Sei sulla pagina 1di 6

societ di massa

Si definiscono con questo termine le societ nelle quali, a partire dai


primi decenni del Novecento, si assistito a un estendersi quantitativo
e a un farsi progressivamente indistinto di strati sociali medi e
inferiori, che sono venuti assumendo tratti culturali e modelli
comportamentali tipici delle masse. La loro affermazione stata
favorita dal forte aumento demografico, dalla concentrazione della
popolazione in territori urbano-metropolitani, dalla diffusione della
scolarit in strati sociali prima esclusi, dall'accesso universale al voto e
dall'estendersi della partecipazione politica, da una produzione
industriale standardizzata e alla ricerca di vasti mercati di consumo,
dall'avvento infine di sistemi di comunicazione di massa. A giudizio di molti
studiosi la societ di massa porta quasi inevitabilmente al predominio di ristrette elite
(J. Ortega y Gasset, C. W. Mills) e pu altres favorire l'avvento di regimi totalitari (K.
Mannheim). Queste e altre conseguenze si legano strettamente alle possibilit di
manipolazione dell'opinione pubblica e politica e dei comportamenti sociali e di
consumo, enormemente accresciute dalla disponibilit di sempre pi potenti e influenti
mezzi di comunicazione, la stampa e la televisione in primo luogo.

imperialismo
Pochi altri termini che stanno a indicare movimenti collettivi, realt
complesse e diffuse dell'et contemporanea hanno avuto, come
questo, una pluralit di valenze interpretative. Nel caso
dell'imperialismo gli approcci politici, quelli teorici e quelli sto riografici
si sono tra loro variamente combinati, dando la misura della centralit
del fenomeno ai fini della comprensione dei maggiori processi epocali
sviluppatisi a partire dalla seconda met dell'Ottocento.

LE ORIGINI DEL TERMINE. Utilizzato in Francia negli anni Quaranta del


XIX secolo per indicare la volont dei bonapartisti di restaurare
l'impero, il termine assunse un significato pi vicino a quello corrente
quando Napoleone III si impegn in una politica di espansione
coloniale legata non solo a motivazioni economiche, ma anche di
prestigio nazionale, in particolare in occasione dell'avventura
imperiale messicana degli anni Sessanta. In Gran Bretagna
l'espressione venne usata negli anni successivi in relazione alla

coerenza (o meno) dell'azione dei governi con gli interessi imperiali


britannici. I conservatori raccolti intorno a B. Disraeli e al suo
imperialismo popolare (culminato nell'incoronazione imperiale della
regina Vittoria) la utilizzarono, contrariamente ai liberali, in
un'accezione positiva. Nell'ultimo scorcio dell'Ottocento due conflitti
che coinvolsero l'opinione pubblica europea, la guerra ispanoamericana e quella anglo-boera, rivelarono che lo spirito imperialista
non era appannaggio esclusivo dei conservatori, dei nazionalisti,
dell'industria pesante e di importanti settori della finanza
internazionale ma che aveva messo radici anche in larghi strati
popolari. D'altro canto l'opinione progressista e democratica, in Europa
come negli Stati uniti, si venne schierando sempre pi nettamente su
posizioni antimperialiste, dando al termine quella connotazione
negativa che fu poi tipica del XX secolo.

LE PRIME TEORIE. Al primo ventennio del Novecento appartengono le


pi importanti elaborazioni teoriche dell'imperialismo. Esse presero
l'avvio, per procedere poi in diverse direzioni, dall'analisi dei
mutamenti intervenuti nell'economia dei paesi capitalistici nel
passaggio dalla stagione del capitalismo liberoscambista a quella del
protezionismo, dei monopoli e del capitale finanziario. Il britannico J.A.
Hobson (L'imperialismo, 1902, ed. it. 1964) interpret il fenomeno
come l'esito politico di un eccesso di risparmio prodotto in una fase
alta del ciclo economico internazionale, a cui non corrisponde un
adeguato prelievo fiscale da parte dello stato n un'adeguata
redistribuzione, attraverso i salari, della ricchezza prodotta tale da
stimolare i consumi e da incentivare gli investimenti produttivi sul
territorio nazionale. Mancando tali opportunit, l'eccedenza di
risparmio viene pilotata dai governi verso obiettivi esterni di conquista
e di dominio. Poco pi tardi il socialdemocratico austriaco R. Hilferding
(Il capitale finanziario, 1910, ed. it. 1961) elabor la classica teoria
dell'imperialismo fondata sul patto stipulato fra sistema industriale e
sistema bancario con l'avallo politico dei governi per far fronte al
colossale fabbisogno di capitali d'investimento negli anni della seconda rivoluzione industriale. Tale patto, salvo poche eccezioni, si traduce
nell'adozione di politiche protezionistiche nei confronti dei prodotti
nazionali: premesse indispensabili sia all'espansione economicofinanziaria sia a quella politico-militare che costituiscono i due aspetti

fondamentali, anche se non sempre compresenti, del fenomeno


imperialista.

LE TEORIE MARXISTE. Dopo Hilferding acquistarono rilievo in campo


marxista le interpretazioni di R. Luxemburg (L'accumulazione del
capitale, 1913, ed. it. 1946), che parte come Hobson dall'analisi del
sottoconsumo in cui mantenuta la classe operaia e che consente
un'accumulazione di capitale disponibile per iniziative imperialistiche
anche nella fase del capitalismo liberista, e di N.I. Bucharin
(L'economia mondiale e l'imperialismo, 1915, ed. it. 1966). Ma in
quest'area politica l'opera pi famosa quella di N. Lenin
(L'imperialismo fase suprema del capitalismo, 1917, ed. it. 1921) che
trasse spunti importanti da Hobson e da Hilferding. Il saggio fu scritto
nel corso del primo conflitto mondiale, guerra imperialista per
eccellenza secondo il rivoluzionario russo, in quanto finalizzata alla
spartizione del mondo, delle colonie, delle sfere di influenza del
capitale finanziario. Lenin vi scorge il culmine di quella fase che
prepara la crisi finale del capitalismo. Al centro del processo analizzato
vi l'espansione internazionale del capitale monopolistico che tende a
un controllo politico ed economico di entit sociali e territoriali pi
arretrate, senza necessariamente ricorrere al dominio diretto proprio
del colonialismo ottocentesco. Ci costituisce la maggiore novit
dell'analisi leniniana e la ragione della sua fortuna nel corso del
Novecento. L'elaborazione nell'ambito del pensiero marxista venne
proseguita prima dal britannico M. Dobb (L'imperialismo, 1937) poi
dagli statunitensi P.A. Baran e P.M. Sweezy (Il capitale monopolistico,
1966, ed. it. 1968), che si spinsero oltre l'analisi leninista alla luce
dell'inedito rapporto causale tra sviluppo e sottosviluppo nel mondo,
per cui lo sviluppo dei paesi avanzati reso possibile dall'accentuato
sfruttamento
del
sottosviluppo
nei
paesi
poveri.
LE INTERPRETAZIONI SOCIALDEMOCRATICA E LIBERALE. Dalle analisi di
Hobson e di Hilferding si dipart anche un filone interpretativo
socialdemocratico, distinto dalle tesi dei pensatori marxisti (da quelle
di Lenin in particolare), che ebbe una sua prima, organica
formulazione negli scritti di K. Kautsky, leader dei socialisti tedeschi
della seconda Internazionale. Questo filone si fonda sul rifiuto della
concezione dell'imperialismo come conseguenza o degenerazione

necessaria del capitalismo e sul convincimento che possibile


sconfiggerlo attraverso politiche di riforme e di democratizzazione
interna agli stati. Nell'area del pensiero liberale l'analisi pi nota
quella dell'economista austriaco J.A. Schumpeter (Sociologia
dell'imperialismo, 1919, ed. it. 1972). Contrariament a Lenin essa
considera l'imperialismo non come la manifestazione dell'imminente
crisi del capitalismo, bens come l'eredit di una societ militarista
d'ancien rgime, che pu essere sconfitta e superata dall'avanzata e
dalla piena affermazione del capitalismo inteso come sistema
economico-politico
razionale
e
razionalizzante.
FRA POLITICA E STORIOGRAFIA. Dal punto di vista delle elaborazioni
storiografiche dell'imperialismo possibile rilevare in sintesi una
prima fase nella quale storiografia e politica furono fortemente
intrecciate: il caso della storiografia dell'Italia fascista e della
Germania fra le due guerre, ispirata alla revisione del trattato di pace
di Versailles e diffusamente orientata contro l'imperialismo britannico
o francese. A essa segu una stagione di maggior rigore storiografico
nella quale videro la luce opere tese a studiare il fenomeno come una
fase dell'espansionismo europeo, ma anche altre che, uscendo da una
prospettiva strettamente eurocentrica, dedicarono particolare
attenzione ai paesi asiatici e africani, analizzando cio le strategie
dell'imperialismo alla luce dei paesi dominati e non solo di quella delle
metropoli imperialiste.

L'IMPERIALISMO
STATUNITENSE.
Nel
dibattito
storiografico
sull'argomento, avviatosi negli Stati uniti nel primo dopoguerra, il
termine imperialismo generalmente riferito alla fase di interventismo
statunitense negli anni di passaggio dal XIX al XX secolo, mentre per
la seconda met del Novecento per lo pi utilizzato il concetto
diegemonia americana. Le prime ricostruzioni furono fortemente negative e
condannarono la guerra ispano-americana e in particolare la conquista delle Filippine
come estranea ai valori democratici della nazione (C.A. Bird, The Idea of National
Interest, 1934) o quantomeno come gesto di inutile e sbagliata aggressivit (S.F.
Bemis, Diplomatic History of the United States, 1936, e J.W. Pratt, Expansionists of
1898, 1936). Queste interpretazioni tesero a evidenziare e criticare in particolare i
fattori ideologici e culturali interni che spinsero all'espansione di fine Ottocento: gli
influssi del darwinismo sociale e dello spirito missionario protestante, le pressioni
sciovinistiche esercitate sull'opinione pubblica, e attraverso di essa sul mondo politico,

dalla nuova stampa popolare. Pi radicali furono le successive elaborazioni degli storici
revisionisti come W. La Feber (The New Empire, 1963), W.A. Williams (The Roots of the
American Empire, 1969), ma anche di studiosi d'impronta realista come R.W. van
Alstyne (The Rising American Empire, 1960), che videro un carattere intrinsecamente
imperialista nell'intera espansione del paese verso l'ovest fin dai tempi delle tredici
colonie originarie, con l'espulsione delle popolazioni autoctone e la sostituzione alla
dominazione messicana lungo l'intero corso del XIX secolo. La politica
dell'imperialismo statunitense di fine secolo consi-derata all'interno di questa
sostanziale continuit e la sua particolare aggressivit viene addebitata alle incertezze
economiche dopo la depressione del 1893 e alla convinzione di importanti settori
imprenditoriali che fosse necessario proiettarsi verso i mercati internazionali (politica
della porta aperta). Gli storici infine che accettarono l'imperialismo statunitense di fine
secolo in nome del realismo politico nell'agone tra le potenze, pur discostandosi dalle
precedenti interpretazioni sottolinearono comunque anch'essi l'atipicit di quella
stagione (E. R. May, Imperial Democracy, 1961; D. Perkins, Gli americani e la politica
estera, 1962, ed. it. 1965).

T. Kemp, Teorie dell'imperialismo, Einaudi, Torino 1969; G. Lichteim, Storia


dell'imperialismo, Sonzogno, Milano 1974; R. Owen, B. Sutcliffe, Studi sulla teoria
dell'imperialismo, Einaudi, Torino 1977; G. Carocci, L'et dell'imperialismo, Il Mulino,
Bologna 1979; A. Aquarone, Le origini dell'imperialismo americano, Il Mulino, Bologna
1973.

materialismo storico
Nella cultura occidentale non sono mai mancate concezioni che scorgevano il fattore determinante
della storia nelle condizioni materiali di vita. Tuttavia si suole ormai chiamare materialismo
storico la concezione della storia fondata sulla dottrina di K. Marx. In parte notevole gi presente
nell'opera di Marx stesso, il materialismo storico ricevette un'elaborazione teorica fondamentale dal
suo collaboratore e amico F. Engels e poi, tra Ottocento e Novecento, da un dibattito che impegn
gran parte della cultura europea. Nella prefazione a Per la critica dell'economia politica del 1859,
Marx forn sinteticamente ed efficacemente i lineamenti essenziali della sua filosofia della storia: gli
ordinamenti statuali e i vincoli legali non possono essere spiegati soltanto con lo sviluppo generale
dello spirito umano, ma bisogna piuttosto risalire alle condizioni materiali di vita e di produzione.
Dunque la vera struttura della societ va cercata nell'economia politica. In sostanza, per Marx nella
produzione delle proprie condizioni materiali di vita gli uomini costruiscono un insieme di relazioni
che sono la vera struttura della societ. La storia, per chi la sappia guardare con occhi sgombri
da ideologie(cio falsi sistemi di pensiero), non che l'evoluzione di queste strutture economiche.
Tutto il resto (diritto, religione, cultura, arte ecc.) non che sovrastruttura e dunque, in quanto tale,
dipendente dalla struttura e senza vera autonomia. Le varie fasi della storia umana sono pertanto
intrinsecamente caratterizzate dai differenti livelli raggiunti dalle societ umane nell'organizzazione
della produzione materiale e dei suoi strumenti. Marx distingue nella storia una fase asiatica,
una antica, una feudale e una borghese. Peraltro il passaggio da una fase all'altra (e qui si coglie un

lato del potente influsso hegeliano su Marx) avviene per le contraddizioni insanabili che vengono a
costituirsi in seno a ciascuna forma di organizzazione produttiva. Marx ritiene che at traverso la
contraddizione estrema a cui inevitabilmente conduce la societ borghese si giunger, attraverso un
capovolgimento dialettico (ossia una rivoluzione), a una fase finale della storia in cui si attuer un
sistema economico senza propriet privata dei mezzi di produzione e quindi senza il conseguente
sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Nel dibattito di fine Ottocento uno sviluppo originale lo si ebbe
proprio in Italia con la polemica accesasi tra Antonio Labriola, che cercava di attenuare il carattere
deterministico del materialismo storico mantenendone per il carattere di filosofia della storia, e B.
Croce, che negava contenuto di verit logico-filosofica alla dottrina marxista e al materialismo
storico vedendone tuttavia un potente stimolo all'allargamento degli orizzonti storiografici grazie
all'inclusione di fenomeni e temi prima trascurati. Intervenendo per suo conto nella polemica, G.
Gentile invece sottolineava l'aspetto volontaristico, di filosofia della prassi, insito nel materialismo
storico (di qui il convinto apprezzamento di Lenin agli studi gentiliani su Marx). Al di l della sua
immensa fortuna politica e culturale, in netto declino nella seconda met del Novecento, il
materialismo storico ha in effetti costituito per gli studi storici un'esperienza o un elemento di
confronto fondamentale: non solo per l'attenzione che, in ogni tipo di indagine storica, ha insegnato
a rivolgere ai fattori economici, alle tensioni e alle lotte di classe, ma anche perch ha contribuito a
infrangere definitivamente il modello storiografico ottocentesco che vedeva nello stato l'unico
soggetto storico-politico che dava dignit e legittimit storica alle forze che agitano le societ
umane.

K. Marx, Per la critica dell'economia politica, Editori riuniti, Roma 1973; A. Labriola, La
concezione materialistica della storia, Laterza, Roma-Bari 1976; B. Croce, Materialismo storico ed
economia marxistica, Laterza, Roma-Bari 1978.
E. Cutinelli-Rndina

Potrebbero piacerti anche