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Università degli Studi della Calabria

Facoltà di Economia

Corso di Laurea in Scienze Economiche e Sociali


Dipartimento di Sociologia

TESI DI LAUREA

LE LEGGI RAZZIALI DEL 1938:


PROPAGANDA E PREGIUDIZIO

Relatore Candidata
Prof. ssa Anna Rossi-Doria Giovanna Vingelli

________________________________
2

Anno accademico 1994-95

SOMMARIO
Pagina
INTRODUZIONE......................................................................................4
CAPITOLO 0

I CONTENUTI DELLA LEGISLAZIONE................................................7


...................................................................................................................7
CAPITOLO 0

IL DIBATTITO STORIOGRAFICO SULLE LEGGI.............................21


.................................................................................................................21
CAPITOLO 0

I PRECEDENTI DELL'ANTISEMITISMO IN ITALIA.........................48


.................................................................................................................48
CAPITOLO 0

LA PROPAGANDA ANTIEBRAICA NELLA STAMPA NAZIONALE


DAL 1933 AL 1938..................................................................................65
CAPITOLO 0

LA PROPAGANDA ANTIEBRAICA NELLA STAMPA NAZIONALE


DAL "MANIFESTO" ALLE LEGGI.......................................................98
3

...............................................................................................................124
CAPITOLO 0

UNA POLEMICA COSENTINA SULLE LEGGI RAZZIALI.............142


...............................................................................................................176
APPENDICE 0.......................................................................................177
...............................................................................................................195
APPENDICE 0.......................................................................................196
...............................................................................................................211
BIBLIOGRAFIA....................................................................................205
4

INTRODUZIONE

Le leggi razziali italiane si inseriscono nel contesto più ampio della


persecuzione antiebraica in Europa, ma presentano alcune caratteristiche
tali da accentuare la loro portata e causare effetti particolari.
In primo luogo la svolta del 1938 fu improvvisa e traumatica per la
maggior parte della popolazione ebraica, nonostante l'imponente
campagna di stampa orchestrata dal regime. L'integrazione di cui
godevano gli ebrei nella società italiana ed il contrasto fra la nuova
situazione e le precedenti condizioni di vita resero il trauma ancora più
acuto, accentuando l'umiliazione di chi si sentiva degradato. L'attacco del
fascismo colpiva non solo le condizioni materiali di vita, il lavoro, la
possibilità di ricevere una normale istruzione, i legami familiari ed
affettivi, ma anche la dignità, l'immagine sociale degli ebrei. Il risultato fu
di isolare una minoranza, sottoponendola ad un rigido controllo e
rendendola inerme nei confronti della successiva deportazione. Questo
risultato, è bene ricordarlo, fu ottenuto attraverso il coinvolgimento di un
gran numero di persone che, all'interno della macchina statale, dovevano
far applicare le leggi.
Nonostante molti italiani si siano opposti al razzismo, gli apparati
legislativi del regime hanno potuto lavorare e produrre i risultati che si
erano prefissi. Pochissimi intellettuali hanno levato la voce contro i
provvedimenti razziali, molti anzi hanno apertamente approvato, mentre
5

la Chiesa si è chiusa nel silenzio, salvo offrire un contributo sotterraneo


durante la persecuzione.
Il 15% degli ebrei residenti in Italia durante la guerra (più di 6800
persone) venne sterminato, nonostante la presenza della Santa Sede, la
mancanza di una forte tradizione antisemita, il ritardo nell'inizio dei
rastrellamenti.
Il ruolo della propaganda nella costruzione e nella riproposizione di
pregiudizi antisemiti è stato fondamentale. Attraverso l'analisi di tre
quotidiani a diffusione nazionale - "Corriere della Sera", "Giornale
d'Italia", "Popolo d'Italia" -, oltre alla rivista "La Difesa della Razza", e
della stampa cosentina negli anni 1933-1938 ho inteso rilevare come la
persecuzione non inizi temporalmente con la legislazione, ma
virtualmente con il processo di condizionamento dell'opinione pubblica.
Nelle campagne di stampa antiebraiche si è voluto insinuare un "cancro"
nella società italiana, sfruttando e riproponendo l'antisemitismo sopito,
con lo scopo di rendere gli italiani "complici" dell'azione persecutoria.
In particolare l'analisi della stampa cosentina mi ha permesso di
individuare le caratteristiche di una campagna propagandistica che
ripropone il paradosso di un "antisemitismo senza ebrei", ma soprattutto
mi ha consentito di analizzare i contenuti e le modalità della polemica che
contrappose una parte del clero cittadino alla Federazione provinciale
fascista.
Questa situazione specifica conferma il dato generale per cui
l'antisemitismo fascista è stato un rifiuto dell'ebraismo ancora prima che
un rifiuto dell'ebreo, e che quindi il razzismo italiano è stato funzionale
alla dottrina fascista in quanto razzismo soprattutto politico. L'elemento
principale della propaganda fascista risulta infatti essere la battaglia
6

contro una diversa concezione del mondo, quella ebraica, cui si


attribuivano modelli di disgregazione morale e materiale. Il regime
fascista ha utilizzato l'antisemitismo per proporre una nuova organicità
nazionale contro ogni forma di opposizione e per riaffermare la
monoliticità dello Stato e delle istituzioni. Questa volontà di
totalitarizzazione, attraverso la dissoluzione dell'individuo nella
comunità, fa sì che il rifiuto dell'ebraismo si traduca in rifiuto
dell'universalismo.
Furono certamente anche ragioni di politica estera a spingere
Mussolini verso la svolta razzista, così come non può essere negata
l'influenza di una antica tradizione di antisemitismo cattolico e di una più
recente di stampo nazionalista. Ma ci fu soprattutto la volontà di
cancellare, limitando la presenza degli ebrei nella società, ogni gruppo
dotato di una certa autonomia culturale o ideologica; l'intenzione di
"mettere in riga" ancora di più la scuola ed il mondo culturale; la
riaffermazione dell'autorità del regime in tutti gli ambiti della vita sociale.
Spesso inoltre la legislazione seguì istanze che provenivano dal basso, da
chi non esitava a speculare sullo spazio lasciato libero dagli ebrei, da
gruppi di pressione che perseguivano interessi personali.
L'antisemitismo non rimase quindi un atteggiamento delle alte sfere
del regime, ma fu una dimensione della realtà italiana che attraversò
orizzontalmente la società e che tutti i gruppi sociali dovettero affrontare
di riflesso. Fra la solidarietà e l'aperta persecuzione si delinea così
un'enorme "zona grigia", il silenzio e l'indifferenza dei più.
Ed è questo forse il punto più dolente e più attuale della storia delle
leggi antiebraiche in Italia.
7

CAPITOLO 0

I CONTENUTI DELLA LEGISLAZIONE

Il 1938 è stato definito un "anno cruciale e terribile per l'ebraismo


europeo" .1

Non solo la Germania aveva una legislazione antiebraica, ma


numerosi paesi europei, alla fine del 1938, accoglievano normative
persecutorie. Avevano approvato leggi antisemite successivamente la
Romania, l'Austria, l'Ungheria e l'Italia, oltre alle regioni che venivano
annesse al Terzo Reich.
La decisione di Mussolini non è quindi svincolata da un processo
generale europeo . 2

Le Leggi di Norimberga del 1935 avevano escluso gli ebrei dal


rango di cittadini e quindi dalla vita sociale: gli ebrei non potevano
accedere al pubblico impiego ed alle forze armate, frequentare, se non
con un numero chiuso, le "scuole ariane", era loro limitato l'esercizio
delle libere professioni. Inoltre, durante il 1938, vennero emanate norme
che miravano a rendere gli ebrei un gruppo estremamente riconoscibile,
1E. Mendelson, Gli Ebrei dell' Europa Orientale tra le due guerre mondiali, in La
legislazione antiebraica in Italia e in Europa. Atti del Convegno nel cinquantenario
delle leggi razziali, Roma, 17-18 ottobre 1988, Edizioni della Camera dei Deputati,
1989, pag. 350.
2Cfr. M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell'elaborazione delle leggi

del 1938, Torino, Silvio Zamorani Editore, 1994, pp. 81-86.


8

attraverso l'imposizione di nomi obbligatori, documenti contrassegnati


con lettere distintive, mentre venivano censiti i beni e le imprese per il
successivo esproprio. Sarfatti ha notato che queste ultime norme e quelle
sulla scuola vennero emanate in Germania solo alla fine del 1938, quando
le corrispettive leggi italiane erano già in azione . 3

Contemporanee e simili alle leggi italiane sulla scuola appaiono


invece le norme emanate in Austria, mentre in Polonia la legislazione si
occupò soprattutto di regolare la posizione dei residenti all'estero. Le
leggi ungheresi assumono il principio proporzionale, al fine di ridurre la
presenza degli ebrei nella vita della nazione attraverso criteri religiosi e
nazionalisti. Anche la Romania applicò criteri tradizionali-religiosi per
limitare i diritti civili e politici degli ebrei.
Il governo italiano si unì all'ondata di iniziative antisemite con la
dichiarazione del 16 febbraio 1938: l'Informazione diplomatica n. 14
rappresenta la prima posizione ufficiale del nuovo corso fascista, e segue
una campagna di stampa che aveva occupato i giornali a partire dalla
seconda metà del 1936.
Le Informazioni diplomatiche erano note pubblicate in forma
anonima, ma redatte dallo stesso Mussolini o da Ciano, che riguardavano
questioni internazionali su cui il regime fascista prendeva posizione. La
versione definitiva del testo dell'Informazione n. 14 è attribuibile allo
stesso Mussolini, il quale la definì "un capolavoro di propaganda
antisemita" . 4

L'Informazione trae spunto proprio dalla campagna di stampa dei


mesi precedenti e sembra negare l'imminenza di provvedimenti
antiebraici, ma, se il tono del documento appare conciliante, in realtà esso
3Cfr. ibid., pag. 84.
4G. Ciano, Diario, 1937-38, Bologna, Cappelli, 1948, pag. 113.
9

nasconde tra le righe l'annuncio del mutato corso del regime . In primo 5

luogo, si attribuisce la responsabilità del clima rovente "al fatto che le


correnti dell'antifascismo mondiale dipendono regolarmente da elementi
ebraici". Inoltre

il governo fascista non pensò mai, né pensa adesso, a prendere misure politiche,
economiche, morali, contrarie agli ebrei in quanto tali, salvo, beninteso, nel caso
in cui si trattasse di elementi ostili al regime.

Ma soprattutto:

Il Governo fascista si riserva tuttavia di vegliare sull'attività degli ebrei di recente


giunti nel nostro paese e di fare in maniera che la parte degli ebrei nella vita
d'insieme della Nazione non sia sproporzionata ai meriti intrinseci individuali ed
all'importanza numerica della loro comunità.

In quel tuttavia c'è tutta l'imminenza della campagna razziale e


l'annuncio dell'introduzione del criterio di proporzionalità per gli ebrei
italiani.
Con l'Informazione Diplomatica n. 14 il regime in realtà volle
sondare la reazione dell'opinione pubblica e della Santa Sede nei
confronti degli eventuali provvedimenti. Nei mesi successivi infatti non
vennero prese altre posizioni ufficiali, ma attraverso una continua
campagna propagandistica si tentò di far apparire agli occhi dell'opinione
pubblica l'imminente svolta come necessaria e dovuta. Inoltre si attesero
eventuali avvenimenti che potessero giustificare azioni successive, in
modo da limitare le reazioni internazionali e della Chiesa . 6

5Cfr.Documento 1 in Appendice B.
6Cfr.R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1988,
4a ed., pag. 277.
10

Ha notato Guido Fubini che, nei confronti delle confessioni


religiose, il regime fascista è stato il regime dei ritorni . In effetti il
7

fascismo cancellò le conquiste liberali dei decenni precedenti,


affermando, dopo l'ineguaglianza dei culti, anche l'ineguaglianza dei
cittadini. Il decreto sulle comunità israelitiche rimanda alla legge Rattazzi
del 1857, la distinzione tra religione di Stato ed altri culti rimanda allo
Statuto albertino, mentre per la legislazione antiebraica possiamo
addirittura risalire al Medio Evo.
Il presupposto di principio della legislazione antiebraica si può
ritrovare nell'articolo 1, libro I, del Nuovo Codice Civile, entrato in
vigore il 1 luglio 1939. Secondo tale articolo: "La capacità giuridica si
acquista dalla nascita. Le limitazioni alla capacità giuridica derivanti
dall'appartenenza a determinate razze sono stabilite da leggi speciali".
L'unica razza interessata da leggi speciali fu quella ebraica, che
venne definita, attraverso la legislazione successiva, in maniere
parzialmente differenti. I due orientamenti della dottrina giuridica
possono essere riassunti in un "orientamento scientifico-biologico",
espresso dal Manifesto del 14 luglio 1938, di cui riparleremo, ed un
"orientamento politico-culturale", definito dalla Carta della Razza del 6
ottobre 1938 e dalla legge del 17 novembre 1938.
Secondo il primo criterio il concetto di razza è puramente biologico.
Gli ebrei non appartengono alla razza italiana in quanto ogni razza
possiede determinate caratteristiche che si trasmettono ereditariamente.
Per la legge del 5 settembre 1938 "è' considerato di razza ebraica chi è

7Cfr. G. Fubini, La legislazione razziale nell' Italia fascista: normativa e


giurisprudenza, in La legislazione antiebraica in Italia e in Europa, Ebrei fra
antisemitismo e solidarietà. Atti della giornata di studi. Torrazzo, 5 maggio 1989, (a
cura di A. Lovatto), Borgosesia, 1992, pag. 17.
11

nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se professi religione


diversa da quella ebraica".
Il documento noto come Manifesto degli scienziati razzisti venne in
realtà pubblicato con il titolo Il fascismo ed i problemi della razza il 14
luglio 1938 su "Il Giornale d'Italia". Il Manifesto non era firmato; l'unica
nota lo definiva redatto da "un gruppo di studiosi fascisti, docenti delle
Università italiane...sotto l'egida del Ministero della Cultura Popolare". Il
Manifesto, si diceva inoltre, rappresentava "la posizione del fascismo nei
confronti dei problemi della razza".
Secondo Giuseppe Bottai, Galeazzo Ciano e Giorgio Pini, lo stesso
Mussolini avrebbe in realtà redatto il documento, ma questa affermazione
è contestata sia da Renzo De Felice che da Michele Cortellazzo, secondo
i quali il duce in realtà lavorò su di un testo già pronto, non
contribuendovi concettualmente . 8

Il tono del Manifesto è generalmente razzista e l'antiebraismo,


individuato dal punto 9, era inquadrato nell'ambito di un razzismo
"differenzialista" che proponeva la separazione, e non di un razzismo
"gerarchico". Il Manifesto, nei suoi 10 paragrafi, sosteneva
sostanzialmente: l'esistenza delle razze umane; l'esistenza di un'ideologia
razzista connaturata al fascismo sin dalle origini; l'esistenza di una "pura
razza italiana", di origine "ariana"; la diversità del ceppo semitico dal
ceppo europeo e quindi l'incompatibilità tra ebrei ed italiani, i caratteri dei
quali non devono essere alterati in alcun modo . 9

Il 25 luglio il comunicato del P.N.F. forniva i nomi dei redattori del


Manifesto, che risultavano essere figure di secondo piano del mondo
universitario. La sola figura di un certo spessore era il docente
8Cfr. M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei, cit., pag. 18.
9Cfr. Documento 2 in Appendice B.
12

universitario Nicola Pende, che in seguito contestò la versione del


Manifesto apparsa 11 giorni prima ritenendola estremamente
rimaneggiata. La sua protesta non ebbe però seguito dopo la minaccia di
ostracismo nei confronti delle sue pubblicazioni ventilata dal Ministero
della Cultura Popolare. Secondo Eucardio Momigliano, Pende non firmò
affatto il Manifesto ed in seguito espresse il suo dissenso . In realtà non
10

c'è traccia di una sua smentita nell'articolo che Pende scrisse su "Vita
Universitaria" e che Momigliano cita a suo favore . 11

Ma ancora il Manifesto non preannunzia una normativa antiebraica,


nonostante il 19 luglio venisse annunciata la trasformazione dell'Ufficio
Demografico Centrale del Ministero dell'Interno in Direzione Generale
per la Demografia e la Razza (meglio conosciuta come Demorazza).
Solo il 5 agosto una nuova Informazione Diplomatica, la n. 18,
fornisce i primi criteri dell'imminente legislazione . Anche questo
12

documento è stato attribuito allo stesso Mussolini per le sue


caratteristiche. L'impressione che si voleva offrire all'opinione pubblica
era quella di una normativa contro gli ebrei necessaria e giusta, perché
rivolta contro i veri fomentatori del razzismo e gli alleati del bolscevismo,
della massoneria e del socialismo. Veniva osservato che "discriminare
non significa perseguitare", perché il governo "non ha alcuno speciale
piano persecutorio contro gli ebrei in quanto tali". La prima scelta del
regime è quindi quella del criterio proporzionale, esplicitato dal
preannunziato "adeguamento" della partecipazione degli ebrei alla vita
dello stato al loro reale numero. La proporzione era di un ebreo ogni mille

10Cfr. E. Momigliano, Pagine ebraiche, Torino, Einaudi, 1987, pag. 55.


11Cfr. F. Coen, Italiani ed ebrei: come eravamo. Le leggi razziali del 1938, Genova,
Marietti, 1988, pag. 21.
12Cfr. Documento 3 in Appendice B.
13

abitanti, per cui il motivo dell'"uno per mille" diventò la falsariga della
prima impostazione legislativa.
Al Manifesto fecero seguito i primi provvedimenti che miravano ad
eliminare gli ebrei dalle scuole ed a colpire gli ebrei stranieri. Soprattutto
il Ministero dell'Educazione Nazionale assunse un ruolo di primo piano
nella nuova campagna del regime. Vennero esclusi dalle scuole di ogni
ordine e grado gli insegnanti e gli alunni di razza ebraica, mentre i
membri ebrei di accademie ed istituti di cultura vennero allontanati. I
nuovi orientamenti miravano alla "difesa della razza nella scuola
italiana" . 13

Gabriele Turi rileva il ruolo fondamentale di propulsione che questo


intervento ebbe per tutta la campagna razziale . Se De Felice aveva
14

attribuito allo zelo del ministro Bottai l'applicazione puntuale delle


direttive e dei principi razzisti , Turi critica questo approccio come
15

limitativo. I provvedimenti nell'ambito scolastico sono i primi in ordine


cronologico e sicuramente quelli più auspicati. Il loro numero indica il
significato politico della campagna razziale, che mirava innanzitutto alla
tematica educativa ed al consenso delle giovani generazioni. Le circolari
di Bottai sottolineano questa impostazione politica, il tentativo di
"educazione dell'italiano" al riparo da minoranze scomode. La
legislazione razziale colma quindi, in un certo senso, il ritardo con cui il
fascismo si apprestava al controllo totale della cultura. Nell'editoriale di
"Critica Fascista" del 15 settembre, Bottai individuava nella conquista
della scuola il primo passo verso "l'unità morale e l'educazione nazionale
che costituisce il motivo culturale del fascismo". I provvedimenti nel
13R. D. L. 5 settembre 1938.
14Cfr. G. Turi, Ruolo e destino degli intellettuali nella politica razziale del fascismo,
in La legislazione antiebraica in Italia e in Europa, cit., pag. 95.
15Cfr. R. De Felice, Storia degli ebrei italiani, cit., pag. 282.
14

settore della cultura sono quindi il passo decisivo verso la


"totalitarizzazione" del regime . 16

In realtà la limitazione della capacità giuridica, anticipata dalle leggi


che eliminavano gli ebrei dalle scuole, venne perseguita capillarmente in
una serie di circolari che, nella loro minuziosità, influirono non poco non
solo sulla qualità della vita degli ebrei, ma sulla stessa possibilità di
vivere per chi venne in seguito improvvisamente escluso dal mercato del
lavoro.
Queste prese di posizione indicano una nuova impostazione della
politica antiebraica di Mussolini. Il carattere non è più quantitativo
(secondo quindi un criterio proporzionale), bensì qualitativo. Gli ebrei
italiani vennero divisi in due categorie: i possessori di "benemerenze", e
coloro che non ebbero la possibilità di essere esclusi dalla persecuzione.
La nuova politica del regime è quindi una politica di separazione fra gli
ebrei con "meriti" e gli ebrei senza. Questa discriminazione favoriva
meriti patriottici, combattentistici o fascisti, ed era riconosciuta
discrezionalmente dal Ministero dell'Interno. Si venne così a creare una
diversità all'interno degli stessi perseguitati, a loro volta diversi perché
non più cittadini, una diversità che si fondava spesso sull'abbandono della
tradizione ebraica. A questo proposito segnala Guido Fubini:

Se ricordiamo quanto scrisse Primo Levi sulle "gerarchie" come elemento


essenziale della logica di Auschwitz, e se ricordiamo che la gerarchia riassume
tutta la logica del fascismo, dobbiamo riconoscere che la discriminazione stava
già nella logica di Auschwitz e che Auschwitz era nella logica del fascismo .
17

16Cfr. G. Turi, op. cit., pag. 101.


17G. Fubini, op. cit., pag. 24.
15

Questa situazione provocò innumerevoli casi di elusione delle leggi


e soprattutto di corruzione, attraverso le commissioni che avevano il
compito di analizzare gli eventuali "meriti" di chi si rivolgeva loro.
Questa politica di separazione fu resa ancora più evidente dalla
Dichiarazione sulla Razza del 6 ottobre, approvata dalla riunione del
Gran Consiglio a Palazzo Venezia.
Come ha notato Antonio Spinosa,

le giustificazioni scientifiche avanzate dal Manifesto non potevano trovare


smentita migliore se non nella Carta della Razza. In meno di tre mesi - dal 14
luglio al 6 ottobre 1938 - il fascismo scoprì scioccamente il suo gioco, rivelando
che non si trattava di una lotta ad un determinato gruppo razziale..., ma ad
un'ideologia politica in contrasto con quella del regime .
18

La Carta della Razza mette in rilievo che " l'ebraismo mondiale è


19

stato l'animatore dell'antifascismo in tutti i campi e che l'ebraismo estero


ed italiano fuoriuscito è stato unanimemente ostile al fascismo".
Estensore della Carta è lo stesso Mussolini che nella prima stesura aveva
affermato: "L'ebraismo italiano non può sinceramente accettare (il regime
fascista) perché antitetico a quella che è la psicologia, la politica,
l'internazionalismo di Israele". In questa affermazione Guido Fubini vede
l'anticipazione dei provvedimenti della Repubblica di Salò.
Nella Carta della Razza viene introdotto il criterio "culturale" per la
definizione della razza ebraica. Tale criterio prende in considerazione
anche la religione, definendo di razza ebraica chi, pur nato da matrimonio
misto, professa l'ebraismo.

18A. Spinosa, Le persecuzioni razziali in Italia. IV. La legislazione, in "Il Ponte",


1953, n. 7, pag. 966.
19Cfr. Documento 4 in Appendice B.
16

La Carta è la migliore illustrazione del progetto legislativo del


fascismo, che può essere sintetizzato nei seguenti punti:
1. La legislazione razziale è resa necessaria dalla conquista
dell'Impero, ed il problema ebraico rientra in questo quadro generale.
2. Sono vietati i matrimoni misti e sottoposti a controlli i matrimoni
con stranieri di razza ariana.
3. E' confermata l'espulsione degli ebrei stranieri.
4. Sono definiti di razza ebraica: gli individui nati da genitori
entrambi ebrei; gli individui nati da padre ebreo e madre ariana; gli
individui nati da matrimoni misti che professino la religione ebraica.
5. Le discriminazioni, che comunque non sono valide per
l'insegnamento, saranno applicate agli ebrei appartenenti a famiglie di:
caduti, volontari o veterani della Prima Guerra Mondiale, o libica,
etiopica o spagnola; caduti e feriti per la causa fascista, iscritti al partito
dal 1919 al 1922 o nel secondo semestre del 1924; ex legionari fiumani;
famiglie con eccezionali benemerenze da accertarsi per mezzo di
un'apposita commissione.
6. Gli altri ebrei non possono: essere iscritti al P.N.F.; possedere o
amministrare aziende con 100 o più dipendenti; possedere più di 50 ettari
di terreno; prestare servizio militare.
7. Come ultimi provvedimenti, è riconosciuto il diritto di pensione
per chi ha dovuto lasciare l'impiego pubblico; è vietato ogni tentativo di
pressione sugli ebrei per ottenere abiure; è mantenuta la legislazione sulle
Comunità ebraiche; sono costituite scuole elementari e medie per gli
studenti ebrei.
I pochi diritti rimasti agli ebrei sono minacciati dal ricatto: "Le
condizioni fatte agli ebrei potranno essere annullate o aggravate a
17

seconda dell'atteggiamento che l'ebraismo adotterà nei riguardi dell'Italia


fascista". Gli ebrei, privati anche della possibilità di opposizione, vennero
quindi suddivisi in tre categorie: gli ebrei stranieri, espulsi dal paese;
quelli italiani "meritevoli", esclusi dalla persecuzione; tutti gli altri,
duramente discriminati.
Le decisioni del Gran Consiglio vennero trasformate in legge dai
provvedimenti del novembre 1938 e dalle innumerevoli circolari e
disposizioni burocratiche che contribuirono a peggiorare sempre di più la
vita quotidiana degli ebrei. La capillarità di queste azioni amministrative
favorì non solo l'emarginazione degli ebrei dalla vita sociale, ma
soprattutto la loro esclusione pressoché totale dal mondo del lavoro. Tutta
la successiva legislazione antiebraica era rivolta ad impedire agli ebrei di
guadagnarsi da vivere, privandoli di ogni reddito da capitale o da lavoro.
Fra il 1938 ed il 1942 fu proibito agli ebrei di essere amministratori o
portieri in case ariane; di esercitare il commercio ambulante; di essere
titolari di negozi di preziosi, di fotografia, di tipografie; di vendere oggetti
antichi e d'arte; di vendere libri; di vendere oggetti usati; di essere titolari
di negozi di ottica, di articoli per bambini, di esercizi pubblici, di raccolta
rottami, di cartoleria; di essere titolari di scuole di ballo, di taglio e di
agenzie di viaggio e turismo.
Furono inoltre vietati: il possesso di licenze di caccia o pesca; la
pubblicazione sulla stampa di necrologi o di pubblicità; l'inserimento
negli elenchi telefonici; la detenzione e la vendita di apparecchi radio.
Vennero sostituiti i nomi ebraici di vie e luoghi; rimosse le lapidi
riguardanti ebrei; fu loro vietato di affittare camere agli ariani, di accedere
alle biblioteche pubbliche, di far parte di cooperative e associazioni, di
18

pilotare aerei, di avere il porto d'armi, di fare la guida o l'interprete e così


via.
Abbandonata la formula esclusivamente biologica per perseguire
l'affermazione "discriminare non perseguitare", venne introdotta una
nuova figura giuridica, quella dell'"arianizzato" . A questo proposito una
20

commissione del Ministero dell'Interno aveva il compito di stabilire


discrezionalmente "la non appartenenza alla razza ebraica anche in
difformità alle risultanze degli atti dello stato civile".
In generale i decreti del novembre 1938 permettono di individuare le
coordinate della discriminazione decisa dal governo fascista. La loro
difficile elaborazione, frutto di contrasti tra Mussolini ed i suoi ministri, è
testimoniata dalle numerose stesure delle leggi. Il RDL 2154/1938
conteneva una norma che discriminava gli ebrei con benemerenze per
l'iscrizione al P.N.F.. Per l'opposizione di Starace la norma
discriminatoria venne stralciata, con il risultato di un partito
completamente privo di ebrei.
Se ricordiamo che l'ebraismo era una realtà profondamente
assimilata nella vita della nazione, comprendiamo come una separazione
netta potesse essere estremamente difficile e fonte di disagio per lo stesso
legislatore. Soprattutto grave era il problema delle famiglie miste, che finì
per provocare il primo scontro con la Chiesa che, in quell'attentato
all'unità della famiglia, vedeva lesi i suoi valori, ma anche i diritti sanciti
dal Concordato.
In generale i decreti successivi accentuarono la scelta di una
normativa più dura e persecutoria. Il mese di novembre segna infatti il
passaggio alla terza e definitiva impostazione della persecuzione. La

20Cfr. R. De Felice, Storia degli ebrei italiani, cit., pag. 347.


19

persecuzione "parziale" si trasformava in persecuzione tout court; il


criterio qualitativo lasciava ormai il posto al criterio quantitativo.
Vennero successivamente sancite: l'espulsione degli ebrei dalle forze
armate; la limitazione della proprietà; la diminuzione della capacità
giuridica in campo testamentario, in materia di patria potestà, di
adozione, di tutela; l'eliminazione degli ebrei dalla pubblica
amministrazione, dagli enti pubblici e dallo spettacolo.
L'ultimo diritto tolto agli ebrei sarà il diritto alla vita, quando i
provvedimenti della Repubblica Sociale considereranno tutti gli ebrei
come stranieri ed appartenenti ad una nazione nemica, disponendone
l'internamento in campi di concentramento. La Carta di Verona del
novembre 1943 stabilirà infatti al punto 7:

Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra
appartengono a nazionalità nemica.

In seguito a questa disposizione tutti gli ebrei residenti in territorio


italiano erano inviati in campi di concentramento appositamente creati, ed
i loro beni sottoposti a sequestro. L'internamento degli ebrei italiani
appare quindi una vera e propria programmazione dello sterminio, di cui
Mussolini ed i massimi dirigenti della R.S.I. non potevano non essere a
conoscenza. Come è stato notato, in Italia

la fase «burocratica» della persecuzione era infatti già compiuta l'8 settembre del
1943: il condizionamento in senso antiebraico dell'opinione pubblica, la
legislazione stessa, il costante aggiornamento della schedatura degli ebrei, la
creazione di un organismo deputato al regolamento e alla esecuzione pratica della
politica antiebraica come la Direzione Generale per la Demografia e la Razza del
Ministero dell'Interno...Ma in Italia i primi mattoni dell'edificio antisemita furono
comunque posti dal fascismo monarchico e non dal nazismo. Anche se fra i due
regimi, fascista e nazista, non vi fu coordinamento, né intenzione di continuità, né
tantomeno, una dinamica di causa ed effetto, occorre sottolineare con forza che
20

l'antisemitismo fascista preparò il terreno allo sterminio deciso dalla Germania


nazista .
21

21L.Picciotto Fargion, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall'Italia (1943-
1945), Milano, Mursia, 1991, pag. 810.
21

CAPITOLO 0

IL DIBATTITO STORIOGRAFICO SULLE LEGGI

Nel 1952 Antonio Spinosa spiegava il razzismo italiano come una


necessità della politica estera di Mussolini, vedendolo quindi come
direttamente importato dalla Germania . Autori successivi hanno
1

rielaborato questa tesi, approfondendone le implicazioni.


Per Renzo De Felice sono sostanzialmente tre i motivi che spinsero
il fascismo verso la scelta antisemita . La prima causa, ed anche quella
2

decisiva, è l'alleanza con la Germania. Mussolini intese eliminare


l'elemento di più grande contrasto fra il fascismo ed il suo alleato,
contrasto che avrebbe potuto minare la credibilità dell'Asse a livello
internazionale e la credibilità del fascismo nell'opinione pubblica tedesca.
De Felice esclude che ci sia stata da parte di Hitler una richiesta esplicita.
Se il peso della Germania fu determinante, da parte tedesca non ci furono
però passi ufficiali in questa direzione. Lo stesso Mussolini sentì come
inevitabile e necessaria questa decisione che doveva rendere finalmente
"totalitario" l'Asse Roma-Berlino. Le pressioni tedesche furono indirette:
gli strumenti di pressione diventarono quei fascisti antisemiti come

1Cfr. A. Spinosa, Le persecuzioni razziali in Italia. La legislazione, cit., pag. 966 e


sgg.
2Cfr. R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, cit., pag. 235 e sgg.
22

Giovanni Preziosi o Telesio Interlandi, che si preoccuparono di


3

diffondere nell'opinione pubblica l'idea dell'attualità del pericolo ebraico.


Il secondo motivo è individuato da De Felice proprio nell'influenza
dell'entourage di Mussolini: se i più stretti collaboratori del duce non
erano decisamente antisemiti, non erano certo immuni da pregiudizi
contro gli ebrei, oppure non ebbero la statura morale ed il coraggio per
opporsi al duce.
Ma soprattutto De Felice sottolinea una terza causa che assume un
valore fondamentale: il mito mussoliniano della "nuova civiltà" e
l'influenza della guerra d'Etiopia. Secondo Mussolini il fascismo aveva il
compito di rinnovare una civiltà europea ormai in crisi, di promuovere
una rivoluzione culturale che avrebbe creato un "uomo nuovo". La crisi
della civiltà europea era il risultato dell'opposizione fra due mentalità,
quindi fra due razze, la razza greco-romana, dal carattere positivo, e la
razza giudaico-cristiana. Questo scontro è la lotta fra i valori dell'eroismo,
della guerra, della creatività, del dolore, dello sviluppo demografico
contro i valori della pace, della giustizia, dell'egoismo individuale. Questa
concezione appare quindi non solo antiebraica, ma anche anticristiana:
infatti, secondo Mussolini, la lotta deve anche essere contro il
cristianesimo come figlio dell'ebraismo, in nome di una nuova Europa
spirituale e guerriera. Questa teoria servì a Mussolini per contrapporre al
razzismo "biologista" nazista il suo personale razzismo "spiritualista",

3Giovanni Preziosi fu sicuramente l'antisemita italiano più coerente del periodo. Egli
cercò di motivare con la tesi della congiura ebraica la realtà del dopoguerra, che
aveva visto la "vittoria mutilata" e la prevalenza della "plutocrazia" e
dell'"imperialismo" sulle nazioni più povere come l'Italia. Attraverso la rivista "La
Vita Italiana", Preziosi cercò di dare una giustificazione irrazionale al fallimento
politico del dopoguerra, utilizzando per i suoi scopi gli apocrifi Protocolli dei Savi
Anziani di Sion, che lui stesso tradusse in italiano nel 1920, usandoli come materiale
propagandistico sino al 1945.
23

salvaguardando così la sua autonomia dall'alleato. Tuttavia vedremo


come, nella sua attuazione concreta, anche il razzismo fascista fu di tipo
biologico.
Dal primo annuncio dell'imminente campagna razziale fino al varo
legislativo dei provvedimenti, Mussolini si impegnò nell'elaborazione di
parole d'ordine e concetti razzisti che fossero coerenti con le
caratteristiche del fascismo e che ne affermassero l'autonomia e
l'originalità.
Mussolini si rendeva conto di come un razzismo di marca biologica
potesse risultare impopolare in Italia. Una riproposizione del modello
tedesco era inoltre difficile proprio per le caratteristiche di quest'ultimo,
che non teneva in gran conto le razze mediterranee, considerate inferiori.
Afferma De Felice che, quando la scelta razzista diventò obbligata,
Mussolini cercò in tutti i modi di salvaguardare l'originalità della sua
visione ideologica, evitando la mera riproposizione dei concetti e della
legislazione nazista:

La teoria spiritualistica della razza aveva almeno il pregio di non disconoscere


del tutto certi valori, di respingere le aberrazioni tedesche ed alla tedesca e di
cercare di mantenere il razzismo (che, indubbiamente, da Boulanvilliers a De
Gobineau e Renan, da Herder e Kant a Nietzsche, da Fichte a Vacher de Laponge
ha avuto un suo pur discutibile e torbido significato culturale ed etico, oltre che
politico) sul terreno della problematica culturale degna di questo nome .
4

Già nel 1961 Delio Cantimori nella sua Prefazione alla prima
edizione del libro di De Felice aveva criticato questa posizione: gli autori
che cita De Felice possono infatti avere nel loro antisemitismo un limite e
non certo un valore.

4Ibid., pag. 383.


24

In questa prospettiva, secondo De Felice, la teoria che permise a


Mussolini di costruire l'ideologia razziale fascista fu quella che venne in
seguito esposta da Julius Evola nella Sintesi di dottrina della razza del
1941. Evola sosteneva, contro la visione biologista del nazismo,
l'esistenza di "razze dello spirito", fra le quali la razza "ario-romana"
sarebbe divenuta egemone.
Il problema di conciliare le concezioni del materialismo biologico e
dell'idealismo spiritualistico era sorto già nel 1937 con la pubblicazione
del libro di Paolo Orano, Gli Ebrei in Italia. Il libro venne scritto, sembra
sotto suggerimento di Mussolini, per saggiare la reazione dell'opinione
pubblica nei confronti dell'imminente campagna razziale. Un razzismo di
tipo "spirituale" non rispondeva solo all'esigenza di affermare l'originalità
della teoria fascista, ma anche alla necessità di inquadrare il problema
ebraico in un ambito più vasto. Accanto ai razzisti "biologisti" quali
Giulio Cogni e Guido Landra, firmatari del Manifesto degli scienziati
razzisti del 1938, si poneva lo "spiritualista" Julius Evola.
Evola cercava giustificazioni ideali al suo "razzismo dell'anima" che 5

individuava, attraverso lo schema hegeliano, tre stadi dell'animo umano,


dal livello superiore dell'uomo ariano a quello inferiore dell'ebreo,
materialista e corrotto. Per Evola non si può parlare di razze pure in senso
biologico, a causa delle frequenti mescolanze dei popoli che si sono
susseguite nei secoli: la divisione razziale si fonda quindi sullo "spirito"
delle varie razze, sulle caratteristiche originali di ognuna. La razza ha
sede nello spirito dell'uomo ed è una forza profonda che si manifesta sia
nel corpo che nell'anima. Le razze dello spirito sono portatrici di diverse
visioni del mondo, di differenti modi di rapportarsi alla realtà, da cui
5Cfr.M. T. Pichetto, L'antisemitismo nella cultura della destra radicale, in "Italia
Contemporanea", dic. 1986, pp. 74-76.
25

derivano diversi comportamenti e diverse scelte. Gli aggettivi "cristiano"


e "semita" indicano quindi non caratteristiche biologiche, ma valori:
valori semitici sono il mercantilismo, la debolezza, la femminilità, la
pietà religiosa, la vigliaccheria; la categoria opposta è quella della razza
"aria, olimpica, settentrionale", la cui crisi ha determinato la crisi della
civiltà moderna, crisi che si esprime nella democrazia e nella libertà.
L'uomo nuovo deve quindi essere l'uomo-guerriero, contrapposto
all'uomo-mercante della tradizione giudaica.
Ancora secondo De Felice, partendo da queste premesse Evola
sostiene che, se anche i Protocolli dei Savi di Sion fossero falsi,
certamente essi sono "veridici", in quanto descrivono il piano messo in
atto dall'ebraismo per distruggere le fondamenta spirituali del mondo . 6

Se Mussolini sostenne e si appropriò della teoria evoliana, d'altra


parte però non trascurò le posizioni di razzismo biologico che venivano
divulgate da Preziosi ed Interlandi su "La Vita Italiana" e su "La Difesa
della Razza". Questa contraddizione si rivelò nei primi provvedimenti
legislativi, che consideravano di razza ebraica, come si è già detto,

colui che è nato da genitori di razza ebraica anche se professi religione diversa da
quella ebraica .
7

In un primo momento, quindi, il razzismo fascista si allinea


sull'ipotesi "biologica", salvo poi costruire un'ideologia spiritualista da

6Il falso dei "Protocolli", culmine della teoria sulla cospirazione ebraica, fu fabbricato
negli ambienti della polizia segreta russa ai primi del '900: secondo il testo i saggi
anziani di Sion, riuniti periodicamente nel cimitero di Praga, avrebbero discusso del
futuro dominio del mondo, che si sarebbero assicurati attraverso la diffusione delle
dottrine liberali e socialiste: cfr. G. L. Mosse, Il razzismo in Europa. Dalle origini
all'Olocausto, Roma-Bari, Laterza, 1985, pp. 192-193 e N. Cohn, Licenza per un
genocidio. I "Protocolli degli Anziani di Sion": storia di un falso, Torino, Einaudi,
1969.
7Regio Decreto legge 17 novembre 1938-XVII, n. 1728, Art. 8.
26

realizzarsi attraverso innumerevoli eccezioni. La ragione di queste


oscillazioni deve essere ricercata nel fatto che gli italiani avrebbero
difficilmente accettato il posto inferiore che il razzismo gerarchico
tedesco attribuiva loro, per cui l'unico riscatto poteva essere cercato nello
spirito.
La volontà di creare un nuovo "uomo fascista" traeva spunto anche
dalle vicende etiopiche, che avevano mostrato l'attitudine degli italiani a
confondersi con le popolazioni locali invece di dominarle. Gli italiani
dovevano invece assumere una "dignità razziale" che li rendesse razza di
conquistatori ed estranei alle tentazioni del meticciato.
Fra le cause minori De Felice, escludendo il motivo economico,
individua le posizioni antifasciste di singoli ebrei durante la guerra
d'Etiopia e di Spagna e le critiche alla politica autarchica da parte di
alcuni industriali ed uomini d'affari ebrei. Alle tre cause principali lo
stesso autore ne ha recentemente aggiunta una quarta: i mutati assetti
internazionali fecero preferire a Mussolini l'alleanza con il mondo arabo
piuttosto che con i sionisti, in funzione antinglese .
8

Ha notato lo stesso autore che l'adesione alla campagna contro gli


ebrei fu piuttosto blanda da parte dell'opinione pubblica italiana.
Tuttavia molti uomini di cultura e soprattutto molti burocrati
aderirono, sia per opportunismo che per convinzione, alla svolta
antisemita del regime. Nel mondo della cultura fra i pochi a prendere
duramente posizione contro le leggi razziali furono Marinetti e la
redazione della sua rivista "Artecrazia". Ma se le poche manifestazioni di
opposizione ai provvedimenti non erano riportate ovviamente sui giornali,
pure se ne può avvertire la presenza negli attacchi continui della stampa
8Cfr. R. De Felice, La legislazione razziale del fascismo, in La legislazione
antiebraica in Italia e in Europa, cit., pag. 13.
27

nei confronti dei "pietisti", ed in generale di chi si mostrava benevolo


verso gli ebrei. De Felice rafforza la sua tesi secondo cui le leggi razziali
ruppero il consenso del regime proprio attraverso la notazione che più di
mille iscritti al P.N.F. vennero espulsi per pietismo.
Ha però notato Roberto Finzi che questo dato non è sufficiente, in
quanto potrebbe nascondere altre ragioni, come la realizzazione di
vendette politiche . Queste contraddizioni non possono certo assolvere la
9

società e la cultura italiana dall'accusa di sostanziale accettazione dei


disegni del regime. In realtà la vera rottura della popolazione con il
regime si ebbe solo a partire dal 1943, quando, non solo come
conseguenza dell'andamento della guerra e dell'avversione verso
l'occupante tedesco, gli ebrei vennero aiutati e spesso salvati da larghi
strati della popolazione italiana.
In generale gli uomini di cultura non seppero o non vollero opporsi
all'antisemitismo, così come i movimenti giovanili, che anzi vi aderirono
nella quasi totalità, avvertendo nella nuova ideologia razzista la risposta
alla loro ansia di rinnovamento e di ricerca di nuovi valori . 10

Secondo De Felice il "Manifesto degli scienziati razzisti",


rappresentò per gli ebrei italiani un vero e proprio "fulmine a ciel
sereno" . Gli ebrei italiani, soprattutto quelli che nel fascismo avevano
11

creduto, subirono la svolta antisemita come una ferita morale più che
materiale. Anche per i meno assimilati la scelta conseguente non fu
comunque subito l'antifascismo. Per De Felice non si può parlare di un
antifascismo ebraico prima e dopo il 1938, quanto piuttosto di antifascisti

9Cfr. R. Finzi, Gli Ebrei nella società italiana dall'Unità al fascismo, in "Il Ponte",
nov.-dic. 1978, pag. 1407.
10Cfr. A. Spinosa, Le persecuzioni razziali in Italia. L'azione della stampa, in "Il

Ponte", 1952, n. 11, III; R. De Felice, op. cit., pag. 387.


11Cfr. R. De Felice, op. cit., pag. 328.
28

ebrei , i quali spesso provenivano culturalmente dall'esperienza sionista.


12

Questa tesi è contestata fra gli altri da Meir Michaelis, che rileva come la
percentuale di ebrei nelle file dell'antifascismo, anche prima del 1938,
fosse preponderante rispetto alla popolazione generale . Ma lo stesso
13

autore nota che anche questa alta percentuale rimase un'eccezione: la


maggioranza degli ebrei aveva considerato gli accenni antisemiti del
regime poco importanti e destinati a rimanere un mero elemento
propagandistico.
Anche per De Felice "l'epilogo tragico del fascismo era nelle sue
premesse" e "nella sua logica, nella sua sostanza antidemocratica e
liberticida, nella sua mancanza di rispetto per i valori più elementari della
personalità umana" , ma il fascismo italiano è tuttavia al riparo, secondo
14

il suo giudizio, da ogni accusa di genocidio. Tuttavia le responsabilità di


Mussolini non possono essere considerate solo un'"ingenuità", visto che
dopo il decreto del 30 novembre 1943 gli ebrei italiani furono chiusi in
campi di concentramento e le liste del censimento del 1938 vennero rese
disponibili .
15

12Ibid., pag. 433 e sgg.


13 Cfr. M. Michaelis, Mussolini e la questione ebraica. Le relazioni italo-tedesche e
la politica razziale in Italia, Milano, Edizioni di Comunità, 1982, pag. 13.
14R. De Felice, op. cit., pp. 462-3.
15Ancora all'inizio della persecuzione era pressoché sconosciuto il numero degli ebrei

residenti in Italia. Il censimento annunciato da Mussolini si preoccupò di rispondere a


questa domanda, ma nessun dato ufficiale venne alla fine reso noto. Mussolini optò
per la cifra arbitraria di settantamila, mentre Preziosi, su "La Difesa della Razza",
azzardò le centomila unità. Le cifre del precedente censimento del 1931 suggerivano
un numero di poco inferiore alle quarantamila unità, ma il nuovo censimento, nelle
intenzioni di Mussolini, avrebbe dovuto seguire criteri razzisti e non religiosi e/o
culturali. Gestito dalla Demorazza, il censimento fu estremamente accurato nella sua
opera di schedatura poliziesca, e per la prima volta gli ebrei furono presi in
considerazione come razza e non come religione. L'intento era di verificare l'esattezza
degli elenchi delle Comunità ed eventualmente integrarli; fornire i dati per la
discriminazione; svelare l'effettivo peso ebraico nella società. Si può comunque
affermare che il numero degli ebrei italiani nel 1938 era di circa quarantasettemila
unità, ovvero essi rappresentavano circa l'uno per mille dell'intera popolazione,
29

Nel 1968 lo storico marxista Abram Léon proponeva un'analisi degli


aspetti economico-sociali per spiegare la svolta antisemita del fascismo.
Già Delio Cantimori, nella citata Prefazione al libro di De Felice, aveva
suggerito che "forse non sarebbe stata inutile una maggiore attenzione ai
nessi economico sociali" . 16

Secondo Léon, ad esempio, la crisi del '29 aveva favorito la


proletarizzazione di larghi strati della popolazione, che iniziò a
considerare gli ebrei come concorrenti. Il grande capitale tentò di
incanalare questo scontento per indirizzarlo contro il "plutocrate ebreo" . 17

Guido Fubini ha utilizzato questo schema per spiegare il carattere


tardivo dell'antisemitismo italiano: il capitalismo italiano sfruttò le guerre
d'Etiopia e di Spagna come valvola di sicurezza per distogliere
l'attenzione del proletariato dai propri interessi di classe. In questa ottica
la politica razziale appare come un ulteriore diversivo per rimandare il
confronto fra capitalismo e proletariato.
Il ritardo del fascismo ha quindi due motivi: l'eredità risorgimentale,
vista come unico patrimonio comune degli italiani, e quindi anche degli
ebrei; la funzione delle guerre etiopica e spagnola, che crearono due
diversivi bellici che servirono da specchietto delle allodole nei confronti
di un popolo italiano insoddisfatto . 18

concentrati in poche città del Nord Italia e a Roma. Secondo la propaganda antisemita
questo rapporto nascondeva in realtà un peso schiacciante, in quanto erano gli ebrei a
manovrare i centri vitali della società italiana. In realtà, come numerosi studi hanno
indicato, gli ebrei in Italia non detenevano affatto le leve del potere economico e
politico: cfr. C. Vivanti, Nell'ombra dell'Olocausto, in "Studi Storici", 1988, n. 3-4,
pag. 809, R. De Felice, op. cit., e M. Michaelis, op. cit., fra gli altri.
16D. Cantimori, Prefazione, in R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il
fascismo, Torino, Einaudi, 1961, 1a ed., pag. XII.
17Cfr. A. Léon, Il marxismo e la questione ebraica, Roma, Samonà e Savelli, 1968.
18Cfr. G. Fubini, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano. Dal periodo

napoleonico alla repubblica, Firenze, La Nuova Italia, 1974.


30

Per Fubini il carattere originale del razzismo fascista è la


connotazione populista e piccolo-borghese. L'antisemitismo italiano
assunse la funzione di sanare una frustrazione collettiva nazionale e
sociale. A questo scopo era indispensabile trovare un nemico che potesse
essere facilmente battuto. Questo nemico si materializzò nell'ebreo, i cui
interessi potevano ben collidere con quelli della piccola borghesia
scontenta, dei commercianti, dei professionisti, degli impiegati.
L'antisemitismo era quindi stato "l'alibi necessario alla piccola borghesia
per ritrovare dignità di fronte a se stessa" .
19

Ugo Caffaz individua fra le ragioni dell'antisemitismo fascista sia il


tributo all'alleanza con la Germania, sia il tentativo di creazione di un
capro espiatorio che avrebbe potuto catalizzare il malcontento della gente
contro il complotto "demo-pluto-giudaico-massonico". Un terzo
elemento fu la necessità di dare una scossa alla cultura ed all'ideologia
fascista attraverso la polemica antiborghese. La raffigurazione dell'ebreo
come immagine da denigrare era indispensabile all'autoaffermazione
dell'"uomo nuovo" fascista ed al consolidarsi del regime . 20

Se De Felice nega sostanzialmente i legami ideologici tra nazismo e


fascismo, Meir Michaelis afferma viceversa che i due movimenti furono
sostanzialmente affini . Se ci furono differenze tra i due razzismi, esse
21

riguardano solo il piano politico, essendo quello italiano più teso alla
discriminazione che alla persecuzione e più legato al mutamento dei
rapporti di forza internazionali. Dunque, un'esclusiva motivazione di
politica estera. La legislazione fascista fu dovuta all'interferenza indiretta
della Germania, quindi imposta dalla situazione internazionale, e non fu il
19Ibid.,pag. 22.
20U. Caffaz, Introduzione in Assimilazione e persecuzione degli Ebrei nell'Italia
fascista, Firenze, Giuntina, 1988, pag. 11.
21Cfr. M. Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, cit.
31

risultato di forze interne al fascismo. Secondo Michaelis non ci furono


pressioni da parte di Hitler, anche se nel 1938 il dittatore tedesco fu
l'esclusivo bersaglio dell'antifascismo, che vedeva nelle leggi razziali la
prova dell'"asservimento" italiano al Terzo Reich. Tale sospetto non è
suffragato da prove concrete. Piuttosto Michaelis nota che Hitler si
astenne dall'interferire nella politica italiana, per cui la decisione di
Mussolini derivò dalla presa di coscienza del mutato quadro
internazionale e dalla necessità di eliminare l'unico contrasto che ormai lo
separava dalla Germania. Lo stesso Hitler aveva in precedenza più volte
rifiutato di condannare apertamente il filosemitismo di Mussolini, ed
aveva impedito ai suoi collaboratori di criticare le scelte del regime
fascista. Hitler comprendeva infatti le difficoltà di Mussolini nell'imporre
il problema ebraico ad una realtà che non lo conosceva. In Germania
l'antisemitismo era invece un movimento di massa già negli anni '20 e la
scelta di Hitler di individuare nell'ebreo il nemico assoluto del Terzo
Reich era stata in questo senso semplice. Per Mussolini si trattava al
contrario di creare quasi dal nulla un capro espiatorio, un oggetto da
denigrare e, come ha notato Hannah Arendt, la propaganda non può
scegliersi arbitrariamente il proprio oggetto . Se il razzismo fascista non
22

fu una creazione originale, né una mera imitazione del modello tedesco,


l'influenza della Germania senza dubbio spinse Mussolini a fare
riferimento ad una legislazione straniera che non poteva adattarsi alla
realtà italiana senza opportuni correttivi.
Se pressioni tedesche ci furono, esse si limitarono all'influenza nella
campagna di stampa e ad un incoraggiamento verso gli antisemiti italiani,
cui venne fornito materiale propagandistico. Gli stessi osservatori
22Cfr.
H. Arendt, Le origini del totalitarismo. L'antisemitismo, Milano, Edizioni di
Comunità, 1967, pp. 5-12.
32

tedeschi in Italia ricevettero, anche durante la guerra, istruzioni di non


intervento nelle questioni interne italiane. Mussolini decise di ricambiare
questa solidarietà con l'ultimo pegno sull'altare dell'alleanza italo-tedesca:
la persecuzione degli ebrei.
In polemica con De Felice, Michaelis inoltre si propone di
correggere la dicotomia troppo semplicistica fra razzismo tedesco
materialista e razzismo italiano idealista. Egli sposta l'attenzione sulla
peculiarità dell'antisemitismo nazista, notando che il razzismo nazista non
appare esclusivamente biologico. Nel programma ufficiale del partito
nazista possiamo infatti leggere: "L'antisemitismo è, per così dire, la base
emozionale del nostro movimento". Lo stesso Hitler scriveva nel Mein
Kampf: "Noi usiamo il concetto di razza ebraica come termine di
convenienza, ma in realtà, dal punto di vista genetico, non esiste una tale
razza...La razza ebraica è prima di tutto una razza astratta dello spirito" . 23

Secondo le leggi di Norimberga, inoltre, l'appartenenza alla razza ebraica


veniva stabilita in base all'appartenenza religiosa dei nonni e dei genitori,
mentre le leggi fasciste parlavano di razza in termini biologici.
Ricorda ancora Michaelis che nella terminologia nazista spesso il
termine "razza" viene usato in due accezioni. A volte con il termine razza
viene inteso il "popolo", e ne vengono sottolineati i presupposti
eugenetici; altre volte tale termine appare influenzato dalla tradizione
nazionalista. Anche nei confronti degli ebrei la concezione razziale di
Hitler non appare immune da contraddizioni. Per l'antisemitismo tedesco
l'ebraismo non era una religione, ma una razza, la razza più pura del
mondo, per cui l'ebreo per Hitler assumeva quasi i connotati di un

23Cit. in M. Michaelis, La politica razziale fascista vista da Berlino. L'antisemitismo


italiano alla luce di documenti inediti tedeschi. (1938-43), in "Storia
Contemporanea", 1980, n. 4-6, pag. 1012.
33

"superuomo negativo". Tuttavia, per le Leggi di Norimberga,


l'appartenenza alla razza ebraica era stabilita in base alla religione.
Mario Toscano non considera completa e definitiva l'interpretazione
di Michaelis. La politica antisemita del fascismo non può essere
giustificata solo in base all'alleanza con la Germania, in quanto così non
si evidenzierebbero abbastanza le corresponsabilità storiche e morali del
regime, ma anche l'indifferenza di vasti settori dell'opinione pubblica. La
scelta autonoma del fascismo fu determinata in primo luogo dal cinico
opportunismo di Mussolini e dal suo senso tattico. La contemporaneità
della svolta totalitaria sul piano interno e della creazione dell'Asse su
quello internazionale produsse la politica antiebraica del fascismo. I
nuovi obiettivi del regime potevano ora essere soddisfatti dall'alleanza col
nazismo, per cui la carta sionista appariva superata. Michaelis non prende
in considerazione gli equilibri interni al regime fascista che potevano
essere influenzati sia da scelte antisemite che dall'avvicinamento alla
Germania . 24

Ancora in polemica con De Felice, Gabriele Turi afferma che la


legislazione antiebraica non fu affatto un "fulmine a ciel sereno", in
quanto era stata preannunziata dalla discriminazione civile e religiosa
applicata dal fascismo negli anni precedenti . Per Turi la maggioranza
25

degli italiani accolse con indifferenza le leggi del 1938, un'"indifferenza


maturata nei secoli" che secondo Arnaldo Momigliano, era "l'ultimo
prodotto delle ostilità delle chiese, per cui la conversione è l'unica
soluzione al problema ebraico" . 26

24Cfr. M. Toscano, Gli ebrei in Italia dall' emancipazione alla persecuzione, in


"Storia Contemporanea", 1986, n. 5.
25Cfr. G. Turi, Ruolo e destino degli intellettuali nella politica razziale del fascismo,

in Le leggi antiebraiche in Italia e in Europa, cit., pag. 102.


26A. Momigliano, op. cit., pag. XXXI.
34

Proprio l'indifferenza è il momento essenziale che compare nei


colloqui da me avuti con alcuni ebrei romani che hanno vissuto quel
periodo:

Bisogna dire che la massa del popolo italiano si è rivelata quella "zona grigia" di
cui parla Primo Levi. Ancora oggi si dice che le leggi razziali però furono una
buffonata. Non furono una buffonata. Ci fu gente che moriva di fame, ci furono
dolori tremendi, ci furono suicidi.27

Si è voluto far credere in Italia che tutto fosse facile, un fascismo sorridente, una
popolazione che non ha sentito. Io devo dire che è vero: la popolazione non ha
sentito, e non ha sentito fino all'ultimo momento. E non ha sentito al punto tale
che, dopo la guerra, quando sono arrivate le notizie di Auschwitz, quando si
sapeva che gli ebrei erano stati venduti per 3000 lire dal portiere, dal vicino di
casa, si disse: "Beh, ma adesso è tutto finito, non pensiamoci più,
dimentichiamo". Questo non è giusto, perché chi dimentica può commettere le
stesse cose .
28

Un'indifferenza che può trovare parziali giustificazioni, ma che


procurò senza dubbio sofferenza ed umiliazioni, al di là delle differenti
esperienze personali:

Io per anni sono stata l'unica ebrea della mia classe, nessuno ha mai detto la
minima parola offensiva, o pensato che fossi "diversa". Altri hanno agito in
modo differente...Riguardo agli atteggiamenti bisogna essere obiettivi: ci fu
indifferenza da parte della maggior parte delle persone: si viveva comunque in un
regime totalitario, dove potevi essere mandato al confino per un nonnulla.
L'indifferenza però c'è stata, è mancata la voglia di ribellarsi per l'assurdità del
gesto .29

Alle elementari avevo avuto una maestra fascista che mi diceva "Fuori di classe,
brutta ebrea", quindi sapevo benissimo cosa era la "diversità"...Rimane il fatto
che nessuna compagna di scuola, né mia, né di mia sorella, si è fatta viva per dire
"Come mi dispiace!". Se ne fregavano. Se ne fregavano totalmente: non le
interessava, oppure erano imbarazzate, nel migliore dei casi .30

27Intervista alla signora Giacoma Limentani (cfr. Appendice A).


28Intervista alla signora Pupa Garriba.
29Intervista alla signora Lea Sestieri.
30Intervista alla signora Giacoma Limentani.
35

Poi c'è un fatto. Anni, secoli di educazione a vedere l'ebreo come una persona,
magari religiosamente, inferiore o diversa, di cancellazione, di deturpazione della
tradizione e della cultura ebraica, questo rende la gente infinitamente più
insensibile .
31

Mio padre, vice primario al Regina Elena, in 24 ore fu cacciato dall'ospedale.


Non volle mai più rimettere piede in una struttura pubblica, perché ricordava
sempre come era stato mandato via...Il problema per la mia famiglia non fu di
natura economica, ma psicologica. Ci fu un senso di insicurezza, perché si
sentivano molto forti a Roma .
32

Accanto ad alcune voci isolate, si levò quella di Benedetto Croce,


che attraverso la pubblicazione di due articoli su "La Critica" nel 1938,
prese posizione contro l'antisemitismo . Si trattò di una condanna
33

indiretta, attraverso la biografia del patriota e poeta ebreo Tullo


Massarani e la riproposizione dell'umanista Antonio Ferrari, meglio noto
come Galateo, in difesa degli ebrei. Così Croce potè evitare la censura e
fare comunque udire la propria voce.
Fra le altre "pecore matte", come Cavaglion e Romagnani chiamano
coloro che osarono contrapporsi pubblicamente al regime , vi furono 34

Ernestina Bittanti Battisti, la vedova di Cesare Battisti, e Gaetano


Salvemini, che dal suo osservatorio statunitense criticò duramente
l'atteggiamento dei governi e dell'opinione pubblica internazionale . 35

Un particolare approccio di Michele Sarfatti attribuisce alla


personalità di Mussolini, pragmatica ed opportunista, la preminenza nelle
31Intervista alla signora Pupa Garriba.
32Intervista alla signora Anna Blayer.
33Cfr. A. Cavaglion-G. P. Romagnani, (a cura di), Le Interdizioni del Duce. A

cinquant'anni dalle leggi razziali in Italia. (1938-1988), Torino, Meynier, 1988, pag.
222 e sgg.
34 I versi di Dante Uomini siate, e non pecore matte / sì che il Giudeo fra voi di voi

non rida furono per anni riportati in copertina da "La Difesa della Razza", con
intenzioni evidentemente differenti.
35Cfr. A. Cavaglion - G. P. Romagnani, op., cit., pp. 179-220.
36

vicende dell'antisemitismo italiano . Un articolo anonimo, apparso in un


36

giornale antifascista pubblicato in Francia, sottolineava nel 1938 questo


ruolo di Mussolini:

Perché poi questa violenza, e questa cecità nella persecuzione antisraelitica?


Confessiamo che non riusciamo a comprendere tutti i riposti motivi: ché
basterebbe, se si trattasse di puro ossequio all'hitlerismo o di un atto di politica
estera, una persecuzione blanda e formale. Quel che è un dato di fatto positivo è
che Mussolini è personalmente partito per l'antisemitismo" .37

Secondo Sarfatti il razzismo italiano, più che contrapposto alla


formula tedesca, appare una fusione dei due approcci. Accanto
all'approccio "biologico" vanno collocate le teorie eugenetiche che
proponevano la "bonifica della stirpe" e la rivalutazione del retaggio
nazionale e di un patrimonio spirituale che potessero creare la nuova
Italia di Mussolini. Tuttavia accanto a questo approccio è oggi
impossibile negare una tipologia più chiaramente "razzista" della
legislazione, come è del resto confermato dal recente ritrovamento delle
cosiddette "carte di Merano", consegnate all'Archivio Centrale dello Stato
nel 1994. Questi documenti dimostrano inequivocabilmente
l'elaborazione del concetto di "una razza di appartenenza biologica"
attraverso la costruzione di un "doppio albero genealogico" che
permetteva di stabilire se un individuo fosse ariano o ebreo risalendo a
tutti i suoi ascendenti fino agli 8 bisnonni. Le "carte di Merano" sono
circa 2600 fascicoli della Demorazza, la Direzione Generale per la
Demografia e la Razza, che si propose il compito di accertare
l'appartenenza alla razza ebraica in termini più "scientifici". Tutte le

36Cfr.M. Sarfatti ( a cura di), 1938. Le leggi contro gli ebrei, cit.
37La persecuzione antiebraica vista da vicino, articolo non firmato in "Giustizia e
Libertà", 2 dicembre 1938, cit. in M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei, cit., pag. 5.
37

pratiche contengono due alberi genealogici che descrivono la situazione


biologica e quella giuridica dell'individuo. Ad iniziare dai nonni, per ogni
componente vi era un circolo da riempire di rosso o di blu, secondo il
"dosaggio" di sangue ebreo o ariano presente. Questo procedimento
burocratico stabilì la sorte di migliaia di individui, confermando la tesi
della "banalità del male" di cui parla Hannah Arendt . 38

Sarfatti utilizza questa nuova documentazione archivistica sia per


contestare la classica tesi di De Felice, sulla distinzione fra il razzismo
italiano spiritualista e quello tedesco biologistico, sia per confutare l'idea
che la persecuzione fascista sia stata "varata ma non attuata". Sarfatti ha
infatti notato che da più parti prevale la definizione di antisemitismo
"all'italiana", ovvero blando ed inapplicato, per la legislazione fascista . 39

Secondo queste posizioni il fascismo avrebbe emanato le leggi per


compiacenza verso la Germania, ma le avrebbe applicate solo in minima
parte. Questo falso storico è il risultato di quello che Sarfatti definisce "il
peso di Auschwitz", che, prendendo questo campo di concentramento
come simbolo dell'Olocausto, ha imposto lo sterminio operato dai
tedeschi come metro di paragone per le azioni degli altri stati antisemiti.
Tale paragone ha finito per snaturare la specificità italiana e le
responsabilità innegabili del fascismo. Il luogo comune degli "italiani
brava gente" ha negato l'autonomia decisionale del regime fascista e
l'impossibilità da parte degli italiani di agire in qualsiasi modo contro gli
ebrei.
Eppure è un dato di fatto che nel 1938 l'Italia aveva già un apparato
legislativo durissimo per un paese che non aveva diffusamente conosciuto
38Cfr. H. Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Milano,
Feltrinelli, 1964.
39Cfr. M. Sarfatti, Le "carte di Merano": la persecuzione antiebraica nell'Italia

fascista, in "Passato e Presente", n. 32, 1994, anno XII.


38

l'antisemitismo, apparato che permise soluzioni persecutorie sempre più


aspre, in un crescendo che avrebbe portato all'Olocausto.
Soprattutto David Bidussa ha richiamato l'attenzione sulla
responsabilità collettiva degli italiani in tema di antisemitismo ed
Olocausto. E' prevalsa, secondo Bidussa, la convinzione che in Italia
l'antisemitismo non si sia mai diffuso e che le leggi antiebraiche siano
state una parentesi conclusasi con la loro archiviazione. Non è possibile
concludere, come De Felice, che si trattò esclusivamente di un operazione
politica . E' stata anche affermata l'irriducibilità del fenomeno italiano a
40

quello tedesco, e la mancanza in Italia di una "vocazione


sterminazionista" . Tuttavia la legislazione italiana appare perfino più
41

dura in un primo momento di quella tedesca, sostituendo al criterio "per


quote" applicato in Germania ed Ungheria, il criterio "per fasce", che
conduceva all'espulsione indiscriminata . Il razzismo italiano in realtà,
42

fino alla sua conclusione, si dimostra coerente con le sue premesse . 43

Durante gli anni '30, in definitiva, il fascismo mirò a costruire uno


stato totalitario in cui gli italiani assumessero nuova dignità. Si voleva
creare una nuova razza di padroni rispettata e temuta e si pensava che
solo attraverso la liberazione dalla mentalità borghese l'obiettivo potesse
essere raggiunto. In questa battaglia il fascismo aveva bisogno di un forte
elemento catalizzatore, che proponesse una nuova immagine degli
italiani. Questo elemento fu trovato nella politica razziale.

40Cfr. R. De Felice, La legislazione razziale del fascismo, in Le leggi antiebraiche in


Italia e in Europa, cit., pag. 5.
41Cfr. L. Picciotto Fargion, op. cit., pag. 793.
42Cfr. M. Sarfatti, op. cit., pp. 87-89.
43Cfr. D. Bidussa, Razzismo e antisemitismo in Italia. Ontologia e fenomenologia del

"bravo italiano", in 1938. Le leggi contro gli ebrei, cit., pag. 33 e sgg.
39

Tuttavia molti autori collocano proprio nel 1938 l'inizio


dell'allontanamento delle masse dal fascismo. Federico Chabod per primo
sostenne che la legislazione razziale aveva provocato "la grande frattura
tra Chiesa e Stato, fra l'opinione pubblica ed il Regime fascista" . Anche 44

secondo Roberto Finzi: "La campagna antisemita fu un altro momento di


separazione del regime dalla coscienza popolare" . Per Michaelis la
45

decisione di perseguitare gli ebrei si rivelò il sintomo e la spia rivelatrice


del declino di Mussolini , mentre secondo Susan Zuccotti: "Le leggi
46

razziali ruppero il grande consenso popolare che Mussolini aveva


guadagnato con la vittoria in Etiopia. Dopo il 1938 la popolarità del Capo
del Governo continuò a declinare" . 47

L'accoglienza dell'opinione pubblica nei confronti delle leggi


razziali, che oscillò tra l'incredulità e la diffidenza, fu infatti il primo
segnale per il regime che il consenso di cui aveva fino ad allora goduto
iniziava a vacillare. La campagna di stampa non aveva sortito gli effetti
sperati, e gli italiani continuavano ad apparire tiepidi verso la nuova
svolta del regime. In effetti le leggi razziali ebbero subito una grossa
ripercussione nell'opinione pubblica italiana, ma le reazioni furono
estremamente varie, spaziando dall'accettazione totale delle direttive del
regime ad una presa di coscienza che doveva sfociare in alcuni casi nella
scelta antifascista. Tuttavia, nonostante la maggioranza dell'opinione
pubblica non comprendesse i motivi e le modalità della nuova politica del
regime, non si avvertì mai un sentimento collettivo di forte rifiuto, e
dovunque l'isolamento diventò il tratto caratteristico delle comunità
ebraiche, mentre aumentavano l'interesse e lo sfruttamento per le
44F. Chabod, L'Italia contemporanea. (1918-1948), Torino, Einaudi, 1961, pag. 96.
45R. Finzi, op. cit., pag. 1407.
46Cfr. M. Michaelis, op. cit., pag. 383 e sgg.
47S. Zuccotti, L'Olocausto in Italia, Milano, Mondadori, 1988, pag. 70.
40

posizioni che gli ebrei lasciavano libere. In generale mancò in Italia una
solidarietà organizzata, che permettesse agli ebrei di sfuggire
all'isolamento. Se non vi è stato consenso di fronte alle leggi razziste, vi è
stata comunque un'accettazione diffusa da parte di una popolazione che
reagiva sommessamente, perché le leggi colpivano persone che la
propaganda aveva già reso diverse. La visione idilliaca che presenta il
popolo italiano come prima incolpevole della scelta del regime ed in
seguito solidale con gli ebrei perseguitati appare un parziale falso storico.
La stessa giurisprudenza aveva elaborato una "nuova concezione del
diritto", basata sul principio politico-giuridico della razza, per cui tutto
era subordinato all'appartenenza ad una stirpe piuttosto che ad un'altra.
Alessandro Galante Garrone ricorda che quelle leggi furono "a
prescindere da ogni considerazione morale e politica, una lacerazione dei
principi generali dell'ordinamento (che) balzava agli occhi di un qualsiasi
giurista in buona fede non sprovveduto" . 48

Inoltre, le leggi razziali e la persecuzione non possono essere


considerati due eventi distinti ed autonomi. Scrive Enzo Collotti: "Già
nella discriminazione operata dai fascisti si pongono le premesse della
soluzione finale" . Proprio in base alle schede del censimento del 1938
49

molti ebrei vennero catturati nel 1943, con l'attiva collaborazione di


Questure e Prefetture che consegnarono l'intera documentazione.
Mussolini stesso firmò autorizzazioni per la deportazione nei campi di
concentramento da cui partì la maggior parte dei 6800 ebrei italiani che
vennero uccisi nelle camere a gas. Mayda ha dimostrato che gli anni dal
1938 al 1943 non possono essere considerati un fatto accidentale, in
48A. Galante Garrone, Ricordi e riflessioni di un magistrato, in 1938. Le leggi razziali
contro gli ebrei, pag. 19.
49E. Collotti, Prefazione in S. Bon Gherardi, La persecuzione antiebraica a Trieste

('38-'45), Udine, Del Bianco, 1972, pag. 14.


41

quanto la deportazione nazista si collega direttamente alle leggi razziali


ed alla connivenza delle più alte autorità italiane e di centinaia di fascisti
e delatori .50

Impreparazione e sorpresa furono gli elementi dominanti della


reazione ebraica: ad esse seguì un isolamento pressoché totale. Questo
atteggiamento è ben rappresentato dall'esempio che Fausto Coen porta
citando le prime righe de Le Metamorfosi di Kafka:

Una mattina Gregorio Sansa, destandosi da sogni inquieti, si trovò mutato in un


insetto mostruoso .
51

Nella varietà di reazioni della popolazione ebraica (dalla


riaffermazione di fedeltà fascista del gruppo de "La Nostra Bandiera" fino
all'alternativa dell'antifascismo attivo), occupano un posto di rilievo due
scelte solo apparentemente contrastanti: il suicidio dell'editore ebreo
Angelo Fortunato Formiggini, che intese con il suo gesto richiamare
l'attenzione sulla drammaticità degli avvenimenti , e la costituzione delle
52

scuole ebraiche, che rappresentarono da un lato una coazione, ma


dall'altro un'alternativa importante alla cultura ed ai modelli educativi del
fascismo.
Tanto maggiore fu il trauma degli ebrei italiani in quanto la
posizione della maggioranza degli ebrei italiani, fino al 1938, era stata di
fiducia verso il fascismo. Il processo d'integrazione degli ebrei nella
società italiana fu continuo dall'Unità in poi, probabilmente perché, come
hanno rilevato Antonio Gramsci ed Arnaldo Momigliano, la coscienza

50Cfr. G. Mayda, Ebrei sotto Salò. La persecuzione antisemita. 1943-1945, Milano,


Feltrinelli, 1978, pp. 9-21.
51cit. in F. Coen, op. cit., pag. 77.
52Cfr. A Cavaglion - G. Romagnani, op. cit., pag. 289
42

nazionale degli ebrei si era formata parallelamente a quella di tutti gli altri
italiani .53

Secondo Stuart Hughes la rapidità dei processi d'integrazione è


motivata dal fatto che gli ebrei non avevano una lingua diversa da quella
della maggioranza, non erano dispersi per tutto il territorio ed avevano
una collocazione urbana. Inoltre i bambini frequentavano le scuole
pubbliche e dipendevano dalle sinagoghe solo per l'istruzione religiosa.
La cartina di tornasole di questa tendenza all'assimilazione furono
soprattutto i matrimoni misti, che aumentarono dall'Unità in poi in
maniera considerevole : 54

Gli ebrei italiani si sentivano profondamente italiani, così come tedeschi si


sentivano gli ebrei tedeschi, francesi i francesi...C'era una partecipazione italiana
molto importante, e questo arrivava dopo secoli di discriminazione, per cui si
credeva di aver trovato un porto sicuro, in cui ognuno aveva una patria con la P
maiuscola .55

In casa avevamo un'istruzione ebraica, si respirava l'ebraismo come in qualsiasi


altra casa ebraica. Ma non sentivamo molto la differenza, anche perché si era
completamente introdotti in qualsiasi tipo di ambiente, sia per la professione di
mio padre, che era medico, ma anche per il livello culturale della famiglia.
Eravamo, per così dire, i famosi ebrei che erano completamente integrati nella
borghesia romana . 56

Fu una pugnalata nella schiena. Non un "fulmine a ciel sereno", perché già da
qualche parte, da qualche tempo, c'erano delle cose per cui si poteva aspettarlo.
L'alleanza con la Germania, per esempio, e con quello che succedeva in
Germania era possibile aspettarsi di tutto. Comunque non fu uno scherzo, né una
cosa da nulla . 57

53Cfr. A. Momigliano, op. cit., pag. 237;A. Gramsci, Quaderni dal Carcere, vol. III,
"Il Risorgimento", Torino, 1966, cit. in G. Mayda, cit., pag. 27.
54Cfr. H. Stuart Hughes, op. cit., pag. 13.
55Intervista alla signora Giacoma Limentani.
56Intervista alla signora Anna Blayer.
57Intervista alla signora Pupa Garriba.
43

Per quanto riguarda il rapporto fra ebraismo e fascismo, Spinosa


ricorda che Mussolini assunse verso gli ebrei le posizioni più disparate,
con toni ora razzisti, ora filosemiti, secondo le diverse opportunità
politiche . Il giovane Mussolini aveva attaccato duramente le dottrine
58

razziste di Gobineau e Chamberlain, anche se non aveva disdegnato di


attaccare il bolscevismo come prodotto dell'ebraismo , per poi negare
59

disinvoltamente tale tesi . Nello stesso articolo del 1919 egli afferma che
60

"l'Italia non ha mai conosciuto l'antisemitismo, e crediamo che non lo


conoscerà mai", ma allo stesso tempo è preciso l'attacco contro il
sionismo: "Speriamo che gli ebrei italiani saranno abbastanza intelligenti
per non suscitare antisemitismo nell'unico paese dove non c'è mai stato".
La sua prima dichiarazione specificamente razziale non riguarda però gli
ebrei: "Per il fascismo la questione razziale ha grande importanza. I
fascisti devono preoccuparsi della salute della razza perché la razza è il
materiale col quale intendiamo costruire anche la storia" . 61

L'atteggiamento del fascismo non ebbe una sua continuità e


coerenza, se non quella dell'opportunismo. Subito dopo il 1938 si cercò di
dimostrare che il fascismo era stato razzista sin dalle origini, ma in realtà
lo stesso Mussolini, pur non esente da pregiudizi verso gli ebrei, fino al
1938 parlò di razza solo dal punto di vista eugenetico e di "sanità fisica".
Tuttavia è possibile rilevare nel fascismo venature antiebraiche, ma
non di tipo razzista, fin dall'inizio: veniva sottolineato il legame tra
ebraismo e bolscevismo; si parlava della "questione sionista", per cui si
attribuivano agli ebrei due patrie e la responsabilità dell'indebolimento

58Cfr. A. Spinosa, op. cit., pag. 964 e sgg.


59Cfr. "Il Popolo d' Italia", 4 giugno 1919, cit. in G. Mayda, cit., pag. 12
60Cfr. "Il Popolo d' Italia", 19 ottobre 1920, ibid.
61Cfr. "Il Popolo d' Italia", 9 novembre 1921, ibid.
44

della posizione italiana nel Mediterraneo a vantaggio della Gran


Bretagna.
Me se c'era un antagonismo latente fra fascisti ed ebrei, soprattutto
per la diffidenza dei primi verso l'"internazionalismo" dei secondi, non ci
fu una specifica opposizione ebraica, anzi le relazioni fra le due parti
migliorarono notevolmente negli anni '20, soprattutto dopo l'approvazione
della legge sulle Comunità del 1929, accolta con favore in ambito
ebraico. Nel 1934, inoltre, era nato il settimanale "La Nostra Bandiera",
diretto da ebrei fascisti che desideravano prendere le distanze dal
movimento sionista ed "antipatriottico".
Il trasformismo di Mussolini nei confronti degli ebrei è testimoniato
in maniera emblematica dal suo colloquio con il giornalista ebreo Emil
Ludwig del 1932. Il Duce respinge il razzismo tedesco e sottolinea
l'inesistenza di un problema ebraico: "Razza: questo è un sentimento, non
una realtà; il 95% è un sentimento....L'antisemitismo non esiste in
Italia....Gli ebrei italiani si sono sempre comportati bene come cittadini, e
come soldati si sono battuti coraggiosamente" . 62

L'atteggiamento di Mussolini assunse presto un carattere più


complesso. Egli aveva deciso di non utilizzare la carta antisemita appena
giunto al potere perché capiva di non avere un'adeguata base nel paese ed
inoltre perché credeva nell'"Internazionale ebraica" e ne temeva
l'opposizione. Se in pubblico si mostrava filosemita, manteneva sempre
alta la soglia d'attenzione al problema attraverso suoi articoli anonimi ed
il quotidiano "Il Tevere" di Telesio Interlandi, che si collocò subito su
posizioni antisemite ed in seguito filonaziste. Il duce avrebbe voluto
presentarsi come "mediatore" fra Hitler e gli ebrei, e non abbandonò

62Cit. in M. Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, cit., pag. 50.


45

questa posizione di compromesso neppure quando divenne chiaro che


Hitler non avrebbe svolto il ruolo di "allievo" disciplinato. Sia nel 1934,
nel momento di massimo contrasto fra Italia e Germania, che nel 1937,
quando l'alleanza era ormai una realtà, Mussolini volle assumere il ruolo
di "amico" degli ebrei. Il 6 settembre 1934, visitando la Fiera del
Levante, polemizzò apertamente con il razzismo nazista: "Trenta secoli di
storia ci permettono di guardare con sovrana pietà alcune dottrine di oltre
Alpe, sostenute dalla progenie di gente che ignorava la scrittura con la
quale tramandare i documenti della propria vita, nel tempo in cui Roma
aveva Cesare, Virgilio e Augusto" . Tuttavia già nel 1934 Camillo
63

Berneri aveva notato:

Se l'antisemitismo diventasse necessario al fascismo italiano, Mussolini, peggio


di Machiavelli, seguirebbe Gobineau, Chamberlain e Woltmann, e parlerebbe,
anche lui, di razza pura .
64

In ogni caso la prima svolta nella politica fascista coincide con la


guerra d'Etiopia. Il fascismo si trovò per la prima volta ad affrontare la
questione del meticciato e quindi a dover affermare una nuova "coscienza
razziale" per il nuovo ruolo che l'Italia imperiale doveva affrontare a
livello internazionale. Il mito delle razze inferiori si afferma così anche
nel fascismo, che si premura di sancire la proibizione dei matrimoni misti
con le popolazioni africane.
Con il 1936 gli attacchi della stampa contro gli ebrei diventano
generalizzati. Sul "Regime Fascista" Roberto Farinacci rispondeva a chi
ricordava il passato antirazzista e perfino filosemita di Mussolini: "E'

63Cit.
in R. De Felice, Storia degli ebrei italiani, cit., pag. 137.
64C.
Berneri, Mussolini il "normalizzatore" e il delirio razzista, Pistoia, Ed. Archivio
Famiglia Berneri, 1986, pag. 39.
46

vero, sì, che il Duce non ha sentito finora il bisogno di fare in Italia
distinzione di razze o di religioni, ma sono proprio alcuni ebrei italiani
che tengono a distinguersi dagli altri italiani..." . 65

Nota Michaelis che la "questione razziale" in Italia venne sollevata


solo in seguito all'Asse Roma-Berlino . Il tentativo fascista di disciplinare
66

e regolamentare le attività sociali per conformarle ai valori dello stato, e


quindi la volontà di creare un'unità monolitica, poteva essere un segnale
di minaccia per gli ebrei, ma solo dopo l'avvicinamento alla Germania il
pericolo per loro diventa attuale.
Mentre De Felice e Michaelis affermano che il comportamento degli
ebrei verso il fascismo non si differenziò da quello degli altri italiani, una
posizione diversa assume Guido Lodovico Lozzatto. Lozzatto sostiene
che la maggioranza degli ebrei, agli albori del fascismo, era decisamente
contraria ad esso. La decisione di non assumere una posizione netta di
dissenso, che era del resto difficile con la graduale "totalitarizzazione"
dello Stato, sfociò nel "quieto vivere" di cui parla De Felice, per poi
produrre un sentimento di smarrimento e di sorpresa negli anni '37-'38 . 67

Lo stesso inserimento delle Comunità sotto il controllo politico dello stato


fascista è il risultato di un processo storico che offriva agli ebrei
possibilità nuove in cambio della rinuncia alla loro autonomia. Le
Comunità venivano infatti sottoposte direttamente alla vigilanza e alla
tutela dello Stato, mentre tutti gli ebrei dovevano obbligatoriamente fare
parte delle Comunità.

65 R. Farinacci, Fascismo ed internazionale ebraica, in "Il Regime Fascista", 24


settembre 1936.
66Cfr. M. Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, cit., pag. 111 e sgg.
67Cfr. G. L. Lozzatto, La partecipazione all' antifascismo in Italia ed all' estero dal

1918 al 1938, in "Quaderni del Centro di Documentazione Ebraica contemporanea",


1962, n. 2, pag. 32.
47

Una posizione particolare e molto criticata riguardo al rapporto fra


istituzioni comunitarie e fascismo è offerta da Robert Katz . Egli si
68

richiama alle posizioni di Hannah Arendt, che, nel 1963, aveva accusato
parte della classe dirigente ebraica di essersi resa colpevole di complicità
nella "distruzione del (suo) stesso popolo" . Anche secondo Katz la
69

collaborazione offerta dai dirigenti delle Comunità ai nazisti fu


innegabile. Essa fu diretta sicuramente al salvataggio degli ebrei, ma
soprattutto alla preservazione delle istituzioni ebraiche. Per quanto
riguarda l'Italia, l'accusa di Katz è contro quei dirigenti che, sia prima, ma
soprattutto dopo il 1938, avviarono un'instancabile opera di compromesso
al fine di mantenere intatte le loro istituzioni.
In conclusione possiamo dire che molti degli ebrei italiani fino al
1938 nutrivano fiducia per il fascismo. Se segnali preoccupanti di un
mutamento di rotta da parte del regime c'erano stati, si confidava
comunque nell'azione del Re (essendo l'ebraismo filomonarchico per
tradizione), del Papa (che si sarebbe opposto, si pensava, ad ogni
persecuzione) e dell'opinione pubblica in generale, immune nella
maggioranza dall'antisemitismo. Ma proprio queste speranze lasciarono
spazio allo sgomento ed alla sorpresa che furono i sentimenti tipici con
cui gli ebrei accolsero le leggi razziali.

68Cfr. R. Katz, Sabato Nero, Milano, Rizzoli, 1973.


69Cfr. H. Arendt, op. cit., pag. 45.
48

CAPITOLO 0

I PRECEDENTI DELL'ANTISEMITISMO IN ITALIA

Lo scrittore e storico inglese Hilaire Belloc parla di un "ciclo


tragico" delle comunità ebraiche in Europa:

Cordiale accoglienza di una colonia ebraica, quindi disagio, seguito da un'acuta


insofferenza, che esplode in persecuzioni, esili, e persino massacri...seguiti da
una reazione e dalla ripresa del processo ciclico ricordato .
1

Lo stesso autore delinea quattro momenti nella storia ebraica in


Europa: la distruzione, tentazione frequente di masse popolari o despoti;
l'espulsione, come quella drammatica avvenuta in Spagna nel 1492;
l'assorbimento e l'assimilazione, promossa con varie tecniche, dal
battesimo forzato all'offuscamento dell'identità sociale ebraica; la
segregazione.
Per quanto riguarda il caso italiano, ha notato Guido Fubini che il
fascismo "non ha inventato nulla di nuovo" . Nei secoli precedenti il
2

Risorgimento, molti stati italiani applicarono una legislazione antiebraica.


Per tutto il Medio Evo gli ebrei furono soggetti ad intolleranza e ad ogni
forma di discriminazione. Le leggi fasciste possono in una certa misura
essere viste come la riproposizione di leggi antiche di secoli. Il divieto di
matrimonio misto era stato introdotto nel 388 con il Codice Teodosiano
ed abolito nello Stato Pontificio solo nel 1870. Il divieto di appartenenza
1H. Belloc, Gli Ebrei, Milano, 1934, cit. in V. Marchi, L' "Italia" e la "questione
ebraica" negli anni '30, in "Studi Storici", n.3, 1994.
2G. Fubini, La legislazione razziale nell' Italia fascista in Dalle leggi razziali alla

deportazione, cit., pag. 12.


49

alle forze armate risale al 404, mentre del 425 è il primo divieto di
esercizio della professione di avvocato. Nel 438 fu proibito agli ebrei
l'ingresso nelle pubbliche amministrazioni. La limitazione delle proprietà
fu sancita a Padova nel 1423, a Firenze nel 1437, a Roma nel 1555, in
Piemonte nel 1706 e riconfermata a Torino nel 1814. La non ammissione
degli ebrei nelle scuole si ritrova nella Costituzione del Ducato di
Modena del 1771. Solo la Rivoluzione francese, il '48 e il Risorgimento
avevano sancito la libertà e l'uguaglianza dei diritti per i non cattolici,
mentre a Roma solo nel 1870 veniva chiuso l'ultimo ghetto europeo.
Questi precedenti sono stati utilizzati per sostenere che la svolta
antisemita di Mussolini aveva un importante retroterra storico-culturale e
che l'antisemitismo, nonostante il cammino percorso dai regimi liberali
dell'800, non era completamente estraneo alla tradizione italiana . 3

In generale dobbiamo affermare che sono state due le tradizioni che


in Italia hanno favorito la diffusione del pregiudizio antisemita: una certa
tradizione liberale ed il pensiero cattolico. Bisogna tuttavia precisare che
il pensiero liberale non è caratterizzato da un vero e proprio
antisemitismo: l'ebraismo piuttosto è guardato con diffidenza, in vista di
una sua progressiva assimilazione. Nel pensiero liberale risulta evidente
l'intenzione di abolire ogni discriminazione ma, con essa, anche ogni
differenza. Solo attraverso l'assimilazione le minoranze potranno
raggiungere l'emancipazione, ma se il diverso non si uniforma alle regole
ed ai valori della maggioranza rischia di corrodere le basi della società e
dello stato, per cui deve essere allontanato. L'intolleranza liberale verso
gli ebrei è esemplificata dall'affermazione del conte Stanislas de
Clermont-Tonnère all'Assemblea Nazionale francese nel 1789:
3Cfr. U. Caffaz, Introduzione in Assimilazione e persecuzione degli Ebrei nell' Italia
fascista, Firenze, Giuntina, 1988, pag. 11 e e sgg.
50

Ogni cosa deve essere negata agli ebrei come nazione, tutto deve essere loro
concesso come individui. Essi sono obbligati a diventare cittadini. Alcuni dicono
che essi non lo vogliono essere. Che lo dicano pure essi stessi e li espelleremo.
Non possono costituire una nazione entro la nazione . 4

Se l'emancipazione offerta dall'Illuminismo e dalla Rivoluzione


francese tendeva a ridurre l'ebraismo ad un problema esclusivamente
religioso, per cui si poteva diventare cittadini solo al prezzo della rinuncia
alla propria identità comunitaria, con l'avvento del fascismo la fedeltà
liberale alla nazione diventa fedeltà al partito ed al dittatore. Solo la
fiducia ed il "buon comportamento" delle minoranze possono evitare la
reazione contro di esse. Quando Mussolini afferma, il 31 dicembre 1936,
sul "Popolo d'Italia" che "l'antisemitismo è inevitabile laddove il
semitismo esagera con la sua esibizione, la sua invadenza e quindi la sua
prepotenza. Il troppo ebreo fa nascere l'antiebreo", intende spiegare
l'assenza fino a quel punto di antisemitismo in Italia con la "non
esibizione" degli ebrei e con il loro buon comportamento, ma la
situazione avrebbe potuto cambiare se il peso economico, sociale, politico
e demografico degli ebrei fosse diventato rilevante all'interno della
nazione.
Un certo pregiudizio intellettuale era ancora vivo nel secondo
dopoguerra, come appare dalla polemica fra Benedetto Croce e Dante
Lattes. Nel 1947 il primo aveva scritto:

Oggi che la persecuzione è finita lo sforzo degli ebrei dovrebbe essere quello di
fondersi sempre meglio con gli altri italiani procurando di cancellare quella
distinzione e divisione nella quale hanno persistito per secoli, cioè la loro
differenza, che, come ha dato occasione e pretesto in passato alle persecuzioni, è
da temere che ne dia ancora in avvenire.

4Cit. in M. Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, cit., pag. 10.


51

Opportunamente il sionista e studioso di ebraismo Dante Lattes


rispondeva:

Stupisce questo consiglio dato agli ebrei di decidersi a scomparire e a mettere


fine, dopo tanti secoli di resistenza e martirio, alla loro esistenza, alla loro idea,
alla loro fede e alla loro storia. E' un consiglio che Benedetto Croce non darebbe
a nessuna altra religione, a nessun altro gruppo etnico nazionale...Stando al suo
ragionamento gli ebrei non sono i martiri, ma i colpevoli delle iniquità commesse
contro di loro .
5

Nello stesso anno Sartre notava:

Gli ebrei hanno un amico, il democratico, ma è un misero difensore: proclama, è


vero, che tutti gli uomini sono uguali nei loro diritti, ma le sue stesse
dichiarazioni palesano la debolezza delle sue posizioni. Egli non conosce l'ebreo,
né l'arabo, né il borghese, né l'operaio, ma solamente l'uomo in tutti i tempi ed in
tutti i luoghi uguale a se stesso, tutte le collettività le risolve in elementi
individuali .
6

Questo tipo di mentalità rimase tuttavia minoritario e non ebbe


grande peso nella propagabda fascista che invece sfruttò la tradizione
antisemita più consistente in Italia, quella dell'antisemitismo cristiano.Per
renderne brevemente conto, occorre accennare ad una storia di lunga
durata.
Per quanto riguarda i rapporti fra ebraismo e Chiesa Cattolica, si
possono ravvisare negli ultimi due secoli due precise linee di tendenza.
Da una parte si rifiuta il razzismo in quanto contrario ai principi stessi del
cristianesimo, ma d'altra parte si sottolinea la profonda differenza fra
cristianesimo ed ebraismo, quest'ultimo considerato un errore cui si
poteva porre rimedio solo con la conversione. Molti sono i motivi,
soprattutto teologici, alla base di questa netta distinzione. L'esegesi
5Cit. in A. Rossi-Doria, L'esperienza storica dell' antisemitismo, in AA.VV., Razzisti
e solidali. L' immigrazione e le radici sociali dell' intolleranza, Roma, Ediesse, 1993,
pag. 112.
6J. P. Sartre, L' antisemitismo, Milano, Mondadori, 1990, pag. 54.
52

biblica di S. Agostino aveva paragonato il rapporto fra cristiani ed ebrei a


quello fra Caino ed Abele. Il figlio primogenito, che si è macchiato di un
delitto verso il minore, è segnato da Dio ed allontanato dalla comunità. Il
secondogenito sarà quindi il figlio amato, ed il primogenito dovrà esserne
dominato. Gli ebrei vivranno quindi fra i cristiani, costituendo però
l'esempio negativo di chi non ha riconosciuto il vero Messia. Tutta la
storia dei rapporti fra ebrei e cristiani è caratterizzata dalle accuse di
"deicidio" e di "perfidia" rivolte ai primi, con l'espressione di pregiudizi
ed accuse che vedevano gli ebrei avvelenatori di pozzi o praticanti
omicidi rituali. L'ebraismo sarebbe stato portatore di un odio
irrinunciabile verso i cristiani, quindi proteso alla loro eliminazione. Per
questo motivo gli ebrei dovevano rimanere tali, ovvero vivere separati dai
loro naturali avversari. L'"Osservatore Romano", alla fine del XIX secolo,
domandava per gli ebrei uno status particolare, a causa della "naturale
ripugnanza che ognuno sente per il popolo deicida" .7

Molte delle posizioni metafisiche riportate dalla propaganda


traggono origine da questo rapporto storico fra giudaismo e cristianesimo.
La polemica antigiudaica della Chiesa individua l'ebreo come forza
demoniaca, fonte di tutto il male del mondo. In questa ottica l'ebreo, per
odio verso i cristiani, tende al dominio del mondo attraverso una
cospirazione universale. Per raggiungere questo scopo si serve di vari
metodi: nell'età medievale avvelenava i pozzi e praticava l'omicidio
rituale, in età contemporanea ha inventato le ideologie sovvertitrici del
capitalismo e del comunismo. Secondo Anna Foa,

7Cit.
in A. M. Canepa, Cattolici ed Ebrei nell' età liberale (1870-1915), in
"Comunità", aprile 1978, pag. 103.
53

il '300 rappresenta una soglia significativa non solo per la storia della presenza
ebraica, ma anche per quella della costruzione e del consolidamento del
pregiudizio antisemita .
8

In questo periodo si diffondono le fantasie dell'assassinio rituale,


della dissacrazione dell'ostia, dello spargimento di epidemie. Queste
accuse sono accomunate dal fatto "che l'ebreo viene definito in base non
più alla sua credenza religiosa, ma alla sua natura fisica" . Nel '300 gli
9

ebrei non sono più posti di fronte alla scelta fra morte e conversione: il
male che essi rappresentavano non poteva essere cancellato neppure dal
battesimo. La loro naturale malvagità diventava turbamento dell'ordine
naturale cristiano, per cui la "contaminazione" non era più provocata dal
loro errore, ma dalla loro natura.
Attraverso questa costruzione di uno stereotipo fisico si consolida un
senso di angoscia irrazionale che vede nel "diverso" il maligno:

Questo simbolismo, questa cornice di significanza di cui l'ebreo è stato rivestito,


fu almeno fino all'età moderna...opera della religione cristiana. Così la Chiesa,
che pure era stata in grado di elaborare una teoria della presenza ebraica che la
garantiva e la rendeva stabile, ha anche fornito gli elementi culturali e simbolici
per trasformare questa presenza in un'oscura minaccia, contro cui era necessario
scendere in guerra .
10

In questo modo l'antisemitismo dell'Europa moderna, pur basandosi


su una visione del mondo reazionaria e antimoderna, affonda le sue radici
nella memoria storica del cristianesimo:

Il cristianesimo delle origini, a causa della comune matrice fra le due religioni,
aveva costruito la sua teologia sulla necessità di differenziarsi dall'ebraismo, di
costituirne il superamento. L'identità cristiana si era definita, di fatto, in
8A. Foa, Ebrei in Europa. Dalla peste nera all'emancipazione, Roma-Bari, Laterza,
1992, pag. 16.
9Ibid.
10Ibid., pag. 24.
54

alternativa a quella ebraica e il presupposto dell'esistenza della prima si


realizzava solo nella costante opposizione alla seconda .11

Nell'immaginario collettivo l'ebreo continua quindi ad essere il


colpevole di ogni male, testimone necessario della sua colpa in posizione
subalterna. La necessità di autoaffermazione e autoriproduzione della
Chiesa cattolica sopravvive oltre la secolarizzazione, anche in assenza di
ebrei, per cui le nuove istituzioni dei vari paesi si appropriano dei
pregiudizi per utilizzarli in modo funzionale ai loro bisogni:

L'antico odio, che si nutriva dell'immagine degli ebrei improduttivi e parassiti,


solidali solo fra loro, con una responsabilità diretta nei disastri naturali e nelle
crisi economiche, si legò nella seconda metà del secolo scorso oltre che al
moralismo borghese, all'emergente nazionalismo, dando vita appunto
all'antisemitismo moderno .12

Poiché è impossibile dimostrare le varie accuse, la propaganda è


stata costretta ad inventare fatti e falsificare prove. I Protocolli sono la
dimostrazione di questi espedienti: a causa della loro enorme influenza, e
nonostante la loro provata falsità, essi sono stati definiti
"un'autorizzazione al genocidio" . 13

L'irrazionalità della propaganda si esprime in una visione quasi


escatologica in cui due figure si contendono il dominio del mondo:
l'ariano e il semita, il bene e il male, la creatività e la distruttività, la forza
e la debolezza.
Questi pregiudizi teologici hanno senza dubbio contribuito al
rafforzarsi di un antisemitismo di carattere laico, che non solo ne ha

11L. Picciotto Fargion, Per ignota destinazione. Gli ebrei sotto il nazismo, Milano,
Mondadori, 1994, pag. 15.
12Ibid., pag. 16.
13Cfr. N. Cohn, op. cit.
55

utilizzato alcuni argomenti, ma ha potuto contare su di un'opinione


pubblica cattolica che non ha opposto resistenza. Per De Felice la cultura
e la forma mentis degli italiani sono state essenzialmente cattoliche o
laiche, orientamenti entrambi avversi al razzismo, ma allo stesso tempo
l'autore sottolinea che l'Italia conobbe un antisemitismo cattolico di
stampo teologico che, soprattutto negli ultimi anni dell'800, prese nuovo
vigore . In prima linea si schierò "La Civiltà Cattolica", che prese
14

duramente posizione contro qualsiasi ipotesi di eguaglianza civile per gli


ebrei. "La Civiltà Cattolica" riassumeva la posizione della Chiesa, e fin
dal 1890, aveva promosso l'antisemitismo attraverso una serie di articoli
intitolati Della guida giudaica in Europa. L'argomento principale era
indubbiamente la degenerazione degli ebrei che, nonostante il castigo
divino, aspiravano al dominio universale. Gli ebrei, portatori di odio
verso tutti gli uomini, dovevano quindi essere separati dalla società in cui
vivevano, che essi avrebbero infettato con il loro materialismo.
Nell'articolo La morale giudaica del 1892 compare il netto rifiuto per
l'emancipazione degli ebrei, che avrebbero sfruttato la nuova condizione
di eguaglianza per divenire i padroni del mondo.
Accettare la presenza attiva degli ebrei nella società cristiana
avrebbe significato la corruzione e la secolarizzazione, con il risultato di
distruggere la cristianità. Gli ebrei, per loro scelta nemici della Chiesa,
avrebbero sfruttato le componenti internazionaliste del socialismo, della
massoneria, del liberalismo e del laicismo per sovvertire lo status quo e
raggiungere il pieno dominio del mondo. La minaccia ebraica avrebbe
toccato anche interessi economici, a causa dell'opinione per cui gli ebrei
hanno sempre formato

14Cfr. R. De Felice, Storia degli ebrei italiani, cit., pp. 28-31.


56

un corpus separato dai cristiani fra cui vivevano, e che quindi ogni aumento di
ricchezza per gli ebrei rappresentava un corrispondente impoverimento per i
cristiani .
15

La tradizionale politica cattolica, oltre ai temi teologico-religiosi già


accennati, si arricchì quindi di nuove argomentazioni, quali la
secolarizzazione della società minacciata dagli ebrei e la crescente
influenza di questi ultimi nella vita politica e sociale.
Il periodo fascista vide il sorgere e l'affermarsi di un diffuso
consenso degli ambienti cattolici verso il regime. Questo consenso fu
particolarmente visibile durante la guerra d'Etiopia, il periodo delle
sanzioni e la "crociata" antibolscevica in Spagna. Contemporaneamente
cresceva però la diffidenza verso il regime nazista e la conseguente
impopolarità dell'alleanza con la Germania.
Nel 1937 la Chiesa Cattolica aveva preso posizione contro il
razzismo tedesco con l'enciclica Mit Brennender Sorge di Pio XI. Ma se
il nazismo in generale aveva un'immagine profondamente negativa nella
Chiesa, tuttavia l'opposizione di quest'ultima al Terzo Reich non fu mai
così insistita come quella verso l'Unione Sovietica ed il comunismo.
Ancora nell'enciclica del '37 si ribadiva la differenza fra nazismo e
fascismo, mentre il consenso nei confronti di quest'ultimo aumentava
sempre di più. Inoltre, se erano combattuti l'anticlericalismo ed il neo-
paganesimo nazista, non veniva condannato con la stessa energia
l'antisemitismo tedesco, se non per le sue espressioni "estremiste" ed
"esagerate". Nessun riferimento esplicito riguardava la discriminazione
civile e la persecuzione cui gli ebrei tedeschi erano sottoposti.
L'atteggiamento della stampa cattolica fu in genere improntato alla
15A. M. Canepa, op. cit., pag. 58.
57

cautela, e gli unici attacchi diretti riguardavano il razzismo biologico


come fondamento di amoralità nella vita collettiva, e la condannaverso il
razzismo non mostrava un particolare interesse per la sua specificità
antisemita. Giovanni Miccoli può al riguardo affermare:

Vi è insomma....tutta un'antica storia cristiana di polemica e persecuzione


antiebraica che impedisce, sul piano operativo, una contrapposizione frontale che
impone, per dir così, ammissioni, distinzioni, riconoscimenti .
16

Antonio Spinosa sostiene che Pio XI "diceva solo buone parole, ma


non seppe assumere un atteggiamento deciso contro il razzismo" . Non vi 17

fu una revisione dei luoghi comuni antiebraici, anzi i pregiudizi diffusi


contribuirono a creare un clima di indifferenza, quando non di esplicito
appoggio, verso la legislazione razziale.
In generale la Chiesa Cattolica in Italia sembrava disposta ad
accettare una politica antisemita, purché non fosse fondata su presupposti
biologici, e non ledesse i diritti degli ebrei battezzati e delle famiglie
miste. Questo fu l'atteggiamento della "Civiltà Cattolica", che giustificava
l'antisemitismo perché

gli ebrei...hanno richiamato in ogni tempo, e richiamano tuttora su di sé la giusta


avversione dei popoli coi loro soprusi troppo frequenti e con l'odio verso Cristo
medesimo, la sua religione e la sua Chiesa .
18

La stampa cattolica in generale, pur dedicando ampio spazio alle


vessazioni dei nazisti verso la stampa e le associazioni cattoliche, non

16G. Miccoli, Santa Sede e Chiesa italiana di fronte alle leggi antiebraiche, in "Studi
Storici", n. 3, 1988, pag. 826.
17A. Spinosa, Le persecuzioni razziali in Italia, cit., L' atteggiamento della Chiesa,

(II), n. 8, 1952, pag. 1088.


18Cit. in L. Preti, I miti dell' Impero e della razza nell' Italia degli anni 30, Roma,

Editoriale Opere Nuove, 1965, pag. 67.


58

dedicò mai particolare risalto all'antisemitismo tedesco. Persino numerosi


discorsi di Pio XI, e varie prese di posizione di personalità ecclesiastiche
vennero completamente ignorati dalla stampa italiana, e persino dai
bollettini diocesani, anche se in essi era difficilmente citato il problema
ebraico. Le uniche parole esplicite di Pio XI furono quelle espresse in un
udienza privata ad alcuni pellegrini belgi : "No, non è possibile ai
cristiani partecipare all'antisemitismo...l'antisemitismo è inammissibile;
noi siamo spiritualmente dei semiti". La resistenza del Papa e di una parte
dei cattolici irritò non poco il regime fascista, che ben presto si premurò
di apparire, in materia di ebraismo, il vero interprete della dottrina
cristiana. Nella conferenza "La Chiesa e gli ebrei", dell'8 novembre 1938,
Farinacci precisava:

Cos'è avvenuto che la Chiesa ufficiale si sente oggi non più antisemita, ma
filosemita?...Noi non possiamo nel giro di poche settimane rinunciare a quella
coscienza antisemita che la Chiesa ci ha formato lungo millenni. Ma supereremo
questa nostra tragedia, coscienti della nostra missione politica. Noi ricordiamo
che lo spirito cristiano è l'energia più alta che sostiene gli uomini e i popoli
europei e li conduce al combattimento per il servizio di Dio .
19

Dopo questa presa di posizione le proteste cessarono quasi del tutto,


anche per evitare ritorsioni del governo contro la stampa cattolica e la
stessa autonomia dell'Azione Cattolica. La presenza degli accordi
concordatari e la volontà di non metterli in pericolo contribuirono a
limitare le resistenze in ambito cattolico. Inoltre le posizioni critiche
verso le leggi razziali non intaccavano il merito della questione, bensì
erano rivolte verso il mancato rispetto di alcune norme del Concordato,
quali quelle riguardanti i matrimoni misti e gli ebrei battezzati. Anche
queste proteste ebbero scarso peso, e la resistenza dei cattolici trovò
19Ibid., pag. 70.
59

espressione negli atteggiamenti dei singoli. Se non ci fu una netta risposta


dell'opinione pubblica, il silenzio delle alte gerarchie ecclesiastiche non
finì neppure di fronte alla razzia del ghetto di Roma del 16 ottobre 1943.
Dalla parte opposta aumentarono invece le prese di posizione
favorevoli alla legislazione razziale. Oltre all'esplicito antisemitismo dei
gesuiti della "Civiltà cattolica", spesso citati ed elogiati nella rivista "La
Difesa della Razza", nella battaglia antiebraica si schierò anche
l'Università Cattolica attraverso la sua rivista "Vita e Pensiero" e
soprattutto il suo Rettore. Nel 1939 infatti padre Agostino Gemelli
avrebbe affermato:

Tragica, senza dubbio, e dolorosa, la situazione di coloro che non possono far
parte, e per il loro sangue, e per la loro religione, di questa magnifica Patria;
tragica situazione in cui vediamo, una volta di più, come molte altre nei secoli,
attuarsi quella terribile sentenza che il popolo deicida ha chiesto su di sé e per la
quale va ramingo per il mondo, incapace di trovare la pace in una Patria, mentre
le conseguenze dell'orribile delitto lo perseguitano ovunque e in ogni tempo . 20

L'"Osservatore Romano", pur nella sua condanna del razzismo, più


volte giustificò argomenti antisemiti. Pubblicando l'omelia del vescovo di
Cremona, il 6 gennaio 1939, ribadiva il giudizio per cui è "pericolosa la
convivenza degli ebrei, finché rimangono ebrei, alla fede e alla
tranquillità dei popoli cristiani". Tradizionalmente la Chiesa si è prodigata
per "frenare e limitare l'azione e l'influenza degli ebrei in mezzo ai
cristiani...isolando gli ebrei e non permettendo ad essi l'esercizio di quegli
uffici e di quelle professioni per cui potessero dominare e influire sullo
spirito, sull'educazione e sul costume dei cristiani" . 21

20Cit. in R. De Felice, Storia degli ebrei italiani, cit., pag. 325.


21Cit. in L. Martini, Chiesa Cattolica ed Ebrei, in "Il Ponte", cit., pp. 1461-2.
60

Possiamo quindi affermare che in parziale reazione


all'emancipazione ebraica vi furono nel nostro paese non insignificanti
manifestazioni di antisemitismo "laico", ma soprattutto cattolico.
Se la tradizionale polemica cattolica anticipò, soprattutto alla fine
dell'800, alcuni motivi destinati ad entrare "nel bagaglio
dell'antisemitismo dei nazionalisti e dei fascisti" , i nuovi temi antisemiti
22

erano strettamente legati alla crescita in Europa dell'antisemitismo


politico, economico e razziale, ed erano diretta conseguenza dell'ingresso
nella vita politica italiana dei cattolici.
In genere i contributi storiografici degli ultimi anni richiamano
soprattutto l'attenzione sulle tentazioni revisionistiche che vedono l'Italia
immune dall'antisemitismo. Nel 1946 Eucardio Momigliano affermava
che l'Italia aveva sempre ignorato l'antisemitismo . La storia della
23

campagna razziale scatenata in Italia assumeva a suo parere, per questo


motivo, un carattere di tragedia grottesca per il suo carattere di servile
imitazione del modello tedesco.
Anche secondo Antonio Spinosa, autore nel 1952 del primo studio
organico sulle leggi razziali, l'antisemitismo in Italia era stato sempre
confinato in minuscoli settori, incapaci di promuoverlo ad antisemitismo
di stato . 24

Sostenitore dell'assenza di antisemitismo in Italia è anche De Felice,


il quale, fin dalla prima edizione del 1961 della sua Storia degli ebrei
italiani sotto il fascismo, sostiene che la cultura e la società italiana non

22R. De Felice, Storia degli ebrei italiani,. cit., pp. 31-2.


23Cfr. E. Momigliano, Storia tragica e grottesca del razzismo fascista, Milano, 1946,
pag. 29.
24A. Spinosa, Le persecuzioni razziali in Italia. Introduzione in "Il Ponte", 1952, anno

VIII, n. 7.
61

solo non hanno conosciuto il razzismo, ma "non ne hanno portato in sé


neppure i germi" . 25

L'antisemitismo classico, dovuto a motivi religiosi ed economici,


secondo De Felice è stato sempre assente in Italia, sia per il numero
limitato di ebrei sul territorio, sia per la debolezza della loro presenza sul
piano economico. Inoltre il razzismo come fatto culturale è una
conseguenza del nazionalismo, e quindi compare soprattutto nelle zone di
frontiera o dove sono presenti forti minoranze. Per De Felice sia la
tradizione laica che quella cattolica, egemoni in Italia, sono state contrarie
al razzismo .
26
Le stesse correnti nazionaliste e futuriste, che
rappresentarono l'unica eccezione, non accolsero il razzismo
"biologistico", ma piuttosto una nozione di razza identificabile con la
"nazione", quindi con un valore morale e di tradizione. Tuttavia anche De
Felice deve ammettere che un certo veleno antisemita cominciava a
spargersi in Italia, risultato di "qualcosa...seppure debole (che) già
esisteva in qualche piega della mente" . Lo stesso De Felice afferma che
27

"alcune gocce...(di) veleno antisemita non mancarono di spargersi qua e


là" , e che gli italiani in un certo senso si abituarono inconsciamente alle
28

argomentazioni antisemite.
D'altronde anche Cantimori affermava l'insostenibilità della tesi per
la quale l'Italia non avrebbe conosciuto l'antisemitismo dall'Unità in poi , 29

pur concordando con l'affermazione di De Felice, per il quale


l'antisemitismo in Italia non diventò mai fenomeno di massa. Cantimori

25R. De Felice, Storia degli ebrei italiani, cit., pag. 27.


26Cfr. ibid., pag. 28.
27Ibid., pag. 48.
28Ibid., pag. 53.
29Cfr. D. Cantimori, Prefazione in R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il

fascismo, cit., 1a ed., pag. XI.


62

cita a questo proposito l'esempio del deputato liberale Pasqualigo che nel
1873 si oppose alla nomina di un ministro ebreo alle finanze con la
giustificazione che "gli ebrei servono due patrie".
Anche Vivanti sottolinea le manifestazioni di antisemitismo liberale
e radicale, le cui tradizioni invocano religioni non confessionali ma
nazionali e, come Cantimori, evoca le affinità fra le manifestazioni di
30

razzismo e le dottrine vitalistiche ed irrazionalistiche collegate al


nazionalismo e quindi al fascismo. Il movimento nazionalista confluì a
vario titolo nel fascismo, nonostante De Felice abbia sostenuto la
sostanziale unicità del fascismo italiano, sempre al riparo da connessioni
o analogie con gli altri movimenti di estrema destra europei. Questa
interpretazione riduttiva del fascismo è criticata da Cantimori che
sottolinea le venature irrazionaliste del fascismo delle origini ed il
contributo ad esso dato dal nazionalismo, dal futurismo, dal
dannunzianesimo ed anche da un certo razzismo europeo.
Nonostante tali premesse, anche Michaelis parla di una sostanziale
inesistenza di un problema ebraico in Italia. La spinta all'assimilazione
sembra essere la caratteristica principale della storia dell'ebraismo italiano
nei primi decenni del secolo, ma, come abbiamo accennato,
manifestazioni di intolleranza erano presenti e provenivano sia da parte
liberale che da parte cattolica e nazionalista. In questo senso la
legislazione razziale non si può considerare un "accidente" della storia o
un evento eccezionale, ma il frutto di uno sviluppo storico dello stato
liberale e soprattutto del fascismo, in cui certe venature razziste erano
organiche fin dalle origini.

30Cfr. C. Vivanti, op. cit., pag. 807.


63

Gian Paolo Romagnani sostiene che spunti antisemiti erano presenti


nella cultura italiana, e proprio su questi elementi, in parte inconsci, puntò
la campagna propagandistica che precedette l'emanazione delle leggi.
Come abbiamo visto la prima e più importante matrice antiebraica,
si ritrova nella tradizione cattolica. I pregiudizi cattolici sono sfruttati dal
fascismo sin dall'inizio della campagna antisemita. Soprattutto Farinacci
richiamò più volte la Chiesa alle sue responsabilità in materia, ricordando
i trascorsi dei Padri della Chiesa, di numerosi papi, dei gesuiti. La
seconda fonte dell'antisemitismo italiano è nella tradizione nazionalista:
gli ebrei ed i loro principi internazionalisti sono accusati di complotto,
insieme alle principali correnti transnazionali, quali il socialismo e la
massoneria. La propaganda contro i complotti "giudaico-comunista",
"giudaico-massonico" o "giudo-plucratico" appare quindi la cartina di
tornasole di un diffuso antisemitismo. La terza radice dell'antisemitismo
italiano trae origine dal contrasto fra il fascismo e le dottrine liberal-
democratiche, che avevano sostenuto, pur con i limiti che abbiamo visto,
l'emancipazione degli ebrei . Negli anni successivi alle leggi razziali il
31

regime si premurò di sottolineare la "storicità" dell'antisemitismo in Italia


attraverso numerose pubblicazioni, fra cui i libri di Orano (Gli Ebrei in
Italia ed Inchiesta sulla razza), ma anche quelli di Giuseppe Maggiore
(Razza e Fascismo), di Telesio Interlandi (Contra Judaeos), di Nicola
Donadio (La Difesa della Razza) e numerosi altri.
I rapporti fra italiani ed ebrei non erano in conclusione così idilliaci
prima del 1938 come certa storiografia ha suggerito, né le leggi razziali
furono "un fulmine a ciel sereno". Se l'antisemitismo in Italia non era
un'ideologia diffusa, non si può sottovalutare l'influenza dell'antiebraismo
31Cfr. G. P. Romagnani, "Il veleno di una fede feroce". L' Italia di fronte alle leggi
razziali del 1938 in Dalle leggi razziali alla deportazione, cit., pag. 27.
64

cattolico e della polemica "antisionista" dei nazionalisti e dei fascisti, così


come non si possono neppure sottovalutare i limiti della concezione laico-
liberale.
65

CAPITOLO 0

LA PROPAGANDA ANTIEBRAICA NELLA STAMPA NAZIONALE


DAL 1933 AL 1938

Il regime fascista sin dalle origini attribuì grande importanza al ruolo


della propaganda come mezzo per convincere ed indirizzare l'opinione
pubblica.
L'ideologia fascista era comunicata e diffusa dai mass-media
attraverso "slogans" e parole d'ordine semplici e dirette. La
comunicazione del fascismo apparve fin dall'inizio vera e propria
"comunicazione di massa", in quanto si rivolse a tutta la popolazione, non
a determinati settori.
Per le sue campagne propagandistiche il fascismo si servì della
radio, (l'E.I.A.R., l'Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, fondato nel
1928 e su cui vigeva uno strettissimo controllo); dell'Istituto Luce, in
ambito cinematografico e dell'Agenzia Stefani, che controllava l'editoria
in generale.
Il ruolo della propaganda nel riprodurre e diffondere il pregiudizio
antisemita fu naturalmente fondamentale. Su essa l'ebreo diventa il
prototipo di ogni aberrazione, anticonformismo, diversità, un'entità
spersonalizzata ed astratta:
66

Io non ricordo esattamente quali potessero essere i termini di lettura della


propaganda fascista...però ricordo esattamente le illustrazioni di certi giornali.
Ecco che avevamo il classico ebreo obeso, rapace, col naso adunco, col piede di
pollo, che poi corrisponderebbe ad una natura diabolica, demoniaca. All'ebrea
piuttosto puttana, con la quale il rapporto umiliava il maschio .
1

L'indottrinamento ideologico, anche attraverso la propaganda, era indispensabile:


solo così si poteva procedere alla "disumanizzazione", che è l'autorizzazione alla
violenza; le azioni violente diventano routine .
2

De Felice individua tre tipologie di azione propagandistica


antisemita sulla stampa: una prima fase che tende ad annunciare
l'imminente svolta legislativa, una seconda che mira ad indirizzare ed
accrescere il pregiudizio razziale, un'ultima fase che si propone di
giustificare l'azione del regime . 3

Questa ideologia, tanto capillarmente diffusa attraverso la stampa e


la radio, diede indubbiamente i suoi frutti, soprattutto fra i giovani. Le
raffinate tecniche propagandistiche utilizzate riuscirono ad imporre agli
italiani la "questione ebraica", risvegliando ed ampliando pregiudizi
latenti e creandone di nuovi.
Gordon Allport distingue diversi livelli di pregiudizio secondo la
loro intensità:
• Rifiuto verbale o denigrazione
• Discriminazione e segregazione al fine di evitare il contatto
• Violenza fisica, che può assumere la forma estrema dello
sterminio . 4

L'azione del regime sembra aver seguito fedelmente questo schema.


La propaganda utilizzò tecniche persuasorie che miravano all'inconscio
1Intervistaalla signora Giacoma Limentani.
2Intervistaalla signora Pupa Garriba.
3Cfr. R. De Felice, Storia degli ebrei italiani, cit., pag. 204.
4Cfr. G. Allport, La natura del pregiudizio, Firenze, La Nuova Italia, 1974.
67

ed all'irrazionale, per la necessità di dover suscitare un sentimento


antisemita diffuso in pochi mesi. Non vennero utilizzati espedienti
provocatori o violenti. L'accusa agli ebrei di pericolosità sociale non
avrebbe potuto funzionare per la loro limitata presenza sul territorio.
L'ebreo doveva essere "psicologicamente" sentito come avversario, ed
assumere il ruolo di "capro espiatorio" . Anche le pretese "scientifiche"
5

del Manifesto degli scienziati razzisti non avrebbero potuto essere


accettate senza una preparazione a livello "irrazionale" dell'opinione
pubblica. Lo scopo della propaganda fu quindi quello di creare quei
meccanismi inconsci che garantissero non solo l'accettazione della
legislazione, ma la convinzione della sua assoluta necessità.
Questo doppio obiettivo fu perseguito dalla parallela campagna di
stampa condotta da diversi organi d'informazione. Mussolini decise di
assumere un atteggiamento volutamente opportunistico, affidandosi al
suo organo personale, "Il Popolo d'Italia", per ribadire la sua posizione
ufficiale di sostanziale attesa, e nello stesso tempo caldeggiando gli
attacchi ferocemente antisemiti di organi quali "Il Tevere" di Interlandi.
In questo modo la diffusione di attacchi contro gli ebrei non intaccava
direttamente la sua persona, lasciandolo libero di prendere indirizzi
diversi secondo le diverse opportunità politiche.
Tutti gli organi di stampa parteciparono alla campagna razzista,
inclusi i quotidiani locali e la stampa cattolica. Ben tre riviste vennero
dedicate esclusivamente all'antisemitismo: "La Difesa della Razza", che
nei mesi di agosto e settembre ebbe una tiratura superiore alle centomila
copie; "Il Diritto Razzista" di Stefano M. Cutelli e "Razza e Civiltà", la

5Cfr. Y. Chevalier, L' antisemitismo. L' ebreo come capro espiatorio, Milano, IPL,
1991.
68

rivista della Demorazza diretta da Antonio Le Pera, che ospitarono


discussioni più propriamente giuridiche.
Gli argomenti preferiti dalla propaganda possono essere riassunti
come segue:
• la ripresa di motivi dell'antisemitismo cattolico, per evitare
qualsiasi presa di posizione da parte della Chiesa
• l'accusa nei confronti dei "pietisti", e di chi in generale si mostrava
benevolo verso gli ebrei;
• il continuo riferimento alle legislazioni antiebraiche adottate negli
altri paesi;
• i pregiudizi antiebraici tradizionali, quali l'esercizio del prestito ad
usura, il contrabbando, la frode;
• lo sfruttamento di pubblicazioni antisemite estere ed italiane;
• con l'avvento della guerra, le accuse agli ebrei di averla provocata
e comunque di non parteciparvi (le leggi razziali avevano impedito loro
l'accesso all'esercito).
L'antisemitismo fu utilizzato dal fascismo non come fine a se stesso,
ma come copertura ideologica di motivazioni differenti . La creazione di
6

una figura da denigrare e da utilizzare come capro espiatorio diventava


fondamentale come proiezione non solo della crisi economica italiana, ma
anche delle difficoltà sociali e soggettive degli italiani. L'antisemitismo
poteva fungere da catalizzatore per la creazione del nuovo uomo fascista
cui ambiva Mussolini, forte, orgoglioso e consapevole di sé.
I temi preferiti della campagna antisemita sfruttarono contenuti di
derivazione sia cattolica che laica.

6Cfr. E. Collotti, Introduzione a S. Bon Gherardi, op. cit., pag. 12.


69

L'utilizzo delle categorie dell'antisemitismo cattolico risultava


indispensabile sia per ricordare agli eventuali avversari nella Chiesa la
loro responsabilità, sia perché la tradizione cattolica, come abbiamo visto,
era in Italia l'unica fonte consistente di pubblicistica antisemita. L'ebreo
era il nemico della Chiesa per eccellenza, con la sua negazione del Cristo
ed il suo materialismo. L'antitesi tra mondo ebraico e mondo cattolico
poteva fornire quindi una base di consenso popolare essenziale.
Ma allo stesso tempo il fascismo aveva bisogno di un'autonomia
ideologica, che si esplicò in accuse generiche contro l'ebraismo in
generale ed in accuse più propriamente politiche di "infedeltà" verso il
regime.
Le accuse generiche furono, a più riprese, violentissime: esse
dovevano far apparire l'ebreo il più spregevole possibile, utilizzando le
notizie sempre più frequenti della cronaca nera. Questi attacchi indiretti
venivano poi affiancati, apparentemente senza soluzione di continuità, da
riferimenti polemici che avevano il compito di evidenziare la pericolosità
degli ebrei per tutte le classi sociali.
Ricorda Ugo Caffaz:

Il clima di incertezza e di miseria imperante sotto il regime fascista rischiava di


essere uno dei nemici peggiori del regime stesso, nella misura in cui la
disperazione popolare poteva (come in parte fu) trasformarsi in protesta di massa
e in resistenza organizzata. Ecco che il capro espiatorio doveva, per essere
efficace e consistente, avere caratteristiche ben precise, doveva cioè suscitare
invidia e timore per la sua innata arte di arrangiarsi..., timore in quanto, dato che
non va mai a fondo, ha sempre da guadagnare da qualunque situazione, anche, e
soprattutto, da quelle disastrose come la guerra, la carestia, le pestilenze che, in
fondo, è sempre lui a provocare. In queste situazioni l'ebreo si salva sempre, lui
da solo, quindi è l'unico a trarne vantaggio. E chi altri, se no?
7

7U. Caffaz, L' antisemitismo italiano sotto il fascismo, Firenze, La Nuova Italia,
1974, pag. 23.
70

Ma l'obiettivo principale della propaganda era il complotto


internazionale che vedeva protagonisti, oltre agli ebrei, la massoneria, il
bolscevismo e l'alta finanza. Questo complotto mirava alla distruzione del
regime attraverso le varie concentrazioni antifasciste, cui facevano
riferimento, secondo la propaganda, numerosi ebrei. Il motivo del
complotto trovava le sue ragioni nel tentativo di giustificare la crisi
economica con l'attribuzione di responsabilità ad un'entità potente ed
incontrollabile che agiva nell'ombra. Il malcontento poteva essere quindi
rivolto verso un soggetto diverso dal fascismo, che non era quindi
responsabile del disagio e della crisi.
Il meccanismo psicologico fondamentale che la propaganda si
propose di utilizzare fu quindi quello di stimolare il conflitto e
l'aggressione verso un gruppo ritenuto privilegiato, da parte di chi si
riteneva più svantaggiato e colpito da fenomeni di "proletarizzazione" . 8

I primi passi della campagna propagandistica risalgono al 1933,


anno dell'avvento di Hitler al potere. Se Mussolini accoglie con favore la
conquista nazista dello Stato, l'entusiasmo della stampa fascista non si
estende agli aspetti antisemiti del nuovo regime. Le differenze fra
fascismo e nazismo in relazione al problema razziale sono ampiamente
sottolineate, facendo già riferimento al carattere materialista del razzismo
tedesco, inconciliabile con le tradizioni italiane. Il 22 agosto "Il Popolo
d'Italia" dibatteva la questione nell'articolo Fra due civiltà : "Ecco un
altro grande paese che crea lo Stato unitario, autoritario, totalitario, cioè
fascista con talune accentuazioni che il fascismo si è risparmiato,
dovendo agire in un contesto storico diverso".

8Cfr. T. W. Adorno, M. Horkheimer ed altri, La personalità autoritaria, Milano,


Edizioni di Comunità, 1973, I vol., pag. 215, II vol., pag. 678.
71

Indubbiamente Mussolini si risentì del comportamento degli ebrei


nei confronti della Germania: mentre il fascismo si avvicinava al suo
movimento gemello, gli ebrei italiani ne denunciavano l'atteggiamento
contro i loro correligionari al pari della propaganda antifascista
fuoriuscita. Per Mussolini questa era una prova di "internazionalismo
ebraico" che non poteva essere sopportata. In un primo momento, per
mantenere buoni rapporti con entrambe le parti, il duce si propose come
mediatore. La politica di compromesso si rivelò da una parte nella
pubblica condanna della politica razziale tedesca, dall'altra parte
nell'inizio della prima campagna antisemita su una parte della stampa
fascista. Per De Felice la campagna "prese le mosse...fuori dall'entourage
di Mussolini", fra i fascisti che non approvavano la politica filosemita del
Capo del Governo, mentre Michaelis sostiene che la campagna venne
ispirata dal duce stesso .9

Il portavoce ufficiale della campagna fu Telesio Interlandi, che è


stato erroneamente ritenuto finanziato dai tedeschi. In realtà il suo
giornale, "Il Tevere", era finanziato e sostenuto dallo stesso Mussolini.
Secondo Lyttelton, questo giornale aveva un ruolo essenziale nel sistema
fascista, proponendo quegli argomenti sui quali Mussolini non voleva
compromettersi personalmente . Sul "Tevere" Mussolini fece accusare gli
10

ebrei di aver diffuso pretestuosamente storie di atrocità compiute nel


Terzo Reich, mentre Farinacci su "Il Regime Fascista", accusava gli ebrei
di doppia lealtà, chiedendo provvedimenti che riducessero la loro
presenza nella vita italiana. "Il Popolo d'Italia" prese posizione attraverso
uno degli uomini di fiducia di Mussolini, Ottavio Dinale (Farinata), che in
9Cfr. R. De Felice, Storia degli ebrei italiani, 3a ed., cit., pag. 122; M. Michaelis,
Mussolini e la questione ebraica, cit., pag. 467.
10Cfr. A. Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Bari,

Laterza, 1974, pag. 642.


72

realtà riassunse la posizione del duce. Nella seconda metà del 1933 una
serie di articoli comparsi su questo giornale deplorava da una parte gli
eccessi antisemiti di Hitler, ma nello stesso tempo sottolineava la
necessità di controllare gli ebrei, anche suggerendo il numero chiuso.
Queste prime prese di posizione non preoccuparono la comunità
ebraica italiana. L'inizio degli anni '30 sembrava infatti rappresentare il
momento di massima vicinanza tra il fascismo e l'ebraismo, né la
propaganda aveva assunto un carattere marcatamente razzista. Alcuni
articoli attribuibili a Mussolini apparsi nel 1932 sul "Popolo d'Italia"
affrontano la questione dell'"alta banca" ebraica, ma sono il frutto di
luoghi comuni piuttosto frequenti in quel periodo a livello internazionale,
e non il sintomo di un antisemitismo già maturo. Anche nel 1934, quando
più dura fu la polemica antisionista, preoccupazione di Mussolini, che
pure era avverso all'internazionalismo ebraico, fu quella di stabilire buone
relazioni con il movimento sionista, soprattutto in funzione antinglese.
Mentre "Il Tevere" attaccava il sionismo, sul "Popolo d'Italia" appariva
un commento positivo sul congresso sionista di Praga, nel corsivo
Saggezza dell'8 settembre: "Il problema degli ebrei non può avere che una
soluzione: lo Stato ebraico in Palestina. Le affermazioni di Praga, nelle
quali si è condannata ogni assimilazione e si è proclamato nettamente che
l'ebraismo non è una religione ma un popolo, spingono sempre più verso
questa soluzione". Già il 17 febbraio sullo stesso giornale era apparso un
articolo, Una soluzione, che caldeggiava la creazione in Palestina di uno
Stato vero e proprio, e non solo di un "focolare", secondo l'espressione
della Dichiarazione di Balfour del 1917.
In definitiva le uniche prese di posizione chiaramente antisemite
provenivano da Preziosi, mentre "Il Tevere" si mostrava sempre più
73

vicino alla posizioni razziste tedesche. Gli altri organi di stampa si


dibattono fra incertezze e contraddizioni, diretto risultato dell'incerta
situazione politica. Nel fascismo la corrente antisemita prendeva nuovo
vigore grazie al progressivo affermarsi in Europa di motivi antiebraici che
caratterizzavano i fascismi emergenti. Inoltre da più parti si spingeva per
una più stretta alleanza con il regime nazista, che avrebbe potuto essere
pregiudicata da una differenza troppo netta sulla questione ebraica.
Mussolini, come si è detto, cercò di assumere il ruolo di mediatore
imparziale nella controversia tra Hitler e gli ebrei, con l'illusione di poter
assumere un ruolo guida verso il suo antico allievo. Gli articoli del
"Popolo d'Italia" dell'estate 1933 oscillano fra il tentativo di giustificare le
posizioni tedesche, motivandole con la particolare situazione storico-
culturale, e gli attacchi nei confronti degli ebrei tedeschi, accusati di
vittimismo e di colpe innegabili. Sul "Giornale d'Italia" il 7 maggio 1933
appare l'articolo La verità sulla lotta contro gli ebrei, che recensisce la
pubblicazione su "Gerarchia" di notizie di "pretese" atrocità che
sarebbero state commesse contro gli ebrei. Le violenze sarebbero state in
realtà inventate dalle socialdemocrazie europee per poter mettere in
cattiva luce il nuovo corso tedesco. Nei recenti avvenimenti si doveva
vedere non un tentativo di "pogrom", ma una legittima difesa da parte
della Germania.
Il giovane nazismo ed i suoi eccessi avrebbero tuttavia trovato la
giusta misura sotto la guida del maturo fascismo.
I giornali non ufficialmente di partito tennero in generale un
atteggiamento apertamente contrario al razzismo nazista, mentre la
stampa cattolica assunse una vasta gamma di posizioni. Se la condanna
nei confronti del razzismo nazista, dai presupposti anticristiani e pagani,
74

fu netta, non altrettanto chiara fu la presa di posizione contro


l'antisemitismo. Soprattutto l'organo dei gesuiti, "La Civiltà Cattolica", si
fece portavoce, come già era accaduto alla fine dell'800, di temi di
propaganda antisemita, che riproponevano le antiche accuse di deicidio,
di omicidio rituale e di immoralità.
Un particolare ruolo assunse ben presto il quotidiano più diffuso in
Italia, "Il Corriere della Sera", che fin dal 1933 si avvalse della
collaborazione di Lidio Cipriani, razzista convinto, che sarà uno dei
firmatari del Manifesto nel 1938. In numerosi articoli Cipriani sostenne
prima l'inferiorità delle popolazioni di colore ed in seguito quella degli
ebrei. Secondo alcuni autori nella campagna antisemita del quotidiano
milanese si distinse soprattutto la pagina di cronaca, controllata dalla
federazione cittadina, mentre le altre pagine del giornale, esclusi gli
articoli di Cipriani, sembrano mantenere un tono prudentemente cauto: la
redazione del "Corriere" avvertì l'impopolarità dei provvedimenti, e riuscì
a non confondersi con i sostenitori più fanatici del razzismo . In realtà è
11

difficile considerare gli articoli di Cipriani un'"eccezione" della linea più


morbida del giornale, sia per il loro numero, sia per il risalto loro
assegnato. La collaborazione di Cipriani favorì al contrario
un'impostazione "biologica" del problema ebraico, mentre sugli altri
giornali questa posizione veniva via via sfumata, contraddetta e
riaffermata.
Nella seconda metà del 1933 i rapporti con la Germania sembrarono
raffreddarsi, in quanto Hitler si era dimostrato meno malleabile del
previsto. Ancora nel novembre il fascismo si illudeva di poter guidare il
suo movimento gemello, come rivela l'articolo Fascismo e fascismi di
11Cfr.Corriere della Sera. (1919-1942), (a cura di P. Melograni), Bologna, Cappelli,
1965, pag. 550.
75

Nicolò Castellino, apparso sul "Giornale d'Italia" il 2 di quello stesso


mese: "Il sole di Roma è tanto luminoso che può oggi, come sempre,
illuminare senza ombre il cammino di tutti i popoli della terra". L'articolo
oscilla ancora fra la giustificazione verso l'atteggiamento razzista tedesco
e l'affermazione della differenza sostanziale fra i due movimenti sulla
questione razziale:

Hitler ha saputo ridare al popolo la coscienza e la coesione. Per ricostruire la


nazione tedesca egli ha cominciato a ricostruire la famiglia tedesca, facendo leva
sulle tendenze peculiari della stirpe...La sua appassionata lotta per la "Razza" va
interpretata come una lotta per la "grande famiglia" della nazione. Le
esagerazioni, gli stridori, i contrasti che le nostre equilibrate menti romane
riconoscono in alcune realizzazioni hitleriane non sono che accentuazioni delle
caratteristiche fondamentali di quel popolo.

Tuttavia, per il fascismo, il concetto di Stato non è legato al concetto


di razza biologica, essendo compito dello Stato fondere i ceppi diversi.
Compare qui il primo riferimento a quel "razzismo dello spirito" che
Mussolini avrà ben presente al momento di differenziare le sue posizioni
da quelle tedesche:

La razza dello spirito: la STIRPE nel senso più elevato e sicuro della parola, è un
termine ben più aderente al concetto di Nazione che non la razza del
sangue...Tanto più che le razze pure nella filogenesi non esistono: come la razza
latina è sorta dalla fusione di elementi aborigeni con gli etruschi, i sanniti, i
romani, così la razza tedesca è un crogiuolo di ceppi vandali, goti e slavi .
12

Questo concetto era ribadito dallo stesso Mussolini nel suo discorso
alle Camicie Nere fiorentine del 24 ottobre, ripreso dal "Corriere della
Sera". Oltre alla priorità ed inconfondibilità della dottrina fascista, il duce
ribadisce che la questione della razza deve essere affrontata

12N. Castellino, Fascismo e fascismi, "Giornale d'Italia", 2 novembre 1933.


76

assumendo...questa parola non già nel senso strettamente etnico, come si fa in


certi Paesi, ma piuttosto in senso storico, come è giusto e scientifico fare.
Nessuna razza è più composita dell'italiana per mescolanza di sangue, ma
nessuna più omogenea per il complesso di vicende storiche.

Il "Popolo d'Italia", il 3 novembre 1933, muoveva un duro atto


d'accusa al razzismo tedesco, denunciato come scientificamente
insostenibile e politicamente disastroso. Nell'articolo Non una, ma cinque
di Ruggero Zangrandi il principale bersaglio diventa la teoria della
superiorità nordica: se questa teoria fosse corretta, i lapponi, che sono la
razza più settentrionale, dovrebbero anche essere la razza più elevata.
La polemica antiebraica raggiunge il culmine nel marzo 1934,
quando 16 antifascisti, tra i quali 14 ebrei, vengono arrestati a Torino. Il
"Giornale d'Italia" titola in prima pagina 20 propagandisti antifascisti dei
quali diciotto israeliti arrestati a Torino dall'O.V.R.A dopo il sequestro
di un abbondante materiale di propaganda presso il confine con la
Svizzera. I primi fermi risalgono al giorno 11, quando Sion Segre e Mario
Levi vengono trovati in possesso di stampati e libelli antifascisti.
Nell'articolo si pone in particolare risalto la frase che Mario Levi avrebbe
pronunciato fuggendo in territorio svizzero: "cani di italiani vigliacchi". I
successivi arresti sarebbero avvenuti grazie a documenti ed appunti
ritrovati in possesso del Segre. L'occasione venne subito sfruttata per
attaccare il sionismo antitaliano e l'antifascismo degli ebrei, proprio
attraverso la sottolineatura dell'origine ebraica della quasi totalità dei
sovversivi. La polemica sulla stampa, soprattutto sul "Tevere", fu
durissima. Soprattutto il giornale personale di Mussolini riprese un
articolo apparso il 31 marzo sul giornale di Interlandi, L'anno prossimo a
Gerusalemme. Quest'anno al Tribunale Speciale:
77

L'ebreo non si assimila, perché nell'assimilazione vede una diminuzione della sua
personalità e un tradimento della sua razza;...l'ebreo esige una doppia nazionalità
- diciamo pure una doppia patria - per rimanere "elemento produttivo", cioè per
fare i suoi affari e avere oltre i confini un centro d'attrazione e di propulsione
supernazionale.

Nello stesso tempo, tuttavia, la crisi dell'amicizia italo-tedesca


stimolava la reazione della stampa contro le posizioni razziste tedesche.
L'articolo Germania 1934 apparso sul "Corriere della Sera" del 25
gennaio 1934, con la firma di Cristiano Ridomi, sottolineava la
confusione del nuovo governo tedesco, e la sua arroganza nella questione
razziale. I provvedimenti antisemiti vengono definiti intempestivi ed
eccessivi, una manifestazione di paganesimo nazista inaccettabile.
Il 19 maggio, nell'articolo Il movimento antisemita in Germania e le
sue nuove manifestazioni, apparso sul "Giornale d'Italia", si analizza
l'attività dello "Sturmer" di Streicher, che aveva assunto un ruolo
fondamentale all'interno del movimento antisemita, le cui manifestazioni
prendevano forme sempre più violente.
Mentre la polemica fra Italia e Germania sull'Austria diventava più
aspra, il 26 maggio 1934 sul "Popolo d'Italia" si sottolineava la profonda
differenza tra le due ideologie in materia di razzismo nell'articolo
Teutonica, il cui obiettivo polemico era il pangermanesimo in quanto

razzismo al cento per cento. Contro tutto e contro tutti: ieri contro la civiltà
cristiana; oggi contro la civiltà latina; domani, chissà, contro la civiltà di tutto il
mondo! Ma una politica di questo genere, una politica che non può essere
oscurantista, così come già è esclusivista, sciovinista e imperialista, non può
essere politica da ventesimo secolo...questo razzismo nazionalsocialista, così
carico di bellicosità appiccicaticce.

Sempre sul "Popolo d'Italia", il 14 luglio veniva sottolineata la


differenza tra cultura e kultur in ambito razziale.
78

Sullo stesso giornale, il 14 agosto, l'articolo Fallacia ariana,


anonimo, ma attribuibile a Mussolini, riprendeva la confutazione
scientifica del razzismo tedesco prodotta dall'antropologo inglese Grafton
Elliot Smith, secondo il quale le dottrine naziste sulla "razza pura" erano
in contrasto con gli insegnamenti della scienza antropologica. Un altro
articolo anonimo, Alla fonte, il 29 agosto, ricordava che secondo lo stesso
Hitler la razza non esisteva, non potendo crearsi "un armento di sangue
puro" neppure dopo sei secoli di matrimoni "razzialmente puri". L'8
settembre Mussolini riprendeva la polemica con l'articolo Razza e
razzismo, in cui si attribuiva alla degenerazione razziale in atto in
Germania l'ossessione razzista di Hitler. Traspare, da parte di Mussolini,
il compiacimento per il fatto che le leggi razziali , per ciò che si riferiva
alle sterilizzazioni, erano state accolte con ostilità dal popolo tedesco. Il
duce, in polemica con chi in Italia avrebbe potuto ammirare la
legislazione tedesca, conclude: "E' bene che tutto quanto precede sia
conosciuto in Italia". Il 2 dicembre Mussolini decide di firmare il suo
articolo Stato e Chiesa, in cui denuncia apertamente l'anticristianesimo
della nuova religione tedesca del sangue:
Nel concetto fascista di Stato totalitario, la religione è assolutamente libera e, nel
suo ambito, indipendente...Uno Stato che non voglia seminare il turbamento
spirituale e creare la divisione fra i suoi cittadini, deve guardarsi da ogni
intervento in materia strettamente religiosa.

Gli attacchi antisemiti si ridussero progressivamente nella seconda


metà del 1934, limitandosi a sporadici commenti sull'alta finanza ebraica
e sull'internazionalismo sionista. Tuttavia già in questa prima fase
propagandistica è possibile individuare alcuni temi che saranno ripresi,
con differente intensità, negli anni successivi.
79

Le accuse rivolte agli ebrei, per essere il più possibile diffuse,


dovevano essere allo stesso tempo specifiche e generalizzabili, in grado
di accontentare tutti. In questo modo le accuse di avarizia, di prestito ad
usura e di concorrenza sleale potevano interessare il commerciante e
"colpire" la media borghesia, la vigliaccheria e l'internazionalismo i
militari, l'antifascismo i quadri del partito, e così via. E' da notare
comunque che l'Enciclopedia Treccani, diretta interprete delle direttive
del regime, nel 1935 alla parola Razza faceva seguire la spiegazione

Non esiste una razza, ma solo un popolo ed una nazione italiane; non esiste una
razza, né una nazione ebrea, ma un popolo ebreo; non esiste - errore più grave di
tutti - una razza ariana (o meglio aria), ma esistono solo una civiltà ed una lingua
ariane.

Una nuova fase nei rapporti fra ebraismo e fascismo, e quindi una
nuova campagna antiebraica sulla stampa, si aprì nel 1936, in occasione
della guerra d'Etiopia. Le sanzioni imposte dalla comunità internazionale
vennero accolte come una sfida dell'"ebraismo internazionale" da parte di
Preziosi ed altri corifei dell'antisemitismo italiano. La polemica sulle
sanzioni, che, oltre a non essere efficaci, aumentarono la popolarità di
Mussolini in Italia , assunse subito connotazioni antiebraiche. Durante la
13

guerra etiopica ed in seguito quella spagnola, l'argomento preferito della


propaganda fu l'equazione bolscevismo-ebraismo. Anche sulla stampa
cattolica si dipinse il giudaismo come sinonimo di comunismo e
socialismo. Gli ebrei avrebbero mirato al dominio del mondo dopo essersi
assicurati l'assoluto dominio economico. Sul "Giornale d'Italia", l'8
gennaio 1936, apparve l'articolo Massoni e comunisti dirigono i fili di

13Cfr.L. Salvatorelli e G. Mira, Storia d' Italia nel periodo fascista, Torino, Einaudi,
1964, pp. 863-8.
80

Ginevra, realizzato grazie alle "importanti rivelazioni di un giornalista


tedesco". Nell'articolo si affermava l'identità fra le mire della massoneria
e quelle della politica sanzionistica di Ginevra, sottolineando
l'appartenenza alla "razza ebrea" di Nathan, Gran Maestro della
Massoneria, e di Livtinov, dirigente sovietico.
Nei mesi successivi la stampa ospitò ampi e dettagliati resoconti
della situazione in Palestina, che vedeva la rivolta araba contro il
protettorato inglese e l'immigrazione ebraica. Il 29 maggio il "Giornale
d'Italia" pubblicava un editoriale del direttore Virginio Gayda, in cui si
rifiutava l'affermazione inglese per cui l'Italia avrebbe fomentato i
disordini in Palestina. La causa dei disordini era individuata da Gayda
nella doppiezza inglese, che avrebbe promesso la Palestina agli arabi ed
agli ebrei, rendendosi colpevole di un

progressivo accaparramento terriero...nelle mani ebraiche, di una crescente


concorrenza ineguale economica e culturale fra le due razze e di una
compressione dei tradizionali diritti arabi...Ma non è soltanto l'entità numerica
degli ebrei che pesa sugli arabi. Sono anche le loro risorse economiche e le loro
capacità commerciali che creano la concorrenza ineguale e l'urto fatale degli
interessi fra le due razze.

I tradizionali luoghi comuni antiebraici vengono qui accompagnati


da una forte polemica antinglese, segnando la scelta di Mussolini per il
mondo arabo, non avendo la carta sionista portato i benefici sperati.
Inoltre il riavvicinamento con la Germania, soprattutto durante la guerra
d'Etiopia, preannunziava una svolta nella politica italiana. Legati alla
guerra d'Etiopia sono i primi accenni razzisti sulla stampa italiana.
Capofila di questo movimento è Lidio Cipriani, che dalle pagine del
"Corriere della Sera" invita ripetutamente alla regolazione dei rapporti fra
italiani ed africani. Nell'articolo L'antropologia in difesa dell'Impero del
81

18 giugno Cipriani auspica la salvaguardia delle doti razziali degli


italiani, "ragione prima...del nostro dominio del mondo". Il pericolo degli
incroci deve essere assolutamente evitato dalle razze superiori, pena
l'alterazione irreversibile delle caratteristiche fisiologiche e psichiche
delle razze dominanti. Il potenziamento dell'Impero potrà così avvenire
solo evitando promiscuità, ed il divieto dovrà essere sancito da leggi
adeguate.
L'avvicinamento alle posizioni antisemite tedesche avviene in
occasione del congresso nazista di Norimberga, svoltosi il 10 settembre
1936, che vede le violente requisitorie di Goebbels e Rosenberg contro il
pericolo giudaico-bolscevico. Tutti i giornali italiani danno ampio risalto
alla notizia, anche se nei titoli ancora non compaiono riferimenti
antiebraici. Ma il 12 settembre "Il Regime fascista" di Farinacci,
prendendo spunto dai discorsi dei ministri di Hitler, dava il via alla
seconda campagna antiebraica sulla stampa. Gli attacchi, a differenza di
quelli del 1934, non erano diretti solo contro il sionismo, ma
indistintamente contro tutti gli ebrei, e per la prima volta i rappresentanti
dell'ebraismo italiano decisero di controbattere personalmente le accuse.
L'obiettivo principale era ancora l'internazionale ebraica, con le sue
derivazioni massoniche e bolsceviche, ma per la prima volta si ventilava
l'idea di provvedimenti legislativi contro quegli ebrei che avessero
partecipato attivamente alle campagne sioniste ed alle riunioni del
Congresso ebraico internazionale. I principali giornali italiani non
parteciparono attivamente a questa fiammata antisemita, ma questa
operazione di pressione ebbe il risultato di mantenere viva nell'opinione
pubblica la questione ebraica, ed in molti casi di crearla dal nulla. Nel
frattempo, anche se i provvedimenti legislativi non erano ancora stati
82

decisi, Mussolini iniziava un'"epurazione" nel "Popolo d'Italia". In un


primo momento rifiuta la collaborazione del corsivista Adriano Grego,
perché ebreo, in seguito quella dello storico A. Levi. Il 31 dicembre lo
stesso Mussolini si inserisce personalmente nella campagna antisemita, in
un articolo apparso anonimo sul "Popolo d'Italia", Il troppo storpia, cui
abbiamo già accennato:

L'antisemitismo è inevitabile laddove il semitismo esagera con la sua esibizione,


la sua invadenza e quindi la sua prepotenza. Il troppo ebreo fa nascere
l'antiebreo...L'annunciatore e il giustificatore dell'antisemitismo è sempre e
dovunque uno solo: l'ebreo. Quando esagera e lo fa sovente.

In un altro articolo apparso anonimo, Davar, del 19 giugno 1937,


Mussolini avrebbe denunciato gli ebrei come precursori del razzismo:

Facendo coincidere la religione con la razza e la razza con la religione, Israele si


è salvato dalla "contaminazione" con gli altri popoli....L'ebreo sta agli altri popoli
come l'olio che sta nell'acqua, ma non si confonde con l'acqua. Quello d'Israele è
un riuscitissimo esempio di razzismo che dura da millenni, ed è un fenomeno che
suscita ammirazione profonda. Gli ebrei, però, non hanno diritto alcuno di
lagnarsi quando altri popoli fanno del razzismo.

Nel 1937 gli attacchi divennero sempre più diffusi, e trovarono


spazio anche al di fuori degli ambienti tradizionalmente avversi
all'ebraismo.
Nel frattempo la conquista dell'impero aveva posto il fascismo di
fronte al complesso problema razziale. Nei primi mesi del 1937 sono
infatti approvati i primi provvedimenti miranti a proibire i rapporti
sessuali fra bianchi ed indigeni . Sul "Giornale d'Italia", il 10 gennaio,
Virginio Gayda sottolinea il "dovere nazionale di... proteggere la razza
italiana e le sue tipiche qualità dalle commistioni e dalle corruzioni delle
83

razze di colore". L'articolo La difesa della razza nei territori dell'Impero,


continua con l'affermazione che il razzismo italiano è la naturale
continuazione della politica demografica voluta da Mussolini, ed ha
l'obiettivo di evitare "infiltrazioni corruttrici di elementi inferiori". Il
razzismo diventa così parte integrante dell'ideologia fascista, mentre,
parallelamente, la campagna antisemita riprende vigore e si arricchisce di
nuovi temi. L'occasione venne data dalla pubblicazione del libro di Paolo
Orano, Gli ebrei in Italia, che per la prima volta attaccava tutti gli ebrei
indistintamente. Oltre ai tradizionali pregiudizi che vedevano gli ebrei
padroni della finanza internazionale, portatori di dottrine sovversive e di
arte "degenerata", il libro conteneva un attacco sia ai sionisti che agli
ebrei fascisti. Secondo Orano non ha senso parlare di ebrei "ottimi
italiani" perché fedeli al regime. Gli ebrei non hanno il diritto alla
separazione, dovrebbero rinunciare alla loro identità comunitaria,
mantenendo esclusivamente la loro individualità religiosa. Tutti i giornali
ripresero e recensirono positivamente il libro di Orano, alcune volte
auspicando provvedimenti legislativi in base alle conclusioni dell'autore.
Il "Giornale d'Italia", il 20 aprile 1937, nell'articolo di Nosari Gli ebrei in
Italia, rinviava al libro di Evola, Il mito del sangue, come portavoce di un
antisemitismo "etico-sociale" che Orano riproponeva:

Assurdo, dunque, è il sionismo da noi; criminoso il legame con l'ebraismo dei


paesi liberali, democratici e socialisti; intollerabile è l'attività delle comunità e
del giornale "Israel" che mirano a tener vivo il senso della razza e della tradizione
ebraica...; deplorevole l'ospitalità che specialmente nel Veneto si dà ad ebrei
tedeschi fuoriusciti.
84

Il "Corriere della Sera", nell'articolo di Radius del 18 maggio, Gli


ebrei in Italia, considerava un errore degli ebrei mettere l'accento sulla
purezza della loro razza, e quindi sulla loro integrità da difendere.
La situazione si rivelò in tutta la sua nuova drammaticità quando
anche il giornale di Mussolini, "Il Popolo d'Italia", recensì positivamente
il libro di Orano. Il 25 maggio 1937, O. Gregorio, nell'articolo Gli ebrei
in Italia, parlava di un "problema nuovo" che si era presentato nell'ultimo
decennio. Si domandava l'autore: "Si considerano, essi, ebrei in Italia
oppure ebrei d'Italia? Si sentono ospiti nel nostro paese, oppure parte
integrante della popolazione?" A questa domanda risposero, nei primi
giorni di giugno, numerose lettere giunte in redazione. Oltre all'autodifesa
degli ebrei, ed ai loro proclami di fedeltà al fascismo, non mancarono
lettere che proponevano la soppressione delle Comunità, lo scioglimento
delle organizzazioni e la soppressione della stampa ebraiche.
Commentando le dichiarazioni di fedeltà di questi ebrei fascisti, l'1
giugno il giornale ribadiva:

Nessuno ha pensato di sottoporre ad inchiesta gli ebrei....E' stato dato soltanto un


avvertimento a tutti coloro, soprattutto ai dirigenti, che non hanno compreso
come il sionismo non può far rima con fascismo.

Il 5 giugno sul "Corriere della Sera" appariva una dichiarazione del


Comitato degli Italiani di religione ebraica, che, prendendo spunto dalla
recensione apparsa sul "Popolo d'Italia", affermava che

gli italiani di religione ebraica sono e si dichiarano nettamente nemici di


qualunque internazionale ebraica o non ebraica, massonica, sovversiva o
sovvertitrice e soprattutto antifascista, considerano l'ebraismo come puro fatto
religioso, dichiarano di non aver nulla in comune con chiunque professi dottrine
sioniste e disconoscono il giornale "Israel", le cui idee e i programmi sono in
netto contrasto con le loro convinzioni ed il loro spirito.
85

Il 10 giugno il "Popolo d'Italia" pubblicava l'elenco degli ebrei che


avevano espresso la loro posizione antisionista sulle pagine del
quotidiano, ma il commento che seguiva sottolineava che

accanto agli israeliti che in questa circostanza si sono pubblicamente dichiarati


antisionisti e devoti italiani, resta una notevole massa di ebrei che non si
sbilanciano e non escono dal loro chiuso ambito di razza, dalla loro mentalità
pericolosissima, più o meno abili negli adattamenti alle varie situazioni, ma
sostanzialmente uguali nel tempo, e...meritevoli di attento controllo.

Con il 1938 tutta la stampa si ritrova "in linea" sulla campagna


antisemita. Sono scomparse da tutti i quotidiani le notizie che in qualche
modo potrebbero mettere in buona luce degli ebrei, mentre sono
accentuate le notizie negative relative al sionismo e all'ebraismo.
Vengono riportate sempre più frequentemente notizie sulle leggi
antisemite approvate in altri paesi, quali l'Ungheria e la Romania in primo
luogo. Lo stesso Mussolini ordina che sulla stampa non vengano più
pubblicate dichiarazioni di fedeltà da parte di ebrei fascisti, perché "non è
sul piano politico o religioso che il problema va impostato, ma nettamente
sul piano razziale" . In aprile vengono date disposizioni perché
14

scompaiano dalla circolazione articoli e libri di scrittori ebrei. Inoltre, già


dal marzo, le espressioni "ebraismo" ed "antiebraismo" sono sostituite da
"giudaismo" ed "antigiudaismo". Grande rilievo viene dato alle notizie di
cronaca riguardanti reati commessi da ebrei, mentre viene sottolineata la
loro massiccia presenza nelle organizzazioni antifasciste e nelle
formazioni antifranchiste in Spagna. Ma soprattutto la difesa della cultura
italiana diventa l'argomento di numerosi articoli che, con vari toni,
14G. Pini, Filo diretto con Palazzo Venezia, Bologna, 1950, cit. in M. Michaelis,
Mussolini e gli ebrei, cit., pag. 124.
86

condannano l'invadenza dell'"arte giudaica", espressa dalla musica


moderna, dalla letteratura internazionalista, dalla pittura "degenerata".
Particolare attenzione venne prestata al linguaggio ed alla sua
tecnica di diffusione. Affinché la propaganda risultasse efficace e
condizionante per le coscienze, si sollecitarono interessi materiali, ma
anche situazioni psicologiche di ansia e timore. Come ha notato Romolo
Runcini:

Si trattava di montare un processo senza istruttoria, a carico di individui, cittadini


italiani e stranieri, il cui capo d'accusa è fissato al di là di ogni partecipazione
personale al delitto. Era la premessa al genocidio. Il delitto, giuridicamente
inesistente, viene configurato in astratto come colpa esistenziale, atavica, quella
della condizione ebraica .
15

Mussolini voleva dare l'impressione che il movimento antisemita


fosse spontaneo, in modo da giustificare eventuali provvedimenti
legislativi. La posizione ufficiale era di far passare la campagna di stampa
come espressione delle opinioni personali dei giornalisti, ma è evidente
che in uno Stato totalitario nessuna macchina propagandistica può essere
messa in moto senza il consenso ed il controllo del governo. Questa
funzione di indirizzo venne assunta dall'Ufficio centrale della stampa, poi
Ministero della Cultura Popolare. Più volte al giorno i direttori dei
giornali ricevevano dall'Ufficio centrale le "Note di Servizio", in cui si
impartivano istruzioni precise sulla collocazione ed il rilievo da dare alle
notizie, spesso stabilendo lo spazio da attribuire ed i caratteri da
utilizzare. Molte volte veniva suggerita la tecnica di impaginazione,
come nel caso della risposta di Mussolini a Pio XI del 30 luglio 1938. La
Nota stabiliva infatti che
15Manuale di educazione fascista, a cura di D. De Masi e R. Runcini, Roma, Savelli,
1977, pag. 279.
87

la Stefani da Forlì con le parole del Duce va messa in palchetto, con grande
evidenza; titolo su otto colonne e soltanto sulla prima frase: Noi tireremo diritto
sulla questione della razza. Non citare nel titolo la seconda frase: Non abbiamo
imitato nessuno. Nessun commento . 16

La circolare di Alfieri, ministro della Cultura Popolare, alla stampa,


dell'ottobre 1938, riassume l'atteggiamento ufficiale del fascismo in
materia di propaganda, al quale i giornali e gli editori avrebbero dovuto
uniformarsi. Il documento è diviso in 5 punti:
• La propaganda non doveva degenerare in ingiurie;
• era necessario porre l'accento sulla differenza fra persecuzione e
discriminazione;
• si doveva porre in risalto che la minaccia alla purezza della razza
italiana non proveniva solo dagli ebrei;
• si doveva creare una coscienza razziale "romana", poiché gli
italiani sono i diretti discendenti, sia fisici che spirituali, degli antichi
romani;
• nessuna allusione era permessa all'antitesi fra latinità e
germanesimo.
In definitiva la campagna razziale appare la logica conclusione delle
posizioni culturali del fascismo. L'antisemitismo rafforzò infatti l'idea
dell'identità nazionale, il culto della romanità, accentuò la polemica
esterofoba e antiborghese all'interno di una visione "rivoluzionaria".
L'espulsione dell'"altro" diventa quindi riaffermazione di sé, per cui la
"razza italica" avrebbe potuto ritrovare la purezza dei suoi antenati,
eliminando le influenze "non ariane" che avevano provocato la decadenza
di Roma antica. Il regime fascista creò una stretta connessione tra cultura

16F. Flora, Stampa dell' era fascista, Milano, Mondadori, 1945, pp. 8-9.
88

e propaganda, al punto da confondere i due fenomeni . Fra l'altro, 17

l'annuncio delle leggi razziali innescò la polemica sul confronto fra arte
moderna e tradizionale, fra cultura internazionalista e nazionale. L'attacco
che ne seguì al modernismo, visto come prodotto decadente
dell'ebraismo, ricalcava l'offensiva nazista contro l'arte moderna in
Germania.
Le terze pagine dei giornali diventano gli spazi in cui questa
polemica è più accesa. Guido Piovene sul "Corriere della Sera" del 15
dicembre 1938 avrebbe così riassunto queste posizioni :

Si deve sentire distante, e quasi per l'odore,...quello che c'è di giudaico nella
cultura.

L'intenzione di rappresentare gli ebrei in modo così astratto, quasi


definendoli ideologicamente, veniva compensata da una propaganda che
si valeva di elementi concreti su cui porre il confronto e soprattutto lo
scontro. In questa prospettiva gli elementi culturali (la musica, l'arte, la
letteratura) sono oggetto privilegiato. La manomissione della cultura
latina da parte dell'ebraismo è infatti uno degli argomenti preferiti della
propaganda:

Più pernicioso dell'ebreo è l'ebraismo; più dell'ebraismo l'ebraizzazione .


18

Attraverso la recensione del libro di Céline, Bagatelle per un


massacro, il 23 giugno 1938 Maria Luisa Astaldi, dalla colonne del
"Giornale d'Italia", chiarisce questa posizione. Nell'articolo Le bagatelle

17Cfr. P.V. Cannistraro, La fabbrica del consenso. Fascismo e mass-media, Bari,


Laterza, 1975, pag. 5.
18Citazione di un articolo del "Tevere" del 10 settembre 1938, "Corriere della Sera",

11 settembre 1938.
89

di Céline, l'autrice, pur esponendo varie riserve sulla posizione dello


scrittore francese, che spesso indulge al mero pettegolezzo, sottolinea che
"il punto più importante...è la denuncia dell'ebraismo come forza
disgregatrice della cultura occidentale" attraverso il cinema, le arti, la
letteratura. In realtà la Astaldi non crede ad una organizzazione
internazionale che agisce nell'ombra, ad un piano prestabilito da millenni;
piuttosto, ciò che muove gli ebrei è "l'istinto, il genio della razza", ancora
più pericoloso perché coinvolge la cultura dei popoli fra i quali essi
vivono.
Sempre in terza pagina sul "Giornale d'Italia", il 31 luglio, Francesco
Santoliquido esorta alla difesa del patrimonio nazionale con l'articolo
Difendiamo l'anima musicale del popolo italiano. Secondo l'autore non vi
è musica al mondo che, come quella italiana, possa esemplificare
chiaramente i caratteri di una razza. Dopo il varo della politica razziale,
secondo l'autore occorre limitare l'infiltrazione, tipicamente di marca
ebraica, che da un ventennio rende "impuro" il clima musicale. I musicisti
ebrei - Schönberg, Ravel, Honegger, Milhaud - hanno delle caratteristiche
comuni, quali il "primitivismo asiatico anti-lirico e anti-romantico". La
musica ebraica è entrata anche in Italia, ma non è conforme alle
caratteristiche della razza italiana. Questa musica "asiatica" avrebbe come
caratteristica principale la povertà melodica e con "i suoi elementi di
violenza e brutalità, con la barbarie dei suoi ritmi, e delle sue dissonanze,
non solo non può definirsi italiana, ma non può considerarsi nemmeno
europea". Il carattere razziale italiano è invece incline alla melodia, per
cui diventa indispensabile la conservazione ed il potenziamento del teatro
lirico nazionale. La sensibilità musicale del popolo italiano, e la sua
sensibilità spirituale, sembrerebbero quindi legate al principio della razza.
90

Ed al principio della razza deve uniformarsi anche il cinema italiano.


Nell'articolo del 28 settembre sul "Giornale d'Italia" di Domenico
Paolella, Giudaismo e cinematografia, si esalta il cinema quale arma di
propaganda formidabile, ma anche mezzo di formazione dello spirito. Il
cinema giudaico, proprio per questo motivo, rappresenta un costante
pericolo per lo spirito italiano. Nel dopoguerra gli ebrei tedeschi erano i
padroni incontrastati del mercato cinematografico: lo spirito e la mentalità
degli ebrei erano ben rappresentati dal nuovo genere di produzione
dell'"espressionismo", caratterizzato dalle atmosfere terrificanti, sensuali,
incestuose, agitate da delitti terrificanti. La Germania era mortificata in
questo modo dallo spirito ebraico, che affiancava alle produzioni
espressioniste produzioni "frivole", un genere che "tende, con l'ironia, la
piacevolezza, l'equivoco, le sue storie di adulteri e donne facili, la sua
malsana aria di falso gran mondo, a esaltare la mentalità piccolo-
borghese, a indebolire nello spirito il senso della forza, dell'onestà, della
famiglia, del vivere sano". Dietro le quinte di questo "complotto" si
agitava sempre la figura di Lubitsch. Negli anni 30 gli ebrei hanno rivolto
la loro attenzione all'Italia, utilizzando lo schema applicato con successo
in Germania: "produzione di un genere leggero, piccolo-borghese, falso,
mirante con l'arguzia e l'ironia ad indebolire gli spiriti", allo scopo di
creare un ambiente ed una società inesistenti in Italia. Se l'autarchia ha
migliorato la situazione, l'allontanamento dei giudei contribuirà senza
dubbio a schiarire definitivamente l'orizzonte. Le pellicole italiane, il
connubio di autarchia e razzismo, dovranno infatti contribuire ad esaltare
la forza millenaria della razza.
Anche la letteratura italiana deve trovare il riscatto nei confronti
dell'invadenza ebraica. Il 2 maggio sul "Popolo d'Italia" Ezio Camuncoli
91

pubblica un articolo, Romanzo italiano e giudaismo, che è insieme una


smentita ed una dichiarazione di intenti. Sulla rivista "Termini"
dell'Istituto di Cultura fascista di Trieste, nota l'autore, era comparsa una
recensione di un suo libro, L'agenzia Felsner, che si prestava a numerose
contestazioni. Secondo la recensione Camuncoli si sarebbe perfezionato
"alla tecnica del romanzo europeo - vale a dire giudaico - ...ed oggi, per
arrivare al grande romanzo, è quasi impossibile prescindere dagli apporti
culturali ed artistici di queste varie letterature a carattere internazionale".
Questo commento, quasi eretico per i tempi, soprattutto in considerazione
della provenienza, non piace molto a Camuncoli, che rifiuta il paragone
con Moravia e contesta che il grande romanzo debba essere giudaico. Più
in sintonia con il periodo, l'autore considera questa posizione un'offesa
per il genio letterario italiano. Il modello giudaico non può essere
universale, perché espressione dello spirito meno universale che esista:

Mai un italiano potrà scrivere un romanzo giudaico, perché in arte giudaismo


significa internazionalismo, anarchismo, razionalismo, ateismo, che sono
elementi dissolutori, anticostruttivi, antistorici, antiartistici e quindi antiromani.

I caratteri giudaici sono opposti a quelli italiani: astrattismo,


disfattismo, ateismo, nebulosità, artificio, accanimento psicologico,
egoismo sociale e sessuale, esasperazione filosofica, isterismo estetico,
nichilismo, che si oppongono ad un'arte italiana che è "solida e
trasparente; spirituale e virile;...l'arte italiana è vita: cioè umana,
appassionata e concreta".
Accanto alle volgarizzazioni, ci sono anche tentativi più analitici di
analizzare le manifestazioni letterarie ed intellettuali dell'ebraismo. Il
"Popolo d'Italia" ospita in terza pagina, il 31 agosto, il contributo di
Giacomo Prampolini, che nel suo articolo Ebraismo e romanità non
92

utilizza il termine razza, parlando esclusivamente di stirpe. Il risultato non


è comunque molto diverso dai precedenti. Secondo l'autore la produzione
letteraria ebraica è poco compresa perché scritta in lingua difficile per gli
stranieri. Per questo motivo essa si presenta come patrimonio ad uso
interno, frutto di un amore tenace per le proprie tradizioni etnico-
religiose, di stampo quindi nettamente conservatore. Accanto a questa
letteratura si schiera però una folta letteratura di propaganda. Nel campo
letterario infatti gli ebrei "non si distinguono certo per la potenza e
l'originalità creativa e costruttiva; posseggono invece una straordinaria
attitudine all'analisi che fruga e frantuma, alla speculazione che demolisce
e sovverte". Fra gli esempi citati da Prampolini per suffragare questa sua
tesi troviamo la lirica beffarda e ironica di Heine, che non rispetta nulla e
nessuno; le teorie di Freud, che trasformano la personalità in un caos di
impulsi animali, di potenze demoniache e deleterie; la scelta di Joyce di
fare di Ulisse un ebreo, abile trasformista. Ancor meno originale si
dimostra Prampolini nel citare il contributo dato dagli ebrei alle ideologie
rivoluzionarie ed alle società segrete: il loro destino storico li spingerebbe
a disgregare l'ambiente in cui vivono, a trasformare il mondo e
promuovere, con le idee ed il denaro, la riunificazione della loro stirpe.
Anche la filologia deve avere ben presente l'aspetto razziale. Il 2
novembre il "Popolo d'Italia" pubblica l'articolo di Antonino Pagliaro,
Linguaggio e razza, in cui si afferma la fondamentale affinità fra la
nozione di lingua e quella di razza. Ogni lingua ha delle caratteristiche
specifiche, così come ogni popolo ha caratteristiche fisiche e spirituali
uniche. Il linguaggio è profondamente legato alla specificità di un popolo
ed è il risultato delle diverse maniere di organizzazione del pensiero. Vi
sono dei momenti della vita di un popolo in cui esso si accorge della sua
93

missione storica, e proprio in questo momento le caratteristiche fisiche ed


il patrimonio spirituale vengono ricondotti ai suoi tratti essenziali. La cura
della lingua assume quindi valore fondamentale, in quanto sintesi degli
aspetti fisici e psichici di una razza.
Anche personalità importanti della cultura non restano insensibili al
"fascino" del rinnovamento culturale che la nuova battaglia del fascismo
sembra proporre. Un intellettuale come Guido Piovene non mancherà di
recensire con toni entusiastici il libro di Interlandi Contra Judaeos,
esaltandone le argomentazioni e lo stile narrativo . Secondo Piovene il
19

libro di Interlandi ha il pregio di chiarire che

la razza è un dato scientifico, biologico, basato sull'affinità del


sangue;...l'inferiorità di alcune razze è perpetua; che negli incroci l'inferiore
prevale sul superiore; che la razza italiana deve essere gelosa della sua immunità.
La polemica mira contro le correnti che accolgono la parola patria in senso che
variamente si definì idealistico o storico e che si traducono in "una affermazione
tutta retorica e letteraria di romanità senza radici", in un "imperialismo spirituale"
in un rifiuto della parola "razza" per quella meno impegnativa di "stirpe"...Gli
ebrei possono essere solo nemici e sopraffattori della nazione che li
ospita...Come stranieri, essi tentano di ottenere il trionfo sulla cultura nazionale
altrui, portandola a "forme europeistiche", staccandola dalle "radici popolari
dell'arte" come è accaduto in Italia.

L'argomento fondamentale della propaganda antiebraica resta


comunque l'attacco all'internazionalismo ed all'antifascismo, secondo i
vecchi canoni del "complotto giudaico" che minaccerebbe il mondo e
l'Italia. Il filone centrale resta l'attribuzione alla razza ebraica di una
preordinazione di movimenti, una segretezza e continuità di azione, che
hanno l'unico scopo della dissoluzione delle società occidentali. La storia
sembra avere una terza dimensione, in cui una potenza sotterranea dirige
gli avvenimenti storici, economici e politici. Parte di questo argomento

19Cfr. G. Piovene, Contra Judaeos, "Corriere della Sera", 1 novembre 1938.


94

propagandistico sono i riferimenti ai provvedimenti di altri paesi contro


gli ebrei. Ancora prima di ogni accenno ad una possibile legislazione
razziale italiana, grande spazio sui giornali è dato alle prese di posizione
di stati esteri contro gli ebrei. Questo accorgimento favoriva la diffusione
di argomenti antisemiti senza che il regime fascista fosse direttamente
chiamato in causa, e permetteva di valutare le reazioni interne ed
internazionali. Il 18 gennaio è lo stesso direttore del "Giornale d'Italia",
Virginio Gayda, che riferisce su Il momento romeno. Un programma di
lotta: gli ebrei. La crociata del governo romeno contro gli ebrei avrebbe
motivazioni di difesa nazionale, un principio condiviso dalle correnti
nazionaliste di molti paesi. Gli ebrei sono stati un'entità dominante in
molti gangli vitali della vita romena, soprattutto nell'economia, nei
commerci, nelle professioni liberali, nella burocrazia. Questa minoranza
ha agevolmente dominato la maggioranza, anche grazie al notevole
apporto di ebrei provenienti da altri paesi. Ma questo atteggiamento
rischia di rivelarsi un grande errore per gli ebrei, perché è la prova del
loro essere associati "all'internazionalismo della frammassoneria,
all'estremismo delle correnti di sinistra e delle speculazioni che uniscono
gli affari con la politica". La Romania si accinge, attraverso la difesa
economica, alla sua difesa spirituale e politica. Secondo Gayda questo è
l'inizio di "una nuova grande esperienza storica". Virgilio Lilli, sul
"Corriere della Sera" del 3 febbraio, coniuga l'antisemitismo con il
nazionalismo. L'articolo Il nazionalismo romeno come antisemitismo,
primo di una lunga indagine sulla situazione in Romania, propone un
parallelo fra il fascismo ed il movimento nazionalista in Romania,
protagonisti entrambi della battaglia contro il liberalismo, del quale gli
ebrei costituiscono "il lato democratico e massonico, il lato per eccellenza
95

dissolvitore". La reazione romena appare perfettamente legittima, perché


diretta contro il monopolio degli ebrei nei settori più importanti della vita
del paese: "Ebrea è in Romania la cosiddetta classe dirigente, la borghesia
che traffica senza produrre, la finanza, il magazzino, l'impiego privato, la
libera professione", per cui "il riacceso antisemitismo romeno d'oggi deve
considerarsi come il primo decisivo passo verso lo Stato totalitario". Se
uno Stato totalitario ha quindi bisogno dell'antisemitismo, uno Stato
cristiano non può certamente accettare la presenza dell'ebraismo, come
suggerisce lo stesso autore nell'intervista al fondatore del Partito nazional-
cristiano romeno . Secondo il professor Cuza c'è infatti un'identità
20

perfetta fra antisemitismo e cristianesimo, al punto che "è arrivata l'ora


per tutte le nazioni cristiane di espellere gli ebrei dal loro territorio" ed
abbandonare la Società delle Nazioni, "sinagoga internazionale che tiene
a servizio il liberalismo e il comunismo". Il mese seguente Virgilio Lilli
si dimostrerà accanito sostenitore dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion,
pubblicando un breve racconto di una sua visita personale in un ghetto
romeno in cui scopre che "la lotta antisemita è una diabolica finzione dei
capi ebrei che la dirigono, e la miseria è coltivata come propaganda
bolscevica" . 21

Queste opinioni non rimangono isolate: il 17 febbraio Gino Lupi,


sul "Popolo d'Italia", riferisce con grande enfasi sui primi provvedimenti
in Romania. La questione ebraica in Romania si apre con le notizie della
soppressione della stampa ebraica-massonica-bolscevizzata, della
soppressione delle licenze commerciali, della revisione dei permessi per
gli ebrei stranieri. Secondo Lupi la questione ebraica in Romania è
sempre stata di estrema attualità. Nell' '800 gli ebrei si "atteggiarono" a
20V. Lilli, Il signor Cuza l' antisemita, "Corriere della Sera", 19 febbraio 1938.
21V. Lilli, Viaggio in Romania, "Corriere della Sera", 19 marzo 1938.
96

patrioti e liberali, e per meglio controllare l'opinione pubblica si


impossessarono delle case editrici e dei giornali. I governi liberali, troppo
deboli e condizionabili, non hanno avuto mai la forza di affrontare la
questione di questi elementi disgregatori che "nelle campagne, osti ad un
tempo ed usurai, avvelenarono il corpo e l'anima dei contadini e si
impadronirono delle loro proprietà...nelle città furono commercianti e
professionisti corrotti e corruttori, come pure accaparratori avidi". Il
contributo peggiore è comunque quello della stampa, attraverso la
diffusione di una "letteratura a tendenza pornografica che
doveva...abbattere tutti i valori morali, diffondere il disprezzo per
l'onestà, distruggere col pessimismo e l'ironia ogni entusiasmo ed ogni
fede".
E' facile notare l'analogia fra questi argomenti e quelli che saranno
utilizzati in Italia durante la campagna antisemita, ed impressionante
risulta la somiglianza del linguaggio. L'articolo di Lupi termina infatti
con un attacco a chi compiange la sorte di "questa povera gente", che in
realtà ha sempre osteggiato il regime fascista e sparso calunnie durante la
guerra in Etiopia.
Anche l'Ungheria viene presentata come modello di legislazione
antisemita nell'articolo del 20 maggio pubblicato sul "Giornale d'Italia".
Franco Vellani-Dionisi riferisce della scelta ungherese per il criterio
proporzionale, che avrebbe istituito il numerus clausus per gli ebrei.
Secondo l'autore infatti non è importante il numero complessivo degli
ebrei, ma è necessario limitare il controllo dei punti nevralgici dello Stato
che essi hanno assunto. Questa è una minaccia che non è valida solo per
l'Ungheria, ma per tutta l'Europa: il capitalismo ebraico rappresenta un
97

pericolo attuale e concreto perché gli ebrei "vantano diritti anziché offrire
meriti, falsano la storia,...minacciano boicottaggi".
98

CAPITOLO 0

LA PROPAGANDA ANTIEBRAICA NELLA STAMPA NAZIONALE


DAL "MANIFESTO" ALLE LEGGI

Il 17 febbraio 1938 il "Giornale d'Italia" pubblica l'Informazione


Diplomatica n. 14 che, nonostante il tono conciliante, presenta per la
prima volta la possibilità in Italia di provvedimenti contro gli ebrei. Il
giorno precedente la sua divulgazione sulla stampa, una Nota di Servizio
del ministro Alfieri, raccomandava: "La notizia dell'Informazione
Diplomatica va pubblicata su una colonna in prima pagina, senza
commenti. Con questa nota, tutte le discussioni sul problema ebraico in
Italia devono cessare" . Nei giorni seguenti in effetti non ci sono
1

particolari prese di posizione sui giornali. Questa interruzione della


campagna propagandistica può essere il segnale di una pausa di riflessone
del regime, che non vede ancora maturi i tempi per l'emanazione di
provvedimenti legislativi, oppure la consapevolezza di un'indifferenza
dell'opinione pubblica che doveva ancora essere "preparata". E'
significativo a questo proposito che il battage propagandistico, senza il
quale le leggi non potevano essere varate, raggiunga il suo culmine in
quantità e qualità nell'estate, quando il Manifesto degli scienziati razzisti
era stato appena pubblicato. Solo durante l'estate erano state infatti
ultimate delle operazioni preliminari ritenute indispensabili: in primo
1Cit. in M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei, cit., pag. 90.
99

luogo, la rilevazione del numero esatto degli ebrei italiani, ottenuto grazie
alla richiesta degli elenchi alle comunità ed al censimento del 22 agosto;
in secondo luogo si era formata una struttura, la Demorazza, che
procedeva all'identificazione degli ebrei su base strettamente "biologica"
ed alla verifica delle "arianizzazioni". Questa burocratizzazione della
persecuzione favorì senza dubbio un sentimento di indifferenza verso i
perseguitati, la cui impersonalità paradossalmente creava la diversità.
Anche dopo febbraio la campagna di propaganda rimane tuttavia
presente sulle pagine dei giornali, attraverso la cronaca puntuale dello
scontro fra ebrei ed arabi in Palestina. Secondo la stampa italiana, il
programma di insediamenti ebraici, utile agli interessi del capitalismo
britannico e della Società delle Nazioni, non salvaguarda però i diritti
degli arabi, ed è un pericolo immediato per la pace mondiale. Gli articoli
sulla situazione palestinese aumenteranno di frequenza e dimensione per
tutto il 1938, con toni sempre più polemici verso gli ebrei. Soprattutto in
luglio si rincorrono le notizie di azioni terroristiche cruente, le cui vittime
sono per la maggior parte arabi. L'Alto Commissariato britannico è
accusato frequentemente di lassismo e permissività verso gli ebrei, unici
colpevoli dei più recenti atti di violenza. La stampa italiana è in prima fila
nel richiedere agli inglesi lo stesso rigore usato nei confronti degli arabi
che si erano macchiati di delitti simili, mentre l'Impero britannico è
considerato il principale responsabile di questa esplosione di odio. La
Gran Bretagna avrebbe infatti permesso la creazione del focolare ebraico
in un territorio abitato dagli arabi per venti secoli, allo scopo di ripagare i
debiti di guerra contratti nei confronti dei gruppi economici ebraici. Il
sionismo avrebbe offeso profondamente la tradizione e la fierezza degli
arabi, mentre gli insediamenti recenti avrebbero contribuito alla rovina
100

anche economica dei popoli nativi. D'altra parte numerosi articoli


sottolineano l'odio atavico fra i due popoli, che spingerebbe gli arabi a
disprezzare i "parassiti" ebrei, per motivi religiosi, tradizionali ed anche
di razza. Lo stesso Maometto aveva definito gli ebrei il vero ed unico
nemico dei musulmani, ancora più pericoloso a causa della mentalità
sacrilega, della caratteristica doppiezza e scaltrezza . Quando mancano le
2

citazioni "letterarie", la stampa fa riferimento ad episodi di cronaca che


confermino i classici pregiudizi: così gli ebrei palestinesi sfrutterebbero
gli attacchi terroristici per alimentare incendi dolosi ed usufruire
dell'assicurazione. La ben nota furbizia ebraica impedirebbe la scoperta
della colpevolezza e garantirebbe sempre l'impunità.
Anche in Italia, nei mesi precedenti la pubblicazione del Manifesto,
i giornali dedicano ampio spazio alle notizie di cronaca nera riguardanti
ebrei, soprattutto notizie di truffe e furti, oltre che di traffici monetari ed
episodi di usura. Gli stereotipi dominanti sono quelli che il Manifesto
renderà espliciti: l'ebraismo complottatore, disprezzatore degli altri
popoli, internazionalista, antifascista.
Per molti tuttavia la pubblicazione del Manifesto sul "Giornale
d'Italia" risulta una sorpresa. Gli stessi giornali il 15 luglio sembrano
impreparati, dedicando all'avvenimento brevi commenti non firmati.
Questi accenni sono comunque sufficienti a chiarire che il ruolo della
stampa sarà di totale ed entusiastico appoggio alla politica del regime. La
postilla al Manifesto del "Giornale d'Italia" afferma che "questi punti
preannunziano un'azione che è destinata a incidere profondamente sul
costume e a creare una mentalità nel popolo italiano in materia di razza".
Particolare importanza viene attribuita alla puntualizzazione di concetti

2Cfr. F. Bellotti, Maometto e gli ebrei, "Popolo d' Italia", 4 ottobre 1938.
101

quali Ariano, Razza Italiana, Indirizzo Nordico. Il termine Ariano o


Indoeuropeo designa un gruppo di genti collegate fra loro da vincoli
razziali, linguistici e culturali. Queste popolazioni sono state creatrici
della moderna civiltà europea, nonostante il contatto con "genti molto
diverse", quali i mongoli, i semiti, i camiti, i negroidi ecc. La Razza
Italiana è stata immune da incroci con genti straniere, per cui "si è venuto
formando nell'ambiente particolare della nostra Penisola, e ancora di più
si formerà nell'avvenire, un tipo razziale con caratteristiche fisiche e
psicologiche, nel loro complesso, inconfondibilmente italiane". Il termine
Nordico non ha significato geografico, ma indica l'Uomo Europeo, che
corrisponde fisicamente agli ideali di bellezza classica degli artisti greci,
latini e italiani, e psicologicamente all'"ideale eroico" dell'uomo . 3

Indirizzata in questo modo, la razza italiana dell'era fascista sarebbe


diventata sempre più "inquadrata, solida, silenziosa e potente" . 4

Il "Popolo d'Italia" definisce il Manifesto il documento fondamentale


per l'impostazione fascista del problema della razza. Il "carattere italiano"
del documento è inconfondibile, poiché il fascismo ha sempre operato per
il miglioramento fisico della razza e per salvaguardare i caratteri etnici,
soprattutto con le leggi sull'Impero. Ma il regime ha operato anche in
campo spirituale, attraverso l'esaltazione delle virtù morali del popolo
italiano (eroismo, spirito di sacrificio, genio, disciplina). Le
considerazioni espresse dal documento sono inoltre di carattere

3George L. Mosse ha sottolineato l'importanza che l'insistenza sui fattori esteriori


ebbe sul razzismo, soprattutto attraverso i concetti della fisiognomica, nata come
pseudo-scienza nel secolo XVI; per la fisiognomica l'esteriore rappresenta l'immagine
dell'interiore, per cui le specie umane vennero classificate in base ai concetti classici
di bellezza, come erano stati tramandati dalla scultura greca; cfr. G.L. Mosse, op. cit.,
pag. 30 e sgg.
4Commento al Manifesto degli scienziati razzisti, "Giornale d'Italia", 15 luglio 1938.
102

strettamente biologico e storico, senza riferimenti a teorie filosofiche o


motivi religiosi.
L'affermazione che il razzismo non fosse un problema nuovo per il
fascismo sarà l'argomento principale dell'enorme numero di articoli che,
da luglio in poi, avrebbero trovato spazio sulla stampa. Il "Corriere della
Sera", nell'articolo anonimo del 21 luglio, Razza e razzismo, dichiara che
gli italiani, avendo assunto una funzione mondiale ed imperiale, non
possono più trascurare argomenti che potevano essere in precedenza
lasciati in disparte senza danno. Il fatto che gli ebrei abbiano sempre
rifiutato di assimilarsi è la prova migliore della loro non appartenenza alla
razza italiana. Il comunicato del P.N.F. del 25 luglio, pubblicato il giorno
seguente dal "Popolo d'Italia", ribadisce che

il Fascismo fa da 16 anni praticamente una politica razzista che consiste -


attraverso l'azione delle istituzioni del Regime - nel realizzare un continuo
miglioramento quantitativo e qualitativo della razza...Anche in questo campo, il
Regime ha seguito il suo indirizzo fondamentale: prima l'azione, poi la
formulazione dottrinaria, la quale non deve essere considerata accademica, cioè
fine a se stessa, ma come determinante una ulteriore precisa azione politica.
Colla creazione dell'Impero la razza italiana è venuta in contatto con altre razze:
deve quindi guardarsi da ogni ibridismo e contaminazione...Quanto agli ebrei essi
si considerano da millenni dovunque e anche in Italia, come una "razza" diversa e
superiore alle altre ed è notorio che malgrado la politica tollerante del Regime,
gli ebrei hanno in ogni nazione costituito - coi loro uomini e coi loro mezzi - lo
stato maggiore dell'antifascismo.

A fianco del comunicato del P.N.F. compare l'articolo anonimo


Scoperta!, scritto in realtà dallo stesso Mussolini, che inizia con una nota
di "costume". Una scrittrice inglese, in soggiorno a Roma, avrebbe
annotato con sorpresa che "i lineamenti delle donne italiane ne
documentano incontestabilmente l'origine ariana". Mussolini afferma che
103

questa può essere una sorpresa solo per gli inglesi, dato che gli italiani
sono ben consapevoli della loro appartenenza alla razza ariana:

Dirsi ariani, significa dichiararsi appartenenti a un gruppo storicamente


determinato di razze: al gruppo indo-europeo e precisamente a quelle che hanno
creato la civiltà mondiale. Senza una chiara, definita, onnipresente coscienza di
razza, non si tengono gli Imperi. Ecco perché taluni problemi che erano prima in
una zona d'ombra sono diventati dal 3 ottobre del 1935 di bruciante attualità.

Per Mussolini il problema della razza non è solo l'appartenenza ad


una determinata specie, ma piuttosto una meta da raggiungere. Egli
distingue fra storia vissuta e storia da rifare, per cui la razza italiana,
gloriosa in passato, deve oggi essere nuovamente "forgiata per le battaglie
ideali del fascismo" .Per questo motivo la razza italiana dovrà, anche
5

fisicamente, essere diversa dalla razza del "cittadino demo-liberale,


ammalato di tutti gli scetticismi, debilitato da tutte le demagogie" . 6

Fu soprattutto Virginio Gayda, direttore del "Giornale d'Italia" e


commentatore di punta del regime, che si prodigò nell'identificare la
politica della razza con la politica della nazione. Il 23 luglio, nell'articolo
La difesa dell'Impero, Gayda afferma che la ragione della rivoluzione
fascista è nelle tipiche qualità della razza italiana. Esiste un "tipo italiano"
che si rivela nelle arti, nella scienza e nella storia, ma è anche innegabile
l'esistenza di una razza italiana, perché una razza non si riconosce solo da
criteri biologici, ma "dalle sue attitudini, che sono insieme il diretto
prodotto degli aspetti somatici, funzionali e spirituali dell'individuo e del
popolo". Queste attitudini sono la sanità morale e fisica, la capacità e la
volontà per tutti i lavori, il senso artistico e sobrio della vita, la passione e

5Cornelio Di Marzio, Originalità del pensiero mussoliniano, "Corriere della Sera", 28


agosto 1938.
6Ibid.
104

l'eroismo. Anche al di là dell'Unità politica queste caratteristiche si sono


mantenute nei secoli. Il problema della difesa della razza è quindi
problema della difesa della conquista fascista e del suo Impero. Secondo
Gayda gli imperi potenti sono infatti quelli capaci di allontanare gli
elementi estranei che corrompono le qualità originali di un popolo.
Queste affermazioni sono riprese dall'articolo pubblicato il giorno
seguente, Politica di razza politica di Nazione, secondo il quale la perdita
delle caratteristiche spirituali di una nazione significa la perdita degli
interessi nazionali e internazionali. Il controllo della Nazione si perde
quando le razze si lasciano dominare dai componenti di un'altra razza che
non partecipano ai suoi "istinti originari, i suoi valori essenziali, le sue
autentiche capacità". E' stato questo il caso della rivoluzione russa,
suscitata dalla minoranza ebraica. Il semitismo ha conquistato il popolo
slavo, primitivo ed ignaro, ed allo stesso modo razze estranee cercano di
infiltrarsi in Europa, soprattutto nel mondo della cultura, creando
corruzioni intellettuali, aberrazioni morali e disfattismo. Questo processo
lento e nascosto può esplodere in brevissimo tempo, sovvertendo il
destino dei popoli. Il fascismo è giunto a porre la questione della razza
perché non vuole trovarsi impreparato verso questa minaccia all'ordine
europeo. La decadenza europea è iniziata con la vittoria dei Fronti
Popolari e della loro mentalità, portatrice di elementi, interessi ed
indirizzi che non rispecchiano quelli autentici delle Nazioni. La principale
responsabilità di questa situazione ricade sull'ebraismo mondiale,
attraverso la coalizione del sovietico Litvinov, del francese Blum e del
britannico Hore Belisha.
Il 27 luglio è ancora Gayda che interviene sulle colonne del suo
giornale con l'articolo Individualità italiana per riaffermare la completa
105

autonomia del fascismo nelle sue scelte interne, rispondendo così alla
polemica della stampa estera ed antifascista secondo la quale il Manifesto
era una mera riproposizione dei concetti razziali tedeschi. Secondo la
concezione italiana la razza è un fatto biologico, ma anche mentale. La
razza italiana si è rivelata storicamente nella sua individualità prima
ancora che l'antropologia e la biologia ne definissero i caratteri. La razza
e la mentalità italiane non possono così confondersi con quelle
germaniche, nonostante i numerosi e proficui contatti e le reciproche
influenze dei due popoli. L'unità della razza deve essere preservata per
diffondere le sue conquiste ed affermare la sua forza, per cui l'intento del
fascismo non è disprezzare le altre razze, ma differenziare la razza
italiana da ogni altra, per non inficiarne la qualità e l'originalità. Per
questo motivo il fascismo deve liberare l'Italia dal dominio spirituale di
altre razze che lo hanno sempre combattuto.
Il 31 luglio vede la comparsa sulla stampa della polemica a distanza
fra Santa Sede e Mussolini, il quale risponde alle prudenti critiche del
Vaticano con il perentorio Anche nella questione della razza noi tireremo
diritto. Il 29 luglio l'"Osservatore Romano" aveva infatti pubblicato un
discorso di Pio XI che conteneva la seguente affermazione: "Ci si può
quindi chiedere come mai, disgraziatamente, l'Italia abbia avuto bisogno
di andare ad imitare la Germania". Come indicato dalla "Nota di
Servizio" del Ministero, tutti i quotidiani dedicano alla frase del duce
l'apertura. La difesa dell'autonomia ideologica del fascismo è affidata a
Nicola Pende, che dalle colonne del "Popolo d'Italia" dedica il suo
articolo La purezza della progenie di Roma a quello che sarebbe il
principio direttivo del fascismo: il riconoscimento di un tipo italico come
tipo spirituale su basi biologiche. In maniera piuttosto confusa Pende
106

cerca di districarsi fra razzismo biologico e spiritualista, proponendo una


difficile fusione tra i due aspetti: nega il metodo misurativo, quindi
"scientifico puro", ma introduce la biologia politica che "contrappone ai
dettagli della pura morfologia o della pura investigazione psicologica, la
sintesi di tutti i caratteri di un grande aggregato umano - caratteri
morfologici, dinamici, psicologici, nelle loro interrelazioni naturali". Il
tipo italiano sarebbe quindi fisicamente e psicologicamente definibile
come la progenie di Roma, e non avrebbe bisogno di incroci con altre
razze, né per crescere di numero, né per migliorare la sua qualità. In
questa prospettiva il razzismo diventa la più grande delle autarchie,
"l'autarchia dei valori etnici". Il pensiero di Pende sarà poi chiarito
ulteriormente in un'intervista rilasciata al "Corriere della Sera":

Scopo del regime fascista nella battaglia che esso ingaggia su questo fronte
interno o internazionale è di rivendicare i nostri diritti storici agli occhi del
mondo e di infondere nel popolo italiano d'oggi l'orgoglio del sangue e la sicura
coscienza di non avere nulla da invidiare, nulla da copiare dai popoli d'oltre Alpe
e d'oltremare.

Ma la battaglia per la difesa della razza deve essere anche


combattuta sul fronte interno

mescolando le popolazioni ultrafeconde del Sud d'Italia, e con una mentalità


prevalentemente sintetica ed idealistica, con le popolazioni del Nord, meno
feconde ed a mentalità prevalentemente analitica e concreta . 7

Un altro firmatario del Manifesto, Lidio Cipriani, nell'articolo Razza


e civiltà, apparso ancora il 31 luglio sul "Corriere della Sera", afferma che
"esistono tra le razze rigide gerarchie fissate da natura e impossibili da

7Intervista a Nicola Pende, "Corriere della Sera", 7 agosto 1938.


107

distruggersi". Popoli culturalmente superiori sarebbero quindi tali non per


l'educazione ricevuta, ma per doti di razza.
Lo stesso giorno l'editoriale di Gayda accusa le democrazie di
ipocrisia rispetto alla questione razziale. Anche chi critica il fascismo per
le sue recenti posizioni in materia farebbe in realtà del razzismo da secoli,
ma in maniera più indiretta. La situazione demografica degli stati
totalitari imporrebbe a questi ultimi la ricerca di uno "spazio vitale", in
modo da favorire una più equa distribuzione della ricchezza e delle
colonie.
Il presunto razzismo degli stati democratici sarà uno degli argomenti
polemici preferiti della propaganda nella seconda metà del 1938. Gli Stati
Uniti farebbero del razzismo attraverso la limitazione dell'immigrazione;
la Gran Bretagna attraverso il ripopolamento delle sue colonie con
britannici o comunque di sangue affine; la Francia sarebbe sensibile al
problema razziale in seguito alla caduta demografica ed allo
spopolamento delle campagne; la Svizzera e l'Argentina sarebbero
prossime a legislazioni razziali. Allo stesso tempo però le democrazie
sarebbero dominate da elementi ebrei: la Francia è sotto il controllo
dell'ebreo Blum, mentre una presunta origine ebraica di Roosevelt è
argomento de La dittatura ebraica di Roosevelt di Mario Intagliato del 28
agosto 1938. Pubblicato sul "Giornale d'Italia", l'articolo mira a spiegare
gli atteggiamenti antifascisti del presidente americano, che avrebbe
favorito un clima liberale e massonico per favorire la diffusione del
"morbo ebraico-sovietico". Attraverso la difesa della democrazia in
campo internazionale, Roosevelt non farebbe altro che perpetuare l'odio
della sua razza, avvalendosi di collaboratori ebrei e di legami politici ed
108

economici con le famiglie ebree più potenti che gli assicurerebbero la


rielezione.
Anche di fronte alle democrazie quindi l'Italia ha il "diritto" di porre
la questione razziale e le sue conseguenze. L'articolo Prestigio di razza di
Carlo Giglio, pubblicato il primo agosto sul "Popolo d'Italia", riafferma
l'importanza del razzismo per la politica colonizzatrice. Compito del
regime è perfezionare il senso di superiorità ed affermare il prestigio di
razza degli italiani, in modo che questi indossino "l'abito mentale" del
colonizzatore. Sempre sul "Popolo d'Italia" Giorgio Pini pubblica il 3, 4 e
5 agosto tre articoli (Coscienza di razza, Difesa della Razza, Orgoglio di
razza) che riassumono la posizione ufficiale del regime. Si ribadisce che
la razza italiana appartiene al gruppo ariano, e che non si è imbastardita
nei secoli. Gli Imperi che hanno costituito il nucleo di una civiltà sono
infatti sempre formati da un'unica razza. L'azione razzista è stata
impostata proprio perché gli italiani prendano coscienza della propria
missione e si comportino di conseguenza. Le minacce odierne per la
razza italiana, così come lo furono per la cultura romana, sono
l'internazionalismo ed il cosmopolitismo, che la razza ebraica utilizza per
affermare il suo dominio. La cultura è il terreno da cui si deve iniziare
un'opera di bonifica, cancellando tutti gli atteggiamenti "esterofili".
Bisogna quindi cominciare dalla scuola e dall'università, "invase da
professori ebrei".
Un trafiletto in prima pagina del 4 agosto annuncia appunto il primo
provvedimento del governo contro gli ebrei, l'espulsione degli ebrei
stranieri dalle scuole, cui seguirà ben presto l'allontanamento di tutti gli
studenti ed insegnanti ebrei italiani.
109

Il 3 agosto ancora Gayda nell'articolo L'universalità e la razza


aveva polemizzato con i critici che avevano rilevato l'antitesi fra il
principio d'universalità, tipico della civiltà romana, ed una politica di
protezione della razza. Secondo Gayda è proprio la forza dell'universalità
che spingerebbe gli italiani ad allargare il proprio dominio spirituale, pur
senza alterare i confini etnici e politici. Per secoli l'Italia ha fatto valere il
suo dominio morale e spirituale anche nell'inesistenza di un'unità politica:
il fondo unitario che ha permesso che questo avvenisse è proprio la
Razza. Gli studi biologici e genetici sulla razza non sono sufficienti: c'è
una personalità più complessa ed una "forma della mente" che risultano
più caratteristiche.
Il 5 agosto Lidio Cipriani, nell'articolo Unità spirituale degli
italiani, afferma che la razza è il fulcro dello Stato, in quanto "della
millenaria commedia recitata al cospetto della storia, ogni generazione è
l'attore del momento, la razza l'attore permanente". Per Mussolini sono gli
uomini che fanno la storia, ma solo in quanto godono di predisposizioni
ereditarie che permettono loro di rendersi vittoriosi. Alterare queste
predisposizioni vuol dire cambiare a proprio danno il corso della storia:
nessun provvedimento è quindi eccessivo se mira ad evitare che questo
avvenga.
In tutti i suoi articoli pubblicati sul "Corriere della Sera", Cipriani si
propone di costruire l'immagine di un ebreo "antieroe", una sorta di
"superuomo negativo" le cui qualità innegabili, e spesso esaltate
dall'autore, sono utilizzate per riproporre e rinforzare il pregiudizio.
Nell'articolo Il problema semitico del 13 agosto, Cipriani rileva che il
gruppo semitico, cui appartengono gli ebrei, ha numerosi motivi di vanto
per quanto riguarda i "prodotti della mente": l'invenzione dell'alfabeto e
110

del sistema decimale, le civiltà dei Fenici, degli Assiro-Babilonesi, degli


Egiziani, dei Cartaginesi. I semiti "mostrano un'immaginazione male
equilibrata, ma eccellono nell'astrazione e nelle doti musicali". Tuttavia, a
causa del carattere "essenzialmente mercenario" della civiltà ebraica, non
si può parlare di vero genio, il cui linguaggio può essere solo la passione.
Per Cipriani,

si può vedere in ciò un carattere di razza, benché difficile sia parlare di una razza
ebrea: gli ebrei sono una lega religiosa, e quindi nemmeno una Nazione. Il loro
vivere separati e la loro endogamia più che millenaria ha però favorito il
conservarsi di alcune caratteristiche somatiche riconoscibili...assieme a gesti ed
attitudini particolari.

Nel corso dei secoli gli ebrei si sono così specializzati in attività
sedentarie fra cui il commercio, in cui si dimostrano insuperabili:
denotano un tenace spirito di adattamento, l'attitudine ad inserirsi
velocemente in ogni ambiente, il restare uniti indissolubilmente anche di
fronte alle avversità peggiori. La precocità infantile, tipica degli ebrei,
avrebbe prodotto uomini di genio (Spinoza ed Einstein, fra gli altri), ma
confermerebbe l'attitudine semitica a vivere in un mondo di idee. Per
questo motivo la tendenza verso i movimenti sovversivi, caratteristica
giudaica irrinunciabile, non è accompagnata da un eguale coraggio delle
azioni. L'ebreo, infatti, "quando può, schiva il compito che magari lui
stesso, con arti subdole, ha scatenato, e si mantiene armeggiatore
nell'ombra per profittare". All'atavismo, e quindi a puri fattori biologici
più che alla loro stessa cultura e religione, sarebbe da attribuirsi la
millenaria persistenza delle qualità e dei difetti che hanno caratterizzato
gli ebrei in qualunque paese del mondo. Secondo Cipriani non v'è da
sperare che queste caratteristiche si attenuino o si modifichino: esse "tutte
convergono, può dirsi, in un medesimo punto: il denaro".
111

Le posizioni del Manifesto vengono quindi confermate. I prodotti


dello spirito dipendono essenzialmente dall'ereditarietà di razza, ed è una
legittima scelta che i popoli si salvaguardino dai contatti con altre razze,
anche se si tratta di "culture elevate". L'influsso degli ebrei in Italia, se
ancora non si avverte nella struttura biologica, è ben presente nel campo
delle arti e della letteratura.
L'Informazione diplomatica n. 18 del 6 agosto aveva nel frattempo
sottolineato come il razzismo italiano fosse nato nel 1919 come base
fondamentale dell'idea fascista e riaffermato l'assoluta continuità del
pensiero di Mussolini in ambito razziale. Caratteristico corollario di
questa pubblicazione, come delle precedenti, era stato lo spazio dedicato
ai commenti della stampa straniera, oscillante fra la puntuale cronaca
degli entusiastici consensi degli alleati ed il sarcasmo nei confronti delle
critiche degli avversari.
Già il Manifesto era stato accolto con entusiasmo dalla stampa
tedesca, ma anche da quella cattolica. Sull'"Avvenire" del 17 luglio 1938
il padre gesuita Brucculeri sottolineava la differenza fra il razzismo
italiano e quello tedesco, distinzione che si era rivelata fin da subito
esclusivamente formale e puro espediente di propaganda. La stampa
nazista non mancò infatti di esaltare la raggiunta solidarietà ideologica fra
i due movimenti, che rendeva di fatto l'Asse sempre più solida. D'altronde
la stessa "Difesa della Razza", da sempre sostenitrice di un modello di
razzismo "biologico", nel 1939 smentirà Brucculeri, riproponendo un
articolo del "Völkischer Beobachter", organo del partito nazista. Il
giornale tedesco affermava a chiare lettere l'uguale orientamento
dell'alleanza italo-tedesca in materia razziale, criticando chi avrebbe
112

voluto fare della questione ebraica un momento di disaccordo fra i due


regimi.
La stampa degli stati democratici in genere pone in risalto la
connotazione esclusivamente antisemita del razzismo italiano, ed i
commenti italiani non mancano di denunciare il controllo ebraico della
stampa.
La vasta risonanza all'estero dell'Informazione diplomatica merita il
titolo a 9 colonne del "Giornale d'Italia" del 7 agosto. L'argomento
polemico dell'editoriale di Gayda è ancora una volta la presunta
imitazione italiana del razzismo tedesco. In questo modo, afferma Gayda,
si vuole colpire l'Asse, dimenticando che se ci sono punti di contatto fra
fascismo e nazismo, ciò è dovuto alla coincidenza delle visioni dei due
movimenti "totalitari". La politica di Mussolini, razzista da sempre, si è
sviluppata con gradualità e saggezza. La nuova fase legislativa inizia oggi
perché la situazione interna ed internazionale l'ha resa di stretta attualità.
Le tre cause principali sono state: la creazione dell'Impero, che include il
contatto fra la razza italiana e razze dissimili ed inferiori ed il problema
del meticciato, fenomeno deleterio per la civiltà. Ma soprattutto l'ostilità
degli ebrei nei confronti dell'Italia ha provocato un cambiamento
nell'atteggiamento del fascismo, fino a questo momento tollerante.
L'ingratitudine ebraica ha sollecitato il momento dei bilanci: è colpa degli
ebrei e della loro intransigenza contro il fascismo ed i suoi valori se è in
atto una politica di discriminazione. Il Fascismo e l'Italia hanno il dovere
di difendersi dai movimenti sovversivi, tuttavia "questa difesa non sarà
persecuzione. Ma sarà ferma, continua, totalitaria: insensibile a qualsiasi
protesta o reazione di dentro e di fuori".
113

La ricerca di precedenti storici di un antisemitismo italiano risulta


una costante nei giornali del periodo. Gli ebrei sarebbero stati perseguitati
dai Romani, dalla Chiesa, dalle popolazioni dell'intera penisola. I più
grandi artisti e patrioti italiani ne avrebbero denunciato la pericolosità e le
caratteristiche peculiari, mentre le personalità più importanti sono
ricordate mettendo in risalto la loro appartenenza alla razza italiana e la
loro fierezza nel condividerne lo spirito.
L'egittologo Goffredo Coppola, nel suo articolo La clemenza di Tito,
pubblicato il 26 agosto sul "Popolo d'Italia", mette in risalto come gli
ebrei abbiano provocato reazioni antisemite in Egitto e nell'antica Roma,
a causa della loro dominazione economica. Con una prosa contorta
Coppola afferma che gli ebrei hanno sempre tramato contro gli altri
popoli ed

anche allora...si erano rivelati, per ingorda voglia di lucro, sovvertitori dell'ordine
e crudelmente ostili agli altri popoli e che appunto perciò avevano fatto
condannare Gesù per non aver saputo essi accettare il nuovo precetto dell'amore
evangelico, giacché, come dice Leopardi, "lo spirito della legge giudaica non
contempla l'amore, ma l'odio verso chiunque non fosse giudeo".

Per l'autore dell'articolo anonimo L'antigiudaismo dell'antica Roma,


apparso sul "Popolo d'Italia" il 7 settembre, i romani avrebbero nutrito per
gli ebrei una vera e propria avversione. Un disprezzo "più che naturale se
si pensa che allora, come oggi, l'ebreo era sinonimo di senza patria...e che
per di più l'ebraismo aveva fatto il suo ingresso a Roma insieme a quella
miriade di culti e superstizioni orientali che tanto contribuirono alla
corruzione dei costumi". La distruzione di Gerusalemme sarebbe stata il
culmine dell'antisemitismo romano, e la prova che, nei rapporti con il
giudaismo, gli italiani non avevano nulla da imparare.
114

Durante questo periodo numerosi articoli riportano le cronache di


come nel passato le varie città italiane, soprattutto meridionali, si
sarebbero liberate degli ebrei che le opprimevano con i loro commerci
illeciti, gli inganni e le usure. Il 16 settembre il "Popolo d'Italia" dà
notizia dell'esistenza de Il più antico centro razzista che da 70 anni si
occuperebbe in Italia dei problemi del razzismo. L'autore, Piero
Domenichelli, esalta l'opera dell'Istituto di Antropologia dell'Università di
Firenze e della Società italiana di antropologia ed etnologia fondata da
Paolo Mantegazza nel 1871, che avrebbero avuto lo scopo meritorio di
fornire materiali per illustrare le differenze anatomiche fra le varie razze e
di individuare ante litteram la contrapposizione fra i popoli semiti e quelli
ariani.
Per quanto riguarda il rapporto fra Chiesa ed ebrei, la stampa pone
in rilievo l'atteggiamento dei Padri della Chiesa e di santi come Stefano
d'Ungheria, tollerante verso le minoranze, ma non verso gli ebrei, che non
volle riconoscere come cittadini . Ricorda inoltre che la Chiesa ha
8

respinto, nel 1928, il tentativo dell'associazione Amici di Israele di far


eliminare dalla liturgia del Venerdì Santo l'invocazione contro "i perfidi
giudei". Nello stesso anno l'associazione venne sciolta, perché
considerata in contraddizione con lo spirito della Chiesa cattolica . Il 17 9

agosto compare su vari quotidiani un articolo di P. Francesco Capponi


apparso sull'"Osservatore Romano", Gli Ebrei ed il Concilio Vaticano. Il
"Popolo d'Italia" ed il "Corriere della Sera", fra gli altri, pubblicano solo
una parte dell'articolo, cambiando il titolo in Come i papi trattavano gli
ebrei:

8Cfr. I santi della Chiesa e gli ebrei, s.f., "Giornale d' Italia", 21 agosto 1938.
9ivi, La Chiesa e gli ebrei, s.f., 24 agosto 1938.
115

Gli ebrei (non potevano) abusare dell'ospitalità dei paesi cristiani. A fianco delle
ordinanze di protezione, esistevano, a loro riguardo, decreti di restrizioni e di
precauzioni. Il Sovrano civile era d'accordo con la Chiesa in questo, perché
"l'uno e l'altra...avevano interesse d'impedire che le nazioni fossero invase
dall'elemento giudaico rischiando di perdere così la direzione della società". Se si
proibiva ai cristiani di forzare gli ebrei ad abbracciare la religione cattolica, di
turbare le loro sinagoghe, i loro sabati e le loro feste, si proibiva d'altra parte agli
ebrei di coprire ogni pubblica carica, civile e militare, e tale incapacità era estesa
anche ai figli di ebrei convertiti. Le precauzioni riguardavano gli esercizi
professionali, l'insegnamento e perfino il commercio.

Il 19 agosto l'"Osservatore Romano" protestava per la mutilazione


dell'articolo che ne alterava il contenuto, precisando che le misure
adottate dai Pontefici nel passato "non provenivano da ostracismo di
razza...ma costituivano una difesa della religione e dell'ordine sociale, che
si vedeva minacciato dall'ebraismo". Al di là della debole difesa, che
riproponeva uno dei luoghi comuni più diffusi contro gli ebrei, si deve
sottolineare che quello del 14 agosto rimase l'unico scritto del giornale
del Vaticano interamente dedicato alla questione ebraica.
L'8 novembre è Farinacci a richiamare la Chiesa alle sue
responsabilità, nel suo discorso per il nuovo anno dell'Istituto di cultura
fascista riportato dal "Popolo d'Italia". Per Farinacci "se come cattolici
siamo diventati antisemiti, lo dobbiamo agli insegnamenti che ci
provengono dalla Chiesa". L'atteggiamento della Chiesa verso il razzismo
desta quindi sorpresa, perché in antitesi con tutta la storia del
cattolicesimo. La Santa Sede non può schierarsi con i nemici del
fascismo, perché quest'ultimo è "cattolico e romano", ed allo stesso
tempo dovrebbe stare attenta a "non perdere la sua integrale missione
educativa occupandosi di questioni politiche che spettano al fascismo".
116

La posizione dell'Informazione diplomatica, che aveva introdotto il


criterio proporzionale per la discriminazione degli ebrei, aveva nel
frattempo ravvivato la polemica sull'essenza del razzismo italiano.
Accanto alle dure posizioni di Gayda e Pende, trovano spazio sui
giornali anche visioni più "blande", che si ricollegano alla disposizione
"discriminare, non perseguitare". Il 12 agosto compare ad esempio sul
"Giornale d'Italia" l'articolo di Carlo Cecchelli, Valore spirituale dell'idea
di razza, che è immediatamente riconducibile, pur nella sua confusione,
ad una visione di stampo cattolico. Secondo Cecchelli il problema della
razza si pone all'interno delle posizioni antimaterialiste proprie del
fascismo, dimenticando che la legislazione si muoveva sulla strada del
"riconoscimento" biologico. Tuttavia per l'autore dell'articolo non si può
parlare di razze inferiori e superiori (in netto contrasto con Gayda), per
cui l'azione razzista non può essere di sopraffazione, ma di tutela. Il
razzismo sarebbe infatti doveroso quando una razza vuole imporsi su
un'altra, come ha storicamente tentato di fare l'ebraismo. La dottrina
cristiana riconosce la pluralità delle razze, ma ciò non esclude che ogni
nazione non debba affermare la sua individualità etnica, perché solo
attraverso la forza della razza si potrà arrivare ad un elevato "grado"
spirituale. Anche per Leone Franzi, il cui articolo Il mito di Roma è
pubblicato il giorno seguente sul "Popolo d'Italia", non esistono razze
inferiori e superiori, ma semplicemente differenti. La superiorità non si
afferma su postulati, ma si basa sull'altezza della missione che una razza
è portata a compiere "nell'unica grande famiglia umana". L'essenza della
dottrina fascista includerebbe un razzismo di "difesa", che non nutre
disprezzo per chi non appartiene allo steso ceppo, un razzismo che
117

non è un imperialismo razziale, ma che è invece un razzismo imperiale, razzismo


che ha origine e fine in Roma, in quella Roma che fu sempre vividissima fiamma
di luce, fiamma che illuminò, che abbagliò, come ci insegna la storia, senza mai
bruciare o distruggere.

L'uso strumentale di questi articoli appare ancora più evidente


quando, il 27 agosto, tutti i giornali annunciano le imminenti misure
legislative. Il 30 agosto "Il Popolo d'Italia" inizia la pubblicazione degli
elenchi dei professionisti ebrei, per denunciarne il soprannumero e la
potenza. L'11 settembre, nell'articolo Direttori di periodici, si sottolinea
che, su 530 periodici e riviste che si pubblicano a Milano, circa 60 sono
sotto la direzione di ebrei:

I giudei non possono sentire la necessità mistica della battaglia autarchica perché
stranieri di fatto e di spirito...Vi sono uomini non ariani a capo di riviste per
bambini e di varietà; giudei sono molti direttori di periodici medici, e, in genere,
scientifici...Occorre, dunque, epurare questo ambiente prima di ogni altro.

Si dichiara altresì necessario epurare le case editrici, dove lavorano


elementi egualmente dannosi.
Nella battaglia contro le categorie professionali si distingue
soprattutto il "Corriere della Sera" nella sua pagina milanese. A partire
dal primo settembre, ogni giorno viene pubblicato un articolo
sull'"invasione giudaica" fra i professori, gli avvocati, i commercialisti,
gli ingegneri, gli agenti di cambio, gli industriali, i commercianti. Si
vuole altresì sfatare il luogo comune dell'intelligenza ebraica, che
permetterebbe la presenza di ebrei nei posti più importanti della vita
nazionale. Gli ebrei in realtà occupano i posti più elevati perché più
utilitaristi e capaci di organizzarsi in società di mutuo soccorso come la
massoneria.
118

Ancora il "Corriere della Sera" promuove una delle numerose


inchieste sulla questione ebraica. L'indagine si sviluppa alla fine del mese
di agosto, sulla base delle "rivelazioni" di due giornalisti inglesi sulla
guerra di Spagna. Il libro Arena Spagnola, cui il quotidiano fa
riferimento, ha il "merito" di riproporre e schematizzare gli argomenti
antisemiti più diffusi anche dalla propaganda fascista. Gli autori del libro,
W. Foss e C. Gerhaty, considerati due eroi per le vicissitudini che
avrebbero accompagnato il loro lavoro, attribuiscono tutti i mali del
mondo all'Idra dalle mille teste: gli ebrei . Forse in onore dei due
10

giornalisti britannici, l'articolo del "Corriere" è corredato da alcune


fotografie di comunisti inglesi, la cui "appartenenza alla razza giudaica è
evidente" dalle caratteristiche somatiche. Secondo W Foss e C. Gerhaty,
la Spagna è vittima di un complotto comunista, i cui esponenti sono quasi
tutti ebrei:

La razza ebrea è capace di produrre i migliori ed i peggiori tipi umani. Come il


denaro, il possesso di eccezionali doti naturali può essere adoperato a fin di bene
o a fin di male. La razza ebrea è intelligente, paziente, ambiziosa di conquistarsi
buone posizioni sociali, potenza, ricchezza; capace di grandiosi atti di bontà e
delle più feroci crudeltà.
L'antisemitismo non esiste per se stesso, ma è una naturale reazione che si
manifesta dove e quando si sviluppa il semitismo.

Questo procedimento di adulazione è tipico della propaganda


antisemita: l'intelligenza superiore degli ebrei e le loro doti sono
fondamentalmente usati come elementi a loro disfavore, in quanto
mettono in condizione di svantaggio chi si pone in concorrenza con loro e
approfondiscono quindi il disprezzo e il pregiudizio.

10 "Corriere della Sera", 30 agosto 1938.


119

Altro procedimento tipico sembra essere l'attribuzione al nemico dei


propri sordidi meccanismi di propaganda. La seconda parte dell'inchiesta,
che riprende il secondo capitolo del libro, riguarda infatti La fabbrica
delle invenzioni, ovvero la stampa giudaica dei paesi democratici.
L'articolo appare il 31 agosto, in contemporanea con l'attacco del "Popolo
d'Italia" ai giornalisti ebrei italiani. Il meccanismo della "fabbrica", che
"lavora in nome delle magiche parole democrazia, libertà, giustizia,"
sembra avere due regole basilari: negare i fatti e mettere in cattiva luce le
cause iniziali e i susseguenti avvenimenti; accusare il nemico di tutti quei
crimini che si vogliono compiere o che si sono compiuti.
Ed ancora:

Per raggiungere i propri scopi i responsabili della tragedia spagnola e i loro


satelliti non hanno rinunciato all'unica arma offerta dall'arsenale propagandistico;
metodica invenzione di incidenti, condizioni, informazioni; sfruttamento di
sentimenti religiosi, imperialistici, politici e di ragioni strategiche; ricatto,
corruzione, inganno: tutto è stato usato per obbligare parte della stampa del
mondo a far circolare le notizie che si voleva far conoscere.

I passi successivi dell'inchiesta ripropongono l'idea dell'alleanza fra


comunisti, giudei e massoni, in combutta per sovvertire il mondo,
un'"alleanza satanica" che non agisce allo scoperto, ma assume diverse
immagini secondo le circostanze . 11

Un'altra inchiesta riportata dal "Corriere della Sera" avrà una


maggiore pretesa di "scientificità", per il suo approccio statistico e per il
fatto di essere stata condotta da un ebreo, il che dovrebbe far assumere un
innegabile carattere di verità. L'indagine è uno studio a carattere europeo
sulle categorie di reati ai quali gli ebrei concorrono in relazione al loro
numero in quote maggiori che i non ebrei. I reati più diffusi risultano
11Comunisti, giudei e massoni, "Corriere della Sera", 1 settembre 1938.
120

essere l'usura, la bancarotta e la frode, oltre alla diffusione di letteratura


oscena, oltraggio al pudore, ricatto, renitenza agli obblighi militari, tutte
categorie che rispondono perfettamente ai pregiudizi più diffusi . 12

Il 2 settembre il Consiglio dei Ministri approva il provvedimento


sull'espulsione degli ebrei stranieri e Gayda può così sottolineare che la
politica razziale è nel pieno della sua applicazione. Nell'articolo
Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri il direttore del "Giornale
d'Italia" ribadisce che gli ebrei, corpo estraneo all'interno della Nazione,
sono i protagonisti di un'indebita concorrenza economica, per cui le
norme italiane sono improntate alla giustizia ed alla necessità nazionale.
Gli altri paesi hanno da tempo chiuso le porte a nuove immigrazioni
ebraiche, perché si è riconosciuto il risultato negativo delle precedenti. Lo
stesso spirito e la volontà ebraica contribuiscono ad allontanare questa
razza dalle altre, per il costante rifiuto di assimilarsi. Nell'articolo del
giorno successivo, Necessità e diritto, sempre Gayda ribadisce
l'opportunità dei provvedimenti sulla scuola. E' infatti opportuno che si
inizi dalla cultura, perché la razza è realtà non solo biologica, ma anche
spirituale.
Il 3 settembre il "Popolo d'Italia" dedica l'intera prima pagina
all'esclusione dei professori e degli studenti ebrei dalle scuole statali e
private. L'attenzione all'aspetto educativo e culturale sembra confermare
l'intenzione del regime fascista di completare la totalitarizzazione dello
Stato. Con il pretesto di liberare il mondo della cultura da ogni influsso
"giudaico" si vuole infatti dare alla scuola "un carattere ed una funzione
assolutamente e perentoriamente nazionali, epurandola di ogni elemento
equivoco e facendone uno strumento all'esclusivo servizio della patria
12Cfr. W. Foss, C, Gerhaty, Giudei e moscoviti responsabili della rivoluzione in
Spagna, "Corriere della Sera", 3 settembre 1938.
121

imperiale". Il "Corriere della Sera" parla di Decisa azione razzista contro


l'invadenza giudaica, riprendendo un articolo del "Tevere" sulla
possibilità eventuale di assimilare gli ebrei. Per gli ebrei la cittadinanza "è
una falsa carta d'identità". Infatti l'ebreo deve dimostrarsi cittadino del
paese che lo ospita, altrimenti è perseguito dal Codice. Ma un ebreo non
può essere italiano perché

la partecipazione dell'ebreo ai fatti della Nazione che lo ospita è sempre


occasionale, fortuita e in ogni caso ispirata a motivi che non si identificano mai,
ma soltanto coincidono, coi fini che la Nazione persegue .
13

Tutti i provvedimenti successivi sono riportati con grande rilievo, e


viene sottolineata allo stesso tempo la continuità della politica eugenetica,
sanitaria e demografica con tutti i provvedimenti in "difesa della razza".
Ma se con l'Informazione Diplomatica n. 18 Mussolini aveva suggerito
un criterio proporzionale nella discriminazione, che adeguasse il rapporto
degli ebrei alla vita globale dello stato con una proporzione dell'uno per
mille, il nuovo progetto, che prenderà corpo con la riunione del Gran
Consiglio del 6 ottobre, prevede una rigida politica di separazione. La
Dichiarazione sulla Razza del 6 ottobre è salutata con entusiasmo da tutta
la stampa italiana. La nuova politica trova naturalmente in Virginio
Gayda uno dei più accesi sostenitori. Nell'articolo Separazione dell'8
ottobre, Gayda sottolinea la decisione e la risolutezza del fascismo, i cui
ultimi provvedimenti sono il logico coronamento di una lunga e tenace
politica demografica. I caratteri generali della legislazione sono
individuati nell'assenza di qualsiasi carattere persecutorio, ma allo stesso
tempo nell'intransigente volontà di preservare la razza italiana dal

13Decisa azione razzista contro l'invadenza giudaica, s.f., "Corriere della Sera", 3
settembre 1938.
122

contatto con altre razze. Le misure italiane, "separando nettamente i


rappresentanti della razza ebraica dalle funzioni dello Stato e dal corpo
della vita della Nazione italiana, non importano alcuno spirito offensivo e
alcuna pratica persecutoria". Il commento del "Popolo d'Italia" riassume
la posizione del regime fascista in materia di razza. L'articolo Tavole
fondamentali del razzismo fascista precisa che il problema ebraico non è
che un aspetto di un problema di carattere più generale. La razza ebraica
è l'unica razza non italiana di una certa entità ed influenza presente nella
penisola, a diretto contatto con il popolo italiano. Nonostante l'ebraismo
sia sempre stato l'animatore dell'antifascismo, le decisioni del Gran
Consiglio sarebbero improntate alla massima umanità e giustizia. Il
fascismo avrebbe come unico obiettivo la difesa della razza italiana
dall'influenza deleteria della razza ebraica, la cui concezione politica-
religiosa-sociale contrasta con quella fascista. L'ipocrisia di queste
affermazioni viene rilevata perfino dal Ministero, che, con una nota del
10 ottobre, comunica: "I giornali hanno usato troppo sentimentalismo nei
confronti dei provvedimenti razziali del Gran Consiglio. Riprendere un
tono più sostenuto" . Merito di questi articoli è comunque quello di
14

scoprire il vero intento del regime: se la "concezione" di vita ebraica


contrasta con quella fascista, allora la "psicologia" ebraica appare
pericolosa perché diversa da quella dominante:

(Al di là) della concorrenza economica, del disagio...noi ci preoccupiamo


innanzitutto del pericolo spirituale e dell'insidia politica che il movimento
giudaico rappresenta . 15

14F. Flora, op. cit., pag. 103.


15Logico sviluppo, s.f., "Corriere della Sera", 3 settembre 1938.
123

Per Paolo Orano il pensiero politico ebraico è "una critica erosiva,


una continua negazione, un'intolleranza, a lungo andare, un
rivoluzionarismo che diventa anarchia" . Secondo Orano l'ebraismo esiste
16

quindi come contraddizione e negazione, e gli ebrei sono nomadi che


pretendono ed ottengono tutti i diritti degli stati che li ospitano, ma senza
sentirsene parte. L'ebraismo sarebbe un "difetto" di sviluppo della storia,
perché mira ovunque e sempre a distruggere lo Stato, che è invece l'unica
finalità del divenire sociale. Ancora più esplicito è l'articolo Razzismo
fascista, pubblicato dal "Corriere della Sera" l'8 ottobre 1938, per cui
l'antisemitismo del fascismo è esclusivamente politico e non ha nulla a
che fare con una persecuzione religiosa.
In questa prospettiva di contrapposizione politica, più che razziale, i
comportamenti concreti degli ebrei devono essere posti sempre di più in
primo piano dalla propaganda, a giustificare la presa di posizione contro
il pericolo giudaico.
Disposizioni legislative del 1932 avevano stabilito rigide limitazioni
per la cronaca nera, quali il limite di trenta righe ed il titolo su una sola
colonna . Queste leggi vengono "dimenticate" per accogliere con grande
17

clamore l'annuncio dell'arresto di Renato Sacerdoti, pubblicato dalla


stampa il 7 ottobre. Sacerdoti, personalità di spicco della capitale, è
accusato di essere a capo di un'organizzazione specializzata nel
contrabbando di valuta. L'amore per il lucro e la propensione alla truffa
degli ebrei sono ovviamente messi in risalto dagli articoli che seguono,
giorno dopo giorno, l'evolvere della vicenda. Oltre alle imprese della
"banda Sacerdoti", ben presto vengono segnalati altri traffici di valuta fra
16P.Orano, Il pensiero politico nell' antica Israele, "Corriere della Sera", 9 settembre
1938.
17Cfr. P. Murialdi, La stampa del regime fascista, Roma-Bari, Laterza, 1986, pag. 60

e sgg.
124

l'Italia e la Svizzera, "colpi di mano" di commercianti ebrei fuggiti in


Palestina, truffe ai danni di "ingenue signore", costituzioni di società
anonime per aggirare la legge, scoperte di "criminose sedi giudaiche" in
cui si fabbricano passaporti falsi e persino la notizia di un furto di ebrei ai
danni di altri ebrei. Il 17 ottobre viene dato molto rilievo all'arresto di
Eugenio Colorni, definito il "tipico rappresentante dell'ebraismo
internazionalista" dal "Popolo d'Italia". Colorni era colpevole di essere
alla testa di "cellule antifasciste" e di mantenere "rapporti di natura
politica con altri ebrei residenti in Italia e all'Estero". Uno di questi
contatti era individuato nell'ex deputato Dino Philipson, "losca figura" e
complice della "criminosa attività" di Colorni a Trieste. In realtà i due
arresti, avvicinati per dimostrare l'esistenza di un complotto ebraico
antifascista, erano indipendenti fra loro, essendo il primo avvenuto l'8
settembre a causa dell'attività socialista di Colorni. La Nota del Ministero
tuttavia comunicava:

I giornali commentino il comunicato Stefani sull'arresto del prof. Colorni


ponendo in rilievo che le attività svolte da lui e dagli altri rimontano ad un
periodo antecedente a quello nel quale fu agitato in Italia il problema della razza.
Il Colorni e gli altri non meritano quindi alcuna pietà .
18

L'indicazione dell'esistenza di un complotto ebraico antitaliano


giustificava a posteriori l'emanazione delle norme previste dalla
Dichiarazione sulla Razza e nello stesso tempo permetteva al "Popolo
d'Italia" di ammonire, lo stesso 17 ottobre, che alcune concessioni fatte
agli ebrei potevano essere "annullate o aggravate a seconda
dell'atteggiamento che l'ebraismo assumerà nei riguardi dell'Italia
fascista".

18Cit. in F. Flora, op. cit., pag. 104.


125

L'11 novembre vengono approvate dal Consiglio dei Ministri le


leggi per la difesa della razza che il commento del "Popolo d'Italia"
definisce "massima espressione della legislazione razziale" e tali da
completare "un' opera che la Rivoluzione fascista può consegnare con
orgoglio alla storia e che il Duce, fin dal 1919, avviò con fatidiche parole
al compimento". L'articolo di fondo del "Corriere della Sera", Torniamo
alle origini, ribadiva appunto che Mussolini, fin dal suo articolo del 4
giugno 1919, aveva individuato l'identità fra ebraismo e bolscevismo.
Secondo l' anonimo articolista, nel 1919 era certo difficile vedere il
legame fra il bolscevismo e la congiura internazionale degli affaristi e dei
banchieri:

Solo nel corso degli anni si vide che era realmente così, e che l'apparente
contraddizione fra una politica capitalistica e sfruttatrice ed una politica sedicente
proletaria e rivoluzionaria si spiegava col duplice contrastante aspetto degli
interessi ebraici, che in certi Paesi e in certi momenti tendono a conservare ed
accumulare, in altri a demolire e disperdere; sempre per il vantaggio del ghetto e
della sua crescente potenza.

Ancora più stupefacente è la considerazione di Mussolini


sull'"eterno odio" degli ebrei per il Cristianesimo, che si è espresso nei
tentativi di diseducazione sociale e di propaganda contro la famiglia,
l'ordine economico, gli ideali nazionali. Questa interpretazione storica è
ora considerata la fonte d'ispirazione del movimento fascista, per cui la
difesa contro questi principi conduce necessariamente al razzismo:

L'azione fascista resta fedele a se stessa. Essa arriva, talora con qualche ritardo,
ma arriva sempre.

La preoccupazione del regime, dopo il completamento dell'apparato


legislativo, è ora quella di sviluppare sempre di più la coscienza razziale
126

degli italiani. Questo scopo verrà perseguito con attacchi sempre più
personali e volgari. Le riviste, ma anche molti quotidiani, pubblicheranno,
soprattutto durante la guerra, vignette e foto che sottolineano l'aspetto
fisico degli ebrei, con i tipici caratteri loro attribuiti: statura bassa o
media, naso lungo e adunco, carnagione scura, capelli neri e spesso
ondulati, labbra grosse, piedi piatti e tendenza alla pinguedine nelle
donne. Un articolo del "Popolo di Roma" del 1941 è l'esempio lampante
di questa procedura. Secondo il titolo, Più che dalla stella gialla gli ebrei
si riconoscono dalla ferocia dello sguardo: "gote livide, bocche ferine,
occhi di fiamma ossidrica, spinti e perforanti dal sotto in su". Il sindaco di
New York, La Guardia, è un "ratto di fogna", mentre "il più sozzo, il più
ripugnante, il più disumano e nemico" è nientemeno che Charlie Chaplin.
Inoltre i criminali ebraici ed i loro trucchi sono sempre identificati
"attraverso i segni inconfondibili della loro razza" 19

Il primato di questa propaganda spetta però alla rivista di Interlandi,


"La Difesa della Razza", che, pubblicizzata come portatrice delle
posizioni "scientifiche" del razzismo italiano, finirà per risultare la
succursale italiana del famigerato "Der Sturmer" di Streicher.
Con un grande lancio pubblicitario, il quindicinale, che nelle
intenzioni dei suoi promotori avrebbe dovuto rappresentare lo strumento
"scientifico" della propaganda razziale, usciva nelle edicole il 5 agosto
1938.
Sin dall'inizio la rivista si propone di dimostrare che "la scienza è
con noi", sottolineando l'interesse per un razzismo "biologico" più che
"spirituale". Tuttavia il primo numero si dibatte in una serie di
contraddizioni. La prima preoccupazione è quella di smentire i pretesi

19I trucchi ebraici, s.f., "Corriere della Sera", 9 ottobre 1938.


127

atteggiamenti filosemiti del regime. Il fascismo in realtà seguirebbe una


politica razzista da sedici anni, ma solo la conquista dell'Impero avrebbe
posto in essere la necessità di provvedimenti legislativi che evitassero la
confusione fra la "razza" italiana, appartenente al gruppo degli
indoeuropei, e le altre razze, fra cui gli ebrei. Gli stessi ebrei sono stati da
sempre promotori del razzismo, considerandosi razza diversa e superiore
rispetto a tutte le altre. Malgrado la politica tollerante del regime, essi
hanno costituito lo stato maggiore dell'antifascismo. Proprio questa
accusa è ripresa per giustificare il diverso atteggiamento di Mussolini
rispetto ai suoi colloqui con Ludwig del 1932. In quella occasione il duce
aveva affermato che l'antisemitismo non esisteva in Italia, ma dal 1932
sarebbe sorto il "semitismo" nel mondo, che avrebbe dimostrato in più
occasioni, a partire dall'appoggio alla politica sanzionistica, la sua
avversione per il fascismo ed il nuovo "Impero di Roma". L'Italia fascista
è diversa dall'Italia di ieri, che poteva ignorare l'antisemitismo: secondo
Interlandi bisogna chiarire agli italiani l'"irrevocabile necessità" del
razzismo, contro la minaccia degli ebrei per la società umana.
I primi articoli della rivista sembrano chiaramente abbracciare la tesi
del razzismo biologico. Guido Landra, uno dei firmatari del Manifesto, in
Eredità biologica e razzismo afferma che gli uomini non sono
biologicamente tutti uguali fra di loro, mentre Marcello Ricci scrive che
"l'eredità biologica consiste nella trasmissione dei caratteri morfologici e
fisiologici delle specie degli ascendenti". Citando le leggi di Mendel,
Ricci afferma che tutte le caratteristiche di un individuo sono già presenti
nell'uovo fecondato, e tutti i caratteri umani sono dipendenti
128

dall'ereditarietà, per cui l'ambiente può renderle meno evidenti, non


cancellarle . 20

Tuttavia nella pagina seguente appare l'articolo di Edoardo


Zavattini, Ambiente naturale e caratteri biopsichici della razza italiana,
in cui fa la sua ricomparsa la visione "spiritualista" del razzismo:

La razza italiana ha caratteristiche biopsichiche che sono esclusivamente sue;


caratteristiche che gli (sic) sono state impresse da fattori naturali ambientali.
L'ambiente ha modellato la psiche dell'italiano, e poiché questo ambiente è
unico...anche la razza che vive in questa nostra terra ha una sua impronta
psicologica che le è esclusiva; più ancora dei tratti somatici, più ancora delle
strutture morfologiche, la razza italiana ha una sua assoluta individualità psichica
e spirituale.

Nell'articolo La borghesia e la razza non manca l'attacco alla classe


borghese, quasi a sottolineare la continuità fra la nuova polemica
antisemita ed uno dei "classici" bersagli polemici del fascismo . La 21

condanna è verso l'identità cosmopolita della borghesia, che è uguale in


tutte le nazioni, così come il denaro che è il suo oggetto. Fin dal 1922 la
borghesia in Italia era governata da ebrei, cui vanno tolte le funzioni di.
comando. Il fascismo deve ora completare l'opera iniziata nel '22 contro
coloro che, attraverso l'indifferenza per i valori della razza, hanno
affermato il proprio razzismo.
Il secondo numero della rivista riprende i temi "scientifici" del
precedente. Ancora Guido Landra, nell'articolo Concetti del razzismo
italiano, propone la distinzione fra popoli ariani/indoeuropei e
camito/semitici. Tale distinzione ha le sue basi in differenze culturali, ma
soprattutto in differenze razziali. Gli Arii avrebbero occupato l'Italia al
primo apparire della civiltà dei metalli, e da allora la composizione
20M. Ricci, Eredità biologica e razzismo, "La Difesa della Razza", anno I, no. 1.
21 ivi, La borghesia e la razza, s.f.
129

razziale non avrebbe subito grandi mutamenti perché i movimenti


migratori, anch'essi di origine ariana, erano facilmente assimilati. Gli
ebrei hanno caratteristiche ben precise della razza semita: naso,
sporgenza della faccia, occhi a mandorla, capelli scuri e spesso crespi o
ricci, statura mediocre, modo inconfondibile di muoversi e di parlare.
Compito del razzismo fascista, che si propone come differenzialista e non
gerarchico, essendo "contrario alla distinzione fra razze inferiori e
superiori", è reagire contro tutte le forme di alterazione della civiltà
italiana. Gli elementi razziali eterogenei, come gli ebrei, contribuirebbero
infatti a rompere la perfetta armonia di una razza pura.
I caratteri fisici peculiari di ogni razza sono ripresi da varie tabelle,
che si propongono di dimostrare le differenze razziali già presenti nei
primissimi mesi di vita embrionale. Appare chiara l'intenzione di
condizionare anche il razzismo italiano al rispetto delle leggi
dell'ereditarietà.
Nel terzo numero tuttavia si ripropone la sostanziale diversità di
vedute fra il direttore Interlandi e Guido Landra. Interlandi infatti,
dedicando il suo editoriale alle leggi sulla scuola, sottolinea come il
problema razziale sia una necessità biologica ma allo stesso tempo
un'esigenza spirituale. La scuola e la cultura sono stati i tradizionali
canali della conquista ebraica dell'Italia, per cui la "difesa della razza"
comincia dal fronte dello spirito, sul terreno della cultura. La razza
italiana ha i suoi tratti biologici inconfondibili, ma deve anche lottare per
riacquistare le qualità spirituali che gli ebrei le hanno fatto smarrire.
Nello stesso numero Landra continua la sua analisi dei tratti fisici della
razza italiana, attraverso lo studio della capacità cranica ("Naturalmente
esiste una differenza nelle capacità tra l'uomo e la donna, e questo in tutte
130

le razze"), e dei tratti somatici, concludendo che il tipo italiano più


caratteristico risulta essere biondo con gli occhi chiari. Giuseppe Lucidi, a
sua volta, propone una "dottrina del sangue" con caratteristiche diverse da
quella evoliana, perché intesa come "affermazione della materia sullo
spirito, rinascita selvaggia dell'oscura voce dell'istinto, ed affermazione di
un nuovo paganesimo". Secondo Lucidi il concetto di razza è puramente
biologico ed è quindi basato "su altre considerazioni che non i concetti di
popolazione e nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche,
linguistiche, religiose".
I mesi successivi vedono "La Difesa della razza" schierarsi in modo
sempre più netto su posizioni pseudo-scientifiche di stampo tedesco.
Attraverso lo studio delle malattie ereditarie, scale metriche e statistiche
si vuole dimostrare che il miglioramento della razza italiana potrebbe
essere inficiato da "incroci ed imbastardimenti", secondo l'affermazione
del Gran Consiglio. Ancora Lucidi afferma, nell'articolo Purezza ed
unità di sangue nella razza italiana, apparso nel numero 6 della rivista,
che il sangue viene ereditato secondo leggi ben determinate: "Il substrato
biologico dell'individuo ha caratteristiche definite individuali e di razza".
L'identità fondamentale del sangue è la legge da cui nascono "le
misteriose affinità elettive che uniscono i singoli in un popolo e fanno
veramente di più individui una nazione".
Appare in queste parole sempre più evidente l'artificiosità della
distinzione tra razzismo dello "spirito" e materialista, e soprattutto la
difficoltà di sostenere una dottrina italiana autonoma in materia di
antisemitismo.
Accanto agli articoli "scientifici", ben presto la rivista utilizzò gli
usuali luoghi comuni antiebraici. Spunti antisemiti vennero ricercati nella
131

romanità classica, mentre gli stessi scrittori ed artisti italiani vennero


tacciati di antisemitismo, con evidenti forzature e distorsioni. Accadde
allora che Benedetto Croce venisse definito antisemita perché aveva
rimproverato ad alcuni filosofi ebrei di sostenere l'illuminismo
razionalista del 700 e di non aver compreso lo storicismo; Leopardi, poeta
razzista, in quanto in qualche passo dello "Zibaldone" avrebbe criticato
alcuni aspetti della mentalità ebraica; Leonardo, pittore antisemita, dato
che nell'"Ultima cena" avrebbe attribuito a tutti i visi degli Apostoli i
tratti "ebrei tipici ed inconfondibili".

∗ ∗ ∗

Sulla base dello spoglio analitico della stampa fascista che abbiamo
sin qui condotto, cerchiamo ora di trarre qualche conclusione generale
sulle caratteristiche della propaganda antisemita sui giornali fascisti.
Durante la campagna antiebraica, la stampa fascista si riconferma
strumento di un progetto politico funzionale agli interessi dello Stato.
Tutti i giornalisti si sentono impegnati in prima linea nella nuova battaglia
del regime, si considerano militanti di un importante servizio pubblico,
responsabili all'interno di un meccanismo unitario.
Le caratteristiche del giornalismo fascista sembrano essere la
selezione acritica delle notizie e la loro manipolazione essenzialmente
politica, mentre il linguaggio si caratterizza per il carattere rituale, la
ripetitività delle espressioni e la retorica degli slogans. Proprio questa
particolare forma di linguaggio ci consente di analizzare il risultato delle
132

propaganda in termini di rapporto fra coazione e consenso. Come ha


infatti sottolineato Mario Isnenghi,
non spiegheremo e non ci daremo ragione del grado di riuscita di questa
campagna pedagogica di stato dichiaratamente intesa a fare gli italiani o a rifarli
in senso storicamente rinnovato, tenendoci fuori dai parametri che sono loro
propri: massificazione, semplificazione, formalizzazione, ritualizzazione,
traduzione in linguaggio catechistico e chiesastico .
22

Le leggi del 1925-26 sulla stampa avevano stabilito il controllo dello


Stato sulla proprietà dei giornali, la nomina statale dei direttori, il divieto
di creazione di nuovi quotidiani ed instaurato la pratica delle veline del
Ministero della Cultura Popolare. La manipolazione dell'informazione e
dei messaggi diventa così pianificata direttamente dallo Stato, quindi
istituzionalizzata. Lo Stato è l'unico rappresentante di diritto della
nazione, e la centralizzazione e la deformazione dell'informazione fanno
parte di un dichiarato programma di totalitarizzazione. Questa
affermazione di principio è riscontrabile in quello che è il testo ufficiale
sulla cultura fascista, edito nel 1936:

La stampa periodica - nel regime fascista - è un mezzo dello Stato. Non è un


potere autonomo, che si può esplicare anche all'infuori dello Stato o contro di
esso; è un servizio essenziale della vita moderna che concorre ai fini dello Stato .
23

La direzione totalitaria è assunta dal sottosegretariato della Stampa e


poi dal Ministero della Cultura Popolare:

Di qui l'omogeneizzazione globale degli stereotipi e del linguaggio. Dietro le


parole e gli slogan a corso forzoso, dietro identiche reazioni a fatti del giorno,
dietro a molti articoli apparsi simultaneamente in decine di quotidiani, sta molto
spesso - insieme ad una spontanea solidarietà di classe, di partito, e all'influenza
22M. Isnenghi, Intellettuali militanti ed intellettuali funzionari, Torino, Einaudi, 1979,
pag. 18.
23PNF, La cultura fascista, Roma, La Libreria dello Stato, 1936, pag. 53.
133

della Stefani, l'agenzia di stampa di stato - l'indicazione prescrittiva di un'unica


"velina" giunta da Roma. Siamo di fronte ad un'imponente opera di "riscrittura" e
"riformulazione" quotidiana degli avvenimenti, interni e d esteri, nel quadro di
una pedagogia di regime e di una concezione del giornalismo come scuola per gli
adulti .
24

Si assiste alla vera e propria creazione di un "vocabolario di


regime", dal linguaggio iperbolico e stereotipato: compito di una
campagna di stampa come quella antiebraica è dichiaratamente educare il
popolo italiano al comando ed alla consapevolezza di un nuovo ruolo
internazionale. Questa nuova "pedagogia", esplicita nel Secondo libro del
fascista, "catechismo" ad uso nelle scuole medie, punta all'educazione
collettiva di una società massificata e sempre più conformista. Il regime
fascista si propone di occupare ogni spazio, soprattutto attraverso
l'espulsione del "diverso".
Rispetto al giornalismo censurato di guerra, il fascismo dispone di
numerosi e moderni mass-media, attraverso i quali comunica un solo
messaggio in un solo linguaggio, ridondante, iterato e schematizzato.
Questa standardizzazione è particolarmente visibile nella stampa
quotidiana, nella sua necessità assidua di reiterare il proprio messaggio e
il proprio stile. La stampa quotidiana diventa così

l'area dell'univoco: tutto vi è esplicito, caricato ed esibito, e l'universo


dell'informazione tende qui a farsi unidimensionale .
25

La pubblicistica periodica mantiene invece, pur nei limiti


dell'adesione al regime, una sua relativa autonomia, soprattutto nei
giornali giovanili e nelle riviste letterarie:

24M. Isnenghi, op. cit., pag. 53.


25Ibid., pag. 182.
134

Quanto al rapporto tra quotidiani e riviste si può formulare l'ipotesi che la


pubblicistica periodica, folta e dispersa, sia il gran sottobosco che il regime
conserva come valvola di sicurezza per le esercitazioni ideologiche, le nostalgie,
le istanze, i dibattiti di categorie emarginate dal potere reale, per motivi sociali,
politici o di generazione...; mentre ai quotidiani verrebbe richiesta una maggiore
compattezza e ufficialità, in vista delle diverse funzioni, che per un quotidiano
sono di aggregazione di più larghe masse tramite una forma di educazione
collettiva degli adulti. Schematizzando: a) le riviste servono il regime
organizzando il dissenso; b) i quotidiani lo servono organizzando il consenso . 26

Per quanto riguarda la campagna antisemita, la Addis Saba sostiene


che il mito della razza ebbe scarsa risonanza nei giornali giovanili e che
l'interpretazione del razzismo da parte di questa pubblicistica venne
generalmente trascurata o riprodotta acriticamente . In realtà sembra che
27

soprattutto la stampa dei GUF abbia svolto un ruolo essenziale nella


diffusione di stereotipi e pregiudizi antisemiti nella nuova generazione,
spesso utilizzando concetti più estremisti rispetto a quelli mostrati dalla
stampa quotidiana. Esempio di questo atteggiamento è la nascita di una
rivista come Razzismo in una realtà come quella di Catanzaro, di cui
parleremo in seguito, tipico esempio del paradosso di un "antisemitismo
senza ebrei". In questo caso ha sicuramente svolto un ruolo importante il
conformismo verso le direttive del regime, ma non si può tacere quella
che Bauman ha definito
l'incredibile capacità dell'antisemitismo di prestarsi a tutta una serie di
preoccupazioni e di scopi...dovuta alla sua universalità, extratemporalità ed
extraterritorialità...(L'antisemitismo) si adattava così bene a tante problematiche
locali perché non era causalmente connesso con nessuna di esse . 28

Nella campagna antiebraica, i giornali a larga diffusione nazionale


che si distinguono di più per il loro zelo sono, come abbiamo visto, "Il
26Ibid.,pag. 190.
27Cfr. M. Addis Saba, Gioventù italiana del Littorio. La stampa dei giovani nell'Italia
fascista, Milano, Feltrinelli, 1973, pag. 200.
28Z. Bauman, Modernità ed Olocausto, Bologna, Il Mulino, 1992, pag. 67.
135

Giornale d'Italia", "Il Popolo d'Italia" e "Il Corriere della Sera". Il primo,
quotidiano romano fondato nel 1901, si distingue per l'esaltazione della
missione della "nuova Italia" e per la costruzione del "mito del Duce". Il
suo direttore, Virginio Gayda, è un esperto di problemi internazionali, ed
è considerato il portavoce ufficioso del Ministero degli Esteri. Non a
caso, quindi, i suoi frequenti interventi sulla questione ebraica sono
accolti come una posizione ufficiale del regime. Il "Popolo d'Italia",
fondato nel 1914 dallo stesso Mussolini, è il giornale ufficiale del duce,
ed è considerato "il supremo organo di orientamento politico" . Il 29

"Corriere della Sera" si uniforma all'atteggiamento di tutti i quotidiani,


ma mantiene un suo pubblico particolare e la tradizione di quotidiano
borghese. Per questo motivo, meglio di altri giornali, permette di studiare
i meccanismi di organizzazione del consenso, gli stereotipi più diffusi,
l'immagine dei protagonisti e delle vittime.
Gli elementi principali della campagna antisemita risultano, in
conclusione, i seguenti:
• la creazione dell'immagine di un "italiano nuovo", in
contrapposizione all'immagine dei perseguitati;
• la costruzione di un nuovo modello di Italia, potenza imperiale
contrapposta ai suoi nemici (soprattutto anglosassoni) e la creazione di
una nuova "epica" della romanità;
• la (auto)legittimazione della superiorità razziale e spirituale;
• la colpevolizzazione del nemico, la costruzione di pregiudizi e la
riproposizione di vecchi stereotipi antisemiti;
• il culto di Mussolini, precursore e realizzatore della politica
razziale.

29P. Murialdi, op. cit., pag. 25.


136

Attraverso questo modello l'ebreo poteva essere rappresentato

come incarnazione di tutto ciò che veniva avversato, temuto o disprezzato. Egli
risultava un portatore del bolscevismo, ma, abbastanza curiosamente, era nello
stesso tempo un difensore dello spirito liberale delle corrotte democrazie
occidentali. Sul piano economico era contemporaneamente capitalista e
socialista. Veniva accusato di indolente pacifismo ma, per una starna
coincidenza, era anche un eterno fomentatore di guerre .30

Queste argomentazioni sono la prova della tipica ambiguità della


propaganda, e delle contraddizioni che segnano l'intera campagna di
stampa fascista. I giornalisti del regime si dibattono infatti fra due
concezioni opposte del razzismo, quella biologista e quella spiritualista,
nel difficile tentativo di trovare precedenti per l'antisemitismo italiano e di
tracciare un impossibile confine fra persecuzione e discriminazione.
Per questi motivi la propaganda fascista non riesce a liberarsi da un
inevitabile procedimento tautologico e da un'irrazionalità di fondo.
Attraverso l'utilizzo di argomenti irrazionali si vuole stimolare l'ansia per
la distruzione delle certezze e la dissoluzione di un equilibrio,
interpretando le difficoltà di un periodo storico come il risultato della
presenza ingombrante e sempre più massiccia degli ebrei. Ma allo stesso
tempo l'antisemitismo fascista sembra assumere una chiara connotazione
politica. Gli ebrei sono le vittime ideali della polemica antiborghese ed
antimodernista del regime. Sono il nemico "interno" ad ogni nazione per
la propaganda nazionalista, fungono da monito per la loro condizione di
"eterni" perseguitati.
Lo stereotipo che si diffonde con più facilità è quello della
"cospirazione internazionale" che mira al dominio ebraico mondiale. La
raffigurazione degli ebrei è quella tipica di
30Weinrich, 1945, cit. in Z. Bauman, op. cit., pag. 68.
137

un élite sovranazionale, un potere invisibile mimetizzato dietro tutti i poteri


visibili, un burattinaio nascosto responsabile di giochi del destino .
31

La propaganda costruisce accuratamente la definizione del suo


oggetto, isolando le vittime con l'implicazione della loro "diversità".
L'accresciuta distanza fisica fra le persone implica l'isolamento di chi è
oggetto di pregiudizi, giustificando ogni tipo di "trattamento speciale".
Nella propaganda antisemita il tema dell'"alterità" dell'ebreo è molto
più importante di quello della sua "inferiorità". Spesso anzi si evoca una
superiorità intellettuale che però ha solo la conseguenza di rendere gli
ebrei più pericolosi. Il pericolo non può derivare da chi risulta inferiore,
quanto piuttosto da una potenza superiore, anche se negativa. In questa
ottica gli ebrei non possono essere asserviti, né tantomeno assimilati, ma
solo "discriminati", In questa posizione c'è in nuce la giustificazione del
genocidio. Nel delirio nazista, infatti, l'impossibilità di vedere gli ebrei
come "schiavi" condurrà alla "necessità" dello sterminio. Come E.
Lévinas ha sostenuto,

l'antisemitismo è l'archetipo di qualsiasi tipo di internamento. La stessa


oppressione sociale non fa che imitare questo modello. Essa rinchiude gli
individui all'interno di una classe, priva dell'espressione e condanna a significanti
senza significato, dunque alla violenza a agli scontri .
32

Anche nella propaganda fascista gli ebrei non sono considerati


inferiori, bensì veri e propri nemici, con una concezione del mondo e
modi di agire differenti. La posizione spiritualista è quindi altrettanto
pericolosa di quella materialista: se non ci sono nette distinzioni di razza,
31Z.Bauman, op. cit., pag. 117.
32E.Lévinas, cit. in P.A. Taguïeff, La forza del pregiudizio, Bologna, Il Mulino,
1994, pag. 110.
138

la differenza si esprime politicamente, ed il fascismo non poteva certo


accettare paradigmi diversi dal proprio.
L'abilità della propaganda consiste nel presentare le posizioni
razziste non solo come credenze o teorie, ma anche come risposte
pragmatiche a problemi concreti. Le argomentazioni della stampa
pongono in rilievo motivazioni teoriche, ma allo stesso tempo le
rinforzano con le "buone ragioni" di ordine pratico, come risulta dal
rinnovato interesse del regime per la cronaca nera.
I presupposti concettuali dell'antisemitismo fascista includono la
difesa dell'individualità di un popolo attraverso la separazione, la
protezione della razza superiore dagli incroci e dal meticciato, la
valorizzazione dell'omogeneità e della purezza degli ariani, legittimati ad
agire contro ogni possibile ibridazione. Lentamente diventa normale
parlare di separazione sociale, oltre che naturale.
L'ipotesi biologica esclude la possibilità di una volontà personale,
perché il destino umano è legato indissolubilmente all'appartenenza
biologica. Tuttavia, come ha sostenuto E. Balibar, l'antisemitismo è il
prototipo di un razzismo per cui non è più necessario il concetto
pseudobiologico di razza. L'antisemitismo moderno è già un razzismo
"culturalista" . L'ebreo è visto come "costruzione psicologica", portatore
33

di una tradizione culturale di disgregazione morale e materiale.


L'elemento principale della propaganda fascista risulta quindi essere la
battaglia contro questa concezione del mondo, inconciliabile con la
propria.

33Cfr.E. Balibar - I. Wallerstein, Razza nazione classe: le identità ambigue, Roma,


Edizioni Associate, 1990, pag. 35.
139

Se H. Arendt ha sostenuto che l'antisemitismo è stato utilizzato


politicamente per combattere lo Stato , l'analisi della propaganda fascista
34

sembra al contrario suggerire che sia stato il regime ad usare


l'antisemitismo per rafforzare lo Stato e riaffermare la monoliticità delle
istituzioni. La politica antiebraica avrebbe dovuto difatti svolgere lo
stesso ruolo della guerra d'Etiopia e della battaglia autarchica: riproporre
una solidarietà organica tra i membri della nazione ed eliminare qualsiasi
possibilità di opposizione. In questa ottica l'antisemitismo tradizionale,
cattolico e nazionalista, più che come causa, si presenta come un
necessario supporto all'azione discriminatoria. Certamente l'antisemitismo
fascista ha agito su un terreno preparato dall'antisemitismo cristiano, ma
per le sue caratteristiche non si identifica con esso.
In conclusione, il pregiudizio antisemita, negli intenti del fascismo,
assume una funzione sociale e politica, oltre che psicologica, e legittima
un procedimento attraverso il quale un gruppo specifico viene individuato
ed isolato attraverso l'attribuzione di segni e caratteristiche distintive e i
suoi comportamenti sono generalizzati e valutati negativamente.
Spesso gli stereotipi si autorafforzano e "creano" l'esperienza:

Nel produrre informazioni sui gruppi etnici, la gente non fornisce semplicemente
evidenze basate su modelli interpretativi, ma costruisce evidenze a partire da
preesistenti attitudini. E' lo stereotipo generale negativo che mi dice che io devo
aver avuto solo esperienze negative. Noi troviamo che le opinioni sui gruppi
etnici sono elaborate in modo circolare: un'esperienza negativa viene
generalizzata fino a diventare un'opinione attitudinale generale, e l'opinione
generale, viceversa, garantisce che alla fine si trovino esempi che la
convalidano .
35

34Cfr. H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit.


35T. Van Dijk, cit. in P.A. Taguïeff, op. cit., pag. 27.
140

Secondo R. Bastide, il pregiudizio appare sempre "come un atto di


difesa" di un gruppo dominante contro un gruppo dominato o di
giustificazione di uno sfruttamento" . Solo attraverso l'identificazione
36

precisa del gruppo è quindi possibile astrarre e generalizzare creando


asserzioni razziste. La rigidità del sistema sociale permette in seguito la
costruzione di un modello di "capro espiatorio" attraverso il quale dare
risposta alle crisi individuali e collettive.
Anche alcune accuse della propaganda fascista hanno per oggetto
l'essere degli ebrei, indipendentemente dalle loro azioni concrete. Gli
ebrei sono designati come soggetti su cui riversare l'odio di un gruppo
alla ricerca di un'autolegittimazione. E' questo il modello che già nel 1942
era stato individuato da Jankélévitch:

Probabilmente per la prima volta ci sono uomini che vengono ufficialmente


perseguitati non per ciò che fanno, ma per ciò che sono; essi espiano il proprio
essere e non il proprio avere: non delle azioni...ma la fatalità di una nascita. Ciò
restituisce tutto il senso al mito immemorabile del popolo maledetto, del popolo
capro espiatorio, condannato a vagare da una nazione all'altra ed assumere su di
sé i peccati di tutti .
37

L'antisemitismo fascista ha rappresentato una delle risposte possibili


alla volontà di controllo ed omologazione della vita della nazione, che
passavano attraverso l'intolleranza per le altre identità e le altre culture.
L'ebraismo non era solo un elemento di disturbo sul piano culturale, ma
una comunità il cui organismo dirigente ufficiale non era completamente
fascistizzato.
Eppure, come ha notato Bauman, la propaganda non poteva essere
certo sufficiente per "isolare" gli ebrei . Essa doveva essere sostenuta, per
38

36Cit.,ibid., pag. 312.


37Cit.,ibid., pag. 33.
38Cfr. Z. Bauman, op. cit., pag. 176 e sgg.
141

essere efficace, da un corpus di norme legislative che approfondissero la


separazione fra gli ebrei ed il resto della popolazione, ma che soprattutto
dimostrassero che le misure restrittive colpivano gli Altri, non avendo
nessuna influenza sulla vita quotidiana della maggior parte della
popolazione. Per questo motivo il fascismo si dedicò in modo accurato
alla precisazione di chi fosse realmente ebreo, anche attraverso
contraddizioni e ripensamenti: l'affermazione così netta della "diversità"
consentiva infatti una presa di coscienza per i restanti cittadini italiani,
razzialmente "puri" e con alcune sicurezze morali in più.
In ogni caso la propaganda è stata essenziale per lo sviluppo di un
antisemitismo funzionale alle necessità del regime, soprattutto perché i
suoi meccanismi hanno permesso l'accettazione acritica da parte,
presumibilmente, di larghi strati della popolazione. Per raggiungere
questo risultato la propaganda ha spesso utilizzato processi inconsci ed
emozionali, facendo appello a pregiudizi diffusi e creandone di nuovi. Gli
stereotipi sono generalmente ripetuti e "sacralizzati", mentre il linguaggio
propone immagini contraffatte. In questo modo, per raggiungere un
obiettivo concreto (la totalitarizzazione dello Stato, la dissoluzione
dell'individuo in un'entità collettiva, l'assolutizzazione della comunità
d'appartenenza), il fascismo non esita ad utilizzare concetti irrazionali.
In definitiva il rifiuto degli ebrei si traduce in rifiuto
dell'universalismo.
142

CAPITOLO 0

UNA POLEMICA COSENTINA SULLE LEGGI RAZZIALI

Nelle pagine che seguono cercherò di dimostrare come la stampa


locale, nel caso specifico quella cosentina, abbia avuto un ruolo
importante nella costruzione e nella diffusione del pregiudizio antisemita.
La prima impressione è che la propaganda locale abbia utilizzato temi
altrettanto rozzi e plateali di quelli della stampa nazionale, quasi ad
alimentare il paradosso di un "antisemitismo senza ebrei" di cui la
storiografia si è ampiamente occupata. Ma un'analisi più accurata
permette di individuare posizioni più sfumate, che culminano in un caso
di opposizione aperta alle posizioni del regime. La stampa cattolica
locale, soprattutto, si distingue in un primo momento per la sua condanna
decisa del razzismo fascista, salvo poi a convertirsi ad una linea di
imbarazzati silenzi e stentate deplorazioni.
Il giornalismo calabrese degli anni '30 non offre un panorama
particolarmente vivace. I quotidiani sono sempre più simili a fogli
d'ordine, e l'assoluta assenza di dialettica caratterizza la stampa locale in
modo ancora più accentuato di quanto non avvenga a livello nazionale.
Tuttavia un primo spoglio dei tre più importanti fogli cosentini del
periodo - "Parola di Vita", "Cronaca di Calabria" e "Calabria fascista" - e
143

del "Bollettino Ufficiale dell'Archidiocesi di Cosenza", offre alcuni spunti


interessanti, e soprattutto rivela una polemica accesa fra il primo
periodico, organo della Curia arcivescovile, e la federazione provinciale
del fascio, che ha in "Calabria fascista" la sua diretta espressione.
Bisogna sottolineare inoltre che il GUF di Catanzaro ebbe un ruolo di
primo piano nell'appoggiare la campagna razzista del regime,
riconosciuto dalla stessa stampa nazionale . Gli universitari di Catanzaro
1

pubblicarono infatti nel 1940 un quindicinale ciclostilato, dal titolo


perentorio di Razzismo, che fece da supporto a numerose conferenze
organizzate in città e ad una massiccia partecipazione ai Littoriali della
Razza.
"Parola di Vita" ha forti parole di condanna per il razzismo nazista
ed il suo direttore, don Luigi Nicoletti , pagherà con l'allontanamento dal
2

suo incarico ed il trasferimento in provincia di Lecce la sua presa di


1 Cfr. Il GUF di Catanzaro per la Difesa della Razza, "Giornale d' Italia", 16 ottobre
1938.
2Luigi Nicoletti nacque nel 1883 a S. Giovanni in Fiore, il maggiore centro della Sila

cosentina. Definito il "don Sturzo della Calabria", si impegnò sempre in politica,


difendendo l'autonomia e la partecipazione dei sacerdoti nella vita amministrativa.
Seguace di Romolo Murri e discepolo di don Carlo De Cardona, fondò insieme a
quest'ultimo il Partito Popolare a Cosenza, di cui ricoprì la carica di segretario nel
1920. La sua visione illuministica dei problemi sociali, tuttavia, si scontrò ben presto
con quella di De Cardona. Secondo Nicoletti la classe operaia e contadina non
avrebbero potuto fare a meno della guida della borghesia illuminata e cattolica, in
contrasto con la visione di De Cardona, che voleva affidare la rigenerazione della
classe operaia alla sua forza intrinseca. Durante il periodo fascista Nicoletti rimase
l'esponente cattolico cosentino di maggior rilievo, dirigendo dal 1936 al 1939 il
giornale diocesano "Parola di Vita". Le sue prese di posizione contro le leggi razziali
lo condussero al trasferimento nel Ginnasio-liceo di Galatina. Il suo allontanamento
dal Liceo Telesio di Cosenza provocò un'insurrezione fra gli studenti, alcuni dei quali
maturarono allora la scelta antifascista. Dopo la caduta del fascismo, unico sacerdote
in Italia, venne eletto segretario provinciale della DC, carica che mantenne fino al
1952. Venne in seguito eletto consigliere provinciale, ottenendo la carica di assessore
all'assistenza. Fino alla sua morte, avvenuta nel 1958, alternò l'impegno giornalistico
dalle colonne del giornale "Democrazia Cristiana", da lui fondato nel 1943, a quello
letterario: cfr. F. Cassiani, I contadini calabresi di Carlo De Cardona. 1898-1936,
Roma, Edizioni Cinque Lune, 1976.
144

posizione contro l'antisemitismo fascista. Suo antagonista nella polemica


sarà il settimanale "Calabria fascista", l'organo di stampa più direttamente
impegnato nella campagna antiebraica. Nonostante Ruggero Zangrandi
abbia visto in quest'ultimo giornale un'espressione di anticonformismo , 3

sembra piuttosto che "Calabria fascista" sia in prima linea nella polemica
antisemita, e che il suo tono pesantemente squadristico ed intimidatorio
abbia seguito l'orientamento della stampa nazionale più radicale.
Il "Bollettino", redatto personalmente dall'Arcivescovo del periodo,
mons. Roberto Nogara, condanna esplicitamente le teorie razziste del
nazionalsocialismo, e la politica del Terzo Reich verso la Chiesa in
Germania. Il mensile pubblicherà integralmente, nel maggio 1937,
l'enciclica Mit Brennender Sorge di Pio XI, sottolineando in questo modo
l'immagine negativa del nazismo negli ambienti ecclesiastici. Ma accanto
a queste posizioni manca, anche sulla stampa cattolica cosentina, ogni
riferimento diretto all'antisemitismo ed alle persecuzioni naziste nei
confronti degli ebrei. La polemica è spesso rivolta verso i fondamenti
biologici del razzismo nazista, mentre la questione ebraica rimane in
secondo piano. Il nazismo veniva attaccato nella sua pretesa di sostituirsi
alla Chiesa cristiana, diventando esso stesso una religione. Tuttavia il
razzismo nazista si manifestò soprattutto come antisemitismo, ma la
Chiesa sembrò non accorgersene. E' in questa prospettiva che risalta la
figura di don Nicoletti, che riserverà a tale questione uno spazio non
marginale, con toni lontani da ogni cautela. L'appoggio personale
dell'Arcivescovo, che aveva affidato a don Nicoletti importanti incarichi
nonostante le sue palesi posizioni antifasciste, sarà inutile proprio in
occasione della polemica sulle leggi razziali, ancora a sottolineare
3Cfr. R. Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Milano, Feltrinelli, 1962,
pag. 485.
145

l'importanza che il regime attribuiva a tale svolta politica. Nicoletti


rappresentava un pericolo non solo come direttore di un giornale, la cui
diffusione era comunque limitata, ma soprattutto come tramite fra il clero
ed il laicato, in quanto dirigente dell'Azione Cattolica e soprattutto del
Movimento Laureati, nel quale, come ha notato Pietro Scoppola,
"soprattutto...andò maturando questo nuovo antifascismo di ispirazione
religiosa" . 4

"Cronaca di Calabria", fondata nell'800 da Luigi Caputo, ed ormai


completamente fascistizzata, è un bisettimanale scarno, privo di articoli
enfatici, dal taglio molto regionale. Per il suo carattere di foglio storico-
culturale si pone al margine della polemica, ma, pur con tono contenuto,
manifesta la sua adesione alla svolta antiebraica del regime, occupandosi
soprattutto di speculazioni eugenetiche attraverso il suo collaboratore
Enzo Vitalone.
Seguace di Nicola Pende, Vitalone dedica numerose dissertazioni,
con il comune occhiello di "Difesa della Razza", ai problemi fisiologici,
genetici ed eugenetici che sottendono la questione dell'"integrità" della
razza italiana. Gli articoli, che occupano la prima pagina dei numeri di
agosto e settembre del 1938, dedicano particolare attenzione alla scienza
nipiologica, perché solo attraverso la tutela dell'infanzia, secondo l'autore,
si può prevenire il "decadimento" razziale dei popoli. Il primo articolo
della serie, pubblicato il 18 agosto, rivela il consenso di Vitalone per la
politica razziale del regime. La nuova politica fascista è vista come Una
nuova affermazione della scienza italiana e l'adesione di Vitalone è in
realtà l'adesione di tutta la scienza nazionale:

4P. Scoppola, La Chiesa e il fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1973, pag. 284.


146

Ora che il Duce ha impostato in termini precisi e perentori il problema


dell'integrità biologica della razza, si può essere certi che ...anche nel campo
razziale, l'Italia darà a tutto il mondo con l'esempio il verace insegnamento di chi
vede ed opera il bene di tutta l'umanità; ma aborre, per ben fondate ragioni
materiali ed ideali, pratiche e spirituali, da quegli intrugli di razze incrociate che
lanciano per il mondo gli ibridi che si chiamano mulatti e meticci, i quali nella
razza umana rappresentano una sottospecie che mina alle basi ogni legittimo e
necessario orgoglio di supremazia biologica ed etnica della razza che ebbe da Dio
la sublime missione del suo eterno progredire.

"Cronaca di Calabria" non pubblica il Manifesto, e le successive


disposizioni legislative sono senza commento, anche se corredate di
occhielli e sottotitoli che esprimono l'adesione del giornale.
Il primo riferimento chiaramente antiebraico è l'articolo di
Domenico Zangari, L'ebraismo nella storia, pubblicato il 27 settembre
1938. Secondo l'autore le disposizioni del regime contro gli ebrei
sarebbero motivate da motivi di "buon governo" e non di odio di razza.
Non tutti infatti hanno presente la storia della migrazione ebraica in Italia
e le sue nefaste conseguenze: al contrario è di drammatica attualità la
lenta penetrazione degli ebrei nelle istituzioni, la loro preponderanza
economica ed il pericolo permanente delle loro organizzazioni. Se gli
ebrei sono stati anticamente il "popolo eletto", dopo il deicidio da loro
commesso essi sono entrati nella seconda fase della loro storia, segnata
dalla dispersione. Le persecuzioni di cui gli ebrei si dolgono non sono
mosse da fanatismo religioso, ma provocate da assassini di fanciulli,
oltraggi, sacrilegi contro la SS. Eucaristia ed altri delitti da loro perpetrati.
Tuttavia per l'autore non è la mescolanza del sangue che bisogna temere,
ma è necessario preservare quell'"ideale" di purezza che nei legami di
famiglia, di religione, di patria, deve guidare l'Italia nella lotta contro la
barbarie".
147

Questo elenco dei peggiori luoghi comuni antisemiti è ripreso dallo


stesso Zangari nell'articolo del 20 ottobre, L'ebraismo nella cultura
calabrese, che, fra vari riferimenti bibliografici, accusa il vecchio
liberalismo di avere, con la "tolleranza dei culti, sbattezzato Roma coi
Nathan e il ceto dei numulari", ovvero gli ebrei, detentori ormai
indiscussi del potere finanziario.
La recensione del libro di Paolo Orano, Inchiesta sulla Razza, del 27
dicembre, offre l'occasione anche a "Cronaca di Calabria" di riprendere i
consueti luoghi comuni del razzismo fascista, la cui intransigenza deriva
dalla necessità di combattere il sionismo. L'antisemitismo sarebbe infatti
un'"inevitabile necessità", risultato dell'arroganza del semitismo. Questa
arroganza è rivolta anche verso la vita, la storia, la civiltà di quegli stati in
cui gli ebrei hanno vissuto, profittandone e assicurandosi il predominio
economico, intellettuale, culturale e finanziario.
Il numero del 31 dicembre si apre con l'articolo di Alfio Pisani Il
problema razziale. Secondo l'autore

la Rivoluzione fascista è Rivoluzione spirituale, che ripristina i valori della gente:


morali, fisici, etnici e religiosi...In questa palingenesi di un popolo, che ha
ritrovato se stesso e si svolge nella coscienza alta, forte e profonda del suo
destino, non possono rimanere elementi eterogenei allo spirito, al genio, alla
mentalità di esso, elementi cioè che non possono essere assimilabili in questo
rinnovamento stesso. E tali sono gli elementi giudaici.

Nello stesso linguaggio approssimativo, Pisani continua affermando


l'irriducibilità fra ariani ed ebrei, essendo i primi iniziatori ed unici
depositari della civiltà. Gli ebrei sono invece, dispersi nel mondo,
parassiti negli organismi altrui. "Tenaci, avidi, scaltri i discendenti dei
giudei", i quali sono costituiti in sette che accentrano ed assorbono la vita
economica di una nazione: il loro idolo continua ad essere il vitello d'oro,
148

il dio denaro. Le nobili aspirazioni di un popolo sono così mortificate da


queste forze ostili. Per questo motivo il fascismo ha il dovere di fare del
razzismo:

un razzismo originale negli intenti, nel processo e nei limiti...fenomeno di


Romanità contro ogni tentativo di imbastardimento della stirpe. Ne uscirà
l'italiano puro, erede di Roma: l'italiano di Mussolini.

Il settimanale "Calabria fascista" in un primo momento non si


allinea alla stampa nazionale, che in diverse ondate, nel 1933-34 e nel
1936, come abbiamo già visto, conduce una campagna propagandistica
antiebraica. L'unico riferimento al problema razziale del 1934 è una
locandina pubblicitaria che, il 5 settembre, segnala l'articolo di Mussolini
sul "Popolo d'Italia", La razza bianca muore? Il giorno seguente
"Calabria fascista" riporta integralmente l'articolo, in cui non si parla però
di pericolo ebraico, ma di "pericolo giallo e nero" per la razza italiana ed
occidentale, minacciate dal decadimento demografico.
Il primo riferimento antiebraico è del 14 agosto 1937, e si inserisce
nel contesto della crociata antibolscevica rappresentata dalla guerra di
Spagna. L'equazione ebraismo/bolscevismo è il filo conduttore
dell'articolo L'ebraismo: pericolo mondiale?, che, attraverso la lezione
dei Protocolli, afferma che

l'ebraismo...prosegue incessante nella sua azione seminatrice di discordie. Una


formidabile campagna è stata scatenata in tutto il mondo per mezzo della stampa,
del cinema, della radio, contro molti Stati, fra cui la Polonia, la Romania,
l'Ungheria, ma soprattutto contro la Germania (dove l'ebraismo sovvertitore fu
radicalmente estirpato) che è fatta segno ad una guerra economica senza quartiere
tesa a strangolare il nazionalsocialismo.
149

Il 20 agosto viene recensito il libro di Evola, Il mito del sangue, che


offre l'occasione per una panoramica sulle teorie razziste in voga al
momento. Il tono è generalmente non estremista e l'autore propone di
distinguere una verità teorica dall'efficienza pratica. Come "mito" l'idea
della razza è vera, in quanto agisce nella storia, ma come "dottrina" è il
risultato di tendenze diverse e di varia solidità, che solo in piccola parte si
possono ricondurre su un terreno scientifico. Nel libro di Evola la storia è
concepita dinamicamente

non come lo sviluppo dell'umanità al singolare, ma come scopo e lotta fra la


"verità delle diverse razze umane e soprattutto come una vicenda movimentata, al
centro della quale sta il destino della razza "aria" originaria...Il razzismo si
trasforma in mito sociale e nazionale.

Un trafiletto nella rubrica Diorama del 28 agosto invita infine a


vigilare contro il pericolo che gli ebrei costituirebbero a livello
internazionale:

Il fronte popolare internazionale è oggi la grande piattaforma che gli ebrei


preparano per raggiungere il loro scopo, come quello dei comunisti: la schiavitù
delle Nazioni e dei popoli, insieme al dominio internazionale, simbolizzati dalla
falce, dal martello e dall'ebraica stella di David.

Il 1938 di "Calabria fascista" si apre invece all'insegna della


polemica antiebraica, in anticipo persino rispetto alla grande stampa
nazionale. Il 10 gennaio 1938 l'annuncio della visita di Hitler in Italia è
accompagnato da un lungo sottotitolo: "L'antifascismo internazionale
dovrà persuadersi che i legami fra l'Italia e la Germania sono il risultato
di una reciproca comprensione, di un'identità di vedute e di un
programma comune da svolgere contro il comunismo e la
socialdemocrazia ebraico-massonica".
150

Ancora più chiaro e diretto è l'attacco dell'articolo di Orazio


Carratelli, del 17 gennaio, dal titolo Forze occulte. Le forze occulte
sarebbero le protagoniste dei Protocolli dei savi Anziani di Sion,
ripubblicati in Italia in questo periodo, sulla cui veridicità "non c'è ormai
dubbio alcuno" e che vanno considerati di "innegabile e avvincente
interesse" .Secondo Carratelli il contenuto dei Protocolli sarebbe
confermato dalla vittoria in Russia del comunismo, formato al 99% da
ebrei, dalle insurrezioni bolsceviche in tutto il mondo, dalla prepotenza
delle democrazie, dalla recessione economica, dal ritorno dell'ebraismo in
Palestina, dalla creazione del "supergoverno" della Società delle Nazioni,
controllato da ebrei e massoni. Il pericolo dell'ebraismo è definito
"gravissimo" ed il contenuto dei Protocolli "ed il loro carattere davvero
profetico ne fanno lo specchio fedele dell'essenza e della volontà
ebraica". Profeticamente Carratelli conclude:

In Italia l'ebraismo non desta serie preoccupazioni e ciò perché il fascismo fa


buona guardia e se domani dovesse accorgersi che i 40000 ebrei residenti nel
Regno fossero strumento dell'internazionale ferocemente coalizzata contro di noi,
non tarderebbe a spezzarne ogni azione con audacia ed impeto rivoluzionario.

Sul piano internazionale la lotta del fascismo contro l'ebraismo,


sinonimo di comunismo, internazionalismo, massoneria, è già iniziata. In
Italia bisogna vigilare soprattutto in quelle città dove gli ebrei possiedono
il monopolio della cultura, delle libere professioni, delle gerarchie
amministrative, delle banche, della stampa.
Certamente questa non era la situazione di Cosenza, dove non è
documentabile la presenza di ebrei negli anni '30. La propaganda locale
tuttavia assume subito i toni aspri che caratterizzano la stampa nazionale,
151

attraverso l'utilizzo di pregiudizi e stereotipi impossibili da "controllare"


per il lettore, ma comunque diffusi.
Il Manifesto è accolto infatti con evidente soddisfazione da
"Calabria fascista", che dedica al suo commento l'intera rubrica Diorama
del 25 luglio. Secondo l'anonimo autore la teoria italiana della razza

trova i suoi fondamenti nella scienza e non contraddice in alcun modo né alla
religione, né alla filosofia spiritualistica, perché il suo dato è esclusivamente
biologico. Dal momento che esiste una razza italiana, mantenutasi inalterata
durante almeno dieci secoli, è evidente che abbiamo il dovere di difenderla e
presidiarla e, insieme,...il diritto di andarne orgogliosi.

In contraddizione con l'articolo precedente, che sosteneva il


fondamento biologico del razzismo italiano, F.R. Fabiani, la settimana
seguente, afferma che il problema della razza è essenzialmente storico e
politico. Nell'articolo Razza e democrazia il giornalista rileva che la presa
di posizione del regime non è certo una mera enunciazione filosofica,
quanto una direttiva affinché gli italiani si formino una coscienza razzista.
Una coscienza che evidentemente non c'era, a giudicare dalle parole di
Fabiani:

Per essere sinceri dobbiamo convenire che il nostro popolo non guardava col
dovuto interesse alla faccenda, e più ancora l'avrebbe trascurata se non si fosse
intervenuti per inculcargli l'amore verso se stesso, verso le sue origini ed il suo
progressivo perfezionamento.

Ma questa passività non si addice agli italiani, ed il fascismo non


può far altro che "stroncarla". La legge fondamentale del fascismo deve
diventare quindi la lotta contro ogni infiltrazione ed ibridismo, e
soprattutto contro il "semitismo invadente":
152

L'ebreo è il più temibile elemento dissolvitore del razzismo altrui: tempista e


commerciante, ipocrita ed irriducibile nella difesa delle sue carte...la natura
dell'ebreo è tale da poter dare delle fatali conseguenze.

L'8 agosto il titolo del giornale, a piena pagina, è dedicato al


discorso di Mussolini a Trieste: Tireremo diritto. L'editoriale Fatica vana
riprende l'attacco del duce alla stampa antifascista, la quale punta all'amor
proprio degli italiani, accusandoli di imitare altre nazioni. Secondo
l'articolo, la reazione suscitata in quegli ambienti è il segnale più evidente
che il fascismo ha colto nel segno:

Una Rivoluzione, infatti, non sopporta ostacoli sul suo cammino e molte volte i
suoi scopi e i suoi bersagli si precisano attraverso la polemica dei suoi avversari.

E la stessa polemica appare comunque strana, perché il documento


degli scienziati non è formulato in modo intransigente, tale è il suo
carattere di obiettività e verità. Gli attacchi alla dottrina della razza sono
quindi attacchi diretti al fascismo, che nel razzismo ha una delle sue
espressioni di principio più importanti.
Il 19 agosto Virginio Casciani cerca comunque di prendere le
distanze dall'antisemitismo tedesco. Nel suo articolo Nel segno leggiamo
infatti che

la concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana, e


l'indirizzo ariano nordico. Questo non vuol dire, però, introdurre in Italia le teorie
del razzismo tedesco come sono, o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi
sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli italiani un modello fisico e
soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei
si stacca completamente da tutte le razze extraeuropee; questo vuol dire elevare
l'italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore
responsabilità.
153

Il fascismo avrebbe quindi risolto la questione con il suo tipico


equilibrio fra due condizioni estreme. Da una parte il mito razzista
tedesco, che fa della razza il "massimo valore comune di coesione";
dall'altra gli imperi bolscevizzati, distruttori dei valori nazionali, aperti
nei confronti delle altre razze. Il fascismo quindi respinge ogni posizione
estremista, promuovendo in tal modo il principio spirituale, posto come
fondamento della nazione italiana, contro ogni concezione materialistica.
E' opportuno notare che, paradossalmente, la stessa pagina
dell'articolo ospita in un riquadro la frase "La questione del razzismo in
Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza
intenzioni filosofiche o religiose".
L'intero mese di agosto di "Calabria fascista" è comunque dedicato,
in osservanza alle direttive del Ministero, alla ripresa di discorsi e scritti
di Mussolini sulla questione razziale ed alla promozione de "La Difesa
della Razza". Il conformismo del giornale, e la sua pronta adesione alla
battaglia antisemita, sono premiati dal "compiacimento del Duce",
espresso da un telegramma di Alfieri pubblicato il 28 agosto. "Calabria
fascista", secondo il ministro, "ha dimostrato bene interpretare superiori
direttive circa problema razziale". Le superiori direttive stimolano articoli
sempre più grotteschi in cui il razzismo fascista è visto come necessità di
"legittima difesa" del regime. Si citano infatti brani del Talmud e di
scrittori ebrei che confermerebbero l'odio di Israele verso gli altri popoli,
mentre i minacciati boicottaggi degli ebrei di altri paesi sono l'occasione
per sottolineare che il fascismo "ha avuto ragione" . 5

L'antitesi psicologica tra fascismo ed ebraismo è ripresa da Franco


Rocco Fabiani che, nell'articolo Mistica del razzismo del 19 settembre, si

5 Ebraismo Bolscevismo Massoneria, s.f., "Calabria fascista", 5 settembre 1938.


154

ispira alle parole di Mussolini: "L'ebraismo mondiale è stato durante 16


anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del
fascismo". L'unità monolitica dello Stato, e la realtà di una completa
totalitarizzazione, sono gli obiettivi che Fabiani individua come
irrinunciabili:

L'Italia fascista si libera degli ultimi miasmi che potevano incrinare il cristallino
divenire dei suoi alti destini; si disfà dopo le sue esperienze e gli insegnamenti
prodigatele dalla campagna sanzionista, in cui l'internazionale ebraica ha giocato
le carte migliori, di un peso che diveniva sempre più pericoloso...Il fascismo è
uno col concetto di Patria e coll'espressione del popolo; Patria, Popolo e
Fascismo formano cioè delle unità inscindibili. Non è come il bolscevismo che
tenta tutte le infiltrazioni e tutti i processi dissolvitori...Ecco perché tra noi e gli
ebrei, i quali rappresentano un nucleo precipuo del settarismo sovietico, doveva
fatalmente intervenire una resa dei conti.

Nella stessa pagina, con l'articolo Piccola antologia giudaica,


prende posizione Fez Nero, pseudonimo che nasconde una delle penne
più corrosive ed estremiste del giornale. Secondo Fez Nero l'ebraismo ha
dichiarato guerra al fascismo, e questa guerra

l'abbiamo accettata e la condurremo sino in fondo per salvare la nostra purissima


razza da ogni forma di pernicioso imbastardimento e liberare l'organismo della
Nazione dall'insidiosa penetrazione giudaica. Nessuna compassione da parte
nostra. Gli ebrei non sono da compiangere.

Il tema dell'omogeneità della razza italiana è ripreso da Luigi Bruni,


nell'articolo Nazionalità e razza del 26 settembre. Secondo l'autore

per comprendere appieno i provvedimenti fascisti sulla razza, occorre considerare


il nostro popolo come qualcosa di psicologicamente sostanziale. Niente scorie.
Sono tossine nocive.
155

Il riferimento alla "psicologia" di una nazione è quindi nuovamente


presente. Lo stesso direttore Orazio Carratelli, nel suo editoriale dell'8
ottobre, avverte che "il primo pericolo per l'integrità della razza, anche
dal punto di vista politico, era rappresentato dall'ebraismo". L'articolo Gli
ebrei alla resa dei conti è una chiara dimostrazione dell'ipotesi politica
sottesa alla questione razziale. L'elenco degli episodi di opposizione
ebraica al fascismo è un atto di accusa verso una presunta posizione
antifascista: il conflitto etiopico, la politica sanzionista, l'ostilità verso la
politica autarchica, il sostegno economico alla guerra spagnola. Per un
regime che si proponeva come obiettivo l'assoluta identità
fascista/italiano, liberarsi dagli ebrei significava quindi curare una
"malattia sociale" più che una ferita alla purezza della razza.
Ma l'8 ottobre è soprattutto il giorno dell'attacco alle posizioni
antirazziste di "Parola di Vita", impersonate dal direttore Luigi Nicoletti.
La rubrica Faretra ospita un durissimo articolo, che prende spunto dal
mancato rilievo dato dal giornale della Curia agli avvenimenti di Monaco,
ed al ruolo svolto da Mussolini nella Conferenza. L'articolo Mentalità
antifascista è un nuovo attacco politico contro un presunto oppositore del
regime: l'autore rileva, "senza però alcuna meraviglia", che nel numero
del 30 settembre di "Parola di Vita" non si è "sentito il bisogno" di parlare
dell'opera del duce per la salvezza della pace. Il "giornaletto cattolico",
attraverso una "prosa a doppia faccia" e titoli ambigui, "ha voluto tacere
di proposito" dell'opera "geniale" di Mussolini, che al contrario avrebbe
riscosso l'ammirazione dei più alti prelati cattolici. Don Nicoletti avrebbe
relegato in seconda pagina persino il messaggio del Papa ed in fondo ad
una rubrica, dal titolo ambiguo Alla rinfusa, i risultati della conferenza di
Monaco. Secondo "Calabria fascista" in questo modo Nicoletti ha rivelato
156

lo stesso spirito e gli stessi fini dei compagni bolscevichi. Dimostrando


però più astuzia: mentre comunisti ed ebrei, ancora una volta sconfitti,
sfogano la loro rabbia, il direttore di "Parola di Vita" minimizza la portata
degli eventi e la vittoria di Mussolini con il silenzio. Così prosegue
l'attacco a Nicoletti:

Ma ciò che noi oggi vogliamo rilevare non è soltanto l'ipocrita solidarietà
dimostrata dal direttore di "Parola di Vita" coi lividi guerrafondai delle varie
internazionali comuniste, giudaiche, massoniche che sperano, attraverso la
guerra, di distruggere il Fascismo...ma anche il fatto non trascurabile che alla
direzione di un giornale cattolico che si pubblica nel tempo fascista, di un
giornale che dovrebbe portare nelle famiglie la parola serena della concordia,
della pace, della giustizia, vi sia un uomo a tutti noto per il suo passato di
avversario del Fascismo, un uomo che si dimostra contrario alla stessa morale
cattolica, un uomo che, sentendosi sicuro sotto la veste di religioso, continua
tuttora a svolgere attraverso il giornale che gli è stato affidato dalle autorità
ecclesiastiche opera settaria e di denigrazione all'indirizzo di quel Regime che ha
posto la religione di Cristo all'apice della vita nazionale e ha fatto del popolo
italiano un popolo di credenti e di devoti.

Questa propensione evangelica del fascismo non era stata


sicuramente ben compresa da Nicoletti, il quale aveva fatto di "Parola di
Vita", pur con vari limiti, una voce fuori dal coro nel panorama calabrese.
La posizione del giornale, fin dal 1935, è infatti di aperto attacco al
razzismo nazista. Ogni numero, anche dopo il riavvicinamento fra Italia e
Germania, ospita articoli contro il nazismo ed il comunismo, e soprattutto
contro il neo-paganesimo di Rosenberg. Anche "Parola di Vita" accusa
tuttavia i limiti della grande stampa cattolica nazionale: gli articoli di
critica al razzismo tedesco non fanno riferimento al dramma degli ebrei,
all'antisemitismo dilagante, ma sono prese di posizione soprattutto contro
157

gli attacchi e le limitazioni cui la Chiesa Cattolica tedesca era sottoposta


da parte delle autorità, una "vera lotta anticattolica e anticristiana" . 6

Il 31 agosto 1935 Carlo Ricci, nell'articolo Feudalesimo razzista,


aveva avuto parole molto dure per una dottrina nazista

ridicola ed anacronistica...(che) ci riporta in pieno mondo pagano, seminando i


germi venefici, sterilizzatori di qualsiasi progresso civile, di ogni ascensione
spirituale conforme, non solo al pensiero evangelico, cristiano, cattolico, ma alla
stessa esigenza di ogni ideale religioso veramente umano, universale.

Lo stesso Ricci, nell'articolo Il Vaticano ed il Terzo Reich del 10


marzo 1936, richiama le parole di S. Paolo ("non v'è più né Giudeo né
Greco, né servo né libero") per affermare che

le distinzioni etniche e nazionali non possono rivestire un carattere assoluto e che


è perciò ridicolo parlare di superiorità e di privilegi di razza.

Il comunismo ed il nazismo sono visti come due movimenti simili,


con la differenza che

il comunismo è più brutalmente aperto, il nazismo è sornionamente ipocrita.


Resta, moralmente, uno dei più grandi e truci oscuramenti della coscienza
umana .
7

Articoli contro il nazismo e sulla situazione della Chiesa in


Germania sono presenti anche sul "Bollettino", curati personalmente da
Mons. Nogara. Nei confronti del fascismo l'Arcivescovo di Cosenza

6Fra gli articoli apparsi nel 1935, i più importanti sono sicuramente L' iniqua
parabola di F. Sorbaro (1 marzo); Il neo-paganesimo germanico, non firmato (11
marzo); Neo-paganesimo di L. Nicoletti (23 marzo); Apoteosi di forti dello stesso
Nicoletti (29 maggio).
7 Comunismo e nazismo, s.f., "Parola di Vita", 29 agosto 1936.
158

cercò sempre di approfittare degli spazi aperti e di evitare lo scontro, non


rinunciando a dare autonomia a persone notoriamente antifasciste come don
Luigi Nicoletti...: la politica del buon vicinato con le autorità, da lui praticata,
non diventò mai cedimento, ma soltanto tentativo di evitare contrasti dannosi e
inutili .
8

L'Arcivescovo dimostrò sempre di approvare quello che Nicoletti


scriveva su "Parola di Vita", prendendo personalmente posizione sul
razzismo nazista attraverso il "Bollettino". Il mensile diocesano, pubblicò
integralmente la lettera enciclica del papa Mit Brennender Sorge, in cui
Pio XI attaccava duramente le teorie razziste:

Dio ha dato i suoi comandamenti in maniera sovrana, comandamenti


indipendenti da tempo e spazio, da regione e razza ...Rivelazione in senso
9

cristiano significa la parola di Dio agli uomini. Usare questo stesso termine per
suggestioni provenienti dal sangue e dalla razza, per le irradiazioni della storia di
un popolo è, in ogni caso, causare disorientamento .10

Nel giugno 1937 appariva sul "Bollettino" il testo del decreto con
cui si inseriva nell'Indice dei libri proibiti Il razzismo di G. Cogni, seguito
dal commento dell'"Osservatore Romano". Una nota dell'Arcivescovo
chiariva che tale commento veniva riportato perché "i nostri Sacerdoti
conoscano sempre meglio l'aberrazione di certe dottrine". L'atteggiamento
di mons. Nogara appare chiaro: non potendosi schierare direttamente
contro il fascismo e la sua politica, manifesta comunque il suo dissenso
attraverso la pubblicazione di articoli dell'"Osservatore Romano" e degli
scritti del Papa, autorevoli ed inattaccabili persino dal regime. Questo
accorgimento sarà utilizzato anche nel 1938:
8L. Intrieri, La crisi delle casse rurali e i rapporti di Mons. Roberto Nogara con don
Carlo de Cardona e don Luigi Nicoletti in "Rivista storica calabrese", anno VIII,
Gennaio-dicembre 1987, pag. 341.
9La situazione della Chiesa Cattolica in Germania, in "Bollettino Ufficiale

dell'Archidiocesi di Cosenza", maggio 1937, pag. 129.


10Ibid., pag. 137.
159

Affinché i nostri sacerdoti conoscano le aberrazioni a cui giunge la nuova teoria


germanica della razza e del sangue, riportiamo dall'"Osservatore Romano" il
seguente articolo che preghiamo di leggere seriamente .11

L'articolo, pubblicato sul giornale del Vaticano il 29 gennaio,


sottolineava l'incompatibilità fra cristianesimo e razzismo:

Quando il Cristianesimo si oppone a siffatto razzismo, non solo ne contraddice


l'essenza materialistica e zoologica, ma le pericolosissime conseguenze che
infrangono con la fratellanza dei popoli, l'eguaglianza della loro dignità e quindi
la reciproca estimazione .
12

Gli attacchi di "Parola di Vita" e del "Bollettino" non cambiano


quindi tono neppure quando l'alleanza fra il fascismo ed il nazismo
diventa più solida.
Il richiamo più frequente è rivolto al pericolo che il cattolicesimo
corre in Germania, a causa delle espressioni sempre più diffuse di
materialismo nella politica culturale nazista, materialismo che richiama
direttamente le riforme bolsceviche . Lo spazio concesso dal "Bollettino"
13

e da "Parola di Vita" alla questione ebraica continua a rimanere tuttavia


molto limitato. Non c'è particolare asprezza nei confronti dell'ebraismo: la
divisione fra ebrei e cattolici è anzi sentita come "dolorosa", ma l'unica
soluzione per gli ebrei continua ad essere la conversione . Ancora una 14

volta, se c'è la condanna del razzismo, nei confronti dell'antisemitismo c'è


quasi un atteggiamento fatalistico, per cui le pratiche antiebraiche sono
comunque qualcosa di inevitabile. Non potendo condannare Israele, in

11Teorie razziste, ivi, maggio 1938, pag. 140.


12Ibid.,pag. 144.
13Cfr. L. Nicoletti, Materialismo nazista, "Parola di Vita", 19 marzo 1938.
14Cfr. La conversione del popolo ebreo, s.f., "Parola di Vita", 19 aprile 1938.
160

quanto primo depositario del messaggio divino, la Chiesa poteva però


accettare le discriminazioni nei confronti degli ebrei. L'atteggiamento nei
loro confronti è condizionato da posizioni teologiche radicate, per cui
l'unica soluzione al problema era una soluzione "cristiana", ovvero la
conversione. Il nazismo è sentito soprattutto come una minaccia in
materia di fede. Il regime tedesco ha infatti chiuso gli istituti religiosi,
limitato la libertà d'espressione dei sacerdoti e dei predicatori in nome di
una presunta superiorità nordica e di un nuovo paganesimo. Il
nazionalsocialismo è definito "un potere tirannico e poliziesco",
pericoloso quanto il bolscevismo . L'editoriale di Nicoletti del 31 maggio,
15

Anschluss religioso, è una durissima accusa contro un nazismo che


vorrebbe inglobare anche la religione nella sua sfera di competenza. Ma
il cattolicesimo non può ridursi alla sola liturgia: se è vero che il
cristianesimo non deve confondersi con la politica, è anche vero che

non si può fare della Chiesa un dicastero coreografico dello Stato...Se lo Stato
fosse cristiano ed agisse da cristiano, non ci sarebbero conflitti possibili.

Gli attacchi violenti del giornale alla Germania proseguono quindi


anche dopo la visita di Hitler in Italia e la creazione dell'Asse, suscitando
sicuramente allarme nelle autorità locali. E sicuramente sconcerto crea un
articolo apparso anonimo, ma attribuibile a Nicoletti, dal titolo sarcastico
di Neuropatici. Pubblicato il 31 maggio, l'articolo è un'ironica recensione
di un breve saggio apparso su una rivista tedesca, il cui argomento è
l'"utilità dei bombardamenti aerei dal punto di vista della selezione
razzista e dell'igiene sociale". Secondo l'autore del saggio la scienza dei
bombardamenti esige che i quartieri popolari siano i primi ad essere

15Divagazioni razziste, s.f., "Parola di Vita", 10 maggio 1938.


161

colpiti, perché abitati da gente povera, diseredata, che "non è riuscita


nella vita". Gli scoppi provocherebbero esplosioni di follia nelle persone
dal sistema nervoso debole, "così i bombardamenti ci aiuteranno a
scoprire i neuropatici e a scartarli dalla vita sociale". Nicoletti
argutamente fa notare che per scoprire i neuropatici non sono necessari i
bombardamenti, basta lasciare loro la possibilità di scrivere e stampare,
come ha fatto la rivista nazista.
Uno dei pochi riferimenti diretti all'antisemitismo è riscontrabile
nella pubblicazione del discorso del vescovo americano Ryan. L'articolo
La situazione internazionale del 7 giugno riporta le parole dell'alto
prelato, per il quale la Chiesa ha il dovere di combattere, come ha sempre
fatto nel passato, le "dottrine dissolvitrici e rivoluzionarie...dello stato
dittatoriale". Un cristiano non può in coscienza accettare la persecuzione
degli ebrei perché

l'antisemitismo è nato dall'odio, dalla gelosia e dall'ignoranza, sentimenti che


ciascun cristiano deve condannare, principi che non possono costituire una base
razionale per una politica nazionale.

Il 23 giugno "Parola di Vita" pubblica inoltre la lettera inviata dal


Pontefice ai Rettori delle Università Cattoliche e dei Seminari, in cui la
preoccupazione per la situazione della Chiesa in Germania è
accompagnata dallo sgomento per la diffusione di "dottrine
perniciosissime, suffragate da una scienza di falso nome. Le Otto
proposizioni del razzismo segnalate come assurde sono pubblicate lo
stesso mese dal "Bollettino" che esortava a trarre "assiduamente dalla
biologia, dalla storia, dalla filosofia, dall'apologetica e dalle discipline
giuridiche morali le armi necessarie per confutare validamente e
162

competentemente" tali affermazioni. L'invito della Santa Sede è quello di


16

contestare le affermazioni per cui le stirpi umane, per loro natura,


differiscono fra loro; la purezza della razza deve essere conservata con
qualsiasi mezzo; le qualità intellettuali dell'uomo sono legate alla purezza
del suo sangue; il fine principale dell'educazione e della cultura è
inculcare l'amore per la razza; la religione deve sottostare alle leggi della
razza e ad esse adattarsi; l'ordine giuridico si basa sulle leggi della razza;
non esiste altro se non l'universo, per cui tutte le cose, compreso l'uomo,
sono tappe dell'evoluzione; gli uomini sono " per lo Stato" e tutto ciò che
è loro concesso deriva dallo Stato.
Anche dopo la pubblicazione del Manifesto non si placa la polemica
di Nicoletti e del suo giornale. Il 30 luglio un trafiletto afferma che la
kultur tedesca

è scesa al ruolo del più disonesto ciarlatanismo, la dottrina del primo popolo del
mondo è un'impostura, una specie di stupefacente che stordisce e inebetisce gli
spiriti, creando automi.

Il 20 agosto l'articolo Razza e Nazione riporta la recensione apparsa


sull'"Osservatore Romano" del libro di Padre Guglielmo Schmidt sul
razzismo tedesco. L'anonimo autore dell'articolo è consapevole del fatto
che

molti lettori fin qui digiuni della materia e molti altri, obnubilati da certe
magniloquenti parafrasi degli spropositi neoteutonici intorno al sangue nordico,
all'anima dipendente dal sangue, alla razza pura tedesca, alla superiorità ed
inferiorità di queste o quelle razze, possono apprendere e comprendere da questo
libro quanto di antiscientifico, di tendenzioso, di assurdo si maschera di scienza e
di politica nelle nuove "dottrine nordiche", troppo benevolmente propinate al
nostro pubblico dalla stampa quotidiana e anche da autori poco scrupolosi della

16Otto preposizioni del razzismo segnalate come assurde, in "Bollettino Ufficiale


dell'Archidiocesi di Cosenza", giugno 1938, pag. 157.
163

solidità scientifica e della maturità delle nostre dottrine classiche, mediterranee,


cristiane.

L'attacco è sempre molto duro, ma l'impressione è che la critica si


rivolga alla pretesa superiorità del popolo tedesco, e che non entri nel
merito della teoria razzista, né tantomeno di quella antisemita. Il
Manifesto, e quindi la nuova posizione del regime fascista in materia di
razza, non sono analizzati. Semplicemente non esistono. Anche gli
articoli dell'"Osservatore Romano" sul razzismo, tempestivamente
pubblicati sul "Bollettino", si limitano a mettere in evidenza che
l'accettazione del razzismo avrebbe significato l'accettazione da parte
degli italiani di una situazione di inferiorità. Uno dei pochi discorsi di
estrema chiarezza, con riferimenti specifici alla situazione italiana, venne
pronunziato da Pio XI il 29 luglio del 1938 di fronte agli alunni di
Propaganda Fide, in cui il Papa affrontò il tema del razzismo affermando
che il genere umano era "una sola, grande, universale razza umana...Ci si
può quindi chiedere come mai, disgraziatamente l'Italia abbia avuto
bisogno di andare ad imitare la Germania" . I ministeri dell'Interno e della
17

Cultura Popolare vietarono la pubblicazione del discorso papale sulla


stampa diocesana , ma il "Bollettino" lo sottoscrisse, sottolineando anzi
18

l'importanza dei discorsi del Papa per tutti i credenti:

Contro il disgregamento che si viene perpetrando dalla Società umana colle


recenti teorie di Stato totalitario, di nazionalismo e razzismo esagerato...oppone
come barriera che non potrà essere distrutta mai le grandi verità rivelate che il
Santo Padre con fermezza apostolica ammirabile non cessa dal ripetere e
richiamare alla nostra attenzione...Non vi è Gentile e Giudeo, circonciso e
prepuzio, barbaro e Scita, servo e libero, ma tutto e in tutti Gesù Cristo (Colos.
3,11) .
19

17La parola del Santo Padre agli alunni del Collegio di Propaganda Fide: la Chiesa
Cattolica nella vita e nell'azione, ibid., settembre 1938, pp. 266-7.
18Cfr. G. Miccoli, op. cit., pag. 185.
164

L'Arcivescovo ribadiva inoltre le contraddizioni tra dichiarazioni del


duce rilasciate in tempi diversi, riconfermando la tesi che il razzismo
italiano era un imitazione di quello tedesco:

Questa idea della razza, certo, è propria del Duce, ed ha servito in Italia per la
"tutela della razza", per farla più sana, più forte di costituzione e di numero. Vi
sono dichiarazioni di lui inequivocabili in proposito. Ma tutto questo non si
accorda né con alcuni dei principi pubblicati il 14 luglio, né con gli sviluppi
politici accennati nelle dichiarazioni del Segretario del Partito e nei commenti dei
giornali .
20

Ancora non compare un'esplicita condanna dell'antisemitismo


fascista: gli accenni alla persecuzione antiebraica sono pochi e
generalmente ambigui, mentre risalta la preoccupazione di non
confondersi con la propaganda dell'"ebraismo internazionale" . Il Papa 21

avrebbe fatto riferimento all'universalità della missione della Chiesa

per ogni gente della famiglia umana ...Tanto che là ove l'"ebraismo" volesse
essere forza di egoismo, di dominio, di persecuzione esso non potrebbe temere
più grave monito; là ove l'ebraismo è miseria, è pena, e vittima, a sua volta, di
persecuzione, certo non poteva augurarsi migliore tutela .
22

Queste sfumature nell'atteggiamento della gerarchia rivelano non


solo la volontà di evitare la polemica diretta, ma anche l'intenzione di fare
distinzioni e la presenza di pregiudizi.
Nel novembre 1938, dopo le polemiche sul Concordato, il
commento ad un discorso del Papa rivolto ai maestri cattolici sembra
19Sentire cum Ecclesia, in "Bollettino Ufficiale dell'Archidiocesi di Cosenza",
settembre 1938, pag. 276.
20Circa il discorso del S. Padre sulla Chiesa Cattolica nella vita e nell'azione, ibid.,

pag. 286.
21Cfr. ibid., pag. 287.
22Ibid., pp. 287-8.
165

sottolineare questo mutamento di rotta. Il Santo Padre voleva


raccomandare

di non fare questioni sul razzismo e o non razzismo, perché c'è una facilità
enorme a scambiare le parole. Recentemente si è fatto molto parlare il Papa sul
razzismo, quando invece, Egli ha parlato soltanto di nazionalismo esagerato...il
Santo Padre non ha inteso di fare un discorso sul razzismo: ha voluto soltanto
parlare delle varietà umane, lodando quelli che vogliono andare verso di esse per
renderle partecipi dei tesori della nostra civiltà, della nostra cristiana, cattolica
civiltà, l'unica vera civiltà capace di fare del bene all'uomo
23

In generale, quindi, la Santa Sede mantiene un atteggiamento di


prudente riserbo verso il razzismo fascista, e certo "Parola di Vita" non
può discostarsi dalle posizioni della gerarchia. Tuttavia l'articolo di
Nicoletti del 30 settembre, nel suo attacco alle teorie razziste, è ben poco
reticente:

Gli Ariani esistono allo stesso grado di consistenza degli Iperborei, dei
Lillipuziani e dei Giganti danteschi: sono, cioè, spiritose invenzioni di poeti e di
altri sapienti fantasiosi.

Secondo Nicoletti il termine "ariano" sarebbe una "professorale


invenzione" del filosofo tedesco Max Mueller, il quale teorizzò che le
lingue ariane fossero legate ad una presunta razza ariana. Altri scienziati
si sarebbero affannati nel cercare di definire il "tipo" ariano, non
riuscendovi, perché "l'ariano ha ancora da nascere", tanto che lo stesso
Mueller avrebbe parlato della sua teoria come di un'"idea bislacca, messa
fuori solo a scopo di dissertazione".
E' proprio questo articolo che suscita l'imbarazzo della Federazione
provinciale di Cosenza, che attraverso "Calabria fascista", si scaglia
contro il direttore di "Parola di Vita". L'attacco a Nicoletti non entra nel

23Il Maestro della verità ai maestri Cristiani, ibid., novembre 1938, pp. 360-363.
166

merito del suo scritto, né si propone di confutarlo. Piuttosto la nota è


pesantemente ingiuriosa e minacciosa. Il già citato articolo dell'8 ottobre,
Mentalità antifascista, aveva infatti concluso con queste parole:

Quello di "Parola di Vita" è un settore della stampa di provincia sul quale


bisogna tener gli occhi bene aperti: un settore da ripulire con spirito cattolico e
fascista.

L'operazione di pulizia inizia con il numero successivo di "Calabria


fascista", in cui l'ironia nei confronti di Nicoletti suggerisce l'imminenza
di provvedimenti disciplinari. L'articolo Come prima, meglio di prima del
15 ottobre è il commento alla risposta di Nicoletti apparsa su "Parola di
Vita" dell'11 ottobre. In questa replica il direttore di "Parola di Vita"
aveva definito le accuse a lui rivolte "ingiurie e menzogne". Il mancato
risalto dato all'accordo di Monaco, motivo di censura per "Calabria
fascista", era dovuto al fatto che il giornale era stato già composto: anche
in questo frangente, tuttavia, "Parola di Vita" avrebbe dato prova di
"indiscutibile ortodossia cattolica e fascista". Quasi a confermare queste
parole la prima pagina del giornale era dedicata Al geniale artefice di
quest'opera salvatrice, Benito Mussolini, (al quale) è dovuta la
riconoscenza dell'Italia e del mondo.
Questa autodifesa non è evidentemente sufficiente per l'articolista di
"Calabria fascista", il quale ricorda il passato di Nicoletti e

la sua attività politica ai tempi - non così lontani da essere già dimenticati - di
Don Sturzo, di Miglioli, delle leghe bianche e dei segretariati del pipì.

Non solo Nicoletti era stato un importante esponente del Partito


Popolare, ma l'accusa di antifascismo restava valida in quanto il sacerdote
167

ha continuato e continua a dare prove magnifiche, in tutte le occasioni, della sua


inveterata mentalità contraria allo spirito del fascismo.

L'anonimo giornalista prosegue nel criticare la replica di Nicoletti: la


composizione del giornale appare una scusa, in quanto un avvenimento
della portata dell'accordo di Monaco avrebbe comunque dovuto trovare
spazio diverso dal "misero posticino" cui è stato relegato. Mentre tutto il
mondo confidava nel duce ed il popolo italiano aspettava con fermezza e
calma le decisioni di Monaco,

il sacerdote professore Luigi Nicoletti non ha tempo di parlare di pace, ma ne ha


a sufficienza per pensare alla guerra, proprio come i giudei, i massoni, i
bolscevichi e tutti gli antifascisti e gli stupidi stillipinnivori d'oltralpe e
d'oltremare...Che poi il direttore di "Parola di Vita", sotto la data dell'11 ottobre,
dopo cioè il nostro giusto e doveroso rilievo, se ne vien fuori con un articolo
d'esaltazione dell'opera compiuta da Mussolini in favore della pace e scrive che
"è stata l'opera del Santo Pontefice che ha frenato e stroncato l'impeto cieco delle
passioni e degli odi" è cosa che ci fa immensamente piacere, ma arriva troppo
tardi sia per noi che per i suoi lettori.

Che fosse davvero troppo tardi per Nicoletti si capisce dalla parte
finale dell'articolo, in cui si ricorda al "vecchio e acceso esponente del
Partito Popolare" che gli accordi del 1931 hanno fatto divieto a coloro che
avessero militato in partiti avversi al regime di occupare posti direttivi
nelle organizzazioni cattoliche. In questa prospettiva l'articolista si chiede
se Nicoletti

non ritenga opportuno lasciare la direzione di "Parola di Vita". Per fare della
buona propaganda cattolica ci sono tanti bravi sacerdoti, immuni da vincoli coi
vecchi partiti antifascisti, degli altri sacerdoti che, per la loro indubitabile buona
fede, potrebbero lavorare più efficacemente e senza dar luogo a sospetti. Lasci
stare la politica il sacerdote professore Luigi Nicoletti. E' un terreno molto
pericoloso per lui.
168

L'articolo preannunzia un "grave provvedimento" nei confronti di


Nicoletti, il che fa credere che, ancor prima delle accuse giornalistiche, vi
fosse stato qualche passo della Federazione dei fasci presso
l'Arcivescovo, per ottenere l'allontanamento di Nicoletti dalla direzione
del giornale. In effetti il 30 novembre Nicoletti lascia "Parola di Vita", la
cui direzione viene assunta dal sacerdote Eugenio Romano , e trasferito al
24

Liceo di Galatina, in provincia di Lecce. Da questo momento "Parola di


Vita" assumerà un tono più prudente, in linea con le posizioni del regime.
Un articolo del 31 dicembre, Persecuzione e persecutori, estratto di
un discorso del Rettore dell'Università Cattolica di Washington, giungerà
ad affermare che la condanna dei sistemi di governo che ledono i diritti
della persona umana è lecita, ma l'opinione pubblica dovrebbe anche
tener conto

delle altre persecuzioni che si fanno per odio antireligioso e dovrebbe condannare
anche quelle. Quando si ignorano le persecuzioni contro i cattolici nella Russia,

24Don Eugenio Romano, che ringrazio per avermi concesso la visione del suo
archivio personale, ebbe un significativo scambio epistolare con don Nicoletti. In una
lettera del 20 dicembre 1938 don Romano esprime al suo predecessore la sua "viva,
profonda, filiale devozione e...forte solidarietà". Nella stessa lettera don Romano
sottolinea l'importanza della presenza, anche scomoda, di un giornale come "Parola di
Vita", perché, a suo giudizio, "è sempre preferibile - nonostante i tempi e appunto per
i tempi che corrono - (che)vi sia una voce che, seppure in sordina, faccia sentire una
nota di verità, apra qualche raggio di luce alle coscienze". La risposta di don
Nicoletti, datata 21 dicembre 1938, è insieme un'esortazione ed un avvertimento:
"L'efficacia della tua opera dipenderà dal motivo che ha determinato la Federazione
ad attaccarmi. Se volevano eliminare me per un ripicco personale, tutto andrà bene, se
invece miravano all'opera allora bisogna temere che non ti lasceranno far nulla. Spero
che la seconda ipotesi sia da eliminare. perché fare un giornale di pura cronaca o di
servile propaganda non sarebbe certo un'opera utile". Anche don Eugenio Romano,
come il suo predecessore, dovette tuttavia subire gli attacchi di "Calabria fascista"
che, in un articolo anonimo del 21 ottobre 1939, lo definisce "un catoncello...dalla
prosa velenosa e disfattista", mentre le sue idee sono "inconsistenti insinuazioni di un
pover uomo, dotato di un'intelligenza a mezza razione". Don Romano aveva infatti
criticato la scuola fascista e la GIL, e nel 1940 sarà schierato contro il conflitto e
l'entrata in guerra dell'Italia. Questa sua posizione provocherà la temporanea
soppressione di "Parola di Vita"; cfr. Appendice A.
169

nel Messico e nella Spagna e si esterna invece tanta indignazione contro


l'antisemitismo tedesco, si commette non solo un'ingiustizia di palese parzialità,
ma si dimostra anche che chi protesta vuole condannare più gli autori del male,
che la sostanza del male.

Lo stesso "Bollettino", nel luglio 1939, pubblica un articolo del


"Bollettino dell'Archidiocesi di Firenze", vero compendio di pregiudizi
antiebraici:
Le teorie che riguardano le varie stirpi umane non sono riprovate dalla Chiesa, se
rispettano la fede nell'unica divina origine del genere umano e i principi
essenziali e fondamentali della morale cattolica.
Quanto agli ebrei niuno può dimenticare l'opera esiziale che essi hanno spesso
svolto non solamente contro lo spirito della Chiesa, ma anche a danno della
convivenza civile. Basti ricordare che l'ebraismo italiano allo scoppiare della
guerra mondiale riuscì ad ottenere che alla futura conferenza della pace fosse
escluso il Vicario del Principe della Pace, il Sommo Pontefice...Soprattutto però
la Chiesa in ogni tempo ha giudicata la convivenza con gli ebrei pericolosa alla
fede e alla tranquillità del popolo cristiano. Di qui le leggi emanate dalla Chiesa
lungo i secoli per isolare gli ebrei, così che non potessero influire sullo spirito,
sull'educazione e sulla fede dei cristiani. Ma la Chiesa non ha mai inteso di
perseguitarli e non ha mai perseguitato gli ebrei perché di stirpe ebrea...La
Chiesa non ha mutato per nulla la sua disciplina riguardo agli ebrei...La Chiesa
da questo lato tratta gli ebrei come gli eretici e gli scismatici di qualunque
genere: anche questi vuole che per quanto possibile siano isolati dai cattolici:
disapprova che essi contraggano con essi matrimonio, abbiano a coabitare con
loro o ad affidare ad essi l'educazione dei loro figli...La Chiesa vietando al
possibile i contatti dei suoi figli con gli ebrei, li ha sempre benevolmente accolti,
se sinceramente bramosi di convertirsi alla vera fede di Cristo, e, convertiti,
sebbene di stirpe ebrea, li ha sempre trattati come tutti gli altri figli, perché
anch'essi creature di Dio, membri di Cristo, eredi del Cielo .
25

D'altra parte non si interrompe la campagna propagandistica di


"Calabria fascista" che, nello stesso numero dell'8 ottobre, destina tre
pagine al problema razziale, dedicando un intero articolo ai Delitti degli
ebrei attraverso la storia. Secondo l'anonimo autore tali delitti sono stati
talmente efferati che

25Direttivee norme di attualità, in "Bollettino Ufficiale dell'Archidiocesi di Cosenza",


luglio 1939, pp. 244-246.
170

i pogrom dei quali i membri della loro razza furono vittime sono sciocchezze in
confronto agli spaventosi massacri che essi provocarono: sono semplicemente
gesti di legittima difesa da parte di quei popoli che ebbero l'imprudenza di
accoglierli.

Gli ebrei hanno sempre scatenato i popoli gli uni contro gli altri,
favorendo i dissidi religiosi e dividendoli per mezzo di dottrine miranti
alla distruzione della civiltà.
Lo stesso giorno l'articolo Neo-pipismo di Fez Nero riprende la
polemica nei confronti di Nicoletti, ma obiettivo dell'attacco è stavolta il
suo articolo Gli Ariani ed il loro inventore. Fez Nero non entra nel merito
delle argomentazioni di Nicoletti, piuttosto riafferma che

sotto il pretesto di una buffissima dissertazione dottrinaria intorno alla parola


"ariano", ancora una volta il giornaletto cattolico tenta di sminuire il pensiero e
l'azione del Fascismo.

Ma l'azione razziale italiana, non paragonabile a quella degli altri


paesi, perché risale ai primi anni della Rivoluzione, costituisce oggi il
motivo dominante del fascismo, per cui la strada sulla quale Nicoletti si è
incamminato "è molto pericolosa":

Il sistema adottato da "Parola di Vita" è, anche in questa occasione, quello dei


circoli massonici, giudaici e bolscevichi, i quali, colpiti in pieno dalla presa di
posizione del fascismo relativamente ai problemi della razza, tentano inutilmente,
di svalutarne l'importanza con le armi della menzogna, dell'insinuazione, della
deformazione e della stupidità.

Riguardo alla polemica sulla "professorale invenzione" del termine


"ariano", l'articolista ribadisce come questo termine sia ormai
scientificamente accertato, così come accertata è l'origine ariana degli
italiani:
171

Che se poi, attraverso un giornaletto cattolico, si voglia fare della critica


malevola ed acrimoniosa ai principi del Fascismo, si sappia che il Fascismo non è
disposto a tollerare ciò, e tantomeno è disposto a permettere il rifiorire di certi
atteggiamenti neo-pipisti, inconciliabili col tempo in cui viviamo.

La più volgare e violenta polemica antisemita ricorre nell'ultimo


articolo dell'8 ottobre di "Calabria fascista", Facciamoli passare nudi.
L'autore, Gianni Zambelli, attacca in questo caso gli ebrei stranieri, che
sarebbero preoccupati di non riuscire ad espatriare con i loro beni. I fatti
di cronaca denuncerebbero infatti tentativi di esportazione di ricchezze
non denunciate:

I giudei tutti, i filogiudei e le persone sospette quando lasciano l'Italia devono


portare via i soldi, i vestiti e il loro muso. Ma se i vestiti dovessero servir loro per
trafugare anche un soldo, allora spogliamoli nudi e facciamoli passare alla
frontiera a suon di calci in tergo.

Il numero del 22 ottobre di "Calabria fascista" ospita la lettera di un


sacerdote, di cui non si fa il nome, che critica il comportamento di
Nicoletti come contrario ai principi del fascismo. Nicoletti non avrebbe
rinunciato al suo passato antifascista e perciò deve essere pronto a subirne
le conseguenze:

Vero è che una sola noce non fa rumore in un sacco. Ma sarebbe sempre bene, ad
evitare la cosiddetta proliferazione per germinazione, che tale noce venisse
schiacciata...Consigliamo il sacerdote professor Luigi Nicoletti di modificarsi,
giacché, persistendo nelle sue sorpassate e decedute teorie, scalfirebbe il granito,
e qualche scheggia potrebbe rimbalzargli negli occhi.

Nella rubrica Diorama vengono riportate con grande risalto le


notizie degli arresti di Colorni e della banda Sacerdoti. L'articolo Al muro
sottolinea che
172

la congiura ebraica che ha abusato ed abusa della generosa ospitalità italiana,


agendo freddamente, con deliberato e pacato animo contro la Nazione e contro il
Fascismo, non merita e non otterrà pietà. Essa va annichilita senza misericordia
checché se ne dica nelle alte sfere cattoliche ove, ancora oggi, si versano lacrime
per questi giudei nemici del popolo italiano. Al muro, perdio! Ecco cosa
chiedono le camicie nere.

La durezza degli attacchi ed il tono estremista del giornale sono


confermati alcune righe dopo, con il commento Folli disegni alla
fondazione di una lega ebraica di New York, nata per combattere il
fascismo:

A questa banda di gangsters politici rammentiamo solo che la nostra clemenza


può avere un limite e che i loro folli disegni potrebbero produrre spiacevoli
effetti sulla sorte dei fratelli giudei che vivono in Italia.

Il 5 novembre compaiono sul settimanale altri attacchi, dal tono e


dai contenuti sempre più volgari. L'articolo Conoscerli bene riprende i
concetti dei Protocolli, auspicando misure sempre più drastiche contro gli
ebrei italiani, a partire dall'imposizione di un nome comune che
contraddistingua la loro razza. La polemica è contro quegli ebrei che
"incautamente" hanno italianizzato il proprio nome: un sotterfugio che
non ha sortito effetti per gli ebrei "perché la puzza l'ha rivelato subito".
Il 12 novembre l'uccisione a Parigi del diplomatico tedesco Van
Rath da parte di un ragazzo ebreo è definito "assassinio rituale":

La cricca giudaica, battuta in pieno dalla politica razziale della Germania e


dell'Italia, ricorre alla violenza per sfogare il suo pieno livore. Ancora una volta
Israele si pone contro la pace europea.
173

Il 19 novembre Orazio Carratelli, nell'articolo La piovra giudaica,


riprende le parole di Farinacci sull'attualità del razzismo italiano:

Fin dal 1919 il Duce sapeva che la finanza mondiale era in mano agli ebrei, e se
ha tollerato gli ebrei fino a oggi persino nella compagine dello Stato, vuol dire
che, in cuor suo, ha dovuto pensare alla possibilità di indurre gli ebrei ad un
atteggiamento che tuttavia essi si sono ben guardati dall'assumere, accentuando
invece, in ogni tempo ed in ogni evento, la loro avversione al Fascismo ed a tutta
l'opera del regime...Noi vogliamo essere padroni in casa nostra. Noi vogliamo
evitare ogni confusione di sangue, ogni frammischiamento di
nazionalità...Vogliamo mantenere integra la purezza della nostra razza per
assicurare alla Nazione la sua potenza avvenire.

Secondo Carratelli la coscienza di razza è ormai profondamente


sentita dal popolo italiano, per cui il regime non avrà esitazioni nel tirare
diritto per ripagare l'avversione giudaica con la creazione di

un nuovo ordine europeo e mondiale in cui non potranno certo trovar posto i
fautori del disordine e del caos e quei miserabili ebrei che, battuti in pieno dalla
politica razziale dell'Italia e della Germania, ricorrono alla violenza ed al
delitto...Chi non l'ha ancora capito lo capirà presto a proprie spese.

La polemica contro la Chiesa cattolica è ripresa nuovamente da


"Calabria fascista" che, il 26 novembre, accoglie un articolo di Fez Nero
dal titolo Religione e razza. Secondo l'autore, la posizione antirazzista e
filosemita è in antitesi con tutta la storia della Chiesa e del cattolicesimo.
In realtà il fascismo, attraverso la difesa della razza, non avrebbe
compiuto solo un'opera politica, ma allo stesso tempo avrebbe
salvaguardato la Chiesa dal grande pericolo del bolscevismo, che si
identifica con l'Internazionale ebraica. Il fascismo avrebbe così
dimostrato alla Chiesa un'amicizia che nessun altro governo le aveva
concesso. Il razzismo fascista, in conclusione, è una questione politica,
che non ha nulla a che vedere con il sentimento religioso.
174

Ancora una contraddizione è il filo conduttore di questa posizione.


Mentre le leggi razziali si stanno inasprendo, e la scelta biologica sembra
prevalere, Fez Nero può affermare che

il razzismo fascista, è bene ripeterlo, non ha nulla in comune con le aberrazioni


filosofiche e religiose che altrove il mito razzista ha generato. E' soprattutto
religione della Patria. Non si riferisce solamente, come si vuol dare a intendere,
ai valori biologici, ma anche e soprattutto ai valori spirituali.

Il fascismo avrebbe inoltre condotto un'azione energica, ma

ispirata a criteri di giustizia, di umanità, di magnanimità, un'azione, cioè, che


rifugge da ogni forma di violenza o di odio verso gli individui che non sono della
nostra razza.

L'allarmismo della stampa e dei circoli cattolici sarebbe quindi


ingiustificato, anzi la Chiesa dovrebbe essere grata al fascismo perché
quest'ultimo ha garantito al cattolicesimo un beneficio indiretto in quanto

per essere veramente e profondamente cattolici occorre soprattutto sanità di


mente, quella sanità di mente che è precisamente alla base della politica razziale
del Regime.

Non può mancare, anche su "Calabria fascista", la polemica sul


Razzismo in arte. Sempre il 26 novembre un articolo a firma di Elemo
d'Avila riprende le affermazioni attribuite a Marinetti secondo il quale
non c'è stato contatto fra ebraismo ed ambienti modernisti. In realtà gli
artisti moderni italiani hanno mostrato venature antiebraiche, perché la
loro arte

manifesta quel rispetto per la forma, quella serenità di concezione e quel respiro
di poesia che è opposto al culto del disfacimento, allo spappolamento della
175

materia, al tragicismo caricaturale...degli inventori delle più forsennate,


epilettiche e lebbrose deformazioni.

Ancora in sintonia con la grande stampa nazionale, anche sul


settimanale calabrese compare la polemica antiborghese che si manifesta
nella condanna del "pietismo". L'articolo del 3 dicembre, firmato con lo
pseudonimo "Uno di noi", ribadisce che

mentre il razzismo è un'espressione di forza, un segno di maturità spirituale e


politica, un annuncio di sviluppi e di ulteriore potenza, il pietismo è, invece,
segno di debolezza, condizione di estrema povertà di spirito, causa di grandi
confusioni.

L'anno di "Calabria fascista" si chiude ancora all'insegna della


polemica con "Parola di Vita". Sempre il 3 dicembre compare nella
rubrica Faretra la notizia dell'allontanamento di don Nicoletti dalla
direzione di "un giornaletto cattolico della nostra città". La minaccia, non
tanto velata, è quindi per il successore. Si scrive infatti in riferimento a
Nicoletti:

Dicono che siamo stati noi a tirargli i piedi. Non vogliamo crederci...Comunque
attenti alla successione.

Il 10 dicembre Faretra ospita l'ultima polemica contro il sacerdote


cosentino attraverso l'articolo Memento agli sturziani, che riprende un
contributo del giornale "Libro e moschetto":

Fare dell'antirazzismo diretto oppure fare delle ibride confusioni tra razzismo
fascista e altri razzismi perché, combattendo quelli, si può combattere il primo,
significa essere antifascisti. E siccome la Rivoluzione ha liquidato don Sturzo ed
i suoi indegni proseliti col manganello e l'olio di ricino, non ci rimane che
concludere con un memento a tutti gli sturziani che credevano di poter rinascere
nientemeno che nell'anno 17° dell'era fascista.
176

La virulenza di questi attacchi mostra quanto l'alto livello della


battaglia antirazzista di don Nicoletti disturbasse il fascismo cosentino e,
più in generale, rappresenta un esempio significativo di quel fenomeno
dell'"antisemitismo senza ebrei" che è stato tutt'altro che raro nell'Europa
del Novecento.
177

APPENDICE 0

INTRODUZIONE

Le interviste qui riportate, presentate integralmente, sono due


testimonianze dirette del periodo delle leggi razziali, ma
rappresentano anche due esperienze totalmente differenti.
La signora Giacoma Limentani, scrittrice romana, è stata una
vittima delle leggi razziali, in quanto ragazza ebrea. La sua
testimonianza, da me raccolta a Roma il 29 maggio 1995, esprime
soprattutto la sofferenza e la solitudine di una comunità
improvvisamente lacerata che, oltre all'umiliazione delle leggi
antisemite, subisce l'indifferenza e l'incomprensione di una società
che l'aveva vista sino a quel momento parte integrante.
Don Eugenio Romano, invece, è uno spettatore, lontano non
solo per ragioni geografiche, che, giovane sacerdote, sostituisce
don Luigi Nicoletti alla direzione di "Parola di Vita". L'intervista, da
me effettuata a Cosenza il 30 agosto 1995, non affronta
direttamente l'argomento delle leggi razziali, ma è utile per chiarire
la situazione della chiesa cosentina degli anni '30, caratterizzati
dall'impegno antifascista di don Nicoletti, ma anche dalle ambiguità
di una parte del clero e dalla difficoltà di una scelta di resistenza
esplicita al fascismo. Amico personale di don Nicoletti, don Romani
è attualmente in pensione, dopo aver guidato per oltre
cinquant'anni la parrocchia di S. Teresa del Bambin Gesù, nel
cuore di Cosenza.
178

INTERVISTA ALLA SIGNORA GIACOMA


LIMENTANI

Posso chiederle quanti anni aveva nel 1938?

Assolutamente si. Io sono nata nell'ottobre '27, quindi nel


1938, il mese che sono uscite le leggi razziali, che è agosto, mi
mancava un mese per fare 11 anni.

Quindi andava già a scuola...

Certamente, ed abitavo già in questa casa. Ero in vacanza,


ricordo, ed al ritorno a Roma non potei più tornare a scuola. Io
avevo fatto il I° ginnasio e quindi avevo solo un anno alle spalle in
quella scuola, ma mia sorella che aveva già 15 anni faceva il IV°.
Devo dire che nessuno dei compagni di scuola si è fatto vivo,
assolutamente nessuno.
Ecco, io vorrei fare una distinzione fra quello che si dice
normalmente e quelli che sono i veri amici, oppure le persone che
già allora avevano una coscienza patriottica, perché ci sono delle
differenze enormi. Noi ebrei ci sentivamo profondamente italiani,
così come tedeschi si sentivano gli ebrei tedeschi, francesi gli ebrei
francesi. Questa idea dell'ebreo apolide è veramente una
giustificazione per chi si diverte a "cacciare" gli ebrei. Figurati, nella
mia famiglia, nonostante non siamo mai stati militaristi, mio padre
aveva delle decorazioni piuttosto notevoli della Prima Guerra
179

Mondiale, cui ha partecipato mio zio, Grande Invalido. C'era poi


una partecipazione italiana molto importante, e questo arrivava
dopo secoli di discriminazione per cui si credeva di aver trovato un
"porto sicuro", in cui ognuno aveva una Patria con la P maiuscola.
Era molto forte questo sentimento, senza arrivare al nazionalismo
spinto dei fascismi, ma è l'idea di sentirti a casa tua nel paese in cui
stai. E la prova di questo è che in ogni paese l'ebraismo, pur
mantenendo delle basi identiche, dappertutto sviluppa dei propri
costumi.

Per quello che lei può ricordare, in famiglia parlavate di quello che

sarebbe potuto succedere?

In realtà io ero troppo piccola per ricordare, e probabilmente


davanti a me cercavano di non parlarne. Però c'è un fatto: mio
padre era già un perseguitato politico e casa nostra era sempre un
centro di smistamento di persone che scappavano. Quello che
succedeva in Germania ce l'immaginavamo, lo sapevamo
abbastanza bene. L'idea di andarsene, che è venuta a molti, a noi
non veniva perché mio padre era dell'opinione che quando una
nazione perde la ragione e le persone oneste se ne vanno, quella
nazione è finita. Così siamo rimasti per questo. Poi non bisogna
pensare che andarsene fosse tanto facile: dovevi avere dei soldi,
dovevi avere dei mezzi, contatti. Si poteva andare in un altro paese
se lì c'erano persone che garantivano per te, se portavi particolari
capacità. Era finito il periodo delle grandi migrazioni americane per
cui bastava che arrivassero operai e tutti praticamente avevano il
180

visto. La cosa non era così facile, e non lo è stata fino alla fine della
guerra. Non sarà poi facile andare in Palestina, niente è mai facile.

La sua esperienza scolastica o quotidiana, prima delle leggi razziali,

l'aveva resa consapevole di una sua presunta "diversità"?

Io ho fatto solo un anno di ginnasio, che corrisponde oggi alla


prima media. Alle elementari ho avuto una maestra fascista che mi
diceva: "fuori di classe, brutta ebrea!", quindi sapevo perfettamente
che cosa era, la cosa, e infatti c'erano state delle storie piuttosto
gravi. Allora poteva anche essere all'interno dei vari individui (la
mia maestra poteva anche essere una fanatica per conto suo,
questo è indubbio). Quindi io ho avuto questa esperienza che non è
stata gradevole. Al primo ginnasio ho avuto una professoressa, tra
l'altro ebrea, intelligente...quindi al primo ginnasio non l'ho sentito.
Rimane il fatto che nessuna compagna di scuola, né mia né di mia
sorella, si è fatta viva per dire "Come ci dispiace!".
Io non ricordo esattamente quali potessero essere i termini di
lettura della propaganda fascista, né quando era cominciata, anche
perché non ho mai avuto la forza di leggerli, né mi pare
interessante. Però ricordo esattamente le illustrazioni di certi
giornali. Ecco che avevamo il classico ebreo obeso, rapace, col
naso adunco, col piede di pollo, che poi corrisponderebbe una
natura diabolica, demoniaca. All'ebrea piuttosto puttana, con la
quale il rapporto umiliava il maschio. Tutto che si ricollega alla parte
veramente più abietta della persecuzione durante i secoli. Faccio
un esempio molto più recente. Dopo la guerra dei Sei giorni ero a
181

casa di una conoscente, che tra l'altro è una delle più grandi
scrittrici femministe dell'Italia di oggi, tenuta in grande
considerazione, e vedevamo un filmato di palestinesi profughi, uno
spettacolo tremendo, ed io mi misi a piangere. E lei mi disse: "E tu,
perché piangi adesso?", perché io, in quanto ebrea, dovevo essere
contenta di vedere quelli che scappavano, "E tu perché piangi, che
avete vinto!". Ed io risposi: "Le vittorie si vedono alla fine, tanto per
cominciare, ed in secondo luogo, per la mia tradizione, ho visto
tanti di quei profughi che vederne ancora, chiunque siano, mi fa
male". E lei disse: "Ma quelli erano ebrei!", come se ci fosse una
possibilità di sensibilità diversa. Gli ebrei erano un'altra cosa e
quindi io, in quanto ebrea, vendicativa, avrei dovuto essere
contenta, era sciocco che piangessi...Se dopo la Shoà ci sono
ancora queste reazioni, ed una persona che passa per persona
civilissima fa questi discorsi, ti rendi conto che anche allora c'era
questa pubblicità, questa informazione sicuramente tendenziosa
fatta con questi orribili giornali e queste orribili foto. Naturalmente,
siccome gli ebrei erano molto integrati nella vita italiana, si
sentivano profondamente italiani, soprattutto quelli che
appartenevano alle classi più colte e agiate, anche se con estrema
discrezione, ti invitavano a pranzo, ti parlavano con delicatezza,
come se facessero una delicatezza nei nostri confronti per quello
che era il loro...non imbarazzo...forse non capivano, si rendevano
poco conto della difficoltà in cui si trovava gente che da un giorno
all'altro non aveva una scuola dove mandare i figli. Coloro che , per
esempio, avevano fatto la carriera militare, cosa facevano dopo?
Oppure i medici, i professionisti, gli avvocati, che non potevano più
182

esercitare e naturalmente cosa potevano fare? Tornare a fare i


rappresentanti porta a porta! E quindi gli ebrei, assetati di denaro,
sanno fare solo i commercianti, ma cos'altro avrebbero potuto fare?
Mio padre fu denunciato dalla cassiera di un negozio che disse cha
aveva raccontato una barzelletta, una volta, e in quanto ebreo
aveva riso "sconciamente". Con tutti i guai che aveva ci fu anche
questa denuncia, che poteva venire dalla persona più inaspettata,
che lo faceva perché pigliava soldi.

Quando ci fu la politica delle "discriminazioni", quale fu la situazione

della sua famiglia?

Mio padre e mio zio erano automaticamente esonerati,


appunto perché mio padre aveva una medaglia al valore e mio zio
era pazzo, da quando era stato prigioniero di guerra in Germania.
Ma se io dovessi dire che questa discriminazione mi ha dato
vantaggi, non potrei.

Lei dovette comunque abbandonare la scuola...

Certo. Per fortuna un gruppo di persone eccezionali ha


organizzato rapidamente, nel giro di due notti, una scuola ebraica a
Roma, so che nelle altre città più o meno è successo lo stesso e
questa scuola ebraica è stata la mia salvezza, e quella di molti di
noi, perché avevamo il fior fiore dei professori, per forza di cose,
perché ce ne erano a disposizione tanti che non potevano più
insegnare e si sceglievano i migliori. C'era un'atmosfera (siccome
183

eravamo tutti piuttosto nevrotizzati, spaventati, angosciati), un clima


di studio molto serio ma anche una strana indisciplina, che poi era
quella che in effetti dava maggiore rendimento. La scuola ebraica è
stata un bel ricordo.

Queste scuole furono, per tutta la Comunità, una presa di coscienza

antifascista?

Anche senza la scuola, per il fatto delle leggi razziali che ti


colpiscono in quel modo, ti fanno diventare antifascista per
reazione. Gli ebrei per percentuale erano fascisti quanto gli italiani.
Per quelli che erano stati fascisti certo è stato un brutto colpo e
vedendosi perseguitati sono pochi quelli rimasti fascisti. Essere
fascisti è una mentalità: forse potevano essere contro quei fascisti,
ma se sei fascista sei fascista, se sei fanatico sei fanatico,
qualunque disciplina adotti. Il fatto che nella scuola di Roma
avevamo dei professori così eccezionali, sono stati loro una lezione
enorme di civiltà sociale e politica. Il Preside della scuola non era
ebreo, ma mandato dal Ministero. Era una persona che ci
spaventava molto, all'inizio, ma è stata una delle persone più belle
che ho incontrato in tutta la mia vita: di una civiltà, di una
comprensione nel fare un lavoro ingrato, perché quando è arrivato
certo non l'amavamo. Lo ha fatto col massimo della dignità.
Quello che c'è stato è che, dall'apertura dei ghetti in poi, c'era
stato un indubbio processo, non solo d'integrazione, ma di
assimilazione, di perdita di conoscenza dei valori ebraici, perdita di
identità. Quando Sartre dice che gli ebrei più infelici sono stati quelli
184

costretti a subire la loro identità ebraica, senza conoscerla e senza


saperne niente, dice una grande verità. Nella scuola sono arrivati
ragazzi che sapevano di essere ebrei, perché la famiglia faceva il
digiuno il giorno del digiuno, ma che, per esempio, a Pasqua
potevano mangiare le azzime con il prosciutto. Erano digiuni di
tutto, e c'è stato per forza di cose un ritorno ad un pensiero ebraico,
un porsi delle domande, un porle a questi professori. C'è stata
quindi una presa di coscienza ebraica. Io non ero tra quelli che non
sapevano proprio niente, ma non ero preparata come posso essere
adesso. Il momento speciale ha anche formato delle amicizie che
sono state molto importanti.

Per molti autori le leggi razziali furono il primo momento in cui gli italiani

si allontanarono dal regime, lei cosa ne pensa?

Se a qualcuno è successo, io me lo auguro, buon per lui. Di


quelli che io conoscevo, non me ne sono accorta. Mi sono
sicuramente accorta che quelli che erano amici da prima, che da
prima avevano fiutato quello che poteva essere il fascismo, quella
era una reazione normale e comprensibile. La massa, non so.

Quindi non è vero, come molti hanno scritto, che gli italiani rimasero

sbalorditi di fronte alle leggi razziali.

Io francamente non ricordo grandi sbalordimenti.


Probabilmente bisognerebbe chiederlo a qualcuno che ha qualche
anno più di me e che viveva in un contesto un pò diverso dal mio.
185

Se io vivevo in una famiglia di antifascisti gli amici erano quelli. I


conoscenti extra, anche le bambine con cui giocavo ai giardinetti, le
ex compagne di scuola, tali erano e tali le ho ritrovate dopo. Non
hanno capito prima, durante e dopo. Non erano nemmeno
scatenatamente fascisti, erano la "zona grigia"; gli scatenati fascisti,
i fanatici, o sono rimasti fascisti in maniera incongrua, oppure sono
diventati fanatici comunisti, perché il fanatismo è un dato
caratteriale: tu ti aggrappi a quell'ideologia che ti dà modo di essere
fanatico. Non fai il fanatico nel Partito d'Azione, che era un
coacervo di cervelli pensanti, ragionanti, che non contemplavano la
possibilità del fanatismo.

Veniamo al '43...

Mio padre si rese conto che non era più possibile restare a
Roma: Venivano tutti i giorni per sfasciare tutto. Era una cosa
tremenda, era stato tremendo prima...

...con la guerra la situazione peggiorò?

Non fu la guerra. Prima della campagna razziale io ero sempre


stata trattata come una bambina figlia di un grande delinquente, nel
momento in cui è cominciata la campagna razziale, io non ero più
la povera bambina figlia di un pazzo delinquente, ma ero a mia
volta un essere spregevole, del quale si poteva abusare come si
voleva, e ne hanno abusato. Io avevo 15 anni ed erano in 4...Erano
186

persone cosiddette perbene, che io ogni domenica vedevo andare


a Messa con la famiglia nella Chiesa qui vicino.
Quindi ad un certo punto ce ne andammo in campagna e
siamo stati lì in relativa tranquillità (molto relativa, io facevo avanti e
indietro per la scuola, mio padre era in grosse difficoltà, era un
periodo di cui riesco a ricordare solo grosse difficoltà, portate anche
con estrema dignità e col sorriso, riuscendo a non demonizzare in
massa il resto degli italiani). Poi naturalmente dl 25 luglio le cose
cominciarono a cambiare. Mio padre non si fidò di quello che
succedeva in giro. Si diceva che con Badoglio le leggi razziali
erano decadute, però...I perseguitati politici uscivano di
galera...però. Non mi risulta sia stato abrogato nulla...non se n'è
parlato più, come succede in Italia. Poi con l'8 settembre le cose si
fecero realmente chiare, e mio padre aiutò molti a scappare. Il 16
ottobre (giorno della razzia al ghetto di Roma) siamo stai accolti da
una signora che noi non conoscevamo affatto, la signora
Ambrosini, che aveva un figlio più o meno della mia stessa età e
che ci ha nascosti a casa sua. Lei però era comunista militante da
anni, quindi aveva già rapporti con certe persone. Fra queste e
quelle che mio padre conosceva si formò una piccola banda
partigiana, nella quale tutti avevamo dei compiti precisi, dai grandi
ai bambini. C'erano sempre difficoltà, la fame, i tedeschi che
rastrellavano. Ci siamo salvati per il rotto della cuffia. Poi siamo
venuti a Roma, sempre nascosti e spostandoci di continuo. Alcuni
amici ci hanno ospitato, ma era una responsabilità nei confronti di
queste persone. Proprio perché erano amici non volevi metterli a
rischio, quindi non volevi restare più di tanto. Quindi estreme
187

difficoltà finanziarie, perché è vero che molti conventi hanno aperto


le porte, però si pagava salato.

Quale fu in generale il rapporto con la Chiesa cattolica, prima e dopo le

leggi razziali?

Prima del Concordato, non so. Era lo stesso rapporto che c'era
con gli altri italiani. La gente perbene è gente perbene, i fanatici
sono fanatici. Fra gli ebrei c'erano fascisti scatenati come
antifascisti. Io credo che ad un certo punto fra le persone...c'è una
linea trasversale che collega le anime delle persone, non il loro
credo. Quindi potevi trovare aiuto e comprensione da uno che
magari in buona fede era fascista e che però non capiva perché
dovevano violentare una ragazzina. Si potevano trovare degli
improvvisi sprazzi di luce, con dei gesti di coraggio incredibili, e poi
persone colte che neppure se ne accorgevano. Era sempre una
sorpresa, una sorpresa anche pericolosa.
Indubbiamente la Chiesa ha molto aiutato, ci sono state delle
figure splendide. Ma, forse perché i conventi erano poveri e non
potevamo più pagare, ci hanno mandato via, e sapevano benissimo
dove ci mandavano. E le rette dei conventi, dove si moriva di fame,
erano esorbitanti.
E' l'individuo che conta, e specialmente in condizioni di questo
genere, dove ci vuole una coscienza profonda...E poi c'era sempre
questo fatto: io ti salvo, però tu ti converti. Era rarissimo entrare in
un convento dove non ti chiedessero questa tassa. Ci sono
persone che si sono convertite, se per questo anche subito dopo il
188

1938, per "arianizzare" i figli, che poi non serviva. Accampando


cose tremende, che la nonna aveva avuto un figlio con l'autista,
ecc.
Anche l'ultimo rabbino di Roma, nel momento del pericolo, ha
mollato tutto e se n'è andato in Vaticano. Ha lasciato la Comunità a
se stessa in un momento come quello e poi si è saputo che si era
convertito. Che si volesse convertire dopo, affari suoi; ma se il
Cristianesimo è quello che dice di essere, a maggior ragione
doveva essere lì.

Come arrivarono le notizie della razzia del ghetto di Roma?

Fu una cosa che mi colpì molto. Alla radio fu un continuo


martellare sull'abiezione degli ebrei, che andavano denunciati, che
dovevano essere raccolti. Dalla mattina alla sera ininterrottamente,
quindi tu sentivi che non c'era scampo. Per esempio, dall'inizio
della guerra una legge stabiliva che ogni locale pubblico dovesse
avere una radio, che all'ora del giornale radio doveva essere
accesa. Tutti in piedi a sentirlo. Questa notizia martellante
raggiungeva tutti.
Solo quando sono arrivati gli Alleati abbiamo potuto lasciare
l'ultimo convento nel quale ci eravamo rifugiati. Quella mattina ci
siamo recati subito in Sinagoga, per vedere chi era rimasto, per
contarci. Fu un momento tremendo, la gente che non sapeva dove
erano finiti i congiunti. Le notizie di Auschwitz sono arrivate dopo.

Quindi la realtà dei campi di concentramento non era conosciuta...


189

Io non ricordo che gli stranieri che passavano da casa nostra


lo sapessero. Nemmeno i tedeschi sapevano. Si sapeva che
c'erano orrori, cose tremende, ma la realtà è arrivata solo con gli
Alleati. Per esempio della Risiera di San Sabba non si è saputo
niente fin dopo la guerra.
Quello che tuta la vicenda mi ha lasciato di profondo e di
terribile, è un'assoluta aleatorietà di tutto. La persona che consideri
amica può essere uno che ti denuncia. Il passante che non sa
nemmeno chi sei ti salva. E comunque mai trovarsi senza soldi, ma
pure i soldi sono un pericolo, perché puoi essere denunciato così ti
prendono i soldi. C'è un'unica cosa importante: in mezzo alla folla
cercare di mantenere la propria integrità, spesso non di
ragionamenti.
C'è una fiaba ebraica molto bella che racconta di un re e del
suo primo aiutante. Guardando le stelle questi due avevano visto
che quell'anno la terra avrebbe prodotto delle messi che portavano
la follia. Allora l'aiutante dice al re: cerchiamo di conservare un pò
di farina dell'anno scorso, almeno per noi due, così, se tutti
impazziscono, per lo meno noi due siamo salvi e vediamo cosa
succede. Ma il re risponde di no, perché se in un mondo di pazzi
solo noi due ci comportiamo da savi, la gente pensa che i matti
siamo noi. Quindi l'unica cosa è mangiare come loro, quindi
comportarci come loro. Soltanto metterci un segno di
riconoscimento, per cui quando io guardo te e tu guardi me,
sappiamo entrambi che siamo anche noi due pazzi.
190

Questo è il senso: non potevi essere completamente avulso da


ciò che ti circondava, e nello stesso tempo non potevi cedere alla
pazzia che ti circondava. Questa è una sensazione che ti marca in
eterno: il fatto che dai la buonanotte ad una persona e metti conto
che puoi non rivederla l'indomani e che il vicino di casa, che
normalmente ti farebbe le condoglianze, non gliene frega niente,
non s accorge nemmeno che sei vestita a lutto.

Come ha vissuto il "dopo", il reintegrarsi nella Comunità e nella società?

Devo premettere che io stavo molto male. Ho retto molto forte


fino all'arrivo degli Alleati, poi ho avuto un crollo psicologico. Infatti
delle cose non riesco a ricordarle, né a coordinarle. Quello che mi
colpiva e mi offendeva, e continua a colpirmi come in quei giorni,
erano appunto i fanatici fascisti che diventavano fanatici comunisti,
come se non ci fosse una via di mezzo, una possibilità al di là del
capo che ti guida. Questo in un mare magnum grigio di gente che
prima non si era accorta, ora ti diceva: devi dimenticare perché la
vita continua, si deve stare tutti insieme, noi non siamo stati cattivi
come quelli...Poi le immagini, le cose che succedevano...il fatto di
non sapere cosa, all'interno di queste sofferenze inaudite, cosa può
specificamente essere successo, aver sofferto la persona che ti è
cara, alla quale sei legato, che hai amato, ti fa dolere ogni fibra del
corpo. C'è una ferita, nella mente e nell'animo, che ti rende
apprensivo per tutto quello che succede.
191

INTERVISTA AL SAC. EUGENIO ROMANO

Ricorda quando sostituì don Luigi Nicoletti alla direzione di "Parola di

Vita"?

Se ricordo bene presi la direzione del giornale nel gennaio


1939. Don Nicoletti venne allontanato nel novembre 1938 ed il
vescovo mi obbligò ad accettare l'incarico. Io non ero molto
contento perché ero amico di don Nicoletti, mi sembrava di
offenderlo prendendo il suo posto, ma il vescovo ha insistito tanto.
Monsignor Nogara teneva molto a "Parola di Vita" ed all'Azione
Cattolica in generale, ammirava anche don Nicoletti, l'aveva
protetto molte volte, anche contro la Federazione fascista.
Non ricordo bene i motivi dell'allontanamento di don Nicoletti,
però lui era sempre stato antifascista, era nel Partito Popolare
prima del '22, è strano che con questi precedenti avesse incarichi
importanti, infatti dirigeva anche il Movimento Laureati, forse
perché, come ti ho detto, era amico del vescovo Nogara, che non
era fascista. Secondo me il clero cosentino non era affatto fascista,
anch'io ho criticato spesso il fascismo sul giornale. Però è stato un
periodo d'ordine, anche se ci furono cose eccessive.

A cosa si riferisce?
192

Questa cosa degli ebrei è stata una di queste, mi sembra, però


non è stato come in Germania, dove c'è stato un massacro. Poi il
fascismo a Cosenza non era fatto da esaltati, era molto all'acqua di
rose. Non era come a Catanzaro, dove era molto forte. Non ricordo
esattamente come era affrontato il problema delle leggi razziali, a
Cosenza non abbiamo mai sentito il problema. Certo "Calabria
fascista" faceva molto rumore, era un giornale battagliero, lo
conoscevano in tutta Italia. Don Nicoletti si occupò del razzismo,
ma non so se è stato questo il motivo del suo allontanamento. Però
Nicoletti non si piegò mai al fascismo, su "Parola di Vita" le notizie
su Mussolini venivano ignorate. Quando venne trasferito d'ufficio in
Puglia il vescovo gli espresse la sua solidarietà, come tutto il clero.
Ricordo una riunione di Azione Cattolica in cui Nicoletti fu
dichiarato "assente giustificato".
Mi criticarono molto quando assunsi la direzione di "Parola di
Vita", dissero che mancavo di rispetto al mio maestro...però ho
dovuto obbedire al mio vescovo, che mi promise il suo sostegno, e
così fece, anche se si doveva essere cauti, non si poteva
condannare il fascismo chiaramente. Ci fu un certo sostegno
durante la guerra di Spagna, che era contro i comunisti, e poi
soprattutto nella lotta contro la massoneria, che io considero la
rovina della società.
C'erano delle cose del fascismo che io ho criticato molto.
Anch'io ebbi una polemica con "Calabria fascista" per quello che
era la GIL, perché i ragazzi dovevano dedicarsi ai campi ed alle
adunate fasciste anche il sabato e la domenica, invece di dedicarsi
al giorno del Signore. Appena morì Mons. Nogara, nel 1940, ci fu
193

l'ordine di chiusura per "Parola di Vita", che restò chiuso un anno,


poi riaprì.

Perché ci fu quest'ordine di chiusura?

C'erano sempre polemiche, la Federazione secondo me non


voleva che ci fosse un giornale d'Azione Cattolica.

Lei riprese la polemica sulle leggi razziali?

Non ricordo, ma poi se ne parlava poco. Secondo me don


Nicoletti fu sostituito perché lo avevano già deciso, perché era stato
con don Sturzo.

Ma perché proprio in quel momento?

Non so...era sempre stato antifascista, tanto che dopo la


guerra fu tra i promotori della DC in Calabria. "Parola di Vita" era
sempre stato contro i comunisti ed i negatori di Dio, lo era anche
don Nicoletti, che fu un grandissimo uomo politico e un grande
oratore. Quando faceva i comizi era talmente bravo che anche tanti
comunisti venivano a sentirlo.
Non ricordo proprio la polemica sul razzismo, ma poi a
Cosenza non c'erano ebrei, ci sono stati nel Medio Evo, infatti
abbiamo il quartiere della Biblioteca Nazionale che si chiama
"Cafarone", dalla città di Cafarnao. Lì c'era il ghetto, gli ebrei erano
tessitori e mercanti di tessuti, ma stiamo parlando di secoli fa, poi
194

erano andati via. I ghetti c'erano in altra città d'Italia, però anche
quando furono chiusi gli ebrei continuarono a vivere insieme. Sono
una comunità molto forte anche adesso, molto legati alle loro
tradizioni, e c'erano molti pregiudizi, si sono dette tante cose, non
so quali sono vere e quali sono false, non voglio parlarne. E poi ci
sono tanti luoghi comuni...ma la Chiesa è al di sopra delle parti,
però dalla parte della verità. Secondo me si dovrebbe tornare a
prima del Concilio Vaticano II, oggi si sono persi i veri valori, si è
voluto per forza modernizzare. La Chiesa non era contro gli ebrei,
però bisogna dire le cose come stanno, non c'è dialogo, loro
negano il Messia, non hanno accolto il Salvatore, è un errore
questo, non è vero?
Io sono per il tradizionalismo, oggi la vita è diventata
impossibile, non ci sono più valori. ma tu vuoi parlare di
ebrei...ecco, io non capisco gli ebrei che vivono in Italia. Devi
chiederlo tu che stai studiando queste cose, qual'è il loro paese? Io
non sono contro di loro, però non capisco. L'Italia è un paese
cattolico, ma oggi non mi meraviglia più nulla, hanno tolto pure il
crocefisso dalle scuole, nessuno parla di religione, eppure in Italia
c'è il Vaticano. E ci sono tante religioni, oggi c'è la moda del
buddismo, poi leggevo che a Roma c'è la moschea più grande
d'Europa, proprio a Roma.
Per me gli ebrei sono in errore, ma io non ho mai scritto nulla
contro di loro. Ho fatto tante battaglie con "Parola di Vita",
soprattutto contro il comunismo, vedi ora come è finito. Questo era
l'errore più grande per gli uomini, ora però è finito. Non ricordo altre
195

cose molto bene, è passato tanto tempo e tante cose sono


cambiate.
196

APPENDICE 0

Riportiamo qui alcuni documenti citati nel capitolo primo, tutti


estratti dal libro di Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il
fascismo, 4a edizione.

DOCUMENTO 1

INFORMAZIONE DIPLOMATICA NO. 14

Le recenti polemiche giornalistiche poterono suscitare in certi ambienti


stranieri l'impressione che il governo fascista stia per inaugurare una politica
antisemita.
Negli ambienti responsabili romani si è in grado di affermare che questa
impressione è completamente errata e che si considerano le polemiche come
dovute soprattutto al fatto che le correnti dell'antifascismo mondiale
dipendono regolarmente da elementi ebraici.
Gli ambienti responsabili romani ritengono che il problema ebraico
universale può essere risolto in un solo modo: creando in qualche parte del
mondo, non in Palestina, uno Stato ebraico, Stato nel pieno significato di
questa parola che sia perciò in grado di rappresentare e di proteggere per le
normali vie diplomatiche e consolari tutte le masse ebraiche disperse nei vari
paesi.
il fatto che in Italia esistano degli ebrei non comporta necessariamente
che esista un problema ebraico specificatamente italiano. D'altro canto gli
ebrei si contano a milioni mentre in Italia, su una popolazione che raggiunge
ormai i 44 milioni di abitanti, la massa degli ebrei oscilla tra le 50 e le 60 mila
unità.
Il Governo fascista non pensò mai, né pensa adesso, a prendere misure
politiche, economiche, morali, contrarie agli ebrei in quanto tali, salvo,
beninteso, nel caso in cui si trattasse di elementi ostili al Regime.
Il Governo fascista è inoltre risolutamente contrario a qualsiasi
pressione, diretta o indiretta, per strappare abiure religiose e assimilazioni
artificiose. La legge che regola e controlla la vita delle comunità ebraiche ha
fatto buona prova e rimarrà invariata.
Il Governo fascista si riserva tuttavia di vegliare sull'attività degli ebrei di
recente giunti nel nostro paese e di fare in maniera che la parte degli ebrei
nella vita d'insieme della Nazione non sia sproporzionata ai meriti intrinseci
individuali ed all'importanza numerica della loro comunità.
197

DOCUMENTO 2

MANIFESTO DEGLI SCIENZIATI RAZZISTI

1. Le razze umane esistono. L'esistenza delle razze umane non è già


un'astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica,
materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da
masse, quasi sempre imponenti, di milioni di uomini, simili per caratteri
fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. Dire
che esistono le razze umane non vuole dire a priori che esistono razze
umane superiori e inferiori, ma soltanto che esistono razze umane
differenti.

2. Esistono grandi razze e piccole razze. Non bisogna soltanto ammettere


che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono
chiamate razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma
bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come
per es. i nordici, i mediterranei, i dinarici, ecc.) individualizzati da un
maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto
di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità
evidente.

3. Il concetto di razza è concetto puramente biologico. Esso è quindi basato


su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati
essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche e religiose. Però
alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di
razza. Se gli italiani sono differenti dai francesi, dai tedeschi, dai turchi,
dai greci ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una
storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è
diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti che da tempo
molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il
dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente,
sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse
razze.
198

4. La popolazione dell'Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è


ariana. Questa popolazione di civiltà ariana abita da diversi millenni la
nostra Penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane.
L'origine degli italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle
stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo
dell'Europa.

5. E' una leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici. Dopo
l'invasione dei Longobardi non ci sono state in Italia altri movimenti di
popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della Nazione. Da ciò
deriva che, mentre per le altre Nazioni europee la composizione razziale è
variata notevolmente in tempi anche moderni, per l'Italia, nelle sue grandi
linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille
anni fa: i 44 milioni di italiani di oggi rimontano quindi nell'assoluta
maggioranza a famiglie che abitano in Italia da un millennio.

6. Esiste ormai una «pura razza italiana». Questo enunciato non è basato
sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico
linguistico di popolo e di nazione, ma sulla purissima parentela di sangue
che unisce gli italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano
l'Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà
della Nazione Italiana.

7. E' tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l'opera
che ha fatto finora il Regime in Italia è in fondo del razzismo.
Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti
di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un
punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose.
La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana
e l'indirizzo ariano-nordico. Questo non vuol dire però introdurre in Italia le
teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli italiani e gli
scandinavi sono la stessa cosa. ma vuole soltanto additare agli italiani un
modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi
caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze
extraeuropee. Questo vuol dire elevare l'italiano ad un ideale di superiore
coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.

8. E' necessario fare una netta distinzione tra i mediterranei d'Europa


(occidentali) da una parte, gli orientali e gli africani dall'altra. Sono perciò
da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l'origine africana di
alcuni europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche
199

le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie


ideologiche assolutamente inammissibili.

9. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei
secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale
è rimasto. Anche l'occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato
all'infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di
assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano
l'unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è
costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli
elementi che hanno dato origine agli italiani.

10.I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono
essere alterati in nessun modo. L'unione è ammissibile solo nell'ambito
delle razze europee, nel qual caso non si deve parlare di vero e proprio
ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un corpo comune e
differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi
altri. Il carattere puramente europeo degli italiani viene alterato
dall'incrocio con qualsiasi altra razza extraeuropea e portatrice di una
civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.
200

DOCUMENTO 3

INFORMAZIONE DIPLOMATICA NO. 18

Negli ambienti responsabili romani si fa notare che molte delle


impressioni e deduzioni estere sul razzismo italiano sono dettate da una
superficiale cognizione dei fatti e in qualche caso da evidente malafede.
In realtà il razzismo italiano data dal 1919, come potrebbe essere
documentato. Mussolini al discorso del Congresso del Partito tenutosi a
Roma nel novembre del 1921, ripetiamo, 1921, dichiarò esplicitamente:
"Intendo dire che il Fascismo si preoccupi del problema della razza con la
quale si fa la storia".
Se il problema rimase per alcuni anni allo stato latente, ciò accadde
perché altri problemi urgevano e dovevano essere risolti. Ma la conquista
dell'Impero ha posto in primissimo piano i problemi chiamati
complessivamente razziali, la cui sconoscenza ha avuto drammatiche,
sanguinose ripercussioni sulle quali non è oggi il momento di scendere in
particolari. Altri uomini mandano nelle terre dei loro imperi pochi e sceltissimi
funzionari; noi manderemo in Libia e AOI, con l'andare del tempo e per
assoluta necessità di vita, milioni di uomini. Ora, ad evitare la catastrofica
piaga del meticciato, la creazione cioè di una razza bastarda, né europea né
africana, che fomenti la disintegrazione e la rivolta, non bastano le leggi
severe promulgate e applicate dal Fascismo. Occorre anche un forte
sentimento, un forte orgoglio, una chiara onnipresente coscienza di razza.
Discriminare non significa perseguitare. Questo va detto ai troppi ebrei
d'Italia e di altri Paesi, i quali ebrei lanciano al cielo inutili lamentazioni,
passando con la nota rapidità dalla invadenza e dalla superbia
all'abbattimento ed al panico insensato. Come fu detto chiaramente nella
nota n. 14 dell'Informazione Diplomatica e come si ripete oggi, il Governo
Fascista non ha alcuno speciale piano persecutorio contro gli ebrei in quanto
tali. Si tratta di altro. Gli ebrei in Italia nel territorio metropolitano sono 44000,
secondo i dati statistici ebraici che dovranno, però, essere controllati da un
prossimo speciale censimento; la proporzione sarebbe quindi di un ebreo su
mille abitanti.
E' chiaro che, d'ora innanzi, la partecipazione degli ebrei alla vita
globale dello Stato dovrà essere, e sarà, adeguata a tale rapporto.
Nessuno vorrà contestare allo Stato fascista questo diritto, e meno di
tutti gli ebrei, i quali, come risulta in modo solenne anche dal recente
manifesto dei rabbini d'Italia, sono stati sempre e dovunque gli apostoli del
più integrale, intransigente, feroce, e, sotto un certo punto di vista,
201

ammirevole razzismo. Si sono sempre ritenuti appartenenti ad un altro


sangue, ad un'altra razza, si sono autoproclamati "popolo eletto" ed hanno
sempre fornito la prova della loro solidarietà razziale al di sopra di ogni
frontiera.
E qui non vogliamo parlare dell'equazione storicamente accertata, in
questi ultimi vent'anni di vita europea, fra ebraismo, bolscevismo e
massoneria.
Nessun dubbio quindi che il clima è maturo per il razzismo italiano.
E' meno ancora si può dubitare che esso non diventi - attraverso
l'azione coordinata e risoluta di tutti gli organi del Regime - patrimonio
spirituale del nostro popolo, base fondamentale del nostro Stato, elemento di
sicurezza per il nostro Impero.
202

DOCUMENTO 4

DICHIARAZIONE SULLA RAZZA

Il Gran Consiglio del Fascismo, in seguito alla conquista dell'Impero,


dichiara l'attualità urgente dei problemi razziali e la necessità di una
coscienza razziale. Ricorda che il Fascismo ha svolto da sedici anni e svolge
un'attività positiva, diretta la miglioramento quantitativo e qualitativo della
razza italiana, miglioramento che potrebbe essere gravemente
compromesso, con conseguenze politiche incalcolabili, da incroci e
imbastardimenti.
Il problema ebraico non è che l'aspetto metropolitano di un problema di
carattere generale.
Il Gran Consiglio del Fascismo stabilisce:
a) il divieto di matrimoni di italiane e italiane con elementi appartenenti
alle razze camita, semita e altre razze non ariane;
b) il divieto per i dipendenti dello Stato e da Enti Pubblici - personale
civile e militare - di contrarre il matrimonio con donne straniere di qualsiasi
razza;
c) il matrimonio di italiani e italiane con stranieri anche di razze ariane,
dovrà avere il preventivo consenso del Ministero dell'Interno;
d) dovranno essere rafforzate le misure contro chi attenta al prestigio
della razza nei territori dell'Impero.

Ebrei ed ebraismo.

Il Gran Consiglio del Fascismo ricorda che l'ebraismo mondiale - specie


dopo l'abolizione della massoneria - è stato l'animatore dell'antifascismo in
tutti i campi e che l'ebraismo estero o italiano fuoriuscito è stato - in taluni
periodi culminanti come nel 1924-25 e durante la guerra etiopica -
unanimemente ostile al Fascismo.
L'immigrazione di elementi stranieri - accentuatasi fortemente dal 1933
in poi - ha peggiorato lo stato d'animo degli ebrei italiani, nei confronti del
Regime, non accettato sinceramente, poiché antitetico a quella che è la
psicologia, la politica, l'internazionalismo d'Israele.
Tutte le forze antifasciste fanno capo ad elementi ebrei; l'ebraismo
mondiale è, in Spagna, dalla parte dei bolscevichi di Barcellona.

Il divieto d'entrata e l'espulsione degli ebrei stranieri.

Il Gran Consiglio del Fascismo ritiene che la legge concernente il divieto


d'ingresso nel Regno, degli ebrei stranieri, non poteva più oltre essere
203

ritardata, e che l'espulsione degli indesiderabili - secondo il tema messo in


voga e applicato dalle grandi democrazie - è indispensabile.
Il Gran Consiglio del Fascismo decide che oltre ai casi singolarmente
controversi che saranno sottoposti all'esame dell'apposita commissione del
Ministero dell'Interno, non sia applicata l'espulsione nei riguardi degli ebrei
stranieri i quali:
a) abbiano un'età superiore agli anni 65;
b) abbiano contratto un matrimonio misto italiano prima del I° ottobre
XVI.

Ebrei di cittadinanza italiana.

Il Gran Consiglio del Fascismo, circa l'appartenenza o meno alla razza


ebraica, stabilisce quanto segue:
a) è di razza ebraica colui che nasce da genitori entrambi ebrei;
b) è considerato di razza ebraica colui che nasce da padre ebreo e da
madre di nazionalità straniera;
c) è considerato di razza ebraica colui che, pur essendo nato da un
matrimonio misto, professa la religione ebraica;
d) non è considerato di razza ebraica colui che è nato da un matrimonio
misto, qualora professi altra religione all'infuori della ebraica, alla data del I°
ottobre XVI.

Discriminazione tra gli ebrei di cittadinanza italiana.

Nessuna discriminazione sarà applicata - escluso in ogni caso


l'insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado - nei confronti di ebrei di
cittadinanza italiana - quando non abbiano per altri motivi demeritato - i quali
appartengano a:
1. famiglie di Caduti nelle quattro guerre sostenute dall'Italia in
questo secolo: libica, mondiale, etiopica, spagnola;
2. famiglie dei volontari di guerra nelle guerre libica, mondiale,
etiopica, spagnola;
3. famiglie di combattenti di guerra nelle guerre libica, mondiale,
etiopica, spagnola, insigniti della croce al merito di guerra;
4. famiglie di Caduti per la Causa fascista;
5. famiglie dei mutilati, invalidi, feriti, della Causa fascista;
6. famiglie di Fascisti iscritti al Partito negli anni '19-20-21-22 e nel
secondo semestre del '24 e famiglie di legionari fiumani;
7. famiglie aventi eccezionali benemerenze che saranno accertate
da apposita commissione.

Gli altri Ebrei.


204

I cittadini di razza ebraica, non appartenenti alle suddette categorie,


nell'attesa di una nuova legge concernente l'acquisto della cittadinanza
italiana, non potranno:
a) essere iscritti al Partito Nazionale Fascista;
b) essere possessori o dirigenti di aziende di qualsiasi natura che
impieghino cento o più persone;
c) essere possessori di oltre cinquanta ettari di terreno;
d) prestare servizio militare in pace e in guerra.
L'esercizio delle professioni sarà soggetto di ulteriori provvedimenti.
Il Gran Consiglio del Fascismo decide inoltre:
1. che agli ebrei allontanati dagli impieghi pubblici sia riconosciuto il
normale diritto di pensione;
2. che ogni forma di pressione sugli ebrei, per ottenere abiure, sia
rigorosamente repressa;
3. che nulla si innovi per quanto riguarda il libero esercizio del culto e
l'attività delle comunità ebraiche secondo le leggi vigenti;
4. che, insieme alle scuole elementari, si consenta l'istituzione di scuole
medie per ebrei.

Immigrazione di ebrei in Etiopia.

Il Gran Consiglio del Fascismo non esclude la possibilità di concedere,


anche per deviare l'immigrazione ebraica dalla Palestina, una controllata
immigrazione di ebrei europei in qualche zona dell'Etiopia.
Questa eventuale e le altre condizioni fatte agli ebrei, potranno essere
annullate o aggravate a seconda dell'atteggiamento che l'ebraismo assumerà
nei riguardi dell'Italia fascista.

Cattedre di razzismo.

Il Gran Consiglio del Fascismo prende atto con soddisfazione che il


Ministro dell'Educazione Nazionale ha istituito cattedre di studi sulla razza
nelle principali Università del Regno.

Alle Camicie Nere.

Il Gran Consiglio del Fascismo, mentre nota che il complesso dei


problemi razziali ha suscitato un interesse eccezionale nel popolo italiano,
annuncia ai Fascisti che le direttive del Partito in materia sono da
considerarsi fondamentali e impegnative per tutti e che alle direttive del Gran
Consiglio devono ispirarsi le leggi che saranno sollecitamente preparate dai
singoli Ministri.
205

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Giornali e riviste anni per cui si è

effettuato lo spoglio

"Bollettino Ufficiale
dell'Archidiocesi di Cosenza" 1935-1938
"Calabria fascista" 1933-1938
"Cronaca di Calabria" 1933-1938
"Il Corriere della Sera" 1933-1938
"La Difesa della Razza" agosto-dicembre 1938
"Il Giornale d'Italia" 1933-1938
"Parola di Vita" 1933-1938
"Il Popolo d'Itala" 1933-1938

Interviste

Signora Anna Blayer


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Don Eugenio Romano

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