Nel settecento, in campo demografico, per l’Europa iniziò una fase storica decisamente nuova, dopo la fine delle epidemie di peste, la popolazione aveva lentamente iniziato a
crescere e il fenomeno non si interruppe nemmeno nel 1800. I medici iniziarono a scoprire le cause batteriologiche di numerose malattie, tra i più importanti ci furono Pasteur e
Koch. Ci fu un graduale miglioramento delle condizioni di vita dei ceti più poveri, di conseguenza la mortalità infantile arretrò, la speranza di vita alla nascita si fece più elevata e la
popolazione aumentò di numero. All’interno di varie famiglie si notano i primi segnali di un’inedita disponibilità a limitare il numero dei figli, al fine di elevare il tenore di vita del
gruppo famigliare, uno dei grandi fattori che sostennero la crescita demografica fu proprio il calo della mortalità infantile.
nuove metropoli:
L’Europa dell’Ottocento aveva comunque una popolazione formata in prevalenza da giovani, il lavoro era carente perciò ci fu il fenomeno dell’immigrazione versi l’America. Negli
ultimi decenni del XIX, un numero sempre più crescente di persone si spostò dai piccoli centri alle grandi città, questo fenomeno fu particolarmente evidente in Germania, Berlino
divenne una metropoli enorme e modernissima. La qualità della vita materiale andò migliorando con l’illuminazione elettrica nelle case, servizi igienici più efficienti e l’acqua
corrente. Da una parte i conservatori iniziarono a proclamare che le nuove generazioni, rammollite dalle comodità, non avrebbero più voluto sopportare i disagi della vita militare.
Sul versante opposto, i timori venivano dai socialisti più estremisti, preoccupati dal fatto che, tra le masse operaie sempre più imborghesite, si sarebbe spenta qualsiasi volontà
rivoluzionaria.
i motivi economici dell'espansione coloniale: Dopo il 1870 , passato il periodo della "lunga depressione" , le grandi potenze europee avvertono la necessità di trovare nuovi territori
da cui ricavare le materie prime necessarie alla produzione delle crescenti attività industriali europee
la conferenza di berlino: A partire dall'ultimo ventennio del 1800 si instaurano profondi contrasti tra le potenze europee per il controllo dell'africa tanto che la germania , nel 1884 ,
organizza una conferenza internazionale per gli affari africani.L'atto finale proclamava la piena libertà di commercio per tutte le potenze nell'africa occidentale e affidava il congo al
belgio . Negli anni successivi tuttavia si arrivò a una vera e propria corsa alle colonie che portarono al totalitarismo da parte di francia e inghilterra dell'84% dei territori mondiali.
l'espansione inglese in africa e francese in asia: La necessità di collegarsi ai possedimenti in india spinse gli inglesi ad occupare l’egitto e il sudan definitivamente nel 1882 e
successivamente ad invadere il sud africa , vista la grande quantità di oro e diamanti.Nel frattempo la francia occupava il tonchino , la cocincina , la cambogia , il laos e l’annam cosi
da creare la colonia dell’indocina francese , colonia che rimase a lungo precaria.
la spartizione del mondo: Anche la germania non rimase a guardare e prese possesso di stati come il camerun , il togo e vasti territori dell’africa orientale e sud-occidentale.Intanto
la spagna e il portogallo , antiche superpotenze coloniali , perdevano gran parte dei territori : gli stati uniti si erano impadroniti di cuba , portorico e le filippine , antichi territori di
dominio spagnolo.Anche l’italia aveva intrapreso la corsa alle colonie provando a impadronirsi dell’etiopia , perdendo nel 1896 contro i soldati “negus” etiopi.
La Germania di Guglielmo II
il nuovo corso minimalista dell'imperatore tedesco guglielmo II: Nello scacchiere di inizio novecento la germania si preparava a diventare protagonista delle vicende mondiali : già
da fine 800 si stava notevolmente potenziando sotto il profilo economico-militare , grazie a un forte espansionismo economico e una grande aggressività coloniale.Tale
atteggiamento si inasprì ulteriormente dopo l’arrivo dell’imperatore guglielmo II che riuscì a far dimettere bismark e a cambiare i programmi economico-espansionistici di
quest’ultimo , diventando molto più aggressivo e spregiudicato e promuovendo i pensieri nazionalistici.
la rivalita' tra inghilterra e germania: Viste tali mire espansionistiche , la germania si impegnò a potenziare la sua flotta , rendendola la seconda più potente d’europa dopo quella
dell’inghilterra;anche l esercito canonico si potenziò ma in questo modo perse la fiducia e la possibile allenza con l’inghilterra e di conseguenza con la francia .
l'espansione economica tedesca: La germania cresceva di forza bellica ma cresceva ancor di più sotto il profilo economico , vista la grande competenza tecnica e la grande
quantità di materie prime a disposizione oltre a un vertiginoso incremento demografico.(la popolazione passo in 40 anni da 40 a 67 milioni)Questa serie di fattori rese in pochi anni
la germania una delle nazioni più potenti e pericolose d’europa.
l'assolutismo imperiale e il riformismo della socialdemocrazia tedesca: La grande e rapida espansione tedesca aprì anche alle proteste interne al paese , che vennero represse da
un assolutismo di base dell’imperatore o , in alcuni casi come quello della socialdemocrazia tedesca , accettate dal governo come opposizione riformistica perchè non troppo
pericolosi.
Le nuove alleanze
l'accordo fra francia e russia: Nel 1890 la germania scelse di non rinnovare l’alleanza stipulata nel 1887 con la russia e gli negò anche il prestito di fondi e manodopera necessari ai
russi per la crescita economica.Ad approfittarne fu la francia che nel 1993 stipulò un “accordo di reciproca assistenza” con i russi in campo militare e prestandoli i soldi e la
manodopera a loro necessaria.La nascita di questo patto combinato con la triplice alleanza tra germania , italia e austria contribuì a dividere l’europa in due blocchi contrapposti che
porteranno nel giro di pochi anni alla germania a trovarsi pressochè sola in mezzo ai nemici.
la risoluzione delle conflittualita' tra francia e inghilterra: Dopo la guerra vicina a fashoda , francia e inghilterra si riavvicinarono e nel 1904 si arrivò a un “intesa cordiale” , che non
era ancora un alleanza , ma un patto sotto il profilo politico. Questa intesa, insieme a quella con il giappone nel 1902 fecero uscire l’inghilterra dal grande isolamento che persisteva
dall’età vittoriana e l’avvicinava ai rapporti intrerni europei , mentre la germania si muoveva nel verso opposto , con un crescente isolamento dato da una forte credenza nei propri
mezzi militari e ai sempre più forti pensieri razzisti e nazionalistici che prendevano piede nella popolazione.
Negli ultimi decenni del secolo XIX e nel primo del XX, lo sviluppo industriale raggiunse la sua piena maturità, tanto che si è potuto parlare di una “seconda rivoluzione industriale”
diversa dalla prima, quella iniziata in Inghilterra nella seconda metà del secolo XVIII.
Della seconda rivoluzione più rapidi furono gli effetti, più prodigiosi i risultati che determinarono una trasformazione decisiva nella vita e nelle prospettive dell’uomo. Essa fu
caratterizzata dall’espansione dell’economia capitalistica nei continenti africano ed asiatico, dal prevalere dell’industria pesante (metallurgica e meccanica) su quella leggera, dal
concentrarsi di masse umane nelle grandi città, dalla diffusione di nuovi materiali (acciaio e gomma) e di nuove fonti di energia (petrolio ed elettricità). La produzione su scala
mondiale si impennò vertiginosamente.
Innovazioni Seconda Rivoluzione Industriale:
1
Lo sviluppo industriale fu sostenuto anche questa volta da invenzioni scientifiche e da processi tecnologici che consentirono un migliore sfruttamento delle materie prime ed una più
elevata resa della produzione. Nel campo della metallurgia il “convertitore” sperimentato nel 1879 da Thomas consentì un notevole risparmio di tempi e di costi nel processo di
trasformazione in acciaio dei materiali ferrosi.
La turbina a vapore progettata negli anni Ottanta in Inghilterra e in Svezia rivoluzionò le vecchie macchine a vapore rendendo possibili notevoli risparmi nelle spese e nei
rifornimenti di combustibile. Un largo impiego di elettricità, quale fonte di energia meccanica, poté essere ottenuto con la costruzione di potenti centrali idroelettriche. L’introduzione
dell’elettricità nei più diversi settori produttivi portò profondi mutamenti nell’economia dei singoli paesi e rinnovò molti procedimenti tecnici.
L’invenzione della lampada a filamento di carbone, dovuta all’americano Edison (1879), rese possibile l’illuminazione elettrica delle grandi città nelle quali, gradatamente venne
eliminata l’illuminazione a gas che pure era sembrata, qualche decennio prima, un’importante simbolo di modernità. Anche l’industria chimica realizzò un rapido sviluppo con
l’invenzione di nuove procedure nei campi dei coloranti, dei concimi artificiali, degli esplosivi, dei medicinali.
Il “sistema di fabbrica“, per usare un’espressione che si diffuse verso la metà del secolo, decollò decisamente quando cominciò a diffondersi il “sistema industriale americano”,
celebrato nell‘Esposizione di Londra del 1851. Si trattava d’un largo ricorso alle catene di montaggio ed ai supporti elettromeccanici nelle diverse fasi lavorative della costruzione e
dell’assemblaggio, ma soprattutto si avanzava l’esigenza di razionalizzare i gesti dell’operaio secondo cadenze attentamente studiate.
Industrializzazione e imperialismo
L’imperialismo costituisce l’altra faccia del processo di industrializzazione. Infatti esso diede inizio ad una corsa sfrenata all’accaparramento delle terre africane ed asiatiche rimaste
ancora immuni dalla penetrazione europea. Il pianeta fu funestato, ancora una volta, da una serie di conflitti, di scontri, di imprese militari, ma il nuovo colonialismo si rivelò
profondamente diverso da quello dei secoli precedenti: esso seppe organizzare il mondo secondo aree economiche e strategiche funzionali alle grandi concentrazioni di capitali. Gli
Stati industrializzati furono sollecitati a controllare nuovi mercati e soprattutto a impiantare, anche in territori lontani, centri di produzione e di trasformazione.
Nel giro di pochi anni (1881-1886) quasi tutta l’Africa fu assoggettata dalle potenze europee. Nel 1902 non vi erano più “spazi vuoti” nel mondo. Comunque gli imperialisti, insieme
a quanto di negativo hanno riversato nel mondo, hanno forse involontariamente, trasferito le idee positive della loro civiltà, quelle di democrazia, libertà, fraternità, eguaglianza,
destinate ad esercitare un effetto profondo sulla storia successiva perché hanno condotto i popoli assoggettati alla rivolta contro l’imperialismo stesso.
Nell’ultimo quarto del XIX secolo crebbe il numero delle grandissime imprese che stroncarono molte aziende minori. Gruppi di capitalisti riuscivano a porre sotto il proprio controllo
una parte notevole della produzione nei settori di rispettiva competenza. C’è quindi la nascita del monopolio che è l’accentramento del mercato nelle mani d’un solo operatore.
Seconda Rivoluzione Industriale e Capitalismo
I legami tra le banche e il capitale industriale divennero sempre più stretti; la fusione del capitale bancario con quello industriale creò un nuovo protagonista della storia
contemporanea: il “capitale finanziario“. Un gruppo relativamente piccolo ha concentrato nelle sue mani il controllo sopra la maggior parte del sistema economico, e domina tutte le
altre parti della popolazione. Il nuovo capitalismo finanziario esporta capitali ed investe nelle aree sotto sviluppate dell’intero pianeta, là dove i capitali sono scarsi ed abbonda,
invece, la mano d’opera che può essere retribuita con bassi salari.
LO SCENARIO EXTRAEUROPEO
2
Il sistema bancario non era in grado di far fronte alle esigenze dello sviluppo industriale. Questa fu una delle ragioni del ruolo importante svolto dallo Stato nello sviluppo economico
russo. Poiché lo sviluppo del capitalismo in Russia fu strettamente diretto dallo Stato e da esso dipendente, la sua autonomia dalla sfera politica fu molto limitata.
Debolezza della borghesia
Questi tratti peculiari produssero una borghesia debole e incapace di affermarsi come classe dirigente, una parte della quale era succube dell’aristocrazia e della burocrazia zarista.
Di conseguenza essa non fu in grado di realizzare la creazione di uno Stato moderno, di riforme e di istituzioni democratiche.
Immobilismo istituzionale
Sul piano politico la Russia era infatti ancora una monarchia assoluta e autocratica, in cui il potere era concentrato nelle mani dello Zar.Il regime autocratico zarista conservava
immutate le proprie caratteristiche oppressive e qualsiasi riforma, per quanto modesta, innescava fortissime resistenze e viceversa forme di protesta radicale contro il potere che
assumevano tratti rivoluzionari.
I partiti di opposizione.
Nonostante le dure repressioni messe in atto dal regime assoluto, si erano formati partiti politici di opposizione, che però generalmente erano costretti alla clandestinità. I principali
partiti erano:
il Partito costituzionale democratico (Partito cadetto), di orientamento liberale, che voleva trasformare la Russia in una monarchia costituzionale;
il Partito socialista rivoluzionario, che rappresentava in particolare il mondo contadino e che proponeva la costruzione di una società egualitaria, a partire dalla
distribuzione delle terre ai contadini, evitando lo sviluppo dell’industrializzazione capitalistica;
il Partito socialdemocratico, di orientamento marxista, che facendo leva sulla classe operaia, che si stava sviluppando in seguito allo sviluppo industriale, si
proponeva come obiettivo una rivoluzione socialista.
Bolscevichi e menscevichi
Quest’ultimo partito si divise nel 1903 in due correnti, bolscevichi (maggioranza) e menscevichi (minoranza).
I bolscevichi, pur ammettendo l’arretratezza della Russia, pensavano che solo la presa del potere da parte della classe operaia avrebbe potuto realizzare una
rivoluzione conseguente, perché la borghesia russa si mostrava troppo debole e incapace di un radicale rinnovamento. I bolscevichi pensavano, inoltre, che la
rivoluzione in Russia, anello debole tra gli stati europei, avrebbe potuto innescare la rivoluzione nei paesi della più sviluppata Europa. Per i bolscevichi il partito
doveva essere costituito di “rivoluzionari di professione”, avanguardia lucida e consapevole della classe operaia, che altrimenti sarebbe stata incapace di uno
sbocco rivoluzionario in modo spontaneo.
I menscevichi ritenevano la Russia immatura economicamente e culturalmente per una trasformazione socialista, per cui ritenevano che nell’immediato fosse
necessario puntare su una rivoluzione democratico-borghese, rinviando l’obiettivo del socialismo a una fase successiva. Essi, inoltre ritenevano che si dovesse
costruire un partito “di massa”, che mirasse a raccogliere consensi in vista della partecipazione alle elezioni.
Rivoluzione russa
La rivoluzione fu figlia della Prima Guerra mondiale, che fece esplodere la crisi della società russa con un impoverimento estremo. Prima della rivoluzione c’era stata una monarchia
autocratica fino al 1905 (governo concentrato nelle mani dello ZAR). Nel 1905 lo Zar Nicola II dopo un’insurrezione popolare concesse la costituzione, ma il sistema politico era
molto instabile, dunque concesse anche tre DUME (assemblee nazionali); le prime due dopo poco vennero sciolte dallo zar perché troppo democratiche, mentre la terza manifestò
tendenze conservatrici e durò più a lungo. La società era molto complessa, poiché costituita in maggior numero dai contadini, mentre gli industriali erano in minoranza, essendo
l’industrializzazione diffusa solo nelle grandi città o nella Russia occidentale. Politicamente vi erano tre diversi partiti:
1. Partito socialdemocratico , costituito dai Marxisti, quindi Menscevichi e Bolscevichi. I bolscevichi, maggioranza di impronta massimalista, erano capeggiati da
Lenin, che propugnava un partito di quadri (=attivisti) che avrebbe dovuto guidare le masse proletarie alla rivoluzione e credevano che non ci dovesse essere
nessuna collaborazione con i borghesi in favore di un potere del popolo. I menscevichi minoritari erano rivoluzionari, che però erano consapevoli del fatto che la
Russia non possedeva ancora la forza per una rivoluzione di popolo, la quale avrebbe portato solo scompiglio. Credono invece in una RIFROMA GRADUALE
DELLA SOCIETA’, per adesso si può collaborare con i borghesi, non è plausibile attuare una rivoluzione adesso: la storia deve maturare, poiché solo così si
può raggiungere la coscienza di classe, necessaria per la rivoluzione, che la massa contadina, che rappresentava la maggioranza della Russia, non aveva, a
differenza delle masse operaie. Masse contadine-masse operaie per Marx; non fa una distinzione, il contadino vive in una condizione che non è quella
dell’operaio à quando i contadini si renderanno conto che la forza lavoro è anche politica, si ribelleranno. È necessaria dunque, un’industrializzazione, in
collaborazione con la borghesia. Lenin rimane convinto che bisogna sfruttare il momento di debolezza dello zarismo, considerato ormai incapace di interpretare
il sentire di molti stati della Russia.
2. Partito socialrivoluzionario , diffuso soprattutto nelle campagne, base sociale contadini, intento valorizzare la tradizione agraria dal momento che la Russia
aveva una connotazione economica perlopiù rurale. Nato dal movimento rivoluzionario POPULISTA, i populisti cercavano di educare i contadini per migliorare il
loro stato. Partito appoggiava riforma agraria, collettivizzazione delle terre.
3. Partito costituzionale democratico nato 1905, aveva lottato per ottenere la costituzione. Era formato soprattutto da borghesi e intellettuali, voleva avvicinare
sistema politico russo a europei. Si discostava dall’idea di governo del popolo, alla base liberalità a favore dell’industrializzazione.
Rivoluzione di febbraio del 1917 aveva di fatto abbattuto lo zarismo, così da segnare le dimissioni e la fuga di Nicola II. Si formò un governo provvisorio costituito da cadetti
(borghesi e intellettuali), socialrivoluzionari e menscevichi, guidato dal principe L’vov. Bolscevichi unici che continuavano a sostenere che la rivoluzione dovesse procedere,
vengono appoggiati dai soviet (gruppi di operai e contadini) poiché avevano un piano di reale riforma sociale e dai soldati, poiché la guerra promossa dal governo provvisorio era
considerata uno strumento di guadagno dei ricchi. Fronte interno implode. Organizzano un contropotere diffuso essenzialmente nelle città. (rivoluzione sancisce fine dinastia
Romanov, segna inizio prima democrazia, aveva forte carattere religioso, dopo tre anni di guerra Russia fortemente stremata, per instabilità politica c’era rischio di colpo di stato
che riportasse autocrazia zarista, rivolte operai giungono a punto di svolta quando anche soldati si ribellano, alba rivoluzione socialista mondiale)
Il governo provvisorio prese dei provvedimenti progressisti
1. Libertà di parola, di stampa, di associazione politica
2. Abolizione della pena di morte
3
3. Decide inoltre di proseguire la guerra: uscire prima avrebbe comportato talmente tante rinunce e l’alienazione da Francia e Inghilterra che era meglio continuare.
I socialdemocratici bolscevichi sempre più popolari nei soviet tendevano a screditare il governo e proponevano una rivoluzione armata per rovesciarlo. Lenin sostiene le tesi di
aprile (contraddiceva idea di Marx, per cui rivoluzione doveva passare attraverso fase borghese, “discorso menscevichi”):
1. Tutto il potere ai soviet , si oppone al governo provvisorio: il potere reale devono averlo i soviet perché lo zarismo è stato abbattuto e dobbiamo portare avanti la
causa perché il potere deve andare a noi (doppio potere, governo ceto borghese, soviet masse)
2. Terra ai contadini (per accattivarsi base sociale sei socialrivoluzionari)
3. Uscita immediata dalla guerra, infatti rifiutava il modello capitalistico (Francia e Inghilterra).
Per cercare di fronteggiare i contrasti tra governo e soviet, primi di lunglio tentativo di colpo di stato bolscevico, capi vengono arrestati, lenin scappa in svizzera, si formò un nuovo
governo guidato da Kerensky, socialrivoluzionario e membro del soviet di Pietrogrado, più di sinistra rispetto a L’vov.
Già agli inizi di settembre, però, il governo dovette subire il tentativo di colpo di stato dalle destre zariste antirivoluzionarie, che erano dei quadri dell’esercito guidati dal comandante
Kornilov, deciso a instaurare una dittatura militare. Tale tentativo fu sventato grazie soprattutto ai bolscevichi, che mobilitarono operai e soldati. Ciò accrebbe la loro popolarità,
tanto che Lenin approfittò della situazione per organizzare a sua volta un colpo di stato. Egli sapeva che la coscienza di classe sarebbe stata indotta gradualmente
dall’INTELLIGHENTIA, cioè dall’alto, poiché c’era consapevolezza della propria fondamentalità. Il 24-25 Ottobre (poco dopo Caporetto) i bolscevichi assaltano il Palazzo d’Inverno
e rovesciano senza spargimento di sangue il governo Kerensky. A questo punto Lenin costituisce un governo rivoluzionario bolscevico: CONSIGLIO DEI COMMISSARI DEL
POPOLO, il cui capo era Lenin e vi facevano parte anche Trockij e Stalin. Per il mese successivo vengono indette delle elezioni a suffragio universale, anche femminile. Nel mentre
il Consiglio dei Commissari del popolo attua dei provvedimenti verso una democratizzazione:
Decreto sulla terra: abolisce proprietà privata, immediata distribuzione, senza alcun risarcimento, delle terre ai contadini privi di terra.
Decreto sulla pace: proposta a tutti i belligeranti di aprire immediate trattative per una pace “giusta e democratica”
Sostituzione del vecchio sistema giudiziario con tribunali del popoloSostituzione della polizia con una milizia composta perlopiù di operai
Separazione tra Stato e Chiesa
Introduzione del matrimonio civile, con uguali diritti per entrambi i coniugi, e del divorzio
Introduzione della parità di diritti tra uomo e donna
Riduzione della giornata lavorativa a otto ore
Cancellazione, nell’esercito, delle differenze di trattamento fra soldati e ufficiali
Sul fronte dell’economia, nazionalizzazione di tutte le banche private
Alle elezioni però il partito di Lenin ottiene solo ¼ dei voti e hanno la meglio i socialrivoluzionari, con grande successo nelle campagne. Infatti, manca effettivamente la coscienza
politica dei contadini, che non conoscono la situazione politica. Il giorno dopo l’insediamento dell’Assemblea, i Commissari del popolo insieme alle truppe rosse la sciolgono. La
“giustificazione” di Lenin è che il popolo, non avendo di fatto coscienza politica, non comprende ciò che è vantaggioso. Lenin insediandosi al potere con solo ¼ dei consensi
necessita della forza per il potere senza maggioranza, dunque attua un colpo di stato.
Scoppia guerra civile, Trotskij organizza armata rossa, paesi europei temevano il dilagare del socialismo e del comunismo appoggiano armata bianca.
1919 KOMINTERN, Internazionale comunista che doveva riunire forze di tutti i comuniati Socialisti in comunisti
Accettare direttive dell’URSS
Il 3 marzo 1918 con la “Pace di Brest-Litovsk” la Russia è praticamente sconfitta: perde territori fra la Bielorussia e il Caucaso, deve rinunciare alla Finlandia, ai Paesi Baltici,
all’Ucraina (grande produttrice di grano), dunque si trova in grandi difficoltà economiche. L’umiliante pace di Brest-Litovsk e la repressione delle opposizioni alimentarono le forze
contrarie ai comunisti. Il pericolo maggiore derivava:
- Dalle ARMATE BIANCHE, controrivoluzionarie e rimaste fedeli allo zar
- Dagli eserciti degli ex alleati inglesi, poiché avevano una logica borghese, capitalista e francesi, che avevano definito la Russia traditrice, dal momento che con la chiusura del
fronte orientale, i tedeschi si erano spostati in occidente e a sud
Per evitare la diffusione del comunismo, con il quale i borghesi avrebbero perso il potere. Trockij organizza l’Armata Rossa: ci furono quattro anni di guerra durissima, vinta dai
comunisti grazie all’appoggio dei contadini e alla ferrea disciplina.
Solo dagli anni 20 si parlerà di Unione Sovietica e non più di Russia.
Si avvia a diventare grande potenza economica, c’è massiccio incremento demografico, investimenti sulle infrastrutture, formazione grande mercato interno, indebolimento piccole
e medie imprese, affermazione grandi corporations (monopolizzano settori strategici dell’economia come acciaio e petrolio). Governo interviene con norme antitrust per agevolare
libero scambio commerciale, emanato Sherman Act da theodore Roosevelt, smantellata Standard Oil di Rockfeller.
Sorgono organizzazioni sindacali che si dovettero scontrare con mondo patronale non incline a concessioni verso i lavoratori, nascono conflitti sociali. Impatto azione sindacale
limitato per fermezza stato patronale che respingeva richieste dei lavoratori ma anche per divisioni tra diversi sindacati.
Fine dottrina Monroe (1823), fine isolazionismo per bisogno di trovare nuovi mercati per prodotti agricoli e industriali. 1904 corollario Roosevelt, scelta imperialista ma diversa dalle
iniziative di tipo coloniale sul modello europeo, preferirono creare zone di influenza in paesi considerati vitali per sicurezza e commercio nazionali (neocolonialismo).
Spagna doveva combattere contro ribelli Cubani in rivolta contro governo spagnolo per chiedere indipendenza. 1898 Usa con pretesto di aiutare ribelli cubani dichiararono guerra
alla spagna, cuba ottiene indipendenza ma va sotto tutela degli Stati Uniti, che poi conquistano altre colonie spagnole e arcipelaghi del pacifico.
Uguale a Panama, provincia della Colombia (Usa volevano costruire un canale che attraversasse l’istmo di Panama, governo cubano diede assenzio poi cambia idea) americani
fomentarono rivolta dei panamensi contro il governo) 1903 Panama ottenne indipendenza da Colombia, passò sotto la tutela degli Usa.
L'Italia di Giolitti
I moti popolari
L'Ottocento si chiuse con la società italiana in pieno fermento. L'aumento del prezzo del pane dovuto alla penuria del grano sui mercati europei catalizzò il disagio della popolazione
per le precarie condizioni di vita a cui era costretta. In diverse parti del Paese, a partire dalla Romagna e dalla Puglia, scoppiarono sommosse che si estesero anche ai maggiori
centri urbani. Per contrastare il fenomeno il governo dichiarò lo stato di assedio a Milano, a Napoli e in Toscana, ma questo non bastò a sedare del tutto le rivolte. A maggio le
truppe del Regio Esercito comandate dal generale Fiorenzo Bava Beccaris aprirono il fuoco con i moschetti e i cannoni contro la folla che protestava uccidendo decine di persone e
ferendone centinaia.
Il ministero di Luigi Pelloux (29 giugno 1898 - 14 maggio 1899 e 14 maggio 1899 – 24 giugno 1900) tentò di proseguire con la politica repressiva iniziata dal suo predecessore
(Antonio di Rudinì) ma fu costretto a rinunciare per un forte ostruzionismo delle forze progressiste sia in parlamento che nella società civile.
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Nei primi anni del secolo gli orientamenti politici del Governo presero altre direzioni. Salito al trono Vittorio Emanuele III dopo l'uccisione, a Monza, del padre Umberto I ad opera
dell'anarchico Gaetano Bresci, il sovrano prese atto che la repressione invece di fiaccare le forze della sinistra le aveva ricompattate e, pertanto, decise di affidare la direzione dello
Stato a personaggi più disponibili al dialogo. Con i ministeri di Giuseppe Zanardelli (15 febbraio 1901 – 3 novembre 1903) e, soprattutto, di Giovanni Giolitti (3 novembre 1903 – 12
marzo 1905) venne inaugurata una stagione di aperture e di riforme che durò fino alla prima guerra mondiale e che permise all'Italia di vivere la prima e vera fase di sviluppo
sociale ed economico della sua storia.
Giovanni Giolitti
Il protagonista principale di questo momento fu senza dubbio Giolitti. Lo statista piemontese, un uomo formatosi nell'amministrazione dello Stato di cui, pertanto, conosceva tutti i
segreti, era un deciso fautore del coinvolgimento dei socialisti riformisti nel dibattito politico di governo. Riteneva questo passo necessario per una precisa scelta strategica: in primo
luogo tale coinvolgimento, poteva rappresentare un tentativo di dividere il fronte progressista, isolando l'estrema sinistra e gli anarchici dalla compagine riformista di Turati, e in
questo modo, dare la possibilità a settori della società italiana fino ad allora esclusi dal dibattito politico di dare il loro contributo al suo programma riformista che riteneva necessario
per la modernizzazione della società e lo sviluppo economico del Paese.
Giovanni Giolitti si mosse sempre in questa direzione, nonostante il rifiuto di Turati di entrare a far parte della compagine governativa. Certo, il suo percorso non fu sempre lineare e
orientato a sinistra, ma, nonostante questo, negli anni in cui fu in grado di esprimere il suo protagonismo politico si assistette ad una parziale normalizzazione dei rapporti
commerciali con la Francia, ad un sostanziale miglioramento delle condizioni lavorative degli operai e dei braccianti grazie alla sostanziale non ingerenza dello stato nei conflitti
sindacali, all'approvazione delle leggi speciali per Napoli e per la Basilicata nel 1904, alla riuscita nazionalizzazione delle ferrovie avvenuta nel 1905 (1).
Dal punto di vista sociale furono, infine, di fondamentale importanza l'allargamento, portato a compimento nel 1912, del suffragio elettorale a tutti gli uomini di almeno trent'anni o ai
maggiorenni alfabetizzati o che avessero compiuto il servizio militare e, sempre nello stesso anno, l'introduzione del monopolio statale nel settore delle assicurazioni sulla vita che
consentiva di sostenere una forma rudimentale di stato sociale.
Lo sviluppo economico e la guerra di Libia
Grazie a questa politica, nei primi anni del '900, l'Italia fu in grado di consolidare un deciso sviluppo economico ed industriale che beneficiò in primo luogo la siderurgia e, a seguire,
l'industria tessile, la meccanica e la chimica mentre nel settore bancario si assistette alla nascita della Banca Commerciale Italiana e al Credito Italiano. La spinta decisiva alla
crescita fu data, tuttavia, data dal settore energetico. In quegli anni si assistette al massiccio sviluppo dell'energia idroelettrica che fu in grado di sostenere la produzione industriale
nonostante la cronica carenza, in Italia, di materie prime.
Un contributo importante al miglioramento economico del paese venne anche dalla massiccia emigrazione dei suoi sudditi. Può sembrare una contraddizione, ma l'espatrio di
centinaia di migliaia di persone dirette, per lo più, verso mete transoceaniche (2) assicurò una diminuzione reale della pressione sociale da parte delle classi popolari a cui fece
riscontro un deciso aumento delle rimesse monetarie degli emigrati che contribuirono a migliorare le condizioni economiche di vasti strati della popolazione rurale.
In politica estera Giolitti, come si è detto, perseguì un sostanziale riavvicinamento alla Francia senza, tuttavia, mettere in discussione il trattato della Triplice alleanza, ma fu nel
Mediterraneo che lo statista esplicitò le sue vere intenzioni. Spinto dalla crescita di un deciso movimento nazionalista e dalle pressioni di importanti settori economici (3), Giolitti per
assicurare la stabilità interna e al suo governo, decise di dichiarare guerra all'Impero ottomano e di invadere la Libia (ottobre 1911). Il conflitto fu iniziato con la convinzione di facili
conquiste ma in pochi giorni l'operazione si rivelò essere molto più difficile del previsto a causa della decisa resistenza delle popolazioni arabe e della guarnigione turca.
La guerra si protrasse fino all'ottobre del 1912, data in cui fu firmata la pace di Losanna tra Roma e Costantinopoli, dopo che la Regia Marina aveva esteso il conflitto allo
scacchiere egeo con la conquista delle isole delle Sporadi meridionali o Dodecaneso.
PRIMA GUERRA MONDIALE
CONGRESSO DI BERLINO
L’analisi delle cause che portarono allo scoppio della prima guerra mondiale parte dal 1875 quando nelle due province della Bosnia e della Erzegovina i contadini cristiani si
ribellarono contro i grandi proprietari terrieri musulmani e la Serbia e il Montenegro intervennero a favore dei ribelli, ma furono sconfitti dall’esercito turco. A quel punto intervenne
nel conflitto anche l’impero zarista per sostenere le due nazioni slave sperando di poter allargare la propria influenza nella regione balcanica. L’esercito russo riuscì a sbaragliare i
turchi e così il sultano di Istanbul fu costretto ad accettare la pace di Santo Stefano. Il trattato prevedeva la nascita di un vasto stato della Bulgaria, l’equilibrio politico internazionale
sarebbe cambiato in modo profondo a vantaggio dell’impero zarista. Inghilterra e Austria-Ungheria protestarono immediatamente e minacciarono di muovere guerra alla Russia. La
crisi trovò pacifica composizione per mezzo del cosiddetto congresso di Berlino: alla Russia fu imposto di rinunciare alla grande Bulgaria prevista dalla pace di Santo Stefano e
l’Austria-Ungheria e l’Inghilterra ottennero importanti concessioni: la prima poté occupare la Bosnia Erzegovina, mentre la seconda richiese per sé l’isola di Cipro.
Al congresso Bismark, timoroso di un eccessivo rafforzamento Russo, non agì da mediatore imparziale, ma sostenne le posizioni all’interessi dell’Austria-Ungheria e dell’Inghilterra.
IL PIANO SCHLIEFFEN
A partire dalla metà degli anni 90, la Germania del Keiser Guglielmo Secondo, si sentì sempre più accerchiata, cioè si trovava di fronte alla prospettiva di una guerra su due fronti:
nel caso in cui il conflitto con la Francia fosse ripreso, l’impero tedesco sarebbe stato attaccato anche a oriente dall’esercito russo, perciò non si sapeva come combattere due
avversari contemporaneamente. La soluzione venne trovata dal generale Alfred von Schlieffen il quale elaborò un piano al tempo stesso cinico e geniale. Il ragionamento partiva
dalla constatazione che, mentre le ferrovie tedesche erano modernissime deficienti, il sistema di trasporto russo era ancora carente, prima che tutte le forze russe potessero essere
davvero portate al fronte e impiegate contro la Germania, sarebbe passato un intervallo di tempo che l’impero tedesco avrebbe potuto sfruttare per concentrare tutte le proprie
energie a ovest, contro la Francia. Era necessario compiere una mossa in attesa, che cogliesse di sorpresa i francesi i quali avrebbero cercato innanzitutto di liberare l’Alsazia-
Lorena. Le truppe vennero perciò disposte nel seguente modo: Sul fronte russo e in Alsazia-Lorena bastava dislocare dei contingenti di piccole entità con funzioni puramente
difensive; la massa d’urto dell’esercito germanico, avrebbe dovuto essere concentrata più a nord e puntare direttamente su Parigi dopo aver attraversato il Belgio. In questo modo i
francesi sarebbero stati presi di sorpresa e L’ Esercito tedesco sarebbe stato velocemente trasportato tramite le ferrovie sul fronte opposto per sconfiggere i russi.
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nuovissima concezione, le cosiddette dreadnoughs. La Germania iniziò a produrre corazzate simili a quelle inglesi, il risultato inevitabile della decisione tedesca di procedere al
riarmo navale fu il progressivo avvicinamento
dell’Inghilterra ai nemici della Germania, l’Inghilterra non stipulo alcun militare vincolante accordo né con la Francia né con la Russia, ma con esse era ormai giunta ad un’intesa.
LA POLVERIERA BALCANICA
Tra i principali elementi di perturbazione vi era il regno di Serbia, che aveva ottenuto la piena indipendenza al congresso di Berlino e desiderava allargare i propri confini. Nel 1902
Italia Francia trovarono un accordo ragionevole e vantaggioso per entrambe: in caso di occupazione francese del
Marocco, la potenza transalpina non avrebbe posto alcun ostacolo a una dominazione italiana in Libia. La Serbia si alleò con il Montenegro, la Grecia e la Bulgaria uniti nella lega
balcanica, questi paesi attaccarono a loro volta l’impero ottomano che fu pesantemente sconfitto nella prima delle due guerre balcaniche. La Serbia vittoriosa conquistò il Kosovo, I
kosovari albanesi furono eliminati a centinaia, ci fu una chiara pulizia etnica. Austria-Ungheria e Italia negarono a Belgrado l’accesso al mare e istituirono il piccolo stato dell’Albania
che si frappose tra la Serbia e l’Adriatico, questo gesto irritò profondamente la Serbia, i cui rapporti con l’Austria-Ungheria si fecero sempre più tesi.
L’ATTENTATO DI SARAJEVO
Il 28 giugno 1914, a Sarajevo un terrorista serbo-bosniaco uccise a colpi di pistola l’arciduca Francesco Ferdinando d’ Asburgo. L’uccisione dell’arciduca austriaco avrebbe dovuto
significare, secondo i terroristi, l’inizio del riscatto degli slavi del sud dalla dominazione straniera. La giovane Bosnia aveva stretti legami con un’altra associazione nazionalista
denominata unione o morte. Il governo austro-ungarico si convinse immediatamente che la responsabilità dell’accaduto dovesse ricadere interamente sullo Stato serbo, a causa del
suo atteggiamento anti austriaco e nazionalista. Inoltre il governo di Vienna si orientò subito nella direzione di una risposta forte. Prima di compiere la mossa che avrebbe potuto
provocare l’inizio delle ostilità, il governo imperiale si consultò con quello tedesco, che assicurò all’Austria Ungheria il suo completo sostegno in caso di intervento russo.
LA COMUNITÀ NAZIONALE
Il keiser Guglielmo II coniò uno slogan estremamente efficace: “non vedo più partiti. Vedo solo tedeschi“. L’imperatore dava voce a un’idea piuttosto diffusa in Germania e condivisa
da molti protagonisti di quelle giornate, lo scoppio della guerra generò una sorta di miracolo emotivo, i tedeschi si percepirono come una realtà omogenea, chiamata a combattere
una comune battaglia e ad affrontare un comune destino. Il partito nazista si sforzerà di ricreare in continuazione quell’atmosfera satura di entusiasmo patriottico e spiritualità
nazionale. Le grandi parate e le maestose liturgie di massa svolgeranno proprio questa funzione aggregante. La frase sopra citata è poi significativa perché di fatto poteva anche
essere interpretata come un rifiuto del
parlamentarismo, della democrazia e del principio liberale dell’inviolabilità dei diritti dell’uomo; la programmazione della fine dei partiti in effetti poteva aprire la strada al principio
secondo cui tutti i tedeschi dovevano rinunciare ogni Forma di partecipazione politica, affidandosi alla guida di un unico leader.
LA GUERRA DI TRINCEA
Dall’autunno 1914 la linea del fronte, in Francia, per quattro anni non subì alcun cambiamento significativo, una simile situazione di stallo era provocata dalle nuove armi moderne a
disposizione di entrambi gli eserciti; oltre ai cannoni di grosso calibro occorre ricordare la mitragliatrice. Oltretutto non va dimenticato che davanti alle trincee furono stese linee di
sbarramento utilizzando il filo spinato. La capacità difensiva di ogni esercito, nella prima guerra mondiale, era infinitamente superiore alla sua capacità di attacco e di penetrazione.
Neppure l’introduzione di nuove armi riuscì a spezzare la situazione di stallo, senza dubbio va ricordato al primo posto il gas, l’effetto della nuova arma fu devastante ma ben presto
ci si accorse che il gas era ben poco affidabile, poteva essere molto pericoloso anche per chi lo lanciava.
LA GUERRA DI LOGORAMENTO
All’inizio dello scontro, nessuno dei contendenti aveva previsto che la guerra sarebbe stata così esigente e costosa. Già nell’autunno del primo anno di guerra emerse con
chiarezza che la vittoria sarebbe stata ottenuta da che fosse stato capace di reggere a tempo indeterminato i costi. La prima guerra mondiale assunse i contorni di una guerra di
logoramento, che vedeva contrapposti non solo due eserciti, bensì due apparati produttivi o meglio due sistemi sociali impegnati a garantire agli eserciti le risorse umane materiali
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indispensabili per continuare a combattere. La prima guerra mondiale fu davvero un conflitto di massa nel senso che portò al fronte una quantità di uomini impensabile in qualsiasi
epoca del passato. A partire dall’estate 1914 la marina britannica istituì un rigido blocco navale finalizzato a paralizzare il commercio di importazione tedesco. Il primo a rendersi
conto della necessità di procedere a un radicale riorganizzazione dell’economia tedesca fu l’industriale Walter Rathenau, che nell’agosto 1914 sollecitò presso il Keiser l’istituzione
di un ministero per le materie prime, finalizzato a requisire e a distribuire in modo programmato dall’alto le scorte di materie prime indispensabili in Germania. L’importanza storica
dell’esperimento è fondamentale, egli introdusse una rigorosa pianificazione in tutti gli ambiti e settori vitali dell’economia nazionale decretando la fine del modello liberista.
LA GUERRA SOTTOMARINA
La soluzione al problema della carenza di nitrato di potassio venne trovata facendo ricorso alle più recenti scoperte dell’industria chimica tedesca che aveva già individuato il modo
di ricavare azoto nell’atmosfera. Nel giugno 1916 la grande flotta da guerra tedesca si scontrò con quella britannica nel largo della costa dello Jütland. La Germania intraprese la
cosiddetta guerra sottomarina che sul piano militare si rivelò la più efficace risposta tedesca al blocco navale britannico. I sommergibili germanici procedettero nel sistematico
siluramento di tutte le navi che dislocavano l’Atlantico e il mare del Nord: l’obiettivo era quello di arrestare l’afflusso di materie prime e di derrate alimentari dirette Inghilterra. Dal 24
maggio in avanti però la situazione cominciò a mutare in quanto venne adottato il cosiddetto sistema dei convogli; le navi mercantili da allora non attraversarono più l’Atlantico da
sole ma in gruppo ben protette dalla marina di guerra. Su entrambi i fronti la prima guerra mondiale si stava orientando decisamente nella direzione della guerra totale che non fa
più differenza tra civili e militari in quanto la distruzione dell’apparato produttivo del nemico è importante quanto una vittoria sul campo.
RIVOLTE E AMMUTINAMENTI
Ma mano che la guerra di logoramento esigeva sempre costi più elevati il malcontento divenne sempre più acuto sia tra i soldati al fronte sia tra la popolazione stanca dell’aumento
dei prezzi. La situazione subì una repentina impennata nel 1917 che non a caso fu l’anno decisivo del conflitto. A Berlino gli operai scesero in sciopero e 30.000 soldati francesi
abbandonarono le trincee. A Missy aux Bois In Piccardia, un reggimento di fanteria si impadronì della città e proclamò di voler dare vita a una specie di contro-governo che avrebbe
posto fine alla guerra. Quando le autorità militari francesi si mossero per porre fine all’ammutinamento si resero conto di dover dosare con estrema intelligenza repressione
inflessibile e interventi finalizzati a migliorare le condizioni di vita dei soldati sul fronte.
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Il partito di coloro che erano favorevoli all’intervento non era meno composito ed eterogeneo di quello dei naturalisti. Esso comprendeva intellettuali democratici come Gaetano
Salvemini e Cesare battisti, la guerra andava considerata come il compimento del processo di unificazione nazionale. A loro giudizio questo nuovo risorgimento avrebbe dovuto
caratterizzarsi per una presenza popolare ben più massiccia significativa, che avrebbe infine generato un complessivo rinnovamento, in senso democratico, dell’intero assetto
politico italiano. Una vittoria della Germania avrebbe comportato il trionfo del militarismo e dell’autoritarismo. I socialisti rivoluzionari intuirono che la partecipazione al conflitto di
dimensioni così vaste avrebbe logorato le strutture sociali e politiche del paese, generando così posizioni ideali per una sollevazione di tipo rivoluzionario. Su posizioni simili si
schierò anche Benito Mussolini che il 15 novembre 1914 diede vita nuovo quotidiano “Il Popolo d’Italia”.
I NAZIONALISTI
I più accesi sostenitori dell’intervento erano i nazionalisti. Il movimento era stato fondato dallo scrittore Enrico Corradini. Sul piano teorico, l’intuizione più originale di Corradini era
stata quella di adottare una terminologia di tipo marxista, strumentalizzandola per i propri fini. La vittoria nella grande competizione tra le nazioni, tutta via, Secondo Corradini
esigeva alcune importanti modifiche dell’assetto sociale politico interno. Innanzitutto, era indispensabile schiacciare l’ignobile socialismo. Secondo Corradini era indispensabile che
il potere fosse esercitato in modo autoritario da un’Elite. Per cogliere la novità storica del nazionalismo di Corradini, può essere utile segnalare ciò che la distingue dalla posizione
della concezione di Mazzini. In entrambi casi la nazione è posta al centro della riflessione tuttavia Corradini auspicava l’egemonia della nazione italiana su altre nazioni. Le due idee
di democrazia e nazione si sganciano l’una dall’altra, si separano e si allontanano al punto che la seconda sottomette a se la prima e di fatto la cancella.
GLI INTELLETTUALI
Le posizioni antidemocratiche nazionaliste di Corradini trovarono ampio consenso fra gli intellettuali. Molti di essi avevano adottato una versione semplificata e banalizzata del
concetto di superuomo, la società moderna non lasciava più spazio all’individuo forte e geniale, sempre più schiacciato dalle masse. Gabriele D’Annunzio aprì la strada a questo
tipo di rivolta dell’individuo. Sul piano letterario tuttavia i suoi testi erano apparsi alle nuove generazioni troppo solenni arcaici, ovvero sfasati rispetto alla modernità, caratterizzata
dalla velocità. Poiché la guerra nella concezione morale corrente, era condannata come massimo dei mali peccati, Giovanni Papini celebra la guerra come uno strumento
liberatore. In termini simili si era già espresso Filippo Tommaso Marinetti, che aveva definito la guerra sola igiene del mondo e aveva dato vita al movimento artistico del futurismo.
Tutti questi autori esaltavano l’individuo eppure nel momento in cui il loro desiderio di trasgressione scelse la guerra come mezzo di provocazione, essi finirono per assumere
posizioni di tipo nazionalistico e dunque per esaltare un’entità collettiva.
IL PATTO DI LONDRA
Il ministro degli esteri italiano Sydney Sonnino ebbe numerosi incontri diplomatici con altri esponenti del governo imperiale di Vienna. Il 26 aprile 1915, nell’illusione di poter ottenere
di più, il governo italiano firmò il cosiddetto patto di Londra, impegnandosi entro un mese a entrare in guerra con Francia, Gran Bretagna e Russia, contro l’Austria-Ungheria.
L’accordo prevedeva che dopo la vittoria all’Italia sarebbero State assegnate le due regioni di Trento e di Trieste, l’Alto Adige, l’Istria e la Dalmazia e una parte delle colonie
tedesche in Africa. L’Italia sarebbe entrata in guerra non per compiere una nobile missione di redenzione, ma in nome di una fredda politica di potenza. La prima forzatura
riguardava il parlamento, che avrebbe dovuto ratificare con il proprio voto il patto di Londra. Alla camera la maggioranza dei deputati era schierata su posizioni simili a quelle di
Giolitti, secondo cui l’Italia poteva ottenere molto di più restando neutrale, ma Giolitti fu attaccato pubblicamente dai nazionalisti. L’orientamento neutralista della camera suscitò la
collera di molti interventisti in particolare di Mussolini.
IL MAGGIO RADIOSO
Nel maggio 1915, le principali piazze italiane furono teatro di scontri violenti fra neutralisti e interventisti; questi ultimi si presentavano come gli unici veri rappresentanti della
nazione. Resosi conto di non godere più della fiducia della camera, Salandra diede le dimissioni, ma il re, sostenitore dell’intervento gli conferì un nuovo incarico. A quel punto per i
deputati votare contro il patto di Londra avrebbe significato sconfessare l’operato del re. Il 20 maggio il parlamento ratificò la decisione del governo, provocando l’ingresso dell’Italia
in guerra il 24 maggio. L’adesione dell’Italia al conflitto non registrò assolutamente quel momento si entusiasmo collettivo che si era verificato negli altri Stati, ma una atmosfera da
guerra civile. Il re non aveva tenuto conto in alcun modo della volontà del parlamento di fatto l’aveva scavalcato.
IL GENERALE CADORNA
L’esercito italiano era guidato dal generale Luigi Cadorna, si trattava di un uomo dal carattere difficile, ostinato, ma molto sicuro di sé. Pertanto fino a quando fu in carica rivendicò
sempre la più totale autonomia del potere militare dal potere civile, cioè del governo; Cadorna si sentiva subordinato solo e direttamente al re. Al centro della sua impostazione,
stava il principio della spallata, in gergo più tecnico ciò significava che l’offensiva andava mantenuta ad ogni costo; l’esercito nemico doveva essere tenuto sempre sotto pressione
da una serie di attacchi massicci e potenti e infine avrebbe provocato lo sfondamento del fronte. Un anno di guerra in Belgio e Francia, però aveva già dimostrato che questa
impostazione era anacronistica, nella misura in cui opponeva i soldati non ad altri uomini, più o meno coraggiosi di loro, ma all’acciaio e alle macchine: in una parola le armi
moderne. Qualche probabilità maggiore di successo la strategia offensiva del comandante italiano avrebbe potuto tenerla se l’esercito fosse stato già pronto e il 24 maggio, di
sorpresa, avesse immediatamente assalito di impeto il confine austriaco; Cadorna, al contrario si mosse con estrema lentezza, cosicché la raccolta dell’uomini dei reparti di fanteria
fu completata solo il 16 giugno.
LA GUERRA ALPINA
Il fronte italiano, durante la prima guerra mondiale, era lungo circa 700 km e le operazioni militari si svolsero contemporaneamente in due settori molto diversi tra loro: il Trentino e il
Carso. In Trentino il conflitto assunse caratteri del tutto particolari e si trattò soprattutto di una guerra di montagna. Nel maggio 1916 gli austriaci lanciarono la cosiddetta spedizione
punitiva: dopo un intenso bombardamento, l’esercito austroungarico attaccò in forza il Trentino e riuscì ad avanzare per circa una ventina di chilometri, la grande offensiva austriaca
ebbe un’importante risvolto politico: Salandra fu costretto dimettersi e fu sostituito dall’anziano Paolo Boselli. Nel settore Trentino del fronte, molti dei reparti impegnati erano truppe
del corpo degli alpini, ufficialmente costituito nel 1872. Si trattava di soldati reclutati su base regionale, si creò una straordinaria coesione di gruppo, che permise loro di affrontare
con fermezza e coraggio anche le situazioni disperate.
LA BATTAGLIA DELL’ISONZO
La regione dell’altopiano del Carso, fu invece teatro di un conflitto modernissimo. La storiografia
Militare é solita individuare in questo settore friulano ben 12 battaglie dell’Isonzo. Nell’agosto 1916 al termine della sesta battaglia dell’Isonzo, l’esercito italiano riuscì a conquistare
Gorizia. Le perdite provocate da questa operazione furono pesantissime, la rabbia dei fanti traspare nelle canzoni che più o meno clandestinamente circolavano nelle trincee.
L’OFFENSIVA AUSTRO-TEDESCA
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In un primo tempo, i tedeschi si limitarono ad aggregare sette loro divisioni scelte all’esercito asburgico, poi decisero di assumere il diretto comando delle operazioni. Il piano
tedesco prevedeva una massiccia offensiva dell’area di Caporetto, un villaggio situato a nord di Gorizia applicando la tattica che si stava già collaudando in Francia, l’assalto
sarebbe stato condotto non da una grande massa di truppe concentrate in un unico settore, ma da vari reparti di medie dimensioni, il cui compito era quello di infilarsi in profondità
entro le file del nemico, per poi colpirne la prima linea alle spalle, dopo averla girata e circondata. L’esercito italiano pertanto all’alba del 24 ottobre 1917 fu colto completamente alla
sprovvista. Il generale Badoglio, responsabile dell’artiglieria italiana, non seppe opporre un valido e tempestivo sbarramento. L’intero comando rimase per qualche giorno indeciso
sul da farsi, emanando ordini contraddittori e confusi, così tedeschi ottennero un successo superiore ogni loro ottimistica aspettativa. L’esercito italiano fu costretto a ritirarsi
disordinatamente e trovò rifugio solo lungo la linea del fiume Piave.
I trattati di pace
Dalla conferenza di pace scaturirono cinque trattati, il più importante fu il trattato di Versailles con la Germania, vista come un umiliazione: perdite territoriali (Renania smilitarizzata
e perdita di Alsazia e Lorena), riduzione dell’esercito e della flotta e sanzioni economiche, cioè risarcimento a tutte le nazioni vincitrici e al Belgio, oltre alla cessione ai vincitori di
miniere. Tali clausole consentono il risorgere dello spirito di rivincita tedesco a causa del rifiuto di discutere con i vinti, impossibile alcuna ripresa economica dei paesi sconfitti, la
sistemazione territoriale non sempre rispettosa delle varie nazionalità e l’aggravamento delle differenze già esistenti fra nazioni ricche e povere. La Germania dovette cedere
porzioni del suo territorio alla Polonia consentendo la nascita del corridoio di Danzica che dava alla Polonia uno sbocco sul mar Baltico. Le questioni riguardanti l’Italia furono
regolate tramite il trattato di Saint-Germain con cui l’Austria era costretta a cedere il Trentino, l’Alto Adige, l’Istria e l’alto bacino dell’Isonzo fino allo spartiacque alpino. L’Italia non
ottenne la Dalmazia e Fiume, portando a parlare di vittoria mutilata alimentando così un sentimento nazionalista. Sempre con il trattato di Saint-Germain nacquero l’Austria,
l’Ungheria, la Cecoslovacchia e il regno di Iugoslavia, la Finlandia, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania; fu riconosciuta inoltre l’indipendenza dell’Albania. Col trattato di Neuilly era
riconosciuta l’indipendenza della Bulgaria. Con il trattato di Sèvres la Turchia si trovò ridotta a uno stato di modeste dimensioni e privata di tutti i territori arabi e della sovranità sugli
stretti; venne proclamata la repubblica turca. La Francia ottenne il mandato su Siria e Libano, l’Inghilterra su Iraq, Transgiordania e Palestina. Ciò suscitò il risentimento delle
popolazioni arabe che osteggiavano il progetto di costruire in Palestina una sede nazionale ebraica. La spinta all’indipendenza dei popoli arabi aveva portato alla creazione del
regno dell’Arabia Saudita.
In Europa scoppiò un’epidemia influenzale, la spagnola, che provocò in poco tempo milioni di morti. Il disegno dei nuovi confini sollevò il problema dei profughi e creò nuove
minoranze etniche.
La spartizione dell'Impero ottomano (30 ottobre 1918 - 1º novembre 1922) fu un evento geopolitico che si verificò dopo la prima guerra mondiale e l'occupazione di Costantinopoli
da parte delle truppe britanniche, francesi e italiane nel novembre 1918. La suddivisione fu pianificata in diversi accordi presi dalle potenze alleate all'inizio della prima guerra
mondiale,[1] in particolare l'accordo Sykes-Picot, dopo che l'Impero ottomano si era unito all'Alleanza ottomano-tedesca.[2] L'enorme conglomerato di territori e popoli che un tempo
comprendeva l'Impero ottomano fu diviso in diversi nuovi stati.[3] L'Impero ottomano era stato il principale stato islamico in termini geopolitici, culturali e ideologici. La divisione
dell'Impero ottomano dopo la guerra portò alla dominazione del Medio Oriente da parte di potenze occidentali come Gran Bretagna e Francia, e vide la creazione del mondo
arabo moderno e della Repubblica di Turchia. La resistenza all'influenza di queste potenze proveniva dal Movimento Nazionale Turco ma non si diffuse negli altri stati post-ottomani
fino al periodo di rapida decolonizzazione dopo la seconda guerra mondiale.
Si ritiene che la creazione a volte violenta di protettorati in Iraq e Palestina, e la divisione proposta della Siria lungo linee comuni, rientrasse in una parte della più ampia strategia di
assicurare la tensione in Medio Oriente, rendendo così necessario il ruolo delle potenze coloniali occidentali (a quel tempo Gran Bretagna, Francia e Italia) come mediatori della
pace e fornitori di armi.[4] I think tank americani si riferiscono a questa strategia come "Syriana" o Pax Syriana. [5] Il mandato della Società delle Nazioni concesse il mandato francese
della Siria e del Libano, il mandato britannico della Mesopotamia (poi Iraq) e il mandato britannico della Palestina, successivamente diviso in mandato di Palestina ed Emirato di
Transgiordania (1921-1946). I possedimenti dell'Impero ottomano nella penisola arabica divennero il Regno di Hejaz, che il Sultanato di Nejd (oggi Arabia Saudita) fu autorizzato ad
annettere, e il Regno Mutawakkilita dello Yemen. I possedimenti dell'Impero sulle rive occidentali del Golfo Persico furono variamente annessi dall'Arabia Saudita (al-Ahsa e Qatif),
o rimasero protettorati britannici (Kuwait, Bahrain e Qatar) e divennero gli Stati arabi del Golfo Persico.[6]
Dopo il crollo completo del governo ottomano, i suoi rappresentanti firmarono il Trattato di Sèvres nel 1920, che avrebbe diviso gran parte del territorio dell'attuale Turchia tra
Francia, Regno Unito, Grecia e Italia. La guerra d'indipendenza turca costrinse le potenze dell'Europa occidentale a tornare al tavolo dei negoziati prima che il trattato potesse
essere ratificato. Gli europei occidentali e la Grande Assemblea Nazionale della Turchia firmarono e ratificarono il nuovo Trattato di Losanna nel 1923, sostituendo il Trattato di
Sèvres e concordando la maggior parte delle questioni territoriali. Una questione irrisolta, la disputa tra il Regno dell'Iraq e la Repubblica di Turchia sull'ex provincia di Mosul, fu
successivamente negoziata sotto l'egida della Società delle Nazioni nel 1926. I britannici e i francesi divisero la Grande Siria tra di loro nell'accordo Sykes-Picot. Altri accordi segreti
furono conclusi con l'Italia e la Russia.[7] La Dichiarazione Balfour incoraggiò il movimento sionista internazionale a spingere per una patria ebraica in Palestina. Mentre faceva parte
della Triplice Intesa, la Russia aveva anche accordi in tempo di guerra che le impedivano di partecipare alla divisione dell'Impero ottomano dopo la rivoluzione russa. Il Trattato di
Sèvres riconobbe formalmente i nuovi mandati della Società delle Nazioni nella regione, l'indipendenza dello Yemen e la sovranità britannica su Cipro.
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L’ARRETRATEZZA DELLA RUSSIA
Nel 1914, l’impero zarista entrò in conflitto con l’Austria-Ungheria e la Germania, per sostenere la Serbia, nazione slava sorella della Russia. La sua forza era più apparente che
reale, i primi problemi emersero nel giro di poco tempo, l’armata russa mostrò subito di essere inferiore a quella tedesca nella quantità e qualità dei cannoni, mentre le munizioni per
tutte le armi erano drammaticamente insufficienti. Dal 1894, il potere era nelle mani di Nicola II Romanov, Che al momento della sua solenne incoronazione aveva giurato di
conservare integra e intatta la lunga tradizione di autocrazia, si trattava di una concezione del potere medievale, di una forma estrema di assolutismo, poiché l’imperatore riteneva
di aver ricevuto direttamente il proprio potere da Dio. Se teniamo presente che, in Francia in Inghilterra, concezioni di questo genere erano state respinte già a fine del seicento, si
può affermare che, in ambito politico, l’impero russo era indietro di secoli rispetto all’Europa occidentale. Nicola non faceva mistero del suo rifiuto della modernità e non amava San
Pietroburgo, aveva cercato di introdurre numerosi elementi architettonici che richiamassero Mosca. Nel 1905, dopo la guerra con il Giappone e dopo una rivoluzione che il potere
centrale era infine riuscito a domare, era stata istituita una camera dei deputati dotata di poteri di controllo sull’operato del sovrano e sulla politica del governo. Denominato duma,
tale organismo parlamentare veniva però di fatto sistematicamente scavalcato dall’imperatore. Anche sotto il profilo economico tra la Russia resto dell’Europa esisteva un vero e
proprio abisso, anche l’agricoltura era molto arretrata e l’industria era concentrata in poche zone.
MENSCEVICHI E BOLSCEVICHI
Il partito socialdemocratico russo, di ispirazione marxista, era diviso in due correnti. A fronte di una tendenza risultata in un primo tempo minoritaria e per questo chiamata
menscevica, stava l’agguerrita corrente dei cosiddetti bolscevichi. Mentre i primi incarnavano il marxismo Ortodosso e quindi prevedevano tempi molto più lunghi per la rivoluzione
proletaria, i bolscevichi erano più radicali e meno disponibili a soluzioni rivoluzionarie più decise. I menscevichi propendevano per un partito ampiamente ramificato, di massa,
mentre i bolscevichi erano favorevoli a un partito elitario.
IL GOVERNO DI KERENSKJI
La crisi di governo accese nei bolscevichi il desiderio di insurrezione. Il 3 e il 4 luglio, migliaia di operai di Pietrogrado, invasero le strade della capitale e assediarono le sedi del
soviet e del governo provvisorio. Il 7 luglio Kerenskji assunse l’incarico di costituire il nuovo governo, creò una specie di culto della propria figura e, per rafforzare il prestigio del
governo trasferì il proprio ufficio nel palazzo d’inverno, già residenza della famiglia imperiale. Il tentativo insurrezionale del tre-4 luglio, l’ interrotta fiumana di disertori, molti dei quali
davano vita a un esercito parallelo, spinsero i liberali moderati a chiedere al governo misure drastiche, capace di riportare l’ordine nel paese. Il generale Kornilov propose a
Kerenskji una politica dittatoriale, ma quest’ultimo decise di destituire Kornilov, che non si destituì. Il soviet di Pietro grado mobilitò i soldati della città e gli operai, per far fronte a
quella che considera una grave minaccia controrivoluzionaria. Per fronteggiare il nuovo pericolo, si è deciso di accettare anche il sostegno dei bolscevichi. Essi furono muniti di
armi, si può dire che il partito di Lenin fosse dotato di un vero esercito parallelo. Kornilov fu arrestato senza spargimento di sangue e internato in un monastero. I bolscevichi
poterono presentarsi come i veri difensori della rivoluzione. Il numero degli iscritti al partito di Lenin registrò un brusco incremento.
STATO E RIVOLUZIONE
Le condizioni per l’insurrezione bolscevica stavano rapidamente maturando. Intanto, Lenin cercò di precisare la propria linea teorica in “Stato e rivoluzione”. Nella sua
argomentazione, il leader bolscevico prese le mosse della dottrina dello Stato proposta da Marx e Engels. Secondo gli autori del manifesto del partito comunista, se si vuole
davvero instaurare il socialismo, il proletariato deve prima di tutto conquistare lo Stato. La prima tappa della rivoluzione è per Lenin proprio quella relativa all’acquisizione del potere
statale; solo in virtù di esso sarà possibile al proletariato respingere gli assalti della borghesia. Per indicare tale Stato proletario, Marx e Engels avevano cognato l’espressione
dittatura del proletariato.
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L’ESTINZIONE DELLO STATO
Lo Stato proletario, per Lenin, dovrà inevitabilmente fare uso della violenza. Lenin, ripreso da Marx e da Engels anche un altro concetto quanto mai importante; egli era convinto,
come i due padri fondatori, che una volta raggiunto davvero il socialismo lo Stato si sarebbe estinto. Secondo Lenin, nella società socialista gli individui non si comporteranno più in
modo malvagio, né agiranno in modo moralmente giusto solo per timore delle punizioni previste per chi viola la legge. Il comandamento morale, per così dire verrà interiorizzato da
ogni essere umano, Lenin non fa che rilanciare una tesi tipica della concezione del mondo tardo-illuministica già presenti in Rousseau e
Roberspierre. Lenin ragiona ancora come un illuminista del settecento, convinto com’è che l’instaurazione del socialismo non solo porti la libertà e giustizia, persino integrerà la
natura umana in tutta la sua perfezione. In un certo senso, si può dire che il comunismo prometteva una sorta di ritorno all’umanità dell’eden perduto e si presentava con caratteri
messianici. Va notato che il comunismo non si limitava a promettere per il futuro, bensì esortava ad agire nell’immediato, in modo da calare il più presto possibile nella realtà quella
grande visione. (Fascino del comunismo)
LA GUERRA CIVILE
Nel dicembre del 1917, alcuni generali dell’esercito russo decisero di ribellarsi al nuovo governo bolscevico e tentarono di dar vita a un esercito volontario. Questi militari
anticomunisti ricevettero l’appellativo di bianchi, dal momento che si opponevano ai rossi. Ben presto i bianchi furono sostenuti dai giapponesi. In Siberia i bolscevichi dovettero
affrontare un’altra minaccia, quella dei soldati della legione cecoslovacca. Questi uomini erano ex prigionieri di guerra dell’esercito austroungarico. Poiché il governo provvisorio
aveva proposto loro di combattere contro gli austriaci, in nome della comune fratellanza slava, i cecoslovacchi avevano di nuovo ricevuto armi ed erano stati trasformati in un’
efficiente reparto militare. Saliti al potere, i bolscevichi non si fidarono di queste truppe e ne chiesero l’immediato disarmo. I cecoslovacchi rifiutarono di smobilitare, sfidarono il
potere sovietico e divennero una pericolosa forza antibolscevica. Quando si avvicinarono alla città di Ekaterinburg, dove sono detenuti lo zar Nicola e la sua famiglia, il soviet
regionale degli Urali ne ordina l’esecuzione che ebbe luogo il 16 luglio 1918. Entrambi le parti utilizzano lucidamente la violenza più efferata come arma per terrorizzare il nemico, il
crescente imbarbarimento dello scontro spinse sia bianchi che i rossi a pensare alla guerra come una lotta che non avrebbe mai potuto concludersi con un compromesso, la guerra
civile russa assomiglia moltissimo alle guerre che si svolsero in Europa al tempo della rivoluzione francese, ma ancor più appare come un’anticipazione del carattere assoluto che
avrebbe assunto la seconda guerra mondiale sul fronte orientale. Il parallelo risulta ancora più pertinente non appena teniamo conto del fatto che i bianchi si macchiarono di un tipo
particolare di violenza dato che molti reparti bianchi massacrarono intere comunità ebraiche. A fondamento del loro feroce antisemitismo i bianchi posero i cosiddetti protocolli dei
Savi anziani di Sion, si trattava di un falso nel quale si descriveva il grandioso piano per la conquista del potere mondiale che gli ebrei avrebbero messo a punto in alcune riunioni
segrete, di cui protocolli pretendevano di essere i verbali ufficiali. Di fatto in quel testo si presentavano tutte le correnti di opposizione allo zarismo come sovvenzionate e controllate
dagli ebrei. Ripreso e amplificato dai generali delle truppe bianche, il mito della cospirazione mondiale ebraica si diffuse in tutta l’Europa, addirittura sul quotidiano londinese Times,
che una volta scoperta la falsità dei documenti si affrettò a comunicarlo.
IL COMUNISMO IN GUERRA
Alla fine del 1917, la situazione economica della Russia era drammatica. Le città cominciarono a soffrire tragicamente freddo e la fame, per carenza di grano, legna e carbone.
All’inizio del 1918 Lenin ordinò di procurare cereali e generi alimentari con ogni mezzo possibile. In tal modo è iniziato il cosiddetto comunismo di guerra: una politica finalizzata a
ottenere dai contadini russi tutto il grano possibile. Gli abitanti dei principali centri industriali, primi fra tutti gli operai delle grandi industrie metallurgiche di Pietrogrado,
abbandonavano i luoghi di lavoro e se ne andavano nelle campagne alla ricerca di cibo. Il 9 maggio 1918 Lenin annunciò che coloro che Possedevano grano e non lo
consegnavano le stazioni ferroviarie e agli ammassi destinati all’uopo sarebbero stati dichiarati nemici del popolo, era una vera e propria dichiarazione di guerra contro i contadini
che venivano chiamati Kulaki cioè sfruttatori. Alla metà di marzo 1918 Trockji divenne commissario della guerra. Subito si rese conto che, se il governo bolscevico voleva vincere la
guerra civile, doveva dotarsi di un efficiente apparato militare. Denominato armata Rossa, il nuovo esercito che venne creato aveva però un disperato bisogno di professionisti
esperti, questi specialisti militari ritenuti indispensabili per la difesa non sempre erano ritenuti politicamente affidabili, pertanto al fianco di ognuno di loro venne posto un
commissario politico comunista. Nel 1920 i rossi avevano vinto la guerra. Il paese però era in condizioni catastrofiche, ciò provocò ben presto una nuova ondata di rivolte contadine,
La rivolta più impegnativa si verificò nel distretto di Tambov.
L’INTERNAZIONALE COMUNISTA
Molti dirigenti bolscevichi erano convinti che la rivoluzione si sarebbe salvata solo se, nei vari paesi d’europa gli operai fossero insorti a difesa del primo stato proletario della storia.
Tuttavia il movimento socialista in Europa aveva accolto la notizia della rivoluzione d’ottobre con sentimenti contrastanti. La critica più esplicita mossa all’operato dei bolscevichi
venne dal dirigente socialista austriaco Kautsky, che nel 1918 scrisse “la dittatura del proletariato” in aperta polemica con Lenin e le sue posizioni. A suo giudizio la scelta del leader
russo di procedere comunque alla conquista del potere avrebbe comportato non solo la guerra civile, ma la distruzione di ogni libertà, questo significava ricadere nell’anarchismo,
abbandonando il marxismo e la sua analisi scientifica delle condizioni oggettive. Lenin si scagliò contro Kautsky chiamandolo rinnegato e traditore. In opposizione al movimento
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socialista europeo venne creata la terza internazionale, denominato Comitern. Lenin pose ai vari partiti socialisti una serie di 21 precise e rigide condizioni da accettare o respingere
senza possibilità di contrattare per far parte del comitern. In questo contesto i termini socialismo, comunismo e socialdemocrazia vennero divisi. Comunismo= movimento che
aveva come metà la rivoluzione e la riteneva realizzabile in brevi tempi. Socialismo= movimento che continua a presentare la rivoluzione come propria metà, tuttavia esso riteneva
che il rovesciamento del capitalismo non fosse possibile in tempi brevi. Socialdemocrazia= nome assunto da quella corrente del movimento operaio che aveva definitivamente
rinunciato alla prospettiva di una rivoluzione, essa riteneva che i lavoratori dovessero concentrare tutte le proprie energie nello sforzo di riformare gli aspetti più gravi e disumani del
sistema capitalistico.
LA RIVOLTA DI KRONSTADT
Mentre era in corso il secondo decisivo congresso del comitern, la Polonia aveva invaso le regioni occidentali del neonato Stato sovietico, pensando di poter approfittare della sua
debolezza e dei suoi problemi interni. A giugno, l’armata Rossa riuscì a contrattaccare, giungendo fino alle porte di Varsavia. Gli operai polacchi risultarono sensibili al richiamo del
sentimento nazionale, con il risultato che i russi furono costretti a compiere una precipitosa ritirata e ad arretrare il proprio confine con la Polonia. La grave sconfitta subita nella
guerra contro la Polonia convinse definitivamente Lenin della possibilità di scatenare una generale insurrezione europea che appoggiasse l’esperimento bolscevico e della
necessità di dedicare piuttosto tutte le energie a rafforzare dall’interno il nuovo regime. I marinai della base navale Kronstadt si erano schierati compatti per Lenin, molti di loro però
avevano ricevuto notizie delle loro famiglie contadine costrette a subire continui maltrattamenti, così si riunirono in un’assemblea e stesero un documento molto critico nei confronti
del governo, chiedendo la liberazione di tutti prigionieri politici appartenenti a partiti socialisti, nuove elezioni e libertà di parola, di assemblea di stampa. Di fronte alla secca risposta
negativa del partito, i marinai proclamarono che era tempo di procedere a una terza rivoluzione, la quale avrebbe dovuto combattere rovesciare la commissariocrazia. Per Lenin si
trattava di una sfida inaccettabile. Il 7 marzo, il generale Tuchacevskji inizia l’attacco della fortezza di Kronstadt
IL GRANDE TERRORE
Stalin era consapevole del fatto che i suoi metodi brutali non erano condivisi da tutti e per prevenire sul nascere qualsiasi forma di opposizione, il dittatore attuò una durissima
repressione. A volte le persone erano addirittura fucilate senza processo. La repressione colpì anche moltissimi cittadini sovietici che si consideravano comunisti fedeli a Stalin, ma
che ugualmente vennero condannati ai lavori forzati, l’ondata di terrore toccò il proprio culmine negli anni 1937 e 1938 vennero denominate con il nome esecuzioni degli anni terribili
A cui poi vanno aggiunti i morti per le esecuzioni supplementari non ratificate. Il gruppo più numeroso preso di mira fu quello degli ex Kulaki e ciò portò alla fuga di moltissimi di loro.
Stalin temeva che questi individui in fuga potessero rivoltarsi contro di lui, temeva che avrebbero costituito una specie di quinta colonna interna ostile. Per lo stesso motivo, il grande
terrore degli anni 1937 e 1938 colpì molto duramente anche tutte le minoranze nazionali.
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FASCISMO E ASCESA DI MUSSOLINI
Nel 1918, l’Italia figurava tra i vincitori della grande guerra. Eppure ben presto i frutti ottenuti da quella vittoria costata tanti sacrifici apparvero deludenti. La prima delusione fu l’esito
di un errato calcolo del governo italiano nel 1915. Infatti nel momento in cui Salandra stipulò il patto di Londra nessuno credeva che una sconfitta austriaca avrebbe provocato la
totale disgregazione dell’impero asburgico. Nel 1915 la prospettiva non era quella di una dissoluzione dell’unità multinazionale austroungarica e della sua sostituzione con una
pluralità di Stati. L’Italia sperava in un arretramento dell’Austria Ungheria, in modo che regioni dominate fino ad allora dall’impero di Vienna passassero sotto amministrazione e
controllo italiano. Per questo motivo l’Italia, nel patto di Londra, non si limitò a rivendicare Trento e Trieste, bensì anche la Dalmazia. Viceversa, il patto di Londra non menzionava
in modo esplicito il porto di fiume. La città di fiume dichiarò la sua volontà di essere italiana, tale dichiarazione pose un grave problema di strategia diplomatica alla delegazione
italiana alla conferenza di pace di Parigi. Poiché l’impero austroungarico si era dissolto, le rivendicazioni italiane sulla costa adriatica, perdevano ogni significato. La delegazione
italiana tenne un atteggiamento rigido e ambizioso, chiedendo sia fiume, sia la Dalmazia. Di fronte alla netta opposizione degli alleati, la delegazione italiana abbandonò Parigi in
segno di una protesta. In questo modo l’Italia creò danni al prestigio italiano, visto che i lavori della conferenza andarono avanti regolarmente, anzi si procedette perfino
all’assegnazione delle colonie tedesche in Africa e alla spartizione delle zone di influenza in Medioriente, senza ottenere il minimo conto dell’Italia che da tali operazioni di divisione
delle prede di guerra non ottenne praticamente nulla.
D’ANNUNZIO, FIUME E LA VITTORIA MUTILATA
Gabriele D’Annunzio lanciò una formula destinata a colpire profondamente l’immaginazione degli italiani. Secondo il poeta abruzzese quella ottenuta dall’Italia sarebbe stata una
vittoria mutilata, cioè un grande trionfo che a causa dell’egoismo e dello strapotere del governo delle nazioni vincitrici, non avrebbe comunque portato alcun profitto reale all’Italia.
D’Annunzio nel 1919 passò all’azione ponendosi alla guida di alcuni reparti dell’esercito che dopo aver disobbedito agli ordini del governo italiano, si impadronirono militarmente di
fiume. La città divenne presto il rifugio e il punto di riferimento di un’ampia gamma di personaggi che da lì a poco avrebbero formato il movimento fascista. In genere erano ex arditi,
truppe d’assalto che si erano distinte per la loro temerarietà. Per essi la guerra era stata un’esperienza appassionante, fare la guerra significava uscire dalla piatta routine
quotidiana, dalla noia del lavoro e dalla banalità della vita borghese. A tutti costoro D’Annunzio offre un’avventura supplementare in nome dell’onore dell’Italia infangato a Parigi. Si
può affermare che sia il maggio radioso sia l’esperienza fiumana, entrambi guidati da D’Annunzio svolsero per Mussolini e per il nascente movimento fascista il ruolo di laboratorio:
furono vicende politiche di tipo nuovo e moderno, grazie alle quali è possibile sperimentare tecniche e strategie capaci di movimentare grandi masse di persone per ottenere
determinati risultati voluti da un leader o da una minoranza.
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Guardie rosse armate all'interno di una fabbrica occupata (1920)
Mentre il Partito Socialista tentava la trattativa con il governo presieduto da Giolitti, gli industriali e i latifondisti, più pragmatici, cominciarono a garantire il loro appoggio economico
alle squadre dei "ras" fascisti.
E così agli scioperi agrari nella Pianura Padana, allo sciopero generale dei metallurgici in Piemonte e all'occupazione delle fabbriche in molte città italiane il fascismo rispose con la
violenza. Squadre fasciste intervennero per spezzare gli scioperi aggredendo i partecipanti, pestando deputati e simpatizzanti socialisti. A novembre, in occasione
dell'insediamento del nuovo sindaco di Bologna, un socialista di estrema sinistra, partirono pistolettate e bombe a mano che provocarono la morte di nove persone nella piazza,
mentre un consigliere nazionalista venne ucciso in pieno Consiglio comunale. Le spedizioni punitive estesero il loro raggio d'azione alla Toscana, al Veneto, alla Lombardia e
all'Umbria. Vennero assaltate le Case del Popolo, le sedi delle amministrazioni comunali socialiste e le leghe cattoliche. In Venezia Giulia giovani squadristi assalirono e
incendiarono le sedi di associazioni e giornali sloveni. In Alto Adige simili attenzioni vennero rivolte alla popolazione tedesca, di cui i fascisti auspicavano una forzata
italianizzazione ("dobbiamo estirpare il nido di vipere tedesco", disse Mussolini). Prefetti, commissari di polizia e comandanti militari tolleravano e in alcuni casi agevolavano le
"operazioni" della squadre fasciste contro il 'sovversivismo rosso'. "Sono dei fuochi d'artificio, che fanno molto rumore ma si spengono rapidamente", disse Giolitti minimizzando il
problema
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nuova macchina proletaria. Rispetto alla concezione di Bordiga, in Gramsci c’era maggiore volontà di trasformare le masse in soggetto attivo; nella visione di Bordiga, al contrario
l’unico vero protagonista dell’azione era il partito.
IL PARTITO POPOLARE
1919, per ostacolare la crescente importanza dei socialisti, il quadro politico italiano si arricchì di un nuovo soggetto: il partito popolare italiano. L’evento è quanto mai rilevante in
quanto segna il rientro a pieno titolo dei cattolici nella dialettica elettorale parlamentare nazionale. Da più parti da molto tempo si chiedeva la riforma elettorale, che sostituisse il
sistema uninominale con un sistema proporzionale. Con un simile sistema si rischiava che i socialisti ottenessero una vera valanga di deputati, sia nelle campagne che nelle città.
Per scongiurare un simile pericolo i cattolici furono finalmente autorizzati dalla Chiesa, il partito politico il cui leader era Don Luigi Sturzo, non voleva affatto rivolgersi solo ai
cattolici, ma a tuti gli italiani che si riconoscessero negli ideali e negli obiettivi del partito. Nelle intenzioni di Sturzo la strategia del partito doveva orientarsi In una direzione
sinceramente democratica, cioè preoccuparsi delle esigenze dei ceti più deboli e delle zone meno fortunate del paese. A differenza dei socialisti però gli obiettivi ultimi di una simile
politica democratica non avrebbero mai dovuto essere l’abolizione della proprietà privata e la dittatura di una classe, bensì la pacifica composizione degli interessi delle varie classi
sociali. Il PPI si proponeva in sintesi come partito aconfessionale e interclassista sinceramente rispettoso dell’ordinamento parlamentare, chiedeva però che lo Stato non diventasse
mai il puro strumento di dominio di una classe sulle altre, bensì che fosse il bene comune.
BENITO MUSSOLINI
Insieme ai popolari, l’altra nuova forza che fece la sua comparsa nel 1919 fu il movimento dei fasci italiani di combattimento, il suo principale esponente era Benito Mussolini. Nato
nel 1883, inizia la sua esperienza politica nel PSI all’interno del quale fece una rapida e brillante carriera, giungendo a diventare nel 1912 direttore del “avanti!“. Mussolini fu il leader
indiscusso della corrente più radicale del movimento socialista, influenzato profondamente dalle riflessioni sulla violenza del filosofo francese Sorel. Fu Mussolini il principale
animatore della cosiddetta settimana rossa, una grande ondata di scioperi che investì soprattutto la Romagna e le Marche. Scoppiata la guerra mondiale il PSI si schierò
apertamente per il non intervento dell’Italia. Mussolini invece scelse il campo dell’interventismo, perciò venne espulso dal partito socialista e tentò di elaborare una linea politica
propria: innanzitutto la scelta di appoggiare l’intervento lo riconciliò con l’idea di nazione e di patria, che fino ad allora aveva disprezzato in nome dell’internazionalismo proletario. In
secondo luogo, l’andamento del conflitto e la tragica esperienza di Caporetto lo portarono alla conclusione che la lotta di classe, all’interno di una nazione, l’avrebbe
irrimediabilmente corrosa e disintegrata. Infine lo scoppio della rivoluzione bolscevica in Russia lo spinse ad abbandonare definitivamente l’idea di un radicale rovesciamento
dell’ordine sociale. Eppure malgrado tutto questo Mussolini non aveva ancora del tutto abbandonato la propria matrice socialista.
LO SQUADRISMO AGRARIO
Il movimento fascista nella seconda metà del 1920 intraprese con decisione la strada della violenza. Il 13 luglio a Trieste venne incendiato l’hotel Balkan, il 21 novembre i fascisti
presero d’assalto il municipio di Bologna per impedire l’insediamento di una giunta comunale rossa. Il prestigio che il movimento dei fasci trasse da queste due aggressioni contro i
nemici della nazione fu enorme, mentre la borghesia comincia guardare con interesse al movimento che invece, fino ad allora, era parso poco affidabile. Armato e rifornito di mezzi
dai grandi proprietari terrieri, il fascismo cominciò organizzarsi in squadre d’azione. Il compito che esse si assunsero fu quello di procedere al metodico smantellamento di tutta
l’organizzazione politica e sindacale di matrice socialista. In tal modo il movimento procedette rapidamente a una duplice metamorfosi, a partire dalla fine del 1920 si alleò
apertamente con la borghesia, in funzione antisocialista.
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devastante. Un elevato numero di prefetti guardò ai fascisti non come dei nemici dell’istituzioni liberale, ma come dei preziosi alleati, durante le aggressioni messe in atto dalle
squadre, le forze dell’ordine in genere non intervennero per difendere le vittime.
LA MARCIA SU ROMA
Il fascismo parve una sorta di cura, energetica, ma necessaria, capace di riportare all’ordine le classi lavoratrici. Giolitti ad esempio formò il cosiddetto blocco nazionale, una lista di
liberali e nazionalisti in cui inserì esponenti anche fascisti. Nello stesso tempo Giolitti sperava di poter addomesticare e moderare la violenza del movimento fascista. Dopo la
caduta di Giolitti i socialisti riformisti si dichiararono disponibili a partecipare a un governo che si ponesse come priorità assoluta la lotta contro il fascismo. Questa scelta però non fu
condivisa assolutamente da serrati e degli altri massimalisti. Dopo essere stati espulsi dal PSI al congresso di Roma, i riformisti diedero vita al partito socialista unitario, fu inscenata
dal fascismo la cosiddetta marcia su Roma: circa 14000 squadristi si accamparono in alcune località vicino alla capitale. Se lo Stato avesse risposto con le armi, il fascismo sarebbe
stato definitivamente spazzato via; il rischio tuttavia era stato calcolato in quanto Mussolini sapeva che il re Vittorio Emanuele III stava ricevendo pressioni da più parti affinché fosse
formato un governo in cui fascisti fossero presenti in modo consistente significativo. Il 29 ottobre 1992 Vittorio Emanuele III prese la sua decisione: mentre si rifiutò di firmare il
decreto che instaurando lo stato d’assedio avrebbe permesso all’esercito di disperdere le squadre, il re conferì a Mussolini l’incarico di formare il nuovo governo. Il fascismo dunque
non conquistò il potere con un colpo di stato, esso certo utilizza la violenza per farsi strada, ma tale violenza non fu in alcun modo esercitata contro lo Stato.
IL DELITTO MATTEOTTI
Per ottenere la maggioranza alle elezioni, che si svolse lo 6 aprile 1924, le squadre fasciste ricorsero in diversi collegi ai brogli e alla violenza. All’apertura della nuova camera tutta
via il giorno 30 maggio, il deputato socialista Giacomo Matteotti osò denunciare apertamente tutte le irregolarità, in un appassionato discorso parlamentare. Decisi a conservare il
potere, i fascisti di una squadra speciale denominata ceka, rapirono e uccisero Matteotti il 10 giugno. Tutta l’opposizione per protesta abbandonò la camera dando vita a quella che
fu chiamata la secessione dell’Aventino. In quell’occasione un’azione di Vittorio Emanuele III contro Mussolini sarebbe stata accolta molto favorevolmente dalla gran parte
dell’opinione pubblica. Tra gli intellettuali si distinse il giovane torinese Gobetti, che esortava tutte le forze antifasciste a coalizzarsi e impegnarsi per un radicale rinnovamento
politico e morale dell’Italia. Nel momento in cui scriveva queste parole Gobetti aveva già subito un pesante aggressione da parte di una decina di squadristi. L’assoluta impunità
degli aggressori dimostrava che il fascismo era tutt’altro che disposto a uscire di scena. L’unico soggetto che avrebbe potuto fare qualcosa era Vittorio Emanuele III che non si
decise ad intervenire. Persino l’associazione nazionale combattenti prese le distanze dal governo. Forte dell’assoluta passività di Vittorio Emanuele III, nel discorso della camera del
3 gennaio 1925 Mussolini poté assumersi la responsabilità politica e morale e storica di quanto avvenuto, cioè del delitto Matteotti e di tutti gli altri crimini compiuti dal fascismo. La
dittatura di fatto era iniziata come testimonia in primo luogo la sorte della rivista rivoluzione liberale. L’8 febbraio Gobetti andò in esilio in Francia dove si ammalò e morì.
LO STATO TOTALITARIO
Uno dopo l’altro tutti gli elementi più tipici e caratteristici dello Stato liberale furono eliminati. Vi fu una progressiva abolizione della libertà di stampa e il controllo di tutti i quotidiani
più prestigiosi. Si procedette a liquidare la separazione dei poteri. Con l’approvazione delle leggi sulle prerogative del capo di governo, il parlamento cessò di esercitare qualsiasi
potere effettivo. Il capo del governo in pratica era abilitato a controllare ogni settore della vita dello Stato, non era più responsabili davanti a camera e Senato e poteva essere
revocato dal suo incarico solo dal re. Tuttavia Mussolini non poté mai prescindere completamente dalla presenza del sovrano, che era pur sempre il capo dello Stato. Il duce
dovette rapportarsi con un’altra istituzione ineliminabile, la Chiesa cattolica. Per guadagnarsi l’appoggio, Mussolini attenua il proprio originario
anticlericalismo e nel 1929 portò il regno d’Italia a stipulare con la Santa sede i cosiddetti accordi di Laterano, che sancirono la nascita dello Stato della Chiesa del Vaticano e
proclamarono il cattolicesimo religione ufficiale dello stato italiano. Il processo totale di cancellazione delle libertà personali ebbe sanzione formale con l’approvazione delle
cosiddette leggi fascistissime, del novembre 1926. Ad eccezione del PNF, tutti i partiti furono automaticamente sospensi, mentre i deputati di opposizione che parteciparono
all’Aventino furono dichiarati decaduti. Per i reati più gravi fu reintrodotta la pena di morte e fu istituito un tribunale speciale incaricato di procedere contro tutti gli antifascisti. Il
confino di polizia era invece previsto per coloro i quali erano sospettati di attività antifascista. Chiunque fosse accusato di nutrire sentimenti antifascisti era obbligato a risiedere per
cinque anni in zone remote e scarsamente collegate con resto del paese, spesso indicate dalla propaganda come villeggiature. Ulteriori provvedimenti restrittivi proibirono lo
sciopero e sostituirono la figura del sindaco con quella del podestà designato direttamente dal governo.
LA NAZIONE E LO STATO
A più tardi alla fine del 1926, il cittadino italiano si trovò prigioniero di una rigida dittatura. A questo proposito il testo più eloquente è costituito dalla voce Dottrina del fascismo, che
uscì a firma di Mussolini per l’enciclopedia italiana. In tale saggio il duce tentò di precisare ciò che distingue il suo movimento: alla base di tutta la sua concezione stanno i due
concetti di nazione e di Stato. La nazione è un risultato coscientemente generato dall’azione dello Stato. Senza di esso la nazione non esiste, tuttavia lo Stato può a sua volta
esercitare la propria azione dei creatore e di promotore della grandezza della nazione solo nella misura in cui tutti i singoli componenti della nazione stessa accettino di subordinare
il proprio interesse personale a quello collettivo. Nello stesso tempo Mussolini rifiuta apertamente il concetto di democrazia. Il duce svolge la funzione di guida.
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Mussolini dovette affrontare il problema del rapporto con il partito fascista, che in certe realtà locali fu per vari anni una presenza ingombrante rumorosa. Il fatto stesso che
Mussolini ne abbia affidato la segreteria a Roberto Farinacci, uno dei ras più estremisti e violenti dello squadrismo, sta indicare che la sua posizione politica era tutt’altro che solida.
Farinacci avrebbe voluto una figura di spicco all’interno del nuovo regime sognava una sorta di diarchia tra governo e partito. Mussolini si premurò di affermare e ribadire l’assoluta
supremazia dello Stato sul partito. All’interno del partito fu abolita ogni forma di democrazia sicché il governo del 1925 fu l’ultimo della storia del PNF. È evidente che il nuovo
indirizzo politico impresso al partito era volto a una celebrazione sempre più solenne di Mussolini che doveva essere il capo indiscusso del fascismo, o meglio ancora come figura al
limite del sovrumano. Il mito di Mussolini è parte integrante di un preciso meccanismo, finalizzato a eliminare ogni forma di concorrenza iniziativa politica. Nella sua versione finale
la sua persona assumeva una coloritura quasi religiosa.
IL RAZZISMO FASCISTA
All’inizio del 1938 Mussolini si rese conto che i provvedimenti razzisti già emanati avevano bisogno di una cornice teorica più solida e coerente. Nel “Manifesto degli scienziati
razzisti“, Landra fu incaricato di riunire un comitato di intellettuali disposti ad assumersi insieme a lui paternità del testo in cui venivano esposte le idee fasciste razziste. Il manifesto
si sposta su una linea biologica molto simile a quella tedesca. In un primo tempo Mussolini restò incerto perché anche l’impostazione di Pende, che non condivideva questa idea,
poteva costituire un valido strumento ideologico politicamente spendibile e infine decise di recepire l’impostazione biologica. Questa scelta del duce significò un immediato
allargamento della legislazione razzista che non riguardò più solo i neri, ma anche gli ebrei. I provvedimenti riguardarono la scuola e gli ebrei stranieri, stabilì l’esclusione con effetto
immediato dei docenti ebrei dalle scuole statali. Il decreto prevedeva inoltre il divieto di iscrizione per gli alunni ebrei alle stesse scuole degli alunni di razza ariana.
LE LEGGI RAZZIALI
Mussolini agì per propria iniziativa e non sotto pressione di Hitler, il quale non chiese mai al duce di adeguare la legislazione razziale italiana a quella del Reich. L’autonomia
dell’azione delle comunità ebraiche che il duce sopportavano sempre meno lo portò a prendere le suddette decisioni. Il 6 ottobre 1938 il Gran Consiglio del fascismo emanò una
solenne dichiarazione programmatica, in cui vennero enunciati per sommi capi i principali provvedimenti razzisti che il regime da lì a poco avrebbe assunto.
Innanzitutto si decise che sarebbero stati vietati i matrimoni misti. Vittorio Emanuele III firmò senza proteste tutti i decreti che avrebbero dato un valore giuridico alle indicazioni
programmatiche della dichiarazione sulla razza del Gran Consiglio. Agli occhi degli ebrei italiani Vittorio Emanuele III tradiva clamorosamente il gesto liberare di Carlo Alberto che
aveva concesso la pienezza dei diritti civili agli ebrei piemontesi e liguri. Dopo le prime leggi razziali gli ebrei italiani furono colpiti da una vera valanga di provvedimenti
amministrativi.
LO STATO CORPORATIVO
Alla base dell’ideologia nazionalista adottata dal fascismo, stava la negazione del concetto di lotta di classe. Secondo questo principio di fondo venne siglato a Roma un accordo tra
le organizzazioni del padronato e quelle dei lavoratori.
Le prime riconobbero sindacalismo fascista come unico legittimo rappresentante del proletariato e portavoce delle sue esigenze specifiche; il sindacato invece accettò la rinuncia
dello sciopero come strumento di lotta e di rivendicazione economica.
Tale accordo fu poi integrato dalla legislazione sull’ordinamento corporativo; in base ad esso i datori di lavoro e i prestatori d’opera impegnati in un determinato settore economico
venivano uniti in una cooperazione. Le cooperazioni furono solo l’organismo di collegamento tra il governo e i grandi gruppi economici del paese, il luogo in cui i due protagonisti
ormai rimasti soli sulla scena, dopo la cancellazione di ogni potere contrattuale effettivo dei lavoratori, cercavano di conciliare i rispettivi interessi.
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Nel corso del 1919 la Germania visse importanti episodi di insurrezione operaia. Il partito socialdemocratico tedesco era la forza politica marxista più forte di tutta l’Europa. Allo
scoppio della prima guerra mondiale, tuttavia, la maggioranza del partito aveva scelto di appoggiare il governo. Solo nel 1918, svanite definitivamente tutte le speranze tedesche di
vincere il conflitto, la nuova formazione politica dissidente che aveva assunto il nome di lega di Spartaco acquistò un ruolo importante. Gli spartachisti decisero di trasformarsi in
partito comunista di Germania e scelsero di non partecipare alle elezioni per l’assemblea nazionale costituente e di tentare la conquista del potere per via rivoluzionaria. La
situazione cominciò a precipitare quando le forze contro-rivoluzionarie demolirono la sede del partito comunista.
L’ASSEMBLEA COSTITUENTE
Nel 1919 si tennero le elezioni per l’assemblea costituente incaricata di stendere la nuova costituzione repubblicana. La scelta di far riunire l’assemblea Weimar nasceva dalla
consapevolezza che da più parti si guardava con sospetto e diffidenza all’istituzione democratica e al sistema parlamentare. Il testo della Repubblica di Weimar è articolato in due
parti, che rispettivamente si occupano dei diritti dei cittadini e dell’ordinamento dello Stato. Il parlamento consisteva in una sola camera, eletta suffragio universale, avrebbero
goduto del diritto di voto tutti i cittadini che avessero compiuto vent’anni. Anche il presidente della Repubblica sarebbe stato eletto a suffragio universale. Anche se, in teoria, lo stato
di Weimar era una Repubblica parlamentare, al presidente erano conferiti poteri ampi e notevoli, infatti oltre ad avere il potere di sciogliere il parlamento e di designare il cancelliere,
poteva emanare decreti legge e dare ordine alle forze armate.
IL TRATTATO DI VERSAILLES
Uno dei primi atti ufficiali della Repubblica di Weimar fu la firma di un trattato di pace pesantissimo, imposto alla Germania dai vincitori. Questi avevano iniziato a riunirsi a Versailles
il 18 gennaio 1919. La Germania non fu ammessa alle sedute della conferenza stessa e dovette subire tre tipi di conseguenze: le amputazioni territoriali, essa infatti fu privata di
tutti i suoi possedimenti coloniali, dovette cedere alla Francia l’Alsazia e la Lorena, un’ampia porzione di territorio prussiano passò al neonato Stato polacco e la regione della
Prussia orientale fu separata dal resto del Reich mediante un corridoio; limitazioni militari, alla Germania fu vietato di possedere sottomarini, carri armati, aviazione da guerra,
artiglieria pesante, mentre la flotta più drasticamente ridotta, analogamente con l’esercito; l’indennità di guerra. La Germania dunque fu considerata la principale per non dire l’unica
responsabile del conflitto e dovette pagare tutti i danni che essa aveva provocato. L’entità dei risarcimenti da versare sopra citato fu infine di 132 miliardi di marchi oro.
IL PARTITO NAZIONALFASCISTA
Verso la fine del 1917, era stata fondata la Thule Gesellschaft, una società di cospirazione nazionalista e antisemita. Nell’ultimo anno di guerra essa svolse un’intensa campagna di
propaganda contro gli ebrei. Herrer e Dexler avevano fondato un circolo operaio, per contrastare la propaganda socialista, Dexler aveva deciso di procedere oltre e di dar vita a una
vera e propria organizzazione politica che ricevette il nome di partito dei lavoratori tedeschi. Le autorità militari ordinarono a Hitler di recarsi alla birreria Sternacker per assistere a
una riunione di questo partito. A quell’epoca l’organizzazione era minuscola e del tutto insignificante. Hitler comunque iniziò ad appassionarsi al dibattito, decise di iscriversi al
partito e grazie al suo talento oratorio i consensi iniziarono a crescere. In quella fase fu presentato un programma politico di 25 punti, che mescolava elementi antisemiti, nazionalisti
e persino socialisti. Gli obiettivi chiaramente illustrati erano due: la soppressione dei duri trattati di pace imposti dai vincitori e la volontà di cancellare lo Stato liberale. Una settimana
dopo questo partito cambiò il proprio nome in partito nazionale socialista tedesco dei lavoratori, meglio conosciuto come partito nazista.
IL BOLSCEVISMO GIUDAICO
Approfittando del caos provocato dalla grande inflazione, Hitler tentò un colpo di stato in Baviera: il suo obiettivo era di conquistare il potere in quel distretto in modo da poter poi
organizzare una sorta di marcia su Berlino. Hitler fu arrestato e processato per alto tradimento infine condannato a cinque anni di carcere. Qui prese a scrivere la prima parte
prevalentemente autobiografica di un libro intitolato Main kampf. Si tratta di un’opera in cui si trovano poche e semplici idee; esse però sono tutte ben coordinate tra loro in modo da
formare un complesso ideologico organico e coerente. Hitler da un lato mostra di condividere la leggenda della pugnalata alla schiena, cioè l’idea secondo cui la Germania sarebbe
stata sconfitta per colpa dei marxisti, d’altro canto per Hitler quei marxisti in realtà erano manovrati dagli ebrei. Il concetto centrale su cui sarebbe tornato più volte può essere
espresso mediante l’espressione bolscevismo giudaico. Per Hitler i veri registi del movimento comunista sono gli ebrei. Era convinto che gli ebrei stessero da secoli congiurando
segretamente per la conquista del mondo. In alcuni passi del libro Hitler menziona esplicitamente Mussolini afferma di averlo ammirato per la radicalità con cui nel suo paese si è
opposto al comunismo, ma, mentre l’antisemitismo fu del fascismo una componente alquanto tardiva, nel caso di Hitler esso fu fin dall’inizio l’elemento centrale della sua
concezione del mondo.
IL RAZZISMO DI HITLER
Dopo la fine della guerra civile in Russia, moltissimi bianchi erano fuggiti in Occidente. Tra i fuggiaschi registriamo pure Rosemberg, colui che fece conoscere i protocolli dei Savi
anziani di Sion a Hitler. L’odio per gli ebrei nella visione di x Hitler si era fuso con le teorie razziste nate alla fine del settecento e sviluppatesi nel corso dell’ottocento. Secondo tali
dottrine esisterebbe una razza, quella ariana, corrispondente in pratica agli europei di pelle chiara che possederebbero caratteristiche superiori a quelle di tutte le altre. Solo l’ariano
può a buon diritto portare il nome di uomo ed essere considerato il fondatore della cultura umana. Hitler finisce per presentare gli ebrei come esseri demoniaci, assetati di potere
che mirano alla conquista del mondo intero: da un lato cercano in ogni modo di abbassare il livello della purezza razziale del popolo che vogliono conquistare e dall’altro diffondono
il marxismo.
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LE RAGIONI DEL SUCCESSO NAZISTA
Non è facile individuare il motivo per cui milioni di tedeschi dapprima scelsero Hitler, poi aderirono al movimento nazista e ne rimasero affascinati. Per prima cosa è opportuno
sgombrare il campo da un equivoco e lasciare sullo sfondo l’antisemitismo. Hitler fu concepito come l’ultima opportunità che si offriva alla nazione: l’estrema speranza a cui
aggrapparsi, per la resurrezione di una patria umiliata e disperata. Col passare del tempo Hitler fu percepito come il salvatore della Germania. Moltissimi individui si sentirono
proiettati verso un futuro di prosperità, a grandi masse di individui disperati, il profeta che annunciava l’imminente inizio del millennio offrì una speranza, rinnovate certezze e ragioni
di vita. Nel momento stesso in cui rendeva forte la speranza, la nuova fede preparava migliaia di persone al massacro di massa.
LO SCONTRO CON LE SA
L’aggressiva politica estera progettata da Hitler necessitava della collaborazione dell’esercito e dell’industria pesante. I militanti più estremisti chiedevano al nuovo regime di
intervenire alla radice sulla struttura sociale tedesca. Queste aspirazioni di cambiamento sociale erano molto diffuse soprattutto all’interno delle cosiddette SA guidate da Röhm,
erano il braccio armato del movimento nazista. Röhm sognava di trasformarle nel nerbo di un nuovo esercito tedesco che fosse veramente popolare, cioè capace di essere
l’autentica espressione del popolo tedesco. Per Hitler queste posizioni rappresentavano un grave pericolo per vari convergenti motivi. Pertanto nel 1934 Hitler procedette a una
radicale epurazione del movimento nazista, in quella che ha preso il nome di notte dei lunghi coltelli, Röhm e numerosi suoi sostenitori furono uccisi a sangue freddo, con un’azione
brutale che tolse di mezzo gli ultimi ostacoli a un incontrastato dominio di Hitler. Le SA furono disarmate e aumentarono enormemente il potere il prestigio delle cosiddette SS
guidate da Himmler che divenne il capo della Gestapo incaricata della repressione di ogni dissenso politico all’interno dello Stato. Ciò permise a Himmler di dominare l’intero
sistema dei campi di concentramento. I primi campi erano nati in modo improvvisato, selvaggio nei giorni seguenti l’incendio del parlamento, ma durante il 1933 sorsero circa 70
campi.
I LAGER NAZISTI
Quando Himmler dopo la notte dei lunghi coltelli assunse il controllo di tutto il sistema dei lager, il comandante delle SS assegnò a Dachau un ruolo del tutto speciale. Esso divenne
così una specie di modello, tra le innovazioni che qui vennero introdotte vi fu lo slogan “il lavoro rende liberi”, la scritta esprime una delle intenzioni per cui venne istituito il lager. I
campi infatti si proponevano di correggere i comportamenti errati, tenuti da alcuni gruppi di cittadini tedeschi. I prigionieri internati all’interno di un lager nazista si trovavano in una
condizione giuridica del tutto particolare. In Germania l’internamento era un provvedimento puramente amministrativo, si poteva assumere il principio dell’arresto di sicurezza. I
testimoni di Geova cominciarono a essere internati perché si rifiutavano di prestare giuramento allo Stato e di fare il servizio militare, successivamente iniziarono ad essere arrestati
anche politici, asociali e gli zingari.
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Si tratta di un’epoca felice che precede la catastrofe e riceve una denominazione positiva per segnalare un passato recente, ma perduto, in cui si viveva allegramente senza i
problemi che sarebbero sorti più tardi. Gli americani definirono ruggenti i loro anni Venti, cioè il periodo compreso tra la fine del primo conflitto mondiale e la grande crisi del 1929. Il
cinema, la musica jazz e alcuni balli come il Charleston divennero i simboli evidenti di questo periodo.
Gli anni ruggenti furono anche un periodo di brutale intolleranza, xenofobia e ostilità verso ogni forma di diversità, basti pensare al Ku Klux Klan: coloro che erano diversi
rappresentavano dei pericolosi sovversivi che mettevano in discussione lo stile di vita americano. L’episodio più eloquente fu la condanna a morte di Sacco e Vanzetti, due
anarchici italiani emigrati negli Stati Uniti che furono accusati di aver ucciso due persone durante una rapina. Durante il processo la loro innocenza era stata ampiamente
dimostrata, ma salirono sulla sedia elettrica nel 1927. Secondo l’opinione pubblica americana, il fatto che essi fossero stranieri anarchici li trasformava automaticamente nelle menti
antiamericani e pericolosi delinquenti.
Il proibizionismo, il divieto di vendere bevande che contenessero una percentuale di alcol superiore allo 0,5%, segnò la crescita del contrabbando e della vendita clandestina di
alcolici, gestita dalla criminalità organizzata.
Gli anni Venti segnano una formidabile espansione economica: il prodotto nazionale lordo aumenta, l’inflazione rimane sotto l’1%, mentre la disoccupazione è bassa. In questa
situazione favorevole, il reddito statunitense medio cresce costantemente e ciò permette l’acquisto di un numero crescente di beni di consumo e migliora la qualità della vita delle
persone.
Per la prima volta, la pubblicità viene elaborata in modo scientifico per ottenere il massimo effetto sul cliente. Una novità erano anche i grandi magazzini capaci di provvedere alla
distribuzione di beni di largo consumo su tutto il territorio americano e la formula del pagamento rateale.
L’INIZIO DELLA CRISI ECONOMICA
Negli anni Venti la produzione industriale visse una stagione di straordinario sviluppo, mentre la situazione era decisamente più critica nel settore dell’agricoltura. L’agricoltura
europea aveva ripreso gradualmente a funzionare e, negli stati uniti, i prezzi dei prodotti agricoli stupirono un pesante ribasso. Molti agricoltori andarono in rovina e innescarono un
processo di contrazione della domanda che sta alla base della grande depressione.
Nell’ottobre del 1929 la borsa di New York, dopo un periodo di speculazione finanziaria, registrò un brutale ribasso del valore dei titoli, in quanto le aziende non possedevano più un
livello di prosperità effettivamente corrispondente all’elevata quotazione in borsa delle loro azioni. Il 24 ottobre 1929, il cosiddetto giovedì nero, Wall Street crollò. Il crollo borsistico
rappresenta l’inizio ufficiale della grande depressione, non ne fu la causa, ma il sintomo più clamoroso della situazione che si è venuta a creare: a causa delle difficoltà degli
agricoltori, un regime economico basato sull’aumento costante della produzione si stava scontrando con una stasi della domanda. La crisi si manifestò nel giro di poco tempo in tutti
i comparti fino a travolgere l’intera economia. La produzione industriale diminuì, mentre i disoccupati aumentarono.
In Inghilterra aumenta il numero di disoccupati, la sterlina viene svalutata e si introducono dazi protezionistici. Inoltre, Venne definitivamente abbandonato il liberismo economico,
basato sul presupposto che lo Stato dovesse astenersi dall’intervenire nel campo dell’economia.
L’inizio della grande depressione diede origine alla grande trasformazione degli anni 30, caratterizzati da esperienze sociali, economiche e politiche radicalmente nuovi rispetto al
passato.
IL NEW DEAL
Presidente degli Stati Uniti, nel 1929, Hoover era convinto della capacità del mercato di autoregolarsi in campo economico senza l’intervento dello Stato, il che significherebbe
altrimenti l’oppressione dell’individuo e della sua libertà di iniziativa. Il Paese era lasciato a se stesso, le campagne erano invase da vagabondi, mentre alla periferia delle metropoli
si ammassavano baraccopoli improvvisate denominate hoovervilles. In questa situazione di miseria e di frustrazione, alle elezioni del 1932 venne eletto il democratico Franklin
Delano Roosevelt. Per affrontare la crisi, si rese conto della necessità di abbandonare l’impostazione liberista. Di conseguenza si circondò di esperti (Brain Trust) per affrontare la
situazione con metodi diversi. Essi elaborarono il New Deal, la cui idea centrale consisteva nell’intervento dello Stato nella vita economica del Paese. Il mercato, tuttavia, non era
più capace di generare occupazione, di conseguenza Roosevelt si impegnò a fornire lavoro ai cittadini, in modo tale da guadagnare e spendere denaro e rimettere in moto il
meccanismo. L’amministrazione Roosevelt intraprese un grande campagna di lavori pubblici e causò un alto numero di posti di lavoro all’anno. Anche l’agricoltura fu sostenuta con
una serie di sussidi.
Il debito nazionale aumentò e, nonostante gli sforzi, la disoccupazione rimase piuttosto alta. Solo lo scoppio della II Guerra Mondiale pose fine alla grande depressione.
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Nella concezione di Hitler il vero nemico del Reich era l’unione sovietica, pertanto con l’avvento al potere di Hitler cessò il rapporto di collaborazione tra Germania e Russia
comunista. Le relazioni della Germania col resto delle potenze europee si fecero di nuovo tese: un esempio è il contrasto che opponeva il Reich all’Italia a proposito
dell’indipendenza dell’Austria. Dopo la dissoluzione dell’impero asburgico il governo di Vienna aveva chiesto alle potenze vincitrici di poter unirsi alla Germania in nome del principio
di nazionalità. Tale richiesta era però stata respinta. I nazisti austriaci tentarono un colpo di stato e Mussolini minacciò di intervenire militarmente. Hitler ottenne un clamoroso
successo politico, infatti gli abitanti della Saar ottennero con un plebiscito la riunificazione al Reich. Hitler procedette alla prima significativa violazione del trattato di Versailles,
ripristinando la coscrizione obbligatoria. Nel 1935 a Stresa si riunirono i governanti di Francia, Gran Bretagna e Italia e concordarono di mantenere l’assetto europeo esistente. In
maggio Hitler annunciò che la Germania ripudiava le residue clausole sul disarmo del trattato di Versailles.
I FASCISMI IN EUROPA
L’ordine internazionale creato a Vesailles tra le potenze vincitrici della Prima Guerra Mondialesi rivelò piuttosto fragile, in quanto molte questioni rimasero irrisolte e non si creò il
programmato equilibrio internazionale. (l’invasione giapponese della Manciuria e quella italiana dell’Etiopia dimostrarono l’incapacità della Società delle Nazioni)
Dopo la crisi del ’29 le tensioni fra gli stati europei si aggravarono, in quanto tutti avviarono politiche di chiusura e di difesa delle proprie economie. Inoltre sorsero vicini, diversi
sistemi politici, come le democrazie liberali, il comunismo e il fascismo, tra loro contrastanti.
Questa situazione è alla base delle ragioni che portarono lo scoppio della 2GM.
Negli anni fra le due guerre si sviluppano in molti paesi europei regimi antidemocratici che si rifanno al nazismo e al fascismo.
Questo avvenne soprattutto in Europa centro-orientale: Romania, Bulgaria, Polonia, Grecia, Ungheria, Finlandia e repubbliche baltiche. L’unica eccezione fu la Cecoslovacchia, che
rimase democratica fino all’invasione nazista nel ’39.
I paesi dell’Europa centro-orientale erano caratterizzati soprattutto da economie agricole e da arretratezza sociale e culturale, con scarse tradizioni democratiche. Qui vi erano molti
problemi causati dalla compresenza di etnie, lingue e religioni diverse. Un altro elemento era il radicato antisemitismo, che creò a fenomeni di razzismo, nazionalismo o fascismo.
Antisemitismo nei confronti, in particolare, degli ebrei che occupavano ruoli importanti nel commercio e nelle professioni, e, in generale, verso tutta la razza ebrea.
AUSTRIA
Un caso particolare fu quello dell’Austria, dove il sistema politico assunse un carattere sempre più autoritario, allontanandosi dalla democrazia stabilita dalla costituzione. Qui si
diffuse la destra austriaca, che considerava Mussolini punto di riferimento e, Mussolini, vedeva nell’Austria un’alleata fondamentale per aumentare la propria potenza nell’area
balcanica e anche per contenere l’ascesa di Hitler.
In questo periodo però Hitler manovrava i nazisti austriaci, per annettere l’Austria alla Germania; ma il primo ministro austriaco appoggiava l’Italia. Per questo, nel ’34 i nazisti
tentano un colpo di stato a Vienna, ma l’annessione alla Germania fu bloccata da una reazione internazionale e dallo stesso Mussolini.
SPAGNA
Anche in Portogallo e Spagna si affermarono dittature che durarono per molti anni.
La Spagna era un paese ancora arretrato (non più impero coloniale), retto negli anni ’20 dalla monarchia di Alfonso 13°, il quale, dopo le elezioni del ’31 in cui vincono i
repubblicani, lascia il paese. Di conseguenza si forma un governo progressista che introduce una serie di riforme (terre, chiesa, …).
1936 – guerra civile spagnola. Importante anche sul piano internazionale, perché si prefigurano gli schieramenti della 2GM. L’Italia e la Germania mandano infatti aiuti e truppe a
Franco. La Spagna era divisa tra franchisti e monarchici. La guerra durò tre anni e fu caratterizzata da atrocità e massacri; infine i franchisti vinsero e Franco salì al potere.
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Intanto il partito comunista, scioltosi nel marzo 1924 in conseguenza della politica opportunista della sua direzione, e ricostituitosi alla fine del 1926, elaborò un programma d’azione
contro l’offensiva degli imprenditori, rafforzando la propria influenza nel paese grazie a un’intesa col partito operaio-contadino, creato nel 1926, che ottenne nelle elezioni
parlamentari del 1928 200.000 voti.
L’attività di questi due partiti gettò l’allarme nei circoli dirigenti, che nel 1928 introdussero nella “legge sui pensieri pericolosi” alcune clausole che prevedevano la pena di morte per
attività rivoluzionaria e che comportarono lo scioglimento di tutti i partiti di sinistra, arresti in massa di comunisti e l’assassinio, nel 1928, di un dirigente comunista, Masanosuke
Watanabe.
LA POLITICA AGGRESSIVA DEL GOVERNO TANAKA
Nell’aprile 1927 andò al potere il governo del leader della “Società degli amici politici”, il generale e barone Tanaka, uno degli organizzatori dell’intervento giapponese nell’Estremo
Oriente sovietico nel 1905.
Il nuovo governo si dedicò subito all’elaborazione di piani di aggressione contro l’Urss e la Cina. Nell’estate del 1927 si tenne a Tokyo, sotto la presidenza di Tanaka, la cosiddetta
“Conferenza orientale”, nella quale venne discusso, con le massime autorità governative e militari, un programma aggressivo (detto “memorandum segreto di Tanaka”) che
prevedeva la conquista di una parte della Cina e di tutta la Mongolia, con l’obiettivo di realizzare un dominio nipponico nell’Asia sud-orientale e nel bacino dell’oceano Pacifico.
In concomitanza con l’inizio della guerra civile in Cina tra il Kuomintang (Partito Cinese Nazionalista) e il Partito Comunista Cinese, gli imperialisti giapponesi nel maggio 1927
avevano inviato proprie truppe nella provincia costiera cinese dello Shandong, occupando alcune città. Scopo di questo intervento armato era di fermare l’offensiva delle truppe del
Kuomintang verso nord e di utilizzare queste forze per sconfiggere il movimento comunista. L’anno dopo infatti, col pretesto della “difesa degli interessi vitali e delle proprietà dei
residenti giapponesi”, l’esercito giapponese penetrò massicciamente in tutta la provincia dello Shandong, chiedendo in forma ultimativa il ritiro di tutte le truppe cinesi. Uccisero
anche nel giugno 1928 il governatore della Cina nord-orientale Zhang Zuolin, che s’era accordato con gli imperialisti americani, sottraendosi all’ubbidienza verso il Giappone.
Tuttavia un forte movimento cinese di boicottaggio delle merci giapponesi e l’azione decisa della diplomazia sovietica contro il nuovo atto di aggressione costrinsero il Giappone a
iniziare nell’agosto del 1928 l’evacuazione delle proprie truppe dallo Shandong (che terminò solo nel maggio 1929). Per tutta risposta nell’estate 1929, di concerto con gli Stati Uniti
e con la Gran Bretagna, gli imperialisti giapponesi inscenarono una provocazione antisovietica di militaristi cinesi sulla ferrovia della Cina orientale e sulla frontiera sovietico-cinese,
ma le truppe sovietiche respinsero l’attacco degli aggressori.
GLI EFFETTI DELLA CRISI ECONOMICA MONDIALE DEL 1929
Dopo il 1929 la crisi economica mondiale si manifestò in Giappone in forma straordinariamente acuta. Il valore totale della produzione industriale scese, nel 1931, del 32,4%,
rispetto al 1929; il volume dell’industria estrattiva e dell’industria pesante fu quasi dimezzato. L’esportazione dei principali prodotti si ridusse di oltre i 2/3.
Durante la crisi si rafforzò il processo di concentrazione della produzione e del capitale, a spese delle piccole e medie imprese. Nel 1929 si contavano nel paese 21 associazioni
monopolistiche; nel 1930 esse erano già 31 e nel 1931 ne sorsero altre 23.
I salari degli operai subirono continue riduzioni: nei rami fondamentali dell’industria diminuirono dal 25 al 45%. Nel 1931 c’erano nel paese 3 milioni di disoccupati.
Il prezzo del riso era calato nel 1931 di oltre la metà rispetto al 1929, e siccome scendevano i prezzi anche degli altri prodotti agricoli, si accrebbe nettamente l’indebitamento delle
aziende contadine. Approfittando di ciò, i proprietari fondiari presero a cacciarli dalle loro terre, anzi utilizzavano i numerosi disoccupati, ritornati dalle città dopo i licenziamenti dalle
officine e dalle fabbriche, per rompere i vecchi rapporti tradizionali con i contadini affittuari. Cioè invece di concludere nuovi contratti di affitto, molti proprietari fondiari preferivano
gestire le loro aziende con manodopera salariata.
I lavoratori, con le loro nuove organizzazioni democratiche, scesero in lotta contro i licenziamenti, le riduzioni del salario e l’aumento della giornata lavorativa. Nel 1931 gli scioperi
furono due volte e mezzo più numerosi che nel 1928. Nei primi tre anni di crisi il numero dei conflitti nelle campagne superò gli ottomila. I contadini chiedevano l’annullamento dei
debiti dovuti ai proprietari fondiari (a cui spesso s’incendiavano le case), la riduzione degli affitti e avanzarono la parola d’ordine “la terra ai contadini”. I disoccupati chiedevano
anche l’assegnazione di sussidi, la distribuzione gratuita delle scorte di riso, l’esenzione dal pagamento degli affitti delle abitazioni, l’introduzione di assicurazioni contro la
disoccupazione a spese degli imprenditori.
Le incursioni della polizia contro le organizzazioni sindacali, le bastonate ai partecipanti agli scioperi e gli arresti in massa divennero un fenomeno quotidiano. Nel 1930 vennero
arrestate 6.000 persone, nel 1931 più di 10.000. Si rafforzò anche l’attività di organizzazioni para-militari sovvenzionate dal regime, che effettuavano azioni terroristiche contro i
dirigenti del movimento operaio, disperdevano le assemblee operaie, attaccavano le sedi dei sindacati.
I COMPLOTTI MILITARI FASCISTI
L’oligarchia finanziaria del Giappone tendeva sempre più verso l’instaurazione di un “governo forte”. Lo strumento per realizzare questo fine doveva essere il ceto militare, i cui
rappresentanti sottoponevano a violente critiche i partiti parlamentari per la loro incapacità di assicurare un “ordinamento solido”, e chiedevano apertamente la liquidazione del
sistema parlamentare e il passaggio alla dittatura militare.
Nel 1931 vennero scoperti complotti che avevano lo scopo di preparare dei colpi di Stato per l’instaurazione della dittatura. Una particolare attività venne manifestata in quest’epoca
dai cosiddetti “giovani ufficiali”, in prevalenza provenienti dai ceti dei piccoli e medi proprietari fondiari (gli ufficiali superiori provenienti dall’antica nobiltà feudale-militare e che
avevano partecipato alla guerra russo-giapponese del 1904-1905 erano denominati i “vecchi”). I “giovani ufficiali” esprimevano un certo malcontento verso la vecchia burocrazia e
l’ambiente dei generali, considerandoli un ostacolo sulla strada del loro avanzamento nella carriera militare.
Nel 1932 cominciò a formarsi l’organizzazione fascista “Federazione nazionale dei giovani ufficiali”, capeggiata dal generale Araki. Vi aderirono l’Unione dei riservisti, i
rappresentanti dell’Associazione dei proprietari fondiari, la Società agricola imperiale e alcuni deputati degli agrari. L’organizzazione diffuse manifestini in cui attaccava
demagogicamente i monopoli e prometteva il proprio aiuto al popolo nella lotta contro le speculazioni dei gruppi commerciali, dei “politicanti” e degli “amanti del facile
arricchimento”. Il 15 maggio i ribelli fascisti penetrarono a viva forza nella residenza del premier Inukai e l’uccisero, gettarono bombe contro il palazzo del governo e le sedi del
partito di governo e del gruppo monopolistico Mitsubishi.
Il loro tentativo d’instaurare una aperta dittatura militare non ebbe però successo. La demagogia anticapitalistica dei fascisti apparve pericolosa alla classe dominante. Il governo
fece disarmare i ribelli e arrestare alcuni di loro. Tuttavia il principale responsabile del complotto, il generale Araki, non venne arrestato, anzi ebbe il portafoglio di Ministro della
guerra nel nuovo governo di “unità nazionale”, chiamato a quietare l’indignazione popolare.
L'INVASIONE DELLE TRUPPE GIAPPONESI NELLA CINA NORD-ORIENTALE
Negli anni della crisi economica, successivi al 1929, i monopolisti giapponesi, statunitensi e britannici si scontrarono aspramente in Cina per i mercati di smercio dei loro prodotti,
per gli investimenti dei capitali e per le sfere d’influenza economico-politiche, allo scopo di alleggerire la loro situazione economica mediante la spoliazione del popolo cinese.
Nel 1931 gli Stati Uniti elaborarono un progetto per la concessione di un prestito cosiddetto “dell’argento” da utilizzarsi per il riscatto delle ferrovie cinesi, allora in mano ai
giapponesi. La Banca d’America a Shanghai decise di istituire alcune decine di succursali nel nord-est della Cina. Nello stesso anno gli Usa occuparono il primo posto nel
commercio cinese, facendo retrocedere il Giappone al secondo e la Gran Bretagna al terzo.
Non volendo rassegnarsi al fatto che le più importanti posizioni in Cina, destinata a diventare nei suoi intenti una propria colonia, passassero nelle mani degli americani, il Giappone
pensò a una soluzione di tipo militare, aggredendo la Manciuria (la Cina nordorientale), le cui ricchezze economiche e la cui posizione geografica veniva considerata strategica, in
quanto da lì si potevano compiere altre azioni aggressive contro la Cina e l’Urss. A dir il vero gli obiettivi finali della cricca militarista nipponica erano quelli di occupare tutta la Cina,
la Mongolia, l’Estremo Oriente sovietico e vaste regioni dell’Asia centrale, contando di poter sfruttare gli atteggiamenti antisovietici dei circoli governativi degli Stati Uniti, della Gran
Bretagna, della Francia e delle altre potenze imperialiste: per questo motivo presentava la sua aggressione soprattutto come lotta contro la “minaccia comunista”.
Nell’estate del 1931 il Giappone aveva completato la preparazione per l’attacco alla Cina. Il momento scelto gli sembrava assai favorevole, perché i concorrenti imperialisti erano
presi dalla crisi economica mondiale. Nella stessa Cina era scoppiata la guerra civile (1926-1949), che veniva descritta dalla propaganda giapponese come una “minaccia rossa”.
Nel settembre 1931 le truppe giapponesi iniziarono l’invasione della Cina nord-orientale, occupando in pochi giorni tutti i principali centri e approfittando della politica di
capitolazione del governo di Chiang Kai-shek, secondo cui prima di combattere il Giappone bisognava eliminare i comunisti interni.
Nel gennaio 1932 i militaristi giapponesi tentarono di occupare Shanghai, ma la resistenza degli operai della città e di alcuni reparti della XIX armata cinese fece fallire il loro
tentativo.
L'ATTEGGIAMENTO DELLE POTENZE OCCIDENTALI DI FRONTE ALL’AGGRESSIONE GIAPPONESE
Sebbene l’aggressione giapponese alla Cina toccasse gli interessi delle potenze occidentali e violasse il trattato di Washington, il “patto Briand-Kellogg” e lo statuto della Società
delle Nazioni, i circoli governativi di questi paesi attuarono una politica di connivenza con l’aggressore, rifornendolo di materiale strategico-militare. Alla base di questo
atteggiamento stavano l’avversione contro la rivoluzione cinese del democratico Sun Yat-sen (1866-1925), fondatore della Cina moderna, nonché l’idea che lo sviluppo degli
avvenimenti avrebbe portato a una guerra nippo-sovietica, nella quale ambedue le parti si sarebbero seriamente indebolite.
Le truppe giapponesi, dopo aver occupato la Cina nord-orientale, cominciarono ad avanzare verso sud, cioè verso quelle regioni dove le potenze occidentali, in primo luogo la Gran
Bretagna e gli Stati Uniti, avevano grossi interessi industriali e finanziari. Provocò particolare inquietudine tra i monopolisti britannici e americani il tentativo giapponese di occupare
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Shanghai, principale centro del commercio britannico in Cina e importante zona d’investimento del capitale americano. Le ditte americane avevano a Shanghai 400 succursali:
appartenevano loro la centrale elettrica, le aziende municipali, le aviolinee. Verso il 1932 gli Stati Uniti occupavano il primo posto nell’importazione di merci a Shanghai.
Nel gennaio 1932 gli Usa invitavano il Giappone e la Cina a non creare una situazione in cui venissero danneggiati gli interessi del loro paese. Il che, in pratica, voleva dire che il
Giappone avrebbe dovuto limitarsi a occupare la parte nord-orientale della Cina, rivolgendosi semmai verso i confini con l’Urss. I governi di Gran Bretagna e Francia speravano
invece di accordarsi col Giappone per garantire i propri interessi in Cina senza la partecipazione degli Stati Uniti. Ovviamente neppure la Società delle Nazioni si oppose
all’estensione dell’aggressione in Cina: si propose soltanto una commissione per studiare la situazione.
Nel frattempo i militaristi giapponesi, volendo mettere la commissione davanti al fatto compiuto, accelerarono la riorganizzazione della Cina nord-orientale, ponendo al governo l’ex
imperatore della Cina Pu Yi, ultimo imperatore Qing, “reggente” del nuovo Stato fantoccio del Manciukuò. Nel giugno 1932 il parlamento giapponese approvò la decisione di
riconoscere, de iure, il Manciukuò, permettendo ai militaristi giapponesi possibilità illimitate di spadroneggiarvi.
Nell’ottobre 1932 venne pubblicata la relazione della commissione della Società delle Nazioni sulla situazione in Cina. La proposta era quella di lasciare la Cina nord-orientale sotto
la sovranità cinese con un’autonomia protetta dalle grandi potenze, cioè in pratica si mirava a trasformare la Cina nord-orientale in una zona di sfruttamento del capitale
internazionale. Sicché per circa cinque mesi alla Società delle Nazioni si assistette a una dura lotta tra gli imperialisti per la spartizione di quell’area.
Soltanto nel febbraio 1933 l’assemblea della Società delle Nazioni approvò una risoluzione nella quale si richiedeva lo sgombero delle truppe giapponesi dalla Cina nord-orientale,
anche se riconosceva i particolari interessi del Giappone in questa regione.
All’approvazione di tale risoluzione il Giappone reagì uscendo dalla Società delle Nazioni ed estendendo ulteriormente l ’aggressione ad altre province cinesi. Alla fine il Kuomintang
capitolò, firmando un accordo con i giapponesi per la trasformazione della parte nord-orientale di questa provincia in una zona smilitarizzata. Gli aggressori avevano però la strada
aperta verso Pechino e Tientsin.
A nulla valsero le opposizioni del partito comunista giapponese e di altre organizzazioni progressiste contro questa invasione imperialistica. Decine di migliaia di persone vennero
arrestate, due dirigenti del partito comunista vennero uccisi dalla polizia, furono sciolte tutte le organizzazioni di sinistra e lo stesso partito comunista.
LA PROGRESSIVA MILITARIZZAZIONE DEL GIAPPONE
Il governo presieduto dell’ammiraglio Okada, che era subentrato nel luglio 1934 al governo dell’ammiraglio Saito, continuò la politica di consolidamento delle posizioni del capitale
statale-monopolistico e la preparazione della “grande guerra”. I monopolisti ottennero sovvenzioni statali e commesse militari che assicurarono loro enormi profitti.
Il governo favorì in primo luogo quei settori della produzione che erano legati alla preparazione della guerra. Una particolare attenzione venne dedicata all’industria pesante. Nel
1934 fu creato un grande trust metallurgico semistatale del quale fecero parte le fabbriche statali e alcune aziende appartenenti ai consorzi Mitsui, Mitsubishi ecc. Tre quarti del
capitale del trust erano dello Stato. Le commesse militari del governo raggiunsero i 5 miliardi e mezzo di yen nel 1932-1936, stimolando il rapido sviluppo dell’industria pesante.
La produzione della ghisa in Giappone (compresa la Corea) aumentò, nel periodo 1929-1936, da 1,2 milioni a 2,3 milioni di tonnellate; la produzione dell’acciaio aumentò negli
stessi anni da 2,3 milioni a 5,3 milioni di tonnellate. Dal 1931 al 1936 furono investiti nell’industria bellica quasi 7 miliardi di yen, di cui circa 5,3 nella costruzione di nuove fabbriche.
Enormi somme furono spese per rafforzare e modernizzare l’esercito e la marina: nel 1935-1936 esse raggiunsero i 1.023 milioni di yen, mentre nel periodo 1933-1934 le spese
militari erano state di 852 milioni di yen.
Sorsero però, inevitabilmente, serie difficoltà finanziarie, e il deficit del bilancio statale raggiunse un miliardo di yen, mentre la somma dei prestiti statali raggiunse i 9 miliardi. Lo
Stato cercò di superare le difficoltà economiche e politiche causate dalla militarizzazione con un intensificato sfruttamento dei lavoratori e con una politica interna reazionaria. La
giornata lavorativa era di 11 e più ore, mentre i salari vennero diminuiti. Un’operaia tessile giapponese riceveva un salario 7 volte inferiore a quello della sua collega britannica.
Aumentò anche il numero dei disoccupati. Nel periodo 1933-1935 vennero gettate in carcere 24.000 persone, accusate di “comunismo” o di simpatia per i comunisti.
Nell’autunno del 1935, nelle elezioni delle rappresentanze di circondario, le due grandi organizzazioni sindacali, la Federazione del lavoro e la Lega generale dei sindacati, che
contavano nelle loro file circa 100.000 aderenti, si accordarono su di un programma di unità di azione, e nel gennaio del 1936 si unificarono.
Con una legge del 1933 il governò aveva stabilito prezzi fissi sul riso, acquistandone grossi quantitativi dai contadini. I contadini più poveri, costretti in autunno a vendere il riso ai
bassi prezzi statali, dovevano poi acquistarlo in primavera sul mercato a prezzi elevati. Alla fine del 1934 e nella prima metà del 1935 una carestia colpì le campagne giapponesi.
Nel periodo 1935-1936 i conflitti furono 2-3 volte più numerosi di quelli registrati nel periodo 1929-1933, e nel 1936 raggiunsero la cifra di 5.500. Ciò era dovuto soprattutto alla
cacciata degli affittuari dalla terra, all’alto canone di affitto, agli acquisti statali di riso a prezzi fissi. Accanto ai contadini poveri partecipavano alla lotta anche quelli medi. Alla testa
del movimento contadino si pose l’associazione di sinistra delle unioni dei contadini, che chiedeva la concessione di terra ai contadini e l’abrogazione delle leggi più inique.
IL PUTSCH MILITARE-FASCISTA DEL 1936
Preoccupati dal crescente inasprimento della lotta di classe i gruppi dirigenti nipponici tendevano sempre più a una dittatura apertamente fascista. Uno dei gruppi militari
giapponesi, il “Kodoha” (“Fazione del Cammino Imperiale”), che poggiava sui proprietari fondiari e sulle concentrazioni monopolistiche, si poneva l’obiettivo d’instaurare, mediante
congiure e rivolte, un “socialismo di stato con al centro l’imperatore” e la conquista dei paesi asiatici confinanti col Giappone. Questo gruppo era formato soprattutto dai
rappresentanti dei cosiddetti “giovani ufficiali”.
Un’altra organizzazione militare, il “Toseiha” (“Fazione del Controllo”) riteneva necessario consolidare l’apparato statale esistente e compiere la fascistizzazione del regime
monarchico senza ricorrere a congiure e rivolte.
I dissensi nel campo dei militari assunsero forme assai aspre quando il ministro della guerra Hayashi, che rappresentava il “Fazione del Controllo”, attuò un’epurazione nell’esercito,
esonerando dai loro incarichi molti sostenitori della “Cammino Imperiale”, i quali passarono al terrorismo aperto, finché il 12 agosto 1935 fu ucciso uno dei capi della “Fazione del
Controllo”.
Tuttavia le elezioni parlamentari svoltesi nel febbraio 1936 indicarono che la politica avventuristica incontrava una sempre maggiore resistenza. Tutte le organizzazioni fasciste
vennero sconfitte, ottenendo solo 200.000 voti e 5 seggi in parlamento.
Di fronte alla sconfitta elettorale, i “giovani ufficiali” decisero di ricorrere alla rivolta aperta per instaurare una dittatura militare-fascista capeggiata dal generale Mazaki. Il 26
febbraio, 1.500 rivoltosi occuparono vari edifici governativi e compirono una serie di atti terroristici: furono uccisi varie personalità di spicco, mentre il premier Okada riuscì a fuggire
in tempo dalla sua residenza.
Nonostante questo la rivolta fallì, poiché considerevoli forze dell’esercito e della marina si schierarono con la “Fazione del Controllo”. Dopo una resistenza di tre giorni i rivoltosi
capitolarono: 18 capi della congiura furono fucilati e 60 “giovani ufficiali” vennero condannati a periodi più o meno lunghi di reclusione, oppure passati nella riserva o trasferiti in
zone remote del paese.
Dopo la liquidazione del complotto si fermò un nuovo ministero presieduto da Hirota Hirotake, strettamente legato all’ambiente militare della “Fazione del Controllo”. Si decise allora
di nominare alla carica di ministro della guerra e della marina solo generali o ammiragli in servizio militare attivo, per non consentire un eventuale indebolimento del controllo dei
militari sul governo.
Il ministero Hirota attuò una serie di misure reazionarie: il divieto dei festeggiamenti del 1° maggio; le leggi “sul controllo della corrispondenza pericolosa” e “sul controllo delle idee
pericolose”; lo scioglimento dei sindacati nelle fabbriche militari ecc. In politica estera fu continuata la preparazione diplomatica della “grande guerra”.
Nel novembre 1936 il Giappone firmò con la Germania di Hitler il “patto anti-Komintern”. Alle frontiere con l’Urss e la Mongolia vennero provocati nuovi “incidenti”. All’inizio del 1937
il governo Hirota fu sostituito da quello non meno reazionario di Hayashi, che nel marzo dello stesso anno sciolse il parlamento e indisse nuove elezioni, pensando di rafforzare le
proprie posizioni. Ma, contrariamente alle aspettative, le elezioni diedero una grande vittoria ai suoi avversari.
Gli sforzi congiunti degli ambienti della corte e dei grandi monopoli riuscirono a formare il ministero del principe Konoe, legato sia alla “Fazione del Controllo” che ai “giovani
ufficiali”. Konoe riuscì a ottenere un consolidamento provvisorio di tutti i partiti della borghesia e dei grandi proprietari fondiari, sulla base del riconoscimento del programma bellico
e della conservazione delle prerogative del parlamento. La via per l’attuazione dei piani della “grande guerra” era aperta.
SECONDA GUERRA SINO-GIAPPONESE 1
Il 7 luglio 1937 il Giappone militarista iniziò una nuova penetrazione nella Cina del nord, ritenendo che l’arretratezza tecnico-militare del paese, la debolezza del suo governo
centrale, cui numerosi comandanti militari locali negavano obbedienza, avrebbero consentito un rapido successo entro pochi mesi. Con un esercito di 300.000 uomini i giapponesi
entrarono a Tientsin e a Pechino e in molte altre città e in agosto cominciarono i combattimenti per occupare Shanghai.
L’8 luglio il Partito comunista cinese invitò il popolo a partecipare alla guerra nazionale contro gli invasori giapponesi e chiedeva al Kuo Min Tang di collaborare: in cambio
prometteva di sospendere la confisca delle terre dei proprietari fondiari e di porre l’Armata Rossa sotto un comando unico di tutte le forze armate della Cina. Per sollevare le
condizioni di vita dei contadini si proponeva una diminuzione dei canoni d’affitto della terra e degli interessi dovuti agli usurai.
Nel clima di slancio patriottico generale il Kuo Min Tang non osò respingere le proposte del partito comunista. Venne così formato il fronte unico nazionale antigiapponese,
composto da elementi assai diversi per la loro origine sociale e quindi con motivazioni assai diverse per conseguire l’obiettivo finale.
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Nel settembre del 1937, mentre le truppe del Kuo Min Tang subivano una sconfitta dopo l’altra e abbandonavano al nemico grossi centri abitati, le forze armate popolari, dirette dai
comunisti, ingaggiarono una guerra partigiana nelle retrovie del nemico, causandogli perdite consistenti.
Tuttavia nel periodo novembre-dicembre 1937 le truppe giapponesi s’impadronirono nella Cina orientale di Shanghai, Nanchino e altre importanti città, anche grazie al tradimento
del comando del Kuo Min Tang.
Nell’ottobre 1938, nonostante la resistenza del fronte partigiano, le truppe giapponesi entrarono a Canton. Ma qui si dovettero fermare, poiché la guerra nelle retrovie giapponesi
assunse un carattere di massa e nel 1938 gli effettivi avevano raggiunto i 180.000 uomini.
Dal canto suo il Kuo Min Tang continuava a sperare di poter giungere a un compromesso con gli imperialisti giapponesi, ristabilendo la situazione esistente al 7 luglio 1937. Il
governo del Kuo Min Tang, infatti, era disposto a lasciare nelle mani degli invasori l’intero nord-est della Cina e una parte della Cina settentrionale e, per questo motivo, Chiang Kai-
shek si dichiarava disposto a iniziare trattative di pace.
In due anni di guerra la Cina venne perduto un territorio enorme con importanti centri industriali e quasi l’intera rete ferroviaria. Dalla fine del 1938 la forza principale della resistenza
del popolo cinese contro gli invasori giapponesi furono le armate dirette dal partito comunista e il fronte principale di guerra fu costituito dalle zone liberate nelle retrovie del nemico.
L’APPOGGIO DELL’URSS ALLA LOTTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE DEL POPOLO CINESE. LA POLITICA IMPERIALISTICA DELLE POTENZE OCCIDENTALI
Nella situazione determinata dall’aggressione giapponese in Estremo Oriente acquistò una certa importanza il trattato di non aggressione firmato dall’Urss e dalla Cina il 21 agosto
1937. L’articolo 1 infatti condannava il ricorso alla guerra per risolvere le divergenze internazionali e come strumento di politica nazionale nei loro reciproci rapporti. Il governo
sovietico si pronunciò anche contro i massicci bombardamenti delle città cinesi, che causavano migliaia di vittime tra i civili e nel 1938 concesse alla Cina un prestito di 100 milioni
di dollari e nel 1939 un nuovo credito di 150 milioni, senza legarli ad alcuna clausola politica, né ad alcuna garanzia.
Le potenze occidentali, invece, benché l’occupazione di territori cinesi da parte del Giappone fosse in contrasto con i loro interessi sia in Cina che in tutto il bacino del Pacifico,
svolsero una politica d’incoraggiamento dell’aggressore, poiché consideravano il Giappone “la principale forza anticomunista” in Estremo Oriente, destinata a soffocare il
movimento di liberazione nazionale in Cina e ad aggredire l’Urss. E così, dopo l’aggressione del Giappone alla Cina, gli Stati Uniti dichiararono ch’essi assumevano “un
atteggiamento amichevole, imparziale”, e non intendevano dichiarare il Giappone responsabile dello scatenamento della guerra in Cina. Un atteggiamento simile assunse anche il
governo britannico.
La violazione da parte del Giappone del trattato di Washington delle nove potenze, del “patto Briand-Kellogg” e di altri trattati internazionali non incontrò la necessaria opposizione,
nemmeno da parte della Società delle Nazioni. La discussione del conflitto sino-giapponese in seno alla Società si limitò alla decisione di sottoporre il problema all’esame di una
conferenza delle potenze firmatarie del trattato di Washington del 1922.
Ai primi di novembre del 1937 si aprì a Bruxelles la conferenza delle potenze firmatarie del trattato di Washington per discutere la situazione creatasi in Estremo Oriente. Il
Giappone e la Germania rifiutarono di partecipare alla conferenza. Benché l’Urss non avesse firmato il trattato di Washington, essa inviò una propria delegazione allo scopo di
difendere gli interessi del popolo cinese.
La delegazione cinese chiese che la conferenza di Bruxelles decidesse sanzioni economiche contro l’aggressore e offrisse aiuto alla Cina. Quella sovietica appoggiò queste
richieste in base all’articolo 16 dello statuto della Società delle Nazioni. Le sanzioni economiche da parte delle potenze aderenti alla Società delle Nazioni nei confronti del
Giappone potevano essere una misura valida per fermare l’aggressore, dato che la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, la Cina (senza la Manciuria), l’Olanda, l’Indonesia, la Francia,
l’Indocina fornivano al Giappone circa i tre quarti del suo fabbisogno di materie prime. Il Giappone dipendeva quasi completamente dalle importazioni dalla Gran Bretagna, dagli
Stati Uniti e dall’Olanda per materie prime importantissime dal punto di vista strategico-militare, quali il ferro, il piombo, lo stagno, il manganese. Ma la proposta delle sanzioni non fu
appoggiata dalla Francia, dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti. Il delegato italiano, che alla conferenza si fece portavoce delle potenze dell’Asse, approvò addirittura l’aggressione
giapponese.
In sostanza la conferenza di Bruxelles (che si chiuse il 24 novembre 1937) si limitò ad approvare alcune dichiarazioni verbali, nelle quali si affermava che le azioni del Giappone in
Cina contrastavano con trattato di Washington delle nove potenze e si chiedeva al Giappone di cessare le operazioni militari, senza però prendere misure di alcun genere contro
l’aggressore. Anzi, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna continuarono anche in seguito a prestare aiuti ai militaristi giapponesi. Nel 1938 il Giappone ottenne dagli Stati Uniti prestiti e
crediti per 125 milioni di dollari, una grande quantità di macchine utensili, di attrezzature militari e di armamenti. La Gran Bretagna aiutò il Giappone nei trasporti dei carichi militari in
Cina, diventando il suo secondo fornitore di materiali strategici. I banchieri britannici parteciparono al finanziamento delle operazioni militari del Giappone, insieme alla Germania e
all’Italia.
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Il movimento comunista internazionale si mobilitò a favore della Spagna repubblicana e creò le brigate internazionali. L’unione sovietic cominciò ad inviare regolarmente armi e
consiglieri militari per bilanciare il contributo italiano e tedesco sul fronte opposto. Stalin richiese che le armi sovietiche fossero pagate in oro; la Francia e l’Inghilterra preferirono
restare fuori dalla guerra spagnola e assunsero un atteggiamento di assoluta equidistanza, in pratica scelsero di non scegliere.
Il generale tedesco von Richtofen decise di bombardare un ponte sul fiume Guernica. La strage di Guernica fu immortalata da Picasso in uno dei quadri più celebri del 900.
L’episodio in sé però non deve essere sopravvalutato e tanto meno a trasformarsi in un mito storico, infatti non fu il primo un bombardamento aereo, se ne ricordano di ben più
gravi su Madrid. Il 26 gennaio 1939 le truppe franchiste entrarono a Barcellona, pochi mesi più tardi era la volta di Madrid.
L’INTERVENTO SOVIETICO
Da est entrò in Polonia anche l’armata russa, con l’obiettivo di occupare i territori assegnati all’unione sovietica dal protocollo segreto. Francia e Inghilterra avrebbero dovuto
dichiarare guerra immediata anche all’unione sovietica, in realtà decisero di non allargare il conflitto. Germania e Russia si accordarono in modo più preciso per la spartizione delle
rispettive sfere di influenza nell’Europa orientale; in quella circostanza Hitler permise ai sovietici di occupare anche gli Stati baltici della Lettonia dell’Estonia e della Lituania. Nelle
intenzioni di Stalin anche la Finlandia avrebbe dovuto cedere una parte del proprio territorio all’unione sovietica. I finnici, tuttavia si opposero alle pretese sovietiche cosicché iniziò
un conflitto che si sarebbe risolto a favore dell’armata Rossa. L’unione sovietica fu espulsa dalla società delle nazioni, mentre l’Inghilterra si propose di intervenire militarmente a
fianco della Finlandia. Per le stesse ragioni da parte francese si progettò di attaccare i giacimenti petroliferii del Caucaso. Si tratta di progetti vaghi e mai realizzati: la guerra
mondiale avrebbe potuto prendere un indirizzo del tutto diverso rispetto all’andamento che poi assunse definitivamente.
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La speranza del Fuhrer era di poter sconfiggere l’unione sovietica con una nuova guerra lampo. A questa valutazione ottimistica della situazione il dittatore tedesco fu mosso da
una serie di fattori, fra i quali le difficoltà incontrate dall’armata Rossa in Finlandia e le pesanti epurazioni condotte da Stalin tra i generali, condizioni che avevano contribuito a
indebolire l’esercito sovietico. Un altro elemento decisivo fu poi la sua concezione razzista: l’unione sovietica era comandata da una banda di bolscevichi ebrei, capaci solo di
disgregare e decomporre le energie vitali di un popolo. Questa concezione razzista è alla base anche della particolare brutalità che caratterizza la guerra oriente.
Nel 1941 a più riprese il comando supremo tedesco ricevette precise istruzioni sulla necessità che l’esercito venisse accompagnato da speciali reparti di s.s., incaricati di eliminare
la classe dirigente sovietica. Hitler nei suoi progetti avrebbe voluto indurre anche la Gran Bretagna a una pace di compromesso con la Germania. In alternativa le immense riserve
agrarie minerali russe avrebbero fornito al terzo Reich le risorse alimentari e di materie prime per combattere una lunga guerra di logoramento.
STALINGRADO
Nel 1941 Hitler dichiarò guerra agli Stati Uniti. Il Fuhrer sapeva che gli USA era la più forte potenza industriale del mondo, ma sperava di poter bloccare i rifornimenti americani
all’Inghilterra. La sicurezza di Hitler poggiava soprattutto sulla convinzione che la Germania, dopo la sconfitta della Russia in tempi brevi avrebbe ben presto potuto utilizzare le sue
immense risorse. Nell’estate del 1942, l’esercito germanico riprese la sua avanzata in territorio sovietico, l’offensiva non ebbe questa volta come obiettivo principale Mosca, bensì i
campi petroliferi del Caucaso. Dopo alcune clamorose vittorie estive, il 23 luglio Hitler compì l’errore strategico più grave di tutta la guerra, in quanto ordinò all’esercito di dividersi in
due gruppi di armate, in modo da attaccare contemporaneamente sia il Caucaso sia Stalingrado. Il risultato fu che nessuno dei due obiettivi viene conseguito visto che la capacità
d’urto delle armate tedesche fu compromessa da quella divisione di forze. Nel 1942 l’armata Rossa passo al contrattacco. Hitler vietò esplicitamente al generale ogni ritirata dalla
città in cui tedeschi si erano trasformati in assediati. Il risultato fu che il generale fu costretto ad arrendersi. Per molti aspetti quella di Stalingrado fu la battaglia decisiva di tutta la
guerra.
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cominciò a discutere della riorganizzazione che avrebbe subito l’Europa dopo la guerra. A proposito della Polonia, si inizia prendere in considerazione lo spostamento verso ovest,
a danno della Germania.
L’INTERVENTO
A settembre 1939 Hitler comunicò a Mussolini che per la sua guerra non aveva certo bisogno dell’Italia; il duce optò allora per la cosiddetta non belligeranza che non significava
affatto neutralità, bensì pieno appoggio politico alla Germania senza effettiva partecipazione al conflitto. La rapida sconfitta della Francia sconvolse completamente i piani di
Mussolini, che il 10 giugno
1940 annunciò pubblicamente la sua decisione di scendere in campo. Sconfitta la Francia secondo
Mussolini l’Inghilterra sarebbe senz’altro scesa a patti con la Germania. Il progetto di Mussolini era di conquistare la Corsica, Nizza, la Savoia e alcune colonie, il duce sperava di
creare una duratura egemonia romana nel Mediterraneo e nei Balcani. Tuttavia la Gran Bretagna respinse ogni offerta di armistizio da parte di Hitler, l’Italia si trovò coinvolta in un
grande conflitto europeo senza avere la minima speranza di vincerlo. L’11 novembre 1940 gli aereo siluranti inglesi riuscirono senza problemi e a fondare tre corazzate nel porto di
Taranto e a mettere fuori combattimento metà dell’intera flotta da guerra italiana. In Etiopia il 6 aprile 1941 gli inglesi occuparono Addis Abeba e l’Italia divenne totalmente
dipendente dalla Germania per il proprio fabbisogno energetico. A causa della carenza di materie prime, con un simile il retroterra industriale precario, l’esercito e la marina si
trovarono subito gravi difficoltà. Mussolini però non compreso mai la strutturale debolezza dell’esercito, pertanto il 28 ottobre 1940 dichiarò guerra alla Grecia, con la campagna di
Grecia voleva mostrare che l’Italia non era una semplice pedina tedesca, bensì poteva condurre una guerra parallela. Il successo fu totale risultato fu del tutto l’opposto di come
sperato, l’esercito italiano fu salvato dalla completa disfatta solo in virtù del tempestivo intervento tedesco nei Balcani.
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sospingevano soldati prigionieri. Enormi quantità di prigionieri che simultaneamente cadde in mano all’armata russa dopo Stalingrado completare il quadro, in cui impreparazione,
inefficienza e colpevole negligenza si rafforzano a vicenda. Nel 1942-43 ma mano che il numero di prigionieri catturati dall’armata Rossa andò aumentando, il partito comunista e la
prima internazionale organizzarono una capillare attività di propaganda fra i soldati nemici detenuti e cercarono di trasformarsi in una risorsa per diffondere disfattismo e ribellione
tra le forze avversarie. Tra i comunisti italiani che operavano a Mosca l’incarico di dirigere questa propaganda antifascista tra i prigionieri fu assegnato a Vincenzo Bianco. Bianco
tuttavia visitando i campi di prigionia si rese conto che le pessime condizioni in cui erano tenuti gli italiani ostacolavano notevolmente il lavoro di propaganda, egli si rivolse a
Palmiro Togliatti, alto esponente dell’internazionale che da lì a poco avrebbe assunto in Italia la guida del PCI. Questi però si rifiutò di intervenire presso Stalin affinché migliorasse
le condizioni di vita nei campi, egli era consapevole del totale disinteresse del dittatore sovietico verso la sorte dei prigionieri nemici.
IL FRONTE INTERNO
Sul fronte interno i prezzi dei generi alimentari salirono moltissimo. A seguito di questa drammatica situazione nel 1943 scoppiò a Torino una serie di scioperi di protesta. Il regime
fu colto alla sprovvista così il governo fu costretto ad annunciare un amento generale dei salari e degli stipendi. Appellandosi a questa simbolica data il regime voleva far finta di
mascherare la grave situazione di malcontento diffuso tra la popolazione. Il Significato degli scioperi del 1943 segna proprio in questa data la progressiva corrosione del consenso
del popolo italiano nei confronti del fascismo. Rendendosi conto di questo fatto, nell’autunno 1940 erano stati congedati ben 600000 soldati. Un segnale ancora più preoccupante
per il regime venne dall’ambiente dei giovani di estrazione borghese che nelle guerre risorgimentali e nel 1915 si erano arruolati volontari in gran numero. Nel luglio 1942 fu
modificata la normativa vigente e permetteva gli studenti universitari di completare gli studi di rinviare la chiamata alle armi nell’età di 26 anni. Il risultato fu un’improvvisa esplosione
di iscrizioni maschili alle università. Meno spettacolare fu l’episodio delle dimissioni del conte Cini da ministro delle comunicazioni. Cini infatti era una figura di primo piano nel
mondo dell’industria e dell’imprenditoria, cioè quella fascia sociale che aveva accettato che il fascismo andasse al potere, considerandolo l’unica barriera di fronte al pericolo della
rivoluzione. Le dimissioni di Cini sono per certi versi il parallelo alto borghese degli scioperi operai, si tratta di un distacco, di una presa di distanza critica.
LA SVOLTA DI SALERNO
Il 9 settembre 1943 gli anglo americani sbarcarono a Salerno, in Campania. I tedeschi tuttavia riuscirono a organizzare un efficace resistenza sulla cosiddetta linea Gustav. In
questa battaglia l’antica abazia benedettina di Montecassino venne distrutta dagli alleati. Finalmente nel maggio 1944 i tedeschi furono obbligati a ritirarsi verso nord, permettendo
la liberazione di Roma. Il re aveva provocato la fine del regime il 25 luglio 1943 e il governo Badoglio aveva proceduto, il 13 ottobre a dichiarare guerra alla Germania. Tuttavia nel
sud liberato, i partiti antifascisti continuavano a diffidare del sovrano o meglio ancora ritenevano che fosse suo dovere uscire dalla scena politica. Su questo punto insisteva
soprattutto il partito d’azione che dopo la caduta di Mussolini assunse una posizione di rigida intransigenza. Partiti più moderati come la democrazia cristiana e liberali avrebbero
accettato di dialogare con il re e Badoglio. La situazione si mise in movimento solo nella primavera del 1944 quando l’unione sovietica e il partito comunista italiano presero alcune
iniziative clamorose e spiazzarono le altre forze antifasciste, obbligandole ad adeguarsi al loro indirizzo. Il 4 marzo un diplomatico sovietico fu inviato a Salerno, dove il governo si
era trasferito e comunico a Badoglio che l’unione sovietica era disponibile e pronta a riprendere rapporti ufficiali con l’Italia. Subito dopo il suo arrivo in Italia, Togliatti dichiarò che il
suo partito era disposto a partecipare a un governo di unità nazionale, rinviando la soluzione della questione istituzionale al periodo successivo alla vittoria. Il nuovo governo
Badoglio nacque il 24 aprile 1944 e durò fino alla liberazione di Roma. A quel punto mentre Vittorio Emanuele III accettò di nominare come luogo tenente del regno il proprio figlio
Umberto, si ebbe la formazione di un altro governo, aperto a tutte le formazioni politiche antifasciste presieduto da Bonomi.
IL MOVIMENTO DI RESISTENZA
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Gli eventi dell’estate 1944 diedero un notevole impulso al movimento di resistenza, nato tra notevoli difficoltà nell’autunno precedente. In un primo tempo i reparti partigiani furono
concentrazioni di notevole entità, in quanto si trattava di unità militari che non si erano sbandate e a cui si erano aggiunti numerosi fuggiaschi. A Essi si aggiunsero poi i reparti
partigiani organizzati da partiti politici antifascisti. I comunisti crearono le brigate Garibaldi, mentre il partito d’azione diede vita alle formazioni di giustizia e libertà. Il movimento era
guidato da un comitato di liberazione nazionale, le decisioni più importanti furono presi da un comitato di liberazione Nazionale alta Italia. Nel luglio 1944 le formazioni riunivano
forse 50.000 uomini. In diverse zone del Nord Italia, l’autorità della Repubblica sociale fu di fatto sostituita da quella partigiana: gli storici contano 17-18 zone libere o repubbliche
partigiane. L’insurrezione divenne grande obiettivo politico anche per il CLNAI, che si propose di coinvolgere settori sempre più ampi della popolazione nell’attività antifascismo. L’
entusiasmo suscitato dalla liberazione di Firenze però si spense in fretta. I tedeschi riuscirono a riorganizzarsi dietro la Linea gotica e nella loro ritirata verso nord compirono
numerose stragi civili, sia in Toscana che in Emilia-Romagna. L’episodio più grave si verificò nella zona di Monte sole. Le forze partigiane furono attaccate in modo sistematico;
tutte le repubbliche partigiane furono cancellate. La sconfitta partigiana più grave ebbe luogo in Veneto. Il 13 novembre 1944 il generale inglese Aleksander rivolse un proclama ai
patrioti aldilà del Po esortandoli a cessare le operazioni su larga scala e a non esporsi in azioni troppo arrischiate. Dopo le prime sconfitte tedesche in tutte le principali città
dell’Italia settentrionale scattò l’insurrezione popolare guidata dal CLNAI Che il 25 aprile a Milano assunse i pieni poteri. Mussolini tentò di fuggire in Svizzera, ma fu arrestato il 27
aprile e fucilato il giorno seguente. Il 2 maggio le truppe tedesche si arresero. Formalmente la seconda guerra mondiale in Italia era finita, ma per qualche tempo ci fu uno strascico
di violenze. Nell’arco di un mese 4-5000 italiani furono uccisi e i loro cadaveri gettati in profonde cavità carsiche dette foibe. La gestione dell’ordine pubblico in un paese devastato
dall’odio e dal conflitto fu uno dei primi e più seri problemi dei governi del dopoguerra.
SHOA
L’INVASIONE DELLA POLONIA
Prima della guerra, in Polonia vivevano circa 3 milioni di ebrei; sotto la dominazione tedesca diventarono poco meno di 2 milioni, distribuiti in modo irregolare tra governatorato
generale e territori mezzi al terzo Reich. In un primo tempo nei confronti degli ebrei polacchi la violenza nazista si scatenò in modo pubblico, negli anni 30, i nazisti boicottarono i
negozio ebraici in Germania e furono protagonisti della notte dei cristalli. In effetti a Lodz proprio il 10 novembre 1939, anniversario della notte dei cristalli, le quattro principali
sinagoghe della città vennero distrutte. L’esercito nel 1939 non può ancora essere additato come un ingranaggio attivo e vitale nel processo di genocidio. Un’ordinanza del
governatore Frank impose che tutti gli ebrei del governatorato generale dovessero apporre una stella gialla sui vestiti. Intanto andava maturando il progetto secondo cui gli ebrei di
Polonia avrebbero dovuto essere internati in ghetti, cioè in quartieri speciali. La prima direttiva in tal senso fu emanata nel 1939 da Reinhard Heyndrick, capo della polizia tedesca. Il
risultato fu la reclusione della maggior parte degli ebrei in alcune aree all’interno dei principali centri urbani. All’inizio degli anni 1940-41 pareva che l’intenzione principale dei
tedeschi fosse lo sfruttamento intensivo della manodopera ebraica.
SOVRAFFOLLAMENTO E MALATTIE
Nei confronti degli ebrei polacchi rinchiusi nei ghetti, i nazisti praticarono una politica ambigua e contraddittoria. La manodopera era sprecata poiché erano costretti a vivere in
condizioni tali che il risultato del meccanismo non era la produzione, ma la morte di massa. Quando il fenomeno raggiunse il proprio apice, le spese aumentarono, ma i profitti si
fecero sempre più scarsi. Lo sterminio degli ebrei rappresenta un’operazione economicamente non vantaggiosa; l’internazione fu progettata e condotta non per ragioni di profitto,
ma per motivi di tipo ideologico. Lo sterminio degli ebrei polacchi prese vita solo nel 1942, fino ad allora, i principali problemi che gli ebrei rinchiusi nei ghetti dovettero affrontare
furono quelli della fame e del sovraffollamento. A Varsavia, una popolazione fu obbligata a vivere in un quartiere che comprendeva appena 73 strade, inevitabile, in un contesto
così degradato sotto il profilo igienico Il dilagare delle malattie, prima fra tutte il tifo. Nelle iniziali intenzioni del governatore tedesco, la sistemazione appena descritta era
provvisoria, egli era convinto che gli ebrei avessero accumulato enormi fortune, pertanto la minaccia della morte doveva servire come strumento di pressione o meglio distorsione
delle ricchezze che sicuramente tenevano nascoste. Anche se vivevano in condizioni terribili di sovraffollamento e di miseria, agli ebrei fu imposto di lavorare. Alla fine vennero
creati bene 117 laboratori che producevano uniformi per l’esercito venduto in Germania.
IL DISAGIO DI UCCIDERE
I tedeschi occuparono Kiev. Per l’armata Rossa fu uno dei momenti più critici e difficili. Una decina di giorni più tardi entrò in azione l’einsatzgruppen C che prese come pretesto
l’esplosione di alcuni palazzi nella capitale Ucraina per eliminare gli ebrei di Kiev. Nell’ Autunno 1941 il processo di sterminio era ormai diventato indiscriminato, la violenza totale
investiva solo i territori occupati dall’unione sovietica, ma a breve avrebbe riguardato anche la Polonia, l’Europa centrale e quello occidentale. I poliziotti tedeschi coinvolti
nell’azione di sterminio tuttavia incontrarono numerosi problemi di ordine psicologico che li turbarono profondamente. Dopo i Grandi massacri molti di loro subivano dei veri e propri
crolli nervosi, che potevano essere superati solo grazie a massicce quantità di alcol: in pratica spesso gli omicidi furono condotti da soldati completamente ubriachi. Venne
potenziato il numero di subordinati speciali, ai quali spesso si cerca di delegare il lavoro più sporco. Denominati hiwi, erano soprattutto dei prigionieri sovietici. Pertanto già nel 1941
si cercò di trovare metodi alternativi che fossero meno traumatizzanti delle fucilazioni di massa.
I CENTRI DI STERMINIO
Nel periodo compreso tra il gennaio e luglio 1942 furono creati i veri e propri campi di sterminio. I tre centri facevano parte di un unico vasto progetto che viene denominato Aktion
Reihnard. I nuovi centri di sterminio non erano campi di detenzione o di lavoro forzato ma puri e semplici luoghi di esecuzione.
LE DEPORTAZIONI A VARSAVIA
Il presidente del consiglio ebraico di Varsavia venne informato dai tedeschi del fatto che essi sarebbero stati deportati verso est. Da Varsavia erano condotti a Treblinka, che venne
presentato come un campo di transito e di disinfezione; in tal modo almeno all’inizio, giustificavano l’ordine di entrare nelle baracche-spogliatoio. Usciti da queste strutture, nudi, gli
ebrei potevano leggere un cartello con scritto: alle docce. Entravano così nel tubo, un percorso delineato dal filo spinato che impediva alle sguardo di spingersi fino alle fosse
comuni. Infine arrivavano alle strutture omicide. Una volta chiuse le porte, le camere erano prive di illuminazione, un’altra stanza, adiacente, conteneva il motore diesel che
produceva monossido di carbonio. Nonostante molte persone conoscessero perfettamente la verità, preferirono continuare a rifiutare la realtà.
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contrariato per il fatto che nella capitale polacca ci fossero ancora moltissimi ebrei impegnati in fabbriche di proprietà tedesca, il comandante delle s.s.pertanto ordinò la distruzione
del ghetto. Il 16 febbraio 1943 ci fu la completa cancellazione del ghetto di Varsavia, l’azione tedesca iniziò il 19 aprile quando il colonnello von Sammern si attendeva uno scontro,
ma non una tenace resistenza da parte degli ebrei. I primi incendi si svilupparono come conseguenza dei combattimenti, dal giorno 20 aprile tuttavia Stroop ordinò la sistematica
distruzione col fuoco di tutti gli edifici del gatto.
AUSCHWITZ
Il 20 gennaio 1942 a Wannsee si tenne una conferenza finalizzata a pianificare lo sterminio degli ebrei di tutti territori europei conquistati dall’esercito tedesco. Poco tempo dopo
venne deciso che la maggioranza degli ebrei prelevati nei diversi paesi dell’ Europa occupata sarebbe stata portata ad Auschwitz, una località polacca presso la quale esistevano
una rete di campi di concentramento chiamati Auschwitz uno il secondo Auschwitz Birkenau il terzo Auschwitz Monowitz. A fianco del campo di Birkenau vennero costruiti il
terminale ferroviario e complesso dei crematori. Quando arrivava un convoglio, i deportati erano sottoposti alla cosiddetta selezione, un officiale valutava che l’ebreo sembrasse
abile al lavoro. Coloro che non erano considerati capaci a svolgere un’ attività lavorativa erano inviati ai crematori, cioè uccisi poco dopo l’ora del loro arrivo. I cadaveri erano portati
fuori dalle camere e bruciati nei forni dai reparti speciali composti da prigionieri ebrei. Chi uccideva era riuscito a rendere quasi invisibile la propria vittima, a prendere le distanze da
lei e a ridurre al minimo il proprio coinvolgimento diretto nell’atto che provoca la morte.
I LAGER
Coloro che alla stazione di Brikenau erano ritenuti abili al lavoro, venivano inviati in uno dei lager che si trovavano nei dintorni di Auschwitz. Fino alla guerra il regime aveva
rinchiuso soprattutto prigionieri politici, asociali, omosessuali e dissidenti per motivi religiosi. Nel gergo del campo, il prigioniero distrutto dalla fatica veniva chiamato musulmano, un
individuo solo biologicamente vivo. Se non era condotta dai naziste le camere a gas, o non veniva ucciso dei guardiani perché non riusciva più a lavorare, il musulmano finiva per
lasciarsi morire, cessando di mangiare di bere.
LA ZONA GRIGIA
L’unico modo Per sopravvivere era quello di sottrarsi ai lavori più duri e di trovare razione supplementare di cibo, tutto ciò era possibile solo ponendosi al servizio dei nazisti. Il
mondo del lager non è affatto semplice, cioè facilmente divisibile in carnefici e vittime; al contrario esisteva ed era parte integrante del meccanismo del lager una vasta e indistinta
zona grigia, composta da più persone che per sopravvivere accettavano posti di responsabilità e si ponevano a livello intermedio fra i nazisti e gli altri deportati. Nel lager comunque
era pressoché impossibile ogni forma di solidarietà verso il prossimo. Questo processo di degradazione morale di detenuti era incentivato dalle condizioni di vita dei campi in cui
vivevano. Anche se prigionieri erano obbligati a lavorare come schiavi, la finalità del lager non era di natura economica, ma assunse una funzione ideologica. I prigionieri
razzialmente inferiori assumevano tutte le caratteristiche che l’ideologia nazista assegnava loro, essa infatti fu sempre la preoccupazione principale del nazionalsocialismo. E
mentre rafforzavano la loro idea di appartenere a una razza superiore, riuscivano perfino a convincersi che, procedendo allo sterminio di quegli esseri malefici e ripugnanti, non
stavano compiendo un crimine orrendo, bensì rendevano servizio all’umanità.
Dalla Guerra Fredda alla coesistenza
La Guerra fredda comincia con la fine della Seconda guerra mondiale ed è caratterizzata dall’opposizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica, due grandi potenze con due diversi
modelli di sviluppo: da un lato il capitalismo, dall’altro il comunismo. Pur definendosi “guerra” non assistiamo mai ad uno scontro diretto tra le due potenze: questo conflitto infatti
non può essere risolto militarmente poiché l’avvento di strumenti di distruzione di massa come la bomba atomica (sperimentata con i bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki)
rende impraticabile l’opzione militare, pena la distruzione mondiale. Questo non impedisce però lo scoppio di una serie di guerre regionali, all’interno delle quali le due potenze si
schierano appoggiando l’uno o l’altro dei contendenti, in una continua battaglia volta all’affermazione della propria egemonia.
La creazione di due blocchi contrapposti (1945-1950)
Nelle fasi finali del secondo conflitto mondiale le potenze ormai vittoriose (Gran Bretagna, Stati Uniti e URSS) si incontrano per stabilire i destini europei, prima a Yalta (4-11
febbraio 1945) e poi a Potsdam (17 luglio - 2 agosto 1945). È in queste conferenze che viene definito il futuro della Germania e di Berlino, che sono divise in quattro zone occupate
dalle potenze vincitrici e dalla Francia.
La guerra però ha piegato le economie gli stati europei e solo USA e URSS possono competere in qualità di potenze mondiali, anche se i due stati si trovano in una situazione
decisamente diversa: l’URSS esce molto provata da una guerra che ha devastato il suo territorio, mentre gli USA sono assai floridi e ricchi, anche grazie al fatto che i combattimenti
non li hanno colpiti direttamente. Tra le due grandi potenze, non più legate dal comune nemico nazista, emergono le differenze riguardanti i sistemi ideologici ed economici che le
caratterizzano: da un lato il capitalismo americano (e occidentale) e comunismo sovietico. Proprio la convinzione della superiorità del proprio modello di sviluppo porterà alla
contrapposizione tra esse, che si manifesterà inizialmente in una differenza di vedute sul futuro della Germania.
Già dal 1946 la tensione tra le due potenze emerge in alcuni discorsi che segneranno la teorizzazione della guerra fredda: in febbraio, Stalin parla di un mondo diviso tra
capitalismo e comunismo, due differenti schieramenti destinati a scontrarsi, mentre Winston Churchill, primo ministro britannico parla di una “cortina di ferro” che è scesa
sull’Europa, dividendola dal Baltico all’Adriatico. Un funzionario americano, George Kennan, ritenendo che i sovietici facciano leva sulla situazione di ostilità internazionale per
mantenere il pugno di ferro all’interno del paese e puntino ad una futura espansione in Europa, conia quella che diverrà nota come la “teoria del containment”: per Kennan è
fondamentale contenere la diffusione del comunismo all’interno dei confini dell’URSS, tutelando gli interessi e il modello di sviluppo americano nel mondo. Negli anni tra la fine della
guerra e il 1950 Stalin infatti crea alcuni stati-satellite alle porte dell’URSS imponendo governi comunisti in Polonia, Romania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Ungheria.
La sovietizzazione dell’Europa orientale avviene principalmente attraverso metodi autoritari. Nel 1948 la Jugoslavia di Tito si oppone a questo processo, rivendicando il proprio
carattere di forza nazionale protagonista della resistenza partigiana all’occupazione nazista. Questo atteggiamento conduce alla rottura con Stalin e ad una defezione significativa
per il progetto sovietico: la Jugoslavia da questo momento porta avanti un atteggiamento di equidistanza tra i due blocchi che vanno definendosi.
Questi anni sono anche segnati da un progressivo impegno statunitense in Europa, sempre al fine di evitare un espansionismo comunista e - come affermò Truman in un suo
celebre discorso del 1947 che costituì il fulcro della “Dottrina Truman” - “sostenere i popoli liberi che resistono all’asservimento da parte di minoranze armate o da pressioni
esterne”. Così gli Stati Uniti dapprima si sostituiscono alla Gran Bretagna nell’elargire aiuti economici aGrecia e Turchia e nel giugno del 1947 lanciano
lo European Recovery Program, anche noto come Piano Marshall dal nome del segretario di stato USA che lo annuncia. Questo piano prevede aiuti economici ai paesi europei per
la ricostruzione post-bellica e supporto nella creazione di un mercato europeo. Anche l’URSS viene invitata ad aderire al piano ma preferisce declinare l’offerta e opporsi ad esso,
ritenendolo uno strumento dell’imperialismo americano.
In questo clima il più importante terreno di confronto tra le due grandi potenze diventa la Germania: nel giugno del 1948 gli occupanti del settore occidentale (inglesi, francesi ed
americani) unificanole loro porzioni di territorio e iniziano a farvi circolare una moneta unica, in vista dellacreazione di uno stato tedesco autonomo. L’URSS, che occupa il settore
tedesco di cui fa parte Berlino (città divisa a sua volta in quattro settori), reagisce con il blocco delle vie di terra di accesso alla città che durerà fino al maggio 1949 (dando vita
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anche ad un celebre “ponte aereo” da parte delle forze occidentali) e costituisce la prima grande contrapposizione tra potenze della Guerra fredda. Pochi mesi dopo la fine del
blocco nasce la Repubblica Federale Tedesca nel settore occidentale, seguita dalla Repubblica Democratica Tedesca in quello sovietico.
L’ultimo tassello nella definizione delle due sfere contrapposte è costituito dalla creazione della NATO con la firma, il 4 aprile 1949, del Patto Atlantico. La minaccia
dell’espansionismo sovietico richiede infatti un’alleanza degli stati occidentali sul piano militare, in quanto gli Stati Uniti altrimenti non possono garantire adeguata protezione
all’Europa; con la firma di questo trattato viene definitivamente meno la politica isolazionista statunitense. Il 1949 si chiude con due eventi che spingono ancora di più gli Stati Uniti a
temere per la propria supremazia. Infatti, se la superiorità delle forze militari di terra dell’URSS è stata fino ad ora bilanciata dal fatto che solo gli USA dispongono della bomba
atomica, con gli esperimenti nucleari sovietici nell’agosto del 1949 questa sicurezza statunitense viene meno. A questo si associa la proclamazione della Repubblica Popolare
Cinese nell’ottobre del 1949: la vittoria di Mao in Cina e gli accordi stipulati con l’URSS alimentano una percezione del comunismo internazionale come di un fenomeno monolitico
asservito alla potenza sovietica. La reazione negli USA alla “minaccia comunista”è rappresentata dal documento del National Security Council memorandum 68 (NSC-68) dell’aprile
1950, nel quale si delineano le misure da prendere per opporsi al rafforzamento sovietico. Queste vanno dall’aumento degli investimenti nella difesa, all’incremento delle forze
statunitensi, allo sviluppo di un programma per la bomba all’idrogeno.
Dal riarmo alla coesistenza pacifica (1950-1956)
Il 25 giugno del 1950 lo stato comunista della Corea del Nord invade l’omonimo stato del sud, a regime non comunista 1. Ha inizio così la Guerra di Corea, che vede l’intervento
diretto USA su mandato ONU, mentre URSS e Cina agiscono appoggiando non ufficilamente la Corea del Nord. Nel 1953, dopo alterne vicende, si giunge alla firma di un armistizio
che, di fatto, ripristina la situazione iniziale. La guerra di Corea spinge però Truman a prendere la strada del riarmo, applicando molti dei suggerimenti presenti nel memorandum
NSC-68, come ad esempio l’aumento delle forze militari in Europa e, più in generale, del numero dei militari statunitensi e l’ampliamento degli investimenti nell’ambito della difesa.
Nonostante l’aumento delle forze militari statunitensi in Europa, le forze NATO schierate nella regione rimangono comunque inferiori a quelle dell’esercito sovietico e dei suoi stati
satellite. Per questo motivo si inizia a discutere della possibilità che la Germania possa contribuire attivamente alla difesa europea. Nei primi anni ’50 si cerca quindi di perseguire
una politica volta a riarmare la Repubblica Federale Tedesca all’interno di un contesto di unità europea, ma il progetto fallisce, in particolar modo per la diffidenza che la Francia
mantiene nei confronti del vicino tedesco. La soluzione è che il riarmo tedesco avvenga tramite l’ingresso nella NATO nel 1955, che coincide di fatto con la fine dell’occupazione dei
suoi territori da parte delle tre potenze occidentali. L’URSS risponde all’indipendenza della Germania Ovest con la stipula del Patto di Varsavia, un’alleanza difensiva con i propri
stati satellite 2.
Intanto assistiamo ad un grande cambiamento al vertice delle due grandi potenze: nel 1953 Stalin muore e gli succede prima Georgij Malenkov e poi Nikita Krusciov (in
russo, Nikita Sergeevič Chruščëv) dal 1955; negli Stati Uniti, Truman invece termina il suo mandato e si insedia come nuovo presidente il generale Dwight Eisenhower. I nuovi
leader danno il via ad un periodo di disgelo, caratterizzato da un atteggiamento più accomodante dell’URSS in politica estera e dalla firma del trattato che concede l’indipendenza
all’Austria, ponendo fine alla sua occupazione da parte delle potenze vincitrici. Anche dal punto di vista degli armamenti assistiamo ad una nuova politica di difesa caratterizzata,
per entrambe le potenze, dall’uso del deterrente nucleare e da una riduzione della spesa per la difesa.
Nel solco di questo processo rientra anche il famoso discorso di Krusciov del febbraio 1956 al XX Congresso del Partito Comunista Sovietico: egli difende la nuova politica di
coesistenza pacifica con l’occidente e condanna apertamente i crimini di Stalin e il “culto della personalità” connesso alla sua figura. Inoltre nei mesi successivi scioglie
il Cominform e apre ad una distensione con Tito e ad una maggiore libertà per i governi comunisti degli stati satellite. Questa apertura provoca però dei gravi sommovimenti interni
in Polonia e Ungheria: in Polonia la situazione viene risolta con un cambio ai vertici del governo locale, mentre in Ungheria deve intervenire l’esercito, provocando un’ondata di
sdegno anche tra coloro che, in occidente, guardavano con favore alla svolta di Krusciov. La vicenda ungherese mostra come la politica riformista del leader sovietico abbia limiti
evidenti: se da un lato la situazione internazionale di contrapposizione tra blocchi rende impossibile mettere in discussione gli assetti geopolitici formatisi dopo la guerra, dall’altro il
potere sovietico sugli stati satellite continua a basarsi su un rapporto coercitivo, senza riuscire a cambiare davvero prospettiva accordando maggiore autonomia e libertà agli alleati.
La guerra fredda nelle periferie e la nuova corsa agli armamenti (1956-1963)
A partire dagli anni ’50, il processo di decolonizzazione in atto finisce per essere condizionato dalle dinamiche dello scontro tra USA e URSS. Le due grandi potenze si trovano a
giocare un ruolo fondamentale anche nelle periferie del mondo, non tramite una politica coloniale ma mediante l’appoggio politico ai diversi governi al fine di allargare la propria
sfera di influenza. In questo ambito centrali sono gli avvenimenti in Medio Oriente, con il crescere della tensione tra i paesi arabi e il neonato stato di Israele, e significativa è
l’esperienza dell’Egitto di Nasser, che riesce a sfruttare a proprio vantaggio la contrapposizione tra USA e URSS per ottenere supporto economico.
La coesistenza apparentemente pacifica sposta il confronto tra le due potenze all’ambito economico e a quello della corsa agli armamenti. Quest’ultimo aspetto diventa centrale
nella seconda metà degli anni ’50 dando vita ad una sempre maggiore ricerca soprattutto in ambito missilistico e portando al lancio nel 1957 del primo satellite sovietico, lo Sputnik,
che anticipa di un anno il primo lancio statunitense. La propaganda di Krusciov genera negli USA l’idea che vi sia un forte gap missilistico a proprio sfavore, quando in realtà sono
gli Stati Uniti a godere di una schiacciante superiorità in questo campo. Su tale tema, molto caldo in questi anni, si basa la campagna elettorale di John Fitzgerald Kennedy, che
diviene presidente nel 1961 e che potenzierà, tra le altre cose, la capacità nucleare USA contribuendo all’intensificazione della corsa agli armamenti che caratterizzerà i primi anni
’60. Parallelamente però, proprio sul tema degli armamenti nucleari, assistiamo ad alcune fratture all’interno dei blocchi contrapposti: tra la metà degli anni ’50 e l’inizio degli anni
’60 si assiste ad un deterioramento e successivamente ad una rottura dei rapporti tra Cina e URSS, mentre sul fronte occidentale è la Francia di De Gaulle a mettere in discussione
la politica Statunitense dotandosi di un proprio armamento nucleare.
L’acuirsi delle tensioni a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’60 sfocia in due episodi centrali per l’equilibrio politico mondiale, riguardanti la città di Berlino e l’isola di Cuba. Nel 1958
Krusciov dà avvio alla cosiddetta crisi di Berlino, al fine di fermare il processo di rafforzamento della Repubblica Federale Tedesca. Il prodotto di questo scontro, protrattosi fino al
1961, sarà la costruzione del famoso muro a dividere le due diverse zone d’occupazione della città.
A Cuba invece sono gli statunitensi ad intervenire nella politica interna dell’isola: intimoriti dall’avvicinamento del regime di Castro all’URSS tentano prima un’azione militare sotto
copertura con lo sbarco alla Baia dei Porci e poi, scoperta la presenza di missili sovietici in territorio cubano, attuano un blocco navale per imporre lo
smantellamento degliarmamenti. La crisi si risolve per il meglio dopo alcuni giorni in cui il mondo è nuovamente sull’orlo di una guerra. Il lascito di questi avvenimenti è
rappresentato dall’installazione del telefono rosso, una linea diretta tra il Cremlino e la Casa Bianca per prevenire incidenti, e dalla fine del periodo di massima tensione della guerra
fredda.
IL SECONDO DOPOGUERRA
Negli anni ’50 si assiste alla «guerra fredda» tra USA ed URSS, agli interventi americani per risollevare l’economia europea (Piano Marshall) e alla nascita di organizzazioni atte a
regolamentare i rapporti economici e politici mondiali (ONU, CEE, FAO, UNESCO etc.) e militari (NATO). La Germania, uscita sconfitta dalla guerra, viene divisa in due Stati
(Repubblica Federale Tedesca e Repubblica Democratica Tedesca). In Italia i cittadini votano per la prima volta con suffragio universale per la Costituzione della repubblica (1°
gennaio 1948). La Gran Bretagna avvia la politica assistenziale (Welfare State) mentre in Russia Krusciov quella di destalinizzazione. Nel 1947 l’ONU vota la spartizione della
Palestina: nasce lo Stato d’Israele.
TAVOLA CRONOLOGICA
1946 Abdicazione di Vittorio Emanuele III.
Referendum istituzionale e proclamazione della Repubblica italiana (2 giugno).
Conferenza di pace a Parigi.
1948 Entrata in vigore della Costituzione italiana.
Successo elettorale della Democrazia Cristiana.
Luigi Einaudi presidente della Repubblica.
Approvazione del Piano Marshall.
1949 Divisione della Germania in Repubblica Federale e Repubblica Democratica.
Nascita della NATO. Mao Tse-tung fonda la Repubblica popolare cinese.
1954 Restituzione di Trieste.
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1957 Nascita della CEE e dell’EURATOM.
1958 De Gaulle è presidente della Repubblica in Francia.
Alla fine del conflitto l’Europa si ritrova divisa in due: nella parte orientale, sotto l’influenza russa, sono istituiti regimi comunisti, mentre nella parte occidentale, sotto l’influenza
americana, si rafforza la consistenza delle repubbliche democratiche. L’Europa ha ormai perso la propria centralità politica ed economica per lasciare spazio alle due superpotenze,
USA e URSS, divise da una cortina di ferro, come la definisce Churchill. L’avvicinamento degli USA agli Stati minacciati dall’URSS e la messa a punto della bomba atomica da
parte degli URSS porta alla cosiddetta guerra fredda, una sorta di conflitto incruento e non dichiarato che provoca tensione nel mondo. 2)
LA GUERRA DI COREA
Il primo conflitto «indiretto» tra le due superpotenze mondiali è la guerra di Corea (1950-53) tra la Corea del nord, comunista ed appoggiata dall’URSS, e la Corea del sud,
filoamericana. La crisi coreana si conclude il 27 luglio 1953, quando Corea del Nord e Corea del Sud firmano l’Armistizio di Panmunjom, in virtù del quale viene ristabilita la linea di
confine lungo il 38° parallelo, si delimita una zona-cuscinetto smilitarizzata ed entrambi i paesi vengono riconosciuti dall’ONU, rimandando agli anni successivi la sottoscrizione di
una pace vera e propria. 3) L’ECONOMIA EUROPEA E IL PIANO MARSHALL
Nel secondo dopoguerra la ripresa economica europea avviene grazie al flusso di aiuti americani: tra il 1946-1947 ne beneficia anche l’Unione Sovietica, mentre nel 1948 gli
interventi diventano più cospicui e prendono il nome di European Recovery Program (ERP) o, più comunemente, Piano Marshall, dal nome del segretario di Stato americano
George Catlett Marshall che, in un discorso tenuto all’università di Harvard nel giugno del 1947, invita gli Stati europei a elaborare un programma di ricostruzione economica che gli
USA avrebbero finanziato. Il Piano Marshall riversa sulle economie europee 13 miliardi di dollari fra materie prime, beni di consumo, risorse energetiche e prestiti a fondo perduto.
Come contropartita, gli Stati beneficiari hanno l’obbligo di acquistare una certa quantità di forniture industriali americane e sottoporsi al controllo sull’impiego dei fondi e sui piani
adottati dai singoli paesi. Il Piano rafforza l’egemonia politico-economica degli USA. 4)
LA COLLABORAZIONE INTERNAZIONALE TRA LA FINE DEGLI ANNI ’40 E GLI ANNI ’50
Nel venticinquennio successivo alla guerra, gli Stati più avanzati dell’area capitalistica (Europa occidentale, America del nord, Giappone) cominciano a mettere in atto una serie di
politiche economiche che portano al boom degli anni ’50. In questo periodo si avviano strategie per la globalizzazione dell’economia, grazie a una serie di accordi commerciali e
finanziari internazionali che incentivano gli scambi. Nell’ottobre 1947 viene stipulato il GATT («Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio»), con cui i paesi firmatari si
impegnano a mantenere le tariffe doganali basse per liberalizzare i commerci. I contenuti dell’accordo hanno portato, nel 1995, alla trasformazione del GATT in WTO
(«Organizzazione mondiale del commercio»).
L’ONU E IL NUOVO ORDINE MONDIALE
Il vecchio ordine mondiale è scomparso e un nuovo ordine sta per emergere: il mondo si trova di fronte a scelte cruciali. L’ordine impostosi dopo il 1945 era condizionato dalla
guerra fredda fra i due sistemi di potere guidati da USA e URSS, il secondo dei quali era caratterizzato da posizioni revisioniste e contrarie allo status quo. L’instabile mondo
bipolare era il quadro all’interno del quale funzionava pressoché l’intero sistema internazionale. Ma la fine della guerra fredda (1988-91) e il collasso del sistema di potere sovietico
ha travolto all’improvviso i criteri su cui si basava il vecchio ordine.
Ciò ha significato un cambiamento del sistema di proporzioni storiche, e, come sempre avviene, ha portato vantaggi per qualcuno e svantaggi per altri. Ma l’attuale sistema
internazionale ha caratteristiche di globalità mai riscontrate in precedenza, sia per quanto riguarda il numero dei suoi membri, sia per quanto riguarda il grado di interdipendenza fra
di essi. Qualsiasi valutazione della natura dell’ordine mondiale emergente deve basarsi su una visione olistica dell’intero sistema internazionale. A tal fine può essere utile
cominciare ad enumerare gli elementi chiave del cambiamento avvenuto all’interno del vecchio ordine, prima di considerare le sfide a cui il mondo si trova di fronte e il posto che
occupano le Nazioni Unite nel nuovo ordine.
Gli elementi del cambiamento.
Come già detto, la fine della guerra fredda rappresenta il cambiamento più significativo nel vecchio ordine, che è certamente positivo, ma ha creato varie incertezze. I paesi
appartenenti ai due blocchi sono rimasti senza i vecchi amici ed alleati del cui appoggio non possono più essere sicuri. L’incertezza maggiore, paradossalmente, riguarda i paesi
non allineati, che non possono più contare sull’appoggio di una delle due
superpotenze in caso di ostilità dell’altra, sia a livello diplomatico che
militare. Ora ciascun paese deve affrontare la sfida ed ha l’opportunità di cercarsi i propri amici in ogni parte del mondo, contando sull’interesse reciproco.
Il secondo cambiamento significativo è il collasso del sistema di potere che faceva capo all’Unione Sovietica. Ciò ha significato non soltanto la scomparsa del secondo sistema di
potere più importante nel mondo, creando un vuoto militare e ideologico in una vasta area, ma ha anche liberato molti paesi in Europa e altrove dal dominio militare e ideologico.
Ciò ha inoltre significato che una popolazione di centinaia di milioni fino ad ora esclusa dall’economia di mercato ora vuole farne parte, entrando in competizione con il mondo
sottosviluppato per ottenere capitali scarsi, tecnologia e servizi.
Il terzo cambiamento, che deriva dai primi due, è l’emergere degli Stati Uniti come potenza dominante, che ha dato luogo a una situazione definita unipolare.[1] Questo sviluppo
può essere considerato positivamente nella misura in cui essi sostengono i valori di libertà e democrazia, ma diventa inaccettabile quando gli USA, in nome della libertà, mirano ai
propri obiettivi strategici o strumentalizzano a tal fine le istituzioni globali.
Il quarto importante cambiamento riguarda l’affermarsi di Germania e Giappone come centri di potere economico.[2] E’ nello stesso tempo un paradosso e una cosa straordinaria
che le due potenze sconfitte, alle quali, dopo la seconda guerra mondiale, è stata negata la facoltà di dotarsi di un esercito, stiano ora minacciando la pace dei loro ex nemici
attraverso il potere economico. Dato che l’influenza internazionale della Germania è legata soprattutto alla sua appartenenza alla Comunità europea, la quale, dopo le decisioni
prese al Vertice di Maastricht, sta trasformandosi in Unione economica e monetaria e in Unione politica, è necessario trovare un modo perché i nuovi centri di potere emergenti a
livello mondiale possano assumersi maggiori responsabilità nell’ambito delle organizzazioni internazionali.
Il quinto cambiamento riguarda una più netta contrapposizione fra Nord e Sud del mondo. Nel vecchio ordine mondiale l’Unione Sovietica era considerata come la potenza disposta
a sostenere gli scopi e le aspirazioni dei paesi del Sud, anche se il suo aiuto era molto selettivo. In seguito al collasso del sistema di potere che vi faceva capo, essa, e i paesi
dell’Europa orientale, sono spinti a rivolgersi all’Occidente alla ricerca di massicci aiuti, ed hanno già dato prova in modo abbastanza evidente di una certa compiacenza nei
confronti delle pretese occidentali riguardo a problemi critici a livello globale. La loro dipendenza economica dall’Ovest, così come i legami culturali e geografici, pongono tutto il
Nord in una posizione di più profonda contrapposizione con il Sud, a cui, con l’andar del tempo, saranno negati quegli aiuti che ora sono destinati all’Est.
Le sfide per avviarsi verso il nuovo ordine mondiale.
Alla luce dei cambiamenti suddetti, è necessario capire quali sono le sfide a cui il mondo si trova di fronte.
La prima riguarda il problema della sicurezza. Da questo punto di vista il mondo nel suo complesso presenta situazioni diverse: alcuni sono più sicuri di altri. Nonostante la fine della
guerra fredda e lo smantellamento di parte delle armi strategiche e tattiche, non è scomparsa l’attitudine a ragionare sulla base della contrapposizione fra blocchi, come dimostra la
NATO. Non esiste un meccanismo assolutamente sicuro di controllo della diffusione delle armi nucleari, alle quali alcuni Stati hanno libero accesso, ed è particolarmente minacciata
la sicurezza degli Stati piccoli e deboli.
La seconda sfida riguarda il problema dello sviluppo. Malgrado i grandi progressi nel campo della scienza e della tecnologia, permangono vergognose e umilianti differenze per
quanto riguarda gli standards di vita nelle varie parti del mondo. Nei paesi in via di sviluppo più di un miliardo di persone vive in povertà, cioè contando, per la sopravvivenza, su
32
meno di 370 dollari all’anno (quasi la metà di questi poveri vive nell’Asia meridionale). L’aspettativa di vita nell’Africa sub-sahariana è di 50 anni, contro gli 80 del Giappone. La
mortalità infantile sotto i cinque anni nell’Asia meridionale supera il 170 per mille, mentre in Svezia è inferiore al 10. Più di 110 milioni di bambini nei paesi in via di sviluppo sono
esclusi dall’educazione primaria, mentre nei paesi industrializzati l’iscrizione generalizzata alla scuola primaria è obbligatoria.[3] In Mozambico, una popolazione di 15 milioni e
trecentomila persone vive con un reddito pro capite di 80 dollari, mentre la Svizzera, con una popolazione di sei milioni e seicentomila persone, ha un reddito pro capite di 29.880
dollari.[4]
Ci sono altre sfide, che riguardano la democrazia e i diritti umani, l’ambiente, il traffico di droga, il terrorismo, la maggior parte delle quali ha carattere transnazionale. Questi
problemi derivano dalla povertà, contribuiscono all’insicurezza nei rapporti fra gli Stati e richiedono soluzioni globali.
Una popolazione di 400 milioni di persone in Unione Sovietica e nell’Europa dell’Est sta lentamente avviandosi verso la democrazia, ma i diritti umani e la democrazia sono ancora
negati a più di metà della popolazione dei paesi in via di sviluppo. Il degrado ambientale è causato sia dalla negligenza del Nord del mondo che dalla povertà del Sud, ma per esso
questa parte diseredata del mondo deve pagare un prezzo più alto. Il traffico di droga è controllato nel Sud da regimi feudali, autoritari e militaristi legati alla potente mafia del Nord.
Il terrorismo, infine, è un sottoprodotto della povertà e della negazione dei diritti umani. Tutti questi problemi possono essere risolti solo attraverso istituzioni multilaterali, sia a livello
globale che a livello regionale. In questo contesto dobbiamo esaminare il ruolo delle Nazioni Unite.
La riforma dell’ONU.
Trentasei eminenti leaders e uomini di cultura si sono fatti interpreti delle aspirazioni dell’umanità quando, nel corso della Stockholm Initiative on Global Security and
Governance (Iniziativa di Stoccolma sulla sicurezza e il governo globali), tenutasi il 22 aprile 1991, affermarono: «Il sistema internazionale basato sulle Nazioni Unite è stato creato
alla fine di una guerra mondiale, quando la gente percepiva chiaramente la necessità e l’opportunità di creare un sistema che potesse garantire la pace e la sicurezza... Tuttavia,
oggi le Nazioni Unite non sono abbastanza forti per affrontare i compiti a cui si trovano di fronte... Le Nazioni Unite devono essere adeguate alla nuova situazione e la loro
organizzazione deve essere trasformata».[5]
Il sistema internazionale odierno consiste di 166 Stati membri dell’ONU e di circa dieci che non ne fanno parte.[6] Esso comprende quasi il mondo intero, con differenze di religione,
di cultura e di identità etnica. Se vogliamo che tutti possano vivere felici, è necessario un qualche «ordine» che garantisca gli interessi globali e non quelli parziali. Un tale ordine,
che possiamo chiamare il nuovo ordine mondiale
Carta dei diritti dell'Unione europea
La Carta dei diritti dell'Unione europea (Carta di Nizza) è stata proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 dal Consiglio d'Europa. Oggi fa parte del Trattato di Lisbona, il quale
conferisce alla Carta di Nizza valore di Trattato e la fa diventare pienamente vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri.
La Carta di Nizza, oltre a prevedere l’inviolabilità della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà, sancisce anche il diritto al rispetto della propria vita privata
e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni (art. 7), e il diritto di ogni persona alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano (art. 8).
L'articolo 8 recita:
1. Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano.
2. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto
dalla legge. Ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica.
3. Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un'autorità indipendente.
Gli scenari della decolonizzazione, la politica di “non allineamento” e la nascita della “questione mediorientale”
Nel secondo dopo guerra ha inizio un processo di “decolonizzazione”. In una prima fase è limitato al continente asiatico, in una seconda fase anche gli stati africani. Durante la
seconda guerra mondiale sono stati chiesti alle colonie grandi quantità di uomini e di mezzi, promettendo in cambio una futura maggiore autonomia politica ed economica. Al
termine del conflitto però nemmeno le potenze europee vincitrici sono più in grado di mantenere i loro imperi. Nella prima metà del XX secolo,sono nati movimenti indipendentisti. I
principali esponenti sono leader asiatici e africani portatori di duplice cultura la propria e quella occidentale. La decolonizzazione rappresenta anche un elemento di contestazione
del bipolarismo originato della guerra fredda, poiché formano un terzo blocco di stati che non si schierano. Nasce così il “non allineamento” sancito alla conferenza di Bandung dove
29 paesi afroasiatici combattono contro il residuo colonialismo, la discriminazione razziale e alla divisione del mondo in blocchi contrapposti. Questo movimento però verrà
riassorbito negli schemi della guerra fredda fino a esaurirsi nei primi anni Ottanta. Nel 1947 l’Onu si pronuncia in favore alla divisione della Palestina in due stati, arabo e uno
ebraico. Questa decisione però venne subito respinta dai paesi arabi che dettero inizio alla prima guerra arabo-isdraeliana. Questo conflitto segnò l’affermazione del nuovo stato
ebraico. In seguito alla guerra molti palestinesi lasciano le loro terre e cercano riparo nei paesi vicini. Iniziò così il dramma dei profughi e un conflitto che tutt’ora non trova soluzione.
Le tappe dell’indipendenza dell’India e la nascita del Pakistan
L’impero britannico aveva iniziato nei confronti delle sue colonie un graduale processo di concessione dell’autonomia. Nel 1935 venne approvata una costituzione che attribuiva
maggiori poteri alle province indiane detta “Governament India Act”.Inizialmente il “Governament India Act”venne giudicato troppo limitato dal Partito del Congresso (partito politico
indiano guidato da Gandhi) , ma successivamente venne accolto, fino al 1939 che in concomitanza con l’inizio della seconda guerra mondiale le proteste contro la Gran Bretagna
ripresero. L’India infatti per unilaterale decisione inglese si trovò coinvolta nel confitto, perciò l’Inghilterra fu costretta a promettere all’india un indipendenza di fatto. Il riconoscimento
dell’indipendenza avvenne solo nel 1947 con “ Indian Independance Act”. Durante la lotta all’indipendenza, l’India fu divisa tra induisti e musulmani, che portò il parlamento inglese
a formare due diversi stati, l’unione indiana con la religione indù, e il Pakistan con la religione islamica. Il Pakistan si suddividerà ancora in due parti il Pakistan vero e proprio a
ovest dell’india e il Bengala orientale a est. La divisione del paese causò l’esodo forzato con scontri e violenze di centinaia di migliaia di profughi. Le tensioni tra India e Pakistan
sfociarono anche in una guerra per il controllo della religione del Kashmir
L’indipendenza degli altri paesi del Sud-est asiatico, la guerra di liberazione in Indocina e conferenza di Ginevra
Ancora prima dell’india raggiunsero l’indipendenza dagli Stati Uniti nel 1946 le Filippine, nel 1948 la Birmania si liberò dalla denominazione inglese, l’olanda riconobbe l’autonomia
dell’Indonesia nel 1949, nel 1957 la Gran Bretagna concesse l’indipendenza alla Malaysia e le Isole Hawaii uscirono dalla loro condizione subordinata venendo integrata a pieno
titolo nel 1959 e divennero il 50esimo stato degli Usa. L’Indocina non si era mai rassegnata al dominio francese, perciò nel 1946 cominciò una guerra tra la Francia e il Fronte
nazionale per la liberazione del Vietnam. Nel 1954 fu sancita la sconfitta francese. Dopo il conflitto mondiale, gli usa erano ostili alla volontà francese di mantenere un impero
coloniale, mala vittoria dei comunisti in Cina cambiò le carte in tavola, perciò gli Stati Uniti appoggiarono la Francia con un massiccio sforzo militare. La fine del dominio francese in
Indocina fu ufficializzata a Ginevra nel 1954. Nascevano tre diversi stati quali: Cambogia, Laos e Vietnam. Il Vietnam venne suddiviso a sua volta in due parti: in Vietnam del Nord
con la repubblica socialista e il Vietnam del Sud nel 1955 con la repubblica che venne affidata a Ngo Dinh Diem che diede vita a un regime autoritario repressivo. Nel corso degli
anni venti e trenta la Gran Bretagna concede l’indipendenza a Iraq, Arabia Saudita e Yemen del Nord, mentre l’Egitto era un regno autonomo già dal 1922. La Francia invece aveva
sempre rimandato l’indipendenza dei suoi mandati, in Siria e Libano, che durante la guerra seguirono perciò le sorti della Francia. Nel 1941 furono invasi da truppe britanniche e
golliste avviandosi verso l’indipendenza.
Creazione della Lega araba, la fine mandato britannico, la nascita stato di Israele e prima guerra arabo-israeliana
Nel 1945 Siria e Libano parteciparono alla formazione della Lega araba, che riuniva stati indipendenti del Medio Oriente e ne facevano parte oltre a Siria e Libano anche Arabia
Saudita, Egitto, Iraq, Yemen del Nord e Transgiordania. Questa Lega si proponeva come associazione di difesa e organo collegiale per aiutare gli stati arabi non ancora
indipendenti. La Gran Bretagna aveva favorito l’immigrazione ebraica in Palestina, ma la crescita esponenziale dei coloni ebrei generò delle proteste da parte degli arabi nei
confronti degli inglesi. Nel 1939 la Gran Bretagna decise di limitare l’immigrazione ebraica e entro dieci anni sarebbe stato creato uno stato a maggioranza araba in cui ebrei e arabi
avrebbero convissuto. Il genocidio compiuto nella seconda guerra mondiale posero all’ordine del giorno la costituzione di uno stato autonomo ebraico. Successivamente il problema
fu consegnato alle Nazioni Unite che nel 1947 arabo e uno ebraico, con Gerusalemme posta sotto un’amministrazione internazionale. Ma i governi arabi respinsero
incondizionatamente la proposta. Nel 1948 il governo provvisorio ebraico proclamò la nascita dello stato d’Israele, ma subito dopo venne accerchiato dei paesi arabi. L’esercito
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Libanese giunse da nord, quello Siriano da nord-est, quelli di Iraq e Transgiordania al centro e quello Egiziano da sud, prese il via così la guerra arabo-israeliana che si concluse
nel 1949 con la sconfitta degli arabi. Al momento dell’armistizio, Israele ampliò il suo territorio inglobando porzioni di territorio inizialmente destinate allo stato arabo. Nel 1949 lo
stato di Israele fu ammesso a far parte dell’Onu.
La guerra del Kippur, risalente al 1973, scoppiò in un momento di particolare tensione internazionale e nel cuore di un contesto, quello mediorientale, particolarmente complesso. I
rapporti tra Paesi arabi ed Israele, divenuto Stato nel 1948, era segnati da decenni di conflitti e violenze. La guerra del Kippur era stata infatti preceduta da tre guerre arabo-
israeliane: la prima tra il 1948 e il 1949; la seconda nel 1956; la terza, detta guerra dei Sei giorni, nel 1967. La conflittualità tra Arabi e Palestinesi da un lato e Israeliani dall’altro
aveva assunto in quegli anni forme diverse: non solo guerre, ma anche rappresaglie, occupazioni e attacchi terroristici.
Sadat e la penisola del SinaiUno dei motivi che furono all’origine della guerra del Kippur fu la volontà di Sadat di riottenere la penisola del Sinai. Questo territorio, a cavallo tra Asia
e Africa, era stato occupato temporaneamente da Israele già durante la prima e la seconda guerra arabo-israeliana. Con la terza guerra arabo-israeliana del 1967, la guerra dei Sei
Giorni, Israele aveva invece dato inizio a una occupazione stabile del territorio.
Il SinaiIl conflitto ebbe inizio quando le truppe egiziane e siriane attaccarono di sorpresa Israele. L’esercito di Sadat attraversò il canale di Suez e occupò la penisola del Sinai.
Il GolanLa Siria attaccò contestualmente dalle alture del Golan, area occupata da Israele sin dal 1967. All’inizio le forze arabe ebbero la meglio e Israele fu messo per la prima volta
seriamente in difficoltà.
L’avanzata degli israelianiDopo pochi giorni, però, le sorti del conflitto si ribaltarono: le forze militari israeliane riuscirono a posizionarsi sul lato occidentale, cioè la sponda africana,
del Canale di Suez. Le capitali di Siria ed Egitto, Damasco e Il Cairo, furono seriamente minacciate dalle forze israeliane.
Guerra del Kippur. Truppe israeliane sulle alture del Golan — Fonte: Getty-Images
La fine del conflittoDopo un lungo negoziato che aveva visto coinvolti in particolar modo Stati Uniti e Unione Sovietica, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU approvò una risoluzione
con la quale imponeva la fine dei combattimenti. Il 22 ottobre richiese infatti alle potenze coinvolte di cessare il fuoco e di avviare trattative con l’obiettivo di giungere a un armistizio.
Israele ed Egitto in un primo momento non rispettarono la tregua e si accusarono vicendevolmente di aver trasgredito alla disposizione emessa dal Consiglio di Sicurezza. La
guerra del Kippur ebbe comunque termine nel volgere di pochi giorni, dopo tre settimane di combattimenti.
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3L’attività diplomatica successiva alla guerra del Kippur
Nixon e KissingerSin dai mesi successivi alla fine del conflitto, vennero avviate numerose iniziative diplomatiche che ebbero il patrocinio in particolare degli Stati Uniti. Nixon stesso,
presidente degli Stati Uniti, si recò in viaggio in Medio Oriente nel giugno 1974. Il ruolo di primo piano svolto dagli Stati Uniti come potenza in grado di mediare tra Israele e Paesi
arabi è testimoniato in particolar modo dall’attività diplomatica condotta dal segretario di stato Kissinger.
Iniziative diplomaticheIl percorso che avrebbe portato agli accordi di Camp David e alla pace tra Israele ed Egitto fu caratterizzato da una serie di iniziative:
Il 21 dicembre 1973 si aprì a Ginevra una conferenza con l’obiettivo di discutere la situazione in Medio Oriente. Tale iniziativa fu presieduta dai ministri degli Esteri di
Stati Uniti e Unione Sovietica.
Il 18 gennaio 1974 venne firmato un primo trattato tra Israele ed Egitto con cui si prospettava un disimpegno delle truppe dei due Paesi dalla penisola del Sinai.
Nella primavera del 1974 vennero avviate trattative tra Israele e Siria che portarono, nell’ambito della Conferenza di Ginevra ancora in corso, a un accordo sulla
smobilitazione delle truppe israeliane e siriane dalle alture del Golan.
Nel giugno del 1975 venne riaperto il Canale di Suez, chiuso dai tempi della Guerra dei Sei Giorni, e nel settembre dello stesso anno si giunse a un ulteriore accordo di
disimpegno del Sinai da parte dell’Egitto e di Israele.
Tra gli eventi che ebbero il maggiore impatto, anche sull’opinione pubblica, fu la visita che Sadat fece a Gerusalemme nel novembre 1977. Il gesto fu fortemente
simbolico perché esplicitava l’intenzione del presidente dell’Egitto di giungere a una politica pacifica con Israele e di far prevalere la via diplomatica su quella militare.
4Gli accordi di Camp David
Pace in Medio OrienteRispetto alla prima parte degli accordi, relativa alla pace in Medio Oriente, acquisì una posizione specifica la Palestina. Infatti si stabilì che nel volgere di
cinque anni, coloro che vivevano nei territori occupati da Israele sulla riva occidentale del fiume Giordano e sulla striscia di Gaza avrebbero dovuto godere dell’autonomia e ottenere
un proprio governo. Gli accordi di Camp David, pur ponendo la questione della Palestina come centrale per la pace nel Medio Oriente, non furono risolutivi. Alla Palestina non fu
infatti riconosciuta l’indipendenza nazionale e negli anni a seguire le tensioni e la conflittualità tra Palestinesi ed Israeliani non diminuirono.
Relazioni tra Israele ed EgittoIl secondo punto degli accordi di Camp David, relativo alle relazioni tra Israele ed Egitto, gettò le basi del trattato di pace che i due Paesi firmarono a
Washington alcuni mesi dopo, il 26 marzo 1979. Con gli accordi di Camp David aveva avuto inizio la smobilitazione delle truppe israeliane dalla Penisola del Sinai. Nell’aprile del
1982 il ritiro di Israele da questa regione venne completato. Gli israeliani, a fronte di questo impegno, pretesero che sul territorio vigilasse una forza multinazionale. I rapporti tra
Israele ed Egitto presero la via della normalizzazione: i due Stati iniziarono ad avere relazioni diplomatiche con lo scambio di ambasciatori nel gennaio 1980, aprirono
reciprocamente le proprie frontiere, le navi israeliane potevano navigare nel Canale di Suez, negli stretti di Tiran e nel golfo di Aqabah.
Contrasti tra Egitto e altri Paesi arabiSi guastarono invece i rapporti tra l’Egitto e gli altri Paesi arabi. L’Egitto infatti era accusato di aver tradito la causa palestinese e araba e di
essersi piegato ad Israele e agli Stati Uniti. L’Egitto fu così escluso dalla Lega araba dal 1979 al 1989 e Sadat stesso fu vittima di un attentato terroristico il 6 ottobre 1981, a causa
del quale perse la vita.
5Le conseguenze della guerra del Kippur nel mondo occidentale: crisi petrolifera ed economica
di conseguenza, della benzina, causò un generale aumento dei prezzi. Al contempo, si verificarono un calo della produzione industriale, una caduta dei profitti e un aumento della
disoccupazione.
Fenomeno della stagflazioneL’economia occidentale andò incontro al fenomeno della stagflazione, termine con cui si descrive la compresenza della stagnazione con l’inflazione: si
registrano in contemporanea una contrazione dell’attività produttiva e un aumento dei prezzi.
Politiche di austeritàI singoli Paesi cercarono di attuare diverse strategie che potessero rispondere ai nuovi bisogni e dare una soluzione alle problematiche emerse. Era infatti
indispensabile non solo ridurre i consumi, ma individuare anche nuove forme di energie alternative al petrolio. Per ridurre i consumi furono messe in atto politiche di austerità.
Risparmio energetico in ItaliaIn Italia, fortemente colpita dalla crisi petrolifera, si stabilì una politica volta al risparmio energetico: oltre all’aumento del prezzo della benzina, si vietò
di circolare con l’auto la domenica, si impose la sospensione dei programmi televisivi alle 23, si ridusse l’illuminazione nelle strade e si decise che i negozi dovessero chiudere alle
19, ristoranti e bar alle 23.
Uso civile dell’energia nucleareAl tempo stesso, ebbero una notevole implementazione gli studi e i progetti volti a un uso civile dell’energia nucleare che, meno costosa del petrolio,
avrebbe potuto sostituirsi ad esso.
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L’ALLEANZA TRA COMUNISTI E NAZIONALISTI
Dopo l’abdicazione dell’ultimo imperatore cinese il potere passò nelle mani dell’esercito e dei militari. Questi signori della guerra cinesi si comportavano da veri padroni nei territori
che controllavano militarmente. Nel luglio 1921 un gruppo di questi diede ufficialmente vita al partito comunista cinese che fu riconosciuto dalla terza internazionale. A partire dal
1923 l’unione sovietica forni a Sun un regolare sostegno militare organizzativo che permise alla Cina di entrare in competizione con i signori della guerra.
LA LUNGA MARCIA
Ma riuscì a costruire una piccola isola comunista. Al massimo della sua espansione la Cina rossa controllare nelle regioni meridionali del paese un territorio molto vasto. Kaishek
decise di attaccare con ingenti forze le posizioni dei comunisti che furono accerchiati con una fitta rete di fortificazioni di cemento. Alla fine i comunisti riuscirono a mettersi in salvo.
Nel 1935 però il gruppo comunista era deciso di intraprendere la cosiddetta lunga marcia, cioè di trasferire tutte le forze armate comuniste rimaste nel nord del paese. L’ Obiettivo
che si proponevano i comunisti era di combattere contro l’esercito giapponese che stava occupando sempre più estesi territori della Cina. Nel 1937 la situazione politica e militare
subì una brusca accelerazione, L’esercito giapponese infatti attacco in forze in tutto il territorio cinese con l’esplicito obiettivo di conquistarlo integralmente. Pechino Cad dell’8
agosto mentre in ottobre-novembre furono occupate Shanghai, Nanchino e Canton. Di fronte a una simile massiccia e feroce offensiva, Khaischek fu costretto a stipulare una
tregua con i comunisti.
LA RIVOLUZIONE CULTURALE
Per risolvere la crisi che aveva investito il paese a causa del grande balzo, ai dirigenti comunisti si orientarono verso una politica economica simile alla NEP adottata da Lenin per
uscire dal cosiddetto comunismo di guerra. Era senza dubbio un passo indietro nel cammino verso il comunismo, in quanto di fatto introduceva di nuovo nel paese sia la proprietà
privata sia il libero mercato. Ma zie Dong e non accettò di tirarsi indietro e si rivolse alle nuove generazioni, venne pubblicato il libretto rosso che raccoglieva passi dei discorsi degli
scritti più famosi di Mao. Il libretto rosso divenne il testo di riferimento per le guardie rosse, termine che indicava una complessa articolata rete di gruppi giovanili concentrati nelle
città e accomunati dal fatto di considerare Mao una guida infallibile. La rivoluzione culturale sia tua quando ma ho deciso di utilizzare questi giovani radicali per eliminare i suoi
avversari politici. Il risultato fu che in Cina nacque un avere propria guerra civile tra maoisti e antimaoisti. Nel 1968 Mao chiese aiuto all’esercito Che riportò l’ordine con la violenza.
IL SECOLO CINESE
A partire dagli anni ultimi del 900 le economia cinese è cresciuta ritmi vertiginosi. Secondo la maggior parte degli esperti il tasso medio di crescita è stato del 7% all’anno ed è
possibile che intorno a 2025 l’economia cinese superi quella degli stati uniti. Le campagne costituiscono un insesauribile serbatoio di manodopera a basso costo.
Nel gennaio 1968, in Cecoslovacchia, viene eletto segretario del partito Alexander Dubček, esponente dell’ala innovatrice del Partito comunista.
Subito dopo il suo insediamento, egli avviò un importante esperimento di liberalizzazione, per realizzare il quale egli contava sull’appoggio dell’opinione pubblica, sugli intellettuali,
sugli studenti, sui lavoratori e su di una parte dell’esercito gli intendeva conciliare un sistema a base socialista con elementi pluralisti in economia e in politica.
Dal punto di vista pratico questo comportava un’ apertura in direzione della libertà di opinione, di stampa e di associazione. Come conseguenza, si costituirono diverse formazioni
politiche. Tutto questo viene chiamato “Primavera di Praga”; al momento sembrò che si stesse realizzando una forma di socialismo dal volto umano.
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Da parte sua, l’URSS ritenne che un esperimento simile fosse intollerabile e temeva che l’innovazione si potesse diffondere anche altri Paesi satelliti di oltre cortina. Per questo
motivo, a partire dal mese di marzo dello stesso anno, il leader sovietico Brežnev cominciò a manifestare segni di impazienza e invitò più volte Dubček a fare marcia indietro e a
rientrare nell’ortodossia sovietica, dato che egli di fatto si stava allontanando dall’ideologia di Mosca. Tutti i tentativi, che si protrassero fino a metà agosto, furono inutili. Fu così che
nella notte fra il20 ed il 21 agosto, le truppe sovietiche unitamente a quattro paesi del Patto di Varsavia, Repubblica democratica tedesca, Polonia, Ungheria e Bulgaria) occuparono
Praga e tutta la Cecoslovacchia. I soldati sovietici fecero irruzione nella sede del comitato centrale e mentre si dette vita ad un governo filosovietico, la città veniva invasa dai carri
armati russi. Il primo ministro e lo stesso Dubček furono arrestati e trasferiti e il presidente fu inviato a Mosca. Come reazione, gli abitanti di Praga scesero in piazza per protestare
e non esitarono a trattare i Russi da fascisti e a dipingere le svastiche sui loro carri armati. Nei giorni successivi, le truppe russe spararono sulla folla e si arrivò a contare fino a 100
morti. I dirigenti cecoslovacchi scelse di non ricorrere alle armi ma di attivare la resistenza o passiva. Nel frattempo un congresso clandestino fu tenuto in una fabbrica abbandonata
ed esso confermò la fiducia a Dubček. In questo modo, i Russi furono costretti a rimettere sia Dubček che gli altri dirigenti cecoslovacchi al loro posto., anche se il loro operato d’ora
in poi sarebbe stato sotto lo stretto controllo sovietico. Progressivamente i sostenitori della Primavera di Praga furono costretti ad emigrare o ad abbandonare il loro incarico. La
rivolta di Praga ebbe notevoli ripercussioni all’estero e minò l’immagine dell’URSS Il problema fu portato anche davanti all’ONU il quale,però, non condannò l’operato sovietico
perché l’URSS con il suo veto riuscì ad evitare che fosse presa tale risoluzione. L’invasione fu comunque condannata non solo da singole personalità ma anche da alcuni partiti
comunisti dell’Europa occidentale come quello italiano con Luigi Longo che aveva espresso una forte ammirazione per il programma che Dubček aveva cercato di mettere in atto.
Nel complesso, l’intervento armato sovietico danneggiò pesantemente la credibilità dell’URSS in tutto il mondo.
Nel 1988, Dubček riapparve sula scena politica a fianco degli esponenti del dissenso e l’anno successivo guidò Havel, il presidente in carica, nella gestione della protesta contro il
regime comunista cecoslovacco.
Guerra in vietnam
Nella seconda metà del Novecento si svolge in Vietnam uno dei conflitti più importanti, sia a livello politico che a livello simbolico, della Guerra Fredda. L’appoggio statunitense al
Vietnam del Sud finisce per conferire a quello che è un conflitto regionale legato ad una questione di autonomia territoriale il rilievo di una contrapposizione ideologica e il significato
di una lotta contro il comunismo. I principali attori della Guerra Fredda giocano qui la loro partita, appoggiando l’una o l’altra fazione: da una parte gli USA intervengono con uomini
e mezzi, dall’altr URSS e Cina, pur senza intervenire in modo diretto, appoggiano il regime del Vietnam del Nord militarmente e finanziariamente. L’importanza di questa guerra sta
anche nel fatto che rappresenta una delle più grandi sconfitte nella storia degli Stati Uniti e che con essa prendono il via le grandi proteste pacifiste che caratterizzarono il 1968.
La guerra tra Francia e Vietnam (1946-1954)
Dalla seconda metà del XIX secolo la penisola indocinese si trova sotto il controllo francese. Nel corso della Seconda guerra mondiale, tra il 1940 e il 1941 il Giappone avanza in
Asia e conquista la penisola indocinese, di cui assume il controllo in collaborazione con i francesi del governo di Vichy. Nella zona dell’attuale Vietnam nasce un movimento di
indipendenza denominato Vietminh, sotto la carismatica guida del leader rivoluzionario Ho Chi Minh, che aveva fondato il partito comunista locale nel 1929, e con la guida militare
del generale Vo Nguyen Giap. Nel settembre del 1945, con la fine della guerra, il Vietminh proclama la nascita della Repubblica Democratica del Vietnam, che comprende le regioni
di Annam, Tonchino e Cocincina. Nel giro di poco tempo però il Vietnam si trova ancora nelle mani dei francesi, grazie anche al tacito assenso del governo statunitense che, seppur
contrario all’idea stessa del colonialismo, desidera mantenere buoni rapporti con l’alleato francese. Tra il 1946 e il 1954 si ha quindi la prima guerra del Vietnam: alla Francia, che
cerca di mantenere il controllo sul paese, si oppone il Vietminh, che combatte per l’indipendenza vietnamita utilizzando efficaci tecniche di guerriglia. Nel corso della guerra
l’atteggiamento statunitense cambia: se inizialmente gli USA sono rimasti neutrali, dal 1949 iniziano a vedere questo conflitto all’interno della più grande contrapposizione in blocchi
caratteristica della Guerra Fredda. Infatti la vittoria di Mao Zedong in Cina nel 1949 e l’inizio della guerra di Corea nel 1950 costituiscono motivo di preoccupazione per la situazione
politica della regione, mentre nel frattempo Cina e URSS iniziano a sostenere militarmente i Vietminh. Negli USA comincia allora a diffondersi la convinzione di un possibile effetto
domino: si teme che nel caso di vittoria del comunismo in Vietnam, questo possa diffondersi anche negli stati confinanti. Gli USA decidono dunque di aiutare la Francia, pur
limitandosi ad un sostegno solamente economico. Nel 1954 la Conferenza di Ginevra giunge ad un accordo riguardante la situazione del Vietnam: si decide così di dividere il paese
in due regioni lungo la linea del 17° parallelo: il Vietminh amministrerà la zona settentrionale mentre il sud sarà governato da un regime non comunista. La Conferenza di Ginevra
prospetta la riunificazione dei due stati entro due anni e la formazione di un governo mediante elezioni. La firma del trattato di Ginevra crea però un certo allarme negli Stati Uniti,
che, sempre temendo un’egemonia comunista sul sud-est asiatico, decidono di sostenere il regime del primo ministro Ngo Dinh Diem nel Vietnam del Sud. Di fatto dunque, mentre i
francesi lasciano la regione, gli statunitensi iniziano a impegnarsi in Vietnam.
Lo stallo dei due Vietnam e l’inizio della guerriglia (1955-1964)
Fallita la riunificazione dei due Vietnam a causa dell’opposizione di Ngo Dinh Diem e degli USA, la divisione lungo il 17° parallelo si fortifica diventando una vera e propria frontiera.
Questo provoca una radicalizzazione da entrambe le parti: al sud il regime tirannico di Diem porta ad un’esasperazione delle contrapposizioni politiche interne, mentre al nord
iniziano le persecuzioni verso gli oppositori interni e i cosiddetti “proprietari terrieri”. Intanto, dal 1957, prende piede al sud la guerriglia organizzata dai gruppi di resistenza legati a
Ho Chi Minh, che continua negli anni successivi alimentata dalle forniture di armi e mezzi che vengono introdotti clandestinamente attraverso piste aperte nella giungla a cui viene
dato il nome di “sentiero di Ho Chi Minh”. Nel 1960 la resistenza nel sud prende il nome di Fronte di Liberazione Nazionale, anche se più comunemente questi guerriglieri
divengono noti con il nome di Vietcong, ovvero “comunisti vietnamiti”, secondo l’appellativo datogli dai loro oppositori. Intanto proprio il ruolo statunitense nella regione si fa via via
più importante, attraverso il supporto aereo all’esercito sudvietnamita e l’invio sempre crescente di personale militare che aumenta fino a raggiungere i trentamila uomini durante la
presidenza di John Fitzgerald Kennedy.
La guerra del Vietnam (1964-1975)
Con l’avvento alla presidenza di Lyndon B. Johnson, la presenza statunitense in Vietnam diviene più incisiva e sfocia in un vero conflitto bellico: il nuovo presidente americano non
vuole essere ricordato per una cocente sconfitta militare ed inoltre è incalzato dagli oppositori interni che lo ritengono inadeguato per risolvere la crisi. Per questo motivo Johnson
porta avanti una nuova strategia: è necessario vincere la guerra ed è possibile farlo rapidamente e con uno sforzo bellico minimo. Manca però l’approvazione del Congresso per un
intervento militare in Vietnam, anche se già truppe statunitensi sono presenti sul territorio sud vietnamita al fine di addestrarne l’esercito. L’occasione si presenta con il cosiddetto
“incidente del Tonchino”: un presunto scontro tra un cacciatorpediniere statunitense e una vedetta nordvietnamita, che non ha conseguenze dirette, fornisce il pretesto
all’amministrazione Johnson per presentare al Congresso una risoluzione che autorizzi il Presidente a rispondere con tutti i mezzi necessari all’aggressione nordvietnamita. La
risoluzione viene approvata all’unanimità, così dal febbraio 1965 gli USA iniziano a bombardare il Vietnam del Nord, senza che ci sia stata una vera e propria dichiarazione di
guerra. Si assiste successivamente ad una vera e propria escalation militare, caratterizzata da un continuo aumento dell’impegno statunitense non solo nei bombardamenti ma
anche nel rafforzamento del corpo di spedizione militare, fino a giungere nel 1968 a oltre mezzo milione di uomini presenti sul territorio. Nonostante il grande impegno profuso dagli
USA in questa guerra, la resistenza Vietcong non accenna a diminuire. Questo grazie al largo appoggio di cui dispone tra la popolazione contadina del sud, vessata dapprima da un
regime dittatoriale e successivamente da numerosi colpi di stato, ma soprattutto grazie al sostegno che il regime comunista e i Vietcong ricevono da Cina e URSS. Il 30 gennaio del
1968, in occasione della locale festa del Têt per la quale si era concordata una tregua, i Vietcong e alcune unità dell’esercito regolare nord vietnamita lanciano un attacco a
numerose città del sud. Con questa operazione, nota come “l’offensiva del Têt”, i nord-vietnamiti passano da una guerra di guerriglia ad un conflitto dalle dinamiche più
convenzionali. Tale attacco si dimostra militarmente un fallimento per le forze del Nord, in quanto non si verifica la prevista sollevazione degli abitanti delle città, tanto che la
maggiore potenza militare del sud, unita al supporto statunitense, può facilmente aver la meglio in un confronto bellico tradizionale. L’offensiva, tuttavia, rappresenta una vittoria
comunista dal punto di vista psicologico: dimostra infatti che il territorio del sud è facilmente penetrabile e che il Vietnam del Nord non è intenzionato ad arrendersi nonostante i
pesanti bombardamenti americani. I fatti dei primi mesi del 1968 aumentano il numero di coloro che negli USA ritengono dannosa e inutile questa guerra, in quanto è sempre più
evidente che la conclusione del conflitto non è affatto vicina e il prezzo che gli Stati Uniti stanno pagando in termini di vite umane è troppo alto in relazione al senso ideologico e alle
opportunità politiche del conflitto. Così l’opposizione alla guerra del Vietnam, che fin dalla metà degli anni Sessanta è cresciuta all’interno delle Università o nel mondo della cultura,
conquista larghi settori della popolazione e coinvolge anche una parte del Congresso. In questo svolgono un ruolo fondamentale i media che, trasmettendo in diretta le immagini dal
Vietnam, mostrano la brutalità dei combattimenti e contribuiscono a mettere in discussione il senso stesso della guerra. Proprio l’opposizione crescente e la difficile situazione del
Vietnam portano Johnson a decidere di non ricandidarsi alle elezioni presidenziali e lo spingono a cercare un accordo con il governo nord-vietnamita. Nel marzo del 1968, a Parigi,
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si hanno i primi contatti per tentare un negoziato tra i vari attori presenti in Vietnam ma, nonostante la fine dei bombardamenti americani sul Vietnam del Nord, il potere contrattuale
dei negoziatori statunitensi è indebolito dalle imminenti elezioni negli USA e dalla certezza che Johnson non si ricandiderà. I negoziati finiscono dunque in un nulla di fatto mentre
nel 1969 si insedia il nuovo presidente: Richard Nixon. Il nuovo presidente USA propugna la necessità di diminuire nettamente l’impegno statunitense in Vietnam continuando
invece ad appoggiare il proprio alleato del sud dal punto di vista logistico. Per forzare la mano però sui negoziati di Parigi, che sono nel frattempo ripresi, Nixon ordina ulteriori
bombardamenti sui territori del nord; allo stesso tempo Nixon allarga l’intervento alla confinante Cambogia dove si trovano alcune basi Vietcong da cui partono attacchi alle regioni
del sud. Militari USA sbarcano in Cambogia senza però riuscire a trovare queste basi e provocando ulteriori proteste negli Stati Uniti per l’impegno militare nella zona, tanto
continuo e dispendioso quanto infruttifero. Di fatto questa situazione apre anche ad una guerra civile tra il governo cambogiano appoggiato dagli USA e l’opposizione appoggiata
dalla Cina, di cui fanno parte i comunisti locali noti col nome di Khmer Rossi. Nel 1972, nonostante i continui bombardamenti subiti, i soldati del nord attaccano nuovamente il
Vietnam del Sud: dopo alcuni mesi di campagna militare, la situazione si risolve in uno stallo, che permette alle parti di riunirsi a Parigi per negoziare la fine della guerra.
Nel gennaio 1973 si raggiunge un accordo per il “cessate il fuoco” che di fatto permette agli USA di ritirarsi dal conflitto in Vietnam. Gli Stati Uniti escono da questa guerra umiliati
per la mancata vittoria, nonostante il gran dispiego di uomini e mezzi. Per di più i costi sociali, psicologici ed economici per il paese sono enormi: circa cinquantottomila soldati
americani sono morti in battaglia mentre molti tornano a casa feriti o con gravi disturbi psicologici, che ne pregiudicano il reinserimento nella società civile. Per la prima volta una
della nazioni più forti al mondo ha mostrato la propria vulnerabilità militare, venendo di fatto sconfitta da un piccolo esercito e da una efficiente tattica di guerriglia.
La guerra del Vietnam si può dire definitivamente conclusa nel 1975: in marzo il Vietnam del Nord invade le regioni meridionali, occupandole e riunendo il paese sotto il dominio
comunista: la città di Saigon viene rinominata Ho Chi Minh City in memoria del leader comunista, morto nel 1969, che tanto aveva fatto per un Vietnam unito. Contemporaneamente
anche in Laos e Cambogia dei guerriglieri comunisti, appoggiati dal Vietnam, prendono il potere.
LA CRISI DEL MONDO BIPOLARE: CAUSE
(1968 1980)Forze centrifughe nell’ambito del controllo bipolare dopo il 1968
In Usa la violenta e sanguinosa guerra del Vietnam era ormai condannata dall’opinione pubblica su scala mondiale e nazionale,mentre gli Usa perdevano credito anche sul piano
interno per gli assassinii di Martin Luther King e di Robert Kennedy. Il 68 si era concluso non positivamente anche in Urss,a causa dei fatti determinati dalla primavera di Praga;
• nel dinamismo dei popoli.
In questa situazione si aprivano per il mondo possibilità nuove di autonomia politica e culturale,destinate a favorire un vistoso processo di graduale superamento dei blocchi est-
ovest;
• nella contestazione studentesca. Un contributo al dissolvimento del bipolarismo venne dato da un vasto movimento di contestazione giovanile,che tendeva a screditare i sistemi
sia dell’ovest che dell’est e che finiva per dare forza e credito al superamento della logica di Yalta;
• nella crisi economica degli anni settanta e il mondo arabo. Infatti nei primi anni 70 l’occidente conobbe una gravissima crisi economica,determinata dall’aumento del prezzo del
petrolio imposto dal mondo arabo,che si avviava a divenire un nuovo polo politico ed economico,oltre che culturale,ormai pienamente autonomo.
Guerra fredda: riassunto
BIPOLARISMO
Le risposte politiche di Usa e Urss e il loro discredito. L’Unione Sovietica conobbe il momento della maggiore immobilismo della sua storia durante gli ultimi anni di Breznev,il
quale,a partire dal 1968,volle ricompattare il blocco sovietico-comunista con la forza. In tale funzione di recupero della credibilità egli giungerà a riesumare la guerra fredda,senza
rendersi conto che il mondo politico era cambiato,che la situazione economica russa era allo stremo e che l’assimilazione delle idee comuniste negli stessi paesi del blocco veniva
sempre meno.
Gli Usa cercarono di recuperare la loro credibilità e la loro fisionomia di potenza egemone inserendovi positivamente nella mutata situazione politica,grazie all’intraprendenza del
presidente repubblicano Richard Nixon (1968-1974) il quale,coadiuvato dal segretario di stato Kissinger,seppe dare vita a una politica di successo. In politica interna egli riuscì a
ricompattare gli americani,in politica estera cercò di attuare una politica pragmatica,consapevole dei profondi mutamenti centrifughi in atto nel mondo. A caratterizzare il mandato di
Nixon fu inizialmente il fermo proposito di porre fine alla continua dilatazione dell’impegno militare americano nel Vietnam e di dare vita a un concreto e onorevole negoziato di
pace,nonché a un progressivo ritorno delle truppe statunitensi.
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"Seconda guerra fredda" (1979-85)[modifica | modifica wikitesto]
Con il termine "seconda guerra fredda" ci si riferisce all'intenso periodo che va dalla fine degli anni settanta a metà degli anni ottanta caratterizzato da un risveglio delle tensioni e
dei conflitti tra le maggiori potenze, con entrambe le parti che divennero sempre più militariste. [133] Lo storico John Patrick Diggins disse: "Reagan fece di tutto per combattere la
seconda guerra fredda, sostenendo le contro-insurrezioni nel terzo mondo". [134] Il suo collega Michael Cox ha invece osservato che: "L'intensità di questa seconda guerra fredda è
stata grande quanto fu breve la sua durata." [135]
Guerra sovietica in Afghanistan[modifica | modifica wikitesto]
Nell'aprile 1978, il Partito Democratico Popolare dell'Afghanistan (PDPA) prese il potere in Afghanistan durante la Rivoluzione di Saur. In pochi mesi, gli oppositori del governo
comunista lanciarono una rivolta nell'Afghanistan orientale che si espanse rapidamente in una guerra civile condotta dai guerriglieri mujaheddin contro le forze governative su scala
nazionale.[136] Gli insorti avevano ricevuto l'addestramento militare e armi nel vicino Pakistan e in Cina,[137][138] mentre l'Unione Sovietica inviò migliaia di consiglieri militari per
sostenere il governo PDPA.[136] Nel frattempo, il crescente attrito tra le fazioni concorrenti del PDPA, il dominante Khalq e il più moderato Parcham, portarono al licenziamento dei
membri del gabinetto di Parchami e all'arresto degli ufficiali militari con il pretesto di un colpo di Stato da lui organizzato. Verso la metà del 1979, gli Stati Uniti avviarono un
programma segreto per assistere i mujaheddin.[139]
Nel settembre 1979, il presidente Nur Mohammad Taraki venne assassinato in un colpo di Stato avvenuto all'interno del PDPA e orchestrato dal suo collega Khalq, Hafizullah Amin,
che assunse così la presidenza. Diffidato dai sovietici, Amin fu assassinato dalle forze speciali sovietiche nel dicembre 1979. Un governo organizzato dai sovietici, guidato
da Babrak Karmal di Parcham ma inclusivo di entrambe le fazioni, riempì il vuoto governativo. Le truppe sovietiche furono schierate per stabilizzare l'Afghanistan sotto Karmal in
quantità più consistenti, sebbene il governo sovietico non si aspettasse che la maggior parte dei combattimenti sarebbero stati effettuati in quel territorio. Di conseguenza, tuttavia, i
sovietici furono ora direttamente coinvolti in quella che era stata una guerra interna dell'Afghanistan. [140]
Carter rispose all'intervento sovietico ritirando il trattato SALT II dal Senato, imponendo embarghi sulle spedizioni di grano e sulla tecnologia verso l'Unione Sovietica e chiedendo
un aumento significativo delle spese militari. Inoltre, annunciò che gli Stati Uniti avrebbero boicottato le Olimpiadi estive del 1980 a Mosca. Egli descrisse l'incursione dei sovietici
come "la più grave minaccia alla pace dalla seconda guerra mondiale".[141]
Reagan e Thatcher[modifica | modifica wikitesto]
Nel gennaio del 1977, quattro anni prima di diventare presidente, Ronald Reagan dichiarò apertamente, in una conversazione con Richard Allen, le sue aspettative base in
relazione alla guerra fredda con queste parole: "La mia idea della politica americana nei confronti dell'Unione Sovietica è semplice, e alcuni direbbero semplicistica", affermò, "È
questa: vinceremo e loro perderanno. Cosa ne pensi?" [142] Nel 1980, Ronald Reagan sconfisse Jimmy Carter nelle elezioni presidenziali del 1980, promettendo di aumentare le
spese militari e di affrontare i sovietici ovunque.[143] Sia Reagan, sia il nuovo primo ministro britannico Margaret Thatcher accusarono l'Unione Sovietica e la sua ideologia; Reagan
la etichettò come un "impero del male" e predisse che il comunismo sarebbe finito nel "mucchio di cenere della storia", mentre Thatcher descrisse i sovietici come "inclini al dominio
del mondo".[144]
All'inizio del 1985, la posizione anticomunista di Reagan si era sviluppata in una posizione nota come la nuova dottrina Reagan, che, oltre al containment, prevedeva un diritto
aggiuntivo di sovvertire i governi comunisti esistenti. [145] Oltre a continuare la politica di Carter a sostegno degli oppositori islamici dell'Unione Sovietica, la CIA cercò anche di
indebolire l'URSS stessa promuovendo l'islamismo nei paesi a maggioranza islamica dell'Asia centrale. [146] Inoltre, la CIA incoraggiò l'ISI pakistana anti-comunista ad addestrare i
musulmani di tutto il mondo a partecipare allo jihād contro l'Unione Sovietica.[146]
Movimento polacco di solidarietà e legge marziale[modifica | modifica wikitesto]
Papa Giovanni Paolo II fornì un'anima morale per l'anticomunismo; una visita nella sua nativa Polonia avvenuta nel 1979 stimolò una risurrezione religiosa e nazionalista incentrata
sul movimento di Solidarność, che galvanizzò l'opposizione ma che potrebbe aver favorito il suo tentato assassinio avvenuto due anni dopo.[147] Nel dicembre 1981, il polacco
Wojciech Jaruzelski reagì alla crisi imponendo un periodo di legge marziale. Reagan impose sanzioni economiche alla Polonia in risposta. [148] Michail Suslov, il principale ideologo
del Cremlino, consigliò ai leader sovietici di non intervenire se la Polonia cadesse sotto il controllo di Solidarność, per timore che potesse portare a pesanti sanzioni economiche,
rappresentando una catastrofe per l'economia sovietica.[148]
Questioni militari ed economiche sovietiche e statunitensi[modifica | modifica wikitesto]
Mosca aveva messo in piedi un esercito che richiedeva fino al 25% del prodotto nazionale lordo dell'Unione Sovietica a scapito dei beni di consumo e degli investimenti nei settori
civili.[149] La spesa sovietica per la corsa agli armamenti e per altri impegni relativi alla guerra fredda causò e aggravò molti problemi strutturali profondi nella società [150] comportando
almeno un decennio di stagnazione economica durante gli ultimi anni di Brežnev.
Gli investimenti sovietici nel settore della difesa non vennero guidati dalla necessità militare, ma in gran parte dagli interessi delle massicce burocrazie statali e di partito che
dipendevano dal settore per garantire il proprio potere e i propri privilegi. [151] Le forze armate sovietiche divennero le più grandi al mondo in termini di numero e tipi di armi che
possedevano, per il numero di truppe nelle loro file e per le dimensioni della loro base militare-industriale. [152] Tuttavia, i vantaggi quantitativi detenuti dall'esercito sovietico
nascondevano spesso aree in cui il blocco orientale era drammaticamente in ritardo rispetto all'Occidente. [153] Ad esempio, la guerra del Golfo Persico ha dimostrato come
l'armatura, i sistemi di controllo antincendio e il raggio di tiro del più importante carro armato sovietico, il T-72, fossero drasticamente inferiori rispetto all'M1 Abrams statunitense,
eppure l'URSS schierò un numero di T-72 quasi tre volte maggiore rispetto a quanto fecero gli americani con l'M1. [154]
All'inizio degli anni ottanta, l'Unione Sovietica aveva costruito un arsenale militare e un esercito che superava quello degli Stati Uniti. Subito dopo l'invasione sovietica
dell'Afghanistan, il presidente Carter iniziò a rafforzare massicciamente l'esercito statunitense. Questo incremento venne accelerato dall'amministrazione Reagan che portò le
spese militari dal 5,3% del PIL nel 1981 al 6,5% nel 1986,[155] il più grande potenziamento relativo alla difesa che si sia mai registrato in tempo di pace nella storia degli Stati Uniti. [156]
Nei primi anni ottanta le tensioni continuarono a intensificarsi quando Reagan rianimò il programma B-1 Lancer precedentemente cancellato dall'amministrazione Carter, mise in
produzione l'LGM-118 Peacekeeper,[157] fece installare missili da crociera statunitensi in Europa e annunciò la sperimentazione di una iniziativa di difesa strategica (Strategic
Defense Initiative), soprannominata "Star Wars" dai media, un programma di difesa per abbattere i missili nemici a metà volo.[158]
Conseguentemente all'accumulo di tensioni tra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti e lo spiegamento di missili balistici RSD-10 sovietici puntati sull'Europa occidentale, la NATO
decise, con l'impulso della presidenza Carter, di schierare MGM-31 Pershing e missili da crociera in Europa, in particolare in Germania Ovest. [159] Questo spiegamento avrebbe
posto i missili in condizione di raggiungere la città di Mosca in soli 10 minuti. [160]
Nonostante il rafforzamento militare voluto da Reagan, l'Unione Sovietica non reagì aumentando a sua volta l'esercito, [161] poiché le già enormi spese militari insieme con
un'inefficiente economia pianificata e all'agricoltura collettivizzata, rappresentavano già un pesante onere per l'economia sovietica.[162] Allo stesso tempo, l'Arabia Saudita aumentò
la produzione di petrolio,[163] così come fecero anche le altre nazioni non OPEC.[164] Ciò comportò a una saturazione di petrolio che colpì l'Unione Sovietica che faceva delle
esportazioni di greggio una delle sue più importanti fonti di reddito. [149][162] Tutti questi eventi portarono gradualmente l'economia sovietica a una fase di stagnazione.[162]
Il 1º settembre 1983, l'Unione Sovietica abbatté il Volo Korean Air Lines 007, un volo civile operato con un Boeing 747 con 269 persone a bordo, incluso il membro del
Congresso Larry McDonald. Questo avvenne quando il velivolo violò lo spazio aereo sovietico, appena oltre la costa occidentale dell'isola di Sachalin vicino all'Isola di Moneron. Il
presidente Reagan definì l'abbattimento come un "massacro" e procedette ad aumentare lo spiegamento militare, misure che rimasero in vigore fino ai successivi accordi tra lo
stesso Reagan e Michail Gorbačëv.[165] L'esercitazione Able Archer 83, condotta nel novembre 1983, una simulazione realistica, coordinata dalla NATO, che prevedeva l'ipotesi di
una escalation globale che avrebbe portato alla guerra atomica, fu forse il momento più pericoloso della guerra fredda dai tempi della crisi missilistica cubana, poiché alcuni membri
del Politburo temevano che fosse una cortina fumogena che mascherava la preparazione per un autentico primo colpo nucleare.[166]
La preoccupazione dell'opinione pubblica interna statunitense su possibili interventi in conflitti stranieri persistette dalla fine della guerra del Vietnam.[167] L'amministrazione Reagan
enfatizzò il ricorso a strategie contro-insurrezionali rapide e a basso costo per intervenire in conflitti stranieri.[167] Nel 1983, l'amministrazione Reagan intervenne nella
pluripartimentale guerra civile libanese, invase Grenada, bombardò la Libia e appoggiò i Contras centroamericani, paramilitari anticomunisti che cercavano di rovesciare il
governo sandinista allineato ai soviet in Nicaragua.[168] Mentre gli interventi di Reagan contro Grenada e Libia si rivelarono popolari negli Stati Uniti, il suo appoggio ai
ribelli Contra fu oggetto di diverse controversie.[61] Anche l'appoggio dell'amministrazione Reagan al governo militare del Guatemala, durante la durante la guerra civile
guatemalteca, in particolare il regime di Efraín Ríos Montt, è stato criticato.[169]
Nel frattempo, i sovietici avevano sostenuto costi elevati per i propri interventi all'estero. Sebbene nel 1979 Brežnev fosse convinto che la guerra sovietica in Afghanistan sarebbe
stata breve, i guerriglieri musulmani, aiutati da Stati Uniti, Cina, Gran Bretagna, Arabia Saudita e Pakistan, [138] intrapresero una fiera resistenza contro l'invasione.[170] Il Cremlino
inviò circa 100 000 soldati per sostenere il suo regime fantoccio, portando molti osservatori esterni a nominare la guerra come "il Vietnam dei soviet". [170] Tuttavia, il pantano di
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Mosca in Afghanistan si rivelò ancora più disastroso per i sovietici di quanto non fosse stato il Vietnam per gli americani, perché il conflitto coincideva con un periodo di decadenza
interna e crisi interna del sistema sovietico.
Un alto funzionario del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti aveva predetto, fin dal 1980, un risultato del genere sostenendo che l'invasione fosse in parte risultata da una "crisi
interna all'interno del sistema sovietico... Può darsi che la legge termodinamica dell'entropia abbia... raggiunto il sistema sovietico, che ora sembra spendere più energia
semplicemente mantenendo il suo equilibrio che non migliorando sé stesso. Potremmo vedere un periodo di movimento straniero in un momento di decadenza interna". [171][172]
Le riforme di Gorbačëv[modifica | modifica wikitesto]
Quando, nel 1985, Michail Gorbačëv divenne Segretario Generale del PCUS,[144] l'economia dell'Unione Sovietica si trovava in una fase stagnante complice anche il forte calo di
introiti in valuta estera dovuto al vistoso calo dei prezzi del petrolio che si era avuto negli ultimi anni. [173] Questi problemi spinsero Gorbačëv a studiare misure adeguate per
rivitalizzare la sua nazione.[173]
Complice un inizio inefficace, il Segretario arrivò alla conclusione che fossero necessari cambiamenti strutturali profondi e, dunque, nel giugno 1987, annunciò un'agenda di riforme
economiche che prese il nome di perestrojka, o ristrutturazione.[174] La perestrojka attuò il rallentamento del sistema delle quote di produzione, permise la proprietà privata alle
imprese e spianò la strada agli investimenti stranieri. Queste misure ebbero lo scopo di reindirizzare le risorse del paese dai costosi impegni militari relativi alla guerra fredda a zone
più produttive nel settore civile.[174]
Nonostante lo scetticismo iniziale riscontrabile in Occidente, il nuovo leader sovietico si rivelò intenzionato a invertire il deterioramento della condizione economica dell'Unione
Sovietica piuttosto che continuare con la corsa agli armamenti.[77][175] In parte anche per contrastare l'opposizione di partito alle sue riforme, Gorbačëv introdusse simultaneamente
la glasnost', o apertura, con cui venne aumentata la libertà di stampa e la trasparenza delle istituzioni statali.[176] Con la glasnost' si intendeva ridurre la corruzione dei vertici
del PCUS e moderare l'abuso di potere che caratterizzava il Comitato centrale.[177] La glasnost' permise anche un maggiore contatto tra i cittadini sovietici e il mondo occidentale, in
particolare con gli Stati Uniti, contribuendo a un'accelerazione nella distensione tra i due paesi. [178]
L'Europa dell'Est si separa[modifica | modifica wikitesto]
Nel 1989, il sistema di alleanze dell'Unione Sovietica era sull'orlo del collasso e, privato del sostegno militare, i leader comunisti degli Stati del Patto di Varsavia accusavano una
perdita di potere.[186] Organizzazioni popolari, come il movimento polacco Solidarność, guadagnarono rapidamente un solido consenso tra la popolazione. Nel 1989, i governi
comunisti di Polonia e Ungheria furono i primi a negoziare l'organizzazione di elezioni libere. In Cecoslovacchia e nella Germania dell'Est, le proteste di massa misero in difficoltà i
dirigenti comunisti. Anche i regimi di Bulgaria e Romania si sgretolarono, in quest'ultimo caso a seguito di una violenta insurrezione. Gli assetti cambiarono tanto che il Segretario di
Stato americano James Baker affermò che il governo statunitense non si sarebbe opposto all'intervento sovietico in Romania, per conto dell'opposizione, per evitare spargimenti di
sangue.[190]
Questi sconvolgimenti politici ebbero il loro culmine con la demolizione del muro di Berlino, evento accaduto nel novembre 1989 che simboleggiò il crollo dei governi comunisti
europei e la fine della cortina di ferro. L'ondata rivoluzionaria del 1989 attraversò l'Europa centrale e orientale e rovesciò pacificamente tutti gli Stati comunisti che seguivano il
modello sovietico: Germania dell'Est, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia e Bulgaria; [191] La Romania fu l'unico paese del blocco orientale a rovesciare violentemente il suo regime
comunista arrivando a condannare a morte il suo capo di Stato e leader politico.[192]
Le repubbliche sovietiche si separano[modifica | modifica wikitesto]
Nella stessa Unione Sovietica, la glasnost' contribuì a indebolire i legami che tenevano insieme l'Unione [185] tanto che nel febbraio 1990, con la dissoluzione dell'URSS incombente,
il Partito Comunista fu costretto a cedere il suo monopolio di 73 anni sul potere statale.[193] Allo stesso tempo, la libertà di stampa e di dissenso vennero permesse, la "questione
delle nazionalità", sempre più radicata, portò le repubbliche componenti dell'Unione a dichiarare la propria autonomia da Mosca, con i tre Paesi Baltici che decisero di ritirarsi
interamente dall'Unione.[194]
Dissoluzione sovietica[modifica | modifica wikitesto]
I leader delle repubbliche di Russia, Ucraina e Bielorussia firmano l'accordo di Belaveža, che dissolve l'URSS e istituisce la Comunità degli Stati Indipendenti (1991).
L'atteggiamento permissivo di Gorbačëv verso l'Europa centrale e orientale non si estese inizialmente al territorio sovietico; persino Bush, che si sforzò di mantenere relazioni
amichevoli, condannò le uccisioni del gennaio 1991 avvenute in Lettonia e Lituania, avvertendo (in forma privata) che le relazioni economiche sarebbero state congelate se le
violenze fossero continuate.[195] L'Unione Sovietica venne, infine, fatalmente indebolita da un fallito colpo di Stato e da un numero crescente di repubbliche sovietiche che
minacciavano di ritirarsi dall'Unione. La "Comunità degli Stati Indipendenti", formalizzata il 21 dicembre 1991, viene vista come un'entità che succedeva all'Unione Sovietica ma,
secondo i dirigenti russi, il suo scopo era quello di "consentire un divorzio civile" tra le repubbliche sovietiche ed è paragonabile a una dissoluzione di una confederazione.
[196]
L'Unione Sovietica fu ufficialmente dichiarata sciolta il 26 dicembre 1991. [197]
L’ITALIA DOPO IL FASCISMO
UN PAESE SCONFITTO:
Con la liberazione dal fascismo iniziò per l’Italia il difficile dopoguerra. L’Italia era una nazione sconfitta e occupata militarmente, dipendente dagli aiuti alleati.
Economia in gravi condizioni: calo di produzione, ingenti danni all’agricoltura, approvvigionamenti alimentari problematici, razionamento di generi primari, inflazione, sistema dei
trasporti disastrato, molte abitazioni distrutte. Anche i problemi all’ordine pubblico non mancavano: fame, mancanza di alloggi, disoccupazione.
Italia settentrionale: nuovo slancio alle lotte sociali. Gli ex partigiani riluttanti nel deporre le armi e inclini a misure di giustizia sommaria nei confronti dei fascisti.
Italia centro-sud: terre incolte occupate dai braccianti. Minaccia più grave: la malavita comune, legata soprattutto al contrabbando e alla borsa nera (commercio clandestino dei
generi razionati). Il fenomeno mafioso fu favorito anche dal comportamento delle autorità militari americane, che al momento dello sbarco in Sicilia riuscirono a stabilire contatti con
la popolazione servendosi di esponenti della malavita italo-americana.
LE FORZE IN CAMPO:
Il ritorno della democrazia determinò una crescita della partecipazione politica; le forze politiche che si candidavano alla guida del paese all’indomani della liberazione erano le
stesse che erano state protagoniste della lotta politica tra la fine della Prima guerra mondiale e l’avvento della dittatura:
Partito socialista: dal 1943 PSI, con leader Pietro Nanni, molto popolare, ma con un gruppo dirigente non compatto, diviso fra spinte rivoluzionarie, che portavano a
stretti legami con i comunisti, e spinte riformiste, che spingevano ad assumere una posizione intermedia.
Partito comunista: grazie al contributo offerto alla lotta antifascista, e alla guida di Togliatti, che dopo la “svolta di Salerno” aveva dato nuovo slancio al partito. Si
presentava come partito di massa con un’area di consensi su base operaia, contadina, sui ceti medi e gli intellettuali. Senza rinnegare il legame con l’Urss, e
continuando ad alimentare le aspettative rivoluzionarie della classe operaia, si inserì attivamente nelle istituzioni democratico-parlamentari.
Democrazia cristiana: appoggiata dalla Chiesa, erede del Partito popolare di Don Sturzo, guidato da Alcide De Gasperi, col gruppo dirigente proveniente proprio dal
Partito popolare, ma rafforzato anche da nuove figure politiche attive nell’Azione cattolica, tollerata durante il regime fascista.
Partito Liberale: gran parte della dirigenza prefascista, sostenuto dalla grande industria e dai grandi proprietari. Einaudi e Croce aderirono al partito liberale. Ma il
rapporto con gli elettori era compromesso.
Partito repubblicano: intransigente sulla questione istituzionale, respingendo compromessi con la monarchia. Era un partito laico.
Partito d’azione: adesione di leader dell’antifascismo come Parri, Lussu, Valiani e di molti intellettuali. Una forza nuova e moderna, promotrice di riforme sociali e
istituzionali come la nazionalizzazione dei grandi complessi industriali, la riforma agraria, e più autonomie locali, senza forte base di massa, molto diviso fra l’ala
socialista e quella liberal-democratica—> contrasto che portò nel 1946 alla scissione e poi ad un successivo scioglimento.
La destra: era politicamente fuori gioco ma molto forte soprattutto nel Mezzogiorno. In parte contribuirono alla nascita del Movimento qualunquista: fondato da Giannini
dopo il successo ottenuto dall’omonimo giornale, privo di qualsiasi caratterizzazione ideologica. Assumeva le difese del cittadino medio “l’uomo qualunque”.
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CGLI (Confederazione generale italiana del lavoro): svolse un ruolo importante, benché fosse divisa in tre componenti: socialista, comunista e cattolica. Grazie a
profondo lavoro di mediazione
tra le parti, la Cgil riuscì a mantenere una linea moderata che permise di realizzare importanti conquiste normative: il riconoscimento delle commissioni interne,
rappresentanti il sindacato all’interno delle aziende; l’introduzione di un meccanismo di scala mobile per l’adeguamento automatico dei salari al costo della vita; una nuova
e più rigida disciplina dei licenziamenti; un maggior egualitarismo retributivo fra i lavoratori delle diverse categorie. La Confederazione fu ricostruita su basi unitarie nel ’44.
LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA:
I contrasti politici non impedirono il varo della Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio ’48. Dava vita a un sistema di tipo parlamentare: il governo responsabile di fronte alle due
Camere (la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica), titolari del potete legislativo, entrambe elette a suffragio universale e incaricate anche di scegliere, in seduta
congiunta, un presidente della Repubblica con mandato settennale. Oltre agli istituti tipici, vengono affiancati alcuni importanti principi di tipo sociale: diritto al lavoro, libertà
sindacale etc.
LA RICOSTRUZIONE ECONOMICA:
Sul piano della politica economica ebbero sempre il sopravvento le forze moderate, che seguirono una politica di “restaurazione liberista” rifuggendo da un uso incisivo e degli
strumenti di intervento statale nell'economia.
Tale politica si afferma pienamente dopo l’estromissione delle sinistre dal governo, ad opera del ministro del bilancio Einaudi: gli obiettivi principali erano la fine dell’inflazione, il
ritorno alla stabilità monetaria e il risanamento del bilancio statale. Nel complesso, la linea Einaudi ottenne i risultati prefissati ma con forti costi sociali, soprattutto in termini di
disoccupazione.
1956: ministero della Partecipazione Statale, col compito di coordinare le attività delle aziende statali + Corte costituzionale (diventato il Consiglio superiore della magistratura).
Nelle elezioni del ’53, con la sconfitta politica di De Gasperi, ci fu la progressiva emarginazione del suo gruppo dirigente e l’allargamento della maggioranza ai socialisti.
Nella Dc si affermò con la segreteria Fanfani (1954) una nuova generazione, più attenta all’intervento dello Stato nell’economia e più sensibile ai problemi sociali.
Il Psi, soprattutto dal ’56, andava allontanandosi dai comunisti.
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Le conseguenze del miracolo economico furono: sviluppo dell’industria manifatturiera, che nel 61 triplica la sua produzione rispetto al periodo prebellico nei settori siderurgico,
meccanico e chimico; aumento di esportazioni di prodotti industriali (= politica di libero scambio + CEE), aumento della produttività e basso livello dei salari portarono alti profitti.
La crisi del 63 è dovuta alla maggiore capacità contrattuale dei lavoratori, con lotte sindacali, che riuscirono a ottenere miglioramenti salariali, riducendo il margine di profitto e
mettendo in moto un processo di inflazione.
TRASFORMAZIONI SOCIALI:
Al boom industriale si accompagnarono due importanti fenomeni sociali: l'esodo dal sud al nord e la crescita dell'urbanizzazione. La crescita demografica delle città si accompagnò
ad incremento dell’occupazione, che favorì il processo di integrazione, e per cui fu importantissima la diffusione della scolarizzazione.
La televisione, attraverso cui passava la lingua comune, e le automobili, sempre più diffuse nel privato, furono strumenti e simboli del cambiamento. A metà anni 70 su completata
la rete autostradale.
IL CENTRO-SINISTRA:
All’inizio degli anni ’60 i socialisti entrarono nel governo e nella maggioranza. Ma nel 1960, Tambroni (democristiano), non riuscendo a trovare un accordo con socialdemocratici e
repubblicani, forma un governo monocolore con l’appoggio del Movimento Sociale Italiano (Msi), suscitando proteste e tensione da parte di operai e antifascisti che scatenarono
rivolte.
Il governo cedette e, per superare la crisi, si formò un governo Fanfani di centro-sinistra, grazie all’astensione dei socialisti in Parlamento. Si formò il primo governo di centro sinistra
organico presieduto dal leader della Dc, Moro.
In questa fase furono varati due importanti provvedimenti: la nazionalizzazione dell'industria elettrica (Enel) e l'istituzione della scuola media unica.
Dall’anno successivo, si bloccò il processo riformatore. Molti i problemi in seno ai vari partiti, tensioni e divergenze portarono, nel 1964, alla scissione del Psi: la minoranza di
sinistra formò il Partito socialista di unità proletaria (Psiup).
LA SECONDA REPUBBLICA
LA CRISI DEL SISTEMA POLITICO
Con l’espressione “seconda repubblica” viene indicato il nuovo assetto politico determinatosi in Italia negli anni 1992-94.
I fattori che caratterizzano il sostanziale cambiamento del nostro paese furono: il crollo del sistema dei partiti, la nuova legge elettorale maggioritaria, il profondo rimescolamento e
rinnovamento della classe politica e infine la nascita di un tendenziale bipolarismo.
Le novità politiche però furono accompagnate dall’aggravarsi dei fattori di crisi, sia sul terreno dell’economia, dove vi fu un aumento del deficit pubblico, rallentamento della
produzione, la svalutazione della lira; sia su quello della convivenza civile, con la ripresa dell’offensiva mafiosa e il dilagare della corruzione.
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Sul piano politico, le maggiori novità furono la trasformazione del Pci in Partito democratico della sinistra e l’emergere di nuovi movimenti ostili al sistema dei partiti come i verdi, le
Leghe e la Rete capeggiata da Orlando.
Le forze politiche cominciarono a prendere in considerazione l’ipotesi di una nuova legge elettorale che rafforzasse l’esecutivo. La questione fu sollevata da un comitato composto
da esponenti di diversi partiti e presieduto da Segni e anche il presidente della repubblica Cossiga dimostrava, attraverso varie polemiche, il desiderio di cambiare il sistema che lui
stesso rappresentava. Nel ’92 Cossiga sciolse le Camere e indisse le elezioni che, segnavano la sconfitta delle forze tradizionali (Dc e Pds) e la vittoria delle forze politiche nuove
ostili al sistema dei partiti, cioè la Lega Nord guidata da Bossi, i verdi che rafforzarono la loro presenza in Parlamento e la Rete. Dopo le dimissioni di Cossiga il Parlamento nominò
Scalfaro, democristiano, presidente della Camera. In quel periodo la maggior parte dei politici furono accusati di ottenere delle tangenti in cambio della concessione degli appalti e
quindi di adottare un sistema di finanziamento illegale dei partiti e di autofinanziamento, denominato Tangentopoli. Inoltre, si aggiunsero le stragi della mafia, con l’uccisione di
Falcone e Borsellino e l’incremento dei problemi della crisi produttiva e dei debiti statali.
Scalfaro nominò Amato presidente del governo, il quale ottenne alcuni successi nell’affrontare l’emergenza economica e quella dell’ordine pubblico. Ma il ceto politico, delegittimato
dalle inchieste della magistratura, non riusciva a trovare un accordo sulle riforme istituzionali.
Egli fondò un cartello elettorale con la Lega nord nell’Italia settentrionale (Polo della libertà) e con Alleanza nazionale nel centro-sud (Polo del buon governo).
Le elezioni del ’94, tenutesi con nuovo sistema maggioritario uninominale, che poneva le premesse per instaurare un meccanismo di alternanza tra maggioranza e opposizione
chiamato bipolarismo, portarono al governo una precaria maggioranza di centro-destra guidata da Berlusconi.
Costretto solo dopo 7 mesi a dimettersi per i contrasti sopraggiunti all’interno della maggioranza, gli succedeva un ministero di tecnici presieduto da Dini e sostenuto da uno
schieramento di forze di centrosinistra. Il centro-destra passò all’opposizione.
La realizzazione più significativa del sistema fu la riforma del sistema pensionistico, cioè le pensioni non sarebbero state legate all’ultima retribuzione percepita ma in base ai
contributi versati negli anni di lavoro. Nelle elezioni regionali il centro sinistra prevalse sul centro-destra e seguirono vari referendum sulla riduzione della pubblicità, della
distribuzione delle reti concesse ai privati, mirati a ridimensionare il potere televisivo di Berlusconi, che prevalse comunque.
Le elezioni anticipate del ’96 videro il successo dell’Ulivo, coalizione di centro-sinistra con leader Prodi, che
ottenne la maggioranza assoluta al Senato e alla Camera. Il nuovo governo schierò Veltroni come vicepresidente, Napolitano agli Interni, Berlinguer all’Istruzione, alcuni verdi, Dini
agli Esteri e Di Pietro ai Lavori Pubblici.
Fra i problemi politici del paese rimanevano aperti quello dei correttivi al Welfare state e quello relativo alle riforme istituzionali, in presenza di una continua instabilità politica. Lo
stesso Berlusconi, in collaborazione con D’Alema segretario del Pds, aveva favorito la costituzione di un sistema bicamerale per delineare in Parlamento un progetto di riforme
istituzionali.
Nel frattempo, si aggregò intorno a Cossiga l’Unione democratica per la repubblica (Udr) e nel 1998 il governo Prodi cadde, sostituito da un nuovo centrosinistra guidato da
D’Alema.
Nell’anno seguente l’Italia partecipò con gli altri paesi della Nato all’intervento militare in Kosovo. Nel 2000, dopo la sconfitta elettorale nelle regionali, D’Alema fu sostituito da un
altro governo di centrosinistra presieduto da Amato. Alla fine della legislatura la maggioranza approvò un’importante legge costituzionale che ampliava i poteri degli enti locali.
IL CENTRO-DESTRA AL GOVERNO
Gli schieramenti politici si preparavano anticipatamente alle elezioni del 2001.
Amato fu sostituito da Rutelli, sindaco di Roma, come leader del centro-sinistra. Nel frattempo, il leader di
Forza Italia Berlusconi guidava la coalizione della Casa delle libertà (Cdl) composta da Alleanza nazionale, Ccd, Cdu uniti nell’Udc Unione dei democratici cristiani e di centro, e
Lega Nord.
Le elezioni politiche del maggio 2001 diedero una netta vittoria alla Casa delle libertà, la coalizione guidata da Berlusconi, che nel giugno successivo formò il nuovo governo di
centro-destra. Il successo di Berlusconi è dovuto alla raccolta di voti moderati ottenuti da diversi strati sociali, in particolare dai giovani e dagli anziani, e dalle regioni meridionali e
insulari.
Berlusconi affidò a Fini la vicepresidenza, a Bossi il ministero per le Riforme istituzionali e il governo presentò un progetto ambizioso volto a dare una scossa all’economia
attraverso incentivi fiscali e snellimenti nelle procedure d’investimenti. Tuttavia, il governo si ritrovò ad affrontare alcune difficoltà come il mantenimento dell’ordine pubblico e
l’approvazione di una serie di provvedimenti che all’opposizione apparivano troppo mirati alla tutela della posizione del presidente del consiglio. Si aggiunsero le tensioni politiche
per il consenso dato da Berlusconi, nella linea americana di intervento nell’Iraq e per progetto della modifica dello Statuto dei lavoratori disapprovato dal Cgil.
Nel tentativo di sfruttare questi contrasti tra maggioranza e opposizione, emersero le Brigate rosse con una serie di attentati e sequestri.
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La grande riforma istituzionale voluta dalla maggioranza nel 2005 fu respinta dal successivo referendum di conferma. Le elezioni del 2006, tenute con una nuova legge elettorale,
segnarono la sconfitta, con stretto margine, del centro-destra. Dopo l’elezione del nuovo presidente della repubblica, Napolitano, Romano Prodi formò il nuovo governo di centro-
sinistra. Ma due anni dopo le divisioni interne alla maggioranza provocarono una serie di crisi di governo.
Alle elezioni anticipate del 2008 si presentarono schieramenti rinnovati: il Popolo della libertà, la nuova formazione politica creata da Berlusconi, prevalse nettamente sul Partito
democratico, guidato da Veltroni. E Berlusconi riassunse la guida del governo.
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