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Giampietro D.

Berti

LA DIMENSIONE LIBERTARIA DI PIERRE-JOSEPH PROUDHON

Citt Nuova Editrice

IDEE/Sezione Readings Collana a cura di Gaspare Mura

Tutti i diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento riservati per tutti i paesi 1982, Citt Nuova Ed., via degli Scipioni 265 - 00192 Roma

...Applaudo di tutto cuore la vostra idea di portare in luce tutte le opinioni; fac ciamo una buona e leale polemica; dia mo al mondo lesempio di una informata e lungimirante tolleranza, m a non fac ciamo di noi stessi, perch siamo alla testa di un movimento, i campioni di una nuova intolleranza, non posiamo ad apo stoli di una nuova religione, fosse pure la religione della logica, la religione del la ragione . P.-J. Proudhon a Marx, 17 maggio 1846. Cosa stupefacente, la maggior parte dei rivoluzionari, a imitazione dei conservatori che combattono, non pensano che a costruire prigioni . P.-J. Proudhon. La libert: ecco la prima e lultima pa rola della filosofa sociale . P.-J. Proudhon.

P R EM E SSA

sempre scorretto strumentalizzare un autore a fini politici o anche religiosi. La variet e le suggestioni del pen siero di Pierre-]oseph Proudhon non possono essere infatti intese nel loro valore positivo come pure nei loro limiti reali, partendo unicamente dalla utilizzazione che se. n fatta anche di recente per motivi di attualit politica o anche dalla opposizione radicale a tutta la sua figura a cagione del suo pi volte proclamato ateismo e anticlerica lismo. Del resto, Henri de Lubac in un noto libro, Proudhon et le christianisme (Parigi 1945), da teologo intelligente, ha tentato di penetrare il senso ultimo delle affermazioni anti cristiane di Proudhon riconducendole allorizzonte cultu rale in cui si mosso lautore nel suo tempo, e, pur denun ciando i possibili esiti anticristiani e soprattutto antiecclesiastici del modo in cui strutturato questo pensiero, ha evidenziato come laspirazione alla libert e alla giustizia proprie di Proudhon non fossero di per s contrarie ai va lori cristiani. Non sembra perci scorretto, al di l delte professioni di fede atea di questo autore, riappropriarsi dei numerosi stimoli fecondi dovuti al pensiero sociale di P.-J. Proudhon. E ci non per una lettura strumentale o politica, quanto piuttosto per un'operazione culturale, che lo scopo a cui spera di contribuire questo lavoro. Del resto, nonostante che il pensiero sociale di Proudhon rappresentasse ancora un mito in alcuni strati della cul tura europea dllOttocento: noto come il conte Pierre Bezukov di Guerra e pace di Tolstoj incarnasse l'ideale so ciale e libertario di Proudhon; come peraltro il suo pen siero abbia ispirato il sindacalismo francese fine Ottocento, dallanarco-sindacalismo di Pelloutier al sindacalismo rivo luzionario di Sorel; e nonostante si siano occupati di Prou dhon in questo secolo sociologi di rilievo come Pierre Ansart, Georges Gurvitch, fino allultimo saggio di Jacques Langlois, Attualit di Proudhon, Milano 1980, il pensiero proudhoniano stato oscurato dal trionfo del pensiero marxista. Ora, proprio lantitesi Proudhon-Marx, che si manifestata fin

Premessa dallinizio nei rapporti tra questi due autori, che polarizza lattenzione dello studioso, il quale si trova di fronte a due diverse e ben precise concezioni della societ e dei rapporti sociali: da una parte, il collettivismo comunista di Marx; dallaltra, il federalismo libertario e mutualista di Proudhon. E quindi a due diverse e opposte concezioni della funzione delleconomia nella societ: da una parte, leconomia di Stato, intesa come totale statizzazione dei mezzi di produ zione di Marx; e, dall'altra, leconomia autogestionaria di Proudhon secondo la quale la propriet deve trasformarsi in possesso da parte del lavoratore di tutti i mezzi che aiutano il suo sviluppo personale e sociale, con la conse guente valorizzazione dell'economia di mercato che sola pu impedire allo Stato di divenire Stato-padrone come di fatto avviene negli Stati del socialismo reale e soffoca tore delle libert individuali. chiaro che quando Marx, nel 1847, scrisse la Miseria della filosofa per combattere e ridicolizzare le critiche che Proudhon gli aveva mosso lanno precedente nel Sistema delle contraddizioni economiche, ov vero filosofia della miseria, si tratt allora non di una po lemica casuale, ma dello scontro tra due diverse concezioni delleconomia, dei rapporti sociali e della politica. Scontro che tuttora permane e che sottende in fondo due diverse concezioni della persona umana, ossia due diverse antropo logie. Lesposizione attenta di alcuni principali momenti del pensiero di Proudhon la si potr trovare nelle pagine del presente lavoro; ma possiamo qui chiederci, a titolo indica tivo: Quali sono gli elementi che rendono ancor oggi inte ressante il pensiero di questo autore primo Ottocento, originario della campagna francese, esponente di un socia lismo riformista ante-Marx e anti-Marx? Anzitutto, l'intuizione premonitrice, rivelatasi poi esatta nei Paesi del cosiddetto socialismo reale, che espropriare il lavoratore di tutti i mezzi di produzione non significa abolire il capitalismo, piuttosto crearne uno nuovo e peg giore, che riproporr nuove e pi temibili alienazioni: il capitalismo di Stato. In secondo luogo, la certezza che la pianificazione eco nomica da parte dello Stato, con labolizione delleconomia di mercato, significa n pi n meno che la fine della libert. Dalla propriet al possesso la formula di Proudhon, secondo il quale il possesso, allargato a tutti i lavoratori, sinonimo di libert. Ci viene condensato dal Proudhon nel termine: autogestione, che non dobbiamo intendere iden tificandolo con modelli autogestionari fin qui realizzati, bens come ideale ispiratore di un'economia decentrata a
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Premessa

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cui deve corrispondere uno Stato che non assuma tutto il potere, come nel marxismo, ma che sia puramente arbitro degli inevitabili conflitti sociali. Si tratta quindi per Proudhon di un sistema sociale e politico non totalitario, ma federativo oggi lo diremmo pluralistico in cui lelemento della societ civile ha la netta preminenza sulla societ politica. Infine, come giustamente ha fatto rilevare il Langlois nel saggio citato, non da trascurare lelemento personali sta insito nella riflessione del Proudhon. Quando Marx criticava aspramente Proudhon come piccolo-borghese per ch intendeva il progresso sociale non nel senso da lui voluto, ossia dalla persona verso la societ, ma viceversa dalla societ verso la persona, coglieva bene lelemento prevalentemente personalista del Proudhon, per il quale la persona resta il valore assoluto e non pu mai divenire una variabile dipendente dalla societ. Personalismo, si badi bene, che non vuol dire affatto individualismo, ma valoriz zazione della persona umana anche e soprattutto nella sua dimensione sociale. E qui diverrebbe interessante aprire il discorso sulle affinit e differenze esistenti tra Proudhon e il personalismo comunitario di Emmanuel Mounier. Pino a che punto il personalismo mounieriano pu ritrovarsi nel libertarismo di Proudhon? Qual lantropologia che fa da supporto alla sociologia di Proudhon e alla filosofia comu nitaria di Mounier, e sono esse compossibili? Ma questo un discorso ancora tutto da fare, provocatorio, si, ma indub biamente interessante perch condurrebbe inevitabilmente a ripensare il valore primario della persona umana, anche nel suo essere sociale. G.M.

IN T R O D U Z IO N E

Nella storia del socialismo, il posto di Pierre-Joseph Prou dhon non stato ancora messo nella sua giusta luce. E sen z'altro inaccettabile infatti che ancora oggi il giudizio su di lui ricalchi senza appello quello formulato cent'anni fa da M arx1. Un giudizio che lo vuole rappresentante socialista della piccola borghesia e perci teorico confuso e contrad dittorio, diviso tra gli interessi del proletariato e quelli della classe media. Altre interpretazioni non si discostano molto da quella marxista, tutte avendo in comune la convinzione che egli sia stato incapace di comprendere il mondo moderno segnato dall'irreversibile rivoluzione industriale. Perci l'immagine riportata da molta storiografia sempre quella di un uomo rivolto al passato, pi che al presente e al futuro. Nascerebbe da qui il suo anarchismo ribellistico, la natura della sua pro testa, morale oltre che politica, contro l'ordine esistente2. Si tratta di un'interpretazione sostanzialmente errata, in cui non gioca solo il pregiudizio marxista, ma anche una sco perta ignoranza delle sue idee. In Italia, ad esempio, l'esiguit degli studi che gli sono stati dedicati la causa della ripetiti vit stereotipa dei giudizi sul suo pensiero che si riscontra in tutte le storie del socialismo. Eppure Proudhon, a chi si ponga seriamente lintento di studiarlo, non si presta a confuse interpretazioni; la sua ope ra anzi induce a considerarlo uno dei massimi pensatori del socialismo. Egli infatti ha formulato per primo alcune ana lisi fondamentali sulla societ capitalista, indicando nello stesso tempo al movimento operaio le direttive di fondo per la sua emancipazione. Egli, soprattutto, l'iniziatore di una corrente di pen siero che, pur essendo completamente dentro la tradizione socialista, non viene a identificarsi per nulla con il marxismo, il che un punto di vista completamente diverso da quello consueto3. Di conseguenza, tenendo presente questa fondamentale demarcazione, possibile ripensare la storia del socialismo

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Introduzione

secondo una periodizzazione molto divergente da quella pro posta dall'autore del Capitale articolata, com noto, sullo spartiacque tra la fase utopistica e la fase scientifica, tra il socialismo umanitario e filantropico e il socialismo agguer rito e maturo dopo Marx . In effetti il socialismo, se inteso come aspirazione alla li bert e alla uguaglianza, non data certo dal Manifesto del Partito Comunista e non pu esaurirsi nella disamina mar xista, tra l'altro dedotta da unanalisi del capitalismo oggi superata. Occorre dunque ripensarlo come ima volont posi tiva volta alla trasformazione del mondo che non muova da presunte leggi oggettive della storia. In questo senso Proudhon pone il problema della realizzazione del socialismo al di l dell'improbabile determinismo economico, postulato e puntualmente smentito dalla storia, di Marx. Lipotesi del socialista francese rifugge quindi, ed la naturale conse guenza del rifiuto dell'atto di fede nella necessit storica, anche il concetto di rivoluzione intesa come conquista poli tica del potere. Su questa via essa scinde il destino storico del movimento emancipatore dal pathos giacobinista, ren dendo possibile al socialismo la reale comprensione delle conquiste liberali e la loro assimilazione fino a renderle stru menti operativi dell'emancipazione delle masse oppresse4. Soprattutto attorno a questa fondamentale questione, quella del potere, si chiarisce il nodo problematico del rap porto fra riformismo e rivoluzionarismo. consuetudine storiografica infatti legare la nascita della consapevolezza teorica del riformismo alla svolta revisionista. Ci si dimen tica con ci che esistito anche un riformismo, quello proudhoniano appunto, che esce dal dilemma tra conquista vio lenta del potere e conquista moderata, per fondarsi invece sull' indifferenza programmatica nei confronti di ogni azio ne volta al dominio. Il rifiuto della teorizzazione ideologica della conquista del potere viene anzi posto da Proudhon quale condizione imprescindibile della realizzazione della societ senza classi. Ci si dimentica dunque che esistito un socialismo rifor mista non necessariamente autoritario, a tutto vantaggio di uninterpretazione del riformismo come socialdemocrazia secondintemazionalista, ossia come soluzione deficitaria ed errata, ancora ima volta, rispetto al marxismo. Il riformismo non autoritario concepito dal socialista francese non coincide dunque con quello marxista. Ma nep pure completamente con il rivoluzionarismo anarchico. Con questultimo condivide 1 indifferenza nei confronti del potere; tuttavia la posizione anarchica nei confronti del po tere non solo quella della sua non considerazione, ma anche

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e necessariamente della sua distruzione. In ogni caso, tra Proudhon e il pensiero libertario esiste una similarit netta mente superiore a quella esistente nei confronti del marxi smo, e ci giustifica in sede critica la problematica definizio ne di Proudhon quale primo teorico dell'anarchismo5. Fondando su altre basi da quelle marxiste linterpreta zione della storia del socialismo, a partire da Proudhon si deve proporre dunque ima sorta di quadripartizione, perch come esiste ima duplice tradizione rivoluzionaria, cosi esiste una duplice tradizione riformista. La tradizione rivoluziona ria pu intendersi divisa tra la corrente autoritaria che va passando attraverso il marxismo, dal giacobinismo al lenini smo; e la corrente antiautoritaria deH'anarchismo iniziata da Bakunin. La tradizione riformista pu intendersi a sua volta divisa fra una corrente cominciata con Proudhon per conti nuare poi con Malon, Merlino, Russell, Cole, e una corrente autoritaria nata con il revisionismo socialdemocratico. In base a questa chiave interpretativa possibile comprendere tutta limportanza del pensiero proudhoniano, perch pone nel socialismo l'esistenza non solo della discriminazione fra rivoluzionarismo e riformismo, ma anche tra autoritarismo e libertarismo. Questa ripartizione, inoltre, consente anche una pi lucida identificazione teorica e storica dello scrittore di Besanon, che si rapporta tanto allanarchismo quanto al riformismo socialista, in una continua contrapposizione e intersecazione di piani alla fin fine riconducibili, ma non in modo lineare, al binomio socialismo-libertarismo. Il suo pensiero intende porsi in effetti come estremo equilibrio fra le ragioni della libert e quelle delluguaglianza, fra le tradizioni del libera lismo e quelle del socialismo fin allora contrapposti, fra la critica al capitalismo e il riconoscimento delle libert indi viduali in esso contenute, e per questo offre un ventaglio in terpretativo assai ampio. Ci confermato dalla ricchezza dei suoi contenuti, sempre comprensivi di tutte le dimensioni della realt sociale e in questo senso pi che presentarsi come unideologia ben definita, la teoria proudhoniana pu essere vista come ima riflessione continua sulla realt a par tire dalla convinzione della sua irriducibilit ad ogni sche matizzazione 6. Questo sforzo di cogliere la realt sociale nel suo infinito svolgimento non privo talvolta di incertezze metodologiche e concettuali, che risultano di ostacolo allinterpretazione del la sua dottrina. A questa intrinseca difficolt di interpreta zione, si aggiunge levoluzione stessa di Proudhon che da un democraticismo venato di socialismo, inclina, negli anni cru-

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Introduzione

ciali intomo al '48 (precisamente gli anni dal '46 al 56), ad un anarchismo radicale sul piano della critica politica7. Le stesse vicende personali intrecciate alla sua militanza politica lo hanno fatto apparire sia rivoluzionario, sia difen sore dellordine costituito, senza che sulluna o laltra defini zione converga un giudizio unanime. Cosi egli stato discus so in quanto fondatore del pensiero anarchico, oppure stron cato dai marxisti quale piccolo borghese; stato salutato dalla destra francese come teorico dellautorit familiare e riconosciuto dai socialisti liberali come loro precursore; stato identificato dal sindacalismo rivoluzionario come nume tutelare e intellettuale di Sorel e riscoperto infine dal socia lismo consiliare come iniziatore dellautogestione operaia8. La variet delle interpretazioni confortata dalla diversi ficata influenza che il proudhonismo ebbe su alcuni impor tanti esponenti democratici, socialisti e operai europei del secolo scorso. Dando per scontata la sua ascendenza sul mo vimento anarchico internazionale, ricorderemo intanto la grande suggestione da esso esercitata in alcuni rappresentanti del Risorgimento italiano della tendenza federalistica, auto nomistica e socialista9. Si sa che Proudhon era contrario allunit dItalia, ritenendo che occorresse invece per la nostra penisola una rivoluzione sociale a carattere contadino10. Queste idee che sottolineavano lindispensabile preceden za della rivoluzione democratica sulla guerra dindipenden za influenzarono assai personaggi come il Ferrarin, il PisacaneI2, il Montanelli13. tramite questo filone di pensiero che penetra in Italia il socialismo, che sar per molto tempo di ispirazione libertaria e um anitaria14. Grande importanza ebbe Proudhon anche in Spagna, so prattutto dopo il 1868. Le sue idee federalistiche ispirarono imo dei massimi democratici spagnoli dell'epoca, Pi y MarDopo la rinuncia di Amedeo di Savoia alla corona di f all15. pagna, fu proclamata nel 1873 la repubblica e posto a suo presidente proprio il Pi y Margalll. Anche se lesperimento repubblicano-federalista dur pochissimo, il pensiero proudhoniano contribu certamente a determinare, attraverso la mediazione di Pi y Margall, una coscienza pubblica democra tica I7. Lopera del Margall, La reaccin y la revolucin che si rifaceva in pieno alle tesi del francese rappresent una ietra miliare nella storia del pensiero politico spagnolo 18. 'influenza proudhoniana non si fece comunque sentire solo nell'ambito propriamente democratico, ma anche socialista e soprattutto anarchico, come lo testimonia la stessa Intema zionale in Spagna dopo il 1869-187019. Il sindacalismo anar chico, che permeer gran parte del movimento operaio spa

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gnolo, riprender i fondamentali concetti libertari del decen tramento, dellautonomia e del federalismo20. Oltre alla Spagna, anche la Russia vede una significativa diffusione del proudhonismo. Sono i massimi rappresentanti del populismo a esserne portatori. Prima Belinskij 21, poi Herzen e Cemysevskij subiscono il fascino delle opere di Proudhon, come, ad esempio, Quest-ce que la proprit? e De la cration de lordre dans lhumanitn. Anche qui determi nante la visione del federalismo e del decentramento, una visione che star poi alla base del socialismo decentraliz zato delle comunit di villaggio a. Interessante ricordare poi il rapporto Proudhon-Tolstoj. Il tolstoiano Guerra e pace tradisce, numerosi, i suoi debiti nei confronti del filosofo francese: nel titolo, in primo luogo, che si ispira allomonima opera di Proudhon; nel suo protagonista, il conte Bezukov, le cui idee sono chiaramente ispirate a quelle anarchi che; nella prassi pedagogica infine24. Non occorre ricordare poi che questa influenza si allarga a tutto lanarchismo russo, a cominciare da Bakunin e Kropotkin. Essa attraverser tutta la seconda met dellOttocento per riaffiorare durante la rivoluzione del '17. Basti pen sare alla originaria concezione sovietica cio la democra zia dei consigli che realizza lidea di fondo del superamen to della rappresentanza, superamento che sta alla base del lautogestione da lui per primo elaborata25. Ma certamente dove le idee di Proudhon troveranno la massima risonanza sar soprattutto nel movimento operaio e socialista francese. Si pu dire senzaltro che qui il suo peso fu duraturo e determinante. A lui infatti si rifacevano i dele gati francesi riunitisi a Londra con i capi tradeunionisti in glesi per dare vita alla Prima Intemazionale26. Loriginario documento steso in quelloccasione, che poi Marx elabor nei famosi tre testi Lindirizzo inaugurale, il Preambolo e gli Statuti era di netta ispirazione proudhoniana, come lo documenta la frase, diventata poi celebre, l'emancipa zione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stes si 27. Linfluenza antiautoritaria nella Prima Intemazionale non si limitava comunque solo alla Francia, paese in cui aveva la massima b ase28, ma anche al Belgio e in genere a tutti i paesi di lingua latina29. Si deve infatti al proudhonismo se la Prima Intemazio nale mantenne il suo carattere di associazione economica non disgiunta da quella politica, prima che la scissione volu ta dai marxisti rompesse questa unit dividendo in due di stinte organizzazioni il movimento dei lavoratori: da una parte lorganizzazione politica (il partito), dallaltra lorga nizzazione economica (il sindacato) 3.

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Introduzione

Va ricordato inoltre che molti esponenti della Comune di Parigi si riconoscevano nelle idee dello scrittore francese31 senza contare che il modello politico comunardo, pi: ripren dendo in parte quello scaturito dalla prima rivoluzione fran cese, era decisamente unidea filiata da Proudhon32. Dopo la tragica esperienza del 1871, non si spense in Fran cia la corrente di idee a lui ispirata. Lo dimostra, ad esem pio, il Partito operaio possibilista, fondato da Paul Brousse, che si rifaceva ad un mutualismo moderato. Essa trov, per, la sua maggiore espressione nello sviluppo del sindacalismo rivoluzionario e dell'anarcosindacalism oI teorici del pri mo, Georges Sorel e il suo discepolo Edward Berth, si sono esplicitamente richiamati allo scrittore di Besanon34. Cosi pure liniziatore del secondo, Fernand Pelloutier35, fondatore delle Bourses du travail. Soprattutto attraverso Pelloutier e gli intellettuali della Confdration gnral du travail, il pen siero di Proudhon condizioner in maniera rilevante non solo lanarcosindacalismo ma anche lintero sindacalismo ri voluzionario 3 , contribuendo in modo decisivo a distaccare questultimo dalla teoria e dalla prassi politica del marxi smo 7; Infatti, le principali tematiche proudhoniane il vo lontarismo, il separatismo operaio, lantistatalismo, il fede ralismo sono troppo lontane dalla concezione strumental mente politica che il marxismo ha del sindacato. Pure Cole38 e Rosselli39, esponenti di primo piano rispet tivamente del Guild Socialism in Inghilterra e del socialismo liberale in Italia, hanno riconosciuto il loro debito verso il socialista francese. Come si vede anche da questultima men zione, la multiformit divergente e contraddittoria della for tuna di Proudhon fa scaturire uno spettro interpretativo ampio e problematico.
Il m etodo

La peculiarit del pensiero proudhoniano deriva in gran parte dalla metodologia adottata, che risulta ancor oggi ori ginale. Essa attraversa senza soluzione di continuit tutta la sua opera ed quindi da questa metodologia che bisogna partire per enucleare le direttive di fondo del suo pensiero. Per Proudhon il problema fondamentale della conoscenza risiede nella difficolt che luomo ha di abbracciare e di com prendere la simultaneit dei fattori che intervengono innu merevoli nello svolgimento della realt. La scienza per pro gredire ha bisogno di concettualizzazioni, di schematizzazio

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ni, di ordine, di precisione, ma nello stesso tempo ogni fissit pregiudica lavanzata stessa del sapere, convertendolo da una ricerca aperta a una forma chiusa. La scienza rappresenta di fatto ima lotta contro ogni for ma di arbitrio e, in quanto tale, non pu che essere fondata obiettivamente40; tuttavia questa razionalit, che deve es sere il fondamento costante della ricerca, non pu pretendere di essere esaustiva perch non esiste la possibilit di una totale razionalizzazione della realt. Sotto l'influsso kantiano, Proudhon riconosce dei limiti alla conoscenza umana, nel senso che essa pu spiegare il rapporto tra le cose, ma non dare ragione e spiegazione della natura ultima dei fenomeni. Si precisa cosi il senso del suo problematicismo tutto cen trato sullidea che il progresso della scienza si identifica con la consapevolezza dellimpossibilit di pervenire a soluzioni integrali. Lesperienza umana, di per s intessuta di contraddizio n i 41, non pu risolversi in dati elementari prestabiliti per ch il semplicismo, lungi dallindicare la pi alta potenza dellessere, ne indica al contrario il grado pi basso 42. Biso gna perci riconoscere fino in fondo la limitatezza dell'uomo e perci la sua impossibilit a risolvere definitivamente ogni problema. Questa consapevolezza fa di Proudhon un teorico avver tito e disincantato del socialismo perch lo pone lontano da ogni sogno utopistico di rigenerazione totale e di meta morfosi antropologica. La societ, egli precisa, molto pi complicata di quanto si pensi 43; e quindi ogni volont di risoluzione definitiva non pu risolversi che in due modi: o nel fallimento o neHarbitrio del potere. Diventa perci comprensibile la sua critica alla dialettica di Hegel. Mentre questi definisce la realt nella forma tria dica di una tesi e di una antitesi le quali si risolvono in una sintesi superiore, Proudhon afferma che proprio le opposi zioni e le antinomie sono la struttura stessa del reale e che lantinomia non si risolve: l il vizio fondamentale di tutta la filosofia hegeliana. I due termini che compongono lantinomia, si bilanciano tra loro, o con altri termini antinomici, il che conduce a nuovi risultati 44. Ogni sintesi oggettivamente impossibile perch i termini antinomici sono come i poli opposti di una pila elettrica (che) non si di struggono. Il problema consiste nel trovare non la loro fu sione, che sarebbe la loro morte, ma il loro equilibrio inces santemente instabile, variabile a seconda dello sviluppo della societ 45. Il sistema hegeliano, secondo Proudhon, un sistema pre costituito perch invece di attendere i fatti li anticipa4. Cosi

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la sua sintesi del tutto fantastica e arbitraria: La formula hegeliana non una triade che per il buon piacere o lerrore del maestro il quale conta tre termini l dove in effetti non ne esistono che due perch non ha visto che lantinomia non si risolve in quanto essa indica una oscillazione o antago nismo suscettibile soltanto di equilibrio 47. Insomma la sin tesi, afferma Proudhon, non distrugge realmente ma for malmente, la tesi e lantitesi 48 ed essa pu farsi valere solo trasformandosi in una volont egemonica di potere. Perci Hegel conduce, con Hobbes, allassolutismo governativo, ali onnipotenza dello Stato, alla subalternit dellindividuo 4?. Rispetto alla dialettica hegeliana, quella di Proudhon si spe cifica invece come un metodo di analisi dei rapporti, una ri cerca estremamente sottile e sfumata delle leggi di compo sizione e combinazione dei fattori della realt. In questo senso, essa tende ad essere un pluralismo sociologico sempre pi realistico; occorre, per lui, non tanto inventare una lo gica, un idea sia pure rivoluzionaria e libertaria, da imporre con forza alla realt, ma scoprire le leggi proprie della socie t in modo da restituire a questa la sua autonomia persa con la nssazione istituzionale della ripetitivit autoritaria. oi tratta dunque di un metodo fortemente empirico che consente all'osservatore di seguire le infinite composizioni e scomposizioni della realt, di aderire al movimento reale delte cose e del loro svolgimento50. L ostilit di Proudhon verso tutti gli a priori lo spinger sempre pi a cercare una metodologia capace di intendere specmcamente il movimento stesso della realt nel suo farsi, colto, per cosi dire, sul fatto 51, in ima ricerca incessante, essendo indefinito lo sviluppo stesso della societ52. Ecco perche la ricerca proudhomana costituzionalmente una ri cerca aperta , per sua struttura rivedibile e correggibile, non dogmatica, intrinsecamente libertaria. Non si tratta, beninteso, di una filosofia eclettica tra i altro m voga proprio in quegli anni in Francia ma di una concezione sociale che si prefigge di essere scientifica perch tende a riflettere linfinita complessit della societ per libe rarla da ogni soffocante sintesi unitaria; perch si sostanzia . ,ur? esita a cercare e accogliere la diver sit mmetodo tutti i che suoi non dettagli. io SiVa dialettica, Proudhon distingue la realt, che a sede delle opposizioni reali, fisiche, concrete, dal discorso aiettico consistente precisamente nell'analizzare tali oppozioni. .fagli definisce quindi, kantianamente, le opposizio ni reali con il termine antinomia o contro-leggi, e innoli i COn p riferirsi all'espressione della realt delle cose ena loro fattualit; diversamente queste stesse opposizioni,

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quando non sono pi colte sul fatto, ma argomentate nel di scorso, sono da lui definite con il termine contradictio, con trodiscorsi53. Perci il sistema delle antinomie il metodo impiegato da Proudhon per interpretare la societ54. Le an tinomie, essendo espressione dellopposizione reale delle cose concrete, dimostrano di per s limpossibilit di ogni sintesi a priori e di conseguenza limpotenza oggettiva di ogni regime sociale volto alla loro forzata mediazione. Secondo Prou dhon, infatti, non si pu pretendere di costruire una nuova realt sociale con dei pretesi a priori della ragione , cosi come non si pu definire il metodo scientifico attraverso una deduzione dialettica delle nozioni ^. necessario piutto sto che la scienza sociale e la riflessione filosofica si orien tino contro ogni forma di universalismo astratto riconoscen do invece il principio della logica binaria dell'antinomia. Ci non significa naturalmente che lempirismo e il rea lismo dialettico di Proudhon non abbiano dei limiti e che egli non cerchi, anche, una riconciliazione imi versale attraver so la contraddizione universale _56. Tuttavia poich comple mentarit, e implicazioni scambievoli, e reciprocit di pro spettive, sono tanto reali quanto le polarizzazioni e le anti nomie, ecco che proprio lesigenza realistica, ancora, a ri chiedere la scoperta di procedimenti capaci di esprimere appunto la conciliazione pur all'interno della contraddizione, pur nella conservazione degli squilibri. E qui infatti sta tutto lo sforzo teorico di Proudhon: nel ricercare l'equilibrio dei contrari senza far scomparire la contraddizione, linfa vitale della societ e della libert57. Si spiega quindi perch non vi in Proudhon unassolutizzazione del suo stesso metodo. Egli ben lontano dal dichia rare che il mondo reale si possa risolvere solo nella descri zione dei suoi elementi irriducibili, dei suoi principi anti tetici e delle sue forze antagonistiche 54 perch questa teo ria dei contrari, pur agendo con potenza incomparabile nel controllo razionale delle nostre opinioni, non lunica for ma della natura, la sola rivelazione dellesperienza, e per conseguenza la sola legge dello spirito In coerenza con i propri presupposti, il metodo stesso di Proudhon nei suoi principi antiassolutistico in quanto che la filosofia viene con cepita soltanto come metodologia, cio come logica delle scienze. Secondo Proudhon necessario inoltre vedere quale struttura sia sottesa alla legge delle antinomie, quale inte razione reciproca le colleghi, quale totalit le comprenda. Occorre cio trovare quel criterio di unit che le associ per analogia secondo un principio di serie, e perci secondo un principio di progressione. La dialettica proudhoniana si pre

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Introduzione

cisa pertanto come dialettica seriale, vale a dire come sapere organizzato secondo un principio di strutturazione, nel senso che questo sottost e collega le antinomie a un dato livello dellevoluzione sociale. Se dunque il principio di divisione e individuazione costituisce la prima condizione della possi bilit di una scienza b60, di uno sperimentare realista , anche vero che non ci si pu smarrire nel particolarismo. Questo va superato cogliendo appunto le forze coesive imma nenti alla dialettica sociale. Precisamente, per conservare entrambe le istanze, si dovr elaborare una scienza sociale che sappia essere al tempo stesso scienza del particolare e scienza del generale. Cosi la scienza dei particolari deve con testualmente saper essere scienza delle situazioni, la scienza dellindividuale deve saper essere anche scienza della seria lit 61. Proudhon si riconnette con ci a Fourier e precisamente allintuizione della serialit quale principio direttivo del metodo delle scienze sociali, intuizione gi enucleata ap punto dallutopista francese62. Questa dialettica seriale, che deve definire la diversit tra il metodo sillogistico e il me todo sperimentale e obiettivo63 assumendo appunto come suo fondamento lidea che ogni fenomeno vada considerato non solo in se stesso, ma anche in riferimento allintreccio delle relazioni che lo costituiscono e lo rapportano a un de terminato campo di situazioni, deve realizzare per Proudhon un duplice compito: da una parte, accertare la dinamica della differenziazione degli elementi costitutivi di un insie me; dallaltro, proporsi come un principio di strutturazione del reale. La serie si costituisce cosi come una totalizzazio ne nella diversit, si afferma cio come unidea completa di totalit, la quale non lunit con lesclusione della pluralit, ne la pluralit con lesclusione dellunit, ma simultaneamen te 1 una e laltra <*. Lintento di comprendere la diversit nellunit, in sede teorica, ha una traduzione ideologica immediata. Nel siste ma sociale auspicato da Proudhon si dovr perseguire infatti uno stato di uguaglianza sociale che non sia n comuniSmo, ne frazionamento, n anarchia, ma libert nellordine e indipendenza nell'unit Un sistema che esclude dunque qualsiasi forma di assolutismo, fosse pure lassoluto della libert, perch quest'ultimo non sarebbe, autocontraddicendosi, che la negazione della libert stessa. . Nd concetto di serie emergono subito due dimensioni ideologiche . La prima si specifica come rifiuto di assolutizzazione concettuale, in quanto nessuna interpretazione teorica pu risolvere e spiegare del tutto la fattualit del reale. Questo rifiuto oppone Proudhon a ogni ideomania che pretenda di enucleare la genealogia delle idee al di fuori del

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lesperienza umana. In altri termini, la serialit si specifica come scienza della fenomenologia dei fatti, i quali non pos sono essere ricondotti a ima spiegazione puramente ideali stica n ad una spiegazione puramente materialistica. Il fatto, in s, non materiale n ideale perch nella realt sociale lo spiritualismo schiaccia i fatti e i fatti schiacciano il ma terialismo 66. La societ esiste tramite lunit indissociabile dellazione collettiva che implica la vita, il lavoro, la co scienza individuale e collettiva, la ragione e la giustizia 61. La consapevolezza di non poter disgiungere il reale e lideale, perch tale separazione di per s impossibile68, porta Proudhon ad affermare che organizzare la societ descrivere (appunto) una serie: serie insieme reale e idea le . Questa sintesi, che a sua volta non pu darsi come definitiva e integrale, ha lo scopo di vanificare ogni dogma tismo, dimostrando lintima connessione esistente fra la di mensione spirituale e quella materiale70 al fine di impedire ogni separazione artificiale. Sta dunque in questo orienta mento il presupposto del suo tanto discusso ideorealismo 71 che vuole proporsi al tempo stesso come strumento conoscitivo e produttivo perch la serie la forma della facolt intellettiva, e la legge della facolt industriale 71. La seconda dimensione ideologica si specifica invece come sforzo teorico teso a individuare all'interno della serie stessa, nella sua unit di composizione , la forma proporzionale delle parti, nel senso di una loro sostanziale equivalenza. Non esistono cio elementi pi importanti e decisivi di altri nella formazione della realt, nella strutturazione dello svolgimen to storico-sociale. Ne discende immediatamente che tale real t non sostanziale n causativa 73 e quindi priva di un potere integrale di determinismo in quanto si presenta di fatto come insieme di rapporti 74. Anche qui si pu cogliere subito unaltra traduzione ideo logica relativa proprio al concetto di rapporto, un concetto che, nella formulazione del federalismo pluralista proudhoniano, ha un posto fondamentale. Il rapporto infatti una struttura che determina in ultima analisi, ogni fenomena lit, ogni realt, ogni forza, ogni esistenza 75. Ci vuol dire che la societ perde ogni senso di giustizia se non ha questa consapevolezza, questa coscienza. in tal senso che si pre cisa lidea di uguaglianza: come idea di un rapporto recipro co, di un rapporto commutativo: ci che la societ cerca lequilibrio delle forze naturali 76. Questa logica di equili brio e di reciprocit sta alla base del federalismo pluralista di Proudhon, volto appunto a costituirsi come sistema aper to capace di far convivere pi tendenze di per s contraddit torie, a porsi come estrinsecazione della libert nel suo infi

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Introduzione

nito movimento. Con il metodo seriale si pu giungere alla consapevolezza ideologica delluguaglianza sociale perch, scoprendo lintima connessione dei fenomeni entro il conte sto di una dinamica complessa di relazioni e di situazioni, si arriva a capire pure che questa stessa dialettica esprime la necessit di un principio di coordinazione che esclude di per s la gerarchia 77. Perci la legge seriale, indicando un rapporto di uguaglianza , annuncia in pari tempo la legge della reciprocit e dellequivalenza che alla base del mutua lismo economico-sociale da lui proposto. Nello stesso tempo, a partire da questa valenza ideologica delluguaglianza, possibile arrivare anche a quella della libert intesa come pluralismo. Infatti il concetto di ugua glianza non si specifica in Proudhon come mero appiattimen to e uniformit, ma al contrario come esaltazione del parti colare e dellindividuale. Luguaglianza, egli afferma, non affatto una condizione fissa, ma la media algebrica di una situazione sempre mobile 7S. Ora, non potendosi concepire le serie come unit di dati strutturali fissi, ne deriva che esse si danno solo come continuit perch chi dice pro gresso, dice necessariamente successione, trasporto, cre scita, passaggio, addizione, moltiplicazione, differenze, infine serie 79. La dialettica seriale appare dunque come ima legge di progressione e di organizzazione, un principio organico di simultanea differenziazione e associazione, un processo generale di crescita comune al mondo materiale, allo spi rito, alluomo, alla societ. Ci significa che ogni sviluppo avviene solo attraverso una dialettica di conflitti e di soli dariet, una catena di coppie antinomiche di cui loppo sizione rappresenta la fonte di ogni movimento, e di ogni vita e di ogni libert; si tratta dunque, alla fin fine, di una dialettica antinmica. Una dialettica, comunque, in cui si rivela lattivit di una forza organizzatrice, di una legge creatrice di unit e di progresso: la legge seriale, la se rie . Essa, rispettando la pluralit degli elementi e il loro antagonismo, conduce a una unit pluralista e ad una perenne tensione dinamica. Il pluralismo dunque il corollario logico della serialit; la realt sociale insomma, secondo Proudhon, una con tinua moltiplicazione e trasformazione della serie. In questo senso il concetto di serie implica di per s la pluralit della serie e quindi comporta la pluralit della conoscenza nella sua infinita e sempre mutevole interdisciplinarit. Il prin cipio di serialit, affermando che vi indipendenza fra i diversi ordini di serie, nega lidea di una scienza uni versale 81 e perci lidea che possa costituirsi anche nel

I fondamenti sociologici

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campo della scienza e della teoria unaltra forma di assolutismo. La chiave del pensiero proudhoniano, ci che ne costi tuisce al tempo stesso l'originalit e lunit non si trova dunque in un apriorismo intellettuale o in un dogma meta fisico, ma scaturisce dallevidenza primordiale dellesistente, dalla constatazione, sociologica, del suo palese pluralismo. Il mondo morale, come il mondo fisico riposano su una pluralit di elementi irriducibili ed antagonisti e , afferma Proudhon. E del pluralismo occorre tener conto in ogni costruzione economica, in ogni concezione filosofica, in ogni metodo pedagogico, perch questa la dinamica incessante, di composizione e scomposizione, della realt, questa la sua tensione permanente e la linfa vitale della libert. Solo rico noscendo questo pluralismo organico nella realt dei fatti e della societ, sar possibile passare ad un pluralismo organizzatore come metodo di pensiero e tecnica di azione, come fattore di equilibrio delle forze, come struttura natu rale della spontaneit sociale. Si delinea cosi in modo inequivocabile il fondamento teorico del suo anarchismo, ossia un relativismo pluralistico che pu essere considerato senza alcun dubbio la chiave interpretativa di tutto il suo pensiero, di tutta la sua dottrina. Questo relativismo pluralistico poggia anch'esso sull'idea centrale che la scienza e la libert sono infini te per cui ogni pretesa di conoscenza integrale come ogni pretesa di risoluzione definitiva si mostrano fasulle sul piano scientifico e totalitarie sul piano politico. Occorre invece un grande realismo alimentato dalla consapevolez za della precariet, della provvisoriet e della relativit di ogni conoscenza umana. Come si vede, lepistemologia proudhoniana presenta alcuni aspetti di grande modernit.
I fon d am en ti so c io lo g ic i

Alla base della sociologia elaborata dal pensatore fran cese sta il concetto del lavoro come azione intelligente del luomo sulla materia M e come forza plastica della so ciet 85. Questo concetto del lavoro formulato da Proudhon in modo assai preciso: Il lavoro, campo di osservazione delleconomia politica considerato: 1) soggettivamente nei lavoratori, 2) obiettivamente nella produzione, 3) sintetica mente nella distribuzione degli impieghi e la ripartizione dei salari, 4) storicamente nelle sue determinazioni scien

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Introduzione tifiche, la forza plastica della societ, lidea tipo che determina le diverse fasi della sua crescita, e, di seguito, di tutto il suo organismo sia interno che esterno 86. Cosi inteso, il concetto di lavoro il concetto tipo della serie , ci che, in un certo senso, unifica tutte le serie perch proprio il lavoro che esprime e si esprime nelle forme infinite del materialismo, dellumanesimo, dello spirituali smo, del volontarismo e del personalismo sia individuale che collettivo. Il lavoro dunque lenergia sociale per eccel lenza, la forza specifica che crea e regge la societ. Realt n materiale n spirituale, esso una forza ideorealista che comprende indissolubilmente nel suo processo creativo, idea e fatto, materia e spirito, uomo e societ. Tutta la socio-economia proudhoniana si basa dunque su questa scienza del lavoro, che vuole fondarsi come scien za del lavoro umano, qualsiasi sia la sua determinazione concreta87. Il lavoro si sviluppa attraverso la duplice legge della comunit dazione e della divisione, perch si esprime come processo di integrazione sociale, dando cosi alla so ciet la sua unit dazione e la sua coerenza collettiva, e come processo di differenziazione sociale, in quanto implica in questa stessa societ la diversificazione dei produttori e la specificazione delle funzioni. Per Proudhon quindi leco nomia politica non che una scienza particolare di questa scienza del lavoro88. Ma questo concetto di lavoro non pu che rimandare im mediatamente al concetto di lavoro collettivo, il quale riman da a sua volta a quello di societ perch, se il lavoro ci che produce tutti gli elementi della ricchezza, la societ o luomo collettivo che crea tale possibilit * . Cosi la realt del lavoro collettivo non solamente una semplice somma di lavori individuali, ma lespressione dellattivit di un essere sociale avente una sua specifica realt con delle proprie leggi. Secondo Proudhon per il vero economista, la societ un essere vivente dotato di una intelligenza e di una attivit proprie, retta da leggi speciali che losser vazione pu scoprire, e la cui esistenza si manifesta non sotto una forma fisica ma per linsieme armonico dell'inti ma solidariet di tutti i suoi membri 90. Cosi, nel seno stesso del lavoro, la societ che si manifesta in ogni azione del lavoro umano proprio perch il campo di osservazione della scienza economica la societ91. La scoperta della societ come un essere collettivo reale, autonomo e immanente a tutti i suoi membri, comporta immediatamente la scoperta dei suoi due attributi fonda mentali: la ragione collettiva e la forza collettiva. Queste due nozioni sociologiche, sebbene non siano sempre espli

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citate in modo chiaro, esauriente e continuativo nel suo pensiero, rimandano tuttavia sufficientemente a un comune concetto, che si pu cosi riassumere: la riunione delle unit individuali genera ima realt originale che qualcosa di pi e qualcosa daltro rispetto alla loro somma92. La forza collettiva l'elemento puramente sensibile della societ, la manifestazione della societ in movimento, latto attra verso cui il sociale palesa la sua esistenza, mentre la ragione collettiva al tempo stesso una comunit di coscienza e e una intelligenza, cio una ragione rinnovabile nel processo storico. Alla base di entrambe queste nozioni vi lidea fondamentale che luguaglianza e la giustizia sociale non sono solo un dover essere, ma un fatto oggettivo, sia pur com presso e deformato dalla societ gerarchica e sfruttatrice. La creazione di un ordine sociale positivo non deve risulta re quindi da una costruzione arbitraria imposta con la forza e giustificata a posteriori dai legislatori, ma dallapplica zione delle leggi sociologiche e dellorganizzazione razionale della societ intesa come lavoratore collettivo. E questo perch lautentico ordine sociale non gi lapplicazione di una volont generale, ma la presa di coscienza che la societ realizza di se stessa attraverso un rapporto sponta neo e naturale, scoperto e applicato 93. Lordine, in altre parole, non pu che prodursi nellu manit per mezzo della conoscenza che lessere collettivo acquista delle pro prie leggi M. Non occorre dire quanto sia presente qui una certa influenza illuminista che permea gran parte della sua metodologia, dando la misura della complessit delle ascendenze culturali del suo pensiero. Con la nozione di forza collettiva Proudhon precisa che gli individui, indipendentemente dalle loro capacit e atti tudini, vivendo in societ ricevono sempre di pi di quanto danno; in altri termini luomo, nel momento in cui si inse risce nellattivit produttiva e partecipa a un compito comune, diventa immediatamente debitore verso la societ di cui fa parte. Questo perch qualsiasi impresa produttiva e sociale, che riunisca gli sforzi individuali altrimenti sepa rati, ha la capacit di generare, proprio attraverso la coesio ne dovuta al lavoro collettivo, una potenza economica e sociale essenzialmente diversa dalla somma, anche infinita, degli sforzi individuali divisi e non concomitanti. Non solo gli individui, afferma Proudhon, sono dotati di forza; anche le collettivit hanno la loro [...]. Una fabbrica, for mata di operai i cui lavori convergono verso uno stesso fine, quello cio di ottenere questo o quel prodotto, pos siede, in quanto fabbrica o collettivit, una potenza che le

Introduzione propria: prova ne il fatto che il prodotto di questi indi vidui cosi raggruppati molto superiore a quello che si sarebbe ricavato dalla somma dei loro prodotti particolari se essi avessero lavorato separatamente. Parimenti lequi paggio di una nave, una societ in accomandita, unacca demia, un'orchestra, un esercito, ecc., tutte queste collet tivit [...] contengono della potenza, potenza sintetica e di conseguenza speciale del gruppo, superiore in qualit e in energia alla somma delle forze elementari che la compon gono 95. Con la nozione di ragione collettiva Proudhon aggiunge che gli individui non possono associarsi veramente che alla sola condizione che si realizzi tra loro uno scambio fondato sulluguaglianza Perch infatti lo scambio tra non uguali, generando disuguaglianza, provoca continui conflitti sociali rendendo impossibile la piena realizzazione della socialit umana. La ragione collettiva si estrinseca dunque in questo principio dello scambio paritario fondato su una ragione necessaria , pena la fine della societ stess. Poich risulta da un gioco complesso della combinazione sociale, essa si presenta di volta in volta come intelligenza, giudizio, coscienza e volont. La ragione collettiva nasce non dalla somma delle ragioni individuali sfocianti in uno stesso assoluto trascendente che implica la rinuncia alla propria autonomia primitiva, ma dai rapporti contraddittori e liberi che permettono di relativizzare lassoluto delle ragioni indi viduali. Attraverso questo incontro e scontro vengono supe rate le soggettivit rispettive delle ragioni individuali, e nasce allora questo rapporto con le cose, questa ragione obiettiva che la ragione sociale. Cosi la ragione collettiva risulta dallantagonismo delle ragioni particolari e dalla loro composizione attraverso le opposizioni, allo stesso modo in cui la potenza pubblica risulta dal concorso delle forze individuali concorrenti fra loro 91. Essa deve procedere per equazioni negando ogni sistema precostituito. Di qui ima dialettica dell'intersoggettivit quale condizione per la libera dinamica delle esperienze. Non si deve quindi pensare che Proudhon voglia subor dinare lindividuale al collettivo rendendo disponibile il suo pensiero a una giustificazione del totalitarismo. . vero piut tosto il contrario. Invero, la nozione di scambio nel socia lismo proudhoniano comporta appunto laffermazione della liberazione delle attivit individuali, compreso il loro scon tro, perch solo cosi si possono dare la piena mobilit e vitalit del sociale. E infine, sono proprio le nozioni di forza collettiva e di ragione collettiva, che desunte dal con creto e non dedotte dallideologia, se vengono poste a fonda
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29 I fondamenti sociologici mento del socialismo, possono rendere quest'ultimo non solo unidea, un'etica, ma una scienza fondata sul reale. E di qui che pu nascere il socialismo che Proudhon per primo definir scientifico 98. Ora, se la forza collettiva e la ragione collettiva sono gli attributi della societ intesa come essere collettivo, come lavoratore collettivo, le leggi di questa stessa societ devono essere enucleate considerando tali attributi. Preci samente la forza collettiva e la ragione collettiva rimandano al concetto di divisione del lavoro e di composizione del lavoro. La divisione del lavoro alla base della forza col lettiva, la composizione del lavoro alla base della ragione collettiva. Da questo punto di vista, la divisione del lavoro si rivela nellantagonismo competitivo, che il segno della libert del lavoratore, mentre la legge di composizione del lavoro si manifesta nella serie , vale a dire nellequilibrio dinamico degli elementi irriducibili e al tempo stesso soli dali che la compongono. In altri termini la legge di divi sione, o specificazione della funzione, rivela la legge di competizione ed antagonismo che anima ogni essere indi viduale o collettivo, mentre la legge di composizione o di serie la legge che sta alla base dellassociazione, cio la legge della solidariet che anima anchessa ogni essere individuale e collettivo spingendolo allunione e all'interdi pendenza. Perci antagonismo e solidariet, divisione e composizione formano ima coppia antinmica irriducibile. Cosi la divisione delle funzioni e la composizione della societ si deducono naturalmente implicando una imme diata e irreversibile interpretazione ideologica libertaria. Infatti Proudhon, considerando contemporaneamente divi sione e composizione come una coppia antinmica e indis solubile, si pone oltre lindividualismo classico del liberali smo e oltre luniverso tradizionale del comunismo per arri vare a una fondazione della societ che non l'assoggetta mento deU'individuo alla collettivit n l'assoggettamento della collettivit all'individuo. Il primo infatti considera l'uomo come una semplice unit sottomessa ad una collet tivit superiore, la quale, schiacciando la personalit, sfocia nel dispotismo, il secondo pretende di liberare l'uomo iso landolo e astraendolo dalla societ. Contro la logica del comunismo che la logica d c\Yuniversalismo e contro la logica del liberalismo che la logica del nominalismo, Proudhon pone la logica del pluralismo che contempla un ordine autonomo e immanente al quale partecipano tutte le persone individualmente come elementi indispensabili e irriducibili di questo insieme".

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Introduzione Si delinea cosi il suo tentativo sintetizzatore volto a superare lastratta contrapposizione fra individuo e societ. La sua analisi, focalizzandosi sulle connessioni oggettive che legano l'individuo alla societ, vuole sottolineare la peculiarit dell'uno e dellaltra pur nella loro indissolubile interdipendenza. Essa afferma da una parte che lindividuo il criterio dellordine sociale , mentre dallaltra ribadi sce la specificit del sociale costituito da regole molto diverse da quelle che si ha labitudine di chiamare senso comune 10. Questa dialettica fra individuo e societ perci circolare nel senso che per conoscere luomo bisogna studiare la societ, per conoscere la societ bisogna stu diare luomo 1(U , vale a dire che luomo e la societ si servono reciprocamente di soggetto e di oggetto102. In tal modo si sfugge allunicismo comunista e liberale che tende ad assorbire luno nellaltro a seconda del proprio punto di vista. Nel riconoscimento dellimpossibilit da parte della so ciet di assorbire lindividuo e da parte dellindividuo di assorbire la societ, deve risiedere per Proudhon tutta la ricerca della libert. Ecco perch la forza collettiva non deve essere considerata come ima potenza obiettiva che si impone agli individui, n la ragione collettiva come una ragione definitivamente costituita, come un dogma103. Sono le classi dominanti invece che utilizzano a proprio vantaggio linsieme di questa energia sociale, trasformando la forza collettiva in forza coercitiva, e la ragione collettiva in ragione assolutistica. Il monopolio economico e il monopolio poli tico, il capitalismo e lo Stato nascono appunto da questa generale alienazione. Pi precisamente lalienazione del lavoro umano, forza plastica della societ [...] che determina le diverse fasi della sua crescita e conseguentemente tutto il suo organismo sia interno che esterno I04, non deriva solo da un determinato, specifico modo di produzione (il capitalismo), ma dalla generale struttura autoritaria che presiede a ogni societ storica; lalienazione sarebbe insomma la logica conseguen za di ogni trascendentalismo, sia esso religioso, politico, sociale o economico. E poich la forma storica di ogni trascendentalismo si esprime nel monopolio versione istituzionale dellunicismo e dell'unidimensionalit avvie ne che la scomparsa dellalienazione pu darsi per Proudhon solo con la scomparsa di ogni accentramento di qualsiasi tipo e di qualsiasi natura105.

La critica della propriet


La c r itic a d e lla p r o p r ie t

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Lo sfruttamento economico, afferma Proudhon, si attua attraverso l'appropriazione indebita della forza collettiva generata dalla simultaneit e dalle convergenze degli sforzi individuali: Il capitalista, si dice, ha pagato le giornate degli operai; per essere esatti, bisogna dire che il capitali sta ha pagato ogni giorno una giornata quanti operai ha impiegato, il che non affatto la stessa cosa. Perch questa forza immensa che risulta dallunione e dall'armonia dei lavoratori, dalla convergenza e dalla simultaneit dei loro sforzi, egli non lha pagata per niente. Duecento granatieri hanno alzato sulla sua base in qualche ora lobelisco di Luxor; si suppone che un solo uomo, in duecento giorni, ne sarebbe venuto a capo? Tuttavia, per il conto del capita lista, la somma dei salari sarebbe stata la stessa 106. qui che il profitto del capitale trova la sua spiega zione: nella sproporzione fra le somme consegnate ai lavo ratori e il prodotto collettivo che essi hanno creato. in questo furto, in questo errore di calcolo, che sta lorigine dellineguaglianza sociale che crea la ricchezza del capita lista e lo sfruttamento del lavoratore. dallappropria zione, da parte di un singolo, di ci che frutto solo del lavoro collettivo che si genera, appunto, il plusvalore. Cosi il plusvalore risulta essenzialmente dallappropria zione di un surplus collettivo, vale a dire dal punto di vista della produzione, della differenza tra la produttivit del lavoro collettivo e la semplice somma delle forze indivi duali considerate singolarmente. Questo plusvalore aumen ta e si specifica allinterno del mercato capitalista del lavo ro. Qui avviene una ritenuta sulla produzione individuale a seguito della differenza esistente tra il valore di scambio e il valore d'uso del lavoro perch al momento dello scambio, il proprietario pu esercitare tale ritenuta sul consumo dei lavoratori. Infatti il valore di scambio del lavoro costituito dal salario, vale a dire ci che compone la som ma complessiva necessaria alla riproduzione del lavoratore, mentre ci che costituisce la vera stima del salario dovreb be essere dato dal lavoro sociale acquistato invece dal proprietario grazie al surplus della forza collettiva. Cosi se loperaio riceve tre franchi al giorno, il proprietario rivendendo sotto forma di merce la giornata lavorativa del lavoratore, ne pu ricavare un soprappiu i(n. Questa analisi dimostra chiaramente la paternit proudhoniana nel campo socialista della teoria del valore-lavoro.

Introduzione 32 Proudhon, non Marx, a denunciare per primo in questi termini il sistema capitalista108. Ma la critica della propriet non si esplica solo nellana lisi dell'appropriazione e dello sfruttamento capitalista. Il pensatore francese prende infatti in esame ogni forma di propriet e quindi ogni teoria che la sottende e la giustifica. Quest'analisi lo porta a concludere che nessuna delle teorie miranti a giustificare tale processo di appropria zione riesce a essere credibile: non la teoria delloccupa zione, secondo la quale legittima la propriet di fatto su quanto la collettivit non ha ancora preso possesso; infatti questa teoria non pu spiegare il passaggio dal fatto al diritto che ricorrendo a una tautologia: La propriet il diritto di propriet . Dal canto suo la teoria della pro priet fondata sul lavoro, ossia sul principio che propriet del singolo ci che frutto della sua sola iniziativa, non solo non spiega perch il singolo abbia il diritto di appro priarsi a un certo punto del lavoro altrui, ma neppure d ragione della realt paradossale che proprio chi produce risulta privo della propriet. Senza contare che questa teoria e internamente contraddittoria. Il lavoro, infatti, non ha di per s alcun potere di appropriazione sulle cose della natura109; e se, malgrado tutto, si riconoscesse al la voro un tale potere, si sarebbe logicamente indotti ad affer mare luguaglianza della propriet, quali che siano il tipo di lavoro, la rarit del prodotto e la disuguaglianza delle forze collettive. Non esiste dunque teoria che riesca a dar ragione logica di questo furto della forza collettiva, che riesca a legittimare ragionevolmente lesistenza della propriet. E tuttavia, in merito a tale questione, pi importante ancora della critica alla concezione del regime proprietario la revisione e ridefnizione da lui operata del concetto stesso di propriet, con la distinzione fra questa e il possesso. Per Proudhon la propriet vera e propria non consiste nella facolt da parte di una persona di fare uso di un bene e di esserne responsabile, ma pi esattamente nel fatto eco nomico attraverso il quale la propriet diventa creatrice di interessi, diventa un capitale fonte di tutte le forme di facile guadagno. Il profitto, il nolo, laffitto, linteresse, in una parola il facile guadagno, sono tutte forme di estorsio ne, di furto, di plusvalore che Proudhon definisce e raggrup pa nellespressione, intraducibile in lingua italiana, del droit d'aubaine. Diversamente deve essere inteso il possesso. Il possesso infatti Yuso socialmente responsabile di un bene al fine

La critica del comunismo 33 di trarne un frutto corrispondente al lavoro individual mente fornitou0; si tratta di un uso che non implica n il diritto assoluto di propriet, n la possibilit di trasfor mare il bene di cui si usufruisce in un capitale produttivo a sua volta di altri, ulteriori beni111. La propriet vera e propria dunque il diritto di ricavare frutto da un bene realizzato dal lavoro altrui, il diritto di usare e di abusare, in una parola il dispotismo m , il detenere un bene senza fame uso, insomma un dominio senza alcuna giustificazione economico-sociale. Terra, strumenti, macchine , egli scrive, hanno valore solo insieme al lavoro. Ma il puro e semplice proprie tario proprio colui che dissocia questo qualcosa dal lavo ro: e per questa cosa inerte, che da s non produce nulla, ottiene un compenso 113. su questa separazione infine, tra dominio e uso, che si fonda la separazione tra le classi sociali del proprietario e del lavoratore, fra l'uomo e luomo 114. Come ha messo in rilievo con grande acutezza Mario Albertini, questa definizione della propriet come droit d'aubaine mostra interamente la sua utilit e correttezza quando si ponga il problema della reale abolizione della propriet stessa115. In effetti, se la propriet fosse intesa come semplice attribuzione di qualcosa a qualcuno, vale a dire come pos sesso, sarebbe mai eliminabile? La risposta , chiaramente, negativa. infatti impossibile non attribuire a qualcuno i mezzi di produzione: l dove essi non sono sotto il domi nio privato, inevitabilmente non possono che essere attri buiti alla collettivit, e viceversa. dunque solo la specificazione del concetto di propriet come droit daubaine, come diritto di guadagno senza uso, come plusvalore, solo questa determinazione che consente di affermare la possibilit di eliminare la pro priet; anzi, a dir meglio, ad affermare in che senso sia possibile tale eliminazione.
La critica del co m u n iSm o com e critica della propriet

La distinzione fra propriet e possesso quindi fondamentale in quanto permette a Proudhon di dimostrare da un lato lassoluta inconsistenza del progetto comunista, tutto fondato com sullirreale idea di eliminare la pro priet tout court, mentre dallaltro gli consente di preve dere gli esiti dispotici del comuniSmo reale perch questo

Introduzione ricostituisce, sotto il modo della propriet collettiva , ima nuova e pi potente forma di propriet. La distinzione fra propriet e possesso svela, in altri termini, la natura pro prietaria dello stesso comuniSmo. Infatti se la propriet, intesa come possesso, in tutti i casi ineliminabile, perch conseguenza della produzione sociale, perch nasce e vive insieme al lavoro, ne con segue che essa esister anche in una societ comunista. Anzi, in una tale societ, gli effetti negativi della propriet saranno maggiori perch il privilegio reale verr occul tato dallideologia collettivista; il fatto concreto, asso lutamente ineliminabile, che i mezzi di produzione sono sotto il controllo di qualcuno (classe, individuo, ente), verr mascherato dallillusione della collettivizzazione. per queste ragioni che Proudhon considera lespressione pro priet collettiva un mero gioco lessicale privo di refe rente reale o realmente possibile. Lillusione di cancellare lo sfruttamento e la propriet attraverso la semplice abolizione della propriet privata diventa, appunto, solo unillusione perch non abolisce, ma solo trasferisce da un soggetto allaltro, dal dominio privato a quello pubblico, la propriet stessa, e con essa, intatto, il droit d'aubaine, fonte prima dello sfruttamento. Piuttosto, tale progetto non pu che portare a quella che la massima espressione negativa della propriet: la propriet connaturata al monopolio di Stato dei mezzi di produzione. Una propriet, per giunta, onnipresente, essen do tutte le attivit umane ugualmente esposte al rischio di essere assoggettate al processo di appropriazione statale. Scrive Proudhon: Cosa singolare! la comunit siste matica, negazione meditata della propriet, concepita sotto linfluenza diretta del pregiudizio della propriet; ed la propriet che si ritrova al fondo di tutte le teorie dei comu nisti. I membri di una comunit, vero, non hanno niente di proprio; ma la comunit proprietaria, e proprietaria non solo dei beni, ma anche delle persone e della volont. per questo principio di volont sovrana che in ogni co munit di lavoro, che non deve essere per luomo altro che una condizione imposta dalla natura, diventa un comanda mento umano e perci stesso odioso; che l'obbedienza pas siva, inconciliabile con una volont che riflette, pre scritta; che la fedelt a dei regolamenti sempre difettosi, per quanto saggi li si supponga, non ammette nessun re clamo; che la vita, il talento, tutte le facolt delluomo sono propriet dello Stato, che ha il diritto di farne, per linteresse generale, luso che gli piace; che le societ parti

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La critica del comunismo

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colari devono essere severamente proibite, malgrado tutte le simpatie ed antipatie di talenti e di caratteri, perch tollerarle significherebbe introdurre delle piccole comunit nella grande, e di conseguenza della propriet [...] che luomo, rinunziando al suo io, alla sua spontaneit, al suo genio, ai suoi effetti, deve annientarsi umilmente davanti alla maest e allinflessibilit della legge comune n6. Il comunismo, in conclusione, per Proudhon un pro getto allo stesso tempo utopistico e dispotico: essendo del tutto opposto alla realt 117, esso costretto, per realizzarsi, a violentare le leggi della natura e della storia. Si fa insomma dispotico perch del tutto inadeguato al reale. Volendo mantenere la societ in uno stato di esalta zione che di per s incompatibile con le leggi naturali defleconomia e con i principi di libert, la comunit inte grale sfocia fatalmente nellamorfismo psicologico e cultu rale. Non c esempio di comunismo, ricorda Proudhon, che fondato sullentusiasmo non sia finito neUimbecillit 118. Cosi, nel tentativo impossibile di realizzarsi, la so ciet comunista mantiene i difetti della propriet ricosti tuendo perci le classi. Anzi, gli aspetti negativi della propriet vengono esaltati daHassimilazione di questa con il potere politico in un unico monopolio statale. Il risultato l'inevitabile annientamento delle antinomie attraverso la formazione di una nuova autorit tesa a distruggere le contraddizioni in una soffocante sintesi governativa. Da ci scaturisce un ordine sociale che pu fondarsi solo con lan nullamento della personalit umana. Infatti, la vocazione afl'indistinto propria dellideologia comunista, ha come effetto reale lestensione totalitaria del potere. Perci lidea le del comunismo, egli precisa, non pu che essere las solutismo 119. Anche se Proudhon ha in mente il comunismo utopistico e grossolano criticato pure da Marx, i suoi giudizi sugli esiti storici di ogni societ comunista anticipano lo stesso comunismo marxista. Questo infatti, nella sua realizzazio ne storica, non ha fatto altro che concretizzare ci che Proudhon criticava del comunismo utopistico e grossolano: la ricostituzione di un nuovo e pi forte potere attraverso una nuova e pi forte propriet. Ma perch Proudhon, diversamente da Mane, riesce a prevedere lesito dittatoriale di ogni societ comunista? La spiegazione ci sembra vada trovata nel diverso mo do in cui entrambi si pongono contro il capitalismo, nel loro diverso modo di criticare la societ borghese e di dedurre l'alternativa. Proudhon afferma infatti, ricordiamo, che lo sfruttamen-

Introduzione to delluomo sull'uomo nasce dallappropriazione, da parte del detentore dei mezzi di produzione, della forza collet tiva; che nella societ capitalistica il proprietario dei mezzi di produzione retribuisce il lavoro individuale di ogni operaio per la sua singola forza-lavoro mentre non paga il lavoro collettivo, quella forza immensa che scaturisce dallarmonia convergente degli sforzi comuni. Ed quindi grazie a questa forza collettiva non retribuita di cui si fa padrone, che il capitalista diviene sfruttatore. Diversa invece l'analisi e la spiegazione marxiana dello sfruttamento. Secondo Marx lo sfruttamento nasce dal fatto che il lavoratore fornisce un tempo di lavoro di cui una parte viene corrisposta in salario, mentre laltra, non retribuita, si trasforma in plusvalore. ben noto il suo ragionamento. Nel modo capitali stico di produzione anche il lavoro una merce che ha il suo valore di mercato. Ci che costituisce oggetto di scam bio fra il capitalista e l'operaio non il lavoro di quest'ul timo, ma la sua capacit di lavoro. Essa, che si definisce come forza-lavoro, ha un costo di produzione identificabile nel tempo necessario per produrla, ossia nel lavoro che occorre per produrre i mezzi di sussistenza. La quantit di lavoro contenuta nella forza-lavoro, che determina il suo valore di scambio, non ha evidentemente alcun rap porto con la quantit di lavoro che l'operaio, ossia il porta tore di forza-lavoro, in grado di erogare all'interno del processo produttivo. Il meccanismo del processo capitali stico sta appunto in questo: che la quantit di lavoro ero gato dall'operaio, in un tempo dato, maggiore della quan tit di lavoro contenuta nei mezzi di sussistenza consumati dallo stesso operaio in quel medesimo tempo; il che vuol dire che il valore prodotto dall'operaio maggiore del valore della sua forza-lavoro. La differenza che risulta da questa non equivalenza ci che Marx chiama plusvalore 12. Ora, quello che ci interessa far notare in questo ragio namento certamente molto pi complesso della nostra riduttivissima schematizzazione che la propriet si presenta semplicemente come controllo privato dei mezzi di produzione. In effetti, lo scopo di Marx non lo studio della propriet, ma lo studio di uno specifico modo di pro duzione, quello capitalistico. Marx, insomma, non studia e non conosce altra propriet che quella privata connatu rata alla societ borghese. Ma la differenza rispetto a Proudhon a questo punto evidente. Per Marx il plusvalore (e quindi lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo nella sua forma storica pi compiuta) un meccanismo e un risultato preciso solo delleconomia
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37 La critica del comunismo scambista caratterizzata dal mercato del lavoro, per Proud hon la conseguenza inevitabile di qualsiasi forma di pro priet121. Mentre per Marx la propriet si determina alla fin fine come propriet giuridica dei mezzi di produzione, come elemento necessario ma non determinante dellintero modo di produzione capitalistico, per Proudhon si spe cifica invece soprattutto come capacit di controllo e possi bilit duso dei mezzi di produzione, siano essi dati sotto la forma capitalistica o socialistica. A dir meglio, la pro priet per Proudhon la pura e semplice capacit di con trollare e di sfruttare ogni forma e ogni prodotto dellat tivit umana altrui associata122, cio ogni forma e ogni prodotto della forza collettiva. Tutto questo particolarmente evidente qualora si pensi alla concezione proudhoniana del valore-lavoro rispetto a quella marxiana. Per Marx il lavoro diventa fonte di valore perch nella societ borghese esso pu determinarsi come pura forza-lavoro, come lavoro umano astratto generale: pu, cio, essere scambiato come qualsiasi altra merce. solo qui infatti che il mercato del lavoro ha la sua mas sima espressione, nel senso che il lavoro come valore duso si trasforma in lavoro come valore di scambio. A deter minare la particolare forma astratta del lavoro, come pura forza-lavoro, come merce, la particolare forma sociale della societ borghese completamente fondata sul lo scambio. Per Proudhon, invece, il lavoro in tutti i casi la reale misura del valore, al di l della forma scambista data dal mercato capitalistico delle m erci m . E questo perch, come abbiamo gi detto, il fenomeno della forza collettiva e il suo effetto la creazione del plusvalore una realt che si esplica non solo nel contesto della societ borghese, ma in ogni forma di societ. Proudhon, in altri termini, pur avendo intuito che la specificit dello sfruttamento ca pitalistico consiste nella differenza tra il valore duso e il valore di scambio del lavoro124, mantiene nondimeno la direzione della ricerca dentro lorizzonte assai pi vasto del campo sociologico. Lintento quello di scoprire il prin cipio sociale della forza collettiva al fine di dare una spie gazione generale dello sfruttamento delluomo sulluomo che superi la specificit storica borghese. Certamente, tale ricerca rimasta uno statuto scienti fico genericissimo, per non dire quasi banale125. Lintui zione che la sottende, tuttavia, ci sembra importante, per ch proprio questa e ritorniamo cosi alla sua critica del comuniSmo come critica della propriet ad inner vare il metodo analitico che lo rende lungimirante circa la

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Introduzione vera natura della societ comunista quale forma suprema del regime proprietario. Il comunismo, infatti, abolisce solo il modo di produ zione generato dal capitale, vale a dire lo sfruttamento del lavoro umano come lavoro astratto generale, come merce, ma non distrugge per nulla la causa della pro priet perch questa si ricostituisce sotto le spoglie di un diverso controllo e sfruttamento della forza collettiva. Non esplicitando il fatto reale che la propriet, intesa come attribuzione a qualcuno dei mezzi di produzione, in tutti i casi ineliminabile, esso permette che nei fatti questo qual cuno, mimetizzato dietro il mito della propriet collet tiva , possa veramente controllare e sfruttare il lavoro monopolizzato dallo Stato. In tal caso la propriet si rico stituisce non come propriet giuridico-privata dei mezzi di produzione, come riconoscimento ufficiale, ma come reale possesso da parte di chi detiene e controlla in qualche mo do il monopolio del lavoro anche se esso non pi, a questo punto, una merce. Anzi, proprio perch non pi merce, il lavoro subisce uno sfruttamento maggiore. Non determinandosi ulteriormente come valore di scambio, ma solo e soltanto come valore duso, esso costretto a subire la sola valorizzazione possibile, quella data dal suo unico padrone e signore: lo Stato. Lideologia collettivista dunque, in conclusione, la forma pi mistificante e raffi nata del regime proprietario. Diventa perci assolutamente necessario per Proudhon esplicitare al massimo la distinzione fra la propriet come droit d'aubaine, negativa e non necessaria, e la propriet come possesso, positiva e auspicabile. Solo se si vera mente consapevoli che in tutti i casi bisogna attribuire a qualcuno i mezzi di produzione, possibile neutralizzare gli effetti negativi della propriet come droit daubaine. Solo in tal modo, insomma, possibile pervenire alla societ senza classi che data non dallabolizione della propriet, frase priva di senso, ma dalla generalizzazione della propriet, cio dal possesso universale fondato sul lavoro. Su questa fondamentale distinzione fra propriet dispotica (droit daubaine) e propriet democratica (pos sesso giustificato dal lavoro non appropriatore della forza collettiva) Proudhon traccia il confine insuperabile fra comunismo e socialismo, fra mistificazione del regime pro prietario e reale abolizione dello stesso. Luniversalizzazione della propriet, intesa come posses so generalizzato fondato sul lavoro, dunque lunica via per distruggere il privilegio perch, afferma egli polemicamente, non affatto diventando comune che la propriet

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pu diventare sociale: non si rimedia alla rabbia facendo mordere tutti 126. La critica dellesclusivismo proprietario (del plusvalore dovuto alla propriet senza uso) quindi indissociabile dalla propugnazione delluguaglianza delle propriet individuali, del possesso generalizzato. Dalla anti nomia fra propriet e lavoro si deve passare alla riconcilia zione del lavoro con la propriet, si deve pervenire al pos sesso per ricondurre la propriet a un ruolo servente nei confronti del lavoro liberato. Coerentemente, da queste conclusioni che discende la teoria proudhoniana delluguaglianza e della reciprocit dello scambio fra equivalenti.
I fo n d a m e n ti neutri d e lla n tin o m ia

Abbiamo visto che approfondendo lanalisi sociologica Proudhon riuscito a generalizzare la critica al concetto di propriet, passando da ima sua individuazione capitali stica ad una sua individuazione comunista. Questo perch la propriet una risultante e un controllo della forza col lettiva e come tale pu presentarsi ovunque vi sia asso ciazione umana: la generalizzazione del concetto di pro priet discende, in altri termini, dalla generalizzazione socio logica del concetto stesso di forza collettiva. Infatti lo Stato pu essere considerato proprietario della volont politica dei cittadini, il partito politico dellansia di rinno vamento dei propri iscritti. E ancora, secondo Proudhon, il capitale risulta dal furto del prodotto della forza collet tiva, cosi come il governo deriva dallappropriazione della forza sociale di cui si arroga la direzione, e cosi via. La propriet si presenta quindi nel suo pensiero come un principio autoritario di equivalenza allargato, nel senso che propriet e autorit diventano pressoch sinonimi: Ci che si chiama in politica autorit analogo, equi valente a ci che si chiama in economia politica propriet; queste due idee sono identiche e adeguate luna allaltra 127. Si possono neutralizzare gli effetti negativi della propriet con la sua trasformazione in possesso, o, come vedremo, con lautogestione generalizzata per quanto riguarda gli altri aspetti non economici, ma non si pu mai abolire la sua causa. Ora proprio questo che interessa a Proudhon: analizzare tale causa, cio i fondamenti strutturali di questo feno meno per spiegare le leggi che presiedono e governano la societ. Da qui la formulazione di un programma di ricerca

Introduzione che si pu riassumere con questa frase: La scienza so ciale la conoscenza ragionata e sistematica non di quello che stata la societ, n di quello che sar, ma di quello che in tutta la sua vita, vale a dire nellinsieme delle sue successive manifestazioni: perch soltanto cosi pu esservi ragione e sistem a128. Lintento chiaro: affermando l'esi stenza di una struttura sociale atemporale, Proudhon di chiara la possibilit di cogliere le leggi di questa riproduci bilit costante al fine di vedere, per cosi dire, quale la loro valenza politico-ideologica cio se esse sono destinate soltanto a servire il principio autoritario. La questione, si capisce, determinante: qualora si riesca a dimostrare che i fondamenti strutturali della forza collettiva sono neutri , diventer evidente che un loro diverso uso potr rendere possibile un vero processo di trasformazione sociale. Le conclusioni cui giunge Proudhon riflettono comple tamente questo punto di vista: la forza collettiva non in s strutturalmente autoritaria, n strutturalmente liberta ria. Essa disponibile a diversi esiti a seconda della plura lit dei modi in cui viene gestita e organizzata. La dimostrazione proudhoniana non tuttavia lineare. questo infatti un aspetto intricatissimo, contraddittorio e sofferto di tutta la sua ricerca, dove si palesano intui zioni geniali e limiti teorici vistosi. Ci perch al fondo di tutto lassunto vi il concetto di antinomia quale struttura unificante di tutto il reale. Ora lantinomia, labbiamo gi visto, non si risolve . Ne deriva che anche la dimostrazione di Proudhon non pu mai com pletamente risolversi perch costretta, dal suo stesso as sunto, a ripercorrere le pieghe contraddittoriamente infi nite del reale date, appunto, daUantinomia: per organiz zare la societ, ristabilire lordine, non ci si pu sottrarre ai principi antinomici. inutile cercare un 'uscita, come so luzione alle contraddizioni che si presentano; non esistono uscite. Arrangiamoci (invece) con esse e attraverso esse 129. In altre parole, la piena realizzazione di un solo ter mine impossibile perch questo, sviluppandosi, genera immediatamente il suo contrario, senza daltro canto arri vare mai aUannullamento o allassorbimento di entrambi i contrari in una sintesi superiore. Le antinomie insomma non possono essere superate, ma solo bilanciate e modificate. Questo realismo teso a cogliere linfinita pluralit della vita comunitaria ha, nelle intenzioni di Proudhon, il com pito di evidenziare la realt obiettiva delle leggi socio-eco nomiche affinch da queste leggi il socialismo voglia par tire per la realizzazione dei propri scopi. Perch qui sta
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41 Fondamenti neutri dell'antinomia il punto: che il socialismo pu realizzarsi solo mantenendo l'antinomia. Se non che, il mantenimento dell'antinomia, quale strut tura unificante di tutto il reale, significa il mantenimento di tutta la realt sociale intesa come un insieme multiforme e insopprimibile di forze collettive. In altri termini, la plura lit delle forze collettive il segno tangibile del manteni mento dell'antinomia. Pertanto solo una scienza sociale capace di cogliere tale insieme pu costituire la base razionalmente scienti fica del socialismo. Una scienza sociale che faccia conver gere su di s filosofia ed economia, storia e sociologia, poli tica e morale. Solo cosi si pu cogliere la societ nella sua immanenza, cio nellinsieme delle sue successive ma nifestazioni . Ne deriva, di conseguenza, che una scienza sociale si autorealizza soltanto come una sorta di conoscenza inter disciplinare e perci come superamento dellapproccio eco nomicistico per la comprensione della societ130. Occorre dunque fondere in un unico metro analitico leconomia e la sociologia131, rifiutandosi di stabilire un nesso di causa lit tra la struttura economica e la struttura sociale, per enucleare invece limmagine di un sistema economicosociale132. ----Con questa fondamentale impostazione volta a darsi una scienza integrale , Proudhon prende le distanze, an cora una volta, sia dal liberismo economico che dal socia lismo autoritario. Il liberismo economico afferma infatti che gli antagonismi sono ineluttabili e che non vi altra soluzione che il loro mantenimento, precludendosi cosi la reale comprensione del significato delle antinomie. Il socia lismo autoritario sostiene che in una comunit fraterna tutti i conflitti scompariranno. Luno e laltro concordano quindi nel negare che si possa costituire una scienza so ciale che abbia come proprio oggetto le leggi immanenti della societ, sicch anche il socialismo autoritario, che pure dichiara di voler combattere il liberalismo, dimostra di non avere niente che non vi sia anche nell'economia politica e questo plagio perpetuo la condanna irrevocabile di entrambi 133. Occorre invece ripensare tutte le forme dell'attivit umana secondo un criterio di equivalenza e di interdipen denza. Per lui ogni attivit umana risulta allo stesso titolo prodotto e produttrice della realt sociale in atto, perch partecipa alla totalit espressa in ogni forza collettiva, perch , in egual misura, creatrice di questo fenomeno 134. Nella trasformazione sociale e pi in generale nel dive-

Introduzione nire incessante della realt, tutte le forme dellattivit uma na si presentano perci in modo simultaneo, perch nella pratica sono inseparabili, e autonomo, giacch nessuna forma deriva gerarchicamente da unaltra. Questa possi bilit di pensare la realt sociale come totalit dialettica, mai completamente risolvibile, come simultaneit attra versata da antinomie e contraddizioni e non da schemati smi gerarchici, consente quindi di stringere in un unico nesso coscienza e azione, idea e fatto, ragione e pratica, realt e progettazione135. Contro ogni gnoseologia che leg ge la realt secondo una chiave interpretativa di tipo gerarchico, Proudhon sottolinea la costante mobilit del l'azione sociale che penetra linsieme dei livelli materiali e intellettuali prodotti dalla societ; restituisce intera lim magine della realt perch colta nella sua multiformit e pluridimensionalit; consente di ipotizzare infine, con questa teoria che egli definisce ideo-realista U6, lesistenza di una forma ordinata, di unidea, espressa dalla totalit delle relazioni intellegibili del reale, pur nella loro perenne contraddittoriet. Nellordine sociale egli scrive: il iatto e Videa sono realmente inseparabili 137, ogni fatto cio adeguato alla sua idea 13S; tra reale e razionale esiste identit e la forma del reale esprime ima forma logica, ogni realt esprime il suo senso o la sua idea. Proudhon vuole ripensare tutta la realt sociale nella sua attualit categoriale, in ci che rimane fisso attraverso il tempo e lo spazio, e ci possibile, a suo giudizio, solo pensando lazione sociale come unidentit fra pratica e teoria139; lesempio dello scambio, rapporto fondamentale che caratterizza la natura stessa del sociale, definisce chiara mente tale identit. In esso, afferma Proudhon, non si pu opporre unidea e una realt, n si pu ricercare un rap porto di successione fra l'una e laltra, perch lo scambio al tempo stesso una pratica e un rapporto astratto, una realt e unidea 14. Nello scambio lidea identica al fatto, lazione lidea141. In questa eccessiva tendenza di Proudhon al razionali smo 142 non si deve scorgere un suo inconsapevole platoni smo (le idee si esprimono nella realt 143) n un suo incon sapevole hegelismo (lidentit del reale e del razionale). Proudhon ha voluto al contrario denunciare ogni idealismo dimostrando come tutti i sistemi filosofici (abbiano) la loro radice e la loro ragion dessere nella societ stessa 144, mentre la teoria dellidentit del reale e dellideale ha per lui lo scopo non di giustificare il presente, ma di scoprirne e denunciarne le contraddizioni.
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vero che alcune sue formulazioni si prestano a una definizione in termini di idealismo145; questa la defini zione che Marx ha usato contro Proudhon affermando che questi non ha capito che le categorie economiche sono solo espressioni teoriche, le astrazioni dei rapporti socia li Egli non ha compreso che gli stessi uomini che stabi liscono i rapporti sociali conformemente alla loro produtti vit materiale, producono i principi, le idee, le categorie, conformemente ai loro rapporti sociali. Cosi queste idee, queste categorie sono tanto poco eterne quanto lo sono le loro relazioni che esse esprimono 146; noi sappiamo tutta via che nelle annotazioni scritte in margine al suo esemplare della Miseria della -filosofa, Proudhon ha violentemente e giustamente protestato contro una simile deformazione del suo pensiero ribadendo piuttosto lunit di teoria e pratica, struttura e sovrastruttura, reale e razionale, in quanto ter mini fondati su un'identit concreta e non sul principio della derivazione gerarchica: La societ produce le leggi e i materiali della sua esperienza [...]. Ho mai preteso di affermare che i principi siano cosa diversa dalla rappresen tazione intellettuale e che essi siano la causa generatrice dei fatti? 147. In realt, il progetto proudhoniano di cogliere la logica generale e riproduttiva della dimensione autoritaria pre sente nel sociale non porta, come credette il socialista tedesco, a sostituire al reale una sua astratta rappresenta zione ideale, a immaginare una fantastica generazione delle categorie logiche attraverso una ragione pura14i. Porta invece a creare un modello euristico universale, capace cio di riuscire a spiegare qualsiasi societ gerarchica. Fare lana lisi del sistema secondo la successione delle idee signi ficher svelare la sua struttura logica sostituendo alla suc cessione storica lordine interno delle relazioni immanenti149. Ci che divide Proudhon da Marx non dunque il fatto che egli sarebbe idealista e Marx materialista, ma il fatto assolutamente centrale che Proudhon legge lo sfruttamento e lalienazione umana a partire dal suddetto modello uni versale deUautorit, e dalla nozione di antagonismo anti nmico 15. Lintenzione di Proudhon non dunque quella di ammettere senza critica le categorie dell'economia bor ghese o dedurre da esse pretesi principi invariabili, ma di osservare e spiegare il regime della propriet in tutte le sue forme, nella sua totalit, fissandolo per un momento nella sua dimensione sincronica, nel suo fondamento strut turale 151. In effetti, se tra razionale e reale esiste identit e il

Introduzione reale leggibile in quanto forma logica, lecito pensare per contro che il potere struttura che si assimila parassitariamente ad ogni livello del sociale, trascorrendo dalluna allaltra delle attivit umane in virt della loro equi valenza sia leggibile nella sua logica generale e riprodut tiva al di l dei suoi particolari e specifici modi d'essere affermatisi nel corso dello sviluppo storico. Precisamente, che esso sia rinvenibile in egual misura, anche se sotto spoglie diverse, a qualsiasi livello della vita sociale e quindi non solo a livello economico. Infatti la pluralit delle forze collettive espressasi come loro sostanziale equivalenza a sua volta il segno tangibile della pluralit delle possibili forme di propriet, cio delle possibili forme di potere. I fondamenti delle varie forze collettive si rivelano come fon damenti neutri proprio perch la pluralit di queste stesse forze la base delle antinomie che in s non sono n liber tarie, n autoritarie. Loggettiva pluralit delle forze collet tive, cio la struttura dinamica delle antinomie, dunque lorizzonte insuperabile non solo della spiegazione proudhoniana della societ intesa nella sua ragione di esistenza, ma anche nella sua ragione di trasformazione. questa considerazione che porta Proudhon al delibe rato proposito di rappresentare, come in unequazione ma tematica, la logica della struttura sociale, al fine di liberarla dalle sue contraddizioni distruttive. Ci vuol dire che non si pu pensare di abolire le contraddizioni, vale a dire il dinamico modo di essere di tali forze, ma solo di regolarle creando sempre nuovi equilibri capaci di rispondere al lespansione continua del cambiamento che la linfa vitale della libert. Diversamente Marx, leggendo la realt attraverso il rap porto autoritario struttura-sovrastruttura, negando impor tanza a quelle forme dellagire umano che egli ritiene deri vate, sovrastrutturali, ritenendo infine, e contrariamente a Proudhon, che davvero le antinomie possono essere defini tivamente risolte, apre la strada a un comunismo, che, posto di fronte alla loro realt irriducibile, alla loro mancata solu zione in ima sintesi superiore, non pu che imporsi forzando le leggi immanenti e obiettive della societ, non pu che darsi a prezzo della coercizione e della dittatura, a prezzo della sua trasformazione in regime poliziesco152. Tutti i partigiani del collettivismo accentratore sono infatti vit time di una strana illusione: fanatici del potere pretendono di far derivare l'instaurazione di una societ nuova dalla forza centrale 153. Il modello della loro vagheggiata organiz zazione industriale sembra preso a prestito da quello della polizia perch fra tutti i pregiudizi quello che accarezzano
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di pi la dittatura. Dittatura dellindustria, dittatura del commercio, dittatura del pensiero, dittatura nella vita so ciale e nella vita privata, dittatura dappertutto 154.
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L'analisi proudhoniana della forza collettiva ha eviden ziato limmanenza di tale forza in ogni azione sociale. In virt di questa forza, che si sprigiona spontaneamente dalla vita associata, il sociale si rende effettivamente autonomo rispetto a qualsiasi potere esterno: al di sotto dellapparato governativo, allombra delle istituzioni politiche esso tende a produrre lentamente e in silenzio il suo proprio organi smo, e a costituire un ordine nuovo, espressione della sua vitalit e della sua autonom ia155. La societ, per cosi dire, cammina da sola 156. Ogni potere politico vivendo dellappropriazione di questa forza sociale immanente alla collettivit, rispetto alla quale tuttavia superfluo, non pu perci che instaurare con questa collettivit un rapporto di contrapposizione; una contrapposizione nella quale si ritrova per Proudhon lo stesso antagonismo che lega lo spontaneo e il meccanico, il mobile e limmobile, la creazione e la ripetitivit, la plura lit e lunidimensionalit, il dinamismo e la conservazione. Precisamente, si ripete qui ci che avviene fra capitale e lavoro, perch se nella societ economica la forza collet tiva nasce dai rapporti di cooperazione, nella societ poli tica nasce dai rapporti di commutazione, di relazione, di scambio, moltiplicandosi in funzione di questi. Cosi come esiste un plusvalore economico, esiste pure un plusvalore statale, nel senso di una usurpazione permanente della po tenza sociale espressa dallessere collettivo della societ157. Si pu dire pertanto che sfruttare e governare sono la stessa cosa 15S. La politica dunque, in rapporto alla vita sociale, ci che il capitale in relazione al lavoro: unalienazione della forza collettiva ; lo Stato in quanto rappresentazione sim bolica, rappresentazione esterna della forza sociale, ne anche per ci stesso la negazione, una sottrazione di vita e di esistenza. Come si pu notare le categorie dellalienazione e della trascendenza, gi esplicitate da Feuerbach e Marx, tornano qui a innervare la critica proudhoniana. Specificamente, esse compaiono fondandosi in una stretta analogia; se infatti

Introduzione per Feuerbach la trascendenza si d nel rapporto esisten ziale tra luomo e Dio e se per Marx l'alienazione si estrin seca nella sola relazione tra lessere produttore e la produ zione stessa, per Proudhon questi due piani dellesisten za, e del sociale nella forma della produzione slittano l'uno sull'altro e si identificano nella comune critica rivolta alla trascendenza sotto qualunque forma questa si ma nifesti 159. Il politico, lo Stato, la risultante dell'alienazione della forza collettiva esplicitata a tutti i livelli, da quello sociale a quello economico, da quello culturale a quello psicologico. Per mantenere la propria esistenza che fittizia, esso non pu che perpetuare l'espropriazione della societ. Non pu che tendere a mantenere la disuguaglianza; perch solo a condizione che la societ sia e rimanga non egualitaria che lorganizzazione statale pu sostituirsi a quella sociale, il politico rispondere alle esigenze delleconomico, e lo Stato assolvere con autorit quello che la societ dovrebbe svolgere con autonomia. Con il principio della fatalit e dell'antagonismo preso per base della societ, noi cono sciamo, scrive Proudhon, il segreto del fatalismo politico, la metafisica governativa di una gerarchia eterna 16. Questo dogma fatalistico fondato sulla teologia della forza stato ripreso in pieno dalla democrazia giacobina e dal socialismo autoritario che Io hanno mutuato totalmente dall'aristo crazia e dalla regalit. Cosi Proudhon constata attraverso l'analogia simbolica una sorta di religione della forza , di mistica della ragione di Stato , di fascino che ammante rebbe il potere sociale spingendolo come un archetipo sa crale fino nel profondo dell'inconscio sociale161. In conclusione lidea dello Stato secondo il pensatore francese non prescinde da una dimensione teistica, neppure nelle sue articolazioni formali (tanto da assumere perfino una qualche forma trinitaria di potenza, assistenza e sicu rezza) e spiegherebbe anche la trasposizione dal piano teistico a quello fideistico operata dal pensiero giacobino, nel quale limmagine indeterminata e collettiva del po polo viene vissuta in chiave trascendente e sacrale, a estrema riconferma delle ragioni della legittimazione del lespansione totalitaria e burocratica del potere162. proprio dunque della natura dello Stato, di ogni Stato, tendere a un proprio rafforzamento attraverso un movi mento di assorbimento delle forze collettive e delle forze sociali. E non solo lo Stato spinto dalla sua logica intrin seca ad appropriarsi dellazione sociale, ma anche a cen tralizzare e unificare in una sola direzione la pluralit della vita collettiva. Questo movimento, che comporta la crescita
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continua delle funzioni dello Stato a spese delliniziativa individuale, corporativa, comunale e sociale 1& 3, ima volta iniziato tende incessantemente a crescere, a invadere tutta la societ, perch la centralizzazione per sua natura espansiva, invadente. La societ disegualitaria dunque la condizione obiettiva dellesistenza dello Stato allo stesso modo in cui lesistenza di questo la condizione del mantenimento della disugua glianza sociale. La tendenza irreversibile dello Stato alla concentrazione e allappropriazione della forza sociale dipen de quindi dal conflitto delle classi, e pi precisamente da ogni forma di gerarchia sociale che a sua volta la condi zione fondamentale per lestorsione della forza collettiva. La contrapposizione fra politico e sociale assume sen zaltro nel pensiero di Proudhon la forma della contrappo sizione fra autorit e libert; date queste radicali premes se 164, Proudhon conseguentemente contrario a qualsiasi rivoluzione di tipo politico, tale cio da interessare soltanto il potere. Questo genere di rivoluzione, ai fini di un vero cambiamento sociale, assolutamente fasullo, apparente, proprio perch fittizia la dimensione stessa del politico, fondata com su unesistenza presa a prestito dal sociale165. Ogni rivoluzione politica non pu che essere una rivolu zione alienante perch ripete la dinamica, sempre identica a se stessa, del rapporto parassitario fra la societ globale e lo Stato, tra la forza collettiva espressa dalla societ e lappropriazione generale operata dallo Stato. Inoltre, poich il politico deriva dallalienazione posta in atto a tutti i livelli della vita collettiva e non solo quindi dallaliena zione economica pur se questa ha una grande importanza166, ecco che la rivoluzione politica finisce per essere proprio la forma massima dellalienazione umana. Comprendere la specificit del politico senza intenderlo come riducibile a mero riflesso delle contraddizioni econo miche significa leggere contemporaneamente la logica del potere, sia nella sua forma generale che in quella partico lare. Nella sua forma generale perch lo Stato, forma su prema della politica, comprende il complesso pi potente delle articolazioni autoritarie della societ gerarchica: ma gistratura, polizia, finanze, educazione, esercito, burocrazia, informazione. Nella sua forma particolare perch il modello del politico si esprime per definizione nellesercizio del po tere: Lautorit sta al governo come il pensiero alla parola, lidea al fatto, lanima al corpo. Se lautorit il principio del governo, il governo lesercizio dellautorit. Abolire luno o laltra, se labolizione reale, significa distruggerli tutti e due nello stesso tempo; per lo stesso motivo, con

Introduzione servare l'uno o laltra, se la conservazione effettiva, signi fica mantenerli entrambi 167. Ci permette a Proudhon di dimostrare che non esiste una scienza della politica che non sia in realt ima scienza del potere; che una scienza della politica, in quanto scienza del e per il potere non potr superare mai lorizzonte del potere per il potere; che, infine, non vero che non esiste 1 autonomia del politico dal momento che questa autonomia trova il suo terreno ideale proprio l dove fruttifica il potere. Detto in altro modo: le leggi della politica e quelle del potere sono di eguale natura, sono autonome e non rispon dono a volont ideologiche. Dovunque vengano messe in moto e applicate si evidenziano come leggi rispondenti a una logica tutta propria, refrattaria ai contesti socio-econo mici anche se di essi assimilano la contestualit storica. c,sse travolgono ogni intenzione positiva di riforma, nel senso che non sono gli uomini a cambiare la natura del potere, ma questo a cambiare quelli. 11 governo infatti per sua natura controrivoluzionario, o resiste, o opprime, o corrompe, o infierisce. Il governo non sa, non pu, non vorr mai essere nientaltro. Mettete un san Vincenzo de' raoli al potere: diverr un Guizot o un Talleyrand ,6S. Cosi il socialismo statalista pretende di combattere il capitalismo con una nuova alienazione, quella dello Stato; di lottare contro labuso con un ulteriore abuso; di abbat tere un assolutismo con un altro assolutismo: Cosa stupe facente, la maggior parte dei rivoluzionari, a imitazione dei conservatori che combattono, non pensano che a co struire prigioni 169. Proudhon approfondendo la sua critica allo Stato mette perci in rilievo nella classe politica dei democratici, dei socialisti governativi e dei rivoluzionari, un gusto del potere politico e della propriet che, pur essen do pi sottile e meno apparente, tuttavia equivalente e similare al gusto del potere economico e della propriet tipica dei capitalisti. ci perch il potere una vera propriet, un diritto di usare e di abusare, un mezzo di struttamento delluomo attraverso la forza170. Paradossal mente proprio lo Stato a essere il Dio adorato del socialismo autoritario 171 un feticcio nato con il dogmatismo giacobino e continuato con il governamentalismo demo cratico, radicale e socialista 172. Contrariamente dunque a tutte le illusioni dei partiti e allo spirito giacobino, Proudhon mette in luce il carattere essenzialmente controrivoluzionario della politica perch sempre essa si esprime nella logica del potere. Egli segna cosi una rottura con tutte le teorie politiche del passato e con tutte le concezioni falsamente rivoluzionarie dei de-

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Critica del potere politico 49 raocratici, incapaci, tutte, di prescindere dal pregiudizio statalistico. Una rottura che conduce a questa lapidaria de finizione della rivoluzione: Nessuna autorit nessun go verno, nemmeno popolare: la rivoluzione sta in questo 173. La critica radicale allidea stessa dello Stato, del go verno e della politica si salda quindi con la critica alle teorie che immaginano la nascita del potere politico quale risultato di una libera decisione dei cittadini, quasi che fosse possibile una unificazione forzata del politico senza una precedente unificazione naturale del sociale174. Vi invece una societ permanente, indistruttibile, che sostiene tutte le forme ufficiali comunicando a loro una parte di s . La societ reale il noumeno , la societ ufficiale il fenomeno , la prima l'essenza , la seconda lo Stato 175. Occorre quindi pensare il politico attraverso il sociale, pur nella consapevolezza della distinzione dei due piani. Questa critica investe chiaramente la nozione rousseauiana del Contratto sociale, dove esso appunto per Rousseau laccordo politico, e per Proudhon invece sinonimo di alienazione della libert e di sottomissione coatta176. Il Contratto rousseauiano si presenta ai suoi occhi quale ipo tesi troppo irreale perch non fa riferimento alle forze concrete dellesperienza sociale ed economica177. Alla base del Contratto sociale di Rousseau, come di tutta la tradi zione giacobina, vi una fondamentale ambiguit dovuta proprio aHindeterminatezza del ruolo del potere, il quale, venendo concepito come indiviso perch nato dal popolo , non pu che risolversi in un puro dispotismo: tutto ci che la storia e l'immaginazione possono suggerire di estrema licenza e di estrema servit si deduce con una facilit e un rigore di logica dalla teoria societaria di Rousseau 178. In verit la critica proudhoniana si estende a tutte le forme del politico, da quella assolutistica a quella demo cratica, perch tutte fondate sullidea che gli uomini deb bano cedere la loro autonomia e delegare il loro potere al fine di costruire una sovranit che, volenti o nolenti, do vranno poi rispettare179. La teoria della democrazia rappresentativa e del suf fragio universale vengono appunto considerate da Proudhon sotto questa luce, e perci valutate una grande illusione mistificatoria 18. Specialmente contro questa illusione la critica proudhoniana del potere politico si dispiegher con tutta la sua forza intorno agli anni cruciali del 48-49. A suo giudizio si sperer sempre invano che la democrazia rappresentativa esprima le idee e gli interessi generali. Un delegato eletto al fine di conciliare le idee e gli interessi di

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tutti o almeno di una parte dei suoi mandanti, rappresenter sempre invece una sola idea e un solo interesse; unassem blea per quanto voglia rappresentare la pluralit degli elet tori non potr alla fin fine che dichiarare la sola opinione della sua maggioranza. Cosi, dichiarando volont popo lare lo pinione di met del Parlamento si sostituir all'il lusione democratica la tirannia maggioritaria. Lobiettivo della rivoluzione politica voluto dai democratici non perci quello di restituire al popolo la sua sovranit per mezzo della distruzione dellautorit, ma al contrario di fare della democrazia una nuova autorit, un nuovo potere pi forte e pi solido perch fondato questa volta su un consenso popolare illusoriamente pi allargato181. Il rifiuto della democrazia rappresentativa, che verr in seguito attuato, indica qual latteggiamento e il giudizio di Proudhon verso ogni forma di rappresentanza e di delega, specialmente per quanto riguarda l'emancipazione delle classi inferiori. Si pu dire senz'altro che la teoria proudhoniana della separazione fra societ economica e societ politica, fra Stato e societ, che motiva il princi pio fondamentale secondo il quale lemancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi o non sar 182. Pi estesamente, questidea, che ha il suo fonda mento nel concetto di autonomia delle masse 183, afferma che lemancipazione proletaria pu avvenire solo senza laiuto del governo e senza laiuto di qualsiasi consorteria o fazione rivoluzionaria separata dal popolo 184. Solo agendo da se stessa e per se stessa la classe operaia pu realizzare la propria emancipazione. Proudhon quindi portato del tutto logicamente a re spingere la dittatura del proletariato perch essa implica unazione di guida sulle masse popolari ad opera di un corpo estraneo al mondo sociale: i rivoluzionari di profes sione, che appartengono per definizione e di fatto alla societ politica. La dittatura del proletariato resta perfet tamente legata, perch ne la sua esatta espressione, a una tipica concezione della rivoluzione il cui solo e unico scopo la sostituzione del potere. In realt, se la rivoluzione vuole essere davvero la distruzione di ogni alienazione, alienazione che per Proudhon si identifica tout court con il principio di autorit, evi dente allora che la liberazione umana deve escludere il ricorso a tale principio, qualunque sia la giustificazione a ci addotta. interessante a questo proposito leggere quanto egli scrive su questo tema proprio in una lettera a Marx, lettera che segna la definitiva rottura tra i d ue185 e che vale la pena

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di riportare quasi per intero. Scrive dunque Proudhon: [...] credo mio dovere e dovere di tutti i socialisti man tenere ancora per qualche tempo la forma critica o dubi tativa; in breve, faccio professione in pubblico di un quasi assoluto antidogmatismo economico. Cerchiamo insieme, se volete, le leggi della societ e del progresso; il modo in cui queste si realizzano, il progresso secondo il quale noi veniamo a scoprirle; ma diamine! dopo aver demolito tutti i dogmatismi a priori, non pensiamo a nostra volta ad addottrinare il popolo [...]. Applaudo di tutto cuore la vostra idea di portare in luce tutte le opinioni; facciamo una buona e leale polemica; diamo al mondo lesempio di una informata e lungimirante tolleranza, ma non facciamo di noi stessi, perch siamo alla testa di un movimento, i cam pioni di una nuova intolleranza, non posiamo ad apostoli di una nuova religione, fosse pure la religione della logica, la re ligione della ragione. Accogliamo, incoraggiamo tutte le pro teste; rifiutiamo ogni esclusivismo, ogni misticismo; non con sideriamo mai esaurita nessuna questione, e quando avremo usato il nostro ultimo argomento ricominciamo da principio, se necessario, con leloquenza e lironia. A queste condizioni io entrer nella vostra associazione, se no, no! Devo fare qualche osservazione anche su questa frase della vostra lettera: al momento dellazione. Forse conser vate ancora lopinione che al presente nessuna riforma sia possibile senza un coup-de-main, senza quello che ima volta era chiamato rivoluzione e in realt non altro che una scossa. Questopinione, che io capisco, scuso e sono disposto a discutere, avendola condivisa anchio per molto tempo, i miei studi pi recenti me lhanno fatta abbandonare com pletamente [...] perch questo preteso mezzo sarebbe sol tanto un ricorso alla forza, all'arbitrio, in breve una con traddizione. Quanto a me imposto il problema in questo modo: far rientrare nella societ, con una combinazione economica, le ricchezze che sono uscite dalla societ con un'altra combinazione economica. In altre parole, volgere in economia politica la teoria della propriet contro la propriet, in modo da far nascere ci che voi, socialisti tedeschi, chiamate comunit, e che io mi limiterei per il momento a chiamare libert, uguaglianza 18. Questa lettera, che contrappone chiaramente lidea anar chica dellazione economica allidea marxista dell'azione po litica, significativa perch mostra come Proudhon consi deri del tutto inutile ogni colpo di mano , in quanto non solo palese manifestazione di violenza, e perci di contrad dizione, ma anche perch palese manifestazione di vera impotenza rivoluzionaria. In altri termini, la rivoluzione

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politica si presenta alla fine sempre come una scorciatoia che comporta linevitabile passivit delle masse popolari, perch favorisce la loro atavica propensione alla sottomis sione e al rispetto dei poteri cesariani1S7. Fino a quando le rivoluzioni concernevano la costituzione politica, si poteva anche pensare allutilit di ima sommossa. Ma una rivolu zione che pretende di essere radicale non pu che essere una rivoluzione sociale, la sola in grado di coinvolgere fino in fondo i lavoratori trasformandoli da soggetti passivi a sog getti attivi. per questo che alla formula giacobina tutto per il popolo, ma tutto dallo Stato Proudhon propone di sostituire la formula tutto per il popolo, ma tutto dal popolo 188. Ma la critica della dittatura del proletariato soprat tutto, in Proudhon come in ogni anarchico, critica della nozione stessa di dittatura, in quanto suprema concezione dellautorit. Niente potrebbe essere pi contraddittorio, per Proudhon, quanto proporre la liberazione umana attraverso un mezzo cosi autoritario come la dittatura. In questo senso, lassolutismo della dittatura perfettamente ana logo allassolutismo della propriet. La dittatura cio lestrema concezione ed applicazione della nozione di pro priet in campo politico. Perci lo stesso criterio che sta alla base della critica proudhoniana del comunismo si svolge ora verso la nozione di dittatura. Infatti, come il comunismo sostituendo alla propriet privata la propriet statale realizza il massimo della propriet nel monopolio dello Stato, cosi la dittatura del proletariato, sostituendo la democrazia parlamentare borghese con il massimo della propriet politica nellunico monopolio della dittatura, rea lizza paradossalmente il massimo dellalienazione. Il mas simo dellalienazione, sottolinea Proudhon, perch ogni for ma di assolutismo non mai, e non pu essere mai, transi toria. Lidea della superabilit della dittatura, del suo estin guersi per morte naturale come appunto si delinea nella concezione marxista della fase di transizione , per lui del tutto illogica e mistificante, e vanamente si potrebbe prendere come scusa che questo assolutismo sar transi torio; per il fatto che, se una cosa necessaria per un solo istante, essa lo diventa per sempre, la transizione eterna 189. Ma la previsione proudhoniana, puntualmente confer mata dalla storia, circa lirreversibilit totalitaria e buro cratica del comunismo dittatoriale, non tocca soltanto la critica allillusione della transitoriet . Essa investe anche il problema, antecedente, della effettiva realizzabilit di tale dittatura. Secondo Proudhon infatti le masse operaie

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non potranno mai di fatto esercitare una dittatura fino a che, ai loro posto, al posto delle masse operaie, il potere sar gestito dalla classe politica dei rivoluzionari di pro fessione 190. Per Proudhon la cosiddetta dittatura del prole tariato non pu che risolversi in una dittatura sul proleta riato, su quel proletariato che stato espropriato dai rivo luzionari della propria facolt decisionale. In effetti il sistema politico dei comunisti da conside rarsi una democrazia compatta, basata in apparenza sulla dittatura delle masse, ma tale in realt che le masse non hanno altro potere che quello necessario ad assicurare la servit universale, secondo i principi tolti a prestito dal vecchio regime: Indivisione del potere; Centralizzazione assorbente; Distruzione sistematica di ogni pensiero indi viduale, corporativo, locale, reputato secessionista; Poli zia inquisitrice 191. La critica del potere politico come deduzione della con trapposizione fra Stato e societ porta dunque Proudhon a dar vita in modo consapevole a una tradizione di pensiero che si sarebbe da allora fronteggiata con quella giacobinizzante del marxismo.
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La contrapposizione esistente fra Stato e societ, fra il politico e leconomico, che riprende la nota distinzione sansimoniana192, si inscrive per Proudhon nella pi generale contrapposizione fra creazione e ripetizione, spontaneit e ripetitivit, pluralit e unidimensionalit. Perci solo nella societ economica dei produttori, che si contrappongono frontalmente alla societ politica dei dominatori, possi bile rintracciare e svelare quella dimensione creativa, spon tanea e pluralista dellagire sociale, quale segno inconfon dibile dell'emancipazione umana; solo allintemo di una teoria e di una pratica economica si possono correttamente trovare le ragioni e gli scopi di una teoria e di una pratica rivoluzionaria. Ma se la creativit, la spontaneit, la pluralit sono i segni inconfondibili, le manifestazioni visibili, della capacit di autonomia della societ, ci non significa che esse non siano anche i segni e le manifestazioni della consapevo lezza e della compiutezza della libert. La spontaneit, la creativit e la pluridimensionalit, proprie all'azione sociale, della prassi collettiva delleman

Introduzione cipazione umana, sono solo le condizioni necessarie, ma non esaustive, per il raggiungimento della libert. La societ economica dei produttori pu infatti dimostrare la propria capacit di autonomia da ogni tutela esterna dello Stato e del politico, senza per questo raggiungere la libert. Ci significa che occorre operare una netta distinzione fra latto spontaneo, proprio di ogni essere, e latto libero, attributo specifico delluomo193. Questo perch, mentre lordine in terno svelato dalla spontaneit quello della naturalit, della gratuit, ma sempre nellambito della necessit, lor dine mostrato dalla libert invece quello del progetto, della possibilit teorica e pratica di agire al di l della necessit. Tuttavia il rapporto fra spontaneit e libert, o a dir meglio fra necessit e libert, non pu essere visto come una relazione che ponga luomo in una condizione di irreversi bile libert rispetto al mondo e alla natura. Non esiste in Proudhon lidea di un superamento definitivo della necessit da parte della libert. Vi invece lidea di ima complemen tarit fra i due termini, nel senso che la libert completa solo quando si accorda con la necessit 194. Oltre a un rico noscimento del tutto ovvio delle leggi oggettive della neces sit quale unico modo per dominarne gli effetti, vi in queste parole anche un appunto ideologico : Proudhon vi afferma infatti che la libert non pu farsi soggetto asso luto. Anchessa deve rispettare le particolarit e le determi nazioni del reale, deve cio pluralizzarsi e contestualizzarsi dentro le forme storiche e le situazioni reali date. Si tratta di una concezione concreta della libert che si pone allopposto della visione astratta di derivazione illuminista. Questo perch Proudhon avverte una sorta di rischio assolu tistico insito nel concetto di libert qualora essa non venga divisa fra pi soggetti politici e sociali. Dare un valore assoluto alla libert significa per Proudhon assegnarle lo stesso significato che il giacobinismo diede alla volont generale . Occorre invece una dialettica fra determinismi e libert in grado di trasformare lidea astratta e generale di libert in tante idee concrete e particolari di libert. Infatti la divisione della libert si realizza ripetendo il mo vimento della necessit e riconoscendone le connessioni: la necessit essa stessa contraddittoria, poich come ha dimostrato Spinoza, fuori della necessit non esiste nulla, e tuttavia, per spiegare il movimento dell'universo e la perfettibilit degli animi, bisogna, con Leibniz, dividere questa necessit allinfinito, vale a dire creare una libert uguale ad essa 19S. Non esiste cosi ununica necessit ma una pluralit di condizionamenti che consentono alla libert
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molteplici possibilit di affermazioni. La necessit dunque la condizione della libert. L'impossibilit di un assoluto e incontrovertibile superamento della libert rispetto alla necessit porta quindi Proudhon ad una concezione realistica del progresso umano perch, analogamente al rapporto fra necessit e libert, anche quello fra conservazione e rivoluzione esprime la dialettica della complementarit. Le rivoluzioni, egli scri ve, sono le successive manifestazioni della Giustizia nel l'umanit. per questo che ogni rivoluzione ha il suo punto di partenza in una rivoluzione precedente. Dunque chi dice rivoluzione dice necessariamente progresso, e, per ci stesso, conservazione. Ne segue che la rivoluzione in per manenza nella storia; e che, propriamente parlando, non ci sono state parecchie rivoluzioni: non c che una sola stessa e perpetua rivoluzione 196. Da ci risulta secondo Proudhon limpossibilit oggettiva di ima distruzione totale del passato. Infatti, come nel rapporto fra necessit e libert, anche in questo secondo caso la relazione di com plementarit ci indica l'impossibilit di un assoluto supe ramento perch ci che muta stabilisce la misura di ci che resta e viceversa. Occorrono dunque tre termini per decifrare la trasformazione: il primo per identificare il risultato nel suo complesso, il secondo per identificare ci che muta, il terzo per identificare ci che resta197. Si vede subito da quanto detto che la concezione proudhoniana del progresso molto pi complessa di quella comu nemente presente nel secolo scorso. Vi in Proudhon la consapevolezza della radicale relativit del mutamento e perci della assoluta necessit di infondervi una carica etica e morale che lo giustifichi fino in fondo. Il rapporto fra conservatorismo e rivoluzione viene dun que visto secondo una concezione complessa dove la tra sformazione tale nella misura in cui riesce a coinvolgere tutti i settori della societ, da quello economico a quello sociale, da quello politico a quello culturale. Radicalmente opposta alla visione giacobina del colpo di mano che, secondo Proudhon, essendo solo un'operazione di potere non cambia sostanzialmente nulla sul piano antropologico, quella di Proudhon vuole portare invece a una trasforma zione organica . In questo senso si precisa il suo sforzo teorico rispetto al concetto di storia. Questa deve essere si intesa come reale svolgimento progressivo delluomo nelle sue capacit di autonomia rispetto al mondo e alla natura, ma solo nella misura in cui questo svolgimento comporta la consapevolezza dei limiti stessi del cambiamento. La concezione realistica di Proudhon non lascia spazio dunque

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a nessuna visione millenaristica e provvidenzialisti ca del cambiamento concepito come metamorfosi assoluta. Non esiste quindi per lui una soluzione definitiva dei pro blemi sociali in quanto essi si rinnovano sempre proprio perch sempre vi cambiamento storico. La chiara consapevolezza del rapporto fra necessit e libert non impedisce comunque a Proudhon di continuare a pensare che solo nella tendenza al superamento della costrizione fisica e sociale luomo si realizza come libero; un superamento per mezzo del quale luomo al di l della spontaneit idealizza ci che crea, trasfigura il reale, rifiuta di rassegnarsi al naturale, defatalizza il suo de stino 198. Si pu affermare addirittura che per Proudhon la funzione della libert consiste nel portare il soggetto libero al di l di tutte le manifestazioni, aspetti e leggi, tanto della materia quanto dello spirito, e dargli un carat tere per cosi dire sovranaturale 199. Con questa raffigurazione prometeica Proudhon non de finisce solo il rapporto fra spontaneit e libert, fra neces sit e libert, ma spiega anche il concetto di progresso umano. Infatti, cosi come la libert non pu essere ridotta a una mera funzione della necessit, altrettanto il pro gresso non pu essere visto come una evoluzione determi nata nel suo sviluppo. Non vi mai nulla di fatale e di auto matico nel progresso, perch tutto ci che pu essere conquistato pu essere anche perso 200. E questo perch il progresso non pu essere identificato con il puro e sem plice evolversi del processo storico, ma con l'adeguamento o meno allideale della giustizia. In altri termini, il grado di giustizia realizzato nella storia che determina e speci fica il grado qualitativo del progresso umano. quindi la libert alla base della giustizia, perch questa si realizza solo attraverso il libero arbitrio delluomo, cio attraverso la libera volont umana ^ La giustizia non pu essere altro perci che il risultato di una consapevolezza etica, di una cosciente volont rivoluzionaria. Lideale proudhoniano del la giustizia non , come potrebbe apparire superficialmente, lesito di una visione idealistica e utopistica della storia umana, ma, al contrario, il frutto di una riflessione profon damente rivoluzionaria e del tutto realistica. Proudhon iden tificando il socialismo con la sua dimensione etica vale a dire con la giustizia non intende infatti concepire questultima, n ritiene sia possibile farlo, con una realt ester na alluomo, trascendente rispetto aHempiricit antropologica dell'individuo202. La giustizia quindi non come qual cosa di idealistico, ma come attributo intrinseco dell'uomo, nel senso che essa intima e omogenea alla costituzione

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antropologica, al suo essere stesso inteso nella sua atem poralit a]3. Solo da questa autocoscienza immanente alluma no pu svilupparsi una potenzialit sovversiva ben mag giore di ogni effetto causato da contingenze storiche, pu farsi concreto il progetto rivoluzionario delluguaglianza201. sulla base di questa convinzione che Proudhon critica e respinge ogni idea di determinismo storico che a suo giudizio fasulla sul piano scientifico e reazionaria sul piano ideologico. Fasulla sul piano scientifico perch tutta lespe rienza storica passata sta a testimoniare la discontinuit e limprevedibilit del processo storico 205; reazionaria sul piano ideologico perch il determinismo, anche se risultato di una prassi immanente alla collettivit umana, nondi meno, rispetto allindividuo, un puro trascendentalismo, e perci unaltra ed ennesima alienazione. Con queste puntualizzazioni Proudhon elabora il concetto anarchico di rivoluzione, definibile perci come il ricono scimento dello svolgimento incessante e infinito della sto ria per il sovvertimento e la distruzione dell'assoluto 206. Ci significa, in altri termini, la consapevolezza della neces sit di una duplice azione rivoluzionaria: da un lato favo rire il mutamento storico, perch questo, nel suo divenire, porta la societ a cambiare perpetuamente di forma 207, e perci a dissolvere continuamente ogni fissazione e ripe tizione; dallaltro lato a correggere, se occorre, questo stesso mutamento perch pu essere a sua volta portatore di nuovi assoluti. Il travestimento dellassoluto infatti la definizione centrale che Proudhon d della continua possi bilit che si formi, all'interno di qualsiasi moto riforma tore, un nuovo e pi agguerrito assolutismo in quanto ci che definisce lassoluto, il totale, lintegrale non tanto uno specifico contenuto, ma la forma della sua ispirazione, la riproducibilit della sua intuizione. La teoria del pro gresso deve escludere quindi tutte le nozioni assolute, tutte le ipotesi sedicenti definitive, (perch solo cosi) met ter al riparo la societ dallinerzia conservatrice come dalle false imprese rivoluzionarie 208. Il progresso, ancora una volta, laffermazione del movimento universale, e per conseguenza la negazione di ogni forma o formula impu tabile, di ogni dottrina eterna, immobile, impeccabile, appli cata a qualunque essere chiunque esso sia; di ogni ordine permanente, senza eccezione dello stesso universo; di ogni soggetto, empirico o trascendentale, che non vuol cambiare. Lassoluto, al contrario, o lassolutismo, laffermazione di tutto ci che il progresso nega, la negazione di tutto ci che il progresso afferma. la ricerca nella natura, nella societ, nella religione, nella politica, nella morale, delleter

Introduzione 58 no, dell'immutabile, del perfetto, del definitivo, dell'incon trovertibile, dellindiviso m . Ecco perch ogni dottrina che aspira segretamente alla prepotenza e alla immutabilit, che tende ad etemizzarsi, che si vanta di dare lultima formula della libert e della ragione, che nasconde nelle pieghe della sua dialettica lesclusione e lintolleranza; che si afferma come verit in s, pura da ogni contaminazione, assoluta, eterna, come una religione, e senza tollerare considerazioni di nessun altro tipo; questa idea, che nega il movimento dello spirito e della classificazione delle cose, falsa e funesta quanto incapace di costruire210. Contro i travestimenti dellassoluto che comprendo no anche le dottrine falsamente rivoluzionarie come il comunismo, Proudhon propone perci da una parte lidea di progresso come processus, movimento innato, essen ziale, spontaneo incoercibile e indistruttibile , come movi mento essenzialmente storico, soggetto a progressioni, conversioni, evoluzioni e metamorfosi 211, dallaltro come scopo, ideale, per tracciare in questa direzione dl'idea la marcia della libert 212 affinch esso diventi la giusti ficazione dellumanit da se stessa sotto lo stimolo del lideale 213. La rivoluzione non la deduzione necessaria di una realt oggettiva, ma la realizzazione della volont umana, un'impresa voluta dalla coscienza emancipatrice delluomo: la libert, secondo la definizione rivoluzionaria, non per niente la coscienza della necessit, non neppure la necessit dello spirito che si sviluppa, si conserva con la necessit della natura. una forza collettiva che compren de insieme la natura e lo spirito e che si possiede, capace come tale di negare lo spirito, di opporsi alla natura, di sottometterla, di disfarla e di disfarsi essa stessa. una forza che rifiuta per s ogni organismo; si crea mediante lideale della giustizia unesistenza divina il cui movimento perci superiore a quello della natura e dello spirito e incommensurabile con luno e con laltro 214. Una rivoluzione cosi intesa implica, sul piano dellazione, una direttiva di fondo precisa: che vi sia la massima coeren za etica fra il contenuto dei fini perseguiti e la natura dei mezzi usati. I mezzi dellazione devono essere dedotti dai fini che la rivoluzione si propone: quelli della giustizia. su questo rapporto di deduzione tra fini e mezzi, dalla teoria alla prassi, che si fonda la certezza che la prassi sia, essa stessa, la teoria realizzata215. Naturalmente, poich i fini della rivoluzione libertaria ed egualitaria sono appunto la libert e leguaglianza, do

Lautoemancipazione 59 vranno essere libertari ed egualitari anche i mezzi del lazione. attraverso questa via soltanto che l'obiettivo dellazione si inscrive nella prassi, che latto rivoluzionario annuncia la societ futura. A questo punto si tratta di vedere quale classe sociale esprima la consapevolezza della propria forza e volont di liberazione, la propria capacit politica di passare dalla spontaneit dellazione alla libert della rivoluzione. Secon do Proudhon, le classi operaie ( classi operaie e non classe operaia , perch egli allude, anarchicamente, a tutte le masse sfruttate216) sono le sole che possono effet tuare la rivoluzione sociale. Tuttavia ci non avviene in virt della contrapposizione oggettiva fra capitale e lavoro; infatti questa contrapposizione sebbene sia la caratteristica centrale del sistema capitalista, pur sempre una delle tante della societ gerarchica; e, inoltre, non esiste ima legge deterministica che opponga le masse sfruttate agli sfruttatori: la pluralit delle contraddizioni mostra infatti che i cambiamenti storici non hanno e non possono avere necessitanti esiti univoci, che infiniti fattori dinamici concor rono allo svolgimento complessivo dellevoluzione umana. In realt, la capacit politica delle classi operaie va cercata l dove lidea di emancipazione da queste classi prodotta e consapevolmente voluta. A questo proposito occorre che si verifichino tre condizioni: 1) che il sog getto abbia coscienza di se stesso: della sua dignit, del suo valore, del posto che occupa nella societ, della funzione che adempie, degli uffici cui ha diritto di pretendere, degli interessi che rappresenta o personifica; 2) che, come risul tato di questa coscienza di se stesso, affermi la sua idea: sappia cio comprendere, esprimere con le parole, spiegare col ragionamento la legge della sua esistenza, nel principio suo e nelle sue conseguenze; 3) che da questa idea infine, sappia dedurre sempre conclusioni pratiche secondo le variabili contingenze 217. Condizione essenziale della liberazione dunque che le masse sfruttate elaborino da s stesse lidea della societ da instaurare, e che pongano consapevolmente tale idea in rapporto alla loro azione sociale. Diversamente, fino a quan do si mostreranno incapaci di esternare il loro progetto, fino a quando esse prenderanno a prestito le idee di eman cipazione da altre classi sociali, la loro iniziativa storica non passer mai dalla spontaneit alla libert. Questa autonoma iniziativa storica delle classi operaie esige la loro completa separazione pratica e ideologica da ogni altra classe sociale non oppressa e da tutto quel si

Introduzione stema di alienazioni che costituisce la totalit strutturale della societ gerarchica. Solo con questa radicale separa zione le masse sfruttate possono uscire da ogni tutela poli tica, sociale, economica, culturale, ideologica, psicologica, impegnandosi in un processo storico senza precedenti: quello che le vedr agire spontaneamente e liberamente da s stesse e per s stesse, senza pi niente sperare dalle altre classi sociali, n dai partiti politici costituiti, n da qualsiasi stta di rivoluzionari di professione218. La concezione proudhoniana della coerenza tra i fini e i mezzi da usare, e quindi fra lobiettivo della libert e del luguaglianza e la via libertaria ed egualitaria della lotta sociale, implica dunque la massima unit organica fra Videa e l 'azione rivoluzionaria da parte dei soli lavoratori. Ci significa, ancora una volta, che non deve esserci ima divisione fra la coscienza del proletariato, rappresentato paradossalmente da un corpo politico non proletario e anzi estraneo al proletariato (il partito) e lazione di questo stesso proletariato, separazione che invece promossa e teorizzata da tutte le altre correnti autoritarie, per le quali lidea della necessit di una guida politica delle masse popolari imprescindibile219. Ma una volta assicurata lassoluta autonomia delle clas si operaie, come pu realizzarsi il passaggio dalla sponta neit alla libert? In quale modo luomo si realizza come libero? La risposta va ricercata nella sintesi armonica delle facolt complesse che costituiscono lessere umano. Quel la sintesi di materia, vita, intelligenza e passione 220 che propria solo dell'uomo. Essa si d per solo esaltando lautenticit di queste stesse facolt attraverso il loro libero sviluppo: La coscienza, la libert e il lavoro, come la ragione, non sopportano n lautorit n il protocollo. Infatti la ragione, se il suo operato fosse a priori, si pregiudiche rebbe essa stessa e non sarebbe pi ragione, cosi se la coscienza ricevesse il suo criterio da una sorgente estranea non sarebbe pi coscienza, allo stesso modo se la libert si subordinasse ad un ordine prestabilito non sarebbe pi libert, ma schiavit, cosi se il lavoro fosse sottoposto ad un preteso organismo superiore, non sarebbe pi lavoro, ma macchina m . Proudhon riprende cosi implicitamente il concetto di forza collettiva per applicarlo alla libert: come lunione degli sforzi individuali genera nel gruppo sociale una forza superiore alle individualit, altrettanto la sintesi autentica delle facolt umane genera una forza dazione superiore
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Lautoemancipazione 61 alle stesse facolt. Attraverso questa forza superiore luomo si sperimenta come libero e pu cosi opporsi al mondo e trasformarlo. La formazione umana dovr quindi emergere da com plesse e molteplici esperienze culturali e spirituali, dalluso contemporaneo e libero di ogni facolt, dalla messa in opera di tutte quelle condizioni atte a favorire la capa cit da parte dell'uomo di riprogettarsi continuamente. Di qui la concezione di ima naturale confluenza fra sviluppo intellettuale e sviluppo fisico, quello sviluppo in grado di comporre sinteticamente lunit dello studio-lavoro che nel lequilibrio fra teoria e prassi caratterizza luomo com pleto ed emancipato 222. Ci che sta alla base dellobiettivo proudhoniano dellin tegrazione, per ogni individuo, del lavoro manuale con quel lo intellettuale, quindi la convinzione teorica che solo lunit sintetica di idea e fatto, di teoria e prassi, possa esprimere e realizzare la naturale completezza psicofisica aell'uomo, realizzare cio quella forza collettiva che delle sue facolt e che pu renderlo libero. Il concetto della sintesi armonica delle facolt ripos cosi sullidea delloggettiva integralit del lavoro umano in tutti i suoi aspetti, intellettuali, manuali, teorici, pratici, psicologici e materiali. Il lavoro, dice Proudhon, uno e identico nel suo piano perch lidea, con le sue categorie, nasce dallazione; in altri termini lindustria madre della filosofia e della scienza [...]. Ci significa che ogni conoscen za detta a priori, ivi compresa la metafisica, derivata dal lavoro, e deve servire di strumento al lavoro [...] lidea deve quindi ritornare allazione; il che vuol dire che la filosofia e le scienze devono rientrare nell'industria, pena la degrada zione dell'umanit 223. Questa integrazione fra lavoro manuale e lavoro intel lettuale in ogni individuo comporta logicamente labolizione della divisione gerarchica tra funzioni intellettuali e fun zioni manuali nellorganizzazione produttiva e sociale; e contemporaneamente labolizione della divisione verticale fra idea e azione, teoria e prassi nel processo generale di liberazione. Infatti cosi come la funzione politica separata dallazione sociale delle masse si concreta nella tutela della societ da parte dello Stato, analogamente le funzioni intel lettuali separate da quelle manuali si concretano social mente in classi dominanti allintemo della produzione sociale. Alla divisione fra lavoratori manuali e lavoratori intel lettuali propria della societ gerarchica, Proudhon oppone la concezione libertaria ed egualitaria di una societ eco

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Introduzione

nomica e autogestita da produttori autonomi ed eguali; alla concezione gerarchica e statale, quella dei partigiani della libert, secondo i quali la societ deve essere consi derata non come una gerarchia di funzioni e di facolt, m a come un sistema di equilibri fra forme libere, in cui ognuno ha garanzia di conseguire i medesimi diritti purch sotto stia agli stessi doveri, di ottenere gli stessi vantaggi in com penso dei medesimi servizi; sistem a questo essenzialmen te egualitario 224. La visione proudhoniana dellautoemancipazione non comprende, come si pu ben vedere, la pro spettiva della liberazione dal lavoro, ma solo la liberazione del lavoro. Come non pu esistere un superam ento incon trovertibile della libert sulla necessit, cosi non pu esi stere una libert dal lavoro come superamento irreversibile della sua necessit. Anche qui il realismo di Proudhon non d spazio allethos provvidenzialistico e millenaristico del rivoluzionismo comunista, perch, a suo giudizio, pi una societ si espande e pi essa impegna il lavoro um ano nella soddisfazione della domanda progressiva e indefinita dei bisogni2 2 S . Si precisa cosi la concezione proudhoniana dellautoge stione: libert di movimento e di rotazione per tu tti, capa cit di controllo da parte dei produttori in virt di una conoscenza che da individuale si fatta collettiva, gestione dellintera serie dei processi produttivi attraverso u n a cono scenza integrale fattasi equilibrio fra scienza e lavoro, teoria e prassi, idea e azione226. Lorganizzazione policentrica e federalista di ogni nucleo produttivo sotto il governo di tu tti quelli che la compon gono 2 27 lobiettivo del tutto logico e naturale della visio ne proudhoniana della rivoluzione economica che si con trappone in m odo frontale alla rivoluzione politica. Questa rivoluzione non pu coinvolgere solo la classe operaia, m a deve investire pi classi, ceti, gruppi, individui, posti sotto il segno dello sfruttam ento e delloppressione, e tu tti aggre gati attorno a un progetto di trasform azione dal basso delle stru ttu re produttive e sociali. Il protagonista rivoluzionario non dunque un soggetto sociale specifico, una specifica classe oppressa, ma linsieme delle classi sfruttate, che proprio nella contrapposizione tra politico ed economico, tra Stato e societ, si trovano unite e sincrone tan to sul terreno delle trasform azioni imme diate, quanto, e imprescindibilmente, su quello del cambia m ento economico-sociale radicale, attraverso labolizione del potere politico. Lunica rivoluzione possibile p e r la realizzazione della libert e delluguaglianza deve dunque procedere attra

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verso lo sterm inio del potere e della politica 228) essere cio un a rivoluzione economica; ci pu avvenire solo se le m asse lavoratrici, appropriandosi in via diretta dei mezzi di produzione attraverso le molteplici organizzazioni professionali, iniziano e sviluppano u n a vita sociale ed economica al di fuori e indipendentem ente da quella poli tica; gestiscono e praticano rapporti liberi e d iretti senza alcuna mediazione istituzionale; assolvono infine, in quanto societ economica, i compiti precedentem ente svolti dalla societ politica, al fine di rendere qu estultim a del tutto superflua: Ci che m ettiam o al posto del governo lorga nizzazione industriale [...] ci che m ettiam o al posto delle leggi sono i contratti [...] ci che m ettiam o al posto dei poteri politici sono le forze economiche 2 2 9 .

Il socialismo come superamento storico del liberalismo

La contrapposizione fra politico ed economico operata da Proudhon ci porta a questo punto a decifrare il passaggio dalla societ dello sfruttam ento alla societ emancipata. La deduzione di questo passaggio diventa del tutto ovvia e necessaria, qualora si tenga conto quanto abbiamo detto finora. Secondo Proudhon, infatti, vi sono sostanzialmente due mondi: quello del lavoro e quello della politica. Appar tengono al mondo della politica tutte le figure imbevute di una filosofia totale, unitaria, accentrata, omogenea, inevita bilm ente m istica e gnostica e perci, per semplificare, i preti, i guerrieri, i capi-popolo, i rivoluzionari di professio ne, i portatori di verit e di salvezza, i messia di ogni specie. Appartengono al mondo del lavoro, al contrario, tu tte le figure mondane, cio i produttori economici inevi tabilmente ispirati d a una filosofia aperta, empirica, rela tiva, disomogenea, provvisoria, sostanzialmente laica. I prim i vogliono sem pre decidere come deve essere il mondo, i secondi vogliono liberare il mondo. Contro la politica deve dunque insorgere il lavoro, affin ch la contrapposizione si espliciti nella m ortale lotta fra la libert e lautorit. questa unantinomia strutturale, che in linea di principio non pu mai essere risolta. Per Proudhon in fatti lordine politico si fonda su due opposti principi: lautorit e la libert 2 3 0 . La loro antinomia la sicura garanzia del fatto che un terzo termine impossi bile, che non esiste. F ra il si ed il no, cosi come tra lessere ed il non-essere, la logica non am m ette nulla 231. Da queste

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Introduzione

due nozioni risultano per la societ due regimi opposti, definibili come il regime della libert e il regime dell'autorit. Ed qui che Proudhon indica il passaggio dalla societ dello sfruttamento alla societ emancipata. Esso si deli nea quale logico prolungamento della linea tracciata dalla rivoluzione economico-industriale sorta a sua volta dalla rivoluzione borghese contro i legami organici del mondo feudale. Secondo Proudhon in tu tto il corso della storia um ana sono stati concepiti essenzialmente solo e soltanto quattro regimi politici. Questi sono concettualmente insuperabili, nel senso che tutti gli altri modi di intendere la vita um ana associata devono considerarsi delle variabili riconducibili in sostanza sempre alla fondamentale quadripartizione che egli stesso cosi sintetizza: Regime d'autorit a) Governo di tu tti da parte di uno: M o n a r c h i a o P a
tria rc a to .

b) Governo di tu tti da parte di tutti: Panarchia o Co


munismo.

Carattere peculiare di questo regime l indivisione del


potere. Regime di libert

a) Governo di tu tti da parte di ciascuno: D e m o c r a z ia . b) Governo di ciascuno per s: Anarchia o auto-governo. C arattere essenziale di questo regime, nelle due specie, la divisione del potere. tutto qui. Questa classificazione suggerita a priori dalla n a tu ra delle cose e razionalmente deducibile, m atem a tica 23 2 . Si vede subito come questa contrapposizione fra il regi m e d autorit e il regime d i libert ponga nella stessa fa m iglia il principio monarchico con il principio comunista e il principio anarchico con il principio democratico, in quanto il primo gruppo ha sua la caratterizzazione nellindivisione del potere, il secondo nella divisione. Come lanar ch ia lestrem o svolgimento logico della democrazia, cosi il com unism o l estrem o svolgimento logico della m onar chia za. Per Proudhon la contrapposizione deve essere perci u lterio rm en te specificata nel senso che la dem ocrazia
p recisa m en te l'opposto della monarchia, m entre lanarchia lo del com unism o.

Q uesta suddivisione che esprim e il pensiero proudhon ian o nella sua fase pi m atura scinde in modo irrevo cabile la n atu ra teorica dellanarchia dalla scuola socialista

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per porla come estrem a variante del liberalismo. Scrive testualm ente Proudhon: Come variante del regime libe rale, ho segnalato lanarchia o governo di ciascuno p er s, in inglese self-governm ent [...]. Essa consiste nel fatto che, una volta ricondotte tu tte le funzioni politiche alla regolamentazione dei soli rap p o rti di produzione, lordine sociale risulterebbe unicam ente dalle transazioni e dagli scambi. Ciascuno potrebbe dirsi, allora, autocrate di se stesso, il che lestrem o opposto dellassolutismo m onar chico . Da questa prem essa, Proudhon arriva pertanto a concludere che m entre la com unit resta il sogno della maggior p a rte dei socialisti, lanarchia lideale della scuola liberalista che tende chiaram ente a sopprim ere ogni tipo di governo e a costituire la societ sulle sole basi della pro priet e del lavoro libero 234. Affermazioni queste che indicano in modo ben preciso la traietto ria proudhoniana della rivoluzione sociale. Le basi della societ em ancipata, la propriet e il lavoro libero , sono leffetto della rivoluzione economica come continuazione logica del regim e liberal-borghese svuotato delle sue prerogative di classe date dal contesto storico in cui era nato. Secondo Proudhon che azzarda alarne pre visioni la storia seguir questo iter: Anarchia indu
striale, Feudalit industriale, Im pero industriale, Repub blica in d u stria le 725. Lanarchia industriale (qui il termine

anarchia posto in modo dispregiativo) ha rappresentato e rappresenta la fase del capitalismo irrazionale ed insta bile 236, vale a dire la p rim a fase del regim e borghese. Questo capitalism o classico sfocer fatalmente, data la sua continua instabilit e irrazionalit, in im a concentra zione che si risolver in una formazione corporativa, in una F e u d a l i t I n d u s t r i a l e 237 caratterizzandosi per un sistem a di concessioni governative e di monopoli di Stato (e per) un sistema di corporazioni, che unir i padroni e i rappresentanti di assemblee popolari (intraducibile in ita liano: jurandes) 238. Questa F e u d a l i t , non risolvendo alcune contraddizioni, come l'unione fra padroni e operai, sfocer a sua volta in un I m p e r o I n d u s t r i a l e che in quanto m assim a concentrazione possibile risolver non solo le antinom ie economiche, m a anche quelle politico-nazionali. Infine, dopo questa fase totalitaria, si dovrebbe arrivare alla R e p u b b lic a , o D e m o c r a z i a I n d u s t r i a l e , cio la societ fondata sulla universalizzazione della propriet e del lavoro libero. La previsione proudhoniana relativa alla progressiva statalizzazione dei mezzi di produzione e della pianificazione in ogni campo della vita economica, stata fino al terzo

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termine (Im p e ro I n d u s t r i a l e ) sostanzialmente confermata. La F e u d a li t (sistema delle corporazioni) stata realizzata dal fascismo 2 3 9 e pi in generale dalle economie miste, men tre IIm p e ro I n d u s t r i a l e ha avuto la sua realizzazione nel comuniSmo di Stato240. Proudhon infatti aveva spiegato che la F e u d a l i t non risolvendo alcune contraddizioni di fondo del capitalismo, come avverr proprio nel fascismo, si sarebbe risolta nelllM PERO, massimo sistema di pianifi cazione in ogni campo della vita umana associata: La progressiva conversione della feudalit industriale in impe ro industriale la realizzazione del programma comuni sta *. F b Si spiega perci a questo punto la parziale rivalutazione della propriet fatta da Proudhon nella sua ultim a fase di pensiero. Luniversalizzazione della propriet quale inevi tabile risultato della liberazione del lavoro (si badi bene del lavoro, non dal lavoro) si configura come l'ultimo a p prodo dellanarchismo proudhoniano, una volta posta in modo definitivo la considerazione centrale comune, que sta, a tutto il pensiero anarchico2 4 2 che la propriet pri vata non la causa dello sfruttam ento, ma l'effetto della divisione gerarchica del lavoro sociale, questa si vera fon te strutturale delle classi. Occorre perci per Proudhon, come abbiamo visto, abolire la divisione gerarchica del lavoro sociale con lintegrazione in ogni individuo del lavoro intellettuale e del lavoro manuale, vale a dire delle funzioni direttive e delle funzioni esecutive per realizzare leffettiva uguaglianza sociale. Luniversalizzazione della propriet non dunque un ostacolo alluguaglianza sociale e alla libert, m a la via pi immediata e praticabile dellemancipazione popolare, la via che pu realizzare subito, per successive approssi^ > o n i , una sempre maggiore uguaglianza delle fortu ne . Per realizzare questa universalizzazione occorrer pensare una propriet che si ponga nel sistem a sociale come liberale, federativa, decentratrice, repubblicana, eguapt a n Progressista, ma am ante della giustizia 2 4 4 . Poich rroudhon mantiene ferm a la sua idea che nessuna teoria, m linea di principio, pu giustificare m oralm ente e prati camente la propriet, essa deve essere vista nella sua funzione reale, nei suoi effetti che consistono nel garantire la libert degli individui. Precisamente il com pito della propriet che sta a presidio della libert individuale e quello di controbilanciare la potenza politica 245. In questo senso essa deve essere ritenuta come la pi gran de forza rivoluzionaria che esista e possa opporsi allo otato *6 T u tta la storia um ana, secondo lui, sta a testi

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m oniare che dove non esistita la propriet privata si formato il peggior dispotismo politico che m ai si possa immaginare. Dove m anca la propriet, o si trova al suo posto il possesso di tipo slavo, o il feudo, c dispotismo nel governo e squilibrio in tu tto il sistem a247. In modo particolare, dove la propriet appartiene alla collettivit, senato, aristocrazia, principe o imperatore, non vi che feudalit, vassallaggio, gerarchia e subordinazione; e per conseguenza nessuna libert n autonomia m . Occorre quindi che i lavoratori recuperino a pieno titolo la cultura individualista che giustifica ideologicamente il possesso generalizzato e luniversalizzazione della propriet. Combattere l'individualismo come l'antitesi del pensiero rivoluzionario e quale nemico della libert, come ritengono gran parte dei rivoluzionari socialisti, non un modo per stabilire la libert, che essenzialmente, p er non dire esclusivamente, individualista; non ini modo di fondare l'associazione, la quale deve com porsi unicamente di indi vidui, bens un ritorno al comunismo della barbarie e al servaggio feudale: significa am mazzare insieme la societ e le persone che la compongono 2 49. Questa rivalutazione che Proudhon fa della propriet, non deve essere ritenuta una svolta o una deviazione del suo originario dettato socialista, ma, come dice lui stesso, una rettificazione di metodo 2 5 . Si tratta per lui di con cepire un sistem a economico-sociale che, liberando le forze del lavoro da ogni sistem a di monopolio e di sfruttam ento, possa dare la possibilit alle masse popolari di appro priarsi in modo egualitario delle ricchezze sociali, dividen dole sia collettivam ente che individualmente. Cosi la pro priet si configura allo stesso tempo come il segno della progressiva emancipazione acquisita e come il mezzo per attuarla. Perch essa non degeneri in dispotismo e diventi veramente universale, Proudhon concepisce im a serie di garanzie sociali quali sistemi regolativi e correttori del suo progetto di societ autogestita. Un sistema di contrap pesi, di continui e diversificati equilibri in grado di atte nuare al massim o le tentazioni prevaricatrici inerenti fatalm ente allesercizio della propriet, mantenendo nondi meno viva la forma sociale di una democrazia industriale di tipo conflittuale e moderno. Tutto ci, per, sempre sotto il segno della libert. L'eguaglianza si far automa ticamente, p i rapidam ente e meglio con il lavoro, con l'eco nomia, coi servizi a buon mercato, con la perequazione e la riduzione ad un ventesimo dellimposta, con le trasform a zioni, con la pubblica istruzione, e, soprattutto, con la
libert m .

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Si delinea qui in modo incontrovertibile il riformismo proudhoniano, un riformism o per che non scade m ai ad un empirismo eclettico ed improvvisatore. Il riformismo di Proudhon si specifica infatti p er un rifiuto della rivolu zione politica di tipo violento e insurrezionale (da lui rite nuta, come abbiamo visto, assolutamente inutile ai fini di una vera emancipazione popolare) non certo per un abbas samento degli obiettivi della trasform azione sociale che devono rimanere sempre i pi profondi e i pi vasti pos sibili. Ci che caratterizza quella che potremmo chiam are la fase di transizione dalla societ dello sfruttam ento alla societ autogestita, la progressiva realizzazione ed at tuazione dei fini nei mezzi d'azione: se i fini sono la libert e luguaglianza anche i mezzi d azione dovranno essere libertari ed egualitari. soltanto attraverso questa via che lobiettivo dellazione si inscrive nella prassi, che latto rivo luzionario annuncia la societ futura. Lum anit procede mediante approssimazioni: 1) approssimazione alleguaglianza delle fortune m edian te leducazione, la divisione del lavoro, e il libero sviluppo delle attitudini; 2) approssimazione alleguaglianza delle fortune, median te la libert commerciale ed industriale; 3) approssimazione all'eguaglianza delle imposte; 4) approssimazione a Wanarchia; 5) approssimazione alla-religiosit o a-misticismo; 6) progresso illim itato nella scienza, nel diritto, nella libert, nellonore, nella giustizia 252. La via che Proudhon indica ai lavoratori : universaliz zare i privilegi goduti dalla borghesia, universalizzare cio le sue originarie libert di classe nate inizialmente quali strum ento di dominio della borghesia stessa. Il compito dei lavoratori non com battere contro le incompiutezze di classe del liberalismo, per fa r sorgere dalla classe proletaria u n altra libert. Ci semplicemente un non senso, dal m om ento che il significato autentico della libert sta nella su a universalit. Bisogna quindi dare un significato univer sale alla libert, disgiungendola da ogni reazionaria collo cazione classista. Il socialism o dunque il superam ento sto rico del liberalismo. cosi che la rivoluzione sociale realizza il suo compito, che porta al suo term ine finale l evoluzione politica della societ risolvendola nella libert e nellan arch ia2 53. Ora, quale la concezione politica pi approssim ata del l anarchia? Il federalismo, risponde Proudhon, ed perci q u i che egli focalizza la sua attenzione e la sua riflessione in modo particolare. Il federalism o proudhoniano, infatti

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un federalismo libertario , sa risolvere in ima continua tensione di libert i term ini, dati prim a come teoricamente insopprimibili, della libert e dellautorit. Il federalismo, cio, la realizzazione storicam ente possibile della libert e dell'anarchia, perch m antiene i due principi della libert e dellauto rit risolvendoli in una transazione che si d come continua divisione e ricomposizione, come continuo conflitto, e perci, oggettivamente, come continua tensione di libert. La libert la realizzazione di questa transazione che tende a spostare il peso dell'autorit a favore della libert, essendo nella n a tu ra delle cose che il principio di auto rit sia in iziatore m entre il principio di libert determ inante , nel senso che pi questo avanza, pi laltro indietreggia 2 5 4 .

La societ autogestita

Abbiamo detto che la dialettica proudhoniana non risol ve in u n a sintesi superiore le opposizioni della vita socioeconomica. Tale concezione che vede nel continuo svolgi mento delle antinom ie la stru ttu ra stessa del sociale, porta Proudhon a form ulare la sua dottrina del federalismo plura lista, considerata a suo parere lunica realistica perch le contraddizioni, costituendo la linfa vitale della societ, sono insopprimibili. Cosi il federalism o pluralista si definisce, da una parte, come critica di tu tte le dottrine stataliste, uniciste, assolutistiche in quanto utopistiche e reazionarie, e dallaltra, come m etodo regolativo, pi che costitutivo, dei rapporti socio-economici. Esso infatti deve garantire con la sua dimensione aperta leguale possibilit di espressione di ogni individuo o gruppo in armonia con le proprie esi genze geografiche e le proprie tradizioni storiche. Il sistema federativo deve essere insom ma il risultato degli equilibri da ricercarsi nel rapporto fra gruppi e individui, fra unit e molteplicit, fra societ globale e raggruppamenti parti colari, fra coesione e libert. Tuttavia ci che costituisce l'essenza e il carattere del contratto federativo egli precisa che in un tale sistema i contraenti si riservano pi diritto, autorit e propriet di quanto non ne abban donino 255. Per sorreggere questo disegno fondamentalmente liber tario ed egualitario, Proudhon ha concepito il m utualismo economico, il solo in grado a suo giudizio di rendere ope rante tale im pianto strutturale. Il m utualismo in senso

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economico un socialismo pluralista decentralizzato, fon dato sullautogestione dei produttori della propriet federalizzata degli strum enti di produzione. Esso realizza con temporaneamente la democrazia industriale sotto il diretto controllo dei lavoratori e una democrazia politica il cui unico scopo di essere al servizio di quella industriale. Il concetto proudhoniano di autogestione ru o ta attorno all'idea centrale della sostanziale similitudine che deve esistere fra societ politica e societ economica, non solo dal punto di vista di u n ovvia interdipendenza, m a anche e soprattutto nel senso che le stesse leggi naturali che rego lano la prim a devono essere alla base della seconda. In questo senso lautogestione proudhoniana si vuole presentare come un insieme di strutture particolarm ente coerenti e complementari. Questa similitudine dei principi organici inerenti alla costituzione economica e alla costituzione poli tica sviluppa dunque una interdipendenza e u n a comple m entarit: si tratta precisam ente delllnterdipendenza e della complementarit esistenti fra il m utualism o e il fede ralismo: Trasportato nella sfera politica, ci che noi ab biamo chiamato finora mutualismo [...] prende il nome di federalismo e in questa semplice sinonimia si riassume p er intero la rivoluzione politica ed economica 2 5 6 perch il principio federativo lapplicazione sulla pi alta scala dei principi di mutualit, di divisione del lavoro, di solida riet economica 2 5 7 . Il mutualismo, edificazione dell'econo m ia sulla reciprocit dei servizi, e il federalismo, edificazione deHordinam ento politico sullaffratellamento dei gruppi, sono in effetti due applicazioni complementari di imo stesso principio: quello della giustizia. La giustizia come equilibrio, la giustizia come reciprocit, la giustizia come equivalenza. Essa configura un ordine nel quale tu tti i rapporti sono rapporti di uguaglianza; dove non esiste n prim ato, n obbedienza, n centro di gravit, n direzione, dove la sola legge che tutto si sottom etta alla Giustizia, cio allequilibrio 2 5 8 . La realizzazione della giustizia si attua grazie a quel la scienza del lavoro, intesa come scienza ideo-realista , che abbiam o visto essere alla base del suo m etodo seriale e della sua analisi sociologica. Perci questo concetto di lavoro come serie, cio come infinita crescita e pluralit di tu tte le sue forme da quelle economiche a quelle sociali, da quelle culturali a quelle pedagogiche, da quelle politiche a quelle sociali che sostanzia la realizzazione della giustizia. Due sono, come abbiam o visto, i principi che regolano la legge del lavoro: il principio di divisione e il principio

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di composizione, che qui si specificano come antagonism o com petitivo e come equilibrio reciproco. tra queste due leggi antinom iche che si sviluppa il m ovimento dialettico del lavoro um ano in tu tte le sue forme. La conoscenza di questa logica del mondo effettivo perm etter dunque ai produttori di acquistare la reale padronanza della societ e costruire in ta l modo un ordine autogestionario corrispon dente alla reale natura dei rapporti sociali ed econom ici259. Cosi, basato sulla consapevolezza dellim possibilit di ogni sintesi e sullirriducibilit delle leggi antinomiche, lordine sociale pluralista della societ autogestita si esprimer come una tensione dinam ica continua che solo la catena reale del lavoro, cio la serie-tipo, sapr unificare e fornire di significato. In tutti i casi, la libert e l'autonom ia degli individui, dei gruppi e delle societ particolari potr darsi solo m antenendo la doppia coppia antinmica della com petizione e della cooperazione, che significa la presenza della concorrenza e della commutazione. La competizione o la concorrenza quale legge elem entare della vita (legge di creazione, di produzione e di ripartizione), la cooperazione e la commutazione, quale legge di equilibrio, di parteci pazione, di scambio e di associazione260. La legge di competizione basata sulla prim ordiale con statazione che il mondo, la societ, lo stesso uomo sono composti di elementi irriducibili, di principi antitetici, di forze antagonistiche 2 6 1 secondo una catena continua che non ha fine. la vita reale infatti ad esigere pluralit, antagonismo, autonomia, perch chi dice organismo, dice complicazione, chi dice pluralit dice contrariet, indipen denza 2 6 2 . La condizione della vita lazione, e lazione una lotta, una concorrenza delluomo con luomo, dei gruppi con i gruppi. Voler sopprim ere questo antagonismo impos sibile perch ogni vita esige la lotta tra le forze antino miche, ogni movimento la risultante della tensione di tali forze, ogni libert collettiva e individuale non possi bile che grazie al gioco di questa concorrenza. Insomma lantagonism o un fenomeno eterno, permanente, esisten ziale, fisico, sociale, umano 263. Ci significa che il socialismo deve realizzarsi non mal grado o contro la concorrenza, ma grazie e soprattutto ad essa. Solo i fanatici dellunit e della pianificazione, i socia listi dogmatici e autoritari, non hanno capito questa volont elementare. La concorrenza infatti il modo secondo il quale si m anifesta e si esercita lattivit collettiva, lespres sione della spontaneit sociale, lemblema della democrazia e delluguaglianza, lo strum ento pi energico della costitu zione del valore, il supporto dellassociazione 2M .

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Ma lantagonismo, esprim endosi in tu tta la sua potenza, fa emergere immediatam ente e del tutto naturalm ente una controforza che si pu definire come equilibrio, coopera zione, mutualit. Cosi lopposizione delle forze la condi zione obiettiva e indispensabile di un equilibrio reale, di una solidariet naturale, di una reciprocit spontanea. Quin di solo un libero antagonismo competitivo pu far emergere un libero e reale equilibrio. La stessa vita che esige contrad dizione esige infatti anche reciprocit, commutazione265. Cosi la legge comune del pluralism o autogestionario, la legge di equilibrio e di m utualit, diventa allo stesso tem po legge organizzatrice del pluralismo sociale di cui lanta gonismo e il lavoro sono rispettivam ente la legge motrice e la legge integratrice. Riconoscere lequilibrio ad ogni livello sociale dunque il com pito fondamentale del socia lismo che voglia essere veram ente e farsi autogestionario. E questo sar possibile solo se la riorganizzazione dellin dustria e dellagricoltura sar effettuata sotto la giurisdi zione di tu tti quelli che la compongono 2 6 6 . Si delinea perci a questo punto il problem a fondamentale della propriet nel regime autogestionario. Essa pu definirsi come possesso nel senso che socializzandosi e umaniz zandosi essa diventa una funzione sociale definitivamente sottomessa alla regolamentazione interna del nuovo d iritto economico e della giustizia sociale2 6 7 . Su questa propriet federalizzata che cambia non solo di soggetto, m a di natura, Proudhon fa poggiare, come vedremo, la federazione agricolo-industriale. Questa federazione attribuisce gli strum enti di produzione contem poraneam ente all'insieme della societ economica, ad ogni regione, ad ogni gruppo di lavoratori, ad ogni operaio e contadino considerati individualmente. Essa organizza ima propriet federativa e m utualista dei mezzi di produzione i cui possessori sono simultaneamente lintera organizzazione economica, centrale e regionale, le diverse branche deHindustria, ogni fabbrica e infine ogni operaio. Il possesso universalizzato non com porta per la spartizione della propriet, che resta una e indivisa. In altri term ini gli individui possono richiedere il riscatto della loro p arte, prodotta dal proprio lavoro, al fine di realizzare u n altra, ulteriore unit produttiva o sociale, senza pretendere tuttavia la divisione della propriet prece dente. Cosi, considerata in se stessa, lidea di una federa zione industriale serve di compimento e di sanzione alla federazione politica (perch) riceve la conferma pi schiac ciante dai principi delleconomia 2 6 8 . Questa propriet federalista , rispetto a ogni membro della societ economica, una copropriet in m ano comu

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ne 2 6 9 . Essa insom m a non viene abolita, ma rip a r tita 270. Nel suo carattere di d iritto assoluto nella societ economica essa re sta dunque, sotto questo aspetto, indivisa in ciascuna delle persone individuali e collettive di questa societ. Cosi nella federazione agricola, in quella industriale, e nelle organizzazioni cooperative dei servizi. Ma questo stesso di ritto assoluto , dal pu n to di v ista dellinsieme della societ autogestita, un diritto relativo perch nella visione proudhoniana la p ropriet intesa come possesso semplicemente una propriet-funzione. Questo carattere antinom ico della propriet dato dal fatto che essa non u n valore e u n a realt assoluta, perch si specifica solo con il m utam ento della realt sociale e storica: la pro p riet mutevole, e le rivoluzioni delluma nit non hanno mai avuto che lo scopo di esprim erne i m utam en ti 271. La storicit della propriet dim ostra per Proudhon che essa pu essere contestualizzata in u n regime socialista e piegata alle esigenze di questo. E ci perch la propriet non che uno dei term ini dellinsieme sociale272. Nel caso specifico la funzione della propriet vuol dire, riguardo alla persona umana, la difesa della libert indivi duale, e sotto il profilo sociale la capacit di promuovere la responsabilit economica. Ecco in quale senso si delinea il socialismo autogestionario e libertario di Proudhon: nella coniugazione dellistanza liberale della difesa della propriet (quale garanzia reale e concreta dellesercizio della libert individuale) con listanza socialista della re sponsabilit economica quale contesto obiettivo per la realiz zazione della generalit dei diritti, delluniversalit dei doveri. La teoria proudhoniana della propriet pu essere quindi divisa secondo lo schema seguente: il mutualismo federa tivo dellagricoltura, vale a dire la costituzione di propriet individuah di sfruttam ento associato del suolo in u n insieme di cooperative raggruppate in una federazione agricola; il socialismo federativo dellindustria, vale a dire linsieme di propriet collettive dei mezzi di produzione, concorrenti fra loro ma associate in una federazione industriale. Questa la base della federazione agricolo-industriale comprendente pure le associazioni di consumatori e le cooperative dei servizi sociali. Si realizza in tal modo quellintegrazione del la doppia figura di produttore-consumatore che costituisce la condizione principale della democrazia economica273. Ognuno nella societ economica allo stesso tempo e allo stesso titolo produttore e consumatore perch esiste lequivalenza nella reciprocit dei servizi. Secondo Prou dhon ci possibile partendo dalla messa in opera della

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Introduzione

teoria del valore-lavoro e, conseguentemente, del valore costituito . Questo si pu sinteticamente definire come equazione tra il lavoro utile (la domanda di prodotti e di servizi) e il lavoro di scambio (l'offerta in prodotti realiz zati e in servizi), in breve tra il valore d'uso che ha per base i bisogni dellinsieme dei consumatori e il valore di scambio, che ha per base il lavoro274. Ci perch il valore pietra angolare della scienza economica indica un rapporto essenzialmente socia le , nel senso che lidea contraddittoria di valore, cosi bene messa in luce dallinevitabile distinzione tra il valore d uso e il valore di scambio, non viene da una falsa per cezione dello spirito, n da una terminologia viziosa, n da qualsiasi aberrazione pratica, m a insita alla natura delle cose e simpone alla ragione come form a generale del pensiero, cio a dire come categoria 2 75. Non quindi
assolutamente possibile sottrarsi alla legge generale del valore. Si tratta invece, per Proudhon, di esplicitarla per

intero volgendola a favore delluguaglianza sociale. Di qui lidea di arrivare a costituire il valore, a determinarlo equamente grazie ad un circuito economico di scambio che possa essendo libero da ogni monopolio far ritornare ad ogni produttore lintegraTit del suo prodotto, al fine di realizzare in ogni individuo la doppia figura di produtto re e consumatore. Per intendere pienamente il significato del progetto proudhoniano della costituzione del valore occorre te n e r presente che nelle intenzioni del suo autore esso va inteso quasi come un modello norm ativo276, non come un rimedio ai mali, alle deficienze e alle contraddizioni del regime capitalista. Non si tratta, per Proudhon, di rifor m are il capitalismo attraverso la legge della costituzione egualitaria del valore, ma di costruire una societ socialista partendo dal necessario riconoscimento dellimpossibilit oggettiva della sua abolizione. Occorre, cio, cercare la legge generale del valore: solo cosi il socialismo passer veram ente dalla fase utopistica alla fase scientifica. Da que sto punto di vista la polemica di Marx e del posteriore m arxism o contro Proudhon appare infondata, giacch il socialista francese non h a m ai affermato che la costituzione del valore potesse essere determ inata lasciando sussistere il capitalism o 2 7 7 . Ma se la legge generale del valore ineliminabile, se la formazione del valore si costituisce in tu tti i casi anche in una fu tu ra societ socialista, se ne deve dedurre, a questo punto, la condizione fondamentale e naturale di tale ineliminabilit: il m ercato. Proudhon il prim o a

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concepire in modo profetico la necessaria ed indissolu bile coniugazione del socialismo con il m ercato2 7 5 . Neces saria e indissolubile, secondo lui, non solo p e r loggettiva impossibilit di eliminare il valore, ma anche perch il luogo della sua formazione il mercato il presidio di ogni libert sia essa economica, sociale, politica, cultu rale, ecc.279. Il valore di scambio inteso proprio come uno dei due aspetti della forma generale del pensiero, cio a dire come categoria esprime dunque perfetta mente u n lessico ideologico preciso: lo scambio crea valore, deve creare valore: in altri termini, non possibile con cepire il valore e lidea del valore senza lo scambio. Ogni form a di valore, da quella economica a quella sociale, da quella politica a quella culturale, si costituisce solo attraverso lo scambio. Esso assume la form a sociale su prema della libert: la libert si costituisce attraverso lo scambio. Il valore di scambio la form a sociale e dinamica della lib e rt 280. Leliminazione del mercato quindi leliminazione della libert. Ora, secondo Proudhon, lobiettivo della costituzione del valore , raggiungibile attraverso una scienza stati stica che esprima linsieme delle informazioni sullorganiz zazione della produzione, sullandamento del mercato, dagli investimenti e dal consumo, una scienza insomma capace di dare un quadro del rapporto tra risorse e impieghi. Si potr cosi arrivare a determ inare la costituzione del va lore sulla base delle previsioni di un costo del lavoro inteso in senso largo. A partire da questa contabilit economica potr essere costantemente stabilita una mi sura della giornata di lavoro secondo le industrie e le professioni. Questa giornata di lavoro sar definita come la quantit dei servizi e della produzione che un uomo di forza e di intelligenza e di et media pu fornire in un intervallo dato 281. In questo modo ogni form a assunta dal la circolazione della ricchezza avr sempre come fonte comune il lavoro, inteso per non come forza-lavoro cio come lavoro produttivo, m a come processo, per cui in questa ottica anche il lavoro erogato nello scambio crea valore 282. Nella versione proudhoniana il m utualism o non quin di un sistem a precostituito e dato una volta per tutte. piuttosto un metodo regolativo generale capace di far esprim ere la potenzialit latente nelle varie dimensioni delleconomia. In questo senso possibile vedere come vi sia unulteriore sim ilitudine fra il mutualismo-federalismo e il pluralism o. Infatti lorganizzazione sociale e istituzio nale non segue un unico criterio per tutti i settori delleco

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Introduzione

nomia: per l industria Proudhon raccomanda il socialismo, per lagricoltura il m utualism o, per i servizi la cooperazione. Questo diverso dosaggio dovuto alla considerazione che la riorganizzazione sociale deve, in un certo senso, iiegarsi alle caratteristiche proprie di ogni settore, pena uniform it m ortificante di u n piano esterno e autoritario. possibile anche osservare a questo punto che le indica zioni proudhoniane riguardo alla riorganizzazione socialista delle industrie sono diverse dalla falsa immagine datane da quasi tu tta la storiografia m arxista e non marxista, nel senso che Proudhon non ha m ai confuso il decentram ento e il federalism o con il manten imento di ima stru ttu ra indu striale arre tra ta e riduttiva. Proudhon consapevole che il num ero delle piccole im prese condannato a diminuire in virt di quella divisione del lavoro che la condizione della forza collettiva. Infatti come pi individui, combi nando i loro sforzi, producono una forza collettiva che superiore p e r qualit e intensit alla somma delle loro rispettive forze, cosi pi gruppi di lavoratori, posti fra loro in un rapporto di scambio, danno luogo a u n a potenza di ordine p i elevato 2S J. Il problem a per Proudhon u n altro. Si tra tta di non piegarsi a un fatalism o del pro gresso industriale che in realt non esiste se non nella volont politica di chi vuole promuoverlo. Esso infatti non pu che risultare al servizio dellaccentramento economico e perci dellaccentramento politico. Cosi il gigantismo industriale si rivela necessario non alleconomia, m a alla volont politica di potere. Ecco in quale senso non vi deve essere fusione fra societ politica e societ economica: essa infatti com porterebbe u n a orientalizzazione della vita civile che verrebbe del tu tto identificata con quella po litica, come nel caso della progettata societ com unista284. La similitudine fra dimensione politica e dimensione economica no n deve perci annullare la loro rispettiva auto nomia. Anzi essa le deve m aggiormente esaltare a partire dal principio fondamentale che sta alla base di entram be: il decentram ento. La pluridim ensionalit dellautogestione proudhoniana intreccio organico fra industria e agricoltura, indipen denza dei gruppi produttivi, esistenza e differenza fra i gruppi produttivi e i gruppi professionali, unione trasver sale fra consum atori e produttori in varie e sovrapposte associazioni non significa u n a tendenza latente e ogget tiva aHintegralismo sociale, politico, economico e culturale. Il decentram ento e l'autonom ia politica sociale ed econo mica dei gruppi e degli individui la garanzia obiettiva di questa differenza fra piano politico e piano economico,

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perch nella concezione proudhoniana la dimensione terri toriale non coincide con quella produttiva, n quella produt tiva con quella politica. In altri term ini Proudhon distingue chiaram ente i due tipi di struttura, quella economica, vale a dire la federazione agricolo-industriale, e quella politica, vale a dire il federalism o285. Questo sar basato sul decen tram ento e sulla divisione dei poteri, sulla concessione della m assim a autonom ia ai Comuni e alle Circoscrizioni regionali, sulla pi am pia sostituzione possibile della buro crazia con u n a direzione degli affari pi flessibile e imme diata derivante dal gruppo naturale. Secondo Proudhon questo federalism o potrebbe configurarsi e riassum ersi in tre norme fondamentali: form are gruppi di media gran dezza, relativam ente sovrani, e riunirli con un atto di federazione; 2) in ogni Stato federato organizzare il gover no in base alla legge della separazione degli organi, vale a dire: nellam bito del potere pubblico separare tutto ci che si pu separare, determ inare tu tto ci che si pu determ inare, ripartire fra vari organi o funzionari tutto ci che si separato e determ inato, non lasciare nulla indiviso, circondare l amministrazione pubblica con ogni condizione di pubblicit e di controllo; 3) invece di lasciare assorbire gli Stati federati o le autorit provinciali e municipali da u n autorit centrale, lim itare le attribuzioni di questa al semplice compito dell'iniziativa generale, della garanzia e sorveglianza reciproca 286. In tutti i casi questa indica zione di m assim a non fine a se stessa, ma solo il mezzo pi coerente e nello stesso tem po pi concreto e immediato p er configurare la tendenza verso una societ dove il centro politico ovunque, la circonferenza in nessun punto 287. Lautogestione proudhoniana, identificando in ogni cen tro economico e sociale la capacit di propulsione e di iniziativa, riconoscendo la possibilit di una libera com posizione e riscomposizione dei nuclei sociali, economici, produttivi e professionali, intende porre le basi di una societ libera ed egualitaria.

CENNI B IO G R A FIC I

Nato a Besanon il 15 gennaio 1809, Pierre-Joseph Proudhon il quinto figlio di una famiglia poverissima. Il padre bottaio-artigiano non dim ostr nessuna propensione p er gli affari preferendo la rovina economica alla vendita della b irra ad un prezzo da lui ritenuto ingiusto. La madre Catherine Simonin, fu invece ima donna energica dotata di un carattere eroico che influ molto sulla formazione mo rale del figlio. Fino a dieci anni Proudhon non legge che il Vangelo. Poi, grazie ad una borsa di studio ottenuta con l'aiuto di un amico dei genitori, entra nel collegio di Besanon come allievo esterno. Prossimo al baccalaureato e nonostante gli ottim i risultati, nel '27 deve interrompere gli studi p er aiutare la famiglia. Impiegatosi come tipografo nel '29 en tra in contatto con Fallot, un giovane studioso che gli fu amico e direttore spirituale. Costretto per lavoro a com porre libri e correggere bozze, legge moltissimo, in specie opere di teologia. Nel 1837, dopo la fallim entare gestione di una tipografia scrive la sua prim a opera: E ssai de grammaire gnrale appendice agli E lm ents p rim itifs d es langues di Bergier. Questa appendice uscita anonim a non ebbe alcuna riso nanza. Pi incoraggiante fu la menzione che il suo lavoro De la clbration du dim anche (1839) ebbe allAccademia di Besanon per il concorso sulla utilit della domenica, considerata dal punto di vista delligiene m orale . Questopera sociale, piuttosto che religiosa, gli d la consapevolezza di aver passato il Rubicone . A Parigi (dallautunno del 1838) resta fino alla fine del 1841 e cio fino a quando gli viene tolta la borsa di Suard (vinta nel 38) a causa del successo-scandalo suscitato dalla pubblicazione nel 1840 della memoria Qu'est-ce que la proprit? Questa prim a m em oria seguita dalla secon da Lettre a M. Blanqui su r la proprit... nel 1841 e dal l avvertimento ai proprietari A vertissem ent aux propri taires, ou lettre a M. Considrant nel 1842. In seguito a queste pubblicazioni, Proudhon tradotto davanti alla

Cenni biografici

Corte di Doubs (sempre nel 42), denunziato per attacco alia propriet, oltraggio alla religione, incitazione allodio per a governo e per diverse categorie di cittadini. Basata propria difesa su argomentazioni filosofiche e scientifiche, iene assolto e pubblica il suo discorso di difesa nello stesso anno. Indebitato, accetta un impiego nellazienda di trasporti uviau dei fratelli Gauthier a Lione, con laccordo di lavos ir e t tt o nove mesi allanno e di passare il resto del i fr f a Durante i cinque anni trascorsi presso ri1 ^authier, Proudhon pubblica due opere importtrim v e 1- cration de l'ordre dans Vhumanit (1843), suo reaVi te?}tativo ^ sistemazione generale del sapere e della a e u Systm e des contradictions conomiques (che ha P . sottotitolo: Philosophie de la m isere [1846]). Nel febJ~ prende contatto a Parigi con la cerchia degli normsti che fanno capo aHeditore Guillaumin, e in uiunno con Marx e Bakunin. Nel corso delle loro converwni' he a volte si prolungano tu tta la notte, Proudhon Marx non simpatizzano. Nel maggio 1846 la ro ttu ra tra ,e ? roudh n orm ai definitiva a causa del rifiuto di rivai lmo. di diventare il rappresentante di un organismo zionario di propaganda intem azionale che Marx tenLijp dl m ettere in piedi. Nella M iseria della filosofia, pubdi P !lel come risposta alla Philosophie de la m isre npi r c Marx- dimenticando le parole di elogio avute Prn r \ u Cra del '45, lo attaccher violentemente, j ? annoter, in margine a una pagina della sua copia Mary ^ ts.fr* a. della filosofia : Il vero senso dellopera di npnc rincrescimento che a ogni proposito io abbia A o l i i - .c me lui, e che io labbia detto prim a di lui . npr 171 del 47> Proudhon abbandona il suo posto a Lione ~ aiventare giornalista a Parigi. ^ P molti insuccessi, riesce verso la fine del '47, a fon* 1 1 11 Quotidiano: Le Reprsentant du Peuple . Dopo la n n ^ Ue-Str^ cessa pubblicazioni, ma Proudhon riprende 111?:!? mii'a con 1 111 nuovo giornale, Le Peuple . Alla rivodir r?6 o d '48 e alle sue vicende Proudhon partecipa s amente difendendo, ad esempio, i ribelli perseguitati, tatn erf, .contrario alla rivoluzione di giugno. Eletto depu(j . . 1 Assemblea Nazionale, nelle elezioni complementari econo**1*.' cerca invano di adoperarsi per introdurre riform e omiche. Il suo disegno di legge che m irava a confiscare cred f ran Parte patrim oni privati, a istituire banche di a Jr A6 a forn.ire sussidi a contadini e operai viene respinto prft-l ynaSgiranza. Dominato dallidea fissa del credito attn! alla fine dellanno fonda la Banca del Popolo per are i principi della m utualit. Nel gennaio 1849, dopo

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l ennesimo attacco al principe-presidente Luigi Bonaparte, viene accusato di delitto di stam pa, lAssemblea Nazionale accorda lautorizzazione di perseguirlo e il 28 marzo viene condannato a tre anni di prigione. Prevedendo la condanna, liquida la societ della Banca del Popolo e ripara in Belgio per evitare la prigione. Rientrato illegalmente in Francia, viene riconosciuto, arrestato e incarcerato (dal giugno 1849 al giugno 1852) nella prigione di Saint Plagie. di questo periodo la pubblicazione de Les confessions dun rvolutionnaire. Nel '50 sposa nel carcere di Saint Plagie, Eufrasia Pgard, operaia parigina che gli dar quattro figlie. Nel 51, continuando il lavoro di scrittore in prigione, pubblica Ide gnrale de la rvolution au X IX sicle e nel '52 La rvolution sociale dm ontre pa r le coup
d'E tat du 2 dcembre.

Q uestopera, come Les confessions e l 'Ide contiene delle posizioni che hanno fatto pensare a un cedimento, o persino a deviazioni piccolo-borghesi; ma tu ttal pi si potrebbe am m ettere che Proudhon appare un po disin gannato. Si riprende comunque presto e nella Philosophie du progrs, ultim a opera scritta in prigione e pubblicata nel 1853, conta sulla energia rivoluzionaria delle masse operaie per rovesciare la corrente della reazione e far scoppiare la feudalit industriale . Questo ritorno al lottim ism o trova conferma nella prefazione alla terza edi zione del Manuel du spculateur la Bourse (1857) intera m ente riveduto e firm ato solo dopo laggiunta della sua polemica sociale. Nel corso dei cinque anni e mezzo che seguono la sua uscita di prigione, Proudhon non perse guitato; ma allatto della pubblicazione nel 58 della sua opera in quattro volumi, De la justice dans la rvolution et dans Vglise viene di nuovo inquisito, condannato a m olti anni di prigione e alla confisca del libro. R ipara in Belgio dove rim ane anche dopo il 1860, anno in cui gli viene condonata la pena. Pi tardi, nel 62, in seguito allostilit dim ostratagli dai belgi, che avevano interpretato il suo articolo Garibaldi e lunit italiana come u n esortazio ne a Napoleone III ad annettere il Belgio, decide di rientrare in patria. Qui riunisce in un volume dal titolo La fdration et lunit en Italie i suoi scritti sul problema italiano, in cui espone i principi contro lunitarism o politico ripresi in seguito (1863) nellopera Du principe fdratif et de la ncessit de reconstituer le p a rti de la rvolution. Questope ra che in apparenza ima polemica, perch risponde agli attacchi della stam pa, tuttavia dimportanza fondamen tale p er cogliere bene il modo di concatenarsi del pensiero proudhoniano. Tutte le mie concezioni politiche si ridu

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cono ad una formula simile: federazione politica o decen tralizzazione . La propriet, purgata dai Suoi abusi attra verso la liquidazione del regime capitalistico, diventer anchessa una propriet federativa. Si tra tta di ima pro priet molto ristretta, che dipende da equilibri molto complessi realizzati tra i coproprietari; costoro sono con temporaneamente la federazione industriale-agricola tutta intera, ogni ram o deHindustria, ogni regione, ogni gruppo di produttori ed ogni lavoratore preso individualmente. Proudhon lanalizza dettagliatam ente in u n opera scritta probabilmente come secondo volume del Du principe feaeratif, m a pubblicata nel 1866, dopo la sua morte, con il titolo Thorie de la proprit. . . Nel 64 scrive la L ettre aux ouvriers e inizia la redazione di De la capacit politique des classes ouvrires, un libro (si pu considerare come il suo testam ento di pensatore e di militante) destinato a diventare il catechismo * del movimento operaio francese, l'opera pi le tta negli ambien ti operai. Un gruppo di operai aveva deciso di presentare proprie candidature per le elezioni supplementari del 1864, e aveva pubblicato un manifesto, il manifesto dei sessan ta ; nella Opinion Nationale del 17 febbraio avendo preso posizione per lastensione Proudhon giudic severa mente il fatto: non solo a causa della opposizione radi cale allTmpero, m a perch riteneva che in regime capitalista, il proletariato non dovesse occuparsi che della propria orga nizzazione al fine di preparare la rivoluzione sociale. Questo separatism o assoluto sar linizio della fine per la borghe sia il cui ruolo storico virtualm ente compiuto. Proudhon dunque rim asto rivoluzionario fino allultimo respiro; sotto m olti aspetti pi di Marx, al quale, d'altronde, si avvicina singolarmente nella sua ultim a opera. Muore a Passy nel 65 dove si era stabilito al ritorno dal Belgio il 19 gennaio.

N O T A B IB L IO G R A FIC A

I - OPERE DI PROUDHON a) Votum i e opuscoli pubblicati in vita Essai de grammaire gnrale (in appendice a Bergier, Elments primitifs des langues), Lambert, Besanon 1837. De la clbration du dimanche, Tipografia Proudhon, presso Bintot, Besan on 1839. Qu'est-ce que la proprit ? ou recherche sur le principe du droit et du gouvernement (Premier mmoire), Prvt, Paris 1840. Lettre Ai. Blanqui sur la proprit (Deuxime mmoire). Prvt, Pa ris 1841. Avertissement aux propritaires, ou lettre M. Considrant sur une dfense de la proprit (Troisime mmoire). Prvt, Paris 1842. Explications prsentes au Ministre Public sur le droit de proprit, Tipo grafia Proudhon, Besanon 1842. De la cration de l'ordre dans l'humanit, ou principes d organisation poli tique, Prvt, Paris 1843. La Miserere ou la pnitence d'un Roi, lettre au R. P. Lacordaire sur son Carme de 1845, in Revue indpendante , 25 marzo 1845. De la concurrence entre les chemins de fer et les voies navigables, Guillaum in, Paris 1845. Systm e des contradictions conomiques, ou philosophie de la misre, 2 voll., Guillaumin, Paris 1846. Organisation du crdit et de la circulation, et solution du problme social sans impt, sans imprunt, Guillaumin, Paris 1848. Proposition relative l'im pt sur le revenu prsente par le citoyen Prou dhon, suivie du discours qu'il a prononc l'Assemble Nationale, Garnier, Paris 1848. Le droit au travail, et le droit la proprit, Vasbenter, Paris 1848. Rsum de la Question sociale, Banque d'change, Gamier, Paris 1848. Banque du Peuple, Documents, Gamier, Paris 1849. Ides rvolutionnaires: les Malthusiens, programme rvolutionnaire. Le ter me, toast la rvolution, ecc., Gamier, Paris 1849. Les confessions d'un rvolutionnaire, pour servir l'histoire de la rvolu tion de fvrier, in La Voix du Peuple , Paris 1849. Intrt et principal, discussion entre M. Proudhon et M. Bastiat sur l'int rt des capitaux, G am ier, Paris 1850. Gratuit du crdit, discussion entre M. Bastiat et M. Proudhon, Guillaumin, Paris 1850. Ide gnrale de la rvolution au X IX sicle, Garnier, Paris 1851.

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Nota bibliografica

La rvolution sociale dmontre par le coup d'Etat du 2 dcembre, Garnier, Paris 1852. Philosophie du progrs, Lebgue, Bruxelles 1853. Des rformes oprer dans l'exploitation des chamins de fer, Garnier, Pa ris 1855. Manuel du spculateur la Bourse, terza edizione firmata da Proudhon, Garnier, Paris 1857. De la justice dans la rvolution et dans iglise, nouveaux principes de phi losophie pratique adresss son Eminence Monseigneur Matthieu, 3 voll., Garnier, Paris 1858. La justice poursuivie par l'glise, Office de Publicit , Bruxelles 1858. La guerre et la paix, recherches sur le principe et la constitution du droit des gens, 2 voll., Dentu, Paris 1861. Thorie de l'impt, Dentu, Paris 1861. Les majoritats littraires, examen d'un projet de toi ayant pour but de crer au profit des auteurs, interveneurs et artistes un monopole perptuel, Office de Publicit , Bruxelles 1862. La fdration et l'unit en Italie, Dentu, Paris 1862. Du principe fdratif et de la ncessit de reconstituer le parti de la rvo lution, Dentu, Paris 1863. Les dmocrates asserments et les rfractaires, Dentu, Paris 1863. Si les Traits de 1815 ont cess d'exister, actes du fu tu r Congrs, Dentu, Paris 1863. b) Pubblicazioni postume Nouvelles observations sur l'unit italienne, Dentu, Paris 1865. De la capacit politique des classes ouvrires, Dentu, Paris 1865. Du principe de l'art, et de sa destination sociale, Legvre, Paris 1865. Thorie de la proprit, projet d'exposition perptuelle, Lacroix, Paris 1865 La Bible annote (Nouveau Testament), 2 voll., Lacroix, Paris 1866. France et Rhin, Librairie Internationale, Paris 1867. Contradictions politiques: thorie du mouvement constitutionnel au X IX sicle, Librairie Internationale, Paris 1870. La pornocratie, ou les femmes dans les temps modernes. Librairie Interna tionale, Paris 1875. Csarisme et christianisme, Marpon et Flammarion, Paris 1883. Jsus et les origines du christianisme, Havard fils, Paris 1896. Napolon I, Montgrdien, Paris 1898. Commentaires sur les Mmoires de Fouch, Parallle entre Napolon et Wellington, Ollendorf, Paris 1900. Napolon I I I , Ollendorf, Paris 1900. c) Articoli di giornale Gli articoli apparsi dal 1847 al 1850 su Le Rpresentant du Peuple , La Voix du Peuple , Le Peuple sono stati in p arte raccolti in tre volumi dal titolo Mlanges (XVII, XV III, XIX) della prima edizione delle Opere complete, e successivamente in appendice a diversi volumi della seconda edizione delle Opere complete.

Nota bibliografica
d) Diario e corrispondenza

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Carnets de P.-J. Proudhon, vol. I, Rivire, Paris 1860. Carnets de P.-J. Proudhon, vol. II , Rivire, Paris 1961 (il II I e il IV volu me sono in preparazione). Correspondance de P. J. Proudhon, a cura di Lacroix, 14 voli.. Librairie Inter nationale, 1874-1875 (incompleta). Lettres Chaudey et divers Comtois, a cura di E. Droz, Dodivers, Besan on 1911. Lettres au citoyen Rolland, a cura di J. Bompard, Grasset, 1946. e) Opere complete Oeuvres compltes, 26 voli., Librairie Internationale, Paris 1867-1870 (incorri' plete). Oeuvres compltes, sotto la direzione di Bougl e Moysset, Rivire, Pa ris, a partire dal 1920.

II - LE TRADUZIONI ITALIANE Teoria dell'imposta, in Biblioteca dell'economista, Torino 1868.^ Sistema delle contraddizioni economiche, o filosofia della miseria, in Biblio teca dell'economista, Torino 1882. Che cos' la propriet, Firenze 1903. La celebrazione della domenica considerata in rapporto all'igiene pubblica, alla morale, alle relazioni di -famiglia e di societ, Firenze 1904. Psicologia della rivoluzione, Firenze 1904. La propriet (incompleta), Roma s.d. Scritti sulla rivoluzione italiana (estratti), a cura di Agostino Lanzillo, Lan ciano 1914. La guerra e la pace, estratti a cura di P. Jaher, Lanciano 1920. La capacit politica delle classi operaie (incompleta), a cura di Giulio Pierangeli. Citt di Castello 1921. La filosofia della miseria (incompleta), a cura di Franco Valori, Roma 1945. La propriet, Roma [1947]. Che cos' la propriet? La propriet un furto (incompleta), a cura di Va lentino Marafini, Roma 1947. La questione sociale, antologia a cura di Mario Bonfadini, Milano 1957. Che cos la propriet? o ricerche sul principio del diritto e del governo, a cura di Umberto Cerroni, Bari 1967. _ . La giustizia nella rivoluzione e nella Chiesa, a cura di Mano Albertim, To rino 1968. . . Sistema delle contraddizioni economiche, o filosofia della miseria, Cata nia 1975. Della capacit politica delle classi operaie (estratti), in P. Ansart, P. J. Proudhon, Milano 1978. Idea generale della rivoluzione nel X IX secolo (estratti), in P. Ansart, P. J. Proudhon, Milano 1978.

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Nota bibliografica

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TESTI

I.

DIALETTICA SERIALE

I fondamenti filosofici del pluralismo

171. La serie la condizione suprema della scienza, come della stessa creazione. Se cosi, ci che secondo Leibniz chiam ato legge di continuit un errore almeno nellespressione. Lidea di continuit una concezione della nostra ragione analoga a quella di sostanza e di causa, cio senza ima re alt percettibile. La coesione dei corpi e la successione dei fenomeni ci d lidea di continuit: ma nei fatti questa continuit non esiste affatto. La continuit u n idea vera, la cui verit, per, anteriore alla differen ziazione degli esseri, vale a dire per noi, alla loro creazione. Questidea legittima, poich lipotesi che esprime pro d o tta in conform it alle leggi della nostra ragione ed essa ci suggerita dallosservazione stessa della serie. Quando dunque Leibniz ha detto che la natura non fa nulla bruscam ente, che non procede per salti, m a si muove in m aniera progressiva, e ha chiam ato questa legge legge di continuit, vuol dire che egli ha parlato di un progresso graduale, di una serie tanto serrata, tanto frequente finch si vuole, m a non di un progresso continuo inteso come
continuit progressiva.

Le idee di continuit e di progressione sem brano anche escludersi: chi dice progresso dice necessariamente succes sione, crescita, passaggio, addizione, moltiplicazione, diffe renza, infine serie; ne viene che lespressione m ovim ento continuo non a ltro che una m etafora. [...]. 174. O sservazioni sulla serie Questi sono i fatti che, nella natura, ci rivelano la presenza di ima legge generale, cosi varia nelle sue appli cazioni come le stesse essenze, o, p e r meglio dire, sono causa, attraverso le innumerevoli determinazioni della so stanza, di tu tte le essenze; legge che noi possiamo pro clam are e incidere sul tem po della verit: questa in fine la legge seriale.

94

T esti

189. Ne traiam o una prima conseguenza: la nostra scien za non ha bisogno, per essere assoluta, di diventare uni versale. Infatti, a seguito di ci che abbiamo esposto preceden temente, la conoscenza tanto pi profonda quanto pi si eleva ad un pi alto grado nelle propriet di ima serie e nelle determinazioni di un punto di vista; tanto pi vasta o comprensiva, quanto pi numerosi sono gli aspetti che abbraccia. Ma ci che costituisce lassoluto della cono scenza la propriet e la regolarit della serie. 190. Poich ogni serie racchiude in se stessa il suo prin cipio, la sua legge, la sua certezza, ne consegue che le serie sono indipendenti e che la conoscenza delluna non suppone n racchiude la conoscenza dellaltra. Prendiamo quindi p er certo che le serie di ordini diversi sono indipendenti, che le une non spiegano le altre, e che in ogni scienza bisogna, senza precludersi altre conoscenze, cercare la propria serie, Vin s e per s della cosa che si studia. 191. Avendo riconosciuta lindipendenza delle sfere se riali, una linea di demarcazione insuperabile separa le scienze e quindi lidea di una scienza universale per noi una contraddizione. Infatti, immaginando tutte le scienze conosciute o future, portate al loro punto massimo di perfezione e riunite in un solo uomo, ne risulterebbe per questi l'universalit delle conoscenze m a non una scienza universale. Perch possa esistere una scienza universale, bisognerebbe che le scienze particolari si concatenassero le une alle altre in modo da form are una serie dim ostra bile con un unico principio e suscettibile di essere, nella sua immensa capacit, intellegibilmente analizzata da una stessa legge e ricondotta agli stessi elementi. Bisognerebbe che partendo da una qualsiasi scienza si potesse, anche senza sapere niente delle altre, arrivare a queste per una specie di a priori, capace di portare ad unintegrazione universale. Ora, il pi semplice colpo d occhio dato alle scienze gi costituite e classificate dim ostra che impossibile. Se si fosse in grado di costituire una sintesi generale delle scienze, questa non sarebbe certo data dallidentit degli ultim i teorem i, poich pi le scienze progrediscono pi si distanziano, ma sarebbe invece data dalla comunanza dei loro oggetti e dallequivalenza delle loro serie. Ma le scienze si diversificano essenzialmente sia nel loro oggetto sia nella classificazione della loro serie: una scienza uni versale quindi impossibile.

L.

Dialettica seriale

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192. Tuttavia [...] le scienze fanno sorgere un problem a filosofico; come m ai dunque la m etafisica1 non la sintesi delle scienze, la scienza universale? Bisogna a questo punto stare in guardia. Ci che nelle scienze produce la diversit della serie la diversit del l oggetto: ora, anche se si pu, attraverso lastrazione di ogni oggetto, raggiungere una teoria generale di astrazione, le diverse forme di serie non si spiegano le ime con le altre, e non c quindi u n a scienza universale perch non c un oggetto universale. 194. Da tutte queste considerazioni risulta che la meta fisica, o teoria della legge seriale, non affatto scienza, ma metodo; non m etodo speciale e oggettivo, ma metodo sommario e ideale; che questa teoria non pregiudica e non esclude nulla, anzi accoglie tutti i fatti e non ha paura di essere smentita d a nessuno: che essa non pretende affatto di dare essa stessa la conoscenza, e non anticipa sullosser vazione: essa ben diversa in ci dai pretesi sistem i uni versali, basati sullattrazione, lespansione, la casualit, la deificazione e su altri sistem i ontologici, momenti di pigrizia e di impotenza.

Una dialettica seriale impossibile? Progressi compiu ti in questa direzione

195. Gli esseri organici e inorganici ci appaiono per mezzo di forme, di combinazioni, di propriet seriali; le loro di mensioni, i loro movimenti, la loro azione reciproca per mezzo delle serie si rivelano a noi attraverso il criterio della m olteplicit di una qualsiasi serie. La conoscenza di tutto questo costituisce la parte migliore della nostra ric chezza intellettuale; aggiungiamo anche che gi la nostra ragione si m odellata sulla forma degli oggetti e solamente questo modo di procedere risulta pertinente rispetto alle scienze naturali e matematiche perch coordina il suo lin guaggio e le sue idee con loggetto stesso di cui parla. 197. Poich scarsam ente ipotizzabile che luomo abbia portato cosi alto lo sviluppo delle scienze, delle arti, del* l'industria, senza una qualsiasi intuizione sulla legge seriale; poich nel movimento di civilizzazione non si vede una rivo luzione improvvisa, una conoscenza acquisita senza prepa razione e senza precedenti: cerchiamo dunque se attraverso il movimento filosofico non vi sia uno sforzo spontaneo

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Testi

e un tentativo costante di classificazione delle idee, di serie dialettica. 283. La sintesi non distrugge realmente, m a formalmente, la tesi e lantitesi: cosi nellesempio precedente, gli oggetti della fede non sono negati, ma spiegati; la ricerca filosofica non soppressa, ma diretta dal metodo. Il metodo, in poche parole, abolisce la religione e la filosofia, non nel contenuto, ma nella forma. La sintesi non il punto di mezzo: si crede, o si nega; si ragiona o ci si astiene; si sa, o si ignora. In religione e in filosofia, giusto centro, un tradim ento: nella scienza unassurdit. La sintesi non nemmeno un eclettismo: essa non sal da la m et di u n idea allaltra m et: essa la risoluzione completa e la combinazione intim a della tesi e dellantitesi. Cosi, quando ho sostenuto che la p u ra propriet e la pura com unit erano due principi semplici e antitetici, incapaci, luno e laltro, di servire da base allorganizzazione sociale e ad una scienza del diritto, e che bisognava cercare nella loro sintesi il principio superiore della societ, i critici m i potevano dire: Esponga questa sintesi; e non accusarm i invece come han fatto, di spingere alla espropria zione generalizzata della propriet, poich con la m ia dialet tica avrei reso la sintesi impossibile; cosi non sarebbe stato necessario che essi gridassero che fuori della propriet e della com unit non cera pi nulla, poich era solo que stione di unirle sinteticamente.
[...].

285. Ci che d la form a alla serie semplice il rapporto, tanto d'uguaglianza, tan to di progressione, tanto di poten za, ecc., che riunisce i membri della serie; ci che d la form a alla serie composta, , inoltre, la pluralit e la dispo sizione dei punti di vista. Ci si osserva nella pi ristretta delle serie composte. In effetti, due cose sono da conside ra re nel numero, lunit e la pluralit: riunendo nel pensiero questi due punti di vista di grandezza misurabile, avrete lidea com plessa di totalit, la quale non l unit che esclu de la pluralit, n la pluralit che esclude lunit, m a simul taneam ente lun a e laltra. In questa serie il punto di vista duplice e presenta anche unopposizione. [...]. 299. Vantaggi d i una dialettica seriale, tendenza degl
sp iriti alla serie.

Riassumiamo brevemente i fatti esposti nei paragrafi precedenti. La n atu ra infinita nella variet del suo operato. Questa fecondit della potenza creatrice, sem pre nuova e sempre im prevista, sem pre lussureggiante e sempre piena di arm o

D ialettica seriale

97

nia, stata per l'uomo, fin dal principio, fonte perm anente di ispirazione e di entusiasm o, e allo stesso tempo motivo inesauribile di congetture. Alla vista di queste stupefacenti meraviglie, il pensiero um ano, confuso, si rifugiato in seno allEssere eterno, principio di vita e ordinatore dei mondi: e da questa contemplazione prim itiva nacquero in> numerevoli religioni, tanto varie nelle loro forme quanto nelle manifestazioni del Dio che esse celebrano. [...]. Ma, fra queste infinite variet di continuazioni e di forme, la ragione non poteva languire in estasi eterna, n perdersi in continui errori: il meccanismo che moltiplica attorno a noi le circonvoluzioni del labirinto al tempo stesso il filo conduttore e la chiave che ci aiuta a scoprire i ritorni. E come, p er scrivere e calcolare i pi infiniti num eri ci b astata una semplice combinazione di segni, lo stesso, per riconoscerci in questo oceano di figure e di tipi, ci occorre un a legge sovrana: la SE R IE . 300. Questa legge [...] d form a al nostro pensiero, indi rizza i nostri giudizi e costituisce la scienza: essa pu essere definita lintuizione sintetica nella diversit, la tota lit nella divisione. La legge seriale esclude ogni idea di sostanza e di causa anche se ne riconosce la realt oggettiva: essa indica un rapporto di uguaglianza, di progressio n e o di sim ilitu d in e ; non di influenza o di continuit. Da qualsiasi p arte si consideri la natura, essa presenta una seriazione; ora, dato che le cose si m ostrano ai nostri occhi con tanti punti di vista diversi quante sono le serie, siamo costretti p er riconoscerci ad adottarne imo, senza tuttavia escludere gli altri; anzi dobbiamo m etterli a con fronto [...] *.

* Da P.-J. Proudhon, D e la cration d e l'ordre dans l'h u m a n it ou p rin cip es d organ isation politic/ue, Introdu zione e Note di C. Bougl e A. Cuviller, Librairie M. Rivire, Paris 1927, pp. 139-234. (La traduzione dal francese di Giovanna Brocchi Colonna).

II.

CRITICA DELLASSOLUTO

I fondamenti filosofici de! pluralismo

Ci che domina tu tti i miei studi (lidea di) progresso. E ssa ne costituisce il principio e la fine, la cim a e la base, in una parola la ragione. questa idea che d la chiave a ogni m ia controversia, ad ogni mia disquisizione [...] ci che infine costituisce la m ia originalit, se posso attribuir m ene una, come pensatore; ci che affermo risolutam ente, irrevocabilm ente in tutto e dappertutto e con altrettanta risoluzione nego invece in tutto e dappertutto l 'assoluto. Tutto quello che ho scritto, negato, attaccato, com bat tu to , io lho scritto, negato, affermato in nome di ununica idea: il progresso. I miei numerosi avversari sono partigiani dellassoluto, in om ni genere, casu et numero, come diceva Sganarelle. Che cosa dunque il progresso? Da un secolo tutti ne parlano senza che il progresso come dottrina abbia avan zato di un passo [...] la sua teoria ancora al punto in cui lh a lasciata Lessing. Tutti ripudiano e detestano lassoluto, nessuno ne vuole pi sapere. Il progresso, nel senso pi puro della parola [...] il m ovim ento dellidea, processus; movimento innato, spon taneo, essenziale, incoercibile, indistruttibile [...] e si m ani fe s ta principalm ente nel cammino delle societ, nella storia. Ne segue che essendo il movimento lessenza dello spirito, la verit, sia nella natura che nella civilizzazione, essen zialm ente storica, soggetta a progressioni, conversioni, evo luzioni e m etamorfosi. Di fisso e di eterno non vi sono che le leggi stesse del movimento [...]. L a m aggioranza dei sapienti come degli ignoranti in te n d e il progresso in un senso utilitario e m ateriale. Quan t i t di scoperte, moltiplicazione delle macchine, crescita del benessere generale, sviluppo completo o maggiore dell'in segnam ento e m iglioram ento dei metodi, in poche parole au m en to della ricchezza m ateriale e morale, e partecipa zio n e di un numero di uom ini sempre pi grande al godi

Critica dell'assoluto

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mento della fortuna e dello spirito: tale , grosso modo, per loro, il progresso. Certo, anche questo progresso, e la filosofa progres sista sarebbe di poco fru tto e di vista corta, se nelle sue speculazioni cominciasse col m ettere da p a rte il migliora
m ento fisico, m orale e intellettuale della classe pi nume rosa e pi povera, come dice la form ula di Saint-Simon.

Ma tutto ci ci d ima visione ristretta del progresso [...] filosoficamente una simile nozione [...] senza valore. Il progresso, ancora im a volta, laffermazione del movimento universale, p er conseguenza la negazione di tutte le form e e form ule im m utabili, di ogni dottrina eter na, inamovibile, impeccabile, ecc., applicata a qualsiasi essere; di ogni ordine perm anente, senza escludere quello delluniverso, di ogni soggetto, empirico o trascendentale, senza nessuna differenza. Lassoluto, al contrario [...] laffermazione di tu tto ci che il progresso nega, la negazione di tu tto ci che il progresso afferma. la ricerca nella natura, nella societ, nella religione, nella politica, nella morale, ecc. dell'etemo, deHimmutabile, del perfetto, del definito, dellinconverti bile, dellindiviso; , per servirm i di una parola divenuta celebre [...], in tu tto e p er tutto lo stata quo. Descartes, ragionando a sua insaputa sui pregiudizi della vecchia metafisica, e cercando una salda base per la filoso fia, un aliquid inconcussum, come egli diceva, pensa di averla trovata nell'io e pone questo principio: Io penso, dunque io sono (Cogito, ergo stim ). Descartes non si accorto che la sua base, che credeva immobile, era la m obilit stessa. Cogito, io penso, queste due parole espri mono il movimento; e la conclusione, seguendo il valore prim itivo del verbo essere, sum [...], non ancora che il movimento. Egli doveva dire: Moveor, ergo fio, io mi muovo, dunque io divento! Da questa doppia e contraddittoria definizione di pro gresso e di assoluto, si deduce subito questa proposizio ne [...] e cio che il vero in tutte le cose, il reale, il posi tivo, il praticabile quello che cambia, o, almeno, che suscettibile di progressione, conciliazione, trasformazione, m entre il falso, il fittizio, limpossibile, lastratto, tu tto ci che si presenta come fisso, intero, completo, inalterabile, indefettibile, non suscettibile di modificazione, conversio ne, crescita o diminuzione, refrattario, p er conseguenza, ad ogni superiore combinazione, a ogni sintesi. Ne deriva che la nozione di progresso ci fornisce imme diatam ente e prim a di ogni esperienza, non ci che si chiama criterio, ma, come dice Bossuet, u n favorevole

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pregiudizio , per mezzo del quale possiamo distinguere, in pratica, ci che pu essere utile intraprendere e proseguire, da ci che pu diventare dannoso e funesto [...] e ci im portante per il governo dello Stato e degli affari. Infatti, fra i tan ti progetti di miglioramento e di ri form a che si verificano giornalmente nelle societ, indub bio che ve ne sono di utili e di desiderabili, m entre altri non lo sono. Ora, prim a che lesperienza abbia deciso, come si pu riconoscere a priori il meglio dal peggio [...], come scegliere, ad esempio, fra la propriet privata e la pro priet comune, il federalismo e la centralizzazione, il go verno diretto del popolo e la dittatura, il suffragio univer sale e il diritto divino? Domande tanto pi difficili perch non mancano esempi di legislatori e di societ che hanno preso per regola l'uno o laltro di questi principi, e appli cazioni contrarie trovano uguale giustificazione nella storia. P er me, la risposta facile. Tutte le idee sono false, cio contraddittorie e irrazionali, se si prendono nel loro significato esclusivo ed assoluto [...]; tutte le idee sono vere, cio suscettibili di realizzazione e di razionalit, se si m ettono in composizione con altre o in evoluzione. Cosi, poniamo il caso che la legge dominante della Re pubblica sia la propriet, come per i Romani, o la comunit, come per Licurgo, o la centralizzazione, come per Richelieu, o il suffragio universale, come per Rousseau; (ebbene) qua lunque sia il principio che voi scegliete (se) nel vostro pensiero questo principio viene prim a di tu tti gli altri (se insom m a risulta dominante) il vostro sistema errato. C im a tendenza fatale aHeliminazione, allepurazione, allesclusione, all'immobilismo, pertanto alla rovina. Non c rivoluzione dell'um anit che non si possa facilmente spiegare d a qui. Al contrario, ammettendo per principio che ogni realizzazione, nella societ e nella natura, risulti dalla combinazione di elementi opposti e dal loro movi m ento, la vostra direzione tracciata: ogni proposizione, che h a p er scopo sia di far avanzare un'idea in ritardo, sia di p ro cu rare una combinazione pi profonda, un accordo superiore e vantaggioso p e r voi, vera. E ssa in prg re sso [...]. Q uesta dunque, nel mio pensiero, la regola della nostra con d o tta e dei n o stri giudizi: che nell'esistenza, nella v e rit e nel bene vi sono dei gradi, e il meglio il cammino regolare dell'essere, l'accordo fra il pi grande num ero di term in i o di rapporti, m entre il nulla equivalente alluni t p u ra e allimmobilismo; e che tu tte le idee, tu tte le dot trin e che aspirano segretam ente alla prepotenza, all'immu tab ilit, che m irano a etem izzarsi, che si compiacciono

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di dare lultim a form ula della libert e della ragione, e che di conseguenza celano, nelle pieghe della loro dialettica, lesclusione e lintolleranza; che affermano come verit in s, pura d a ogni ibrido, assoluta, eterna, come una reli gione, e senza considerazione di nessunaltra; queste idee che insomma negano il movimento dello spirito e la classi ficazione delle cose, sono false e funeste, anzi, di pi, esse sono incapaci di costituirsi. Per il filosofo (quindi) tu tto cam bia daspetto quando viene introdotta la nozione del progresso o del movimento universale e quando questa nozione viene amm essa nella repubblica delle idee [...]. Il mondo dello spirito come quello della natura, sembra capovolgersi: logica, metafisica, religione, politica, econo mia, giurisprudenza, morale, arte, appaiono sotto ima nuova fisionomia, rivoluzionate radicalm ente. Ci che lo spirito aveva creduto finora vero diventa falso; ci che aveva rifiutato come falso diventa vero. Tutti risentono dellin fluenza della nuova concezione e questo com porta ben presto u n a confusione che sem bra inestricabile agli osser vatori superficiali, come il sintomo della follia generale. Nellinterregno che separa il nuovo regime del Progresso dallantico regime dellAssoluto, e nel periodo in cui le m enti si abituano a passare da un regime allaltro, la coscienza esita e brancola fra le aspirazioni e le tradizioni; e siccome pochi sanno discem ere [...] e separare ci che affermano o negano in virt della loro fede verso lasso luto da ci che affermano o negano in v irt della loro adesione verso il progresso, ne risulta per la societ [...] una sovrapposizione di opinioni e di interessi, una battaglia di partiti [...] *.
[...].

* Da P.-J. P r o u d h o n , Philosophie du progrs, Introdu zione e Note di Th. Ruyssen, Librairie M. Rivire, Paris 1946, pp. 45-55. (La traduzione dal francese di Giovanna Brocchi Colonna).

1.

LA FORZA COLLETTIVA

Del potere sociale, considerato in se stesso


D o m a n d a . - Qualsiasi manifestazione ricopre una realt: che cosa costituisce la realt del potere sociale? R i s p o s t a . - La forza collettiva. D. - Che cosa chiamate forza collettiva? R- - Qualsiasi essere, per il solo fatto di esistere, di essere una realt, non un fantasm a, possiede in s, a un grado qualunque, la facolt o propriet, dal mom ento in cui si trova in presenza di altri esseri, di attirare e di essere attirato, di respingere e di essere respinto, di muoversi, di agire, di pensare, di p r o d u r r e , almeno di resi stere, con la sua inerzia, alle influenze esterne. Questa facolt o propriet, si chiama forza. Cosi la forza inerente, im m anente allessere: il suo attrib u to essenziale, il solo che testimonia della sua realt, togliete lattrazione, non siamo pi sicuri dell'esistenza dei corpi. Orbene, gli individui non sono i soli a essere dotati di r> a cTlettivit hanno anchesse la loro. . P er non parlare qui che delle collettivit umane, suppo niam o che degli individui, num erosi quanto si vuole, in Qualunque modo e con qualunque scopo, riuniscano le loro forze: la risultante di queste forze agglomerate, che non bisogna confondere con la loro somma, costituisce la forza Potenza del gruppo. D . - Date degli esempi di questa forza. R- - Una officina, form ata da operai i cui lavori conver gono verso lo stesso scopo, che quello di ottenere questo quel prodotto, possiede, in quanto officina o collettivit, una potenza che le propria: la prova che il prodotto di q u esti individui cosi raggruppati di molto superiore a quello costituito dalla somma dei loro prodotti singoli se ess][.avessero lavorato separatam ente. Similmente, lequipaggio di una nave, una societ in acco mandita, una accademia, una orchestra, un esercito, ecc.;

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tu tte queste collettivit, pi o meno abilm ente organizzate, racchiudono della potenza, una potenza sintetica e perci speciale del gruppo, superiore in qualit ed energia alle forze elementari che lo compongono. Del resto, gli esseri ai quali noi attribuiam o lindividua lit non ne godono a titolo diverso degli esseri collettivi: sono sempre dei gruppi form ati in base a ima legge di rela zione, e nei quali la forza, proporzionale allassetto almeno quanto alla massa, il principio di unit. Da ci si conclude, contrariam ente alla antica metafsica: 1) che, essendo ogni m anifestazione di potenza il pro dotto di un gruppo o di u n organismo, l'intensit e la qualit di questa potenza possono servire, quanto alla forma, il suono, il sapore, la solidit, ecc., alla constatazione e alla classificazione degli esseri; 2) che, per conseguenza, essendo la forza collettiva un fatto tanto positivo quanto la forza individuale, la prim a perfettam ente distinta dalla seconda, gli esseri collettivi sono delle realt allo stesso titolo degli individui. D. - Come la forza collettiva, fenomeno ontologico, mec canico, industriale, diventa potenza politica? R. - Anzitutto, ogni gruppo um ano, famiglia, officina, battaglione, pu essere considerato come un embrione sociale; per conseguenza la forza che in lui pu, in una certa misura, costituire la base del potere politico. Ma in generale non dal gruppo, come lo abbiamo or ora illustrato, che nasce la comunit, lo Stato. Lo S tato risulta dalla riunione di num erosi gruppi diversi p e r natura ed oggetto, form ati ciascuno per l'esercizio di una funzione speciale e la creazione di un prodotto spe ciale, poi riuniti sotto una legge comune e un interesse identico. una collettivit di ordine superiore, nella quale ciascun gruppo, preso di p er se stesso come individuo, concorre a sviluppare una nuova forza, che sar tanto pi grande quanto pi le funzioni associate saranno numerose, la loro arm onia pi perfetta, e la prestazione delle forze, da parte dei cittadini, pi completa. Riassumendo, ci che produce il potere nella societ e fa la realt di questa societ, la stessa cosa che produce la forza nei corpi, tanto organici che inorganici, e che costituisce la loro realt: il rapporto delle parti. [...]. D. - Nel gruppo industriale, la forza collettiva si vede senza difficolt: l'accrescimento della produzione la dimo stra. Ma nel gruppo politico, da qual segno riconoscerla? In che cosa si distingue dalle forze dei gruppi ordinari? Qual il suo prodotto speciale, e di quale natura sono i suoi effetti?

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R. - In qualunque tempo l'uomo comune ha creduto di vedere la potenza sociale nello sviluppo delle forze militari, nella costruzione di monumenti, nella esecuzione dei lavori di utilit pubblica. Ma chiaro, dopo ci che si detto, che tutte queste cose, qualunque ne sia la grandezza, sono degli effetti della forza collettiva ordinaria: poco importa che i gruppi produttori, mantenuti a spese dello Stato, siano devoti al principe, o lavorino per proprio conto. Non in ci che noi dobbiamo cercare le manifestazioni della potenza sociale. Essendo i gruppi attivi che compongono la com unit differenti fra loro per organizzazione, come per idea ed obiettivo, il rapporto che li unisce non pi tanto un rap porto di cooperazione quanto un rapporto di commutazione. La forza sociale avr dunque per carattere di essere essen zialmente commutativa; essa non sar perci meno reale. D. - M ostratelo con degli esempi. R. - L a m o n e ta . In teoria e in fatto, i prodotti si scami?n. con dei prodotti. Infatti questo scambio, la funzione pi im portante della societ, che fa muovere in valore tanti miliardi di franchi, in peso tanti m iliardi di chilogrammi, non avrebbe luogo senza questo denom inatore comune, nel contempo prodotto e segno, che si chiama moneta. In Francia, la som m a del num erario circolante , per quel che si crede, di circa due m iliardi di franchi, ossia 10 m i l i o n i di chilogrammi d'argento, o 645.161 chilogrammi doro. Dal punto di vista delle mercanzie che questo strum ento fa muovere, e supponendo tu tti gli affari fatti per contanti, si pu dire che questa quantit di moneta rappresenta una forza m otrice di molti milioni di cavalli. il metallo, di cui fa tta la m oneta, che possiede questa forza prodigiosa? No: essa nella reciprocit pubblica, di cui la m oneta 1 1 segno e il pegno. La l e t t e r a d i c a m b io . La moneta, nonostante la potenza meravigliosa che le viene data dal rapporto di commutazione dei gruppi produttori, non ancora sufficiente per la massa delle transazioni. Si dovuto supplire con una combinazione ingegnosa, la cui teoria tanto conosciuta quanto quella della moneta. Essendo la produzione annua del paese di 12 m iliardi, si pu, senza esagerazioni, stim are la somma degli scam bi che questa produzione implica, a 4 volte tanto, ossia a 48 m iliardi. Se gli affari si facessero per contanti, ci v o rrebbe im a quantit di m oneta almeno della m et, se non uguale: l uso delle lettere di scambio svolge dun que in re a lt la stessa funzione di una ventina di m iliardi di fran ch i, in m onete doro o d argento. Da dove viene

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questa potenza? Dal rapporto di commutazione che unisce tra di loro i m em bri della societ, i gruppi e individui. La b a n c a . Lo sconto delle lettere di cambio un servizio che le banche private si fanno pagare a un prezzo abba stanza elevato, m a per il quale la Banca di Francia, che h a il privilegio di em ettere dei biglietti al portatore e di farli accettare ovunque, non esige che un compenso m inore di due terzi. provato che questo compenso potrebbe essere ridotto ancora di nove decimi. O ttenuta questa nuova econo mia, si sarebbe in conseguenza creata, dal fatto delle rela zioni sociali, una nuova forza. Perch chi dice economia di spese, dice, in ogni caso, diminuzione della forza inerte o del peso morto, e quindi aumento di forza viva. L a r e n d i t a . Tre cause concorrono alla produzione della rendita: la terra, il lavoro e la societ. Prescindiamo, in un prim o momento, dalla terra. Quanto al lavoro, sappiamo come, p er mezzo della separazione delle industrie e della formazione del gruppo lavoratore, si aumenta, restando eguale il num ero degli individui, la produzione: si tra tta in effetti della forza collettiva, ne abbiam o parlato pi sopra. Ma il vantaggio di questa divisione non si lim ita a ci. Pi i gruppi, moltiplicandosi, moltiplicano i rapporti di commu tazione nella societ, pi il num ero degli oggetti utili, e la loro u tilit stessa, aum entano. Orbene, questo accrescimento di utilit, che risulta, a parit di territorio e mantenendo uguale la quantit di servizio effettivo, dal rapporto dei gruppi, che cosa altro se non rendita? Dunque, creazione di ricchezza, creazione di forza. S i c u r e z z a g e n e r a l e . In una popolazione antagonistica, co m e quella del Medio Evo, la Chiesa pu ben far sentire le sue minacce, i tribunali possono ben m ettere in m ostra i loro supplizi, i re ed i loro arm ati posson ben far risuonare le loro lance sul lastricato delle caserme, la sicurezza nulla. La terra si copre di castelli e di fortezze; tu tti si arm ano e si rinchiudono; il saccheggio e la guerra sono all'ordine del giorno. Si accusa di questo disordine la barbarie del tempo e si h a ragione. Ma che cos la barbarie, o piuttosto che cos che la produce? Lincoerenza dei gruppi industriali, daltra parte in num ero molto ristretto, e lisolamento nel quale agiscono, al modo dei gruppi agricoli. Dunque il rapporto delle funzioni, la solidariet di interessi che si crea, il senti mento che ne acquistano i produttori, la coscienza nuova che ne risulta, fanno pi per lordine pubblico che gli eserciti, la polizia e la religione. Dove trovare una forza pi reale e pi sublime? Questi esempi sono sufficienti p e r spiegare che cosa ,

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in s, il potere che si origina dalla collettivit sociale. con laiuto di questo potere, convertito in imposta, che i principi si procurano in seguito la polizia e tutto lappa rato di coercizione che serve loro per difendersi contro gli attacchi dei loro rivali, spesso contro il voto delle popolazioni stesse. D. - Ci cambia tutte le idee correnti sulla origine del potere, sulla sua natura, sulla sua organizzazione e sul suo esercizio. Come credere che tali idee abbiano potuto stabilirsi ovunque, se in realt bisogna ritenerle false? R. - Lopinione dei popoli antichi sulla n atu ra e l ori gine del potere sociale una testimonianza della sua realt. Il potere immanente nella societ, come la ttra zione nella m ateria, come la Giustizia nel cuore delluomo. Questa immanenza del potere nella societ risulta dalla nozione stessa di societ, poich impossibile che delle unit, atomi, monadi, molecole, o persone, in stato di agglomerazione, non mantengano fra di loro dei rapporti, non formino una collettivit, dalla quale nasce una forza. Dal che segue che il potere nella societ, com e il peso nei corpi, la vita negli animali, la Giustizia nella coscienza, im a cosa sui generis, reale ed obiettiva, la cui negazione, data la societ, implica contraddizione. [...]. D. - Una condizione essenziale del potere la sua unita. Come sar assicurata questa unit se i gruppi form atori restano uguali, se nessuno ottiene una certa preponde ranza sugli altri? Daltra p a rte se questa preponderanza viene accordata, ricaschiamo nellantico sistema: a che cosa serve, in tal caso, il riferim ento del potere alla collettivit? R. - La diversit delle funzioni nella societ non com p o rta la divergenza o la pluralit nel potere pi di quan to non com porti la diversit del prodotto finale. Il potere uno per natura, o non esiste: lungi dal crearlo, qual siasi competizione o prepotenza, tanto di u n m em bro quanto di u n a frazione della societ, non servirebbero che a d abolirlo. Lelettricit cessa forse di essere unica nella pila, perch questa pila si compone di molti ele m enti? Ciononostante, la qualit del potere sociale varia, la su a intensit si eleva o si abbassa, a seconda del num ero e della differenza dei gruppi: quanto allunit, essa resta im mutabile. D. - Ogni forza suppone una direzione: a chi la dire zione del potere sociale? R. - A tu tti, il che vuol dire a nessuno. Risultando il potere politico dal rapporto di numerose forze, la ra-

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gione dice anzitutto che queste forze devono bilanciarsi le une con le altre, in modo da form are un tu tto regolare ed armonico. La Giustizia interviene a sua volta per dichiarare, come h a fatto nelleconomia generale, che questo equilibrio delle forze, conforme al diritto, preteso dal diritto, obbligatorio p er qualsiasi coscienza. . dun que alla Giustizia che spetta la direzione del potere; in modo che lordine nellessere collettivo, come la salute, la volont, ecc., nellanimale, non il fru tto di alcuna inizia tiva particolare: risulta dalla organizzazione. D. E chi garantisce losservanza della Giustizia? R. - La stessa cosa che ci garantisce che il commercian te obbedir alla moneta, la fede pubblica, la certezza della reciprocit, in una parola la Giustizia. La Giustizia p e r gli esseri intelligenti e liberi la causa suprema delle loro determinazioni. Essa non ha bisogno che di essere spiegata e com presa per essere affermata da tutti e per agire. Essa , o luniverso non che un fantasma e lum a nit un m ostro. D. - Cosi il potere sociale, per quanto sia elevato, non implica in se stesso la Giustizia? R. - No: come la propriet, la concorrenza e tutte le forze economiche, tu tte le forze collettive, il potere , per natura, estraneo al diritto; forza. Diciamo tuttavia che, essendo la forza un attributo di qualunque realt, e potendo qualsiasi forza accrescersi indefinitamente mediante lassociazione, la coscienza acqui sisce maggiore energia negli uomini e il rispetto della Giustizia pi certezza, quanto pi il gruppo sociale nu meroso e meglio formato: e ci fa si che in una societ civile, per quanto corrotta o asservita essa sia, c sem pre pi Giustizia che in una societ barbara. D. - Che cosa si intende per divisione dei poteri? R. - Lunit stessa del potere, considerata nella diver sit dei gruppi che la formano. Se losservatore si pone al centro del fascio, e di l percorre la serie dei gruppi, il potere gli sem bra diviso; se guarda la risultante delle forze in relazione, vede lunit. Qualsiasi vera separazione impossibile. p er questo che lipotesi dei due poteri indipendenti, ciascuno con il suo mondo a parte, come si pensa oggi per il potere spirituale, e per il potere temporale, contraria alla n atu ra delle cose, u n utopia, una assurdit. D. - Qual loggetto proprio del potere sociale? R. - R isulta dalla sua definizione: aum entare incessante m ente la potenza delluomo, la sua ricchezza e il suo benessere m ediante una produzione superiore di forza.

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D. - A chi va il beneficio del potere sociale, e general m ente di qualsiasi forza collettiva? R. - A tu tti coloro che hanno concorso a form arlo, in proporzione al loro contributo. D . - Qual il lim ite del potere? R. - Il potere, p er natura e destino, non ha altro lim ite che quello del gruppo che rappresenta, degli interessi e delle idee che deve servire. Tuttavia, si intende per lim ite del potere, o dei poteri, pi esattamente dellazione del potere, la determinazione attributiva dei gruppi e sottogruppi di cui l'espressione generale. Siccome ciascuno di questi gruppi e sottogruppi, fino allultim o term ine della serie sociale, ossia lindividuo, rappresenta in effetti di fronte agli altri, nella funzione che gli devoluta, il potere sociale, ne consegue che la lim ita zione del potere, o meglio la sua ripartizione, regolarm ente com piuta secondo la legge di Giustizia, altro non che la form ula di accrescimento della libert stessa. D. - Quale differenza fate tra la politica e leconomia? R- - In fondo, sono due m aniere differenti di considerare la stessa cosa. Non si pu im m aginare che gli uomini abbiano bisogno, p e r la loro libert e il loro benessere, di qualche cosa di diverso dalla forza; per la sincerit delle loro relazioni, di qualche cosa di diverso dalla Giustizia. L'economia presuppone queste due condizioni; che cosa potrebbe dare di pi la politica? Nelle condizioni attuali, la politica larte, equivoca e arbitraria, di fare lordine in una societ in cui tutte le leggi dell'economia sono misconosciute, ogni equilibrio di strutto, qualsiasi lib ert compressa, ogni coscienza deviata, ogni forza collettiva convertita in monopolio.

Della appropriazione delle forze collettive, e della cor ruzione del potere sociale D. - possibile che un fenomeno cosi considerevole come la forza collettiva, che cambia il volto dellontologia, che tocca quasi la fisica, sia sfuggito per tan ti secoli allatten zione dei filosofi? Come mai, a proposito di una cosa che interessa sia luna che laltro cosi intensamente, la ragione pubblica da un a parte, linteresse personale dallaltra, si sono lasciati ingannare cosi a lungo? R- - Tutto viene col tempo, nella scienza come nella na tura. Tutto com incia con qualcosa di infinitamente piccolo,

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con un germe, inizialmente invisibile, che si sviluppa a poco a poco, e tende all'infinito. Per questa ragione la persistenza degli errori connessa proprio alla grandezza delle verit. Non si pu quindi essere sorpresi se la potenza sociale, inac cessibile ai sensi m algrado la sua realt, sem brata ai prim i uomini una emanazione dellEssere divino, e a questo titolo degno oggetto della loro religione. Meno sapevano m ediante lanalisi rendersene conto, pi ne avevano senti m ento vivo, ben diversi in ci dai filosofi che, venuti pi tardi, fecero dello Stato una restrizione della libert dei cittadini, un m andato del loro beneplacito, un nulla. A sten to, ancor oggi, gli economisti nominano la forza collettiva. Dopo duemila anni di misticismo politico, abbiamo avuto duem ila anni di nichilismo: non si potrebbero chiamare altrim enti le teorie che regnano da Aristotele in poi. D. - Qual stata, p er il popoli e p e r gli Stati, la conse guenza di questo ritard o nella conoscenza dellEssere col lettivo? R. - Lappropriazione di tutte le forze collettive e la corruzione del potere sociale; in term ini meno severi, una economia arb itraria e una costituzione artificiale del potere pubblico. D. - Spiegatevi su questi due punti. R. - Per mezzo della costituzione della famiglia, il padre si trova naturalm ente investito della propriet e della dire zione della forza risultante dal gruppo familiare. Ben pre sto questa forza si accresce con il lavoro degli schiavi e dei salariati, il num ero dei quali essa concorre ad aum en tare. La famiglia diviene trib: il padre, conservando la sua dignit, vede crescere di altrettanto il potere di cui dispone. il punto di partenza, il tipo di tu tte le appropriazioni analoghe. Ovunque si forma un gruppo di uomini, o un potere di collettivit, l si form a un patriziato, ima signoria. Numerose famiglie, numerose imprese, riunendosi, for m ano una com unit: la presenza di una forza superiore, oggetto dellambizione di tutti, si fa ben presto sentire. Chi ne diverr il depositario, il beneficiario, lorgano? Di solito, sa r quello tra i capi che conta, nella sua signoria, un num ero maggiore di figli, di parenti, di alleati, di clienti, di schiavi, di salariati, di bestie da soma, di capitali, di terre; che, in una parola, dispone della maggior forza di collettivit. . una legge di natura che la forza pi grande assorba e assimili le forze pi piccole, e che la potenza dom estica diventi u n titolo alla potenza politica: cosi non vi competizione p e r la corona che tra i forti. Si sa che divenne la dinastia di Saul, fondata da Samuele in disprezzo di questa legge, e quale fatica fece il re Giovanni, sopran

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nom inato Senza Terra, per consolidarsi sul trono dInghil terra. Egli non avrebbe mai trionfato della resistenza dei baroni, senza la carta che accord loro e che divenne il fondamento delle libert inglesi. Senza uscire dalla nostra storia, quando il m aestro di palazzo, Pipino di Herstal o Ugo il Bianco, divenne pi potente, in uomini e feudi, del re, fu fatto re a dispetto della consacrazione ecclesiastica che proteggeva il sovrano. Nel 1848, quando Luigi Napo leone fu eletto presidente della Repubblica, il popolo delle campagne gli attribuiva ima fortuna di venti miliardi. Daltra p arte l'alienazione della forza collettiva, oltre a d essere un risultato deHignoranza, sem bra essere stato u n mezzo p er preparare le razze. Per avvezzare l uomo p ri m itivo, ancora selvatico, alla vita sociale, era necessaria, bisogna crederlo, un a lunga m acinatura dei corpi e delle anim e. Siccome leducazione dell'um anit si compie attra verso una specie di mutuo insegnamento, la legge delle cose voleva che gli istruttori godessero di certe preroga tive. Nel futuro, leguaglianza consister nel fatto che cia scuno potr esercitare a turno la m aestria, come avr sopportato la disciplina. D. - Quanto voi dite dim ostra bene come stata consu m ata la grande diseredazione sociale, come lineguaglianza e la m iseria sono divenute la piaga della civilt. Ma com e spiegare la rassegnazione delle coscienze, la sottomissione delle volont, appena turbate, durante un cosi lungo pe riodo, da qualche rivolta di schiavi, di fanatici, di proletari? R. - Lantica religione del potere renderebbe, almeno fino ad u n certo punto, ragione del fatto. Ci si sottometteva al p o tere perch lo si considerava proveniente dagli di, in una parola perch lo si adorava. Ma questa religione p e r duta: legittim it dinastica, diritto del signore e diritto divi no n o n sono pi che parole odiose, sostituite dal fiero p rin cipio della sovranit del popolo. Orbene, il fenomeno persi ste: gli uomini dei nostri giorni non sembrano meno pro n ti dei lo ro padri a sottom ettersi allautorit e allo sfrutta m en to di uno solo. Ci costituisce una prova flagrante della v an it delle teorie teologiche e metafisiche, i cui principi possono alternativam ente perire o affermarsi, senza che i fa tti dei quali essi erano ritenuti la causa, o che essi dovevano prevenire, cessino di prodursi. A questo triste argomento del quale si valgono la m isantropia e lo scetticismo, scusa banale di tanti tra d i m enti e di tante vigliaccherie la teoria della forza col lettiv a d u n a risposta perentoria, che risolleva in m odo singolare la m oralit delle masse, lasciando nel contempo alla loro infam ia gli oppressori e i loro complici.

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Con il raggruppam ento delle forze individuali, e con il rap p o rto dei gruppi, la nazione intera prende corpo: un essere reale, di un ordine superiore, il cui movimento trascin a ogni esistenza, ogni fortuna. L'individuo immerso nella societ; egli dipende d a questa alta potenza, da cui non potrebbe separarsi che p e r cadere nel nulla. Per quanto grande, in effetti, sia lappropriazione delle forze collettive, p e r quanto intensa sia la tirannia, evidente che alla m assa rim ane sem pre im a p a rte di beneficio sociale, e che, in fondo, meglio p er tu tti rim anere nel gruppo piuttosto che uscirne. Non dunque lo sfruttatore, non il tiranno, che i lavoratori e i cittadini seguono in realt: la seduzione e il terro re hanno ben poco a che fare con la loro sottomissione. la potenza sociale che essi prendono in considerazione, una potenza m al definita nel loro pensiero, ma fuori dalla quale essi sentono di non poter sussistere; una potenza di cui il principe, chiunque esso sia, m ostra loro il sigillo, e che essi temono di fiaccare con la loro rivolta. Ecco perch qualunque usurpatore della potenza pub blica non m anca m ai di coprire il suo crimine col pretesto della salute pubblica, di atteggiarsi a padre della patria, a restauratore della nazione, come se la forza sociale traesse da lui la sua esistenza, m entre egli non per essa che una effgie, un timbro, e, se si pu dire cosi, una ragione com merciale. Cosi egli cadr, con la stessa facilit con la quale si stabilito al potere, il giorno in cui la sua presenza sem b re r com prom ettere il grande interesse che egli ha preteso difendere: questa, in ultim a analisi, la causa della caduta di tu tti i governi. D. - Quando il potere sociale si costituisce in principato, cade nelle mani di una dinastia o viene sfruttato da una casta, che cosa divengono i suoi rapporti con la nazione? R. - Questi rap p o rti sono completam ente sovvertiti. NeHordine naturale, il potere nasce dalla societ, la risultante di tu tte le forze particolari raggruppate p er il lavoro, la difesa e la Giustizia. Secondo la concezione empi rica suggerita dalla alienazione del potere, la societ al contrario che nasce dal potere; esso ne il generatore, il creatore, lautore; esso superiore alla societ: in modo che il principe, da semplice agente della repubblica come lo vuole la verit, ne diventa il sovrano, e, come Dio, il giustiziere. La conseguenza che il principe, assorbito dal suo do minio personale, invece di assicurare e di sviluppare il potere sociale, si crea, con l esercito, la polizia e le tasse, im a forza sua propria, capace di resistere a ogni attacco

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dallinterno e di costringere, se necessario, la nazione all'ob bedienza: ed questa form a principesca che avr ormai il nome di potere. Napoleone III, come Napoleone I, dice
il mio esercito, la mia flotta, i m iei m inistri, i miei prefetti, il mio governo; ed ha ragione di dirlo poich nulla di

tutto ci appartiene pi alla nazione, al contrario tu tto ci contro la nazione. D. - Come si concepisce, in questo caso, la Giustizia? R. - Come un a emanazione del potere, il che la ne gazione stessa della Giustizia. In effetti, nella condizione norm ale della societ, la Giustizia domina il potere, della cui bilancia, e della cui distribuzione, essa fa im a legge. Sotto il regime dinastico, il potere domina la Giustizia, che diviene u n attributo, una funzione dellautorit. Da ci la subordinazione della Giustizia alla ragion d i Stato, ultim a parola dellantica politica, condanna di tu tti i governi che la seguono, e che il cristianesimo, aggiungengendole la ragion di salvezza, non h a affatto santificato. Che i principi e i p reti bisticcino per l esercizio del potere: n gli uni n gli altri ne sono degni, perch tu tti disconoscono la supremazia del diritto. D. - Come, in questo sistema di usurpazione, si determ i nano i rapporti dei cittadini quanto alle persone, ai servizi, e ai beni? R. - Tale la Giustizia davanti al potere, tale sar nella nazione. Essendo la Giustizia considerata com e una emanazione della forza, tanto um ana quanto divina, la forza diviene in tu tto e per tutto la m isura del diritto, e la societ, invece di riposare sullequilibrio delle forze, ha per principio lineguaglianza, cio la negazione dellordine. D. - Quale pu essere, in questa situazione, lorganizza zione sociale e politica? R. - facile rendersene conto. Cadute in mani private le forze collettive, il potere pubblico convertito in un appan naggio, gli individui e le famiglie, gi ineguali p er azzardo di natura, lo divengono ancor pi per colpa della civilt: la societ si costituisce in gerarchia. quanto esprimono la religione dinastica e il giuram ento di fedelt alla persona dellimperatore. In questo sistema si pone come principio che la Giustizia, o ci che si chiam a con questo nome, pende sempre dal lato del superiore, s ta contro linferiore; e ci, sotto lapparenza di una autocrazia ineluttabile, non che linstabilit. E, cosa triste, in questo caso tutti sono complici d principe perch lo spirito di uguaglianza che la Giustizia crea nelluomo neutralizzato o abolito dal pregiudizio

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contrario, reso invincibile dallalienazione di ogni forza collettiva. D. - Come, in questo travestim ento della Giustizia, della societ e del potere, si conserva l'unit? R. - La n a tu ra delle cose vuole che l unit risulti dalla bilancia delle forze, resa obbligatoria dalla Giustizia, che diviene cosi il vero sovrano, e che, in tale qualit, d la consegna a tu tti i partecipanti alla potenza pubblica. Ora lu n it consister invece nellassorbim ento, nella persona del principe, di ogni facolt, di ogni interesse, di ogni ini ziativa: la m o rte sociale. E siccome la societ non pu n m orire, n fare a meno dellunit, si stabilisce u n antago nismo fra la societ e il potere, finch non sopravviene la catastrofe. D. - In questo stato di cose, la diminuzione del potere sem brata sem pre ima garanzia p er la societ: in che cosa consiste, e a che pu servire, u n a tal riduzione? R. - A prescindere da ci che il principe possiede a titolo di patrim onio o dominio privato, e anche dal comando degli eserciti, dalla percezione delle im poste e dalla nom ina dei funzionari, la teoria vuole che egli abbandoni il soprappiu, terre, miniere, coltivazioni, industrie, trasporti, banche, com mercio, educazione al libero godimento, come disposizione assoluta, come concorrenza sfrenata o p u ra coalizione im m orale della classe privilegiata. Si ritiene che ci che appartiene al dominio delleconomia non lo riguarda per niente: egli non deve impicciarsene affatto. In una parola, labbandono a una casta di feudatari della vera forza sociale, ecco quello che si chiam a limite del potere, e che si decora con letichetta delle pubbliche libert. Transazione assur da, che nessun governo padrone di m antenere, e che non tard er a divenire un nuovo ferm ento di rivoluzione. Oggi, in Francia, l im peratore padrone di tutto: m a con ci stesso si m esso in un pericolo sem pre crescente di p er dere tutto: ed quanto lavvenire, in un modo o nellaltro, dim ostrer. D. - Cosi condizionato, il potere senza oggetto? R. - Per nulla: loggetto del potere allora precisam ente quello di m antenere questo sistema di contraddizione, in attesa della Giustizia, e come in una immagine capovolta della Giustizia. D. - Precisate la sinonimia del potere. R. - La costituzione artificiale del potere avendone alte ra ta la nozione, la lingua doveva risentirne: a questo ri guardo, come sempre, le parole sono la chiave della storia. Considerato come appannaggio del principe, come sua fondazione, sua professione, suo mestiere, il potere sociale

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stato chiamatu lo Stato. Come la gente del popolo, il re dice: il mio Stato, o i miei Stati, per il mio dominio, il mio stabilimento. La Rivoluzione, trasferendo dal principe al paese la propriet del potere, ha conservato la parola, oggi anonima, di res publica, repubblica. Nella misura in cui si ritiene che il personale del potere regge la nazione e presiede ai suoi destini, si d a questo personale, e al potere stesso, il nome di governo, espressio ne tanto falsa quanto ambiziosa. In teoria la societ ingo vernabile; essa non obbedisce che alla Giustizia, pena la m orte. Di fatto i sedicenti governi, liberali e assoluti, con il loro arsenale di leggi, decreti, di editti, di statuti, di plebisciti, di regolamenti, di ordinanze, non hanno mai governato nulla e nessuno. Vivendo una vita completamen te istintiva, agendo sotto la spinta di necessit invincibili, sotto la pressione di pregiudizi e di circostanze che non com prendono, abbandonandosi il pi delle volte alla cor ren te della societ che di tanto in tanto li travolge, essi non Possono, di loro iniziativa, far altro che del disordine. E la prova sta nel fatto che finiscono tutti miserevolmente. Infine, se si considera nel potere l'eminente dignit che 10 rende superiore a ogni individuo, a ogni collettivit, lo si dice sovran o : espressione pericolosa, dalla quale auspi cabile che la democrazia in futuro si preservi. Quale che sia 1 1 po tere dellessere collettivo, esso non costituisce, agli occhi del cittadino, una sovranit: tanto varrebbe quasi dire che u n a macchina, nella quale girano centomila fusi, il sovrano delle centom ila filatrici che essa riunisce. Labbiamo detto, |a G iustizia sola comanda e governa, la Giustizia, che crea il p o tere facendo della bilancia delle forze un obbligo per tu tti. F ra il potere e lindividuo, non c dunque che il d iritto : ogni sovranit ripugna; diniego di Giustizia, religione *. * Da P.-J. P r o u d h o n , La giustizia nella rivoluzione n e lla Chiesa, a cura di M ario Albertini, Utet, Torino 1968,

PP. 545-559.

IV.

LA RAGIONE COLLETTIVA

La teoria della ragione collettiva riposa sul seguente fatto di osservazione noologica, che nessuna spiegazione potrebbe distruggere: Quando due o pi uom ini sono chiam ati a pronunciarsi contraddittoriam ente su un problema, sia dell'ordine natu rale, sia, e a pi forte ragione, dellordine umano, dalla eliminazione della loro soggettivit cio dellassoluto che l'io afferma e rappresenta che essi sono condotti recipro camente e rispettivam ente a fare, risulta un modo di vedere comune, che non rassom iglia pi affatto, n per la forma n per la sostanza, a quello che, senza questo dibat tito, sarebbe stato il loro modo di pensare individuale. Questo modo di vedere, nel quale non entrano che puri rapporti, senza m escolanza di elementi metafisici e assolu tisti, costituisce la ragione collettiva o la ragione pubblica. Consegue da questa differenza di qualit fra le due ragioni che se, invece di sottom ettere il problema a un dibattito preliminare, gli stessi individui lavessero risolto preventivamente, per tacito consenso, accettando ciascuno lavviso altrui, le loro opinioni, em ananti entram bi da imo stesso sentim ento di assolutism o che costituisce lessen za dell'individualit si sarebbero trovate perfettamente omologhe, ma che, nel contempo, i loro interessi si sareb bero trovati in un completo antagonismo: situazione del tutto contraria a quella che la ragione collettiva avrebbe creato. cosi che, allorigine, si stabilita la propriet. Essa il risultato del consenso delle ragioni particolari, il cui fascio, form atosi spontaneamente, ha com portato di auto rit la sanzione del legislatore. Ma oggi si constata che la propriet, malgrado tu tti gli sforzi dei giuristi, divenuta incompatibile con lordine sociale. Essa attende la sua tra sformazione, e noi assistiamo da una ventina danni a un lavoro di purificazione di cui ho cercato di mettere in risalto lo scopo, presentando la bilancia dei diritti e dei doveri reciproci del locatario e del proprietario.

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La stessa cosa si verifica in tutto il sistema sociale, concepito in un primo tempo, e necessariamente, dal punto di vista assolutistico.

La ragione pubblica, condizione e fondamento della fede pubblica

LVII. Ma, si dice, la distinzione della ragione particolare e della ragione collettiva solleva pi difficolt di quante non ne pu risolvere. Basta, in primo luogo, criticare lindividualismo per affermare u n a sedicente ragione generale, della quale non ci si pu fare unidea se non m ediante una specie di castra zione dellintelletto, come se la separazione astratta degli a ttrib u ti dellintendere producesse due tipi di intelligenza? B asta realizzare ima m etafora per b u tta r via tutto ci che la ragione dei popoli ha creato nel campo delle istituzioni, e p e r strappare alla civilt, gi cosi compromessa, i suoi vecchi, i suoi eterni fondamenti? Leliminazione dellasso luto, dopo tutto, non soltanto una negazione: il sacri ficio dellinteresse proprio, raccom andato in nom e della cari t dal Vangelo, e preteso, in certi casi, dalla Giustizia. Ci vuole altro per fa r credere alla realt della ragione col lettiva. Qual linsieme delle sue idee? Il che come chie dere: qual il sistem a che ci si propone di stabilire, in nom e di questa ragione, al posto dellantico ordine di cose? A ndiam o pi lontano. Quandanche, in nom e delle idee nuove, il sistem a dei rapporti sociali fosse stato rinnovato da cim a a fondo, sarebbe questo un motivo per am m ettere nel corpo sociale, come realt noologica o psichica, una intelligenza su i generis, pari a quella che riconosciamo nel lessere vivente uom o o animale, un pensiero, un istinto, una intelligenza? Passi per la forza di collettivit, risultante dal rap p o rto di cooperazione e di commutazione delle forze partico lari; m a una intelligenza di collettivit, unanim a sociale, il nostro senso intimo la rifiuta. Dove m etterla? Chi la esp rim er? Creeremo forse un vicariato, un sacerdozio, per q u esta ltro Logos ? Dopo aver distrutto in noi questa d o p p ia coscienza, tanto rim proverata alla religione, la ri creerem o grazie a questa ragione collettiva, le cui prescri zioni penetrano cosi a fatica nella ragione particolare? Invece di assicurare con questa im palcatura la fede pub

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blica, ci no n finir forse col gettarci in una ltra ipocrisia? Queste sono le difficolt. Il sistem a della ragione pub blica, la su a realt, il suo organism o, la sua necessit per la garanzia della fede pubblica, cio il suo fine: ecco quanto cercher di chiarire il pi brevem ente possibile. LVIII. Sistem a della ragione pubblica o sistem a sociale. Quante volte m i son sentito rivolgere questo compli mento, che la critica gelosa si affretterebbe, p e r lonore del l epoca, a ritirare, se ne com prendesse la portata: Voi siete u n ammirevole distruttore; m a voi non costruite nulla. Voi gettate le persone sulla strada, e non offrite loro il minimo riparo. Che cosa m ettete al posto della religione? Che cosa m ettete al posto del governo? Che cosa m ettete al posto della propriet? E ora mi si dice: Che cosa m ettete al posto di questa ragione individuale, di cui siete giunto, per soste nere le vostre tesi, a negare la sufficienza? Nulla, mio buon amico; perch non voglio affatto sop primere, nemmeno in parte, ci che ho ferm am ente criti cato. Io m i compiaccio di due sole cose: in prim o luogo, di insegnarvi a m ettere ogni cosa al suo posto, dopo averla purificata dall'assoluto e bilanciata con le altre cose, in seguito, di dim ostrarvi che le cose che voi conoscete, e che avete ta n ta paura di perdere, non sono le sole che esi stono, di insegnarvi che ce ne sono di ancora pi impor tanti, delle quali dovete tener conto. Fra queste la ragione collettiva. Si cerca il vero sistema, il sistem a naturale, razionale, legittimo, della societ, perch nessuno tra quelli che sono stati provati resiste allazione segreta che lo disorganizza. stata la preoccupazione costante dei filosofi socialisti, dal mitologico Minosse fino al capo degli Icariani. Siccome non si aveva nessuna idea positiva n della Giustizia, n del lordine economico, n della dinamica sociale, n delle condizioni della certezza filosofica, ci si fa tta una idea m ostruosa dellessere sociale: lo si paragonato a un grande organismo, creato secondo una form ula gerarchica che costituiva, anteriorm ente alla Giustizia, la sua legge e la condizione stessa della sua esistenza; era stato conce pito come un animale di una specie misteriosa, m a che, similmente a tu tti gli animali conosciuti, aveva una testa, un cuore, dei nervi, dei denti, dei piedi, ecc. Da questo organismo chimerico, che tutti si son sforzati di scoprire, si deduceva in seguito la Giustizia; si faceva cio scaturire la m orale da u n a fisiologia, o, come si dice oggi, il diritto dal dovere, in modo che la Giustizia si trovava sempre fuori

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dalla coscienza, la libert sempre sottomessa al fatalismo, e lumanit sempre decaduta. . ._ Io ho confutato in anticipo tutte queste i m m a g in a z i o n i , esponendo i fatti e i principi che le escludono per emp . Per quanto riguarda la sostanzialit e 1 orgamzz . dellessere sociale, io ho m ostrato la prima nell ac mento di potenza eifettiva che proprio del gn^PP > __ che eccede la somma delle forze individuali che 1 pongono; e ho dato la legge della seconda, m ostran o essa si riduce a una serie di ponderazioni delle torz * servizi, e dei prodotti, il che fa del sistema sociale equazione generale, una bilancia. In questo orgamsm , societ, lessere morale per eccellenza, differisce essen m ente dagli esseri viventi, nei quali la subordinazione g organi la legge stessa della esistenza. Per questa rag alla societ ripugna qualsiasi idea di gerarchia, c risulta dalla formula seguente: Tutti gli uomini sono in dignit per n atu ra e devono conseguire una eq lenza di condizioni mediante il lavoro e la Giustizia. Orbene, tale lorganizzazione di un essere, tale sara la sua ragione; per questo, mentre la ragione dell ina assum e la forma di una genesi, come si pu constatare vando tu tte le teogonie, le gnosi, le costituzioni politicne, la sillogistica; la ragione collettiva si riduce, come l a g m ediante leliminazione dellassoluto, a una serie di luzioni e di equazioni, il che equivale a dire che in non c, p er la societ, un sistema. . In effetti non si tratta di un sistem a nel senso cne si d di solito a questa parola, ma di un ordine ne q tu tti i rapporti sono rapporti di eguaglianza; nel q non esiste n prim ato, n obbedienza, n centro ai g n direzione; nel quale la sola legge che tu tto si m e tta alla Giustizia, cio allequilibrio. Le m atem atiche formano forse un sistema. A . viene in m ente di dirlo. Se in un trattato di. niatem ati scopre qualche traccia di sistemazione, ci e ai m dellautore, m a non deriva affatto dalla scienza stessa, cosi anche nella ragione sociale. Due uom ini si incontrano, riconoscono la loro m gnua. con statan o il sovrappi di beneficio che nsultereb p en tram b i dallaccordo della loro industriosit, e si ga * scono perci, reciprocamente, luguaglianza, il cne g fica, l economia. Ecco tutto il sistem a sociale: una equ ne, e come conseguenza una potenza di collettivit. D ue famiglie, due citt, due province, contrattano su un piede di uguaglianza: ci sono sempre soltanto q due cose, u n a equazione e u n a potenza di collettivit .

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rebbe contraddittorio, violerebbe la Giustizia, che ci fosse qualche cosa daltro. Una cosa dunque la ragione individuale, assolutista, procedente attraverso genesi e sillogismo, che tende costan temente, con la subordinazione delle persone, delle funzioni, dei caratteri, a chiudere la societ in un sistema; e una cosa del tutto diversa la ragione collettiva, che elimina ovunque lassoluto, che procede invariabilmente per equa zioni, che nega energicamente, p e r quanto riguarda la societ che essa rappresenta, ogni sistema. Incompatibilit di forme, antagonismo di tendenze: che cosa si vuole di pi per affermare la distinzione di queste due nature? LIX. Realt della ragion pubblica. Ma che idea farsi di questa ragione collettiva, che resiste con tan ta forza e con u n successo cosi completo alle fan tasie della ragione individuale? forse unanima, uno spi rito, una entelechia, qualche cosa come ci che immaginiamo quando parliam o dello spirito divino, delle intelligenze celesti, della n o stra anim a im materiale e immortale? E perch no, se la comprensione non pu concepire altri menti la cosa? Lintelligenza ovunque, latente o cosciente, abbiamo osservato pi sopra. quanto diceva, in altri termini, il filosofo: Lo spirito dorm e nella pietra, sogna nell'animale, ragiona nelluomo. Perch non dovrebbe anche ragionare nellum anit? Ma scartiam o queste concezioni ardite. Non cosi che la Rivoluzione, presentando se stessa, deve porre la sua ragione e procedere alla disciplina delle idee. Nella m isura in cui essa elimina dal suo program ma le confessioni della legge religiosa e tutte le invenzioni della filosofa trascendente, rivelazione, dogma, autorit, gerar chia, Chiesa, disciplina; nella m isura in cui essa respinge lo spiritualismo cartesiano, allo stesso titolo del m ateriali smo di Epicuro, essa non pu concepire la Ragione pubblica come una entit metafsica a parte, un Logos anteriore e superiore, ma solo come la risultante di tu tte le ragioni o idee particolari, le cui ineguaglianze, provenienti dalla con cezione dell'assoluto e dalla sua affermazione egoistica, si compensano grazie alla loro critica reciproca, e si annullano; Una ragione costituita da un risultato, voi dite, come imo spirito che si pu comporre, o un'anim a form ata da parti: ci ripugna al nostro sentimento deHunit, alla no stra concezione della semplicit, dellidentit del nostro io. Ma voi ragionereste, in ogni modo, dellassoluto, come

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se ne aveste u n a conoscenza dim ostrativa e empirica? Che cosa sapete del vostro io e della sua semplicit, o anime semplici che siete? E siccome vi concepite gratuita mente, senza prova alcuna, grazie solo al vostro assoluti smo, come soggetto semplice, ne consegue forse che voi non possiate e non dobbiate concepirvi ugualmente, quando la spiegazione dei fatti lo richiede, come ima risultante? Come abbiamo visto il concorso delle forze produrre una risultante diversa qualitativamente dalle forze che la com pongono, e superiore alla loro somma; cosi vediamo che il conflitto delle opinioni genera u n a ragione diversa quali tativam ente, e superiore in potenza, rispetto alla somma di tutte le ragioni particolari che la producono con la loro contraddizione. Dico diversa qualitativam ente : provato dall'antago nismo delle due ragioni. Aggiungo superiore in potenza: il progresso della societ lo dimostra. In effetti, per quanto voi facciate grande la ragione del lindividuo, questa sar sempre m escolata con elementi passionali, egoistici, trascendentali, in una parola assoluti stici. Ci si osserva nei movimenti della m oltitudine, nei pregiudizi nazionali, negli odi di u n popolo per un altro popolo, cosi spesso decorati con lapparenza verbale del patriottism o: tu tte cose che non sono altro che assoluti sm o individuale, moltiplicato per il num ero di gusci dostri ca che lo esprimono. p er questo che il genere um ano stato vittim a cosi a lungo di istituzioni e di idee che sem bravano ricevere la loro autorit dalla Ragione pubblica, nella quale si sarebbe rivelata, almeno cosi si pensava, la volont degli di, m entre non erano che m ostruose escrescenze della ragione individuale. Orbene, noi vediamo la ragione collettiva distruggere incessantemente, con le sue equazioni, il sistem a form ato dalla condizione delle ragioni particolari: dunque essa non soltanto diversa, essa anche superiore alle ragioni indi viduali, e la sua superiorit deriva proprio dal fatto che lassolutismo, che occupa un posto cosi grande nelle altre, davanti ad essa scompare. Conveniamo dunque che la ragione collettiva non una parola vana: , innanzitutto e indubitabilm ente, un rap porto. Orbene, siccome il rapporto, o ragione delle cose, in ogni cosa il fatto fondamentale, la realt pi alta, io dico che la ragione collettiva, che risulta dallantagonismo delle ragioni particolari, come il potere pubblico risulta dal concorso delle forze individuali, una realt allo stesso titolo di questo potere; e siccome queste realt si riuni scono nella m edesim a collettivit, ne concludo che esse

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formano i due attrib u ti essenziali dello stesso essere, la ragione e la forza. questa Ragione collettiva, teorica e pratica nello stesso tempo, che da tre secoli a questa parte h a cominciato a dom inare il m ondo e a spingere la civilt sulla via del progresso; essa che ha fatto prevalere il principio di tolle ranza religiosa, creato il diritto pubblico e il diritto delle genti, gettato le fondam enta della confederazione europea, proclam ato leguaglianza davanti alla legge, resa la filosofia tanto sacra quanto la stessa religione. essa che i tribu nali e le accademie dei dotti si sforzano di esprimere nel loro stile, e che ogni scrittore, ogni artista, invoca in ultima istanza, dopo aver dato sfogo alla propria soggettivit nella composizione della sua opera.
[...].

LX. Organismo della ragione pubblica. Siccome lidea dellassoluto si realizzata in tutte le creazioni dellantico regime, lidea della Giustizia deve realizzarsi, al suo posto, in tutte le istituzioni del nuovo regime. Voi chiedete quale sia lorgano della ragione collettiva? N aturalm ente non pu essere lindividuo, bench lindi viduo sia capace, p er labitudine alla dialettica e per pratica della Giustizia, di esprimere, con pi o meno felicit, il pensiero generale. Troppo assolutismo si mescola alle opere della personalit, perch essa possa esser presa come arbitro del diritto. Lorgano della ragione collettiva lorgano stesso della forza collettiva: il gruppo lavoratore, istruttore; la compa gnia industriale, dotta, artistica; le accademie, scuole, mu nicipalit; lassemblea nazionale, il club, la giuria; in una parola, qualsiasi riunione d'uomini form ata per la di scussione delle idee e la ricerca del diritto: Ubicumque
fuerint duo vel tres congregati in nomine meo, ibi sum in medio eo ru m 2.

C da prendere una sola precauzione: quella di assi curarsi che la collettivit interrogata non voti com e un sol uomo, in virt di un sentim ento particolare divenuto co mune; ci condurrebbe a una im mensa truffa, come si pu constatare nella maggior parte dei giudizi popolari. Com battere contro u n solo uomo, la legge della guerra: votare come un sol uomo, il sovvertimento della ragione. Poniamo piuttosto questa massim a: lim personalit della ragione pubblica presuppone, come principio, la maggiore contraddizione possibile, come organo, la maggior molte-

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Plicit possibile. Ed solamente allo scopo di assicurare questa impersonalit che pu essere opportuno creare una m agistratura speciale per la sorveglianza dei dibattiti e la salvaguardia dellopinione. Quante volte, ahim!, da sessan ta anni a questa parte, non abbiamo avuto occasione di riconoscere linanit della salvaguardia pubblica, quando essa non ha per organo un potere incaricato di rappresen tarla e di agire d'ufficio in suo nome, come il pubblico m i nistero incaricato, in nome della sicurezza generale, della repressione dei delitti e dei crimini? Se le nostre accademie avessero mantenuto lo spirito delle loro origini, se avessero la sia pur pi piccola idea della loro missione, se lipocrisia della trascendenza non avesse falsato la loro coscienza come il loro intelletto, nulla sarebbe per loro pi facile dellassunzione di questa alta giurisdizione sulle opere dell'intelligenza. Non pi difficile distinguere ci che deriva da una ragione legittima da ci che solo il prodotto del misticismo o dellassolutismo in un libro di storia, di economia, di politica, di morale, di letteratura, in un discorso, che segnalare la stessa diffe renza nelle cose della fisica e della storia naturale.
[...].

Nei confronti dellassoluto siamo in istato di guerra. Fino a quando lum anit non avr scosso questo terrore, e d iritto e dovere della Rivoluzione perseguirne ovunque le vestigia e neutralizzarne linfluenza. Ne dipendono la n o stra m oralit e il nostro progresso. Altri, in odio alla Chiesa, a cui condotta dopo il 1848 ha ingannato la loro attesa, voteranno la soppressione del bilancio dei culti: una soddisfazione prom essa alla Rivoluzione della quale non no pi da occuparmi. Io chiedo che il giorno dopo questo voto non si apra un credito per la celebrazione di qualche lesta in onore dellEssere supremo; io chiedo che la fede teologica rimanga in avvenire nei cuori dei credenti, dive nuti seriam ente, secondo la parola del Vangelo, adoratori m ispirito. Quanto alla m oltitudine la sola religione che le convenga orm ai quella della sua dignit. Insegniamo, a Questa m oltitudine troppo a lungo avvilita, che lidea di Uio le fu data come allegoria della Giustizia; e Dio e la Giustizia ci guadagneranno entram bi: il primo, di m eritare alfine la n o stra stima; la seconda, di non essere pi tenuta m scacco dalla sua sedicente cauzione.
blica.

LXI. La ragione pubblica, sola garanzia della fede pub

Dove lassoluto regna, dove lautorit pesa sulla opinione Pubblica, dove lidea di una essenza soprannaturale serve

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da base alla morale, dove la ragion di Stato dom ina su tu tti i rapporti sociali, inevitabile che la devozione a questa essenza, lautorit che la rappresenta, le eccezioni al diritto e al dovere che essa crea, gli interessi che essa fa nascere, abbiano la meglio, nei cuori, sul rispetto della fede pubbli ca: il che vuol dire che, essendo violata la ragione pub blica, la fede pubblica nulla. Questo lultimo grado di depravazione al quale possa giungere una societ. gi u n male assai grande i nostri S tudi precedenti sono serviti a farlo capire che, in conseguenza dellin vasione dellassoluto, ogni Giustizia si trovi distrutta nelle relazioni umane, nella economia, nel governo, nell'educazione, nel lavoro. Ma lim m oralit non si arresta qui: in una societ abbandonata di fatto al probabilismo, la fedelt agli impegni, la costanza nelle massime e nella condotta, diven gono sem pre pi rare; in modo che alliniquit generale delle situazioni si aggiungono, con quanto hanno di pi odioso, la menzogna, il tradim ento, la venalit, e per con traccolpo, il sospetto ingiusto e la calunnia. Chi potrebbe vivere in una societ dalla quale fosse bandita ogni fede?... Orbene, quando mai la fede pubblica fu pi indegnamente violata, quando mai il disprezzo dei principi e dei giuram enti fu praticato su una scala pi grande, che dopo la Rivoluzione? Quando, in seguito alle giornate del luglio 1830, si scrisse sulla nuova carta che non cera pi ima religione d i Stato, tu tti com presero immediatamente la portata di questo emendamento. Scomparso dalla costituzione l asso luto teologico, nel corpo politico non potevano pi esistere n partiti, n antagonismo, fondati su di esso, e perci n ipocrisia, n apostasia e nemmeno favoritismo o martirio. Non c'era nulla da guadagnare o da perdere, davanti allo Stato, nel seguire una religione piuttosto che unaltra, e non si era affatto biasim ati se non se ne professava alcuna. Rispetto alla cosa pubblica, la costanza o la defezione nella fede religiosa erano orm ai un non senso. Il tradimento non poteva pi esistere che fra zelatori dello stesso culto e per le cose del culto; fuori della sua Chiesa, se apparte neva a una Chiesa, il cittadino non era tenuto che ad essere onesto. Orbene, quanto ha fatto per lassoluto teologico, la Rivoluzione tende a farlo per lassoluto politico ed econo mico: innalzandosi al di sopra di ogni forma esteriore di governo, come di ogni classificazione, essa tende ad assicu rare la libert ed il benessere di tu tti per mezzo dellequa-

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zione dei rapporti, che noi abbiamo altrove chiam ata bilan cia dei servizi e dei prodotti. Essendo dunque il rapporto o la ragione delle cose, l equilibrio delle forze e degli interessi, in una parola il diritto puro, astrazion fatta da ogni elemento assolutistico, ci che la Rivoluzione cerca come il proprio oggetto, le opinioni extra-giuridiche in fatto di governo e di organiz zazione sociale cadono, davanti ad essa, come le opinioni religiose; essa non se ne preoccupa pi. Nei confronti dei p a r titi e delle scuole, sempre form ati con u n fine assolu tistico , e che essa, daltra parte, si guarda bene dal p ro ib ire in quanto costituiscono la vita stessa della societ, la Rivoluzione professa la stessa im parzialit o indiffe r e n z a che nei confronti delle Chiese: il solo punto a proposito d el quale essa si m ostra intollerante il rispetto della G iustizia, che essa rappresenta in modo esclusivo. I n queste condizioni la fede pubblica assicurata, a lm e n o p e r ci che riguarda gli interessi generali del paese. E ffettivam ente, dal m omento in cui il governo si lim ita a d eterm in a re e ad assicurare dei rapporti, senza par z ia lit p er alcuna opinione o per alcun partito, p er lo s t e s s o governo come per tu tti non c pi da tem ere a l c u n tradim ento, n da esigere alcun giuramento*. * Da P.-J. P ro u d h o n , La giustizia nella rivoluzione n e l l a Chiesa, a cu ra di Mario Albertini, Utet, Torino 1968, p p . 757-771.

V.

CRITICA DEL PRINCIPIO DI AUTORIT

I. Negazione tradizionale del Governo. Em ergenza del l idea che gli succede.

La form a sotto la quale i primi uomini hanno concepito lordine nella Societ, la forma patriarcale o gerarchica, cio, in teoria lAutorit, in pratica il Governo. La Giusti zia, che pi tardi stata distinta in distributiva e commu tativa, dapprim a apparsa loro solo sotto il primo aspetto: u n s u p e r io r e che d a degli Inferiori ci che ad ognuno di essi spetta. Lidea di governo nacque dunque dai costumi della fami glia e dallesperienza domestica: allora non ci fu nessuna protesta, perch alla Societ lesistenza del Governo pareva un fatto naturale come il rapporto di subordinazione che nella famiglia si stabilisce tra padre e figli. Sicch il signor di Bonald ha potuto affermare, a ragione, che la famiglia lembrione dello Stato, del quale essa riproduce le categorie essenziali: il re nel padre, il m inistro nella ma dre, il suddito nel figlio. Anche per questo i socialisti della fratellanza, che considerano la famiglia come un elemento della Societ, arrivano tu tti alla dittatura, la form a pi esagerata di Governo. Lam m inistrazione del signor Cabet, nei suoi Stati di Nauvoo, ne un bell'esempio. Quanto tem po ancora ci occorrer per comprendere questa filiazione di idee? La concezione prim itiva dellordine che discende dal Governo appartiene a tu tti i popoli: e se, fin dallorigine, gli sforzi che sono stati compiuti p er organizzare, limitare, modificare lazione del potere, p e r adeguarla ai bisogni generali e alle circostanze, pure dim ostrano che cera una negazione im plicita nellaffermazione, certo per che nessuna ipotesi antagonistica sta ta espressa; lo spirito ovunque rim asto lo stesso. A m ano a mano che le nazioni sono uscite dallo stato selvaggio e dalla barbarie, hanno imboccato im mediatam ente la strad a del governo e seguito tutte lo stesso ciclo istituzionale: sono passate, tanto per usare categorie ormai comuni a tu tti gli storici e ai pubbli cisti, dalla Monarchia, allAristocrazia, alla Democrazia.

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Ma c qualcosa di pi grave ancora. Il pregiudizio del governo penetrato fin nel pi pr?ndo delle coscienze, ha modellato la ragione a sua im ma gine e somiglianza, tanto che qualsiasi concezione diversa Sl resa per lungo tempo impossibile; e i pensatori pi audaci sono arrivati alla conclusione che il Governo era una calam it senza dubbio, un castigo per lum anit, e Per un male necessario!... _ . Ecco perch, fino ai nostri giorni, le rivoluzioni pi emancipatrici, e tu tti i fermenti di libert, sono sbocciati cstantem ente in un atto di fede e di sottomissione al Potere; e perch tu tte le rivoluzioni non sono servite che a ripristinare la tirannia: io qui non faccio eccezioni n Per la Costituzione del '93 n per quella del 1848, che pure sono le due espressioni pi avanzate della democrazia Mancese. Ci che ha m antenuto questa predisposizione mentale e reso cosi a lungo invincibile lincanto, il fatto ^ne, in seguito alla supposta analogia tra la Societ e la *amiglia, il Governo si sempre presentato come lorgano naturale della giustizia, il protettore del debole, il conser vatore della pace. Considerato come un ente provvidenziale e altamente garante, il Governo riuscito a radicarsi sia nei cuori che nelle menti! Partecipava dellanim a universale; ra la fede, la superstizione segreta, invincibile dei cittadini. ~e per caso si m ostrava debole, di lui si diceva, come della Religione e della Propriet: non listituzione che cattiva, e 1abuso. Non il re che cattivo, sono i suoi m inistri. Ah! .
Se venisse a saperlo il re!...

Cosi, al dato della gerarchia, dellassolutismo, dellau

torit governante, si aggiungeva un ideale intimo e m

9stante contraddizione con listinto di eguaglianza e di 1 ''dipendenza: m entre il popolo, ad ogni rivoluzione, seBuendo le ispirazioni del suo cuore, credeva di correggere vizi del suo Governo, veniva invece tradito dalle sue stesse 'dee; credendo di ripristinare il Potere a suo favore, in realt se lo ritrovava sempre contro; invece che a un protet tore,^ esso si consegnava a un tiranno. Lesperienza m ostra, in realt, che, per quanto popolare Possa essere stata la sua origine, il Governo si schierato sempre o ovunque dalla parte della classe pi colta e pi ricca contro quella pi povera e pi numerosa; che, dopo essersi m ostrato p er un po di tem po liberale, a poco a Pco diventato governo deccezione, esclusivo; che, infine, invece di sostenere la libert e leguaglianza fra tu tti, ha tatto di tu tto p er distruggerle, in virt della sua inclina zione naturale al privilegio.

Critica del principio di autorit

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Noi abbiamo m ostrato, in un altro studio, come, dal 1789, la Rivoluzione non abbia fondato nulla; la societ, secondo lespressione del signor Royer-Collard, sia stata ridotta in polvere; la distribuzione delle fortune affidata al caso; e, come di conseguenza, il Governo, che ha la missione di proteggere sia le propriet che le persone, di fatto fosse istituito per i ricchi contro i poveri. Chi pu negare adesso che questa anomalia, che pure si pensato fosse specifica della costituzione politica del nostro paese, comune a tu tti i governi? Mai si vista la propriet dipendere esclusi vamente dal lavoro; in nessuna epoca il lavoro stato garantito dallequilibrio delle forze economiche: da questo punto di vista, la civilt del XIX secolo non pi avanzata della barbarie delle prim e et. Lautorit, difendendo i diritti di fatto stabiliti, proteggendo gli interessi acquisiti, si schierata allora sempre dalla parte della ricchezza e contro la povert: la storia dei governi il martirologio del proletariato. Questa inevitabile defezione del potere dalla causa popo lare va analizzata soprattutto nel caso della democrazia, ultimo term ine dellevoluzione del principio di governo. Cosa fa il popolo, quando, stanco dei suoi aristocratici, indignato per la corruzione dei suoi principi, proclama la propria sovranit, ovvero lautorit dei propri suffragi? Esso si dice: Innanzitutto, nella societ ci vuole ordine. Custode di questo ordine, che deve essere per noi la libert e legua glianza, il Governo. Ebbene: controlliamo il Governo; la costituzione e le leggi diventino lespressione della nostra volont; facciamo in modo che funzionari e m agistrati, eletti da noi al nostro servizio e revocabili in qualunque mo mento, non possano mai intraprendere qualcosa di diverso da quello che la volont del popolo avr stabilito. Possiamo essere sicuri allora, a condizione che la nostra sorveglianza non si allenti m ai, che il Governo curer i nostri interessi; che non servir soltanto ai ricchi, non sar pi preda di ambiziosi e intriganti; le cose andranno avanti a nostro piacimento e a nostro vantaggio. Cosi ragiona la m assa in tutte le epoche di oppressione. Ragionamento semplice, di una logica elementarissima, e che riesce sem pre a produrre il suo risultato. Anche se questa massa, d accordo con i signori Considrant e Rittinghausen, arrivasse fino ad affermare: I nostri nemici sono quelli stessi che noi mandiamo al governo; quindi, gover niamoci da noi, e saremo liberi; la logica non cambierebbe. Se non cambia il principio, cio il Governo, non pu cam biare neppure la conclusione.

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Sono ormai mille anni che questa teoria risarcisce le classi oppresse e gli oratori che le difendono. Il governo diretto non risale n a Francoforte, n alla Convenzione, ne a Rousseau: ha la stessa et del governo indiretto, risale alla fondazione delle societ. Niente m onarchia ereditaria,
Niente presidenza, Niente rappresentanza. Niente delega, Niente alienazione del potere, Governo diretto, i l popolo! n ellesercizio permanente della sua sovranit .

. Che c dunque alla base di questo ritornello che si ripreso come se fosse una tesi nuova e rivoluzionaria, e che Ateniesi, Beoti, Lacedemoni, Romani, ecc., non abbiano g> conosciuto, praticato, molto prim a della n o stra ra? N on si tratta sempre dello stesso circolo vizioso, sempre dello stesso precipitare verso lassurdo, che dopo aver esaurito, eliminato u n a dopo laltra m onarchie assolute, m onarchie aristocratiche o rappresentative, democrazie, giunge a toccare il lim ite del governo diretto, per ricomin ciare daccapo con la d ittatura a vita e la m onarchia eredi ta ria ? Presso tu tte le nazioni, quella del governo diretto sta ta lepoca palingenetica delle aristocrazie d istrutte e d e i tro n i spezzati: questo tipo di governo non ha potuto re g g ersi neppure presso popoli, come quelli di Atene e ^ p a r ta , che avevano il vantaggio di ima popolazione minij p a e del servizio degli schiavi. Da noi sarebbe il preludio d e l cesarismo, nonostante le nostre ferrovie, le poste, i teleg ra n ; nonostante la semplificazione delle leggi, la revoca b ilit dei funzionari, la forma imperativa del m andato. . 1 darebbe precipitare verso la tirannia imperiale tanto pi i n fre tta , in quanto i nostri proletari non vogliono pi essere s a la r ia ti, i proprietari non sopporterebbero di essere spos s e s s a ti, e i fautori del governo diretto, ponendo ogni cosa s u l piano della politica, sembrano non avere alcuna idea (lelrorganzzazione economica. Un altro passo in questa d ire z io n e , e rispunta laurora dellra dei Cesari: a una d e m o c ra z ia inestricabile succeder, senza altri passaggi, 1 im p e ro , con o senza Napoleone. O ccorre uscire da questo cerchio infernale. Occorre tra v e r s a r e , da p arte a parte, lidea politica, la vecchia nozione d i giustizia distributiva e giungere a quella di giustizia com m u t a t i v a , che, nella logica della storia come in quella del d i r i t t o , le succede. Eh! voi che volete non vedere, che cer c a t e t r a le nuvole qualcosa che gi avete sottomano, rileg g e t e i vostri autori, guardatevi intorno, analizzate le vostre

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stesse formule, e troverete la soluzione, che si trascina da tempo immemorabile attraverso i secoli, e che voi, insieme con i vostri corifei, non avete mai degnato di imo sguardo. Nella ragione generale tutte le idee sono coeteme: esse appaiono una dopo laltra soltanto nella storia, dove, a mano a mano, esse si vengono a m ettere alla testa delle cose e in prim a fila. L operazione con la quale unidea viene espulsa dal potere, nella logica, si chiama negazione ; quel la con la quale u n altra idea sinsedia, si chiama afferma
zione.

Ogni negazione rivoluzionaria implica dunque una af fermazione susseguente; questo principio, che la pratica delle rivoluzioni dim ostra, ricever a questo punto una conferm a meravigliosa. La prim a negazione autentica che sia sta ta fatta dellidea di autorit quella di Lutero. Questa negazione, tuttavia, non andata al di l della sfera religiosa: Lutero, come Leibniz, Kant, Hegel, e ra uno spirito essenzialmente di go verno. La sua negazione ha preso il nome di libero esame. Ora, che cosa nega il libero esame? Lautorit della Chiesa. Che cosa suppone? Lautorit della ragione. Che cos la ragione? Un p atto tra l intuizione e lesperienza. Lautorit della ragione: questa dunque l idea positiva, eterna, che la Riforma ha sostituito allautorit della fede. Se un tempo la filosofia dipendeva dalla rivelazione, sar ormai la rive lazione ad essere subordinata alla filosofa. Sono invertite le parti, il governo della societ non pi lo stesso, la mo rale cambiata, il destino stesso sembra modificarsi. Gi si pu scorgere, al punto in cui siamo, la vera portata di quel rinnovam ento di sogno caratterizzato dalla successio ne del verbo delluomo alla parola di Dio. Lo stesso movi mento sta per prodursi nella sfera delle idee politiche. Dopo Lutero, il principio del libero esame, fu traspor tato, soprattutto da Jurieu, dallo spirituale al temporale. Alla sovranit del diritto divino, lavversario di Bossuet oppose la sovranit del popolo; cosa che egli espresse con grandissima precisione, forza, profondit, nellidea di Patto o Contratto sociale, ponendola manifestamente in con traddizione con quelle di potere, autorit, governo, impe rami, px^). Che cos in realt il Contratto sociale ? Laccordo del cittadino con il governo? No: sarebbe come girarsi e rigi rarsi nella stessa idea. Il contratto sociale laccordo del luomo con luomo, accordo dal quale deve derivare ci che noi chiamiamo societ. Qui, la nozione di giustizia com m utativa, posta dal fatto primitivo dello scambio e defi nita dal diritto romano, viene sostituita a quella di giustizia

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distributiva, definitivamente liquidata dalla critica repub blicana. Traducete queste parole, contratto, giustizia com mutativa, che appartengono alla lingua giuridica, nella lin

gua degli affari, e avrete il c o m m e r c io , cio, nel significato Pi elevato, latto attraverso il quale luomo e laltro uomo, ui quanto si dichiarano essenzialmente produttori, rinun ciano l uno nei confronti dellaltro a ogni aspirazione al ooverno.
La giustizia com m utativa, il dominio dei contratti, in altri termini, il dom inio economico o industriale, questi sono i vari sinonimi dellidea che, con il suo avvento, deve sopprimere il vecchio sistema della giustizia distributiva, del dominio delle leggi, in termini pi concreti, il regime feudale, governativo o militare. Lavvenire dellumanit sta ln questa sostituzione *. Da P .-J. P r o u d h o n , Id e gnrale de la rvolution au X IX ora in P . A n s a r t , P.-J. Proudhon (Estratti), La Pietra,

Milano 1978, pp. 155-159.

VI.

LA CRITICA DELLO STATO

Noi dunque affermiamo, e finora siamo i soli a farlo, che con la rivoluzione economica, da nessuno ormai rimessa in discussione, lo Stato deve sparire completamente; che tale scomparsa dello Stato la conseguenza necessaria dellor ganizzazione del credito e della riforma dellimposta; che, in seguito a questa doppia innovazione, il governo diventa del tu tto inutile e impossibile; che, a tal proposito, il go verno destinato a fare la stessa fine della propriet feu dale, del prestito a interesse, della monarchia assoluta o costituzionale, delle istituzioni giudiziarie, ecc., tutte cose che sono si servite all'educazione della libert, ma che ca dono e svaniscono allorquando la libert ha raggiunto la sua pienezza. Altri, invece, e tra questi Louis Blanc e Pierre Leroux in prim a fila, sostengono che dopo la rivoluzione economica, bisogna mantenere lo Stato, di cui per fino a questo mo mento non hanno fornito n il principio n il piano. Per essi la questione politica, invece di annullarsi o di identi ficarsi con la questione economica, continua a sussistere; essi mantengono e allargano ulteriorm ente lo Stato, il po tere, l autorit, il governo. In effetti, si divertono a cam biare i nomi; al posto di Stato-padrone, ad esempio, dicono Stato-servitore, come se bastasse cambiare le parole per trasform are le cose! Al di sopra di questo sistema di go verno, del tu tto m isterioso, aleggia un sistem a religioso, del quale ogni cosa, il dogma, il rito, lo scopo, sulla terra e in cielo, rimangono altrettanto misteriosi. In un m omento come questo, dunque, un momento d'ac cordo, o quasi, sul resto delle questioni, la domanda su cui si tro v a divisa la democrazia socialista la seguente: dovr lo S tato continuare ad esistere una volta risolto il proble ma del lavoro e del capitale? In altri term ini, continuerem o ad avere, cosi come l abbiamo avuta fino ad ora, ima Co stituzione politica al di fuori della Costituzione sociale? Noi rispondiam o di no. Sosteniamo che, una volta iden tificati il capitale e il lavoro, la societ sussiste da sola e non h a pi bisogno del governo. Noi siamo, di conseguen

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z a , e labbiamo proclam ato pi di una volta, anarchici. U anarchia la condizione desistenza delle societ adulte, cosi come la gerarchia la condizione d esistenza delle so

ciet primitive: nelle societ umane, esiste un incessante progresso dalla gerarchia allanarchia. Louis Blanc e Pierre Leroux affermano il contrario: ol t r e alla loro qualit di socialisti, essi conservano quella di p o litic i) sono uomini di governo e di autorit, uomini di S ta to . P er risolvere una volta per tu tte questo contrasto di opi n io n i, ci sem bra allora necessario considerare lo Stato, non p i dal punto di vista della vecchia societ, che lo ha na tu ralm en te e necessariamente prodotto e che sta per finire; "bens dal punto di vista della societ nuova, cosi come la fa n n o o devono farla le due riform e fondamentali e com p lem en tari del credito e dellimposta. Ora, se noi proviamo che da questultim o punto di vista, l o Stato, considerato nella sua natura, riposa un u n ipotesi com pletam ente falsa; che in secondo luogo, considerato nel s u o oggetto, lo Stato giustifica la sua esistenza con una se c o n d a ipotesi, ugualm ente falsa; che infine, considerato nel l ottica di ima sua ulteriore prolungazione, lo Stato pu con t a r e ancora e soltanto su ima terza ipotesi, falsa come le p rim e due: una volta chiariti questi tre punti, il nodo della questione sar sciolto, lo Stato riconosciuto cosa superflua, quindi nociva, impossibile; il governo sar una contraddi z io n e .. Passiamo subito allanalisi:

"I. D ella natura dello Stato

Che cos lo Stato? si domanda Louis Blanc. E risponde: Lo Stato, in un regim e monarchico, il potere di un i_iomo, la tirannia in uno solo. Lo Stato, in un regim e oligarchico, il potere di un nu m e r o ristretto di uomini, la tirannia in pochi. Lo Stato, in un regim e aristocratico, il potere di una c la s s e , la tirannia in molti. Lo Stato, in un regim e anarchico, il potere del prim o venuto che p er caso il pi intelligente e il pi forte; la t i r a n n i a nel caos. Lo Stato, in un regim e democratico, il potere di tu tto i l popolo, servito dai suoi eletti; il regno della Libert . T ra i venticinque o trentam ila lettori di Louis Blanc,

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forse non ce ne sono neppure una decina a cui questa de finizione dello Stato non sia sem brata dimostrativa, e che non ripetano, seguendo il m aestro: lo Stato il potere di imo, di pochi, di m olti, di tu tti o del primo venuto, a se conda che si aggiunga alla parola Stato uno degli aggettivi seguenti: monarchico, oligarchico, aristocratico, democra tico o anarchico. I delegati del Luxembourg che, a quan to pare, si sentono defraudati se qualcuno si permette di avere una opinione diversa dalla loro sul significato e le tendenze della Rivoluzione di Febbraio , in una lettera resa pubblica, mi hanno fatto lonore di informarmi del fatto che essi giudicavano la risposta di Louis Blanc deci sam ente vittoriosa, e che io non avevo altro da ribattere. A quanto pare, tra i cittadini delegati, nessuno ha studiato il greco. Perch altrim enti si sarebbero accorti che il loro m aestro e amico Louis Blanc, al posto di dire che cosa lo Stato, non ha fatto altro che tradurre in francese le pa role greche monos, uno; oligoi, alcuni; aristoi, i grandi; dem os, il popolo, e a privativo, che indica la negazione. Servendosi esattam ente di questi term ini qualificativi, Ari stotele ha potuto distinguere le differenti forme dello Stato, che si esprim e a sua volta con arche, autorit, governo, Stato. Chiediamo scusa ai n o stri lettori, ma non affatto colpa nostra se la scienza politica del presidente del Luxem bourg non va pi in l dell'etimologia. E si noti lartificio! Nella sua traduzione, bastato a Louis Blanc introdurre prim a quattro volte la parola ti rannia, tirannia di uno solo, tirannia di m olti, ecc., e poi sopprim erla una volta, potere del popolo, servito dai suoi eletti, per riscuotere a prim o colpo gli applausi. tirannia qualunque tipo di Stato che non sia quello democratico, nel senso in cui lintende Louis Blanc. Soprattutto lanar chia tra tta ta in un m odo particolare: il potere del prim o venuto che per caso il pi intelligente e il pi forte-, la tirannia nel caos. Che m ostro questo primo venuto, che, bench sia il primo venuto, per caso anche il pi intelli gente e il pi forte ed esercita la sua tirannia nel caos! Se cosi stanno le cose, chi potrebbe preferire l'anarchia a que sto affabile governo di tutto il popolo, servito cosi bene, come si sa, dai suoi eletti? Che grande vittoria! E noi per terra, fin dal primo colpo. Ah! retore, ringraziate Iddio daver creato apposta per voi, nel XIX secolo, unidiozia come quella dei vostri cosiddetti delegati delle classi ope raie, senza di che sareste m orto sotto i fischi la prim a volta che avete preso in mano una penna. Che cos lo Stato? A questa domanda bisogna dare una risposta: lenumerazione delle varie specie di Stati che,

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sulle orme di Aristotele, ha fatto il cittadino Louis Blanc, non ci ha insegnato nulla. Quanto a Pierre Leroux, non vale la pena interrogarlo: ci risponderebbe che la domanda indiscreta, che lo Stato sempre esistito, che esister sem pre: la ragione ultim a dei conservatori e delle bonnes
fem m es.

Lo Stato la costituzione esterna della potenza sociale. A causa di questa costituzione esterna della sua potenza e sovranit, il popolo non si governa da s: c sempre qualcuno, a volte un solo individuo, a volte m olti, a titolo elettivo o ereditario, incaricato di governarlo, am m inistra re i suoi affari, trattare e fare compromessi in suo nome, fungere insomma da capofamiglia, tutore, gerente o m an datario, m unito di procura generale, assoluta e irrevocabile. Questa costituzione esterna della potenza collettiva, che i Greci chiamarono arch, principato, autorit, governo, riposa dunque sullipotesi secondo cui un popolo, quelles sere collettivo che chiamiamo societ, non pu governarsi, pensare, agire, esprim ersi in modo autonomo, proprio come fanno gli esseri dotati di personalit individuale; e perci ha bisogno di farsi rappresentare da uno o pi individui, i quali, con qualsiasi titolo, sono ritenuti depositari della volont del popolo e suoi agenti. Secondo tale ipotesi, impossibile che la potenza collettiva, che appartiene es senzialmente alla m assa, sesprim a e agisca direttam ente, senza la mediazione di organi fatti apposta e p er cosi dire disposti ad hoc. A quanto pare il che spiega la form a zione di tu tte le variet e specie dello Stato , lessere collettivo, la societ, proprio perch u n essere razionale, non pu rendersi sensibile, esteriorizzarsi, se non tram ite incarnazione monarchica, usurpazione aristocratica o m an dato democratico; di conseguenza, gli im pedita ogni m a nifestazione propria e personale. Ora, precisam ente questa nozione astra tta dellessere collettivo, della sua vita, della sua azione, della sua unit, della sua individualit, della sua personalit perch, ca pite, la societ una persona come una persona l'um anit tu ttintera ; questa nozione dellessere umano collettivo, come ente di ragione, che noi neghiamo oggi; e perci ne ghiamo anche lo Stato, neghiamo il governo, respingiamo dalla societ trasform ata dalla rivoluzione economica qual siasi costituzione della potenza popolare che si ponga al di fuori e al di sopra della m assa, assum a essa sembianze di m onarchia ereditaria, istituzione feudale o delegazione democratica. Affermiamo, invece, che il popolo, la societ, la m assa, pu e deve governarsi autonomamente, pensare, agire, al

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zarsi e arrestarsi come un uomo, m anifestarsi insomma nella sua individualit fisica, intellettuale e m orale, senza laiuto di quella specie di sostituti che in passato furono i despoti, adesso sono gli aristocratici, qualche altra volta sono stati i pretesi delegati, devoti o servitori della folla, e che noi chiamiamo puram ente e semplicemente agitatori del popolo, Demagoghi. In due parole; neghiamo il governo e lo Stato perch af fermiamo e questo i fondatori di Stato non lhanno m ai creduto la personalit e lautonomia delle masse. Inoltre affermiamo che ogni costituzione di Stato ha il solo scopo di condurre la societ a questo stato di auto nomia; che le varie forme di Stato, dalla m onarchia asso luta fino alla dem ocrazia rappresentativa, sono tutte mezzi termini, posizioni illogiche e instabili, che hanno di volta in volta una funzione transitoria o di tappe verso la libert, nel senso che formano i gradi della scala politica attraverso cui le societ si elevano alla coscienza e al possesso di s stesse. Affermiamo, infine, che questa anarchia, che lespres sione, come si vede, del pi alto grado di libert e ordine a cui possa giungere lum anit, la vera formula della Re pubblica, lo scopo verso il quale ci spinge la Rivoluzione di Febbraio; sicch c contraddizione tra Repubblica e gover no, tra il suffragio universale e lo Stato. Noi fondiamo queste affermazioni sistem atiche su due procedim enti: dimostrando in primo luogo, con il metodo storico e negativo, che qualsiasi costituzione di potere, qual siasi organizzazione della forza collettiva che si basi su un processo di esteriorizzazione, per noi diventata impos sibile. quanto abbiamo incominciato a fare nelle Confes sioni di un Rivoluzionano, col raccontare la caduta di tu tti i governi che si sono succeduti in Francia da sessantanni a questa parte, m ettendo in evidenza la causa della loro abo lizione, e insistendo alla fine sullesaurimento e la morte del potere sotto il regno corrotto di Luigi Filippo, durante la d ittatu ra inerte del governo provvisorio e la presidenza insignificante del generale Cavaignac e di Luigi Bonaparte. In secondo luogo, noi proviamo la nostra tesi, spiegando in quale modo, con la riform a economica, la solidariet in dustriale e lorganizzazione del suffragio universale, il po polo passi dalla spontaneit alla riflessione e alla coscienza; agisca, non pi per impulso e fanatismo, ma con intenzione; si muova senza padroni e servitori, senza delegati e aristo cratici, proprio come farebbe un individuo. In questo modo, la nozione di persona, lidea dellio, si estende e generalizza: c la persona o l'io individuale, e c pure la persona o lio

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collettivo; in tutti e due i casi, la volont, lazione, lanima, lo spirito, la vita cose del tutto misteriose e inafferrabili p er chi ne rincorra il principio o ne ricerchi lessenza , sono inseparabili dalla loro esistenza animale e vitale, dal lorganizzazione. La psicologia delle nazioni e dellum anit diventa, come la psicologia dell'uomo, una scienza possibile. Noi abbiamo annunciato questo tipo di dimostrazione po sitiva sia nelle nostre pubblicazioni sulla circolazione e il credito, sia nel capitolo XIV del manifesto de La Voix du Peuple , riguardante la costituzione. Sicch, quando Louis Blanc e Pierre Leroux serigono a difensori dello Stato, cio di ima costituzione esterna della potenza pubblica, non fanno che riprodurre, a modo loro e in form e che non ci hanno ancora fatto conoscere, la vec chia finzione del governo rappresentativo, la cui form ula integrale, lespressione pi completa, ancora quella della m onarchia costituzionale. Perch abbiamo fatto la Rivolu zione di Febbraio, forse per arrivare a questa contraddizione retro g rad a? A noi sem bra voi che ne dite, lettori? che la que stio n e si stia un p o chiarendo; dopo quello che abbiamo ap p en a detto, i poveri di spirito saranno in grado di farsi u n id ea dello Stato, di capire perch mai dei repubblicani si chiedono se sia davvero indispensabile, dopo ima rivolu zione economica che modifica tutti i rapporti sociali, m an te n e re quellorgano parassitario chiamato governo solo per sod d isfare la vanit di pretesi uomini di Stato e al prezzo di 2 m iliardi allanno. E gli onorevoli delegati del Luxemb o u rg che, solo perch occupano qualche poltrona, si cre d on o uom ini politici e si aggiudicano risolutam ente la com pren sio n e esclusiva della Rivoluzione, senza dubbio cesse ra n n o di tem ere che noi, a titolo di pi intelligenti e di piti fo rti, dopo aver soppresso, perch inutile e troppo costoso, il governo, instaurerem o la tirannia nel caos. Noi neghiam o lo Stato e il governo; noi affermiamo lautonomia del Popolo e sosteniamo al tempo stesso la sua maggio ra n z a . Potrem m o m ai essere fautori della tirannia, aspiranti al m in istero , com petitori di Louis Blanc e Pierre Leroux? I n verit, non riusciam o a capire la logica dei nostri av v ersari. Essi accettano u n principio senza preoccuparsi delle conseguenze; si dichiarano daccordo, ad esempio, sull'eguaglianza dellim posta che lim posta sul capitale rea lizza; adottano il principio del credito popolare, reciproco e g ra tu ito , perch tu tti questi term ini sono sinonimi; appro van o la decadenza del capitale e lemancipazione del lavoro; q u a n d o poi arriva il m om ento di dedurre da tali premesse le conseguenze antigovem ative, protestano, continuano a

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parlare di politica e di governo, senza dom andarsi se il governo compatibile con la libert e leguaglianza indu striale; se possibile una scienza politica, quando neces saria ima scienza economica! [...]. P er loro il governo l'a priori necessario e im mutabile, il principio dei principi, Yarch eterna. Certo, non scambiamo per prove le nostre affermazioni, sappiamo, come chiunque altro, a quali condizioni si dimo stra una proposizione. Diremo soltanto che, prim a di pas sare a u n a nuova costituzione dello Stato, bisognerebbe chiedersi se, proprio per le riform e economiche che la Rivo luzione ci impone, non debba essere abolito lo Stato in quanto tale; se cio la fine delle istituzioni politiche non sia implicita gi nel senso e nella portata della riforma eco nomica. Chiediamo se, in realt, dopo l'esplosione di feb braio, la instaurazione del suffragio universale, la dichia razione del potere alla volont popolare, sia ancora possi bile un qualunque tipo di governo; se questo governo non si ritroverebbe poi di fronte alleterna alternativa, o di obbe dire docilmente alle ingiunzioni cieche e contraddittorie della folla, o di ingannarla deliberatam ente, come ha fatto il governo provvisorio, come hanno fatto sem pre i dema goghi. Perlomeno, vorrem m o sapere quali delle diverse attribuzioni dello Stato debbano essere conservate e allar gate, e quali soppresse. Perch, se p er caso, cosa del tutto prevedibile, neppure una delle attuali attribuzioni dello Stato sopravvivesse alla riform a economica, si dovrebbe allora am m ettere, in base a tale dimostrazione negativa, che, nella nuova condizione sociale, lo Stato non nulla, non pu essere nulla; in due parole, che il solo modo p er organizzare il governo democratico, la soppressione del governo. Invece di tentare unanalisi positiva, pratica, realistica, del movimento rivoluzionario, che fanno i nostri pretesi prom otori? Vanno a consultare Licurgo, Platone, Orfeo e tu tta la saggezza mitologica: interrogano le vecchie leggen de; si aspettano dai classici antichi la soluzione di pro blemi assolutam ente m oderni, e poi per risposta ci pro pinano le illuminazioni vertiginose del loro cervello. E, di nuovo, sarebbe questa la scienza della societ e della Rivoluzione che doveva, a prim a vista, risolvere tutti i problem i, la scienza essenzialmente pratica e immediata; senza dubbio una scienza eminentemente tradizionale, ma sopra ogni cosa progressiva, e nella quale U progresso si realizza attraverso la negazione sistematica della tradi zione stessa?...

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2 . Dello scopo o d e lloggetto dello Stato Abbiamo appena constatato che la nozione dello Stato, visto nella sua natura, si basa per intero su un'ipotesi almeno equivoca, quella dellimpersonalit e dellinerzia fisica, intellettuale e morale delle masse. Ora proveremo che questa stessa nozione dello Stato, dal punto di vista del suo oggetto, riposa su u n altra ipotesi, ancora pi dubbia della prima, quella della permanenza dell'antago nismo in seno aUumanit, ipotesi che a sua volta una prosecuzione del dogma prim itivo della caduta a causa del peccato originale. Citiamo ancora il Nouveau Monde: Che cosa succede , si domanda Louis Blanc, se si consente al pi intelligente o al pi forte di ostacolare lo sviluppo delle facolt di chi meno forte o meno intelligen te? Succeder che la libert andr distrutta. Come impedire questo delitto? Introm ettendo tra lop pressore e loppresso tutto il potere del popolo. Se Jacques opprime Pierre, i trentaquattro milioni di uomini che compongono la societ francese accorreranno tu tti in ima volta per proteggere Pierre, per salvaguardare la libert? Sarebbe ridicolo pretendere una cosa del genere. Come dovrebbe intervenire allora la societ?
P er m ezzo d i chi essa avr scelto a questo fine come suoi
RAPPRESENTANTI.

Ma chi sono questi r a pp r e se n t a n t i della societ, questi servitori del popolo? Lo Stato. Dunque lo Stato non altro che la societ stessa, che agisce come societ, per impedire... cosa? l oppressione; per mantenere... che cosa? la libert . Adesso chiaro. Lo Stato una r a p p r e s e n t a z io n e della societ, organizzata esteriorm ente per proteggere il debole contro il forte; in altri term ini, per m ettere pace tra i contendenti e fare ordine! Come si vede, Louis Blanc non andato lontano a cercare lo scopo dello Stato. Esso per dura in tu tti gli autori che si sono occupati di diritto pubblico, fin da Grotius, Giustiniano, Cicerone, ecc. la tradizione orfica riportata da Orazio:
S ylve stre s homines sacer interpresque deorum , Caedibus e t victu foedo deterruit Orpheus, D ictus ob hoc lenire tigres rabidosque leones, D ictus e t Amphion, Trebanae conditor arcis, Saxa m overe sono testudinis, et prece blanda Ducere quo vellet...

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Il divino Orfeo, interprete degli di, richiam gli uomini dal fondo delle foreste e inculc loro lorrore degli assassinii e della carne umana. Di lui si dice anche che rese pi docili i leoni e le tigri, come dopo si racconta di Anfone, il fondatore di Tebe, che riusciva a smuovere le pietre col suono della sua lira e con lincantesimo della sua preghiera le portava dove voleva . Il socialismo, lo sapevamo, p er certuni non richiede gran di sforzi d immaginazione. Basta im itare piattam ente i vecchi mitologi; copiare il cattolicesimo pur inveendo con tro di esso; scim m iottare il potere che si bram a; gridare poi con tu tte le proprie forze: Libert, Eguaglianza, Fra tellanza! e il gioco fatto. Si diventa rivelatori, riform a tori, riportatori democratici e sociali; si diventa candidati designati al ministero del progresso, e perfino alla ditta tu ra della Repubblica! Cosi, secondo il parere di Louis Blanc, il potere nato dalla barbarie; la sua organizzazione attesta lesistenza di uno stato prim itivo di ferocia e violenza, effetto della totale assenza di commerci e industria. Lo Stato ha dovuto m et tere fine a questa barbarie, contrapponendo alla forza di ogni individuo una forza superiore, capace, in mancanza d altri argomenti, di costringere la sua volont. La costi tuzione dello Stato presuppone quindi, lo dicevamo prim a, un antagonismo sociale profondo, homo hom ini lupus: quanto afferma lo stesso Louis Blanc, quando, dopo aver distinto gli uomini in forti e deboli, impegnati come bestie feroci a contendersi il cibo, fa intervenire tra di essi, in qualit di m ediatore, lo Stato. Dunque lo Stato sarebbe inutile, lo Stato non avrebbe n scopo n motivo d esistere, lo Stato dovrebbe abrogarsi da solo, se arrivasse un mom ento in cui, per una causa qualunque, non ci fossero pi nella societ n forti n deboli, in cui cio lineguaglianza delle forze fisiche e intel lettuali non potesse essere causa di spoliaziani e oppres sione, indipendentem ente dalla protezione, pi fittizia che reale, del resto, dello Stato. Ora, esattam ente questa la tesi che sosteniamo noi oggi. Ci che ingentilisce i costumi, e che a poco a poco fa regnare il diritto al posto della forza, ci che fonda la sicurezza, che crea progressivamente la libert e legua glianza, , pi che la religione e lo Stato, il lavoro; , in prim o luogo, lindustria e il commercio; poi la scienza, che lo spiritualizza; e infine, larte, suo fiore immortale. La religione, con le sue promesse e i suoi terrori, lo Stato, con i suoi tribunali e i suoi eserciti, hanno dato al senti m ento del diritto, troppo debole nei prim i uomini, l'unica

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3. Di una destinazione ulteriore dello Stato

Qui spunta, a favore dello Stato, unultim a ipotesi. Giac che lo Stato, affermano gli pseudodemocratici, fino a questo momento ha svolto soltanto un ruolo parassitario e tiran nico, non per questo per bisogna negargli una destinazione pi nobile e pi umana. Lo Stato destinato a diventare il principale organo della produzione, del consumo e della circolazione; il prom otore della libert e delleguaglianza. Perch la libert e leguaglianza sono lo Stato. Il credito lo Stato. Il commercio, lagricoltura e lindustria sono lo Stato. I canali, le ferrovie, le miniere, le assicurazioni, come pure i tabacchi e le poste, sono lo Stato. Leducazione pubblica lo Stato. Infine lo Stato, messe da parte le sue funzioni negative, dovrebbe assumerne altre, positive; da oppressore, impro duttivo e retrivo, quale stato, diventare organizzatore, produttore e servitore. Sarebbe, questa, la feudalit rige nerata, la gerarchia delle associazioni operaie, organizzate e scaglionate secondo una potente form ula di cui Pierre Leroux si riserva di rivelarci il segreto. .C o s i, gli organizzatori dello S tato suppongono giac ch, m realt, questi non fanno che andar di supposizione in supposizione che lo Stato possa cambiar n atu ra e, per cosi dire, trasform arsi da s, tram utarsi da Satana in arcangelo, e dopo aver vissuto, per secoli, di sangue e carneficine come ima bestia feroce, brucare il citiso con le ca p re tte e allattare gli agnelli. Questo ci insegnano Louis Blanc e Pierre Leroux; ed tutto qui, noi lo dicevamo da molto tem po, il segreto del socialismo. Noi am iam o il potere tutelare, generoso, devoto, che assume com e m assim a queste profonde parole del Vangelo: Il p rim o tra di vo i sia il servitore di tu tti gli altri, e odiamo invece il potere depravato, corruttore, oppressivo, che fa del popolo la sua preda. Lammiriamo quando rappresenta la parte generosa e vivente deUum anit; laborriam o quanne ra p p resen ta ia p arte cadaverica. Ci ribelliamo contro tutta 1 insolenza, lusurpazione, il brigantaggio presenti nel la nozione di stato -pad ro ne , m entre applaudiamo a quel che di com m ovente, fecondo e nobile nella nozione di stato s e r v it o r e . Diciamo meglio: c una fede alla quale noi teniam o m ille volte di pi della vita, ed la nostra fede nella p ro ssim a e definitiva t r a s fo r m a z io n e del potere. Sta
Qin il p a ssa g g io trionfale dal vecchio al nuovo mondo.

Tutti go v ern i dellEuropa di oggi si basano sulla nozione

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di stato -padrone ; ma eccoli danzare, sconvolti, il girotondo dei morti... ( Le Nouveau Monde , 15 novembre 1849). Pierre Leroux im m erso com pletam ente in queste teorie. Ci che vuole, insegna, invoca, una rigenerazione dello Stato ma non h a ancora detto come e con chi deve realizzarsi questa rigenerazione , come pure vuole e invoca ima rigenerazione del cristianesimo, senza aver potuto, finora, form ulare il suo dogma e dare il suo Credo. Contrariamente a Pierre Leroux e Louis Blanc, noi pen siamo che la teoria dello Stato tutelare, generoso, devoto, produttore, prom otore, organizzatore, liberale e progressi vo, sia una utopia, u n a pura illusione della loro ottica intellettualistica. Pierre Leroux e Louis Blanc rassomi gliano, secondo noi, ad un uom o che, stando in piedi su uno specchio e vedendo la sua immagine rovesciata, sicuro che tale immagine diventer una realt e sostituir un giorno, ci sia concessa lespressione, la sua persona
naturale.

Ecco cosa ci separa da questi due uomini; e, checch ne dicano, non ci siam o m ai sognati di negare i loro talenti e servizi, bens deploriamo la loro ostinata allucinazione. Noi non crediam o allo stato -se r v it o r e : per noi esso semplicemente una contraddizione. Servitore e padrone, quando si riferiscono allo Stato, sono termini sinonimi; come piti o meno sono term ini iden tici, quando si riferiscono alleguaglianza. Il proprietario, con l interesse del capitale, chiede pi delleguaglianza; il comuniSmo, con la form ula: A ciascuno secondo i suoi biso gni, concede meno delleguaglianza: si tratta sempre di ineguaglianza; ed questa la ragione per la quale noi non siamo n comunisti n proprietari. Similmente, chi dice Stato-padrone, dice usurpazione della potenza pubblica; chi dice Stato-servitore, dice delegazione della potenza pubbli ca; sempre u n alienazione di questa potenza, sempre una potenza, sempre una autorit esterna, arbitraria, al posto dellautorit im m anente, inalienabile, non trasferibile, dei cittadini: sem pre pi o meno della libert. Per questa ragione noi non vogliamo lo Stato. Daltronde, tanto per uscire dalla metafisica e rientrare nel dominio dellespe rienza, abbiamo qualcosa da dire a Louis Blanc e a Pierre Leroux. Voi pretendete e affermate che lo Stato, il governo, possa e debba essere trasform ato integralm ente nel suo principio, nella sua essenza, nella sua azione, nei suoi rapporti con i cittadini, nelle sue realizzazioni concrete; e cosi, che lo Stato, bancarottiere e falsario, debba essere la fonte di ogni credito; che ad esso, per tanti secoli awer-

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sario dei lumi e ancora oggi ostile allinsegnamento pri m ario e alla libert d i stam pa, proprio ad esso spetti provve dere, d'ufficio, allistruzione dei cittadini; che, dopo aver lasciato che il commercio, lindustria, lagricoltura e tu tti gli strum enti della ricchezza si sviluppassero senza il suo intervento e, spesso, anche malgrado la sua resistenza, spetti, allo Stato farsi prom otore assoluto del lavoro e delle innovazioni; che, infine, questo eterno avversario della libert debba, ancora, non gi lasciare in pace la libert, bens creare, dirigere la libert. In questa m eravigliosa trasform azione dello Stato consisterebbe, secondo voi, la Rivoluzione attuale. , dovete, allora, esibire le prove della vostra ipotesi, dedurre la sua legittim it, i suoi titoli storici, esporne la nlosofia; e al tem po stesso m etterla in pratica. Ora, gi evidente che, nella vostra ipotesi, teoria e pratica, tu tto insomma, in contraddizione formale sia con lidea stessa, sia con la storia, sia infine con le tenden ze pi autentiche della um anit. Secondo noi, la vostra teoria in contraddizione con s.e stessa, poich pretende di fare della libert una creazione dello Stato, m entre invece lo Stato che deve essere im a creazione della libert. Difatti, se lo Stato simpone alla rnia volont, lo Stato padrone; io non sono libero; la teoria cade. E ssa in contraddizione con i fatti storici, giacch siete voi i prim i a riconoscere che quanto di positivo, di bello e di buono si sia prodotto nella sfera dellattivit um ana, sta to frutto esclusivo della libert, la quale ha agito indi pendentem ente dallo Stato e quasi sem pre in opposizione con lo Stato; il che conduce direttam ente alla conclusione che m anda in rovina il vostro sistema: la libert basta a se stessa e non ha alcun bisogno dello Stato. La vostra teoria, infine, in contraddizione con le ten denze m anifeste della civilt; poich, anzich arricchire senza posa la libert e la dignit individuale, facendo, se condo il precetto di Kant, di ogni anim a um ana un esem plare dellum anit intera, una delle facce dellanima collet tiva, voi subordinate la persona privata alla persona pubbli ca sotto m ettete lindividuo al gruppo, assorbite il cittadino nello Stato. ... Tocca a voi superare, con un principio superiore alla lib e rt e allo Stato, tu tte queste contraddizioni. Quanto a noi, che neghiamo semplicemente lo Stato; che seguiamo con decisione la linea della libert e restiam o fedeli alla p ra tic a rivoluzionaria, non compito nostro dim ostrare la

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falsit della vostra ipotesi; le prove le aspettiam o da voi. Lo Stato-padrone finito, su questo siete daccordo con noi. Quanto allo Stato-servitore, non abbiam o lidea di cosa possa essere; m a sospettiam o che si tra tti di ima grandiosa ipocrisia. Anzi, a d ir il vero, questo Stato-servi tore ci fa pensare a una serva padrona; a noi non piace; preferiam o, fino a prova contraria, prendere come legit tim a sposa la Libert. Spiegateci insomma, se vi possi bile, per quale ragione, dopo che abbiam o demolito lo Stato p e r amore di questa adorata libert, noi dovremmo adesso, p e r effetto dello stesso am ore, ripristinare lo Stato. Fino a quando non avrete risolto questo problem a, noi continue rem o a protestare contro qualsiasi governo, qualsiasi auto rit, qualsiasi potere; sosterrem o verso e contro tu tti la prerogativa liberale. Vi direm o: per noi, la libert cosa acquisita; ebbene, voi conoscete la regola giuridica: M elior est conditio possidentis. Presentate i vostri diritti alla riorganizzazione del governo; altrim enti, niente governo! Riassumiamo. Lo S tato la costituzione esterna della potenza sociale. Tale costituzione presuppone, per principio, che la societ sia un ente privo di spontaneit, governo, unit, e che, p e r agire, abbia bisogno di essere fittiziamente rappresen ta ta da uno o pi m andatari, a titolo elettivo o ereditario: m a lo sviluppo economico delle societ e insieme lorganiz zazione del suffragio universale dim ostrano che questo presupposto falso. La Costituzione dello Stato suppone inoltre, quanto al suo oggetto, che lantagonismo o lo stato di guerra sia la condizione essenziale e indelebile dell'umanit, con dizione che rende necessario, tra i deboli e i forti, linter vento di una forza coercitiva che, opprim endo tutti, faccia cessare gli antagonismi. Noi sosteniamo che, cosi intesa, la missione dello Stato non ha pi ragione di esistere; che orm ai, con la divisione del lavoro, la solidariet industriale, il gusto del benessere, leguale ripartizione del capitale e dell'imposta, si offrono alla libert e alla giustizia garanzie di gran lunga pi sicure di quelle che oifrivano loro un tem po la religione e lo Stato. Per quel che riguarda la trasformazione utilitaria dello Stato, noi la consideriamo unutopia, contraddetta al tem po stesso e dalla storia dei governi, e dalla tendenza rivolu zionaria, e dallo spirito delle riform e economiche orm ai accettate. In ogni caso, noi diciamo che solo alla libert spetterebbe riorganizzare il potere, il che oggi vuol dire elim inare del tu tto il potere.

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In conclusione, o niente rivoluzione sociale, o niente governo; questa , sul problema politico, la nostra so luzione *.

* Da P.-J. P roudhon , in La Voix du Peuple , 3 dicem b re 1849, ora in P. A n sa rt , P.-J. Proudhon (Estratti), La Pie tra, Milano 1978, pp. 70-84.

VII.

LA CRITICA AL C O M U N IS M O E ALLIN D IVIDUA LISMO

V. Per stabilire lequilibrio si fa ricorso a diverse ipotesi. Gli uni, considerando che luomo non h a valore che per la societ, e che al di fuori della societ esso ricade allo stato bruto, tendono con tutte le loro forze, in nome di tutti gli interessi particolari e sociali, ad assorbire lindividuo nella collettivit. Cio essi non riconoscono altri interessi legittimi che quelli del gruppo sociale, e in con seguenza non riconoscono a ltra dignit, altra inviolabilit che nel gruppo, da cui gli individui traggono in seguito quelli che vengono chiam ati, ma m olto im propriam ente, i loro diritti. In questo sistema, lindividuo non ha esistenza giuridica; non niente di p e r se stesso; non pu invocare diritti, no n ha che doveri. La societ lo produce come sua espressione, gli conferisce u n a specialit, gli assegna una funzione, gli accorda la sua parte di felicit e di gloria: egli le deve tutto, essa non gli deve nulla. Tale , in poche parole, il sistem a comunista, preco. nizzato da Licurgo, Platone, dai fondatori dordini religiosi, e dalla m aggior p arte dei socialisti contemporanei. Questo sistema, che si potrebbe definire la decadenza della p e r s o n a l it i n n o m e della so c ie t , si ritrova, leggermente modi ficato, nel dispotismo orientale, nellautocrazia dei Cesari, e nell'assolutismo di diritto divino. il fondo di tu tte le religioni. La sua teoria si riduce a questa proposizione con traddittoria: asservire lindividuo, al fine di rendere libera la massa. Evidentemente la difficolt non risolta: aggi rata. Si tra tta di tirannia, di tirannia m istica e anonima; non di associazione. Cosi il risultato stato quello che si poteva prevedere: avendo privato la persona umana delle sue prerogative, la societ si trovata sprovvista del suo principio vitale; non c u n esempio di com unit che, fon data sull'entusiasm o, non sia finita nella imbecillit.

VI. Lo spirito va da un estremo allaltro. Resi accort dallinsuccesso del comuniSmo, si ricaduti nellipotesi di un a libert illimitata. I partigiani di questa opinione sosten gono che non c, in fondo, opposizione tr a gli interessi;

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che, gli uom ini essendo tu tti della stessa natura, avendo tu tti bisogno gli imi degli altri, i loro interessi sono identici, e pertanto facilmente accordabili; che solo lignoranza delle l^ggi economiche h a causato questo antagonismo, che spa rir il giorno in cui, pi illum inati sui nostri rapporti, rito r neremo alla libert e alla natura. In breve, si conclude che se vi disarm onia tra gli uomini, ci deriva soprattutto dallingerenza dellautorit in cose che non sono di sua competenza, dalla m ania di regolam entare e legiferare; che non resta che lasciar agire la libert, illum inata dalla scien za, che tu tto rientrer infallibilmente nellordine. Tale la teoria dei moderni economisti, partigiani del libero scambio, del lasciar fare, lasciar passare, del ciascuno da s, ciascuno per s, ecc. Come si vede, sempre non risolvere la difficolt; negare che essa esista. Noi non sappiamo che farcene della vostra giustizia, dicono i libertari, dal m om ento che non am m ettiam o la realt dellantagonismo. Giustizia e utilit sono p er noi sinonimi. sufficiente che gli interessi, sedicenti opposti, si com prendano perch essi si rispettino: la virt, nelluomo sociale, come nelluomo solitario, non e che egoismo beninteso. Questa teoria, che fa consistere lorganizzazione sociale juicam ente nello sviluppo della libert individuale, sarebbe forse vera, e si potrebbe dire che la scienza dei diritti e la scienza degli interessi sono u n a sola ed identica scienza, se, una volta fatta la scienza degli interessi, o scienza eco nomica, la sua applicazione non incontrasse alcuna diffi colt. Questa teoria, dicevo, sarebbe vera, se gli interessi Potessero essere fissati una volta per tu tte e rigorosam ente definiti; se, essendo stati sin dallinizio uguali e, pi tardi, nel loro sviluppo, avendo cam m inato di pari passo, aves sero obbedito ad una legge costante; se non fosse neces sario, nella loro ineguaglianza crescente, attribuire una cosi larga parte al caso ed allarbitrio; se, m algrado tanto nu merose e stupefacenti anomalie, il minimo progetto di regolarizzazione non sollevasse da parte degli individui in teressati proteste cosi vive; se si potesse prevedere sin da ora la fine della ineguaglianza, e proprio a causa dellanta gonismo; se, per la loro n atu ra essenzialmente mobile ed evolutiva, gli interessi non giungessero continuam ente ad ostacolarsi, a scavare tra di loro delle ineguaglianze nuove; Se non tendessero malgrado tu tto a interferire, a soppian tarsi; se la missione del legislatore non fosse precisam ente, tnfine, quella di consacrare p er mezzo delle sue leggi, a mano a m ano che essa si sviluppa, questa scienza degli interessi, dei loro rapporti, del loro equilibrio, della loro

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solidariet: scienza che sarebbe la pi alta espressione del diritto se la si potesse credere definitiva, m a scienza che, venendo sem pre dopo il fatto, non prevenendo mai le dif ficolt, essendo costretta ad im porre le sue decisioni per mezzo deHautorit pubblica, pu ben servire d a strum ento e da ausilio allordine, m a non pu affatto essere presa p e r il principio stesso dellordine. A causa di queste considerazioni, la teoria della libert, o dellegoismo beninteso, inconfutabile se la scienza eco nom ica fosse costituita e fosse dim ostrata la identit degli interessi, si riduce ad una petizione di principio. Essa sup pone come realizzate delle cose che non possono m ai es serlo; delle cose la cui realizzazione incessante, approssi m ativa, parziale, variabile, costituisce lopera interm inabile del genere umano. Cosi, m entre lutopia com unista ha an cora i suoi praticanti, lutopia dei libertari non ha potuto ricevere il minimo inizio di esecuzione. VII. S cartate lipotesi com unista e lipotesi individuali stica, la p rim a in quanto distruttrice della personalit, la seconda in quanto chimerica, non resta da prenderne in esame che un'ultim a sulla quale del resto la m oltitudine dei popoli e la maggioranza dei legislatori sono daccordo: quella della Giustizia. La dignit, nelluomo, im a qualit altera, assoluta, in sofferente di qualsiasi dipendenza e di qualsiasi legge, che tende alla dominazione degli altri ed allassorbim ento del mondo. Si am m ette a priori che, davanti alla societ di cui fan no parte, tu tti gli individui, considerati semplicemente come persone m orali, e fa tta astrazione dalle capacit, dai ser vizi resi, dalle mancanze commesse, sono di ugual dignit; di conseguenza essi devono ottenere per le loro persone la stessa considerazione, partecipare allo stesso titolo al governo della societ, alla elaborazione delle leggi, alleser cizio delle cariche. Rispetto delle persone, uguale e reciproco, qualunque cosa ci costi alle antipatie, alle gelosie, alle rivalit, allop posizione delle idee e degli interessi: ecco il prim o principio. Il secondo una applicazione del primo. La tendenza delluomo alla appropriazione , come la dignit da cui essa deriva, assoluta e senza limiti. Si d accordo nel riconoscere questa tendenza, in tu tti i sog getti, ma a certe condizioni che servono ad accertare la propriet di ciascuno e a distinguerla da quella degli altri. Cosi la p ropriet legittima, e a questo titolo inviolabile

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e garantita dal potere pubblico, se essa determ inata nel suo oggetto; se loccupazione effettiva; se sta ta acqui sita per usucapione, lavoro, acquisto, successione, prescri zione, ecc. Queste condizioni sono soggette a revisioni; esse possono, a seconda della m olteplicit e della complicazione degli interessi, essere ulteriorm ente regolate; ma cosi come esistono, esse devono essere osservate religiosamente. Rispetto delle propriet e degli interessi, uguale e reci proco, alle condizioni poste dalla legge, e qualunque cosa ci costi allinvidia, allavarizia, alla pigrizia, allincapacit: tale il secondo principio. In due parole, mutuo riconosci mento della dignit e degli interessi, cosi come sono deter minati e condizionati dal patto sociale: ecco, in u n prim o schizzo, ci che il sistema giuridico, la Giustizia. Rispetto P e r rispetto, garanzia p er garanzia, servizio per servizio, a condizione di uguaglianza: tu tto il sistema. Mettiamone in evidenza i vantaggi. V ili. 1. Per quanto riguarda luomo: Abbiamo visto che il comunismo parte dallidea che luomo un essere fondamentalmente insocievole e cattivo, homo hom ini lu pu s ; che non ha nessun diritto da eserci tare, nessun dovere da compiere verso i suoi simili; che la societ sola fa tutto in lui, essa sola gli d la dignit, e fa di lu i un essere morale. Non altro che la decadenza um ana posta com e principio: cosa che ripugna alla nozione dellessere ed implica contraddizione (def. 1 e 2). Nel sistem a della libert pura, la dignit del soggetto, che si credeva di salvaguardare con una esagerazione in senso contrario, non meno sacrificata. Qui luom o non h a pi n virt, n giustizia, n m oralit, n socialit, poi ch linteresse solo fa tutto in lui, cosa che ripugna alla coscienza, che non si lascia ridurre al puro egoismo. Lidea giuridica sem bra dunque, da questultim o punto di vista, soddisfare le pi nobili aspirazioni della nostra natu ra: essa ci proclam a degni, socievoli, morali; capaci d am ore, di sacrificio, di virt; incapaci di conoscere lodio se non attrav erso lamore, lavarizia se non attraverso la devozione, la fellonia se non attraverso l'eroismo; e ci Perch essa si aspetta solo dalla nostra coscienza ci che le altre concezioni impongono alla nostra sottomissione o sollecitano dal nostro interesse.

2. P e r ci che riguarda la societ, noi m etterem o in evi denza d elle differenze analoghe: Nel com unism o, la societ, lo Stato, esterno e superiore a llindividuo, gode da solo delliniziativa; al di fuori di lui

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nessuna libert d'azione; tutto si assorbe in un'autorit ano nima, autocratica, indiscutibile, la cui provvidenza benevola o vendicatrice distribuisce dallalto, sulle teste prostrate, le punizioni e le ricompense. Non una cit, una societ; un gregge presieduto d a un gerarca, al quale solo, per legge, appartengono la ragione, la libert e la dignit del luomo. Nel sistema della libert pura, se fosse possibile am m etterne per un istante la realizzazione, ci sarebbe ancora meno societ che nel comuniSmo. Siccome, da un lato, non si riconosce lesistenza collettiva; e, dallaltro, si pretende che p er m antenere la pace non siano necessarie concessioni reciproche, e che tutto si riduca ad un calcolo di interesse, lazione politica o sociale diviene superflua: non vi real mente societ. una agglomerazione di individualit giu stapposte, che m arciano parallelamente, m a senza nulla di organico, senza forza di collettivit; dove la cit non ha molla da fare, dove lassociazione, ridotta ad una veri fica di conti, , non dico nulla, m a, per cosi dire, illecita. Perch ci sia societ tra creature ragionevoli bisogna che vi sia un ingranaggio delle libert, una transazione vo lontaria, un impegno reciproco: cosa che non pu farsi senza laiuto di un altro principio, il principio m utualista 3 del diritto. La giustizia commutativa per sua natura e forma: cosi la societ, ben lungi dal poter essere concepita come esistente al di sopra ed al di fuori degli individui, come accade nella comunit, deriva solo da essi; risulta dalla loro azione reciproca e dalla loro comune energia, essa ne lespressione e la sintesi. Grazie a questo orga nismo, gli individui, sim ili per la loro indigenza originale, si specializzano per i loro talenti, per le loro industriosit, per le loro funzioni; sviluppano e moltiplicano, ad un grado sconosciuto, la loro azione e la loro libert. In modo che arriviam o a questo risultato decisivo: volendo fa r tutto per mezzo della sola libert la si diminuisce; obbligandola a transigere, la si raddoppia. 3. P er ci che riguarda il progresso: La comunit, una volta costituita, lo per sempre. Dun que niente rivoluzioni, niente trasformazioni: lassoluto immutabile. Il cambiamento le ripugna. Perch cambierebbe? Non consiste nellassorbire sempre pi nellautorit anonim a ogni vita, ogni pensiero, ogni azione, nel chiudere gli sbocchi, nellim pedire il lavoro libero, il commercio libero, ed il libero esame? Il progresso qui un nonsenso. Con la libert illim itata naturale, ovviamente, che il progresso possa m anifestarsi nellindustria, ma esso sar

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nullo nella vita pubblica, nullo nelle istituzioni, perche, se condo lipotesi, essendo identici il giusto e lutile, confon dendosi la morale e gli interessi, non vi solidariet so ciale, non vi sono interessi comuni, n istituzioni. Solo la giustizia, dunque, pu essere detta progressista, poich essa suppone un emendamento continuo della legi slazione, secondo lesperienza della vita di tu tti i giorni, e pertanto un sistem a sempre pi fecondo di garanzie. Del resto, ci che costituisce il trionfo dellidea giuridica sulle due forme ipotetiche del comuniSmo e dellindividuahsm o che, mentre il diritto sufficiente a se stesso, il co muniSmo e l'individualismo, incapaci di realizzarsi p er la sola virt del loro principio, non possono fare a meno delle prescrizioni del diritto. Entram bi sono costretti a chiam are la giustizia in loro soccorso, e si condannano cosi da soli, p e r la loro incongruenza e la loro contraddizione. Il comu niSmo, obbligato dalla rivolta delle individualit oppresse a fare concessioni e ad allontanarsi dal rigore delle sue m assim e, perisce presto o tardi, innanzitutto p e r il ferm ento della lib ert che esso introduce nel suo seno, poi per 1 isti tuzione di una m agistratura, arbitra delle transazioni. L in dividualism o, incapace di risolvere a priori il suo famoso problem a dellaccordo degli interessi, e costretto a stabilire delle leggi almeno provvisorie, abdica a sua volta davanti ?.. Questa forza nuova, che esclude lesercizio puro della
libert.

IX. Delle tre ipotesi che abbiamo visto prodursi allo scopo di trionfare dellopposizione degli interessi, di creare un o rd in e nellum anit, e di convertire la m oltitudine delle in d iv id u alit in associazione, non ne sussiste dunque real m en te ch e una sola, quella della Giustizia. La Giustizia, Per il su o principio mutuaUsta e com m utativo, assicura la lib e rt e n e aum enta la potenza, crea la societ, e le d, con u n a fo rz a irresistibile, una vita immortale. E come nello stato giuridico, la libert, elevandosi ad un pi alto potere, na c a m b ia to carattere; cosi lo Stato, acquistando una forza stra o rd in a ria , non pi lo stesso che nella ipotesi comuni sta: la risultante, non la dominante, degli interessi. D a ci questa conseguenza, che distingue radicalm ente a R iv o lu zio n e d a llancien rgime: sebbene lo Stato, con sid e ra to com e u n it superiore e persona _collettiva, possa anche a v e re una pro p ria dignit, propri interessi, proprie azioni, p ro p r i diritti, non h a pi, tuttavia, compito maggio re di q u e llo di vegliare a che ciascuno rispetti la persona, la p r o p r ie t e gli interessi di ognuno, in una parola a che tu tti s ia n o fedeli al patto sociale. In ci consiste la prero-

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gativa essenziale dello Stato; tutte le sue attribuzioni ne derivano; cosa che significa che, lungi dal dominare gli in teressi, esso non esiste che per servirli. In quanto l'indivi duo tenuto a rispettare il patto, se non vuole perdere lap poggio della cit e incorrere nel suo biasimo, egli sembra subordinato allo Stato; m a in quanto ha il diritto di richia m are gli altri al rispetto del patto, di richiedere la prote zione della comunit, superiore allo Stato ed lui stesso sovrano. Nellordine giuridico, o democratico, l'autorit, di cui oggi si ama tanto abusare, non ha altro significato *. * Da P .-J . P r o u d h o n , La giustizia nella rivoluzione e nella Chiesa, a cura di Mario Albertini, Utet, Torino 1968, pp. 127-134.

vili.

LIDEALE DELLA CO M U N A N ZA TISMO

LASSOLU

1. La comunione deriva dall'economia politica

La prim a cosa che m i ha messo in guardia contro luto pia com unista, ma di cui i partigiani pi o meno accusati di q u e sta utopia non si danno per intesi, che la comu nanza ima delle categorie delleconomia politica, di questa p re te sa scienza che il socialismo ha per missione di com battere, e che definisco la descrizione delle consuetudini pro p rietarie. Come la propriet il monopolio elevato alla sua seconda potenza, cosi la comunanza non altra cosa che l esaltazione dello Stato, la glorificazione della polizia. E co m e lo Stato si volto, nella quinta epoca, a reazione o m onopolio, cosi pure, nella fase in cui noi siamo perve n uti, il comuniSmo appare per dare scaccomatto alla pro p riet . Il comuniSmo riproduce, dunque, ma su un piano inver so, t u t t e le contraddizioni delleconomia politica. Il suo se g re to consiste nel sostituire luomo collettivo allindividuo in c ia sc u n a delle funzioni sociali, produzione, scambio, con sum o, educazione, famiglia. E siccome questa nuova evo lu zio n e non concilia e non risolve mai niente, essa term ina fa ta lm e n te , al pari delle precedenti, coll'iniquit e con la m is e ria . C osi il destino del socialismo affatto negativo: lutop ia co m u n ista, sortita dal lato economico dello Stato, la c o n tro p ro v a del costum e egoistico e proprietario! Da que s to p u n t o di vista essa non manca, vero, duna certa u tilit : serve alla scienza sociale, come serve alla filologia l'o p p o siz io n e di niente a qualche cosa. Il so cialism o una logomachia: sono sorpreso che gli e c o n o m is ti non se ne siano accorti. La comunione, come l a co n c o rre n za, lim posta, la dogana, la banca di compe te n z a d e l l economia politica; la comunanza al fondo della te o r ia d e lla divisione del lavoro, della forza collettiva, delle s p e s e g en erali, delle societ anonime ed in accomandita, d e lle c a s s e di risparm io e dassicurazione, delle banche di

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circolazione e di credito, ecc., la comunione, in una parola, dappertutto, come lo spazio, ed nulla. T utte le utopie socialiste, dall'Atlantide di Platone sino allIcaria di Cabet, nel loro pi stretto significato, si ridu cono a questa sostituzione, di un'antinom ia con un'altra antinomia. Il merito, in tutte, quanto allinvenzione, zero; l'abbellimento non che un insignificante accessorio; e per ci che riguarda la decadenza della facolt utopistica se gnalata presso gli autori, essa viene unicamente dalle cor rezioni che l'esperienza loro impone, e che sono tante apo stasie da parte loro. Del resto, questi scrittori, di cui non ho riguardo di disconoscere le intenzioni, sono tu tti insipidi plagiari degli economisti, proprietari travestiti che, mentre l:um anit sale penosam ente la m ontagna in cui deve trasfi gurarsi, si danno l'originalit di ridiscenderla. Ed per questo che diventerei comunista? Ma ci sa rebbe gettarm i nel chimerico p e r sfuggire limpossibile, e per pau ra di Loyola, abbracciare Cagliostro.

2. Definizione di ci che proprio e di ci che comune

Il sole, laria ed il m are sono com uni : il godimento di questi oggetti presenta il pi alto grado di comunismo pos sibile! Nessuno pu piantarvi dei confini, dividerli e deli m itarli. Si notato, non senza ragione, che limmensit della distanza, la profondit im penetrabile, linstabilit per petua, avevano potuto solo sottrarli allappropriazione. Tale e cosi grande la forza di questo istinto che ci spinge alla divisione ed alla guerra! Il risultato dunque di questa prima osservazione, cosa preziosa per la scienza, che la propriet tu tto ci che si definisce, la comunanza tutto ci che non si definisce!... Quale pu essere, dopo questo, il punto di partenza del comunismo? I grandi lavori dellum anit partecipano a questo carat tere economico delle potenze della natura. Luso delle stra de, delle piazze pubbliche, delle chiese, musei, biblioteche, ecc., comune. Le spese per la loro costruzione sono fatte in comune, bench la ripartizione di queste spese sia lungi dallessere eguale, ciascuno contribuendovi in ragione pre cisam ente inversa della sua fortuna. Donde si vede, cosa preziosa a notare, che eguaglianza e comunanza non sono la stessa cosa!... Certi economisti pretendono pure che i lavori dutilit pubblica dovrebbero essere eseguiti dallin dustria privata, pi attiva, secondo essi, pi diligente e

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meno cara; tuttavia non si daccordo su questo punto. Quanto alluso degli oggetti, resta invariabilm ente comune; non mai venuta a nessuno lidea che questa sorta di cose dovessero essere appropriate. Luomo che abbiamo visto nel periodo della sua educa zione, nel compimento dei suoi doveri civili e religiosi e nell'esercizio delle funzioni pubbliche, semi-comunista, l uo m o diventa nellindustria, nel commercio, nellagricoltura, affatto proprietario. Produce, cambia e consuma in una m aniera esclusivamente privata, e non conserva che rare relazioni con la comunanza. Per effetto di un istinto irre sistibile e di un pregiudizio affascinatore che risale ai tem pi pi lo n tan i della storia, ogni operaio aspira ad intrapren dere, ogni compagno vuole diventare padrone, ogni gior n aliero sogna di fare fortuna, come altra volta ogni plebeo di d iv e n ta re nobile. E notate una cosa che deve eccitare la v o stra impazienza tanto quanto mi stupisce; non c alcuno che ig n o ri lo svantaggio dello smembramento, le gravezze della v ita domestica, limperfezione della piccola industria, j d a n n i dellisolamento. La personalit pi forte di tu tte le considerazioni; legoismo preferisce i rischi della lotteria allasso g g ettam en to della comunanza, si ride dei teorem i delle c o n o m ia politica. In so m m a , la comunione ci coglie allorigine e simpone fa ta lm e n te a noi di fronte alle grandi potenze della natura. Q u a n to alla sua essenza, la comunione ripugna alla de finizione; no n la stessa cosa che leguaglianza; non vin c o lata in alcun modo alla m ateria e dipende tu tta dal libero a r b itr io ; si distingue dalla associazione e s'avvicina all'egoi smo. A p p e n a l'industria comincia a nascere ed il lavoro pro duce i su o i prim i abbozzi, la personalit entra in lotta con la c o m u n io n e , che ci appare sin d'allora, sulla soglia do m e s tic a e persino al letto oniugale, di gi im perfetta e c r o lla n te . Pi tard i la troverem o incompatibile con una e d u c a z io n e liberale e vigorosa; infine, essa declina rapida m ente n e lle funzioni salariate e sparisce tutt'affatto nel la voro l i b e r o . Tutto questo risulta dalla necessit delle cose tanto g u a n to dalla spontaneit della nostra natura: gli e c o n o m is ti l'avevano riconosciuto da lungo tempo.

L'ideale della comunanza 3. Posizione del problema comunista

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La fratellanza! Ecco dunque, secondo Cabet, il fondo, la forma e la sostanza deHinsegnamento comunista. giusto riconoscerlo, Cabet, come Saint-Simon e Fourier, capo-scuola. San Paolo, rispondendo ai giudici increduli che lo interrogavano sulla sua dottrina, diceva loro con una stupenda ironia: Io non so che im a cosa, Ges croci fisso . Cabet parla come san Paolo, dice ai suoi neofiti: Io non so che una cosa, la fratellanza . Ora, a questa parola Fratellanza, che contiene tante cose, sostituite, con Platone, la Repubblica, che non dice meno, oppure con Fourier, la Attrazione, che dice ancora pi; oppure con Michelet l 'Amore e l'istin to, che comprendono tutto, oppure con altri, la Solidariet, che riunisce tutto; oppure infine, con Louis Blanc, la Grande forza d iniziativa dello Stato, sinonimo della onnipotenza di Dio; e voi vedrete che tutte queste espressioni sono perfettam ente equivalenti, di modo che Cabet, rispondendo dallalto del suo Popolare alla questione che gli era stata fatta, la m ia scienza la Fratellanza , ha parlato per tu tto il socia lismo. Noi proveremo, infatti, che tu tte le utopie socialiste, senza eccezione, si riducono allenunciato cosi corto, cosi categorico, cosi esplicito di Cabet: la mia scienza, ecc., la fratellanza; sicch chiunque osasse aggiungervi una sola parola di commento, cadrebbe tosto nellapostasia e nellere sia; ci che vuol dire che n Platone, n gli Gnostici, n i prim i Padri, n i Valdesi, n Moro, n Campanella, n Babeuf, n Owen, n Saint-Simon, n Fourier, n il loro continuatore Cabet, non sono in grado, con laiuto del loro principio, di spiegare la societ e m olto meno ancora di imporle delle leggi. Ma come mai, fra tutte queste espressioni: Fratellanza, Amore, Attrazione, ecc., che pretendiam o essere di eguale forza, Cabet ha preferito la prim a? Questo m erita un a spiegazione.
[...]

4. La comunione prende il suo fine per il suo principio

La prim a cosa a cui deve lavorare la comunione, come pure la religione, di soffocare lo spirito di controversia col quale nessuna istituzione sicura e definitiva. Io consi

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glio dun

PPolo ^ Ue Cabet, allorch avr ricevuto dalle m ani del sotto ia redini dello Stato, e tu tti i partiti si saranno fusi ?duca2j0 Sua dittatura patem a, di cambiare il sistem a di 1 giov^nj universitaria, questo sistem a abbominevole, dove argorne ' apprendono a diventare dottori, interrogatori, []. atn senza piet e senza misericordia. Se V P si si ^ rogo i diversi riform atori sui mezzi di cui ,or utQ^roPngono di fare uso p er la realizzazione delle P.er rige ^ le. tu tti mi rispondono, in una sintesi unanime: nrrietter 'erare la societ ed organizzare il lavoro, bisogna or8aniz? ?gli uomini che possiedono la scienza di questa St? ^gin ne frtuna e lautorit pubblica. Sopra quesalit di essenziale tu tti quanti daccordo: si ha univerM te al]aP 'nini. Gli interm inabili appelli delle stte socia' Ma Pere], - . o r?a dei loro avventori partono da questidea. cn ej^c .i riformatori, divenuti padroni degli affari, usino Srande , cia del potere, conviene dare a questo potere una cond2 i0'^JrM d iniziativa : sistem a di Blanc. Ora, a quale cndi?i e potere acquista la sua pi grande forza? alla PubblCa,e dessere costituito democraticamente o in ree?c. sistema di Platone, di Rousseau, del Nazionale, H 'o rrr^ ^ fo rm a politica il prelim inare obbligato della rnnai-cj?ociale. Ma perch la democrazia piuttosto che la oratici? costituzionale, piuttosto che un Senato di aristoP o l;frch, 8^ uomini essendo solidali, conviene ren? 1dali-iJ l.cam ente e giuridicamente eguali: sistem a dei e gli j / 71*1 : istituiti, credo, da Cherbuliez. Donde viene ! 1in Per0 ^ n n i sono solidali? dal fatto che vivono sotto 1 rn Vna legge comune che avvince lim o aHaltro tutti Questa m ? v'nienti: l 'attrazione, sistema di Fourier. Cos niente p ^ az io n e che conosciamo solo da ieri? precisaslstem a c(?7or?> la carit che conosciamo da lungo tempo: ? Sl odin 1 Michelet. Come avviene che gli uomini si amino I .PH (jj si attirino e si respingano vicendevolmente come Slsterjla lp a calamita? che tu tti gli uomini sono fratelli :
La f Cabet. grande f ^ellanza, tale dunque il fatto primordiale, il p olitico e n naturale e cosm ico, fisiologico e patologico, a su^ d econom ico al quale si riattacca, come l effetto

II ^ e t o j j a usa, la comunione. Lanalogia delle parole, ecco L..]. la teoria, la dialettica del socialismo. c^ l ? ceti< r n a ' dunque, con questa intelligenza meravigliosa ab ljit Se e prim e, seconde e finali; come mai, con questa m ai Pa r * a infilare delle frasi, il socialismo non l *o acj aitro che ad inquietare il mondo, senza poter

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rendere gli uomini n migliori n pi fortunati? Infine, se l'economia politica h a potuto essere giudicata dalle sue opere, il socialismo corre grande pericolo oggi di essere valutato in ragione della sua impotenza; im porta dunque renderci conto della sterilit dellutopia, cosi come noi abbiam o fatto per le anomalie della pratica. Per chiunque ha riflettuto sul progresso della socialit um ana, la fratellanza effettiva, quella fratellanza del cuore e della ragione, che sola m erita le cure del legislatore e lattenzione del m aterialista, e di cui la fratellanza di razza la semplice espressioni carnale; questa fratellanza, dico, non punto, come credono i socialisti, il principio dei per fezionam enti della societ, la regola delle sue evoluzioni: essa ne lo scopo e il frutto. La questione non sapere com e mai, essendo fratelli di spirito e di cuore, noi vivremo senza farci la guerra e divorarci scambievolmente: questa non sarebbe una questione; m a come mai, essendo fratelli p er natura, diventeremo anche tali p e r i sentimenti; come m ai i nostri interessi, invece di dividerci, ci uniranno. Ecco ci che il semplice buon senso rivela ad ogni uomo che lutopia non ha reso miope. Come gi abbiamo dim ostrato col quadro delle contraddizioni economiche, avendo lo svi luppo delle istituzioni civilizzatrici p e r risultato inevitabile di gettare la discordia nelle passioni, dinfiammare negli uom ini lappetito concupiscente e lappetito irascibile, e di fare di questi angeli di Dio tante bestie feroci, accade che povere creature destinate al piacere, allamore, si lacerano in furiosi com battim enti, si fanno orribili ferite; e non cosa facile porre fra essi le basi di un trattato di pace. Come dunque sar distribuito il lavoro? qual la legge dello scambio? qual la sanzione della giustizia? dove co m incia il possesso esclusivo, dove finisce? sin dove si stende la comunione? dove finisce? In quale proporzione questo elemento fa parte dellorganismo collettivo, sotto quale form a e secondo quale legge? Come mai, in una parola, diventeremo fratelli? Tale , ad un tempo, la que stione prim a e lo scopo finale della comunione. Cosi la fratellanza, la solidariet, lamore, leguaglianza, ecc., non possono risultare che da una conciliazione degli interessi, cio da im a organizzazione del lavoro e da una teoria dello scambio. La fratellanza il fine, non il principio della comunione, come lo di tutte le forme di associazione e di governo; e Platone, Cabet e quelli che in seguito a queste due som m it del socialismo, invece di insegnarci le leggi della produzione e dello scambio, ci chiedono potere e danaro, entrando nellutopia con la fratellanza, la solida riet e lamore, tu tta codesta gente, dico, prende leffetto per

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la causa, la conclusione per il principio; essi cominciano, come dice il proverbio, la loro casa dagli abbaini. Ancora una volta, chi impedisce ai socialisti di associarsi fra essi se la fratellanza basta? c bisogno per questo di u n per messo del m inistro, duna legge delle Camere? Un si com movente spettacolo edificherebbe il mondo e non com pro m etterebbe che l utopia: questa devozione sarebbe forse al disopra del coraggio dei comunisti? Ecco, senza che essi fossero in grado di rendersene conto, ci che sentivano in fondo al cuore i cittadini che osarono interrogare Cabet. Ma fu pure con una grande superiorit di tattic a che il m aestro loro rispose: Il mio principio la fratellanza ; perch senza questo rovescia mento, non vera pi comunismo. Cabet era sicuro che, dopo questo colpo decisivo, non gli si sarebbe domandato quale fosse il principio della fratellanza, poich sarebbe stato gettarsi in un seguito di questioni allinfinito, e orm ai con veniva farla finita.

5. La comunione impossibile senza una legge di ri parto, ed essa perisce mediante riparto

[...]. Eccoci dunque giunti ai conti correnti, alle necessit di una regola di ripartizione e di valutazione dei prodotti, ci che vuol dire alla dissoluzione della comunione. Infatti, ogni conto corrente si bilancia col dare e avere, in altri termini, col tuo e m io; ogni ripartizione sinonimo di individualismo. [...]. Il socialismo non conta, si rifiuta di contare. N pi n meno che leconomia politica esso afferma lincommen surabilit del valore. Senza questo, comprenderebbe che ci che rintraccia attraverso le sue utopie dato dalla legge dello scambio; cercherebbe la formula di questa legge; e, come la teologia, dopo che ha scoperto il senso dei suoi miti, come la filosofia dopo che ha costruito la sua logica, il socialismo, avendo trovato la legge del valore, conosce rebbe se stesso e cesserebbe di esistere. Il problem a della ripartizione non stato, sino ad ora, attaccato di fronte da nessuno scrittore socialista: la prova che tu tti hanno concluso, come gli economisti, contro la possibilit di una regola di ripartizione. Gli uni hanno adottato per divisa:
a ciascuno secondo la sua attitudine, ad ogni attitudine

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secondo le sue opere, m a si sono ben guardati dal dire

n quale fosse, secondo essi, la m isura dell'attitudine n quale fosse la m isura del lavoro. Gli altri hanno aggiunto al lavoro e alla attitudine un nuovo elemento di valuta zione, il capitale, altrim enti detto il m onopolio ; e hanno cosi provato una volta di pi che non erano altro che vili plagiari della civilt, bench tanto si facciano notare per le loro pretensioni allimprevisto. Infine, si form ata im a terza opinione che, p e r sfuggire a queste transazioni arb i trarie, sostituisce alla ripartizione la razione e prende p e r epigrafe: a ciascuno secondo i suoi bisogni nella m isura delle risorse sociali. Con ci il lavoro, il capitale e il talento si trovano eliminati dalla scienza; nello stesso tempo, la gerarchia industriale e la concorrenza sono soppresse; poi la distinzione dei lavoratori in produttivi e im produttivi, essendo tu tti pubblici funzionari, si dilegua; la moneta definitivamente proscritta, e con essa ogni segno rappresen tativo del valore; il credito, la circolazione, la bilancia del commercio non sono pi che parole prive di senso sotto questo regno della fratellanza universale!

6. La comunit impossibile senza una legge d'orga nizzazione e perisce mediante lorganizzazione

Niente di pi facile da fare che un piano di comuniSmo. La repubblica padrona di tutto: distribuisce i suoi uomini, dissoda, lavora, costruisce dei magazzini, delle case, dei laboratori; fabbrica palazzi, officine, scuole; fabbrica tu tte le cose necessarie al vestirsi, al nutrim ento, allabita zione; d listruzione e lo spettacolo, il tu tto gratis, a quanto si crede, e nella m isura delle sue risorse. Ciascuno operaio nazionale e lavora per conto dello Stato che non paga nessuno, ma che si prende cura di tutti quanti, come un padre di famiglia fa dei suoi figli. Tale , pi o meno, lutopia di questo eccellente Cabet, utopia tolta, con leggere modificazioni, dai pensatori greci, egiziani, siriaci, indiani, latini, inglesi, francesi, americani, riprodotta con varianti da Pecqueur, e verso la quale gravita, suo malgrado, m a n ien taffatto contro sua voglia, il rappresentante della n o stra giovane democrazia, Louis Blanc. Semplice e perentorio com , non si pu negare che questo meccanismo h a per lo meno il vantaggio di essere alla portata di tutti quanti. Onde si scorge, leggendo gli autori, che essi non si aspet

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tano opposizione che sulle ore di lavoro, la scelta dei co stumi e altri dettagli di fantasia, che non fanno, aggiungono essi, niente al sistema. Ma questo sistema, cosi semplice, a dire degli utopisti, diventa tutto ad un tra tto di una inestricabile complica zione, se si riflette che l uomo un essere libero, refrattario alla polizia e alla comunanza, e che ogni organizzazione violatrice della libert individuale perir per opera della libert individuale. Cosi si vede, nelle utopie socialiste, l'apPropriazione ritornare sempre, e, senza rispetto per la fratellanza, disturbare l ordine comunitario.

H - p rim o ed il pi potente espediente dellorganizzazione Il industriale la separazione delle industrie, altrim enti detta divisione del lavoro. La natura, con la differenza dei climi, ha p relu d iato a questa divisione e ne ha determ inato a p r io r i tu tte le conseguenze, il genio umano h a fatto il resto. L 'um anit soddisfa i propri bisogni applicando questa grande legge di divisione, dalla quale nascono la circola zione e lo scambio. Di pi, da questa divisione prim or diale c h e i differenti popoli ricevono la loro originalit ed il loro carattere. La fisionomia delle razze non , come si p o tre b b e credere, u n tratto indelebile conservato dalla generazione, u n im pronta della natura, capace solo di spa rire p e r leffetto dellemigrazione ed il cambiamento delle ab itu d in i. La divisione del lavoro non agisce dunque sem p licem en te come organo di produzione, esercita uninfluen za essen ziale sullo spirito ed il corpo; la form a della nostra educazione come del nostro lavoro. Sotto tu tti questi ra p p o r ti si pu dire che creatrice delluomo come pure d e lla ricchezza, che necessaria allindividuo tanto quanto la societ, e che, a riguardo del primo come della seconda, la divisione del lavoro deve essere applicata con tutta l a potenza e lintensit di cui suscettibile. Ma, a p p lic a re la legge di divisione fom entare lindivi d u alism o , provocare la dissoluzione della comunit; im p o ssib ile sfuggire a questa conseguenza. In effetti, poich in un a c o m u n an z a ben diretta la quantit di lavoro da for nire p e r ogni industria conosciuta, ed il num ero dei la v o ra to ri parim enti conosciuto e che d'altronde il lavoro non si e s i g e da ciascuno, se non come condizione di salario, e g a r a n z ia in faccia di tutti, quale ragione avrebbe la com u nanza d i resistere ad una legge di natura, di restringerne 1azione, d im pedirne leffetto?
Si d i r che la libert del lavoro non si pu accordare perch im p lic a lappropriazione, e coll'appropriazione il

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monopolio, lusura, la propriet, lusufrutto delluomo da parte dellaltro uomo? Replico che, se la libert genera questi abusi, per mancanza du n a legge di scambio, duna costituzione del valore e duna teoria di ripartizione che m antiene fra i consumatori leguaglianza, fra le funzioni lequilibrio. Ora, chi che si oppone alla ripartizione? e chi che respinge con tu tte le sue forze la teoria del valore e la legge dello scambio? il comunismo. In m odo che il comunismo respin ge la libert del lavoro, perch gli occorrerebbe una legge di ripartizione, e rigetta in seguito la ripartizione al fine di conservare la comunanza del lavoro: che discorso scon clusionato! [...]. Ho provato sempre che il lavoro non poteva essere diviso senza che il consumo lo fosse; in altri termini, che la legge di divisione implicava una legge di ripartizione, e che questa ripartizione, procedendo per dare ed avere, sinonimo di tuo e di mio, era distruggitrice della comu nanza. Cosi lindividualismo esiste fatalm ente in seno della comunanza, nella distribuzione dei prodotti e nella divisione del lavoro: qualsiasi cosa faccia, la comunanza condannata a perire; non h a che la scelta di abdicare fra le m ani della giustizia, risolvendo il problem a del valore, oppure di creare, sotto il manto della fratellanza, il dispotismo del num ero invece del dispotism o della forza. Tutto ci che il socialismo h a messo fuori, dalla morte di Caino sino alle fucilate di Rive-de-Gier, su questo gran de problem a della organizzazione, non altro che un grido di disperazione e dimpotenza, per non dire ima declama zione da ciarlatano. Nessuno, oggi pi di ieri, n nel socia lismo, n nella parte proprietaria, ha risolto le contraddi zioni della economia sociale; e tu tti questi apostoli 'orga nizzazione e di riforma, non faccio che riferire qui quello su cui abbiam o mille volte convenuto, mio caro Villegardelle, sono utilizzatori della credulit pubblica, scontando, a nom e della scienza avvenire, il beneficio duna verit vec chia come il mondo, e di cui non sanno nemmeno articolare il nome. Il produttore sar egli libero o no del suo lavoro? A questa questione cosi semplice, il socialismo non osa rispon dere: da qualunque p arte si volga perduto. La divisione del lavoro avvinta con un legame indissolubile alla ripar tizione m atem atica dei prodotti, la libert del produttore all'indipendenza del consum atore. Togliete la divisione del lavoro, la proporzionalit dei valori, luguaglianza delle fortune, ed il globo, capace di nutrire dieci miliardi duo-

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mini ricchi e forti, basta appena a qualche milione di sel vaggi; togliete la libert, e luomo non che un miserabile forzato, che si trascina sino alla tom ba la catena delle sue speranze deluse] togliete lindividualismo delle esistenze, e fate dellum anit un grande polipaio. Ma, affermate la divisione del lavoro, e la comunanza sparisce con lunitorm it; affermate la libert, ed i m isteri della politica cadono con la religione dello Stato; affermate lorganizzazione, e la comunanza delle persone non pi che uno spavente vole incubo. La comunanza con la divisione del lavoro, la com u nanza con la libert, la comunanza con lorganizzazione, per bacco! il caos con gli attributi della luce, della vita e dellintelligenza. E domandate perch non sono comunista. Consultate, di grazia, il dizionario degli antinomi, e saprete perch n o n sono comunista.

7. La comunit impossibile senza la giustizia, e peri sce p er la giustizia

Il non-io, diceva un filosofo, lio che si obbietta, che soppone a se stesso e si prende per un altro, il soggetto e loggetto sono identici: A uguale ad A. . . Q uesto principio, che serve di base a tutto un sistem a di filosofa, e che nella speculazione si pu ancora conside rare c o m e vero, anche il punto di partenza della scienza econom ica, il prim o assioma della giustizia distributiva, in q u est'o rd in e didee A uguale ad A, cio il lavoro realiz zato m atem aticam ente uguale al lavoro pensato, per conseguenza, il salario delloperaio uguale al suo prodotto, la consum azione uguale alla produzione. Ci vero cosi dellin d iv id u o che scambia con altri produttori, come eie lavoro co llettiv o che non scambia che con se stesso, come dell'uom o sequestrato dai suoi simili e che diventa allora egli s o lo tu tta la um anit. Il salario nel lavoratore conet; tivo u g u a le al prodotto; conseguentemente 1 prodotti ai tutti i la v o ra to ri sono uguali fra essi, ed i loro salari ancora uguali: l il principio delleguaglianza delle condizioni e delle f o r t u n e . . . .. . Cosi l eguaglianza, nelluomo collettivo, non altro cne leg u ag lian za del tu tto alla somma delle parti; si stabilisce in s e g u ito , a mezzo della libert, fra le corporazioni indu striali e le classi dei cittadini; si costituisce infine, lenta mente e c o n oscillazioni infinite, fra gli individui. Ma 1 ugua

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glianza deve essere alla fine universale, perch ogni indi viduo rappresenta lum anit, ed essendo luomo uguale allaltro uomo, il prodotto deve diventare, fra tutti, uguale al prodotto. Tale non il punto di vista della comunanza. La comu nanza ha orrore delle cifre, laritm etica le mortale. Essa non amm ette che la legge delluniverso, omnia in pondere e t numero, et mensura, sia pure la legge della societ; la comunanza, in una parola, non accetta leguaglianza e nega la giustizia. Quale dunque il principio a cui d la preferenza? Se condo Cabet, la fratellanza. Bisogna che io confessi, questa scempiaggine conta fra i suoi apologisti uomini di m olta minore innocenza dellonorevole Cabet. Leguaglianza e la giustizia, a quel che assicurano questi profondi teoretici, non sono che rapporti di propriet e di antagonismo che devono sparire sotto la legge dam ore e di devozione. In questo nuovo stato, dare sinonimo di ricevere; la fortuna consiste nel prodigarsi; allemulazio ne degli egoismi succede lemulazione delle abnegazioni. Tale lidea superiore del socialismo, idea che nostro dovere approfondire in quanto, grazie a questidea superiore, per diamo tu tte le idee inferiori di giusto, e ingiusto, di diritto e di dovere, di obbligazione e di danno, ecc. ecc. Da idea superiore in idea superiore finiremo per non avere pi idee.

8. La comunanza eclettica, inintelligente e inintelligi bile

Come abbiamo detto non c niente nellutopia socia lista che non si ritrovi nelluso proprietario, conformemente al principio della scuola: N ihil est in intellectu, quod prius non fuerit in sensu. Il socialismo non possiede niente che gli sia proprio; ci che lo distingue, lo costituisce, lo fa essere ci che , larbitrio e lassurdit dei suoi prestiti. Che cos la comunanza? lidea economica dello Stato spinta sino all'assorbim ento della personalit e delliniziativa individuale. Ora, il comunismo non ha compreso la natura e la destinazione dello Stato. Impadronendosi di questa categoria allo scopo di dare a se stesso corpo e aspetto, non ha preso dellidea che la parte reazionaria; si m anifestato nella sua impotenza, prendendo per

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tipo di organizzazione industriale lorganizzazione della Polizia. Lo Stato, esso dice, dispone sovranamente del servzio dei suoi impiegati, che in cambio nutre, alloggia e Pensiona; dunque lo Stato pu pure esercitare l'agricoltura industria, nutrire e pensionare tu tti i lavoratori. Il ocialismo, pi ignorante mille volte che l'economia poli t a , non ha veduto che, facendo rientrare nello Stato le . tre categorie del lavoro, per questo solo esso cambiava Produttori in improduttivi; non ha compreso che i servizi Pubblici, precisamente perch sono pubblici, o eseguiti dallo tato, costano molto di pi di ci che valgono; che la tenenza della societ deve essere di diminuirne incessante mente il numero, e che, ben lungi dal subordinare la libert p iv id u a le aU Stato, lo Stato, la comunanza, che biso gna sottom ettere alla libert individuale. U socialism o ha proceduto egualmente in tutti i suoi Pagi. L a famiglia gli offriva il tipo d'una comunanza fonata s u llamore e laffetto; tosto esso si vantato di rapportare la famiglia, come lindustria e lagricoltura, nelo tato; e la distinzione delle famiglie ha fatto luogo alla oiriunanza di famiglia, come la distinzione dei monopoli VepK ^a t.to luogo alla comunanza del monopolio. ., Lhe vi era mai nella famiglia prima che il socialismo avesse assorbita nelFindivisione? Vi era il matrimonio, unione delluomo con se stesso tram ite la separazione ej sessi, la societ nella solitudine, un dialogo in un mosn r ' ^ ra consumazione della personalit umana. Il cialismo non vi ha visto che una derogazione al suo prinPio, argom entando dalla lascivia dei selvaggi e dalla equenza degli adulteri in una civilt in crisi, ha rime., ato a tu tto sopprimendo il matrim onio e rimpiazzando nviolabilit dellam ore con la licenza degli accoppiamenti. la p re s s a cosi la personalit delluomo, nellamore e nel lavoro, i l cammino sem brava facile allorganizzazione del avoro e alla ripartizione dei prodotti. Organizzare, distribuire il lavoro, che c di pi facile? en?a d u b b io la divisione del lavoro anticomunista, essa PPropria, in un grado, piccolo quanto si voglia, le funoni a gruppi, e, nei gruppi, a individui. Senza dubbio cra I a. comunanza sarebbe pi perfetta se potesse evitare na sim ile distribuzione. Ma questo inconveniente dellapP opnazione del lavoro sparir nella disappropriazione dei Prodotti. Nessuno potendo attribuirsi esclusivamente il possso d e g li strum enti del lavoro, n i prodotti del lavoro, e la l o r o circolazione, n la loro distribuzione, la comu,nza r e s t a intatta, e tu tte le cure del governo consistono P rodurre di pi e con le m inori spese possibili.

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Ma, aveva osservato leconomia politica, il problem a del la divisione del lavoro non consiste solo nel realizzare la pi grande somma di prodotti, consiste ancora nel realiz zare questa quantit senza pregiudizio fisico, m orale o in tellettuale per il lavoratore. Ora, provato che lintelligenza del lavoratore tanto pi proclive allidiotismo quanto il lavoro maggiormente diviso; e reciprocamente, che pi cose l'uomo abbraccia nelle sue combinazioni, riportando sulle altre i disgusti dellesecuzione e la cura dei dettagli, pi la sua ragione si fortifica, pi il suo genio si eleva e domina. Come dunque conciliare la necessit di ima divi sione parcellare con lo sviluppo integrale delle facolt, svi luppo che p er ogni cittadino un diritto e un dovere, e per tu tti ima condizione di eguaglianza; ma sviluppo che, esaltando la personalit, la morte del comuniSmo? A questo punto, il socialismo si m ostrato cosi povero logico come disprezzabile ciarlatano. Alla divisione parcel lare ha aggiunto il taglio delle sezioni gettando parcelle su parcelle, incisioni su incisioni, la discordia sulla noia, il tum ulto sullinsipidit. Esso non vuole che i lavoratori aspi rino tutti a diventare generalizzatori e sin tetici ; m a riserva questa distinzione p er le nature privilegiate di cui ha fatto ora degli usufruenti alla m aniera dei proprietari. A ciascu no secondo la sua attitudine, ad ogni attitudine secondo le sue opere; tra poco degli schiavi, i prim i saranno come gli ultim i e gli ultim i come i primi. Il socialismo non ha

visto, o piuttosto ha troppo visto che la divisione del lavoro era lo strum ento del progresso e delleguaglianza delle in telligenze nello stesso tempo che del progresso e dellegua glianza delle fortune; esso respinge con tutte le sue forze questa eguaglianza che gli ripugna, perch sostituisce al sacrificio obbligatorio il sacrificio libero; ed per questo che ora pone la capacit al disopra del lavoro parcellare, ora la rigetta al disotto. In Icaria come in Platone, come nel falansterio, dappertutto infine nei libri socialisti, la scienza e larte sono trattate come specialit e corpi di mestieri; in nessuna parte si vedono apparire come facolt che ledu cazione deve sviluppare in tu tti gli uomini. Lei conosce il socialismo, mio caro Villegardelle, nel suo personale come pure nei suoi libri. Renda testimonianza alla verit: crede esso alleguaglianza delle intelligenze? Il socialismo, che esige la devozione, vuole forse leguaglianza delle condi zioni? Ha riscontrato nel socialismo, parlo del socialismo dogmatico, altra cosa fuorch vanit e stupidaggine? Dica se io calunnio.

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Volete che prenda confidenza nel lavoro, nella dili genza, nella delicatezza dei miei fratelli. Non c bisogno di organizzare u n a politica, di creare uno spionaggio mutuo, d altronde ingiurioso, impossibile. Fate che per ognuno di n? 1 1 1 benessere risulti esclusivamente dal lavoro, in modo e a m isura del lavoro diventi l'esatta m isura del benes sere, e che il prodotto del lavoro sia come una seconda e ncorruttibile coscienza, la cui testimonianza punisca o emuneri, secondo il m erito o il demerito, ogni azione deiuomo. Compilate ima scala o quadro comparativo dei aiori che m ostri ad un tempo le oscillazioni anteriori e le sanazioni future, tram ite cui il produttore possa sempre dirigere le sue operazioni nel modo pi vantaggioso, senza 1U n f m eFe ^ sovrapproduzione n disastro, d I n ^nfine, a tutti i valori unespressione comune, euotta dal paragone con uno di essi, e che serva di m isura per tu tte le transazioni. In tali condizioni il lavoratore, asciato a se stesso, e godendo della pi completa indipen denza, d la pi perfetta garanzia. ^ cm unism o impone dei lim iti a questa variet del na . r a * Egli dice, come lEterno allOceano: tu verrai n* c'uij non andrai pi lontano. Luomo della comunanza, eh M f creato> creato per sempre... Non punto cosi Ci h fourierism ha preteso immobilizzare la scienza? clle Cabet fa per il costume, Fourier laveva fatto per deff'10^resso: clua^e dei due m erita di pi la riconoscenza te- urra n it? Per arrivare a questi fini con maggior cerj a * * lcariano regola lo spirito pubblico, prende le sue surc contro le idee nuove. In Icaria c un giornale coChie Uno Provinciale ed uno nazionale; , come nella icsa, u n catechismo, un vangelo, una liturgia. La libert pensiero il diritto di fare proposte all'assemblea, bli opir?ne della maggioranza reputata opinione pubsi Ca ? stesso modo che nelle nostre Camere la ragione d n 0ni a ' m a non si discute. Il giornale, stam pato a spese ? ta to , distribuito gratis, rende conto delle delibeziom, fa conoscere la cifra della minoranza, analizza le leu r a ? loni dopo che tutto detto. I libri di scienza e di bli > T Ura sono fa tti e pubblicati per delegazione; la puban n n amm essa p er niente altro. In effetti, tutto n ro & n en d a^ a comunanza, nessuno avendo niente di bil TV^i stam Pa di un libro non autorizzato impossi si t a ra in poi, che si avrebbe a dire? Ogni idea faziosa m_ r y a dunque arrestata nel suo nascere, e noi non avremo tiv ^ e?*tti di stampa: lideale della politica prevenvosi, il comuniSmo condotto dalla logica all'intolle
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Lideale della comunanza

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ranza delle idee. Ma, misericordia! Lintolleranza delle idee come lintolleranza delle persone, lesclusione, la pro priet!... La comunanza la propriet! Ci non si capisce pi, e non pertanto indubitabile, lo vedrete. Di tu tti i pregiudizi inintelligenti e retrogradi, quello che i comunisti accarezzano di pi la dittatura. Ditta tura dellindustria, dittatura del commercio, dittatura del pensiero, dittatura nella vita sociale e nella vita privata, dittatura dappertutto, tale il dogma librato, come la nuvola sul Sinai, sopra lutopia icariana. La rivoluzione sociale Cabet non la concepisce come effetto possibile dello sviluppo delle istituzioni e del concorso delle intelligenze; questidea troppo metafisica p er il suo gran cuore. Daccordo con Platone e tu tti i rivelatori, d accordo con Robespierre e Napoleone, d accordo con Fourier, questo dittatore della scienza sociale, che nulla h a lasciato da scoprire; d accordo infine con Blanc e la democrazia di Luglio, che vuole procurare la felicit del popolo suo mal grado e dare al potere la pi grande forza d iniziativa possi bile, Cabet fa venire la riform a dal consiglio, dalla volont, dallalta missione di un personaggio, eroe, m essia e rappre sentante degli Icariani. Cabet si guarda bene di far nascere la legge nuova dalle discussioni di unassemblea regolar mente uscita dallelezione popolare, mezzo troppo lento e che com prom etterebbe tutto. Gli abbisogna un uomo. Dopo avere soppresso tu tte le volont individuali, le concentra in unindividualit suprem a che esprime il pensiero col lettivo, e come il m otore immobile d Aristotile, d limpulso a tutte le attivit subalterne. Cosi, dal semplice sviluppo dellidea si invincibilmente condotti a concludere che l ideale della comunanza lassolutismo. Ed invano si di rebbe che quest'assolutism o sar transitorio, poich se una cosa necessaria un solo istante, lo diventa per sempre, la transizione eterna. Il comunismo, prestito disgraziato fatto dallabituale regime proprietario, il disgusto del lavoro, la noia della vita, la soppressione del pensiero, la morte dell'io, lafferma zione del nulla. Il comunismo, nella scienza come nella natura, sinonimo di nichilismo, d'indivisione, dimmobi lit, di notte, di silenzio; lopposto del reale, il fondo nero su cui il Creatore, Dio di luce, ha dipinto luniverso *.

* Da P.-J. P r o u d h o n , Sistem a delle contraddizioni eco nomiche, filosofia della miseria, in Biblioteca dellcconomista, Torino 1882; opera riedita da Edizioni della Rivista Anarchismo , Catania 1975, pp. 468498.

IX.

LO STATO SECONDO I COMUNISTI

Due correnti, due orientamenti diversi si sono cosi avvicendati allinterno della massa lavoratrice, e ancora oggi vi determ inano una certa confusione. Ma il coJso delle conversioni politiche cosi, simile a quello dello sp rito um ano, simile a quello della scienza. necessario pas: sare p er il pregiudizio, labitudine, se si vuole essere sicuri di arriv are alla verit. ridicolo che gli avversari dell em an cipazione operaia si rallegrino di queste divisioni, come se esse non fossero la condizione del progresso, la vita stessa deUu m an it. . . . . j: Il sistem a del Luxembourg, in fondo simile a quello Cabet, di Owen, dei Fratelli Moravi, di Campanella, di M ro, di Platone, dei prim i cristiani, ecc., sistema comunista, governativo, dittatoriale, autoritario, dottrinano, parte aai principio che lindividuo essenzialmente subordinato alia collettivit; che solo ad essa lindividuo deve il suo diritto e la s u a vita; che il cittadino appartiene allo Stato com e il b am b in o alla famiglia; che esso sottoposto all autorit sta ta le , in suo possesso, in manu, e quindi le deve assoluta obbedienza. .*x i In v irt del principio fondamentale della sovranit col lettiv a e della subordinazione individuale, la scuola aei L uxem b o u rg tende, in teoria e in pratica, a riportare tu tto allo S ta to , o, il che lo stesso, alla comunit: lavoro, ina stria, p ro p rie t , commercio, istruzione pubblica, ricchezza, come p u re la legislazione, la giustizia, la polizia, 1 lavori pubb lici, la diplomazia e la guerra; perch tutto venga poi d is trib u ito e ripartito, in nome della comunit o delio Stato, a ogni cittadino, m embro della grande famiglia, se condo le sue capacit e i suoi bisogni. . . D ice v o poco fa che il primo movimento, il prim o pensier della d e m o crazia lavoratrice, im pegnata a ricercare la sua legge a p a rtire da u n punto di vista antitetico a queuo della b o rg h esia, doveva consistere nel ritorcere contro questu l t i m a le sue stesse parole dordine: esattam ente q u a n to risu lta , alla prim a occhiata, dallesame del sistem a c o m u n is ta .

Lo S ta to secondo i com unisti

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Qual il principio fondamentale della vecchia societ, borghese o feudale, rivoluzionata o di diritto divino? Yautorit, che la si faccia discendere dal cielo o che la si deduca, con Rousseau, dalla collettivit nazionale. Da p a rte loro, la stessa cosa hanno detto e fatto i comunisti. Essi fanno risalire tu tto alla sovranit del popolo, al diritto della collettivit; la loro nozione del potere o dello S tato assolutam ente identica a quella dei loro antichi padroni. Che allo Stato si dia il nome di impero, di m onarchia, di repubblica, di democrazia o di comunit, evidentemente sem pre la stessa cosa. Per gli uomini di questa scuola, il diritto delluomo e del cittadino dipende interamente dalla sovranit del popolo; la sua stessa libert ne una em ana zione. I comunisti del Luxembourg, quelli di Icaria ecc., possono prestare giuramento a Napoleone III con la co scienza tranquilla: la loro professione di fede non in contrasto, quanto al principio, con la Costituzione del 1852; anzi, m olto meno liberale. Passiamo ora dall'ordine politico allordine economico. Da chi, nella vecchia societ, lindividuo, nobile o borghese, riceveva i suoi titoli, i possessi, i privilegi, gli appannaggi e le prerogative? In definitiva, dalla legge del sovrano. Per quanto riguarda la propriet, ad esempio, prima sotto il regime del diritto romano, poi sotto il sistema feudale, infine sotto lispirazione delle idee dell89, era stato certo possibile addurre ragioni di convenienza, di opportunit, di evoluzione, richiam arsi ai costumi domestici, alla stessa industria e al progresso: la propriet restava sempre una concessione dello Stato, unico proprietario naturale del suolo, in quanto rappresentante della comunit nazionale. I comunisti hanno im postato le cose nello stesso modo: anche per essi, in linea di principio, lindividuo riceve dallo Stato tu tti i suoi beni, le facolt, le cariche, gli onori, il benessere, il talento stesso, ecc. Lunica differenza sta nellapplicazione del principio. Secondo i comunisti, lantico Stato, p er ragione o p er necessit, pi o meno si era disfatto; m olte famiglie, nobili e borghesi, erano pi o meno uscite dalla propriet comune prim itiva e avevano costituito, per cosi dire, delle piccole sovranit in seno alla grande sovra nit. I comunisti si sono dati allora il compito di far rien trare nello Stato tu tti i frammenti sottrattisi al suo domi nio; si potrebbe perci concludere che la rivoluzione demo cratica e sociale, secondo il sistema del Luxembourg, non altro, in linea di principio, che una restaurazione, che poi significa un ritorno indietro. Perci, come un esercito che riuscito a strappare i cannoni al nemico, il comuniSmo non ha fatto altro che

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T esti

rivoltare contro lesercito dei proprietari la sua stessa arti glieria. Lo schiavo ha sempre scimmiottato il padrone; e il democratico, in fondo, non si mai distinto nettamente daiautocrate. Si possono addurre altre prove al riguardo, r e r realizzare concretamente il suo progetto, a prescin dere dalla forza pubblica della quale ancora non poteva aisporre, il partito del Luxembourg sosteneva e raccomanaava 1 associazione. Nel mondo economico lidea dellasse^ ciazione non nuova; anzi, per essere esatti, proprio gli o tati di diritto divino, antichi e moderni, hanno fondato le Pi potenti associazioni e ne hanno elaborato le teorie. . . n s tra legislazione borghese (Codice civile e commer ciate) riconosce vari generi e specie di associazioni. Cosa vi nanno aggiunto di nuovo i teorici del Luxembourg? Assom ente nulla. Talvolta lassociazione, per loro, stata una sem plice comunit di beni e guadagni (articoli 1836 e seguenti); qualche altra volta lhanno intesa come semplice partecipazione o cooperazione, oppure come una societ a responsabilit collettiva e in accomandita; pi spesso hanno considerato associazioni operaie delle compagnie di lavo- o n potenti e numerose, sovvenzionate, finanziate e di rette dallo Stato, capaci di attirare a s la massa operaia, accap arrarsi lavori e imprese, invadere ogni settore indu striale, coltura, commercio, funzione, propriet; creare il vuoto n elle aziende e nelle imprese agricole private; schiac ciale, strito la re qualsiasi azione individuale, qualsiasi pos sesso sep arato , vita, libert, fortuna, esattamente come no oggi ie grandi societ anonime. 1 ne^ e concezioni del Luxembourg, la sfera pubin eya portare alla fine di ogni propriet; lassociainrn*2 Pr o v care la fine di tutte le associazioni separate o il nnt ria s s o rbim ento in una sola; la concorrenza, rivolta pn i Se .stessa, po rtare alla soppressione della concor1e.J:a a. lib ert collettiva, infine, inglobare tutte le libert p?ratlV e* locali e particolari. ,r Q uanto riguarda il governo, le sue garanzie e le sue to rm e , la questione era trattata in conformit con quella aell'associazione e del diritto delluomo: anche in questo c a s o , non apportava nulla di nuovo; la formula era sempre q u ella tradizionale, salvo lesagerazione comuni; | c( 9 n .do la teoria del Luxembourg, il sistema politico si pu u etin ire; una democrazia compatta, fondata in appa renza s u lla d itta tu ra delle masse, ma in cui le masse hanno H I? f ^>otere di garantire la servit universale, secondo delie ro rrn u le e delle parole dordine prese in prestito dal veccnio a sso lu tism o , e che si possono cosi riassumere: co m u n io n e del potere;

Lo S tato secondo i comunisti

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accentram ento; distruzione sistem atica d i ogni pensiero individuale, corporativo e locale, ritenuto scissionistico; polizia inquisitoria; abolizione o almeno restrizione della fam iglia e, a m ag gior ragione, delleredit; il suffragio universale organizzato in m odo tale che sanzioni continuam ente questa sorta di anonim a tirannia, che approvi, in altri term ini, il prevalere dei soggetti m e diocri o perfino incapaci, sem pre in m aggioranza, sui citta dini capaci e gli sp iriti indipendenti, denunciati come so sp etti e, n aturalm ente, inferiori di num ero *. * Da P.-J. Proudiion, De la capacit politique des classes ouvrires, in P. A n sa r t , P.-J. Proudhon (E stratti), La Pie tra, Milano 1978, pp. 233-236.

x. LA TEORIA DELLA GIUSTIZIA

Realismo della Giustizia - La trascendenza e l'imma nenza

XV. Da quanto precede risulta gi un punto essenziale, che possiam o considerare come acquisito, cio: Che p e r regolare i rapporti degli individui fra di loro, tarli vivere insieme e luno grazie allaltro, e creare cosi la societ, necessario un principio, una forza, una entit, qualche co sa come ci che noi chiamiamo la Giustizia, che abbia la sua realt, la sua sede in qualche luogo, dal quale determ ini le volont ed imponga loro le sue regole. Quale questo potere? Dove coglierlo? Come definirlo? ei sta ora la questione. Si p re te so che la Giustizia non sia altro che un rap porto di equilibrio, concepito dallintelletto, m a liberamente accettato d a lla volont, come ogni altra speculazione dello spirito, in ragione della utilit che esso vi trova; in modo che la G iustizia, ricondotta alla sua formula, riducendosi a una m is u ra di precauzione e di assicurazione, a un atto di benevolenza, anzi di sim patia, m a sempre in vista del1 amore di se stesso, non sia, al di fuori di ci, che una im m aginazione, un nulla. Ma se n z a contare che questopinione sm entita dal sen tim ento u n iv ersa le che riconosce ed afferma nella Giustizia ben altro c h e un calcolo di probabilit e una m isura di garanzia, s i pu osservare, anzitutto, che in questo siste ma, che n o n altro che quello del dubbio morale, la societ im possibile: noi lo proviamo oggi come lo provarono i Greci e i R o m an i; inoltre, in secondo luogo, che in assenza di una f o r z a di Giustizia, preponderante nelle anime, sic come la v io len za e la frode ridiventerebbero la sola legge, la libert, m a lg ra d o tutte le polizie e le garanzie, sarebbe distrutta, e lum anit diverrebbe una finzione. E ci fa cadere la c r itic a . Ritorno d u n q u e al mio proposito e dico: Q u a lu n q u e sia la Giustizia, e con qualunque nome la si

La teoria della Giustizia

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chiami, la necessit di un principio che agisca sulla volont come u n a forza, e la determini nel senso del diritto o della reciprocit degli interessi, indipendentemente da ogni con siderazione di egoismo, questa necessit, dico, inconte stabile. La societ non pu dipendere dai calcoli e dalle convenienze dellegoismo; gli atti della um anit tu tta intera nelle sue ascensioni e nelle sue degradazioni lo testimoniano. Questo principio, questa forza, si tra tta di constatarlo come esistente, di analizzarne la natura, di darne la formula. Con statare la realt della Giustizia e definirla, indicarne le applicazioni generali, oggi tu tta letica: la filosofia morale, fino a un a maggiore m anifestazione della coscienza, non pu andare oltre. Orbene vi sono due modi di concepire la realt della Giustizia: 0 come una pressione esercitata dallesterno sullio; 0 com e una facolt dellio, che, senza uscire dalla sua coscienza, sentirebbe la sua dignit nella persona del pros simo, con la stessa vivacit con cui la sente nella propria persona; e si troverebbe cosi, pur conservando la sua indi vidualit, identico e adeguato allo stesso essere collettivo. Nel prim o caso, la Giustizia esterna e superiore allin dividuo, sia che risieda nella collettivit sociale, conside ra ta come un essere sui generis la cui dignit prevale su quella di tu tti i m em bri che la compongono, concezione che rientra nella teoria comunista gi esaminata; sia che si m etta la Giustizia ancora pi in alto, nellessere trascen dente assoluto che anim a e ispira la societ, e che viene chiam ato Dio. Nel secondo caso la Giustizia nellintimo dell'indivi duo, omogenea con la sua dignit, uguale a quella stessa dignit m oltiplicata per la somma dei rapporti che la vita sociale co m p o rta4*. * Da P.-J. P r o u d h o n , La giustizia nella rivoluzione e nella Chiesa, a cura di Mario Albertini, Utet, Torino 1968, pp. 143-144.

X I.

LA TEORIA DEL FEDERALISMO

Posizione del problema politico - Principio d soluzione

una

a ) Lordine politico riposa su due principi strettam ente connessi, opposti e irriducibili: lAutorit e la Libert. b) Da questi due principi, si deducono parallelam ente due regimi contrari: il regime assolutista o autoritario, e il regime liberale. c) Le forme di questi due regimi sono altrettanto diffe ren ti fra di loro, incompatibili e logicamente inconciliabili quanto le loro nature; le abbiamo definite con due parole: Indivisione, e Separazione (del Potere). d) La ragione ci dice che ogni dottrina deve svilupparsi secondo i suoi principi, ogni essere secondo la sua legge: la coerenza la condizione della vita comune come del pensiero. Ma in politica si verifica esattam ente il contrario: n lAutorit n la Libert possono costituirsi per conto loro, creare un sistem a che sia esclusivamente loro proprio; anzi, sono precisam ente condannate, quando vogliono sta bilire ciascuna il proprio regime, a ricorrere reciprocam ente e perpetuamente al principio opposto. e) La conseguenza che ne risulta che, siccome la fedelt ai principi possibile solo nella politica teorica ma la p ra tica obbligata a transazioni dogni sorta, ogni governo si riduce a gu ard ar bene , malgrado la miglior volont e la pi gran v irt possibile, ad una creazione ibrida, equivoca, ad una prom iscuit di regimi che la logica ripu dia e davanti alla quale la buona fede arretra spaventata. Nessun governo sfugge a tale contraddizione. /) In conclusione: la pratica politica divenendo sem pre pi e fatalmente p red a dell'arbitrario, la corruzione si im pa dronisce presto del potere, e la societ trascinata, senza posa e senza risorsa, sul piano inclinato delle rivoluzioni continue.

La teoria d e l federalism o

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Il mondo a questo punto. N si pu dire che ci sia effetto d'una malizia satanica, o du n a particolare infermit della n o stra natura, duna condanna provvidenziale o di u n capriccio della fo rtu n a o d una sentenza del Destino. Le cose stanno cosi, ecco tutto. Sta a noi tra rre il miglior p artito possibile d a questa situazione singolare. Conside riam o che da pi di ottom ila anni (i nostri ricordi storici non vanno pi in l) tu tte le forme di governo, tutte le com binazioni politiche e sociali sono state successivamente m esse in opera, abbandonate, riprese, modificate, travestite, spinte alle estrem e conseguenze; e che linsuccesso ha co stantem ente ricom pensato lo zelo dei riform atori e deluso le speranze dei popoli. Sem pre la bandiera della libert ha servito da m aschera al dispotismo; sempre le classi privi legiate si son fatte prom otrici, neHinteresse stesso dei loro privilegi, di istituzioni liberali ed egualitarie; sempre i p artiti hanno m entito al loro program m a; e sempre, l'in differenza succedendo alla fiducia delusa e la corruzione allo spirito civico, gli Stati sono crollati per le conseguenze dei principi sui quali si erano fondati. Le razze pi vigorose ed intelligenti si sono consumate in questo travaglio: la storia piena del racconto delle loro lotte. Qualche volta una serie di trionfi esterni riusc ad illudere stilla vitalit di uno Stato, e si pot credere ad una eccellenza di costi tuzione, ad una saggezza di governo, che in realt non esi stevano. Infatti, col sopraggiungere della pace, i difetti del sistem a balzavan fuori, e i popoli cercavano nella guerra civile il sollievo delle fatiche della guerra estera. La uma n it sem pre an d ata cosi di rivoluzione in rivoluzione: le nazioni pi celebrate, quelle che hanno sopravvissuto pi a lungo, sono riuscite a durare solo con tal sistema. Fra tu tti i governi noti e praticati fino ad oggi, non se ne trova uno che, se fosse condannato a sussistere per forza propria, durerebbe let di un uomo. E, strana cosa, i capi di Stato e i loro m inistri sono fra tu tti gli uomini quelli che meno credono alla durata del sistem a da loro rappresentato: fino a che non se ne trovi una scienza sicura, i governi si sosten gono solo sulla fede delle masse. I Greci e i Romani, che ci hanno lasciato in eredit le loro istituzioni coi loro esempi, giunti nel m omento pi interessante della loro evoluzione politica, si sono inabissati nella disperazione; e la societ m oderna sem bra arrivata anchessa alla sua crisi dangoscia. Non prestate fede alle parole di quegli agitatori che gri dano: Libert, Eguaglianza, Nazionalit. gente che non sa nulla: sono m orti che pretendono di risuscitare i morti. Il pubblico si affolla intorno a loro per un istante, come

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Testi

fa con i buffoni e coi ciarlatani; poi si allontana, col cer vello vuoto e lanimo desolato. Presagio sicuro della nostra prossim a dissoluzione e del principio di unra nuova, la confusione delle lingue e delle idee arrivata a un tal punto, che il prim o venuto pu proclamarsi a volont repubblicano, monarchico, democra tico, borghese, conservatore, socialista, liberale, tuttinsieme e contemporaneamente, senza aver paura che nessuno possa convincerlo di menzogna n di errore. I principi e i baroni del Primo Impero erano stati gli eroi del sanculottismo; la borghesia del 1814, rimpinzata di idee nazionali (la sola cosa che essa avesse afferrato delle istituzioni dellOttantanove), era liberale, e persin rivoluzionaria: il 1830 lha fatta ritornare consrvatrice; il 1848 lha resa reazionaria, cattolica e pi monarchica che mai. Adesso sono i repubbli cani di febbraio quelli che favoriscono la monarchia di Vittorio Emanuele, mentre i socialisti di giugno si dichia rano unitari. Vecchi seguaci di Ledru-Rollin si rappacifica no con limpero, dicendo che esso la vera espressione ri voluzionaria e la forma pi paterna di governo; altri, vero, li chiamano venduti, ma intanto si scagliano con furore contro il federalismo. il guazzabuglio eretto a si stema, la confusione organizzata, lapostasia permanente, il tradimento universale. Si tratta di sapere se la societ um ana pu arrivare ad una certa regolarit, equit, stabilit, che soddisfi la ragio ne e la coscienza; o se noi siamo proprio condannati per l'eternit a questa ruota di Issione. Il problema insolu bile? Chiedo al m io lettore un po di pazienza; e se non gli metter in mano la chiave di questo imbroglio , allora soltanto avr il d iritto di dire che la logica un inganno, il progresso unillusione, e la libert u n utopia. Basta che egli si dia la pena di ragionare con me ancora per qualche momento: sebbene in una tal questione ragionare sia un esporsi ad ingannarsi da soli, e a perdere il proprio tem po e il cervello. 1. Dovremo osservare dapprim a come i due principi, Autorit e Libert, dai quali vengono tutte le difficolt, si mostrano nella sto ria in una successione logica e cronolo gica. LAutorit, com e la famiglia, come il padre, genitor, compare per prim a: essa ha liniziativa, una affermazione. La Libert, coi suoi ragionamenti, vien dopo: la critica, la protesta, la libera decisione. Le ragioni di questordine successivo risultano dai concetti stessi di tali principi e dalla natura delle cose, e la storia conferma questo ragio namento. In ci non possibile il dubbio e nessuna arbi traria inversione.

La teoria del federalismo

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2. Unaltra osservazione, non meno im portante, che il regime autoritario, paternalistico e monarchico, si allontana tanto pi dal proprio ideale quanto pi num erosa diviene la famiglia, trib o citt, e quanto pi lo S tato cresce in popolazione e territorio: cosicch pi l'Autorit si estende, pi diventa intollerabile. Donde le concessioni che essa obbligata a fare all'opposto principio di Libert. Inversa mente, il regime di libert tanto pi si accosta al proprio ideale ed acquista probabilit di successo, in quanto lo Stato cresce in popolazione ed estensione, si moltiplicano i rapporti fra gli uom ini e progredisce la scienza. Prim a si comincer a reclam are dogni parte la costituzione ; pi tardi si arriver alla decentralizzazione. Pazientando u n po, si potr veder sorgere lidea della federazione. In conclu sione, si potr applicare alla libert e alla autorit quello che diceva Giovanni il B attista di s e di Ges: Illam oporte t crescere, hanc autem minui.

Questo duplice moto, luno retrogrado e laltro pro gressivo, e che si risolve in un fenomeno unico, risulta tanto dalla definizione concettuale dei principi, quanto dalla loro posizione reciproca e dalla loro azione. E anche qui non possibile lequivoco, e non c posto per nessuna interpre tazione arbitraria: la cosa si impone per evidenza intuitiva e certezza m atematica. Siamo in presenza di una legge . 3. La conseguenza di questa legge, che si pu chiamare
necessaria, necessaria a sua volta: cio che il principio

d autorit, che com pare p e r primo ed com e la m ateria o il dato da elaborare della Libert, della ragione e del diritto, viene a poco a poco subordinato dal principio giu ridico, razionalista e liberale; come il capo dello Stato, che dapprim a inviolabile, irresponsabile, assoluto, vero pater familias, diventa poi giudicabile dalla ragione, primo soggetto di legge, e infine un semplice agente, uno stru m ento o servitore della Libert. Questa terza proposizione altrettanto certa delle due prime, esente dogni equivoco e contraddizione, e chiara m ente conferm ata dalla storia. Nella lotta eterna dei due principi, la Rivoluzione francese, al pari della Riforma, rappresenta una ra di critica: essa ci fa vedere, nellordi ne politico, la Libert che toglie ufficialmente il primato allAutorit cosi come la Riforma, nellordine religioso, con trassegn il momento in cui il libero esame venuto a prevalere sulla semplice fede. Dopo Lutero infatti ogni cre denza religiosa si fatta ragionatrice: l'ortodossia, non meno delleresia, h a assunto la pretesa di condurre l uomo

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alla fede per mezzo della ragione. Il precetto di San Paolo,


Rationabile sit obsequium vestrum , stato sempre pi lar

gamente commentato e messo in pratica; Roma si messa a discutere come Ginevra, e la religione tende ad imporsi come una scienza. La sottom issione alla Chiesa si coni' plicata di tante condizioni e riserve che, salvo la differenza degli articoli di fede, non c pi stata differenza di men talit fra il cristiano e lincredulo: essi non hanno la stessa opinione, questo il punto; ma p e r il resto, modo di pen sare, di ragionare, coscienza, tutti e due si comportano allo stesso modo. Similmente, dopo la Rivoluzione francese, il prestigio dellautorit diminuito: la deferenza agli ordini di un principe divenuta condizionale, si esige dal sovrano una specie di reciprocit, garanzie. La m entalit politica cam biata: anche i monarchici pi ferventi, hanno voluto avere delle carte costituzionali come i vecchi baroni di Gio vanni Senzaterra, e i Berryer, i Falloux, i Montalembert, possono chiam arsi altrettanto liberali quanto i nostri de mocratici. Chateaubriand, il bando della Restaurazione, si vantava d essere filosofo repubblicano: p er un semplice a tto del suo libero arbitrio, si costitu difensore dellaltare e del trono. E sono note le vicende del cattolicesimo spinto di Lamennais. Cosi, mentre lautorit periclita, si fa di giorno in giorno pi precaria, il sentim ento del diritto si afferma, e la li b ert , sempre sospetta, diviene tuttavia sem pre pi reale e p i forte. Lassolutismo resiste quanto pu, ma batte in ritira ta : sem bra che la r e p u b b l ic a , sempre com battuta, ca lunniata, tradita, bandita, savanzi tuttavia a passi di gi gante. Qual partito trarrem o noi da un fatto cosi capitale p e r la costituzione dei governi?

C o m e affiora l idea della federazione

Considerato che, nellordine teorico come nella realt sto rica, lAutorit e la Libert si succedono come per una specie di polarizzazione; ch e la prim a cala insensibilmente e si ritira, m entre la seconda cresce e si impone; c h e risulta da questo duplice m oto una specie di subalternizzazione dellAutorit, che si rim ette sempre pi alle leggi della Libert; considerato che, in altri term ini, il reg im e liberale o contrattuale guadagna ogni di pi sul re gim e autoritario, risu lta che dovremo riferirci al concetto

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di contratto, come allidea attualm ente dominante nella politica.


V Il contratto politico non acquista tutta la sua dignit e m oralit se non a condizione: 1) d'essere sinallagmatico e commutativo; 2) d'essere circoscritto, riguardo al suo og getto, entro certi limiti; due condizioni che si presuppon gono esistenti sotto il regim e democratico, m a che anche in esso troppo sovente non sono che una finzione. Possiamo forse dire che in una democrazia rappresentativa e centralizzatrice, in una m onarchia costituzionale e censitaria, e tanto m eno poi in una repupbblica com unistica sul tipo di Platone, il contratto politico che lega il cittadino allo Stato sia perfetto e reciproco? Possiamo forse dire che questo contratto, che toglie ai cittadini la m et o i due terzi della loro sovranit ed il quarto del loro prodotto, sia circoscritto entro giusti limiti? Sarebbe pi esatto dire, come lespe rienza troppo spesso ci insegna, che il contratto, in tutti questi sistemi esorbitante, oneroso: essendo, p er una parte p i o meno considerevole dei cittadini, un impegno senza giusta contropartita; e anche aleatorio : poich il vantaggio promesso in cambio, gi insufficiente, non neppur sicuro. Affinch il contratto politico risponda alle condizioni sinallagmatica e com m utativa che esige l'idea stessa di de mocrazia, affinch, essendo contenuto in giusti limiti, resti vantaggioso e comodo per tutti, bisogna che il cittadino, entrando in questa societ: 1) abbia a ricevere tanto dallo Stato quanto egli sacrifica allo Stato; 2) che egli conservi tutta la propria libert, la propria sovranit e il diritto di iniziativa, salvo p er la parte relativa allo speciale oggetto per il quale si fatto il contratto e si chiesta la garanzia allo Stato. Cosi regolato e inteso in tal senso, il contratto politico diventa quello che io chiamo: una federazione. F e d e r a z io n e , dal latino foedus, genitivo foederis, vale a dire fatto, contratto, trattato , convenzione, alleanza, ecc., una convenzione in v irt della quale uno o pi capi di famiglia, uno o pi comuni, uno o pi gruppi di comuni e Stati, si obbligano reciprocam ente e su u n piede d'egua glianza gli uni verso gli altri, per uno o pi scopi particola ri, che diventano da quel momento particolare ed esclusiva incombenza dei delegati della Federazione5. Esam iniam o bene questa definizione. Quello che fa l'essenza ed il carattere del contratto fe derale, sul quale io richiam o l'attenzione del lettore, che in tal sistem a i contraenti, capi di famiglia o comuni, can

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toni o province o Stati, non solo si impegnano bilateral m ente e com m utativam ente gli uni verso gli altri, m a si riservano singolarmente, nel form are il patto, una quantit di diritti, di libert, di autorit, di propriet, maggiore di quella che essi sacrificano. Cosi non , per esempio, nella societ universale di beni e prolitti autorizzata dal Codice Civile, detta solitamente societ in comunanza, che limmagine in miniatura di tu tti gli Stati assoluti. Colui che si impegna in una as sociazione di tale specie, soprattutto se essa perpetua, lim itato da legami, soggetto ad impegni, per una parte maggiore delliniziativa che conserva. Ed questo appunto che rende u n tal contratto cosi raro, e che in ogni tempo ha reso generalmente insopportabile la vita cenobitica. Qual siasi impegno, anche sinallagmatico e commutativo, il qua le, chiedendo agli associati la totalit dei loro sforzi, non lascia nulla alla loro indipendenza e li fa completamente votati all associazione, un impegno eccessivo, che ripu gna egualmente al cittadino come al privato individuo. In base a tali principi, il contratto di federazione, aven do p e r scopo, in linea generale, di garantire agli Stati con federati la loro sovranit, lintegrit del territorio, la libert dei cittadini; regolare pacificamente le loro controversie; attu a re quei provvedimenti di carattere generale che riguar dano la sicurezza e la prosperit comune: un tal contratto, dico, m algrado la im portanza degli interessi in gioco, essenzialm ente limitato. L'Autorit che ha il compito di m etterlo in esecuzione non potr mai opprimere le parti associate: vale a dire che le attribuzioni delle autorit fen Hn P tranno mai prevalere in numero e peso su quelle delle autorit comunali e provinciali, cosi come que ste n o n possono indurre eccessivamente i d iritti e le pre rogative delluomo e del cittadino. Perch se cosi non fosse, n com une diventerebbe una comunit, la federazione tor nerebbe ad essere uno Stato centralizzato di tipo m onar chico, e lautorit federale, da semplice m andataria subor d in ata alla volont dei contraenti come deve essere, si pre senterebbe come preponderante: invece di essere lim itata ad u n servizio speciale, sarebbe intesa ad occuparsi di tu tte le a ttiv it e le iniziative, e gli Stati confederati si trove re b b ero rid o tti a prefetture, intendenze, succursali o regie. T u tto il corpo politico cosi ridotto, potrebbe allora chia m a rsi repubblica, o democrazia, o con qualunque altro nom e, m a non sarebbe pi uno Stato costituito nella pie nezza delle sue autonomie, non sarebbe pi u n a confede razion e. E la stessa cosa accadrebbe, a maggior ragione, se, p e r qualche errato calcolo deconomia, p e r deferenza

La teoria del federalism o

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particolare o per qualunque altra causa, i comuni o cantoni o Stati confederati incaricassero imo di loro deHamministrazione e del governo di tutti. La repubblica, da federa tiva, diventerebbe unitaria: sarebbe sulla via del dispo tismo *. * Da P.-J. Proudhon, Du principe fdratif, sart, P.-J. Proudhon (Estratti), La Pietra, pp. 270-277. o ra in P. AnMilano 1978,

XII.

IL REGIME POLITICO FEDERALE

Il diritto economico, applicazione della giustizia alla eco nom ia politica, non nient'altro che il regime di m utua lit; una volta posto il diritto economico, se ne deduce su bito il diritto pubblico. Un governo un sistem a di garan zie: lo stesso principio di m utua garanzia, che deve assi curare a ciascuno listruzione, il lavoro, la libera esplicazio ne delle sue attitudini, il godimento della sua propriet e lo scambio dei prodotti e dei servizi, assicurer egualmente a tu tti lordine, la giustizia, la pace, leguaglianza, la m o derazione del potere, la fedelt dei funzionari. Il territorio stato diviso dalla n atu ra stessa in regioni, e per un m utuo accordo stato diviso fra cornimi e suddi viso tra famiglie; i lavori e le industrie si sono distribuite secondo una legge di divisione organica e hanno form ato gruppi e corporazioni permesse; similmente, secondo il nuovo patto, la sovranit politica e l autorit civile si coor dinano fra le regioni, i distretti, i comuni, e in questa coor dinazione si identificano con la libert. La vecchia legge di unit e di indivisione abrogata: il centro politico ovunque, la circonferenza non in alcun punto. Ogni gruppo, ogni razza, ogni lingua sovrana nel suo territorio: ogni citt regina nel suo raggio dazione. Lunit resta per queste promesse che si fanno tra loro i gruppi sovrani: 1) di governarsi m utuam ente e di tra tta re con i vicini sulla base di certi principi; 2) di proteggersi contro il nemico esterno e la tirannia interna; 3) di pren dere accordi nellinteresse delle rispettive imprese e di prestarsi assistenza nei loro infortuni: e, come Governo, resta sotto forma di un Consiglio nazionale costituito dai rappresentanti degli Stati e incaricato di vigilare sullese cuzione dei patti e sul migliore andamento degli affari co muni. Quello che noi abbiam o chiamato fin qui mutualismo, trasportato nel campo politico prende il nom e di federa lism o : in una semplice sinonimia espressa completamen te tu tta la rivoluzione, politica ed economica. Secondo la Democrazia Operaia, la politica il corolla

Il regime politico federale

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rio delleconomia; entram be seguono la stessa legge: la re pubblica unitaria, la monarchia costituzionale e lautocra zia accentratrice non hanno per lavvenire p i probabilit di riuscita di quello che non ne abbiano la anarchia m er cantile o la com unit icariana. Lidea m utualista al suo apparire non poteva non dare luogo ad obiezioni: due accuse si sono mosse ad essa, so stanzialm ente simili e differenti solo per il punto di vista di coloro che le esprimevano. Gli antichi democratici sembra temano che il m utuali sm o distrugga lU nit stessa, cio il legame sociale e la vita collettiva, che danno a un popolo la sua forza di coe sione e ne assicurano la potenza e la gloria. Daltro canto la borghesia ha espresso la stessa diffidenza, vedendo in questa m utualit senza lim iti una tendenza allanarchia, e in nome della libert ha protestato contro questa ferocia del Diritto individuale, contro lesorbitare della personalit. Alcuni, dotati p i di buone intenzioni che di prudenza, hanno p restato il fianco a queste critiche: dovere quindi della Democrazia operaia il dim ostrare che essa col suo principio di m utualit vuol realizzare il m otto borghese del 1830 Libert e Ordine pubblico, tradotto dalla Democrazia repubblicana del 1848 con laltro m otto Unit e Libert. Osserviamo anzitutto che lo spirito um ano tende es senzialmente allunit, che afferma in tutti i campi: nella Religione, nella Scienza, nel Diritto: a maggior ragione la vuole in Politica. LUnit la legge di tutto ci che ha vita e di tutto ci che organizzato: chi sente, chi ama, chi com batte, chi lavora cerca lordine e la felicit. Lassenza di u nit sta ta concepita come il principio proprio del regno satanico; lanarchia, la dissoluzione la m orte. Per lunit si costruiscono le citt, si formulano le leggi, si fondano gli Stati; per la paura dei dissolvimenti la polizia dei go verni perseguita con le sue diffidenze e le sue collere lin vestigazione filosofica e lanalisi superba, la negazione empia e leresia deicida; p er questa unit preziosa le nazioni si rassegnano talvolta alla tirannia pi detestabile. Non c Libert senza Unit, e del pari non c Unit senza variet, pluralit, divergenza. Queste due idee. Li bert e Unit (o Ordine) sono addossate l una allaltra, come credito e ipoteca, m ateria e spirito, corpo e anima. Non possibile n separarle n assorbirle luna nell'altra; bisogna rassegnarsi a farle vivere insieme in equilibrio. La questione non quindi di sapere se la Libert risul ter daUOrdine, o se lrdine risulter dalla Libert; luno e laltra esistono, legati indissolubilmente fra loro per leternit. Nessuna form a politica ha dato sinora la vera

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Qui la dellaccordo fra le due idee, perch coercizione- 2 * stata sempre unit artificiale, frutto della setta di nrtlt Ji* ^I?ra Dg.ma. Bandiera, Simbolo di ragione d f Stato Chiesa di razza, articolo di fede o 1 a n ^ m a ^ d e n ^ ove vogliono una unit che esprima tu tti i poteri runC i + Una unit spirituale che congiunga e tuttavia r- , . . i lostra. coscienza e della nostra ragione, cuore liherr. r-S 'C 1 u Pens. l er? libero, la coscienza libera, il giungendosi i ggl c* 9 crre una unit, che, agtifichi di Qni t ? 5 5 nostre libert, le accresca e si forL u n iti ? ^ libert stesse. Poggi sul h?, i-Ca soddisfare a queste esigenze, purch Proprio fondainento della Verit e del Diritto, virt di esca t m utualit prom ette di darci, perch in valore npr g, uomini si garantiscono reciprocamente 5' na fede pe libert n m n -ff ' buona per buona fede, libert per ert, propriet per propriet * Propriet p er nronri^t operaie erii PR 9yD HN, La capacit politica delle classi Citt di Castello ff l2 l! S Pienmgeli 11 Solc *

XIII.

CRITICA DELLA PROPRIET E RIVALUTAZIONE DELLA PROPRIET

Nel 1840, sono pi di ventidue anni, feci il mio ingresso nella scienza economica con la pubblicazione di un volume di 250 pagine, intitolato: Che cosa la p ro p riet ? Non ho bisogno di ricordare quale scandalo abbia causato la mia risposta, scandalo che continu ad ingigantirsi per dodici anni, fino al colpo di Stato. Oggi che le m enti si sono cal m ate, oggi soprattutto che pubblico io stesso ima teoria della propriet la quale, ho lorgoglio di dire, pu sfidare tu tti gli attacchi, si leggeranno forse con interesse e soprat tu tto si comprenderanno meglio le mie spiegazioni. Avevo cominciato da tre mesi appena i m iei studi di economia politica quando mi accorsi di due cose: la prim a che esisteva un intim o rapporto (ma io non sapevo quale) fra la costituzione dello S tato e la propriet; la seconda, che tutto ledificio economico e sociale fondava su ques tultim a e che tuttavia la relativa istituzione non era data n nelleconomia politica n nel diritto naturale. Non datur dominium in oeconomia, dicevo fra me parafrasando lafo rism a di quel vecchio fisico sul vuoto: la propriet non un elemento economico, non essenziale alla scienza, e niente la giustifica. Donde pu derivare? Quale la sua natura? Questo fu il soggetto della mia prima Memoria come la chiamai. Prevedevo da allora che la m ateria sarebbe stata copiosa e che il soggetto era ben lungi dallessere esaurito. Ora che non c pi m otivo di trem are per la propriet, poich abbiam o fatto apposta un imperatore per difenderla ed io stesso prendo la sua parte, non c pi, oso lusingarmi, un lettore appena sensato e appena illuminato dalla logica, il quale non riconosca quanto io avessi ragione. La propriet ha per fondam ento il diritto del prim o occupante ? Ma assurdo. Deriva dalla conquista? Ma sarebbe immorale. Si deve attribuirla al lavoro? Ma il lavoro non d diritto che ai prodotti, tu ttal pi ad una indennit per ladatta mento del suolo, forse anche ad una preferenza nel pos

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sesso, nel possesso intendiamoci bene; m ai e poi m ai il lavoro pu dare il diritto alla sovranit del feudo, a ci che la legge rom ana chiamava dominio em inente di pro priet. Altrimenti bisognerebbe dire che ogni affittuario , ipso facto, proprietario, e che colui che d in affitto la sua terra se ne spropria. Tutto ci che stato spacciato ai nostri giorni circa le fatiche e i meriti dei colono son ciance sentim entali: non n filosofia n diritto. Lopera pubblicata dal Thiers nel 1848 per la difesa della Propriet una mera bucolica. stato il legislatore che ha creato la propriet? Ma per quali motivi? In forza di quale autorit? Non se ne sa niente. Se stato il legislatore che con un atto di suo arb itrio ha istituito la propriet, lo stesso legislatore pu abolirla ed espropriare i patrim oni, come dice il Laboulaye, dal m om ento che la propriet soltanto una finzione legale, u n arbitrio; e un arbitrio tanto pi odioso in quanto essa lascia fuori di s la maggioranza del popolo. Bisogna dire, con qualcuno che si picca di metafisica, che la pro priet lespressione dellindividualit, delle personalit e dellio? M a il possesso basta largamente a questa espres sione; m a ancora una volta, se basta dire: q u esto cam po m io, p er averne la propriet, tutti sono proprietari allo stesso titolo. Ecco scoppiata la guerra civile con linevita bile conclusione della schiavit. Ora, quando voi avete passato in rassegna la prim a occupazione, la conquista, il lavoro, lautorit del legisla to re e la m etafisica dellio, voi avete esaurito tu tte le ipotesi dei g iu risti suH'origine, sul fondamento della propriet. Potete chiudere le biblioteche, poich non c nulla di pi. O forse dobbiam o credere con il Laboulaye che la propriet un artic o lo di fede la cui discussione deve essere proibita, perch a g ire altrim enti significherebbe m ettere la societ in pericolo? Ma la giustizia amica della luce, solo il delitto cerca le tenebre. Cur non palam si decenter? La propriet du n q u e il furto?... Q uesta dialettica conveniamone poich lo possiamo senza p erico lo era tanto invincibile quanto inesora bile e le testim onianze che la legislazione stessa mi dava non eran o fatte p er sminuirla. [-]. Nello stesso tem po in cui pronunciavo, in virt della m ia an a lisi, la condanna della propriet, come si svolta nel d iritto rom ano, nel diritto francese, nelleconomia poli tica e n e lla storia, io respingevo, in term ini non meno energici, l ipotesi contraria: la comunit. Questa esclu sione del com unism o consegnata nella mia prim a Memo ria del 1840, capitolo V, e riprodotta con maggiore esten

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sione e forza nel S istem a delle contraddizioni economiche, 1846, capitolo XII. Qual era allora la mia concezione? Che la propriet, essendo un assoluto, una nozione che implica due contrari, o, come dicevo con Kant ed Hegel, ima antinomia, doveva essere sintetizzata in una formula superiore che desse pari soddisfazione allinteresse collettivo e alliniziativa indi viduale e riunisse tu tti i vantaggi della propriet e del lassociazione senza alcuno dei loro inconvenienti. Davo a questa form ula superiore, preveduta e affermata da me fin dal 1840, in virt della dialettica hegeliana, ma non ancora chiarita n definita, il nom e provvisorio di possesso, term ine equivoco, che richiamava una forma di istituzione che io non volevo e che ho abbandonato. Le cose restarono cosi parecchi anni. Contro tutti gli attacchi che dovetti sopportare da sinistra e da destra mantenevo in tu tti i suoi term ini la m ia critica, annuncian do una nuova concezione della propriet con la stessa cer tezza con cui avevo negato la vecchia, bench non sapessi dire in che consistesse questa nuova concezione. La m ia speranza, tu tto sommato, non doveva essere disillusa, come adesso si vede; soltanto la verit che io cercavo non poteva essere afferrata che con una rettificazione di metodo. [...]. Queste delucidazioni erano necessarie per fa r ben com prendere che la negazione teorica della propriet, era la premessa necessaria p er la sua conferma pratica e per il suo sviluppo. La propriet se la si considera nellorigine
un principio intim am ente vizioso e antisociale, ma d esti nato a divenire, con la sua generalizzazione e col concorso di altre istituzioni, il perno e la m olla dellintero sistem a sociale. La prim a parte di questa proposizione stata dimo

strata dalla critica del 184048; spetta ora al lettore giudicare se la seconda sia provata in m odo soddisfacente. vero che lo Stato, dopo essersi costituito sul prin cipio della separazione dei poteri, necessita di un contrap peso che gli im pedisca di oscillare e di rendersi ostile alla libert? vero che tale contrappeso non pu riscon trarsi n nellesercizio in comune del suolo, ne nel possesso o nella propriet condizionata e ristretta, dipendente e feudale, poich ci significherebbe sistemare il contrap peso nella potenza stessa che si ha il compito di contro bilanciare, il che manifestamente assurdo? vero che noi troviamo tale contrappeso nella propriet assoluta, cio indipendente, pari in autorit e sovranit allo Stato? vera la conseguenza che la propriet, per la funzione essenzial m ente politica che le spetta, appunto perch il suo asso

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lutismo deve opporsi a quello dello Stato, si pone nel sistema sociale come liberale, federativa, decentratrice, re pubblicana, egualitaria, progressista e amante della giusti zia? vero che questi attributi, nessuno dei quali si trova nel principio di propriet, le vengono a m isura che essa si generalizza, cio a misura che un maggior num ero di cittadini arriva alla propriet? Ed vero che per operare questa generalizzazione, per assicurarne in seguito leguagliamento, basta organizzare a fianco della propriet e al suo servizio un certo numero di istituzioni e di servizi pub blici, trascurati fino ad oggi o abbandonati al monopolio e allanarchia? Ecco i quesiti su cui il lettore invitato a pronunciarsi dopo m aturo esame e seria riflessione. Riconosciuta la missione politica e sociale della pro priet io vorrei richiamare ancora una volta lattenzione del lettore su quella specie d incompatibilit che esiste in questo caso fra il principio e i fini, e che fa della propriet una creazione veramente straordinaria. vero, domander ancora, che questa propriet che oggi priva di ogni biasimo, pur tuttavia la stessa, p er natura, per origini, per definizione psicologica, per vigore passionale, che ha subito una critica esatta ed imparziale con tanta sorpresa dellopinione pubblica? Ed vero che niente stato modi ficato, aggiunto, soppresso o addolcito nella prim itiva nozione, e che se la propriet si umanizzata, se da scelle rata divenuta santa, non perch noi ne abbiam o cam biato la essenza, anzi noi labbiamo religiosamente rispet tata, m a perch noi ne abbiamo soltanto ingrandita la sfera e generalizzato il campo? E vero che in questa natura egoista, satanica e refrat taria noi abbiamo trovato il mezzo pi energico per resistere al dispotism o dello Stato ed uguagliare le fortune senza organizzare le spogliazioni e senza m ettere la m useruola alla libert? vero, dico, poich io non potr mai insistere troppo su questa verit alla quale non ci h a abituati la logica delle scuole, che per cambiare gli effetti di una isti tuzione che nei suoi inizi fu il colmo delle iniquit, per trasform are langelo delle tenebre in angelo della luce, noi n o n abbiam o bisogno che di opporla a se stessa oltre che al potere pubblico, e di circondarla di garanzie e di decuplicare le sue forze, come se noi avessimo voluto esal tare senza limiti, nella propriet, proprio l assolutismo e 1abuso? In tal modo, solo a condizione di restare come la natura l ha fatta, solo a condizione di conservare intatta la sua personalit, indomo il suo io, e il suo spirito di rivoluzione e d incontinenza, la propriet pu divenire uno strum ento

P ropriet: critica e rivalutazione

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di garanzia, di libert, di giustizia e di ordine. Non bisogna cambiare le sue tendenze, ma bens le sue opere; orm ai non si pu pi aspirare a purificare la coscienza um ana com bat tendone la passionalit come facevano i vecchi m oralisti. Come l'albero, il cui frutto aspro e verde da principio m a sindora col sole e diviene p i dolce del miele, cosi pro digando luce, brezza e rugiada alla propriet noi otterrem o dai suoi germi peccaminosi i fru tti della virt. Pertanto la n o stra critica anteriore sussiste sem pre; la visione della propriet liberale, egualitaria e m oralizzatrice, cadrebbe se noi pretendessim o distinguerla dalla propriet assolutista, accaparratrice ed abusiva. Cosi si ottenuta per mezzo di una semplice m essa a punto, senza alcuna alterazione del principio, quella trasform azione che io cercavo sotto il nom e di sintesi.

Conclusioni

Bisogna sem pre arrivare a conchiudere che la propriet im a autentica finzione legale: solo si pu fare in modo che questa finzione sia nei suoi motivi tale da doverla con siderare legittima. Senza di che non possiamo uscire dal lam bito del possesso e ogni nostra argomentazione sofi stica e in m ala fede. Si pu fare in modo che questa fin zione, che ci ripugna perch non ne comprendiamo il signi ficato, divenga tanto sublime, tanto splendida, tanto giusta, che nessuno dei n o stri diritti pi reali, pi positivi, pi im mediati e immanenti, possa starle al paragone, ed anzi essi sussistano solo per mezzo di questa chiave di volta: vera finzione. Il principio di propriet, ultralegale, extragiuridico, an tieconomico, sovrumano, p u r sempre un prodotto spon taneo dellEssere universale e della societ, e pertanto dob biam o cercarne, se non la giustificazione completa, almeno la comprensione. Il diritto di propriet assoluto, ju s utendi et abutendi, diritto di usare e di abusare. Esso si oppone ad un altro potere assoluto, quello governativo, che comincia ad im porgli la restrizione, quatenus juris ratio patitur, in quan to lo perm ette la ragione del diritto . Dalla ragione del diritto alla ragione dello Stato il passo breve, e perci siam o in continuo pericolo di usurpazione e di despotismo. La giustificazione della propriet che abbiamo ricercato inutilm ente nelle sue origini, prim a occupazione, usucapione,

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conquista, acquisto col lavoro, la troviamo invece nei suoi ; fini: essa essenzialmente politica. Dove la propriet appar tiene alla collettivit, senato, aristocrazia, principe o impe ratore, non vi che feudalit, vassallaggio, gerarchia e subor dinazione; e p e r conseguenza nessuna libert n autonomia. Allo scopo di spezzare il fascio della sovranit collet tiva, cosi esorbitante, cosi ripugnante, gli stato eretto contro il dominio proprietario, segno concreto della sovra nit del cittadino, ed stato attribuito all'individuo, mentre allo Stato non spettano che le p arti indivisibili e comuni per il loro uso: corsi dacqua, laghi, stagni, strade, lande e m ontagne incolte, foreste e deserti, e tutto ci che non suscettibile d i appropriazione privata. Per aum entare la possibilit di movimento e circolazione la terra sta ta resa liquidabile, alienabile e divisibile, dopo averla resa eredita ria. La propriet allodiale imo smem bram ento della sovra nit, perci particolarm ente odiosa al potere pubblico e alla democrazia. odiosa al prim o in grazia alla sua onni potenza, ed lavversaria dell'autocrazia come la libert lo dellautorit; e non piace alle correnti pi democratiche, tu tte infervorate di unit, di centralizzazione e di assoluti smo. Il popolo felice quando vede far la guerra ai pro p rieta ri. E tuttavia lallodio la base della repubblica. La costituzione di una repubblica m i si perm etta alm eno di impiegare questa parola nella sua alta accezione g iu rid ica la condizione sine qua non della sua pro sp erit. Un giorno il generale Lafayette indicando Luigi Filip po disse: Egli rappresenta la migliore delle repubbliche ; e il reg n o costituzionale fu definito: Una m onarchia circon d a ta d a istituzioni repubblicane . La parola repubblica non d u n q u e sediziosa per se stessa e risponde alle vedute della scien za non meno che alle sue aspirazioni. Le conseguenze dirette della propriet allodiale sono: 1) l amministrazione del comune da parte dei proprie ta ri, affittuari e operai riuniti in consiglio e perci l'indipen d e n z a comunale e la disponibilit delle propriet; 2) l am m inistrazione della provincia da parte di chi l a b ita . Da ci deriva il decentram ento e un principio di federazione. La funzione regia, come stabilita dal sistema costituzionale, qui sostituita da cittadini proprietari, che h a n n o tutti gli occhi aperti sugli affari pubblici, senza b is o g n o di mediazione. L a propriet feudale non generer mai una repubblica; e v icev ersa una repubblica, che lascer decadere lallodio a fe u d o e che ricondurr la propriet al comuniSmo slavo, non p o t r sussistere e si convertir in autocrazia. D e l pari la vera propriet non produrr m ai una m onar

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chia e una vera m onarchia non produrr m ai ima vera propriet. Se accadesse il contrario e se un insieme di proprietari eleggesse un capo, con questo stesso atto essi rinuncerebbero alla loro parte di sovranit e presto o tardi il principio di propriet rim arrebbe alterato nelle loro mani; oppure se una m onarchia creasse dei proprietari, implici tam ente abdicherebbe e si demolirebbe, a meno di non tra sform arsi volontariam ente in regno costituzionale, regno pi nominale che effettivo, rappresentante dei proprietari. Lo si visto in Francia, allorquando, sotto Luigi Filippo, liberali e repubblicani fecero la guerra al cam panilismo. Si serviva la causa della monarchia. Cosi l'intera m ia critica anteriore, e tutte le conclusioni egualitarie che ne ho dedotte, ricevono una sorprendente conferma. Il principio di propriet ultralegale, extragiuridico, assolutista ed egoista per sua natura, fine all'iniquit, ma
bisogna che sia cosi.

Ecco in che m odo nelle previsioni della ragione univer sale il principio dellegoismo, usurpatore per sua natura ed improbo, diviene uno strum ento di giustizia e di ordine, al punto che propriet e diritto sono idee inseparabili e quasi sinonimi. La propriet l'egoismo idealizzato, consacrato e investito di una funzione politica e giuridica. Bisogna che sia cosi: perch in nessun caso il diritto tan to osservato come quando trova u n difensore nell'egoi sm o e nella coalizione degli egoismi. In nessun caso la libert sar difesa contro il potere se essa non dispone di un mezzo di difesa, se essa non ha una sua fortezza ine spugnabile. Il lettore si guardi bene dal vedere in questo antago nismo, in queste opposizioni e in questi equilibri, un mio m ero virtuosismo. So bene che una teoria semplicista come il comuniSmo o l'assolutism o di Stato una concezione di gran lunga pi facile che non lo studio delle antinomie. Ma non colpa mia, essendo io un semplice osservatore e ricer catore di serie. Sento dire da certi riform atori: sopprim ia m o tutte queste complicazioni di autorit, libert, possesso, concorrenza, monopoli, imposte, bilancio commerciale, ser vizi pubblici; creiamo un piano di societ uniforme e tu tto sa r semplificato e risolto. [-]. Il nostro sistem a sociale complicato, m olto pi che non si sia creduto. Se oggi siamo in possesso di tu tti gli elementi, essi per hanno bisogno di essere coordinati e sintetizzati secondo le loro proprie leggi. In essi si scopre un'anim a e una vita intim a collettiva che si evolve al di

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fuori delle leggi geometriche e meccaniche, e che impossi bile assimilare al movimento rapido, uniforme, infallibile di una cristallizzazione; di cui la logica ordinaria, sillogistica, dommatica e unitaria non pu rendere conto ma che si chiarisce meravigliosamente con l'aiuto di una filosofia pi jarga, che ammetta nel suo sistema la pluralit dei principi, la lotta degli elementi, lopposizione dei contrari, e la sintesi eli tutti gli indefinibili e assoluti. Ora siccome sappiamo che vi sono differenze nellintelliSenza non meno che nella forza: differenze nella memoria, nella riflessione, nellidealizzazione, nella facolt inventiva, nell amore, nel pensiero, nella sensibilit e anche nell'io, o coscienza; e siccome impossibile dire dove cominci e dove unisca ci che chiamiamo anima, perch dobbiamo rifiutarci ai ammettere che i principi sociali, cosi ben coordinati, e ispirati a tanta ragione, previdenza, sentimento, passione e giustizia siano lindice di una vera vita, di un disegno supe riore, di una ragione costituita diversamente dalla nostra? Perch, se cosi, non dovremmo vedere in questi fatti attuazione della creazione diretta e autom atica della soctet. a risultante dal semplice accostamento degli elementi e dal gioco delle forme che costituiscono la societ? Abbiamo scoperto una logica speciale e principi che non sono quelli della nostra ragione individuale, bench questa, studiando la societ, possa arrivare a scoprirli e ad appropriarseli. C dunque una differenza tra la ragione individuale e quella collettiva. Inoltre abbiamo potuto osservare, grazie alla propriet d J ! sl,loi cnnessi, un altro fenomeno e un'altra legge, quella le forze libere, che vanno e vengono, con approssimazioni indefinite, vastit di azione e reazione, elasticit naturale, d il l.aPason esteso che proprio della vita, della libert, Ha fantasia. Propriet e Stato sono due creazioni sponta nee di una legge immanente, che ripugna allidea di iniziaive dall'estern o, secondo la quale ipotesi ogni gruppo umano avrebbe avuto bisogno di un iniziatore speciale, come fa u n metropolita quando d linvestitura ad un vescovo e come questo quando impone le mani al curato, er ? sua volta battezza e governa le sue pecorelle. Ci compreso, noteremmo che le leggi generali della s:ona sono le medesime che reggono lorganizzazione soC 1, e Fare la storia della propriet presso un popolo equi vale a dire come esso ha traversato le crisi della sua for mazione politica, come ha prodotto i suoi poteri e i suoi organi, com e ha equilibrato le sue forze, regolato i suoi interessi, dotato i suoi cittadini; come vissuto, come

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morto. La propriet il principio pi fondamentale di cui ci si possa servire per comprendere le rivoluzioni della storia. Essa non ancora esistita nelle condizioni in cui la pone la teoria e nessuna nazione ha mai raggiunto il massimo livello di questa istituzione; ma essa regge positi vamente la storia, bench assente, e obbliga le nazioni a rico noscerla, punendole se la tradiscono.
[...].

La propriet non si misura sul merito, poich essa non n salario, n compenso di qualunque genere, n deco razione, n titolo onorifico; non si misura sulla potenza dellindividuo, poich il lavoro, la produzione, il credito e lo scambio non lo richiedono affatto. Essa un dono gra tuito, dato all'uomo per proteggerlo contro i pericoli del potere pubblico e le invasioni dei suoi simili. la corazza della sua personalit indipendentemente dalle differenze di talento, genio, forza, attivit, ecc. Nel regime comunitario e statalista ci vogliono la poli zia e lautorit per garantire il debole contro linvadenza del forte, ma sfortunatamente la polizia e lautorit, da quando esistono, non hanno funzionato che a vantaggio del forte, di cui hanno potenziato i mezzi di usurpazione. La propriet assoluta e incoercibile si protegge da se stessa. larma difensiva del cittadino, il suo scudo: mentre il lavoro la sua spada. Lequilibrio della propriet richiede ancora garanzie politiche ed economiche. P ropriet e S tato, tali sono i due poli della societ. La teoria della propriet simmetrica a quella della discolpa per mezzo dei sacramenti delluomo caduto in peccato.
[...] [...]. [...].

Noi respingiamo, insieme allo statalismo, il comunismo in tutte le sue forme; noi vogliamo la determinazione delle funzioni pubbliche e di quelle individuali, dei servizi pub blici e dei servizi privati. Non vi che una cosa nuova per noi nella nostra tesi: che questa stessa propriet il cui principio contraddittorio e pericoloso sollevava la nostra disapprovazione, viene da noi oggi interamente accettata, con la sua riserva parimenti contraddittoria: dom inium
e st jus u ten di et abu ten di re sua quatenus ju ris ratio patitur.

Noi abbiamo compreso che questa opposizione di due assoluti, di cui uno solo sarebbe irremissibilmente da con dannarsi, e che dovrebbero essere respinti ambedue se vigessero in direzione separata, questa opposizione il fon-

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lamento proprio delleconomia sociale e del diritto pub blico: restando a noi il compito di governarla e di farla agire secondo le leggi della logica*. * Da P.-J. Proudhon, La propriet, trad. di A. Klitsche e La Grange, O.E.T., Bottega dellantiquario, Roma 1947, PP- 141-151; 165-171; 177-179; 182.

X IV .

LA TEORIA DEL M U T U A L IS M O

Le parole francesi m utuo, m utualit, m utuazione, che hanno per sinonimi reciproco, reciprocit, provengono dal latino m utuum , che significa prestito (di consumo), e in senso lato, scambio. Si sa che nel prestito di consumo loggetto prestato viene consumato da chi prende a prestito, il quale quindi ne restituisce lequivalente, sia con un oggetto della stessa specie, sia con un oggetto di altra natura. Sup poniamo che chi d in prestito diventi a sua volta uno che prende a prestito, avremo una prestazione reciproca, dunque uno scambio: questo il nesso logico che ci fa chiamare con lo stesso nome due operazioni diverse. Non c nulla di pi elementare: perci non vorrei insistere ancora sullaspetto logico e grammaticale di questa nozione. Ci interessa piuttosto sapere in che modo, a partire dal lidea della mutualit, reciprocit, scambio, g i u s t i z i a , sosti tuita a quella dellautorit, comunit o carit, sia stato possibile, in politica e in economia politica, costituire un sistema di rapporti che tende addirittura a trasformare da cima a fondo lordine sociale. A che titolo, prima di tutto, e sotto quale influenza lidea di mutualit si affermata nelle menti? Abbiamo prima visto in quale modo la scuola del Luxembourg intende il rapporto delluomo e del cittadino con la societ e con lo Stato: un rapporto di subordina zione. Di qui, lorganizzazione autoritaria e comunista. Questa concezione governativa si scontra con quella dei fautori della libert individuale, secondo i quali la societ deve essere considerata non come una gerarchia di funzioni e di facolt, bens come un sistema equilibrato di libere forze, nel quale ognuno gode degli stessi diritti a patto di adempiere gli stessi doveri, riceve gli stessi benefici in cambio degli stessi servizi; quindi un sistema essenzialmente egualitario e liberale, che prescinde completamente dalle ricchezze, dal rango e dalle classi. Ecco, quindi, il ragiona mento e le conclusioni a cui giungono questi antiautoritari o liberali.

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umana xptengono che. aHinterno deHUniverso, la natura zione d li e^Pres.sione pi elevata, per non dire lincarnariceve N ^ tiz ia universale; che l'uomo, e il cittadino, natura S^ diritto direttamente dalla dignit della sua temente0^ come P* tardi ricever il suo benessere diretfecolt i SH personale lavoro e dal buon uso delle sue delle li .stima dal libero esercizio del suo talento e che la Dicono, dunque, che lo Stato non altro indipenri!511- ante della libera unione fra soggetti eguali, rappres ft1 e capaci tutti di giudicare; che cosi esso non controv 3 c^e libert e interessi raggruppati; che ogni si ridu(frSla tra ^ Potere e il tale o il talaltro cittadino guenza 6 a Una controversia tra cittadini; che di conselibert nn esist. e> nella societ, prerogativa diversa dalla e la car>Fleniaza diversa da quella del Diritto. Lautorit al lorrk dicono, hanno fatto il loro tempo; vogliamo Da Psto la giustizia, del Lux U eSK C Premesse, radicalmente contrarie a quelle vasta se ^ our> passano a una organizzazione su pi dicono n PrinciP rnutualistico. Servizio per servizio, razione dotto per prodotto, prestito per prestito, assicuper cau7 '^er assicur. azine. credito per credito, cauzione rantic101]6 Saranzia per garanzia, ecc.: questa la legge. dente v u 6e del taglione, occhio per occhio, dente per tata da] v p e r v \ta> . in 1 1 1 1 certo senso capovolta, traspora* diritte . ltto criminale e dallatroce pratica della vendetta la libera onornico<nelle opere del lavoro e nei servizi deiistituti m ratellanza. Da questa legge derivano tutti gli insegnarnpUa^stic.i: mutuo soccorso, credito, assicurazione, di lavot o e?r; reciproche garanzie di scambio, di mercato, ecc- Di n/,- ^una qualit e di giusto prezzo delle merci, listico, ng anche, la pretesa di elevare il principio mutuaa ^gge (j r ^ certe istituzioni, a principio di Stato, Stato, a 1 ato> e direi quasi a una sorta di religione di ' c itta d in i3 pratica tanto facile quanto vantaggiosa per rePression U a Pratica cbe non richiede n polizia, n per nessi . c ostrizione, e che non pu in nessun caso, rovina. * diventare motivo di delusione e causa di tito*dall' ^ avoratore non pi un servo dello Stato, inghiotsovrano hianc! comunitario; luomo libero, realmente responsah r a8is. ce di sua iniziativa e sotto la sua personale dotti un J 1 t; sicuro di ricevere in cambio dei suoi pro stabilire czz. giusto, abbastanza rimunerativo, e di poter scambio r n * suo* concittadini, per quel che riguarda lo perfetta m tu tti gli oggetti di consumo, rapporti leali e ente garantiti. Similmente lo Stato, il Governo

La teoria del m u tu alism o

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non pi un sovrano; lautorit non qui in antitesi con la libert: Stato, governo, potere, autorit, ecc., sono espres sioni che servono a designare da un altro punto di vista la libert stessa; sono formule generali riprese' dalla termi nologia tradizionale, con le quali si designa, nei casi speci fici, la somma, lunione, lidentit e la solidariet degli interessi particolari. Sicch non ha pi senso chiedersi, come nel sistema borghese o in quello del Luxembourg, se lo Stato, il Governo o la comunit, debbano dominare lindividuo, o se, vice versa, debbano dipendere da lui; se il principe conta pi del cittadino, o il cittadino pi del principe; se lautorit domina la libert, o se ne invece serva: tutte queste questioni sono pure assurdit. Governo, autorit, Stato, comunit e corporazioni, classi, compagnie, cittadinanze, famiglie, cittadini, in due parole, gruppi e individui, persone morali e persone reali, tutti sono eguali di fronte alla legge, che la sola a giudicare e a governare, attraverso questo o quel dispo sitivo, questo o quel ministero: D espotes ho nom os. Chi dice mutualit, come se dicesse spartizione della terra, divisione delle propriet, indipendenza del lavoro, separazione delle industrie, specialit delle funzioni, respon sabilit individuale e collettiva, a seconda che il lavoro sia individuale o di gruppo; riduzione al minimo delle spese generali, soppressione del parassitismo e della miseria. Chi dice, invece, comunit gerarchica, propriet indivisa, dice accentramento, presuppone la molteplicit delle com petenze, la complicazione dei meccanismi, la subordinazione delle volont, la dispersione delle forze, lo sviluppo delle funzioni improduttive, laccrescimento indefinito delle spese generali, quindi la creazione del parassitismo e lavanzare della miseria.
[...]

Potenza d e llidea m utualistica; sua universale applica bilit. Come il prin cipio pi elem en tare della m orale tenda a diventare il fondam ento del d iritto econom ico e il cardine di nuove istituzioni. Prim o esem pio: le assicurazioni.

Le classi operaie ci hanno svelato il loro segreto. Sono esse a dirci che, dopo essersi fermate un momento nel 1848 alle idee di vita in comune, lavoro in comune. Stato-fami glia o Stato servitore, hanno abbandonato questa utopia; che, daltra parte, non si pronunciano con minore energia contro il sistema del giusto mezzo politico e lanarchia economica dei borghesi, e che la loro riflessione concen trata su un principio unico, applicabile ugualmente, secon

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do il loro modo di vedere, tanto all'organizzazione dello Stato, quanto alla regolamentazione degli interessi: il prin cipio della mutualit.
[...].

Osserviamo prima di tutto che c mutualit e mutualit. Ci si pu scambiare male per male, ma anche bene per bene: e cosi, rischio per rischio, possibilit per possibilit, con correnza per concorrenza, indifferenza per indifferenza, elemosina per elemosina, e cosi via. Io considero le societ di mutuo soccorso, quali esistono oggi, solo come forme di transizione verso il regime mutualistico, in quanto esse rientrano ancora nella categoria delle opere pie: istitu zioni che vivono del sovraccarico che deve imporsi il lavo ratore che desideri non esporsi allabbandono in caso di malattia e di disoccupazione. Metto sullo stesso piano i monti di piet, le lotterie di beneficenza, le casse di rispar mio, le casse pensioni, le assicurazioni sulla vita, i nidi di infanzia, gli asili, gli orfanotrofi, gli ospedali, gli ospizi, le case per trovatelli e per invalidi, i dormitori pubblici, ecc. Gi da quanto ha fatto o tentato di fare la carit del Cristo si pu capire che compito incombe alla mutualit mo derna. prevedibile che queste istituzioni non scompaiono da un giorno allaltro, proprio per la profondit del males sere sociale e la lentezza delle trasformazioni che hanno per oggetto il miglioramento di masse cosi numerose e povere. Ci non toglie, per, che queste istituzioni continui no ad essere dei monumenti di miseria; del resto, il Mani festo d e i S e ssa n ta ce l'ha detto: N oi rifiutiam o lelemo sina; n o i vo g lia m o la giustizia . La vera mutualit, l'abbiamo detto, quella che d, promette e assicura servizio per servizio, valore per valore, credito per credito, garanzia per garanzia; che, sostituendo ovunque u n diritto rigoroso a una carit precaria, la cer tezza del contratto all'arbitrio degli scambi, scartando ogni velleit, ogn i possibile manovra speculativa, riducendo alla sua espressione pi semplice ogni elemento aleatorio, facen do diventare comune il rischio, tende sistematicamente a organizzare il principio stesso della giustizia in ima serie di doveri positivi e, per cosi dire, di garanzie materiali. Essi riconoscono volentieri, insieme con gli economisti della scu o la puramente liberale, che la libert la forza economica principale; che tutto quello che essa pu fare da sola, le deve essere permesso; ma che laddove la libert non riesce ad andare a segno, il buon senso, la giustizia, l'in teresse generale impongono di far intervenire la forza collettiva, c h e qui non altro che la mutualit stessa; che
[]

La teoria del m utualism o

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le funzioni pubbliche sono state fissate apposta per questo tipo di bisogni, e non devono avere altri scopi. Dunque, essi vogliono che il loro principio riguardo allassicurazione, am messo in teoria da tutti, ma finora scartato in pratica per la negligenza o la connivenza dei governanti, sia insomma, pienamente e interamente applicato*.
* Da P.-J. P ro u dhon, De la capacit politique des classes ouvrires, in P. A n s a rt, P.-J. Proudhon (Estratti), La Pietra,

Milano 1978, pp. 241-250.

XV.

L'EMANCIPAZIONE O PER AIA 6

La questione delle candidature operaie, risoltasi nega tivamente con le elezioni del 1863 e 1864, implica ^quel della capacit politica degli operai, o, per usare un espres sione pi generica, del Popolo. Il Popolo, al quale la zione del 1848 ha accordato la facolt di votare, e capace, o non, di stare in politica, e cio: 1) di formarsi, sul questioni che interessano la collettivit sociale, un opini in rapporto con la sua condizione, il suo avvenire, 1 suoi interessi; quindi 2) di esprimere sulle stesse questioni, sotto poste al suo arbitrato diretto o indiretto, un verdetto ragionato; infine 3) di costituire un centro di azione, espres sione delle sue idee, delle sue mire, delle sue speranze, e impegnato a realizzare i suoi disegni? . Se si, allora importante che il Popolo, alla prima occa sione, dia prova di tale capacit; a) enunciando un princi pio veramente suo, che riassuma ed esprima in smtesi tutt le sue idee, cosi come hanno sempre fatto tutti fondatori di societ, e come hanno tentato di fare, da ultimo, gii autori del manifesto; b) attestando tale principio con aei voti conformi; c) alloccorrenza, e nel caso m cui dovess farsi rappresentare nei consigli del Paese, eleggendo come suoi mandatari uomini che sappiano esprimere il suo pen siero, portare la sua parola, sostenere il suo diritto, cne lo rappresentino anima e corpo, e dei quali esso possa dire, senza il rischio di essere smentito: Questi sono le ossa delle mie o ssa e la carne della mia carne. , ... Senza tu tto questo, far bene il Popolo a rinchiudersi nel suo m utism o secolare e ad astenersi dal votare; in tal caso far un favore alla societ e al governo. Rinunciare ai poteri conferitigli dallistituzione del suffragio universale, e dare cosi prova della sua dedizione allordine pubblico, sar certamente pi onorevole, pi utile, che votare, alia maniera della maggioranza dei borghesi, per illustri prati canti, che si vantano di dirigere una societ che non cono scono, per m ezzo di formule perfettamente arbitrarie. Giacch, se il popolo non ha una chiara intelligenza della sua idea, o se, avendola acquisita, non riesce a esprimerla per-

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fettamente, non ha il diritto di prendere la parola. Lasci pure gli azzurri e i bianchi votare gli uni contro gli altri; da parte sua, simile allasino della favola, si contenti di portare il suo basto. Questa , ripeto, linevitabile domanda che le candida ture operaie pongono e alla quale bisogna assolutamente dare risposta. capace il popolo, si o no? I Sessanta, occorre congratularsene con loro, si sono pronunziati con coraggio per il si. Ma suscitando forti reazioni, e nei giornali che hanno la pretesa di essere organi della democrazia, e fra i candidati, e, perfino, fra i compagni! Ma pi afflig gente stato, in unoccasione cosi decisiva, latteggiamento della stessa massa operaia. apparso un contromanifesto, firmato da ottanta operai7, che protesta con veemenza contro la presunzione dei Sessanta, dichiara che costoro non esprimono affatto il pensiero del popolo, li rimprovera di sollevare a sproposito una questione sociale quando invece il problema politico, di seminare la divisione invece di predicare lunione, di ristabilire la distinzione delle caste quando ci si doveva occupare della loro fusione, e conclude dicendo che, per il momento, il solo obiettivo da perseguire la libert. Finch non avrem o la lib ert dicevano il nostro solo pensiero sar d i conquistarla . Voglio credere che questi operai, in quanto cittadini e lavoratori, valessero quanto gli altri; ma sicuramente non ne avevano lorigina lit, e meno ancora lo slancio. E si anche visto, a giudicare dalle considerazioni da cui prendevano le mosse, che essi non facevano che ripetere la lezione della Presse , del Temps e del Sicle . Non sono venute a mancare loro neppure le felicitazioni del signor di Girardin e soci. Il popolo francese ha degli accessi di umilt senza eguali. Suscettibile e vanitoso in modo indescrivibile, quan do ha a che fare con la moderazione, pu giungere perfino allumiliazione. Come mai, dunque, questa plebe, cosi gelosa della sua sovranit, cosi desiderosa desercitare i suoi diritti elettorali, attorno alle quale volteggiano tanti candidati in abito scuro, i suoi adulatori occasionali, come mai, dico, oppone tanta resistenza alla candidatura dei suoi uomini? Come! Ci sono nella Democrazia operaia, e in buon numero, dei soggetti istruiti, capaci di servirsi con efficacia sia della penna che della parola, uomini con una certa esperienza, venti volte pi capaci, e soprattutto pi degni di rappresen tarla, degli avvocati, giornalisti, scrittori, pedanti, intrigan ti e ciarlatani a cui prodiga i suoi suffragi, e questi uomini essa li rifiuta! Non li vuole come suoi mandatari! La Demo crazia ha orrore dei candidati veramente democratici! orgogliosa di scegliersi dei capi aristocratici! Pensa, cosi

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facendo, di nobilitarsi? Come mai, infine, se il popolo maturo per la sovranit, esso si dissimula costantemente dietro i suoi ex tutori, che non lo proteggono pi e non possono far nulla per lui; come mai, al cospetto di chi lo obbliga alla condizione salariata, abbassa gli occhi come ima fanciulla; e, una volta messo in condizione desprimere la sua opinione e di agire autonomamente, sa solo seguire la pista dei suoi antichi padroni e ripetere le loro massime? Tutto questo, bisogna ammetterlo, costituirebbe contro l'emancipazione del proletariato un precedente spiacevole, se la cosa non trovasse una sua spiegazione nella novit stessa della situazione. La classe lavoratrice vissuta, fin dall'origine della societ, alle dipendenze della classe possi dente, quindi in uno stato di inferiorit intellettuale e morale, del quale essa conserva ancora profondamente il sentimento. Solo da poco, da quando cio la rivoluzione dell'89 ha messo in crisi le gerarchie, sentendosi isolata, essa ha incominciato a prendere coscienza di s. Ma conserva, ancora potente, listinto di deferenza; lopinione che essa si fatta di ci che si chiama capacit singolarmente falsa ed esagerata; quelli che erano un tempo suoi padroni, che hanno conservato il privilegio delle professioni cosid dette lib e r a li e che giusto ormai non chiamare pi in questo m odo per essa, come se avessero 30 centimetri in pi degli altri uomini. Si aggiunga quelloscuro risenti mento, m isto a invidia, che luomo del popolo nutre contro quelli ch e, suoi simili, aspirano ad elevarsi al di sopra della loro c o n d iz io n e : dopo tutto ci, come stupirsi che il Popolo, per q u an to trasformato nella coscienza, nel condizionamento della sua esistenza, nelle idee fondamentali che lo dirigono, abbia conservato la sua abitudine all'abnegazione? Vale per i costum i quanto accade con il linguaggio: essi non si modi ficano d i pari passo con la coscienza, la legge, il diritto. Noi, per m olto tempo ancora, resteremo gli uni nei confronti degli a ltr i dei Signori e degli U m ilissim i s e rv ito ri: questo im pedisce forse che non ci siano pi n signori n servitori? Allora, al di l delle adorazioni, delle genuflessioni e delle v o lg a r i superstizioni, sforziamoci di definire, in teoria e in p r a tic a , quello che noi dobbiamo pensare della capacit e dellid o n eit politica della classe operaia, messa a con fronto c o n la classe borghese, e del suo futuro avvento. O sserviam o, prima di tutto, che la parola ca pa cit , rife rita al cittad in o, va considerata da due diversi punti di vista: c' la c a p a c it legale, e la capacit reale. La p r im a conferita dalla legge e presuppone la seconda. Non si a m m ette che il legislatore riconosca dei diritti a dei soggetti riten u ti incapaci per natura. Per esempio, prima

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del 1848, per esercitare il diritto di voto, bisognava pagare 200 franchi di contributi diretti. Si supponeva dunque che la propriet fosse una garanzia di capacit reale: di conse guenza quelli che potevano pagare 200 franchi e oltre, circa 250 o 300.000 cittadini, erano ritenuti i veri controllori del Governo, arbitri sovrani della sua politica. Si trattava, evidentemente, di una pura e semplice finzione legale: nulla, in effetti, poteva provare che fra quegli elettori non ce ne fosse neppure uno, o anche pi di imo, nonostante la loro quotazione, realmente incapace; come pure nulla autoriz zava a pensare che al di fuori di quella cerchia, fra tanti milioni di cittadini sottoposti a una semplice tassa perso nale, non ci fosse una grande massa di capacit intellettuali. Nel 1848 stato, per cosi dire, rovesciato il sistema del 1830: stato introdotto il suffragio universale e diretto, senza alcuna condizione censitaria. Attraverso questa sem plice riforma, tutta la popolazione maschile, con et non inferiore ai ventanni, nata e residente in Francia, stata investita per legge della capacit politica. Si dunque supposto, questa volta, che il diritto elettorale, e in una certa misura la capacit politica, fosse inerente alla qualit di uomo maschio e di cittadino. Ma evidente che si tratta ancora una volta di una finzione. Come possibile che la facolt elettorale diventi una prerogativa dellindigenato, dellet, del sesso, della residenza, piuttosto che della pro priet? La dignit di elettore, nella nostra societ democra tica, corrisponde a quella del nobile nel mondo feudale. Come possibile che essa venga accordata, senza eccezio ne n distinzione, a tutti, mentre quella di nobile appar teneva solo a un numero ristretto? Non il caso di dire che qualunque dignit, non appena sia resa comune, svani sce, e che ci che appartiene a tutti non appartiene a nes suno? Del resto, lesperienza parla chiaro al riguardo: pi il diritto elettorale si allargato, pi ha perduto limpor tanza che gli veniva attribuita. Ne sono una prova il 36 per cento delle astensioni nel 1857, e il 25 per cento nel 1863. Ed certo che i nostri dieci milioni di elettori si sono dimostrati, dal 1848, quanto a intelligenza e a carattere, inferiori ai 300.000 elettori della Monarchia di Luglio. Allora, che ci piaccia o no, quando trattiamo da storici e da filosofi della capacit politica, bisogna che usciamo dalle finzioni e che prendiamo in considerazione la capacit reale: che del resto la sola che possa interessarci. Perch ci sia in un soggetto, individuo, corporazione o collettivit, capacit politica, sono richieste tre condizioni fondamentali:

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1. Che il soggetto abbia coscienza di s, della sua dignit, del suo valore, del posto che occupa nella societ, del ruolo che assume, delle cariche a cui ha il diritto di aspirare, degli interessi che rappresenta o personifica. 2. Che, come risultato di questa coscienza di s in tutte le sue potenzialit, il soggetto in questione affermi la sua idea, che sappia, cio, cogliere intellettualmente, tradurre verbalmente, spiegare razionalmente, quanto al suo prin cipio e alle sue conseguenze, la legge del suo essere. 3. Che da tale idea, infine, posta come professione di fede, esso possa, a seconda del bisogno e della diversit delle circostanze, arrivare sempre a conclusioni pratiche. Si noti che qui non in questione la quantit. Alcuni uomini sentono pi vivamente di altri, hanno un sentimento di s pi o meno esaltato, colgono lidea e la espongono con maggiore o minore efficacia ed energia, o possono essere dotati di un senso pratico che le pi vive intelligenze magari non posseggono. Queste differenze di intensit nella coscien za, nellidea e nella sua applicazione, costituiscono dei gradi di capacit, non creano, per, la capacit stessa. Cosi ogni individuo che ha fede in Ges Cristo, che ne afferma la dottrina con la sua professione di fede e ne pratica la religione, un cristiano, e come tale capace della salvezza eterna: ci per non toglie che fra i cristiani ci siano dottori e semplici, asceti e moderati. Allo stesso modo, essere capaci politicamente, non signi fica essere dotati di una particolare attitudine a sbrigare gli affari di Stato, a svolgere una determinata funzione pub blica; e non significa neppure dare prova di una premura pi o meno assidua per la cosa pubblica. Tutto questo, ripeto, riguarda il talento e la competenza: e comunque non questo che fonda nel cittadino, spesso silenzioso, moderato, e non considerato dal punto di vista della sua attivit professionale, quello che noi intendiamo qui per capacit politica. Possedere la capacit politica, significa avere la coscienza di s come membro di una collettivit, affermare Videa che ne risulta e portarne avanti la realizzazione. Chiunque riunisca queste tre condizioni capace. Cosi, pure, noi ci sentiamo tutti f r a n c e s i ; come tali credia mo a u n a costituzione, a una missione del nostro Paese, e perci favoriamo, con i nostri voti, la politica che ci pare traduca meglio il nostro sentimento e serva la nostra opi nione. I l patriottismo pu essere pi o meno ardente in ognuno di noi; la sua natura non cambia, ma la sua assenza una mostruosit. Detto in tre parole, noi abbiamo co scien za, idea, e perseguiamo una realizzazione. P o rsi il problema della capacit politica della classe

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operaia, come pure della classe borghese e, storicamente, della nobilt, significa dunque domandarsi: a) se la classe operaia, dal punto di vista dei suoi rapporti con la societ e con lo Stato, ha preso coscienza di s; se, come essere collettivo, morale e libero, essa si distingue dalla classe borghese; se tiene separati i suoi interessi e non li con fonde con quelli della classe borghese; b) se essa possiede unidea, cio se pervenuta a una nozione esatta della sua costituzione; se conosce le leggi, le condizioni, le formule della sua esistenza; se ne prevede la destinazione, il fine; se riesce a comprendere se stessa nei suoi rapporti con lo Stato, la nazione e lordine universale; c) se da questidea, infine, la classe operaia in grado di dedurre, per quanto riguarda lorganizzazione della societ, delle conclusioni pratiche appropriate, e, nel caso in cui il potere, per deca denza o sconfitta della borghesia, gli fosse devoluto, di creare e di sviluppare un nuovo ordine politico. Ecco che cosa la capacit politica. Si intende che noi parliamo della capacit reale, collettiva, che riguarda la natura e la societ, e che risulta dal movimento dello spirito umano; che, a parte le disuguaglianze del talento e della coscienza, sempre la stessa in ogni individuo e non pu diventare privilegio di nessuno; che presente in tutte le comunioni religiose, le stte, le corporazioni, le caste, i partiti, gli Stati, le nazionalit, ecc.; capacit che il legi slatore non pu creare, ma tenuto invece a ricercare, e che in ogni caso esso suppone. Ed in base a questa definizione della capacit che io rispondo, per quanto riguarda le classi operaie, e indipen dentemente dai cedimenti e dalle manifestazioni di peco raggine di cui esse offrono ogni giorno ancora il triste spettacolo. Sul pu n to p r im o : Si, le classi operaie hanno preso co scienza di s, e noi possiamo fissare allanno 1848 la data di tale avvenimento. Sul secondo p u n to : Si, le classi operaie hanno unidea corrispondente alla coscienza che esse hanno di s, e che contrasta perfettamente con lidea borghese: solo che, si potrebbe aggiungere, questa idea stata loro rivelata ancora in maniera incompleta, esse, a loro volta, non ne hanno colte tutte le possibili conseguenze e neppure fornito una formulazione completa. Sul terzo punto, relativo alle conclusioni politiche da trarre dalla loro idea: No, le classi operaie, pur sicure di s, e gi quasi illuminate sui principi che stanno alla base della loro nuova fede, non sono ancora riuscite a dedurre da questi principi una pratica generale conforme, una poli

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t ic a appropriata: testimone il loro voto in comune con la borghesia, testimoni anche i pregiudizi politici di ogni so rta ai quali esse sottostanno. Diciamo, in uno stile meno scolastico, che le classi ope~ a ie sono appena nate alla vita politica; che se, per linizia: iv a che esse hanno intrapreso e per la loro forza numerica, la n n o avuto modo di spostare il centro di gravit nellordine co litico e di agitare leconomia sociale, tuttavia, a causa del : a o s intellettuale a cui sono in preda, soprattutto della stra vaganza governativa che hanno ereditato da una borghesia n ex tre m is, esse non sono ancora riuscite a stabilire il loro Predominio, hanno perfino ritardato la loro emancipazione i compromesso fino a un certo punto il loro avvenire *. * Da P.-J. P roudh on , De la c a p a c iti politique des classes ii v r i r e s , in P. A n sa r t , P.-J. Proudhon (Estratti), La Pietra, f i l a n o 1978, pp. 217-223.

NOTE ALL'INTRODUZIONE

1 Come ha sottolineato L. Pellicani, P refazione a P. J. Proudhon, D el p r in c ip io fed e ra tivo , Mondo Operaio, Edizioni Avanti, Roma 1979, pp. IX-XXI. 2 Tra le tante si vedano J. Touchard, S to ria d e l p e n siero p olitico, Ed. di Comunit, Milano 1963, pp. 456-459; A. Cornu, M a rx e E n g e ls, dal lib era li s m o al com uniSm o, Feltrinelli, Milano 1971, p. 467; G. M. Bravo, S to ria del socialism o. I l pensiero so cia lista p rim a d i M a rx, Editori Riuniti, Roma 1971, pp. 129-141; J. Bruhat, I l so c ia lism o francese dal 1848 al 1871, in S to r ia del S o c ia lism o , vol. I: D alle o rig in i al 1875, Editori Riuniti, Roma 1973, pp. 456457 e 615; G. Lichtheim, Le origini d el so c ia lism o , il Mulino, Bologna 1974, p. 157. Gran parte di queste tesi ricalcano in sostanza il giudizio espresso allinizio del secolo da A. Berthod, P ro u d h o n e t la p ro p ri t . Un so c ia lism e p o u r le p a y sa n , Girar e Briere, Paris 1910, pp. 5-10. Un approccio diverso stato tentato recentemente da Pierre Ansart. Utilizzando le classiche cate gorie epistemologiche della sociologia della conoscenza, lo studioso fran cese ha cercato di stabilire una sorta di om o lo g ia s tru ttu ra le fra il pen siero proudhoniano e il contesto storico-sociale in cui tale pensiero si formato e definito. Solo cosi, secondo lui, si pu spiegare la multiformit e lapparente contraddittoriet di Proudhon. P. Ansart, N aissance d e l'anarc h ism e . E sq u isse d 'u n e e xp lica tio n so cio lo g iq u e d u p ro u d h o n ism e , PUF, Paris 1970, specialmente pp. 28-29. 3 bene ricordare che gi nel secolo scorso, precisamente nel 1874, un grande socialista come Benot Malon nel suo Passato, P resente e A vve n ir e d el S o c ia lism o uno scritto di carattere storiografico pubblicato a puntate nel periodico socialista La Plebe ricordava che il socialismo doveva essere inteso anzitutto come una realt spirituale connaturata al l uomo e che perci una sua riduzione dentro una periodizzazione ideolo gica precisa ne avrebbe limitato l intrinseca problematicit. L. Briguglio, B e n o it M a lo n e il so c ia lism o in Ita lia , Centro per la Storia del Movimento operaio nel Veneto, Padova 1979, p. 10. 4 Cf. G. Amato, R ileg g en d o P ro u d h o n , in Mondoperaio , n. 9, 1978, pp. 67-75; L. Pellicani, P re fa zio n e a P. J. Proudhon, D el p rin cip io fed e ra tiv o ..., pp. IX-XXI. 5 Per una panoramica d insieme da prendere per con beneficio din ventario su Proudhon quale capostipite dellanarchismo cf., ad esempio, E . Zoccoli, L anarchia, gli agita to ri, le id ee , i fa tti, Bocca, Milano 1944, pp . 63-86; G. Woodcock, L 'a n a rch ia . S to ria d e lle idee e d e i m o v im e n ti liber ta ri, Feltrinelli, Milano 1966, pp. 92-125; D. Guerin, L'anarchism o dalla dot trin a a ll'a zio n e , Samon e Savelli, Roma 1969, ad nomen; J. Joll, G li anar c h ic i, Il Saggiatore, Milano 1970, pp. 75-103; H. Arvon, L anarchism o, DAn na, Messina-Firenze 1973, pp. 40-47. 6 E con questa chiave che Bougl interpreta, a nostro avviso giustamente,

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Note allintroduzione

tutto il pensiero di Proudhon. C. Bougl, P ro u d h o n , Alcan, Paris 1930, pp. 6 -1 1 . 7 Max Nettlau, il maggiore storico dellanarchismo, vede Proudhon pro prio da questo punto di vista. M. Nettlau, B reve sto ria dell'anarchismo, Antistato, Cesena 1964, pp. 47-52. Alcuni studiosi di Proudhon hanno per sottolineato il carattere fortemente polemico delle opere scritte in questo periodo, per cui il suo anarchismo deve essere spiegato con la par ticolare situazione storica creatasi con lo scoppio rivoluzionario del '48, un anarchismo quindi contingente e destinato ad essere in parte superato. G. Gurvitch, L 'ide d u droit social, Sirey, Paris 1932, p. 316; G. Dolleans, P roudhon, Gallimard, Paris 1948, p. 216; E. Mounier, A narchie e t personnalistne, in O eu vres, Ed. du Seuil, Paris 1961, p. 110; A. Zanfarino, Ordine sociale e lib e r t in P roudhon, Morano, Napoli 1969, p. 83; P. Ansart, La sociologia d i P ro u d h o n , Il Saggiatore, Milano 1972, p. 179. 8 Per un panoram a d'insieme delle pi recenti interpretazioni di Prou dhon, cf.: L 'a c tu a lit de P ro u d h o n (Colloque de 24 et 25 novembre 1965), Editions de l Institut de Sociologie de lUniversit Libre de Bruxelles, Bru xelles 1967; E . Sciacca, L 'a ttu a lit di P ro u d h o n , in A na rch ici e anarcha nel m o n d o c o n te m p o r a n e o (Atti del Convegno promosso dalla Fondazione Luigi E in au d i, Torino 5, 6 e 7 dicembre 1969), Einaudi, Torino 1971, pp. 345-362; S . Rota Ghibaudi, R e c e n ti in te rp reta zio n i d i P roudhon, in Il pensiero p o litico , anno IV, n. 1, 1971, pp. 46-60. 9 F. Della Peruta, I dem o cra tici italiani e la rivo lu zio n e italiana. Dibat titi ideali e c o n tr a s t i politici a ll'in d o m a n i d e l 184S, Feltrinelli, Milano 1974, pp. 125-179; P . C. Masini, D itta tu ra e rivoluzione nei d ib a ttiti d e l Risorgi mento, in V olont , n. 1, 1947-1948. 10 P. J. P ro u d h o n , L a fd ra tio n e t l'u n it en Italie (1862); Id., Nouvelles observations s u r l'u n it italien n e (1865), Rivire, Paris 1959, pp. 79-251. 1 1 B. B ru n ello , F errari e P ro u d h o n , in Rivista Intemazionale di Filo sofia del D ir itto , 1951, pp. 58-75; F. Della Peruta, L e tte re d Ferrari a Proudhon (1851-1861), in Annali dellistituto G. Feltrinelli, IV, 1961, pp. 260-291; I d . , Un capitolo d i sto ria del socialism o riso rg im en ta le: Prou dhon e F e r r a r i , in Studi storici , 1962, pp. 307-341; S. Rota Ghibaudi, Ferrari e P r o u d h o n , in Il pensiero politico , I, 1968, pp. 190-207; C. D'Ama to, La f o r m a z i o n e d i G iuseppe F erra ri e la c u ltu ra italiana nella p rim a met dell'800, in S tu d i storici , n. 4, 1971. 1 2 N. R o s s e lli, C arlo Pisacane n e l R iso rg im e n to italia n o , Einaudi, To rino 1977, p. 163; L. Valiani, Q u e stio n i d i sto ria del so cia lism o , Einaudi, Torino 1975, p p . 14 e 59; F. Della Peruta, In flu e n ze p ro u d h o n ia n e su l gior nale genovese L ib e r t e asso cia zio n e , in Movimento operaio e contar dino ligure , n . 3, 1955; F. Battaglia, Le idee sociali e p o litich e d i Carlo Pisacane, in R iv is ta Internazionale di Filosofia del Diritto , 1943, p. 207; L. Russi, P i s a c a n e e la rivo lu zio n e fa llita , Jaca Book, Milano 1976, p. 70. 1 3 F. Della P e r u ta , I l so c ia lism o risorgim entale di F errari, Pisacane e Montanelli, in Movimento operaio , n. 1-3 1956; L. Valiani, Q uestioni di storia..., p. 53; H L. V alian i, Q u e stio n i di s to r ia ..., p. 75. 1 SA. J u tg la r B em aus, F ed e ra lism o y revolucin. Las ideas sociales de Pi y Margall. P r o lo g o de C. Seco Serrano, Publicaciones de la Ctedra de historia g e n e ra l de Espaa, Barcelona 1966, pp. 75-92. t R. Carr, S t o r i a d e lla S p a g n a 1808-1939, La Nuova Italia, Firenze 1978, pp. 412-413. HC. A.M. H e nnessy, T h e F ed era l R e p u b lic in Spain. Pi y M argall and

N ote allin tro d u zio n e

211

th Federai R e p u b lic a n M o v em e n t 1868-1874, At th Clarendon Press, Ox ford 1962. 18 G. Brenan, S to r ia d e lla Spagna 1874-1936. L e origini so c ia li e p o litic h e d e lla guerra c iv ile , E inaudi, Torino 1970, p. 144. 19 A. Lorenzo, E l p ro le ta ria d o m ilita n te . M em o ria s de u n In te r n a tio n a l, Ed. del Movimento Libertario Espaol, Toulouse 1946. 20 J. Gmez Casas, S to r ia d e ll'a n a rsin d a c a lism o spagnolo, Jaca Book, Mi lano 1975, pp. 51-311; J. Peirats, La C .N .T . n ella rivoluzione spagnola, Anti stato, Milano 1976, vol. I. 21 F. Venturi, Il p o p u lis m o ru sso , Einaudi, Torino 1972, vol. I, p . 28. 22 Ibid. p. 31 e pp. 252 , 295. M. Midia, A lle origini d el so c ia lism o russo, il Mulino, Bologna 1972, pp. 461-465. Per il rapporto Herzen-Proudhon si veda lo studio specifico di M. Mervaud, U e rzen et P roudhon, in Cahier du monde russe et sovietique , vol. X II, fase. 1-2, gennaio-giugno 1971, pp. 110 ss. 23 P. P. Poggio, C o m u n e conta d in a e riv o lu zio n e in R u ssia , Jaca Book, Milano 1978, pp. 119-237. 24 T. Tornasi, Id e o lo g ie libertarie e fo rm a zio n e um ana, La Nuova Ita lia, Firenze 1973, pp. 152-168. 25 Incomprensibile quindi la tesi di Y. Bourdet, Per l'a u to g e stio n e , Moizzi. Milano 1976, secondo cui Marx ed Engels sarebbero stati i veri fautori dellautogestione e del decentramento. Com noto solo lo scritto su La gu e rra civile in F rancia potrebbe legittimare ima simile ipotesi. Se non che, come ha sostenuto il massimo biografo di Marx, Franz Meringh (F. Meringh. V ita d i M arx, E ditori Riuniti, 1966, pp. 453-454) si tra tta di uno scrit to di occasione e di opportunit, come parentesi in una continuit che va in tu ttaltra direzione. Sulle contraddizioni di Marx di fronte alla Comune di Parigi che lo costrinsero appunto a doversi rimangiare quanto, per anni aveva scritto ed affermato, cf., p er esempio, S. Avineri, T h e S o c ia l and P oliticai T h o u g h t o f K . M arx, University Press, Cambridge 1969, p. 239; A. Lehing, A n a rc h is m e e t b o lsc ev ism e , in AA. VV., A n a rch ici e anarchia..., p p. 430-434; D. Settembrini, Due ip o te si p e r il so c ia lism o ..., pp. 255-263. Del resto Bernstein aveva scritto a proposito di questo scritto: in tutte le sue linee essenziali straordinariamente simile al federalismo di Prou dhon . E. Bernstein, I p re su p p o s ti d e l so c ia lism o e i c o m p iti d ella social d em ocrazia, Laterza, Bari 1974, p. 197. Non occorre dire che Du prin cip e f d ra tif di Proudhon fu pubblicato nel 1863, T he c iv il War in France di Marx nel 1871. Sulla influenza determ inante che la concezione proudhoniana ebbe nella originaria concezione sovietica della democrazia dei consigli, documenta opportunam ente O. Anweiler, S to ria d e i soviet (19051921), Laterza, Bari 1972, pp. 9-12. 26 J. Verdes, Les d l g u s fra n a is aux co n f re ce n se e t congrs d e l'A s sociation In te r n a tio n a le d es T ra va ille u rs, in , Cahiers de lISEA (Etude de marxologie), n. 152, Paris 1964, pp. 83-162. 27 E. Dolleans, S to ria del m o v im e n to o p e ra io , Edizioni Leonardo, Ro m a 1946, p. 302; La P rem ire In te rn a tio n a le . R ecueil d e d o c u m e n ts. Publi sous la direction de Jacques Freymond. Textes tablis par Henri Burgelin, Knut Langfeldt et Mikls Molnar. Introduction par J. Freymond, Li brairie Droz, Genve 1962 - Publications de l institut de Hautes tudes Internationales, n. 39, vol. I. 28 S. Bernstein, T h e F irst In te r n a tio n a l in France 1864-1871, in Id., E ssa y s in P oliticai a n d In te lle c tu a l H isto ry , Paine-Whitman Publishers, New York 1955, pp. 134-149. 29 Ricorda il Cole che era stata la Francia, e non lInghilterra o la

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Note allin trodu zion e

Germania il centro vero dell'attivit dell'Internazionale come movimento operaio di massa, con propaggini in Belgio e nella Svizzera francese , e che Marx quindi non aveva quasi nessun seguito in seno all'Interna zionale . G. D.H. Cole, Storia d e l pensiero socialista. M a rx ism o e anar ch ism o (1850-1890), Laterza, Bari 1967, vol. I I, pp. 150 e 185.30 Rimando al mio M arxism o e a n a rc h ism o nella P rim a In te m a zio n a le : il significato d i uno sco n tro , in An. Anarhos , anno I, n. 3, pp. 240-263. 31 La C o m m u n e de 1871 sous la direction de Jean B ruhat, Jean Dautry et mile Tersen avec la collaboration de Pierre Angrand, Jean Bouvier, Henri Dubief, Jeanne Gaillard et Claude Perrot, Editiones Sociales, Pa ris 1960, p. 28. 32 G. Borgin, In tro d u zio n e a La C om une e la guerra d e l 1871, dalle ope re di A. D unois, E. Dolleans, A. Chuquet, P. O. Lissagary, C. Pelletan, E. Reclus, C. Seignobos, M. Villaume, a cura di Georges Bourgin e Max Terrier, M ondadori, Milano 1956, p. 32. 33 Diverse sono a questo proposito le interpretazioni. Secondo Edvard Droz (E. Droz, P ro u d h o n , Librairie des Pages Libres , Paris 1909) Proudhon doveva essere considerato il padre spirituale del movimento sindacale francese. A questa concezione della filiation, Lucien Febvre op poneva quella d e l ren c o n tre. L. Febvre, P our u n e h isto ire part e n tire, Paris 1962, pp. 772, 786 e 789, m entre Pirou (G. Pirou, P ro u d h o n ism e et syndacalism e r v o lu tio n n a ir e , Rousseau, Paris 1910, pp. 6-10 e 324-326) si poneva in u n a posizione intermedia. 34 G. Sorel, E x g s e s p ro u d h o n ie n n e s, in Id., M atriaux d 'u n e th o rie d u proltariat, R ivire, Paris 1921, pp. 415 ss.; E. Berth, P ro u d h o n e t M arx, in Id., Du c a p i t a l a u x rflections s u r la v io le n ce , Rivire, Paris 1932, pp. 69-168. 35 F. P elloutier, H isto ire s des b o u rse s du travail: O rigine, In s titu tio n s , Avenir, prface p a r Georges Sorel, Alfred Costes, Paris 1946, pp. 93-102. 36 A. Kriegel, L e sy n d a c a lism e r v o lu tio n n a ire et P ro u d h o n , in AA. VV., A ctualit de P r o u d h o n ..., pp. 47-66. 37 Come o s s e rv a giustamente E. Sciacca, L a ttualit d i P rou d h o n ..., p. 353. 3 G.D.H. C o le , S to r ia d e l p e n sie ro socialista. C o m uniSm o e so c ia ld e mocrazia 1914-1931, Laterza, Bari 1968, vol. IV, p. 8 . 39 C. Rosselli, S o c ia lis m o liberale, a cura di John Rosselli, in O pere com plete, E in a u d i, Torino 1973, p. 441. 40 P. J. P ro u d h o n , D e la c lb ra tio n du d im a n c h e (1839), Rivire, Pa ris 1926, p. 31. P i avanti scriver: La scienza va scoperta, non inven tata . Ib id ., p. 8 9 . 41 P. J. P ro u d h o n , S y s t m e d e s c o n tr a d ic tio n s co n o m iq u es, ou p h ilo sophie d e la m i s r e (1846), Rivire, Paris 1923, vol. II, p. 87. 42 P. J. P ro u d h o n , P h ilo so p h ie d u progrs (1853), Rivire, Paris 1946, p. 70. Preciser q u a lc h e anno dopo: Il reale il multiplo, la serie, la sintesi . P.-J. P r o u d h o n , L a p o rn o c ra tie ou le s fe m m e s d a n s les te m p s m odernes (1875), R iv ire, Paris 1939, p. 396. 43 P. J. P ro u d h o n , T h o r ie de la p ro p ri t (1866), Lacroix, Paris 1866, p. 229. Altrove e g l i aveva precisato che la realt complessa per natura: il semplice non p u uscire dallo schema dell'ideale, arrivare al concreto . P. J. Proudhon, D n p r in c ip e f d ra tif e t de la n cessit d e re c o n stitu e r le parti de la r v o lu e t i o n (1863), Rivire, Paris 1959, p. 287. 44 P. J. P r o u d h o n , D e la ju stic e d a n s la r v o lu tio n et d a n s 'E glise (1858), Rivire, Paris 1 9 3 5 , vol. IV , p. 148.

N o te all'introduzione
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213

45 P. J. Proudhon, T h o rie de la p ro p r i t ..., p. 52. Il sistema di Hegel ha riproposto il dogma della Trinit, panteisti, idealisti, materialisti sono diventati trinitari; e molta gente ha pensato che il mistero cristiano stesse per diventare assioma di metafisica. Del resto, il sistema di Hegel ha procurato al suo autore gravi critiche; gli si rimproverava che la sua serie era spesso solamente un artificio di lin gua, in discordia coi fatti; che lopposizione fra il primo e il secondo term ine non era sufficientemente m arcata e che il terzo non la sintetiz zava. Niente ci sorprende in queste critiche: Hegel anticipando i fatti invece di aspettarli, forzava le sue formule e dimenticava che ci che pu essere una legge d'insieme non basta a spiegare i dettagli. Hegel, in una parola, si era imprigionato in una serie" particolare e pretendeva attra verso essa spiegare la natura, cosi varia nelle sue serie e nei suoi ele menti . P. J. Proudhon, D e la cra tio n de l'o r d r e dans l'h u m a n it , o u p rin c ip e s d'org a n isa tio n p o litiq u e (1843), Rivire, Paris 1927, pp. 162-163. 47 P. J. Proudhon, De la ju s tic e ..., voi. I, p. 211. 48 P. J. Proudhon, De la c r a tio n ..., p. 214. 49 P. J. Proudhon, La g u e rre et la paix, re c h e rc h e s su r le p rn c ip e e t la c o n stitu tio n d u d ro it d e s gens (1861), Rivire, Paris 1927, p. 107. La cri tica di Proudhon alla dialettica hegeliana attraversa, si pu dire, tu tta l'evoluzione del suo pensiero. Ne diamo qui un'idea riportando ancora alcuni giudizi sparsi nelle sue opere. Proudhon considera Hegel prigio niero di un circolo chiuso. Bench costeggi perpetuamente l esperienza , per costruire la propria logica, il filosofo tedesco ha abbandonato lespe rienza e non ha compreso che la teoria dei contrari, d'una potenza incom parabile..., non tuttavia la sola rivelazione della realt e della ragione (P. J. Proudhon, S y s t m e d e s c o n tra d ic tio n s..., voi. I, pp. 171-172). Inol tre l'equilibrio instabile fra i due term ini non nasce da un terzo term i ne, ma dalla loro azione reciproca (P. J. Proudhon, De la ju stic e ..., voi. I, pp. 28-29). La sintesi di Hegel essendo anteriore e superiore ai due termini che unisce , governativa e perci conduce alla prepo tenza dello Stato e al ristabilim ento dellautorit (P. J. Proudhon, La po rn o cra tie, o u les fe m m e s d ans les te m p s m o d e m e s , Lacroix, Pa ris 1875, p. 91). Sulla dialettica proudhoniana cf. G. Gurvitch, D ialectique et sociologie, Flammarion, Paris 1962, pp. 96-117 (trad. it-. D ialettica e sociologia, Citt Nuova Ed., Roma 1968). 50 A. Zanfarino, O rdine sociale..., pp. 51-72; G. Gurvitch, P ro u d h o n ..., Guida, Napoli 1974, pp. 19-33. 51 P. J. Proudhon, S y s t m e des c o n tr a d ic tio n s ..., voi. II, p. 389. 52 A. Zanfarino, O rdine sociale..., pp. 69-72. La scienza della societ sar sempre incompiuta; la profondit e la variet delle questioni che abbraccia sono infinite . P. J. Proudhon, Q u 'est-ce que la proprit? ou re c h e rc h e s s u r le p rin c ip e d u d ro it e d u g o v e rn e m e n t (Premier mmoire), Rivire, Paris 1927, p. 317. 53 Antinomia, letteralm ente contro-legge, vuol dire opposizione nel principio o antagonismo nel rapporto, come la contraddizione o antilogia indica opposizione o contrariet nel discorso [...]. L'antinomia non fa che esprimere un fatto, e s'impone imperiosamente allo spirito: la con traddizione propriamente detta un assurdo . P. J. Proudhon, S y st m e d e s c o n tr a d ic tio n s ..., voi. I, p. 49. Diversamente quindi da tanti critici affrettati che lo hanno accusato di avere malamente assimilato Hegel, Proudhon, pur con qualche incertezza, dimostra invece loriginalit del suo metodo. Fu Marx a vantarsi di avergli insegnato la filosofa hege-

Note allintroduzione
% rta , che per a suo giudizio, non fu capita dal francese (K. Marx, Letr a a Schweitzer, 24 gennaio 1865, in K. Marx, M iseria d e lla filosofia,

j tori Riuniti, Roma 1969, p. 185). Ci non vero. Per Cole, infatti, il e t odo di Proudhon non era un hegelismo travisato, ma una filosofia m p le ta m e n te diversa che non ha tanto a che fare con Hegel, quanto n la conoscenza kantiana della "socialit asociale degli uom ini. Fu a r~x a fraintendere Proudhon, non Proudhon a non capire le lezioni di = ilttica hegeliana impartitegli da Marx . G.D.H. Cole, S to ria del penr r o socialista, vol. I, I p re c u rso ri 1789-1850, Laterza, Bari 1966, p. 243. l c I i c Gurvitch sostiene che Proudhon sub pi linfluenza di Kant che H e g e l. G. Gurvitch, P roudhon..., pp. 20-21, mentre Ansart ribadisce lori l i t del metodo proudhoniano. P. Ansart, La sociologia di P roudhon, S ag g iato re, Milano 1972, p. 40. Proudhon, comunque, non aveva sems ben chiara la differenza fra kantismo e hegelismo. Come documenta n a t a Allio (R. Allio, Le c o n tra d d izio n i econom iche d i P ro u d h o n nella f t e a d i M arx, Ptron, Bologna 1978, pp. 16-17) egli sovrapponeva a t e i due sistemi. .54 Io costruiscb il sistema delle a n tin o m ie della societ pressappoco t i c Kant aveva fatto la critica delle antinomie della ragione. Proudhon Wckerman, 2 luglio 1846, C o rresp o n d a n ce de P.-J. P roudhon, 14 voli., L a c ro ix 1875, tomo II, p. 207. S S Cit. in G. Guy-Grand, P o u r co n n a tre la pense de P ro u d h o n , BorParis 1947, p. 44. La filosofia, basandosi sempre di pi sulle scienze . i tiv e , perde il suo carattere d'a p rio ri, e conserva la sua originalit s n d o la propria critica. La filosofia, nel diciannovesimo secolo, la s t o c te lla filosofa . P. J. Proudhon, La r v o lu tio n sociale d m o n tr e par te r p * d 'E ta t du 2 d ce m b re , Garnier frres, Paris 1852, p. 51. ><S Lettera di Proudhon a Guillaumin, 7 novembre 1846, riprodotta da I - t . Picard nella sua Introduzione a S y s t m e des c o n tra d ic tio n s..., p. 12. 7 7 G. Gurvitch, P ro u d h o n ..., p. 24. con questa stessa chiave di lettura .Moysset interpreta giustamente, a nostro avviso, la concezione prouix ia n a deUantagonismo universale in ogni campo dell'esperienza umaU . Moysset, In tr o d u c tio n a P. J. Proudhon, La guerre et la paix..., XXX-XXXI e LIV-LV1. Cf. pure G. Guy-Grand, Pour c o n n a tre ...,
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.8

p. J. Proudhon, T horie d e l'im p t (1861), Lacroix, Paris 1868, p. 234. 9 P. J. Proudhon, S y s t m e d e s c o n tra d ic tio n s..., vol. II, p. 172. 0 P. J. Proudhon, De la c r a tio n ..., p. 132. 1 A. Zanfarino, O rd in e so cia le..., p. 58. Per tutto questo si vedano it_*nque anche le altre fondamentali pagine di Zanfarino a cui ci 1 0 costantemente riferiti. A Zanfarino, O rdine sociale..., pp. 51-72. 2 Per l influenza di Fourier su Proudhon cf. A. Cuvillier, In tro d u c tio n J. Proudhon, D e la c r a tio n ..., pp. 21-26. 5 P. J. Proudhon, De la c r a tio n ..., p. 201. Secondo Proudhon, il pri proprio della filosofia, mentre il secondo comincia praticamente F o u r ie r . Ib id . A . Zanfarino, O r d in e so cia le..., p. 59; P. J. Proudhon, De la cra. . . . P. 215. P . J. Proudhon, D e la clb ra tio n d u d im a n c h e..., p. 61. P . J. Proudhon, S y s t m e d e s c o n tr a d ic tio n s ..., vol. II, p. 166. r J b id . ! Il fatto e Videa sono realmente inseparabili, il primo percepito i a n t e i sensi, la seconda colta mediante lintendimento . P. J. Prou-

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dhon. De la ju stic e d a n s la r v o lu tio n et d a n s l 'Eglise', trad. it., L a g iu sti zia nella rivoluzione e n e lla C hiesa, Utet, Torino 1968, p. 585. 69 Perch, egli continua, se la serie sociale inattuabile nella sua form a, le sue unit organiche sono allo stesso tempo, viventi, intelligenti e intellegibili . P. J. Proudhon, D e la c r a tio n ..., p. 458. 70 E un assioma della filosofa moderna che ogni cosa ha la sua idea, pertanto il suo principio e la sua legge; che ogni fatto adeguato alla sua idea; che niente si produce nelluniverso che non sia l'espressione di u n idea . P. J. Proudhon, La g u e rre et la p a ix ..., p. 9. La realt fisica, ricordatevene, non vale che tram ite lo spirito, per l'ideale che respira in essa . P. J. Proudhon, Du p r in c ip e de l'a r t e t d e sa d e stin a tio n sociale (1865), Rivire, Paris 1939, p. 189. 71 A. Zanfarino, O rd in e so c ia le ..., p. 64; G. Gurvitch, P ro u d h o n ..., pp. 26-27. 72 P. J. Proudhon, D e Ha c r a tio n ..., p. 458. 73 Cf. P. J. Proudhon, P h ilo so p h ie du p r o g r s ..., p. 58. 74 A questo proposito Proudhon richiama p er analogia la matematica affermando, con Newton, che il numero non esprim e che un rapporto, per ci, secondo lui, la prim a cosa che distingue i matem atici di astenersi da ogni speculazione sulla so sta n za e sulla causa. P. J. Proudhon, De la c r a tio n ..., p . 141. Molto pili tardi continuer ad affermare: La verit, dunque, possiede un duplice aspetto, il pi chiaro quello di rela zio n e . P. J. Proudhon, La p o m o c r a tie , o u les fe m m e s ..., p. 391. 75 (che vuol dire, in altri termini) eliminare dalla considerazione delle cose lAssoluto . P. J. Proudhon, De la ju stic e ...; trad. it.. La giu s tiz ia ..., pp. 565 e 744. Ogni verit dinsieme implica armonia, simme tria, serie tra diversi term ini, ovvero ra p p o rto . P. J. Proudhon, L a porn ocratie, o u les fe m m e s ..., p. 389. 76 P. J. Proudhon, L a r v o lu tio n sociale d m o n tr e ..., p. 43. 77 La coordinazione esclude la gerarchia [...] sinonimo dellugua glianza delle funzioni, l essenza della democrazia . P. J. Proudhon, De la c r a tio n ..., p. 433. A Zanfarino, O rdine so c ia le ..., pp. 66-67. 78 C arnets de P. J. P ro u d h o n , Rivire, Paris 1960, vol. I, p. 373. 79 P. I. Proudhon, De la c r a tio n ..., p. 139. 80 Per Proudhon, insomma, la serie la condizione suprema della scienza, come della stessa oreazione . Ib id ., J. Bancal, P luralism e et a u to g estio n , Aubier-Montaigne, Paris 1970, vol. I, pp. 100-111. 81 Perch vi sia una scienza universale bisognerebbe che tutte le scienze particolari si concatenassero in modo da formare una serie dimo strabile con un unico principio, e suscettibile di essere nella sua immen sa multiplicit analizzato da una stessa legge e riportato agli stessi ele m enti . I b i d ., p. 152. 82 P. J. Proudhon, T h o rie d e la p ro p r i t ..., p. 213; Id., T h o rie de l'im p t, p. 239. 83 P. J. Proudhon, E c r its s u r la religion (1898), Rivire, Paris 1959, p. 227. 84 P. J. Proudhon, D e ta c r a tio n ..., p. 296. 85 Ib id ., p. 421.
86 Ib id .

87 Il lavoro, come la libert, lamore, l ambizione, il genio, cosa vaga e indeterminata per sua natura, ma che si definisce qualitativamente per il suo oggetto, vale a dire che diventa una realt attraverso il suo pro dotto . P. J. Proudhon, S y s t m e des c o n tra d ic tio n s..., vol. I, p. 113.

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8 J. Bancal, P luralism e et a u to g estio n ..., voi. I, p. 63. 9 lb id ., p. 301. 90 P. J. Proudhon, S ystm e d e s co n tra d ictio n s..., voi. II, p. 106. Questo concetto dellessere collettivo attraversa tutta la riflessione proudhoniana fino alle sue ultime opere. Per me, la societ umana un essere reale, allo stesso titolo delluomo, che ne fa parte. Questo essere, co stitu ito da uomini, m a che non la stessa cosa di un uomo, ha la sua v ita, il suo potere, i suoi attributi, la sua ragione, la sua coscienza, le sue passioni . P. J. Proudhon, La p o m o c ra tie, o u les fe m m e s ..., pp. 396-397. 91 Le collettivit, gruppi, generi, specie non sono pure finzioni del nostro intelletto, bens realt reali quanto le individualit, monadi o molecole che le costituiscono, ed allo stesso titolo di queste ultim e . P. J. Proudhon, L a p o m o c ra tie , o u les fe m m e s ..., p. 395. 92 C. Bougl, La sociologie d e P ro u d h o n , Colin, Paris 1911, p . XII. Sulla validit scientifica di questa nozione Mario Albertini, riprendendo un giudizio di Ferrarotti (F. Ferrarotti, S to ria della so c io lo g ia , in S to ria delle sc ien ze, Utet, Torino 1962, voi. Ili), avanza molti dubbi in quanto sarebbero rielaborazioni del vecchio mito organicistico della societ come persona umana. M. Albertini, In tro d u zio n e in P. J. Proudhon, L a g iu stiz ia ..., pp. 10-37. Tuttavia sia Ferrarotti che Albertini concordano con Gurvitch, che invece fa proprie queste nozioni, nel considerare Proudhon come uno dei fondatori della sociologia. G. Gurvitch, La v o c a tio n a c tu e lle de la sociologie, Paris 1957, tomo I, p. 1; F. Ferrarotti, La sociologia, sto ria , con c etti e m e to d i, Torino 1961, p. 38; M. Albertini, In tr o d u z io n e ..., pp. 34-37. 93 P. J. Proudhon, D e la c r a tio n ..., p. 94. 94 * L'ordine si stabilisce nellumanit p er la conoscenza che l'essere col lettivo acquista delle proprie leggi . P. J. Proudhon, D e la c r a tio n ..., p. 37. 95 P. J. Proudhon, De la ju s tic e ..., voi. I li, p. 258. 96 La ragione c o lle ttiv a cosi definita da Proudhon: lequazione o il bilanciamento reciproco dei pensieri individuali . E ssa distrugge me* diante le sue equazioni, il sistema formato dalla coalizione delle ragioni particolari; dunque, essa non soltanto differente rispetto ad ognuna di queste, anche superiore a tutte (P. J. Proudhon, D e la ju s tic e ...; trad. it., La g iu stiz ia ..., pp. 764-765). Essendo conforme alla giustizia com anda l'u guaglianza delle condizioni . P. J. Proudhon, De la c l b r a tio n d u dim a n . c h e..., p. 59. 97 P. J. Proudhon, D e la ju stic e ...; trad. it.. La g iu s tiz ia ..., p. 765. 98 P. J. Proudhon, Q u 'est-ce q u e ..., p. 339. A sottolineare la priorit proudhoniana di questa definizione stato G. Richard, L a q u e s tio n sociale e t le m o u v e m e n t..., P- 204. 99 Non vi sono che tre sistem i di raggruppamento per gli esseri mo rali, tre modi o form ule di associazione: il comuniSmo, l u tilita r is m o e la G iu stizia . Il prim o sistem a non tiene conto che della societ e sacrifica lin dividuo. Il secondo accantona la societ, non ricerca che la libert e fa appello al solo interesse; il terzo concilia la societ e l individuo, accorda a ciascuno la loro p a rte e identificando l uomo e l um anit fa predominare la giustizia sull'egoism o . Proudhon a Rolland, 22 marzo 1860, in P. J. Prou dhon, L e ttr e s a u c ito y e n R o lla n d (5 o c to b r e 1858 - 29 ju ille t 1862), Grasset, Paris" 1946, pp. 63-64. J. Bancal, P lu ra lism e et a u to g e s tio n ..., voi. I, pp. 90-106. 100 P. J . P roudhon, T h o rie d e la p ro p ri t ..., p. 207; A. Zanfarino, O rd in e s o d a t e ..., PP- 66-67. 101 P.-J. P roudhon, S y s t m e d e s c o n tr a d ic tio n s ..., voi. II, p. 393.

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102 Jbid. 103 Sullinterpretazione della nozione di ragione collettiva divergono le tesi di Gurvitch e di Ansart. Gurvitch (G. Gurvitch, P ro u d h o n ..., p . 44) af ferm a che essa richiama un po' la volont generale di Rousseau e pu perci essere scambiata per una forma di totalitarismo. Ansart, invece (P. Ansart, L a sociologia d i P ro u d h o n ..., p. 34), dice che lo scopo della ragione c o lle ttiv a quello di lim itare linvadenza delle ragioni individuali, p e r loro n atu ra assolutistiche. In effetti Proudhon ha testualm ente affer mato: Ritengo inutile insistere su questa distinzione fondamentale tra la ragione individuale e la ragione collettiva, la prima essenzialmente assolu tistica, la seconda ostile ad ogni assolutismo . P. J. Proudhon, De la ustic e ..., voi. I l i , p. 253. 104 p. J. Proudhon, D e la c r a tio n ..., p. 421. 105 P. J. Proudhon, C o n fessio n s d 'u n r v o lu tio n n a ire (1849), Rivire, Pa ris 1929, p. 282. Lo stesso concetto in P. J. Proudhon, La r v o lu tio n sociale d m o n tr e ..., pp. 37-38. 106 P. J. Proudhon, Q u est-ce q u e ..., pp. 214-215. Questo concetto centra le dellanalisi proudhoniana dello sfruttam ento lo ritroviamo p i volte. Cosi, in u n 'altra occasione, egli ebbe a scrivere: Cento uomini, che uni scono o combinano i loro sforzi, producono, in certi casi, non cento volte come uno, ma duecento volte, trecento volte, mille volte. A ci ho dato il nome di fo r z a c o lle ttiva . (Quindi) non basta pi allora pagare semplicemen te il salario ad un dato numero di operai per acquistare legittimamente il loro prodotto: bisognerebbe pagare questo salario due, tre, dieci volte di pi, oppure rendere a ciascuno di essi, a volta a volta, un servizio ana logo . P. J. Proudhon, Idea generale d e lla rivo lu zio n e n el X I X secolo (estratti), in P. Ansart, P. J. P ro u d h o n , La Pietra, Milano 1978, p . 136. 107 Q u 'e st-c e q u e ..., pp. 268 e 271; Id., A v e rtisse m e n t a u x p ro p rita ires, o u lettre a Ai. C o n sid ra n t su r u n e d fe n se d e la p ro p r i t (Troisime mmoire) (1842), Rivire, Paris 1938, pp. 194-195. 108 Come riconobbe lo stesso Marx: Proudhon, facendo del tempo di lavoro, esistenza imm ediata dellattivit um ana in quanto attivit, la misura di salario e della determinazione di valore di prodotto, fa del lato umano l'elemento decisivo . F. Engels - K. Marx, L a sacra fam iglia, E ditori Riu niti, Roma 1972, p. 59. Secondo gli studiosi francesi di Proudhon, quando questi afferma che il capitalista si appropria del prodotto della forza col lettiva anticipa i concetti marxiani di plusvalore e di forze produttive , R. Gonnard, H isto ire d e s d o c tr in e s c o n o m iq u e s d e p u is les p h ysio cra tes, L. D. J., Paris 1947, p. 303; M. J. Lajugie, Les co n ce p tio n s co n o m iq u e s..., p. 122; P. Ansart, M a rx e l'a n a rc h ism o , il Mulino, Bologna 1969, pp. 397-406; J. Bancal, P lu ra h sm e e t a u to g esti n , Aubier-Montaigne, Paris 1970, pp. 4041 e 77; G. Gurvitch, P ro u d h o n ..., p. 37; J. Langlois, A ttu a lit d i P roudhon, Sugarco, Milano 1980, p. 68. 109 P. J. Proudhon, Q u est-ce q u e ..., pp. 205 ss. 110 Sostengo che l uomo pu solo avere il possesso e l'uso, alla condi zione perm anente che lavori, lasciandogli per intanto la propriet delle cose che produce . Ib id ., p. 87. 111 I b i d ., p. 245. Su questa fondamentale distinzione si vedano le osser vazioni di C. Gide - C. Rist, H is to ir e d e s d o c trin e s co n o m iq u e s d e p u is les p h y sio cra te s ju s q u n o s jo u rs, Recueil Sirey, Paris 1913, pp. 342-343. 112 P. J. Proudhon, S y st m e d e s c o n tra d ic tio n s..., voi. Il, p. 212. E so prattutto in questo, egli aveva precedentemente precisato, che consiste ci

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che stato cosi ben definito lo sfruttamento deUuomo sull uom o . P. J. Proudhon, Qu'est-ce que..., p. 216. , ill Ib id ., p. 208. Id.t L e ttre a M. B la n q tii sur la p r o p n t (deuxime memoire) (1841), Rivire, Paris 1938, p. 126. 114 P. J. Proudhon, S y stm e des c o n tr a d ic tio n s ..., vol. II, p. 20. 115 M. Albertini, P roudhon, Vallecchi, Firenze 1974, pp. 65-76. 116 P. J. Proudhon, Q u'est-ce que...; trad. it.. Che c o s' la PPn e t - 0 ricerche sul prin cip io del d iritto e d e l governo, Laterza, B ari 1967, p. 117 P. J. Proudhon, S y st m e des co n tra d ic tio n s..., vol. I I , p. 301. 118 P. I. P ro u d h o n , De la ju stic e .... vol. I, p . 299. 119 P. J. P ro u d h o n , A vertissem en t a u x p ro p ri ta ires.... p p . 243-2, i .. Id e gnrale d e la rvolution au X l X e sicle, Rivire, Paris 1924, p p . 1M159. P. J. Proudhon, Systrne des c o n tra d ic tio n s..., vol. I I , p. 301. 120 C. N a p o leo n i, Valore, Isedi, Milano 1976, p . 48. . . 121 A questo proposito rimandiamo ancora u n a volta alle osservazioni di M. Albertini, P roudhon..., pp. 54-66. . , 122 . Qualsiasi capitale, sia materiale che intellettuale, poich un opera collettiva, form a di conseguenza una propriet collettiva . P. J. Prouanon, Q u est-ce q u e ..., p . 238. . , , 123 J. Bancal, P roudhon. P turalism e et a u to g e s tio n ..., . vol. 1, p. 124 M. I. Lajugie, Les conceptions co n o m iq u es de P ro u d h o n , in L a c t u lit d e P r o u d h o n ..., pp. 121-125. 125 R im a n d ia m o per questo alle osservazioni c ritic h e di M. Albertini, In tro d u zio n e a P . j . Proudhon, La g iu stizia ..., PP- 9-37. 126 P. J. P r o u d h o n , S y st m e des c o n tra d ic tio n s..., vol. I I , p . 223. 127 P. J. Proudhon M langes, Librairie Internationale, Paris 1870, vol. I l l , p. 53. 128 P. J. P roudhon, S y s t m e des c o n tra d ic tio n s..., vol. I , p. 73. ^ella ragione generale tu tte le idee sono coeterne: esse appaiono una dopo 1 altra soltanto nella sto ria , dove, a mano a mano, esse si vengono a m ettere alla testa delle cose e in prim a fila . P. J. Proudhon, Idea generale d ella riv o lu zio n e nel X I X se c o lo (estratti), in P. Ansart, P. J. P ro u d h o n ..., p. 158. 129 P. J. Proudhon, C a rn ets..., col. I, p. 133. 130 P. J. P roudhon, T h o rie de la p ro p ri t.... pp. 176-177. 131 Questo approccio dimostrerebbe secondo alcuni studiosi la sostan ziale debolezza d e l pensiero economico di Proudhon, il quale deve essere invece visto co m e teorico politico o come sociologo. E. James, S to ria del p e n s ie r o e c o n o m ic o , Milano 1963, p. 164; E. Roll, S to ria d e l pen siero eco n o m ic o , B oringhieri, Torino 1977, pp. 239-243. . . . 132 Chi dice societ dice insieme di rapporti, in una parola, sistem a P. J. Proudhon, Q u est-ce q u e ..., p. 233. 153 P. J. P r o u d h o n , Systme des c o n tra d ic tio n s..., vol. I, p. 283. 134 P. A nsart, L a so cio lo g ia ..., pp. 195-219. 135 L 'id en tit delle leggi della natura e della ragione, dell essere e aeil'idea... , I b i d ., p. 1 6 ; p. Ansart, M arx e l'anarchismo..., p. 161. 136 P. J. P ro u d h o n , D e la c r a tio n ..., p. 286, nota. 137 P. J. Proudhon, De la ju stic e ...; trad, it.. L a g iu stiz ia ..., p. 585. 138 P. J, Proudhon, L a guerre et la paix..., p. 9. 139 Passare d a lla speculazione all'azione non vuol dire cambiare ruolo: agire sem pre p e n s a r e , dire fare . P. 3. Proudhon, L e s confessions a un r v o lu tio n n a ir e ... , p 19 3 . p. Ansart, M arx e l a n a rc h ism o ..., pp. 299-313. 1 Lo sc a m b io , questo atto p er cosi dire assolutamente metafisico, assolutam ente a lg e b ric o , loperazione con cui nelleconomia sociale un 1-

N o te a ll'in trodu zion e

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dea prende un corpo, una figura e tu tte le propriet della materia: la creazione di n ih ilo . P. J. Proudhon, S y s t m e d e s c o n tr a d ic tio n s ..., voi. I I, p. 71. La separazione del reale e dellideale dunque impossibile . P. J. Proudhon, Du p r in c ip e de l a r t..., p. 61. 141 Lazione, sappiatelo, l'idea , Proudhon a Ch. Edm ond, 24 gen naio 1852, C o rresp o n d a n ce ..., voi. IV, p. 197. In materia d i politica, di morale pratica, di scienza sociale, di tu tto quanto attiene alla vita attiva e allattualit della societ, le teorie non sono soltanto idee, astrazioni dello spirito, ma anche interessi, influenze, coalizioni, intrighi, persone . Proudhon a Bergmann, 4 giugno 1847, C o rresp o n d a n c e ..., voi. II. p. 257. 142 Proudhon, p u r criticando l'apriorism o kantiano (P. J. Proudhon, Les c o n fe ssio n s d 'u n r v o lu tio n n a re ..., pp. 177-178 note) non nega lesi stenza di ima verit logica, universale e immutabile. A p r o p o s de L o u is B lanc in La Voix du Peuple , 11 gennaio 1850, ripubblicato in O eu vres c o m p l te s ..., voi. XIX, p. 75. Sullinfluenza di K ant si sofferma di sfuggita C. A. Saint-Beuve, P. I. P ro u d h o n . S a v ie e t sa c o rre sp o n d a n c e (1838-1848), Istituto Editoriale Italiano, Milano 1947, p. 92. 143 fi questa, ad esempio, la tesi di Pierre Haubtmann che accetta in pieno le critiche di Marx al presunto idealismo di Proudhon. P. Haubtmann, M arx e t P ro u d h o n : leurs ra p p o rts p e rso n n e ls (1844-1847), Economie et Humanisme, Paris-Lige 1947. 144 P. J. Proudhon, D e u xi m e m m o ir e su r la p ro p r i t ..., p. 181. 145 Per esempio questa formula spesso riprodotta: insomma i fatti umani sono incarnazione di idee umane; studiare le leggi della economia sociale quindi come fare la teoria delle leggi della ragione e creare la filosofa . P. J. Proudhon, S y s t m e d e s c o n tra d ic tio n s..., voi. I, p. 170. Oppure questaltra niente si produce nell'universo che non sia l'espres sione di unidea . P. J. Proudhon, La g u erre e t la paix..., pp. 9-10. 146 K. Marx, M iseria d e lla filo so fia ..., p. 94. 147 Queste annotazioni, scritte in margine al suo esemplare della M ise ria d ella filosofia, sono state riprodotte in P. J. Proudhon, Systme des c o n tr a d ic tio n s ..., voi. II, pp. 416, 418. 148 P. Ansart, M arx e l'a n a rc h is m o ..., p. 187. 149 Ib id ., pp. 161-162. 150 L'antagonismo dei principi, nella mia concezione, il fatto che serve a stabilire la necessit rispettiva e reciproca dei principi . P. J. Prou dhon a M. G. Guillaumin, 21 novembre 1846, C o rresp o n d a n ce ..., voi. II, p. 228. 151 Levoluzione sociale distesa nel tempo e nello spazio deve essere ab bracciata come se fosse d un tratto raccolta e formata su un quadro, che, mostrando la serie delle epoche, ne seguisse il concatenamento e lunit . P. J. Proudhon, S y st m e d e s c o n tra d ic tio n s..., voi. I, p. 73. 152 b id ., p. 258. 153 I b id ., p. 211. 154 Ib id ., voi. II, p. 301. 155 P. J. Proudhon, Id e gnrale d e la r v o lu tio n ..., p. 300. 156 P. J. Proudhon, De la ju stic e ...; trad. it.. La g iu stizia ..., p. 535. 157 Perch tale , per le societ moderne, la vera tirannia, che non si potrebbe meglio definire che con questa formula: a sso rb im e n to delle so
v ra n it locali in u n a a u to rit cen tra le, p e r u n o scopo sia d i glorificazione d inastica, sia di s fr u tta m e n to nobiliare, borghese, o sa n cu lo tto . P. J. Prou dhon, C o n tra d ictio n s p o litiq u es: th o rie du m o u v e m e n t c o n stitu tio n n e l au X l X e sicle (1870), Rivire, Paris 1952, p. 264.

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Proudhon, Id e gnrale d e la rvo lu tio n ..., p. 358. Pertanto noi crediamo che esiste in politica, sulla questione del governo una for mula adeguata a quella che abbiamo presentato [...] sulla questione del capitale Ibid. 159 p. j_ Proudhon, Les c o n fe ss io n i d 'u n rvolutionnaire..., p. 61. Ci che 1 umanit cerca nella religione e che chiama D io, essa stessa . P. J. Proudhon, Porlrait de J su s, Ed. de Flore, Paris 1951, p. 63. Non si p ra tica Dio senza realizzarlo, come in politica non si afferma l'assoluti smo dello Stato senza creare un despota. P. J. Proudhon, De la justice...; 1r\ Ziustizia - > P- 261. Sul radicale antiteismo proudhoniano, 9 e kubac avanza dei dubbi. A suo giudizio, Proudhon, pur criti cando ferocemente la religione e ogni forma di teismo, rimase sempre tormentato dal problema Dio . In lui il suo prepotente e sp rit euclidien non annull mai i suoi d e c h ire m e n ts d e conscience. H. De Lubac, Proudhon et le c h ristia n ism e. Ed. du Seuil, Paris 1945, pp. 308-314. 160 Come mai i giacobini, questi epuratori eterni, diventarono dopo il colpo di Stato di brumaio quasi tu tti apostati? Il fatto che con il loro spiritualismo, con il loro Essere supremo, la loro repubblica una e indivisibile, la loro propriet romana, la loro sovranit popolare e tutte ,, ~ . ent.'*.k metafisiche riprese da\V a ncien r g im e , essi non giuravano sulla Giustizia e sulla Verit, m a sull'assoluto . P. J. Proudhon, La ju sti ce...; trad. it.. La g iu stizia ..., p. 772. 161 Proudhon, M langes..., pp. 221-249. Una riproposizione contemdell'analisi dell'interiorizzazione psicosociale del principio di auto rit data dal notevole libro di R. Lourau, Lo S ta to incosciente, Edizioni Antistato, Milano 1980. ^ rouc*^on' M la n g es..., p. 42. Cosi il diritto divino non fece mai difetto al potere. In fatto, come in diritto, sempre lui, lui solo, che insedia il Governo. La democrazia del diciannovesimo secolo ha gridato, ancor pi fortemente del Medio Evo: V o x populi, v o x dei, che Mazzini tra duce con le parole Dio e p o p o lo . Grazie a questa massima, Napoleone I e Luigi Filippo, pur derivando dalla sovranit nazionale, poterono credersi tanto legittimi quanto Luigi XVIII ed Enrico V: non era cambiato che il modo di investitura. P. J. Proudhon, D e la ju stic e ...; trad. it., La g iu sti zia..., pp. 455-456. ^ ir Proudhon, De la capacit p o litiq u e d e s classes ouvrires (1865), Rivire, Paris 1924, p. 297. 164 O niente libert o niente governo . P. J. Proudhon, L e s confessions d u n r v o lu tio n n a ir e ..., p. 309. G overno o non G o vern o , sottraetevi a tale dilemma, reazionari, e avrete colpito a morte la Rivoluzione . P. J. Prou dhon, Id e g n ra le d e la r v o lu tio n ..., p. 182. Stato la costituzione esteriore della forza sociale . P. J. Prou dhon. Id e g n ra le de la r v o lu tio n ..., p. 367. leggi delleconomia politica sono le leggi della storia . P. J. Proudhon, D e la c r a tio n ..., p. 369. In ogni epoca, la costituzione politica i M 81 f*flesso dell'organismo economico, e il destino degli stati difeso dalle qualit e i difetti di questo organismo . P. J. Proudhon, M anuel d u sp e c u la teu r la B o u rse , in P. J. Proudhon, O eu vres c o m p l te s ..., voi. XI, p. 25. Ha to rto tuttavia il Bougl ad affermare che in questo testo si deli nea una specie di materialismo storico prim a di Marx . C. Bougl, S o c io logie de P r o u d h o n ..., pp. 108-113. Proudhon annoter infatti nei suoi Carnc/s. Io non dico che leconomia tu tta la societ come non pretendo che una serie sia tu tta la scienza, una formula tu tta la verit. Io dico che

Note all'introduzione

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la scienza economica in questo momento la Rivoluzione, ma senza esclu sione del resto . P. J. Proudhon, C a rn e ts..., vol. II, p. 71. 167 P. J. Proudhon, Ide gnrale d e la r v o lu tio n ..., p. 181. 1 168 P. J. Proudhon, C onfessions d 'u n r v o lu tio n n a ire ..., p. 284-285. 1M P. J. Proudhon. L a rvolution so c ia le d m o n tr e ..., p. 43. 170 P. J. Proudhon, M langes..., III, p. 35. 171 P. J. Proudhon, S y stm e d e s c o n tr a d ic tio n s ..., vol. I, p. 284. 172 P. J. Proudhon, M langes..., vol. I I I , p. 42. 173 P. J. Proudhon, Ide gnrale de la r v o lu tio n ..., p. 199. 174 p. J. Proudhon, C ontradictions p o litiq u e s : th o r ie du m o u v em en t c o n stitu tio n n e l..., p. 237; P. J. Proudhon, D e la ju stic e ...; trad. it.. La giu stizia..., pp. 559-560. 175 P. J. Proudhon, C arnets..., vol. II, p. 275. 176 P. J. Proudhon, Ide gnrale de la r v o lu tio n ..., p. 193. 177 Un confronto fra Proudhon e Rousseau fatto da Silvia Rota Ghibaudi (S. Rota Ghibaudi, P ro u d h o n e R o u sse a u , Giuffr, Milano 1965), la quale arriva a considerare Proudhon un continuatore di Rousseau (p. 158). La tesi, a nostro avviso discutibile, si basa sulla considerazione che sia Rousseau che Proudhon concepiscono come base fondamentale della societ il pluralismo che dal prim o sarebbe visto come l insieme di singole esistenze autonome, m entre dal secondo come linsieme delle asso ciazioni naturali autonome (p. 146). Anche A. Noland, P ro u d h o n a n d R o u s seau, in Journal of History of Ideas , XXVIII, 1967, pp. 33-54, arriva sostanzialmente ad analoga conclusione. A suo avviso, Rousseau, come gi Adam Smith e Saint-Simon, pu essere annoverato tra i maestri di Proudhon (p. 54). Per uninterpretazione diversa cf. T. Ruyssen, In tro duction a P. J. Proudhon, C o n tra d ic tio n s p o litiq u es: th o rie d u m ouve m e n t..., p p. 117-119. 178 P. J. Proudhon, P hilosophie d u p ro g r s ..., p. 66 . Per la distinzione proudhoniana fra stato di natura e stato sociale, distinzione che evidenzia la distanza fra Proudhon e Rousseau, cf. soprattutto P. J. Proudhon, Con tra d ic tio n s p o litiq u es: thorie d u m o u v e m e n t..., pp. 205-303. 179 p. J. Proudhon, Ide g n ra le d e la r v o lu tio n ..., pp. 189-195. In fine, dobbiamo capire che la repubblica pu solamente avere lo stesso principio della regalit e che prendere il suffragio universale come base del diritto pubblico, implicitamente affermare la perpetuit della monar chia. Noi siamo stati traditi dai nostri stessi principi; noi siamo stati vinti perch, a seguito di Rousseau e dei pi detestabili retori del '93, non abbiam o voluto riconoscere nella monarchia il prodotto diretto e quasi infallibile della spontaneit popolare; perch dopo aver abolito il governo fondato sulla grazia d i Dio, abbiamo preteso, con l'aiuto di unal tra finzione, costituire il governo fondato sulla g razia d el popolo; perci al posto di essere gli educatori delle masse, ne siamo diventati suoi schiavi . P. J. Proudhon, La r v o lu tio n sociale d m o n tr e ..., pp. 81-82. 180 P. J. Proudhon, De la c r a tio n .:., pp. 428 e 239-240; P. J. Proudhon, S o lu tio n d u p r o b l m e sociale (marzo 1848) ristampato nel IV volume delle O euvres c o m p l te s , A. Lacroix, Verboeckhoven et C., Paris 1868, pp. 48 ss. e M y stifica tio n d u su ffra g e u n iv e rs e l (aprile 1848) ristam pato in Id e s rvo lu tio n n a ire s, G arnier frres, Paris 1849, pp. 13-17; P. J. Proudhon, La rvo lution so c ia le d m o n tr e ..., pp. 82-84; P. J. Proudhon, D e la ju stic e ...; trad. it., La g iu stiz ia ..., p. 573. Questo rifiuto della democrazia rappresentativa, per quel tanto che di mistificante essa rappresenta ed esprime, stato interpretato assurdam ente da alcuni studiosi come un atteggiamento rea

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Mote all'introduzione

zionario. Curioso, per non dire altro, , ad esempio, quanto scrive J. Salwyn Schapiro, su un Proudhon addirittura anticipatore del fascismo. J. Salwyn Schapiro, P. J. P roudhon, H arbinger of fa scism , in The American Historical Review , 1945, pp. 714-737. 181 P. J. Proudhon, S o lu tio n du problm e, pp. 55-71. Com' noto fu questa la parola d'ordine della Prima Internazionale. Essa, come sottolinea il Puech, fu maturata proprio dalle idee proudhoniane. J. L. Puech, Le p ro u d h o n ism e dans l'association internationale d e s ravailleurs, Paris 1907, pp. 112-114. 1X3 P. J. Proudhon, R sistance la rvolution. O eu vres c o m p ltes..., voi. XIX, p. 1 2 . 184 P. J. Proudhon, L es c o n fe ssio n i d 'u n rvo lu tio n n a ire..., p. 338; Noi abbiamo sem pre pensato che il proletariato dovesse emanciparsi senza l'aiuto del governo . Id., Id es rvolutionnaires..., p. 6 . **5 Sul rapporto fra Marx e Proudhon oltre all'opera dell'Haubtmann citata, cf. D. Halevy, La v ie de P roudhon, Stock, Paris 1948, pp. 373 e 393405; G. Gurvitch, P ro u d h o n et Marx: une co nfrontation, Centre de documentation universitaire, Paris 1964; P. Ansart, Marx e l a n a rch ism o ..., pp. 467501. Sia il G urvitch che l Ansart tendono a sottolineare poco, sia pure in modo differente, la radicale differenza fra i due in rapporto alla tematica dello Stato e della dittatura del proletariato, facendo u n a lettura molto discutibile di u n Marx quasi libertario perch favorevole all'estinzione dello Stato. 186 Proudhon a Marx, 17 maggio 1846. C orrespondance..., voi. II, pp. 198200. 187 Il popolo francese, ancora per qualche tempo, vuole che lo si Bverni, e non m i costa confessarlo, cerca un uomo fortel . P. J. Proudhon, La rvolution s o c ia le d m o n tr e..., p. 25; Il popolo non concede niente alle libert m unicipali, dipartimentali, corporative, alle garanzie individuali della libert Ama i pezzi grossi: la centralizzazione, la repubblica indivisibile, lim pero unitario. Per la stessa ragione comunista . De la ju stic e ..., voi. IH , p 470 M Obbedendo al suo istinto di moltitudine asservita, esso (il popolo) b ad a p rim a di tutto a darsi un capo . P. J. Proudhon, De la capacil p o l i t i q u e . .. , p. 62. 188 p_ j p ro u d h o n , L e s c o n fe ssio n s d 'u n r v o lu tio n n a ire..., p. 83. 189 P.-J. P ro u d h o n , S y s t im e des c o n tra d ic tio n s..., voi. II, p. 313. 190 Sul p r o b le m a dell'avanguardia rivoluzionaria e dei rivoluzionari di professione , si veda la fondamentale opera di L. Pellicani, / rivoluzio" a ri d i p r o f e s s i o n e . Vallecchi, Firenze 1975. 191 P. J. P ro u d h o n , D e la capacit p o litiq u e..., p. 115. 192 Linfluenza sansim oniana sul pensiero di Proudhon sottolineata da M. Leroy, l l s t o i r e d e s id e s sociales en F rance, Gallimard, Paris 1954, voi- HI, p. 298, e da P. Ansart, M a rx e l'a n a rch ism o ..., pp. 16-18; m entre u n intelligente contestualizzazione di Proudhon nellam bito del socia lismo utopistico c i data dal saggio di S. Rota Ghibaudi, I l socialism o u to p istic o , in S t o r i a d e lle idee p o litich e , econom iche e sociali, diretta da Luigi Firpo, U te t, Torino 1972, voi. V, pp. 182-203. 193 La s p o n ta n e it , al minor grado negli esseri non organizzati, a mag gior grado nelle p i a n t e e negli animali, raggiunge, sotto il nome di libert, la sua pienezza n e l l uomo, che solo tenta di liberarsi da ogni fatalismo, tan to oggettivo c h e soggettivo, ed in effetti se ne libera . P. J. Proudhon, De 1 ju s tic e ..., v o i . I l i , p. 403. 194 C arnets d e P . J. P r o u d h o n ..., voi. II, pp. 203-204. Libert e necessit.

Note all'introduzione

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egli aveva specificato nelle C ontradictions, sono inseparabili m a distinte; opposte, antagoniste, ma mai irriducibili . P. J. Proudhon, S y s t m e d e s con tradictions..., voi. II, p. 250. 195 P. J. Proudhon, De la ju stic e , voi. I l i , p. 399. A. Zanfarino, O rdine sociale e libert..., p. 39. 196 P. J. Proudhon, Ides rvo lu tio n n a ires..., p. 255. 197 M. Albertini, P roudhon..., p. 95. 198 P. J. Proudhon, De la ju stic e ..., p. 422. Luomo in v irt del suo libero arbitrio, dichiara la natura indegna di lui; la giudica d allalto, la critica, la condanna o l'approva, la canta o la denigra, ne fa dipinti ideali o sarcastici, la denuda o la ricrea, come se volesse ricostruire il mondo su un piano migliore . Ib id ., voi. I li, p. 414. 199 Ib id ., p. 411. 200 La decadenza, la retrogradazione sono reali quanto il progresso. Ib id ., p. 537. 201 Mi sembra che voi dimentichiate totalmente una cosa essenziale, una cosa che produce tutto il bene e tutto il male del mondo, vale a dire la libert [...]. Voi avreste ragione, se lum anit fosse fatalmente e invincibil mente incatenata alle sue stesse leggi; ma non affatto cosf. Poich l'indi viduo padrone della sua vita e della sua salute [...], allo stesso modo io concepisco la possibilit per l'intera specie, di una aberrazione definitiva e irrimediabile [...] poich luomo, cio lintelligenza libera e progressiva, eterno e infinito come Dio . Proudhon a Langlois, 18 maggio 1850, Corrcsp on d a n ce..., voi. I l i , pp. 259-260. 202 Cf. P. J. Proudhon, De la ju stice...; trad. it., La g iu stizia ..., pp. 143159. Per i fondamenti dellidea di progresso e di giustizia in Proudhon cf. G. Santonastaso, P roudhon, Laterza, Bari 1935, pp. 22-43. Una conseguente in terpretazione anarchica dell'idea proudhoniana di giustizia in chiave di uguaglianza si riscontra nel pensiero di Kropotkin. Per Kropotkin, Prou dhon intende l'idea di giustizia com e il p ro d o tto d e ll'e vo lu zio n e della so ciet um a n a e perci come fatto spontaneo e naturale dell'etica sociale. Nessuno, afferma ancora Kropotkin, ha preparato il terreno cosi bene alla giusta comprensione dellidea di giustizia in quanto idea fondamen tale di tutta la morale, come ha fatto Proudhon . P. Kropotkin, L'etica, Edigraf., Catania 1972, pp. 234 e 235. La ricerca proudhoniana della giusti zia non deriva dunque, come pretende Gramsci, da una mera concezione giuridica quale sostanza del riformismo piccolo-borghese (A. Gramsci, Qua derni d e l carcere, Einaudi, Torino 1975, voi. 2, p. 1497) ma da una vera e propria visione socialista del tutto autonoma da motivazioni sociologiche di classe. A. Zanfarino, O rdine sociale..., pp. 209-227. 203 Lanima um ana costituita da una sorta di polarit, c o s c i e n z a e Scien za , in altri termini g i u s t i z i a e V erit . Su questo asse fondamen tale, come sulla loro dominante, gravitano tutte le altre facolt; la memo ria, limmaginazione, il giudizio, la parola, lamore, la politica, l'industria, il commercio, l'arte . P. J. Proudhon, D u principe d e l'a rt..., p. 185. B dunque su questa concezione immanente della giustizia che si fonda tutta la morale umana, morale che comporta perci lindipendenza politica, eco nomica e sociale degli individui. L. Duprat, Proudhon sociologue et m ora liste, Alcan, Paris 1929, pp. 4-8 e 67-82. 204 P. J. Proudhon, Les d m o c ra te s a sserm en ts et les rfractaires (1863), Rivire, Paris 1952, pp. 39-40. 205 Quando si giunge alle spiegazioni [...) la necessit sempre attra versata dalla contingenza. P. J. Proudhon, De la ju stic e ..., voi. Ili, p. 427.

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l

Note allintroduzione

Per lidea della radicale contrapposizione fra l'idea di progresso e idea di assoluto in Proudhon si veda T. Ruyssen, In tro d u c tio n a P. J. ProuP hilosophic d u progrs..., pp. 5-28 e K. Lowith, Significato e fine s ,oria. Comunit, Milano 1973, pp. 83-88. Uno studio specifico sull'im p o rtan te concezione proudhoniana del progresso visto come una consapeX ? ^infinita liberazione da ogni fatalit e determinismo dato dal saggio W r liam Harbold che concorda in sostanza con la tesi di Proudhon. W. arbold, P rogressive H um anity: in the P hilosophy o f P. J. Proudhon, in * W 7 Rev*ew of Politics , XXXI, 1969, pp. 28-48. "J* P ro u d h o n a M. Delaragear, 4 m arzo 1843, C orrespondance..., vol. Ill, P - 384. P ro u d h o n a Langlois, dicem bre 1851, C o rresp o n d a n ce ..., vol. IV, p. 158. P- J. Proudhon, P hilosophie d u progrs..., pp. 49-50. * I b id ., p . 53.
* Proudhon a Langlois, dicembre 1951, C orrespondance..., vol. IV, 5ij * ' Proudhon, De la ju stic e ..., vol. I l l , p. 540. 3 P. J. Proudhon, D e la ju stic e ..., vol. I l l , p. 511. 2 Ib id ., p . 497 .
5

2! L bid-

pp- 4M 9-

* Lidea vagamente concepita sotto la spinta del bisogno, poi diroz-

fo rm u la ta a ttra v e rso la contraddizione, d iv ien e rapidam ente u n dirit-

[]. Grazie alla persecuzione che ha subito, la rivoluzione oggi si conosce. Pu dire la sua ragione di essere; in grado di definirsi, di d& conosce il suo principio, i suoi mezzi; i suoi fini; ha il suo metodo ?2*1 SU c r* ,er' * J- Proudhon, Id e gnrale de la rvolution..., pp. 104,
216 La causa dei contadini la stessa di quella dei lavoratori dell'inustna; la M arianne dei campi la controparte della S o d a te delle citt . J-Proudhon, De la capacit p o litiq u e..., p. 69.

_ ,

L e s co n fessio n s d un rvo tu tio n n a ire..., pp. 118-127; '' r >e la capacit p o litiq u e ..., pp. 102-118.

218

Ibid"Proudhon, P P ' 89' 9 0

p Sul problema della coscienza di classe nel pensiero proudhoniano,


Canpelli, C lasse e coscienza di classe in P ro u d h o n , Altamurgia,

1974 -PP- 39-78. r~ P- J. Proudhon, D e la ju stic e ..., vol. I ll, p. 408. * J- Proudhon, L a rvolution so d a te d m o n tr e ..., p. 55. Per il pensiero pedagogico di Proudhon, cf. le interessanti pagine di Tornasi, Ideologie libertarie e fo rm a zio n e umana,.*., pp. 94-125. P- J . Proudhon, D e la ju stic e ...; trad, it.. La g iu stizia ..., p. 670. P- J. Proudhon, De la capacit p o litiq u e..., p. 95. , 5 Si vedano a questo proposito le pagine di A. Zanfarino, O rdine soc ,e- , Pp. 135-138. r i if?6 Proulhon deve essere riconosciuto come il prim o vero teorico S E r> aUt0^esl'one- Cf. a questo proposito gli studi fondamentali di - Huncal, Proudhon: u n e sociologie de ia u to g e stio n e P roudhon: u n e pratq u e d ell'tutogestion. L e s ra p p o rts critiq u es, in Autogestion , marsJ uin 1968, pp. 149-180 e dcembre 1968, pp. 143-169; septembre-dcembre 1969, P ? '. 1-250. Cf. pure R. Massari, L e teorie d e ll'a u to g estio n e, Jaca Book, 1 ano 1974, pp. 33-62. Si veda anche il recente P. Ansart, P. I. P roudhon..., P P - 9-47. Sull'attualit generale della tematica autogestionaria cf. A. Ber 0, La g n m ig n a so vversiva , saggio pubblicato nel num ero speciale dedi< - a 0 dalla rivista anarchica Interrogations , anno IV, nn. 17-18, 1979,

Note all'introduzione

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pp. 9-38 a questo argomento. Tutto il fascicolo comunque raccoglie le rela zioni presentate al Convegno internazionale di studi sullautogestione tenu tosi a Venezia nei giorni 24-26 settembre 1979. 227 P. J. Proudhon, De la capacit p o litiq u e..., p. 94. 228 P. J. Proudhon, Systm e des contradictions..., vol. I, p. 345. 229 P. J. Proudhon, Ide gnrale de la rvo lu tio n ..., p. 302. La super fluit del governo diventa per Proudhon del tutto conseguenziale un a volta stabilita lidentit degli interessi: perch vi sia rapporto di interessi, bisogna che gli interessati stessi siano presenti, rispondano, stipulino, si obblighino, agiscano; in modo tale che la ragione sociale e il suo emblema vivente siano una sola e stessa cosa; in ultima analisi, che tu tti essendo governati, non vi sia governo. La negazione del governo segue pertanto da questa sua definizione: chi dice governo rappresentativo, dice rapporto di interessi; chi dice rapporto di interessi, dice assenza di governo . P. J. Proudhon, La rvolution sociale dm ontre..., pp. 270-271. 230 P. J. Proudhon, Du prin cip e fd ra tif..., p. 271. 231 Ib id ,, p. 280. 232 Ib id ., pp. 274-275. 233 II principio monarchico e quello comunista poggiano entram bi sul principio de tt'autorit paterna. Fino a quando questa vigente in modo diretto vive il regime il monarchico, quando invece avviene la p o rte del monarca si ha il comuniSmo se i sudditi dichiarano di restare in d iv isi. Ecco perch la monarchia e il comuniSmo sono due variet di un medesimo regime . Ib id ., p. 276. 234 Ib id ., pp. 278-279 e pp. 291-292. . 235 P. J. Proudhon, M anuel d u sp cu la teu r la B ourse, Garnier frres, Paris 1857, p. XI. 236 Ib id ., p. VII. 237 Ibid. 238 Ib id ., p. V III. 239 Come ha giustamente sottolineato Gurvitch, Proudhon ha previsto in certo senso la trasformazione del capitalismo in totalitarismo fascista. G. Gurvitch, Les fo n d a te u rs franais d e la sociologie co n tem p o ra in e, C.D.U., Paris 1955, vol. II, p. 54. Per una odierna interpretazione anarchica del fascismo visto come sistema di statalizzazione delleconomia, cf. L. Lanza, E le m e n ti tecnoburocratici d e lleconom ia fa scista , in Interrogations , n. 5, 1975. 240 Sulle previsioni fatte non solo da Proudhon ma da tutto il pensiero anarchico sull'esito storico del comuniSmo quale ultima form a di dispo tismo, vale a dire quale portatore di una nuova classe di dominatori, riman do al mio A n tic ip a zio n i anarchiche su i n u o v i padroni, cit. Per una odierna interpretazione anarchica del dominio tecnoburocratico generato dal comu niSmo di Stato cf. invece A. Bertolo, P er una definizione dei n u o v i p a droni, in AA. VV., I n u o v i pad ro n i, Antistato, Milano 1978, pp. 15-54. 241 P. J. Proudhon, M anuel du sp c u la te u r..., p. 470. 242 Cf. il mio La tecnoburocrazia e il p e n siero anarchico, in AA. W ., I n u o v i p a d ro n i..., pp. 149-167. 243 p. J. Proudhon, T h o rie de la p ro p ri t...; trad. it.. La p ropriet, O.E.T., Roma s.d. [ma 1947], p. 150. 244 Ib id j, p. 127. 245 Ib id ., p. 138.
246 Ib id ., p p . 79-80.

247 Ib id ., p. 138. Lindividuazione della mancanza della propriet privata

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Note allintroduzione

quale causa del dispotismo orientale , una individuazione che riaffiora continuamente nel pensiero proudhoniano, stata confermata recente mente dall'opera fondamentale di K. A. Wittfogel, II d is p o tis m o orientale, Sugarco, Milano 1980. 248 P. J. Proudhon, Thorie d e la proprit...; trad, it., La p ro p rie t ..., p. 166.
249 Ib id ., pp. 125-126.

250 ib id ., p. 147. 251 Ib id ., p. 140. 252 Ib id ., p. 181. 253 P. J. Proudhon, Anarchia, voce per il dizionario Larousse, scritta nel 1864, in L e ttres choisies, Paris 1929, p. 350. 254 P. J. Proudhon, Du principe fd ra tif..., pp. 271 e 330. 255 P. J. Proudhon, Du principe fdratif..., p. 319. sempre facendo perno sul principio federativo che si possono porre le basi per rapporti egualitari e liberi fra i popoli e le nazioni. In questo senso Proudhon stato, secondo Puech, un grande anticipatore dei principi originari della Societ delle Nazioni. J. L. Puech, La tra d itio n so cia liste en F rance et la Socit d e s N atio n s, Rivire, Paris 1921, pp. 181-201. Cf. pure G. Gorily, Pioudhon e t les n a tio n a lites, in L actualit d e P ro u d h o n ..., pp. 151-161. 256 P. J. Proudhon, De la capacit..., p. 198. 257 P. J. Proudhon, D u p rincipe fd ra tif..., p. 359. 258 P. J. Proudhon, D e la ju stic e ...; trad, it.. La g iu stiz ia ..., p. 761. 2 5 P. J. Proudhon, De la cration..., pp. 338-339. 260 Ib id ., pp. 325-332; J. Bancal, P luralism e et a u to g e s tio n ..., vol. I, p. 198. 2*1 P. J. Proudhon, T horie d e l'im p t..., p. 234. 262 Ib id . 263 l a n ta g o n ism o , azione-reazione, legge universale del m ondo P .J. Proudhon, La g u erre e t la p a ix..., p. 489. 264 P . J . Proudhon, S y s t m e d e s c o n tra d ic tio n s..., vol. I, p. 247. 26 5 P. J. Proudhon, D e la cra tio n ..., pp. 433-434; Id ., De la c apacit..., p. 186. 2^6 P. J. Proudhon, D e la capacit..., p. 89. 2 6 7 La propriet non si giustifica se non trasportata nel sistema socia le e nei rapporti com plessi che la suscitano: essa pu essere un diritto so'amente se una funzione (sociale) . P. J. Proudhon, T h o rie d e la pro prit..., p. 154. P. J. Proudhon, D u p rin c ip e f d ra tif..., p. 359; G. Gurvitch, Prou dhon..., pp. 62-63. 2 W P. J. Proudhon, M a n u e l d u sp c u la te u r ..., p. 474. Z T O Partecipazione di tutti gli associati alla direzione dellimpresa e ai benefici, nei limiti e nelle proporzioni determinate dall'atto sociale . Ibid., p. 477. Insiste su questo aspetto del pensiero di Proudhon A. Berthod, Proudhon e t la p r o p r i t ..., pp. 134-157. 7 1 1 P. J. Proudhon, L e d ro it au travail e t le droit d e p ro p ri t (1848), Rivire, Paris 1938, p. 453. 7 2 La propriet n o n costituisce tutto il sistema. E ssa vive in un am biente organizzato, circo n d ata da un certo numero di funzioni analoghe e di istituzioni speciali [ ...] con le quali, di conseguenza, bisogna che essa faccia i conti . P. J. P roudhon, T h o rie d e la p ro p r i t ..., pp. 176-177. Vi S e c o n d o q u e s ta te o r ia l'e m a n c ip a z io n e dei la v o ra to ri d u n q u e
possibile c o n la r i u n io n e i n fa sc io delle fo rz e in d iv id u a li e dei b iso g n i; in

Note all'introduzione

227

altri term ini, con Vassociazione dei p ro d u tto ri e dei c o n su m a to ri, che, non avendo pi interessi contrapposti, sfuggono irrimediabilmente al dominio del capitale . P. J. Proudhon, Idea generale della rivoluzione (estratti)..., in P. Ansart, P. 1. P roudhon..., p. 144; G. Gurvitch, P ro u d h o n ..., pp. 261263; Bancal, P luralism e et a u to g estio n ..., vol. II, pp. 62-95. 274 P. J. Proudhon, Q u'est-ce que..., pp. 230, 232, 259; Id., A ve rtisse m e n t aux p ro p ri ta ire s..., pp. 189-199; Id., De la cration..., pp. 193-196. 275 p . J. Proudhon, S ystm e d e s contradictions...; trad. it., S is te m a delle con tra d d izio n i econom iche. F ilosofia della m iseria, Anarchismo, Catania 1975, pp. 59-65. 276 Com noto, Proudhon pensava alla costituzione del valore come effetto del tutto logico dell'abolizione dellinteresse e di ogni altra forma parassitarla presente nella formazione della ricchezza. C. Gide - C. Rist, H istoire d e s d o c tr in e s con o m iq u es..., pp. 358-373. W. Oualid, P roudhon banquier, in AA. VV., P roudhon et n o tre te m p s, Ehiron, Paris 1920, pp. 113125; M. Albertini, P rou d h o n ..., pp. 81-83. Sulle vicende della B a n q u e du P euple da lui fondata, Banca che avrebbe dovuto provare con i fatti questa teoria dellabolizione deU'interesse, si vedano le pagine di E. Dolleans J. L. Puech, P ro u d h o n et la rvo lu tio n d e 1848, PUF, Paris 1948, pp. 36-60. 277 Per il confronto e la polemica sul valore costituito fra Marx e Proudhon, cf. il puntuale lavoro di R. Allio, Le c o n tra d d izio n i econom iche di P ro u d h o n ..., pp. 115-138. 278 Per un approccio odierno a questa importante problematica cf. ora L. Pellicani, Il m e rc a to e i so cia lism i, Sugarco, Milano 1979. 279 P. J. Proudhon, S y st m e des contra d ictio n s...; trad. it., S is te m a delle c o n tra d d izio n i..., pp. 164-172; La concorrenza la legge stessa del mer cato, il condimento dello scambio, il sale del lavoro. Sopprimere la con correnza, significa sopprimere la libert stessa, avviare dal basso la restau razione del vecchio regime, rimettendo il lavoro sotto il regime di favori tismo e di abuso dal quale l 89 lo aveva affrancato . P. J. Proudhon, Idea generale della riv o lu zio n e ... (estratti), in P. Ansart, P ro u d h o n ..., p. 112. 280 Il lavoro e lo scambio sono l'alpha e l'omega della rivoluzione P. J. Proudhon, P hilosophie d u p ro g r s..., p. 81. 281 P. J. Proudhon, De la c a p a cit..., p. 142. 282 P. J. Proudhon, S y st m e des c o n tra d ic tio n s..., p. 113. 283 P. J. Proudhon, De la ju stic e ...; trad. it.. La g iu stizia ..., p . 568. 284 P. J. Proudhon, De la c a p a cit..., p. 115. 285 J. Bancal, P roudhon. P lu ra lism e ..., II, pp. 96-100. 286 p. J. Proudhon, Du p rin c ip e f d ra tif..., p. 330. Per la concezione proudhoniana del decentramento federalistico basato sulle piccole comu nit, si vedano le belle pagine di M. Buber, S e n tie ri in utopia, Ed. di Co munit, Milano 1967, pp. 35-49. 287 P. J. Proudhon, De la cap a cit..., p. 198.

NOTE Al TESTI

1 Proudhon usa il termine metafisica in senso improprio. P er lui m eta fisica ha grosso modo il significato di filosofia positiva. 2 Parole di Cristo in Matteo, 18, 20. i Sottolineiamo m u tu a lism o (e derivati) perch si tr a tta di uno dei termini cruciali del linguaggio di Proudhon, che va molto al di l dell'idea del mutuo soccorso che caratterizza le societ filantropiche, le cooperative, ecc. e acquista una portata generale, fondata sull'idea che tu tti gli scambi devono avvenire in modo eguale tra eguali. La situazione creata da questo scambio designata da Proudhon col termine bilancia (b a la n ce ), spesso contrapposto a bascule. 4 A questo punto Proudhon espone in dettaglio come viene intesa la giustizia nel sistema della Rivelazione e in quello della Rivoluzione. Nel primo spiega , il principio della giustizia in Dio, che ne soggetto e rivelatore, la forza di realizzazione ancora in Dio, la sanzione sempre in Dio; nel secondo, la giustizia soltanto umana. Proudhon sostiene que>st'ultima concezione immanentistica della giustizia, frutto della Rivoluzione francese. Per lui, la giustizia, essendo frutto della coscienza, costituisce ogni individuo giudice, in ultima istanza, del bene e del m ale. Naturalmente c da dire che la concezione della giustizia secondo la dottrina cattolica non quella descritta da Proudhon, che si rifaceva peraltro a scritti di teologi dellepoca. da dire che anche la dottrina cattolica riconosce il primato della coscienza (cf. J. H. Newman), pu r affermando il valore ogget tivo della giustizia fondata sia sulla legge positiva della Rivelazione, sia sul diritto di natura [N.d.E.]. 5 Nella dottrina di Giangiacomo Rousseau, che quella di Robespierre e dei giacobini, il C ontratto sociale in verit una fin zio n e di legisti, imma ginata per rendere ragione, senza ricorrere al diritto divino o allautorit patem a o alla necessit sociale, della formazione dello Stato e dei rapporti tra il governo e gli individui. Tale teoria, m utuata dai calvinisti, era nel 1762 un progresso, poich mirava a ridurre ad un principio razionale quanto fino ad allora era stato considerato come una semplice conseguenza della legge di natura e del sentimento religioso. Nel sistema federativo invece, il contratto sociale pi che una finzione: un patto positivo, effettivo, che stato realm ente proposto, discusso, votato, adottato, e che si pu modifi care regolarmente a volont dei contraenti. Fra il contratto federativo e quello di Rousseau e del '93 c tu tta la distanza che passa fra la realt e la ipotesi [n o ta d i P ro u d h o n ]. Nel 1864, sessanta operai firmano un M a n ife sto che afferma la neces sit, per la classe operaia, di presentare suoi candidati alle elezioni e di sostenerli contro i candidati borghesi, anche contro quelli schierati insieme con l'opposizione. Allinvio di questo M anifesto dei s e ss a n ta , Proudhon, entusiasta, risponde con un lungo commento, Della c a p a cit politica delle c la ssi o p e ra ie, in cui si propone di rendere esplicito il senso del movimento propriam ente operaio e di m ostrare che 1 idea della classe operaia quella del socialismo antistatale e antiautoritario. 7 Al M a n ife s to d ei se ssa n ta aveva risposto un contromanifesto di ispira zione repubblicana.

234

Indice dei nomi

Venturi F., 211 Verdes J., 211 Villaume M., 212 Villegardelle F., 163, 167 Wittfogel K A ., 226

Woodcock G., 209 Yeroy M., 222 Zanfarino A., 210, 213, 215, 216, 223, 224 Zoccoli E., 209

INDICE

P r e m e ss a ......................................................................pag. In tr o d u z io n e ............................................................... Il m e t o d o ............................................................... I fondamenti sociologici...................................... La critica della propriet...................................... La critica del comunismo come critica della propriet............................................................... I fondamenti neutri dellantinomia . . . Critica del potere p o lit ic o ................................ Lautoem ancipazione............................................ II socialismo come superamento storico del lib e r a lis m o ......................................................... La societ a u t o g e s t it a ...................................... Cenni b io g r a fic i......................................................... Nota b ib lio g r a fic a .................................................. Testi I. Dialettica s e r ia le .................................................. I fondamenti filosofici del pluralismo Una dialettica seriale impossibile? Progressi compiuti in questa direzione......................... II. Critica della s so lu to ............................................ I fondamenti filosofici del pluralismo III. La forza co llettiv a ............................................ Del potere sociale, considerato in se stesso . Della appropriazione delle forze collettive, e della corruzione del potere sociale . .

9 13 18 25 31 33 39 45 53 63 69 79 83

93 93 95 98 98 102 102 108

236

Indice

IV. La ragione c o l l e t t i v a ..................................... pag. 115 La ragione pubblica, condizione e fondamento della fede p u b b lica ..................................... 116 V. Critica del principio di autorit . . . . 125 131 132 138 142 147 154 154 155 157 157 160 161 164 165 170 174 174 176 176 180 184 187 191

VI. La critica dello S t a t o ......................... 1. Della natura dello Stato . 2. Dello scopo o delloggetto dello Stato ! 3. Di una destinazione ulteriore dello Stato VII. La critica al comunismo e all'individualismo V ili. L ideale della comunanza lassolutismo 1. La comunione deriva dalleconomia politica 2. Definizione di ci che proprio e di ci che c o m u n e ............................... 3. Posizione del problema comunista ! j ! 4. La comunione prende il suo fine per il suo principio . ................................................... 5. La comunione impossibile senza una legge di riparto, ed essa perisce mediante riparto 6. La comunit impossibile senza una leg ge dorganizzazione e perisce mediante lorga n iz z a z io n e ................................ 7. La comunit impossibile senza la giusti zia, e perisce per la giustizia . . 8. La comunanza eclettica, inintelligente e inin t e l l i g i b i l e .................................................. IX. Lo Stato secondo i comunisti . . . . X. La teoria della g i u s t i z i a ......................... Realismo della Giustizia - La trascendenza limmanenza . . . . XI. La teoria d el fe d e ra lis m o . . . . P o sizio n e del p ro b le m a politico - Principi d una so lu zio n e.......................... Come affiora lidea della federazione ! ! XII. Il regine politico federale . . . .

XIII. Critica della propriet e rivalutazione della pro p riet...................................................


Conclusioni .

Indice

237

XIV. La teoria del m u tu a lis m o ..........................pag. 197 XV. L'emancipazione o p e r a i a ................................ Note a ll'in tr o d u z io n e ............................................. Note ai T e s t i............................................................... Indice dei n o m i......................................................... 202 209 229 231

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