meglio vacuità della nazione, assolto che sia stato il compito rivoluzionario del
capitalismo: la sua instaurazione.
Già la prima rivoluzione borghese, l'esempio italiano, fa apparire in tal modo che
la ruota della storia prosegue più lontano il suo corso progressivo, e mette in luce la
precarietà estrema del fattore nazionale, che è fattore progressivo solo fino alla sera
della vittoria del capitale, allorché il popolo si scinde in classi opposte, in quanto
l'antagonismo tra operai e borghesi domina ormai tutti i rapporti. Lo stesso
Risorgimento si effettuerà sotto la direzione della borghesia soltanto dopo che questa
avrà battuto, tradito e venduto il proletariato italiano.
La formazione, da un paese all'altro, delle nuove nazioni capitalistiche ritarda, nelle prime arrivate,
17
Essendosi oggi il capitalismo esteso al mondo intero ed avendo reso ovunque unitarie
le strutture, i costumi e il modo di attività, essendosi pure dato a Washington un comitato
universale di gestione borghese che aspira alla direzione unica, ed essendosi le
comunicazioni sia fisiche di merci e di persone che intellettuali della scienza,
dell'ideologia e della propaganda serrate in una rete che forma un unico blocco, gli
avvenimenti - siano essi politici, militari o economici - non sono più ormai localizzabili in
un luogo o in un paese, ma trovano origine e hanno ripercussioni nel mondo intero. Così
si parla spesso più della Cambogia o di Israele, della Russia o del Salvador che dei fatti
avvenuti nella propria provincia. In ogni caso, tutti sentono che questi sono più importanti
per la propria vita, dacché il capitale dà un netto primato all'economia, che determina gli
avvenimenti politici e sociali. Il petrolio ha, ad esempio, maggior importanza della
raccolta locale di patate, così come le Olimpiadi sono più importanti della squadra del
paese, in quanto le loro implicazioni sono più universali e politiche. Questo universalismo
borghese è orizzontale nel presente e verticale nel passato. Infatti, facciamo derivare,
nella nostra concezione storica, le grandi linee della spiegazione del capitalismo moderno
da un materiale storico che per il 90% risale a prima del tempo di Marx, anche nel senso
che i fenomeni posteriori non arrecano affatto sconosciuti modelli, così come Christian
Dior non fa che copiare dall'Atene periclea, dal Rinascimento italiano, dal Termidoro
francese; Hollywood dal paradiso terrestre 18. Colui che al mattino si infila i blue-jeans
senza dubbio ignora che il blu che fa scivolare sulle chiappe proviene da procedimenti
messi a punto nelle tintorie sfruttate dai Romani sulle coste dell'Africa del nord, che il
taglio così ricercato è preso a prestito dai vaccari d'Europa che emigrarono nel Far West,
che i bottoni provengono dalle manifatture del Terzo Mondo sfruttate dalle
multinazionali, ecc. ecc. — e il piccolo borghese scimmiotta la sua andatura sulla star di
Cinecittà con le sue arie romantiche e cosmopolite che ne fanno un camaleonte
inconsistente, o addirittura una marionetta le cui fila vengono tirate da potenti
monopolisti in tutti i paesi del nostro bel mondo. Il capitale fa di ogni erba un fascio, e
rastrella in tutti i modi di produzione anteriori i suoi procedimenti e le sue tecniche, le sue
macchine, i suoi metodi di presentazione e di vendita, ecc. ecc.
Allo stesso modo, gli avvenimenti che scoppiano ovunque spontaneamente non sono
che la somma di rapporti e di strutture la cui origine è lontana, non solo nello spazio, ma
anche nel tempo. Il nostro metodo, tutt'altro che immediatista, del Filo del Tempo, è
clamorosamente confermato dalla storia concreta che è anzitutto sintesi di tutto il
passato, le cui contraddizioni accumulate formano oggi una valanga e provocano gli urti
maggiori negli avvenimenti che quotidianamente vengono riportati — e i cui colpi, come
ognuno avverte, scuotono oggi le strutture e le istituzioni sclerotizzate della vecchia
società capitalista in delirium tremens sotto l'effetto ormai irresistibile di forze stanche
che si scontrano ovunque con gli ostacoli posti dalla grande centrale controrivoluzionaria
di Washington, che poggia, per sopravvivere, su tutte le vestigia del passato.
La successione delle forme di produzione e di società con la loro sintesi e intreccio
nell'attuale dinamica sociale appare in filigrana in tutta l'attualità, comprensibile solo da
questa angolatura. Proprio per questo, abbiamo fatto seguire direttamente il presente
testo sulle Forme, che svela la meccanica e la traiettoria delle società di classe, da uno
studio sull'attuale rapporto di forza delle classi e dei modi di produzione nel mondo al
18
Cf. Russia e rivoluzione nella teoria marxista, in Il Programma comunista, 1954-55.
momento dell'urto tra capitale e comunismo che costituisce la trama di tutti gli attuali
soprassalti dacché il sistema economico e sociale borghese è entrato in crisi storica 19.
Uno dei maggiori sviluppi della monografia che esce contemporaneamente alle
Forme è costituito dall'illustrazione nello spazio del trapasso da una forma di produzione
all'altra con lo spostamento delle linee di forza nel corso della contrastata progressione
delle forze economiche e sociali dell'umanità. Sottolineiamo fin d'ora il legame esistente
tra le Forme e questo testo. Le prime espongono le leggi generali dello sviluppo sociale e
il secondo stabilisce come tale progredire avvenga da un paese e continente all'altro.
Così, per quanto riguarda la forma secondaria che introdusse le società di classe,
seguiamo la sua progressione dalla forma-madre asiatica alle forme schiaviste
dell'antichità classica della Grecia e di Roma, attorno al Mediterraneo da una parte, alla
forma germanica, nel cuore del continente europeo, dall'altra. Passiamo in tal modo dal
piano astratto delle norme generali al loro movimento concreto nella storia. A questo
punto entrano in gioco i fattori geografici e storici determinati, quali la situazione della
Grecia e dell'Italia sul Mediterraneo. E' molto interessante constatare ad esempio che
Roma soppiantò Atene per via della situazione strategica dell'Italia, questo relais nel
movimento universale che allora tendeva ad estendersi all'Europa occidentale a partire
dall'India e dall'Egitto. La Grecia, che si era appropriata le conquiste sociali e industriali
del Medio Oriente dando loro una forma più alta - lo schiavismo nella produzione - non
giunse a battere in breccia l'Oriente e a "civilizzarlo", esaurendo così la sua "missione
storica" e passando la fiaccola alla barbara Roma in un movimento che doveva
raggiungere in seguito l'Europa occidentale passando per le vie che collegano l'Italia alla
Germania a Nord-Est, alla Francia e alle Fiandre a Nord-Ovest e alla penisola iberica ad
Ovest. Concentrando tutto il progresso dell'umanità nella penisola italica, Roma
preparava il trapasso al feudalesimo e - dopo un breve interludio — al capitalismo. Vi
troviamo dunque i lontani prodromi del movimento universale mercantilista che — dopo
aver fatto il giro del pianeta — permise al capitale di estendere i propri rapporti monetari
e mercantili al processo di produzione in Inghilterra, per ricominciare — questa volta in
direzione dell'Est — con forze schiaccianti, la riconquista del mondo, raggiungendo la
Francia nel 1789, la Russia nel 1917, l'India nel 1945 e la Cina nel 1949.
E' del più vivo interesse smontare la meccanica di tali spostamenti delle linee di forza
nello spazio e nel tempo. Il suo motore è essenzialmente economico. Il tracciato delle vie
commerciali mondiali è strettamente collegato alla dinamica del centro di gravità della
storia umana nello spazio e nel tempo, ma non ne rappresenta che un aspetto, anche se
fondamentale. Un altro — almeno altrettanto decisivo — è il flusso delle rozze, barbare,
19
Questa prima monografia su cui sboccano le Forme intitola Schieramento delle forze gigantesche in
urto nell'attuale crisi della società borghese, che prelude all'estensione della rivoluzione dei continenti di
colore alle metropoli secondo lo schema classico elaborato da Marx-Engels per la rivoluzione doppia del
1848-49 nelle ultime pagine del Manifesto. Essa si suddivide in due parti: 1. Accelerazione della storia
tramite lo sviluppo e la concentrazione continua delle forze produttive in opposizione alla crescente sclerosi
delle strutture e dei rapporti della società di classe capitalista, e 2. Periodizzazione e localizzazione delle
forze in urto nell'attuale crisi che segna la fine catastrofica dell'ignobile sistema capitalista in una lotta da
giganti tra la controrivoluzione, diretta dalla centrale yankee in preda alle peggiori lacerazioni
interimperialiste con le sue guerre locali e generali, e la rivoluzione comunista del proletariato mondiale
diretta dal suo partito marxista.
giovanili forze rivoluzionarie, portatrici del fattore dei nuovi rapporti sociali, che
permettono il salto qualitativo da una forma di produzione all'altra. Alla fine di un modo
di produzione, il centro dove sono accumulate le forze produttive si trova in opposizione
al tracciato della talpa della rivoluzione, e il loro punto d'incontro — meglio, di scontro
— costituisce un nuovo centro di gravità storico donde parte la forma nuova. La spinta
economica è andata nell'antichità da Oriente ad Occidente nel Sud dell'Europa, nel
Mediterraneo, mentre l'elemento di rivoluzionamento della forma di produzione è venuto,
partendo dall'India, attraverso il continente europeo sotto forma di migrazioni dei popoli
ariani. La feconda congiunzione dell'economia sviluppata di Roma con i giovanili
rapporti sociali degli invasori barbari germanici diede origine in Francia alla forma
feudale più classica. I diversi percorsi sono dunque null'altro che i punti strategici ove si
riannoda, nel dato rapporto delle forze, il destino dei vari paesi e continenti. Questo
studio introduce del tutto naturalmente la monografia seguente sulla questione militare,
più attuale che mai nell'epoca in cui il capitalismo è gravato da tutte le contraddizioni
accumulate dalle successive società di classe. Che l'urto sia inevitabile e le forze in lotta
gigantesche si vede già dal fatto che alla fine di questo dopoguerra il corso del
capitalismo si è letteralmente imballato, dal momento che almeno tre continenti di quasi
tre miliardi di uomini hanno compiuto in neppure cinquant'anni quella rivoluzione
borghese che all'inizio del capitalismo l'Italia, con cento volte meno abitanti, ha
impiegato cinquecento anni a realizzare. Una simile massa lanciata con tanta forza ed
accelerazione non può essere arrestata da nessuna potenza costituita al mondo, e meno
che mai dal senile capitalismo bianco in crisi totale.
La citazione seguente di Engels mostra come tutto questo movimento del passato, ben
lungi dall'essere abolito, è oggi concentrato nella dinamica del capitalismo, che — invece
di risolvere le contraddizioni di tutte le forme passate — le ha aggravate e addirittura
esasperate, giacché sono il motore del suo sviluppo: "Ai giorni nostri, gli avvenimenti si
susseguono a una velocità fantastica, e ciò che una nazione non è giunta a compiere in un
intero secolo, può facilmente superarlo attualmente in uno o due anni" 20.
Considerando gli "apporti specifici" dei successivi paesi borghesi, abbiamo potuto
nelle diverse edizioni opporre, per più nettamente definirli, i tratti distintivi del
22
Cf. New York Tribune, 17.5.1860, in Marx-Engels, Sul Risorgimento italiano. Ed. Riuniti, 1979. p.
357-59.
La Sicilia, il cui popolo è stato più volte gettato in catene e schiavizzato, ma ogni volta è insorto e si è
ribellato, è nella stessa Italia la regione più tipicamente oppressa - e dopo il Risorgimento, che ha dato la
preminenza al Nord, l'intero Sud l'ha raggiunta. E' una specie di Manda all'interno dell'Italia, ma questa
"colonia" non è affatto precapitalistica. Essa è al contrario un puro prodotto del capitalismo, come l'odierno
Terzo Mondo, che nel corso di questo dopoguerra ha portato a termine la sua rivoluzione nazionale un paese
dopo l'altro, soffrendo sempre di tutti i mali del capitalismo senza condividerne i vantaggi (non parliamo qui
del ristretto numero delle loro cricche dominanti).
23
Questo paese di antico capitalismo è stato anch'esso, come la Spagna, uno dei paesi di punta nella corsa
al fascismo, che altro non è se non la forma totalitaria del capitalismo senile. Anche in questo i primi
capitalismi hanno battuto quelli più giovani, poiché l'America non vi è giunta, per estenderlo al mondo
intero, che al momento della sua vittoria sul ... fascismo tedesco e italiano, che essa voleva soppiantare e
vincere utilizzando le sue stesse armi e i suoi stessi metodi.
24
Così, mentre il capitalismo realizza nelle metropoli lo sfruttamento salariale — regime di oppressione
assicurato da una duplice mistificazione: quella della nazione e quella dello scambio equo sul mercato del
lavoro tra operaio e padrone - l'insaziabile mostro capitalista si precipita sui popoli di colore per ridarli in
schiavitù.
capitalismo in Italia, in Portogallo, in Spagna e in Olanda, a quelli delle nazioni
industrializzatesi poderosamente sin dal XIX secolo. Ciò ci ha condotto a enucleare gli
apporti alla genesi del capitalismo in questi ultimi paesi e quindi ad avere una visione più
organica della strutturazione della società capitalista, a partire dalla forma di produzione
che sistematizza la base economica e fonda le sovrastrutture giuridiche, politiche e
ideologiche. Abbiamo contemporaneamente visto come l'espansione del capitalismo nel
mondo abbia dato la predominanza, nel corso della sua elaborazione insieme grandiosa e
infame, alla razza bianca e all'Europa. Ciò ha ulteriormente allargato il quadro delle
Forme, e tali aggiunte - passando dall'enunciazione delle leggi astratte della dinamica
delle forme successive alla loro illustrazione pratica nella storia vivente — miravano in
particolare a mettere in evidenza la genesi delle strutture del mondo capitalista in seno al
quadro nazionale attraverso l'interazione del campo mondiale e locale.
La forma mercantile e monetaria fu installata in Italia nel suo insuperabile modello
per tutti i paesi capitalisti ulteriori del mondo 25. Quanto ai Paesi Bassi, alla Spagna, al
Portogallo, essi la propagarono al mondo intero imponendo il colonialismo e lo
schiavismo (mercantilismo imposto agli esseri umani in modo immediato) e creando il
mercato mondiale. Veniva in tal modo data al mondo la condizione preliminare del modo
di produzione per lo sviluppo della produzione industriale e agricola, di cui l'Inghilterra
ha fornito il modello. Ricordiamo in ogni caso che il denaro e la merce sono i due fattori
primari di tutti i rapporti capitalisti, dagli scambi nella distribuzione al metabolismo della
produzione. Il modello economico realizzato dalla borghesia inglese si era incorporato la
natura mercantile dell'Italia e fu trasmesso a tutti gli altri paesi borghesi. Su questa base,
la Francia — durante la rivoluzione borghese — instaurò il modello più perfetto di
sovrastrutture politiche, con lo Stato e il codice napoleonico nonché l'esercito
democratico basato sull'obbligo militare di tutti i cittadini. La Germania, che mancò la
sua rivoluzione borghese pratica fino al 1871, sviluppò la sfera della coscienza e delle
sovrastrutture borghesi nella sua forma più elaborata. Il grande Schema sinottico annesso
al nostro testo sulle Forme riprende questa progressione dall'alto in basso nel corso della
storia del modello sociale capitalista nelle sue grandi suddivisioni che non sono soltanto
analitiche, di metodo, ma corrispondono rigorosamente alla genesi della forma borghese
nella storia.
Fu ogni volta una rivoluzione in un paese determinato ad introdurre un nuovo piano
della costruzione capitalista. Nella citazione a proposito di List che abbiamo posto
all'inizio di questa prefazione, Marx spiega la dialettica tra questa creazione progressiva
del capitalismo e la sua invarianza una volta che una struttura è stata avviata da un certo
paese, quest'ultima - come modello — essendo ripresa da tutte le altre nazioni capitaliste
sotto la sua forma universale e storica.
Una visione meramente descrittiva che registrasse semplicemente i fatti verrebbe alla
conclusione che si tratta di una creazione progressiva, mai fissata, e dunque
indeterminata che si effettuerebbe senza continuità né analogia nei molteplici paesi E'
quanto suggerisce anche la storia dell'Italia in cui il capitalismo nacque senza
determinazioni nazionali nel paese, sotto la spinta di forze più vaste, internazionali, e da
cui esso disparve di nuovo senza alzarsi al piano superiore della produzione, ecc. per
25
La parola capitale si incontra nel suo moderno significato economico per la prima volta nell'epoca in
cui la cosa stessa fa la sua comparsa, nell'epoca in cui la ricchezza mobiliare acquista sempre più funzione di
capitale, sfruttando il pluslavoro di liberi lavoratori per produrre merci, e precisamente questa parola viene
introdotta dalla prima nazione capitalistica della storia: l'ITALIA DEL XV e XVI secolo", cf. Engels, Anti-
Dühring, seconda sezione, cap. VII, Capitale e plusvalore.
resuscitare, armato di tutto punto, col Risorgimento. Insomma, il quadro nazionale è del
tutto insufficiente per spiegare la genesi e lo sviluppo del capitale, come pure i suoi alti e
bassi, e occorre riferirsi alle sue radici internazionali per avere tutti i dati che presiedono
alla sua formazione e al suo sviluppo. E non può essere altrimenti poiché è un modo
sociale dell'attività e della vita umana. Ora, quest'ultimo non può essere afferrato
sviluppando un modello, delle leggi astratte, un tipo, in questo caso del capitalismo, che
non esiste in maniera pura e completa in alcuno dei paesi contingenti, ma che corrisponde
pienamente alle deduzioni sociali di tutto il campo della società umana di un'epoca
storica data. Questo tipo forma la dottrina di una classe che arriva al potere con
l'irruzione del suo "modo di produzione". Questa dottrina o programma si distingue,
secondo Marx, dalla coscienza, piuttosto falsa, che la borghesia ad esempio può avere di
se stessa, tanto nei suoi scritti filosofici che politici e scientifici. Tuttavia, non si doveva
attendere Marx per fare dei modelli qualsiasi nel campo scientifico ed economico.
Quesnay, ad esempio, ne ha fatto uno di qualità eccezionale all'inizio del capitalismo26.
Salta agli occhi che Quesnay è soltanto una penna a cui un fatto sociale immenso
detta il suo piano. Se cerchiamo il vero protagonista che rivela e introduce socialmente il
capitalismo come forma di società e di produzione reale, anche se non è ancora
abbastanza sviluppata perché le sue differenti parti costitutive si siano pienamente
manifestate alla luce del sole, lo troveremo nei Comuni italiani dell'inizio del secondo
millennio, come embrione di modello che contiene già, se pure confusamente, tutti i
rapporti borghesi. Dove sarebbe la loro epopea grandiosa, se essi non avessero costituito,
in pieno regime feudale alla scala del mondo, altrettante solide pietre miliari socialmente
se non localmente incrollabili, in quanto anticipazioni dell'avvenire capitalista del resto
dell'umanità?
26
Cf. La struttura tipo della società capitalistica nello sviluppo storico del mondo capitalista, in Vulcano
della produzione o palude del mercato?, in Il Programma Comunista, n. 13. 9-23.7.1954.
Per definizione, la sfera nazionale si distingue quindi dal campo totale del mondo 27.
Di fronte alla forma sociale determinata, la nazione è un fattore eminentemente cangiante
— prima rivoluzionario, poi conservatore —, fattore di progresso in una certa parte del
mondo e intralcio sociale in un'altra parte. Insomma, la rivoluzione borghese introduce il
concetto pieno del capitale — e di colpo si arresta ogni sviluppo qualitativo nuovo nella
cornice della nazione, lo sviluppo quantitativo dando una qualità nuova, antagonista alla
prima. Il capitalismo, dal principio alla fine, non può quindi evolvere, essendo un
concetto pieno e unico. E, di fatto, la sua larga base monetaria e mercantile, nata sulle
rive del Mediterraneo, conteneva già — come un bimbo che appena nato possiede gambe
e lingua, pur non sapendo ancora utilizzarle per correre e discorrere — tutti gli elementi
costitutivi del capitale, compresa la manifattura che produce le merci circolanti sul
mercato nazionale e internazionale — beninteso coi limiti dell'epoca.
Come si è accennato nel capitolo precedente, i molteplici apporti tecnici e produttivi
dell'Italia allo sviluppo economico degli altri paesi capitalistici non avrebbero potuto
aver luogo se il capitalismo non fosse nato - già nel primo paese borghese del mondo —
perfetto di tutte le sue strutture. Per questo, nonostante la stagnazione e il regresso
sociale patito successivamente dall'Italia, il seme del suo nuovo modo di produzione poté
spargersi fin sulle rive dell'Atlantico con la formazione del mercato mondiale, prima di
allora limitato al Mediterraneo, al Medio Oriente e all'Europa occidentale, e inoltre
gettare le fondamenta per sviluppare la sua base mercantile e monetaria prima in
produzione manifatturiera, poi in grande industria in Inghilterra. Similmente, le sue
sovrastrutture giunte classicamente a maturazione nella rivoluzione francese del 1789
erano già contenute in miniatura nei comuni d'Italia, così come nello Stato portoghese,
spagnolo, olandese e inglese agli esordi, con il parlamento, la Costituzione, il potere
esecutivo e legislativo, la famosa democrazia, il liberalismo, e il monopolio di Stato.
27
Se precisiamo tanto dettagliatamente il concetto di nazione con le sue molteplici implicazioni che ne
mutano completamente il significato, lo dobbiamo al fatto che durante tutto questo dopoguerra esso è stato
un fattore determinante del movimento rivoluzionario nei continenti di colore. Siccome qui il compito
storico consisteva nel rivoluzionare le condizioni sociali precapitaliste, i nuovi rapporti sociali non potevano
che instaurarsi in seno alla nazione, dunque secondo la maturità dell'ambiente locale, particolare, che volta a
volta veniva ionizzato e spinto nel movimento. Resta inteso che tale movimento era generale e comune a
tutta l'area formata dai continenti di colore, ma la rivoluzione vi scoppiava al ritmo degli impulsi nazionali
secondo il grado di maturità particolare. Insomma, vi era unità dei compiti nello spazio, ma dispersione nel
tempo, dunque in un primo momento nessuna solidarietà e azione comune e concentrata di tutti questi
rivoluzionari. Ma una volta raggiunto ovunque lo scopo nazionale borghese — verso il 1965 — le
circostanze cambiano completamente. Le condizioni sociali sono allora omogenee — capitaliste —, e tutti
seguono lo stesso ritmo della crisi ciclica della produzione borghese, che diviene generale alla fine del
periodo storico — nel 1975; da questo momento si può concepire un movimento unitario oltre i limiti
particolari della nazione. All'inizio questa costituiva il quadro e lo scopo della azione rivoluzionaria, mentre
oggi è il fattore di condizioni sociali di classe che rappresentano la dissoluzione. I limiti borghesi sono
superati, ed il compito è ormai unitario ovunque: rovesciare i rapporti borghesi in dissoluzione.
Esplicheremo il legame dialettico tra campo nazionale e terreno internazionale nella nostra monografia
italiana al capitolo sulle "anticipazioni" economiche, ad esempio nel campo dell'armamento navale
realizzato dalle Repubbliche borghesi italiane che prepareranno numerose innovazioni tecniche per la
rivoluzione economica ulteriore dei mezzi di comunicazione e dalla grande industria. Per contro, è — come
sempre — una forza giovanile, barbara, piena di vita fin questo caso, i popoli di origine anglosassone o
germanica) che instaureranno i rapporti capitalisti nuovi in Inghilterra, in Francia e in Germania riprendendo
e integrando l'apporto tecnico dei paesi più sviluppati economicamente, ma non in grado di progredire
ancora quanto ai loro rapporti economici e politici.
Italia e Portogallo furono pienamente capitalistici, se pure in anticipo sullo sviluppo
della grande industria moderna — ed è una flagrante falsificazione affermare che il
capitalismo vi fu realizzato solo a metà 28.
Come ribadisce Engels nella prefazione italiana del Manifesto, l'Italia è borghese fin
dal XIV secolo. Il talento e l'abilità soppiantavano l'autorità degli ordini e della gerarchla
stereotipata del feudalesimo, mentre l'economia si orientava verso l'appropriazione di
nuovi guadagni e profitti, il che generalizzava lo spirito di calcolo. E' la fine del
commercio dei nomadi dell'Oriente e l'instaurazione dei sistemi razionali (ripresi dagli
Arabi) con la contabilità, il bilancio, il credito e gli affari in commissione. I mercanti si
legarono alle corporazioni di mestiere che organizzarono la produzione regolando
unitariamente la qualità degli articoli, il loro prezzo, il loro smercio e il sacrosanto utile.
Il tutto fu organizzato nei Comuni italiani, libere repubbliche e unità mercantili stabili,
con un mercato e una rete commerciate permanente sovrastati da una organizzazione
politica e da una ideologia di cittadini liberi e uguali, armati e deliberanti, in breve la
matrice dello Stato politico classico che scaturirà dalla rivoluzione francese come
modello nazionale. Una volta forgiata questa forma nuova in un punto del mondo, sarà
l'atto rivoluzionario della sua diffusione: queste repubbliche gettano ponti verso regioni
che saranno in seguito conquistate dal capitalismo — con Co spostamento del loro
centro di gravità dal Sud verso l'alta e media Italia — Un direzione del Nord-Ovest e del
Nord, la Francia, i Paesi Bassi, la Germania meridionale e quindi di tutta l'Europa
occidentale e centrale.
Anticipazioni feconde
Benché lo sviluppo dei centri borghesi fosse sulle prime sporadico e del tutto
localizzato in piccole isole, il capitale era presente nella sua completezza e aveva sconfìtto
il feudalesimo per conto dell'intera umanità sul piano teorico proposto dal suo modello di
un'efficacia produttiva superiore. Prova ne è che la borghesia era già affiancata dalla
classe che le succederà in una forma di produzione superiore al capitalismo; gli operai
salariati dell'agricoltura, delle manifatture, della distribuzione, ecc. 29.
28
Così si trova già sporadicamente nelle Repubbliche italiane la forma salariale della produzione di
plusvalore capitalista: "La navigazione, nella scala in cui essa era praticata dalle repubbliche marinare
italiane e anseatiche, era impossibile senza marinai, vale a dire senza salariati (la cui condizione di salariati
poteva essere occultata da una forma associativa con partecipazione agli utili); quanto alle galere, c'era
bisogno ugualmente di rematori, salariati o schiavi... Troviamo qui i primi germi della formazione di un
plusvalore capitalistico", cf. Engels, Considerazioni supplementari al libro III del Capitale, Ed. Riuniti,
1968, p. 44-45.
Anche se il capitale nasce dunque già completamente formato e resterà invariabile sul piano qualitativo,
se non quantitativo, poiché crescerà e poi declinerà come ogni organismo vivente, esso non troverà la sua
forma interamente sviluppata - classica - che assai più tardi. Così si dovrà attendere lo sviluppo del
capitalismo in Inghilterra per avere la sua forma dispiegata nella base economica della produzione.
Sarebbe assurdo dire che questo capitalismo mancava dell'industria corrispondente, delle sovrastrutture
politiche, ideologiche, artistiche, ecc. Del resto, una delle più belle efflorescenze delle sovrastrutture
borghesi, il cristianesimo, trova il suo centro proprio a Roma, dove il papato alternativamente appoggia o
tradisce la borghesia in un processo, anch'esso classico per la borghesia, di rivoluzione e di
controrivoluzione. Nella nostra monografia, consacreremo un capitolo specifico a questo "contributo
italiano" alla formazione della sovrastruttura religiosa rappresentata dal cristianesimo che ovunque si
dispiega e si espande nello stadio senile del capitale - fino nell'America protestante" e puritana.
29
Il superamento di questi limiti borghesi stessi si effettua nel modo più chiaro, ogni volta, nell'esistenza
del proletariato comunista sulla base del salariato che implica già il capitale nella sua universalità: "La
dottrina del comunismo ha un'origine differente nei tre paesi: gli inglesi sono giunti a questo risultato in
maniera pratico-economica, a seguito del rapido aumento della miseria, della degradazione e del pauperismo
nel loro paese: i francesi in maniera politica reclamando dapprima la libertà e l'eguaglianza politiche e poi,
visto che ciò non bastava, aggiungendo alle loro rivendicazioni politiche la rivendicazione della libertà
sociale e dell'eguaglianza sociale; i tedeschi sono divenuti comunisti attraverso la filosofia traendo le
conclusioni a partire dai primi princìpi", cf. Engels, Progressi della riforma sociale sul continente, in The
New Moral World, 4.11.1843.
De te fabula narratur, diceva Marx. Questo capitalismo viene man mano introdotto
da una rivoluzione politica in tutti i paesi, l'uno dopo l'altro, nel tempo e nello spazio. Il
primo mostra ai seguenti la via di una sola ed unica rivoluzione, che localmente e in
date condizioni può essere rimessa in questione, venga essa battuta dalla reazione
feudale ovvero degeneri
E il capitale bambino era, esattamente come l'adulto e il vecchio, ferocemente
imperialista, colonialista, schiavista, predatore, sfruttatore, sistematizzatore, truffatore,
avido di plusvalore e di sovraprofitto nella guerra di tutti contro tutti.
ben sapendo che esse erano in ovo nei Comuni italiani prima di trovare in Francia
la loro forma dispiegata, classica, quel che Marx chiama nella sua critica a F. List, il
loro carattere universale e storico che sarà ripreso come modello teorico da tutte le
nazioni capitalistiche che vedranno successivamente la luce. La sovrastruttura nata
spontaneamente nei Comuni italiani era, anch'essa, di chiara forma - modello e
stereotipo nazionale che, una volta formato il mercato mondiale, sarà universalizzato
per tutti gli altri capitalismi per passare socialmente dalla circolazione alla
produzione. Ora, anche se solo la rivoluzione francese del 1789 ha dato alle
sovrastrutture borghesi la loro forma nazionale, centralizzata e concentrata più
classica, lo Stato dei borghesi dell'alba capitalista aveva già tutte queste
caratteristiche, se pure su scala indubbiamente minore nello spazio, essendo le
condizioni meno mature. Così la Cina, che accede al capitale soltanto nel 1949, è
borghese esattamente come le vecchie nazioni borghesi dell'Europa, se pure in quantità
minore — qui tutta la sua specificità, se si può dire. Anche se lo sviluppo pratico è ivi
debole, il capitale ha trionfato socialmente e domina la società cinese che ha gli uomini
d'affari conformemente alla sua industria, come ha avuto i suoi Robespierre e i suoi
Napoleone. Gli eserciti dell'imperialismo alleati ai signori feudali della guerra
all'interno attestano che il processo è ovunque lo stesso — e dunque anche il modello
astratto.
"Cromwell è Robespierre e Napoleone in una sola persona; alla Girando, alla
Montagna ed agli hebertisti e babuvisti corrispondono i presbiteriani, gli indipendenti
ed i livellatori", afferma Engels in una potente sintesi teorica su La situazione
dell'Inghilterra, in cui analizza i caratteri "nazionali" di tale paese 30. La sola differenza
che crea la particolarità nazionale, è che la rivoluzione si effettua da un paese all'altro
in più grandi condizioni di maturità dello sviluppo generale, di modo che l'ultimo
arrivato approfitta di tutte le acquisizioni tecniche sviluppate fino allora nel mondo.
Così la grande industria, preparata altrove da secoli, scaturì di colpo in Inghilterra.
Le caratteristiche nazionali non sono dunque che un aspetto unilateralmente
sviluppato della crescita internazionale di una forma di produzione, in quanto
rappresentano altrettanti limiti da superare. Così ai politici francesi incomberà il
compito di sviluppare una economia, ai teorici tedeschi di sviluppare economia e
politica all'altezza della loro abilità teorica e organizzativa — una questione di tempo.
Ma nulla di nuovo in questa ripetizione da una nazione all'altra.
L'epopea nazionale, che costituisce il culmine della vita di ogni paese, è solo una
ionizzazione particolare tramite la quale una società locale si alza a una forma
superiore perché, nel campo di forza universale, il centro di gravità rivoluzionario si è
spostato verso di essa — per un momento.
E il primo paese capitalista? Proprio in esso sta il segreto della nascita in blocco
del capitale con tutte le sue virtualità, strutture e sovrastrutture, allorché esso
scaturisce dalla dissoluzione della precedente forma di produzione che lo ha generato
nel suo seno, come la borghesia è nata stato e ordine nel feudalesimo prima di
diventare classe dominante nel capitalismo. Si tratta della sintesi nuova e superiore di
tutte le anteriori conquiste stanche mondiali 31.
Il capitalismo nasce dunque di un blocco, anche se si estende gradualmente da una
nazione all'altra. Se l'Italia è stata la prima nazione borghese e la sua storia così
straordinariamente ricca, ciò è dovuto alla sua posizione geografica aperta a tutti i
venti, il che le impedisce di avere una qualsiasi autonomia nazionale e quindi una
potenza propria 32. Se di grandezza nazionale si fosse trattato, l'Italia, con le proprie
30
In Vorwarts, 31.8.1844.
31
Ciò ci ha indotti ad inserire nell'edizione tedesca, nello Schema sinottico delle cinque successive
forme di produzione e di società, orizzontalmente, dopo la succinta descrizione del livello tecnologico di
ciascun modo e variante, una casella nuova sui Presupposti della produzione di ogni variante o forma,
definendoli come segue: "Questa rubrica è il risultato di tutte le condizioni della Forma precedente, la
sintesi, all'inizio della forma nuova, di tutti gli elementi accumulati dalla precedente — nel comunismo
primitivo, la natura ambiente e sociale; nel feudalesimo, la somma delle tre varianti della forma
secondaria".
32
Non solo la sua funzione di piattaforma girevole del commercio euro-levantino apriva l'Italia alle
influenze dei paesi stranieri, ma altresì la sua posizione geografica nel campo di forza europeo faceva di
essa una terra di guerre straniere. "Ancor più del Belgio, l'Italia settentrionale è da secoli il campo di
battaglia sul quale tedeschi e francesi regolano i loro contrasti. Che i tedeschi invadano la Francia o i
francesi la Germania, il possesso del Belgio e della valle del Po è necessaria per chi attacca, perché
soltanto questo possesso rende completamente sicuri i fianchi e le spalle dell'invasore", cf. Engels, Po e
Reno, febbraio-marzo 1859.
La debolezza della piccola Italia nelle sue frontiere nazionali si vede a contrario nella potenza
dell'impero romano che invece inglobava province a Nord e a Nord-Est, in Francia e in Germania
forze, dandosi uno Stato più ampio, frontiere più larghe e sicure, un'industria moderna,
ecc., avrebbe evitato la stagnazione e la sua decadenza secolare e proseguito il
progresso interno — che passò invece ad altre nazioni.
34
Il capitalismo non può abolire la schiavitù più di quanto i Nordisti hanno potuto regolare questa
questione e quella dei Neri negli Stati Uniti, malgrado la guerra civile combattuta contro gli schiavisti del
Sud. I rapporti degli organismi più diversi pullulano di indicazioni sulle forme più o meno larvate di
schiavismo nel mondo attuale - dalla schiavitù domestica nei paesi arabi produttori di petrolio a danno
della popolazione nera d'Africa, specie donne e bambini, alle molteplici forme di lavoro forzato di
bambini tenuti in schiavitù larvata. Il capitale è infatti, dall'inizio alla fine, un divoratore di carne fresca,
in particolare di bambini, come Marx ha descritto nel Capitale I a proposito del vergognoso sfruttamento
dei bambini nelle fabbriche inglesi. Ecco un esempio recente: il rapporto della Società Antischiavista di
Londra del 4.12.1979 segnala che 16 milioni e mezzo di bambini fanno del lavoro forzato in India a
partire dai 4-5 anni. In tre città manifatturiere di Tamilnadu, il 22 % dei bambini lavorano da 12 a 13 ore
al giorno e il 31 % da 10 a 14 ore per meno di 6.000 lire al mese. Le ragazze sono le più impiegate perché
sono le meno difese in questa società maschile e anche le più generose a prodigare le loro energie in
confronto ai ragazzi. Così in India la speranza di vita dalla nascita e più bassa per una bambina che per un
bambino, a differenza della maggior parte degli altri paesi I bambini sono impiegati perché i padroni
guadagnano di più con loro che con gli adulti. La ragione di questo schiavismo infame è dunque
puramente capitalista, come le manifatture in cui lavorano questi infelici piccoli proletari.
distribuzione — le forze produttive, di cui la principale è il proletariato rivoluzionario,
suscitando così la forza che oggi è alla vigilia di rovesciarle una volta per tutte.
Un po' di dialettica
Nel capitolo — basilare per il nostro studio — dei Grundrisse sulle Forme che
precedono la produzione capitalistica, Marx utilizza magistralmente la dialettica che
Engels così definisce: "Nella storia, come nella sua presentazione letteraria, l'evoluzione
va in sostanza dai rapporti più semplici ai rapporti più complessi" 35. Ma perché li si
possa afferrare, "questi rapporti complessi" devono essere pienamente sviluppati. Solo
una forma sociale superiore può infatti fornire la chiave di forme meno evolute, il cui
movimento si è esaurito nella forma superiore dopo che esse hanno sviluppato tutte le
loro potenzialità. Ne diviene in tal modo possibile la comprensione anche sul piano
teorico. Il punto di partenza di Marx è perciò il capitale, il quale presuppone un
processo storico che abbia dissolto le diverse forme di produzione in cui il lavoratore si
presentava come proprietario.
Nel Capitale Marx parte tuttavia dall'indagine sulla merce, senz'altro perché la sua
opera è finalmente un semilavorato, il primo gesto verso l’atto della trasformazione
rivoluzionaria non ancora compiuta. Ciò non significa minimamente che la teoria del
passaggio al socialismo non sia definitiva. Non parliamo qui che della materiale
redazione dell'opera: è noto che Marx ha pubblicato solo il primo libro del Capitale. Ma
pur esordendo con la merce che deve ancora evolvere verso il capitale, egli ha già
percorso nei lavori preparatori tutto il ciclo capitalista, traendone "le leggi economiche
di sviluppo", sicché il suo pensiero può nel corso della trattazione seguire il filo storico
naturale dell'evoluzione.
Il metodo è dunque squisitamente materialista poiché parte dalla realtà empirica
pienamente sviluppata che sola può fornire il filo, la sintesi. Quella sintesi che servirà in
35
Cf. Fr. Engels, Per la critica dell'economia politica di K. Marx (Recensione).
seguito come punto di partenza per l'analisi del particolare. Procederemo anche noi
secondo questo modo.
Certo, la storia è disseminata di elementi impuri, confusi, ibridi, di quei cosiddetti
fenomeni contingenti e irregolari che stanno in rapporto alla legge dello sviluppo come i
diversi fatti quotidiani in rapporto alla storia. Ma, dice Engels, l'ideologia borghese è
affetta letteralmente dalla malattia dell'individualismo e non può concepire il socialismo
scientifico o "marxismo" che come creazione di un individuo geniale — Marx. In realtà,
"le concezioni teoriche del comunismo non poggiano assolutamente su idee e princìpi
inventati o scoperti dal tale o talaltro riformatore del mondo. Esse non fanno che
esprimere, in termini generali, le reali condizioni di una lotta di classe che esiste, di un
movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi" (Manifesto).
La grande opera teorica di Marx-EngeIs è niente affatto un risultato individuale, ma
il prodotto dell'attività intellettuale di un'intera classe, l'elaborazione di quello che Marx
chiamava "il cervello sociale", sintesi intellettuale di tutta una scuola di pensiero
formatasi nel corso di una lunga lotta e programma di un'intera fase storica. Questa
concezione comprende il marxismo fin dal principio come la conclusione teorica della
base materiale del movimento storico a livello del capitalismo in quanto lo salda al
proletariato rivoluzionario, che ha il compito pratico di sovvertire i rapporti di classe
esistenti dopo aver abbattuto il capitalismo perché dalle sue viscere si liberi una
superiore forma di produzione e di società: il comunismo. Solo un "soggetto" di tale
statura è in grado di compiere delle sintesi storiche.
Un commentatore russo del Capitale — citato dallo stesso Marx nel Poscritto alla
seconda edizione — aveva compreso ciò perfettamente: "Per Marx una cosa sola è
importante: trovare la legge dei fenomeni che egli indaga. E, per lui, è importante non
solo la legge che li governa sotto la loro forma compiuta e nel loro rapporto osservabile
in un determinato arco di tempo, ma soprattutto la legge del loro cambiamento, del loro
sviluppo, cioè la legge del loro passaggio da una forma all'altra. Scoperta questa legge,
egli ne esamina nei particolari le conseguenze che si manifestano nella vita sociale.
"Perciò l'obiettivo di Marx è uno solo: dimostrare con una indagine rigorosamente
scientifica la necessità di determinati ordinamenti nell'evoluzione dei rapporti sociali e,
per quanto possibile, verificare i fatti che gli sono serviti da punto di partenza e di
appoggio. A questo scopo, gli basta dimostrare contemporaneamente la necessità del
presente ordine sociale e la necessità di un altro in cui è inevitabile che il primo trapassi,
lo credano o no gli uomini, ne siano o no consapevoli".
Il Capitale di Marx non ha quindi lo scopo di spiegare il funzionamento del
capitalismo, di cui è non la biologia ma la necrologia. Il capitalismo nella visione
dialettica non è un punto di partenza né tanto meno di arrivo, ma solo una fase di
transizione nella storia dell'umanità. Non si possono perciò afferrare le sue leggi se non
se ne segue la genesi a partire dalle forme di produzione precapitalistiche, che sono alla
base dell'intero testo dei Grundrisse. Nel corso della genesi storica del capitale se ne
sono formate struttura e corpo e solo indagandone la preistoria se ne possono
comprendere e gli elementi componenti e la dinamica.
Ma la cosa per noi più importante è che il corso stesso del capitalismo indica che
esso deve cedere il posto a una società superiore. E il compito rivoluzionario
dell'instaurazione di una produzione comunitaria coscientemente diretta dai produttori
associati, il socialismo, può adempiersi solo sulla base di una solida conoscenza teorica
della dinamica della società di classe tendente alla propria abolizione. Bisogna per
l'appunto determinare le leggi di sviluppo del capitalismo — la sua genesi come il suo
processo di dissoluzione — perché sia possibile dirigere razionalmente il trapasso alla
forma comunista di produzione e di società. E' indipensabile perciò conoscere il
meccanismo di tutti i periodi di transizione da una forma inferiore a quella superiore.
Poiché il socialismo non è semplicemente una produzione comunitaria di individui
associati, bensì un'economia coscientemente e razionalmente gestita, la teoria della
rivoluzione politica deve includere quella della rivoluzione economica, affinché le
condizioni secondo cui sarà organizzata la forma socialista di produzione siano fin d'ora
chiaramente stabilite nel programma del partito storico della classe proletaria.
Le febbrili discussioni svoltesi in Russia all'epoca della NEP dimostrano che
l'instaurazione rivoluzionaria di rapporti di produzione socialisti è compito gigantesco e
complesso quanto quello della rivoluzione politica per la conquista del potere.
L'avanguardia dovette allora difendere i primi deboli accenni di un modo di produzione
superiore contro la spietata legge del valore del capitalismo, che nella Russia arretrata
aveva ancora un immenso terreno da conquistare e dunque una tendenza irreprimibile a
svilupparsi. Contro quest'idra onnipresente i bolscevichi dovettero lottare con armi
ancora praticamente derisorie, destreggiandosi tra le contraddizioni e pilotando per
quanto possibile lo sviluppo economico, in attesa del trionfo della rivoluzione in uno dei
grandi paesi di pieno capitalismo.
Insomma, per poter collocare al punto giusto la leva per la trasformazione dei nuovi
rapporti di produzione, bisogna possedere in anticipo una visione penetrante e precisa
dei meccanismi di sviluppo delle società in generale: rapporto tra il potere politico, di
cui si dispone, e le condizioni di produzione, di cui si tratta di dominare il corso a
partire dalla situazione e dai bisogni esistenti. Il problema consiste quindi
nell'individuazione del centro di gravita, nell'industria e nell'agricoltura, delle branche
capitalistiche e precapitalistiche, al fine di incanalare con determinate misure lo
sviluppo di alcune di esse per fame avanzare altre: il processo di dissoluzione dei
rapporti di classe sarà contemporaneamente la dinamica dell'instaurazione dei rapporti
socialisti.
Una scienza che fosse individuale non potrebbe scoprire la fonte e lo sbocco dei
fatti, la cui indagine è indispensabile all'opera colossale quale la trasformazione
rivoluzionaria dell'attuale società. Occorre perciò la teoria di classe, il proletariato:
Marx stesso ha qualificato il Capitale opera di partito 36. Il cervello collettivo della
classe rivoluzionaria contiene già quelle conclusioni che la ricerca scientifica, per la
vastità del campo e la massa di materiale, può solo acquisire dopo decenni di studi 37. E'
quindi ormai inutile chiedere a ciascun individuo di percorrere per sé tutto questo
cammino: la solidarietà di classe si esprime anche nella fiducia dei suoi membri nella
teoria impersonale, consegnata dal marxismo ai rivoluzionari di ieri, di oggi e di domani
nel programma storico del partito di classe.
Nei suoi studi economici, Marx era già pervenuto alla conclusione deterministica
che la produzione capitalistica reca nel suo grembo il germe della società comunista, il
cui parto avverrà nel dolore: "Se nella società così com'è non trovassimo già nascoste le
36
Evocando i suoi studi economici dei Grundrisse e del Capitale, Marx scriveva
a Lassalle il 12.11.1858: "Questi lavori difendono per la prima volta una
concezione fondamentale dei rapporti sociali da un punto di vista scientifico. E'
dunque mio dovere di fronte al Partito che la cosa non venga guastata da quella
maniera di scrivere pesante e legnosa che è tipica di un fegato malato".
37
Cf. Fr. Engels a K. Kautsky, 18.9.1883.
condizioni materiali di produzione e i rapporti di distribuzione della società senza classi,
tutti i tentativi di farla saltare sarebbero donchisciotteschi" 38.
Queste conclusioni rivoluzionarie del metodo dialettico spiegano, agli occhi di
Marx, il terrore dei borghesi di fronte all'inevitabile fine della loro forma di società e
alla sua abolizione ad opera della società comunista.
"Nella sua forma mistificata, la dialettica divenne una moda in Germania perché
sembrava glorificare le condizioni esistenti. Nella sua forma razionale, per le classi
dirigenti e i loro corifei dottrinari, essa è scandalo ed abominio perché
contemporaneamente alla comprensione di ciò che è dà anche la comprensione di ciò
che nega la realtà esistente, la quale include in sé la necessaria rovina delle condizioni
presenti; perché afferrando le cose nel flusso del movimento ne scorge il lato effimero;
perché non si lascia impressionare da nulla, ed è per essenza critica e rivoluzionaria" 39.
E Marx prosegue: "Poiché una tale critica rappresenta una classe, può solo
rappresentare quella classe la cui missione storica è il sovvertimento del modo di
produzione capitalistico e l'abolizione di tutte le classi: il proletariato".
Insomma, il proletariato non crea solo gli oggetti materiali; nella produzione esso
crea il plusvalore e dunque la sovraproduzione e le crisi, mentre nelle lotte politiche
elabora gli elementi intellettuali della propria emancipazione attraverso una dura lotta
teorica. Il "marxismo" non è che una sintesi al più alto livello di questa attività teorica di
classe.
Solo il proletariato comunista, in quanto "classe della società borghese che non
appartiene alla società borghese, dal momento che è la dissoluzione di tutte le classi" 40,
può fare la sintesi di tutte le società di classe successive, poiché rappresenta già la
"decomposizione dell'attuale società". E' il proletariato che ci permette di partire
dall'unità superiore per discendere verso forme inferiori, meno sviluppate. La stessa
società capitalistica, esasperando le contraddizioni, suscita ad uno dei suoi poli
l'elemento della società superiore che dissolve i rapporti borghesi. Così la crescente
socializzazione della produzione entra in flagrante contraddizione col carattere privato
dell'appropriazione e della distribuzione determinando gravi crisi che finiranno per
provocare una rivoluzione politica vittoriosa.
Le contraddizioni immanenti in ciascuna forma, producono da un lato gli elementi
della loro negazione e dissoluzione, dall'altro gli elementi della società superiore che ne
prenderà il posto. Il filo del processo di sviluppo dovrà apparire molto chiaramente in
questa successione dialettica. Non si tratta di sfoggiare conoscenze e fatti, ma di
mostrare chiaramente il meccanismo della dinamica economica e sociale. Come
abbiamo detto, in questa dinamica non si ha progressione, ma al contrario dissoluzione
sempre maggiore dei rapporti economici e sociali che procede di pari passo con lo
sviluppo delle forze produttive. Ne costituisce un esempio la crescente divisione del
lavoro. Ciò è inevitabile finché dura la preistoria dell'umanità (in altre parole finché
continua e va sempre più a fondo l'alienazione umana), da cui si uscirà con un balzo
rivoluzionario. L'originaria comunità, nata unitaria e collettiva, del comunismo
primitivo si dissolve a misura che si sviluppano nella produzione e nella società i
rapporti di classe, la proprietà privata, il denaro e la divisione del lavoro. Il capitale
rappresenta il punto culminante dello sperpero e della decomposizione, ma nel suo seno
38
Cf. Marx, Grundrisse, Torino 1976, Il capitolo del denaro, p. 91.
39
Cf. Marx, Poscritto alla seconda edizione tedesca del Capitale I.
40
Cf. Marx, Introduzione a Per la critica della filosofia del Diritto di Hegel,
1844.
si forma la base di una unità superiore: "La contraddizione tra il potere sociale generale
a cui il capitale tende e il potere privato dei capitalisti individuali su queste condizioni
sociali di produzione diviene sempre più stridente e implica la dissoluzione di questo
rapporto e comprende nello stesso tempo la trasformazione di queste condizioni di
produzione in condizioni di produzione sociale, universale e comunitaria" 41.
"Quali gli uomini escono alle origini dal regno animale - nel senso stretto del
termine — tali fanno il loro ingresso nella storia: ancora mezzo animali, rozzi, indifesi
contro le forze della natura, ancora ignari delle proprie; poveri come gli ammali e
appena più produttivi di essi" 42.
Il comunismo primitivo si è sviluppato con lo schiudersi umano dalla natura
immediata, per cui i suoi rapporti sociali hanno assunto una forma naturale
corrispondente. Donde l'estrema semplicità e trasparenza del rapporti tra uomo e natura.
L'UOMO non solo è strettamente legato all'ambiente naturale, ma è egli stesso parte
della natura, alla quale appartiene con la sua carne, col suo sangue, col suo cervello. E'
egli stesso una forza naturale, un insieme di sostanze naturali trasformate in organismo
umano (come vuole anche il libro della "Genesi").
Nel comunismo, in cui la produzione di valori d'uso è il fine economico, e la
riproduzione dell'individuo fa tutt'uno con la riproduzione della comunità,
l'appropriazione del presupposto naturale, la terra (come strumento originario di lavoro,
insieme laboratorio e serbatoio di materie prime), non è il risultato ma il presupposto del
lavoro. Si avrà la misura del tragitto percorso dall'umanità nella sua complessa
evoluzione, osservando che oggi le condizioni preliminari della produzione determinanti
il modo di accesso degli individui al processo di lavoro e modellanti i loro rapporti
sociali hanno cessato da tempo di essere naturali, per divenire meramente economiche e
storiche. Il presupposto della produzione — il capitale — è ormai risultato del processo
di produzione stesso (certo in forme alienate): "Una volta che il modo di produzione
capitalista è saldamente instaurato, il grado in cui esso si è assoggettato le condizioni di
produzione si manifesta nella trasformazione del capitale in proprietà immobiliare. Così
il capitale fissa la sua sede nella terra stessa. Ormai, i saldi presupposti forniti dalla
natura alla proprietà fondiaria derivano dalla sola industria" 43.
41
Cf. Marx, Grundrisse, cit, Introduzione. Il metodo dell'economia politica, p.
32.
42
Cf. Marx, II Capitale III, sez. III, cap. 15, Sviluppo delle contraddizioni
intrinseche della legge.
43
Cf. Engels, Anti-Dühring, IV, Teoria della violenza (fine).
Nel comunismo primitivo l'individuo non si comporta nei riguardi delle condizioni
oggettive del lavoro diversamente che nei confronti delle proprie condizioni (naturali) di
esistenza: le une come le altre sono la sua natura inorganica.
La prima condizione storica del lavoro non si presenta perciò come prodotto del
lavoro, ma sotto forma del suo oggetto, la natura stessa. Abbiamo quindi, da una parte,
l'individuo vivente — o meglio il blocco umano — e dall'altra la terra, condizione
oggettiva della sua riproduzione. Non dobbiamo perciò considerare né l'uomo nella sua
nudità di lavoratore o di forza lavoro, né i rapporti da lavoratore a lavoratore o da
lavoratore a non-lavoratore (capitalista o proprietario fondiario, ecc.); bensì soltanto
l'uomo e il suo lavoro da una parte, la natura e le sue materie dall'altra. Quindi anziché i
rapporti tra lavoratore e non-lavoratore occorre considerare i rapporti dell'individuo in
quanto membro della comunità naturale — ed è ciò che faremo nel capitolo seguente.
Se li separiamo dal rapporto con la natura è solo per ragioni di metodo di esposizione,
perché all'origine essi formano un tutt'uno.
L'uomo, che si definisce attraverso il lavoro distinguendosi in ciò dall'animale, trova
nella proprietà della terra 44 un modo di esistenza oggettivo, che non è il risultato, ma il
presupposto della sua attività, allo stesso titolo della sua pelle e dei suoi organi di senso
(e, se è vero che riproduce questi ultimi e li sviluppa nel processo vitale del lavoro in
senso lato, essi restano nondimeno presupposti).
In origine, la proprietà (appropriazione) è MOBILE, poiché l'uomo si sposta e si
impadronisce anzitutto (attraverso il lavoro di appropriazione diretta della raccolta,
pesca e caccia, ecc.) dei prodotti finiti della terra, tra i quali figurano gli animali e
particolarmente gli animali addomesticabili. Caccia, pesca e raccolta trovano naturale
prolungamento nella custodia e nell'addomesticamento delle greggi che segnano il
passaggio all’economia di riproduzione, pur implicando sempre la migrazione.
Alle tribù nomadi la terra, come tutti gli altri elementi naturali, si presenta illimitata
(per esempio nelle steppe dell'Altopiano asiatico). Essa alimenta il bestiame, di cui a
loro volta si nutrono i popoli pastori, sebbene, a questo stadio, essi non fissino mai
l'oggetto della loro proprietà come proprietà privata. Questo rapporto originario si
rinviene ad esempio nei territori di caccia degli Indiani d'America: la tribù considera
una certa zona come sua riserva di caccia e in caso di necessità la difende con la forza
contro altre tribù o cerca di allontanarle dal territorio che pretende di occupare. I
rapporti del comunismo primitivo si limitano quindi all'interno di una data comunità,
senza estendersi a tutta l'umanità o alle relazioni con le altre comunità, poiché ciascuna
comunità vive più o meno isolatamente, in compartimenti stagni.
Nelle tribù nomadi di pastori la comunità è sempre una società migratrice, carovana,
orda, e in essa le forme di dominio e di subordinazione si svilupperanno più tardi in
funzione delle condizioni di vita e di lavoro. Ad essere appropriato e riprodotto è solo il
gregge, non la terra, la quale viene utilizzata in comune temporaneamente ad ogni tappa
45
.
44
Cf. Marx, Grundrisse, Capitolo del Capitale, quaderno VII, Ed. Einaudi,
Torino 1976, p. 759.
45
Marx non utilizza qui il termine proprietà in senso strettamente giuridico, ma
nel senso generale di appropriazione della natura da parte dell'uomo sulla base e
per mezzo di una forma sociale determinata. Sarebbe ridicolo partire da questa
proprietà (appropriazione) collettiva per presentare la proprietà privata come
qualcosa di eterno. Sotto il termine di proprietà bisogna intendere qui un rapporto
determinato di produzione, un modo di accesso al processo di lavoro e alla vita
sociale, e non un diritto sulle cose e sugli uomini. Poiché l'essenziale è l'economia
All'inizio è sufficiente infatti considerare la proprietà originaria della terra, giacché
presso i popoli pastori la proprietà dei prodotti naturali della terra — ad esempio i
montoni — si confonde a lungo con la proprietà dei pascoli percorsi. Nella proprietà
della terra è inclusa in generale quella dei suoi prodotti organici (p. 470). Insomma, i
prodotti organici non sono che semplici appendici della terra, parti costituenti della
proprietà della terra, che è fonte di tutti i prodotti. La stessa proprietà non è affatto
valore di scambio, ma semplice valore d'uso: solo attraverso la caccia una regione
diviene territorio di caccia delle tribù; solo attraverso l'agricoltura la terra diviene il
prolungamento del corpo dell'individuo (p. 473).
Questo secondo presupposto dell'uomo non è separato dal primo che per ragioni
metodologiche di esposizione logica, poiché l'uomo fa ancora parte in modo del tutto
naturale della comunità tribale che l'ha generato: mediante il rapporto di queste
comunità con la terra come suo corpo inorganico sorge il rapporto dell'uomo con la terra
come condizione primordiale esterna della produzione — poiché la terra è
contemporaneamente materia prima, strumento e frutto, cioè, nel linguaggio moderno
dell'economia politica, è insieme oggetto del lavoro, mezzo di lavoro e prodotto (di
lavoro). L'appropriazione o la proprietà non è allora nient'altro che il comportamento nei
confronti delle condizioni della produzione, di modo che si presuppone l'appartenenza a
una comunità di sangue in cui l'individuo acquisisce una esistenza oggettivo-soggettiva.
Le condizioni primordiali della produzione si presentano all'uomo come premesse
naturali, condizioni naturali di esistenza, come il suo corpo fisico, benché sia egli stesso
a riprodurlo e svilupparlo 46. Non sono poste da lui come condizioni di se stesso. Come
dice Engels, l'uomo è allora completamente indifeso di fronte alla natura, per cui al
livello sovrastrutturale — concetto peraltro non del tutto giustificato qui, giacché si è
sviluppato solo con la società di classe — egli divinizza o feticizza queste potenze della
natura superiori all'uomo.
Queste condizioni naturali di esistenza alle quali egli si riferisce dunque
praticamente come al corpo che gli appartiene, hanno una duplice natura: soggettiva e
oggettiva. Egli trova di fronte a sé una famiglia, una tribù, ecc. le quali poi,
mescolandosi e opponendosi ad altre, assumono storicamente configurazioni diverse; e
in quanto membro di una tale comunità, egli si riferisce a una determinata natura
(terreno di caccia, di raccolta o di pascolo) come esistenza inorganica di sé stesso e
46
Cf. Marx, Gundrisse, Ed. cit, p. 471.
Poiché moltissimi passi del testo sono tratti dal capitolo dei Grundrisse: Forme
che precedono la produzione capitalistica, per non moltiplicare le note e per non
spezzare il filo dell'esposizione, abbiamo tolto le virgolette e indicato alla fine dei
brani semplicemente il numero della pagina dell'edizione italiana citata. Abbiamo
sempre confrontato la traduzione italiana dei brani di Marx-Engels con l'originale
tedesco per migliorarne il contenuto nel senso di una chiarezza sempre maggiore.
Nondimeno rinviamo il lettore alle edizioni italiane esistenti per approfondire gli
argomenti trattati.
condizione della sua produzione e riproduzione (p. 468). Egli si appropria una parte del
prodotto collettivo in quanto membro della comunità — e non in quanto forza lavoro
(pura merce o valore di scambio salariato del capitale).
In altri termini, per poter vivere e produrre, l'individuo deve appartenere a una
comunità naturale. Questa appartenenza è già la condizione del linguaggio, legame
"intellettuale" o soggettivo e mezzo di comunicazione tra i componenti di una tribù o
una confederazione di tribù. Un individuo isolato non potrebbe essere proprietario della
terra così come non potrebbe parlare: è chiaro che egli si riferisce alla sua lingua come
alla propria in quanto membro di una comunità umana. Una lingua come prodotto di un
individuo è un assurdo; essa è tanto il prodotto di una comunità quanto è l'esistenza
stessa della comunità, il suo modo di espressione verbale (p. 469). La lingua si sviluppa
in seguito come una caratteristica essenziale della nazionalità, poiché è fin dall'inizio,
più che una creazione dello "Spirito" o un semplice mezzo di comunicazione
intellettuale, un RAPPORTO o MEZZO DI PRODUZIONE 47.
E' quanto risulta chiaramente dalla genesi del linguaggio. Come tutti gli animali, gli
uomini cominciano col mangiare, bere, ecc., ma già attraverso queste attività essi
entrano in un rapporto determinato con la natura: sono attivi, dunque lavorano; si
appropriano alcuni oggetti del mondo esterno soddisfacendo in tal modo i loro bisogni
— in altri termini, essi cominciano a produrre. Ripetendosi, questo processo è trattenuto
nel cervello, dal momento che ora l'uomo sa che quel dato oggetto soddisfa quel dato
bisogno "umano".
Gli uomini apprendono così, a partire dal livello ancora quasi "animale" (termine
per noi tutt'altro che dispiacevole), a distinguere "teoricamente" 48 tra prodotti utili e
prodotti nocivi. A un dato grado di sviluppo, quando i bisogni e l'azione dell'uomo sulla
natura si sono moltiplicati, egli designa con parole classi intere di oggetti che ha distinto
— e dunque caratterizzato — basandosi sull'esperienza storica acquisita mediante la
relazione con gli oggetti del mondo esterno. Questo processo si compie
necessariamente, perché nel processo di produzione, che equivale a questo stadio al
processo di appropriazione degli oggetti, gli uomini entrano in rapporti stabili di lavoro
in seno alla loro comunità e, attraverso essa, con oggetti determinati. Ben presto, nella
47
Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, Marx precisa la sua
concezione che fa di lui il portavoce della classe del lavoro: "L'educazione, cioè la
formazione dei cinque sensi dell'uomo, è il lavoro di tutta la storia universale fino
a oggi" (III manoscritto, Proprietà privata e comunismo).
48
I fattori di produzione, quali la lingua, la famiglia consanguinea (orda, tribù,
federazione di tribù, nazionalità), ecc. si distaccano via via dalla base economica
per diventare dei rapporti politici (ad esempio la nazionalità che evolve in
nazione-Stato all'epoca della rivoluzione borghese che compie l'unità nazionale) o
ideologici (ad esempio la nozione di razza che diviene sempre più sovrastrutturale
con il razzismo, o l'antisemitismo) con il mescolarsi delle razze e la
preponderanza dei fattori "economici" e politici.
Cf. in Il Programma Comunista n. 16-20/1953, Fattori di razza e nazione nella
teoria marxista, dove si troverà una brillante critica della concezione stalinista
della lingua eretta in sovrastruttura sclerotizzata "eterna" di un popolo ... per
giustificare il mantenimento della lingua russa della società di classe nella pretesa
socialista Russia. Infatti, la lingua evolve e si trasforma a ogni nuovo modo di
produzione, per cui si può affermare che con un modo universale di scambio e
produzione, il comunismo creerà un'unica lingua, ricca di tutta l'evoluzione
umana, il che nulla ha a che vedere con l"'utopistico" esperanto.
ricerca di questi oggetti, entreranno anche in conflitto con altre comunità. La
qualificazione di questi oggetti con parole — attraverso il linguaggio — non è infatti
nient'altro che la rappresentazione concettuale di quanto una attività ripetuta fa o
cambia, la rappresentazione di certi oggetti esterni servendo al soddisfacimento dei
bisogni degli uomini, i quali hanno perciò allacciato determinati rapporti sociali,
naturali nella società del comunismo primitivo. In questo senso, il linguaggio è una
forza produttiva essenziale, come la comunità stessa, di cui è il modo di espressione
intellettuale.
Donde la sintesi di Marx: La comunità tribale naturale, o, se si vuole, l'orda
(comunità di sangue, di lingua, di costumi, ecc.), è il primo presupposto
dell'appropriazione delle condizioni oggettive di esistenza e dell'attività riproduttiva e
oggettiva (attività di pastori, cacciatori, coltivatori, ecc.) (p. 452). La comunità tribale si
presenta così non come il risultato, ma come il PRESUPPOSTO dell'appropriazione e
dello sfruttamento in comune del suolo, che sono dapprima temporanei, finché gli
uomini non si stabiliscono in un punto del globo per vivere della riproduzione dei
vegetali (agricoltura) - ciò che presuppone un livello assai più alto delle forze produttive
e della tecnica.
In una poderosa sintesi dell'arco storico percorso dall'umanità, Marx spiega che il
capitale si sottomette alla fine tutte le condizioni della produzione, creando anche le
sovrastrutture politiche e ideologiche. Sarà possibile solo sulla base di tali rapporti,
prodotti ancora sotto l'imperio della necessità dagli stessi uomini, di instaurare una
società in cui l'uomo dominerà la natura e creerà lui stesso, secondo i propri bisogni, i
rapporti con gli altri uomini e con la natura. In questo senso, il capitalismo è la base
(alienata) del socialismo, in quanto produzione dell'uomo e non prodotto della natura: I
presupposti che appaiono in origine (alla nascita del capitale) come le condizioni del
divenire capitalistico — e perciò non potevano ancora risultare dall'azione del capitale
in quanto tale -, in seguito si presentano come risultati della sua propria realizzazione,
come una realtà creata da lui stesso. Non sono più le condizioni della sua genesi, ma il
risultato della sua esistenza presente (p. 437).
Quando la tribù infine si fissa, la stessa comunità primitiva subirà modificazioni più
o meno profonde a seconda delle condizioni ambientali (clima, situazione geografica,
costituzione del suolo, ecc.) e delle sue attitudini naturali, come la razza (p. 452).
Decisiva è ancora sempre la natura. Nell'Origine della famiglia 49 Engels spiega che,
contrariamente a quanto avviene allorché gli strumenti e le macchine si sono sviluppati,
la combinazione dei fattori naturali ambientali e produttivi stimolò lo sviluppo di
attitudini razziali agli albori del divenire umano, quando il corpo dell'uomo e le sue
caratteristiche biologiche erano ancora importanti fattori di produzione. E' all'attività
49
Fin dall'inizio l'uomo ha, secondo l'espressione di Marx, una esistenza
insieme "oggettivo-soggettiva", ossia una attività contemporaneamente pratica e
intellettuale, di cui si trova anche un inizio più o meno sviluppato tra alcuni
animali. Solo con lo sviluppo delle società di classe, in cui le attività e i godimenti
"superiori" o nobili sono appropriati da una classe dominante ("elite"), si opererà
la distinzione tra attività fisica e intellettuale e nasceranno dunque le filosofie
mistificatrici che oppongono lo spirito alla materia, il corpo all'anima, l'essenza
all'esistenza. Nel comunismo superiore, l'uomo ritroverà il legame tra lavoro
manuale e intellettuale, teoria e prassi, con l'abolizione della divisione del lavoro
che origina non solo le diverse attività professionali "nobili" o "vili", ma anche
l'opposizione tra classi e quindi le contraddizioni ideologiche.
pastorale, dice Engels, cioè all'abbondanza della carne e del latte nell'alimentazione
degli Ariani e dei Semiti - e particolarmente al loro effetto favorevole sullo sviluppo dei
bambini - che si deve lo sviluppo superiore di queste due razze.
Nel comunismo primitivo, la produzione include ancora direttamente la
riproduzione, la quale è innanzi tutto biologica. Infatti l'uomo produce e riproduce
soprattutto se stesso. L'aumento della popolazione (parte integrante della produzione)
rappresenta l'elemento-base della società. Di qui l'importanza dei legami consanguinei
che rappresentano i rapporti sociali fondamentali. L'unità originaria tra la comunità e la
proprietà sulla natura ambiente (o rapporto con le condizioni oggettive della produzione
come dato naturale) determina i rapporti del modo di produzione del comunismo
primitivo. La comunità stessa rappresenta la prima grande forza produttiva; secondo i
determinati tipi delle condizioni di produzione (ad esempio allevamento del bestiame,
agricoltura) si sviluppano un modo specifico di produzione e particolari forze
produttive, sia oggettive che soggettive (facoltà degli individui) (p. 475).
In questo stadio, contrariamente a ciò che avverrà nel comunismo superiore, in cui
tutti gli uomini saranno compresi in una sola e identica società, l'umanità è spezzettata
in tante piccole comunità (orde, clan, tribù, confederazioni di tribù) autonome. Questa
ristrettezza delle società comuniste primitive è legata a cause naturali: la popolazione è
scarsa e la terra poco popolata. Le tribù sono separate da ostacoli naturali: montagne,
deserti, corsi d'acqua, fasce boschive o, come in seguito le chiameranno i Germani,
foreste di protezione. Gli stessi urti fra gruppi umani, come abbiamo visto, hanno cause
naturali, quale può essere ad esempio un'improvvisa pressione demografica, dato che la
bassa produttività o l'unilaterale produzione non sono in grado di far fronte ad un
accrescimento troppo grande della popolazione.
Uno dei mezzi per sviluppare superiori forze produttive — tra cui l'aumento della
popolazione — è la connessione di più comunità naturali, di modo che individui più
numerosi possano, cooperando nel lavoro, opporre alla natura una maggior forza di
resistenza e sviluppare produzioni più differenziate. Tale volontaria unione consentì di
evitare la dissoluzione e la distruzione delle comunità vinte in guerra.
Ovunque era possibile, le piccole comunità estendevano ad altre comunità i loro
rapporti interni, sulla base della comunità razziale più o meno grande. Lo sviluppo
dell'orda primitiva evolve verso la formazione di "famiglie" più grandi: la famiglia
allargata al clan e alla tribù, la combinazione di tribù attraverso matrimoni reciproci, la
confederazione di tribù. Tra le orde viventi di caccia o di raccolta si manifestò molto
presto, fin dall'inizio dell'età paleolitica, la tendenza ad allacciare relazioni di vicinanza
più o meno durature: di amicizia o di associazione per intraprendere determinati
compiti, quali la caccia contro la grossa selvaggina o la resistenza agli invasori. Questi
legami erano tanto più saldi in quanto basati su una consaguineità più o meno stretta. Un
ruolo fondamentale in queste alleanze che svilupparono i gruppi umani l'ebbe,
l’esogamia, ossia il divieto di prendere come consorte sessuale un membro che non
fosse di un gruppo umano esterno: nessun membro ha il diritto di sposarsi nell'ambito
della gens. E' questa la regola fondamentale della gens, il legame che la mantiene unita;
essa è l'espressione negativa della molto positiva parentela consanguinea che sola fa che
gli individui inglobati divengano una comunità gentilizia 50.
50
In questo lavoro, effettuato sulla base dell'opera di Morgan, La società
antica, Engels ha stabilito nelle prime pagine uno schema descrittivo delle fasi
dell'evoluzione dell'umanità, classificata secondo i prodotti creati in ciascun
stadio: età della pietra, del bronzo, ecc. Ciò che distingue la successione delle
Il divieto di accoppiarsi all'interno della propria comunità contribuì dunque a
formare unità sociali più grandi. Occorre notare a questo punto la distinzione tra clan o
gens primitiva dall'ulteriore gens patriarcale che fu una suddivisione della tribù e del
popolo del mondo antico.
Il clan è sempre esogamo. Esso testimonia che i vincoli di parentela contribuirono a
consolidare i legami sia all'interno che all'esterno dei raggruppamenti umani. La
parentela era in origine determinata - né poteva essere diversamente nel sistema
dell'esogamia — per linea materna. Siccome la comunità di sangue era il solo
presupposto fondamentale della produzione, si attribuì alle donne, che hanno una
funzione essenziale nella riproduzione umana, il primo posto nel comunismo primitivo,
il cui rapporto sociale fu dunque quello del matriarcato. Il clan formava una unità di
produzione basata sulla parentela e caratterizzata dall'aiuto reciproco che tutti i suoi
membri si prestavano. Esso contava mediamente 100-150 individui, ma poteva arrivare
ad abbracciarne parecchie centinaia.
La tribù si costituì per l'associazione di due clan amici o imparentati. Ogni clan
formava dunque la metà di una tribù (fratria, moiety). Le due parti rimanevano
esogame. Il processo era identico nel caso di associazione di più clan. Poiché
naturalmente la popolazione aumentava nel processo di riproduzione umana all'interno
del clan e della tribù, nuovi gruppi si staccavano di tanto in tanto dall'antica comunità
formando nuove tribù, le quali si stabilivano altrove per costituirvi una nuova unità di
produzione. Il consiglio della tribù, formato dai rappresentanti o capi delle tribù,
regolava, nelle assemblee, la sorte delle tribù e soprattutto i loro rapporti reciproci.
Il più alto processo di integrazione a cui il comunismo primitivo poté condurre lo
sviluppo sociale fu la formazione di popoli che servirono di base alle nazionalità
ulteriori. Tuttavia questo processo non poteva non allentare i legami angusti, ma sicuri e
stabili, della consanguineità di parentela. Crescente importanza acquistarono allora i
fattori della comunità di lingua e di costume. Le nazionalità non prenderanno forma che
molto più tardi e si dissolveranno nello Stato-nazione al momento della rivoluzione
politica borghese.
Ma la base delle nazionalità fu un'eredità trasmessa all'umanità dal comunismo
primitivo al suo apogeo di sviluppo. Furono i Germani che, in Europa, dopo i quattro
secoli di decadenza dell'Impero romano, salvarono i germi di questa evoluzione futura:
per quanto questi 400 anni appaiano improduttivi, tuttavia essi lasciarono un prodotto
importante: le nazionalità moderne, ossia la nuova organizzazione e struttura
dell'Europa occidentale per la storia futura 51. Di più: se per lo meno in tre dei principali
paesi — Germania, Francia del Nord e Inghilterra —, essi salvarono un elemento della
forme di società in Marx, è la dinamica dei rapporti sociali che si sviluppano nella
produzione e determinano a ciascun stadio sia le strutture e i legami degli uomini
tra di loro e con la natura che i loro propri prodotti o strumenti. Nell'Ideologia
tedesca troviamo un primo schema fondato sulla forma (comunista, schiavista,
feudale, capitalista, ecc.) dei rapporti sociali. Lo stesso schema si ritrova con
qualche ritocco nella Miseria della Filosofia e nel Manifesto. Engels evoca infine
a più riprese il problema della successione delle Forme di produzione nel suo
Anti-Dühring. Questo schema sottintende, come abbiamo detto, tutta l'opera di
Marx-EngeIs, segnatamente l'economia.
51
Cf. Engels, cap. II, La famiglia, in l'Origine della famiglia, della proprietà
privata e dello Stato (titolo che già esprime una chiara progressione delle strutture
sociali).
genuina costituzione gentilizia, sotto forma della comunità della marca trasformandola
nello Stato feudale, e se in tal via diedero alla classe oppressa, ai contadini, pur sotto la
più crudele servitù medioevale, una coesione locale e uno strumento di resistenza che né
gli schiavi antichi ne i proletari moderni hanno avuto a portata di mano, a cosa si deve
ciò, se non alla loro barbarie, al loro sistema esclusivamente barbarico di colonizzazione
su base gentilizia?
Quando nuove tribù o nuovi popoli stabilivano altrove la loro sede, la comunità,
trovando nuove condizioni ambientali, adottava spesso nuovi metodi e persino nuove
tecniche di produzione, basate sull'economia di riproduzione degli animali e delle
piante, cioè l'agricoltura. Si sviluppava allora una base nuova, non più esclusivamente
determinata dai naturali vincoli di razza e di sangue — dalla "famiglia". Gli storici
constatano questa evoluzione nel cambiamento del nome delle tribù, dato ormai dal
luogo in cui esse vivono. Le tribù degli antichi stati sono infatti organizzate in due
modi: su base gentilizia o su base territoriale, le prime più antiche delle seconde che
finiscono col soppiantarle quasi dappertutto. La loro forma più rigida è il sistema delle
caste, in cui ogni casta è divisa dall'altra, senza reciprocità di matrimonio e secondo una
gerarchia molto accentuata; ciascuna esercita un mestiere esclusivo e immutabile. L'
organizzazione territoriale delle tribù si trasmetteva originariamente sulla distribuzione
del paese in distretti e villaggi (p. 459).
L'evoluzione, come si vede, passa impercettibilmente dalla forma di produzione
inferiore alla seguente, cosa senz'altro imbarazzante per chi vuole fissarla in una
definizione o categoria. Il marxismo segue semplicemente nella maniera più adeguata la
dinamica dei modi successivi di produzione e di società - e quanto a noi interessa è che
la teorizzazione rifletta esattamente il movimento della vita.
Ma restiamo nell'ambito del comunismo primitivo: il passaggio al sedentarismo
riveste enorme importanza per la comprensione della genesi della produzione nel senso
più stretto, quasi economico, del termine. All'origine la terra forniva e determinava
l’oggetto di lavoro, la materia prima il mezzo di lavoro, ed entrambi contribuivano,
combinati al lavoro umano, alla creazione del prodotto del lavoro. Va sottolineato che
la parentela naturale determinava soprattutto i rapporti di distribuzione e di produzione.
Saranno in seguito le condizioni ambientali ad operare quel passaggio fondamentale per
cui i mezzi di produzione determineranno in maniera diretta i rapporti sociali.
Lo sviluppo degli elementi costitutivi del processo di produzione corrisponde a una
crescita delle forze produttive e mina dunque dapprima i rapporti sociali esistenti per
poi rivoluzionarli e creare infine una forma di produzione superiore. Ma, prima di
considerarne i risultati, analizziamo ancora l'evoluzione nell'ambito dei rapporti sociali
del comunismo primitivo.
53
Cf. Engels, II Ruolo del lavoro nella trasformazione della scimmia in uomo,
studio redatto nel 1876 e pubblicato nella Neue Zeit del 1895-96. Ora in Marx-
EngeIs, Opere, vol XXV, Editori Riuniti, Roma 1974.
54
Da qui alla fine del capitolo, il testo corrisponde grosso modo alle prime
pagine della III sezione del Capitale I, La Produzione del plusvalore assoluto, in
cui Marx definisce le parti componenti il processo lavorativo.
senza l'azione dell'uomo, come oggetto generale del lavoro umano. Tutte le cose che il
lavoro stacca semplicemente dalla loro connessione immediata con la terra sono oggetti
di lavoro preesistenti in natura: così il pesce, che viene preso strappandolo al suo
elemento naturale, l'acqua; così il legname abbattuto nelle foreste; così la pietra
strappata a viva forza dalla roccia. L'oggetto di lavoro diviene materia grezza o
strumento primitivo — dice Marx — quando l'oggetto naturale di lavoro è già filtrato
dal lavoro, cioè quando ha già subito una modificazione tramite il lavoro.
Per impadronirsi degli alimenti già pronti in natura, frutti, ecc., il corpo o gli organi
del corpo servono come mezzo (strumento) di lavoro. Molto presto l'uomo prolungherà
il proprio corpo prima con oggetti già preesistenti in natura, i quali allora non sono più
oggetti di lavoro, ma mezzi di lavoro (utensili). Così gli oggetti naturali diventano
l'organo della sua attività, un organo che l'uomo aggiunge al proprio corpo. La terra,
come è la sua riserva di approvvigionamento alimentare, così è il suo primitivo arsenale
di mezzi di lavoro. Per esempio, gli fornisce la pietra di cui si serve per il lancio, per
levigare, macinare, pestare, tagliare ecc.
Impercettibilmente, grazie al lavoro umano, la terra diventa mezzo di lavoro. Il
lavoro, appena abbia raggiunto un certo grado di sviluppo, non può più operare senza il
concorso di prodotti già elaborati che servono da mezzi (strumenti) di lavoro. Nelle
caverne più antiche si sono trovati arnesi di pietra. Attraverso il lavoro l'uomo giunge
tuttavia ben presto a un'altra conquista: anziché andare alla ricerca di animali come
prodotti finiti della natura, egli li addomestica, li ammaestra, li riproduce e li migliora
mediante il lavoro. Egli ha già domato il fuoco, filtrandolo attraverso il lavoro, dal
momento che lo "riproduce" strofinando due pietre; e l'agricoltura nasce quando il
lavoro ha appreso a "filtrare" le piante, cioè a conservarle e a riprodurle. E' l'inizio di
quel che si chiama il processo di produzione, in cui i prodotti naturali verranno
trasformati o migliorati.
L'impiego e la creazione di mezzi di lavoro, sebbene si riscontrino, in germe, anche
presso alcune specie animali, caratterizzano tuttavia il meglio del processo di lavoro
specificamente umano: le vestigia degli antichi mezzi di lavoro hanno per lo studio delle
forme economiche delle società scomparse la stessa importanza che la struttura dei
reperti ossei ha per la conoscenza dell'organizzazione delle razze estinte. Come dice
Marx, non che cosa si produce, ma come e con quali mezzi di lavoro la si produce,
distingue un'epoca economica dall'altra. Gli strumenti o mezzi di lavoro sono non
soltanto i gradimetri dello sviluppo del lavoratore e delle forze produttive, ma il criterio
per definire i rapporti sociali nel cui ambito l'uomo lavora.
Nel capitolo del Capitale che abbiamo qui riportato nel contesto della genesi storica
dopo averne ripreso le definizioni fondamentali, Marx analizza il processo di
produzione scomponendolo nei suoi elementi costitutivi. Abbiamo perciò un saldo
elemento di comparazione delle forme di produzione successive (si veda lo schema
annesso).
Nel comunismo primitivo, queste forze produttive (forza lavoro, oggetto e mezzo di
lavoro) sono reciprocamente legate e dominate dalla natura che le determina in ogni
senso. A stabilire infatti il carattere dei rapporti sociali sono anzitutto la comunità
consanguinea e l'ambiente naturale. Perché i mezzi materiali di produzione pervengano
a condizionare i rapporti di tutta la società, occorrerà un lunghissimo e complesso
rivoluzionamento dei rapporti sociali e produttivi.
Nell'annesso schema sulle Forme di produzione successive, le prime colonne
riguardano le forze produttive. Esse danno una visione d'insieme dell'evoluzione che va
dal lavoro umano al mezzo di lavoro nella forma primaria del comunismo primitivo:
forza lavoro, oggetti e mezzi di lavoro ricevono la loro forma specifica dai presupposti
naturali e comunitari, determinando - conformemente alla concezione del materialismo
economico e storico di Marx - gli altri rapporti dell'edificio sociale, fino alle
sovrastrutture. Essi sono però legati, e sarà compito dello sviluppo ulteriore
differenziarli e dar loro un carattere sempre più autonomo, con la crescente divisione del
lavoro.
56
Marx, Il Capitate I, cap. XII, 4.
I legami naturali di sangue e di parentela che nel comunismo primitivo
rappresentano i rapporti sociali, possiedono una grande elasticità e molteplici capacità di
sviluppo. Ciò spiega la notevole facoltà di adattamento di questa forma primitiva a tutti
i dati climatici e fisici del mondo e la sua sopravvivenza nelle regioni più sfavorevoli
fino all'epoca moderna.
4. IL PRODOTTO DI LAVORO, di cui distinguiamo due facce essenziali che in
seguito si suddividono anch'esse. Non faremo qui alcuna distinzione tra la sua origine
naturale o sociale, dal momento che facciamo derivare questo prodotto dal processo
lavorativo e ne escludiamo per definizione le sostanze naturali non filtrate dal lavoro.
a) i prodotti immediati del lavoro, i frutti diretti del processo lavorativo, che
possono, o essere consumati dagli uomini, o servire come materia prima o come mezzo
di produzione (strumenti, utensili) per il processo di produzione o, meglio, di
riproduzione.
b) i prodotti sociali del lavoro che si sviluppano soltanto a poco a poco nel
comunismo primitivo per dar luogo — attraverso la combinazione sociale della forza
lavoro con l'oggetto e il mezzo di lavoro — al modo di distribuzione, ossia ai rapporti
sociali o alla divisione del lavoro, all'organizzazione sociale e alle sovrastrutture proprie
di ogni forma sociale.
Se nel comunismo primitivo gli uomini erano ancora ben lungi dal dominare la
natura, essi non erano però ancora dominati dalla propria produzione, come, malgrado il
"meraviglioso progresso" della tecnica, accade nel capitalismo.
Non appena il comunismo primitivo attinse uno sviluppo che diede slancio ai
fattori, ancora legati tra loro ma già specifici, del processo di produzione, il primo passo
per accrescere le forze produttive che dovevano dissolverlo era compiuto. Il primo
comunismo ha potuto conoscere sviluppi complessissimi, assai diversi l'uno dall'altro. I
mezzi di sussistenza potevano talvolta scarseggiare in un luogo e abbondare in un altro,
ma giammai potevano aversi rivolgimenti sociali non voluti, una rottura dei legami
comunitari, una divisione della gens e della tribù in classi antagoniste e in lotta tra loro.
La produzione evolveva certo entro limiti molto angusti, ma... i produttori erano padroni
del prodotto. Questo era l'immenso vantaggio della produzione barbarica, che andò
perduto con l'avvento della civiltà: riconquistarlo, ma sulla base del possente dominio,
ora raggiunto, della natura da parte dell'uomo, e sulla base della libera associazione oggi
possibile, sarà il compito delle generazioni future 57.
E Marx ribadisce la medesima idea di un ritorno dell'umanità ai rapporti comunitari
della società primitiva sulla base delle conquiste tecniche create dal lavoro dei proletari:
La migliore prova che lo sviluppo della comunità primitiva interessa la corrente storica
della nostra epoca, è la crisi fatale subita dalla produzione capitalistica nei paesi
d'Europa e d'America dove essa si è fatta, crisi che finirà con la sua eliminazione e col
ritorno della società moderna a una forma superiore del tipo più arcaico, in cui
produzione e appropriazione erano collettive 58.
Una cosa è comunque certa per Marx-EngeIs: le società della proprietà "privata non
possono che essere transitorie, dal momento che il loro principio è la crescente
57
La distinzione tra la terra, oggetto di lavoro, e il bestiame, mezzo di lavoro o
di produzione, riveste una fondamentale importanza sotto il capitalismo, poiché la
terra darà luogo alla rendita fondiaria, reddito dei proprietari fondiari, e il
bestiame al profitto, reddito dell'imprenditore capitalista, il fittavolo borghese.
58
Cf. Engels, l'Origine della famiglia ecc., cap. V, Genesi dello Stato ateniese.
Ed. dt p. 140.
dissoluzione dei rapporti sociali. Nessuna società può mantenere durevolmente ne il
dominio sulla propria produzione ne il controllo sugli effetti sociali del suo processo di
produzione se non sopprime lo scambio tra individui 59. Il confronto tra i rapporti sociali
della società primitiva e quelli delle società di classe va a tutto vantaggio della prima:
L'infantile mondo antico si presenta come un mondo superiore. E lo è effettivamente
ogni qualvolta si cerca una immagine compiuta, una forma e dei contorni ben definiti.
Esso è soddisfazione da un punto di vista limitato; mentre il mondo moderno lascia
insoddisfatti, o, se soddisfa, è triviale (p. 467).
La società del comunismo primitivo sviluppò due livelli della produzione con la
tecnologia corrispondente: si veda nello schema allegato la prima casella, colonna forma
primaria. Il dettaglio si trova nei Grundrisse e nella sezione III del Capitale I al
capitolo dal quale abbiamo tratto le definizioni degli elementi componenti il processo di
produzione. Engels ripercorre questo cammino all'inizio dell'Origine della famiglia,
nella sua classificazione dei periodi storici, rubrica degli Stadii preistorici della civiltà.
Il primo di questi livelli di produzione è quello dell' appropriazione diretta, ossia la
raccolta di frutti e radici, la cattura di selvaggina e pesci, mediante le quali l'uomo si
appropria i prodotti finiti della natura. Poi c'è il livello superiore della riproduzione,
sviluppatesi sulla base del precedente: dapprima si conservano accuratamente i prodotti
trovati già pronti in natura - fuoco, acqua, selvaggina, pesce - per quando se ne avrà
bisogno, quindi si cerca di riprodurli, per esempio con l'allevamento dopo
l'addomesticamento.
In questo secondo livello di economia riproduttiva delle piante e del bestiame
(l'agricoltura nel senso lato del termine ingloba anche la pesca e le miniere), l'uomo
stesso RIPRODUCE con la propria attività i prodotti di cui (ha bisogno. Se forme
superiori della economia di appropriazione diretta possono superare in certi casi limite
il rendimento dell'economia riproduttiva, è tuttavia indubbio che le forme del lavoro
riproduttivo nell'insieme sono, fondamentalmente, superiori ai diversi tipi di
appropriazione immediata, e ciò in ragione della capacità superiore delle forze
produttive messe in movimento.
60
Cf. Engels, l'Origine delia famiglia, ecc., cap. V, Genesi dello Stato ateniese.
Ed. cit., p. 141.
Le condizioni ambientali naturali gravano pesantemente sulle società primitive, il
cui basso livello tecnico non permette di sopperire alle carenze locali. Anche se può
sembrare paradossale, una natura troppo prodiga "tiene l'uomo per mano come si tiene
un bambino con le dande": non fa dello sviluppo una necessità imperiosa della natura. Il
comunismo primitivo si è dunque mantenuto in due tipi di regioni di carattere
diametralmente opposto:
1. nelle regioni tropicali, ove la natura esuberante evita all'uomo il ricorso all'abilità
e all'industriosità per vivere; 2. nelle regioni inospitali, ove i mezzi di lavoro non
favoriscono lo sviluppo delle forze produttive: nelle zone periferiche, nelle regioni
desolate e deserte, di palude, di montagna o nelle regioni glaciali.
Ad aumentare il numero delle regioni nelle quali lo sviluppo verso la forma
capitalista è stato bloccato a uno stadio inferiore della successione delle forme di
produzione hanno contribuito anche fattori sociali: la folle ricerca di materie prime e di
altre ricchezze a profitto dei paesi capitalistici avanzati non ha fatto che frenare
l'evoluzione sociale di paesi che avrebbero potuto altrimenti accedere più facilmente
allo sviluppo moderno, se i mezzi di produzione non si concentrassero incessantemente
e nella maniera più gigantesca nei paesi "avanzati" a causa delle leggi della
centralizzazione del capitale 61.
Non è affatto contraddittorio che una natura troppo generosa, che fornisce agli
uomini mezzi di sussistenza molteplici e facili da ottenere, eviti loro la fatica di
sviluppare mezzi di lavoro che accelerino la dinamica produttiva e sociale, e che le
regioni ingrate giungano allo stesso risultato per la semplice ragione che sono povere di
mezzi di lavoro ed esigono che l'elemento umano naturale si concentri al massimo per
compensare questa lacuna.
Per il sorgere effettivo .del capitalismo occorre una lunga evoluzione preliminare
dei rapporti sociali che possono evolvere solo sulla base di una crescita delle forze
produttive e dei mezzi di produzione: condizioni naturali favorevoli forniscono la
possibilità, ma mai la realtà del sopralavoro, ossia del profitto e del plusvalore. Non il
clima tropicale con la sua vegetazione lussureggiante, ma la zona temperata, è la
madrepatria del capitale. Non la fertilità assoluta del suolo, ma piuttosto la diversità
delle sue qualità chimiche, della sua composizione geologica, della sua configurazione
fisica e la varietà dei suoi prodotti naturali formano la base naturale della divisione del
lavoro e, col mutare delle condizioni naturali nel cui ambito l'uomo dimora, -lo
spronano a moltiplicare e a diversificare i suoi bisogni, le sue facoltà, i suoi mezzi e
modi di lavoro 62.
61
Cf. Marx, Grundrisse, Ed. Riuniti, Torino 1976, p. 20.
62
Per prolungare la sua esistenza, lo stesso capitalismo frena nella sua fase
senile lo sviluppo della produzione nei paesi non ancora sviluppati,
concentrandosi sempre di più nelle metropoli. Marx riteneva di conseguenza che,
in date, precise condizioni di vitalità e di ampiezza del comunismo primitivo, era
preferibile evitare ad alcuni paesi il passaggio attraverso l'inferno capitalista. E'
la questione che egli pone nei vari abbozzi della lettera a Vera Zasulic, e nel passo
della prefazione russa al Manifesto: "II problema che si pone è di sapere: l'obcina
russa, forma dell'arcaica proprietà comune del suolo, potrà, dal momento che è
già in gran parte scossa, passare direttamente (in collegamento con la rivoluzione
d'Europa occidentale che le fornirà i mezzi tecnici con aiuto fraterno da cui ogni
traccia mercantilistica sarà scomparsa) alla superiore forma comunista della
Marx prosegue spiegando: Le cattive condizioni idrauliche, impedendo i>
appropriazione dei frutti della terra per tutto l'anno, spinsero allo sviluppo della forma
secondaria nella sua variante asiatica, la più antica e la più ampia, con il bisogno di
irrigazione che provocò un rivoluzionamento dei rapporti sociali primitivi.
Le condizioni naturali che determinano la grandezza relativa del lavoro necessario
alla vita, e dunque anche il sovraprodotto, trovano degli ostacoli nel modo di
produzione già esistente. Ogni ulteriore progresso delle forze produttive può quindi
essere raggiunto solo attraverso un mutamento dei rapporti sociali, e questo provoca una
prima scissione tra le due condizioni preliminari della produzione con un ribaltamento
del loro peso rispettivo. L'umanità entra nella storia, e la produzione umana trova nello
scambio mercantile la leva per una produzione allargata e un progresso universale.
Produzione e distribuzione
Nel corso dell'umanità, il periodo più lungo è quello occupato dalle società
comuniste primitive, grazie alla loro straordinaria stabilità, indice non di
sclerotizzazione e immobilità, ma al contrario di estrema vitalità e plasticità 64. Proprio
in questo periodo si sono infatti operate le trasformazioni più importanti dell'umanità.
Come dimostra Morgan nella Società antica (cui si riallacciano pienamente Marx ed
Engels), è occorsa più ingegnosità per fare le prime scoperte fondamentali — ad
esempio la ruota e il mulino — che per realizzare le sofisticate invenzioni della moderna
tecnica.
L'inesauribile dinamismo delle strutture organiche del comunismo primitivo implica
la possibilità reale di molteplici e radicali mutamenti delle sue formazioni. Teniamo
63
Cf. Marx, Il Capitale I, sez. V, cap. XIV, Plusvalore assoluto e relativo. Ed.
Utet, Torino 1974, p. 663.
64
Cf. Marx, Il Capitale III, sez. VII, cap. 51, Rapporti di distribuzione e rapporti di
produzione. Da notare che in questo passo Marx colloca la società Inca nel comunismo
primitivo e non, come certi autori, nella forma asiatica, col pretesto dei suoi rapporti sociali
elaborati
presente tre evoluzioni essenzialmente differenti: 1. il passaggio precoce del comunismo
primitivo alla forma secondaria di produzione; 2. l'evoluzione più o meno rapida verso
la forma più alta del comunismo primitivo; 3. il passaggio allo stadio secondario,
terziario, e anche quaternario del comunismo primitivo stesso.
Analizzeremo ora la forma più compiuta raggiunta dal comunismo primitivo, quello
dell'Impero inca, che occupava quasi tutta la costa occidentale dell'America del Sud,
estendendosi dall'Ecuador, Perù, Bolivia, fino al Cile del Sud. Questo impero fu
distrutto nel fuoco e nel sangue dai conquistatori spagnoli tra la fine del XV e i primi
decenni del XVI secolo.
Nonostante le affermazioni di Marx sull'indubbio carattere comunista della società
inca del Perù, questa viene da alcuni commentatori collocata tra le prime società di
classe. L'ideologia borghese fa loro scorgere i rapporti di classe ovunque, persino nella
lotta per la vita degli animali, in cui Darwin ravvisa la legge borghese della
concorrenza. Solo l'integrale concezione del marxismo permette di non deformare i
rapporti del passato col proiettarvi le moderne concezioni, che diffamano le società
primitive del comunismo criticandole attraverso l'ottica borghese.
Wittfogel, il teorico della terza Internazionale per le questioni asiatiche, pretendeva
che la società inca appartenesse — come le società dell'Egitto e di Babilonia - alla
forma di produzione ASIATICA semplice, che egli distingueva dalla sua forma
sviluppata, diffusa nell'India e in Cina all'epoca dell'incursione dei colonialisti. Questa
teorizzazione ebbe un ritorno di fiamma quando Wittfogel, rotti i ponti col comunismo,
si mise al servizio dell'imperialismo americano e propagò i suoi lavori sul dispotismo
asiatico. Alcuni suoi lavori del periodo rivoluzionario restano nondimeno notevoli,
soprattutto per la copia di dettagli sulle condizioni fisiche che hanno determinato la
produzione delle società antiche, sebbene Wittfogel difetti un po' di dialettica per
collegare queste condizioni fisiche con i rapporti sociali e storici quali li sottolinea Marx
ad esempio nei Grundrisse (che Wittfogel all'epoca non conosceva ancora).
L'impero del comunismo primitivo del Perù continuava dunque a sussistere quando
la forma asiatica si era già sviluppata da millenni nel Medio Oriente mediterraneo,
nell'antico Egitto, nella Caldea, a Babilonia, ecc., dove secondo Engels nacquero i
rapporti mercantili che avrebbero condotto allo sviluppo delle società di classe: la legge
mercantile del valore di Marx abbraccia dunque un periodo che dall'inizio dello
scambio, che trasforma i prodotti in merce, arriva fino al XV secolo della nostra era.
Orbene, lo scambio di merci risale ad un'epoca preistorica che ci riporta in Egitto e
Babilonia rispettivamente a 3.500 (forse 5.000) e 4.000 (forse 6.000) anni prima della
nostra era 65.
Questa straordinaria ricchezza dello sviluppo umano implica un intrecciarsi di
forme originali diverse e persino contraddittorie: mentre la forma inca rappresentava il
comunismo primitivo, l'Egitto, Babilonia, ecc., rappresentavano l'inizio dell'evoluzione
verso la legge sviluppata del valore del capitalismo, che apparirà all'inizio del XV
secolo. Chiedersi se questi pionieri della legge del valore siano più degni di
ammirazione di quelli che hanno spinto la forma arcaica al suo massimo sviluppo,
equivale a confessare di non aver compreso nulla del nostro tema, che consiste proprio
65
Cf. la dimostrazione più dettagliata della capacità vitale del comunismo primitivo in
confronto alle ulteriori forme di produzione sempre più antagonistiche, nel volume di prossima
pubblicazione: Schieramento attuale delle forze in urto, cap. Campo di forze e periodizzazione.
Ed. 19/75.
nel distinguere le caratteristiche essenziali di ciascun modo di produzione e non nel
confondere le forme sociali dell'Impero inca con quelle dell'Egitto e di Babilonia.
L'errore di Wittfogel è tuttavia ancora meno grave di quello degli stalinisti, i quali
nel corso dell'ultima carneficina imperialista si sono alleati con la democrazia
occidentale e vedono ipocritamente il diavolo del totalitarismo ovunque non regni il
liberalismo. Per poter affermare che l'impero inca era uno Stato schiavista costoro
hanno aggiunto una nota al libro I del Capitale di Marx: l'infetto macellaio degli incas
Pizzarro si è certamente rivoltato nella tomba per la gioia: massacrando gli indiani del
Perù e rovinando il loro Stato e i loro rapporti sociali egli aveva lottato per la libertà.
Era dunque un vero e proprio emancipatore, come davano ad intendere gli odiosi
missionari colonizzatori. Ma a scorno di tutti i falsificatori passati presenti e futuri,
Marx non consente dubbi quando evoca la produzione sociale "del comunismo già più
elaborato delle tribù peruviane".
Le citazioni di Marx che spiegano come egli sia giunto a questa definizione, ci
permetteranno di enucleare ancora alcuni tratti distintivi del primo comunismo: Marx
insiste qui su due criteri essenziali che distinguono le società di classe dal comunismo
(primitivo o superiore): quest'ultimo ignora sia il denaro, sintesi del carattere mercantile
dei prodotti, sia la mercantile divisione del lavoro, che scinde la società in gruppi e
classi con interessi divergenti e opposti.
Egli scrive nei Grundrisse: "Esistono società le cui forme sono molto sviluppate,
eppure storicamente meno avanzate. Vi si trovano le categorie più evolute
dell'economia, quali la cooperazione, la divisione sviluppata del lavoro, ecc. senza che
esista la minima traccia di denaro: tale è il caso del Perù" (p. 27).
Marx chiarisce in seguito la fondamentale distinzione tra la "ripartizione del lavoro"
comunista (espressione della molteplicità delle diverse produzioni volte a soddisfare i
crescenti bisogni del lavoro, che non fraziona la società ma integra anche gli uomini in
un insieme unitario) e la divisione del lavoro mercantile (che separa i produttori e li
oppone tra loro e ai non-produttori): l'ipotesi che i soggetti dello scambio producano
valori di scambio non presuppone una divisione del lavoro in generale, ma una forma
specifica di questa. In Perù, ad esempio, il lavoro era ben diviso come pure nelle piccole
comunità autosufficienti dell'India. Ma, in questi casi, la divisione del lavoro non
implica una produzione fondata sul valore di scambio, ma al contrario una produzione
più o meno direttamente comunitaria (p. 1098).
In Per la critica dell'economia politica, Marx precisa infine: Fra i peruviani, ad
esempio, il lavoro era estremamente diviso, benché non vi avessero luogo scambi
privati, ne scambi di prodotti sotto forma di merci (cap. I, fine).
In breve, l'elemento caratterizzante la produzione comunitaria è il fatto che i
prodotti non si trasformano in merci. I membri della comunità si trovano socializzati in
maniera diretta per la produzione, mentre il lavoro è ripartito secondo la tradizione e i
bisogni esattamente come i prodotti, nella misura in cui arrivano al consumo. Questa
produzione immediatamente sociale, così come la ripartizione diretta, escludono
qualsiasi scambio di merci, e quindi qualsiasi trasformazione dei prodotti in merci (per
lo meno all'interno della comune) e conseguentemente in valori 66.
Nel Perù, in assenza della misura del valore o del denaro, l'amministrazione e la
contabilità dovevano essere molto sviluppate e centralizzate, come per ogni organismo
vivente. Ma l'economia era totalmente naturale. Ogni funzione, ad esempio nella società
66
Cf. Engels, Prefazione al III Libro del Capitale, Roma, Ed. Riuniti, 1968,
p. 39.
delle api, è indispensabile alla vita di tutti (pur non "lavorando fisicamente" come le
"operaie", i maschi e la regina hanno un ruolo ben preciso, e quando sono troppo
numerosi per ricoprirlo, vengono eliminati; in ogni caso, non sfruttano le operaie e non
creano settori produttivi destinati al proprio uso, privi di interesse per l'insieme). Tale
società ha costituito l'esempio più straordinario dell'adattamento dell'uomo a condizioni
ambientali particolari in un'epoca di minimo sviluppo delle forze produttive: ciò spiega
la tenacia di queste forme, e la loro fragilità di fronte all'invasore bianco, facile vincitore
grazie alla superiorità militare assoluta dell'infinitamente più avanzata e produttiva
forma di produzione capitalistica.
In tutte queste società comuniste, la produzione avviene in comune e le strutture
sociali sono fondate sulla consanguineità. Costruite come un albero genealogico, non vi
si entra se non si è parenti naturali o adottivi.
La società di classe con oppressi e privilegiati che qualcuno ha voluto vedere nella
società inca, era solo una società nella quale alcuni gruppi esercitavano certe specifiche
funzioni che conferivano loro apparentemente vantaggi e autorità.
Engels rileva a questo proposito che non esistono lavori effettuati in comune senza
una autorità (che nel comunismo superiore potrà essere indifferentemente esercitata
dall'uno o dall'altro, in quanto sarà ormai staccata da una persona fissa, in seguito
all'abolizione anche a livello individuale della divisione del lavoro o professione
stabile). Ma egli distingue subito tra l'autorità di una volontà che impone una decisione
ad un'altra, il che è inevitabile quando si vive in società e si collabora ad una stessa
opera, e una autorità che comporta subordinazione e sottomissione, ossia una forma di
società sfruttatrice che utilizza una struttura di costrizione a profitto di una minoranza di
oziosi gaudenti. Nella società inca, le stesse funzioni "nobili" e "superiori" erano
necessario all'avanzamento armonioso dell'insieme. Siamo qui nella forma più
sviluppata del comunismo primitivo, che annuncia già i gruppi privilegiati che nelle
successive forme secondaria e terziaria evolveranno in classi — ciò che per il marxismo
rappresenta un progresso.
Nell'Anti-Dühring Engels spiega come queste funzioni particolari non siano legate a
classi: In ognuna di queste comunità, esistono sin dal principio certi interessi comuni, la
cui salvaguardia deve essere affidata ad alcuni individui, se anche sotto il controllo
della collettività, giudizio sulle controversie, repressione degli abusi di singoli che
vanno al di là dei loro diritti, controllo delle acque, soprattutto nei paesi caldi e, infine,
dato il carattere primitivo e selvaggio della situazione, funzioni religiose. Simili
attribuzioni di funzioni si riscontrano in ogni epoca nelle comunità primitive, come
nelle più antiche comunità della marca germanica, e ancor oggi in India (Teoria della
violenza, IV).
Nel comunismo primitivo non esistevano dunque, di conseguenza, sovrastrutture (di
coercizione) politiche, giuridiche o ideologiche, caratterizzate da funzioni separate dal
controllo della comunità, che veniva esercitato nelle assemblee collettive.
Engels descrive entusiasticamente, sull'esempio dei pellirossa, l'organizzazione del
comunismo primitivo: La grandiosità ma anche il limite dell'organizzazione gentilizia
consiste nel fatto che non vi è posto, in essa, per il dominio e il servaggio. Al suo
interno non vi è ancora alcuna distinzione tra diritti e doveri. Per l'indiano il problema
se partecipare agli affari pubblici, se praticare il taglione o altri modi di riparazione, sia
un diritto o un dovere, non esiste: gli parrebbe altrettanto assurdo quanto il chiedersi se
mangiare, dormire, andare a caccia sia un diritto o un dovere 67.
67
Cf. Engels, Anti-Dühring , sez. III, cap. IV, Opere XXV, Ed. Riuniti, Roma 1974.
All'inizio non esiste che una distribuzione molto elementare degli uomini tra le
diverse branche di attività corrispondenti a funzioni e compiti indispensabili al buon
andamento della collettività, e determinate dalla loro utilità (valore d'uso, e non di
scambio). La divisione del lavoro non è stabile: il lavoro cambia con l'età, come è
normale, e il lavoro delle donne corrisponde in certe tribù ad attività svolte in altre tribù
dagli uomini. Se pure la fabbricazione di armi e utensili richiede un determinato
orientamento, non per questo l'uomo è condannato a vita a uno stesso mestiere. La
divisione del lavoro in base all'età e al sesso esclude comunque l'esistenza delle classi,
per il semplice motivo che i due sessi sono necessari per conservare e riprodurre una
classe, pena la sua estinzione. La divisione naturale del lavoro è non ereditaria, ma
passeggera.
La storia delle comunità primitive successive è ancora avvolta nel buio, data
l'estrema complessità del loro modo di evoluzione. Nel primo abbozzo della lettera a
Vera Zasulic, Marx spiega che queste comunità hanno conosciuto vari stadii di
sviluppo: come la formazione geologica primitiva del nostro globo racchiude una serie
di strati di ere diverse, sovrapposti l'uno all'altro, allo stesso modo la formazione arcaica
della società rivela al suo interno una serie di tipi differenti disposti in un ordine
ascendente caratterizzanti epoche progressive 68.
Marx non ha analizzato il comunismo primitivo da utopista, presentandolo come
una astratta età dell'oro dell'umanità. Certo, egli ha sottolineato gli aspetti nobili ed
esaltanti della solidarietà del blocco umano d'allora, ben sapendo comunque che esso
abbracciava non l'intera umanità ma un numero assai ristretto di individui, di modo che
il progresso doveva necessariamente passare attraverso la rovina di queste piccole unità
perché si formassero più vasti aggruppamenti umani. E' nella veste di uomo di scienza
che Marx analizza, scrutando meticolosamente lo sviluppo reale, questa epoca, che non
era di gran lunga pacifica, pur nella fraternità e nella pace regnanti all'interno di
ciascuna comunità, ma ad ogni minimo urto tra queste comunità ll guerra fu di regola.
L'evoluzione progressiva passa dunque attraverso la rovina delle piccole comunità
arcaiche, donde si delineavano i livelli successivi (primario, secondario, terziario) del
comunismo primitivo. In una maniera o nell'altra sono le continue guerre ed invasioni a
provocare la fine della comunità del livello primario. In Europa il tipo arcaico del
comunismo primitivo morì senza dubbio di morte violenta, e quando le tribù ariane,
celtiche e germaniche conquistarono la Grecia, l'Italia, la Germania, ecc., la prima
forma del comunismo non esisteva già più in queste zone. Per quel che concerne il Perù,
Engels afferma che il livello arcaico aveva già cessato di esistere prima
68
Cf. Engels, l'Origine della famiglia, cap. IX, Barbarie e Civiltà. Le nozioni di diritto e di
dovere presuppongono una impalcatura giuridica di costrizione autonomizzatasi in sfera
separata dall'attività generale. Dovendo tener conto di tendenze non ancora comuniste nella
Prima Internazionale, Marx era stato obbligato, facendosene il portavoce, ad utilizzare questi
due termini nell'Indirizzo inaugurale, del 1864. Se ne scusava nella lettera del 4.11.64 a Engels:
"Sono stato costretto ad inserire nel Preambolo degli Statuti i due termini di "dovere" e di
"diritto", e così pure "verità, morale e giustizia", ma le ho collocate in modo che non possano
arrecare danno".
dell'instaurazione dell'assai più elaborato Impero inca. Infatti elementi di transizione
verso la forma secondaria, caratterizzata dalla coesistenza antagonistica della proprietà
comunitaria e della proprietà privata, esistevano già allora: è abbastanza chiaramente
provata l'esistenza nel Perù, all'epoca della conquista, di una forma comunitaria molto
vicina alla forma germanica della marca (che, stranamente, veniva chiamata marca),
con una suddivisione periodica della terra coltivata, dunque a coltura individuale 69
Nei Grundrisse Marx, ribadendo ulteriormente la tesi che una forma importata dagli
invasori è sempre più pura ed efficace perché centralizzata — come stanno a dimostrare
il feudalesimo importato in Inghilterra, che permise in seguito un rapido sviluppo del
capitale, e il capitalismo importato negli Stati Uniti, che soppiantarono l'Inghilterra nel
dominio del mondo 70 —, aggiunge: La produzione comunitaria e la proprietà collettiva,
quali esistono, per esempio, nel Perù sono evidentemente di tipo secondario, introdotte
e trasmesse da tribù conquistatrici che avevano già conosciuto nel loro ambito la
proprietà collettiva e la produzione comunitaria nella forma arcaica più semplice, quale
la si trova presso gli Indiani e. gli Slavi. Parimenti il tipo riscontrato, ad esempio, presso
i Celti del Galles sembra essere di carattere secondario, introdotto dai conquistatori
presso le tribù che si trovano ad uno stadio sociale inferiore. La perfezione e
l'espansione di questi sistemi instaurati da un centro supremo, ne indica l'origine più
tarda (p. 116).
I tipi di transizione dal comunismo primitivo alla forma secondaria dei modi di
produzione in cui coesistono proprietà privata e collettiva, sono caratterizzati da due
fatti: 1. essi ammettono già una sorta di autonomizzazione dell'appropriazione (del
godimento o del possesso) privata, individuale, accanto alla proprietà e alla produzione
collettiva. Questa evoluzione è del tutto normale e logica: dapprincipio essa è naturale,
poiché, essendoci anche consumo individuale, con lo sviluppo delle forze produttive si
hanno prodotti più diversificati e numerosi; in seguito è contingente e storica, poiché le
società migratrici si raggruppano per piccole unità quasi individuali nei carri in modo
permanente, il che favorisce una stabilità e una persistenza nell'appropriazione
individuale di alcuni beni. Questa appropriazione privata non ha però ancora niente a
che vedere con la proprietà privata, ne comprende gli strumenti di produzione (terra o
arnesi). 2. In uno stadio ulteriore, quando la società si è alzata, ad esempio, allo stadio
dell'agricoltura, la terra può essere coltivata più stabilmente da individui che ricevono
per un anno un appezzamento, il quale viene poi rimesso nel fondo comune per passare
ad altri l'anno seguente, secondo il principio di una distribuzione periodica del suolo. E'
chiaro qui che abbiamo a che fare con un possesso privato temporaneo degli individui,
69
Abbiamo stabilito lo Schema delle forme successive che si trova riprodotto in fondo al
testo secondo la classificazione in forme primaria, secondaria, terziaria ecc. giusta le indicazioni
dello stesso Marx nel primo abbozzo della lettera a V. Zasulic: "Così come nelle formazioni
geologiche, vi sono nelle formazioni storiche tutta una serie di tipi primari, secondari, terziari
ecc.".
Si deve evitare di confondere questi livelli primari, secondari ecc. nell'ambito del
comunismo primitivo con le forme di produzione e di società primaria, secondaria, terziaria
corrispondenti al comunismo primitivo, al modo di produzione asiatico, classico-antico o
germanico, feudale ecc.
70
Per la storia dell'espansione americana e la sostituzione dell'Inghilterra nel dominio
mondiale, il lettore può riferirsi ai capitoli: Senso della progressione imperialista. La pretesa
eccezione americana e Sempre l'imperialismo, nel prossimo volume: Schieramento attuale delle
forze in urto. Ed. 19/75.
cioè con una forma di transizione. Dobbiamo constatare ancora una volta la regola
presente in ogni passaggio a un nuovo modo di produzione: il tipo di proprietà e di
strutture sociali della forma superiore si trova già completamente modellato, ma
secondo l'anteriore modo di appropriazione. E' quanto afferma Marx (cf. la lettera a
Vera Zasulic): la comune arcaica ha così bene impresso i suoi caratteri specifici sulla
comune che l'ha soppiantata, che si può ricostruire l'una attraverso l'altra. E tuttavia non
le si può confondere, malgrado le somiglianze dovute al fatto che la forma successiva
riprende dalla precedente intere parti, che sono allora subordinate e determinate dalla
forma nuova. Per contro, ai livelli secondari e terziari della società comunista primitiva
in dissoluzione, è sempre l'elemento comunitario che prevale: l'appropriazione o il
possesso individuale essendo allora dettati collettivamente. Non c'è dunque da esitare
nella definizione della sua economia 71.
Non è dunque l'appropriazione collettiva l'elemento distintivo in modo assoluto
della forma primaria, né l'appropriazione privata di quella secondaria. Ma sono elementi
distintivi 1. la stabilità di ciascuno di questi rapporti e la loro opposizione. Così nella
forma primaria può verificarsi appropriazione individuale di alcuni, ma sotto la
schiacciante predominanza della proprietà collettiva. 2. La dinamica che assicura la
prevalenza all'elemento comunitario nella forma primaria e all'elemento privato in
quella secondaria, in cui quest'ultimo soppianta solo pian piano la proprietà comunitaria.
Proprio le forme di transizione permettono di individuare nella maniera più precisa
quale delle due forme prevarrà. Applicandosi essenzialmente a scoprire "le leggi del
movimento storico", il marxismo dà il miglior metodo per questo tipo di analisi.
Prenderemo dunque in esame soprattutto le forme di transizione, mettendo in luce che il
comunismo primitivo già sin dall'inizio conteneva gli elementi di dissoluzione verso una
più alta forma di produzione, e questo spiega la molteplicità dei suoi livelli di
evoluzione e delle forme da esso derivate. Di qui lo straordinario sviluppo di questo
modo arcaico di produzione, che contrariamente alla forma secondaria, al feudalesimo e
al capitalismo, si è sviluppato spontaneamente in tutto il mondo.
Per la gran parte, i vari tipi di comunismo primitivo non sono evoluti nella superiore
forma secondaria, ma, come la società inca, sono scomparsi o in seguito alla violenza,
guerre, invasioni straniere, ecc., o davanti allo sviluppo economico della forma
superiore, la quale li ha lasciati sussistere in disparte, nell'isolamento delle campagne
dove vegetarono. Queste numerose forme sociali che si sviluppano e si espandono se
pure non si sono trasformate esse stesse nella forma superiore, occupano tuttavia un
posto essenziale nel movimento progressivo dell'umanità, in quanto sono spesso il
banco di prova, ,1 laboratorio da cui il modo di produzione superiore trae la propria
esperienza e la forma stessa delle sue strutture. Quanto più il comunismo primitivo avrà
moltiplicato e modellato in maniera netta le sue forme derivate o di transizione, tanto
più perfetta scaturirà dunque la forma secondaria dal suo grembo e tanto più
brillantemente evolverà (soprattutto nelle varianti classico-antica e germanica).
Per lo studio del periodo di dissoluzione del capitalismo seguiremo dunque il
metodo di Marx, che nella forma inferiore scopre la matrice e la base economica di
quella superiore. E' materialista e marxista solo chi vede e sente che la società
comunista esiste già in germe nel seno dell'attuale società capitalistica, che la partorirà
nel processo della rivoluzione politica. La concezione di un architetto che costruisce il
socialismo attraverso i "piani quinquennali" è crassamente borghese e tradisce la
71
Cf. Engels, l'Origine della famiglia. Ed. Riuniti, 1976, p. 87-88.
rivendicazione fondamentale del marxismo, che nella classe del Lavoro (che ha
sviluppato la socializzazione della produzione nel seno stesso del capitalismo e ne crea
poi le crisi con la sovraproduzione) vede l'elemento attivo e cosciente del socialismo
attraverso il suo partito che centralizza e dà la massima spinta alle innumeri energie
diffuse in questa classe immensa.
Nell'Origine della famiglia Engels traccia un significativo quadro di varie forme di
transizione che non hanno dato origine motu proprio a una forma superiore: La zadruga,
che ha sopravvissuto fino alla fine del secolo scorso, era una comunità domestica
patriarcale, costituendo lo stadio di transizione tra la famiglia di tipo matriarcale sorta
dal matrimonio di gruppo e la famiglia coniugale del mondo moderno. Essa è tipica dei
popoli civilizzati del mondo antico, degli Ariani e dei Semiti.
La zadruga degli slavi del Sud ingloba più generazioni di discendenti dallo stesso
padre, che abitano tutti con le loro mogli in una sola fattoria, coltivano in comune i
campi e in comune possiedono i prodotti eccedenti. La comunità è sottoposta all'autorità
del padrone di casa (domacin), che è responsabile della sua buona gestione, tiene la
"cassa", ha il diritto di alienare gli oggetti di poco valore ed è il rappresentante della
comunità verso l'esterno. Il domacin è eletto, e non è necessariamente il più anziano. Le
donne sono invece poste sotto la direzione della padrona di casa (domacica). Il potere
supremo appartiene all'assemblea di tutti i membri adulti, uomini e donne. Grandi
comunità familiari di questo tipo esistevano anche nella Russia propriamente detta, ove
le si ritrova nella comunità di villaggio, l'obcina (ibid. p. 86).
Engels vi ravvisa una forma che assicura la transizione tra la comunità di sangue
matriarcale (Familiengenossenchaft) e la comunità di villaggio sedentaria, agricola
(Dorfgenossenschaft), in cui le condizioni ambientali (terra, acqua, clima, ecc.) sono
determinanti per il carattere dei rapporti sociali: 1a comunità di famiglia patriarcale
della zadruga costituisce il punto di passaggio tra le due.
L'esempio della proprietà comunitaria in Algeria mostra l'intersecarsi di diversi
fattori di evoluzione talvolta eterogenei e contraddittori, poichè l'evoluzione spontanea
dei Cabili si è scontrata con il contributo degli invasori arabi e turchi. Si ha dunque la
mescolanza di due forme: la comunità del suolo, di cui da una parte è proprietaria la
collettività consanguinea, dall'altra la comunità di villaggio. Gli arabi adattarono la loro
forma tribale alle regioni dell'altopiano nord-africano ricco di vasti pascoli e a
predominanza di vita pastorale, per cui sembra che essi abbiano apportato nella serie di
transizione un elemento comunitario meno sviluppato, più vicino all'indivisibilità e
all'inalienabilità della proprietà fondiaria, in quanto basato sulla proprietà tribale della
famiglia. Tuttavia, anche presso i Berberi autoctoni, i Mauri e gli Ebrei troviamo una
forma di transizione sviluppata sotto l'influenza ancora più antica del diritto romano
che, corrispondendo alla forma di produzione secondaria, conosceva già la proprietà
privata. In Algeria ciò si traduceva talvolta nella forma di transizione in cui una parte
dell'economia veniva assegnata alle singole famiglie per un anno, quindi riversata nella
comunità e nuovamente ripartita. Mentre i turchi favorirono l'evoluzione dell'elemento
privato incoraggiando la concentrazione della proprietà privata nelle mani di istituzioni
religiose o di beneficienza, i francesi cercarono invece con tutte le loro forze di
individualizzare la proprietà fondiaria proprio per annientare le basi della società
algerina. Così, ad esempio, finché l'Algeria fu sotto il governo musulmano, il contadino
non poteva venire espropriato dagli usurai speculatori, poiché, essendo la proprietà
comunitaria (a immagine della proprietà familiare) indivisibile e inalienabile, le
ipoteche emesse in pegno per la terra non erano riconosciute 72.
In Francia, associazioni familiari di questo tipo si conservarono in diverse regioni
(ad esempio nel Nivemese sotto il nome di parconneries) fino alla rivoluzione del 1789.
Or non è molto esistevano ancora nella regione di Louhans (Saona e Loira) ampie case
contadine con una stanza centrale comune, il soffitto che arrivava al tetto e tutt'attorno
le stanze da letto cui si accedevaper mezzo di scale di 6-8 scalini. Parecchie generazioni
vi coabitavano 73.
Nella sua lettera del 3 aprile 1895 a Lafargue, Engels precisa: la forma della
parconnerie, sotto la quale la comunità consanguinea s'è mantenuta tanto a lungo in
Francia, non è che una suddivisione dell'antica grande comunità familiare che sussisteva
nella zadruga dei serbi e dei bulgari. Entrambe costituiscono la forma di transizione tra
la comunità consanguinea matriarcale e la comunità di villaggio, poiché rappresentano
la comunità familiare patriarcale. Secondo ogni apparenza, queste forme hanno
preceduto in Russia, in Germania, ecc., la comune agricola, sia il mir russo, con i campi
72
Cf. il testo di Marx stabilito sullo studio di Kovalevsky: Il Sistema fondiario in Algeria al
tempo della conquista francese, in Marx-Engels-Lenin, Sulle Società precapitalistiche. Ed.
Feltrinelli, 1970, p. 316-334.
A proposito della zona araba vedere le seguenti lettere di Marx-Engels: Engels a Marx, 24
maggio 1853, Marx a Engels, 2 giugno 1853 e Engels a Marx, 6 giugno 1853. Rosa Luxemburg
ha lungamente analizzato la lotta della proprietà comunitaria in Algeria contro le usurpazioni
della proprietà privata francese in l'Accumulazione del capitale (Ed. Einaudi, Torino, 1968), le
cui esposizioni storiche sono di notevolissimo interesse basate su studi di dettaglio approfonditi
sulla fase della cosiddetta accumulazione primitiva in Africa del Nord, in Africa del Sud e in
America del Nord.
73
Per Marx-Engels, la forma germanica, sebbene rappresenti una forma superiore,
manifesta delle analogie con le strutture sociali degli irochesi, per esempio, in America del
Nord. Morgan aveva già stabilito un parallelo tra le varianti germanica e antico-classica,
rilevando le somiglianze tra i greci dell'epoca di Omero, i romani e i germani. Tra questi ultimi
e gli indiani, a dispetto delle analogie, il modo di produzione è tuttavia differente:
"Per veder finalmente chiaro nel parallelo che stabilisci tra i germani di Tacito e i pellirosse
americani, ho fatto qualche estratto dal primo volume del tuo Bancroft. La somiglianza è
realmente tanto più sorprendente in quanto le attività produttive differiscono fondamentalmente
- presso questi ultimi, pescatori e cacciatori senza allevamento di bestiame e senza agricoltura;
presso gli altri, allevamento di bestiame in via migratoria in alternanza con l'agricoltura. Il fatto
dimostra per l'appunto come in questo stadio il modo di produzione sia meno decisivo del grado
di corrosione degli antichi legami di sangue e dell'arcaica comunità sessuale reciproca in seno
alla tribù. Altrimenti i thlinkeets nell'ex-America russa non potrebbero essere il puro
contrapposto dei germani - probabilmente in misura ancora maggiore che non i tuoi irochesi"
(Engels a Marx, 8 dicembre 1882).
Ciò che, al di là del differente modo di produzione - forma secondaria
presso i germani, formazione di tipo secondario, perfino terziario di dissoluzione
del comunismo primitivo presso gli indiani — costituisce una struttura
praticamente simile è questo "lembo di comunismo primitivo" trasportato dalla
forma primaria nella forma secondaria dove esso sussiste accanto al possesso e
perfino alla proprietà privata, così come sopravviverà nella forma terziaria in cui
è usurpato dai feudali e volto contro i produttori, il comunismo di marca essendo
allora alienato, ma servendo come base di appoggio ai contadini per
riconquistare le loro terre. Questo spiega perché Engels trovi essenzialmente delle
analogie tra gli antichi legami di sangue e della comunità oltre l'attuale modo di
produzione.
separati ma soggetti a ripartizione periodica, sia la comune tedesca in cui le famiglie
sono già separate le une dalle altre. Per quel che concerne la Francia, Engels dà le
seguenti interessanti precisazioni su una evoluzione particolarmente rapida verso la
parcella che trionfò nel 1789: la comunità più ristretta di parecchie famiglie non era che
una frazione facente parte della comunità della marca, almeno nel Nord (la parte
franca). Nel Mezzogiorno (antica Aquitania), la marca formava una unità che
possedeva le sue terre sotto la suprema proprietà del signore, senza essere sottomessa al
controllo della comunità di villaggio — da cui la parcellizzazione subito dopo
l'espropriazione del signore e il passaggio d'un sol balzo alla proprietà individuale del
suolo.
L'elemento comunitario resta nettamente predominante in tutte queste forme
derivate di tipo secondario e terziario del comunismo primitivo. Non bisogna tuttavia
confondere questi tipi con una delle varianti della forma secondaria, in cui l'elemento
comunitario continua a sussistere, ma con predominanza della proprietà privata, il che si
presenta chiaramente solo nelle varianti antico-classica e germanica. Così la comune
introdotta dai conquistatori germanici era composta da terra arabile, casa e orto sotto
forma di proprietà privata, e da foreste, pascoli, terre abbandonate, ecc. sotto forma di
proprietà comune. Ma troviamo qui una predominanza sempre più netta della proprietà
privata, che forma l'elemento dinamico essenziale verso la forma terziaria, in cui la
gerarchia feudale si approprierà alla fine privatamente l'elemento comunitario,
vincolando il contadino alla gleba ed esigendo da lui una corvè (plusvalore in forma di
sopralavoro naturale).
La comune rurale russa è uno dei tipi più recenti della forma sociale secondaria e
rappresenta l'equivalente orientale, un po' meno sviluppato, della comune germanica. Ci
troviamo qui già al punto di passaggio alla forma secondaria, poiché la proprietà privata
riguarda soltanto la casa e l'orto mentre la terra è proprietà comune e viene ridistribuita
periodicamente. Con questo dualismo, la comune russa racchiude in sé tanto la
possibilità di una grande stabilità (se le condizioni ambientali restano invariate) che
della sua dissoluzione (se prevale l'elemento della proprietà privata).
Ecco come Marx definisce nel primo abbozzo della lettera a Vera Zasulic la
comune agricola della forma primaria (del comunismo primitivo) rispetto alla forma
secondaria germanica e russa: sebbene la terra arabile resti proprietà comune, essa
viene periodicamente divisa tra i membri della comune agricola, coltivando ogni
coltivatore per proprio conto il campo a lui assegnato e appropriandosene
individualmente i frutti. Insomma, la base resta indubbiamente collettiva. Nelle comuni
ancora più antiche, la produzione avviene in comune e si ripartisce solamente il
prodotto.
Per quel che concerne la comune rurale russa, Marx poteva ancora porsi la
questione: chi prevarrà, l'elemento privato o comunitario? Sebbene in Russia il
feudalesimo avesse vinto localmente, la comunità era ancora un fattore importante, se
pure minacciato di dissoluzione e corruzione. A partire da questa situazione, Marx, nelle
sue minute a Vera Zasulic, stabilì il seguente equilibrio dialettico: se la proprietà
comunista avesse vinto nell'asse essenziale del mondo di allora, l'Europa occidentale, la
proprietà comunitaria russa poteva ancora essere salvata e rigenerata, cioè passare,
grazie alle moderne conquiste tecniche dell'Occidente, al comunismo superiore. Se il
capitalismo avesse invece vinto in Russia in assenza della rivoluzione proletaria nei
paesi sviluppati, la proprietà comunitaria doveva inevitabilmente dissolversi in proprietà
privata e capitale, con la conseguente espropriazione delle masse — ed è quanto la
storia ha confermato.
L'ardita ipotesi storica di Marx non si è verificata nella pratica, poiché il corso
inesorabile dell'evoluzione ha rovinato l'elemento comunitario promuovendo l'elemento
della proprietà privata, le cui manifestazioni possono essere brevemente riassunte:
esazioni dirette dello Stato, sfruttamento fraudolento da parte degli intrusi capitalisti,
mercanti, usurai e proprietari fondiari, conflitti di interessi suscitati all'interno della
comune, che ne accelerano la disgregazione e ne consegnano i membri allo sfruttamento
delle potenze esterne.
79
II lettore può trovare la teoria della violenza, posta nella concezione d'insieme del
marxismo, nell'Introduzione a Ecrits militaires. Editions de l'Herne, Parigi, p. 7-89.
80
Cf. Engels, l'Origine della famiglia, cit, p. 82.
Vediamo ora come la proprietà privata è nata dalla base economica operando una
vera e propria rivoluzione nei rapporti di società e di produzione a partire dallo stesso
sviluppo dell'economia del comunismo primitivo. Questo rovesciamento - per ovvie
ragioni - non portò sulla scena le classi, ma ciò che costituisce il loro sostrato effettivo,
ossia, da una parte, le forze produttive o produttori e, dall'altra, la forma o i rapporti di
produzione che saranno appropriati dai ceti o classi dominanti. Questi due fattori
evolveranno in un senso differente prima, opposto poi, e alla fine le prime
rivoluzioneranno la forma di produzione.
Notiamo a tale proposito che il termine forma o modo di produzione può essere
usato in due differenti accezioni: la forma designa forse più chiaramente i rapporti di
produzione - comunitari, privati, schiavisti, ecc. — mentre il modo indica inoltre come,
a che, si lavora in maniera tecnica - ad esempio, si caccia, si pesca, si coltiva, si
commercia, si esercita questa o quell'arte o mestiere, ecc. Il suo senso sarebbe più pieno,
ma duplice rendendo e la forma e il modo di lavorare pratico. Questo termine è quindi,
alle volte, più adatto, ad esempio quando - come qui - la forma sociale dei rapporti di
produzione e di società si distingue gradualmente dal processo concreto del produrre.
Questa disparità dapprima innocua fa, alla fine, scoppiare il comunismo primitivo, e
sorgere un dualismo di proprietà, ove la privata deriva qua e là dal possesso o meglio
dall'appropriazione limitata nel processo di lavoro e di consumo, poiché essa trova la
sua fonte e la sua genesi nell'attività produttiva concreta: la maniera particolare e
limitata di lavorare che finisce per disgregare i legami comunitari di consanguineità
della famiglia tribale originaria che costituivano appunto i rapporti sociali della forma
primaria. Questa rivoluzione, causa la mancanza di protagonisti nettamente delimitati e
opposti, non ha potuto operarsi che attraverso una serie di scosse -apparentemente senza
portata, né senso - che scalzarono la base economica e sociale della forma primaria,
dopo averla fatta passare attraverso i successivi strati — primario, secondario, terziario
— della sua dissoluzione, da cui nacque il modo di produzione seguente — sempre dal
seno del precedente.
Ma consideriamo subito, per maggior chiarezza, il punto di arrivo di questo
movimento caratterizzato da una netta frattura del blocco umano unitario. Agli albori
della forma secondaria, scrive Marx subito all'inizio del suo studio sulle Forme dei
Grundrisse 81, "l'uomo si riferisce a se stesso come proprietario, come padrone delle
condizioni della sua realtà, e ha lo stesso rapporto con gli altri. Tuttavia, se questo
rapporto emana dalla comunità, gli altri sono per lui altrettanti comproprietari
incarnanti la proprietà comune; se emana dalle diverse famiglie singole che
costituiscono la comunità (e proprio qui troviamo la contraddizione INTERNA che
dissolverà l'unità primitiva a partire dall'evoluzione concreta delle forze produttive nel
processo reale di lavoro o di produzione col mantenimento o addirittura lo sviluppo
delle piccole unità umane con le loro attività parcellari. N.d.T.), abbiamo allora i
proprietari indipendenti accanto a lui, e persino proprietari privati autonomi".
La causa originaria risiede nel fatto che la comunità è un rapporto sociale che, in
quanto tale, organizza all'inizio tutti gli esseri umani, ma non si manifesta
concretamente ed economicamente che in una minuscola unità familiare: l'orda varia da
poche unità a una trentina di individui, il clan da cento a centocinquanta, e la tribù si
forma a partire da due clan o fratrie. Basta che tutto si metta in movimento e si
moltiplichi perché si faccia sentire il bisogno di unità sociali più vaste di quella naturale
81
Cf. Marx, Grundrisse, cit, p. 198.
(prodotta dalle condizioni spontanee della natura) - e i gruppi si agglomerano, si saldano
dapprima, poi quando le condizioni economiche di produzione non permettono una
stessa evoluzione quantitativa stabiliscono accordi e alleanze per certi compiti limitati
nel tempo e nello spazio (lavori in comune, di raccolta, di dissodamento, ecc. ma
soprattutto di difesa o di guerra contro altri aggruppamenti umani). Raggruppandosi,
federandosi, tra apparentati, essi formano certo unità più vaste, ma anche più rade, meno
costruttive, e addirittura affatto limitate, particolari e occasionali — ad esempio,
radunare il "popolo" o tribù di una nazionalità di medesima razza, lingua o costumi e
tradizioni in occasione di una migrazione verso terre più propizie o per proteggersi dagli
invasori — e, soprattutto, essi lasciano sussistere le unità familiari che assicurano la
sussistenza umana, e quindi anche la produzione per la parte essenziale del quotidiano.
L'estensione dei legami sociali ha così provocato un primo intoppo o contrasto nei
rapporti sociali e, per reazione, ha sprigionato — senza nulla mutare, in apparenza, a
quanto precedeva — una sfera particolare.
Engels rileva che la consuetudine di patti e convenzioni con altre unità di
comunismo primitivo colpì direttamente gli stessi legami di consanguineità, regolando
ad esempio le "relazioni sessuali" o meglio la riproduzione umana (quindi anche a
questo livello di società i rapporti sociali). Mentre nelle condizioni primitive, mettiamo
nell'orda, l'endogamia era la regola, il clan è, per definizione, esogamo, dipende cioè,
per la propria riproduzione, da un altro. Su questo piano, ancora del tutto primitivo, si
può osservare che i rapporti familiari divengono duplici: essi sono volti qui verso
l'esterno per la riproduzione e per alcuni compiti certo occasionali, ma essenziali per la
sopravvivenza, e addirittura per la possibilità di produrre, di tutti, e verso l'interno, per
le attività e consumo quotidiani. Ora, proprio qui l'unità è la più piccola e si producono
gli oggetti della vita corrente, sotto la determinazione della limitatezza delle forze
produttive nonostante i rapporti sociali comunitari.
Sulla base dell'attività economica più immediata osserviamo dunque una
molteplicità di piccole unità parcellari che proliferano con la crescita della popolazione,
ecc. - ed entreranno in crescente contrasto con l'unità più ampia dell'organizzazione
sociale: informa sociale di produzione.
Questo processo è infinitamente lento e poco antagonistico, donde la serie dei tipi di
società comunista; inoltre certi lavori anche direttamente economici e produttivi
continueranno, soprattutto in date condizioni storiche e geografiche, ad essere assicurati
dall'organizzazione unitaria più vasta. Donde lo sviluppo parallelo di lavori collettivi e
parcellari nel processo economico di produzione, con il risultato di un settore
"individuale" (familiare, particolare) e un settore pubblico. Le attività di quest'ultimo
settore sono anche, nella maggior parte dei continenti, la condizione preliminare dei
lavori domestici per le famiglie singole, e si assiste a questa contraddizione vivente: lo
sviluppo del settore collettivo rafforza e sviluppa l'economia familiare particolare 82.
Ovunque, in un primo tempo, esse permettono di accedere, da una parte, a nuove
tecniche e rendimenti produttivi, e dall'altra, con il dissodamento e la colonizzazione
grazie all'organizzazione militare, a nuove terre e a nuovi mondi. Queste attività saranno
organizzate e decise mediante accordi nelle assemblee che contribuiscono ad accentuare
il carattere socialmente adatto e danno loro una vernice pubblica. Donde l'evoluzione,
82
E' quanto spiega il persistere del settore pubblico che peraltro continua a predominare là
dove le condizioni ambientali ne fanno le premesse durature delle attività familiari particolari -
in quella che viene troppo restrittivamente chiamata forma asiatica.
una volta operatasi la frattura, verso una sfera pubblica generante un embrione statale,
l'ager publicus, essendo essa legata all'appropriazione privata ed implicante un settore
di piccoli lavori eseguiti tradizionalmente o in piccolissimi gruppi per i bisogni
quotidiani nella ristretta cornice delle singole famiglie. Nei territori montagnosi, nelle
paludi, nelle foreste profonde, al processo di lavoro non si poteva attendere con braccia
troppo numerose soprattutto in assenza di ogni tecnica. La collaborazione umana esiste
naturalmente nelle ricche vallate e pianure in cui gli esseri umani si affollano. In breve, i
nuovi rapporti evolvono e si modellano secondo l'attività reale dispiegata, e l'una o
l'altra forma — di gruppo esteso o di famiglia ridotta, collettiva o individuale, pubblica
o privata - modella ciascuna delle dette attività.
Precisamente, la forma secondaria si caratterizza come segue: i mezzi di sussistenza
sono appropriati, da alcuni almeno, grazie alle piccole unità familiari che cacciano,
pescano, raccolgono e si dedicano persino alla coltivazione della terra e soprattutto
all'artigianato domestico in modo rudimentale in unità dalle dimensioni della piccola
orda di un tempo, mentre altri compiti vengono assolti nel quadro dall'unità globale più
vasta — la guerra, la migrazione stagionale o definitiva, il legnatico, le riserve per la
cattiva stagione, il bestiame, certi lavori di interesse comune, altri per assicurare derrate
"preziose" alla vita o al prestigio - il tutto nella scia di una divisione tecnica del lavoro.
Fin dall'inizio di questa evoluzione, l'attività economica reale ha cominciato a svolgere
un ruolo accanto ai rapporti sociali di consanguineità, e la forma dei rapporti sociali
entrerà in contrasto crescente con l'evoluzione delle forze produttive, specie nel settore
individuale (o alla scala delle piccole famiglie) che si estenderà e gonfierà con
l'agricoltura e più ancora con l'allevamento — che rivelano la limitatezza delle forze
produttive.
I rapporti familiari (sociali) evolveranno e si adatteranno alle condizioni reali di
appropriazione, fino a divenire ostacoli per lo sviluppo delle forze produttive e a
rivelarsi quel che si chiama sovrastruttura rispetto alla base economica, che prima piegò,
poi spezzò i rapporti comunitari là dove essi costituivano un ingombro. Si trattava, alla
fine, di una vera e propria rivoluzione che cambia la forma o rapporti di produzione.
Questa rivoluzione proseguirà ancora nella forma secondaria, da una variante
all'altra, ma in maniera più rapida e netta, come risulta subito chiaro quando si paragona
la variante asiatica-madre, dalla quale derivano le variantiantico-classica e germanica —
per mutazioni brusche dei rapporti economici di produzione a contatto di forme sociali
nate dalla dissoluzione del comunismo primitivo in India. In questa forma secondaria, le
singole famiglie, più o meno grandi a seconda delle funzioni economiche concrete,
mentre da una parte si dedicano alla coltivazione della loro terra, dall'altra collaborano
nei lavori collettivi (irrigazione in Asia, ecc.; guerra e colonizzazione e poi lavori che si
fanno in comune nell'interesse di tutti presso i Greci, i Romani e i Germani).
L'allevamento del bestiame che era stata un'attività secondaria e collettiva, diviene
un'attività autonoma e unilaterale. Nasce così la famiglia ristretta che può essere più o
meno numerosa col patriarca alla testa dell'armento, della donna e dei bambini, in
quanto proprietario individuale o privato, dopo essersi appropriato la ricchezza e i
rapporti sociali comunitari del gruppo per volgerli contro i membri della propria
famiglia consanguinea, e tenerli a briglia. La proprietà privata è nata ora
dall'appropriazione individuale (familiare nel senso stretto del termine).
I rapporti comunitari si sono definitivamente alterati, poiché le attività particolari
prendono sempre più il sopravvento su quelle pubbliche che sono occasionali o
premesse delle prime — ad esempio, i lavori di irrigazione per la cultura familiare.
Certo, i lavori pubblici sono la condizione generale concentrata da cui deriva il potere
centrale, ma passano al servizio dell'economia familiare mentre gli organi pubblici sono
appropriati da una casta particolare. Siamo all'inizio dell'evoluzione che, ad Atene e a
Roma, condurrà all'appropriazione da parte di alcuni grandi proprietari privati della cosa
pubblica per comandare e sfruttare gli altri proprietari privati o quelli espropriati
secondo i loro interessi particolari: le classi si sono chiaramente delimitate al termine
dello sviluppo della forma secondaria sullo slancio dei fenomeni che hanno dissolto il
comunismo primitivo.
I rapporti sociali e la forma di produzione sono ora determinati dall'evoluzione delle
forze produttive in senso stretto, che si sono scisse in proprietà pubblica e individuale,
dato che l'appropriazione reale nella produzione forgia man mano nuovi rapporti sociali
dopo aver corroso gli antichi: cercando di adattarsi, essi precisamente si dissolvono.
A misura che uno dei due settori si autonomizza, l'altro per reazione cambia e si
particolarizza a sua volta di fronte al primo. Nella forma originaria del primo
comunismo, la proprietà dell'individuo dei suoi mezzi di sussistenza immediati, ad
esempio, era altrettanto piena e della stessa natura di quella che egli aveva sulla terra o
sulle installazioni comuni. Per contro, con la proprietà comune dell'ager publicus della
forma secondaria, il possesso dell'individuo evolve in proprietà e non più direttamente
possesso della comunità, mentre la Proprietà di quest'ultima si distingue così da quella
dell'individuo e si autonomizza. Di conseguenza, può innescarsi un'evoluzione verso il
sistema delle classi: l'individuo o la famiglia singola può essere spossessata, e la
proprietà comune continuare a farle fronte. Inoltre,l'ager publicus, a seguito della
proprietà degli individui espropriati, può essere alla fine monopolizzato da alcuni grandi
proprietari fondiari privati, a testimonianza della supremazia ormai raggiunta dalla
proprietà privata nella produzione e nella società. Per questa via, il dualismo di
proprietà sbocca nell'espropriazione degli uni e nel monopolio degli altri, nelle classi
oppresse e sfruttatrici. L'esempio della Grecia e di Roma illustra come i nuovi rapporti
utilizzino appieno i rapporti antichi quale loro materiale di elaborazione: il patriarca o
patrizio utilizzai legami di consanguineità comunitari della famiglia per porre sotto la
dipendenza della sua proprietà privata (patrimonio sotto forma di un armento, ad
esempio) tutti i membri della sua famiglia che egli riduce cosi in schiavitù: il
matriarcato della forma primaria dei rapporti 'sociali viene nello stesso momento
seppellito.
Insomma, questo basso livello delle forze produttive rende necessaria
l'appropriazione individuale, e la sua stessa evoluzione determinerà ormai la sorte della
società, poiché le forze produttive non sono socializzate (il che non significa sociale,
ossia proprio a tutti gli uomini). Vi sono nella pratica forze e agenti individuali o
parcellari che devono ancora svilupparsi, cooperare, munirsi di strumenti, di
procedimenti, di tecniche, di combinazioni produttive, in un processo economico che
non può che essere graduale, ossia parziale e contraddittorio.
3
I RAPPORTI DELLA FORMA
SECONDARIA
La prima parte di questo capitolo è la diretta continuazione della fine del capitolo
precedente, come il lato positivo è necessariamente legato a quello negativo nel
movimento dialettico della vita. Il processo di dissoluzione della forma primaria è infatti
contemporaneamente processo di formazione della secondaria. Ciò significa, in pratica,
che i legami della comunità consanguinea hanno perduto la loro preminenza, e che la
terra, ovvero le condizioni determinate dall'ambiente fisico, configurazione del suolo,
acqua, clima, acquistano sempre maggiore importanza insieme alla produzione agricola,
sicché l'elemento determinante dei rapporti sociali diviene la proprietà fondiaria. Si
tratta di una vera e propria rivoluzione dei rapporti sociali esistenti. La differenza può
apparire trascurabile all'osservatore superficiale, ma la sostituzione dei fattori fisici della
natura ambiente ai fattori soggettivi di consanguineità naturale significa la rovina del
comunismo primitivo, e la nascita dei rapporti di classe della proprietà privata.
La prima parte di questo capitolo è la diretta continuazione della fine del capitolo
precedente, come il lato positivo è necessariamente legato a quello negativo nel
movimento dialettico della vita. Il processo di dissoluzione della forma primaria è infatti
contemporaneamente processo di formazione della secondaria. Ciò significa, in pratica,
che i legami della comunità consanguinea hanno perduto la loro preminenza, e che la
terra, ovvero le condizioni determinate dall'ambiente fisico, configurazione del suolo,
acqua, clima, acquistano sempre maggiore importanza insieme alla produzione agricola,
sicché l'elemento determinante dei rapporti sociali diviene la proprietà fondiaria. Si
tratta di una vera e propria rivoluzione dei rapporti sociali esistenti. La differenza può
apparire trascurabile all'osservatore superficiale, ma la sostituzione dei fattori fisici della
natura ambiente ai fattori soggettivi di consanguineità naturale significa la rovina del
comunismo primitivo, e la nascita dei rapporti di classe della proprietà privata.
85
Marx, Il Capitale I, Sez. V, cap. 14, Plusvalore assoluto e relativo.
86
Cf. Engels a Marx, 8.12.1882.
87
Cf. Engels a Marx, 22.12.1882. Ed Engels proseguendo: "Questo fatto ha
oscurato lo sguardo persino a me e a parecchi altri nelle indagini sul servaggio
medievale: si è troppo inclini a fondarlo semplicemente sulla conquista - il che
rende la cosa tanto chiara e liscia".
88
Cf. Marx, Grundrisse, cit, p. 475-76.
L'individuo deve appartenere a una comunità - ormai degradata della sua
preminenza e determinata negativamente in quanto subordinata alle condizioni
dell'ambiente naturale — a causa della debolezza delle forze produttive: la comunità va
dunque autonomizzandosi e sviluppandosi in contrapposizione ai produttori, i quali
saranno sempre più assoggettati ai rapporti di produzione.
Nella forma secondaria, tuttavia, l'individuo è presupposto COME MEMBRO DI
UNA COMUNITA', e QUESTA COMUNITA' E' MEDIATA NELLA SUA FORMA
DAL SUO RAPPORTO CON LA TERRA nel processo lavoro sociale. Il suo
comportamento di fronte alle condizioni oggettive del lavoro — strumenti, materie
prime ecc. —, resta dunque mediato dal suo modo d'esistenza in quanto membro della
comunità, mentre l'esistenza di quest'ultima è determinata dalle condizioni oggettive del
lavoro — la proprietà fondiaria. Nel corso dell'evoluzione della variante antico-classica,
i patrizi non dovranno quindi far altro che appropriarsi la proprietà fondiaria e con ciò
usurpare la comunità ormai autonomizzatasi di fronte ai suoi membri che lavorano per
venire in possesso anche dei mezzi di lavoro e dei produttori ad essi legati. Ma tale
rapporto raggiungerà la piena maturità soltanto con i Greci e i Romani. Nella variante
asiatica, una simile ben delimitata evoluzione di classe non può avere luogo: si assiste
solo al primo passo verso l'autonomizzazione della comunità nell'unità suprema dello
Stato che tutto ingloba, tale evoluzione facendosi attraverso le opere pubbliche
collettive con una conseguente funzione primaria della comunità, la quale, anziché
essere comunità di individui, sarà dominata dalla proprietà fondiaria. Nella variante
germanica l'individuo soppianterà, per così dire, lo Stato, organizzando la comunità a
proprio profitto, ma soccomberà anch'egli alla proprietà fondiaria, la cui preminenza
caratterizza la forma secondaria. Proprio per questo essa costituisce il cammino più
rapido verso l'ulteriore rapporto di servaggio, in cui il contadino è vincolato alla gleba
mentre la proprietà fondiaria viene accaparrata e dominata dalla gerarchia feudale.
Nelle varianti germanica e classico-antica, l'individuo modificherà maggiormente il
proprio rapporto con la comunità — trasformando contemporaneamente se stesso -
attraverso la dissoluzione dei primitivi rapporti comunitari, il che comporterà una
liberazione di nuove forze produttive.
Insomma, la forma secondaria si presenta ovunque come l'estremo sviluppo della
formazione sociale arcaica, che vi si determina negativamente instaurando alla fine lo
schiavismo o l'asservimento dei produttori. Se nella storia europea la comune agricola
assicurò la transizione dalla proprietà comune alla proprietà privata, nella variante
asiatica, in cui l'elemento collettivo conservò la preminenza, questo trapasso non giunse
a termine: l'ambiente fisico determina se l'evoluzione si attua in un senso o nell'altro.
Nella forma asiatica si opera, sulla base della distribuzione dei mezzi di produzione
nell'agricoltura, una scissione — che non diventa mai una opposizione — nei mezzi di
lavoro: da una parte, lo Stato detiene le funzioni economiche delle opere pubbliche che
servono di base all'attività degli individui, mentre le comuni locali ne organizzano le
attività direttamente produttive 93.
91
Cf. Marx, Il Capitale I, sez. V, cap. XIV, Plusvalore assoluto e relativo.
92
Cf. Marx, Il Capitale III, sez. VI, cap. 44, II.
93
Nel Capitale III, cap. 44, sulla Genesi della rendita in lavoro, Marx dà le seguenti
precisazioni sui rapporti asiatici di proprietà: "Supponiamo che il produttore diretto possieda qui
i propri mezzi immediati di produzione. Egli coltiva il suo campo ed esercita in modo autonomo
l'industria rurale domestica connessa. Questa autonomia persiste anche quando i piccoli
Insomma, a differenza delle varianti europee, in cui il dualismo tra proprietà
collettiva e proprietà privata è dato fin dall'inizio, sicché alcuni proprietari privati
giungeranno ad impadronirsi, più o meno apertamente, della proprietà collettiva, nella
variante asiatica, la proprietà collettiva della terra e del mezzo di lavoro a grande scala,
concentrata nell'Unità superiore dello Stato (o sovrano), impedisce la formazione
autonoma della proprietà privata vuoi tra i produttori immediati delle piccole comunità,
vuoi tra gli usurai, mercanti, ecc. che non possono accaparrarsi la terra.
L'Unità complessiva che sovrasta le piccole comunità figura qui come il
proprietario supremo, il proprietario unico, in quanto le comuni non godono in fondo
che del possesso ereditario del suolo. Inoltre, dal momento che comunità e individui
possono produrre solo grazie al lavoro collettivo, la base comunitaria è solida. L'unità
suprema, che in ultima istanza si incarna in una persona - il despota -, è di fatto
rappresentata dai lavori collettivi e dalle funzioni della burocrazia civile, militare e
religiosa. Abbiamo già sottolineato l’importanza dell'organizzazione militare quale
presupposto della riproduzione del processo di produzione. Nel Capitale I (sez. V, cap.
XIV) Marx dà un esempio di altre funzioni che derivano dal processo di produzione
immediato, e che poi a loro volta lo influenzano: la necessità di calcolare i periodi di
piena e magra del Nilo è all'origine dell'astronomia egiziana e, nello stesso tempo, del
dominio della casta sacerdotale come direttrice dell'agricoltura.
In queste condizioni, il prodotto eccedente (plusvalore) andrà in parte o totalmente a
questa Unità suprema che assicura le condizioni generali di esistenza e di produzione,
mentre il rimanente è direttamente consumato dalla comune locale e dalle famiglie che
la compongono. Queste ultime possiedono in proprietà privata gli strumenti primitivi da
utilizzare nel lavoro sulla parcella familiare, mentre le conoscenze tecniche e i mezzi di
lavoro sviluppati sono utilizzabili essenzialmente nelle opere pubbliche. Niente osta a
che le famiglie lavorino in comune i campi dai quali esse traggono i mezzi di
sussistenza, dal momento che sono co-proprietarie di parcelle più o meno equivalenti.
Gli appezzamenti possono essere individuali, mentre certi terreni (foreste, pascoli, ecc.)
rimangono proprietà comune indivisa, di cui ciascuno ha l'usufrutto secondo i propri
bisogni reali del momento. Questo rapporto, assolutamente accessorio e secondario in
seno alla variante asiatica, diventerà fondamentale nella variante germanica, una volta
che le tribù partite dall'India troveranno una base fondiaria in cui l'elemento essenziale
della forma originaria — l'irrigazione — non avrà più ragion d'essere.
L'autorità di cui il despota gode in quanto Unità suprema, può trasmettersi al
patriarca della comunità o delle diverse famiglie. La comunità deve la sua stabilità
all'unione indissolubile tra agricoltura e artigianato domestico che le consentono di
essere autosufficiente e formare un mondo chiuso e isolato.
Non solo queste società asiatiche durarono millenni, ma opposero altresì una feroce
resistenza al capitale: In India e in Cina, l'unità della piccola agricoltura e dell'industria
contadini - come avviene ad esempio in India - costituiscono comunità di produzione più o
meno primitiva, poiché qui si tratta soltanto di indipendenza di fronte al proprietario fondiario
nominale. Ora, questi produttori diretti non hanno rapporti con proprietari particolari, ma
direttamente con lo Stato, perché in Asia il proprietario è nello stesso tempo il sovrano. La
sovranità è qui la concentrazione su scala nazionale della proprietà fondiaria".
Nel Libro del Capitale (sez. IV, cap. XII, 4) Marx descrive l'organizzazione interna di una
comunità di villaggio in India, riprendendo i dati della sua lettera a Engels del 14 14 giugno
1853.
domestica costituisce la vasta base del modo di produzione, a cui s'aggiunge ancora in
India la forma delle comuni rurali basate sulla proprietà fondiaria comune, che era del
resto anche in Cina la forma originaria. E' in Cina, aggiunge Marx, che la resistenza fu
più viva 94.
Pag. 109
97 Cf. Marx, Il Capitale I, sez. IV, cap. XI, Cooperazione.
98 Cf. Marx, Il Capitale I, sez. IV, cap. XII, 2, L'operaio parziale e il suo strumento di
lavoro.
Nel testo italiano sulle Forme inseriamo qui gli undici capitoli che seguono per
poter meglio distinguere tra le tre varianti della forma secondaria, in ispecie tra l'antico-
classica e la germanica, che sono particolarmente difficili da distinguere poiché
contengono entrambe il dualismo tra la parcella inviduale e l’ager publicus (dominio
collettivo). Utilizzeremo questa volta a titolo di esempio il metodo proposto da Marx
per lo studio dei fenomeni storici: "La società borghese è la più complessa e sviluppata
organizzazione storica della produzione. Le categorie che esprimono i suoi rapporti e
che fanno comprendere la sua struttura, permettono di penetrare al tempo stesso nella
struttura e nei rapporti di produzione di tutte le forme di società passate, sulle cui rovine
e con i cui elementi essa si è costituita, e di cui si trascinano in essa ancora residui
parzialmente non superati, mentre ciò che in quelle era appena accennato si è sviluppato
in tutto il suo significato. L'anatomia dell'uomo dà la chiave per l'anatomia della
scimmia. Invece, ciò che nelle specie animali inferiori accenna a qualcosa di superiore
può essere compreso solo se la forma superiore è già conosciuta. L'economia borghese
fornisce così la chiave per l'economia antica” 101.
Nel Capitale, Marx ha spiegato ad esempio che l'Inghilterra a capitalismo
sviluppato indicava quale sarebbe stato lo sviluppo futuro della Germania che si trovava
nella sua fase iniziale. Ma il capitale non contiene soltanto i rapporti borghesi poiché nel
proprio sviluppo esso crea nel suo seno la base socializzata del comunismo. E' quindi
quest'ultima che, legata al proletariato rivoluzionario, da una parte spiega il movimento
di tutte le società anteriori (quella capitalista inclusa, che suscita l'economia che la
99
Cf. Marx a Engels, 14 marzo 1868.
100
Cf. Marx, I risultati futuri della dominazione britannica in India, in New York Tribune, 8
agosto 1853. Ora in K. Marx-F, Engels, India Cina Russia, cit, p. 90.
Il jat è una casta che si è sviluppata nel Nord dell'India. E' composta essenzialmente di piccoli
contadini. I bramini costituiscono una delle più antiche caste indiane.
101
Cf. Marx, Grundrisse, Introduzione, cap. 3, su II metodo della economia
politica.
soppianta) e, dall'altra parte, indica la dinamica che conduce al comunismo superiore a
partire dalle strutture sociali attuali in costante sviluppo.
Nella sua tesi su Democrito e Epicuro, Marx sottolineava che all'inizio del processo
di sviluppo le differenze — qui tra la variante antico-classica e quella germanica —
sono così minime da essere praticamente invisibili a occhio nudo, cosicché occorre
scoprirle al microscopio. Per contro, alla fine dell'evoluzione di ciascuna di queste
varianti, le differenze acquistano peso ed appaiono nitidamente se confrontate con
l'ulteriore evoluzione da esse subita nella forma sviluppata del capitalismo. Insomma:
"II fenomeno che si può scoprire in germe è più facile da osservare là dove i rapporti si
riscontrano in più ampie dimensioni. Quanto alle conclusioni generali, esse lasciano
aperto il problema a cui devono rispondere la ricerca e il confronto col corso reale delle
cose - di sapere se il risultato sarà confermato fino nei particolari" 102.
Si può certo seguire, per ragioni didattiche o di esposizione, lo sviluppo storico di
maturazione sempre più grande dei fenomeni, ma la ricerca segue la via inversa del dato
significativo, il che conforta anche il rigore delle dimostrazioni.
Le attuali strutture rappresentano infatti i rapporti nati nel passato e sviluppati nella
loro forma presente, ed è proprio il confronto storico che permette di esplicitarli
nuovamente facendo apparire le loro radici e la loro dinamica. Trattandosi di fatti
colossali, il loro senso è chiaro, se si hanno occhi per vedere: i grandi assi del prossimo
futuro si decifrano se si è stabilita la direzione in cui si muove l'organismo sociale dalle
sue origini.
Non abbiamo potuto capovolgere, in tutto il nostro esposto della Successione delle
Forme, l'ordine cronologico o genetico dei fenomeni attuali, per via della debolezza
delle forze di cui disponiamo per un tale sforzo di sistematizzazione e riordinamento,
sebbene questo non implichi un apporto teorico nuovo all'opera di Marx. Nella nostra
Introduzione, e più ancora nella Monografia che seguirà alle Forme, ci siamo limitati a
collegare l’attualità alle forme del passato e in questi pochi capitoli ad applicare, a titolo
d'esempio, il giusto metodo, che consiste nel rischiarare con il presente il passato e
viceversa, tenendo costantemente tra le mani tutto il filo dello sviluppo storico.
Nella base economica capitalista, tutti i rapporti sono gli stessi, in qualsiasi paese al
mondo. Ciò che invece cambia sono le sovrastrutture giuridiche, politiche, ideologiche,
religiose e artistiche che, per definizione, derivano dal passato, ossia dalle tradizioni
nazionali o locali, dalla storia articolare, dagli usi e costumi. Ora, le sovrastrutture
rappresentano le forze materiali ben reali. Esse proiettano negli spiriti le volontà e le
istituzioni sociali, le condizioni del passato, e, inoltre, permettono di "agire di ritorno"
sul divenire economico che esse modificano in una certa misura con “interventi
dispotici". In tutte le società di classe, il passato — a misura dell'invecchiamento di una
data forma — domina sempre più il presente, facendo gonfiare le sovrastrutture, utili
all'inizio per imporre i nuovi rapporti a tutta la società. La classe rivoluzionaria che
soppianterà la forma senescente rappresenta dunque il divenire, il futuro. Questa
dialettica spiega che le società di classe sovrappongono le sovrastrutture alla base
economica. La causa di questa sopravvivenza del passato nel presente è inerente al
rapporto borghese stesso: il capitale assorbe incessantemente lavoro vivo, immediato,
per trasformarlo in lavoro morto, alienato e reificato, facendo leva per questo sulle forze
produttive già precedentemente accumulate.
102
Cf. Marx, Dissertazione dottorale discussa a Jena nel 1841: Differenza tra le filosofie
naturali di Democrito e Epicuro in generale.
Ma passiamo alla nostra dimostrazione. Ancora oggi esistono grandi differenze
d'approssimazione dei fenomeni economici e sociali nei paesi di diritto romano, tra cui
l'Italia, nei confronti di quelli di diritto consuetudinario germanico, tra cui soprattutto
Germania, Inghilterra e Stati Uniti. Secondo il giusto metodo, il loro confronto ci
consentirà di meglio specificare le caratteristiche della variante antico-classica e poi
germanica, partendo, in entrambe, dalla definizione della struttura fondamentale: il
rapporto tra proprietà individuale e ager publicus romano o marca (dominio pubblico)
germanica. Tale rapporto fornisce anche la chiave per comprendere come la forma
dell'ager publicus abbia permesso di sviluppare lo Stato schiavista di classe, e la marca
lo Stato feudale ad esso succeduto.
Può sembrare paradossale che la forma più avanzata sul piano economico abbia
permesso soltanto di passare allo schiavismo, e la meno sviluppata al feudalesimo. In
realtà, Roma aveva assimilato tutte le conquiste economiche della variante asiatica, e
poi ancora fatto crescere fino al culmine le forze produttive sotto la forma schiavista, sì
che i Germani non dovettero far altro che elevare questa base economica sviluppata alla
forma feudale. Insomma, il feudalesimo scaturì dalla combinazione della base
economica fornita da Roma e i rapporti sociali dati dai Germani, senza che questi ultimi
dovessero ancora sviluppare le forze produttive, il che avrebbe condotto — a questo
livello — a una nuova impasse, poiché le forze produttive della forma germanica al loro
culmine avrebbero avuto bisogno di una forza esterna per uscire da un nuovo declino. In
breve, il circolo vizioso nel quale si era cacciata Roma sarebbe ricominciato. E' infatti
l'elemento più barbaro il fattore di rigenerazione di una società giunta a un punto morto
103
.
Già la variante antico-classica, che aveva sviluppato lo schiavismo fin nella
produzione, aveva ripreso le conquiste tecniche di una forma economica più avanzata,
imprimendole rapporti sociali barbari, più primitivi. Ed è stata ancora la resurrezione dei
legami di solidarietà della marca (comunità) primitiva che ha permesso ai contadini
asserviti di emanciparsi dalle pastoie che li legavano alla terra, i legami comunitari
essendo stati usurpati dalla gerarchia feudale che deteneva la proprietà comunale sugli
strumenti di produzione attraverso cui essi estorcevano plusvalore ai contadini (corvées
effettuate nei domini feudali). Engels propone ai moderni proletari, in ispecie
dell'agricoltura e della grande industria, di organizzarsi nuovamente nella lotta in modo
solidale come nella marca o comunità primitiva, per espropriare gli usurpatori della
grande proprietà agricola e delle immense fabbriche 104.
103
Nel nostro testo abbiamo considerato in primo luogo la forma antico-classica che è evoluta
nello schiavismo, e poi quella germanica, che, benché non abbia raggiunto l'elevato livello
economico della prima (e neppure della variante asiatica), ha assicurato il passaggio delle
acquisizioni di tutta la forma secondaria al feudalesimo. Non è stata quindi una mancanza di
"civiltà" a provocare la decadenza di Roma e il ritardo dell'Oriente - al contrario.
In realtà, nella forma secondaria i rapporti non erano ancora abbastanza
sviluppati per provocare una differenziazione sufficiente delle strutture e delle
classi che permettesse a una di esse - come la borghesia nel feudalesimo o il
proletariato nel capitalismo - di essere una classe contemporaneamente in e fuori
di queste società, per assicurare, a partire dalle sue contraddizioni interne, il
trapasso alla forma superiore.
Cf. Engels, La marca, nota nell'ultima pagina (Zurigo 1883), in Storia e lingua dei
104
Germani.
Formalismo e divenire vivente
Le sovrastrutture si ricollegano alle tradizioni del passato per pesare sugli spiriti e
far prevalere, a profitto delle classi dominanti, negli interventi sulla base economica, il
passato sul presente e l'avvenire; esse testimoniano la più alta esperienza raggiunta da
una comunità o da una nazione. Così l'Italia è e resta, come pure gli Stati Uniti, un paese
di schiavisti nati. La donna e i bambini sono posti sotto l'autorità del patriarca e, nel
capitalismo, la disoccupazione femminile non fa che aggravare ulteriormente questa
sottomissione. Engels stabilisce il seguente paragone: "Il Romano considera la fedeltà
coniugale largamente garantita dal potere di vita e di morte che egli aveva sulla moglie
(chiaramente legato al diritto d'abuso del proprietario. N.d.T.)... Invece, tra i Tedeschi le
donne godevano di un'alta considerazione ed avevano un notevole influsso anche negli
affari pubblici, il che contrasta direttamente colla dominazione dell'uomo nel
matrimonio monogamico" 110.
A Roma la forma schiavista, che subisce il produttore al livello dello strumento di
produzione, ha fatto dell'artigiano un meteco che abita fuori della città propriamente
detta senza alcun diritto politico di cittadinanza. Nella Germania feudale, di contro,
l'artigianato era altamente considerato; fu questa l'epoca d'oro del lavoro: le differenze
tra i rapporti di produzione nel passato spiegano le diverse reazioni dei popoli latini in
confronto a quelli germanici. Il cattolicesimo, ad esempio, è più italiano, mentre il
protestantesimo è più germanico o meglio capitalista all'inizio. Il primo è formalista, ha
riti e cerimonie 111: il peccatore va a confessarsi, finge di pentirsi e può poi ricominciare
110
Cf. Engels, l'Origine della famiglia, cap. IÌ, La famiglia. Se si parla tanto d'amore in Italia
è in maniera completamente mercantile e monetaria, nel senso in cui il denaro comanda le merci
in una bottega. E' un mezzo per dominare l'altro carnalmente - fottendolo.
111
I popoli germanici sono contemporaneamente i popoli più giovanili e più barbari, e i latini
i più carichi di storia e "civilizzati". Ciò si legge ad esempio nella religione: il cattolicesimo è
pieno di riti formali, di pompa e di salamelecchi. La natura umana vi è complessa e sinuosa,
come il mercantilismo che unisce i contrari negli scambi. Il protestante è senza rito, che è
ulteriore, più profondo: è la religione del capitale che spinge il dovere e il rigore fin dentro gli
spiriti e i cuori.
a peccare — donde l'attitudine doppia, ipocrita. Il protestantesimo fa di ogni fedele il
prete di se stesso ed esige che la teoria sia coerente alla prassi: esso piega e disciplina
gli spiriti. I tedeschi sono così un popolo di teorici.
Un secondo esempio: le tradizioni schiaviste rendono il corpo oggetto di proprietà e
di dominio delle classi oziose al potere, e in Italia il padrone non si accontenta di
disporre delle ore di lavoro e della forza lavoro, ma vuole anche dominare il corpo dei
suoi subalterni. Così il padrone italiano trova del tutto normale, come un borghese che
ha dei domestici, chiavare i suoi dipendenti — uomini, donne e bambini. Gli infortuni
sul lavoro sono più numerosi in Italia che altrove. Il padrone se ne frega dei lavoratori
quanto l'imperialista americano dei popoli di colore: è prezioso solo quel che è raro,
mentre gli esseri umani brulicano ovunque, soprattutto nelle regioni povere.
Insomma, in Italia si sottomette il corpo mentre si permette alla testa di dire e
pensare a piacimento. Le idee non sono conseguenti. Un buon trafficante le compra sul
mercato ed esse si modellano secondo i bisogni dell'acquirente. In Germania i corpi
passano in secondo piano e non vengono considerati, poiché "è sufficiente" orientare gli
spiriti nel senso utile alla collettività, cioè al capitale. Vediamo così i due lati
complementari del mondo borghese rappresentati in Italia dall'arbitrio e dal dispotismo
sfrenato del capitale, e in Germania dall'ordine sistematico ed efficiente. Il fascismo
totalitario è nato in Italia e in Germania, come dispotismo sui corpi e sugli spiriti - e gli
USA, essendo il paese capitalistico più sviluppato, ne hanno ripreso l'intera eredità.
Se la Germania è il paese dell'organizzazione, l'Italia è quello dell'arte. Lo schiavo,
se ha un bel corpo, si vende meglio sul mercato e la sua sorte sarà probabilmente più
leggera. In questa giungla sociale si è dunque sensibili ai vantaggi individuali. Ai giorni
nostri l'estetica è un modo per fregare il prossimo: poco importa la qualità del prodotto,
purché sia bello e ben presentato. Al contrario, la Germania pubblicizza le qualità utili,
tecniche, della sua produzione.
Nella sua evoluzione, il capitalismo parte, per così dire, dalla forma di dominazione
ancora personale delle forme preborghesi, per giungere alla forma sociale organizzata,
sistematica ed efficiente, della produzione e della vita sociale: il capitale senile si
spersonalizza con le società anonime, i trust, i cartelli, ecc., sebbene l'arbitrio e il
dispotismo corporale trovino ancora posto nella sempre più mostruosa evoluzione di
questo modo di produzione ormai sorpassato. La forma "italiana" prevale soprattutto nei
paesi capitalistici poco sviluppati, mentre quella tedesca s'impone nelle metropoli
superindustrializzate. L'Italia di oggi fa sempre più parte di entrambi,
industrializzandosi, e non può superare né il suo passato, né gli inizi del capitalismo,
quando il borghese era padrone assoluto della sua impresa e dei... suoi dipendenti.
D'altronde, se il prodotto non viene ripartito alla conclusione del processo di lavoro,
secondo l'apporto di ciascun fattore della produzione, ma viene appropriato dal
proprietario, essendo gli operai semplicemente salariati, è perché nelle forme
preborghesi il padrone della terra era proprietario di tutto, del prodotto, degli strumenti,
dei produttori e della terra. Chi lavora riceve a malapena i mezzi di sussistenza per
vivere.
Alla fine del capitalismo il tipo di proprietà assoluta del diritto romano tende così a
diventare anonimo - diciamo germanico — ma unicamente per quel che riguarda i
mezzi di produzione, il prodotto. Il capitale se ne frega della proprietà, quel che gli
importa è il plusvalore. I migliori clienti del padrone possono essere anche i suoi operai
che sono liberi e devono pure partecipare al consumo e al godimento (certo solo nelle
metropoli capitalistiche). Il tipo di proprietà approda allora al diritto consuetudinario
tedesco, non formalista. Il produttore non è più un puro e semplice oggetto di
appropriazione. La proprietà da personale diventa sociale e il totalitarismo del capitale
sugli uomini diventa più pesante. Siamo al fascismo, cioè al dominio borghese sui corpi
e sugli spiriti.
Vediamo ora in qual modo le attività sovrastrutturali della società borghese trovino
origine e modello nei vecchi modi di produzione, giacché il capitale si appoggia al
passato per dettare i propri comportamenti, non potendo evolvere contemporaneamente
alle forze produttive, riformarsi e trasformarsi cioè al punto da rendere superflua
qualsiasi rivoluzione intesa a colmare lo iato tra modo di produzione e modo di
distribuzione o d'appropriazione.
Nella variante antico-classica greca e romana, la proprietà assume, di primo acchito,
un aspetto formalista, per diverse ragioni: 1. essa è economicamente più sviluppata a
confronto della variante germanica, avendo la Grecia e Roma formalizzato le conquiste
economiche e sociali dell'Oriente; 2. ne consegue che la proprietà dell'appezzamento
individuale e delle terre collettive della variante antico-classica evolveva già in Grecia e
a Roma verso la proprietà privata e la proprietà statale, mentre nella forma germanica la
parcella era piuttosto di possesso, dunque d'uso e non d'abuso, dimodoché la proprietà
collettiva vi era meno sviluppata, meno statale, più localmente determinata, ad esempio
comunale. In breve, la proprietà collettiva non è così direttamente pubblica, ma più
organizzata, dalla comune, al distretto, al paese, alla confederazione di paesi, così che
presenta in embrione il modello della società gerarchizzata del feudalesimo.
Uno stesso rapporto determina parcella e dominio pubblico, benché le due forme di
proprietà siano in opposizione, o meglio si trovino ai poli opposti. La mediazione tra
esse è infatti sempre di natura sociale o addirittura già politica — soprattutto a Roma
dove ogni proprietario di una parcella è membro della comunità statale, dunque
cittadino romano, e perciò partecipe del demanio pubblico (ager publicus).
Tuttavia ad un certo punto dell'evoluzione, il rapporto diviene puramente politico: è
cittadino romano solo chi è proprietario di una parcella di terra e la perdita della
proprietà comporta la perdita dei diritti politici (sociali). Ciò è possibile solo perché un
primo passo è stato compiuto in questa direzione: non si lega già più la proprietà
all'atto produttivo di natura economica, ma all'appartenenza, divenuta formale, alla
comunità. Tale fatto sociale si rivela dunque ben presto politico, essendo subito staccato
dalla appropriazione economica, dalla gestione, dall'uso. 3. A dominare è quindi a
Roma la proprietà giuridica, politica, astratta dall'attività economica, lo Stato che
determinerà quanto prima la posizione economica dei cittadini — ed evolve in maniera
classista, divenendo lo strumento di chi è ancora proprietario — e sempre più grande
proprietario. In una tale società, la sovrastruttura giuridica ecc. — il titolo di proprietà, il
diritto, la politica — prevalgono sulla gestione economica. Servendosi dell'arma
politica, i ricchi pongono i loro concittadini, rovinati ed espropriati, sotto la loro
dipendenza, e siccome i ricchi non lavorano nella produzione ma si occupano degli
affari pubblici (res publicae), riducono i loro creditori al rango di schiavi privati di ogni
diritto civile nella società. 4. L'opposizione tra parcella privata e demanio pubblico
sorge allorché ambedue rientrano nella proprietà privata. Da ciò consegue: a) che il
proprietario della parcella può perderla, pur continuando a lavorarla (per il patrizio); b)
che il patrizio accumula le parcelle dei concittadini che ha rovinato; e) che l'influenza
del patrizio sul demanio pubblico (lo Stato) diviene tanto maggiore quanto più ha
concentrato parcelle di ex-proprietari da lui rovinati e di cui egli accumula i diritti
pubblici di cittadinanza sulla comunità, la quale, via via che una classe acquista la
posizione predominante, evolve in Stato. Lo Stato è nato sulla base della proprietà
privata, a cui l'appropriazione romana si avvicina ben più di quella germanica o asiatica.
Riassumiamo brevemente: presso i Germani, il possesso, l’attività utile, efficiente,
economica, l'atto produttivo, prevalgono sul diritto o titolo di proprietà. A Roma la
forma o il rapporto di distribuzione prevale sul contenuto, l'atto della produzione,
mentre presso i primi la funzione economica, il valore degli oggetti, del processo di
lavoro e dei produttori ha la precedenza. Perciò la forma germanica è a tal punto capace
di evolversi secondo gli imperativi dello sviluppo delle forze produttive.
Nella variante asiatica la dualità del piccolo possesso e delle grandi opere (lavori
d'irrigazione, ad esempio) è mediato dal possesso collettivo tramite appartenenza alla
comunità. La variante antico-classica lega la proprietà allo Stato politico che ha
assorbito in sé la comunità primitiva: quindi chi perde la proprietà personale perde i suoi
diritti politici (sociali) e la proprietà sui beni pubblici. E' rovinato e cacciato fuori dalla
nazione. Presso i romani non ci si alza ancora a questo livello di proprietà, ma il
possesso mediato dalla comunità è legato al fatto economico dell'utilizzazione o
dell'appropriazione della terra sotto forma di parcella individuale (o familiare) di
demanio pubblico. Si è possessore o Germano in quanto si utilizza e ora la terra. Il
possesso diviene piuttosto usufrutto che proprietà privata con il diritto d'abuso. Al
demanio pubblico si partecipa sul piano economico e produttivo: raccattando legna nella
foresta comune, pascolando le proprie vacche sui prati comuni, utilizzando le strade
pubbliche, combattendo per difendere beni di tutti, partecipando alle assemblee per
intervenire negli affari pubblici 112. All'inizio le tradizioni sono dunque la concertazione
comunitaria, l'organizzazione razionale delle attività, le necessità pratiche della
produzione e della vita in comune. Mentre a Roma il rapporto è politico, presso i
Germani esso è economico. A Roma i proprietari detengono il potere, e la proprietà è
assoluta - ed essi trasferiscono il dominio che hanno sulle cose, sugli uomini, donde il
diritto assoluto, d'abusare persino, di cui soffriranno i produttori-schiavi 113. Il diritto
112
Il famoso senso dell'organizzazione dei tedeschi affonda indubbiamente le radici in un
remoto passato, nel fatto che la forma di possesso, piuttosto che di proprietà, della parcella e
della marca (dominio pubblico) era legata alla gestione o all'uso razionale della terra e degli
strumenti di produzione. Siccome le terre demaniali o comunali erano a disposizione di chi le
usava per un adeguato sfruttamento, questo servizio escludeva l'abuso proprio perché non
conosceva che un uso che non intaccava la ricchezza fondamentale. Ora, ciò implicava il
controllo di tutti i membri della comunità, il che esigeva che l'uso fosse giustamente ripartito
tanto per il lavoro richiesto, la parte di demanio concessa, che per la parte del prodotto ceduta al
singolo. Insomma, è tutto un problema di ripartizione e d'organizzazione tecnica in un accordo
generale. Questa gestione collettiva conforme alle esigenze reali favorisce lo spirito
comunitario, sempre onnipresente, mentre il diritto di abuso romano è manifestatamente legato
all'individualismo, alla Persona, padrona e signora di se stessa.
113
Il diritto di abusare delle cose possedute manifesta una chiara ideologia e
prassi di classe, e ha radici e ramificazioni nei rapporti sociali in generale, e non
giuridico di proprietà soppianta, in tal modo, le esigenze economiche eclissando perfino
il valore d'uso. Futilità delle cose, a vantaggio del valore di scambio mediato dal denaro,
supremo mezzo di espropriazione delle masse. La forma di distribuzione prende qui il
sopravvento sull'interesse delle forze produttive, e di fatto i patrizi se ne fregano della
produzione, in cui essi non degnano metter piede.
Di contro, le esigenze della gestione parcellare e collettiva degli immobili prevale
invece presso i Germani: la produzione prevale sulla forma di proprietà, — ed è
Bismarck a prendere la testa della rivoluzione borghese. Le stesse classi dominanti
trovano la loro giustificazione solo nella funzione economica e non nel titolo di
proprietà garante del potere politico dello Stato 114. I signori feudali hanno concluso,
secondo il modo germanico, un patto di accomandazione con i contadini: voi fate del
sopralavoro sulle nostre terre, o altrove, e noi vi garantiamo la sicurezza per poter
esercitare l’agricoltura o l'artigianato e perfino il commercio. Se occorre, ci batteremo
per voi fino alla morte, cavallerescamente. Se nel Medio Oriente, nell'Asia centrale e
nell'Africa del Nord, ecc., ampie fasce di terra furono trasformate in deserti, e i
contadini rovinati da una semplice invasione di nomadi in cerca di saccheggio, ciò
avvenne per mancanza di un tale patto produttivo di tipo feudale.
La borghesia, anche se non lavora, si immischia della produzione 115: controlla,
dirige, investe, sceglie i prodotti, i macchinari, ecc. ecc., e ha il il culto del lavoro, ad
usum degli operai. All'alba del capitalismo, si eleva un no universale al lavoro, fonte di
tutte le ricchezze. I mendicanti e coloro che sono fuggiti dalle fabbriche vengono
marchiati a fuoco e riportati con la forza pubblica sul posto di lavoro. L'Italia ha
soltanto nel Codice giuridico. Lo si trova, per esempio, non appena una funzione,
nella divisione del lavoro sociale, si autonomizza, sì che i detentori di tale
funzione possono esercitare una pressione, o addirittura un ricatto — abusare —
nei confronti dei loro mandanti che divengono degli amministratori e persino dei
sudditi. Benjamin Constant spiega che la morale delle prime semplici religioni, del
feticismo iniziale, era costituita da regole salutari ai corpi e agli spiriti, una sorta
di codificazione dell'esperienza accumulata dalla comunità e conservata da alcuni
(i preti) a profitto di tutti. Ora, quando i preti divennero una casta o un clan
sclerotizzato, aprirono la porta agli abusi e all'arbitrio, inventando, ad esempio,
strane regole di condotta: "All'inizio il politeismo greco è in generale estraneo ai
doveri fittizi Per contro, nelle religioni sacerdotali, l'uomo è imbavagliato dai
comandamenti e divieti arbitrari... Non avendo più il diritto di consultare la
propria coscienza, non è mai certo di non aver offeso la divinità". E la religione
cattolica raccomanda oggi, di conseguenza: "Signore perdonami dei peccati che
non conosco" (Salmi, 19, 13).
114
Valendosi del loro titolo di proprietà sanzionato dallo Stato in virtù di un contratto
giuridico di prestito, i patrizi, malgrado non esercitassero alcuna funzione economica nella
produzione, in ispecie agricola, espropriarono i loro compatrioti annettendosene le terre che
facevano poi amministrare da schiavi, cui il lavoro — indegno di un patrizio — era riservato.
115
Dato che nei rapporti borghesi il lavoro è salariato, il capitalista quando
agisce come dirigente, realizzatore del prodotto nella circolazione, come
finanziario che anticipa il capitale, ecc., non lavora e non riceve quindi salario.
Proprio per questo, Marx dice che esso è ozioso in senso economico. Ciò non osta
a che egli svolga le funzioni — o le faccia svolgere da altri — del capitale, e
prelevi per questo il profitto, che è deduzione sul prodotto del lavoro dei
produttori. Le funzioni e le loro spese sono dunque deduzioni del prodotto dei
salariati produttivi.
conosciuto più particolarmente — dato il suo contributo alla formazione del mercato
mondiale con la rete di scambi commerciali e bancari — la funzione della distribuzione
mercantile, monetaria e perfino finanziaria. Il capitale industriale si è sviluppato invece
nei paesi di diritto consuetudinario germanico — in Inghilterra e in Germania più
ancora che nella mitigata Francia.
Se la distribuzione è la miglior rappresentazione della forma d'approriazione o di
proprietà, la produzione esprime meglio la dinamica di una forma economica 116.
Entrambe sono inerenti alle società di classe, ma l'una tende costantemente a prevalere
sull'altra. Dato che nella forma germanica la parcella non era di proprietà assoluta, ma
d'uso economico, tutti i membri della comunità avevano il diritto di controllo sul buon
uso dell'immobile, sia parcelle che beni comunali, ecc. Donde questa razionalità del
comportamento economico e pratico, come la profonda conoscenza tecnica dei processi
economici. Il modo di fare è quindi sociale, utile, e non, come nel diritto d'abuso della
proprietà, antisociale. I tedeschi moderni hanno — se questa parola ha un senso — una
democrazia economica e non politica. Essi hanno un senso teorico ed economico più
che politico, mentre per esempio i francesi, avendo un senso eminentemente politico,
nel corso della loro rivoluzione borghese si riallacciarono alla Grecia e a Roma antica.
E' solo nel proletariato, con lo sviluppo storico, che queste unilateralità nazionali hanno
tendenza ad attenuarsi, sebbene esse non appaiano nei periodi di arretramento o
d'involuzione, quando il passato domina più tirannicamente il presente.
In tal modo i modi di produzione del passato forniscono la chiave per intendere le
sovrastrutture giuridiche, politiche e ideologiche di oggi, poiché lo iato tra base
economica e sovrastrutture si allarga sempre più nel corso dello sviluppo delle società di
classe in generale, e di ciascuna forma di produzione in particolare. Lo studio delle
forme di produzione del passato è dunque quello delle forme di coscienza e delle
istituzioni d'oggi ed in questo senso è attuale 117. Malgrado la raggiunta socializzazione
116
La concezione secondo cui il lavoro avrebbe delle virtù in sé, perché utile, efficiente e
proficuo a tutti, è profondamente radicata in Germania proprio per le sue tradizioni non
schiaviste. Questa concezione acquista credito anche in larghi strati operai soprattutto in periodo
di riflusso rivoluzionario. Essa costituisce la base dell'operaismo diffuso dalle classi dominanti,
del riformismo e del fascismo o nazionalsocialismo. Questo operaismo è ugualmente diffuso dai
sindacati opportunisti che pretendono che si debba col lavoro accrescere l'insieme della torta
prima di rivendicarne una parte maggiore. Esso trionfa sotto questa stessa forma
nell'economismo dei paesi anglosassoni dove la collaborazione di classe si fa a partire dagli
interessi economici con una svalutazione delle rivendicazioni politiche e rivoluzionarie: cf.
Lenin, Che fare? L'operaismo lusinga i lavoratori, ne esalta la condizione e perpetua così i
rapporti salariati di sfruttamento — il che lascia in piedi tutte le strutture fondamentali del
capitale, e dunque i privilegi delle altre classi, tra cui le più infette sono proprio quelle che
vengono ritenute le più nobili e sublimi: medici, professori, artisti, ingegneri, ecc. Ora, alla fine
del capitalismo, tutte le funzioni economiche sono svolte da salariati che "lavorano" tutti,
mentre la macchina soppianta sempre più il lavoro muscolare, per la somma gioia
dell'aristocrazia operaia che non ha occhi che per l'economia. Le tradizioni "germaniche"
divengono allora l'ideologia dominante delle metropoli supersviluppate del capitalismo, tra le
quali aspira allinearsi anche l'Italia borghese, che oscilla tra la concorrenza con i capitalismi
sviluppati e i continenti di colore attardati.
Con lo schiavismo è nato il deprezzamento e la degradazione del produttore,
117
mentre i privilegi economici e sociali vanno alla classe degli oziosi. Il capitalismo
ha completamente rovesciato, nella distribuzione e nell'ideologia, la norma
secondo cui tutte le ricchezze sono prodotte dal lavoro, per far prevalere il criterio
secondo cui quanto più un operaio si sfianca nella produzione e quanto più la sua
delle forze produttive il capitalismo non può scacciare Dio, l’Io, la proprietà privata, il
feticismo della merce, ecc. ecc., sebbene queste nozioni corrispondano ormai a modi di
produzione arcaici. E' nel nome di queste entità, oggi svuotate della loro stanza, che
pensano e agiscono tutti i difensori dell'Ordine stabilito e i loro lacché, tanto numerosi
nelle fila operaie, aristocratizzate da poche briciole del banchetto capitalista.
giornata lavorativa è lunga e mal pagata, tanto più egli è schernito e non
considerato, mentre, dall'altra parte, quanto meno una attività è faticosa e quanto
più è breve, quanto meno esige sudore forzi e tanto più è pagata ed è elevata nella
gerarchia delle funzioni della società. Insomma, quanto più duramente si lavora,
tanto più si è in basso nella scala sociale. La scienza e le arti servono ai furbi per
procurarsi privilegi privati, prelevati su quanti sono la produzione e vi creano le
ricchezze.
118
Così il capitalismo italiano, che ha radici profonde nella più sviluppata forma schiavista
della storia umana, ha appena utilizzato questa esperienza per concludere un suo affare: il
governo cinese che affitta a distanza 400.000 dei suoi soggetti per la più grande felicità della
industria italiana e gli "scambi fruttuosi" con il "socialismo". Nelle forme sorpassate, il "genio
inventivo" o meglio l'affarismo degli italiani scopre nuove soluzioni per l'imperialismo in
generale. Bell'esempio di utilizzazione dell'esperienza passata, riattualizzata nelle odierne
sovrastrutture dello Stato per gli interessi immediati del capitale.
opprimerli. Di contro, nel comunismo primitivo, la famiglia, la consanguineità, la
solidarietà, la cooperazione in seno all'unità sociale della tribù rappresentavano le
condizioni di produzione e di riproduzione dell'insieme. Solo includendo l'interazione
della base economica e dei rapporti sociali o sovrastrutture è quindi possibile afferrare
lo sviluppo di una forma di produzione e il suo passaggio a un'altra.
La genesi dello schiavismo attraversa tre tappe che segnano il passaggio alla società
di classe: dissociazione della famiglia che diviene un rapporto conflittuale, sostituzione
dell'appropriazione comunitaria con la proprietà privata, coronata dallo Stato di classe
che testimonia il rovesciamento dei rapporti sociali della forma primaria in confronto
alla secondaria; dominazione della società reale ad opera della società ufficiale, e
assoggettamento della classe lavoratrice alla classe dominante, ecc.
Nella forma secondaria, specie in origine, il fenomeno delle classi — la cui lotta è il
motore della storia - è ancora soltanto in divenire. Nel tempo e nello spazio, vi sono,
anziché le classi, tre strati o — secondo l'espressione di Marx — tre varianti successive,
la cui interazione farà avanzare la forma nel suo complesso, o addirittura ne assicurerà il
passaggio alla seguente.
Dalla variante asiatica derivano gli elementi che innescarono l'evoluzione storica in
Europa. L'antico-classica sviluppò la variante-madre innestando sugli apporti economici
di questa i rapporti giovanili che spinsero le forze produttive ad un livello superiore in
una nuova area geografica conquistata al progresso umano, e servì poi — raggiunto un
certo livello — da base per un ulteriore sviluppo, cui diedero impulso ora i rapporti
della variante germanica 119.
volte nella zona inferiore del paese dove esisteva il pericolo di essere attaccati dai
vicini Stati asiatici. Le colonie erano limitate all'Alto Nilo, poiché gli Etiopici non
erano avversari temibili. Questo spiega come la forza dell'esercito si trovi nella
fanteria (come a Roma e presso i germani dove i contadini rappresentavano la
forza viva della nazione), e particolarmente negli arcieri", cf. l'Esercito, in The
New American Cyclopaedia, vol II, 1858, p. 124. Le rivoluzioni in Asia non
pervennero a spezzare l'egemonia della casta dei preti, che restano la fazione
decisiva delle classi dominanti, donde l'ipertrofia della sfera intellettuale. La
storia getta degli archi anticipatori al di sopra delle epoche e delle forme di
produzione, così come crea gli elementi di stagnazione e di conservazione del
passato.
125
I patrizi hanno progressivamente usurpato i dominii pubblici che erano beni
collettivi, appropriandosi un recente progresso - la formazione embrionale delle
nazionalità sullo slancio della confederazione delle tribù in popoli, e
successivamente della federazione dei popoli. In realtà, questi fatti sociali
permisero un considerevole viluppo delle forze produttive, poiché le marche o
fasce di protezione (foreste, steppe, paludi, montagne, ecc.) che separavano il
territorio di una tribù dall'altra, furono progressivamente colonizzate e
incorporate nella sfera d'attività di una comunità in espansione. La forma
schiavista, superiore al modo di produzione anteriore, s'estese nello tesso tempo a
spese delle piccole parcelle dei membri della comunità. Questi due movimenti
andarono di pari passo sfociando nella dissoluzione degli organi di sintesi della
comunità arcaica e nella loro sostituzione con lo Stato di classe. Il progresso delle
forze produttive ha incominciato col minare le forme troppo anguste delle tribù,
quindi della federazione di tribù, e i patrizi hanno dovuto solo prendere la testa
dopo aver rosicchiato e scalzato la base locale, divenendo la potenza economica
più concentrata. Basandosi sullo sviluppo delle forze produttive, i patriarchi come
i patrizi videro i loro dominii ingrandirsi parallelamente alla rovina delle piccole
comunità tribali. Lo schiavismo andò di pari passo quindi alla formazione dei
dominii dei padroni di armenti o di schiavi. L'accaparramento era tuttavia una
forma mascherata e insidiosa, come lo stesso schiavismo fu latente, cioè
domestico, finché rivestì una forma pastorale, il che presuppone precisamente
grandi estensioni di terra. E' evidente che lo schiavismo che fissa i produttori al
suolo consentendo uno sfruttamento agricolo o minerario ecc. più stabile
dell'attività pastorale nomade, doveva immancabilmente soppiantare il patriarcato
che rimaneva legato a forme più limitate e più anguste ed era inoltre gran
dissipatore di terre. La sua debolezza era sia militare (poiché l'unità produttiva
era troppo piccola per organizzare la difesa contro le compatte ondate dei popoli
migratori) che economica (poiché l'agricoltura è finalmente più produttiva del
solo allevamento). Questo bastò ad eliminare lo schiavismo domestico laddove
trovava le condizioni per svilupparsi in aperto schiavismo che rovinò la serena,
ma ipocrita figura del patriarca.
concittadini di cui i patrizi si accaparrano le terre - il che introduce una frattura di classe
all'interno dell'antica comunità che susciterà le prime guerre civili o rivoluzioni.
Se rimangono liberi cittadini romani non cadono nella schiavitù, ma sotto la tutela
di colui che detiene la terra. Nella formazione di grandi proprietà rientra dunque anche
l'usurpazione delle terre collettive (ager ublicus) il che permette ai patrizi di imporre
alla comunità il loro Stato di classe che applica la loro politica e assicura il loro dominio
sui concittadini. guerre, crisi e altre calamità naturali e sociali contro cui la parcella
privata non può proteggere il suo proprietario portarono a questo stato di fatto
soprattutto in un mondo divenuto sporadicamente monetario e mercantile, dove tutto si
vende e compra e l'espropriazione riveste dunque la forma ipocrita della vendita libera e
volontaria.
Durante i primi cinquecento anni, a Roma ogni cittadino era proprietario, e
continuava a sussistere grosso modo quella che Marx chiama la forma antico-classica: la
parcella romana a fianco dell'ager publicus (dominio o terreno pubblico). I costumi
erano semplici e tali si mantennero fino alla vittoria di Roma su Cartagine e la
Macedonia: il buon cittadino era buon agricoltore e buon soldato, virtù cardinali
dell'antica Roma. Fino a quel momento lo schiavismo era piuttosto marginale; le
premesse per il suo sviluppo furono le lotte tra creditori e debitori, patrizi e plebei, che
causarono l'espropriazione di gran parte della popolazione e la formazione di grandi
possedimenti nelle mani dei patrizi. Questi grossi contadini, divenendo creditori dei loro
concittadini in difficoltà durante guerre e altre calamità, finirono con l'accumulare le
terre dei loro debitori. Ben presto affiancarono alla terra dei giornalieri, addirittura degli
schiavi, e smisero di lavorarla essi stessi. La colonizzazione non poteva ristabilire la
situazione di partenza con una uguale ripartizione di parcelle ad ogni romano. La
distribuzione del suolo diviso in parcelle ai soldati non avrebbe rimesso in causa
l'evoluzione della madrepatria.
Essendo infatti questa distribuzione legata ai rapporti politici di classe ed essendo i
patrizi alla testa dell'esercito e dello Stato, la terra conquistata sarà o spezzettata e
concessa ai soldati o addirittura alla popolazione locale contro un canone di affitto e
questi contadini si troveranno legati in maniera più o meno mascherata alla terra in un
sistema che prefigura le condizioni di trapasso al feudalesimo col servaggio, oppure
trasformata in dominii schiavisti — sempre in favore dei patrizi. Lo schiavismo non è
tanto diverso dal servaggio, che peraltro rappresenta una soluzione più evoluta.
Ad ogni modo, nelle condizioni sociali ed economiche in cui la terra o il lavoro
spontaneo della natura si rivela più produttivo del lavoro aggiunto alla terra dalla mano
dell'uomo, la predominanza va al proprietario del suolo poiché egli possiede la
"macchina" più produttiva, il che gli dà anche la condizione dell'accesso a questa
"macchina" — il potere, i mezzi coercitivi giuridici e militari dello Stato. La soluzione
sarà dettata dalla potenza MILITARE che comanda hic et nunc — plebeo o patrizio; in
altri termini: è comunque la forma dominante della proprietà fondiaria — parcelle o
grandi possedimenti - che deciderà della soluzione.
Il mercantilismo con i suoi scambi monetari gioca peraltro un ruolo di primo piano
nella nascita dello schiavismo, poiché permette ai patrizi, da una parte, di comprare le
terre dei loro concittadini, dunque di spogliarli, e, dall'altra parte, di acquistare gli
schiavi fatti prigionieri dal loro Stato nel corso delle guerre di razzia. A misura che
questi scambi diventano più numerosi, il mercato si apre più largamente ai prodotti dei
patrizi che vi realizzano il plusvalore che hanno estorto.
I fisiocratici, che furono i primi teorici del capitale, consideravano ancora il lavoro
agricolo come il solo produttivo - con una patata se ne ottengono dieci, dunque un
plusvalore tangibile, mentre l'industria non modifica che la forma della materia ed ha
bisogno del denaro per quantificare plusvalore. Non è dunque a caso che capitale deriva
da caput, testa di bue, che coniato servì contemporaneamente da simbolo - poi da
equivalente — di quel bene e da moneta di scambio, di modo che la ricchezza cominciò
a dissociarsi gradatamente dalla proprietà fondiaria per autonomizzarsi, sulla base di
scambi mercantili, in una nuova categoria - il denaro, il padre del capitale, che si
sostituisce al dominio della proprietà fondiaria. Infatti, esso fa passare la merce forza
lavoro che ha comprato dalla sfera della circolazione a quella della produzione con il
modo di appropriazione borghese del plusvalore, mentre gli scambi monetari e
mercantili (tra equivalenti) erano prima — nella fase preparatoria del capitalismo —
sterili e improduttivi perché limitati alla sfera della circolazione. Il denaro subisce,
insomma, col capitalismo, una metamorfosi paragonabile a quella degli schiavi
domestici del patriarca rispetto agli schiavi tout court dei patrizi. La storia si ripete, ma
mai allo stesso modo.
E' la fase di decomposizione di una forma di produzione che rivela, allorché se ne
sprigionano i rapporti sociali successivi, quale l'intimo e rotondo significato della nuova
forma o struttura di produzione 126. L'analisi nasce dalla divisione ed è dissociazione e
riduzione al semplice.
Tra le strutture della forma primaria e secondaria, è il patriarcato che esprime la
dinamica nel senso negatore di dissoluzione della forma anteriore e
contemporaneamente di preparazione della nuova, che introduce le infami società di
classe. Il patriarcato non compare in alcuna casella del nostro schema sinottico; tuttavia
la sua spiegazione e il suo motore si trovano nella formazione dapprima diffusa e
sporadica dello schiavismo. E' funzione del testo delle Forme collegare una verticale
(forma) all'altra, e delle aggiunte sottolineare il movimento della loro morte e della loro
vita.
Le nostre aggiunte sulla dinamica che rivela genesi e struttura delle forme
successive servono ad illustrare lo Schema sinottico, dove figura la definizione,
necessariamente statica, come una fotografia, degli elementi costitutivi di ciascuna
forma che si mette in moto nei momenti fecondi della teoria, e deve invece essere
afferrata come un film.
126
Cf. Marx, Tesi di dottorato sulla differenza tra la filosofia della Natura di
Democratico e Epicuro, parte I, Argomento della trattazione. Mane indica - e
questo ci chiarisce il senso e la portata che hanno le sovrastrutture in rapporto ai
fatti fondamentali dell'economia - che l'epicureismo, lo stoicismo e lo scetticismo
sono le matrici dello spirito romano, la forma sotto la quale la Grecia è emigrata a
Roma.
una forma sulle sue parti integranti, essendo la nostra concezione di una forma non solo
quantitativa, ma anche qualitativa.
A titolo di illustrazione, vediamo, ad esempio, quale metamorfosi hanno subito la
forma secondaria in generale — dapprima in rapporto a quella primaria, poi nel corso
del suo stesso sviluppo — e il rapporto schiavista in particolare, quando esso è passato
dall'Oriente in Europa. Nella variante asiatica lo schiavismo era da una parte domestico
e sporadico, e larvato e diffuso dall'altra, dato il debole sviluppo della forza produttiva
dell'uomo che ne faceva un essere dipendente dalle grandi forze naturali della terra,
mentre è divenuto aperto e sistematico passando nella produzione quando si è esteso
alla Grecia e a Roma. Questa mutazione di un rapporto particolare implicava
previamente un completo capovolgimento dei rapporti di consanguineità in seno alla
famiglia allargata del comunismo primitivo, in quanto i rapporti con la terra prendevano
ormai nettamente il sopravvento su quelli della comunità di sangue e di razza. Passando
dalla forma primaria alla secondaria, da determinanti, i rapporti consanguinei della
famiglia saranno ora determinati, e i legami familiari di solidarietà divengono mezzi di
oppressione.
Nella forma primaria la specie umana viveva della natura, cui la propria attività non
aggiungeva gran che. Si era fermi essenzialmente allo stadio della raccolta o
dell'appropriazione immediata dei prodotti della natura. La loro riproduzione
(addomesticamento, agricoltura, ecc.) è in fondo compatibile con questa forma solo in
un margine molto ristretto. Ora, non appena cresce il numero degli uomini e l'apporto
del lavoro diviene più importante, sono i sistemi (forme) del lavoro e della produzione
che determinano tutti gli altri rapporti.
Come Engels spiega, lo schiavismo non poteva svilupparsi nella forma primaria.
Allorché due comunità venivano in urto o c'era da mangiare per tutti i sopravvissuti,
vincitori e vinti, e si viveva allora in comunità, o si uccidevano quanti erano in
soprannumero per non spezzare i rapporti comunitari e perché le forze produttive erano
troppo basse per permettere la sopravvivenza a gruppi troppo numerosi. Quando il
lavoro umano è in grado di aggiungere un margine relativamente grande al lavoro della
natura che produce spontaneamente frutti di ogni specie, il vincitore può aver interesse a
non più sterminare i vinti, bensì a farli produrre per lui, poiché il lavoro umano è ormai
un fattore apprezzabile della produzione di ricchezze. Abbiamo fatto ingresso
nell'infetta civiltà, nelle società di classe in sui l'uomo sfrutta l'uomo e in cui la
produzione dei beni materiali primeggia e condiziona la produzione degli uomini. Col
prigioniero che diviene schiavo subentra la prima divisione del lavoro: padrone (nato
dal patriarca) e schiavi 127.
La seconda divisione del lavoro (artigianato separato dall'agricoltura) si innesta
sulla prima o meglio sviluppa questa prima base in nuovi settori - e si ha la divisione tra
ricchi e poveri all'epoca della diffusione del mercantilismo ;cme fondamentale rapporto
del metabolismo sociale. L'artigianato non era all'origine che il prodotto dell'agricoltura
come attività accessoria, domestica; con l'agricoltura innocentemente coesisteva,
contribuendo persino al suo viluppo col perfezionamento degli utensili. Finché, ad un
127
Poiché ci sforzeremo soprattutto di spiegare i rapporti del meccanismo sociale,
tralasceremo le parti descrittive, quali quelle delle prime pagine de l'Origine della famiglia, ecc.
che classificano i diversi stadi dello stato selvaggio, poi della barbarie, ed infine della civiltà,
insistendo sulla natura degli strumenti e dei prodotti volta a volta creati.
certo punto, se ne è distaccato, si è automatizzato, e darà allora vita all'industria in cui
l'opposizione tra campagna e città comporterà la predominanza di quest'ultima.
Come sempre, una struttura è annunciata dall'attività in seno alla forma li
produzione precedente. Così il mercatilismo è nato dagli scambi, ai margini delle
comunità, delle loro eccedenze. Un tale commercio e traffico furono assicurati nel
mondo antico da popoli mercanti (Fenici, Cartaginesi, Ebrei, ecc.) che vivevano ai
margini delle società arcaiche e ne assicuravano il collegamento. Sotto il feudalesimo,
il mercantilismo investe e rosicchia nuove branche, compiendo un enorme progresso:
esso si svolge non più al di fuori della comunità ma all'interno: Con l'ordine dei
mercanti, la società stessa è diventata mercantile, ha una divisione del lavoro di più. Il
mercato le è indispensabile e suscita persino nuove attività.
Col capitalismo, la circolazione diviene parte integrante della produzione, i cui
rapporti sono impregnati completamente dal mercantilismo. Il salariato è nato in una
sfera particolare, l'esercito antico. Esso non era ancora legato allora alla produzione dei
beni materiali (mezzi di sussistenza o di produzione). Quando i rapporti mercantili e
monetari si saranno estesi a tutti gli atti e strutture della società, la forza lavoro si
venderà sistematicamente — come lo schiavo — sul mercato, divenendo salariata, e
nessuna produzione si farà senza previa circolazione monetaria e mercantile. Il
mercantilismo, accrescendo in quantità, ha cambiato il modo di società e di produzione:
il denaro è diventato capitale 128.
Anticipazione e transizione
128
Nello Schema sinottico annesso, le due prime caselle orizzontali introducono
ciascun modo di produzione e di società, indicandone livello tecnologico e
condizioni preliminari alla produzione, cioè la base. Esse determinano infatti il
luogo e l'importanza di tutte le altre strutture (caselle) e danno la tonalità
generale in cui sono immerse.
Nella forma secondaria, diviene determinante l'economia nel senso stretto del
termine, e ben presto lo strumento, divenendo più importante della forza lavoro
individuale, prevarrà sull'uomo per determinare le sue condizioni di vita e di
produzione. Zeus trasformerà allora la donna in vacca, mentre lo schiavo sarà in tutto e
per tutto uno strumento produttivo, divenendo il primo produttore sfruttato.
Ciascun fattore, sia esso lo scambio, lo strumento o persino la forza lavoro, muta
allora di rapporti, essendo diversamente combinato con la base e con le altre strutture e
collocandosi più o meno lontano dalle fondamentali condizioni di produzione che gli
infondono forza e vigore 129.
Una preziosa indicazione di Marx nei Grundrisse ci permette di definire qual è la
strutturazione di una forma di produzione, concepita come un parallelogramma di forze,
non sclerotizzato, ma in duplice movimento: 1. anzitutto nel senso che una stessa
struttura — ad esempio il salario - cambia di significato se la si confronta a ciò che essa
era nella forma precedente o a ciò che sarà nella seguente, allorché la sua posizione
nella base economica, le sue ramificazioni con altre strutture così come la sua portata ed
efficacia sono totalmente diverse. Per esempio, il salariato nell'esercito antico non si
colloca nella sfera angusta della produzione, non crea quindi plusvalore e non è
collegata al capitale, ma è nondimeno l'anticipazione del salariato moderno che ha tutte
queste caratteristiche e rappresenta l'altro polo del rapporto capitalista stesso nella base
economica: ciò che è comune è la forma mercantile e monetaria rivestita dalla merce
forza lavoro umana. In questo senso, è un'anticipazione fondamentale dell'attuale
salariato. Un esempio dello spostamento della forma salario è il modo di remunerazione
stipendiato dei funzionari del capitale che assolvono i compiti di quest'ultimo:
comandare gli operai, far circolare il capitale sotto la sua forma monetaria, realizzare il
prodotto sul mercato, ecc. tutte funzioni che non si effettuano nella sfera del processo di
lavoro produttivo (di plusvalore). Come si vede, il salariato si trova qui in un rapporto di
mera forma, poiché non è del capitale variabile che esso esprime, ma del profitto nella
veste formale del salario: lo stesso presidente della Repubblica può essere così salariato,
senza che ciò implichi la vendita della sua forza lavoro per produrre nel rapporto
capitalistico di produzione di plusvalore. Trattasi di una forma affatto vuota, non
essendo il salario che un involucro mistificante del contenuto reale. Esso non ha
evidentemente un senso pieno — e non parziale quando è in via di transizione o di
degenerazione — che quando è legato al capitale in un rapporto produttivo, ossia nella
base economica della produzione borghese della forza lavoro operaia; 2. in seguito nel
senso che il confronto di una forma con la seguente o la precedente mostra la portata
della progressione storica in quanto si ha una migrazione di rapporti il cui spostamento
ne muta le connessioni, dunque la natura, al punto che un rapporto può essere
determinato, subordinato e quindi secondario, anziché decisivo.
Occorre insomma determinare continuamente l'orientamento della dinamica in
senso ascendente o discendente di una forma o di una struttura, sottolineando non la
definizione, ma il trapasso da una forma all'altra. E' quanto esprime in maniera
129
La disgregazione dell'unità familiare iniziale che fondava la comunità della forma primaria
di produzione, ci rivela il segreto della forma familiare attuale in stato di avanzata dissoluzione
e putrefazione. Marx ne ha dedotto la formula del Manifesto dell'abolizione della famiglia che
"si basa sul capitale e sull'appropriazione privata", la pretesa "dolcezza dei legami tra genitori e
figli" non essendo che una mistificazione, poiché gli esseri umani sono oggetti di commercio e
la famiglia la prima forma di schiavismo.
incomparabile la definizione generale di una forma di produzione con l'analisi delle sue
strutture e rapporti, il movimento essendovi formulato nel rapporto dal generale, o
determinante, al particolare:
"In tutte le forme di società è una produzione determinata [nella forma primaria la
consanguineità o comunità di sangue; nella secondaria, il lavoro della terra o la
proprietà fondiaria; nella terziaria, l'agricoltura e l'artigianato; nella quaternaria,
l'industria che domina l'agricoltura, ecc.] che assegna rango e influenza a tutte le altre: i
rapporti essenziali condizionano il ruolo delle altre attività e strutture. E' una luce
generale che illumina tutti gli altri colori e ne modifica la tonalità particolare. E' un etere
particolare che determina il peso specifico di tutto quanto esso avvolge" 130.
Così, nella forma secondaria, condizione e risultato della produzione non sarà più la
riproduzione (allargata in tutti i sensi) degli esseri umani, quella sessuale essendo
saldata all'"economica", ma sarà bensì la produzione più "importante" e il modo
dominante di lavoro (la terra, in questo caso) a determinare i rapporti sociali nei quali si
riprodurranno gli uomini: la società reale entrerà in opposizione con quella ufficiale, la
base economica con le sovrastrutture o rapporti sociali, la distribuzione nella produzione
con quella nella società.
Dopo aver decifrato nel passato la genesi delle condizioni attuali, e dunque anche la
chiave per comprenderle, gettiamo uno sguardo sui rapporti dell'Italia borghese che,
secondo l'espressione di Engels, non soffre solo delle
Dopo aver decifrato nel passato la genesi delle condizioni attuali, e dunque anche la
chiave per comprenderle, gettiamo uno sguardo sui rapporti dell'Italia borghese che,
secondo l'espressione di Engels, non soffre solo delle infamie capitalistiche, ma altresì
di tutte le vestigia del passato che la mancanza di radicalismo della debole borghesia
italiana ha lasciato sussistere per trovare un sostegno nelle condizioni e nei ceti
ultraconservatori. Questo esempio ci permetterà di illustrare in quale maniera
130
Cf. Marx, Grundrisse, Introduzione.
E' questa migrazione da un campo all'altro del parallelogramma delle forze sociali che ha
determinato la differenza, poi l'opposizione crescente tra le sfere sovrastrutturali e la base
economica, capovolgendo il significato di ciascuna di esse e introducendo dunque la
mistificazione, poiché da una forma all'altra ciascuna struttura - la razza o la famiglia, per
esempio - cambia d'abito, di rapporti, pur restando un fatto oggettivo. Marr ne dà un esempio
particolarmente significativo a proposito della lingua, che - come mezzo di comunicazione - è,
prescindendo da alcuni sovraccarichi ideologici, una forza produttiva della base economica, sì
che esso vale anche, mutatis mutandis, per il campo dei rapporti sociali: "Nel processo di
evoluzione, il momento formale e ideologico di questi quattro elementi migra a balzi in verticale
e in orizzontale, sviluppandosi a ciascuna mutazione mediante l'unità dei contrari... Il
cambiamento non si produce solo in due sezioni relative alla tecnica, ma anche in due sezioni,
ideologica e formale. Infatti al momento del processo di evoluzione, il discorso ha traversato
una serie di stadi che hanno modificato l'ideologia, la messa in forma e la tecnica in ogni
sezione, fino ad ottenere i divarii per opposizione. Inoltre, ad ogni stadio, l'azione della
sovrastruttura sulla base materiale reagisce di ritorno per modificarla. Ora, più uno stadio è
prossimo a noi, più i quattro elementi linguistici son riusciti a modificarsi quantitativamente e
qualitativamente", cf. La langue et la modernità, 1932.
multiforme sopravvive il passato nella forma più sviluppata del capitalismo — quella
del fascismo, di cui tutte le leggi sono mantenute e che fiorisce oggi ovunque sotto la
sferza yankee di un capitalismo ultraconcentrato e totalitario in putrefazione nelle
metropoli sviluppate.
L'Italia che non si è mai distinta per lo sviluppo delle forze produttive con la
gestione dell'uso nella sfera economica, si è al contrario messa in luce poiché le sue
classi dirigenti hanno saputo — meglio che in tutti gli altri paesi — dare le forme più
taglienti, nette e feroci al dominio degli sfruttatori sui produttori, ed è un modello per
tutti gli altri paesi del mondo per quel che concerne l'instaurazione di rapporti sociali
nella loro economia. E' quanto spiegherà ancora la nostra monografia italiana che
seguirà alla pubblicazione del presente testo delle Forme.
Proprio quando scaturisce una forma nuova all'alba della storia — in Italia quanto
alle più odiose, lo schiavismo nella produzione e il mercantilismo e il monetarismo
capitalistici dei tempi moderni — troviamo la spiegazione più piena di una struttura o
forma sociale, benché possa sembrare più esplicita e più comprensibile allorché è più
sviluppata storicamente. Infatti, nelle società di classe, lo sviluppo porta con sé una
reificazione e una mistificazione crescenti che suggeriscono irresistibilmente una
spiegazione feticista di una realtà sempre più alienata. In breve, i rapporti fanno apparire
un carattere sempre più mercantile, oggettivato, da cui i legami con l'uomo sono lontani
e alterati a misura che si sviluppa una struttura o una forma. Per capire il nostro presente
che è la somma di tutto il passato, dobbiamo dunque cercare la spiegazione nella sua
origine, l'una illuminando l'altro. Di qui il nostro metodo del Filo del Tempo, con Ieri,
Oggi e Domani.
Così vediamo che in Italia sussistono ancora delle forme e dei rapporti nati
all'apogeo della sua storia, nel momento privilegiato che modella costumi e
temperamenti nazionali — lo schiavismo della Roma antica. Le forme larvate di
schiavismo che sussistono massicciamente oggi nell'Italia borghese si caratterizzano per
il fatto che le classi dominanti si arrogano la direzione piena e intera delle masse, che
sono trattate come bestiame senza volontà, coscienza, ne interessi propri autonomi,
ossia senza alcuna iniziativa, essendo il loro corpo e la loro anima appropriati dal loro
padrone. Soggetto della Proprietà.
Troveremo nel passato italiano le spiegazioni per le condizioni più feroci della
forma più sviluppata del capitalismo moderno — ad esempio dei fatti che seguono, nei
quali l'Italia è oggi all'avanguardia dell'infame sistema borghese. Circa 270.000 fanciulli
da 8 a 12 anni — veri e propri schiavi domestici supersfruttati dall'affarismo borghese
di quest'Italia in concorrenza col Terzo Mondo sottosviluppato in cui sussistono
massicciamente condizioni divenute soltanto recentemente borghesi da rapporti
precapitalistici arcaici — lavorano nell'industria, mentre la famiglia resta la più
dispotica, poiché il 70% dei fanciulli vengono regolarmente picchiati dai loro miserabili
genitori che conoscono più il diritto di abuso che di uso. Proprio in Italia la stampella
dello Stato sostiene più della metà delle imprese, superando la percentuale di
nazionalizzazioni aperte o mascherate di tutti i paesi avanzati dell'Occidente e
dimostrando che i capitalisti di questo paese che pur vantano uno sbrigliato
individualismo e laissez-faire hanno anch'essi il meno di capacità possibile di gestione,
di uso nella produzione. E' quanto conferma anche l'incapacità della borghesia nazionale
ad industrializzare il paese e la cessione del potere prima a Mussolini, poi alla centrale
di Washington, sotto la cui ala tutelare essa ha, alla fine del ciclo capitalista quando la
produzione è ormai degenerata, moltiplicato per otto gli indici di crescita, raggiungendo
in alcune branche il livello dei paesi che avevano fatto la rivoluzione alla stessa epoca.
Ciò spiega pure il fatto del perché il capitalismo italiano non si sia veramente sviluppato
che al momento in cui le organizzazioni operaie, specie comuniste, sono letteralmente
servite a reprimere gruppi e tendenze rivoluzionarie di espressione originale della classe
operaia regnando incontestabilmente con l'aiuto dello Stato complice. Cosi i pretesi
comunisti hanno ripreso pari pari metodi da carcerieri legando — con la degenerazione
gramscista — gli operai non al loro programma politico e sociale proprio, ma alla loro
azienda dove si concentra il capitale, ossia alla forma fascista del capitalismo. Di qui la
loro attuale campagna in seno alla classe operaia per farla marciare con la frusta in vista
di aumentare i ritmi di lavoro, allorché essi raccomandano di promuovere la produttività
che accresce oggi più che mai la disoccupazione operaia e lo sforzo di lavoro così come
il dominio borghese sui corpi e sugli spiriti estenuati ed esauriti. Proprio in Italia il
riformismo ha contribuito al massimo grado a legare l'operaio allo Stato e al capitale,
come attesta il fatto che il salario non è neppure versato per la più gran parte — più
della metà, ancora un record battuto — all'operaio: il 55% va alle opere sociali, cassa
mutua, pensione, assegni familiari, ecc. gestito dallo Stato e dal Capitale che, come lo
schiavista, trattano l'operaio come una bestia senza indipendenza, ne volontà, ne potere
di decisione proprio, in breve ne fanno uno strumento di produzione reificato. Sulla
parte minima di salario intascato, l'operaio opera preliminarmente delle deduzioni a
proprie spese: debiti per un credito che lo legano alle banche e all'azienda come uno
schiavo, affitto per il proprietario della sua topaia, elettricità, acqua, gas, riscaldamento,
trasporti gestiti dallo Stato che ne fissa dispoticamente i prezzi, le condizioni d'uso e di
vendita così come la cattiva qualità, dimostrando ancora una volta le tradizioni di abuso
di origine schiavista di un passato nazionale infame. L'italiano medio, ossia il borghese,
il piccolo borghese e l'operaio degenerato o aristocratizzato, elevato alle altezze
scatologiche delle sue classi dominanti, è il più grande individualista del mondo,
preoccupato solo della sua pancia e dei suoi interessi e impulsi immediati, che sono poi
quelli del sistema capitalista che lo spingono le-cul-le-premier. E' il più sprovvisto di
pensiero, di attività e d'iniziativa personale, il che conferma che l'individualismo è la
dissoluzione completa dei rapporti sociali, poiché tutto è ridotto all'atomo dell'individuo
isolato, in concorrenza e in lotta nella giungla borghese. Egli è incapace di oltrepassare
l'immediatismo del momento, di controllarsi, di dominarsi, di disciplinarsi, di imporsi la
minima regola che gli permetta di organizzare e di prevedere, di associare e di trovare
un punto comune di solidarietà per un'azione con un altro. E' come una bestia, spinto dal
guardiano capitalista e mosso o meglio saccheggiato e sfruttato dal capitale onnipotente.
Con la briciola di salario che gli resta, egli compra tutta la cianfrusaglia che gli
suggerisce la pubblicità, il conformismo sociale e la vanità individuale, ignorando
qualsiasi regola di gestione elementare della sua salute fisica e morale. Egli pensa con le
idee della sua stampa venale e affarista, della televisione e della radio borghese e
sottoborghese e non marcia che sotto la sferza dei suoi aguzzini oppure solo, la moglie
avanti o alla sua sinistra e i figli a rimorchio.
Di queste strutture, istituzioni e comportamenti noi troviamo la chiave nella prima
forma di dominio di classe. Quando lo schiavismo è nato, si è visto più chiaramente la
natura dello sfruttamento che non nella forma più evoluta, sottile e "civilizzata" del
salariato. Un esempio: nel rapporto salariale, il produttore non vende che la sua forza
lavoro, nello schiavismo tutto l'individuo, poiché il padrone ha il diritto di proprietà (e
dunque d'abuso) su corpo e anima, l'uomo non essendo più che una bestia o uno
strumento di produzione per la ricchezza e il godimento dello schiavista. Nella forma
salariale, questo rapporto non sembra esistere che nelle otto ore durante le quali
l'operaio si trova nell'impresa, libero di circolare, di parlare, di pensare, di comprare, di
consumare e di agire per le rimanenti 16 ore nella società. Ora, il dispotismo di fabbrica
durante il processo lavorativo partecipa grandemente dei metodi schiavisti, con i
guardiani armati, il filo spinato che spesso circonda la fabbrica, il controllo serrato
sull'orario, i ritmi di lavoro, gli spostamenti fisici e addirittura le comunicazioni di
pensiero tra operai. E il totalitarismo borghese ha instaurato la stessa dittatura sociale
fuori della fabbrica robottizzando i cervelli con i mass media, la pubblicità e la
propaganda dei partiti operai nazionali. Non solo le forme del passato sussistono ancora
largamente, ma sono spessissimo aggravate, esasperate, dall'industria e dalla vita
borghese, specie nella loro età senile. Si deve dunque avere in mente la forma schiavista
per comprendere a fondo la forma salariale attuale, non foss'altro che per non
dimenticare il seguente precetto materialista: chi ha comprato la forza lavoro o il corpo
del produttore si arroga con ciò stesso la pretesa di dominare anche la sua anima, la sua
volontà, il suo spirito, e dispone dei mezzi materiali per farlo, e particolarmente delle
sovrastrutture di violenza politiche, giuridiche, artistiche, ideologiche dello Stato, ecc. Il
cristianesimo, che ha il suo centro mondiale in Italia, a Roma, accanto allo Stato
borghese nazionale, è appunto la religione degli schiavi: esso fu dapprima
rivoluzionario, quando i primi cristiani hanno urlato con Spartaco e la sua grandiosa
rivolta: noi abbiamo non soltanto un corpo, ma anche un'anima che appartiene a Dio e
non a voialtri padroni; poi è divenuto conservatore con la pretesa di controllare e gestire
gli spiriti e le volontà delle masse sfruttate dalle classi dominanti mettendosi al loro
servizio, predicando la rassegnazione alle masse, dunque negando loro il diritto di
determinare esse stesse i loro interessi, i loro scopi e i mezzi per raggiungerli, al di fuori
dell'Ordine stabilito dalle classi dominanti. Ed è proprio lo schiavismo della vecchia
Roma che spiega, da una parte, che il cristianesimo ha il suo centro universale nel
mondo e che l'Italia è impregnata delle tradizioni cattoliche. Ad esempio, Berlinguer è
un gesuita quando pretende di mettersi sotto l'ombrello americano per difendere gli
operai e la pace, come se l'imperialismo più sviluppato non fosse anche il più
aggressivo. L'immediatismo di una realpolitik che non fa che riflettere i movimenti
contraddittori della società borghese, giustificandoli ogni volta ipocritamente per
ingannare gli spiriti, non è da nessuna parte così opportunista e priva di princìpi, di
colonna vertebrale, come in Italia, che è all'avanguardia della degenerazione del
movimento operaio e fornisce i suoi putridi "programmi" a tutti gli altri.
Ciò facendo, essa annulla ogni progresso storico, registrato sotto il feudalesimo e
all'inizio del capitalismo, nella fase di decomposizione di quest'ultimo. Marx spiega che,
grosso modo, la forza lavoro è passata per tre fasi di evoluzione dopo l'instaurazione
delle società di classe:
1. Lo schiavismo ha il più chiaramente assoggettato il produttore, dando al padrone
il potere di abusare senza dargli le qualità di usare, dato che lo schiavista è
rappresentato sul lavoro dalla frusta e nella società dal patriarca protettore e benevolo
che mantiene il produttore — panem et circenses — spogliato preliminarmente del
prodotto del suo lavoro. Privato della disponibilità del suo corpo, lo schiavo diviene un
essere completamente dipendente;
egli non sa lavorare, ne mangiare, ne vivere senza il suo padrone. Senza la frusta,
egli non fa niente e non sa fare niente. Il produttore è frustrato di ogni umanità,
degradato al livello di bestia.
2. Nella seconda fase medievale, sotto l'influenza della variante germanica, il
produttore fa un patto di accomandazione col proprietario fondiario che come
contropartita fornisce un lavoro; difenderlo militarmente contro gli invasori. L'esistenza
del lavoratore è riconosciuta, trova un terreno d'azione e ha una base materiale nella
parcella autonoma del servo o dell'artigiano e bottegaio. Il lavoratore parcellare è
padrone a casa sua: egli decide del proprio tempo di lavoro sul suo appezzamento, della
tecnica che usa nel processo di produzione, e tenta in modo rivoluzionario di
determinare la forma (borghese) della città, armandosi e dibattendo nelle assemblee
popolari. Il contadino parcellare ne costituisce la figura più saliente, per la sua credenza
nell'emancipazione dell'individuo. Al contempo, il progresso è spettacolare: l'industria
si stacca dalla morsa della proprietà fondiaria, il produttore ottiene un posto e un potere
di decisione nella società, sul mercato — dopo aver fatto il suo tempo di sopralavoro per
il padrone e signore, che sussiste ormai imborghesendosi.
3. Con il proletario salariato nasce una forza di trasformazione sociale che è capace
non solo di produrre e di sovraprodurre, ma anche di instaurare una società in cui gli
uomini non saranno più passivamente sottomessi alle determinazioni del capitale, ma
usciranno dalla preistoria dello schiavismo del produttore. Anziché essere individuale,
cioè senza forza e illusoria, l'emancipazione sarà sociale e universale. Secondo la
formula di Marx nel VI capitolo inedito del Capitale, "il salariato agisce come un libero
agente, deve però anche mantenersi; è lui stesso responsabile del modo in cui spende la
sua paga. Egli impara dunque ad autogovernarsi rispetto allo schiavo che ha bisogno
del padrone e non può fame a meno neppure per un istante". (cf. capitolo Ulteriori
osservazioni sulla sottomissione formale del lavoro al capitale).
Nello schiavo si è riconosciuto il moderno individualista italiano, che si fa fottere e
menare per il naso secondo le esigenze contraddittorie di Sua Maestà il Capitale. Il
proletario nella sua ricerca di mezzi di sussistenza (alimenti, vestiti, abitazioni, giornali,
ecc.) si scontra con l'avidità del bottegaio, con il proprietario fondiario che sovraccarica
i prezzi di produzione con la sua rendita sui mezzi di trasporto e le case, con il suo
capitalista che traffica e altera la qualità dei prodotti, con le sovrastrutture che vogliono
spingerlo nella via della soddisfazione borghese dei suoi bisogni, imbottendogli la testa
ad ogni angolo di strada e persino in casa sua. Se cede, egli diventa una bestia senza
volontà ne senso dei propri interessi — uno schiavo salariato, un italiano. Diventa
incapace di superare gli impulsi immediati, di organizzarsi da sé, di essere un punto
fisso su cui si possa contare per agire insieme, per prevedere ed organizzare l'azione in
comune, in breve di avere un proprio scopo. Egli non ha più una colonna vertebrale in
grado di dargli una esistenza separata, in opposizione alle potenze dominanti che lo
schiacciano, specie gli USA che hanno "liberato la nazione" incapace di determinarsi da
sé, di produrre per la sua popolazione e di dargli un "ideale". La mercantile borghesia
italiana non sa infatti che abusare, ma non gestire, essendo esperta solamente nella
direzione della res publica, della violenza dello Stato dispotico che reprime i produttori.
Lasciando cosi completamente libero corso allo sviluppo del capitale, la borghesia
italiana ha spinto a fondo la dialettica di decomposizione capitalista. E' il non-governo
della borghesia nazionale; gli stessi borghesi sono ridotti in schiavitù, avendo perso il
controllo della società, ed essendo sballottati dal capitale in crisi storica di dissoluzione
fisica e intellettuale, in breve essendo persino incapaci di maneggiare le sovrastrutture
dello Stato che hanno permesso alla giovane borghesia rivoluzionaria di intervenire di
ritorno sulla base economica. L'impotenza umana nei confronti delle cieche
determinazioni borghesi appare in modo lampante, nell'Italia della fine dei tempi
capitalisti, nel fallimento dell'economia, che non suscita la ribellione delle forze
produttive, del proletariato, tanto questo è incancrenito dal virus borghese e privato di
ogni senso di classe proprio — ad immagine della stessa borghesia italiana —, è cioè
sterilizzato come lo schiavo che è puro oggetto e strumento. L'affarista e mercantilista
borghesia italiana riesce ancora a fare degli affari quando la sua produzione è in
fallimento, visto che un capitalista strappa un lembo di plusvalore all'altro, sviando le
ricchezze tramite i partiti politici, le istanze locali e centrali dello Stato, non pagando le
sue imposte, ne le assicurazioni sociali obbligatorie, provocando l'inflazione, ecc. Essa
utilizza cioè tutti i mezzi dell'abuso legato al suo titolo di proprietà. Con la subdola
complicità delle organizzazioni operaie, che hanno respinto ogni principio per darsi
all'immediatismo opportunista che volge le spalle agli interessi propri dei proletari, la
borghesia disarma gli operai utilizzando movimenti di rivendicazione sbagliati:
scioperare per delle bazzecole e non scioperare per esigenze comuni essenziali;
fuorviare un movimento, ma solo quando è debole, contro un nemico forte, disarmare
una forza operaia potente non conducendo la lotta dove è necessario, contro chi è
necessario, nel momento necessario. Queste organizzazioni operaie applicano la teoria
del non-governo alla rovescia: scoraggiando e sterilizzando ogni azione operaia con una
falsa direzione. Castrano così ogni azione, volontà e coscienza propria agli operai. Si
comportano come proprietari della massa degli operai ridotti in schiavitù, pretendendo
di avere il monopolio della direzione delle sue azioni e delle sue volontà: l'operaio deve
tacere quando il bonzo traditore parla e ordina.
L'operaio italiano è così uno dei più sfruttati e fregati del mondo. Invece di avere un
salario sufficiente a nutrire i suoi per riprodursi, egli batte il record mondiale del doppio
lavoro. La giornata di 8 o di 7 ore esiste soltanto per permettergli di vendersi a due
padroni. Le donne fanno le schiave del loro signore e padrone, o ancora si vendono a
basso prezzo, il più delle volte al lavoro nero in cui l'individualista operaio italiano,
incapace di una coscienza propria, ma copia fedele della sua borghesia opportunista, si
arrangia.
La mentalità cattolica diffusa in tutta Italia parte dal principio che n produttore non
ha volontà ne testa propria — e la Chiesa, come i partiti operai degenerati, pretende di
avere il monopolio della sua coscienza. Essa diventa gesuita quando parla - come
Berlinguer — di difendere gli interessi delle masse dei poveri e degli oppressi, mentre
in realtà li castra iniettando loro il virus dell'impotente ideologia individualista delle
classi dominanti che vedono la salvezza solo in privato. Il buon pastore tradisce così
quelli di cui si arroga la custodia. Fissa loro le regole di vita e di comportamento e si
concede il diritto di controllo della loro applicazione. Stende così una lista dei peccati e
degli atti permessi con un orientamento opposto alla vita e alla natura umana. L'uomo
viene considerato come una bestia; il suo corpo è vile materia, o, come un angelo, senza
sesso e senza bisogni. L'alternativa è antiumana e contraria ad ogni espressione umana
delle masse. La solidarietà dei poveri è distrutta non appena va nel senso dei loro
interessi, combattuti dalle organizzazioni opprimenti della borghesia. Come un
mascalzone che batte il suo cane, il suo bambino o sua moglie perché ne è proprietario e
ha dunque il diritto di abuso, l'uomo è limitato al proprio individuo, di cui deve salvare
l'anima, perdendo il corpo e il mondo terreno che sono sporchi. L'atto d'amore diventa
così o condannabile o pornografia. Il corpo non appartiene al proletario, ma allo
schiavista o al capitale, e ogni piacere fisico o intellettuale dell'operaio è uno
sconfinamento sulla proprietà delle classi dominanti, i cui aguzzini sono il poliziotto e il
prete, coadiuvati in questo dopoguerra dai traditori delle "organizzazioni operaie" che si
pretendono socialiste e comuniste.
Di fronte a una tale, atroce situazione di sfruttamento diurno e notturno delle masse
operaie, non è possibile che una risposta: una rottura completa con l'immediatismo,
l'opportunismo, i compromessi, con una pratica che ha castrato ogni movimento
autonomo di classe e ogni iniziativa rivoluzionaria per rinchiudere le masse nella gogna
dello schiavismo salariato. Questa risposta non può essere che totale e radicale, violenta
e rivoluzionaria, non può essere che di partito e di classe, che la faccia finita con
l'individualismo e col suo corollario, lo spirito di categoria, che difende interessi privati
di gruppi particolari. In Italia ciò può avvenire soltanto riallacciandosi al formidabile
partito comunista nato a Livorno, il cui programma è e resta l'unica bussola nel
naufragio di tutti gli altri tentativi operai. Cadranno allora le visioni privatiste e
personaliste insieme ai loro mezzi, l'elettoralismo e la politica dei capi, che illuminano
le folle cieche, secondo l'espressione di un testo contro l'individualismo del 1953: La
rivoluzione si rialzerà tremenda ma anonima! Questa soluzione non riguarda
particolarmente la piccola Italia, ma il mondo intero. Ma questa volta è il proletariato —
non la borghesia — a dare la soluzione all'umanità.
Filiazioni comuni
Le varianti europee della forma secondaria hanno per definizione gli stessi rapporti
sociali di base della variante asiatica: la comunità condizionata sempre più
negativamente dalla proprietà fondiaria, ossia dalle condizioni fisiche ambientali. Ma si
distinguono da quella per un'esistenza e un destino storico più movimentati delle
comunità primitive già trasformate. Il loro sviluppo è dunque rapido e la loro vita più
breve e svariata. In contatto diretto e pressoché costante con quella asiatica, la variante
classico-antica, grazie alle sue conquiste e al suo grande dinamismo, si approprierà a
tutti i livelli della sua evoluzione la base già sviluppata dell'Oriente, i suoi rapporti
sociali originali trasformandosi così sempre più fino ad oscillare dallo schiavismo al
servaggio mitigato, mentre gli scambi monetari e commerciali assumeranno notevole
estensione nel bacino del Mediterraneo. Ma questi ultimi elementi sono compatibili solo
fino a un certo grado con la forma secondaria, per cui sotto la spinta dei Germani
faranno saltare la forma classico-antica per dare origine a una società nuova, quella
feudale.
Nella nostra indagine, la variante classico-antica segue quella asiatica, a cui essa
deve molto, e precede quella germanica con la quale essa si scontrerà e si fonderà per
dar vita al feudalesimo. Originarie entrambe dell'India, la variante sviluppatasi sulle rive
del Mediterraneo (Grecia e Roma) e quella continentale germanica si distinguono per le
modificazioni già subite in rapporto alla comunità primitiva (consanguineità) e
all'ambiente naturale (struttura della proprietà fondiaria).
Primi immigranti del grande ceppo degli Ariani passati dall'Asia in Europa, i Greci
e i Latini presero possesso delle due penisole del Sud-Est del continente. Nel corso della
migrazione, si produssero ulteriori grandi trasformazioni nei loro rapporti sociali e
prepararono queste tribù ad adattarsi alle nuove condizioni geografiche e storiche di
produzione:
Quanto più le circostanze non richiedono un lavoro collettivo per la regolazione
idrica della produzione agricola, quanto più il legame diretto fra tribù e natura è
spezzato dal movimento storico e dalla migrazione, giacché la tribù si allontana dalla
sua sede originaria e occupa terre straniere, essa viene dunque a trovarsi in condizioni di
lavoro sostanzialmente nuove in cui il singolo può sviluppare maggiormente la sua
energia e cercare di soppiantare la comunità (p. 455).
Le caratteristiche distintive già pronunciate in India si accentuano dunque
ulteriormente nel corso delle migrazioni e trovano piena fioritura sulle rive del
Mediterraneo: la scissione fra comunità e proprietà fondiaria si fa più radicale, poiché la
comunità si separa radicalmente nel corso delle migrazioni dalla vecchia base, la terra.
E il risultato può apparire sorprendente: in un primo tempo, infatti, proprio i legami
sociali evolvono di più, permettendo un migliore adeguamento delle strutture sociali alle
nuove condizioni ambientali che corrispondono a una notevole evoluzione della forma
della proprietà fondiaria. Insomma, nel corso delle migrazioni assistiamo a una specie di
autonomizzazione dei legami comunitari sotto la spinta delle nuove condizioni storione
di vita.
La nuova comune agricola che ne risulterà sarà il primo raggruppamento umano di
UOMINI LIBERI NON RACCHIUSI NEI LEGAMI CONSANGUINEI. Una breve
indicazione di Marx mostra come il possesso privato si sia consolidato nel corso della
migrazione che raggruppava piccoli gruppi nei carri: le abitazioni, fossero anche i carri
degli Sciti, figurano sempre in possesso del singolo 131.
Nella forma arcaica della proprietà fondiaria, i frutti divenivano possesso
dell'individuo solo dopo essere stati staccati dalla terra, che era per definizione proprietà
collettiva: insomma, il possesso individuale non riguardava che le cose mobili. In
seguito, dall'abitazione mobile del carro durante le migrazioni, l'usufrutto personale si
estese alla casa di abitazione e all'orto o corte all'epoca della sedentarizzazione. In Lo
sviluppo della proprietà, Paul Lafargue dice infatti: Verosimilmente, la casa è stata a
lungo considerata come un bene mobile e non come un bene immobile, legato al suolo.
Nel terzo abbozzo della lettera di Marx a Vera Zasulic si può leggere: La proprietà
fondiaria privata si insinua in tal modo nei rapporti sociali nella forma di una casa con la
sua corte rustica, che può trasformarsi in piazzaforte da cui si prepara l'attacco contro la
terra comune. Ed Engels da par suo ironizza: II primo pezzo di terreno a trasformarsi in
proprietà privata individuale fu il posto dove sorgeva la casa. L'inviolabilità
dell'abitazione, questo fondamento di qualsiasi libertà personale, passò dal carro delle
migrazioni alla casa di tronchi (blockhaus) del contadino residente e si trasformò
progressivamente in un pieno diritto di proprietà su casa e corte. Così dunque, il
carattere sacro del domicilio fu causa e non risultato della sua trasformazione in
proprietà privata 132.
Date le condizioni analoghe, lo sviluppo e l'autonomizzazione della proprietà
individuale della casa e annessi faranno sentire il loro effetto tanto presso i Greci e i
Romani che presso i Germani, determinando non solo il divario sostanziale tra le
varianti europee e quella asiatica, ma altresì tra variante antico-classica e germanica,
nella quale la proprietà individuale prevarrà fin dall'inizio sulla proprietà collettiva, a
conferma che l'evoluzione va sempre più a fondo. Ciò si spiega indubbiamente dal fatto
che le singole famiglie germaniche si stabilirono in un territorio poco popolato, ricco di
131
Cf. Marx, Gmndrisse, cit., p. 471.
132
Cf. Engels, La marca, in Storia e lingua dei Germani, Roma 1974, p. 162-3.
boschi, di paludi e di montagne, dove l'annuale ripartizione della terra da coltivare non
aveva senso e non era praticamente realizzabile; il possesso individuale finì per fissarsi
in proprietà privata e poté estendersi più facilmente.
All'inizio, la proprietà individuale non è in realtà che un'isola, e non solo si
combinerà con la proprietà comunitaria ma su di questa si appoggia: Nella comune
agricola, la casa e il suo complemento, la corte, appartengono in privato al coltivatore.
La casa comune e l'abitazione collettiva erano invece una base economica delle
comunità più primitive; e questo già da molto prima dello sviluppo della vita pastorale o
agricola. Una forma di transizione si incontra in certe comuni agricole in cui le case, pur
avendo cessato di essere luoghi di abitazione collettiva, cambiano periodicamente
possessore. All'inizio, l'usufrutto individuale è quindi combinato con la proprietà
comune 133. E Marx giunge ben presto a constatare che il processo d'individualizzazione
si prolunga fin nella produzione vera e propria: nei paesi conquistati, i barbari si
insediavano — cioè edificavano case singole — secondo la ripartizione o distribuzione
che occupavano durante la migrazione nei carri, edificavano cioè case individuali, e
poiché la guerra aveva spostato il centro di gravita della comunità sul compito collettivo
della difesa, la resistenza della comunità era meno viva nel campo economico già
sconvolto dalla migrazione. La casa si circonda così di una corte e di una dipendenza,
con animali da tiro e pollame, e trova prolungamento in una parcella. Ma tutto questo
settore privato si basa su legami comunitari. Tuttavia, nota Marx, questo dualismo
inerente alla struttura della comune agricola della forma secondaria le conferisce, in
certe condizioni, una vita vigorosa. Emancipata dai forti ma angusti legami della
parentela naturale, la proprietà comune del suolo e i rapporti sociali che ne discendono
le garantiscono una solida base, nell'atto stesso che la casa e la corte, dominio esclusivo
della famiglia individuale, la coltura parcellare e l'appropriazione privata dei suoi frutti
danno all'individualità uno slancio incompatibile con la struttura organica delle
comunità più primitive.
Indagando non la forma giuridica ma quella economica della proprietà, Marx vede
la dinamica nel processo di produzione, giacché fino a quando solo i frutti staccati dalla
terra furono oggetto di consumo individuale, non vi fu posto per la proprietà privata: si
era sul piano del consumo e non su quello, decisivo per l'evoluzione sociale, della
produzione. Egli sottolinea perciò: l'essenziale è il lavoro particellare (sia
sull'appezzamento o sulle dipendenze della casa, che nell'artigianato domestico), che
diviene fonte di appropriazione privata. Esso può dar origine, in certe condizioni,
all'accumulazione di beni mobili, per esempio bestiame, denaro, e, a volte, perfino
schiavi o servi in seguito a guerre fortunate. Sia nella forma antico-classica che in quella
germanica, questa proprietà mobile, non controllabile dalla comune, soggetto di scambi
individuali in cui l'astuzia e l'accidente hanno buon gioco, peserà sempre più su tutta
l'economia rurale. Ecco il solvente più efficace dell'eguaglianza economica e sociale
primitiva. Nella forma antico-classica, esso introduce elementi eterogenei, che
provocano in seno alla comune conflitti di interesse e di passioni atti ad incidere prima
sulla proprietà comune delle terre coltivabili, poi su quella delle foreste, dei pascoli,
delle terre incolte, ecc., che erano rimaste proprietà collettiva, ager publicus presso
Greci e Romani. Queste finirono per toccare in sorte ai grandi proprietari privati, i
patrizi, che ne faranno un'arma per arricchirsi ulteriormente (ibid.).
133
Cf. Marx, terzo abbozzo della lettera a Vera Zasulic, 8 marzo 1881.
L'arma economica si combina sempre con l'arma della violenza: nelle guerre di
conquista i patrizi troveranno la manodopera schiavista che permetterà loro di
riprodurre le proprie ricchezze nel processo di produzione agricolo e artigianale. Ma
anche su questo piano, le varianti europee della forma secondaria non hanno fatto che
sviluppare un fattore che, fin dalla loro genesi, aveva giocato un ruolo decisivo: La
guerra è il grande compito collettivo, il grande lavoro comunitario che si richiede prima
per impadronirsi delle condizioni materiali d'esistenza, poi per difenderne e perpetuarne
l'occupazione. Perciò, più che mai nel corso delle migrazioni, la comunità costituita di
famiglie è organizzata anzitutto militarmente, come corpo armato e guerriero: è una
delle sue condizioni d'esistenza come proprietaria. Nella forma classico-antica, la base
di questa organizzazione militare è la concentrazione delle abitazioni nella città, in cui è
drenato il prodotto eccedente delle comuni rurali, là dove essa procede al versamento
delle imposte e ai suoi scambi.
Nella forma germanica, l'elemento militare è diffuso nelle campagne e sarà alla fine
un fattore decisivo per la ulteriore evoluzione dei rapporti sociali prima della secolare
crisi d'insicurezza provocata dalle successive ondate migratorie.
Nelle guerre di conquista per ingrandire i possedimenti dei patrizi e il potere basato
sul numero degli schiavi, il fattore militare trovò una base nei beni e negli scambi
materiali della società. In queste condizioni, anche il sistema gentilizio (tribale) doveva
svilupparsi in forme superiori o inferiori organizzate militarmente, differenziazione
ulteriormente accentuata dalla fusione con le tribù soggiogate, in cui lo strato superiore
monopolizza le funzioni della difesa e della sicurezza (p. 455).
Rapporti sociali e forme di società
Stato e cittadinanza
135
Donde "il ritorno ai Greci ed ai Romani" nel corso della classica rivoluzione borghese,
specie in Francia. I contadini parcellari, che sono la forza principale contro le potenze feudali,
credevano, in quanto proprietari sovrani della loro terra, al contratto sociale sulla base della
libertà, dell'uguaglianza e della fraternità nella nazione. Avevano dimenticato che quei rapporti
erano sfociati a Roma nell'espropriazione e nello schiavismo, così come i rapporti moderni
sfociano nell'espropriazione e nella dittatura totalitaria del capitale. La mistificazione ha una
base saldamente materiale.
117
condizioni di produzione — che la semplice appartenenza alla comunità sia il
presupposto all'accesso della proprietà fondiaria, terra romana. Ne risulta un rapporto
del soggetto che lavora con le condizioni naturali del suo lavoro come proprie, poiché
questa proprietà è mediata dalla sua condizione di membro dello Stato, dall'esistenza di
questo Stato. Dal punto di vista economico, il Romano per poter essere cittadino e
usufruire della proprietà dispensata dallo Stato sovrano, deve quindi effettuare anche del
sopralavoro in forma di servizio militare, ecc.
L'agricoltura, perlomeno all'inizio, era unanimemente considerata dagli Antichi
come l'attività normale dell'uomo libero, come la scuola del soldato. In essa si conserva
il vecchio ceppo della nazione che muta invece nelle città, in cui si stabiliscono
commercianti e artigiani sia stranieri che indigeni, i quali si spostano dove il guadagno
li attrae. Ovunque esiste la schiavitù, il liberto cerca di guardagnarsi da vivere con
queste attività, che poi gli permettono spesso di accumulare ricchezze; sicché
nell'antichità questi mestieri erano prevalentemente in mano loro, e proprio per questo
erano ritenuti indegni per il cittadino. Solo molto tardi fu concessa agli artigiani la
cittadinanza (di regola presso gli antichi Greci essi ne erano esclusi) (p. 458-9).
Dal momento che la comunità umana non è più indissolubilmente legata alla natura
circostante, come in Asia, ma si trova determinata dai mutui legami — mediati dallo
Stato — tra piccoli proprietari liberi e uguali, essa acquista un carattere determinante
nell'attribuzione delle situazioni sociali. I legami che si sono allentati con la terra si
concentrano adesso nello Stato, che diviene il mediatore supremo: solo il cittadino
romano può essere proprietario. Il Romano provvede alla propria sussistenza e alla
propria sopravvivenza lavorando nella parcella privata, ma anche come cittadino
romano nei lavori collettivi, la guerra ecc.
L'ager publicus, predomina da questo momento come l'Unità suprema dello Stato e
della grande proprietà fondiaria che, appropriata alla fine dai patrizi, si sostituirà per il
libero gioco delle forze economiche, al patto d'uguaglianza dei piccoli contadini contro
l'esterno. Più che il lavoro sulla parcella privata, è quindi la cooperazione nei lavori di
interesse collettivo che mantiene saldo il legame all'interno nei confronti dell'esterno.
Anche qui, come in Asia, il ruolo dello Stato è dunque eminente, dal momento che,
come si è visto, la proprietà dell'individuo è mediata dalla sua esistenza in quanto
membro dello Stato, dall'esistenza dello Stato: La perpetuazione della comunità è la
riproduzione di tutti i suoi membri in quanto contadini autosufficienti, il cui tempo
eccedente appartiene alla comunità ed è dedicato all'attività bellica ecc. La proprietà del
lavoro individuale è mediata dalla proprietà della condizione del lavoro, dell'appezza-
mento di terra, che dal canto suo è garantito dall'esistenza della comunità, e questa, a
sua volta, è garantita dal sopralavoro prestato sotto forma di servizio militare ecc. dai
membri della comunità. Il membro della comunità non si riproduce dunque con la
cooperazione nel processo di lavoro produttivo della ricchezza, ma con la cooperazione
nel lavoro di interesse collettivo (immaginario o reale), teso al mantenimento
dell'associazione all'interno e verso l'esterno. La proprietà è quiritaria, romana; il
proprietario fondiario privato è tale solo in quanto romano, ma in quanto romano è
proprietario fondiario privato (p. 457).
Con la separazione della comunità dalla madre-terra e il suo spostamento, da una
parte la parcella è diventata proprietà privata individuale, dall'altra la proprietà comune
rimasta collettiva ha subito una trasformazione autonomizzandosi nell'ager publicus:
quella proprietà comune che in origine tutto assorbiva e dominava, si è sviluppata
adesso come ager publicus particolare a fianco dei molti proprietari privati. La relativa
118
autonomia della comunità nei confronti della proprietà fondiaria, ma più ancora dei
singoli, fa nascere una nuova sfera dell'attività sociale: la politica, poiché i legami
comunitari diventano politici. Questo sviluppo era inscritto fin dall'inizio del processo
nel fatto che il proprietario privato era anche cittadino urbano.
Con la concentrazione nella città in quanto centro direttivo della vita rurale,
residenza del lavoratore agricolo e soprattutto quartiere generale per le operazioni
belliche, la comunità acquista come tale un'esistenza esterna, distinta da quella del
singolo (p. 460).
La storia greca e romana è perciò storia di città, ma di città fondate sulla proprietà
fondiaria e sull'agricoltura (caratteristiche della forma di produzione secondaria in
generale). L'organizzazione statale sorge dunque direttamente da questa esistenza
separata e permanente nella città. Non a caso politica deriva da polis, città. La chiave
dello sviluppo della società antica deve essere cercata nei rapporti sociali.
Si comprende così perché Roma poté sconfiggere la sua rivale fenicia Cartagine,
popolo essenzialmente mercantile e quindi unilateralmente sviluppato, mentre essa
disponeva di un contadiname intraprendente, zelante, allenato alle armi, e inquadrato
militarmente dalla città, il cui principio vitale era, fin dall'inizio, l'espansione della
comunità con l'occupazione di nuove terre e contrade, e dunque di nuovi mezzi di
produzione.
Quando gli àuguri ebbero assicurato a Numa che gli dei approvavano la elezione, la
prima preoccupazione di questo pio re non fu il culto religioso, ma la sorte degli uomini.
Egli distribuì le terre che Remolo aveva conquistato in guerra e che aveva lasciato
occupare: creò il culto di Terminus. Tutti gli antichi legislatori, e Mosè per primo,
hanno fondato il successo delle loro prescrizioni in materia di virtù, giustizia e morale,
sulla proprietà fondiaria, o almeno sul possesso della terra garantito ereditariamente al
maggior numero possibile di cittadini (p. 456-7).
Il primo periodo della storia dell'antichità, in cui ogni cittadino dello Stato era
proprietario di una parcella di terra che lui stesso lavorava, doveva necessariamente
condurre ai rapporti schiavisti, causa a loro volta della dissoluzione della società antica.
Infatti la proprietà privata racchiude in sé la propria negazione e distruzione, in maniera
molto semplice e pressoché diretta, nella non-proprietà, che si sviluppa e si generalizza
con l'introduzione e la concentrazione della proprietà privata stessa. Se i patrizi posero
sotto la propria dipendenza i loro concittadini non fu perché avevano in mano lo Stato,
ma perché la piccola proprietà si dissolse necessariamente nel processo progressivo
della produzione che consenti ai più ricchi di impadronirsi dello Stato e utilizzarlo a
proprio esclusivo vantaggio. La sfera politica, che si stacca come rapporto di dominio
dal processo di autonomizzazione sempre crescente della comunità, forma ormai la
sovrastruttura dello Stato. D'ora in poi, ogni passaggio al modo di produzione superiore
implica dunque l'abbattimento del vecchio Stato che difende i superati rapporti di
produzione.
Con la predominanza dello Stato sulla comunità consanguinea, a Roma tutti i
rapporti furono sconvolti: cessarono di costituire la garanzia dell'uguaglianza e della
libertà di ciascun contadino sulla propria parcella per divenire un mezzo di oppressione
e di spoliazione.
Già prima della soppressione della cosiddetta monarchia, fu distrutto a Roma
l'antico ordinamento sociale fondato sui personali vincoli di sangue; al suo posto
subentrò una nuova, reale costituzione dello Stato, basata sulla ripartizione territoriale e
sulla diversità di censo. La forza pubblica era composta di cittadini costretti al servizio
119
militare, di fronte non soltanto agli schiavi, ma anche ai cosiddetti proletari esclusi dal
servizio militare e dal portare armi 136.
Il principio rimane però sempre economico: la proprietà della terra rende cittadini
romani, e l'influenza sullo Stato è proporzionale alla proprietà posseduta. L'equilibrio tra
politica ed economia si sposta a favore della seconda, che diviene una sfera anch'essa
sempre più autonoma e decisiva. Per la loro genesi, i rapporti politici, come parti
componenti della sovrastruttura di forza, sono gli antichi rapporti di produzione della
comunità primitiva autonomizzati e sclerotizzati. Si deve inoltre distinguere tra
sovrastrutture giuridiche e politiche, cioè statali, che esercitano una costrizione fisica
sugli individui, e sovrastrutture ideologiche che esercitano una pressione sui cervelli.
120
esistente), sorgono ben presto le condizioni atte a far perdere al singolo la sua proprietà,
cioè la sua duplice esistenza di proprietario parcellare e di cittadino dello Stato, ossia la
posizione di uguaglianza che egli acquisisce alla nascita nella comunità (nazionalità).
Nella forma orientale questa perdita è a mala pena concepibile, anzi può aver luogo
in seguito a circostanze del tutto contingenti ed eccezionali, essendo ivi l'individuo
saldamente ancorato alle condizioni oggettive ed economiche della comunità.
A Roma, invece, bastava che il cittadino perdesse la proprietà della parcella e
quindi degli strumenti di lavoro, per correre il rischio di perdere anche la proprietà di se
stesso: l'appartenenza dell'individuo alla comunità era infatti mediata dal suo
appezzamento di terra, sicché egli non aveva un'esistenza autonoma. Nella forma
secondaria, infatti, l'uomo (col suo lavoro), lo strumento e la terra sono ancora saldati
insieme, e chi per accidente, guerra o carestia, oppure in seguito al processo economico
dell'espropriazione ne è separato, è campato in aria e può ritrovare nuove condizioni di
vita e di lavoro solo disponendosi — come schiavo — tra le oggettive condizioni di
produzione altrui, di un proprietario. I suoi legami si spezzano non solo verso la terra,
ma anche verso la comunità, la società degli altri uomini, e se ne appropria il patrizio
trasformandoli in legami di dipendenza personale, poiché egli rappresenta lo Stato in
quanto proprietario e accumulatore di terre.
Per non diventare schiavo (come i prigionieri di guerra, che in quanto semplici
mezzi di produzione materiale - instrumentum mutum - venivano utilizzati come bestie
da soma o appendici della terra), il cittadino romano rovinato, il plebeo, doveva mettersi
sotto la protezione di un cittadino romano ricco. Questi mediava ormai per lui la sua
appartenenza, vuotata di ogni contenuto, alla comunità — e la cittadinanza romana pei
Romani espropriati evolse verso un rapporto di clientela, che annuncia i legami di
dipendenza personale, anzi l'infeudamento della successiva forma terziaria. Questi
rapporti implicavano un assoggettamento più o meno grande del debitore, che evitava
però di divenire schiavo del creditore. Se invece non trovava una certa "cauzione", il
debitore vedeva i propri beni confiscati dal creditore e rischiava di finire nei
possedimenti di costui a lavorare come schiavo. Il patrizio accumulava così le
condizioni ad un tempo materiali e soggettive della produzione — la proprietà dei suoi
concittadini — e aumentava il suo peso nello Stato proporzionalmente al numero dei
suoi clienti. In tal modo, i patrizi insieme alla parcella privata si accaparrarono anche
abusivamente i diritti sull'ager publicus e sulla cosa pubblica dei plebei e dei debitori
insolventi, e "rappresentavano" sul piano politico tutti i plebei rovinati, proprio come in
buona democrazia il deputato rappresenta i suoi elettori: perché il denaro potesse così
compensare la partecipazione di un Romano alla terra, bisognava che la produzione
mercantile fosse già largamente sviluppata.
Si trattò in realtà di una vera e propria spoliazione, poiché i diritti sull'ager publicus
derivavano al cittadino dalla sua nascita romana (la sua nazionalità) e non erano
dunque alienabili come una qualsiasi merce: erano un usufrutto, un godimento. Si vede
qui nettamente delinearsi il movimento che assicura la priorità alla proprietà fondiaria
sui legami di sangue, al denaro e alle merci sui "diritti dell'uomo": la forza prevale
sempre sul diritto, e l'economia determina i rapporti politici, che si piegano alla volontà
dei ricchi e dei potenti. E la democrazia, fin dalle sue origini nell'agorà degli antichi,
non fa che mascherare coi suoi rituali questi fondamentali dati.
Storicamente, fu con la semplice occupazione dell'ager publicus - Marx precisa - che
i patrizi si arrogarono prima il diritto di goderne, poi di possederlo con una sorta di
prescrizione, sì da investirne essi stessi più tardi a titolo precario i loro clienti. Il
trasferimento di proprietà dell'ager publicus non poteva effettuarsi che tra cittadini
121
romani, tra patrizi e plebei. Tutte le assegnazioni si facevano a favore dei plebei,
suscettibili di essere indennizzati per la loro quota di terra comunitaria. La proprietà
fondiaria vera e propria, eccettuato il territorio limitrofo alle mura della città, era
originariamente nelle mani dei soli plebei (le terre comunitarie furono assorbite più
tardi). La plebe romana era essenzialmente un insieme di contadini, secondo la
definizione della proprietà quiritaria (p. 458).
Tutto lo sviluppo delle forze produttive passa così attraverso la dissoluzione dei
legami che uniscono il cittadino romano alla parcella: sia i clienti che gli schiavi
lavoreranno per arricchire il patrizio e ingrandire i suoi domini e il suo potere negli
affari pubblici. Nella produzione materiale, il lavoro della maggioranza non servirà che
ad accrescere la ricchezza altrui e ad accelerare la rovina propria.
La violenza, "questa potenza economica", fu un agente energico per la rovina della
grande massa dei piccoli proprietari romani.
Le stesse guerre con le quali i patrizi romani rovinavano i plebei, costringendoli ai
servizi bellici, impedendo loro di riprodurre i mezzi di lavoro e, quindi, impoverendoli
(e l'impoverimento che provoca la diminuzione o la perdita delle condizioni di lavoro
costituisce la forma predominante nel rapporto proprietà-non proprietà) riempivano le
cantine e i granai dei patrizi con rame predato, denaro del tempo. Anziché dare ai plebei
le merci di cui essi avevano bisogno - grano, cavalli, vacche e buoi - i patrizi davano
loro in prestito questo rame di cui essi stessi non potevano fare uso e approfittavano
della situazione per spremere enormi interessi usurai e fare in tal modo dei plebei i loro
schiavi-debitori 139.
E' caratteristico delle società di classe che ogni catastrofe sociale — cataclisma
naturale o guerra apportatrice di penuria e carestie - sia messa a profitto per assoggettare
gli uni e arricchire gli altri. Il procedimento è tanto più facile se si applica alla piccola
parcella privata, la più esposta al minimo rischio economico.
Questa prima separazione dell'uomo dalla sua fondamentale condizione produttiva, la
terra, fu necessaria al massimo sviluppo della proprietà fondiaria, che diviene in tal
modo autonoma. Tale separazione può compiersi in quanto il produttore era distinto dal
blocco umano della comunità proprietaria della terra. Con la parcellizzazione della terra
in tanti lotti per quanti produttori, da quel momento espropriati e senza difesa di fronte
al processo di accumulazione della proprietà fondiaria, si spianò il terreno per
l'assoggettamento del produttore - divenuto schiavo - alla grande proprietà fondiaria
stessa.
Questa prima dissociazione o autonomizzazione della proprietà fondiaria aprirà la
strada ad un ulteriore aumento delle forze produttive e a un nuovo più radicale processo
di espropriazione. Ma questo primo processo di espropriazione e di accumulazione della
proprietà fondiaria non poteva ancora condurre al capitalismo.
La prima accumulazione della terra nelle mani di una classe particolare fu un tragico
spettacolo di guerre e di devastazioni più rovinose delle catastrofi naturali. Tuttavia,
questi avvenimenti erano non contingenti, ma necessari per far avanzare il processo
sociale, ne erano addirittura il mezzo principale.
Nel Capitale, Marx non ha bisogno di inventare quanto allora si svolse; egli non fa
che citare un contemporaneo di questi avvenimenti. Appiano: I ricchi, occupata la
maggior parte della terra indivisa (ager publicus) e resi sicuri col passar del tempo che
nessuno più l'avrebbe loro tolta, si appropriarono delle parcelle vicine appartenenti ai
poveri, vuoi comprandole con la persuasione vuoi prendendole con la forza, sì da
coltivare estesi latifondi al posto di semplici poderi. Nel lavoro dei campi e
nell'allevamento del bestiame, essi impiegavano degli schiavi, dato che i liberi, in caso
di guerra, sarebbero stati sottratti al lavoro dalla coscrizione. Il possesso di schiavi era
per loro assai vantaggioso perché questi erano molto prolifici e si moltiplicavano senza
139
Cf. Marx, Il Capitale III, cap. XXXVI, Condizioni precapitalistiche.
122
pericoli, stante la loro esclusione dal servizio militare. In tal modo i patrizi accentrarono
nelle loro mani tutta la ricchezza e l'intero paese brulicò di schiavi. Per cui, quando i
plebei tornavano dalla guerra si trovavano condannati all'inattività completa, poiché i
ricchi si erano accaparrati le terre e gli schiavi avevano rimpiazzato gli uomini liberi,
romani 140. Era la prima mistificazione dovuta alle guerre imperialiste di colonizzazione,
nelle quali i poveri e gli oppressi si battono per le classi dominanti contro i loro stessi
interessi materiali immediati!
Marx così descrive la fatale impotenza del piccolo proprietario contadino: Per quanto
riguarda i piccoli produttori, la conservazione o la perdita dei loro mezzi di produzione
dipende da mille circostanze e ciascuna di queste circostanze o perdite significa
impoverimento e diventa un punto su cui l'usuraio può installarsi per succhiare. Per il
piccolo contadino è sufficiente che muoia una mucca perché egli si trovi
nell'impossibilità di ricominciare la sua produzione alla scala precedente 141.
E facendo l'individuo ancora parte in questo stadio delle condizioni di produzione,
accadeva spesso "che la carestia portava alla vendita dei figli e alla vendita volontaria di
uomini liberi come schiavi ai ricchi" (ibid.).
La classe dominante che disponeva dei mezzi di produzione e dell'organizzazione
sociale dello Stato ora che la libera ed egualitaria comunità contadina si era trasformata
nello Stato schiavista dei patrizi, cercò in seguito mediante la colonizzazione di
estendere il suo modo di produzione agli altri paesi del mondo antico, assoggettandosi
ancor più la massa dei cittadini romani ed espropriandola più radicalmente. Tutta la
storia ulteriore dell'antichità è una catena ininterrotta di tentativi di espropriazione delle
masse e di tentativi di riappropriazione da parte di queste ultime, un circolo vizioso di
rivolte ora schiacciate ora vittoriose. Per il loro carattere terriero, questi antagonismi
non potevano superare il dualismo proprietà-non proprietà. La vittoria della proprietà
privata (dei patrizi) significava non-proprietà (per le masse). La vittoria dei debitori non
faceva che innescare di nuovo il ciclo dell'espropriazione. La società antica girava a
vuoto, e doveva alla fine dissolversi.
140
Cf. Marx, Il Capitale I, cap. XXIV, 2, Espropriazione della popolazione rurale.
141
Cf. Marx, Il Capitale III, cap. XXXVI, Condizioni precapitalistìche.
123
necessario fermento dello sviluppo e della dissoluzione dei primitivi rapporti di
proprietà e di produzione, mentre ne esprimevano al contempo il carattere limitato.
Proprio perché i rapporti di classe sorti dalla grande proprietà fondiaria si
sclerotizzano e si concentrano nella sovrastruttura dello Stato, che impone a tutta la
società la conservazione dei superati rapporti sociali, lo schiavismo e l'artigianato non
potranno continuare a svilupparsi e differenziarsi autonomamente. L'ulteriore
evoluzione si effettuerà dunque, a Roma, in un processo dissolutivo dei rapporti
esistenti, ogni nuova apertura e ogni progresso vengono in capo a un certo tempo
annullati perché in stridente contraddizione con i rapporti sociali generali della forma
secondaria. Come abbiamo detto, la società antico-classica gira ormai a vuoto.
Sarà compito dei Germani nel corso delle loro invasioni e conquiste, abbattere
finalmente le impalcature politiche e giuridiche che consacrano i superati rapporti di
proprietà e, imponendo i propri rapporti sociali all'evoluzione economica e sociale
attinta, aprire la breccia rivoluzionaria verso il feudalesimo.
Si sarà notato che evocando la forma antico-classica facciamo riferimento a Roma
piuttosto che alla Grecia. E' perché Roma si è sviluppata sulle orme della Grecia in
forme più pure attingendo sul piano economico e sociale i massimi vertici, donde una
ben maggiore fecondità di forme anticipatrici del feudalesimo nel corso del lungo e
doloroso suo periodo di dissoluzione.
La forma antico-classica, pervenuta al suo più alto livello di sviluppo, anziché
migliorare la sorte della popolazione, provocò una generale cronica pauperizzazione,
poiché i rapporti sociali non potevano evolvere per adattarsi allo slancio delle forze
produttive, come accade ogni qualvolta una forma di produzione raggiunge il suo
massimo sviluppo — e ciò si presenta nel modo più contraddittorio alla fine del
capitalismo in cui l'universale crisi di sovraproduzione genera indicibili miserie.
Così, nella Roma in decadenza, la facoltà di vendere i propri familiari in caso di
bisogno era divenuto un diritto generale: il creditore poteva ovunque prendere come suo
servo il debitore moroso e farsi indennizzare, nella misura del possibile, mediante il suo
lavoro oppure mediante la vendita della sua persona (p. 482).
Il sistema della clientela, attuato dai patrizi nei confronti dei propri concittadini
caduti in rovina, doveva anticipare senza tuttavia potersi sviluppare direttamente il
futuro rapporto di dipendenza personale che prevarrà poi nella forma terziaria. La
clientela era forma derivata dal seguito (comitatus in latino; Gefolgschaft in tedesco),
sorta di escrescenza di rapporti comunitari arcaici sviluppatasi in collegamento a
compiti militari. Già tra gli Irochesi vediamo come, accanto all'organizzazione
gentilizia, si formino associazioni private che conducono la guerra di loro propria
iniziativa 142. Nate da condizioni simili, queste divennero tra i Germani organizzazioni
permanenti che, data l'epoca turbolenta, esistevano anche in tempo di pace. In tempo di
guerra, i nuclei permanenti venivano ingrossati da volontari. Il capo provvedeva ai
bisogni degli uomini del suo seguito, distribuendo il plusvalore in natura che non era in
grado di consumare da solo, trattandosi essenzialmente di mezzi di sussistenza. Coi
Germani, l'istituzione poté svilupparsi in rapporto feudale perché poggiante su un
rapporto di dipendenza personale, capi e subordinati giurandosi fedeltà reciprocamente
(personale) al di fuori dello Stato. A Roma al contrario il rapporto del seguito o clientela
derivava dallo statuto di cittadinanza. Nelle regioni germaniche non occupate dai
romani, ma nelle quali la guerra imperversò per secoli, queste compagnie acquistarono
crescente importanza e dissolsero l'organizzazione basata sulla comunità consanguinea.
142
Cf. Engels, l'Origine della famiglia, cit, cap. VII, La gens tra i Celti e i Tedeschi, p. 174.
124
Man mano che Roma perse il predominio economico e politico, le provincie ottennero
una sempre maggiore indipendenza, e fiorirono le confederazioni di tribù (popoli) tra
Germani o imparentati su base militare. Queste confederazioni imitavano l'ordine
militare gerarchico, di cui il rappresentante più eminente fu il re alla testa del suo
seguito. Tali seguiti favorirono l'avvento del potere regio, la cui iniziale funzione fu
militare, e si reclutò la nuova nobiltà tra gli uomini al seguito dei re conquistatori. Solo
sormontando l'ostacolo rappresentato dallo Stato schiavista romano, si potè giungere
all'ordine feudale.
Ma prendiamo in esame l'evoluzione del seguito o clientela a Roma. Essendosi da
lungo tempo spezzati i legami di consanguineità, la gens non veniva ormai più in
soccorso dei suoi membri caduti nell'indigenza, come una volta era suo dovere fare.
D'altra parte, poiché la cittadinanza era originariamente legata alla proprietà della
parcella, la situazione degli espropriati non si discostava molto dall'assenza di diritti
civili propria degli schiavi. Sorse di qui l'uso della "clientela", agglomerato di clienti
poveri attorno a un patrono. La cittadinanza, vale dire lo Stato, viene così a costituire la
base di questo rapporto, donde l'oscillazione tra plebeo e schiavo dei debitori rovinati,
dato che le condizioni economiche erano nel frattempo evolute dal rapporto tra Romani,
contadini piccoli proprietari, a quello della grande proprietà fondiaria del patrizio
schiavista. Ormai il patrono non aveva più bisogno di essere nobile: bastava che fosse
ricco; e gli stessi liberti vennero ricercati come patroni non appena beneficiarono dello
statuto di cittadini romani. Finché il patronato restava sotto la dipendenza della grande
proprietà schiavista e dello Stato dei patrizi, l'evoluzione verso il servaggio era sbarrata.
Girando a vuoto, questo sistema non fece quindi che generare miseria e stagnazione
sociale nel periodo di declino "in cui ricchi e poveri erano le sole vere classi di cittadini;
in cui l'indigente, per quanto nobile fosse la sua origine, aveva bisogno di un patrono, e
il milionario, anche se era un liberto, era ricercato come patrono. Quasi non si aveva più
nozione degli antichi rapporti sociali ereditari (p. 482).
Tali rapporti non potevano diventare dei veri e propri rapporti di classe, suscettibili
di una feconda evoluzione, poiché il rapporto di clientela che vincolava il debitore al
creditore non poteva veramente trasmettersi da una generazione all'altra. Evolvendo così
tra la condizione del plebeo e quella dello schiavo, il rapporto del cliente veniva a
trovarsi in un vicolo cieco. E' d'uopo quindi prendere in esame la situazione sociale del
plebeo, che si trovava in certo qual modo in un rapporto di seguito verso il patrono, in
quanto questo distribuiva agli uomini del suo seguito la parte di plusvalore da lui
accaparrata ma che non poteva consumare da solo. Questo rapporto è quindi
direttamente collegato a una nuova forma di proprietà, quella dei mezzi di sussistenza,
che è un rapporto storico determinato dell'uomo con la natura attraverso una mediazione
a lui esterna.
Nella figura del plebeo, lacerato da contraddizioni insolubili da quando era esso
stesso prodotto della dissoluzione dell'antico rapporto del libero contadino cittadino di
Roma, si trova la migliore illustrazione del vicolo cieco nel quale si era cacciata la
società schiavista.
La plebe romana che aveva perso la proprietà della parcella costituiva
essenzialmente una forma transitoria di dissoluzione: la cittadinanza, di cui essa
continuava a beneficiare, le garantiva la possibilità di fruire - come i clienti, gli schiavi e
i proprietari fondiari - dei mezzi di sussistenza necessari poiché questi ultimi erano
ancora legati alla proprietà fondiaria (dei patrizi) e appropriati attraverso di essa.
125
La proprietà dei mezzi di sussistenza è infatti la terza forma possibile di
appropriazione, e coincide grosso modo con la proprietà fondiaria, base della forma
secondaria. Essa esclude qualsiasi rapporto dell'individuo lavoratore con i mezzi di
produzione e quindi con le condizioni di esistenza. Lo stesso schiavo, separato dalle
oggettive condizioni del lavoro, non ha con queste alcun rapporto, ma — come lo
strumento — è indissolubilmente legato alla proprietà fondiaria, per cui, come alle
bestie da soma, gli sono automaticamente forniti i mezzi di sussistenza. La forma di
proprietà dei mezzi di sussistenza che persiste presso il plebeo deriva dagli antichi
rapporti che egli aveva con la comunità, cui appartenevano sia l'individuo che la terra e
le sue appendici. Questo rapporto continua a sussistere a Roma anche dopo che il plebeo
ha perduto la parcella ma non è ancora completamente decaduto dalla sua qualità di
membro della comunità statale (cittadino) come, ad esempio, la plebe romana al tempo
dei panes et circenses (p. 481), quando i patrizi facevano distribuire gratuitamente alla
plebe pane e divertimenti.
Il rapporto degli schiavi differisce dunque su questo punto da quello della plebe.
Come il seguito del Medioevo, la plebe trae le sue sussistenze dai proprietari fondiari
riccamente forniti: essa partecipa al modo di esistenza del proprietario fondiario che ha
cessato di lavorare, e la cui proprietà ingloba, tra i mezzi di produzione, il lavoratore
stesso in quanto schiavo o servo. Qui il rapporto di signoria costituisce il rapporto
essenziale dell'appropriazione. Siamo in piena società di classe, con i possidenti
privilegiati e i loro seguiti di improduttivi e parassiti.
Oltre alla possibilità di precipitare nella schiavitù ogni qualvolta lo esigevano le
condizioni dell'appropriazione reale del processo di produzione, il plebeo, come
cittadino romano, aveva una doppia figura. Da un lato egli poteva, sulla base della sua
cittadinanza, costituire una clientela praticamente parassitaria come strumento di
manovra politica della classe aristocratica, dall'altro poteva svolgere un vero e proprio
ruolo economico, fornendo col lavoro della guerra una sorta di equivalente dei mezzi di
sussistenza. Ma egli cadeva qui in una nuova contraddizione, propria della Roma in
declino: anziché ricevere queste prestazioni in quanto membro del seguito del capo
militare, come avveniva tra i Germani ove questo rapporto si trasformò in un istituto
feudale, il plebeo percepì ben presto un salario per il proprio servizio militare, come
qualsiasi altro mercenario, con cui entrò quindi in concorrenza. Marx sottolinea che il
salariato è nato nell'esercito (romano) come remunerazione del sopralavoro della
guerra, e non come fonte diretta del plusvalore capitalistico.
I compiti della guerra diventavano tuttavia sempre più sterili a misura che la guerra
stessa assumeva un carattere nettamente imperialista a profitto dell'oligarchia
dominante, per cui la plebe tendeva ad essere niente di più che una rotella
dell'ingranaggio dello Stato romano schiavista.
Questa funzione della plebe evoca la fondamentale funzione fisiologica di
riprodurre l'umanità su più vasta scala, la cui portata e significato possono essere
afferrati solo in relazione all'evolvere delle strutture sociali dalla nazione consanguinea
a quella politica attraverso la divisione del lavoro esistente: la plebe si chiamò
proletariato per la sua funzione genetica di generare nuovi cittadini, futuri soldati e
custodi dello Stato schiavista, e percepì per questo le sue sussistenze. Non può dunque
questo proletariato essere paragonato a quello moderno, che, in quanto forza lavoro
viva, fisiologica, crea tutti i valori nel processo di produzione, poiché il lavoro è
insieme alla terra vivente infante di ogni ricchezza e — nella parola di Marx — feconda
la terra.
126
La funzione prolifica dei plebei era in connessione con l'altro loro compito di
procurare schiavi al modo di produzione dominante facendo la guerra 143. Ma il servizio
militare fu causa di nuove contraddizioni, da quando lo Stato era diventato schiavista: i
plebei entrarono in concorrenza con gli schiavi stessi. Infatti, dal momento che erano
questi ultimi ad assolvere compiti produttivi, i plebei erano costretti, in tempo di pace,
all'inattività, e col prolungarsi della pace rischiavano di indebitarsi e quindi di diventare
schiavi per debiti nei possedimenti dei patrizi. A causa di questa insicurezza, i plebei
non avevano mai un legame fisso con la produzione e la società e non potevano dunque
formare una classe nel senso proprio del termine.
La causa profonda della situazione d'impasse in cui Roma si trovava era data dal
fatto che il lavoro schiavista, nello sviluppo delle forze produttive umane, aveva
raggiunto un vertice che non poteva oltrepassare senza trasformarsi in lavoro servile.
Nell'epoca imperiale, l'agricoltura romana trasformò in pascoli superfici vastissime,
spopolando il paese. Lo schiavismo procedeva di pari passo con l'estendersi
dell'economia di piantagione a carattere estensivo e dunque poco produttiva, marcante
anzi un nettissimo rinculo rispetto alla produttività del libero contadino e anch'essa
declinava progressivamente, dal momento che diventava sempre più difficile procurarsi
gli schiavi, mentre i barbari asserviti, essendo di nazionalità assai eterogenee, non
riuscivano a comprendersi fra di loro nei grandi possedimenti. Di fronte alla penuria di
braccia provocata dal rendimento decrescente delle guerre di conquista, si cercò di
elevare la produttività della manodopera nelle condizioni esistenti, senza mutare
fondamentalmente i rapporti sociali, introducendo il colonato, che si rivelò alla fin fine
un vicolo cieco sulla via dello sviluppo delle forze produttive agricole. Si smembrarono
le grandi proprietà in piccole parcelle date in affitto per lunghissima durata (enfiteusi) a
coloni assoggettati a prestazioni in denaro o in natura. Ma questi coloni furono ben
presto coperti di debiti e caddero sotto la dipendenza dei grandi proprietari fondiari.
In fondo, la grande proprietà fondiaria conteneva già, in germe, la forma che
assunse poi sotto il feudalesimo, ma che non poteva tuttavia realizzarsi nelle condizioni
di produzione schiavistica. Nelle diverse forme di lavoro agricolo sorte in quel
momento storico, si può scoprire la transizione alla servitù della gleba: La piccola
coltivazione diventava la sola forma redditizia. Tutte le ville, una dopo l'altra, vennero
spezzettate in piccole parcelle e assegnate a fittavoli ereditari che pagavano una
determinata somma o a paritarii (parcellari), più amministratori che fittavoli, i quali, in
cambio del loro lavoro, ricevevano la sesta o la nona parte del prodotto annuale.
Prevalentemente, però, questi piccoli appezzamenti venivano concessi a coloni che
143
Cf. Marx, // Capitale I, XXIV, 2. Vedere alla fine della nota di Marx la riproduzione della
citazione di Appiano sulla sorte dei plebei in tempo di guerra e in tempo di pace.
E' estremamente curioso constatare che furono gli uomini, e non le donne, ad addossarsi la
funzione genetica della riproduzione umana. Si era nella società patriarcale, e gli uomini, non
avendo che una funzione assolutamente contingente nell'allevamento dei bambini, ossia nel
reale processo di lavoro della riproduzione umana, anche su questo piano scivolarono nel
parassitismo. Se giunsero tuttavia ad usurpare la funzione prolifica, fu in quanto erano cittadini
romani e come tali il ceppo della nazione, e inoltre questa cittadinanza attribuiva loro la
funzione del servizio militare che, in una società come Roma, costituiva uno dei presupposti per
l'occupazione della terra- La posizione predominante degli uomini (virilismo o maschilismo} nei
paesi mediterranei ha indubbiamente la sua origine lontana ma tenace in queste contraddizioni
della funzione di riproduzione dovute alla società di classe imperialistica: fornire carne da
cannone e manodopera a basso prezzo, sotto la direzione del capofamiglia "maschio".
127
pagavano un certo canone annuo, che erano incatenati alla gleba e potevano essere
venduti insieme alla loro parcella; essi non erano certo schiavi, ma neppure liberi 144.
Tuttavia il fatto di essere venduti contemporaneamente alla terra-merce li designava più
come schiavi che come servi.
Risorgeva qui il rapporto schiavista fondamentale di Roma, alzatosi a un alto livello
di produzione mercantile.
I liberi contadini impoveriti cercarono volenti o nolenti la garanzia del rapporto
clientelare, dandosi un patrono per sfuggire all'arbitrio dei funzionari e del fisco. Interi
villaggi funzionavano sul sistema dei precari (contadini che utilizzavano la terra dietro
versamento di un interesse). Si vede come tutte queste forme racchiudano già in germe i
rapporti di dipendenza. L'imperatore Costantino e i suoi successori rafforzarono e
confermarono nella loro legislazione la dipendenza dei coloni e dei piccoli contadini nei
confronti della grande proprietà fondiaria; ma lo stesso Stato romano rappresentava un
ostacolo per lo sviluppo dei rapporti di dipendenza personale.
Restava infine per i plebei ancora un'altra possibilità: l'artigianato, legato a Roma
alla produzione di merci. Certo, rispetto al contadiname che costituiva l'ampia e
poderosa base della forma classico-antica, esso godeva all'inizio di scarsissima
considerazione. Ma la situazione degli artigiani finì per migliorare grazie alla crescente
importanza della loro attività. Potevano diventare artigiani, oltre agli stranieri e ai
liberti, anche i plebei: In entrambe le classi — meteci, liberti e loro discendenti — si
reclutavano gli artigiani, e allo stesso status erano ridotti i plebei che abbandonavano la
coltivazione dei campi. Essi avevano il diritto di appartenere a corporazioni legali;
queste erano tenute in così elevata considerazione che si faceva il nome di Numa quale
loro fondatore. Esse erano nove: suonatori di flauto, orafi, carpentieri, tintori, calzolai,
conciatori, ramai, vasai e la nona corporazione che comprendeva tutti i rimanenti
mestieri. Alcuni di essi erano abitanti del suburbio autonomi; altri erano "isopolidi" che
avevano acquistato il diritto di cittadinanza quando esso esisteva e non si erano
sottomessi ad alcun patrono; altri ancora discendevano da "seguiti" che si erano sciolti
per l'estinzione della stirpe del protettore. E Marx sottolinea che in quanto "eterni"
piccolo-borghesi, questi artigiani non si preoccupavano che della loro piccola, limitata
attività: essi sono indubbiamente stati altrettanto estranei alle contese tra gli antichi
cittadini e la comunità, quanto le corporazioni fiorentine alle discordie tra le dinastie dei
guelfi e dei ghibellini (p. 483).
Si generalizzò così un artigianato per le condizioni dell'epoca sviluppatissimo e che
costituisce una delle più alte conquiste della forma secondaria. Roma giunse perfino a
sviluppare ancora l'artigianato creato dalla forma asiatica. Il passo successivo ci
conduce allo stadio superiore della barbarie, al periodo nel quale tutti i popoli civili
assolvono la loro età eroica: l'età della spada di ferro, ma anche del vomere e dell'ascia
di ferro. Il ferro entra al servizio dell'uomo, e fu l'ultima e la più importante di tutte le
materie prime che ebbero nella storia un ruolo rivoluzionario; l'ultima... fino alla patata.
Il ferro permise la coltivazione di superfici più vaste, il dissodamento di estese zone
boscose, fornì all'artigianato strumenti di una durezza e di un taglio a cui né la pietra né
alcun altro metallo conosciuto poteva resistere 145.
Le forze produttive e la ricchezza aumentarono rapidamente, ma in quanto
ricchezza individuale; la tessitura, la lavorazione dei metalli e gli altri mestieri che si
144
Cf. Engels, l'Origine della famiglia, cit, cap. Vili, La formazione dello Stato
presso i Tedeschi, p. 180.
145
Cf. Engels, l'Origine della famiglia, cit., cap. IX, Barbarie e civiltà, p. 193.
128
differenziano sempre più davano alla produzione una varietà e una perfezione crescente;
l'agricoltura forniva, oltre ai cereali, legumi e frutta, e anche olio e vino, di cui si era
appresa la preparazione. Attività così svariate non potevano più essere esercitate da uno
stesso individuo. Si compì così la seconda grande divisione del lavoro:
l'ARTIGIANATO SI SEPARO' DALL'AGRICOLTURA (il che si realizzò solamente
sotto il feudalesimo, pur trovandosi sviluppato in nuce già nella forma secondaria,
specie in quella classico-antica). Il costante accrescimento della produzione e quindi
della produttività del lavoro elevò il valore della forza lavoro umana; la schiavitù ancora
nascente e sporadica nello stadio inferiore, diventava ora una componente essenziale del
sistema sociale; gli schiavi cessano di essere semplici ausiliari e vengono spinti a
dozzine al lavoro, nei campi e nelle officine. Con la divisione della produzione nelle sue
due branche principali — agricoltura e artigianato - nasce la produzione direttamente
per lo scambio, la produzione mercantile, e con essa il commercio non solo all'interno e
alle frontiere delle comunità, ma anche già oltremare (ibid.).
Nella forma secondaria, tuttavia, la produzione mercantile, benché la sua base
materiale (fra l'altro la tecnica) vi fosse largamente elaborata, non poteva espandersi.
Questa base, come dice Marx (che concepisce sempre le cose in maniera universale, al
di sopra dei paesi e delle generazioni), "andrà a vantaggio delle generazioni seguenti".
Sarà necessario che i rapporti sociali possano adeguarsi alle forze produttive perché
diano loro nuovo slancio. Nella forma secondaria l'artigianato trovava dei limiti ben
precisi nel predominio della proprietà fondiaria, che opprimeva letteralmente la variante
classico-antica non lasciando alcuna possibilità di organizzazione e di sviluppo
autonomo ad altre attività produttive, artigianali o manifatturiere. L'artigianato a Roma
si svilupperà ai margini della proprietà fondiaria, sull'ampio terreno degli scambi
mercantili, ma verrà imbrigliato dalle strutture sociali che gli darà lo Stato schiavista.
Esso si ambienterà solo nel feudalesimo allorché potrà svilupparsi autonomamente nelle
città.
Engels, nell'Origine della famiglia (in cui egli studia lo sviluppo economico
sfociante nella produzione mercantile che precede di gran lunga il capitalismo),
sottolinea che l'artigianato non fu la fonte della produzione mercantile a questo stadio
della produzione: La proprietà privata di armenti e di oggetti di lusso che andava
affermandosi portò allo scambio tra individui e alla trasformazione dei prodotti in
merci, seppur in maniera necessariamente limitata. Ed è qui il germe di tutto il
rivolgimento che ne seguì 146.
L'antichità non poteva tuttavia sopprimere la predominanza del valore d'uso sul
valore di scambio delle merci in denaro: Nell'antichità classica, anziché dare importanza
alla quantità e al valore di scambio, ci si atteneva esclusivamente alla quantità e al
valore d'uso. In seguito alla divisione delle branche della produzione sociale le merci
sono fatte meglio; le diverse inclinazioni e talenti degli uomini possono scegliersi
corrispondenti sfere d'azione, poiché senza limitazione non si può eseguire nulla di
notevole in nessun campo: dunque la divisione del lavoro perfeziona sia il prodotto che
il produttore. Se, occasionalmente, si parla anche dell'aumento della massa dei prodotti,
si mette in rilievo allora la maggiore abbondanza di valori d'uso, di oggetti utili, ma non
affatto il valore di scambio o la diminuzione di prezzo delle merci 147.
146
Cf. Engels, l'Origine della famiglia, cit., cap. V, Genesi delio Stato ateniese,
p. 140
147
Cf. Marx, Il Capitale I, sez. IV, cap. XII, 5.
129
La produzione mercantile potrà accedere ad un livello superiore nel suo sviluppo
ma la base di questa evoluzione è ormai realizzata.
Dal momento che la produzione di merci e il sistema monetario avevano già assunto
un'estensione notevolissima per le condizioni esistenti in Grecia e a Roma, era
inevitabile che l'usuraio rivestisse un ruolo primario. Ma finché sussisteva la forma
secondaria dominata dalla proprietà fondiaria, egli non era in grado di generare rapporti
monetari di tipo capitalistico 148. Contribuì tuttavia ad aggravare le condizioni del
produttore e quindi ad imporre rapporti di classe, rovinando i debitori. L'usuraio, nei
modi di produzione precapitalistici, svolge un'azione rivoluzionaria solo sul piano
politico, perché dissolve le forme esistenti di proprietà su cui le strutture politiche si
edificano e impedisce all'economia di riprodursi sulle vecchie basi. Esso esercita anche
un'azione centralizzatrice, ma soltanto sulla base dell'antico modo di produzione, e non
su quello che deve prendere il suo posto tramite una nuova rivoluzione, mentre i
debitori da lui rovinati vanno a costituire la miserabile clientela del patrono 149.
Nella variante classico-antica, specie a Roma, la predominanza del denaro,
nonostante l'accumulazione di somme fantastiche, non poteva condurre ai rapporti
capitalistici: Il denaro non funzionava allora che come potente mezzo di dissoluzione
della piccola proprietà contadina e dei rapporti sociali generali. La semplice esistenza
della ricchezza monetaria come pure il fatto che essa abbia potuto conquistare la
supremazia non bastano ad assicurare la dissoluzione di tali modi di produzione e di
comportamento in capitale. Altrimenti l'antica Roma, Bisanzio ecc., avrebbero concluso
la loro storia con il lavoro libero e il capitale o piuttosto avrebbero dato inizio a una
nuova storia. Anche lì la dissoluzione dei vecchi rapporti di proprietà era legata allo
sviluppo della ricchezza monetaria, del commercio, ecc., ma invece di portare
all'industria, essa portò al dominio della campagna sulla città, non riuscì cioè a scuotere
il predominio della proprietà fondiaria 150.
La forma di produzione secondaria nella sua variante classico-antica ci fornisce così
un preludio drammatico al processo della cosiddetta accumulazione del capitale della
forma quaternaria, che in massa spoglierà e "libererà" della terra e dei mezzi di
produzione i produttori. Nell'antichità mancavano tuttavia le piene condizioni per una
liberazione definitiva del produttore, cui sono preliminari la completa autonomizzazione
della proprietà fondiaria (nelle mani di una classe particolare di usurpatori) e uno
sviluppo notevole dei mezzi di lavoro, resisi anch'essi autonomi nei confronti del
produttore divenuto nuda forza lavoro. Operare la dissociazione tra proprietà fondiaria e
mezzo di lavoro separando la città dalla campagna, sarà il compito storico del
148
In opposizione alla dialettica astratta, senza contenuto determinato, di Hegel, Engels
sottolinea che "è il cambiamento quantitativo che modifica la qualità", in questo caso è un
cambiamento quantitativo di rapporti dati che porta a un nuovo modo di produzione: "II
processo infinito non è in Hegel che un deserto vuoto, perché è solo un'eterna ripetizione dello
stesso processo: 1+1+1+1, ecc. Ora, con la semplice addizione delle quantità formali, non si
ottiene che una somma più grande, e non già una diversa qualità: è perciò necessario che la
stessa quantità abbia già una data qualità che si modifica e si rovescia nel suo contrario ad un
determinato livello di accumulazione" (Note preparatorie alla Dialettica della natura del signor
Dühring). Il denaro come numerario può evolversi in denaro, segno del valore delle merci e
quest'ultimo in mezzo di tesaurizzazione, ma a questo stadio non può ancora trasformarsi in
capitale.
149
Cf. Marx, Storia delle teorie economiche, Torino 1971, vol. III, p. 543.
150
Cf. Marx, Grundrisse, cit., p. 488.
130
feudalesimo. La produzione mercantile non dominava ancora sufficientemente questi tre
settori della produzione per imprimere loro il carattere di merce: l'uomo era ancora
saldato alla terra.
La variante classico-antica aveva spinto all'estremo limite di sviluppo i suoi rapporti
sociali di proprietà e di produzione e non poteva ulteriormente evolvere; e questo
provocò una decadenza irrimediabile: Impoverimento generale, regresso del commercio,
dell'artigianato, dell'arte, spopolamento, decadenza della città, ricaduta dell'agricoltura
ad un livello inferiore: questo fu il risultato finale dell'egemonia mondiale di Roma 151.
La soluzione poteva venire solo dall'esterno. La nuova rivoluzione dei rapporti
sociali sarà il contributo della variante germanica della forma secondaria nell'opera di
sviluppo delle forze produttive.
131
Possono quindi essere soltanto considerazioni ideologiche - che come tali devono
essere trattate - che vogliono perpetuamente legare l'episodio germanico al popolo
tedesco. Quel che importa loro dimostrare è che la Germania è e resta il paese della
barbarie innata, in opposizione alla raffinata (Civiltà del Mediterraneo e dei popoli
dell'Asia colta, e farne la culla del militarismo perché ha generato la società
militarmente strutturata del feudalesimo, al cui cospetto le borghesie d'Inghilterra e di
Francia appaiono come i simboli dell'età dei Lumi e della Ragione, e gli USA della
democrazia.
Invero, non di altro si tratta che del riflesso delle mistificatrici ideologie dei campi
occidentali che hanno riportato la vittoria (dimostrando con ciò di essere i più
militaristi) nelle ultime due successive guerre imperialiste e ne hanno approfittato per
consolidare il loro ordine sociale e perpetuare il dominio del capitalismo decadente. E'
forse il modo di produzione capitalistico la fonte delle disgrazie dell'umanità? Mai più.
Colpevole è (guardate un po'! ) l'"anima" tedesca o diciamo, per l'Italietta mussoliniana,
suscitatrice delle potenze oscure del feudalesimo irrazionale e del totalitarismo fascista
che precipita il mondo intero in un massacro periodico: pura mitologia basata sul più
vieto razzismo. E' curioso notare come questo antigermanismo poggi sulla classica
opera dell'antico romano Tacito, Germania, in cui i popoli germani sono descritti come
orde di bestie selvagge perché hanno il torto di aver inflitto le prime disfatte militari a
quegli orgogliosi romani fino ad allora sempre vincitori che volevano portare al mondo
la pax romana (pacare = pacificare, sottomettere, assoggettare), dopo aver soggiogato
gli abitanti nel loro proprio paese. Ferito nell'orgoglio da questa prima disfatta, Tacito
da libero sfogo alla sua arroganza di rappresentante di un popolo superiore, fino a quel
momento imbattuto, e dacché è ripreso da tutti i tedescofaghi, degni rappresentanti
dell'attuale civiltà.
Siffatta ideologia si riflette in tutti i commentatori del capitolo delle Forme
successive di produzione di Marx, i quali assimilano né più né meno il modo di
produzione germanico al feudalesimo. Quest'ultimo quindi anziché risultato dell'apporto
delle tre varianti della forma secondaria, ovvero della fusione finale delle varianti
classico-antica e germanica, sarebbe frutto della sola forma germanica, colpevole, dopo
aver abbattuto la brillante civiltà di Roma, di aver precipitato l'umanità nella notte del
feudalesimo, cancellando d'un colpo tutti gli anteriori contributi positivi dell'umanità nei
vari stadii della produzione sociale.
Così alcuni commentatori antifascisti di questa generazione di vinti che leccano i
piedi ai vincitori prima di divenire arroganti col ritorno della prosperità, affermano
apertamente che i Germani, insieme al feudalesimo, hanno introdotto nella storia il
sistema di classe (che la democrazia borghese pretende abolire): "II passaggio alla
società di classe si è dunque effettuato in Germania, ad un'epoca e in un luogo in cui si
allacciava un contatto più o meno stretto con la dissoluzione dell'ordinamento
schiavista, nel quale le forze di produzione e i rapporti produttivi erano entrati in una
insuperabile contraddizione, e addirittura questo passaggio si è operato in un diretto
concatenamento causale con la dissoluzione dello schiavismo" 152. La perfida Germania
ha dunque ripreso tutti gli aspetti negativi dell'ordinamento schiavista in un "diretto
concatenamento causale", senza che peraltro lo schiavismo romano abbia rappresentato
l'ordinamento di una società di classe!!!
152
Cf. H. Bericke, Forza produttiva e rapporti di produzione nel feudalesimo, in Zeitschrift
für Geschichte XIV/2 Berlin 1966, p. 922.
132
Simili enormità possono solo spiegarsi con l'ideologia dominante, il cui metodo
consiste nel far totale astrazione dal reale contenuto economico e storico, dal marxismo
teorizzato in leggi oggettive, per andare a caccia di citazioni avulse dal loro contesto.
Così la maggior parte dei commentatori "antifascisti" ha assimilato la forma germanica
al feudalesimo, riprendendo l'amalgama tra tedesco e barbaro germanico del Medioevo
oscurantista, e rifacendosi per questo a una frase del manoscritto di Marx sulle Forme,
non elaborato per la pubblicazione ma redatto per l'autochiarimento dell'autore:
"Il Medioevo (periodo germanico) prende avvio dalla campagna come centro della
storia; il suo ulteriore sviluppo avviene poi nella contraddizione fra città e campagna"
(p. 460). Ora, gli altri numerosissimi ed espliciti passi, includono la variante germanica
nella forma secondaria allo stesso titolo della asiatica e della antico-classica,
delimitandola anche con estrema precisione nel tempo e nello spazio: Il suo equivalente,
in occidente, è la comune germanica di data recente. Essa non esisteva ancora al tempo
di Giulio Cesare e non esisteva già più quando le tribù conquistarono l'Italia, la Gallia,
la Spagna, ecc. 153. Inoltre, ed è qui l'essenziale, in tutte le descrizioni di Marx la
variante germanica è distinta, come vedremo ora, dal feudalesimo.
Dopo quanto abbiamo detto delle due altre varianti secondarie, possiamo definire
abbastanza brevemente la forma germanica. Nella sua forma pura, quest'ultima si
apparenta con la variante antico-classica nel suo duplice aspetto del piccolo contadino
proprietario e dell'ager publicus collettivo, forma che in Grecia e a Roma è evoluta
verso lo schiavismo e che tra i Germani è durata solo 120 anni prima di sprofondare in
guerre e conquiste, nel corso delle quali si dissolse e si fuse con l'eredità di Roma.
Proprio questa lenta dissoluzione preparò l'avvenire più fecondo.
Definiremo quindi la forma germanica non nella sua genesi dalla forma indiana, ma
comparandola alla variante antico-classica, per afferrare le caratteristiche specifiche e
rilevare al contempo i fattori più significativi per l'evoluzione alla successiva forma
terziaria del feudalesimo.
Per l'edizione italiana abbiamo aggiunto alcuni sviluppi sulla genesi della forma
germanica e antico-classica a partire dalla dissoluzione del comunismo primitivo in
India sotto i colpi dei conquistatori ariani (cf. pagg. 110-147).
Queste forme derivano entrambe dalla stessa fonte, come unico fu il movimento che
le condusse dall'Asia in Europa imprimendo loro una storia dinamica e feconda di
molteplici sviluppi e predisponendo i rapporti sociali della variante germanica ad
adattarsi, più agevolmente di tutti gli altri, alle nuove condizioni, sì che poterono
unificare gli apporti di Roma e convogliare tutte le conquiste della forma secondaria
estesa al mondo intero verso la forma terziaria.
Tale dinamismo si accompagna a uno sviluppo estremamente contrastato e
ineguale, testimonianza di profonde tragedie rivoluzionarie: Dopo il periodo eroico
della migrazione dei popoli, la Germania, ormai esaurita, disparve dalla scena storica.
Essa fu restaurata solo da Carlo Magno a partire dalla Francia 154. E' da qui, allora, che il
feudalesimo venne introdotto nella Germania esangue: II servizio militare, che tanto
aveva accelerato la rovina del contadiname romano, fu anche il mezzo principale di cui
153
Cf. Marx, Terzo abbozzo della lettera a Vera Zasulic, 8.3.1881.
154
Cf. Engels, Manoscritti su La Riforma e la Guerra dei contadini in Germania, in Marx-
Engels-Lenin-Stalin, Contributo alla Storia tedesca, Berlino 1952, vol I, p. 279. Nei tre grossi
volumi di questa raccolta si trovano numerosi dati davvero preziosi sull'evoluzione economica,
politica e sociale della Germania.
133
si servì Carlo Magno per ridurre, in un processo accelerato, i liberi contadini tedeschi
alla condizione di servitù 155.
134
Gau; quanto poi restava ancora disponibile diventava possesso diretto di tutto il popolo,
sempre come proprietà collettiva indivisa. In Svezia continuano a sussistere tutti questi
diversi livelli di possesso comune. Ogni villaggio aveva beni comunitarii, cui veniva ad
aggiungersi la terra collettiva delle centene, del Gau o del paese e infine la terra comune
del popolo (Volksgemeinland), che il re rivendicava come rappresentante di tutto il
popolo, detta pertanto Konungs almänningar. Ma tutte queste terre comuni, comprese
quelle del re, si chiamavano, senza differenza, beni comunitarii, terre comunali 157.
Troviamo qui rapporti sociali già pienamente elaborati che organizzano sia la vita
produttiva che sociale: Sul suolo germanico, questa comunità di tipo arcaico si è
trasformata per sviluppo naturale in comune agricola, come l'ha descritta Tacito. Dai
suoi tempi, noi la perdiamo di vista. Essa perì senza dubbio di morte violenta. In questa
comune, la terra lavorabile appartiene in proprietà privata ai coltivatori, mentre boschi,
pascoli, terre incolte, ecc. restano proprietà comune. Questa forma fu introdotta dai
Germani in tutti i paesi conquistati.
Si vede come questa forma sia esattamente il contrario del feudalesimo, in cui la
proprietà comune viene accaparrata dalla gerarchia per legare alla gleba il contadino
asservito e non più libero e uguale.
Per definire la variante germanica della forma secondaria, Marx caratterizza come
segue il suo modo di appropriazione: Un'altra forma di proprietà è quella germanica
nella quale gli individui lavorano e soddisfano i propri bisogni possedendo le condizioni
naturali del loro lavoro in quanto membri della comune (p. 457).
Dopo questa definizione essenziale, egli passa a descrivere i tratti caratteristici:
Presso i Germani, i capi famiglia si stabilivano nelle foreste, separate l'una dall'altra da
lunghe distanze. A volerla considerare solo dall'esterno, la comune non esisteva che in
occasione delle riunioni periodiche dei suoi membri, sebbene la loro unità derivi da una
genealogia, da una lingua, da un passato e da una storia comuni, ecc. (p. 460).
Ciò che fondamentalmente distingue le forme asiatica e classico-antica da quella
germanica, è il fatto che nelle prime due i rapporti della proprietà fondiaria comportano
la predominanza di forme collettive che assicurano la priorità allo Stato, essendo il
possesso o proprietà privata basato sulla proprietà fondiaria di Stato, contrariamente alla
forma germanica in cui la proprietà privata prevale sulla proprietà fondiaria collettiva
che è al servizio della prima. E' questo, sin dal primo momento, un formidabile balzo in
avanti, che permetterà una totale usurpazione dei beni immobili collettivi da parte dei
proprietari privati, ossia un nuovo sviluppo dei rapporti di classe e della produttività del
lavoro umano. Nelle guerre di conquista, questa forma a predominanza privata nelle
iniziative sociali dissolverà lo Stato romano, con i suoi affari pubblici che dominavano
tutta la vita sociale sulla base della proprietà fondiaria. Ma non è tutto. I nuovi rapporti
privati non si modelleranno che molto lentamente in rapporti statali, sicché, all'inizio
della forma terziaria, una parcellizzazione generale consentirà alla forza individuale
nell'agricoltura, nel commercio e nell'artigianale di attingere notevoli livelli di
produttività e di tecnica.
Ma consideriamo più da vicino la differenza tra la proprietà collettiva delle varianti
asiatica e classico-antica e quella della variante germanica. In quest'ultima la comunità
appare non come una unità che tutto inglobi, ma come associazione e accordo di
soggetti autonomi, i proprietari fondiari 158. La variante germanica integra giovanilmente
157
Cf.Marx, I e III Abbozzodi risposta a Vera Zasulic, 8.3.1881.
158
Questo fatto non è in contraddizione con il modo di appropriazione in base alla stirpe. Ma
è testimonianza soltanto della notevole evoluzione avvenuta dopo la sedentarizzazione. Nella
135
il movimento innescato dalla forma secondaria nelle sue due varianti che l'hanno
preceduta, affermando immediatamente il primato della proprietà privata. La comunità,
contrariamente alla Grecia e a Roma, non vi esiste come Stato, sistema statale, poiché
essa non esiste come città. Perché la comunità assuma un'esistenza reale, i liberi
proprietari fondiari devono riunirsi in assemblea mentre a Roma, ad esempio, la
comunità esiste al di fuori delle assemblee, basata com'è sulla città e sui funzionari
preposti al suo servizio.
Certo, anche presso i Germani troviamo l'ager publicus, la terra comunale o terra
del popolo, distinta dalla proprietà del singolo. E' terreno di caccia, di pascolo, di
legnatico, ecc., ossia la parte del suolo che non può essere divisa in quanto deve servire
come mezzo di produzione in queste forme determinate. Ma questo ager publicus non
rappresenta, come accade ad esempio presso i Romani, l'esistenza economica dello
Stato separata da quella dei proprietari privati, di modo che costoro sono proprietari solo
in quanto sono esclusi, privati, come i plebei, dell'uso dell'ager publicus.
Quell'ager publicus che presso i Greci e i Romani o gli Asiatici è la base, si
presenta tra i Germani piuttosto come il completamento della proprietà individuale e
figura come proprietà solo in quanto viene difeso come bene collettivo della tribù contro
le tribù nemiche. Non è la proprietà del singolo che è mediata dalla comunità, ma è
l'esistenza della comunità e della proprietà comune che è mediata dal rapporto di
mutualità tra i soggetti autonomi.
La totalità economica è in fondo contenuta in ogni singola casa, che costituisce di
per sé un centro autonomo della produzione (la manifattura
costituisce esclusivamente un'attività domestica accessoria delle donne ecc.).
Nell'antichità greca e romana, la città, con la sua marca rurale, rappresenta la totalità
economica; nel mondo germanico lo è invece la singola abitazione, che si presenta a sua
volta solo come un punto nella terra che ad essa appartiene: non è una concentrazione di
molti proprietari, ma una famiglia come unità indipendente (p. 461).
Nel suo sviluppo, la variante classico-antica si distingue da quella germanica per la
dissoluzione della parcella (con la concentrazione della terra in grandi possedimenti) a
livello economico e la susseguente crescente espansione dello Stato a livello politico :
Nella forma germanica, il contadino non è un cittadino dello Stato, cioè non è un
abitante della città. Alla base c'è l'abitazione familiare, isolata ed indipendente, garantita
dall'associazione con altre abitazioni simili della stessa tribù. Le assemblee convocate in
sua lettera del 25.3.1868, Marx scriveva ad Engels: "Come anche i migliori geologi, ad esempio
Cuvier, hanno interpretato esattamente al contrario certi fatti, così i filologi della portata di un
Grimm hanno tradotto male le più semplici frasi latine, perché erano dominati dall'ideologia di
un Moser, ecc. (che era entusiasmato dal fatto che non fosse mai esistita presso i tedeschi la
"libertà", ma al contrario che "l'aria rende ivi servi"). Così, ad esempio, il noto passo di Tacito:
"arva per annos mutant et superest ager" che significa: scambiano (mediante sorteggio, dal che
più tardi sortes in tutte le leges barbarum) i campi (arva) e rimane la terra comune (ager è qui in
contrapposizione ad arva in quanto ager publicus), in Grimm è tradotto così : "ogni anno
coltivano campi nuovi, e rimane sempre ancora della terra (non coltivata)"!
Allo stesso modo il passo: "Colunt discreti ac diversi" dovrebbe dimostrare che i Germani
hanno sfruttato da sempre poderi come i nobilotti vestfalici. Ma nello stesso passo si dice più
avanti: "Vicos locant non in nostrum morem connexis et cohaerentìbus aedificiis: suum quisque
locum spatio cìrcwndaf (formano i villaggi non a modo nostro, con edifici annessi ed attaccati
l'uno all'altro: ognuno circonda il proprio luogo con uno spazio libero, non coltivato), e tali
villaggi germanici esistono ancora qua e là in Danimarca".
136
occasione di guerre, di culto, di arbitrato ecc. rappresentano tale mutua garanzia. La
proprietà fondiaria individuale qui non si presenta come forma antitetica della proprietà
fondiaria della comunità né come mediata da essa, ma viceversa (p. 462).
L'apertura verso la proprietà privata dei singoli è la massima conquista e la
caratteristica specifica della forma germanica, la cui proprietà comune non evolve in
proprietà statale fin dall'apparire dei primi fenomeni di classe. Tale forma più
individuale spiega come mai questa variante non abbia potuto assumere proporzioni e
operare conquiste di ampiezza paragonabile a quelle della Grecia, di Roma e dell'Asia,
ed abbia avuto vita estremamente precaria.
Tuttavia - e in ciò una proprietà notevolissima - questa sfera privata e individuale,
nella forma germanica più che altrove, si fonda sul senso e sullo spirito comunitario.
Ecco il paradosso della forma germanica: la proprietà privata fa leva sulla proprietà
collettiva per svilupparsi:
La comunità esiste soltanto nella relazione reciproca dei proprietari fondiari
individuali in quanto tali. La proprietà comunitaria non è che il complemento collettivo
delle abitazioni individuali della tribù e della terra appropriata dai singoli.
La comunità non è più la sostanza in cui l'individuo appare solo come accidente, né
è quell'insieme, che in quanto tale è una unità realizzata sia nell'idea, sia nell'esistenza
della città e dei suoi bisogni distinti da quelli del singolo, o nel suo territorio urbano che
ha un'esistenza propria, distinta dall'economia particolare del membro della comunità.
Nella forma germanica, la comunità è il prolungamento dell'individuo. Certo essa è
ancora la comunità di lingua, di sangue ecc. presupposta all'individuo, ma, sul piano
sociale, esiste concretamente nell'assemblea effettiva dei proprietari riunita per fini
collettivi.
Questa assemblea è un'istituzione molto diffusa, che esiste sia tra gli Irochesi che tra
i Greci e i Romani, dove agorà è sinonimo di res publica (repubblica), cosa pubblica.
Presso i Germani si chiamava thing, la comunità, la cosa (dove la comunità è vivente)
159
. La parola nithing era al contrario un epiteto infamante: escluso dalla comunità,
uomo da niente. Pervenuta a questa astrazione vivente, la comunità poté evolvere in
associazioni costituite per scopi determinati (gilde, corporazioni) e basate sul reciproco
soccorso ed assistenza.
Certo la comunità ha anche un'esistenza economica propria nei terreni comuni di
caccia, di pascolo, ecc., ma ogni proprietario individuale li utilizza a titolo di
proprietario individuale e non in quanto rappresentante dello Stato, come a Roma: è
proprietà realmente comune dei proprietari individuali, non proprietà della società di
questi che, nella città, hanno un'esistenza distinta da quella che possiedono in quanto
proprietari individuali (p.462).
159
La THING, assemblea popolare germanica, eleggeva in origine i suoi rappresentanti in
ragione soprattutto delle loro capacità militari (età, coraggio, successi già riportati) data
l'importanza per tutti della questione della guerra e della conquista. Si trattava evidentemente di
una funzione temporanea. E' solo più tardi che del tutto naturalmente, in presenza di circostanze
di crescente insicurezza, i "principi" (rappresentanti dei distretti) e il re (rappresentante della
confederazione) divennero stabili e divenne regola l'uso di prestazioni in bestiame o cereali
versate dalla popolazione inizialmente per la guerra, in seguito per la funzione di chi era
preposto alla guerra. Il verbo tedesco verdingen (che ha stessa radice di thing) significa
"prendere servizio", "concludere un contratto con l'esecutore", e ricorda i rapporti di
dipendenza, dapprima reciproci, conclusi tra Germani.
137
A Roma, la comune agricola dei liberi contadini, proprietari della terra che
lavorano, si disgregò poiché una concentrazione anche relativamente debole della
proprietà privata le assicurava un peso enorme nell'ager publicus e politicizzò i legami
comuni al punto che il processo di dissoluzione economico provocò la disgregazione dei
rapporti politici e sociali tradizionali.
Nella forma germanica la comunità non era invece che il prolungamento dei singoli,
e nella misura in cui aveva esistenza economica propria nei territori di caccia, di
pascolo, di legnatico, si opponeva per le sue caratteristiche fisiche all'appropriazione
individuale: essa non era utilizzabile che per fini individuali immediati, il che implicava
una sorta di collaborazione e di mutuo consenso. In altri termini, il valore d'uso e
l'utilizzazione dell'ager publicus germanico si opponevano alla sua trasformazione in
proprietà privata parcellare. E' vero che esso fu accaparrato dalla gerarchia feudale, ma
questa rappresentò l'ager publicus non in un processo di crescente accumulazione nelle
sue mani della proprietà privata della terra, ma adempiendo una funzione collettiva
indispensabile a tutti, in primo luogo ai contadini: garantire la sicurezza collettiva
contro le incursioni esterne che mandavano in rovina il contadiname. Questo processo si
manifesta concretamente nel fatto che i contadini, anziché essere espropriati e cacciati
dalla loro parcella dai grandi proprietari fondiari che si accaparrarono la loro terra,
furono, al contrario, legati alla gleba. Conseguenza ne fu non un accresciuto dominio
della proprietà fondiaria, ma un'evoluzione dei rapporti sociali oltre la proprietà
fondiaria stessa a foggiare nuove sfere di produzione, con l'autonomizzazione
dell'artigianato nelle città. Ormai le nuove condizioni economiche, politiche e sociali
non erano più concentrate esclusivamente nelle mani dei proprietari fondiari, né
dominate in maniera assoluta dalla produzione agricola o dalla proprietà fondiaria.
I rapporti sociali della forma germanica che uno sviluppo più complesso e
tumultuoso aveva per così dire autonomizzati, poterono adattarsi a meraviglia alle
nuove condizioni materiali, senza ripercorrere tutto il lungo cammino che fu necessario
per conquistarle: essi erano i soli in grado di spingere le conquiste tecniche e produttive
dell'Asia, della Grecia e di Roma a un livello sociale superiore come piedistallo per un
nuovo traguardo.
La forma classico-antica, la cui evoluzione a partire dalla proprietà privata era stata
direttamente determinata dal correlativo processo economico di concentrazione e di
espropriazione, viveva racchiusa negli angusti rapporti della proprietà fondiaria propri
della forma secondaria e, lungi dal far evolvere in forme nuove le sue pesanti
determinazioni economiche, ne era al contrario, schiacciata. Partita da condizioni
economiche infinitamente più basse, la forma germanica era suscettibile di evoluzioni
più complesse, poiché i suoi rapporti sociali si erano fin dall'inizio fortemente
autonomizzati nei confronti della proprietà fondiaria.
Leggiamolo in Engels, che sottolinea appunto come il carattere astratto e generale
dei rapporti della forma germanica ne permetta l'adattamento alle più svariate
condizioni:
Come i membri della comunità avevano lotti uguali di terra e uguali diritti di uso,
così essi avevano originariamente anche stessa compartecipazione alla legislazione,
all'amministrazione e alla giustizia nell'ambito della marca. In epoche determinate e, se
necessario, con più frequenza, essi si radunavano all'aperto per decidere sulle questioni
della marca e per giudicare sui delitti e le controversie. Era, in piccolo, l'antichissima
assemblea popolare germanica, la quale originariamente era stata anch'essa solo una
grande assemblea di marca.
138
Venivano promulgate leggi, anche se soltanto in rari casi di necessità; si
sceglievano i funzionari e si controllava la loro gestione, ma soprattutto si faceva
giustizia. Chi presiedeva doveva solo formulare le questioni, il giudizio era espresso
dall'insieme dei membri presenti 160.
Ed Engels prosegue mostrando come la costituzione della marca fosse suscettibile
di adattarsi a tutti i cambiamenti intervenuti nell'organismo sociale e a diverse gerarchie
in seno ad esso, e come le condizioni materiali ne determinassero l'evoluzione :
Nei tempi preistorici, la costituzione di marca era praticamente l'unica
organizzazione delle tribù germaniche che non aveva ancora re; l'antica nobiltà della
tribù, scomparsa al tempo delle grandi invasioni o poco dopo, si inseriva facilmente in
essa, come del resto tutto si adattava agevolmente a questa costituzione. Così, per
esempio, la nobiltà di clan celtica si inserì nella comunità terriera irlandese (ibid.).
Tale straordinaria capacità di adattamento deriva alla costituzione della marca dal
fatto che essa può collegare la produzione dell'individuo con quella di tutti gli altri, e
che fin dall'origine essa regola le controversie mediante accordi (contratti) personali tra
singoli. Questi rapporti di mutua dipendenza delle persone culminano nella gerarchla
feudale, in cui, dalla base al vertice della scala, ciascuno è infeudato e vincolato
all'altro. Sono rapporti che ben si adattano ad un forte aumento delle capacità produttive
individuali e sono perciò al servizio dello sviluppo generale delle forze produttive della
società.
Dal punto di vista economico, i rapporti della costituzione della marca germanica
erano in grado di adattarsi allo sviluppo delle forze produttive solo finché i rapporti
sociali potevano progredire per effetto dell'aumento di produttività del lavoro umano, in
altri termini solo finché i produttori detenevano i loro strumenti di lavoro e non erano
ancora sottomessi a quella forza sociale concentrata di carattere assolutamente materiale
che è il capitale, il quale si impone inesorabilmente a tutto e a tutti. I rapporti sociali
possono essere di carattere personale e ricalcare la costituzione della marca solo finché
la forza lavoro si sviluppa. Ciò che non può più verificarsi allorché il capitale nelle sue
160
Cf. Engels, La Marca, cit., p. 167. La Marca designa il territorio di una data comunità, poi,
per estensione, con l'evoluzione sociale, il territorio in proprietà comune che circonda abitazioni
e dipendenze individuali delle famiglie costituenti la comunità. Come si è visto, questa
comunità poteva essere un villaggio, un gruppo di villaggi (Bezirk, cantone), un paese (Gau) e
originariamente tutto il popolo, ciascuno con la propria marca, caratteristica che preparava il
terreno alla gerarchia feudale dei baroni, duchi, conti e re.
In una forma leggermente modificata (territoriale), l'organizzazione gentilizia
si è mantenuta nella costituzione della Marca per secoli. All'epoca della conquista
germanica, la costituzione o organizzazione di marca si caratterizzava per la
proprietà comunitaria dei pascoli e dei boschi e, all'origine, per il controllo
dell'associazione della Marca sulle terre distribuite: controllo usurpato in seguito
dai signori feudali. I membri dell'associazione della marca avevano diritto
all'inizio a lotti uguali di terra coltivabile, possedevano uguali diritti d'uso sui
pascoli e sui boschi, partecipavano in condizione di uguaglianza
all'amministrazione della Marca, compreso l'esercizio della giustizia nelle
assemblee di villaggio, di cantone o di paese, secondo la natura delle
controversie.
139
installazioni fisse, procedimenti di fabbricazione, attrezzaggio e macchinario si integra
tutti i benefici derivanti dall'aumento della produttività del lavoro e della tecnica a
danno del lavoro vivo.
Ma consideriamo come evolse l'organizzazione della marca al momento del
dissolvimento della variante germanica. Le stesse cause che avevano generata
quest'ultima: migrazioni, guerre e conquiste provocarono la sua dissoluzione. Nei lunghi
secoli di contese e di lotte contro Roma, la forma germanica si appropriò TUTTI I
RISULTATI DELLE DUE ALTRE VARIANTI DELLA FORMA SECONDARIA sul
piano economico e sociale 161, creando così i presupposti per la transizione
rivoluzionaria alla forma terziaria del feudalesimo.
Riassumiamo: la dissoluzione della variante germanica, la quale era caratterizzata
nella sua fase di espansione oltre-Reno da un vigoroso dualismo tra terra privata e terra
comunitaria oltre che dal loro legame armonioso a profitto della prima grazie
all'organizzazione collettiva della Marca, si espresse in una prima mutazione allorché i
Germani occuparono i paesi dell'Impero romano: la parcella divenne proprietà privata
esclusiva del contadino, che fu spogliato dei legami di garanzia della marca. Ciò, se da
un lato accentuò il carattere privato della parcella, dall'altro indebolì considerevolmente
il contadino: tale evoluzione favorì al polo opposto l'autonomizzazione della terra
comunitaria e preparò il suo accaparramento — a titolo di plusvalore per il lavoro di
servizio militare - da parte della gerarchia militare formatasi e consolidatasi nel corso
dei lunghi periodi di insicurezza e di guerre.
Le ultime vestigia di legami consanguinei tra terra privata e terra comunitaria
furono definitivamente distrutte con l'immigrazione in territorio romano:
Anche se c'era l'intenzione di insediarsi secondo tribù e stirpi, ciò non era
realizzabile. Le lunghe migrazioni avevano mescolato non solo tribù e stirpi ma
addirittura interi popoli. Solo a fatica era possibile tenere ancora in vita l'associazione di
tipo consanguineo delle diverse comunità di villaggio: esse erano pertanto divenute le
effettive unità politiche di cui si componeva il popolo. I nuovi "paesi" (Gau) in territorio
romano divennero fin dall'inizio distretti giudiziari più o meno arbitrarii — o
determinati dalle condizioni trovate sul posto; o evolsero comunque rapidamente in
questo senso 162.
Le forme di proprietà privata e comune che risultarono dalle conquiste furono
quindi il PRODOTTO COMUNE delle varianti classico-antica E germanica. Tuttavia,
nei secoli di declino dell'Impero romano, la Città, in quanto residenza dei proprietari
della campagna, aveva perduto il suo effettivo predominio su quest'ultima e non era più
capace di riconquistarlo. Questo declino della città corrispondeva alla dissoluzione dello
Stato e dell'impero "mondiale" di Roma. Sul piano economico, questa decadenza
divenne irrimediabile poiché i coloni, indebitati e ridotti in schiavitù, non potevano più
coltivare i loro campi, e la produttività agricola precipitò paurosamente, a cominciare
dai grandi possedimenti schiavisti dei patrizi. Non restava che un mezzo per aumentare
la produttività: smembrare i latifondi in parcelle da ripartire tra i contadini a titolo di
proprietà privata, per dar modo all'agricoltura di svilupparsi in maniera intensiva e non
161
I Germani diedero prova di un ammirevole spirito di adattamento alle conquiste
economiche e tecniche della forma classico-antica. Il lettore troverà uno studio di Engels sui
progressi compiuti dai Germani nel campo produttivo ed artistico a contatto con Roma nel
capitolo: Sulla protostoria dei Germani, in Storia e lingua dei Germani, cit, p. 35-94.
162
Cf. Engels, L'epoca francane, in Storia e lingua dei Germani, cit, p. 98.
140
più estensiva. Un tale provvedimento permetteva di compensare l'handicap agrario della
forma classico-antica rispetto all'agricoltura intensiva della forma asiatica, in cui i lavori
d'irrigazione diretti dallo Stato consentivano ai piccoli contadini possessori di dedicarsi
ad una orticoltura sommamente feconda per lo sviluppo della primissima forza
produttiva: una popolazione molto numerosa che lavorava più o meno in cooperazione.
Il confronto colla variante asiatica dimostra così che a questo stadio di sviluppo
l'agricoltura è più produttiva se il contadino è legato alla terra e la coltiva
intensivamente. La sua debolezza, soprattutto in Medio Oriente e nell'Africa del Nord, è
stata di non poter impiantare — come il feudalesimo farà in modo esemplare — una
forza e una organizzazione militare in grado di difendere la continuità del lavoro del
piccolo contadino. Ma a Roma il fallimento su questo piano fu ancora più lampante: lo
sviluppo delle forze produttive agricole fu compromesso e rovinato non solo dallo
schiavismo e — a questo stadio — dalla folle concentrazione della proprietà fondiaria,
ma altresì dalle distruzioni "ecologiche" della natura provocate da un'economia agricola
aberrante. Nella sua opera su L'origine del Cristianesimo, Kautsky riporta una lunga
lista di disastri causati dall'economia schiavista nel paesaggio d'Italia e nei paesi del
Mediterraneo in generale, disastri di cui questi paesi soffrono ancora oggi. Il capitalismo
decadente ha di nuovo rotto il fragile equilibrio nel rapporto degli uomini con la Natura
che il medio evo aveva reintrodotto 163.
La forma germanica pervenne a superare gli antagonismi della forma schiavista in
campo agricolo, il cui sovraprodotto consentì di nutrire e di approvvigionare di materie
prime diverse gli artigiani che lavorano nel settore manifatturiero e industriale. In ciò la
chiave del paradosso per cui i Germani arrivarono a sciogliere le contraddizioni
dell'economia romana, che solo poteva spezzare il dominio egemonico della proprietà
fondiaria risolvendo la questione agraria, ossia aumentando la produttività del
contadino. Contrariamente a quanto pensano gli immediatisti, le forze produttive si
accrebbero non aumentando la libertà e il benessere immediato, bensì aggravando
ulteriormente il carattere alienato e disumanizzante dell'anteriore società di classe,
poiché solo estorcendo una maggiore quantità di plusvalore si giunse a creare i nuovi
settori produttivi: l'artigianato e la manifattura.
La soluzione per far uscire la proprietà fondiaria dal vicolo cieco nel quale essa si
era cacciata fu trovata dal reale movimento storico e non dal genio di un qualsivoglia
Spirito (nazionale o individuale). Le guerre e le conquiste avevano reso ancor più
drammatica la condizione delle masse umane, che, per trovare la pace e la sicurezza
necessarie a produrre e vivere, furono disposte ad alienare la loro "libertà" ai
conquistatori, i quali, nello stesso tempo, videro i loro rapporti sociali trasformarsi in
rapporti di classe: l'ager publicus romano come la terra comunitaria germanica vennero
163
All'inizio del capitalismo i risultati di questa brillante agricoltura del medioevo sono, in
breve, i seguenti: mentre gli Stati Uniti (che non hanno conosciuto il feudalesimo) non coltivano
che il 21% del suolo agrario non forestale, l'Italia ne coltiva il 73% e la Francia il 64%. La
Francia ha percorso tutto il cammino storico d'avanguardia dell'umanità (specie sotto la
monarchia assoluta che unificò precocemente questo paese), arrivando a coltivare 350.000 dei
suoi 550.000 Kmq. di territorio, foreste a parte (altri 114.000 Kmq). L'Italia ha una superficie
agraria e forestale pari al 92,2% del suo accidentato territorio: quasi 28 milioni di ha. su 30
milioni di superficie (277.880 Kmq. su 301.180 Kmq). Il nostro 92% sta contro il basso 45%
americano! E il rendimento europeo per ettaro sorpassa quello americano.
Sulla necessità di dividere i latifondi in parcelle per accrescere il rendimento generale della
forza lavoro e della terra, cf. Il programma agrario di transizione al socialismo (Marxismo e
questione agraria), in Il Comunista. 1921.
141
usurpati dalla gerarchia militare dei conquistatori, mentre i contadini per accedere alla
terra (al proprio lotto e alla terra comune del signore) furono obbligati a effettuare delle
corvées (sopralavoro) per le classi dominanti. Vediamo come si operò il passaggio alle
forme feudali.
Nei territori romani conquistati dai Germani, l'appropriazione dei campi e dei
pascoli si fece subito mediante l'allodio, libera proprietà ereditata dagli antichi Germani,
ossia sottoposta soltanto agli obblighi comuni della marca. Dobbiamo ora esaminare
come sulla base di questo allodio si sia sviluppato un'ordinamento sociale e politico,
che, con l'abituale ironia della storia dissolse infine lo Stato (per introdurre un nuovo
modo di produzione che presuppone la distruzione delle sovrastrutture politiche del
modo precedente), e distrusse l'allodio nella forma classica.
Con l'allodio si dava non solo la possibilità ma anche la necessità che l'originaria
uguaglianza della proprietà fondiaria si mutasse nel suo opposto. Dal momento del suo
costituirsi sul suolo romano, l'allodio divenne ciò che era stata da tempo la proprietà
fondiaria romana che gli si trovava occasionalmente a fianco: una merce 164.
Come abbiamo già detto, proprio dalla fusione delle forme romana e germanica
nascerà la nuova forma di proprietà fondiaria, che accentuerà l'ineguaglianza e
l'estorsione di plusvalore.
E' una legge imprescindibile di tutte le società basate sulla produzione e sullo
scambio di merci - Engels prosegue - che la ripartizione del possesso diventi sempre più
ineguale e la contrapposizione di ricchezza e povertà sempre più grande; in altri termini,
la proprietà si concentra in un numero sempre minore di mani essendo le masse sempre
più radicalmente espropriate (ibid.).
Allo stadio della forma secondaria si può essere espropriati solo della terra, che
comprende anche gli strumenti e i prodotti del lavoro, i mezzi di sussistenza immediati.
Perché gli strumenti si sviluppino autonomamente e sia possibile in seguito, nel corso
dell'accumulazione originaria del capitalismo, espropriarne i produttori, bisognerà
arrivare alla forma terziaria. Gli strumenti di lavoro diverranno allora proprietà delle
nuove classi dominanti per sfruttare la nuda forza lavoro, cui i nuovi espropriati saranno
stati ridotti. Per ottenere questo risultato, che corrisponde a un progresso formidabile
delle forze produttive, sarà necessario passare attraverso il feudalesimo.
Ma torniamo alla genesi delle forme feudali, che coincide con la dissoluzione della
forma secondaria, soprattutto germanica. Al polo opposto dei rapporti economici e
sociali della proprietà privata del suolo si delineò un energico processo di
autonomizzazione della terra comunitaria e della costituzione di marca, laddove se la
prima andò apparentemente a beneficio dei piccoli contadini, la seconda si fece a
profitto effettivo della gerarchia militare. Tale processo era legato ai fenomeni
sovversivi dell'urto di popoli e tribù entrati nel movimento della storia:
I primi sintomi del deperimento della costituzione di marca affiorano già subito
dopo le grandi invasioni. I re franchi, come rappresentanti del popolo, si impadronirono
delle enormi estensioni, in particolare dei boschi, appartenenti collettivamente
all'insieme del popolo, per dissiparle in donazioni alla gente del loro seguito (corte
feudale prolungamento del signore), ai loro condottieri, a vescovi e abati. Essi gettano
così le prime basi della futura grande proprietà fondiaria della nobiltà e della Chiesa 165.
164
Cf. Engels, L'epoca francone, in Storia e lingua dei Germani, cit, p. 99.
165
Cf. Engels, La Marca, in Storia e lingua dei Germani, cit, p. 169.
142
La forma germanica, come le altre varianti della forma secondaria, era incapace di
evolvere direttamente, senza una rivoluzione nei rapporti sociali, verso il feudalesimo,
che doveva permettere al lavoro artigianale e manifatturiero di emanciparsi dalla
proprietà fondiaria. Il feudalesimo fu il RISULTATO di lotte e rivolgimenti che
abbracciarono secoli e portarono a un totale sovvertimento dei rapporti sociali fra gli
uomini.
La dissoluzione degli Stati del periodo germanico non si concluse con
l'assoggettamento ai Normanni e ai Saraceni, ossia con una stagnazione nei rapporti
consanguinei di parentela, bensì con l'impianto del feudalesimo mediante l'istituzione
del beneficio e del patto di alleanza tra il libero contadino e la nobiltà armata che
garantirà al primo la sicurezza sufficiente per organizzare in maniera continua la
riproduzione del suo processo di lavoro. Con lo sviluppo delle forze produttive così
create la popolazione si accrebbe rapidamente, tanto che solo due secoli più tardi poté
essere sopportato senza danno il salasso delle Crociate (ripresa dei legami con
l'Oriente).
143
piccole unità produttive, fissate localmente e separate le une dalle altre nel tempo e
nello spazio. Tra queste un'importante funzione di collegamento mediante il denaro
potrà essere svolta in seguito dal commercio, che darà vita alla corporazione dei
mercanti.
Pertanto il punto di partenza del feudalesimo, specie se considerato in rapporto alla
grandiosa civiltà centralizzata e coordinata di Roma, potrà apparire come una ricaduta
nel particolarismo e nell'oscurantismo regionale. In realtà, nuovi rapporti sociali
potranno sorgere solo all'interno di una massa non omogenea ma non costrittiva, dato lo
scarso sviluppo delle forze produttive. L'evoluzione del feudalesimo mai è rettilinea e
gradualmente progressiva; essa avanza piuttosto a piccoli passi, ora aprendo larghe
brecce verso l'avvenire, ora ristagnando e talvolta regredendo. La totale mancanza,
specie all'inizio, della forza potente della centralizzazione fa sì che scarti e differenze da
una regione all'altra e, più ancora, da un paese all'altro, siano a volte considerevoli.
In breve, sarà un cammino estremamente tortuoso, che in campo politico si
manifesterà con una serie di alleanze - continuamente capovolte: indice di un
movimento (progressivo e regressivo) delle forze produttive — tra i diversi corpi o
ordini della società.
Grosso modo la nostra tesi si articola, conformemente allo stesso sviluppo storico,
in tre parti:
1. Formazione dei rapporti generali del feudalesimo parallelamente al dissolvimento
della forma secondaria, specie nell'agricoltura;
2. Sviluppo dell'artigianato nelle città;
3. Sfera del commercio che collega città e campagna e incrementa l'efficienza del
denaro, questo elemento di dissoluzione del feudalesimo e di sviluppo dei rapporti
capitalistici della forma quaternaria.
Nel corso generale della storia, il feudalesimo — a detta di alcuni — non
rappresenta che un progresso quasi impercettibile dell'umanità nel dominio e della
natura e del proprio destino. A dimostrare tutta la falsità di questa concezione basta
notare l'altezza attinta dal Rinascimento, che solo ha potuto prodursi dopo lunga
maturazione delle forze produttive umane. Inoltre, lo stesso asservimento del contadino
alla gleba rappresenta tutt'altro che una fase di regressione delle forze produttive, anche
in rapporto alla libera proprietà contadina delle varianti germanica e classico-antica.
Scrive Marx:
La proprietà feudale comporta il dominio della terra sugli uomini in quanto potenza
divenuta loro estranea (è nell'artigianato che l'uomo avrà e svilupperà ancora la propria
padronanza sul mezzo di lavoro). Il servo della gleba è l'accessorio della terra. Parimenti
il primogenito, nel sistema del maggiorasco, appartiene alla terra: è questa che lo
eredita. In genere è con la proprietà fondiaria che comincia il regno della proprietà
privata, di cui la prima è fondamento. Ma nella proprietà fondiaria feudale, il signore
almeno appare come re della sua terra. Esiste in tal modo ancora l'apparenza di un
rapporto più stretto che non quello della mera ricchezza materiale fra il possessore e la
terra. Il possesso terriero si individualizza nel suo signore, perché nella gerarchia
feudale gli dà il rango: è baronia o contea prima di lui; gli dà dei privilegi, una
giurisdizione e dei rapporti politici, ecc. E' il corpo inorganico del suo signore. Di qua il
proverbio: "Nulle terre sans maitre", che esprime la saldatura tra signoria e proprietà
fondiaria 166.
166
Cf. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Primo manoscritto:
la rendita fondiaria, alla fine.
144
Ad essere legato e dominato dalla gleba non era dunque solo lo sfruttato, il servo,
ma gli stessi proprietari fondiari feudali, ancorché Marx sottolinei il legame privilegiato
di grandezza umana conservato dalla gerarchia in questo rapporto, così come il
considerevole aumento di rendimento e le nuove conquiste nella produzione da parte del
servo della gleba.
Ma quanto Marx soprattutto rileva è che la proprietà fondiaria domina nel
feudalesimo tutti i rapporti sociali, senza impedire tuttavia lo sviluppo di altri rapporti.
Di più: proprio l'incremento della produttività nel settore agricolo permetterà la
formazione di un surplus e quindi l'avviamento di altri settori, che, ad un determinato
livello del loro sviluppo storico, staccheranno il lavoratore dalla terra per liberarlo come
nuda forza lavoro sfruttabile dal capitale. I rapporti sociali autonomizzatisi e oggettivati
nel capitale domineranno allora la proprietà fondiaria, industrializzando infine
l'agricoltura.
Il feudalesimo è, giusta Marx, un rapporto di dipendenza personale del contadino
col signore e con la gerarchia che culmina nel re e riflette la strutturazione graduale
della piccola e grande proprietà fondiaria nel sistema dei legami personali della marca,
ormai reificati e dominanti gli uomini. In un certo senso, esso è anche la dissoluzione
della proprietà privata del contadino; infatti quest'ultimo non solo non ne ha più la
disposizione assoluta, esclusiva, ma la piccola proprietà è legata alla grande proprietà
comunitaria accaparrata dal signore, il quale, in cambio della corvée, tutela la sicurezza
della parcella. La stessa proprietà dell'artigiano non è più una proprietà privata, in
quanto è soggetta ai rapporti di dipendenza personale, da cui le città si svincoleranno
comprando l'affrancamento dai signori e dalla proprietà fondiaria per costituire propri
rapporti di mutua dipendenza in seno alla corporazione, quindi alla città.
Poiché nell'artigianato, contrariamente a quanto avveniva nell'agricoltura, non
esistevano ancora mezzi di produzione materiali idonei a dominare il lavoro, i legami di
dipendenza personale affasciarono mutualmente tutti i produttori di uno stesso mestiere
in una forza comune capace di tener testa alla pressione pressoché irresistibile della
proprietà fondiaria, la quale legava ogni lavoro produttivo alla terra. Ma, pur vigendo
rapporti di dipendenza personale sia nell'agricoltura che nell'artigianato, tuttavia, mentre
nella primai produttori erano legati alla terra e da essa dominati, nell'artigianato il
legame si stabiliva tra gli stessi produttori al fine di sottrarsi alla preponderanza sociale
della proprietà fondiaria. Solo in questo senso la forma terziaria è ancora caratterizzata
dal predominio della proprietà fondiaria, che verrà distrutto con la dissoluzione del
feudalesimo, e in ciò d'altronde consisterà l'apporto storico di questo modo di
produzione.
145
dipendenza personale strettamente gerarchizzato secondo le funzioni produttive o
l'esistente divisione del lavoro: l'uomo si legava mediante l'atto dell'accomdazione 167 al
signore che accettava e sigillava il contratto. La cerimonia consisteva nel porre le mani
giunte in quelle del signore e prestare giuramento di fedeltà. Tale accordo di carattere
strettamente personale era valevole per tutta la vita e si poteva rescindere solamente con
la morte di uno dei contraenti. Questo genere di patto poteva anche essere concluso tra
nobile e contadino: quest'ultimo scambiava la propria "sicurezza" con la "libertà"
legandosi al signore, il quale offriva il proprio "servizio militare" in cambio delle
corvées del servo. Esso si estendeva inoltre agli artigiani e ai mercanti, che riscattavano
i diritti della proprietà fondiaria per edificare la città e ivi stabilire le loro corporazioni
affrancandosi dal signore feudale - quasi sempre in cambio di moneta sonante - con una
"lettera di franchigia". In seguito, essi costituirono le corporazioni mediante personale e
mutuo accordo, stabilendo tra membri uguali reciproci diritti e doveri per esercitare il
privilegio strappato alla gerarchia feudale.
I legami di dipendenza personale dovevano necessariamente divenire politici e dare
origine, a questo stadio già relativamente elevato delle forze produttive, a un sistema
statale che, dopo la dissoluzione dei rapporti di consanguineità nella forma secondaria,
non poteva più effettuarsi che sulla base della nazionalità di natura sempre più politica.
In effetti, occorreva un vasto sistema per integrare l'eredità dell'Impero romano, le cui
gigantesche forze produttive e ricchezze giacevano ammassate senza legami sociali
reciproci davanti ai conquistatori germanici:
Queste colossali estensioni di latifondi venivano coltivate in parte da sudditi non-
liberi della Chiesa (Hintersassen), in parte da liberi coloni. Fra i non-liberi, gli schiavi
(servi) erano originariamente sottoposti a prestazioni senza limite per i loro signori,
poiché non avevano personalità giuridica. Ma sembra che anche qui presto si sia
stabilita per gli schiavi residenti una misura consuetudinaria circa pagamenti e servizi.
Le prestazioni delle due altre classi di non-liberi — coloni e liti (sulla cui differenza
giuridica a quell'epoca non abbiamo alcuna notizia) — erano invece determinate e
consistevano in certi servizi di lavoro e carreggio come pure in una certa misura dei
prodotti del suolo: erano rapporti di dipendenza di carattere da tempo tradizionale 168.
I rapporti sviluppati da Roma, ma insteriliti dall’impasse schiavista della grande
proprietà fondiaria, potevano evolvere ora del tutto naturalmente verso i superiori
rapporti del feudalesimo. A questa evoluzione non si sottrassero i rapporti tradizionali
dei Germani:
Invece era per i Germani qualcosa di nuovo il fatto che uomini liberi si installassero
su un suolo diverso da quello comune o loro proprio. Certo, i Germani avevano spesso
trovato in Gallia e in tutto il territorio di diritto romano dei liberti divenuti fittavoli, ma
non diventavano essi stessi fittavoli, poiché si installavano sulle loro terre quando
prendevano possesso del paese. In altri termini, prima che i Franchi liberi potessero
diventare coloni di qualcuno, bisognava che avessero perduto in qualche modo l'allodio
167
Traduciamo il termine Kommendation, usato da Engels nell'Origine della
famiglia eco., con accomandazione (non raccomandazione come in qualche testo
scrivono). Ciò per sottolineare il carattere di accordo, di patto, dei rapporti
stabiliti tra signori e lavoratori della terra, i quali scambiavano le proprie
prestazioni contro la sicurezza loro garantita dai signori.
168
Cf. Engels, Storia e lingua dei Germani, cit., II, L'epoca francone, p. 104.
146
ricevuto al momento della conquista; bisognava che si fosse costituita una classe di
liberi Franchi privi di terra.
Questa classe si costituì a seguito di un primo movimento di concentrazione della
proprietà fondiaria che aveva sempre le stesse cause: da un lato le guerre civili e le
confische, dall'altro i trasferimenti di terre alla Chiesa dovuti in massima parte alle
pressioni delle condizioni dell'epoca - al desiderio di sicurezza. E la Chiesa trovò presto
un mezzo speciale per incoraggiare tali trasferimenti, non solo lasciando al donatore
l'usufrutto del suo fondo contro pagamento di un canone, ma in più dandogli anche un
pezzo dei possedimenti della Chiesa in affitto (ibid.).
La proprietà fondiaria che si era dissolta nell'Impero romano non fu dunque
ristabilita sotto forma di proprietà privata, ma iniziò ad evolvere in altra forma. La libera
parcella germanica si combinò con le condizioni economiche di Roma: mentre la
variante germanica generò la nobiltà che garantì la sicurezza fisica del contadino
stabilitesi sulla nuova terra, la variante romana, adattata al nuovo diritto e ai nuovi
costumi, generò il clero. Nobiltà e clero rappresentano entrambi la sovranità della
proprietà fondiaria basata sull'asservimento dei contadini: la prima fornisce l'elemento
militare dello Stato, ossia le sovrastrutture politiche di forza, il secondo le sovrastrutture
di costrizione ideologiche (di coscienza).
Questo dualismo degli stati (o ordini) della proprietà fondiaria dimostra
tangibilmente che il feudalesimo è nato come sintesi della forma secondaria, finendo
con l'intaccare l'egemonia della proprietà fondiaria a vantaggio essenzialmente
dell'artigianato. Era inevitabile pertanto che tra la Chiesa di Roma e l'Impero secolare si
scatenasse ben presto una lunghissima lotta, che, accelerando il processo di
decomposizione del feudalesimo, favorì prima la nascita e poi lo sviluppo del
capitalismo 169.
Consideriamo ora come si sia progressivamente formato il potere laico dello Stato e
la corrispondente gerarchia feudale, espressione politica concentrata dei legami feudali:
Questa rivoluzione si basa nei suoi fondamenti su due nuove istituzioni. In primo
luogo, per legare i Grandi all'Impero, i beni della corona non vengono più donati loro,
169
Nel Medioevo la Chiesa cattolica, centralizzata a Roma, costituiva la
potenza universale del feudalesimo in un'epoca in cui il processo di formazione dei
grandi Stati nazionali non poteva compiersi in assenza di impulsi da parte di una
monarchia assoluta centralizzatrice. Fu la Chiesa ad assicurare quella difesa
generale dell'Europa che la nobiltà, legata eccessivamente ad una realtà locale in
seguito al frazionamento feudale, non era in grado di assicurare contro gli
invasori Arabi, Unni, Tartari. Agli inizi, la Chiesa cattolica ebbe una vera e
propria egemonia sulla nobiltà, che mobilitò per i grandi compiti di difesa della
"cristianità" o, più prosaicamente, dell'ordine feudale europeo. Tutti questi
episodi così come il ruolo della violenza nello sviluppo e nella difesa del modo di
produzione feudale, entro l'ottica della funzione della Chiesa e della nobiltà, che
giunsero ad allestire controffensive quali le Crociate, allacciando rapporti
economici con il Medio Oriente e tentando di riprendere l'eredità di Roma nel
Mediterraneo, sono trattati sistematicamente in Le fil du Temps, n. 10, pp. 79-83
sur Les Tâàches Militaires du feudalisme au niveau international: Eglise et
Empire. Cf. anche Il Programma comunista annata 1963.
Nobiltà e Monarchia assoluta condurranno più tardi una lotta molto aspra
contro il potere spirituale e temporale della Chiesa cattolica romana per imporre
il principio delle nazionalità legato allo sviluppo dei rapporti sociali ed economici
preborghesi che sboccarono nella formazione dello Stato-nazione moderno
all'epoca della rivoluzione borghese, ibidem, pp. 91-104.
147
bensì concessi come beneficio a vita, e ciò a precise condizioni da rispettare pena il
ritiro del beneficio. Così essi diventarono in certo qual modo coloni fittavoli della
corona. In secondo luogo, per avere la garanzia che i liberi coloni dei Grandi si
assoggettassero senz'altro al servizio della guerra, si trasferì loro una parte degli attributi
che il conte di ciascun "paese" (Gau) possedeva di fronte agli uomini liberi insediati sui
loro fondi, e li si nominò "seniores" (signori) di questi 170.
Il beneficio, questo nuovo istituto che dobbiamo ora esaminare più da vicino, non
era ancora il feudo, ma ne costituiva il primo germe. Era in origine concesso per tutta la
vita tanto del donatore quanto del beneficiario. Se l'uno o l'altro moriva, esso ritornava a
chi l'aveva concesso o ai suoi eredi. Per il rinnovo del patto doveva avvenire una nuova
concessione a chi ne era già investito o ai suoi eredi. Il beneficio era dunque sottoposto,
come si disse dopo, all'omaggio al trono e al rinnovo dell'investitura. A causa
dell'iniziale frazionamento economico e politico del feudalesimo, l'omaggio al trono
cadde ben presto in disuso, dal momento che i Grandi feudatari (beneficiarii) erano più
potenti del re. Già in epoca antica, non di rado il rinnovo dell'investitura comportò il
mantenimento della concessione dei beni agli eredi del precedente beneficiario (ibid.):
il sistema quindi si istituzionalizzava al di sopra delle generazioni.
I rapporti sociali feudali sorsero così da un modello unitario:
Di fronte allo Stato il capo di un seguito contrae ora gli stessi diritti e doveri,
relativamente ai suoi seguaci, del signore terriero o il beneficiario relativamente ai suoi
coloni. Essi rimasero obbligati a servire il re, ma anche qui si inserì fra il re e i suoi
conti il capo del seguito. Egli faceva comparire i vassalli in tribunale, li mobilitava, li
conduceva in guerra e manteneva fra loro la disciplina, rispondeva per loro e del loro
armamento regolamentare. Così però il capo del seguito veniva ad avere un certo potere
di punire i suoi sottoposti e questo costituisce il punto di partenza della giurisdizione del
signore feudale sui vassalli, che si svilupperà successivamente.
Abbiamo così due ulteriori istituzioni in cui si sviluppa considerevolmente il germe
del feudalesimo contenuto nel beneficio: il sistema dei seguiti si elabora, e i beni della
corona, di un beneficio e di un seguito trasmessi al signore terriero divengono potere
ufficiale del conte, dunque dello Stato, sui suoi soggetti, siano essi coloni o seguaci
senza terra, presto designati complessivamente come vassi, vassalli, homines. La
gerarchia degli ordini sociali dal re, giù giù passando per i grandi feudatari o beneficiarii
fino ai liberi coloni e finalmente ai non-liberi, si trova riconosciuta e confermata nel
regime dello Stato, in una azione ufficiale (ibid.).
Sul piano economico e quindi politico, questa gerarchia si fonda sul contadiname,
unica classe sfruttata del feudalesimo: L'intero edificio sociale — principi, funzionari,
nobiltà, clero, patrizi e borghesi — gravava sul contadiname 171.
Il marxismo non ha una concezione manichea dello sfruttamento: a un certo stadio
di sviluppo della società, lo sfruttamento di una determinata classe è inevitabile, e la
stessa classe sfruttata si sottomette almeno all'inizio, finché il fenomeno è storicamente
progressivo. Di fatto furono i contadini stessi a stringere il legame feudale col loro
signore, poiché questo giocava anche a loro favore. Il rapporto feudale
170
Cf. Engels, L'epoca francone,in Storia e lingua dei Germani, cit, p. 105.
171
Cf. Engels, La Guerra dei contadini, I capitolo, fine, in Opere vol. X,
Roma 1977, p. 412. Marx descrive l'evoluzione del contadino creatore di
plusvalore — dallo schiavo al moderno bracciante capitalistico — nel capitolo
sulla Genesi della rendita fondiaria capitalistica. II Capitale III, cap. XLVII.
148
dell'accomondazione era, in tempi di estrema insicurezza, un patto tra il lavoratore della
terra e il cavaliere armato e combattente. Il signore feudale garantiva la stabilità nel
territorio di lavoro, e il contadino impegnava a lui parte del raccolto (interesse, imposta
fondiaria) o parte del suo tempo di lavoro (comandata, corvée).
In altri termini, finché una classe — schiavista, feudale o borghese — è progressiva,
cioè rivoluzionaria, le classi dominate, al polo opposto del rapporto sociale che si
instaura, nulla possono opporre all'ordine sociale: Fin tanto che il modo di produzione
resta giustificato nell'evoluzione della società, si è generalmente soddisfatti della
distribuzione, e se una protesta si leva, essa proviene dal seno della stessa classe
dominante (Saint-Simon, Fourier, Owen) e da principio non trova alcuna eco fra le
classi sfruttate: il socialismo è utopistico. Solo allorché il modo di produzione in
questione ha già percorso un buon tratto della sua parabola discendente, allorché esso
per metà è sopravvissuto a se stesso, allorché le condizioni della sua esistenza sono in
gran parte scomparse e il suo successore già batte alla porta, solo allora la distribuzione,
che va diventando sempre più diseguale, appare ingiusta, solo allora che la realtà
esistente è superata dalla vita ci si appella alla cosiddetta giustizia eterna. Questo
appello alla morale e al diritto non ci fa avanzare di un passo sulla via dell'analisi
scientifica; l'economia politica non può vedere nell'indignazione morale, per giustificata
che essa possa essere, il minimo argomento, ma solo un sintomo 172.
Dopo l'usurpazione della terra comunitaria da parte della nobiltà e del clero, la
garanzia per il contadino di non essere scacciato divenne obbligo di non lasciare la
terra. Da tempo non esisteva più lo schiavo alienabile col suolo; il contadino era e
doveva rimanere contadino:
I liberi contadini franchi si trovavano in una situazione analoga a quella dei loro
predecessori: i coloni romani. Rovinati dalle guerre e dai saccheggi, avevano dovuto
mettersi sotto la protezione della nuova nobiltà o della Chiesa, perché il potere regio era
troppo debole per proteggerli. Ma questa protezione doveva costar loro cara. Come già
i contadini della Gallia, così essi dovettero trasferire nelle mani del signore la proprietà
del loro pezzo di terra, e riceverla da costui come fondo a canone in forme diverse e
mutevoli, ma sempre solo in cambio di prestazioni di servizi e di tributi. Una volta
assoggettati a questa forma di dipendenza, essi finirono a poco a poco col perdere anche
la libertà personale e dopo poche generazioni erano per la maggior parte già servi della
gleba 173.
La pratica, tacciata di empietà da Salviano (verso il 475), per cui il signore si faceva
trasferire in proprietà il pezzo di terra del contadino restituendoglielo solo in uso vita
natural durante, era allora attuata comunemente dalla Chiesa nei riguardi dei contadini.
Le corvées, che ora venivano sempre più in uso, avevano avuto il loro modello nelle
angarie romane, lavori forzati per lo Stato, così come nei servizi imposti ai Germani in
quanto membri della comunità di marca, per costruzioni di ponti, strade o altri lavori di
interesse generale. In apparenza, dunque, la massa della popolazione, dopo quattro
secoli, era tornata al punto di partenza.
Ma questo fatto prova solo due cose: primo, che la strutturazione sociale e la
distribuzione della proprietà nell'Impero romano erano in perfetta corrispondenza con il
172
Cf. Engels, Anti-Dühring, in Opere, vol. XXV, Roma 1974, p. 143, sez. II,
Oggetto e metodo.
173
Cf. Engels, l’Origine della famiglia, cit., p. 184, cap. VIII, La formazione
dello Stato presso i Tedeschi.
149
grado di produzione agricola e industriale dell'epoca, dunque erano state inevitabili;
secondo, che questo livello di produzione durante i quattro secoli che seguirono non era
ne sostanzialmente disceso ne sostanzialmente salito: quindi, con pari necessità era
tornato a generare la stessa distribuzione della proprietà e le stesse classi della
popolazione. Tuttavia, al presente, questi rapporti avevano non solo una forma stabile,
ma erano suscettibili di evolvere essi stessi (ibid.).
Dobbiamo considerare ora come i legami sociali del feudalesimo si siano estesi ad
una nuova classe, quella degli artigiani e dei mercanti. Tale settore economico non poté
iniziare il suo sviluppo — e con esso 1a società feudale — se non dopo molti secoli di
incubazione. Perché divenisse possibile la creazione di un plusprodotto sufficiente a
nutrire la sovrapopolazione delle città e a rifornire di materie prime gli artigiani, era
infatti necessario che i rapporti sociali si fossero prima stabilizzati nell'agricoltura e
quindi nell'intera società. Sulla base di questo livello determinato, il feudalesimo
prenderà nuovo slancio, e potranno nascere i legami feudali che creeranno la nuova
branca economica della produzione mercantile semplice artigiana. Quest'ultima
plasmerà in forma nuova, suscettibile di evoluzione, i rapporti mercantili bloccati dallo
schiavismo nella variante classico-antica.
Questo nuovo settore permette di afferrare meglio le differenze tra la forma terziaria
e la secondaria: una ultima estensione della proprietà individuale che dal fondo, ossia
dall'oggetto del lavoro, si estende al mezzo del lavoro. Tale processo si compie di pari
passo con una maggiore divisione del lavoro, ossia di una più profonda divisione della
società in classi e del corrispondente sviluppo delle forze produttive. Ciò comporta una
parcellizzazione sistematica della terra e degli strumenti di lavoro, ossia una nuova
dissoluzione della grande proprietà fondiaria, condizione per l'estensione dei legami
sociali a un settore non-agricolo.
Feudalesimo significa che l'istituzione militare e statale protegge la piccola
produzione individuale, mettendo a disposizione del produttore parcellare i mezzi
collettivi di difesa del suo interesse particolare, sotto forma di privilegi corporativi. Col
riscatto dalla gerarchia feudale terriera dei diritti collettivi, gli artigiani estesero a se
stessi quel privilegio feudale concesso organizzandosi collettivamente nelle città, sia sul
piano militare che economico. L'artigiano evitò così fin dall'inizio il destino diabolico
che aveva colpito il libero contadino romano come quello germanico, espropriato e
asservito dalla potenza concentrata della grande proprietà fondiaria.
Sul piano economico, le corporazioni o gilde feudali organizzarono la produzione
parcellare (privata o individuale) su base collettiva, che sola permise loro di
storicamente affermarsi e svilupparsi. A questo scopo gli artigiani utilizzarono un modo
di distribuzione o di legami sociali derivante dal comunismo primitivo, la comunità di
marca. Proprio la variante germanica, col suo vigoroso dualismo tra proprietà privata e
comunitaria, consentì agli artigiani, a uno stadio ancora più sviluppato e contraddittorio
delle forze produttive, il superamento, mediante una organizzazione collettiva,
dell'opposizione tra gli interessi privati della piccola produzione mercantile parcellare.
E' facilmente prevedibile che lo sviluppo della produzione mercantile privata non sarà a
lungo compatibile con questi legami collettivi.
150
Tali corporazioni erano, specie all'inizio, aperte a tutti e non erano più legate a una
parcella di terra, benché ne avessero ripreso i legami comunitari della marca e
rimanessero istituzioni feudali: la proprietà artigianale riguarda non la terra, ma il
mezzo di lavoro.
Esse si diffusero un po' dappertutto e abbracciarono ogni sorta di individui, dalla
piccola nobiltà decaduta al contadino fuggiasco. I legami della marca vennero
direttamente utilizzati a scopi economici collettivi, adattandosi ai più diversi mestieri e
persino al commercio. La supremazia sui mari dei paesi nordici poggiava allora in gran
parte su questo antico modo collettivo di organizzazione, che permetteva ai suoi membri
di affrontare le maggiori difficoltà, promuovendo le più alte qualità di coraggio, astuzia
e abilità per superare gli ostacoli sia naturali che sociali: il mercante del medioevo non
era affatto un individualista; egli era prima di tutto membro di un'associazione, come
tutti i suoi contemporanei 174.
Non appena gli artigiani e i mercanti ebbero riscattato l'affrancamento nei confronti
della proprietà fondiaria della gerarchia feudale, la piccola produzione mercantile si
sviluppò nelle città, e i rapporti feudali vi assunsero una forma specifica, che rimaneva
tuttavia in armonia con i rapporti generali. Quel che cambiò, fu che le città e gli artigiani
si sottrassero allo sfruttamento dei singoli feudali, al sistema delle corvées e altre
prestazioni, che finirono per gravare unicamente sui servi della gleba. I legami feudali si
applicarono non più al lavoro agricolo ma all'artigianato e al commercio, e di essi non
sopravvisse che una subordinazione abbastanza vaga e generale nei confronti del potere
basato sulla grande proprietà fondiaria e la positiva connessione dei legami della marca
applicati alla coordinazione dell'artigianato e alla sua difesa. A questo stadio, l'industria
umana si staccò dalla terra con la parola d'ordine: "L'aria della città rende liberi". A
quest'epoca si può datare la nascita della borghesia, la quale fu stato e ordine prima di
essere classe. Le corporazioni abbandonarono dunque la loro mobilità fissandosi nelle
città, che si cinsero di fossati e di mura da cui vigilò la guardia civile borghese, nel
compito, comune ad ogni altra potenza feudale, di provvedere alla loro sicurezza:
La costituzione del villaggio è semplicemente l'organizzazione della marca
applicata a una marca di villaggio indipendente. Essa si trasforma in costituzione urbana
non appena il villaggio diventa città, cioè si fortifica con fossati e mura. Tutte le
successive costituzioni cittadine si sono sviluppate da questa originaria organizzazione
della marca urbana. Infine tutti gli ordinamenti delle innumerevoli libere associazioni
medievali non basate sulla proprietà comune della terra, sono esemplati sulla
costituzione della marca, specialmente quelli delle libere corporazioni. Il diritto
concesso alla corporazione di esercitare in esclusiva un determinato mestiere non è
nient'altro che un'applicazione della Marca. Altrettanto gelosamente e spesso con gli
stessi identici sistemi, ci si preoccupa nelle corporazioni che la partecipazione di ogni
membro alla fonte comune di guadagno sia la stessa o per lo meno quanto più possibile
la stessa 175.
Ritroviamo dunque qui, applicata alla proprietà artigianale, la libera ed uguale
ripartizione della parcella al contadino agli albori delle forme classico-antica e
germanica, ripartizione che poté resistere alla concentrazione della proprietà solo
appoggiandosi sulla proprietà comunitaria. Similmente, artigiani e mercanti, facendo
leva sui legami collettivi della costituzione della Marca, si sforzarono di contrastare, e
174
Cf. Engels, Prefazione al III libro del Capitale, Ed. Riuniti, Roma 1968, p.
40.
175
Cf. Engels, La Marca, cit., p. 168.
151
per tutto un periodo con successo, la concentrazione in poche mani della proprietà
artigianale.
Cingendosi di mura e fossati, il villaggio diventa borgo (da cui deriva il borghese).
Ma tale termine, storicamente nato in Francia, sarebbe incompleto senza la sua
etimologia germanica Burg o Borg (garanzia reciproca di quanti si sono giurati aiuto e
assistenza, formando quindi una gilda, una corporazione), che discende direttamente
dalla costituzione della marca applicata alle città franche 176. Questa nozione
corrisponde al francese "commune jurée" (comune fondato sul giuramento),
corporazioni, cospirazioni, comunità legate da giuramento, ecc. Comuni si chiamarono
in Francia le prime città anche prima che fossero riuscite a strappare ai loro padroni e
signori feudali i diritti politici come terzo stato. Così in Italia e in Francia gli abitanti
delle città chiamarono la loro comunità cittadina, dopo aver strappato o comperato dai
signori feudali i primi diritti di amministrazione autonoma 177.
Per ben afferrare questo processo, che riprende la costituzione della Marca degli
antichi Germani, ossia un'intera branca di rapporti del comunismo primitivo, per
applicarla allo sviluppo delle forze produttive che saranno in seguito appropriate da
individui privati, consideriamo l'esempio della formazione delle gilde, sorta di
corporazioni soprattutto commerciali. La gilda, la cui assemblea si teneva in occasione
di un banchetto (simbolo di comunione fraterna) a spese comuni, era una associazione o
confraternita in cui tutti i co-sacrificanti promettevano sotto giuramento di difendersi
l'un l'altro e di aiutarsi reciprocamente come fratelli contro tutti i pericoli e le avversità
della vita. Si trattava di una mutua assicuazione contro le vie di fatto e le offese, contro
gli incendi e i naufragi, e persino contro le azioni penali intentate per crimini e delitti
anche confessati.
La gilda di commercio lontano copriva i rischi inerenti allora all'insicurezza delle
vie marittime e terrestri in un'epoca in cui il negozio era mescolato alla guerra e alla
pirateria. Era una confraternita ristretta di uomini liberi ed uguali, di fratelli e di
congiurati, che univa tutta la loro forza.
La gilda non era dunque più legata alla consanguineità e nemmeno a un dato
territorio benché potesse fissarsi nelle città: era dedita all'esercizio di una specifica
attività (arte). Non aveva limiti di alcun genere: si propagava in un raggio assai ampio e
riuniva ogni specie di persone, dal principe e dal nobile fino all'artigiano e al contadino
fuggiasco. Queste gilde erano vere e proprie associazioni di convitati, di affiliati e di
fratelli all'interno e, a dispetto della carità cristiana, si trasformavano nel loro contrario
all'esterno, allorché difendevano i loro membri contro l'ambiente ostile o perseguivano
spietatamente quei membri che avevano tradito il giuramento fatto.
Ma perché i legami associativi delle gilde potessero instaurarsi nelle città, cioè su
un dato territorio, la marca di cantone o di paese dovette preliminarmente separarsi dalla
città che si stava affrancando dalla gerarchia feudale. Le città di artigiani e di mercanti
nelle quali le gilde e le corporazioni poterono svilupparsi sorsero dunque mediante un
176
Cf. la lettera di estremo interesse di Marx a Engels del 27 luglio 1854
sulla fondamentale differenza di evoluzione del feudalesimo: in Francia, la
monarchia assoluta non cessò di rafforzarsi e accelerò il passaggio al capitalismo
con una serie di misure politiche, mentre in Germania l'Impero frenò lo sviluppo
delle corporazioni.
177
Cf. Marx-Engels, Il Manifesto, nota di Engels all'edizione inglese del
1888. Inoltre, Engels vi osserva che l'Inghilterra è il modello dell'evoluzione
economica della borghesia, e la Francia quello della sua evoluzione politica.
152
patto politico (accomandazione) con lo Stato esistente. I legami della gilda si adattarono
perciò a quelli del feudalesimo e corrisposero all'organizzazione politica della società, la
quale era interamente fondata su rapporti di dipendenza personale (in assenza di servitù:
di rapporti di associazione e di dipendenza personali). Si ebbe così all'inizio del
medioevo un fiorire di ordinamenti e contratti tra i borghesi delle città e la corona o i
signori locali. Da personali, i rapporti divennero diritti politici.
Con l'impiantarsi delle istituzioni di Marca nel territorio urbano, le strutture sociali
della città saranno plasmate dai rapporti della produzione feudale al suo stadio
artigianale e commerciale, e, sganciate dalle determinazioni naturali della terra,
potranno evolvere più celermente. L'industria umana potrà quindi staccarsi da quella
madre nutrice, ma spesso anche matrigna, che è la terra.
Così, dunque, la gilda trovò una nuova applicazione, assolutamente locale e
specifica a un corpo di mestiere, di natura politica — e perciò duratura e suscettibile di
modificarsi e di sopravvivere oltre le generazioni — nel "commune jurée", istituzione di
pace all'interno e di lotta all'esterno, organizzata feudalmente anche se autonomamente.
Questa istituzione fiorì nella Gallia del Nord e nelle Fiandre; ebbe una capacità di
rigenerazione più viva del consolato delle città di Provenza e d'Italia, in cui
l'accaparramento dei singoli (nuovi patrizi, se pure diversi da quelli della Roma
schiavista) portò troppo presto al soffocamento delle forze produttive. Non possiamo
qui soffermarci tuttavia sul caso specifico del feudalesimo italiano, che evolse
rapidamente senza però generare nella sua fase di dissoluzione la vigorosa monarchia
assoluta (per il frapporsi degli Stati pontifici nel mezzo dell'Italia all'unità nazionale
dello Stato borghese) poiché quest'ultima non trovò l'appoggio delle ascendenti forze
borghesi del terzo stato, come avvenne in .Inghilterra e in Francia.
In quanto associazione di mutua garanzia che accettava tra gli abitanti della città
solo la gente di un mestiere, il commune jurée gettò le basi per la formazione delle
corporazioni o gilde di mestiere e di commercio legate al mercato locale. La gilda, non
più mobile come all'inizio quando l'affiliazione era volontaria, ma fissata ora
invariabilmente su una base e in limiti territoriali, protegge i diritti civili e pubblici
dall'instabilità generale dell'epoca e in seguito dalla concorrenza montante. Queste città
si costituirono attraverso ribellioni sanguinose e richiesero tesori di ingegnosità, di
astuzia e di abilità per resistere alle condizioni economiche e sociali di quell'epoca
tumultuosa. I privati isolati non avrebbero potuto riuscirci: fu necessaria una
associazione che stimolasse al massimo tutte le energie disponibili. Il comune si armò:
"Se il comune è attaccato tutti coloro che hanno giurato devono marciare in sua difesa".
Tale formula riflette ancora i presupposti feudali della produzione: garantire la sicurezza
del piccolo produttore intensivo. Ma questa volta i rapporti erano altamente concentrati
e suscettibili di evoluzione.
In favorevoli condizioni di carattere locale o storico, lo stesso contadino poté
affrancarsi dai vincoli feudali: La sua posizione si colloca infatti molto più in alto della
schiavitù, nella quale solo era possibile l'affrancamento individuale, immediato e senza
uno stadio di transizione (soppressione della schiavitù in seguito a ribellione vittoriosa
l'antichità non ne conosce). Al contrario i servi della gleba del Medioevo riuscirono
progressivamente ad affrancarsi come classe. Ma a cosa ciò è dovuto, se non ai legami
sociali barbari dei Germani che non erano ancora arrivati alla schiavitù sviluppata, né
alla schiavitù del lavoro dell'antichità né a quella domestica orientale? 178. La
153
costituzione di Marca dava infatti ai contadini, individualmente o collettivamente, per
riscatto o azione rivoluzionaria di classe, la possibilità di liberarsi dal giogo feudale
gravante sulla loro parcella:
E' ancora la comunità di marca che diede alla classe oppressa, ai contadini, anche
sotto la più crudele servitù della gleba medioevale, una coesione locale e uno strumento
di resistenza, che né gli antichi schiavi né i proletari moderni hanno avuto a portata di
mano (ibid.):
In certe regioni e paesi l'occasione di liberarsi si presentò ai contadini molto presto:
In generale, verso la metà del XIII secolo intervenne un deciso cambiamento a favore
dei contadini; le crociate avevano preparato il terreno. Molti dei proprietari terrieri che
partivano per le crociate liberarono esplicitamente i loro contadini. Altri morirono,
andarono in rovina, centinaia di famiglie della nobiltà scomparvero e i loro contadini
ottennero altrettanto spesso la libertà. A ciò si aggiunse il fatto che coi crescenti bisogni
dei proprietari terrieri il poter disporre delle prestazioni in oggetti materiali piuttosto che
in corvées personali divenne per essi di gran lunga preferibile. La servitù dell'inizio del
medioevo, che aveva in sé ancora molto della schiavitù classica, concedeva ai signori
diritti che persero sempre più valore: essa scomparve progressivamente e la posizione
dei servi si avvicinò a quella dei semplici soggetti a corvée 179.
Il rapporto monetario soppiantò dunque ben presto i rapporti di dipendenza
personale. In interi distretti, come in Olanda, in Belgio e sul corso inferiore del Reno, i
contadini, anziché corvées e prestazioni in natura, devolvevano al signore denaro,
179
Cf. Ibid. P. 171
Engels prosegue sottolineando che il feudalesimo si estinse molto presto in
Germania, ma che il passaggio al capitalismo, con la guerra dei Contadini, fallì e
si crearono le condizioni per una rinascita del feudalesimo in quel paese.
154
facendo così, signori e coloni, un primo decisivo passo sulla via della loro
trasformazione in proprietari fondiari e fittavoli 180.
181
Marx precisa più avanti: il periodo d'oro del lavoro che si emancipa si
colloca nell'epoca del declino del feudalesimo, allorché le lotte intestine vi sono
ancora in vigore, come in Inghilterra nel XIV e nella prima metà del XV secolo. I
liberi piccoli contadini inglesi, dopo la peste nera che decimò la popolazione e
rovinò il feudalesimo, parteciparono a questo periodo d'oro. Ma mentre per
l'artigiano la proprietà riposa sullo strumento e sulla sua arte (mestiere), per il
piccolo contadino libero essa riposa sulla parcella, rimane cioè legata alla terra e
alla proprietà fondiaria. Qui tutta la differenza tra proprietà individuale
155
Poiché lo strumento è esso stesso prodotto del lavoro, l'elemento costitutivo della
proprietà è posto anch'esso dal lavoro, sicché la comunità non può più presentarsi qui
nella forma primitiva e naturale con cui si presentava nella forma primaria. Non è
dunque più la comune che fonda questo tipo di proprietà; essa stessa è invece generata,
prodotta, dal lavoratore, e quindi secondaria: è una comune creata dall'artigiano
mediante la sua arte in collegamento con gli altri. E' chiaro che laddove la proprietà
dello strumento significa il comportamento del lavoratore in quanto proprietario delle
condizioni di produzione, lo strumento stesso non si presenta se non come semplice
mezzo del lavoro individuale nel processo effettivo di lavoro: il mestiere, l'arte di
appropriarsi realmente lo strumento, di maneggiarlo come mezzo di lavoro, si presenta
come particolare abilità del lavoratore, abilità che fa di lui il proprietario dello
strumento. In breve, ciò che caratterizza il sistema delle corporazioni (fondato sul lavoro
artigianale, sul mestiere, che erige l'individuo a proprietario), è il fatto che esso
riconduce tutto al solo rapporto con lo strumento di produzione, dal momento che la
proprietà riguarda solo l'utensile. Questo rapporto di proprietà artigianale differisce da
quello su cui si basa la proprietà fondiaria, cioè la proprietà della materia prima in
quanto tale (p. 480).
Conformemente al metodo di illustrare la forma meno evoluta con quella più
sviluppata, Marx raffronta fin d'ora questa seconda forma a una terza possibile, quella
della proprietà dei mezzi di sussistenza. Quest'ultima, che in tutte le forme anteriori di
produzione era inseparabile dal produttore, se ne stacca nel corso della cosiddetta
accumulazione primitiva del capitale, sicché il produttore non solo si trova ad essere
separato da tutti i suoi oggetti e mezzi di produzione, ma diviene una nuda e libera forza
lavoro che, per vivere, deve scambiarsi contro i mezzi di sussistenza: La terza forma
possibile è il rapporto di proprietà nei confronti dei mezzi di sussistenza, trovati fin
dall'inizio come condizione naturale del soggetto che lavora e che tuttavia non possiede
né la terra, né lo strumento e quindi neppure il lavoro (ibid.).
Marx distingue tra differenti forme di proprietà dei mezzi di sussistenza, e mette in
rilievo in questo caso lo specifico rapporto artigianale. Come lo schiavo, e al pari
dell'animale, il servo della gleba riceve i mezzi di sussistenza dalla terra, alla quale egli
è legato come mezzo di produzione ad opera del proprietario fondiario: questi è
direttamente provvisto del fondo di consumo necessario di cui beneficia anche il suo
seguito (corte). Il maestro artigiano invece lo ha ereditato oppure guadagnato
risparmiando. Da giovane egli è dapprima apprendista e non si presenta ancora come
vero e proprio lavoratore autonomo: egli siede, alla maniera patriarcale, alla mensa del
maestro. Quando è un lavorante effettivo, sussiste una certa comunanza del fondo di
consumo (da cui il proletario del capitalismo sarà separato) posseduto dal maestro.
Sebbene non sia proprietà del lavorante, è almeno, in virtù delle leggi e delle tradizioni
della corporazione ecc., una sua partecipazione al possesso (p. 478).
L'artigiano è proprietario dei propri mezzi di sussistenza in quanto padrone del
lavoro (mestiere) e del mezzo di lavoro (strumento), con prevalenza di quest'ultimo. E
ne è proprietario poiché, combinando nel processo lavorativo materia e forza lavoro con
la mediazione dello strumento, egli intasca alla fine il prodotto del lavoro, di cui è anche
proprietario. Ma solo per il tramite del mercato e del commerciante, e per la mediazione
del denaro, egli riceve i mezzi di sussistenza in cambio del prodotto: siamo in piena
156
produzione mercantile. Tutti gli elementi e i meccanismi per la trasformazione del
denaro in capitale e per l'espropriazione del lavoratore sono ormai presenti.
Ma, come si è già accennato, il rapporto dell'artigiano nel corso del processo
lavorativo non può limitarsi allo strumento, perché nessuno può vivere e lavorare
separato dalla terra. Non trae forse egli da questa i mezzi di sussistenza, le materie
prime, ecc.? In breve, l'artigiano ha con la terra un duplice rapporto: da una parte si è
staccato dalla condizione feudale generale con la "carta di franchigia" nei confronti
della gerarchia fondiaria, dall'altra egli ha con la terra un rapporto mediato dallo
scambio mercantile che è in ascesa. Egli acquista infatti i prodotti che gli occorrono dal
contadino tramite il mercante. Così, tanto gli elementi costitutivi del processo lavorativo
che il suo prodotto rivestono la forma di merce, e ciò è l'estremo risultato del modo di
produzione feudale, causa del suo dissolvimento. Facciamo dunque la conoscenza di un
nuovo personaggio, il mercante.
Non appena l'industria urbana si separa dall'agricoltura, è nella natura delle cose che
i suoi prodotti siano fin dal principio merci, la cui vendita richiede la mediazione del
commercio. Il commercio fa leva sullo sviluppo delle città, così come lo sviluppo di
queste è a sua volta condizionato da quello 182.
Il mercante di cui qui ci occupiamo non ha niente a che fare con quello dei popoli
dediti al commercio nell'antichità, che erano contemporaneamente trasportatori, forza
militare e mercanti e operavano ai confini delle comunità primitive per lo scambio
dell'eccedenza. Il corpo dei mercanti del feudalesimo corrisponde a un determinato
livello delle forze produttive all'epoca della crescente dissoluzione della proprietà
fondiaria feudale, di cui è un energico solvente. Sempre più esso diviene uno dei
presupposti del processo di produzione dell'artigiano, che pur lavorando per il valore
d'uso dipende, per il processo lavorativo e per il suo continuo rinnovamento (vendita del
prodotto), dal mercato e dal commercio:
L'artigianato urbano, sebbene si fondi essenzialmente sullo scambio e sulla
creazione di valori di scambio, ha per scopo fondamentale e immediato la sussistenza
dell'artigiano e del maestro artigiano in quanto tali, in altre parole il valore d'uso, e non
l'arricchimento, né il valore di scambio in quanto valore di scambio. La produzione vi è
quindi sempre subordinata a un consumo preesistente, l'offerta è subordinata alla
domanda, e si espande solo lentamente (p. 495).
E l'artigianato, spiega Marx, si è dovuto difendere — per sopravvivere — dal fattore
dissolutivo del valore di scambio e del denaro: Nel sistema delle corporazioni, il
semplice denaro non può comprare dei telai per mettere altri individui al lavoro, lo può
solo il denaro della corporazione, il denaro del maestro: è prescritto il numero dei telai
che un artigiano può impiegare. In breve, lo strumento stesso è ancora a tal punto
tutt'uno col lavoro vivo, di cui rappresenta il dominio, che esso non circola realmente (p.
487).
157
sarà l'artigiano a svolgere il ruolo trainante dello sviluppo sociale, perché troppo legato
al proprio valore d'uso, alla propria sussistenza e quindi a quella delle condizioni
esistenti. Il nuovo motore dello sviluppo delle forze produttive è il rappresentante del
valore di scambio, del denaro, forza corrosiva per antonomasia dei rapporti
precapitalistici: il mercante.
La società feudale raggiunge dunque il suo apice con la formazione di un corpo di
mercanti che, contrariamente all'artigiano, rappresenta appieno il valore di scambio. Il
mercante diverrà ben presto la figura centrale di tutti gli ordini feudali, perché ne è
l'intermediario.
Sull'ordine dei mercanti, perno delle progressive potenze economiche e sociali del
terzo stato, si appoggiò la stessa monarchia assoluta — potenza politica centralizzatrice
per eccellenza con funzione decisiva nell'ulteriore sviluppo di tutta la società — cui
abbisognava denaro in gran quantità per organizzare e centralizzare l'amministrazione
con una burocrazia e un esercito di mercenari. Il denaro domina in tal modo lo Stato sul
piano economico prima di conquistarlo politicamente.
La monarchia assoluta instaurò le prime manifatture che facevano con successo la
concorrenza alla produzione corporativa (produzione mercantile semplice degli
artigiani): il denaro presiedette al loro sviluppo e il corpo dei mercanti si occupò di
procurar loro uno smercio.
I mercanti svolsero inoltre il ruolo di intermediari tra nobiltà e contadiname. I
crescenti bisogni stimolati dalla varietà degli articoli prodotti dalla produzione
mercantile semplice rese la circolazione monetaria sempre più importante. Ben presto la
nobiltà si indebitò per procurarsi le ricchezze e accettò di sostituire alle corvées in
natura delle prestazioni in forma monetaria, primo passo verso l'abolizione della servitù
della gleba. Le città si svilupparono in collegamento col commercio mondiale. Dopo le
corazze e le armi, la nobiltà comprò nelle città i tessuti, i mobili e i gioielli del paese, le
seterie d'Italia, i merletti del Brabante, le pellicce del Nord, i profumi d'Arabia, i frutti
del Levante, le spezie delle Indie; essa comprava tutto nelle città, tutto tranne il sapone.
Siffatta estensione degli scambi comportò a sua volta un allargamento della produzione
artigianale e manifatturiera. I mercanti e il denaro agivano come agenti corrosivi della
proprietà fondiaria in un duplice senso: indebolendo i suoi rapporti interni e
promuovendo lo sviluppo delle città.
Coi bisogni sempre più raffinati e varii che il mercante suscita nei signori feudali,
crescono dunque anche le spese monetarie di questi ultimi, costretti di conseguenza a
trasformare le prestazioni in natura (corvées) dei servi della gleba in prestazioni in
denaro, cioè ad offrire ai coloni il riscatto dai gravami feudali. Ciò darà luogo a una vera
e propria solidarietà tra il terzo stato (e i mercanti) e i contadini asserviti per estendere
alle campagne il sistema mercantile della proprietà privata del piccolo appezzamento: il
contadino diviene l'oggettivo alleato del borghese e del piccolo-borghese delle città. Ma
una volta che il contadino avrà ottenuto la proprietà privata della parcella, quest'ultima
sarà diventata una merce che si potrà vendere e comprare - e il denaro divenendo
capitale potrà espropriare in massa i contadini trasformandoli in nuda forza lavoro da
sfruttare. La grande proprietà fondiaria potrà questa volta concentrarsi sulla base delle
forze produttive sviluppate, che le impediranno di muoversi in un circolo vizioso come
la grande proprietà schiavista di Roma.
Il mercante riunì nelle sue mani, nella forma più corrosiva, tutti i fattori dissolutivi
del modo di produzione feudale e gli elementi di formazione del capitalismo derivanti
dal denaro, potenza sociale concentrata, dalla merce, creata dal libero contadino e
158
dall'artigiano, dal valore di scambio, che collega produttori e consumatori. Egli
dominerà la distribuzione e la produzione non appena tutti gli elementi costitutivi della
produzione, forza lavoro compresa, avranno assunto la forma mercantile. La ricchezza
monetaria è la base del capitale, così come il mercato mondiale lo è del modo di
produzione capitalistico.
Il denaro, in quanto intermediario e ruffiano universale, annuncia l'epoca in cui il
capitale diviene la comunità umana:
In tutte le sfere della moderna vita sociale si constata che la parte del leone tocca
regolarmente all'intermediario. In campo economico, ad esempio, finanziari, agenti di
borsa, banchieri, negozianti, commercianti, ecc. Scremano il meglio degli affari; nelle
cause civili, l'avvocato scuoia le parti senza farle gridare; in politica, il deputato vale più
dell'elettore, il ministro più del sovrano ecc.; in religione, Dio passa in second'ordine
rispetto al "mediatore", che da parte sua è spinto nel retroscena dai preti i quali, a loro
volta, sono gli inevitabili intermediari tra il buon pastore e le sue pecorelle 183.
Il mercante, intermediario tra tutte le attività, e dunque ganglio vitale del sistema
feudale frantumato in diversi e opposti ordini e stati, potrà dissolvere tutti i rapporti
feudali per sviluppare il nuovo modo capitalista di produzione, unitario e generale, di
cui la base mercantile costituisce il nec plus ultra. Il denaro si accumulò ben presto in
quantità e in qualità sufficiente per potersi trasformare in capitale; ma qui esso
costituisce ancora la preistoria dell'economia borghese: l'usura, il commercio,
l'organizzazione urbana e il parallelo sviluppo del fisco (che segna il passaggio
dell'economia alla politica) vi svolsero il ruolo principale. Relativamente secondaria vi
appare la tesaurizzazione dei fittavoli, dei contadini, ecc. (p. 491).
Il denaro agisce come un energico mezzo di dissoluzione delle condizioni
precapitalistiche di produzione: Contemporaneamente si assiste allo sviluppo degli
scambi e del valore di scambio, mediati ovunque dal commercio (possiamo chiamare
commercio questa mediazione, e dire che il denaro acquista una esistenza autonoma nel
corpo dei mercanti, come la circolazione l'acquista nel commercio). Questo sviluppo
comporta da una parte la dissoluzione dei rapporti di proprietà del lavoro dalle sue
condizioni oggettive, e dall'altra parte colloca il lavoro tra le condizioni oggettive della
produzione (ibid).
Marx parla di cosiddetta accumulazione primitiva del capitale poiché essa si compie
non per la tesaurizzazione e l'ammassamento nelle mani dei capitalisti di beni e
macchine, quanto mediante un processo di separazione degli elementi oggettivi (materie
prime, mezzi di lavoro ecc.) dagli elementi soggettivi viventi (forza lavoro) che si
oppone allo sviluppo dei rapporti sociali e produttivi precapitalistici dissolvendoli. In
Europa, il denaro ha sciolto in questa maniera i rapporti feudali e contemporaneamente
è stato l'elemento costitutivo del capitale. Alla scala mondiale, l'accumulazione si
presenta come processo ininterrotto di dissoluzione delle formazioni precapitalistiche, e
in tal senso essa è e resta un elemento immanente del capitale che si estende su scala
sempre più allargata.
183
Cf. Marx, Il Capitale I, cap. 24, La cosiddetta accumulazione primitiva,
fine.
159
In questo dramma della storia mondiale, la riunione di tutte le forme di società
anteriori non si compie tuttavia in una nuova sintesi (che si produrrà soltanto nella
superiore formazione del comunismo), bensì tramite una dissoluzione universale ove il
mercato mondiale riunisce i separati elementi ponendoli a disposizione della
produzione, che sotto il capitalismo è nazionale, nonostante tutti i mercati comuni di ieri
e di oggi e non può oltrepassare questo stadio. Per questa ragione l'anarchia dominerà la
produzione e le crisi economiche e politiche si susseguiranno finché l'umanità non avrà
realizzato nel comunismo la sintesi tra produzione e distribuzione sociali. Tutto il corso
del capitalismo non sarà che un processo di accumulazione continuamente allargata,
che se è ammassamento di merci a un polo è altresì dissoluzione di tutti i rapporti
anteriori all'altro polo, e - come abbiamo rilevato — lo stesso processo di
ammassamento è quanto mai anarchico, come attestano le cicliche crisi di
sovrapproduzione che sfociano nella distruzione attraverso guerre o mezzi "pacifici" di
dilapidazione di masse enormi di beni materiali e di forza lavoro viva. Si deve quindi
analizzare con cura il processo di accumulazione, svolgentesi non solo durante la genesi
del capitale ma altresì durante il suo periodo di sviluppo e di dissoluzione, ossia finché
esso si riproduce.
L'accumulazione - sottolinea Marx nei Grundrisse — spoglia il lavoratore del suo
mezzo e oggetto di lavoro e li accumula di fronte a lui. Questa semplice definizione
mette in luce che si tratta di un processo di dissoluzione che trasforma una massa di
individui di una nazione in lavoratori salariati virtualmente liberi (del mezzo di lavoro),
ossia in individui costretti a vendere la loro forza lavoro perché privati di ogni proprietà
(p. 484).
Per il produttore il processo di accumulazione significa in primo luogo
pauperizzazione : rovina di quanti ancora sono in possesso dei mezzi di produzione: il
produttore piccolo-borghese, precapitalista o meno, perdendo la propria parcella o i
propri strumenti di lavoro non dispone più di alcun mezzo di sussistenza. In quanto
pauper (povero), egli diverrà in seguito pura forza lavoro che per continuare a vivere
deve offrirsi come merce al capitale.
La legge dell'accumulazione dice quanto segue: la produzione capitalistica aumenta
la ricchezza nella forma di una massa ognor crescente di merci, dà la misura non dei
vantaggi che la società ne trae (non si deve intendere per società quella sola classe che
ne costituisce la parte più debole, e via via sempre più debole), quanto degli accresciuti
rischi di rovina e di miseria. La corsa all'accumulazione si accompagna infatti a una
concentrazione della ricchezza "in un numero sempre più ristretto di mani", e con la
conseguente rovina prima dei piccoli, poi dei medi e grandi capitalisti stessi, poiché il
capitale accumula non solo rovinando i produttori precapitalistici ma anche gli stessi
capitalisti: questo è il senso della formula secondo cui il capitale è sinonimo di
accumulazione allargata: esso è obbligato a crescere senza mai fermarsi, e per farlo
soppianta e divora i capitali più deboli. Gli ex-possessori di una parte della ricchezza
vanno così ad ingrossare l'esercito del lavoro, di quanti cioè non possono vivere se non
vendono la loro forza lavoro SE e QUANDO lavorano, e il cui salario può aumentare
SE e QUANDO lavorano.
Il corso dell'accumulazione si fa con alternanza di avanzate e di rinculi: a fasi di
accumulazione e di aumento della produzione seguono crisi di sovrapproduzione e
sanguinose (sempre più sanguinose) guerre di concorrenza mercantile (imperialismo), la
curva della produzione scende con le distruzioni immense di prodotti, strumenti e forza
lavoro. Marx, da buon materialista, parla di aumento della massa della miseria (Masse
160
des Elends) a fronte del capitale che si concentra e si centralizza sempre più senza
peraltro pervenire mai a sistematizzare e a dominare il proprio processo di
accumulazione organizzandolo sistematicamente, ma significa meramente che il
capitale sempre più mostruoso rovina e divora gli altri.
Perciò Marx scrive alla fine del capitolo sull'Accumulazione che gli usurpatori della
ricchezza altrui finiscono per dilaniarsi a vicenda, sicché gli espropriatori sono a loro
volta espropriati.
Quest'ultima formula — che significa: morte del sistema capitalistico — ribadisce
che il movimento di espropriazione degli espropriatori è già parte integrante dello stesso
sviluppo del capitale, in quanto espropria non solo il lavoratore indipendente
precapitalista, ma anche il rivale capitalista stesso, da parte sua capo di un esercito o di
un drappello di salariati. Il processo, per il suo proprio movimento, porta direttamente
all'espropriazione finale dei pochi usurpatori capitalisti che ancora sussistono: e allora il
ciclo si capovolge: là si trattava dell'espropriazione della massa (compresi i capitalisti)
da parte di pochi usurpatori; qui si tratta dell'espropriazione di pochi espropriatori da
parte della massa 184.
Ma ritorniamo alla cosiddetta accumulazione primitiva, dopo averne accennato il
movimento fino alle sue estreme conseguenze:
Il processo storico separa gli elementi fino ad allora uniti, ma risultato non ne è la
scomparsa di uno degli elementi, bensì la comparsa di ciascuno di essi in una relazione
negativa con l'altro: il lavoro (virtualmente) libero da una parte, il capitale virtuale
dall'altra. La separazione delle condizioni oggettive della classe dei lavoratori divenuti
liberi ha per conseguenza che queste stesse condizioni si rendono autonome al polo
opposto (p. 485).
Vediamo ora come il capitalista viene in possesso di materie prime, strumenti di
lavoro e mezzi di sussistenza con i quali il lavoratore può vivere sino a che la
produzione non sia terminata.
Si entra qui direttamente nel processo di produzione. Ma la cosiddetta
accumulazione primitiva non significa altro che il passaggio dal processo di
circolazione delle merci in cui si è costituito il patrimonio monetario, il denaro, al
processo di produzione del capitale. Questi due processi sono in Marx nettamente
distinti:
L'unica accumulazione presupposta allo sviluppo del capitale è quella di patrimonio
monetario, che, considerata in sé e per sé, è del tutto improduttiva, in quanto scaturisce
soltanto dalla circolazione e ad essa soltanto appartiene. Il capitale si crea rapidamente
un mercato intemo distruggendo tutte le attività accessorie della campagna, dunque
filando e tessendo per tutti, vestendo tutti, ecc., in breve dando la forma di valori di
scambio alle merci che prima venivano create come valori d'uso immediati. Questo
processo risulta automaticamente dal distacco del lavoratore dalla terra e dalla proprietà
dei suoi mezzi di produzione (sia pure in forma servile) (p. 495).
Se la ricchezza sotto forma di denaro può scambiarsi con le condizioni oggettive del
lavoro, è unicamente perché queste ultime sono state staccate dal lavoro, e d'altronde
possono scambiarsi solo a partire dal momento in cui questa separazione è realizzata.
Abbiamo già visto che in parte il denaro può essere accumulato per la pura e semplice
via dello scambio tra equivalenti. Tuttavia ciò rappresenta una fonte così insignificante
che storicamente non merita neppure di essere menzionata, dato che si presuppone che il
denaro è ottenuto mediante lo scambio del lavoro individuale. Si tratta piuttosto di
184
Cf. Marx, Il Capitale I, cap. 24.
161
denaro ammassato mediante l'usura — esercitata essenzialmente a spese della proprietà
fondiaria — e di patrimonio mobile accumulato mediante i profitti commerciali, in una
parola di ricchezza monetaria, che viene trasformata in capitale in senso proprio, in
capitale industriale (p. 486).
La genesi o formazione del capitale, scrive Marx, non parte né dalla proprietà
fondiaria, né dalle corporazioni, bensì dal denaro accumulato dal commercio e
dall'usura, non appena il lavoro è spogliato, per lo sviluppo delle forze produttive e il
processo storico, delle sue condizioni di esistenza oggettive, e diventa dunque possibile
comprare queste condizioni
II capitale può dunque formarsi solo allorché diventano presupposti della
produzione l'oggetto e il mezzo di lavoro (al posto della comunità consanguinea o della
proprietà fondiaria), ossia solo allorché si è autonomizzata la proprietà artigianale sugli
strumenti di lavoro, che sono presupposto della produzione e fondamento e dei rapporti
sociali tra i produttori.
Nel processo dell'accumulazione, il capitale, o meglio, a questo stadio, la ricchezza
monetaria, agisce in maniera del tutto specifica: esso non ha inventato ne ha fabbricato
il filatoio e il telaio. Ma, strappati dalla loro terra, filatori e tessitori, con i loro filatoi e
telai, caddero sotto il potere della ricchezza monetaria.
Il capitale, di suo, non ha fatto altro che unificare le masse di braccia e di strumenti
che esso trova già separati gli uni dagli altri. Esso le agglomera sotto la sua sferza.
Questa è la sua effettiva accumulazione; l'accumulazione di operai in alcuni punti,
assieme ai loro strumenti (p. 490).
Si hanno, in breve, due fasi: 1. la ricchezza monetaria contribuì a spogliare le forze
lavoro delle loro condizioni materiali (si sa che certi energici mezzi di violenza hanno
accelerato l'espropriazione, come, ad esempio, la legislazione sanguinaria che a colpi di
frusta spinse gli espropriati nelle manifatture dei capitalisti); 2. allorché questa
separazione ebbe raggiunto una certa ampiezza, il denaro poté inserirsi come mediatore
tra le condizioni oggettive di esistenza divenute così libere e le forze lavoro vive,
divenute anch'esse indipendenti e libere, poté comprare le seconde con le prime (p.
491).
Marx passa poi ad illustrare in maniera suggestiva il carattere mistificatore del
capitale. Oggi, come durante il periodo dell'accumulazione primitiva, gli economisti
pretendono che l'operaio scambi la sua forza lavoro contro equivalente. In realtà, il
lavoro salariato trova un impiego solo se fornisce un plusvalore, ossia lavoro non pagato
appropriato dal capitalista. In opposizione agli economisti borghesi che blaterano di
scambio tra equivalenti in tutti i rapporti mercantili del capitalismo, Marx definisce il
capitale come produzione di plusvalore, lavoro non pagato, e ci vede la sua funzione
essenziale:
La vera, specifica funzione del capitale è di accumulare, e quindi di produrre
plusvalore. La sua unica ragion d'essere è produrre sopralavoro e appropriarsi lavoro
non pagato all'interno del processo di produzione reale; sopralavoro che si esprime e si
materializza in plusvalore 185. La concezione di Marx è quindi diametralmente opposta a
quella degli economisti borghesi ufficiali, la cui formula dello scambio tra equivalenti
185
186 Cf. Marx, IlCapitale libro I capitolo VI inedito, cap. 1, Produzione
capitalistica come produzione di plusvalore. La Nuova Italia, 1974, p. 6.
162
costituisce la base della propaganda borghese sulla libertà, l'uguaglianza e la fraternità
sul piano politico e sociale 186.
Questa definizione è fondamentale perché il capitale è nel mondo moderno alla base
di tutti i moderni rapporti sociali tra le classi e i mezzi di produzione e costituisce il
presupposto universale della produzione e della vita, come a loro volta lo sono stati la
natura e la comunità nella forma primaria, la proprietà fondiaria nella forma secondaria,
e nella forma terziaria lo strumento che determinava tutti i rapporti sociali e tanto
l'attribuzione quanto la ripartizione del prodotto del lavoro.
Gli economisti borghesi nel considerare la genesi (formazione) del capitale si
limitano alla circolazione e agli scambi mercantili e deducono il capitale dalle semplici
e "giuste" leggi dello scambio tra equivalenti: il capitalista accumula la sua ricchezza
mediante il risparmio sul proprio lavoro, ed è astenendosi dal consumare che il futuro
capitalista acquista il proprio capitale 187. Così, i borghesi pongono la proprietà come la
emanazione del solo lavoro, di modo che il capitale implica la proprietà privata del
prodotto del PROPRIO LAVORO. Per confutare questa concezione apologetica Marx
rileva: 1. la produzione fondata sul valore di scambio e la forma di società fondata sullo
scambio di questi valori di scambio implicano certamente il lavoro come presupposto
generale della ricchezza, ma il lavoro salariato, divenuto pura forza lavoro perché
separato da tutte le sue condizioni oggettive; 2. sotto il capitalismo lo scambio tra
equivalenti persiste certo in superficie, nel processo di circolazione delle merci, ma è
solo lo strato superficiale di una produzione che si fonda sull'appropriazione di lavoro
altrui senza scambio, ma sotto la parvenza dello scambio (p. 492).
Il capitale è perciò agli occhi degli apologisti borghesi un sistema giusto di scambio
armonioso, democratico ed eterno 188, mentre per i marxisti il capitale si caratterizza per
l'estorsione di plusvalore agli operai, i quali solo apparentemente scambiano la loro
forza lavoro-merce contro equivalente, poiché non sono impiegati dal capitalista se non
quando lasciano a costui un plusvalore, sopralavoro, profitto da accumulare. In breve, il
rapporto del capitale è un rapporto di dominio, di classe. Si passa così dalla forma
terziaria dei rapporti di dipendenza personale alla forma quaternaria dei rapporti di
dipendenza economica.
Per fondare la loro visione egualitaria e giusta dell'attuale società capitalistica che si
pretende democratica e non di classe, economisti, filosofi e capitalisti confondono il
moderno modo di proprietà e di appropriazione (basato sull'appropriazione senza
equivalente del lavoro altrui e sull'espropriazione del produttore immediato) con
l'anteriore modo di produzione artigianale, che escludeva precisamente il rapporto
capitalistico del salariato, in quanto implicava la proprietà privata del produttore
186
Cf. Marx, Grundrisse, cit. p. 181-194. Il capitolo del capitale: Scambio
semplice. Rapporti tra i soggetti di scambio. Uguaglianza, libertà, armonie, ecc.
Nelle loro definizioni, gli economisti restano nella sfera degli scambi, della
circolazione, mentre Marx le trae dalla produzione.
187
La morale con l'Idealismo e lo Spirito eterno intervengono così nella
creazione del capitale, con lo spirito del risparmio, cf. Marx, Il Capitale, 1, cap.
XXII, 3, La teoria dell'astinenza.
188
Di qui la seguente definizione del teorico dell'armonia: Il capitale è la
potenza democratica, filantropica ed egualitaria per eccellenza (F. Bastiat, La
Gratuité du crédit, Parigi 1850, p. 29), citato nel Sesto capitolo inedito del
Capitale, La Nuova Italia, 1974, p. 93).
163
immediato sulle condizioni di produzione, ossia la forma di proprietà piccolo-borghese
del produttore.
Questo qui pro quo è possibile perché esiste un rapporto tra acquirente e venditore
nella sfera di circolazione, in cui lo scambio avviene sempre tra equivalenti.
La base del modo di pensare (ideologia) e delle sovrastrutture politiche, giuridiche
ecc. della borghesia è dunque retrograda di un modo di produzione, e permette di
accreditare l'idea della democraticità dei moderni rapporti e per conseguenza della libera
scelta delle istituzioni sociali ad opera della maggioranza nel generale interesse. Infatti:
dal punto di vista ideologico e giuridico, la borghesia trasmette senz'astro l'ideologia
della proprietà privata basata sul lavoro personale alla proprietà determinata
dall'espropriazione del produttore immediato 189.
Nel processo dell'accumulazione che dà origine ai rapporti capitalistici, Marx
sottolinea dunque i tre punti seguenti:
1. La produzione di merci conduce necessariamente alla produzione capitalistica
non appena il lavoratore abbia cessato di far parte delle condizioni di produzione
oggettive, come nella schiavitù e nella servitù della gleba in cui è vincolato alla terra, e
non appena la stessa forza lavoro diventa merce;
2. Solo la produzione capitalistica fa della merce la forma generale di tutti i
prodotti;
3. Ma la produzione capitalistica in quanto sin dall'inizio anche processo di
dissoluzione, distrugge la base mercantile della produzione, e per cominciare la
produzione individuale autonoma (dell'artigiano e del contadino parcellare) e lo
scambio tra possessori di merci nella produzione, cioè lo scambio di equivalenti. Lo
scambio puramente formale tra capitale e forza lavoro diviene la regola generale {ibid.
p. 96).
Il modo di produzione capitalistico - la natura dei suoi rapporti — trova la migliore
illustrazione nello svolgimento dell'iniziale suo processo di formazione, della cosiddetta
accumulazione primitiva. Passiamo quindi senz'altro a considerare tale processo.
Dobbiamo ora analizzare il processo di genesi del capitale che ha formato la sua
struttura economica, base di tutti i rapporti sociali e della forma di appropriazione
dell'epoca borghese.
189
Cf. Marx, Il Capitale libro I capitolo VI inedito. Newton Compton Ed.,
1976, p. 140.
190
In questa riedizione italiana delle Forme di produzione successive,
abbiamo aggiunto numerosi passi nuovi e particolarmente le due sezioni seguenti
sulla forma quaternaria del capitalismo e sulla transizione economica al
comunismo. Non vi si trova nessuna concezione nuova, ma soltanto una
elaborazione più larga.
164
Alla fine del capitolo sulle Forme dei Grundrisse, sul quale continuiamo a fondare
la nostra dimostrazione, Marx cita diversi esempi dell'accumulazione che illustrano in
maniera assai semplice il processo fondamentale di dissoluzione degli elementi del
modo di produzione feudale a mezzo del denaro, la loro dispersione e quindi la loro
riunione e concentrazione attraverso la mediazione dello stesso denaro trasformatesi in
capitale passando dalla circolazione nella produzione.
165
mondiale, che a sua volta si era già sviluppato col grande commercio marittimo e
terrestre, che fu il presupposto del modo di produzione capitalistico. Questa transizione
del proprietario fondiario feudale è mediata dall'azione del mercante. Non a caso le due
prime teorie del capitale sono la fìsiocratica e la mercantilista, laddove il mercantilismo
faceva nascere il plusvalore dallo scambio delle merci, dal commercio, che era allora
rivoluzionario e creava le vie di comunicazioni mondiali per mare e per terra.
Mercato e manifatture
E' ancora il mercante che creerà, per le manifatture che producono articoli in serie,
la sollecitazione di un grande mercato e introdurrà il valore di scambio nella produzione
che fino a quel momento si era essenzialmente preoccupata del valore d'uso dei prodotti.
Sarà in rapporto alla forma più avanzata del modo di produzione feudale -
l'artigianato (in cui il valore di scambio si era più ampiamente e spontaneamente
sviluppato) - che si farà in maniera più radicale la rottura tra modo feudale di
appropriazione e modo capitalista. Il modo di produzione capitalistico vi apporta infatti
una forma affatto nuova del processo di produzione, la manifattura e la fabbrica che
creano articoli che la produzione artigianale con le sue corporazioni non può produrre:
vetro, ferro, articoli manufatti in serie. E' noto che le corporazioni frapponevano
innumerevoli ostacoli allo sviluppo del valore di scambio: proibizione della libera
vendita degli strumenti, segreto dei procedimenti di mestiere, divieto di impiegare
lavoranti oltre un determinato numero. Il passaggio al capitalismo comporta perciò la
disgregazione delle corporazioni medievali con la previa separazione del produttore dal
suo strumento di lavoro. Si tratta dunque qui di una vera e propria rivoluzione nei
rapporti sociali, come si manifesta ad esempio nel fatto che la produzione industriale del
capitalismo nasce non nelle città medievali delle corporazioni artigianali, bensì nelle
campagne o nei porti collegati al mercato mondiale: in un primo tempo la manifattura
non investe l'artigianato urbano, ma l'industria accessoria — non corporativa — della
campagna, la filatura e la tessitura, ossia quel lavoro che meno di tutti richiede abilità
professionale e formazione tecnica (pag. 494).
Le prime manifatture capitalistiche sorsero sporadicamente nelle città che
attraverso il commercio mondiale erano collegate al valore di scambio, cioè nelle prime
nazioni mercantili borghesi: là dove si produce in massa per l'esportazione, per il
mercato estero, dunque sulla base del grande commercio marittimo e terrestre, nei suoi
empori - come nelle città italiane, a Costantinopoli, nelle città fiamminghe, olandesi, in
alcune città spagnole come Barcellona ecc. (pag. 493).
Ma in generale la manifattura stabilisce le sue prime sedi non nelle città, ma nella
campagna, nei villaggi dove non esistono corporazioni ecc. L'attività accessoria della
campagna rappresenta la larga base della manifattura, mentre nella città i mestieri hanno
un alto sviluppo e si oppongono alla pratica del sistema manifatturiero con le sue
operazioni semplici di una produzione di serie per un vasto mercato.
Le prime manifatture borghesi - come quella tessile, le vetrerie, le fabbriche
metallurgiche, le segherie ecc. - annunciano nuovi settori di produzione che niente
hanno a che vedere con la produzione artigianale dei mestieri del Medioevo. Queste
nuove branche richiedono infatti fin da principio una più elevata concentrazione di
manodopera semplice, di materie prime e di risorse naturali; esse nascono anzitutto nei
porti o nei villaggi (che si trasformano man mano in centri capitalistici) ed esigono
166
scarsissima abilità professionale e formazione tecnica. A rigore, la manifattura si
impianta nei sobborghi, ai margini della città corporativa, là dove si ammassa la plebe
liberatasi dalle costrizioni medievali, contadini espropriati, servi fuggiaschi, mendicanti
e piccolo-borghesi impoveriti — proprio come accade oggi nelle bidonvilles dell'Africa
e dell'America del Sud.
Non è dunque sullo slancio dell'artigianato che si è sviluppata l'industria
capitalistica, bensì sulla base del commercio e del mercato mondiale, a un grado di
sviluppo determinato del valore di scambio, il quale, dopo aver reso alienabile la terra,
ha strappato gli strumenti di lavoro alle corporazioni di artigiani, per gettarli sul mercato
dove il capitalista potrà comprarli e soprattutto, dopo aver espropriato i produttori,
trasformarli in nuda forza lavoro, ossia in merce, acquistabile dal capitalista per far
funzionare il processo di produzione.
167
carattere mercantile venne rafforzato dal saccheggio d'oltremare, dal commercio degli
schiavi e dalla conquista di un vasto impero coloniale, le cui ricchezze affluirono nella
metropoli rendendo inutili le manifatture 192.
168
produzione, la forza lavoro, l'oggetto del lavoro e il mezzo di lavoro dissociati dalla loro
anteriore unità nella forma feudale attraverso il processo dell'accumulazione originaria,
che è anzitutto processo di corrosione).
Ecco come storicamente e concretamente il denaro si trasforma in capitale. Un
mercante, ad esempio, fa lavorare per sé un certo numero di filatori e tessitori che fino
ad allora avevano esercitato la filatura e la tessitura come semplice attività ausiliaria.
Egli dà loro abbastanza lavoro perché questa attività domestica collaterale divenga la
loro fonte di guadagno principale. Da questo momento egli li ha in pugno: aumentando
ad esempio i prezzi delle sue forniture e ribassando il prezzo del prodotto dei filatori e
dei tessitori, egli li rovina e li mette ai suoi ordini in un'officina. In questo semplice
processo si vede chiaramente che egli non ha approntato né materie prime, né
strumenti, né mezzi di sussistenza per il filatore e il tessitore. Tutto quello che ha fatto è
di averli progressivamente limitati a un tipo di lavoro (produzione di un solo valore di
scambio) in cui essi vengono a dipendere dalla vendita — ossia dal compratore, dal
mercato divenuto Verleger (accomandante del lavoro) — e infine producono soltanto
per essa e tramite essa (pag. 493). Si tratta dell'estensione del valore di scambio fino
all'ultimo elemento componente il processo di produzione: la forza lavoro.
In origine il mercante comprava il loro lavoro solo comprando il loro prodotto; non
appena essi limitano la loro produzione a un solo valore di scambio, e quindi devono
produrre immediatamente valore di scambio e scambiare completamente il loro lavoro
con denaro per poter sopravvivere, cadono sotto la sua sferza, e svanisce anche la
parvenza che essi gli vendessero dei prodotti. Il mercante compra il loro lavoro e toglie
loro dapprima la proprietà del prodotto, in seguito anche quella dello strumento (ibid.).
Possiamo ora assistere al primo ciclo di produzione capitalistica, al processo della
genesi della produzione capitalistica. La forma di produzione e di società capitalistica si
riproduce a partire dalle sue proprie premesse portate a compimento. Si tratta dei due
cicli che Marx descrive dettagliatamente nei Grundrisse sulla genesi del Capitale e la
sua riproduzione ulteriore (pagg. 205-210): 1. la circolazione e lo scambio proveniente
dalla circolazione in quanto presupposti del capitale; 2. il valore di scambio proveniente
dalla circolazione la presuppone, si conserva e si moltiplica in essa mediante il lavoro.
A questo punto dobbiamo fornire alcune definizioni economiche della produzione
capitalista di merci. Marx dice che ogni merce uscita dal processo di produzione
capitalista ha un valore determinato dal suo prezzo di produzione (che ingloba il
plusvalore, cioè le ore di lavoro pagate e anche non pagate, giacché entrambe sono
indispensabili alla produzione della merce). A voler essere esatti, bisognerebbe ormai
parlare di valore di produzione anziché di valore di scambio, perché noi siamo per la
teoria della produzione e non della circolazione delle merci. Conserviamo tuttavia il
termine di valore di scambio che distingue chiaramente il valore venale del valore d'uso
(inerente alle specifiche qualità fisiche della merce e al particolare bisogno umano che è
atta a soddisfare).
Definiamo il valore del prodotto attraverso la somma di tre termini: 1. il capitale
costante; 2. il capitale variabile o salario; 3. il sopralavoro o plusvalore o profitto. I tre
elementi si riducono all'ora di lavoro vivo, giacché sia il capitale costante che il
sopralavoro sono prodotti dal lavoro vivo. Per quanto riguarda il profitto, bisogna
determinare il suo tasso medio, poiché è determinato sul mercato, come media sociale, il
che ammette degli scarti (o sovraprofitti) se le condizioni di produzione — per esempio
la produttività — dell'uno sono superiori alla media.
169
2. PRODUZIONE DI PLUSVALORE E SVALORIZZAZIONE
Processo di negazione
193
Tutta questa pagina è tratta grosso modo da: II Capitale: libro I capitolo
sesto inedito di Marx, Firenze 1974, p. 95-99.
170
Se insistiamo tanto sul carattere dissolutivo del capitale fin dal suo inizio, come suo
momento immanente, è perché sappiamo che il comunismo è il prodotto di questa
dissoluzione del capitalismo, come appare chiaramente dalla sua legge fondamentale del
valore determinata dall'ora di lavoro che implica già svalorizzazione non appena il
valore di scambio passa dal processo di circolazione nel processo di produzione
capitalistico che è creazione di plusvalore.
Così, il modo di produzione che succederà al capitalismo — il comunismo — si
definisce per Marx come negazione, dissoluzione ed eliminazione del valore di
scambio, del denaro, del mercato, del salariato e del profitto. Come il capitale ha
dissolto le economie precapitalistiche, così, nel proprio movimento, esso si
autodissolve, e la rivoluzione politica non è che l'esecutore della sentenza di morte che
esso stesso ha emesso.
Ora, siccome il capitalismo è la base materiale, economica, del modo di produzione
comunista, si capisce perché — come più volte abbiamo detto — il Manifesto del 1848
è anche l'apologià della borghesia. Dobbiamo tessere l'apologia dell'imputato per
concludere che è tempo di dannarlo alla pena massima, perché secondo la nostra
dottrina rivoluzionaria, il comunismo è figlio del capitalismo e non poteva che da lui
generarsi, e malgrado ciò, anzi proprio per ciò, deve combatterlo ed abbatterlo; che i
tempi storici della svolta e del rovesciamento delle posizioni si pongono per effetto di
condizioni e rapporti materiali 194.
Ma prima di analizzare, nel processo di sviluppo del capitale, quali sono le sue leggi
e il loro divenire, consideriamo il divenire delle due classi antagoniste, riprodotte su
scala sempre più estesa ai due poli del capitale in ciascuno dei suoi cicli di riproduzione,
e vedremo immediatamente che l'una — quella che rappresenta la massa della miseria
— tende senza sosta ad aumentare, mentre quella dei capitalisti — polo della ricchezza
— non cessa di decrescere. Il capitale non riproduce lo stesso rapporto tra lavoro e
capitale; continua anzi a moltiplicare gli operai e a diminuire il numero dei capitalisti.
Con questa constatazione Marx chiude il capitolo sull'accumulazione nel primo libro del
Capitale. Gettiamo anzitutto uno sguardo su ciò che si produce al polo dei lavoratori
salariati:
Allorché è giunto a un certo grado, il capitale genera da se stesso gli agenti materiali
del proprio dissolvimento. Da questo momento all'interno della società agiscono forze e
passioni che si sentono oppresse da quel modo di produzione. Esso deve essere
eliminato, e viene eliminato. La proprietà privata, basata sul lavoro personale, questa
proprietà che salda per così dire il lavoratore isolato e autonomo alle sue condizioni
materiali di lavoro, viene soppiantata in misura crescente dalla proprietà privata
capitalistica, fondata sullo sfruttamento del lavoro altrui, sul salariato. Allorché questo
processo di trasformazione ha sufficientemente decomposto la vecchia società da cima
a fondo, allorché i lavoratori sono divenuti proletari e le loro condizioni di lavoro si
sono convertite in capitale, allorché il modo di produzione capitalistico ha gettato le
proprie fondamenta, la socializzazione del processo di produzione assume una forma
nuova: quello che si deve espropriare non è più il lavoratore indipendente, ma il
capitalista, il capo di un esercito o di un drappello di salariati.
Man mano che diminuisce il numero dei magnati del capitale che usurpano e
monopolizzano tutti i vantaggi di questo periodo dell'evoluzione sociale, cresce la
194
Cf. Sul filo del tempo: II Marxismo dei Cacagli, in Battaglia Comunista, n.
8 del 1952.
171
massa della miseria, dell'oppressione, dell'asservimento, della degenerazione, dello
sfruttamento, ma cresce anche la resistenza della classe operaia ogni giorno più
numerosa e disciplinata, unita e organizzata dal meccanismo stesso della produzione
capitalistica. Il monopolio del capitale diviene un ostacolo per il modo di produzione
che con esso e sotto di esso è cresciuto e ha prosperato. La centralizzazione dei mezzi
di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono un punto nel quale diventano
incompatibili col loro involucro capitalistico. Esso viene infranto. L'ultima ora della
proprietà capitalistica è suonata. Gli espropriatori vengono espropriati 195.
Lo stesso corso dell'economia capitalistica conduce all'espropriazione dei borghesi,
e ciò contraddistingue la concezione marxista che vede il divenire economico del
comunismo inscritto nello sviluppo stesso della produzione capitalistica. L'azione del
proletariato rivoluzionario si innesta semplicemente sulla dinamica ineluttabile del
capitalismo in autodissoluzione, ad esempio nel momento della crisi. Il proletariato —
con le sue misure dispotiche di intervento nell'economia — non fa altro che andare al
fondo delle contraddizioni capitalistiche per troncarle e scioglierle in una sintesi nuova
che elimina tutte le categorie anteriori del denaro, del profitto e del mercato. Alla fine, il
modo di produzione si ribella contro la forma di scambio e la produzione socializzata
contro l'appropriazione privata. La borghesia si dimostra incapace di continuare
ulteriormente a dirigere le proprie forze produttive che essa stessa ha sviluppato. Il
riconoscimento del carattere sociale delle forze produttive s'impone in parte agli stessi
capitalisti: i grandi organismi di produzione e di comunicazione vengono appropriati
dapprima dalle società per azioni, poi dai trust e infine dallo Stato. La borghesia
dimostra di essere una classe superflua, e tutte le sue funzioni sociali vengono ora
compiute da impiegati stipendiati 196.
Su questo slancio: la rivoluzione proletaria risolve le contraddizioni: il proletariato
si impadronisce del potere politico e, facendo leva su di esso, trasforma i mezzi sociali
di produzione, che sfuggono dalle mani della borghesia, in proprietà pubblica. Con
quest'atto, il proletariato spoglia i mezzi di produzione dal carattere di capitale che
sinora essi avevano e da al loro carattere sociale la piena libertà di esplicarsi nello
sviluppo ulteriore. Ormai diviene possibile organizzare la produzione sociale
conformemente ad un piano prestabilito (ibid.).
Nel corso della crisi economica, i borghesi si dimostrano superflui perché fanno
fallimento e non sono più in grado di dirigere le loro imprese, e a livello sindacale si
pone concretamente la questione di rimpiazzarli con una gestione operaia. Alla fine del
secolo scorso, Engels scrisse diversi articoli per mostrare come questa evoluzione
doveva condurre all'abolizione del salariato e dei rapporti di dominio capitalistici 197.
195
Cf. Marx, Il Capitale I, cap. XXIV, 7, Tendenza storica dell'accumulazione
capitalistica.
196
Cf. Engels, Anti-Dühring, sez. III, 3, in Opere voi. XXV, Roma 1974, p.
274.
197
Cf. Classi sociali necessarie e superflue e Le dimissioni della borghesia,
nel nostro precedente testo: Critica della corrotta prassi dei sindacati, vol. II, p.
157-165, che raccoglie numerosi scritti di Marx-Engels sul sindacalismo.
172
Col processo dell'accumulazione capitalistica abbiamo visto che il capitale si
sviluppa essenzialmente dissolvendo le forme di produzione e di appropriazione
precapitalistiche. In seguito, concentrandosi e sviluppandosi, esso attacca gli stessi
rapporti capitalistici. Le sue contraddizioni sono il motore del suo sviluppo. Ne è prova
il semplice fatto che il proletariato, classe spogliata di ogni proprietà, crea la ricchezza
per l'opposto polo dei non produttori: la borghesia non può esistere senza rivoluzionare
costantemente gli strumenti di produzione, dunque i rapporti di produzione, dunque
l'insieme delle condizioni sociali, mentre la prima condizione d'esistenza di tutte le
classi dominanti e attive precedenti era al contrario l'immutata conservazione del
vecchio modo di produzione.
173
Nella stessa terra è incorporato lavoro per occuparla, migliorarla e prepararla, di
modo che essa acquista un valore che aumenta con le generazioni: essa rende, per
questo, più di un'altra, prescindendo dal lavoro necessario per la nuova produzione.
Ma non si tratta del tempo di lavoro occasionalmente impiegato per produrre una
data merce, bensì del tempo di lavoro medio necessario occorrente a riprodurla, in una
società data, cioè del tempo di lavoro socialmente necessario, poiché ci si trova sul
mercato in concorrenza con gli altri articoli prodotti.
Questo tempo di lavoro sociale medio si esprime, nel corso dello sviluppo dei
rapporti mercantili, in una merce privilegiata che serve come campione di misura per
tutte le altre, il denaro. Insomma, si rapporta la misura cercata al valore dell'oro, cioè,
secondo l'ipotesi, al tempo di lavoro necessario per produrre l'oro. Lo stesso termine di
comparazione è dunque variabile, per cui possono prodursi delle oscillazioni generali, di
facile interpretazione.
In conclusione, quando parliamo del tempo di lavoro necessario, dobbiamo
distinguerlo dal tempo di lavoro occorrente a produrre una determinata merce: questo
tempo può essere superiore o inferiore a seconda della produttività del lavoro e i segreti
di fabbricazione del produttore
Per imporsi sui concorrenti, il capitalista introdurrà dei cambiamenti tecnici nel
processo di lavoro, che faranno abbassare il suo tempo di lavoro necessario in confronto
al tempo di lavoro socialmente necessario (valore) espresso dal prezzo medio
dell'articolo sul mercato — il che gli procura un sovraprofitto dovuto all'accresciuta
produttività in confronto a quella dei suoi concorrenti. Così, sotto il capitalismo,
l'accrescimento della produttività o delle forze produttive sociali del lavoro è stimolato
da un sovraprofitto che ricompensa ogni miglioramento tecnico. In un primo tempo, sul
mercato, il capitalista farà dunque un sovraprofitto, perché il costo di produzione della
sua merce — incluso il suo profitto normale — sarà minore perché il prezzo
dell'articolo è fissato dalla media sociale. Questo sovraprofitto durerà finché i suoi
concorrenti capitalisti non avranno raggiunto lo stesso livello di produttività, sì che il
prezzo della merce sul mercato (valore) scenderà per tutti. Il sovraprofitto allora sparirà,
e l'insieme della società beneficerà gratis dell'accrescimento della produttività (il che
prefigura il modo di distribuzione comunista), e si avrà una svalorizzazione relativa
della merce. Questo movimento è generale nel corso del capitalismo ed è dovuto alla
crescita delle forze produttive che mina la forma privata dell'appropriazione borghese.
E' quanto appare chiaramente nella fase progressiva del capitale, mentre nella sua fase
senile, parassitarla e redditiera, il capitale ha la tendenza non ad abbassare i prezzi,
bensì ad aumentarli, come si vede nell'inflazione generalizzata di questo periodo di crisi
198
.
198
Max ha teorizzato questo capovolgimento del capitale progressivo in
capitale redditiero (che, con i suoi monopoli, fa sì che nell'industria, come prima
in agricoltura, l'impresa meno produttiva determini il prezzo corrente di mercato,
il che moltiplica i sovraprofitti o rendite) nella sua critica di Malthus, il teorico
della classe dei proprietari fondiari, mentre Ricardo era il teorico della classe dei
borghesi industriali che voleva statizzare la rendita. Cf. Marx-Engels, Critique de
Malthus, Ed. Maspero, Parigi, 1977.
174
Consideriamo come procede il capitalista: egli va sul mercato e vi compra
(comando) — al loro giusto prezzo e valore, poiché siamo nella circolazione, sul
mercato — le materie prime, gli strumenti di lavoro e la forza lavoro.
Qual è ad esempio il valore di quest'ultima? E' la somma necessaria alla
riproduzione del lavoratore, cioè: 1. i mezzi atti ad assicurare la sua sussistenza
personale, ossia gli alimenti e un minimo di soddisfacimento di altri bisogni; 2. i mezzi
di sussistenza per la sua famiglia, senza di che si estinguerebbe la classe dei lavoratori;
3. una educazione professionale che comporta tempo e spese.
Questa somma costituisce il salario o capitale variabile (cf. lo schema annesso alla
fine di questo testo, in cui il capitale variabile corrisponde alla qualificazione della forza
lavoro sotto il capitalismo) che non è dunque determinato in funzione del valore degli
articoli prodotti dalla forza lavoro, come suggerisce il moderno salario a cottimo.
Occorre fare qui una distinzione tra capitale variabile e capitale costante, ossia le
materie prime e gli strumenti di lavoro. Le materie prime sono di due specie: alcune
trapassano nel prodotto, altre scompaiono nel corso della loro utilizzazione e sono le
materie ausiliarie, come i combustibili. ecc. Questa parte del capitale è detta costante
perché il denaro anticipato dal capitalista per acquistare i mezzi di produzione riappare
integralmente nel prezzo del prodotto. Così gli strumenti di lavoro come macchine,
installazioni, edifici vengono prese in considerazione unicamente per la frazione del
loro valore consumata o spesa durante il processo di lavoro considerato.
Il denaro anticipato per il salario — acquisto della forza lavoro ricompare invece
nella vendita dei prodotti aumentato del plusvalore. Perciò lo chiamiamo capitale
variabile.
Possiamo ora considerare la fonte della ricchezza e di ogni valore — il tempo di
lavoro. Esso contiene due porzioni: da una parte il lavoro necessario, ossia il tempo
durante il quale l'operaio deve lavorare per trasmettere al prodotto un valore esattamente
uguale a quello che gli è stato pagato per la sua forza lavoro, poniamo 6 ore, nel corso
delle quali egli riprodurrà dunque un valore uguale a quello dei prodotti necessari alla
sua sussistenza e a quella della propria famiglia. Ma l'operaio lavora 10 ore, in cui noi
distinguiamo 6 ore di lavoro necessario e 4 ore di sopralavoro o lavoro extra,
corrispondente al plusvalore che egli ha creato durante una giornata. Il plusvalore non è
dunque nient'altro che lavoro effettuato per un certo numero di ore e non pagato
all'operaio, ma che si ripercuote nel prezzo di produzione dei prodotti, il quale
comprende dunque nei suoi costi di produzione il plusvalore.
La legge del valore di scambio tra equivalenti sotto il capitalismo non implica
dunque in nessun momento che l'operaio riceva il giusto valore del suo lavoro, ossia il
pieno prodotto: pura utopia e rivendicazione inapplicabile, perché si risolverebbe
semplicemente in un aumento del salario minimo senza che il capitale possa riprodursi
su scala allargata e accrescere le forze produttive, mentre continuerebbero a sussistere
più o meno le stesse manchevolezze presenti nel sistema capitalistico dello scambio tra
equivalenti, di cui si conserverebbe la base con la pretesa di averla epurata
dall'ingiustizia. L'unica soluzione sta invece per il marxismo nell'abolizione dei rapporti
capitalistici e del salariato, cui già tende d'altra parte la stessa economia capitalistica.
Proprio dalla legge del valore e dal suo fondamento — il tempo di lavoro —
partono gli elementi di dissoluzione e le contraddizioni che minano la base
fondamentale del capitalismo, generando il germe del superiore modo comunista nel
seno stesso della produzione capitalistica allorché la valorizzazione si trasforma in
svalorizzazione.
175
4. DIVENIRE DELLA LEGGE DEL VALORE
176
2/8” 199. In altri termini, il valore del capitale aumenta in proporzione assai minore
rispetto alle forze produttive — il che riflette il non superato antagonismo tra capitale e
forze produttive, ossia l’opposizione tra lo sviluppo gigantesco di queste ultime e
l'angusta forma di distribuzione, tra il carattere sociale della produzione capitalistica e il
suo modo d'appropriazione privato.
Ecco il meccanismo attraverso il quale il capitale tende incessantemente ad
accrescere la sua produttività, al fine di intascare un sovraprofitto che tuttavia non può
essere che transitorio, poiché cessa di esistere quando i concorrenti capitalisti hanno
raggiunto lo stesso livello di produttività, tanto che il prezzo corrente di mercato
(valore) in generale si abbassa, determinando come conseguenza una corrispondente
svalorizzazione del capitale. Supponendo che il tasso di plusvalore o tasso di
sfruttamento della forza lavoro sia costante, e sia del 100 %, "è solo nei rami di
produzione in cui, poniamo, la composizione del capitale è 80c + 20v, che il capitale
anticipato + 20 coincide col valore (sia il prezzo corrente di mercato 120). Nei casi in
cui la composizione organica sia più elevata (per esempio 90c + l0v) questo prezzo
corrente sta al di sopra del valore ottenuto (cioè 110, il che permette un sovraprofitto).
Inversamente, è al di sotto del valore ottenuto, se la composizione organica è inferiore,
per esempio 70c + 30v, ossia 130 in tutto" (Cf. Marx a Engels, 30.4.1868).
Allorquando i concorrenti raggiungono il livello di produttività del capitalista più
produttivo, il prezzo corrente di mercato (ossia il valore) si conforma alla composizione
organica del primo, e il prezzo corrente si abbassa da 120 a 110, con una
svalorizzazione di 10.
All'inizio del ciclo di produzione capitalistica che Marx chiama fase di
sottomissione formale del lavoro al capitale, l'estorsione di plusvalore verte direttamente
sul capitale variabile, poiché la giornata lavorativa si allunga al massimo mentre gonfia
incessantemente il numero degli operai proletarizzati: è la fase dell'estorsione di
plusvalore assoluto a differenza della fase dell'estorsione di plusvalore relativo, che
interverrà, a uno stadio ulteriore di sviluppo del capitalismo, per una variazione nella
composizione organica del capitale, ossia nel rapporto del capitale costante e variabile
col plusvalore 200
199
Cf. Marx, Grundrisse, cit, p. 295.
200
Cf. in Marx, II Capitale: libro I capitolo sesto inedito, le due fasi storiche
dello sviluppo della produzione capitalistica a) sottomissione formale del lavoro
al capitale; b) sottomissione reale del lavoro al capitale o modo di produzione
specificamente capitalistico.
177
forze lavoro vive associandole, il che permette una più razionale divisione del lavoro, in
altre parole un aumento della produttività. Il capitale, che è fin dall'inizio una forza
sociale concentrata, combina dunque il processo di lavoro al fine di dargli un carattere
socializzato in opposizione all'appropriazione privata nella distribuzione. Esso sviluppa
in questo modo l'antagonismo tra la socializzazione della produzione capitalistica e il
suo modo di ripartizione o di scambio privato, e questo per accrescere la produttività
che dà un sovraprofitto transitorio al capitalista che l'ha introdotto, prima di provocare
una svalorizzazione corrispondente del capitale quando i concorrenti applicano la stessa
innovazione. Vediamo rapidamente quale è il processo all'inizio del capitalismo:
Come è noto, la semplice cooperazione 201 o associazione di molti lavoratori
concentrati in uno stesso luogo per lo stesso scopo accresceva considerevolmente la loro
forza produttiva, e Marx sottolinea che non solo questa collaborazione non è costata
nulla al capitalista, ma ha aumentato considerevolmente a suo profitto la produttività del
lavoro, dunque anche il plusvalore in rapporto agli altri suoi concorrenti. Proprio
all'inizio. del capitalismo l'effetto della cooperazione è più grande: Quanto più la
produzione è basata sul semplice lavoro manuale e sullo sforzo muscolare
dell'individuo, tanto più l'aumento delle forze produttive è legato alla cooperazione di
massa di lavoratori 202. Il lavoro dell'individuo cessa di essere produttivo fuori del lavoro
collettivo; questa elevazione del lavoro immediato a lavoro sociale mostra che il lavoro
isolato è ridotto in stato d'impotenza di fronte alle forze collettive e generali che il
capitale rappresenta e concentra (p.711).
Lo stesso aumento della popolazione agisce come la cooperazione: accresce la forza
produttiva del lavoro in quanto rende possibile una maggiore divisione e una maggiore
cooperazione del lavoro. L'aumento della popolazione è una forza naturale del lavoro
che il capitale non paga (la trova oggi gratis nei paesi sottosviluppati) e a questo livello
la forza naturale è una forza sociale storica (p. 366).
A questo primo stadio del capitale, l'associazione dei lavoratori, l'aumento naturale
della popolazione, la cooperazione e la divisione del lavoro sono condizioni
fondamentali dell'aumento della produttività del lavoro allo stesso titolo di tutte le forze
produttive che determinano l'intensità e l'estensione pratica del lavoro, e si presentano
come forze produttive del capitale, essendo incorporate in esso. Ormai la forza collettiva
e il carattere sociale del lavoro divengono la forza collettiva del capitale. Lo stesso vale
per la scienza, per la divisione del lavoro e per lo scambio presupposto da questa
divisione dei compiti. L'associazione dei lavoratori è non il loro modo di esistenza, ma
il modo di esistenza del capitale.
Insomma, i caratteri sociali del lavoro appaiono agli operai come se fossero
capitalizzati di fronte a loro e dominano il lavoro, distaccandosi dall'arte e dal sapere
dell'operaio singolo, il cui lavoro diviene sempre più semplice, degradandosi in rapporto
201
Nel libro I del Capitale (cap. XI), Marx descrive come segue gli effetti
della cooperazione:
1) essa trasforma il lavoro individuale in lavoro sociale medio;
2) da un carattere sociale ai mezzi di lavoro;
3) combina e agglomera i lavori;
4) accorcia il tempo necessario alla produzione;
5) concentra i mezzi di produzione;
6) permette al capitale di comandare il lavoro, di sorvegliarlo con minori
spese e di dirigerlo: è il modo specifico del capitale.
202
Cf. Marx, Grundrisse, cit., p. 515. I passi che seguono sono tratti sempre
dai Grundrisse.
178
all'abilità dell'artigiano del medioevo. In realtà, tutte queste applicazioni — fondate sul
lavoro associato — della scienza, delle forze della natura e dei prodotti del lavoro in
grandi masse non appaiono se non come mezzi di sfruttamento del lavoro e di
appropriazione di sopralavoro, e quindi come forze appartenenti in sé al capitale 203.
All'inizio del capitalismo, la borghesia cerca innanzitutto di accrescere il valore di
scambio, ed è solo socializzando il processo di lavoro ch'essa svalorizza il capitale. Essa
aumenta in due modi il numero delle ore di lavoro che sono la fonte del valore:
allungando la giornata lavorativa fino all'estremo limite fisico dell'operaio, e
aumentando il numero degli operai che fanno giornate lavorative così lunghe. Giusta
Marx, la crescita della popolazione è una forza produttiva gratuita al servizio dei
capitalisti. In realtà, è solo in un secondo stadio di sviluppo del capitale — con
l'applicazione della scienza e delle macchine al processo di produzione — che la
produttività aumenterà al massimo, e con essa la svalorizzazione del capitale 204. Questo
estorce allora essenzialmente non più il plusvalore assoluto, ma relativo, diminuendo la
parte del salario e del tempo di lavoro necessario a produrre un determinato articolo, il
che comporta un correlativo aumento del plusvalore grazie all'intensificazione del
processo lavorativo o all'accrescimento della produttività.
Col macchinismo, il capitale tende a svalorizzarsi rapidamente: il capitale non
aumenta più molto la quantità assoluta del tempo di lavoro, ma al contrario ha una
tendenza ineluttabile a diminuirla relativamente, accrescendo le forze produttive. Ciò
facendo, diminuisce i propri costi di produzione, cioè il suo valore di scambio, in
rapporto alla somma di merci anticipata:
Una parte di capitale esistente si svalorizza incessantemente perché i costi di
produzione ai quali può essere riprodotto sono minori. A diminuire non è il lavoro
materializzato in esso, ma il lavoro vivo necessario alla produzione di un determinato
articolo 205. Del resto — come sappiamo — è sempre il lavoro vivente che è
determinante per il valore di scambio.
A questo punto le cose per il capitale si complicano: Quanto più è già ridotta la
frazione riguardante il lavoro necessario, quanto maggiore è il sopralavoro, tanto meno
un qualsiasi incremento della forza produttiva può diminuire il lavoro necessario,
giacché il denominatore della frazione è enormemente aumentato. L'autovalorizzazione
del capitale è tanto più difficile quanto più essa ha già raggiunto grandi proporzioni (p.
296).
Dalla svalorizzazione della forza lavoro, che può derivare tanto dall'aumento delle
forze produttive (con una diminuzione generale dei prezzi in periodo di prosperità)
quanto dal deprezzamento generale dei prezzi nel corso delle crisi di sovrapproduzione,
203
Cf. Marx, Il Capitale: libro I capitolo sesto inedito, cit., p. 91. Cf.
egualmente p. 57 dove Marx ricorda: Sviluppandosi, le forze di produzione della
società o forze produttive del lavoro, si socializzano sempre più e diventano
direttamente sociali (collettive) mediante la cooperazione ecc.
204
Il primo movimento dei capitalisti è dunque di aumentare le forze
produttive a spese del capitale variabile e di aumentare quindi relativamente il
loro plusvalore ... fino al ribasso dei prezzi e alla corrispondente svalorizzazione
allorché il progresso si generalizza ai concorrenti.
205
Cf. Marx, Grundrisse, cit, p. 368.
179
Marx trae fondamentali conclusioni per gli operai: In periodo di crisi, il movimento si
accelera e si verifica una svalorizzazione generale che è nello stesso tempo
DISTRUZIONE DI CAPITALE. Così dunque, un improvviso sviluppo generale delle
forze produttive svalorizza relativamente tutti i valori esistenti che sono stati prodotti
allo stadio anteriore delle forze produttive del lavoro, e distrugge sia il capitale che la
forza lavoro esistente. La svalorizzazione, a differenza del deprezzamento, può essere
generale, assoluta, e non semplicemente relativa, in quanto verte sul valore, il quale non
esprime semplicemente il rapporto tra una merce e un'altra, bensì il rapporto tra il
prezzo della merce e il lavoro in essa oggettivato, o il rapporto tra una quantità di lavoro
oggettivato della Stessa qualità e un'altra quantità. Nel corso della crisi (giacché questo
movimento sfocia nelle crisi economiche del capitale), la svalorizzazione colpisce la
stessa forza lavoro viva (come si vede dopo ogni guerra che distrugge la
sovrapproduzione e svalorizza il lavoro, il quale attende alla ricostruzione del capitale a
un nuovo livello tecnico di sviluppo) 206.
La crisi provoca una diminuzione reale della produzione e del lavoro vivo, allo
scopo di ristabilire la giusta proporzione tra lavoro necessario e sopralavoro, su cui si
fonda in ultima istanza tutta la produzione capitalistica (p. 421-422).
Per svalorizzare, anzi per evincere la forza lavoro viva, fonte di ogni valore di
scambio, ossia per svalorizzare in ultima istanza lo stesso capitale, esso adopera un
206
Al colmo delle crisi economiche generali scoppia la lotta politica e
militare tra proletariato comunista che tende a rovesciare il capitalismo e
sostituirgli il socialismo e la guerra imperialista che mira a liquidare la
sovrapproduzione per rigenerare il capitale.
Gli stessi borghesi lo sanno, perché Marx cita a questo proposito
l'economista Fullarton, che fin dalla crisi dal 1858 scriveva: "Una distruzione
periodica di capitale è divenuta una condizione necessaria per l'esistenza di un
qualsiasi saggio medio di profitto, e, da questo punto di vista, queste terribili
calamità (crisi e guerre) che siamo abituati ad attendere con tanta inquietudine e
apprensione, e che siamo tanto ansiosi di evitare, possono benissimo essere
nient'altro che il correttivo naturale e necessario di un'opulenza eccessiva e
gonfiata (di alcuni paesi in cui il capitale è concentrato). E' la vis medicatrix, la
forza grazie alla quale il nostro sistema sociale, così come attualmente è
costituito, può liberarsi periodicamente di una pletora sempre ricorrente che ne
minaccia l'esistenza, per riacquistare uno stato sano e solido". In queste
condizioni, conclude Marx: "Le distruzioni violente di capitale, non in seguito a
condizioni esterne al suo sistema, ma a quelle della sua autoconservazione, sono
la forma più incisiva in cui si notifica il suo fallimento e la necessità di far posto a
un modo di produzione superiore, e di sparire.
Queste contraddizioni della produzione conducono a esplosioni, cataclismi e
crisi in cui un momentaneo arresto di ogni lavoro e la DISTRUZIONE DI UNA
GRAN PARTE DEL CAPITALE lo riconducono violentemente a un livello da cui
potrà riprendere il suo corso. Queste contraddizioni conducono a esplosioni, crisi,
nelle quali la momentanea soppressione di ogni lavoro e la DISTRUZIONE DI
UNA GRAN PARTE DEL CAPITALE lo riconducono violentemente al punto in
cui, senza suicidarsi, è in grado di impiegare di nuovo appieno la sua forza
produttiva" (cf. Grundrisse, cit., p. 891 e 769-770).
180
nuovo mezzo potente e irresistibile sviluppando il macchinismo in vista di rimpiazzare
gli operai nel processo di produzione.
La meccanizzazione si sviluppa evidentemente incorporando una forza sociale
nuova — la scienza che non costa nulla allorché funziona come tecnica, procedimento
meccanico o chimico per accrescere la forza produttiva del lavoro; essa diminuisce
dunque, alla fine, il valore di scambio del capitale generale. Con l'applicazione della
scienza, si raggiunge il pieno sviluppo delle forze produttive del capitale e si passa allo
stadio della sottomissione reale del lavoro al capitale, poiché questo ha assunto la forma
adeguata nelle macchine e nel sistema del macchinismo. Appunto utilizzando la scienza
e le macchine il capitale diviene veramente se stesso, e accresce al più alto grado la
produttività: Ma la produttività del lavoro significa il massimo di prodotti col minimo di
lavoro in essi contenuto, in altre parole merci il più possibile a buon mercato. Nel modo
di produzione capitalistico, ciò diventa legge indipendentemente dalla volontà del
capitalista 207. Questa tendenza coincide con la svalorizzazione generale del capitale che
entra in conflitto con la ricerca del massimo di lavoro non pagato, sicché l’intero
sistema entra in crisi.
Questa legge, prosegue Marx, si traduce nella seguente alternativa per il capitalista:
se produce su scala troppo ridotta (capitale troppo piccolo) incorpora nei prodotti una
quantità di lavoro superiore alla media sociale, e non riuscendo più a vendere i suoi
prodotti, si rovina; se il capitalista singolo tende ad abbassare il valore di ogni merce al
di sotto del suo valore socialmente stabilito, svalorizza sempre più il capitale.
L'incremento massimo del saggio di plusvalore che il capitalista singolo
irresistibilmente ricerca, conduce infine a una caduta fatale del saggio di profitto che
mette in crisi il sistema capitalistico e lo arresta momentaneamente. E' d'uopo
soffermarsi sull'apparente paradosso, fonte di innumerevoli qui pro quo, tra aumento del
saggio di plusvalore e caduta del correlativo saggio di profitto.
Come abbiamo detto, il saggio di plusvalore corrisponde al rapporto tra sopralavoro
e lavoro necessario, o plusvalore e capitale variabile (salari). Ora, nel corso
dell'evoluzione, la parte del plusvalore aumenta incessantemente con lo sfruttamento
crescente della forza lavoro 208.
Quando diciamo che il saggio di profitto tende a diminuire, non diciamo che
diminuisce la massa del profitto, cioè il suo volume; questo può al contrario aumentare
mentre il saggio (che è un rapporto) decresce. La massa dei profitti in realtà aumenta
sempre, malgrado la caduta del saggio, ma è proprio questa caduta che alla fine
impedirà al capitale di potersi riprodurre.
La tesi di Stalin che il capitale ricerca il massimo profitto, oltre a seminare
confusione, è una falsità bella e buona quando nega la progressiva diminuzione del
saggio di profitto.
Quest'ultimo è, in Marx, il rapporto del profitto con la totalità del prodotto, ossia è
proporzionale al tasso di accumulazione. Non si deve dunque rapportarlo al valore reale
o nominale degli strumenti di produzione (installazioni dell'impresa produttrice),
qualificato come patrimonio o capitale d'impresa. Si definisce il saggio di plusvalore
207
Cf. Marx, Il Capitale: libro I capitolo sesto inedito, cit., p. 72.
208
Dato che il capitalista continuerebbe indefinitamente a produrre oggetti se
il saggio di plusvalore aumentasse sempre, il che porterebbe a una montagna di
merci inconsumabili, solo la legge interna del capitale della caduta del saggio di
profitto, arrestando la produzione, evita al capitalista di soffocare.
181
come il rapporto plusvalore/salario e il saggio di profitto il rapporto
(plusvalore)/(capitale costante + variabile).
Se il valore del prodotto è presunto 120, il profitto è 20, e tanto il plusvalore. Ma
mentre il saggio del profitto è 20% (utile 20 su anticipo 100), il saggio di plusvalore è
100% (20 di utile su 20 di salario). Man mano che il capitale si concentra in un numero
minore di aziende, la cresciuta massa di profitto si divide tra un numero sempre minore
di aziende. Ogni azienda intasca quindi una massa più grande di utile, malgrado la
caduta del saggio di profitto.
Questa caduta del saggio di profitto costringerà il capitale ad accrescere
continuamente la massa del capitale, la massa dei prodotti e dunque la massa del
profitto per compensare la caduta fatale del saggio di profitto. Da ciò segue quindi:
aumento della produzione, diminuzione del numero delle imprese, aumento del capitale
medio di ogni impresa, aumento della massa totale dei profitti, ma quest'ultimo meno
veloce dell'aumento della produzione — e del consumo sociale per tutti i campi — tutto
ciò accompagnato dalla discesa del saggio di profitto medio.
La legge della caduta del saggio di profitto si fonda sul processo storico generale,
da nessuno negato, da tutti apologizzato, che con l'applicazione al lavoro manuale di
sempre più complessi strumenti, utensili, macchine, dispositivi, risorse tecniche e
scientifiche sempre più molteplici, ne cresce in modo incessante la produttività, con
l'effetto che per una data massa di prodotti occorrono sempre meno operai e lavoro.
Nel capitale che si deve investire per riprodurre quella data massa di prodotti, si
modifica di continuo ciò che Marx dice la composizione organica: contiene sempre più
capitale per comperare le materie, e sempre meno capitale salari, poiché le macchine e
l'aumentata produzione permettono al lavoro di trasformare una massa crescente di
materie prime, cioè di sfornare una quantità sempre maggiore di prodotti. Il saggio di
profitto scenderà sempre, in quanto si rapporta al capitale totale che non cessa di
gonfiare.
Vediamo come l'aumento del saggio di plusvalore può coincidere con
l'abbassamento del saggio di profitto. Anche ammesso che il capitale, come spesso
avviene, aumenti lo sfruttamento, cioè aumenti il saggio di plusvalore, il plusvalore e
profitto ritratto aumenteranno, ma dato il molto maggiore aumento della massa di
materie comprate e lavorate traverso quel solo impiego di manodopera, il saggio di
profitto continuerà a scendere, e può scendere fino a che il capitale non può più
riprodursi.
Proprio quella discesa del saggio di profitto spinge il capitale a continuare ad
investire per accrescere la massa del profitto producendo di più. La stessa ricerca del
massimo profitto rende inesorabile la discesa del suo saggio.
La recente crisi del 1975 ha dimostrato l'esattezza dell'analisi di dettaglio di Marx:
un elemento determinante dell'elevamento dei costi di produzione e della conseguente
catastrofica caduta del saggio di profitto sociale medio non è stato una variazione dei
salari, ma il rincaro delle materie prime, dall'energia ai tessili, cuoio, zucchero ecc. ecc.
che hanno appesantito insopportabilmente i costi, suscitando l'inflazione generale che
provoca la chiusura del mercato e porta, nel momento acuto della crisi, alla caduta
catastrofica dei prezzi e all'arresto della produzione 209.
209
Spieghiamo qui lo schema classico, della crisi del capitalismo "sano"
senza soffermarci a descrivere come il capitalismo senile aggirando le sue leggi e
drogando la sua economia, aggravi ulteriormente la crisi di putrefazione che lo
colpisce. Rinviarne il lettore per il confronto della teoria delle crisi di Marx e
182
Scrive Marx: la materia prima costituisce un elemento essenziale del capitale
costante. Se il suo prezzo diminuisce, il saggio di profitto aumenta. Inversamente, se il
prezzo delle materie prime aumenta, il saggio di profitto decresce. Da ciò risulta
evidente quanta importanza abbia per i paesi industriali il basso prezzo delle materie
prime 210.
Il gigantesco accrescimento del macchinismo, che ha soppiantato la forza lavoro
viva, è la causa essenziale del fortissimo incremento di produttività, poiché esige la
trasformazione di un'enorme quantità di materie prime, fonte della discesa del saggio
medio di profitto.
Il capitale non può dunque sviluppare indefinitamente le forze produttive. Marx cita
quattro punti che sono altrettanti ostacoli che il capitale tende incessantemente e
irresistibilmente a superare nel suo sviluppo, e che sono fonte della sua svalorizzazione.
Essi sembrano insignificanti, ma indicano di volta in volta il limite che il capitale
raggiunge e furiosamente cerca di superare.
Il capitale tende in generale a non tener conto: 1. del lavoro necessario, limite del
valore di scambio della forza lavoro viva; 2. del plusvalore che rappresenta il limite del
sopralavoro e dello sviluppo possibile delle forze produttive; 3. del denaro che è un
freno per la produzione; 4. delle limitazioni della produzione di valori d'uso dovute al
valore di scambio (per il capitale solo la domanda solvibile è una domanda).
La sovrapproduzione ricorda bruscamente al capitale che tutti questi elementi sono
necessari alla sua produzione, perché è questa dimenticanza che ha provocato una sua
svalorizzazione generale. Quest'ultimo è dunque obbligato a ricominciare da capo il suo
tentativo, ma (dopo la crisi) a partire da uno stadio sempre più elevato di sviluppo delle
forze produttive, e con la prospettiva di un crollo sempre più grave 211.
Il capitale non può aumentare all'infinito le forze produttive, giacché esso ostacola il
suo stesso sviluppo, e sarà soltanto il comunismo a poter spazzare via tutti questi limiti:
La legge della produttività crescente del lavoro non ha per il capitale un valore
assoluto. Per esso, come messo in rilievo nel Libro I del Capitale a proposito del valore
trasmesso dalla macchina al prodotto, si ha accrescimento di produttività non quando si
realizza un risparmio del lavoro vivo con l'introduzione di nuove macchine, ma
unicamente quando il risparmio della parte di lavoro vivo pagata è superiore
all'aumento del lavoro passato. Il modo capitalistico di produzione trova qui un limite e
cade in una nuova contraddizione (benché il macchinismo cessi di porre il lavoro vivo
come fonte della ricchezza e del valore sostituendosi ad esso, la legge del valore
continua a considerarlo tale e, con il macchinismo più sviluppato, costringe l'operaio a
lavorare più a lungo). La sua missione storica è lo sviluppo brutale e in progressione
geometrica della produttività del lavoro umano. Esso tradisce questa missione quando,
come qui, pone degli ostacoli allo sviluppo della produttività. Con ciò dimostra, ancora
una volta, di essere entrato nella sua fase senile e di sopravvivere sempre più a se stesso
212
.
dell'attuale crisi storica a "la Crisi storica, ecc." cit., 107, cf. in particolare il
capitolo "Il sottoconsumo e l'arte dei profitti".
210
Cf. Marx, Il Capitale III, cap. VI, 1.
211
Cf. Marx, Grundrisse, cit., p. 384.
212
Cf. Marx, Il Capitate III, cap. XV, 4.
183
Dialettica dell'abolizione della legge del valore
E' solo nella seconda fase capitalista, quella della sottomissione reale del lavoro al
capitale, che quest'ultimo assume la forma adeguata al suo sfruttamento: il
macchinismo. Esso acquista allora una forma materiale, fisica e tangibile di fronte al
lavoro vivo dell'operaio, e si dispone a trasformare il più possibile di lavoro vivo in
capitale fisso, in macchine che succhiano lavoro vivo.
Marx nota a tale proposito che pur trovando il capitale la sua forma adeguata nel
macchinismo, non ne consegue che la subordinazione delle macchine ai rapporti
capitalistici rappresenti il modo di produzione più adeguato e migliore per
l'utilizzazione delle macchine stesse 213. Infatti il capitale trova un'intralcio nello stesso
sviluppo delle macchine, che sono una forza gratuita del lavoro delle generazioni
passate, poiché la fondamentale legge capitalista fa derivare il valore e la ricchezza dal
tempo di lavoro vivo. Inoltre, il capitale stesso non può utilizzare le macchine che in
misura limitata: le introduce unicamente se esse permettono all'operaio di consacrargli
una parte maggiore del suo tempo, se fanno lavorare l'operaio più a lungo per il
capitalista e meno per sé, in altre parole se permettono di estorcere maggior plusvalore.
Tale barriera allo sviluppo del macchinismo è il prodotto stesso del capitalismo ed
indica che esso è un modo di produzione limitato, dunque transitorio. Essa sarà perciò
abolita dal socialismo. Questo ostacolo, che lo stesso capitale pone all'introduzione
sistematica delle macchine, si osserva chiaramente nella concorrenza che oppone i pochi
paesi avanzati, che hanno monopolizzato le macchine accumulate in un processo
mondiale, ai paesi sottosviluppati, incapaci di alzarsi al livello tecnologico delle
metropoli bianche di vecchio capitalismo. Insomma, Marx afferma che il capitale è una
forma di produzione limitata che entra in urto con la sua stessa tendenza ad essere
illimitato, perché incontra dei limiti nell'assorbimento del lavoro vivo nel suo corpo
materiale, il capitale fisso (macchine, installazioni produttive, ecc.).
Vedremo adesso come nel corso del suo sviluppo il capitale tenda ad autoabolirsi.
All'inizio il lavoro vivo, fonte della ricchezza, è il campione, la misura del valore di
scambio. Questo valore di scambio, sotto il capitale, trova la sua forma adeguata nelle
macchine che succhiano il lavoro vivo per trasformarlo in capitale morto, sotto forma di
capitale fisso.
L'accumulazione del sapere, dell'abilità, così come di tutte le forze produttive
generali del cervello sociale — forze produttive gratuite — è in tal modo assorbita nel
capitale che si contrappone al lavoro: essa si presenta ormai come una proprietà del
capitale, e più precisamente del capitale fisso, nella misura in cui esso entra nel processo
di lavoro come un mezzo di produzione effettivo.
La produzione in grande serie che risulta dall'intervento massiccio delle macchine o
dall'efficacia crescente del capitale fisso nel processo di lavoro, sconvolge il calcolo del
valore della merce in regime capitalista. Non è più possibile determinare le spese di
produzione o il valore per unità di merce, ma solo per grandi medie. Lo stesso calcolo
del salario diviene assurdo, dato che risulta impossibile stabilire quale è la parte
individuale dell'operaio nella produzione della merce o meglio della massa di merci. Il
lavoratore non è più che un elemento componente la fabbrica, poiché innumeri
lavoratori collaborano a un medesimo compito per produrre un certo articolo.
213
Cf. Marx, Grundrisse, cit., p. 711.
184
Nel VI capitolo inedito del Capitale, Marx analizza le fatali contraddizioni della
determinazione del valore delle merci-capitale nel capitolo Le merci come prodotto del
capitale.
Questo movimento di determinazione del valore a partire dalla media sociale, è un
primo passo verso il rovesciamento della legge del valore attraverso il tempo di lavoro.
D'ora in poi il capitale fisso PRETENDE essere esso stesso il campione del valore:
Siccome il macchinismo si sviluppa con l'accumulazione della scienza sociale —
forza produttiva generale —, non è nel lavoro, ma nel capitale che si esprime il lavoro
sociale generale. La produttività della società si commisura secondo il capitale fisso che
ne è la materializzazione. Ma, a sua volta, la forza produttiva del capitale si sviluppa
grazie a questo progresso generale che il capitale si appropria gratis. Marx qualifica il
capitale fisso come inghiottitoio delle forze produttive gratuite, cioè causa efficiente
della svalorizzazione massiccia del capitale.
Ma proseguiamo: "Qui lo sviluppo del macchinismo non va esaminato in dettaglio.
E' sufficiente considerare gli aspetti generali e mettere in evidenza che, dal punto di
vista fisico, il mezzo di lavoro perde la sua forma immediata con il capitale fisso, in cui
il capitale appare come tale, in maniera tangibile contrapposto all'operaio. La scienza si
manifesta quindi nelle macchine come estranea ed esterna all'operaio. Il lavoro vivo si
presenta subordinato al lavoro materializzato che opera in modo autonomo. Da questo
momento, l'operaio diventa superfluo nella misura in cui la sua azione non è
condizionata dal bisogno del capitale" (ibid.).
Al pari dell'operaio divenuto superfluo, anche il tempo di lavoro vivo come
campione del valore e della ricchezza cessa di funzionare. Certo, il capitale pretende di
essere esso stesso la misura del valore e della ricchezza, dal momento che prevale
massivamente nel capitale fisso contrapposto al lavoro vivo divenuto derisorio, ma non
può cambiare la sua legge fondamentale, non può che dissolverla e distruggerla e, con
essa, se stesso.
Ma lasciamo concludere Marx: "Ma il tempo di lavoro — semplice quantità di
lavoro — è per il capitale il principio determinante della produzione. Ora — con il
macchinismo e l'automazione — il lavoro immediato e la sua quantità cessano di essere
i principi determinanti della produzione, e dunque della creazione dei valori d'uso.
Infatti esso è ridotto, quantitativamente, a una proporzione esigua, e, qualitativamente,
ad un ruolo certamente indispensabile, ma subalterno rispetto all'attività scientifica
generale, all'applicazione tecnologica delle scienze naturali e alla forza produttiva
derivante dall'organizzazione sociale nella produzione complessiva — altrettanti doni
naturali del lavoro sociale, ancorché si tratti di prodotti storici. E' così che il capitale —
in quanto forza dominante della produzione — opera esso stesso alla propria
dissoluzione.
Dal momento che il processo lavorativo è un processo scientifico che si assoggetta
le forze della natura e le fa agire al servizio dei bisogni umani, il processo di produzione
si trasforma e diviene una proprietà inerente al capitale fisso, in opposizione al lavoro
vivo. Il lavoro immediato è così promosso al rango di lavoro sociale, e questa
promozione dimostra che il lavoro isolato è ridotto all'impotenza in confronto a ciò che
il capitale rappresenta concentrando forze produttive e generali. Ormai, il lavoro
individuale cessa, in generale, di apparire come produttivo" (ibid.).
Insomma, Marx descrive qui perfettamente la dialettica dell'abolizione della legge
fondamentale del capitalismo, quella del valore-lavoro. Eccone la tesi o affermazione,
185
l'antitesi o negazione, e la sintesi o superamento e abolizione delle due precedenti tesi e
antitesi:
1. Il capitale implica il lavoro vivo come metro del valore della ricchezza sociale;
2. siccome esso riduce incessantemente il lavoro necessario per liberare
sopralavoro al fine di incorporarlo al capitale fisso, quest'ultimo si gonfia a dismisura e
non cessa di assorbire lavoro vivo per trasformarlo in capitale morto, sicché il capitale
fisso pretende essere ormai la misura del valore e nega che il lavoro vivo necessario è il
metro della ricchezza;
3. questa doppia opposizione da una nuova sintesi: il tempo libero incorporato sotto
forma di sopralavoro nel capitale fisso accresce a tal punto la produttività che il tempo
di lavoro necessario diviene un elemento derisorio della creazione della ricchezza, il
capitale crolla, e i produttori si appropriano il tempo libero da essi stessi creato, ed è il
tempo libero che permette ormai uno sviluppo senza limiti delle forze produttive umane
finora schiacciate e alienate dal capitale morto.
Consideriamo ora questa nuova forma di misura della ricchezza.
214
Cf. Marx, Grundrisse, cit, p. 716.
215
Tuttavia il capitale secerne all'altro polo gli ostacoli a questo sviluppo al
fine di contenerlo in una forma capitalistica, di modo che entra in crisi acuta e
gira a vuoto. In realtà, questa transcrescenza può compiersi solo allorché i
rapporti capitalistici fondamentali saranno stati eliminati in generale dalla
rivoluzione politica del proletariato, che spezza i rapporti di distribuzione e le
sovrastrutture paralizzanti.
Nel III libro del Capitale, Marx considera altri esempi di ciò che chiamiamo
qui transcrescenze e che egli stesso definisce in modo meno immaginoso e più
scientifico come "abolizioni del modo di produzione capitalistico che si operano
ancora nel quadro del modo di produzione capitalistico, ossia contraddizioni che
si autoaboliscono e rappresentano manifestamente dei semplici punti di
transizione verso una nuova forma di produzione" - e cita le società per azioni e il
credito a proposito dell'utopista Saint-Simon.
186
quelli del capitalismo: In questa trasformazione non è né il tempo di lavoro impiegato
né il lavoro immediato eseguito dall'uomo che si presentano come la colonna portante
della produzione di ricchezza, bensì l'appropriazione della sua propria forza produttiva
generale, la sua intelligenza della natura e la sua facoltà di dominarla in quanto si è
costituito in corpo sociale. In una parola, lo sviluppo dell'INDIVIDUO SOCIALE
rappresenta il fondamento essenziale della produzione e della ricchezza (p. 717).
Ma questo criterio non è altro che quello dell'armonizzazione tra produzione sociale
e distribuzione sociale proprio della forma comunista, ossia un capovolgimento del
criterio del valore-scambio. Come vedremo, l’individuo sociale presuppone uno
sviluppo individuale corrispondente a quello di tutta la società, in "una associazione
nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti"
(Manifesto), dopo che sono state soppresse le classi e il loro antagonismo insieme alla
divisione del lavoro che fa dell'uno un meccanico, un manovale e dell'altro un esperto o
un intellettuale che si appropria il sapere sociale. Sono stati cioè soppressi i mestieri,
che assoggettando l'uomo ai bisogni e agli imperativi del capitale non combinano sapere
e fare per il suo pieno e totale sviluppo. Ma seguiamo le conclusioni di Marx:
Il furto del tempo di lavoro altrui su cui si basa la ricchezza attuale, si presenta
come una base miserabile in rapporto ALLA NUOVA BASE CREATA E
SVILUPPATA DALLA GRANDE INDUSTRIA STESSA.
Non appena il lavoro nella sua forma immediata ha cessato di essere la grande fonte
della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere LA SUA MISURA, e
quindi il valore di scambio cessa e deve cessare di essere la misura del valore d'uso. Il
sopralavoro delle grandi masse ha cessato di essere la condizione dello sviluppo della
ricchezza generale, così come il non-lavoro dei pochi ha cessato di essere condizione
dello sviluppo delle forze generali del cervello umano (per sviluppare la scienza
incorporata nelle macchine, ad esempio).
187
Risparmiare tempo di lavoro significa accrescere il tempo libero, ossia il tempo che
serve al pieno sviluppo dell'individuo, SVILUPPO CHE A SUA VOLTA REAGISCE
COME MASSIMA FORZA PRODUTTIVA SULLA FORZA PRODUTTIVA DEL
LAVORO (p. 725).
D'ora in poi, lungi dall'arrestarsi, lo sviluppo dell'umanità, anziché esigere delle
rivoluzioni per dare alle forze produttive rapporti sociali adeguati al loro continuo
progredire, procederà per evoluzioni.
188
attuale: quella dell'armamento e della guerra, che utilizza i mezzi tecnologici più
avanzati a scopo distruttivo. Al suo posto si potranno produrre delle macchine, che nelle
condizioni capitalistiche non sono redditizie dato l'altissimo livello raggiunto dalla
concentrazione del capitale in concorrenza nei paesi più sviluppati, per rifornire i paesi
sottosviluppati che dispongono di una moltitudine di braccia oggi costrette all'inattività
e all'impotenza.
Divenendo senile, il sistema capitalistico è costretto ad affidare a strutture sempre
più schiaccianti il suo funzionamento e la sua sopravvivenza, aumentando enormemente
le false spese di produzione e di circolazione e dilapidando o addirittura distruggendo le
forze produttive e le ricchezze. Si potrebbe mettere a confronto settore per settore il
prezzo sociale speso per effettuare un compito utile secondo la forma capitalista e
secondo quella comunista per mettere in luce la diversa efficacia dei due sistemi di
produzione a partire dall'attuale livello delle forze produttive umane. Già Engels
sottolineava che il compito primario dell'umanità è, ormai, di spezzare le pastoie
capitalistiche che ostacolano il processo di produzione e di circolazione, eliminando al
contempo lo spreco: L'appropriazione sociale dei mezzi di produzione elimina non
soltanto l’ostacolo artificiale oggi esistente della produzione, ma anche la vera e propria
completa distruzione di forze produttive e di prodotti, che al presente è l'immancabile
compagna della produzione e che raggiunge il suo punto culminante nelle crisi 217.
Obiezione volgare sarebbe chiedere al comunismo di creare, ad esempio, mezzi di
produzione ancora più efficaci di quanto non abbia fatto il capitalismo sviluppando le
macchine (che esso non ha d'altronde inventate, ma elaborate e sistematizzate). Un altro
modo di produzione è soprattutto un insieme di ALTRI rapporti sociali e forme di
ripartizione e di appropriazione al fine di seguitare lo sviluppo delle forze produttive
bloccate nei rapporti e nelle forme sorpassate. Il modo di produzione e di società
comunista ha dunque per base e presupposto necessario la produzione capitalistica
sviluppata, e, come dice Marx, implica: 1. che l’interà società si fissi un tempo di lavoro
minore; 2. che l'umanità lavoratrice affronti scientificamente il processo della sua
progressiva e sempre più ricca riproduzione. In altre parole: l'uomo non farà più i lavori
che può lasciar fare alle macchine, ecc. in vece sua 218.
Questo significa non che il comunismo è creazione di macchine ancora più
perfezionate ed efficaci (ciò è sempre possibile, ma non sta qui il problema), ma, come
dice Marx, che esso spazzerà via tutti gli ostacoli capitalistici all'introduzione delle
macchine e dei processi tecnici di elaborazione sfociando nel rapporto mercantile tra
lavoro necessario e sopralavoro, sicché invece di concentrare sempre più gli strumenti
produttivi in pochi paesi a danno degli altri e di sprecare nelle rovine di imprese
soccombenti alla concorrenza il lavoro di intere generazioni accumulato negli strumenti
di produzione, essi saranno armoniosamente ripartiti in tutto il mondo e la maggioranza
dell'umanità non ne sarà più privata come sotto la dominazione del colonialismo e
dell'imperialismo capitalista che ammassa i mezzi di produzione in alcune metropoli
privilegiate.
Compito del comunismo non è dunque quello di costruire l'economia, di edificare
complessi di imprese, bensì di cambiare i rapporti tra gli uomini e gli strumenti di
produzione sulla base delle forze produttive già sviluppate dal proletariato mondiale e
che soffocano nelle forme capitalistiche attuali, come dimostrano guerre e crisi
217
Cf. Engels, Anti-Dühring, sez. III, 2, Elementi teorici del socialismo
218
Cf. Marx, Grundrisse, cit., p. 278.
189
successive di distruzione non solo di forze produttive materiali e umane, ma anche della
natura e del clima. Compito primario del comunismo è dunque di sgravare le forze
produttive eliminando tutte le pastoie e i pesi morti del capitalismo perché possano
continuare a svilupparsi socialmente, grazie a una distribuzione non più personale e
privata, cioè limitata, ma sociale e universale.
Illustriamo le trasformazioni socialiste della base economica già socialmente
elaborata dal punto di vista della circolazione. Qui la nostra concezione generale si trova
appieno confermata dalle statistiche più recenti:
le false spese di circolazione dovute al sopravvivere dei rapporti borghesi di
distribuzione e di proprietà si fanno sempre più gravose, superando nei paesi industriali
più sviluppati nel prezzo di un prodotto i costi di produzione.
L'eliminazione di queste false spese mediante l’adeguamento alla produzione
sociale di una distribuzione anch'essa sociale comporterebbe una liberazione di forze
produttive in duplice senso in quanto la circolazione, oltre ad utilizzare braccia sempre
più numerose, inghiotte a fini improduttivi enormi ricchezze. Come Marx sottolinea, il
comunismo comincia subito con l'abolire le spese di circolazione monetaria e
mercantile.
La circolazione causa dei costi, se occorre tempo di lavoro per effettuare queste
operazioni, se cioè essa consuma dei valori. Ora, ogni consumo si risolve in un consumo
di tempo di lavoro vivo o materializzato in oggetti. Se insomma il tempo di circolazione
costa tempo di lavoro, vi sarà riduzione o soppressione proporzionale dei valori esistenti
in favore della circolazione, poiché i valori prodotti sono svalorizzati in ragione
dell'ammontare dei costi di circolazione. I costi di circolazione o di scambio non
possono essere infatti che una detrazione sulla produzione globale e sui valori creati
Se il produttore affida a una terza persona il compito di far circolare le merci, può
rendere la circolazione più efficace per via della sua specializzazione e far diminuire le
false spese di circolazione di un ammontare superiore ai costi della più grande divisione
del lavoro. Tuttavia, con l'accrescersi della divisione del lavoro a misura di una sempre
maggiore specializzazione, la circolazione diventerà più pesante 219.
Abolendo la divisione del lavoro che fa di ogni impresa e di ogni famiglia un'entità
autonoma e fondendo in una sola unità o comunità umana produzione e distribuzione a
una scala non più individuale ma collettiva, la circolazione avverrà in modo molto più
semplice e razionale. Non solo saranno eliminate tutte le spese di circolazione
commerciale e mercantile, ma verranno altresì diminuite le spese di trasporto e di
immagazzinamento 220.
219
Cf. Marx, Grundrisse, cit, p. 635. Il capitale impiegato nelle false spese di
circolazione è sottratto alla produzione, il cui allargamento è ridotto d'altrettanto.
220
Nel suo Discorso d'Elberfeld, Engels dimostra che il mercantilismo non
solo esige una circolazione monetaria e mercantile che non ha niente a che vedere
con il valore d'uso e con futilità del produttore o consumatore, e che può essere
dunque puramente e semplicemente eliminata nel comunismo, negazione del
denaro, del valore di scambio e del mercato, ma anche che esso comporta
trasporti inutili che obbediscono a moventi d'interesse monetari e speculativi.
Dimostra, inoltre, che la distribuzione degli uomini in comunità umane, che si
sostituiranno alle piccole unità familiari e alla divisione tra mostruose città e
barbari villaggi, semplificherà al massimo la circolazione anche fisica dei prodotti
e degli uomini così come la loro attività.
190
L'attività commerciale e soprattutto il commercio di denaro sono pure e semplici
false spese di produzione del capitale nella misura in cui rappresentano le operazioni
della circolazione vera e propria, come ad esempio quando servono a determinare i
prezzi (misura e calcolo dei valori) o a realizzare le operazioni di scambio, a titolo
autonomo in seguito alla divisione del lavoro nel processo d'insieme del capitale (p.
636). Possiamo aggiungere a questa lista le false spese di pubblicità che servono ad
adeguare la domanda privata alla domanda sociale per permettere la produzione del
plusvalore. Nel comunismo, tutte queste operazioni verranno semplicemente eliminate,
mentre le ricchezze e la manodopera che oggi sono in esse sprecate verranno trasferite
nel processo di produzione generale per far diminuire le ore di lavoro.
Aggiungiamo ancora con Marx che trattasi di una circolazione puramente e
semplicemente capitalistica, in quanto la circolazione propriamente detta del capitale è
una circolazione da commerciante a commerciante (p. 644). Gli stessi ingegneri
dedicano oggi mediamente più tempo alle operazioni amministrative di
commercializzazione e di redditività che non ai problemi tecnici.
Un altro settore che verrà eliminato nel comunismo, poiché ivi avrà cessato di
infierire la concorrenza con l'offerta e la domanda in quanto i prodotti saranno attribuiti
agli uomini in base alle quantità prodotte secondo un piano comune e razionale stabilito
in funzione dei bisogni, è quello del commercio al dettaglio, ossia gli intermediari
mercantili. La circolazione da commerciante a consumatore rappresenta un secondo
circuito: essa non entra direttamente nella sfera di circolazione del capitale, poiché si
effettua sul mercato. E' un circuito che fa seguito al processo di produzione del capitale,
ma si compie poi simultaneamente con esso (ibid.).
Tuttavia Marx fa una differenza per il trasporto delle merci, la cui circolazione fa
parte della sfera della produzione, poiché un articolo è finito solo allorché entra in
possesso di chi lo consuma come mezzo di sussistenza o di produzione. Queste spese
saranno mantenute nella misura in cui il trasporto non è legato al carattere mercantile e
monetario della distribuzione.
191
transizione al socialismo. Non si tratta dunque di scoprire forme nuove o di creare dal
nulla la produzione comunista, ma di farla partorire con la violenza 222 — secondo
l'espressione di Marx nella Prefazione del Capitale — mediante una rivoluzione politica
e radicale.
L'atto della rivoluzione politica, che unifica i produttori distruggendo gli attuali
limiti della produzione e dell'umanità dovuti alla divisione del lavoro, è dunque
fondamentale in questo processo di riappropriazione e d'integrazione caratterizzante la
fase di transizione al socialismo. Questa rivoluzione politica avvia un totale
capovolgimento della prassi delle società di classe, in cui sempre il movimento
materiale ed economico ha preceduto la coscienza determinandola. Sulla base
dell'evoluzione determinata della produzione in senso sociale, si può ormai legare la
conoscenza e la coscienza al divenire umano e produttivo e prevederne il corso ulteriore
organizzandolo in funzione dei bisogni umani: finalmente è l'uomo — e non più il
valore monetario e mercantile — che diviene misura e campione di tutte le attività e di
tutte le cose.
La coscienza diventa allora un fattore determinante dell'evoluzione, poiché
produzione e società saranno organizzate e regolate non più dalle cieche leggi del
denaro e del capitale, bensì secondo un piano prestabilito in comune dai produttori
associati. Durante la fase di transizione al socialismo, saranno le misure politiche e
sociali decretate dal proletariato al potere sotto la dittatura del proletariato ad
organizzare coscientemente e razionalmente tanto la produzione quanto i rapporti sociali
e il modo di appropriazione collettivo del sistema di produzione comunista.
D'ora in poi, la scienza e le conoscenze che il capitale incorporava nelle macchine e
nell'organizzazione della produzione all'unico scopo di estorcere maggior plusvalore,
non saranno più alienate nelle macchine inanimate di fronte a produttori incoscienti, ma
serviranno alla regolazione dei rapporti tra gli uomini e tra questi e la natura.
L'intervento cosciente e sistematico del proletariato nella rivoluzione anticipa in tal
modo l'organizzazione dell'umanità e della produzione secondo il modo comunista,
poiché la volontà e la coscienza non saranno più assoggettate alle leggi cieche del
222
II lettore potrà trovare nella raccolta di Marx-Engels sulla Società
comunista (Ed. Maspéro) i testi originali del marxismo sul socialismo. Ci
limitiamo qui a menzionare alcuni problemi, come ad es. la svalorizzazione del
capitale, che, nella stessa raccolta è sviluppata più ampiamente ai capitoli:
Svalorizzazione nella circolazione e tramite il macchinismo; Svalorizzazione del
capitale e sviluppo delle forze produttive; Svalorizzazione della terra e dei mezzi
di sussistenza e svalorizzazione della forza lavoro. Così, l'abolizione del denaro
sopprimerà la perdita di ricchezza implicata dal capitalismo che deve produrre il
denaro per rappresentare duplicemente il valore delle merci. Il comunismo
sopprimerà la svalorizzazione e la fonte delle crisi legate al fatto che, nel processo
di circolazione del capitale (che ingloba il mercato, indi il processo di produzione,
poi di nuovo il mercato, ecc.), la merce prodotta deve trasformarsi in denaro che
acquista in seguito le merci (materie prime, strumenti e forze di lavoro) necessario
al nuovo ciclo di produzione. Questo determina la specificità della circolazione e
della Produzione sotto l'economia mercantile del capitale e provoca, per ciò solo,
considerevoli false spese, e addirittura la possibilità per il capitale prodotto di
svalorizzarsi completamente, se ad es. non trova compratori sul mercato, o se deve
attendere un certo lasso di tempo prima di poter iniziare un nuovo ciclo di
produzione, lasso di tempo durante il quale del capitale produttivo viene a trovarsi
inutilizzato.
192
capitale e del denaro, essendo ormai un fattore determinante nel divenire dell'umanità.
Nella genesi del modo di produzione e di distribuzione comunista, le misure
rivoluzionarie sono decisive allorché il proletariato dispone immediatamente della
produzione socializzata, alla quale non deve far altro che applicare il modo di
distribuzione socialista.
Lo stesso capitale genera, giusta Marx, la forma di produzione e di società che gli
succederà. E lo fa in primo luogo autodistruggendosi:
L'autovalorizzazione del capitale abolisce il capitale in luogo di riprodurlo allorché
le forze produttive, introdotte dal capitale nel corso del suo sviluppo storico, hanno
raggiunto un certo livello d'estensione. In secondo luogo, elaborando la base materiale
del socialismo:
Per capire che gli elementi rivoluzionari, i quali elimineranno la vecchia divisione
del lavoro insieme alla separazione di città e campagna, sono già contenuti in germe
nelle condizioni di produzione della grande industria moderna e che il loro sviluppo
viene ostacolato dal modo di produzione capitalistico; per capir questo, bisogna
conoscere il corso reale della grande industria nella sua storia passata come nella sua
realtà presente, specialmente in quel paese in cui è nata e in cui ha raggiunto il suo
classico sviluppo 223. E' quanto Marx ha fatto col suo lavoro sul Capitale, che non è la
biologia o la storia del buon funzionamento del capitale, ma la sua necrologia, la ricerca
delle vie attraverso cui esso dovrà necessariamente cedere il posto alla società
comunista.
Marx ha potuto così scientificamente stabilire il corso determinato dell'attuale
società di classe verso il comunismo, che impone al proletariato la sua missione storica:
Ciò che conta non è che cosa questo o quel proletario, o anche tutto il proletariato
nel suo insieme si propone temporaneamente come scopo. Ciò che conta è CHE COSA
ESSO E' E CHE COSA ESSO SARA' COSTRETTO STORICAMENTE A FARE in
conformità a questo suo essere. Il suo fine e la sua azione storica gli sono tracciati in
anticipo, in maniera TANGIBILE E IRREVOCABILE nella situazione della sua
esistenza e in tutta l'organizzazione dell'attuale società borghese 224.
Ciò che distingue il marxismo o socialismo scientifico dall'utopismo, che sotto la
pressione dei fatti materiali ha descritto istintivamente lo stadio del comunismo
superiore, in cui denaro, stato, classi, mercato, valore di scambio e salariato sono aboliti,
è il fatto che il marxismo dà un fondamento scientifico a questa aspirazione, tracciando
il determinismo che, a partire dalle attuali condizioni capitalistiche, conduce alla società
senza classi. E la Comune di Parigi ha confermato appieno questa concezione di Marx:
La classe operaia non attendeva miracoli dalla Comune. Essa non ha utopie belle e
pronte da introdurre per decreto popolare. Sa che per realizzare la sua propria
emancipazione e, con essa, quella forma di vita più alta alla quale TENDE
IRRESISTIBILMENTE per la sua stessa struttura la società attuale, dovrà passare per
lunghe lotte, per una serie di processi storici che trasformeranno completamente
l'ambiente e gli uomini. Essa non ha da realizzare UN IDEALE, MA SOLTANTO DA
LIBERARE GLI ELEMENTI DELLA SOCIETÀ' NUOVA DEI QUALI E' GRAVIDA
LA VECCHIA SOCIETÀ' BORGHESE CHE SPROFONDA 225 — nel corso delle crisi,
223
Cf. Engels, Anti-Dühring, sez. III, 3 fine.
224
Cf. Marx-Engels, La sacra famiglia, cap. IV, 4, Glossa marginale critica n.
2.
225
Cf. Marx, La guerra civile in Francia, 1871, cap. III.
193
ma che si rigenera, come abbiamo visto, se i proletari non hanno distrutto lo Stato e le
istituzioni borghesi che ostacolano il libero sviluppo delle nuove forze produttive.
194
"Il proletariato si servirà del suo potere politico per
strappare via via alla borghesia tutto il capitale, per
centralizzare nelle mani dello Stato, ossia del proletariato
stesso organizzato come classe dominante, tutti gli
strumenti di produzione, e per aumentare con la massima
rapidità possibile la massa delle forze produttive.
"Naturalmente sulle prime tutto ciò non può farsi se
non per via di interventi dispotici nel diritto di proprietà e
nei rapporti borghesi di produzione, ossia per mezzo di
misure che appaiono economicamente insufficienti e
insostenibili, ma che nel corso del movimento
sorpasseranno se stesse rendendo necessari, per la
dinamica loro propria, nuovi attacchi contro il vecchio
sistema sociale: sono essenzialmente dei mezzi per
rendere inevitabile il rivoluzionamento dell'intero modo di
produzione. Godeste misure saranno, s'intende, da paese a
paese diverse" (Marx-Engels. Il Manifesto del partito
comunista, //, Proletari e comunisti).
195
misure si negano nel corso dello sviluppo e ne rendono inevitabili altre più avanzate 226.
Non sono quindi — per nessuna rivoluzione - programmabili in anticipo, poiché
dipendono esattamente dai bisogni al livello raggiunto nel momento in cui si tratta di
applicarle. Nel 1891, ad esempio, "ogni creazione di un nuovo trust le cambia, e i punti
di innesto devono essere completamente spostati di decennio in decennio" 227. Come
l'insurrezione è l'arte di applicare i principi politici in un determinato rapporto di forza
militare per la conquista del potere, così le misure di transizione sono l'arte di
applicare le leggi della dinamica economica tendente al comunismo (eventualmente
anche dai più bassi livelli capitalistici) a rapporti di produzione in crisi acuta.
E' manifestamente dalla dialettica dell'autoabolizione del capitale - quale si
esprime, ad esempio, nella dinamica delle società per azioni, del credito e delle
cooperative operaie di produzione -, ossia dall'esperienza economica della realtà della
società moderna, che Marx ha dedotto la nozione di misura di transizione al socialismo.
Sono quegli interventi dispotici coscienti del proletariato che, sotto la sua dittatura
politica, faranno evolvere l'attuale economia verso il comunismo. Per esempio, "le
società per azioni costituiscono una abolizione del modo di produzione capitalistico
nell'ambito dello stesso modo di produzione, quindi è una contraddizione che si nega da
sé, rappresentando manifestamente un semplice punto di transizione verso una nuova
forma di produzione". Le fabbriche cooperative "sono, entro la vecchia forma, la prima
rottura della vecchia forma" 228.
226
Le misure di transizione sono una contraddizione in termini, e gli
avversati o i falsi amici del marxismo hanno buon gioco nel metterne in rilievo
incoerenze e incongruenze dal punto di vista della loro logica formale - il che
prova semplicemente che la critica delle armi è indispensabile di fronte alla
cattiva fede di chi pretende ricondurre il movimento dialettico della vita a uno
schema dove tutto si regge logicamente senza mai contraddirsi. Così, ad esempio,
la dittatura del proletariato è una misura che deve sfociare nella propria totale
negazione (meglio ancora: abolizione), poiché ha un senso solo in quanto tende a
trasformare il proletario in libero produttore associato e quindi in uomo sociale.
Lo stesso vale per la democrazia: è facile opporla logicamente alla dittatura, che
essa peraltro implica in quanto significa autorità dittatoriale del popolo. Ma
sarebbe imbrogliare ancora la questione, poiché in Marx la conquista della
democrazia è sinonimo dell'instaurazione della dittatura del proletariato, il cui
fine ultimo è l'abolizione della democrazia, dal momento che questa presuppone
sempre un conflitto di classe, l'oppressione della "minoranza" da parte di una
maggioranza, dunque la macchina dello Stato e le sovrastrutture politiche di
costrizione. Nel marxismo, le nozioni contraddittorie di Stato, democrazia,
dittatura, ecc., sono ricondotte al loro contenuto materiale di mezzi utili per uno
scopo ben preciso che le supera totalmente Per alla fine eliminarle.
227
Cf. Marx, Il Capitale III, cap. 27 su La funzione del credito nella produzione capitalistica.
228
Cf. Marx, Il Capitale III, cap. 27 su La funzione del credito nella produzione capitalistica.
L'analisi della natura delle sovrastrutture ha mostrato a Marx che esse sono effettivamente potenze
economiche suscettibili di modificare il corso dell'economia. Nello stesso capitolo, egli sottolinea che gli
interventi del credito, ad esempio, dipendono non dalla base economica, ma proprio dalla sovrastruttura;
in altre parole, lo stesso credito è una misura, un intervento dispotico, ma, nelle condizioni attuali,
borghese: "II capitale che si possiede realmente o solo nell'opinione del pubblico, non è più che la base
della sovrastruttura creditizia". Ciò che cambia, insomma, allorché il proletariato, in un paese ancora
relativamente arretrato, utilizza il credito al posto della borghesia, è che questa misura tende non a
conservare il capitalismo, ma a superarlo. Qui tutta la differenza: ma è fondamentale.
196
Marx definisce due livelli fondamentali di transizione, entrambi implicanti il partito
proletario al potere, ma il primo, il più basso, può essere realizzato anche dalla
borghesia. A queste due transizioni economiche corrispondono degli insiemi specifici di
misure di transizione. Confondere i fini e le misure di ciascuno di questi insiemi, o
addirittura gli insiemi stessi, significherebbe ingarbugliare tutto e far passare per
progressivo ciò che è sorpassato, spacciando, ad esempio, per comunista una semplice
riforma borghese.
Per maggior chiarezza, raggrupperemo questi insiemi secondo un ordine logico,
che è anche cronologico e segue la maturazione delle forze produttive e sociali,
prescindendo dall'alternanza di avanzate e di rinculi nella lotta con la
controrivoluzione.
Nei paesi precapitalistici o agli albori del capitalismo, dopo la conquista del potere
si devono ancora allestire le basi economiche del futuro passaggio alla società
comunista. La tattica è qui indiretta - e non frontale come nei paesi sviluppati dove la
borghesia è al potere e l'economia pronta per la transizione al socialismo. Anche se
fosse soltanto per mantenere il potere politico nelle mani delle masse lavoratrici, come
avanguardia estrema della rivoluzione mondiale, è necessario sviluppare a un ritmo
accelerato un capitalismo di Stato - secondo l'espressione di Lenin nell'Imposta in
natura. Nei paesi sviluppati invece è /'economia matura che serve da leva per prendere
misure politiche accelerate di transizione al socialismo: tutto vi è relativamente più
semplice.
Nei paesi attardati o agli albori del capitalismo (per esempio all'epoca della guerra
dei Contadini, dei Livellatori o degli Arrabbiati o altri babuvisti), gli interventi
dispotici rappresentavano soltanto un passo verso l'assai lontano socialismo attraverso
lo sviluppo dell'economia mercantile e monetaria (capitalista). Qui, come nella Russia
attardata del 1917, Lenin avverte che sarebbe troppo vago e generale, e addirittura "un
difetto e anzi un errore parlare di transizione al socialismo", perché a questo stadio
iniziale, si possono fare solo piccoli passi in direzione del socialismo, passando per la
Nella sua polemica con Bucharin alI'VIII congresso del Partito bolscevico del 18-23 marzo 1919,
Lenin ricordava: "Se Marx diceva della manifattura che essa è una sovrastruttura della piccola produzione
di massa, l'imperialismo e il capitalismo finanziario sono una sovrastruttura del vecchio capitalismo"
(Opere 29, Roma 1967, p. 150).
La manifattura, come l'imperialismo e la finanza, sono infatti un modo di organizzazione
della produzione e della distribuzione del capitale. E Marx fa una distinzione fondamentale tra
dominazione formale del capitale sul lavoro (allorché allo stadio della manifattura la produzione
quale è praticata alla fine del feudalesimo è sottomessa alla dittatura del capitale, poiché gli.
operai sono raggruppati in una manifattura e lo Stato stesso è il promotore di molte imprese di
tal genere, cf. Colbert: l'intervento borghese è allora rivoluzionario) e dominazione reale, in cui
i mezzi e le forze di produzione sono diventati adeguati al capitale (divisione del lavoro molto
spinta e macchinismo). La finanza e l'imperialismo sono allora un modo di organizzare e di
distribuire il capitale, il quale resta lo stesso nella sua "struttura", ma genera una sovrastruttura
sociale. Cf. per la definizione dell'imperialismo, il capitolo La droga dell'imperialismo nel
nostro precedente testo: La crisi storica del capitale drogato, p. 79-82.
197
grande industria e le riforme a contenuto borghese sotto il controllo dello Stato operaio
229
.
Le misure di transizione preconizzate dal Partito comunista del 1848 per la
Germania230, costituiscono grosso modo il blocco organico di interventi dispotici a
questo primo livello economico. Le misure del Manifesto, già un po' più avanzate,
soprattutto per alcune audaci puntate, formano il passo seguente che porta al secondo
livello.
Un esempio per distinguere questo primo stadio dal secondo: la statizzazione
industriale, benché effettuata sotto la dittatura del proletariato, sul piano economico
non è ancora socialismo, nemmeno nel senso della fase inferiore del comunismo, perché
come magistralmente spiega Lenin nell' Imposta in Natura, "il socialismo non è
nient'altro che la tappa immediatamente successiva al capitalismo monopolistico di
Stato".
I paesi attardati raggiungono per questa via il grado di sviluppo dei paesi
capitalistici avanzati: quello del capitalismo di Stato. Di ciò hanno approfittato gli
opportunisti per negare la necessità della presa del potere in un paese arretrato.
Questo significa eludere la centrale questione del potere. Infatti è un vantaggio enorme
per quel paese di poter disporre di uno Stato operaio col quale può far leva sulle forze
materiali della grande industria, il che è essenzialissimo nel processo della rivoluzione
internazionale, perché il proletariato è al potere non per "portare la pace ma la
guerra" alla borghesia mondiale, se pure abbia temporaneamente trionfato solo
nell'anello più debole. Abbandonare per principio il potere al nemico di classe sarebbe
volgere le terga al marxismo rivoluzionario.
Rigettare questo necessario presupposto del capitalismo di Stato è dunque un atto
contro il socialismo, mentre è atto a favore il sostenerlo, in quanto tale sostegno è una
lotta che il proletariato conduce suo malgrado, sapendo che deve amministrare il
potere in forma democratica - la famosa "conquista della democrazia" del Manifesto -
su di una economia per la stragrande maggioranza ancora mercantile e monetaria,
dunque "borghese", anche se i proprietari fondiari e i capitalisti sono spariti come
persone fisiche. Il borghese scambio tra equivalenti non solo continua a sussistere, ma
è sviluppato 231.
Lenin, La settima conferenza panrussa del POSDR, in Opere, cit., vol 24,
229
p. 240.
230
Cf. Rivendicazioni del Partito comunista in Germania, volantino scritto da Marx ed Engels,
stampato a Parigi verso il 30 marzo 1848 e diffuso in settembre.
231
Il compito economico dei paesi arretrati in cui il proletariato è al potere sembra, a prima vista,
impossibile, poiché il partito vi sviluppa man mano il capitalismo di Stato, che rafforza la potenza
borghese nell'economia ed esercita una pressione sempre più forte sullo Stato proletario. Il compito è
certo difficile, ma, d'altra parte, si sa che il capitalismo a misura che avanza genera anche gli elementi
della società comunista, nel senso che elimina i borghesi industriali e finanziari, i proprietari fondiari e i
piccoli borghesi (che vengono proletarizzati), ingrossando continuamente i ranghi del proletariato
rivoluzionario al potere; insomma, il capitale è contemporaneamente processo di valorizzazione e di
svalorizzazione, ossia dinamica di abolizione progressiva del valore. Tuttavia, nonostante queste
difficoltà, nel processo della rivoluzione mondiale un paese arretrato può resistere anni, se non decenni,
sulla base di un'economia antagonistica, perché dittatura del proletariato significa precisamente iato fra
Stato e condizioni economiche non socialiste.
E' in questo senso che si può scrivere: "I marxisti sono stati sempre per
l'attacco rivoluzionario anche in un solo paese, quanto a strategia politica, a lotta
per la presa del potere. Quanto alla trasformazione della struttura sociale in
198
Se le misure di transizione esposte nel Manifesto del 1848 corrispondono a un
livello economico ancora basso del capitalismo, le condizioni economiche alle quali si
riferisce il Programma di Gotha (1875) - stabilito per una situazione sociale non
sconvolta da guerre o devastazioni in corso, in cui si tratta di fare notevoli passi in
avanti verso il socialismo in economia - sono invece già più mature: Marx affronta la
transizione dal capitalismo sviluppato allo stadio inferiore e poi pieno del comunismo.
Dallo stadio inferiore della rivoluzione permanente, lo scambio tra equivalenti
sopravvive unicamente nel rapporto (sempre a contenuto borghese) tra la forza lavoro
fornita dal lavoratore e quanto egli riceve per il proprio consumo, essendo il
mercantilismo abolito nella restante produzione e distribuzione. Le ultime vestigia dello
scambio tra equivalenti toccano il lavoro, in quanto il proletariato si estingue da ultimo
- contemporaneamente allo Stato - al momento del passaggio allo stadio superiore. Ma
a questo proposito la spiegazione pienamente marxista di Lenin sbalordirà 999 marxisti
su 1000: siccome il diritto borghese sopravvive ancora "in quest'ultimo equivalente col
lavoro", lo Stato amministrato dal proletariato resta ancora in parte borghese 232. Egli
scrive completamente giusto, poiché finché vi è Stato, vi sono sopravvivenze di classe, e
dunque sovrastrutture politiche di costrizione: il freddo mostro va a sicura morte, ma
per il momento è solo agonizzante. Ciò può sembrare un paradosso o un gioco del
pensiero, dice Lenin; in realtà, è rigorosamente scientifico, perché "la vita ci mostra ad
ogni passo, nella natura e nella società, che vestigio del passato sopravvivono nel
presente. Marx non ha introdotto arbitrariamente nel comunismo una particella del
"diritto borghese": egli ha soltanto constatato ciò che, economicamente E
politicamente, è inevitabile in una società uscita dal seno del capitalismo" (ibid).
socialismo, che con espressione teoricamente non meno falsa delle altre si chiama
costruzione del socialismo, e si dovrebbe chiamare distruzione del capitalismo [in
due fasi, l'una del suo processo di valorizzazione e di svalorizzazione, l'altra di
distruzione diretta], essa è sempre stata considerata proponibile e possibile anche
in un solo paese. Ma sotto due condizioni, di cristallina evidenza da Marx a Lenin.
Primo: che il capitalismo in quel paese esista pienamente; secondo: che il
proletariato vincitore di quel paese sappia applicare la consegna: non sono
venuto a portare la pace, ma la guerra!", ossia che resti saldamente legato
all'Internazionale e alla lotta rivoluzionaria del proletariato del resto del mondo.
Cf. Struttura economica e sociale della Russia d'oggi. Ed. Il Programma
Comunista, 1976, p. 85-86, La inventata teoria.
232
"Certo, il diritto borghese, per quel che concerne la distribuzione dei beni di consumo,
presuppone necessariamente uno Stato borghese, poiché il diritto è nulla senza un apparato
capace di costringere all'osservanza delle sue norme. Ne consegue che in regime comunista
sussistono, per un certo tempo, non solo il diritto borghese, ma anche lo Stato borghese, .senza
borghesia! " (cf. Stato e rivoluzione, in Opere 25, Roma, 1970, p. 442, cap. V, 4, La fase
superiore della società comunista).
199
attività che sono al servizio del lusso sterile delle classi fondiarie, borghesi e sotto-
borghesi, perché servono non allo sviluppo dell'uomo, ma a realizzare le eccedenze
prodotte nelle società di classe imponendo alle masse sopralavoro insieme alla miseria.
Similmente verranno soppresse le industrie di morte e interi settori dell'industria
pesante, le cui tecniche degenerate vengono applicate persino alla mercantile e
monetaria agricoltura; si elimineranno, in una parola, tutte le branche distruttive,
nocive e antisociali. Contemporaneamente si metterà fine, con lo Stato a buon mercato
della dittatura, a tutte le attività e alle enormi spese legate alle impalcature politiche,
amministrative, giuridiche e ideologiche della società di classe, e alla più gravosa e
parassitario di esse: la borghesia nell'epoca della sua decadenza.
Alcuni esempi serviranno ad illustrare il senso di queste misure. Quanto alle
risorse naturali, come ad es. il ferro, il comunismo sviluppato non avrà ovviamente
bisogno delle attuali 700 milioni di tonnellate prodotte ogni anno nel mondo. Per
fissare le idee, diciamo che una volta soddisfatti i bisogni, basterà da un anno all'altro,
il ferro per il valore di un pennino a testa. Si potranno dunque chiudere le miniere e
sopprimere i lavori più barbari, in quanto basterà rivivificare il ferro già estratto 233.
Non è forse la materia, per definizione, eterna, dal momento che la forma cambia solo
per l'applicazione del vivente lavoro per "crearla" o conservarla 234 ? Similmente le
città saranno eliminate e le campagne trasformate, poiché le abitazioni da individuali o
private (appartenenti cioè a persone, aziende, gruppi, associazioni o classi) diverranno
collettive. I cambiamenti saranno ovviamente graduali e richiederanno secoli, ma
possono venire accelerati dalle gigantesche guerre — distruttive della gravosa eredità
borghese - che il capitalismo condurrà e contro la propria sovraproduzione e contro il
socialismo durante la fase di transizione.
233
Se l’animus borghese dell'impresa è la costruzione che edifica e fonda, ossia oggettiva e reifica, il
socialismo attivo vivifica e crea. In altri termini, mantiene in vita e aggiunge, stabilendo un rapporto
attivo fra ieri, oggi e domani.
A proposito della folle sovraproduzione di acciaio della Germania del 1881
- 700.000 tonnellate d'acciaio contro i ... 53 milioni attuali (?!?'?!), cf. Marx-
Engels, La Social-démocratie, Ed. 10/18, Parigi 1975, p. 155 e nota n. 113, p.
372/73. Certo, come diceva Engels, lasciamo alle generazioni future (che saranno
meno bestie dell'attuale) la cura di determinare ciò che metteranno nella pentola,
ma il marxismo indica chiaramente, in opposizione alla folle produzione per la
produzione capitalistica, che non si tratterà di acciaio. Tali indicazioni danno una
visione più chiara delle differenze specifiche del socialismo.
234
Come osserva Marx, nelle fucine del vulcano della produzione capitalistica, il proletariato operaio
anticipa già nel suo lavoro la società comunista: "Nel processo di produzione, il lavoro vivo fa dello
strumento e della materia il corpo della sua anima risuscitandoli così dalla morte" - e il capitale
ammortizza in seguito questo prodotto effimero sul mercato.
"La materia di lavoro si conserva in una forma determinata essendo
trasformata e sottomessa alle finalità del lavoro. Il lavoro è un fuoco vivente che
forgia la materia. È ciò che vi è di perituro e di temporale in essa: è la
lavorazione dell'oggetto ad opera del tempo vivente". (Grundrisse, cit. p. 325,
320). Si potrà obiettare che il lavoro dell'artigiano ha la stessa qualità. E' vero,
ma è individuale e legato al destino personale, mentre il lavoro cooperativo,
sociale, dell'operaio si effettua alla scala mondiale e dell'intera natura, e può
dunque collegare (e vivificare) il lavoro di tutte le passate generazioni in un modo
di produzione senza antagonismi fra gli uomini di ieri, di oggi e di domani. In
questo senso, il comunismo teorizzato da Marx-Engels, portavoce del proletariato
mondiale, non può che essere il prodotto della classe operaia moderna, sorta sulla
base del modo di produzione capitalistico.
200
Possiamo così affermare che nel secolo scorso, il trapasso, per cui l'Europa
occidentale era già abbastanza matura, avrebbe incommensurabilmente comportato
meno distruzioni e perdite sia di vite umane (anch'esse in soprannumero) che di materie
prime. Con raffronto alle dilapidazioni delle società classiste - dallo schiavismo al
capitalismo - il socialismo è essenzialmente un sistema di economia sulla base di una
superiore produttività, per il che si rende possibile ridurre praticamente a zero le ore di
lavoro nella produzione mercantile.
Insomma, il comunismo dovrà, per poter imporre economicamente i propri principi
di risparmio e di più grande efficacia con effetto utile uguale o superiore, eliminare le
false spese e distruggere la sovrapproduzione e le leggi che presiedono alla produzione
borghese. Come infatti dimostra la società dei consumi e del benessere, che produce
articoli di utilità e durata sempre decrescenti, l'economia borghese è dalle sue stesse
leggi costretta ad accelerare freneticamente velocità e massa della produzione, ad
amMORTizzare il capitale per ... farlo rendere al massimo.
Se si volessero dedurre le leggi di funzionamento della produzione socialista per
opposizione al capitalismo, bisognerebbe immediatamente disperdere la falsa
concezione che la massa dei prodotti (specie della produzione industriale) debba
ulteriormente aumentare col pretesto che si tratta di un modo di produzione superiore,
dimenticando che tale massa è indice essenzialmente di sovrapproduzione, e quindi di
sfruttamento, di ricchezza ad un polo e miseria all'altro polo, e perciò di crisi e lenitive
(per il capitale) guerre di distruzione. L'indice scientifico di comparazione è il saggio,
ossia un rapporto.
Ciò è d'altronde sentito dagli stessi borghesi, spinti a dover continuamente
aumentare la massa della produzione sotto il pungono fatale della discesa del saggio di
profitto, ossia di un rapporto di produzione (causa) qualitativo e dinamico, è non
statico come la fredda registrazione del prodotto (effetto) quantitativo della massa 235.
E' falso al mille per cento definire il socialismo come un sistema che accumula di
più e meglio del capitalismo, e con indici di crescita ancora superiori, in quanto lo si
riduce per tal modo a mero prolungamento del capitalismo, o meglio a un capitalismo
235
La caduta del saggio di profitto dimostra appunto che il capitale vede diminuire il suo saggio di
redditività sociale medio, dunque i suoi indici di crescita. Ciò testimonia che esso è sempre meno in grado
di accrescere l’efficacia del lavoro umano, che non è il suo scopo ma è subordinato al suo rendimento:
l'aumento delle forze produttive non è neanche il suo ideale supremo. In periodo di crisi, il capitale si
blocca, non per l'incapacità della produzione a crescere, ma perché la sua redditività (o saggio di profitto)
è caduta a zero, determinando anche il crollo della sua massa.
Insomma, la massa crescente della produzione maschera proprio la caduta
tendenziale del saggio di profitto, dunque del rendimento del capitale: siamo nella
crisi generale se massa e saggio cadono entrambi. In periodo di crescita o di
accumulazione allargata del capitalismo, la massa della produzione evolve in
rapporto inverso al suo tasso di crescita: la prima aumenta, mentre il secondo
diminuisce e, con esso, l'altro rapporto: l'efficacia del lavoro in rapporto alla
massa prodotta. Il capitalismo supera questa contraddizione gettando sempre
nuovi paesi nel circuito della produzione borghese, il che frena la caduta del
saggio medio sociale di profitto, permettendo un aumento della produttività -
dunque per il capitale un aumento del plusvalore - in rapporto alle condizioni
anteriori. Ma questo movimento volge ormai al termine: il capitale ha fatto il giro
del mondo e industrializzato altrettanto - e anche di più, vedi l'inflazione - di
quanto non gli permetta il suo modo di produzione ineguale - ed ecco la crisi
generale che spinge alla guerra di distruzione o alla rivoluzione, o a tutte e due
contemporaneamente.
201
sviluppato ipergonfiato dalla sua demenziale sovrapproduzione. Ma il socialismo è
tutt'altra cosa: ed è, come al solito, il capitalismo a fornircene la definizione per
opposizione, in quanto il comunismo è l'antitesi generata dal contraddittorio modo di
produzione capitalistico.
Se quest'ultimo è, giusta Marx, il modo più economico per trasformare o realizzare
il lavoro in merci, siano esse derrate, macchine o installazioni fisse, è pure nello stesso
tempo — e in ciò la sua contraddizione più stridente che il comunismo sopprimerà - il
modo di produzione più dilapidatore di lavoro vivo, sangue, carne, muscoli, nervi e
cervello 236. Il segreto del comunismo sta in questo, che esso spezza il dominio di classe
dei mezzi di produzione sull'uomo attraverso un duplice movimento: da una parte
economizzando le proprie forze, dall'altra sviluppandole onnilateralmente. E Marx, per
caratterizzare questa trasformazione rivoluzionaria che capovolge tutti i valori, trova
una formulazione di straordinaria densità dialettica: "In realtà, solo il totale
esaurimento dello sviluppo individuale assicura l'universale sviluppo ulteriore
dell'uomo sociale, che, in questi periodi della storia, prelude alla nascita socialista
dell'umanità".
In altri termini, l'umanità dopo il lungo periodo di disumanizzazione e di
robotizzazione degli individui ad opera del capitale, deve passare attraverso il
livellamento egualitario evocato dal programma di Gotha a proposito degli scontrini di
lavoro, del diritto uguale per tutti, ultima forma borghese di rapporti tra uomini, per
forgiare un modello di sviluppo volto non alla produzione per la produzione, ma alla
produzione dell'uomo e delle sue capacità e potenzialità universali.
Consideriamo ora questo processo sociale, confrontandolo all'effetto ultimo a cui
tende ogni vera rivoluzione sul piano economico: far avanzare d'un balzo la produttività
umana.
Ciò che nel socialismo aumenta è non la massa, ma l'efficacia del modo di
produzione, la produttività, ossia un minor logorio e dispendio di forze umane e di
prodotti della natura per un risultato migliore o superiore. Questo effetto si ottiene
migliorando il rapporto: minore sforzo umano per una più grande produzione, ossia
miglior rendimento di più sviluppate capacità intellettuali e pratiche, e accresciuta
intensità di vita. Non bisogna quindi confondere la massa lorda prodotta col rapporto
tra quantità sociale ottenuta e sforzo sociale applicato, né - che è poi lo stesso -
l'accresciuta massa della produzione annuale che dipende dall'investimento (cioè in
ultima analisi dal saggio di profitto) col rapporto qualitativo di rendimento delle forze
produttive la cui unità di misura marxista è unica: il tempo.
236
Cf. Marx, Manoscritti inediti a "Zur Kritik der politschen Okonomie".
202
a disposizione dell'uomo attivo o produttore tutta la scienza, l'esperienza e l'abilità
accumulate dalle passate generazioni.
La società comunista sviluppa la forza produttiva e creatrice dell'uomo, il quale si
appropria tutte le conquiste rendendole viventi in sé. E' un processo di palingenesi, di
fecondazione dell'intera Natura ad opera dell'uomo, la famosa "umanizzazione della
natura", di cui Marx parla nei Manoscritti del 1844. Due movimenti storici - coincidenti
alla fine nella pratica e che noi distinguiamo solo per un ragionamento logico -
permettono di giungere a questo grandioso risultato: in un primo atto di disciplinazione
l'uomo si appropria — con coerenza, rigore, sistema e fedeltà - l'esperienza di tutte le
generazioni passate, la memoria collettiva, apprendendola non nelle scuole, ma nel
secondo atto di creazione nel seno del grande laboratorio o libro (per parlare il
linguaggio degli sciocchi pedagoghi odierni 237) aperto delle forze viventi della
produzione e della società, atto che è ad un tempo consumo e godimento infinitamente
diversificato, elevato, "nobile", complesso, profondo e ampio, in una parola universale.
Appare qui in luce chiarissima la differenza tra capitalismo, che è produzione per
la produzione (ossia aumento delle ricchezze e della proprietà privata senza
considerazione per l'uomo, il che significa che la stragrande maggioranza della sempre
più numerosa umanità è pauperizzata a ritmo crescente) e comunismo, che è
produzione per il pieno sviluppo dell'uomo o meglio di tutti gli uomini, dell'intera
collettività umana, in cui la vita, l'esistenza e il movimento in tutte le direzioni hanno
sostituito /'avere, ossia la moltiplicazione di oggetti di sempre minor valore. L'aumento
della produttività del lavoro impone la prospettiva del più compiuto sviluppo umano in
una società che non sarà alienata ed esteriore all'uomo, aggettivata nelle cose, ma
svilupperà la vita umana, o meglio la specie in continua crescita.
Il socialismo non è dunque il sistema dell'industria pesante di base alla Stalin, né
quello dell'industria leggera di punta nella versione dei suoi emulatori occidentali.
Questa deformata visione non è altro che la visione borghese e romantico-utopistica
nata agli albori del capitalismo, in un'epoca, cioè, in cui si trattava di allestire la base
economica del socialismo. Essa aderiva infatti all'ideologia di edificatori e di operatori
economici, di promotori e di progettatori di piani che non si sporcano mai le mani. La
Tecnica (o capitale morto) è l'esempio più macroscopico di questa vera e propria
degenerazione delle capacità produttive del Capitale, che separa l'Idea (resa venale)
dal lavoro materiale dell'operaio (ignorante e passivo), così come dall'ancor più
ignorante e passivo consumatore, donde lo sciupio inaudito e il completo abbrutimento
della massa dei consumatori. La "scienza" genera così l'oscurantismo col feticismo per
gli oggetti (di proprietà) e la robotizzazione delle attività umane subordinate e
debilitate.
Marx-Engels diedero una memorabile strigliata a uno di questi Grandi Architetti, il
socialista piccolo-borghese sentimentale Kriege, che a New York si dilettava a creare
sistemi per illuminare le masse ignare sul socialismo: "E' vile e ipocrita presentare il
comunismo come un "compimento" o una "realizzazione", e non come la distruzione
delle miserabili condizioni esistenti e delle illusioni che se ne fanno i borghesi" 238. A
237
Rimandiamo il lettore agli scritti di Marx-Engels sul processo di nascita dell'uomo nuovo del
comunismo superiore nella produzione e nella società - e non più nelle scuole e nelle instupidenti
università borghesi - mediante la combinazione del lavoro manuale col lavoro (e non insegnamento)
intellettuale, scritti riportati nella sezione II sulla genesi dell'educazione" comunista, p. 133-260 della
raccolta: Marx-Engels, Critique de l'éducation et de l'enseignement, Ed. Maspéro, Parigi 1976.
203
voi, moderni riformisti che considerate il socialismo come il prolungamento graduale
del capitalismo!
Se il comunismo continuerà ad accrescere le forze produttive, non sarà per
aumentare ancora la produzione, bensì per diminuire sempre più l'orario di lavoro e il
tormento ad esso legato. La prima verità del comunismo (frontalmente opposto alla
prassi criminale del capitale nella sua suprema fase di delirio) è che esso non
accelererà la pazza corsa a produrre, spezzata e frenata già dalla vittoria della
rivoluzione socialista.
Non solo il capitalismo ha da tempo costruito quanto a noi basta ed avanza come
base "tecnica" per il socialismo, ossia come dotazione di forze produttive, sicché il
grande problema storico non è — nell'area BIANCA — di crescere il potenziale
lavorativo, ma di spazzare via le FORME SOCIALI di ingombro alla buona
distribuzione ed organizzazione nel mondo delle forze ed energie utili, vietandone lo
sfruttamento e il dilapidamento. Ma lo stesso capitalismo HA TROPPO COSTRUITO e
vive nell'antitesi storica: distruggere o saltare sotto la pressione della sua pletora.
Lo stesso capitalismo, che con l'introduzione delle macchine ha sviluppato i mezzi
materiali per diminuire drasticamente le ore di lavoro, è incapace di farlo per gli
operai produttivi: esso crea il tempo libero solo per la classe dei borghesi e per le loro
innumeri appendici, le classi medie, che sterilizzano i progressi dovuti al LAVORO 239.
La rabbia di produrre diviene delirium tremens nell'età senile del capitale e
prosegue in piena crisi di sovrapproduzione, giacché la produzione borghese è legata
al plusvalore, confermando appieno la scienza economica del marxismo che ha
sottolineato come la terra sia progressivamente rovinata e devastata dall'applicazione
demenziale delle macchine e di procedimenti tecnici di un'efficacia diabolica, ancora
stimolata dalla sete di denaro che l'inflazione e l'accumulazione degli zeri rendono oggi
più derisoria che mai.
La produzione per la produzione è infatti inerente alle leggi dell'economia
capitalistica (discesa del saggio di profitto, concorrenza, necessità di accrescere ad
ogni costo la parte relativa del sopralavoro, ecc.) e provoca sovrapproduzione e crisi,
guerre e genocidi criminali, rovine e devastazioni in tutto il pianeta al solo scopo di
riassorbire le eccedenze. Ma ciò non impedirà al capitalismo, che soddisfa l'eccesso
produttivo coll'affamamento della stragrande maggioranza dell'umanità e colla rapina
di risorse e materie prime per le insaziabili fauci del Moloch, di sfuggire al crollo
totale.
La legislazione sul lavoro volge alla società comunista, e l'anticipa, anche se in
forma ancora alienata (il comunismo ignora le forme irrigidite e reificate del diritto),
con un'azione vivente, in divenire, che spinge cioè al suo sviluppo ed allargamento
futuri, a nuove conquiste e non - come propongono i riformisti — a difesa di quelle del
passato, nella mentita affermazione che la società borghese assicuri gradualmente un
238
Rimandiamo il lettore agli scritti di Marx-Engels sul processo di nascita dell'uomo
nuovo del comunismo superiore nella produzione e nella società - e non più nelle scuole e nelle
instupidenti università borghesi - mediante la combinazione del lavoro manuale col lavoro (e
non insegnamento) intellettuale, scritti riportati nella sezione II sulla genesi dell'educazione"
comunista, p. 133-260 della raccolta: Marx-Engels, Critique de l'éducation et de l'enseignement,
Ed. Maspéro, Parigi 1976.
239
Cf. Marx-Engels, Critique de Malthus, Ed. Maspéro, Parigi 1978, per tutta la ' problematica degli
oziosi che prevalgono sugli attivi, gli intellettuali sui manuali, i maschi sulle donne, i redditieri sui
produttivi, i disoccupati su quanti nel mondo trovano lavoro.
204
progresso crescente, laddove essa in realtà non fa altro che fagocitare man mano le
conquiste operaie. Così, ad esempio, grazie all'aumento della produttività e
dell'intensità del ritmo degli sforzi, il capitale trasforma le otto ore in una giornata più
densa, più feconda e quindi più lunga di prima.
L'azione sindacale, che verte essenzialmente su rivendicazioni economiche, riflette
al massimo grado il carattere effimero di queste misure, il cui interesse collettivo e
storico — la continuità e la sistematizzazione — è politico, ossia dipende da un 'azione
di classe che soltanto il partito può organicamente impostare.
La legge sulla riduzione del tempo di lavoro anticipa - non più idealmente, ma
materialmente ed economicamente - i rapporti della nostra forma sociale per cui sarà
la comunità dei produttori, sulla base di un progetto o di un piano collettivo, a
determinare il processo di produzione. Nella sua azione presente, locale e parziale,
questa legge utilizza fin d'ora gli stessi metodi comunisti della società collettivista, in
quanto separa il tempo in cui il proletariato è impegnato nella produzione da quello in
cui è libero di organizzarsi in vista della conquista dei prodotti del lavoro, quei prodotti
che vengono oggi usurpati dagli oziosi (che non lavorano nella produzione immediata)
e hanno in mano l'amministrazione, lo Stato, la scienza, l'arte, ecc. di cui i produttori
stessi devono appropriarsi per potersi sviluppare. Questo tempo libero, così regolato,
non ha niente a che vedere con le illusioni delle vacanze per tutti, questo vuoto del
vuoto dell'inattività passiva: è una lotta per migliori condizioni di lavoro e di vita finché
durano le società di classe.
In un passato meno fetido del presente, si scaglionavano le "vacanze" estive in un
periodo di tre mesi, non per far crepare di noia i bambini accanto ai genitori sdraiati
sulle monotone spiagge, ma per far loro cambiare di attività nel momento dei raccolti
mobilitanti molte broccia.
La diminuizione delle ore di lavoro è il mistero svelato della superiore forma di
produzione, la. sintesi, in una formula, del programma di transizione al comunismo
teorizzato da Marx-Engels che costituisce già ora il movimento reale della società
comunista. Il programma comunista del partito di classe difende fin dall'inizio la
situazione futura di un minor tempo di lavoro, alfine di servire utilmente la vita. Il
Partito lavora a questo risultato dell'avvenire i facendo leva su tutti i mezzi politici ed
economici esistenti nella società capitalistica.
Questa conquista, apparentemente espressa in termini modesti da "ore" e ridotta
ad un computo materiale, rappresenta in realtà una gigantesca vittoria — la più alta
possibile — sulla necessità che spinge noi tutti e ci rende schiavi. Anche allorché il
capitalismo e le classi saranno state soppresse, la specie umana sarà ancora
sottomessa alla necessità imposta dalle forze naturali, e la libertà — assoluto filosofico
— resterà un vaniloquio.
Definiremo dunque capitalismo e comunismo in tal modo: il primo ha per scopo
l'arricchimento e la massima produzione, mentre il secondo, al contrario, la
diminuzione dello sforzo di lavoro e l'aumento del tempo libero. E' arcifalsa la pretesa
che anche il capitalismo abbia contribuito a questo risultato che è caratteristica del
comunismo e di esso soltanto. Al contrario, il capitale non ha fatto che aumentare il
tormento dell'operaio, con le macchine che allungano gli orari spingendo al lavoro
notturno. Si citano con orrore le giornate di lavoro di 16 ore, e si vanta con
compiacenza la "recente" conquista delle 8 ore (imposta da generazioni di operai dopo
decenni di lotte ardenti contro i borghesi, che a distanza di un secolo non rinunciano
ancora a rimetterla in discussione ovunque nel mondo). L'ideale a cui tende il capitale
205
è la giornata di 15-16 ore che esisteva non prima, bensì all'inizio del capitalismo.
Anziché diminuire il tormento del lavoro, esso aumenta la disoccupazione e la miseria.
Come ha constatato Marx, le macchine hanno introdotto e generalizzato il lavoro
notturno e tratto in un'ora cinquanta e più ore dalla carcassa umana. Il capitale
accaparra il tempo libero, prodotto dal lavoro più efficace degli operai produttivi, per
aumentare il tempo libero dei suoi lacchè, i quali non partecipano alla produzione ma
consumano il prodotto delle industrie improduttive, di lusso, ecc. che mascherano la
sovrapproduzione: proprio queste classi oziose e parassitarie sono in continuo aumento
e sono loro ad annullare per l'operaio produttivo i vantaggi della sua accresciuta
produttività 240.
Il brillante risultato a cui il capitale perviene si può quindi così riassumere: da una
parte esso accresce sempre più la fatica e il tempo ih lavoro degli operai produttivi,
mentre dall'altra il loro prodotto (tempo libero compreso) viene consegnato alle classi
oziose. Proprio queste classi che mangiano il prodotto operaio (e realizzano il capitale
consumando) sono, nella teoria capitalista, le classi necessarie, in quanto formano la
domanda e possiedono i redditi per assorbire la crescente sovrapproduzione.
Soprannumerari sono gli operai, che quando sono troppo produttivi sono buttati sul
lastrico, coll'effetto di aumentare ancora il ritmo e il tormento del lavoro di quanti
continuano a produrre. Il capitale è persino impotente a spartire il lavoro fra questi
operai e i disoccupati, tanto è inestinguibile la sua sete di sopralavoro 241.
206
dell'intero modo di vita borghese, che incatena giorno dopo giorno le masse. Gli ultimi
scrupoli paralizzanti, suggeriti dai pretesi valori della moderna civiltà che la
rivoluzione farà volare in aria, saranno sradicati definitivamente dalle trasformazioni
economiche e sociali del periodo di transizione al socialismo. Il partito deve dunque
imperniare le proprie parole d'ordine sulla denuncia spietata della democrazia
(coesistenza delle classi), onde dare al proletariato la sua assoluta autonomia di classe
che ne promuova la radicale opposizione alla società borghese e alle classi che la
sostengono; quanto al delicato problema dell’alleanza col contadiname, bisogna prima
ribadire che i braccianti agricoli salariati sono parte integrante del proletariato, e se i
contadini, muscoli rivoluzionari, ma perduti nelle tenebre di pregiudizi millenari,
possono lottare, non possono però — anche se poveri — sapere e vedere quei traguardi
tanto più alti, per i quali solo la classe dei lavoratori di massa e nullatenenti ha organi
di senso e di pensiero.
Di qui il ruolo essenziale del Partito, che già prima la rivoluzione rappresenta e
difende l'integrale patrimonio programmatico della classe. La sua critica e la sua
propaganda devono bollare a fuoco il culturalismo, questa cancrena dei partiti
opportunisti che, ubriacati dell'ideologia delle classi oziose, le quali si sono
appropriate le pretese scienze, arti, lettere, e... i loro sofismi, civettano con gli
intellettuali e le classi medie. Instancabilmente esso deve ripetere questa verità: l'istinto
e /'intuizione stanno in ragione inversa della cultura diffusa dalla classe dominante in
seno alle sue innumerevoli quanto pietose scuole, e che noi ammiriamo un proletariato
sprovvisto di diplomi e di titoli di studi anche elementari, ma detentore del titolo
supremo della verità rivoluzionaria, da cui la scienza ufficiale è lontana mille miglia.
Ma non è tutto: occorre anche combattere l'ideologia diffusa dal "comunismo"
divenuto borghese della Russia, e particolarmente il culto della tecnica, tanto cara
all'aristocrazia operaia che vede in essa la causa dei suoi alti salari e dei suoi privilegi
Questo feticcio va infranto perché la tecnica altro non è se non il sistema delle
macchine, nelle quali si incarna il capitale per opprimere il lavoro vivo e produrre la
mutilante e debilitante divisione del lavoro, con i vuoti quanto inutili esperti e
specialisti A questo stadio, il partito attacca violentemente le concezioni operaiste e
consigliate osannanti l'azienda, che si vorrebbe gestita a profitto degli operai, ma di cui
si deve invece progressivamente spezzare i limiti per spingere a fondo la socializzazione
che sola permetterà di superare le enormi ineguaglianze di sviluppo tra i vari paesi e
continenti. Localismo economico e corporativismo sono diametralmente opposti
all'internazionalismo dei nullatenenti
Insomma, il proletariato, liberato dal primo atto rivoluzionario, dovrà spezzare
tutte le catene che lo legavano alle icone, a quelle reali stanche forze di classe che si
chiamano divinità, personalità, libertà, proprietà, culto imbecille dello Stato, della
patria, della famiglia, della casa infine, ultima e più sinistra prigione che il
fiammeggiare del comunismo mondiale deve disonorare prima, dissolvere poi 242.
242
Rinviamo il lettore alla raccolta di Marx-Engels, La Communauté de l'avenir. Ed.
Maspéro, Parigi 1976, per quel che concerne il programma dell'abolizione delle differenze tra
città e campagna, corollario dell'eliminazione dell'antagonismo tra industria e agricoltura legate
tra di loro dal mercantilismo. Finalmente con l'edificazione di palazzi comunitari saranno
liquidati la follia della proprietà privata dei domicilii individuali, la famiglia e il suo corollario,
lo Stato, che racchiude la micro-organizzazione familiare sinonimo di schiavitù per le donne e i
fanciulli.
207
Programma rivoluzionario IMMEDIATO nei paesi sviluppati
Giocando sul fatto che la borghesia ha finito per eseguire parecchie di quelle
misure che per la sua incapacità erano affidate agli sforzi rivoluzionari del proletariato
(istruzione obbligatoria. Banca di Stato, ecc. ), il riformismo ne ha dedotto la
possibilità di applicare nella legalità e senza urto violento tutte le rivendicazioni del
Manifesto, passando vigliaccamente sotto silenzio che la presa violenta del potere da
parte della classe operaia è la condizione sine qua non per la loro applicazione e per il
superamento del capitalismo, prima nella politica e poi nell'economia - come dev'essere
in ogni vera rivoluzione.
Nei paesi avanzati capitalisticamente, ove le misure minime del Manifesto sono
oggi già un fatto compiuto, si pone quindi il compito non solo di realizzare quelle
misure che la borghesia è, per definizione, incapace di applicare, ma altresì di
introdurre, mediante le seguenti misure IMMEDIATE, lo stadio inferiore del
programma di Gotha, sulla base dell'attuale elevatissimo livello delle forze produttive
ivi raggiunto:
1. Disinvestimento dei capitali, ossia destinazione di una parte assai minore del
prodotto a beni strumentali e non di consumo 243. Questa prima misura permetterà di far
fronte efficacemente all'elefantiasi della grande industria che inonda il mondo con la
sua sovrapproduzione, la quale non soddisfa né una domanda solvibile, né una
domanda di valori d'uso, trattandosi di un modo di produzione degenerato che gira
ormai a vuoto. Questa diminuzione relativa, avrà per corollario la seconda misura,
2. "Elevamento dei costi di produzione" per poter dare, fino a che vi è salario
mercato e moneta, più alte paghe per meno tempo di lavoro. In altri termini, nel
linguaggio dell'economia politica odierna, la parte del capitale variabile, a parità di
"produttività tecnica", verrà accresciuta. Questa misura porrà fine all'applicazione
243
Sarebbe non solo assurdo, ma ridicolo - per un argomento ampio, complesso e sociale, e trattato in
modo manifestamente collettivista quale il presente scritto -, avanzare una individuale paternità di idee
nuove, o di idee tout court appartenenti a una persona. Il presente testo non è un prodotto personale o di
gruppo più di quanto non sia il lavoro di tale o talaltro stampatore, si chiami esso Pietro o Paolo: è un
prodotto sociale, tanto più che si tratta di un lavoro teorico di classe, l'espressione per definizioni -
impersonale e anonima (Marx diceva di non essere marxista, ma comunista) del socialismo moderno, nato
nel fuoco delle lotte di classe grazie all'azione di masse gigantesche, in un blocco invariante, nel
crogiuolo della rivoluzione internazionale del 1848.
Questa puntualizzazione è ovvia per dei comunisti che hanno orrore dell'appropriazione privata e della
mania di privatizzare i lavori collettivi altrui, e che si sforzano, sin da e nelle condizioni attuali, di
combatterla con tutti i mezzi in loro potere. Il presente scritto formula, nell'ordine logico dettato dallo
sviluppo dell'argomento, sempre e soltanto idee che sono state espresse dai militanti di epoche
rivoluzionarie, allorché la visione storica si imponeva spontaneamente nel fuoco della lotta. L'espressione
stessa di queste idee non ha niente di privato, ma dipende dall'attuale rapporto di forza che permette, esige
ed impone dei testi corrispondenti ai bisogni del movimento presente.
Per quanto riguarda il suddetto Programma immediato, esso è il riassunto
delle tesi esposte alla riunione di Partito di Forlì, il 28 dicembre 1952. L'abbiamo
messo in caratteri corsivi per evidenziarlo e per distinguerlo dai commenti che
collegano una misura all'altra e l'insieme al resto del testo, ancorché gli stessi
commenti si fondino, come sempre, su scritti anteriori o posteriori del nostro
partito. Abbiamo tuttavia ritenuto opportuna la distinzione grafica trattandosi di
un testo storico, indipendente dalle spiegazioni che lo rendono oggi comprensibile
e lo collegano al programma di ieri e di domani
208
borghese delle macchine, ossia alla fase di subordinazione reale della forza-lavoro al
capitale, in cui questo trasforma una quantità sempre maggiore di lavoro in macchine,
in capitale fisso, mutilando l'operaio mediante una divisione del lavoro sempre più
spinta e riducendo la sua funzione al lavoro semplice, accessorio.
Siamo all'inizio di quel processo che ha per scopo non più il gonfiamento
dell'apparato produttivo reificato, ma lo sviluppo della forza produttiva del lavoratore;
e questo, non imbottendolo di derrate, bensì sostituendo la sua attività a tutte quelle
funzioni svolte dagli attuali lacchè al servizio del capitale nelle sovrastrutture. Il
proletariato impadronendosi dello Stato, della giustizia, della forza armata e di ciò che
oggi si chiama ideologia e arte, disporrà dei mezzi materiali grazie ai quali la
rivoluzione, dilagante nella crisi e nel crollo totale del capitale, libererà l'energia e
l'iniziativa delle masse lungamente compresse e frenate.
L'aumento dei costi di produzione favorisce fin dall'inizio il capitale variabile per
la classe appena giunta al potere. Ma se il proletariato esclude tutte le altre classi della
sfera politica, le include però progressivamente nel lavoro produttivo con l'obbligo del
lavoro per tutti: ciò fa diminuire drasticamente le ore di lavoro in generale. Proprio
questa misura avvia, in fondo, quel processo storico per cui la società si consacra
sempre più allo sviluppo dell'uomo, del produttore, che era stato sacrificato per tutto il
corso dell'anteriore evoluzione capitalistica. Non si tratta dunque, come in un volgare
programma elettorale della Sinistra attuale, di creare una "domanda" e un nuovo
sbocco alla sovrapproduzione, quanto piuttosto di un primo ma decisivo abbandono del
principio borghese della "produzione per la produzione". Questa prima misura in vista
della produzione dell'uomo (piuttosto che per l’uomo) è fondata infatti sulla successiva:
3. "Drastica riduzione della giornata di lavoro" almeno alla metà delle ore attuali,
assorbendo disoccupazione e attività antisociali. Questa essenziale misura strappata
dalla rivoluzione politica con la conquista dello Stato, permetterà agli operai non certo
di andare in week-end, ma di armarsi per difendere il proprio dominio di classe, e
volgersi alle attività sociali fino ad allora assolte dai servitori della borghesia nelle
sovrastrutture di costrizione politiche e ideologiche. Queste, trasformate alla fine in
gestione tecnica della società, scienza applicata e arte, verranno appropriate dai
produttori stessi. L'eliminazione di attività e professioni antisociali sarà inoltre un
fattore attivo della lotta contro le classi dominanti decadute, oltre a costituire un
elemento di risanamento della vita sociale per il maggior bene di tutti i produttori, che
godranno nella produzione dell'aiuto quantitativamente numeroso, se pure all'inizio
poco efficace, degli ex-parassiti, per riorientare l'economia verso produzioni utili.
Evidentemente, il nuovo governo del Partito comunista non condurrà una politica dei
redditi per smaltire, grazie a una nuova e più ampia domanda, la produzione. Si tratta
dell'applicazione di un corpo programmatico mirante a rivoluzionare i rapporti sociali,
cioè a sconvolgere dalle fondamenta l'ordine stabilito e a organizzare la trasformazione
mettendo in moto le masse e la società: la rivoluzione è al potere e ne fa uso. In base ai
criteri dell'economia mercantile e monetaria potrà opporsi che tali misure sono
irrealizzabili, dimenticando che proprio quell'economia si vuole rovinare a breve
scadenza per passare allo stadio inferiore del programma dei buoni di lavoro (Gotha),
da quelle misure immediate di governo introdotti e resi necessari.
4. Ridotto il volume della produzione con un piano di "sottoproduzione" che la
concentri sui campi più necessari, "controllo autoritario dei consumi" combattendo la
moda pubblicitaria di quelli inutili, dannosi e voluttuari, e abolendo di forze le attività
volte alla propaganda di una psicologia reazionaria. L'ultima proprietà da abolire sarà
209
quella del salario (privato o di Stato) che da l'ignobile diritto di disporre a discrezione,
in qualsiasi modo, dei "propri" soldi, il che deriva dal potere del denaro. Il disgraziato
che tracanna alcool dicendo: è mio, l'ho comprato coi miei soldi, è parimenti, vittima
come è della forma capitale, un usufruttuario fedifrago della salute della specie. Ed
anche l'insensato accenditore di sigarette che si ritiene padrone della propria persona e
della propria vita ha l'atteggiamento tipico alla proprietà privata.
Chi bestemmia di costruire comunismo deve pure avere un modulo del trattamento
dell'uomo sociale anche come organismo fisico, prima di tutto come organismo fisico.
E' vergognoso che canti vittoria quando ha scelto tale modello nella feccia fangosa
della degenerazione borghese che va trattata non con la codarda imitazione, ma col
ferro e col fuoco della dittatura, sul cibo e sull'idea.
Il concetto che abbiamo in vista è che "il tenore di vita", altro traguardo inebriante
degli americani come dei russi, non si misura quantitativamente (danaro che il singolo
ha a disposizione per il consumo) ma qualitativamente (utilità non individuale ma
sociale del complesso di consumi adottati). L'aumento del reddito pecuniario e
mercantile non determina un miglioramento del regime alimentare e fisiologico della
collettività nazionale, ma una corruzione e degenerazione a tutti i livelli, soprattutto a
quello carognesco degli strati delle classi medie, che bassamente ovunque
l'opportunismo moscovita corteggia.
Con l'altra tesi di principio che non la persona ma la società sceglie tra i consumi
utili (materiali e non materiali), e la conclusione che rivolta i nervi al democratico
fangame: la rivoluzione proletaria è dittatura sui consumi (in primis su quelli dei
lavoratori del sedere). E' la sola via per disintossicare i servi del Capitale moderno, e
liberarli dalla stimmata di classe che esso ha loro stampata nella carne e nella mente.
Questa rigenerazione del consumo comporta in seguito l'umanizzazione e la
rivitalizzazione del capitale morto, cioè degli strumenti produttivi e della natura. Nei
paesi a capitalismo senile e degenerato, questi provvedimenti spezzeranno la tendenza
ad ammortizzare il capitale fìsso, trasmettendo ormai l'eredità in esso accumulata dalle
generazioni all'attività presente, che si alzerà al livello di abilità di tutta la specie 244.
Essa sarà necessaria, tuttavia, non tanto per dominare la produzione (che basterà
lasciar cadere i livelli inferiori liberando i servi del lavoro e delle galere aziendali per
244
Tra i paesi sviluppati è d'uopo fare ancora una distinzione per quanto riguarda le misure di transizione
al comunismo. La lotta sarà più aspra e più lunga nei paesi meno sviluppati dal punto di vista
capitalistico, quali l'Italia, la Spagna, la Grecia, l'Irlanda, per tacere dei paesi dell'Europa balcanica e
danubiana, o delle repubbliche del Centro e del Sud America. In questi settori periferici del capitalismo, il
potere della dittatura proletaria dovrà infatti procedere anzitutto alla distruzione della piccola produzione
urbana e agricola che non potrebbe essere eliminata per via legale, ossia con una serie di disposizioni
legislative, ma che solo sarà sradicata in una vibrante lotta con mezzi economici e politici. In altri termini,
il proletariato organizzato verrà a capo della piccola produzione accelerando il processo di assorbimento
delle piccole unità nei grandi monopoli di Stato. In Italia, ad esempio, per fissare le idee, questa lotta sarà
delle più aspre, perché la piccola produzione vi è molto diffusa -e non solo nell'agricoltura, anzi
(saremmo tentati di dire: al contrario) - così come il casino individualista delle classi medie.
Per quanto riguarda la Francia, è sempre più vicina all'Italia che non all'Inghilterra: vedi il capitolo sulla
Differenza di centralizzazione di mezzi di produzione nei diversi paesi, assai sfavorevole alla Francia
rispetto all'Inghilterra, in Marx, Il Capitale libro I, capitolo VI inedito. Newton Compton Ed., 1976, p.
132-137, per quel che concerne l'industria, e Marx-Engels, Utopisme et communauté de l'avenir. Ed.
Maspéro, Parigi 1976, cap. Terra e natura, p. 96-101, per quanto riguarda l'agricoltura.
Al contrario, nei paesi capitalistici ultra-sviluppati, quali la Germania, gli Stati Uniti,
l'Inghilterra, il Giappone, in cui già da tempo il capitalismo monopolistico si è trasformato — in
maniera più o meno larvata — in capitalismo monopolistico di Stato, la conquista del potere da
parte del proletariato coinciderà con l'inizio della demolizione dei rapporti capitalistici.
210
miliardi di ore), ma soprattutto per capovolgere la prassi consumatrice, sradicare le
forme patologiche del consumare, eredi di forme di oppressione di classe. L'uomo
singolo, il cittadino, l'individuo, come perderà anche sotto il Terrore rivoluzionario la
possibilità di possedere ricchezza e valore, uccidendosene in lui il gusto e la
propensione belluina, così perderà, divenendo una cellula dell'eterno — e saremmo per
scrivere "sacro" - Corpo sociale, ogni diritto a ledere se stesso, a rovinare il proprio
organismo animale, ad intossicarsi separandosi, come cellula isolata, dal resto della
società. Con ciò non lederebbe solo il proprio corpo, ma la società. E' la premessa
all'applicazione rigorosa della società comunista enunciata nel Manifesto; "Il libero
sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti". Il rivoluzionario, in
quanto membro del Partito che è l'anticipazione della società comunista, non può
essere che un disintossicato dalla merda deleteria della società borghese in
putrefazione. E' una delle ragioni per cui nella e prima della rivoluzione più della
massa, che sarà disintossicata in seguito dal marchio di servaggio, prevede e combatte
attivamente la minoranza organizzata del partito, nutrita nel vivo suo sangue
dell'antiveggente e combattente Dottrina Integrale 245.
5. Rapida "rottura dei limiti di azienda". Al perfezionamento tecnico ostava una
volta la piccolezza delle aziende, oggi vi osta la loro autonomia privata, anche se sono
aziende vaste e poderose. Lo sviluppo era ieri inceppato dalla proprietà privata
personale, oggi lo è di nuovo dalla proprietà capitalistica.
Superato l'aspetto mercantilistico della produzione, l'impianto locale non sarà che
un nodo tecnico della grande rete generale guidata razionalmente da soluzioni unitarie,
l'azienda non avrà più bilanci d'entrata e di uscita e quindi non sarà più tale, poiché al
tempo stesso il produttore non sarà più un salariato 246.
L'azienda rappresenta una forma acuta di proprietà privata nell'ambito della
produzione sociale e impedisce ogni pianificazione attiva, oltre che la socializzazione
della distribuzione delle forze produttive nell'economia. Con questa misura, l'operaio si
libererà dei limiti corporativi che determinano non solo il suo reddito, ma un angusto
localismo nel suo modo di vita, di abitazione, ecc. E' un primo passo verso l'abolizione
del proletariato. Come dimostra la misura che segue, la sua stessa vita
extraprofessionale era regolata in funzione del suo posto nell'azienda, che gli dava lo
status o di operaio aristocratizzato o di paria.
6. "Rapida abolizione della previdenza" a tipo mercantile. Il riformismo si è
adoperato nel legare al capitale l'operaio (spogliato di ogni mezzo di produzione, di
245
Una trasformazione radicale degli uomini si conferma necessaria sia per la creazione generale di
questa coscienza comunista sia per la realizzazione del fine stesso. Ora, una tale trasformazione non può
realizzarsi che in un movimento pratico, in una rivoluzione. Questa rivoluzione non è dunque soltanto
necessaria perché è l'unico mezzo per rovesciare la classe dominante, ma anche perché la classe
dominante non può essere abbattuta in nessun'altra maniera, ma anche la classe che l'abbatte può riuscire
solo in una rivoluzione a levarsi di dosso tutto il marciume del vecchio regime e diventare capace di
fondare la società su nuove basi" (cf. Marx-Engels, Ideologia tedesca, in Opere, vol. V, Roma 1972, p.
38).
La dura scuola della guerra di classe sarà, inevitabilmente, il punto di transizione a questa
forma più alta dell'uomo che avrà lottato per emanciparsi, pena il rimanere schiavo. Non è
un'esigenza di ordine etico: il corso determinato dell'evoluzione della lotta di classe porrà
all'ordine del giorno la guerra mondiale fra capitalismo e socialismo, che chiuderà la preistoria
dell'umanità.
246
Cf. Elementi dell'economia marxista, 1929, par. 53, Quale sarà l'ulteriore sviluppo del
capitalismo e Forza, violenza e dittatura nella lotta di classe, in Prometeo, 1947, cap. V.
211
ogni proprietà che non sia quella delle sue broccia, e che vive settimanalmente della
sua paga: che non ha, cioè, niente da perdere oltre alle proprie catene), facendogli
balenare il miraggio di un 'ultima riserva sulla quale poter contare: le Assicurazioni
Sociali, che lo proteggono da malattia e disoccupazione e gli garantiscono una
pensione per la vecchiaia. Dunque non mancherà mai di nulla: è un funzionario che
produce capitale — fino alla crisi, allorché si accorge che la sua sorte è legata a quella
di tutta la classe, il proletariato. Sostituzione di questo regime legato alla professione e
all'anzianità, ecc., col sistema (previsto dal programma di Gotha) dell'alimentazione
sociale dei non-lavoratori presi a carico dalla società secondo i loro bisogni fisiologici
determinati.
7. "Arresto delle costruzioni" di case e luoghi di lavoro intorno alle grandi città e
anche alle piccole, come avvio alla distribuzione uniforme della popolazione sulla
campagna. Riduzione dell'ingorgo velocità e volume del traffico vietando quello inutile
- come gli sterili scorrazzamene domenicali col pretesto di prendere aria ...
inquinandola.
8. "Decisa lotta" con l'abolizione di carriere e titoli, come fin dalla nascita ha fatto
la Comune di Parigi; misure contro la specializzazione professionale e la divisione
sociale del lavoro.
9. Ovvie misure immediate, più vicine a quelle politiche, per sottoporre allo Stato
comunista la scuola, la stampa, tutti i mezzi di diffusione, d'informazione, e la rete dello
spettacolo e del divertimento, diretti oggi dalla centrale di Washington.
Se queste misure, che introducono la fase del socialismo inferiore teorizzato da Marx
nella sua Critica del programma socialdemocratico di Gotha, si distinguono da quelle
del Manifesto, ciò è dovuto al fatto che la base economica è pienamente maturata nelle
società borghesi sviluppate. Essa è ormai ultra-centralizzata e socializzata nelle mani
di alcune grandi Banche e dello Stato, ed è dunque facilmente comandabile e
orientabile in senso comunista. Questo programma immediato si basa, in completa
coerenza col marxismo, sullo sviluppo raggiunto dalla produzione, e non vede lo Stato
come dispensatore del benessere 247. Le sue prime misure, più specificamente
247
Oggi il famoso mito dello Stato assistenziale è alimentato soprattutto dalle grandi realizzazioni
dello Stato russo nel campo della produzione industriale, che è non il risultato dei piani che non possono
essere razionali in regime capitalistico, ma della giovinezza del modo di produzione in un paese appena
giunto sulla scena borghese. Proseguendo giusta la formula negazione è definizione, opporremo i piani di
produzione comunitari di Marx ai modernissimi piani dei paesi capitalistici dell'Occidente e al loro
modello più o meno riconosciuto - i piani quinquennali, ecc. russi. Tutti hanno in comune il calcolo
mercantile e la priorità delle produzioni che favoriscono il capitale (industria pesante), mentre pongono in
secondo piano le sezioni dei mezzi di sussistenza per gli operai (agricoltura), mezzi o che mancano nei
magazzini o divengono talmente cari che il consumo, calcolato in calorie, diminuisce. Nel socialismo, le
priorità saranno totalmente invertite. Ancora un'altra differenza: mentre i piani socialisti alla Marx sono
costrittivi, fissati in anticipo secondo i bisogni degli uomini (e non della produzione e della sua crescita,
che può essere alta da un anno all'altro solo nell'industria) e in quantità fisiche di valori d'uso, i piani russi
danno crescente priorità al valore di scambio (denaro). Più ci si allontana dal primo piano quinquennale,
più il piano si centralizza e tende a riflettere l'anarchia della produzione borghese, perdendo il suo
carattere obbligato per assumere alla fine le caratteristiche vaghe di un controllo post-produttivo di
contenuto più statistico che programmatico, sicché il piano seguente è una previsione di crescita in
percentuale (fissata da intenti politici) che non dispone dei mezzi per imporsi. Di qui le crescenti
differenze tra realtà ottenuta e desiderata. Nel corso di questi ultimi venti anni, abbiamo in effetti assistito
ad un intreccio di rettifiche sempre più grande fra piani quinquennali, decennali, e addirittura ventennali
che si completano e ... si contraddicono.
La Borsa, che in Occidente regola i trasferimenti nazionali e internazionali di capitali tra i diversi rami
d'industria, costituisce uno di questi piani quinquennali in rapporto ai piani decennali dello Stato locale.
212
economiche, rivoluzionano i rapporti economici in quanto mirano ad imporre
l'egemonia dei lavoratori produttivi nella produzione giacché il rovesciamento
essenziale che resta da operare prima di pervenire al pieno comunismo senza classi,
denaro, mercato, valore di scambio, e dunque anche senza Stato, è la
deproletarizzazione dei produttori o del lavoro. Per tal motivo, bisogna portare a
termine il processo già chiaramente avviato nel programma immediato, generalizzando
di forza la partecipazione alla produzione di tutti i membri della società, perché si
tratta in ultima analisi di emancipare tutti gli uomini senza eccezione: il lavoro
produttivo è il mezzo per livellare e poi abolire tutte le classi. Anche se le classi
dominanti oziose, parassitarie e corrotte non accetteranno di buon grado quest'obbligo
di partecipare al lavoro al fine di diminuire il carico per tutti, e dunque fare un passo
avanti verso la trasformazione dei proletari in liberi produttori associati, ciò non toglie
che socialmente sarebbe un vantaggio anche per esse elevarsi al livello del lavoro per
emanciparsi. Infatti - ed è questo che conta - fino alla sua estinzione, il proletariato
resterà una classe che farà del sopralavoro e dunque sarà sfruttato.
Queste misure per i paesi supersviluppati non sono in Marx-Engels espressamente
enunciate in un programma specifico, ma sono implicate da tutte le loro conclusioni
teoriche nel Capitale e nella definizione del passaggio dal socialismo inferiore al pieno
comunismo. Inoltre, queste misure di dittatura sul consumo hanno appunto lo scopo di
modificare i rapporti di distribuzione o di circolazione, che determinano in tutte le
società la forma della produzione, trovandosi l'economia produttiva modellata,
organizzata e sistematizzata dal modo di ripartizione, ed essendo la forma il mezzo di
intervento di ritorno delle sovrastrutture esistenti sulla base economica. Qui sta ancora
la spiegazione - lo ripeteremo finché sarà necessario - del fatto che la dittatura del
proletariato è al centro della dottrina marxista e del trapasso della forma capitalista al
comunismo.
Non si tratta infatti di scovare nuove macchine, di lavorare più produttivamente,
ma più razionalmente, dunque di organizzare meglio la produzione in senso qualitativo
anziché quantitativo nei paesi capitalisti sviluppati Ora, oggi le forze produttive e la
produzione sono già socializzati, mentre /'appropriazione privata (degli individui, dei
gruppi, delle società, dei monopali, dello Stato borghese) domina sul mercato
provocando di ritorno l'anarchia nella produzione con le crisi periodiche, ecc. Non è
dunque sorprendente che il comunismo, che è estensione alla distribuzione e alla
società della socializzazione già realizzata nella produzione, esiga il rivoluzionamento
del consumo produttivo e individuale, essendo il piano di quest'ultimo a determinare di
ritomo - a partire dai bisogni umani sociali e non anarchicamente individuali - ciò che
deve essere prodotto, ossia qualità e quantità della produzione.
Un semplice esempio: la sede di plusvalore e la caduta del saggio di profitto
spingono il capitale ad una frenesia di sovrapproduzione che impone all'umanità i
prodotti che danno il più alto margine di utile e i cui costi di produzione sono più bassi.
Ma questi prodotti non corrispondono assolutamente ai bisogni elementari ed essenziali
dell'uomo, quanto al mercato solvibile, caratterizzato nelle società di classe dal fatto
In Russia, l'inferno speculativo della borsa è installato nel cuore dello Stato, dimostrando che il
capitalismo non è un semplice rapporto sociale nazionale, bensì internazionale. Le azioni russe si
concentrano tutte nel rublo, come le azioni americane nel dollaro (che fluttua pericolosamente verso il suo
declino dopo la crisi del 1970). In un'epoca in cui il capitale diviene sempre più cosmopolita, il grande
gioco della speculazione - altro aspetto dell'anarchia della produzione e della distribuzione mercantile e
monetaria - si fa nelle relazioni tra gli Stati.
213
che il denaro, quindi il potere di assorbire la pletorica produzione, si trova concentrato
nelle mani di una minoranza oziosa, i cui bisogni vitali sono soddisfatti e che spinge
alla produzione di articoli di lusso, inutili, e addirittura di droghe, ecc. Proprio queste
branche che rappresentano l'attuale sovrapproduzione (con l'armamento che serve a
fare la guerra per liquidarla e per asservire ancor più le classi produttrici) devono
essere sfrondate e distrutte perché si possa produrre anzitutto quanto è essenziale e
vitale, non solo per una frazione privilegiata di uomini e di paesi, ma per tutta
l'umanità, e si possa in seguito razionalmente mettersi a produrre per soddisfare
bisogni meno urgenti, se pure indispensabili alla pienezza dell'uomo.
Quando sono gli individui a determinare cosa consumare, e dunque cosa produrre,
mediante la libera scelta sul mercato, che vale per i borghesi come per i proletari, il cui
margine è molto ridotto, si ha l'anarchia della produzione, e non è possibile alcun
piano razionale e comune a tutti gli uomini L'atto della dittatura sul consumo eliminerà
dunque lo spudorato spreco della produzione; permetterà al contempo un piano di
disinvestimento che metterà fine alla produzione per la produzione e inaugurerà la
produzione per lo sviluppo onnilaterale dell'uomo. Esso rivoluzionerà dunque anche le
sovrastrutture politiche, giuridiche, ideologiche e artistiche delle società di classe,
impedendo agli individui di ergersi in strato privilegiato a spese dei produttori,
appropriandosi i mezzi materiali per i loro interessi privati e per i loro particolari
godimenti. Secondo la formula di Marx, occorrerà cambiare in primo luogo "la
distribuzione che è la potenza in azione della proprietà privata" (Teorie sul plusvalore).
Solo questa dittatura, fissando all'uomo un modulo per il suo consumo, la sua
produzione, dunque per lo sviluppo dell'umanità, permetterà nella prima fase dopo la
conquista del potere di disciplinare gli aspetti degli individui, mediante il razionamento
e l'attribuzione di una razione che soddisfi i bisogni primari, data la penuria nei tempi
di rivoluzione. Una volta che gli individui avranno imparato a dominarsi, a
controllarsi, dunque ad essere padroni di se stessi, della propria volontà, del proprio
spirito e del proprio progetto e azione in un senso sociale, essi avranno cessato di
essere degli schiavi salariati e potranno sedere a una stessa tavola sovrabbondante per
mangiare insieme come esseri umani e non come bestie feroci nella giungla in cui
ciascuno vuole strappare per sé il pezzo migliore e cibarsi più del suo vicino. La sete di
accumulare sarà estinta, e ciascuno penserà a dare all'altro prima che a se stesso, e ciò
ucciderà ogni concorrenza e spirito mercantilista di profitto privato. Ciascuno troverà
il proprio piacere e la propria gioia nel piacere e nella gioia degli altri, e la comunità
realizzata segnerà la fine della preistoria.
Le misure di "moralizzazione" e di risanamento dell'ideologia e della vita
quotidiana assumono il loro giusto senso a partire dalle prime misure, poggianti in
questo Programma sulla salda base di un rivoluzionamento economico che tende alla
proletarizzazione di tutti, primo passo dell'evoluzione dei lavoratori produttivi in liberi
produttori associati, e quindi in uomini universalmente sviluppati. Il lavoro avrà allora
perduto ogni carattere di costrizione e sarà divenuto una libera attività, che pur
potendo richiedere uno sforzo notevole, non per questo sarà ripugnante — come già
oggi lo sport, l'alpinismo, ad esempio. A questo stadio, cadrà la contraddizione tra
produzione e consumo, tra lavoro e godimento, tra attivo e passivo (tanto cari ai
grammatici delle società di classe), tra singolare e plurale, poiché l'uomo
grammaticalmente singolare si sarà identificato con la pluralità degli uomini,
divenendo un uomo sociale che, secondo l'espressione di... Hegel, "sa fare tutto ciò che
fanno gli altri", dal momento che la divisione del lavoro è abolita al livello della società
214
e dell'individuo e che tutti gli uomini collaborano nell'universale processo di
metabolismo con la Natura.
La potenza del marxismo rifulge nel fatto che, contrariamente alla miopia
immediatista di revisionisti ed opportunisti che ad ogni fase vogliono arricchire la
dottrina con elementi nuovi a loro dire imprevedibili, perché si delimiterebbero solo di
volta in volta, lasciando lo sviluppo della fase successiva nell'oscurità più completa,
l'evoluzione di questa piena fase del comunismo superiore è stabilita scientificamente, e
non più utopisticamente, a partire dalla stessa base dell'economia capitalistica. E il
partito comunista, nella sua critica delle odiose condizioni borghesi, non solo anticipa
teoricamente (o intellettualmente) le condizioni del comunismo superiore, ma vi forgia
altresì le armi della lotta per rovesciare l'ultima società di classe.
Resta da sciogliere l'ultima contraddizione nei rapporti degli uomini fra di loro e
con la produzione, contraddizione che si esprime nella differenza tra le formule del
primo stadio ("Chi non lavora non mangia, se è in grado di lavorare", o "il lavoro è
presentemente l'unico fondamento della società") e quella del secondo ("Da ciascuno
secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni"), in cui il legame tra
attività e consumo è spezzato a livello degli individui, di modo che cade la
predominanza o il presupposto di un termine in rapporto all'altro, senza che tuttavia
nessuno di questi termini, ora riconciliati e confusi, venga negato. Nel comunismo, il
tempo libero sarà infatti la più grande - la prima - forza produttiva dell'uomo, perché
esso condiziona il suo sviluppo. Base ne è tuttavia la grande industria capitalistica che,
come risulta luminosamente dal testo di Marx sull’Automazione, è una macchina per
ridurre sistematicamente il lavoro necessario dell'operaio. Insomma, la base e la
possibilità della preminenza del tempo libero sul tempo di lavoro esiste già oggi come
risultato dialettico ed involontario del modo di produzione capitalistico 248.
Nell'Internazionale Marx aveva perciò lanciato la parola d'ordine dell'abolizione
del salariato, che è rivendicazione attuale nei paesi avanzati e significa abolizione
dell'ultima classe universale, il proletariato. E' questo il compito centrale dello stadio
inferiore del comunismo una volta che borghesia, proprietari fondiari e loro sotto-
prodotti siano stati dissolti anche come classi fisiche, dopo che la loro funzione
economica era cessata già prima della fine del capitalismo.
248
Creando una massa sempre crescente di tempo libero, lo stesso capitale capovolge la base del suo
modo di produzione che si fonda sul lavoro altrui produttore di ricchezza e di plusvalore: "Nel suo
secondo stadio, il capitale produce essenzialmente il plusvalore relativo, dovuto allo sviluppo delle forze
produttive dell'operaio. In rapporto alla giornata lavorativa, ciò rappresenta UNA DIMINUZIONE DEL
TEMPO DI LAVORO NECESSARIO e, in rapporto alla popolazione, UNA DIMINUZIONE DELLA
POPOLAZIONE OPERAIA NECESSARIA" (Marx, Grundrisse, cit., p. 792).
In altri termini, lo stesso capitale comincia già ad abolire il proletariato, accorciando sempre più il
tempo di lavoro necessario, il capitale variabile, in rapporto al sopralavoro o lavoro gratuito per la società.
Nei paesi sviluppati, il capitale tende a soppiantare il proletariato, a deproletarizzaie, se così si può dire,
mentre alla scala mondiale esso proletarizza masse sempre più ingenti. Questo movimento è
contraddittorio quanto il processo di valorizzazione e di svalorizzazione, perché il capitale che aumenta il
plusvalore rispetto al lavoro necessario, giunge ad eliminare il lavoro vivo, senza il quale non c'è più
plusvalore.
215
Non la teoria soltanto procede con folgoranti anticipazioni su un futuro ancora
lontano, ma anche l'economia e la prassi - senza di che saremmo solo dei sognatori. E'
dunque possibile antivedere la dinamica dei modi di produzione successivi e orientare
ciascun insieme di misure di transizione corrispondente a un livello dato verso quello
seguente, e prepararlo attivamente. La società comunista è al centro delle
preoccupazioni e delle lotte, del proletariato fin dal tempo dei suoi primi utopistici
balbettii: l'istinto e l'intuizione nati dalle condizioni materiali sono guide assai più
sicure che non la Ragione.
La critica del lavoro salariato si è così potuta fare molto prima che fosse possibile
la sua abolizione sul piano economico. I primissimi socialisti e gli utopisti avevano già
vigorosamente denunciato gli orrori del lavoro salariato che le masse lavoratrici
quotidianamente subivano. Parlare di lavoro salariato non significa fare della filosofia,
presentando il lavoro come un 'attività umana generale nella e sulla natura, ma
significa legarlo a uno dei modi transitori di produzione che costringono e dominano
sempre più il lavoro. Il programma dei comunisti per il passaggio dall'epoca capitalista
a quella socialista non potrà perciò mai essere quello di una Repubblica nella quale i
lavoratori siano l'ideale e il fine in sé; se il lavoro diviene un obbligo o addirittura è
militarizzato, è solo per diminuire lo sforzo e abolire le classi che lo sfruttano vivendo
del sopralavoro. E non sarà mai che una misura transitoria di una fase eminentemente
fluida, che in ultima analisi è solo una repubblica in cui i proprietari fondiari e i
borghesi industriali e finanziari sono espulsi o proletarizzati, in attesa che anche il
lavoro e il proletario siano rivoluzionati
In breve lo stesso programma iniziale non deve mai tendere ad esaltare, bensì a
diminuire il carico di lavoro - già nella primissima fase, allorché in un paese arretrato
il proletariato deve accrescere considerevolmente le forze produttive, sostituendosi a
quello che avrebbe dovuto essere il compito storico della borghesia. Se il proletariato
conquista il potere, non è per frenare l'iniziativa che le masse hanno preso nella
rivoluzione permanente rovesciando gli accaparratori del loro sopralavoro e del loro
tempo libero, da essi dilapidato per gli svaghi, le arti e l'amministrazione dello Stato
oppressore. Così la presa del potere mediante l'atto rivoluzionario, a qualsivoglia
livello economico di sviluppo, innesca il processo dell'abolizione dell'antinomia tra
lavoro, da una parte, e attività politiche, amministrative e ideologiche, dall'altra,
riconciliando al lavoro manuale i suoi frutti "intellettuali", prima separati ed
antagonisti. Il comunismo è presente fin dalle prime aspirazioni delle masse lavoratrici,
e si manifesta in tutte le loro lotte per l'emancipazione.
I regimi fascisti - tutti lo sono oggi più o meno apertamente - parlano in lungo e in
largo di lavoro, e la carta di Mussolini non senza ragione si chiamava "Carta del
Lavoro": gli sfruttatori vivono del lavoro altrui. Notiamo di passaggio che mai la classe
operaia può considerare una conquista il partecipare alle istituzioni, anche sotto la
dittatura del proletariato nei paesi sviluppati, poiché il proletariato deve essere
progressivamente abolito.
La sua esigenza sociale non è neppure quella di trovare un posto nella gestione
dell'azienda: non per caso Lenin, sulla scorta di Engels, avrebbe preferito lasciare ai
loro posti il capitalista e lo specialista pagati dagli operai sotto il controllo di questi.
Dal momento che il lavoro non è un ideale, mettere un operaio alla testa di altri operai
non impedisce che il primo divenga direttore o caporeparto.
Né la fabbrica è tanto meno il fine supremo a cui tendono le conquiste del
socialismo. Se Fourier definì le fabbriche capitalistiche come bagni penali mitigati,
216
Marx, evocando le "case di lavoro" inglesi per i poveri, le qualificava come istituzioni
di terrore, il cui ideale si realizza nella manifattura borghese sotto il nome di
"Fabbrica". Tutto il moderno riformismo che scioglie inni alla tecnica produttiva
riposa sull'esaltazione del prodotto del lavoro (che fa la fortuna dei capitalisti) e non
sui bisogni vitali del lavoratore.
Marx cita già l'esempio odioso dello stakhanovista venale, questo individualista
fatto per essere decorato, che "lavora sia per sé e la sua famiglia, che per lo Stato del
capitale": "A Londra, per esempio, nell'industria meccanica, vige lo stratagemma che il
capitalista sceglie a capo di un certo numero di operai un uomo di forza fisica
superiore e gli paga trimestralmente o ad altra scadenza un salario supplementare, a
condizione che faccia tutto il possibile per pungolare a un 'emulazione estrema i
compagni di lavoro che ricevono soltanto un salario ordinario" 249.
Fin dai suoi primi passi, il programma della classe operaia - indubbiamente sotto
la suggestione dei magnifici rapporti del comunismo primitivo ancora vivo in alcune
sopravvivenze locali o in reminiscenze e costumi comunitari nelle masse, negli utopisti
o nei contadini di Mùnzer o del mir russo — enuncia che bisogna emancipare l'uomo, e
non emendare il lavoro. La società comunista si trova così anticipata, non idealmente
ma concretamente, dalle lotte e dagli sforzi, per quanto disperati ed incoscienti,
dell'immensa classe internazionale dei proletari di tutti i rami d'attività 250. La costante
parola d'ordine è dunque: diminuzione delle ore di lavoro. Basta col far sgobbare le
masse e pungolare con metodi derivati da quelli che si usavano per gli schiavi, o
addirittura per le bestie da soma e da macello, a cui almeno si risparmia la beffa di una
Costituzione che dichiara sacri e inviolabili i loro diritti, nonché tramandabili ai
discendenti dopo averle mangiate.
La società comunista dello stadio superiore inaugura un'evoluzione completamente
nuova e originale, impossibile nella stessa fase inferiore per la mancanza delle
pletoriche forze produttive create dalla classe operaia: l'atroce contraddizione fra
tempo di lavoro e tempo libero si risolve dialetticamente, a partire dalle basi materiali
preparate dalla preistoria delle società di classe. Le misure di transizione fanno parte
249
Cf. Marx, Il Capitale I, cap. XIX, II salario a cottimo, nota.
250
Il partito, unificando in un solo corpo e in un solo programma storico tutte le lotte dei lavoratori
dei diversi settori della produzione agricola, industriale, ecc., è in grado di anticipare la società comunista
senza specialità di mestiere, perché raggruppa immediatamente in un insieme tutti gli individui, a
prescindere dalla divisione del lavoro e dalla loro attività economica particolare, mentre le organizzazioni
economiche, sindacati, ecc. restano legate alle condizioni attuali del modo di produzione e non possono
sorpassarle che raggiungendo il punto di vista politico del partito comunista. Questo partito di tutti i
lavoratori contro tutti gli sfruttatori, schiavisti, feudali o borghesi, anticipa in maniera materiale
l'ambiente solidale e collettivista del comunismo in mezzo alla diversità delle forme economiche della
schiavitù dei lavoratori. Il comunismo opera al livello delle classi per dissolvere tutte le differenze
economiche di classe, andando all'essenziale, alla radice: l'uomo e le sue aspirazioni all'emancipazione
dalle odiose condizioni odierne.
Tale partito, vero motore del Futuro, si oppone ad ogni visione immediatista che vede ovunque nuove
conquiste e fasi continuamente superate nella storia, nella politica e nell'economia, ignorando ogni
principio vincolante e costrittivo, ogni continuità e organicità, in breve ogni rapporto necessario tra il
punto di partenza e la linea di arrivo, con quel filo che rappresenta la coerenza attraverso i cicli di
proprietà, di potere e di espansione produttiva e mercantile, che la storia ha percorso. In questo senso,
l'opera del comunista Marx non si deduce solo dai rapporti apparenti del capitale al lavoro salariato; come
la storia, che ne lascia tracce ovunque e lo anticipa già in maniera folgorante, egli lega il comunismo
primitivo al comunismo superiore, il comunismo "nostro", non più etnico o nazionale, ma comunismo di
specie.
217
di questa contraddizione vivente, ma sono il mezzo sicuro per scioglierla, a condizione
che il potere sia saldamente nelle mani del partito comunista più ancora nell'interesse
delle masse di domani che di quelle di oggi.
È stata omessa l'ultima parte, tutta di citazioni dai classici. Inserire? (Ma controllare
l'integrità dei testi e le eventuali manipolazioni
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