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la nuova crescita demografica:

Nel settecento, in campo demografico, per l’Europa iniziò una fase storica decisamente nuova, dopo la fine delle epidemie di peste, la popolazione aveva lentamente iniziato a
crescere e il fenomeno non si interruppe nemmeno nel 1800. I medici iniziarono a scoprire le cause batteriologiche di numerose malattie, tra i più importanti ci furono Pasteur e
Koch. Ci fu un graduale miglioramento delle condizioni di vita dei ceti più poveri, di conseguenza la mortalità infantile arretrò, la speranza di vita alla nascita si fece più elevata e la
popolazione aumentò di numero. All’interno di varie famiglie si notano i primi segnali di un’inedita disponibilità a limitare il numero dei figli, al fine di elevare il tenore di vita del
gruppo famigliare, uno dei grandi fattori che sostennero la crescita demografica fu proprio il calo della mortalità infantile.
 
nuove metropoli:
L’Europa dell’Ottocento aveva comunque una popolazione formata in prevalenza da giovani, il lavoro era carente perciò ci fu il fenomeno dell’immigrazione versi l’America. Negli
ultimi decenni del XIX, un numero sempre più crescente di persone si spostò dai piccoli centri alle grandi città, questo fenomeno fu particolarmente evidente in Germania, Berlino
divenne una metropoli enorme e modernissima. La qualità della vita materiale andò migliorando con l’illuminazione elettrica nelle case, servizi igienici più efficienti e l’acqua
corrente. Da una parte i conservatori iniziarono a proclamare che le nuove generazioni, rammollite dalle comodità, non avrebbero più voluto sopportare i disagi della vita militare.
Sul versante opposto, i timori venivano dai socialisti più estremisti, preoccupati dal fatto che, tra le masse operaie sempre più imborghesite, si sarebbe spenta qualsiasi volontà
rivoluzionaria.

L'IMPERIALISMO E LA CRISI DELL'EQUILIBRIO EUROPEO

La spartizione dell'Africa e dell'Asia.

i motivi economici dell'espansione coloniale: Dopo il 1870 , passato il periodo della "lunga depressione" , le grandi potenze europee avvertono la necessità di trovare nuovi territori
da cui ricavare le materie prime necessarie alla produzione delle crescenti attività industriali europee

la conferenza di berlino: A partire dall'ultimo ventennio del 1800 si instaurano profondi contrasti tra le potenze europee per il controllo dell'africa tanto che la germania , nel 1884 ,
organizza una conferenza internazionale per gli affari africani.L'atto finale proclamava la piena libertà di commercio per tutte le potenze nell'africa occidentale e affidava il congo al
belgio . Negli anni successivi tuttavia si arrivò a una vera e propria corsa alle colonie che portarono al totalitarismo da parte di francia e inghilterra dell'84% dei territori mondiali.

l'espansione inglese in africa e francese in asia: La necessità di collegarsi ai possedimenti in india spinse gli inglesi ad occupare l’egitto e il sudan definitivamente nel 1882 e
successivamente ad invadere il sud africa , vista la grande quantità di oro e diamanti.Nel frattempo la francia occupava il tonchino , la cocincina , la cambogia , il laos e l’annam cosi
da creare la colonia dell’indocina francese , colonia che rimase a lungo precaria.

la spartizione del mondo: Anche la germania non rimase a guardare e prese possesso di stati come il camerun , il togo e vasti territori dell’africa orientale e sud-occidentale.Intanto
la spagna e il portogallo , antiche superpotenze coloniali , perdevano gran parte dei territori : gli stati uniti si erano impadroniti di cuba , portorico e le filippine , antichi territori di
dominio spagnolo.Anche l’italia aveva intrapreso la corsa alle colonie provando a impadronirsi dell’etiopia , perdendo nel 1896 contro i soldati “negus” etiopi.

La Germania di Guglielmo II

il nuovo corso minimalista dell'imperatore tedesco guglielmo II: Nello scacchiere di inizio novecento la germania si preparava a diventare protagonista delle vicende mondiali : già
da fine 800 si stava notevolmente potenziando sotto il profilo economico-militare , grazie a un forte espansionismo economico e una grande aggressività coloniale.Tale
atteggiamento si inasprì ulteriormente dopo l’arrivo dell’imperatore guglielmo II che riuscì a far dimettere bismark e a cambiare i programmi economico-espansionistici di
quest’ultimo , diventando molto più aggressivo e spregiudicato e promuovendo i pensieri nazionalistici.

la rivalita' tra inghilterra e germania: Viste tali mire espansionistiche , la germania si impegnò a potenziare la sua flotta , rendendola la seconda più potente d’europa dopo quella
dell’inghilterra;anche l esercito canonico si potenziò ma in questo modo perse la fiducia e la possibile allenza con l’inghilterra e di conseguenza con la francia .

l'espansione economica tedesca: La germania cresceva di forza bellica ma cresceva ancor di più sotto il profilo economico , vista la grande competenza tecnica e la grande
quantità di materie prime a disposizione oltre a un vertiginoso incremento demografico.(la popolazione passo in 40 anni da 40 a 67 milioni)Questa serie di fattori rese in pochi anni
la germania una delle nazioni più potenti e pericolose d’europa.

l'assolutismo imperiale e il riformismo della socialdemocrazia tedesca: La grande e rapida espansione tedesca aprì anche alle proteste interne al paese , che vennero represse da
un assolutismo di base dell’imperatore o , in alcuni casi come quello della socialdemocrazia tedesca , accettate dal governo come opposizione riformistica perchè non troppo
pericolosi.

Le nuove alleanze

l'accordo fra francia e russia: Nel 1890 la germania scelse di non rinnovare l’alleanza stipulata nel 1887 con la russia e gli negò anche il prestito di fondi e manodopera necessari ai
russi per la crescita economica.Ad approfittarne fu la francia che nel 1993 stipulò un “accordo di reciproca assistenza” con i russi in campo militare e prestandoli i soldi e la
manodopera a loro necessaria.La nascita di questo patto combinato con la triplice alleanza tra germania , italia e austria contribuì a dividere l’europa in due blocchi contrapposti che
porteranno nel giro di pochi anni alla germania a trovarsi pressochè sola in mezzo ai nemici.

la risoluzione delle conflittualita' tra francia e inghilterra: Dopo la guerra vicina a fashoda , francia e inghilterra si riavvicinarono e nel 1904 si arrivò a un “intesa cordiale” , che non
era ancora un alleanza , ma un patto sotto il profilo politico. Questa intesa, insieme a quella con il giappone nel 1902 fecero uscire l’inghilterra dal grande isolamento che persisteva
dall’età vittoriana e l’avvicinava ai rapporti intrerni europei , mentre la germania si muoveva nel verso opposto , con un crescente isolamento dato da una forte credenza nei propri
mezzi militari e ai sempre più forti pensieri razzisti e nazionalistici che prendevano piede nella popolazione.

La seconda rivoluzione industriale

Negli ultimi decenni del secolo XIX e nel primo del XX, lo sviluppo industriale raggiunse la sua piena maturità, tanto che si è potuto parlare di una “seconda rivoluzione industriale”
diversa dalla prima, quella iniziata in Inghilterra nella seconda metà del secolo XVIII.
Della seconda rivoluzione più rapidi furono gli effetti, più prodigiosi i risultati che determinarono una trasformazione decisiva nella vita e nelle prospettive dell’uomo. Essa fu
caratterizzata dall’espansione dell’economia capitalistica nei continenti africano ed asiatico, dal prevalere dell’industria pesante (metallurgica e meccanica) su quella leggera, dal
concentrarsi di masse umane nelle grandi città, dalla diffusione di nuovi materiali (acciaio e gomma) e di nuove fonti di energia (petrolio ed elettricità). La produzione su scala
mondiale si impennò vertiginosamente.
 
Innovazioni Seconda Rivoluzione Industriale:

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Lo sviluppo industriale fu sostenuto anche questa volta da invenzioni scientifiche e da processi tecnologici che consentirono un migliore sfruttamento delle materie prime ed una più
elevata resa della produzione. Nel campo della metallurgia il “convertitore” sperimentato nel 1879 da Thomas consentì un notevole risparmio di tempi e di costi nel processo di
trasformazione in acciaio dei materiali ferrosi.
 
La turbina a vapore progettata negli anni Ottanta in Inghilterra e in Svezia rivoluzionò le vecchie macchine a vapore rendendo possibili notevoli risparmi nelle spese e nei
rifornimenti di combustibile. Un largo impiego di elettricità, quale fonte di energia meccanica, poté essere ottenuto con la costruzione di potenti centrali idroelettriche. L’introduzione
dell’elettricità nei più diversi settori produttivi portò profondi mutamenti nell’economia dei singoli paesi e rinnovò molti procedimenti tecnici.
 
L’invenzione della lampada a filamento di carbone, dovuta all’americano Edison (1879), rese possibile l’illuminazione elettrica delle grandi città nelle quali, gradatamente venne
eliminata l’illuminazione a gas che pure era sembrata, qualche decennio prima, un’importante simbolo di modernità. Anche l’industria chimica realizzò un rapido sviluppo con
l’invenzione di nuove procedure nei campi dei coloranti, dei concimi artificiali, degli esplosivi, dei medicinali.
 
Il “sistema di fabbrica“, per usare un’espressione che si diffuse verso la metà del secolo, decollò decisamente quando cominciò a diffondersi il “sistema industriale americano”,
celebrato nell‘Esposizione di Londra del 1851. Si trattava d’un largo ricorso alle catene di montaggio ed ai supporti elettromeccanici nelle diverse fasi lavorative della costruzione e
dell’assemblaggio, ma soprattutto si avanzava l’esigenza di razionalizzare i gesti dell’operaio secondo cadenze attentamente studiate.
 
Industrializzazione e imperialismo
L’imperialismo costituisce l’altra faccia del processo di industrializzazione. Infatti esso diede inizio ad una corsa sfrenata all’accaparramento delle terre africane ed asiatiche rimaste
ancora immuni dalla penetrazione europea. Il pianeta fu funestato, ancora una volta, da una serie di conflitti, di scontri, di imprese militari, ma il nuovo colonialismo si rivelò
profondamente diverso da quello dei secoli precedenti: esso seppe organizzare il mondo secondo aree economiche e strategiche funzionali alle grandi concentrazioni di capitali. Gli
Stati industrializzati furono sollecitati a controllare nuovi mercati e soprattutto a impiantare, anche in territori lontani, centri di produzione e di trasformazione.
Nel giro di pochi anni (1881-1886) quasi tutta l’Africa fu assoggettata dalle potenze europee. Nel 1902 non vi erano più “spazi vuoti” nel mondo. Comunque gli imperialisti, insieme
a quanto di negativo hanno riversato nel mondo, hanno forse involontariamente, trasferito le idee positive della loro civiltà, quelle di democrazia, libertà, fraternità, eguaglianza,
destinate ad esercitare un effetto profondo sulla storia successiva perché hanno condotto i popoli assoggettati alla rivolta contro l’imperialismo stesso.
Nell’ultimo quarto del XIX secolo crebbe il numero delle grandissime imprese che stroncarono molte aziende minori. Gruppi di capitalisti riuscivano a porre sotto il proprio controllo
una parte notevole della produzione nei settori di rispettiva competenza. C’è quindi la nascita del monopolio che è l’accentramento del mercato nelle mani d’un solo operatore.
 
Seconda Rivoluzione Industriale e Capitalismo
I legami tra le banche e il capitale industriale divennero sempre più stretti; la fusione del capitale bancario con quello industriale creò un nuovo protagonista della storia
contemporanea: il “capitale finanziario“. Un gruppo relativamente piccolo ha concentrato nelle sue mani il controllo sopra la maggior parte del sistema economico, e domina tutte le
altre parti della popolazione. Il nuovo capitalismo finanziario esporta capitali ed investe nelle aree sotto sviluppate dell’intero pianeta, là dove i capitali sono scarsi ed abbonda,
invece, la mano d’opera che può essere retribuita con bassi salari.
 

LO SCENARIO EXTRAEUROPEO

La crescita del Giappone e la crisi della Cina


Alla fine del XIX secolo, il Giappone si affacciò prepotentemente sulla scena della competizione imperialistica in Asia. Nel 1894, in seguito a contrasti che avevano per oggetto la
Corea, uno Stato fin allora vassallo della Cina, i giapponesi mossero guerra all'Impero cinese e lo sconfissero per terra e per mare, dando una prima prova della loro efficienza
bellica. La Cina dovette rinunciare a ogni influenza sulla Corea e cedere al Giappone vari territori, fra cui l'isola di Formosa. Le potenze occidentali cercarono da un lato di
contenere i successi del Giappone, dall'altro profittarono dell'ennesima sconfitta della Cina per ritagliarsi nel paese nuove zone di influenza economica.
La prospettiva di uno sgretolamento dell'Impero provocò per reazione la nascita di un movimento conservatore, nazionalista e xenofobo che si proponeva la restaurazione integrale
delle antiche tradizioni imperiali. Questo movimento trovò il suo braccio armato in una società segreta a carattere paramilitare, nota in Occidente come movimento dei boxers (ossia
pugili, dal nome di un'antica società ginnica denominata "Pugni della giustizia e dell'armonia"). Nel 1900, in seguito a una serie di violenze compiute dai boxers contro i simboli e gli
stessi rappresentanti della presenza straniera, le grandi potenze - compresi Stati Uniti e Giappone - si accordarono per un intervento militare congiunto. In due settimane la rivolta
fu sedata e Pechino venne occupata dalle truppe alleate. La rivolta non rimase tuttavia senza effetti. Da un lato, essa mostrò la persistenza di un nazionalismo cinese che rendeva
impraticabile una spartizione politica dell'Impero. Dall'altro, la sconfitta del nazionalismo tradizionalista preparò il terreno alla nascita di un movimento di ispirazione democratica e
"occidentalizzante", che avrebbe cercato di collegare la lotta contro gli stranieri a quella per la modernizzazione del paese.
 

La Russia tra modernizzazione e opposizione politica

La Russia all’inizio del ‘900.


All’inizio del Novecento le principali caratteristiche distintive dello sviluppo della Russia erano la sua lentezza e la sua arretratezza. Arretratezza che si manifestava sia sul piano
economico-sociale sia su quello politico.
L’economia russa era ancora prevalentemente basata sull’agricoltura e oltre l’80% della popolazione era costituita da contadini che vivevano in condizioni di miseria, spesso ancora
soggetti alla servitù della gleba, che in Russia era stata abolita ufficialmente solo nel 1861.
La maggior parte di questa popolazione era costituita da contadini che vivevano nelle comunità rurali in un regime di agricoltura di pura sussistenza. All’abolizione della servitù della
gleba non era seguita una riforma agraria che distribuisse la terra ai contadini. I terreni restavano in gran parte nelle mani della nobiltà e del clero o di grossi imprenditori in grado di
accedere ai finanziamenti delle banche.
 
Particolarità dello sviluppo industriale
L’industria era in generale poco sviluppata soprattutto per la mancanza di capitali, anche se in alcuni settori, grazie ai finanziamenti stranieri (in particolare francesi e tedeschi), si
ebbe un certo sviluppo. In sostanza si può affermare che all’inizio del ‘900 il sistema di produzione capitalista si era diffuso in Russia. Tra il 1880 e i primi del ‘900 vi era stato in
Russia un forte sviluppo e la produzione industriale era cresciuta a un ritmo elevato. La produzione di carbone era quintuplicata ed era iniziata l’estrazione di petrolio (a Baku), con
l’aiuto di tecnici e ingegneri stranieri. All’inizio del ‘900 la Russia disponeva di una rete ferroviaria di circa 30.000 km. I lavoratori dell’industria erano notevolmente cresciuti e si
erano create grosse concentrazioni industriali (la fabbrica Poutilov, a San Pietroburgo, impiegava più di 15.000 lavoratori).
 
Il bacino industriale che va dalla Polonia (allora Russia) ai dintorni di San Pietroburgo fu quello in cui si svilupparono forme di capitalismo moderne, grazie ai finanziamenti stranieri
o della Banca di Stato, con elevate concentrazioni della classe operaia.
 
Tuttavia, tale sviluppo fu “a macchia di leopardo”, con forti differenze regionali. L’industrializzazione della Russia era stata avviata e si erano sviluppati alcuni grossi agglomerati
urbano-industriali. Questo però avveniva in un quadro di forte arretratezza e di gravi squilibri tra le diverse aree del paese.
 
Capitalismo di Stato
La politica economica condotta dai ministri delle finanze fu caratterizzata da un forte protezionismo e da un forte intervento dello Stato nelle attività economiche, sia tramite l’azione
delle imprese pubbliche, sia indirettamente mediante le politiche fiscali e monetarie.

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Il sistema bancario non era in grado di far fronte alle esigenze dello sviluppo industriale. Questa fu una delle ragioni del ruolo importante svolto dallo Stato nello sviluppo economico
russo. Poiché lo sviluppo del capitalismo in Russia fu strettamente diretto dallo Stato e da esso dipendente, la sua autonomia dalla sfera politica fu molto limitata.
 
Debolezza della borghesia
Questi tratti peculiari produssero una borghesia debole e incapace di affermarsi come classe dirigente, una parte della quale era succube dell’aristocrazia e della burocrazia zarista.
Di conseguenza essa non fu in grado di realizzare la creazione di uno Stato moderno, di riforme e di istituzioni democratiche.
 
Immobilismo istituzionale
Sul piano politico la Russia era infatti ancora una monarchia assoluta e autocratica, in cui il potere era concentrato nelle mani dello Zar.Il regime autocratico zarista conservava
immutate le proprie caratteristiche oppressive e qualsiasi riforma, per quanto modesta, innescava fortissime resistenze e viceversa forme di protesta radicale contro il potere che
assumevano tratti rivoluzionari.
 
I partiti di opposizione.
Nonostante le dure repressioni messe in atto dal regime assoluto, si erano formati partiti politici di opposizione, che però generalmente erano costretti alla clandestinità. I principali
partiti erano:
 il Partito costituzionale democratico (Partito cadetto), di orientamento liberale, che voleva trasformare la Russia in una monarchia costituzionale;
 il Partito socialista rivoluzionario, che rappresentava in particolare il mondo contadino e che proponeva la costruzione di una società egualitaria, a partire dalla
distribuzione delle terre ai contadini, evitando lo sviluppo dell’industrializzazione capitalistica;
 il Partito socialdemocratico, di orientamento marxista, che facendo leva sulla classe operaia, che si stava sviluppando in seguito allo sviluppo industriale, si
proponeva come obiettivo una rivoluzione socialista.
 Bolscevichi e menscevichi
Quest’ultimo partito si divise nel 1903 in due correnti, bolscevichi (maggioranza) e menscevichi (minoranza).
 I bolscevichi, pur ammettendo l’arretratezza della Russia, pensavano che solo la presa del potere da parte della classe operaia avrebbe potuto realizzare una
rivoluzione conseguente, perché la borghesia russa si mostrava troppo debole e incapace di un radicale rinnovamento. I bolscevichi pensavano, inoltre, che la
rivoluzione in Russia, anello debole tra gli stati europei, avrebbe potuto innescare la rivoluzione nei paesi della più sviluppata Europa. Per i bolscevichi il partito
doveva essere costituito di “rivoluzionari di professione”, avanguardia lucida e consapevole della classe operaia, che altrimenti sarebbe stata incapace di uno
sbocco rivoluzionario in modo spontaneo.
 I menscevichi ritenevano la Russia immatura economicamente e culturalmente per una trasformazione socialista, per cui ritenevano che nell’immediato fosse
necessario puntare su una rivoluzione democratico-borghese, rinviando l’obiettivo del socialismo a una fase successiva. Essi, inoltre ritenevano che si dovesse
costruire un partito “di massa”, che mirasse a raccogliere consensi in vista della partecipazione alle elezioni.
 

Guerra russo giapponese del 1904-1905


la guerra russo giapponese del 1904-1905 nacque per il controllo della Manciuria e della Corea fra la Russia, interessata ad ampliare ulteriormente i suoi domini asiatici, e
l’emergente potenza giapponese.
La guerra si risolse in un disastro per la Russia. Questa uscì clamorosamente sconfitta dai giapponesi sia per terra (Port Arthur) che per mare (battaglia delle isole Tsushima). Fu la
prima guerra vinta da uno stato asiatico contro uno stato europeo.
Il Giappone attaccò e distrusse la base russa di Port Arthur nella penisola cinese di Liaodong (8 febbraio 1904) senza alcuna dichiarazione formale di guerra.
Dopo l’invio di migliaia di soldati prima in Corea e poi in Manciuria, che respinsero le truppe russe sempre più a nord, seguì la sconfitta nella battaglia di Mukden (febbraio-marzo
1905) e il disastroso annientamento della grande flotta russa del Baltico nello stretto di Tsushima (27 maggio 1905). I russi dovettero quindi arrendersi.
Il trattato di pace di Portsmouth (5 settembre 1905) riconobbe al Giappone: metà dell’isola di Sakhalin; Port Arthur; l’influenza della parte sud della Manciuria; infine, libertà d’azione
in Corea, che i giapponesi dichiararono loro protettorato, per poi annetterla nel 1910.
La guerra russo giapponese mise a nudo la debolezza strutturale dell’impero zarista e diede un impulso deecisivo alla Rivoluzione russa del 1905.
 

Rivoluzione russa

La rivoluzione fu figlia della Prima Guerra mondiale, che fece esplodere la crisi della società russa con un impoverimento estremo. Prima della rivoluzione c’era stata una monarchia
autocratica fino al 1905 (governo concentrato nelle mani dello ZAR). Nel 1905 lo Zar Nicola II dopo un’insurrezione popolare concesse la costituzione, ma il sistema politico era
molto instabile, dunque concesse anche tre DUME (assemblee nazionali); le prime due dopo poco vennero sciolte dallo zar perché troppo democratiche, mentre la terza manifestò
tendenze conservatrici e durò più a lungo. La società era molto complessa, poiché costituita in maggior numero dai contadini, mentre gli industriali erano in minoranza, essendo
l’industrializzazione diffusa solo nelle grandi città o nella Russia occidentale. Politicamente vi erano tre diversi partiti:
1. Partito socialdemocratico , costituito dai Marxisti, quindi Menscevichi e Bolscevichi. I bolscevichi, maggioranza di impronta massimalista, erano capeggiati da
Lenin, che propugnava un partito di quadri (=attivisti) che avrebbe dovuto guidare le masse proletarie alla rivoluzione e credevano che non ci dovesse essere
nessuna collaborazione con i borghesi in favore di un potere del popolo. I menscevichi minoritari erano rivoluzionari, che però erano consapevoli del fatto che la
Russia non possedeva ancora la forza per una rivoluzione di popolo, la quale avrebbe portato solo scompiglio. Credono invece in una RIFROMA GRADUALE
DELLA SOCIETA’, per adesso si può collaborare con i borghesi, non è plausibile attuare una rivoluzione adesso: la storia deve maturare, poiché solo così si
può raggiungere la coscienza di classe, necessaria per la rivoluzione, che la massa contadina, che rappresentava la maggioranza della Russia, non aveva, a
differenza delle masse operaie. Masse contadine-masse operaie per Marx; non fa una distinzione, il contadino vive in una condizione che non è quella
dell’operaio à quando i contadini si renderanno conto che la forza lavoro è anche politica, si ribelleranno. È necessaria dunque, un’industrializzazione, in
collaborazione con la borghesia. Lenin rimane convinto che bisogna sfruttare il momento di debolezza dello zarismo, considerato ormai incapace di interpretare
il sentire di molti stati della Russia.
2. Partito socialrivoluzionario , diffuso soprattutto nelle campagne, base sociale contadini, intento valorizzare la tradizione agraria dal momento che la Russia
aveva una connotazione economica perlopiù rurale. Nato dal movimento rivoluzionario POPULISTA, i populisti cercavano di educare i contadini per migliorare il
loro stato. Partito appoggiava riforma agraria, collettivizzazione delle terre.
3. Partito costituzionale democratico nato 1905, aveva lottato per ottenere la costituzione. Era formato soprattutto da borghesi e intellettuali, voleva avvicinare
sistema politico russo a europei. Si discostava dall’idea di governo del popolo, alla base liberalità a favore dell’industrializzazione.
Rivoluzione di febbraio del 1917 aveva di fatto abbattuto lo zarismo, così da segnare le dimissioni e la fuga di Nicola II. Si formò un governo provvisorio costituito da cadetti
(borghesi e intellettuali), socialrivoluzionari e menscevichi, guidato dal principe L’vov. Bolscevichi unici che continuavano a sostenere che la rivoluzione dovesse procedere,
vengono appoggiati dai soviet (gruppi di operai e contadini) poiché avevano un piano di reale riforma sociale e dai soldati, poiché la guerra promossa dal governo provvisorio era
considerata uno strumento di guadagno dei ricchi. Fronte interno implode. Organizzano un contropotere diffuso essenzialmente nelle città. (rivoluzione sancisce fine dinastia
Romanov, segna inizio prima democrazia, aveva forte carattere religioso, dopo tre anni di guerra Russia fortemente stremata, per instabilità politica c’era rischio di colpo di stato
che riportasse autocrazia zarista, rivolte operai giungono a punto di svolta quando anche soldati si ribellano, alba rivoluzione socialista mondiale)
Il governo provvisorio prese dei provvedimenti progressisti
1. Libertà di parola, di stampa, di associazione politica
2. Abolizione della pena di morte

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3. Decide inoltre di proseguire la guerra: uscire prima avrebbe comportato talmente tante rinunce e l’alienazione da Francia e Inghilterra che era meglio continuare.
I socialdemocratici bolscevichi sempre più popolari nei soviet tendevano a screditare il governo e proponevano una rivoluzione armata per rovesciarlo. Lenin sostiene le tesi di
aprile (contraddiceva idea di Marx, per cui rivoluzione doveva passare attraverso fase borghese, “discorso menscevichi”):
1. Tutto il potere ai soviet , si oppone al governo provvisorio: il potere reale devono averlo i soviet perché lo zarismo è stato abbattuto e dobbiamo portare avanti la
causa perché il potere deve andare a noi (doppio potere, governo ceto borghese, soviet masse)
2. Terra ai contadini (per accattivarsi base sociale sei socialrivoluzionari)
3. Uscita immediata dalla guerra, infatti rifiutava il modello capitalistico (Francia e Inghilterra).
Per cercare di fronteggiare i contrasti tra governo e soviet, primi di lunglio tentativo di colpo di stato bolscevico, capi vengono arrestati, lenin scappa in svizzera, si formò un nuovo
governo guidato da Kerensky, socialrivoluzionario e membro del soviet di Pietrogrado, più di sinistra rispetto a L’vov.
Già agli inizi di settembre, però, il governo dovette subire il tentativo di colpo di stato dalle destre zariste antirivoluzionarie, che erano dei quadri dell’esercito guidati dal comandante
Kornilov, deciso a instaurare una dittatura militare. Tale tentativo fu sventato grazie soprattutto ai bolscevichi, che mobilitarono operai e soldati. Ciò accrebbe la loro popolarità,
tanto che Lenin approfittò della situazione per organizzare a sua volta un colpo di stato. Egli sapeva che la coscienza di classe sarebbe stata indotta gradualmente
dall’INTELLIGHENTIA, cioè dall’alto, poiché c’era consapevolezza della propria fondamentalità. Il 24-25 Ottobre (poco dopo Caporetto) i bolscevichi assaltano il Palazzo d’Inverno
e rovesciano senza spargimento di sangue il governo Kerensky. A questo punto Lenin costituisce un governo rivoluzionario bolscevico: CONSIGLIO DEI COMMISSARI DEL
POPOLO, il cui capo era Lenin e vi facevano parte anche Trockij e Stalin. Per il mese successivo vengono indette delle elezioni a suffragio universale, anche femminile. Nel mentre
il Consiglio dei Commissari del popolo attua dei provvedimenti verso una democratizzazione:
 Decreto sulla terra: abolisce proprietà privata, immediata distribuzione, senza alcun risarcimento, delle terre ai contadini privi di terra.
 Decreto sulla pace: proposta a tutti i belligeranti di aprire immediate trattative per una pace “giusta e democratica”
 Sostituzione del vecchio sistema giudiziario con tribunali del popoloSostituzione della polizia con una milizia composta perlopiù di operai
 Separazione tra Stato e Chiesa
 Introduzione del matrimonio civile, con uguali diritti per entrambi i coniugi, e del divorzio
 Introduzione della parità di diritti tra uomo e donna
 Riduzione della giornata lavorativa a otto ore
 Cancellazione, nell’esercito, delle differenze di trattamento fra soldati e ufficiali
 Sul fronte dell’economia, nazionalizzazione di tutte le banche private
Alle elezioni però il partito di Lenin ottiene solo ¼ dei voti e hanno la meglio i socialrivoluzionari, con grande successo nelle campagne. Infatti, manca effettivamente la coscienza
politica dei contadini, che non conoscono la situazione politica. Il giorno dopo l’insediamento dell’Assemblea, i Commissari del popolo insieme alle truppe rosse la sciolgono. La
“giustificazione” di Lenin è che il popolo, non avendo di fatto coscienza politica, non comprende ciò che è vantaggioso. Lenin insediandosi al potere con solo ¼ dei consensi
necessita della forza per il potere senza maggioranza, dunque attua un colpo di stato.
Scoppia guerra civile, Trotskij organizza armata rossa, paesi europei temevano il dilagare del socialismo e del comunismo appoggiano armata bianca.
1919 KOMINTERN, Internazionale comunista che doveva riunire forze di tutti i comuniati Socialisti in comunisti
Accettare direttive dell’URSS
Il 3 marzo 1918 con la “Pace di Brest-Litovsk” la Russia è praticamente sconfitta: perde territori fra la Bielorussia e il Caucaso, deve rinunciare alla Finlandia, ai Paesi Baltici,
all’Ucraina (grande produttrice di grano), dunque si trova in grandi difficoltà economiche. L’umiliante pace di Brest-Litovsk e la repressione delle opposizioni alimentarono le forze
contrarie ai comunisti. Il pericolo maggiore derivava:
-        Dalle ARMATE BIANCHE, controrivoluzionarie e rimaste fedeli allo zar
-        Dagli eserciti degli ex alleati inglesi, poiché avevano una logica borghese, capitalista e francesi, che avevano definito la Russia traditrice, dal momento che con la chiusura del
fronte orientale, i tedeschi si erano spostati in occidente e a sud
Per evitare la diffusione del comunismo, con il quale i borghesi avrebbero perso il potere. Trockij organizza l’Armata Rossa: ci furono quattro anni di guerra durissima, vinta dai
comunisti grazie all’appoggio dei contadini e alla ferrea disciplina.
Solo dagli anni 20 si parlerà di Unione Sovietica e non più di Russia.
 

La rapida crescita economica e imperialismo degli Stati Uniti

Si avvia a diventare grande potenza economica, c’è massiccio incremento demografico, investimenti sulle infrastrutture, formazione grande mercato interno, indebolimento piccole
e medie imprese, affermazione grandi corporations (monopolizzano settori strategici dell’economia come acciaio e petrolio). Governo interviene con norme antitrust per agevolare
libero scambio commerciale, emanato Sherman Act da theodore Roosevelt, smantellata Standard Oil di Rockfeller.

Sorgono organizzazioni sindacali che si dovettero scontrare con mondo patronale non incline a concessioni verso i lavoratori, nascono conflitti sociali. Impatto azione sindacale
limitato per fermezza stato patronale che respingeva richieste dei lavoratori ma anche per divisioni tra diversi sindacati.

Fine dottrina Monroe (1823), fine isolazionismo per bisogno di trovare nuovi mercati per prodotti agricoli e industriali. 1904 corollario Roosevelt, scelta imperialista ma diversa dalle
iniziative di tipo coloniale sul modello europeo, preferirono creare zone di influenza in paesi considerati vitali per sicurezza e commercio nazionali (neocolonialismo).

Guerra ispano-americana, imposero influenza su Cuba.

Spagna doveva combattere contro ribelli Cubani in rivolta contro governo spagnolo per chiedere indipendenza. 1898 Usa con pretesto di aiutare ribelli cubani dichiararono guerra
alla spagna, cuba ottiene indipendenza ma va sotto tutela degli Stati Uniti, che poi conquistano altre colonie spagnole e arcipelaghi del pacifico.

Uguale a Panama, provincia della Colombia (Usa volevano costruire un canale che attraversasse l’istmo di Panama, governo cubano diede assenzio poi cambia idea) americani
fomentarono rivolta dei panamensi contro il governo) 1903 Panama ottenne indipendenza da Colombia, passò sotto la tutela degli Usa.

L'Italia di Giolitti
I moti popolari
 
L'Ottocento si chiuse con la società italiana in pieno fermento. L'aumento del prezzo del pane dovuto alla penuria del grano sui mercati europei catalizzò il disagio della popolazione
per le precarie condizioni di vita a cui era costretta. In diverse parti del Paese, a partire dalla Romagna e dalla Puglia, scoppiarono sommosse che si estesero anche ai maggiori
centri urbani. Per contrastare il fenomeno il governo dichiarò lo stato di assedio a Milano, a Napoli e in Toscana, ma questo non bastò a sedare del tutto le rivolte. A maggio le
truppe del Regio Esercito comandate dal generale Fiorenzo Bava Beccaris aprirono il fuoco con i moschetti e i cannoni contro la folla che protestava uccidendo decine di persone e
ferendone centinaia.
Il ministero di Luigi Pelloux (29 giugno 1898 - 14 maggio 1899 e 14 maggio 1899 – 24 giugno 1900) tentò di proseguire con la politica repressiva iniziata dal suo predecessore
(Antonio di Rudinì) ma fu costretto a rinunciare per un forte ostruzionismo delle forze progressiste sia in parlamento che nella società civile.

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Nei primi anni del secolo gli orientamenti politici del Governo presero altre direzioni. Salito al trono Vittorio Emanuele III dopo l'uccisione, a Monza, del padre Umberto I ad opera
dell'anarchico Gaetano Bresci, il sovrano prese atto che la repressione invece di fiaccare le forze della sinistra le aveva ricompattate e, pertanto, decise di affidare la direzione dello
Stato a personaggi più disponibili al dialogo. Con i ministeri di Giuseppe Zanardelli (15 febbraio 1901 – 3 novembre 1903) e, soprattutto, di Giovanni Giolitti (3 novembre 1903 – 12
marzo 1905) venne inaugurata una stagione di aperture e di riforme che durò fino alla prima guerra mondiale e che permise all'Italia di vivere la prima e vera fase di sviluppo
sociale ed economico della sua storia.
 
Giovanni Giolitti
 
Il protagonista principale di questo momento fu senza dubbio Giolitti. Lo statista piemontese, un uomo formatosi nell'amministrazione dello Stato di cui, pertanto, conosceva tutti i
segreti, era un deciso fautore del coinvolgimento dei socialisti riformisti nel dibattito politico di governo. Riteneva questo passo necessario per una precisa scelta strategica: in primo
luogo tale coinvolgimento, poteva rappresentare un tentativo di dividere il fronte progressista, isolando l'estrema sinistra e gli anarchici dalla compagine riformista di Turati, e in
questo modo, dare la possibilità a settori della società italiana fino ad allora esclusi dal dibattito politico di dare il loro contributo al suo programma riformista che riteneva necessario
per la modernizzazione della società e lo sviluppo economico del Paese.
Giovanni Giolitti si mosse sempre in questa direzione, nonostante il rifiuto di Turati di entrare a far parte della compagine governativa. Certo, il suo percorso non fu sempre lineare e
orientato a sinistra, ma, nonostante questo, negli anni in cui fu in grado di esprimere il suo protagonismo politico si assistette ad una parziale normalizzazione dei rapporti
commerciali con la Francia, ad un sostanziale miglioramento delle condizioni lavorative degli operai e dei braccianti grazie alla sostanziale non ingerenza dello stato nei conflitti
sindacali, all'approvazione delle leggi speciali per Napoli e per la Basilicata nel 1904, alla riuscita nazionalizzazione delle ferrovie avvenuta nel 1905 (1).
Dal punto di vista sociale furono, infine, di fondamentale importanza l'allargamento, portato a compimento nel 1912, del suffragio elettorale a tutti gli uomini di almeno trent'anni o ai
maggiorenni alfabetizzati o che avessero compiuto il servizio militare e, sempre nello stesso anno, l'introduzione del monopolio statale nel settore delle assicurazioni sulla vita che
consentiva di sostenere una forma rudimentale di stato sociale.
 
Lo sviluppo economico e la guerra di Libia
 
Grazie a questa politica, nei primi anni del '900, l'Italia fu in grado di consolidare un deciso sviluppo economico ed industriale che beneficiò in primo luogo la siderurgia e, a seguire,
l'industria tessile, la meccanica e la chimica mentre nel settore bancario si assistette alla nascita della Banca Commerciale Italiana e al Credito Italiano. La spinta decisiva alla
crescita fu data, tuttavia, data dal settore energetico. In quegli anni si assistette al massiccio sviluppo dell'energia idroelettrica che fu in grado di sostenere la produzione industriale
nonostante la cronica carenza, in Italia, di materie prime.
Un contributo importante al miglioramento economico del paese venne anche dalla massiccia emigrazione dei suoi sudditi. Può sembrare una contraddizione, ma l'espatrio di
centinaia di migliaia di persone dirette, per lo più, verso mete transoceaniche (2) assicurò una diminuzione reale della pressione sociale da parte delle classi popolari a cui fece
riscontro un deciso aumento delle rimesse monetarie degli emigrati che contribuirono a migliorare le condizioni economiche di vasti strati della popolazione rurale.
 
In politica estera Giolitti, come si è detto, perseguì un sostanziale riavvicinamento alla Francia senza, tuttavia, mettere in discussione il trattato della Triplice alleanza, ma fu nel
Mediterraneo che lo statista esplicitò le sue vere intenzioni. Spinto dalla crescita di un deciso movimento nazionalista e dalle pressioni di importanti settori economici (3), Giolitti per
assicurare la stabilità interna e al suo governo, decise di dichiarare guerra all'Impero ottomano e di invadere la Libia (ottobre 1911). Il conflitto fu iniziato con la convinzione di facili
conquiste ma in pochi giorni l'operazione si rivelò essere molto più difficile del previsto a causa della decisa resistenza delle popolazioni arabe e della guarnigione turca.
La guerra si protrasse fino all'ottobre del 1912, data in cui fu firmata la pace di Losanna tra Roma e Costantinopoli, dopo che la Regia Marina aveva esteso il conflitto allo
scacchiere egeo con la conquista delle isole delle Sporadi meridionali o Dodecaneso.
 
 
PRIMA GUERRA MONDIALE
CONGRESSO DI BERLINO
L’analisi delle cause che portarono allo scoppio della prima guerra mondiale parte dal 1875 quando nelle due province della Bosnia e della Erzegovina i contadini cristiani si
ribellarono contro i grandi proprietari terrieri musulmani e la Serbia e il Montenegro intervennero a favore dei ribelli, ma furono sconfitti dall’esercito turco. A quel punto intervenne
nel conflitto anche l’impero zarista per sostenere le due nazioni slave sperando di poter allargare la propria influenza nella regione balcanica. L’esercito russo riuscì a sbaragliare i
turchi e così il sultano di Istanbul fu costretto ad accettare la pace di Santo Stefano. Il trattato prevedeva la nascita di un vasto stato della Bulgaria, l’equilibrio politico internazionale
sarebbe cambiato in modo profondo a vantaggio dell’impero zarista. Inghilterra e Austria-Ungheria protestarono immediatamente e minacciarono di muovere guerra alla Russia. La
crisi trovò pacifica composizione per mezzo del cosiddetto congresso di Berlino: alla Russia fu imposto di rinunciare alla grande Bulgaria prevista dalla pace di Santo Stefano e
l’Austria-Ungheria e l’Inghilterra ottennero importanti concessioni: la prima poté occupare la Bosnia Erzegovina, mentre la seconda richiese per sé l’isola di Cipro.
Al congresso Bismark, timoroso di un eccessivo rafforzamento Russo, non agì da mediatore imparziale, ma sostenne le posizioni all’interessi dell’Austria-Ungheria e dell’Inghilterra.

IL SISTEMA DELLE ALLEANZE


Nel 1881, la Francia occupò la Tunisia e l’Italia cerco di ostacolarla, ma le sue proteste non trovarono alcun ascolto presso le altre nazioni. in quell’occasione risultò evidente la
posizione di isolamento del nuovo Stato unitario troppo debole per agire da solo. Nacque la cosiddetta triplice alleanza che comprendeva Italia, Germania, Austria-Ungheria, si
trattava di un accordo puramente difensivo. La triplice alleanza dava per scontato che l’eventuale avversario fosse la Francia: con essa, la Germania era in tensione a causa
dell’Alsazia-Lorena, mentre l’Italia ne temeva l’ulteriore espansione nel Mediterraneo. Stipulando la triplice alleanza, l’Italia rimandava a tempo indeterminato l’annessione
dell’Trentino e di Trieste. La Francia trova alleanza con la Russia.

IL PIANO SCHLIEFFEN
A partire dalla metà degli anni 90, la Germania del Keiser Guglielmo Secondo, si sentì sempre più accerchiata, cioè si trovava di fronte alla prospettiva di una guerra su due fronti:
nel caso in cui il conflitto con la Francia fosse ripreso, l’impero tedesco sarebbe stato attaccato anche a oriente dall’esercito russo, perciò non si sapeva come combattere due
avversari contemporaneamente. La soluzione venne trovata dal generale Alfred von Schlieffen il quale elaborò un piano al tempo stesso cinico e geniale. Il ragionamento partiva
dalla constatazione che, mentre le ferrovie tedesche erano modernissime deficienti, il sistema di trasporto russo era ancora carente, prima che tutte le forze russe potessero essere
davvero portate al fronte e impiegate contro la Germania, sarebbe passato un intervallo di tempo che l’impero tedesco avrebbe potuto sfruttare per concentrare tutte le proprie
energie a ovest, contro la Francia. Era necessario compiere una mossa in attesa, che cogliesse di sorpresa i francesi i quali avrebbero cercato innanzitutto di liberare l’Alsazia-
Lorena. Le truppe vennero perciò disposte nel seguente modo: Sul fronte russo e in Alsazia-Lorena bastava dislocare dei contingenti di piccole entità con funzioni puramente
difensive; la massa d’urto dell’esercito germanico, avrebbe dovuto essere concentrata più a nord e puntare direttamente su Parigi dopo aver attraversato il Belgio. In questo modo i
francesi sarebbero stati presi di sorpresa e L’ Esercito tedesco sarebbe stato velocemente trasportato tramite le ferrovie sul fronte opposto per sconfiggere i russi.

LA FLOTTA DA GUERRA TEDESCA


Il previsto attraversamento del Belgio rappresentava un notevole elemento di debolezza, avrebbe provocato l’immediata reazione negativa della Gran Bretagna: nei 15 anni
precedenti lo scoppio della guerra mondiale, la Germania condusse una politica nettamente ostile nei confronti dell’impero inglese, il principale motivo di attrito fra le due potenze fu
la grande flotta di navi da guerra di cui la Germania cominciò a dotarsi a partire dal 1898. L’Inghilterra rispose nel 1906 iniziando la costruzione di una serie di corazzate di

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nuovissima concezione, le cosiddette dreadnoughs. La Germania iniziò a produrre corazzate simili a quelle inglesi, il risultato inevitabile della decisione tedesca di procedere al
riarmo navale fu il progressivo avvicinamento
dell’Inghilterra ai nemici della Germania, l’Inghilterra non stipulo alcun militare vincolante accordo né con la Francia né con la Russia, ma con esse era ormai giunta ad un’intesa.

LA POLITICA DI POTENZA TEDESCA


La borghesia tedesca non fu unanime nel giudicare positivamente la scelta di intraprendere una politica estera capace di provocare l’ostilità della Gran Bretagna. D’altra parte, il
riarmo navale incontrò la netta opposizione sia di alcune prestigiose compagnie marittime impegnate nel commercio internazionale, sia di Walther Rathenau, dirigente della AEG
uno dei più imponenti complessi industriali del tempo. Nella corsa all’impero le motivazioni di genere economico non furono quelle prevalenti e decisive. Ognuno voleva dimostrare
la propria potenza, la flotta da guerra insomma potrebbe essere letta come un mezzo capace di mostrare al mondo la forza e la grandezza della nazione tedesca, questa
concezione era stata completamente assimilata dal Ministro della marina tedesca Alfred con Tirpitz che fu il vero artefice del riarmo navale. Egli accompagnò al suo lavoro di
pianificatore del riarmo navale una martellante opera di propaganda e di persuasione dell’opinione pubblica tedesca.

LA POLVERIERA BALCANICA
Tra i principali elementi di perturbazione vi era il regno di Serbia, che aveva ottenuto la piena indipendenza al congresso di Berlino e desiderava allargare i propri confini. Nel 1902
Italia Francia trovarono un accordo ragionevole e vantaggioso per entrambe: in caso di occupazione francese del
Marocco, la potenza transalpina non avrebbe posto alcun ostacolo a una dominazione italiana in Libia. La Serbia si alleò con il Montenegro, la Grecia e la Bulgaria uniti nella lega
balcanica, questi paesi attaccarono a loro volta l’impero ottomano che fu pesantemente sconfitto nella prima delle due guerre balcaniche. La Serbia vittoriosa conquistò il Kosovo, I
kosovari albanesi furono eliminati a centinaia, ci fu una chiara pulizia etnica. Austria-Ungheria e Italia negarono a Belgrado l’accesso al mare e istituirono il piccolo stato dell’Albania
che si frappose tra la Serbia e l’Adriatico, questo gesto irritò profondamente la Serbia, i cui rapporti con l’Austria-Ungheria si fecero sempre più tesi.
L’ATTENTATO DI SARAJEVO
Il 28 giugno 1914, a Sarajevo un terrorista serbo-bosniaco uccise a colpi di pistola l’arciduca Francesco Ferdinando d’ Asburgo. L’uccisione dell’arciduca austriaco avrebbe dovuto
significare, secondo i terroristi, l’inizio del riscatto degli slavi del sud dalla dominazione straniera. La giovane Bosnia aveva stretti legami con un’altra associazione nazionalista
denominata unione o morte. Il governo austro-ungarico si convinse immediatamente che la responsabilità dell’accaduto dovesse ricadere interamente sullo Stato serbo, a causa del
suo atteggiamento anti austriaco e nazionalista. Inoltre il governo di Vienna si orientò subito nella direzione di una risposta forte. Prima di compiere la mossa che avrebbe potuto
provocare l’inizio delle ostilità, il governo imperiale si consultò con quello tedesco, che assicurò all’Austria Ungheria il suo completo sostegno in caso di intervento russo.

LE DECISIVE SCELTE TEDESCHE


Forte della promessa tedesca, il governo di Vienna consegnò a quello di Belgrado un pesante e categorico ultimatum, a cui i serbi avrebbero dovuto rispondere entro
quarantott’ore; le richieste austroungariche erano numerose e umilianti, ma soprattutto l’ultimatum richiedeva al governo serbo di istituire una commissione di inchiesta, per far
piena luce sull’attentato di Sarajevo e imponeva che delegati austriaci fossero ammessi a partecipare al lavoro di tale commissione. Fu questo l’unico punto che il governo non
accolse. Il 28 luglio dunque venne consegnata al governo serbo una formale dichiarazione di guerra. Nessuna delle grandi potenze aveva intenzione di combattere; d’altra parte
tutti i governi temettero che la mancata mobilitazione dell’esercito fosse interpretata dai nemici come un gesto di debolezza, e dagli alleati come segnale di indecisione, di scarsa
disponibilità a mantenere l’impegno di assistenza militare reciproca. Per la Germania i tempi di decisione divennero estremamente stretti: per vincere la guerra su due fronti, i vertici
politici e militari tedeschi dovevano agire con la massima rapidità.

L’EUFORIA COLLETTIVA DELL’AGOSTO 1914


Il primo agosto 1914 l’impero tedesco entrò ufficialmente in guerra con la Russia e
conseguentemente con la Francia. In tutti gli stati d’Europa, lo scoppio delle ostilità venne accolto con euforia. Persino i partiti socialisti si affrettarono ovunque ad allinearsi, cioè ad
approvare l’ingresso in guerra del proprio stato. La cosa più importante era dimostrare la propria potenza.

LA COMUNITÀ NAZIONALE
Il keiser Guglielmo II coniò uno slogan estremamente efficace: “non vedo più partiti. Vedo solo tedeschi“. L’imperatore dava voce a un’idea piuttosto diffusa in Germania e condivisa
da molti protagonisti di quelle giornate, lo scoppio della guerra generò una sorta di miracolo emotivo, i tedeschi si percepirono come una realtà omogenea, chiamata a combattere
una comune battaglia e ad affrontare un comune destino. Il partito nazista si sforzerà di ricreare in continuazione quell’atmosfera satura di entusiasmo patriottico e spiritualità
nazionale. Le grandi parate e le maestose liturgie di massa svolgeranno proprio questa funzione aggregante. La frase sopra citata è poi significativa perché di fatto poteva anche
essere interpretata come un rifiuto del
parlamentarismo, della democrazia e del principio liberale dell’inviolabilità dei diritti dell’uomo; la programmazione della fine dei partiti in effetti poteva aprire la strada al principio
secondo cui tutti i tedeschi dovevano rinunciare ogni Forma di partecipazione politica, affidandosi alla guida di un unico leader.

L’INVASIONE DEL BELGIO


Dopo che i primi reparti tedeschi avevano violato la frontiera del Belgio, l’Inghilterra dichiarò guerra all’impero germanico. L’invasione tedesca del Belgio assunse immediatamente
caratteri di estrema brutalità e spietatezza, l’esercito del piccolo stato non poteva certo competere con l’immensa armata degli invasori, ma poteva contare su alcune solide
fortezze, colpire nemici con piccola incursione a sorpresa e godere dell’appoggio della popolazione locale. I farti vennero espugnati a uno a uno con l’aiuto di giganteschi cannoni
da assedio, che oltre alle strutture militari, devastarono anche le città. La resistenza della popolazione invece fu domata mediante il sistematico ricorso alla fucilazione di ostaggi.

LA FINE DELLA GUERRA DI MOVIMENTO


Una parte dell’esercito dislocato in Belgio dovette essere trasferito su altri fronti: in Alsazia, dove i francesi avevano concentrato il loro attacco più forte e soprattutto in Prussia
orientale, per frenare l’avanzata dei russi. Qui i tedeschi comandati dai generali Paul von Hindenburg e Erich
Loudendorff, ottennero una grande vittoria a Tannenberg. Il 5 settembre nella regione del fiume marna di eserciti inglesi e francesi passarono all’attacco, dopo quattro giorni di
violentissima lotta cancellarono per sempre la speranza di una rapida vittoria tedesca sul fronte occidentale. Per combattere questa guerra vennero impiegati moltissimi uomini, la
concentrazione di una tale quantità di uomini era stata resa possibile dalle ferrovie, nessun conflitto del passato, neppure la guerra civile americana aveva visto un tale spiegamento
di forze. Il conflitto si trasformò in guerra di posizione: i due eserciti stremati e privi di munizioni, si arrestarono lungo una linea che percorreva longitudinalmente l’intera Francia e
che ricevette il nome di fronte occidentale. Materialmente si trattava di due interminabili file di trincee.

LA GUERRA DI TRINCEA
Dall’autunno 1914 la linea del fronte, in Francia, per quattro anni non subì alcun cambiamento significativo, una simile situazione di stallo era provocata dalle nuove armi moderne a
disposizione di entrambi gli eserciti; oltre ai cannoni di grosso calibro occorre ricordare la mitragliatrice. Oltretutto non va dimenticato che davanti alle trincee furono stese linee di
sbarramento utilizzando il filo spinato. La capacità difensiva di ogni esercito, nella prima guerra mondiale, era infinitamente superiore alla sua capacità di attacco e di penetrazione.
Neppure l’introduzione di nuove armi riuscì a spezzare la situazione di stallo, senza dubbio va ricordato al primo posto il gas, l’effetto della nuova arma fu devastante ma ben presto
ci si accorse che il gas era ben poco affidabile, poteva essere molto pericoloso anche per chi lo lanciava.

LA GUERRA DI LOGORAMENTO
All’inizio dello scontro, nessuno dei contendenti aveva previsto che la guerra sarebbe stata così esigente e costosa. Già nell’autunno del primo anno di guerra emerse con
chiarezza che la vittoria sarebbe stata ottenuta da che fosse stato capace di reggere a tempo indeterminato i costi. La prima guerra mondiale assunse i contorni di una guerra di
logoramento, che vedeva contrapposti non solo due eserciti, bensì due apparati produttivi o meglio due sistemi sociali impegnati a garantire agli eserciti le risorse umane materiali

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indispensabili per continuare a combattere. La prima guerra mondiale fu davvero un conflitto di massa nel senso che portò al fronte una quantità di uomini impensabile in qualsiasi
epoca del passato. A partire dall’estate 1914 la marina britannica istituì un rigido blocco navale finalizzato a paralizzare il commercio di importazione tedesco. Il primo a rendersi
conto della necessità di procedere a un radicale riorganizzazione dell’economia tedesca fu l’industriale Walter Rathenau, che nell’agosto 1914 sollecitò presso il Keiser l’istituzione
di un ministero per le materie prime, finalizzato a requisire e a distribuire in modo programmato dall’alto le scorte di materie prime indispensabili in Germania. L’importanza storica
dell’esperimento è fondamentale, egli introdusse una rigorosa pianificazione in tutti gli ambiti e settori vitali dell’economia nazionale decretando la fine del modello liberista.

LA GUERRA SOTTOMARINA
La soluzione al problema della carenza di nitrato di potassio venne trovata facendo ricorso alle più recenti scoperte dell’industria chimica tedesca che aveva già individuato il modo
di ricavare azoto nell’atmosfera. Nel giugno 1916 la grande flotta da guerra tedesca si scontrò con quella britannica nel largo della costa dello Jütland. La Germania intraprese la
cosiddetta guerra sottomarina che sul piano militare si rivelò la più efficace risposta tedesca al blocco navale britannico. I sommergibili germanici procedettero nel sistematico
siluramento di tutte le navi che dislocavano l’Atlantico e il mare del Nord: l’obiettivo era quello di arrestare l’afflusso di materie prime e di derrate alimentari dirette Inghilterra. Dal 24
maggio in avanti però la situazione cominciò a mutare in quanto venne adottato il cosiddetto sistema dei convogli; le navi mercantili da allora non attraversarono più l’Atlantico da
sole ma in gruppo ben protette dalla marina di guerra. Su entrambi i fronti la prima guerra mondiale si stava orientando decisamente nella direzione della guerra totale che non fa
più differenza tra civili e militari in quanto la distruzione dell’apparato produttivo del nemico è importante quanto una vittoria sul campo.

RIVOLTE E AMMUTINAMENTI
Ma mano che la guerra di logoramento esigeva sempre costi più elevati il malcontento divenne sempre più acuto sia tra i soldati al fronte sia tra la popolazione stanca dell’aumento
dei prezzi. La situazione subì una repentina impennata nel 1917 che non a caso fu l’anno decisivo del conflitto. A Berlino gli operai scesero in sciopero e 30.000 soldati francesi
abbandonarono le trincee. A Missy aux Bois In Piccardia, un reggimento di fanteria si impadronì della città e proclamò di voler dare vita a una specie di contro-governo che avrebbe
posto fine alla guerra. Quando le autorità militari francesi si mossero per porre fine all’ammutinamento si resero conto di dover dosare con estrema intelligenza repressione
inflessibile e interventi finalizzati a migliorare le condizioni di vita dei soldati sul fronte.

IL CROLLO DELLA RUSSIA


In Francia l’esercito tornò ad obbedire agli ordini dei suoi generali, intanto però stava precipitando la situazione russa. L’esercito russo era stato per un certo tempo in grado di
tenere testa quello austriaco, ma aveva manifestato tutta la propria debolezza nel confronto con i tedeschi. All’inizio del 1917 l’esercito zarista si era sgretolato e i disertori erano
almeno 1 milione e mezzo: la
Germania nell’Europa dell’est aveva di fatto vinto la guerra. Nei mesi di febbraio e marzo 1917 tale drammatica situazione provocò la caduta dello zar e la creazione di un governo
provvisorio, che tentò di continuare la guerra e di lanciare una nuova offensiva. Al contrario i comunisti guidati da Vladimir Lenin, proclamarono a gran voce che se fossero stati al
potere, avrebbero immediatamente posto fine al conflitto, Lenin decise di effettuare un colpo di stato a Pietrogrado. Il 3 marzo 1918 il nuovo governo comunista firmò con i tedeschi
la pace di Breslitovsk grazie alla quale l’intera Ucraina avrebbe dovuto diventare uno stato autonomo satellite della Germania. Lenin, preoccupato in primo grado di rafforzare il
proprio potere accettò tutte le umilianti condizioni poste dai tedeschi, a livello internazionale la pace separata siglata da Lenin segnò un formidabile rilancio del socialismo.

L’INTERVENTO DEGLI STATI UNITI


Per la Germania la resa totale della Russia significò la fine della guerra su due fronti, però gli Stati Uniti erano entrati in guerra contro l’impero tedesco. Sui mari la partita era già
stata perduta dai tedeschi in quanto i sommergibili non erano più in grado di impedire il trasferimento dell’esercito statunitense. L’incapacità dei sottomarini germanici a bloccare
quell’imponente afflusso di uomini e merci derivava soprattutto dalla gigantesca produttività dei cantieri americani che riuscivano a varare nuove navi in quantità di gran lunga
superiori rispetto alla capacità distruttiva dei sommergibili.

SIGNIFICATO STORICO DELL’INTERVENTO AMERICANO


L’8 gennaio 1918, il presidente americano Thomas Wilson, in un messaggio al congresso enunciò in 14 punti gli obiettivi politici che l’America si proponeva di ottenere dalla vittoria.
In primo luogo presentava gli Stati uniti come garanti della libera navigazione sui mari, inoltre Wilson poneva il principio di nazionalità come criterio di soluzione di tutti i maggiori
problemi politici europei: tradotto in pratica ciò avrebbe significato la restituzione dell’Alsazia-Lorena alla Francia, la nascita di uno Stato polacco indipendente e la dissoluzione
dell’impero austro-ungarico. Per quanto riguarda la Russia Wilson era consapevole del fatto che i lavoratori di tutte le nazioni del mondo guardavano al nuovo regime con simpatia
e pertanto si mostrò estremamente conciliante nel discorso dei 14 punti, il presidente non propose una specie di crociata anticomunista, ma riteneva che alla Russia dovesse
essere lasciata l’occasione di svilupparsi da un punto di vista politico e nazionale. Infine nell’ultimo punto del suo programma proponeva l’istituzione di una società generale delle
nazioni, cioè di un organismo internazionale finalizzato a garantire in futuro l’indipendenza politica e territoriale di tutti gli Stati. Sul piano storico i 14 punti di Wilson segnano una
svolta decisiva nel comportamento degli stati uniti, fino ad ora, essi non erano mai intervenuti attiva mente nelle vicende politiche e militari europee. L’ Intervento statunitense nel
primo conflitto mondiale ha interrotto questa tendenza a restare isolati, nonostante ciò il vero intervento degli Stati Uniti che andrà a influenzare dal punto di vista politico e sociale
l’Europa ci sarà solo durante la seconda guerra mondiale mi particolare nel periodo della guerra fredda.

LA FINE DEL CONFLITTO


Il 21 marzo 1918 l’esercito tedesco iniziò una grande offensiva che avrebbe dovuto sfondare il fronte occidentale. Gli inglesi francesi e gli americani riuscirono a respingere i
tedeschi, il comando tedesco era ormai consapevole che la Germania non era in grado di opporre resistenza al contrattacco nemico. I primi sintomi del crollo si verificarono nella
base navale di Kiel ove 3000 marinai della flotta da guerra si ammutinarono il 3 novembre, lo stesso giorno in cui l’impero austro-ungarico ormai stremato si era arreso. Il 4
novembre ci fu la dichiarazione di vittoria da parte di Diaz. Le rivolte di monaco e Berlino provocarono infine l’abdicazione da parte del Keiser e la proclamazione della repubblica.
L’11 novembre 1918 la delegazione tedesca firmò l’armistizio, la Germania era stata sconfitta perché non aveva retto il peso di un imponente guerra di logoramento. Secondo Adolf
Hitler era colpa del marxismo se la Germania aveva perso la guerra, il popolo tedesco era stato intossicato Dalla propaganda dei socialisti. La guerra era stata persa sul campo, ma
per il cedimento del fronte interno per colpa della rivoluzione che aveva pugnalato alla schiena l’esercito ancora imbattuto. La guerra lasciava fra gli sconfitti un ulteriore e pesante
strascico di odio che avrebbero costruito il principale retroterra del fascismo e del nazionalismo.

LA SCELTA DELLA NEUTRALITÀ


Il capo di stato maggiore dell’esercito Luigi Cadorna sollecitò il re e il governo affinché le truppe italiane potessero essere inviate il più in fretta possibile a sostegno delle armate
austriache e tedesche. Tuttavia il governo decide che l’Italia avrebbe assunto una posizione di neutralità in quanto la triplice alleanza era un trattato di carattere puramente
difensivo. I nemici della Germania, dopo aver accolto con molto sollievo la scelta della neutralità, cominciarono ben presto a sollecitare l’Italia a schierarsi dalla loro parte. Questo
invito nasceva dall’ovvia constatazione dell’esaurimento delle ragioni che avevano portato l’Italia a firmare la triplice alleanza per cui Trieste e Trento restavano sottomessi al
dominio austriaco.

I SOSTENITORI DELLA NEUTRALITÀ


Nell’estate 1914 i governi europei furono costretti ad assumere decisioni drammatiche. Le autorità italiane ebbero il tempo di riflettere con calma sulla decisione più opportuna per
gli interessi del proprio stato. La prospettiva della guerra non generò in Italia un diffuso movimento di solidarietà nazionale, ma un vasto dibattito e una violenta frattura all’interno
dell’opinione pubblica, divisa ben presto in interventisti e neutralisti. Fra i sostenitori della neutralità ci fu Giovanni Giolitti che non era affatto contrario alla guerra in se è neppure
ostile. D’altra parte Giolitti aveva intuito più lucidamente di Salandra e degli altri ministri che dopo l’arresto dell’avanzata tedesca sulla Marna la guerra sarebbe stata lunga ed
estenuante, l’Italia doveva stare fuori dallo scontro il più a lungo possibile. Anche la chiesa riteneva che per l’Italia fosse opportuno restare al di sopra della lotta. A favore della
neutralità infine si schierarono anche i socialisti riformisti, le grandi potenze capitalistiche erano ormai giunte alla completa spartizione della terra. Poiché non c’erano più terre
senza padrone da aggiungere al proprio impero, nessuno avrebbe tratto beneficio da questa guerra se non i capitalisti. I socialisti rimasero imparziali.
GLI INTERVENTISTI DI SINISTRA

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Il partito di coloro che erano favorevoli all’intervento non era meno composito ed eterogeneo di quello dei naturalisti. Esso comprendeva intellettuali democratici come Gaetano
Salvemini e Cesare battisti, la guerra andava considerata come il compimento del processo di unificazione nazionale. A loro giudizio questo nuovo risorgimento avrebbe dovuto
caratterizzarsi per una presenza popolare ben più massiccia significativa, che avrebbe infine generato un complessivo rinnovamento, in senso democratico, dell’intero assetto
politico italiano. Una vittoria della Germania avrebbe comportato il trionfo del militarismo e dell’autoritarismo. I socialisti rivoluzionari intuirono che la partecipazione al conflitto di
dimensioni così vaste avrebbe logorato le strutture sociali e politiche del paese, generando così posizioni ideali per una sollevazione di tipo rivoluzionario. Su posizioni simili si
schierò anche Benito Mussolini che il 15 novembre 1914 diede vita nuovo quotidiano “Il Popolo d’Italia”.

I NAZIONALISTI
I più accesi sostenitori dell’intervento erano i nazionalisti. Il movimento era stato fondato dallo scrittore Enrico Corradini. Sul piano teorico, l’intuizione più originale di Corradini era
stata quella di adottare una terminologia di tipo marxista, strumentalizzandola per i propri fini. La vittoria nella grande competizione tra le nazioni, tutta via, Secondo Corradini
esigeva alcune importanti modifiche dell’assetto sociale politico interno. Innanzitutto, era indispensabile schiacciare l’ignobile socialismo. Secondo Corradini era indispensabile che
il potere fosse esercitato in modo autoritario da un’Elite. Per cogliere la novità storica del nazionalismo di Corradini, può essere utile segnalare ciò che la distingue dalla posizione
della concezione di Mazzini. In entrambi casi la nazione è posta al centro della riflessione tuttavia Corradini auspicava l’egemonia della nazione italiana su altre nazioni. Le due idee
di democrazia e nazione si sganciano l’una dall’altra, si separano e si allontanano al punto che la seconda sottomette a se la prima e di fatto la cancella.

GLI INTELLETTUALI
Le posizioni antidemocratiche nazionaliste di Corradini trovarono ampio consenso fra gli intellettuali. Molti di essi avevano adottato una versione semplificata e banalizzata del
concetto di superuomo, la società moderna non lasciava più spazio all’individuo forte e geniale, sempre più schiacciato dalle masse. Gabriele D’Annunzio aprì la strada a questo
tipo di rivolta dell’individuo. Sul piano letterario tuttavia i suoi testi erano apparsi alle nuove generazioni troppo solenni arcaici, ovvero sfasati rispetto alla modernità, caratterizzata
dalla velocità. Poiché la guerra nella concezione morale corrente, era condannata come massimo dei mali peccati, Giovanni Papini celebra la guerra come uno strumento
liberatore. In termini simili si era già espresso Filippo Tommaso Marinetti, che aveva definito la guerra sola igiene del mondo e aveva dato vita al movimento artistico del futurismo.
Tutti questi autori esaltavano l’individuo eppure nel momento in cui il loro desiderio di trasgressione scelse la guerra come mezzo di provocazione, essi finirono per assumere
posizioni di tipo nazionalistico e dunque per esaltare un’entità collettiva.

UN NUOVO STILE POLITICO


L’azione di propaganda si intensificò sempre di più. Grazie al determinante contributo coreografico di D’Annunzio, alcuni di quei grandi raduni possono essere considerati l’atto
iniziale di un nuovo modo di gestire la leadership politica. Il leader politico non era una figura separata dal popolo e superiore alle masse, ma colui che ne incarnava e ne risvegliava
i sentimenti più intimi. Chi partecipava ai raduni era colpito spesso più dalle musiche, dai colori e dal contesto complessivo che dalle parole dell’oratore. La più imponente di queste
manifestazioni si ebbe a Genova. Uomini della tradizione come Salandra e Vittorio Emanuele III avrebbero voluto le masse obbedienti silenziose e passive. D’Annunzio invece intuì
che la piazza è la festa pubblica andavano sottratte alla tradizione rivoluzionaria, tale centralità delle piazze era un dato di fatto, una realtà effettiva e attuale.

IL PATTO DI LONDRA
Il ministro degli esteri italiano Sydney Sonnino ebbe numerosi incontri diplomatici con altri esponenti del governo imperiale di Vienna. Il 26 aprile 1915, nell’illusione di poter ottenere
di più, il governo italiano firmò il cosiddetto patto di Londra, impegnandosi entro un mese a entrare in guerra con Francia, Gran Bretagna e Russia, contro l’Austria-Ungheria.
L’accordo prevedeva che dopo la vittoria all’Italia sarebbero State assegnate le due regioni di Trento e di Trieste, l’Alto Adige, l’Istria e la Dalmazia e una parte delle colonie
tedesche in Africa. L’Italia sarebbe entrata in guerra non per compiere una nobile missione di redenzione, ma in nome di una fredda politica di potenza. La prima forzatura
riguardava il parlamento, che avrebbe dovuto ratificare con il proprio voto il patto di Londra. Alla camera la maggioranza dei deputati era schierata su posizioni simili a quelle di
Giolitti, secondo cui l’Italia poteva ottenere molto di più restando neutrale, ma Giolitti fu attaccato pubblicamente dai nazionalisti. L’orientamento neutralista della camera suscitò la
collera di molti interventisti in particolare di Mussolini.

IL MAGGIO RADIOSO
Nel maggio 1915, le principali piazze italiane furono teatro di scontri violenti fra neutralisti e interventisti; questi ultimi si presentavano come gli unici veri rappresentanti della
nazione. Resosi conto di non godere più della fiducia della camera, Salandra diede le dimissioni, ma il re, sostenitore dell’intervento gli conferì un nuovo incarico. A quel punto per i
deputati votare contro il patto di Londra avrebbe significato sconfessare l’operato del re. Il 20 maggio il parlamento ratificò la decisione del governo, provocando l’ingresso dell’Italia
in guerra il 24 maggio. L’adesione dell’Italia al conflitto non registrò assolutamente quel momento si entusiasmo collettivo che si era verificato negli altri Stati, ma una atmosfera da
guerra civile. Il re non aveva tenuto conto in alcun modo della volontà del parlamento di fatto l’aveva scavalcato.

IL GENERALE CADORNA
L’esercito italiano era guidato dal generale Luigi Cadorna, si trattava di un uomo dal carattere difficile, ostinato, ma molto sicuro di sé. Pertanto fino a quando fu in carica rivendicò
sempre la più totale autonomia del potere militare dal potere civile, cioè del governo; Cadorna si sentiva subordinato solo e direttamente al re. Al centro della sua impostazione,
stava il principio della spallata, in gergo più tecnico ciò significava che l’offensiva andava mantenuta ad ogni costo; l’esercito nemico doveva essere tenuto sempre sotto pressione
da una serie di attacchi massicci e potenti e infine avrebbe provocato lo sfondamento del fronte. Un anno di guerra in Belgio e Francia, però aveva già dimostrato che questa
impostazione era anacronistica, nella misura in cui opponeva i soldati non ad altri uomini, più o meno coraggiosi di loro, ma all’acciaio e alle macchine: in una parola le armi
moderne. Qualche probabilità maggiore di successo la strategia offensiva del comandante italiano avrebbe potuto tenerla se l’esercito fosse stato già pronto e il 24 maggio, di
sorpresa, avesse immediatamente assalito di impeto il confine austriaco; Cadorna, al contrario si mosse con estrema lentezza, cosicché la raccolta dell’uomini dei reparti di fanteria
fu completata solo il 16 giugno.

LA GUERRA ALPINA
Il fronte italiano, durante la prima guerra mondiale, era lungo circa 700 km e le operazioni militari si svolsero contemporaneamente in due settori molto diversi tra loro: il Trentino e il
Carso. In Trentino il conflitto assunse caratteri del tutto particolari e si trattò soprattutto di una guerra di montagna. Nel maggio 1916 gli austriaci lanciarono la cosiddetta spedizione
punitiva: dopo un intenso bombardamento, l’esercito austroungarico attaccò in forza il Trentino e riuscì ad avanzare per circa una ventina di chilometri, la grande offensiva austriaca
ebbe un’importante risvolto politico: Salandra fu costretto dimettersi e fu sostituito dall’anziano Paolo Boselli. Nel settore Trentino del fronte, molti dei reparti impegnati erano truppe
del corpo degli alpini, ufficialmente costituito nel 1872. Si trattava di soldati reclutati su base regionale, si creò una straordinaria coesione di gruppo, che permise loro di affrontare
con fermezza e coraggio anche le situazioni disperate.
LA BATTAGLIA DELL’ISONZO
La regione dell’altopiano del Carso, fu invece teatro di un conflitto modernissimo. La storiografia
Militare é solita individuare in questo settore friulano ben 12 battaglie dell’Isonzo. Nell’agosto 1916 al termine della sesta battaglia dell’Isonzo, l’esercito italiano riuscì a conquistare
Gorizia. Le perdite provocate da questa operazione furono pesantissime, la rabbia dei fanti traspare nelle canzoni che più o meno clandestinamente circolavano nelle trincee.

L’ITALIA NELLA GUERRA GLOBALE


Il 24 maggio 1915, l’Italia era entrata in conflitto solo contro l’Austria-Ungheria; nell’agosto del medesimo anno, fu dichiarata guerra ad alcuni alleati minori dell’impero asburgico,
come la Turchia e la Bulgaria. Il governo italiano venne tacciato di egoismo e di opportunismo. Lo si accusava di condurre una guerra privata, per ottenere vantaggi specifici, era
Salandra l’architetto di questo disegno accusato di doppiogioco dagli alleati. La caduta di Salandra nell’estate 1916 modificò il quadro politico italiano, l’Italia dichiarò finalmente
guerra all’impero germanico. Cadorna intanto proseguiva le tue spallate contro le posizioni trincerate austriache, nel frattempo, il collasso dell’esercito russo permise la
concentrazione di tutte le armate austroungariche sul fronte italiano.

L’OFFENSIVA AUSTRO-TEDESCA

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In un primo tempo, i tedeschi si limitarono ad aggregare sette loro divisioni scelte all’esercito asburgico, poi decisero di assumere il diretto comando delle operazioni. Il piano
tedesco prevedeva una massiccia offensiva dell’area di Caporetto, un villaggio situato a nord di Gorizia applicando la tattica che si stava già collaudando in Francia, l’assalto
sarebbe stato condotto non da una grande massa di truppe concentrate in un unico settore, ma da vari reparti di medie dimensioni, il cui compito era quello di infilarsi in profondità
entro le file del nemico, per poi colpirne la prima linea alle spalle, dopo averla girata e circondata. L’esercito italiano pertanto all’alba del 24 ottobre 1917 fu colto completamente alla
sprovvista. Il generale Badoglio, responsabile dell’artiglieria italiana, non seppe opporre un valido e tempestivo sbarramento. L’intero comando rimase per qualche giorno indeciso
sul da farsi, emanando ordini contraddittori e confusi, così tedeschi ottennero un successo superiore ogni loro ottimistica aspettativa. L’esercito italiano fu costretto a ritirarsi
disordinatamente e trovò rifugio solo lungo la linea del fiume Piave.

ENTITÀ E CAUSE DELLA DISFATTA


Circa un milione di persone si trovava sotto un regime di occupazione straniera, la dominazione militare austriaca fu estremamente dura, i territori italiani invasi vennero sottoposti
da prima a razzie disorganizzate e poi ad un sistematico processo di spoliazione. Cadorna, nel bollettino da guerra cercò di scaricare le responsabilità del disastro sulle truppe: Il
comandante presentava la disfatta come la conseguenza fatale di una specie di sciopero militare, in effetti moltissimi soldati avevano gettato le armi, tuttavia i casi di rivolta aperta
contro gli ufficiali durante la lotta di Caporetto furono pochissimi. In realtà il vero responsabile del crollo delle truppe fu soprattutto la sistematica e spietata strategia cadorniana delle
spallate.

IL DIBATTITO POLITICO DOPO CAPORETTO


A novembre 1917 Cadorna venne esonerato; il comando supremo dell’esercito italiano fu assegnato al generale Armando Diaz. A livello politico la disfatta di Caporetto provocò un
vero terremoto. La maggioranza del partito socialista si rifiutò di uscire dal proprio isolamento, cioè non abbandonò l’atteggiamento di diffidenza di freddezza che si esprimeva nella
formula né aderire né sabotare. Sull’altro fronte gli interventisti ebbero una serie di atteggiamenti che subito dopo la fine della guerra saranno fatti propri dal movimento fascista.
Tutti, compresi gli interventisti democratici, guardarono al parlamento con diffidenza e timore. La maggior parte degli interventisti finì per schierarsi su posizioni molto simili a quelle
dei nazionalisti.

L’ULTIMO ANNO DI GUERRA


Il nuovo governo Orlando si preoccupò di individuare le principali necessità economiche del paese, si erano infatti verificati dei gravi tumulti a Torino. Era evidente che l’Italia per
continuare la guerra, doveva rafforzare il proprio fronte interno, cioè evitare che il mal contento diffuso tra le masse, per l’aumento del costo della vita e per la carenza di generi
alimentari, toccasse il punto di non ritorno. Orlando ottenne dagli alleati regolari rifornimenti. La produzione di acciaio e ghisa aumentò, le industrie torinesi Fiat riuscirono da sole a
consegnare ben 25.000 auto mezzi. Il generale Diaz assunse un atteggiamento tattico puramente difensivo e nell’autunno del 1918, poiché la Germania e l’Austria-Ungheria erano
in condizioni disperate, Diaz ordinò l’attacco il 26 ottobre: nella regione di Vittorio Veneto le truppe austro-ungariche non riuscirono a resistere e si disgregarono. Il 3 novembre,
l’Austria-Ungheria firmava la resa che prevedeva per il giorno seguente la cessazione delle ostilità. L’Italia usciva vincitrice dalla guerraLa conferenza di pace e la Società delle
NazioniNel 1919 i rappresentanti delle potenze vincitrici si riunirono a Parigi. Solo tre però avevano un’effettiva autorità: il presidente americano Woodrow Wilson, il presidente del
Consiglio francese Georges Clemenceu e il primo ministro inglese David Lloyd George. L’Italia si trovò emarginata a causa dei dissidi sorti soprattutto con Wilson in merito alle
rivendicazioni territoriali sulla Dalmazia. Wilson aveva fissato in Quattordici punti i principi fondamentali, tra cui l’autodeterminazione dei popoli e quello secondo il quale i confini
devono comprendere coloro che parlano la stessa lingua e hanno la stessa nazionalità. Successivamente venne creata la Società delle Nazioni, con sede a Ginevra, preposta a
regolare pacificamente le controversie tra gli stati eliminando l’ingiustizia, la violenza e ogni forma di attrito tra i popoli. Essa non riuscì però a funzionare efficacemente e finì nelle
mani della Francia e dell’Inghilterra, facilitate soprattutto dalla mancata adesione degli Stati Uniti. Non disponeva però di alcun mezzo concreto d’intervento, se non quello di porre
al bando applicando sanzioni economiche.

I trattati di pace
Dalla conferenza di pace scaturirono cinque trattati, il più importante fu il trattato di Versailles con la Germania, vista come un umiliazione: perdite territoriali (Renania smilitarizzata
e perdita di Alsazia e Lorena), riduzione dell’esercito e della flotta e sanzioni economiche, cioè risarcimento a tutte le nazioni vincitrici e al Belgio, oltre alla cessione ai vincitori di
miniere. Tali clausole consentono il risorgere dello spirito di rivincita tedesco a causa del rifiuto di discutere con i vinti, impossibile alcuna ripresa economica dei paesi sconfitti, la
sistemazione territoriale non sempre rispettosa delle varie nazionalità e l’aggravamento delle differenze già esistenti fra nazioni ricche e povere. La Germania dovette cedere
porzioni del suo territorio alla Polonia consentendo la nascita del corridoio di Danzica che dava alla Polonia uno sbocco sul mar Baltico. Le questioni riguardanti l’Italia furono
regolate tramite il trattato di Saint-Germain con cui l’Austria era costretta a cedere il Trentino, l’Alto Adige, l’Istria e l’alto bacino dell’Isonzo fino allo spartiacque alpino. L’Italia non
ottenne la Dalmazia e Fiume, portando a parlare di vittoria mutilata alimentando così un sentimento nazionalista. Sempre con il trattato di Saint-Germain nacquero l’Austria,
l’Ungheria, la Cecoslovacchia e il regno di Iugoslavia, la Finlandia, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania; fu riconosciuta inoltre l’indipendenza dell’Albania. Col trattato di Neuilly era
riconosciuta l’indipendenza della Bulgaria. Con il trattato di Sèvres la Turchia si trovò ridotta a uno stato di modeste dimensioni e privata di tutti i territori arabi e della sovranità sugli
stretti; venne proclamata la repubblica turca. La Francia ottenne il mandato su Siria e Libano, l’Inghilterra su Iraq, Transgiordania e Palestina. Ciò suscitò il risentimento delle
popolazioni arabe che osteggiavano il progetto di costruire in Palestina una sede nazionale ebraica. La spinta all’indipendenza dei popoli arabi aveva portato alla creazione del
regno dell’Arabia Saudita.
In Europa scoppiò un’epidemia influenzale, la spagnola, che provocò in poco tempo milioni di morti. Il disegno dei nuovi confini sollevò il problema dei profughi e creò nuove
minoranze etniche.

La spartizione dell'Impero ottomano (30 ottobre 1918 - 1º novembre 1922) fu un evento geopolitico che si verificò dopo la prima guerra mondiale e l'occupazione di Costantinopoli
da parte delle truppe britanniche, francesi e italiane nel novembre 1918. La suddivisione fu pianificata in diversi accordi presi dalle potenze alleate all'inizio della prima guerra
mondiale,[1] in particolare l'accordo Sykes-Picot, dopo che l'Impero ottomano si era unito all'Alleanza ottomano-tedesca.[2] L'enorme conglomerato di territori e popoli che un tempo
comprendeva l'Impero ottomano fu diviso in diversi nuovi stati.[3] L'Impero ottomano era stato il principale stato islamico in termini geopolitici, culturali e ideologici. La divisione
dell'Impero ottomano dopo la guerra portò alla dominazione del Medio Oriente da parte di potenze occidentali come Gran Bretagna e Francia, e vide la creazione del mondo
arabo moderno e della Repubblica di Turchia. La resistenza all'influenza di queste potenze proveniva dal Movimento Nazionale Turco ma non si diffuse negli altri stati post-ottomani
fino al periodo di rapida decolonizzazione dopo la seconda guerra mondiale.
Si ritiene che la creazione a volte violenta di protettorati in Iraq e Palestina, e la divisione proposta della Siria lungo linee comuni, rientrasse in una parte della più ampia strategia di
assicurare la tensione in Medio Oriente, rendendo così necessario il ruolo delle potenze coloniali occidentali (a quel tempo Gran Bretagna, Francia e Italia) come mediatori della
pace e fornitori di armi.[4] I think tank americani si riferiscono a questa strategia come "Syriana" o Pax Syriana. [5] Il mandato della Società delle Nazioni concesse il mandato francese
della Siria e del Libano, il mandato britannico della Mesopotamia (poi Iraq) e il mandato britannico della Palestina, successivamente diviso in mandato di Palestina ed Emirato di
Transgiordania (1921-1946). I possedimenti dell'Impero ottomano nella penisola arabica divennero il Regno di Hejaz, che il Sultanato di Nejd (oggi Arabia Saudita) fu autorizzato ad
annettere, e il Regno Mutawakkilita dello Yemen. I possedimenti dell'Impero sulle rive occidentali del Golfo Persico furono variamente annessi dall'Arabia Saudita (al-Ahsa e Qatif),
o rimasero protettorati britannici (Kuwait, Bahrain e Qatar) e divennero gli Stati arabi del Golfo Persico.[6]
Dopo il crollo completo del governo ottomano, i suoi rappresentanti firmarono il Trattato di Sèvres nel 1920, che avrebbe diviso gran parte del territorio dell'attuale Turchia tra
Francia, Regno Unito, Grecia e Italia. La guerra d'indipendenza turca costrinse le potenze dell'Europa occidentale a tornare al tavolo dei negoziati prima che il trattato potesse
essere ratificato. Gli europei occidentali e la Grande Assemblea Nazionale della Turchia firmarono e ratificarono il nuovo Trattato di Losanna nel 1923, sostituendo il Trattato di
Sèvres e concordando la maggior parte delle questioni territoriali. Una questione irrisolta, la disputa tra il Regno dell'Iraq e la Repubblica di Turchia sull'ex provincia di Mosul, fu
successivamente negoziata sotto l'egida della Società delle Nazioni nel 1926. I britannici e i francesi divisero la Grande Siria tra di loro nell'accordo Sykes-Picot. Altri accordi segreti
furono conclusi con l'Italia e la Russia.[7] La Dichiarazione Balfour incoraggiò il movimento sionista internazionale a spingere per una patria ebraica in Palestina. Mentre faceva parte
della Triplice Intesa, la Russia aveva anche accordi in tempo di guerra che le impedivano di partecipare alla divisione dell'Impero ottomano dopo la rivoluzione russa. Il Trattato di
Sèvres riconobbe formalmente i nuovi mandati della Società delle Nazioni nella regione, l'indipendenza dello Yemen e la sovranità britannica su Cipro.
 
 
 

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L’ARRETRATEZZA DELLA RUSSIA
Nel 1914, l’impero zarista entrò in conflitto con l’Austria-Ungheria e la Germania, per sostenere la Serbia, nazione slava sorella della Russia. La sua forza era più apparente che
reale, i primi problemi emersero nel giro di poco tempo, l’armata russa mostrò subito di essere inferiore a quella tedesca nella quantità e qualità dei cannoni, mentre le munizioni per
tutte le armi erano drammaticamente insufficienti. Dal 1894, il potere era nelle mani di Nicola II Romanov, Che al momento della sua solenne incoronazione aveva giurato di
conservare integra e intatta la lunga tradizione di autocrazia, si trattava di una concezione del potere medievale, di una forma estrema di assolutismo, poiché l’imperatore riteneva
di aver ricevuto direttamente il proprio potere da Dio. Se teniamo presente che, in Francia in Inghilterra, concezioni di questo genere erano state respinte già a fine del seicento, si
può affermare che, in ambito politico, l’impero russo era indietro di secoli rispetto all’Europa occidentale. Nicola non faceva mistero del suo rifiuto della modernità e non amava San
Pietroburgo, aveva cercato di introdurre numerosi elementi architettonici che richiamassero Mosca. Nel 1905, dopo la guerra con il Giappone e dopo una rivoluzione che il potere
centrale era infine riuscito a domare, era stata istituita una camera dei deputati dotata di poteri di controllo sull’operato del sovrano e sulla politica del governo. Denominato duma,
tale organismo parlamentare veniva però di fatto sistematicamente scavalcato dall’imperatore. Anche sotto il profilo economico tra la Russia resto dell’Europa esisteva un vero e
proprio abisso, anche l’agricoltura era molto arretrata e l’industria era concentrata in poche zone.

LA CRISI DEL SISTEMA


La guerra di logoramento mise rapidamente alle corde la fragile e arretrata struttura economica russa. Nelle città il costo della vita era cresciuto del 700%, a Pietrogrado, dove la
situazione era particolarmente grave, il 23 febbraio 1917 si ebbero le prime manifestazioni, col pretesto di celebrare la festa della donna. L’iniziativa della protesta partì dalle
operaie degli stabilimenti tessili, immediatamente i dirigenti di questa azienda minacciarono la serrata cioè la chiusura della fabbrica e licenziamento per tutti coloro che non
avessero ripreso immediatamente lavoro. Il risultato, però, fu solo un allargamento ulteriore della protesta: il 24 e 25 febbraio, per solidarietà tutta la città fu bloccata da un
gigantesco sciopero generale. Il primo giorno del nuovo mese mentre a Pietrogrado nasceva un governo provvisorio, il comandante capo dell’esercito ordinò di fermare qualsiasi
progetto di spedizione militare contro la capitale e suggerì allo Zar di abdicare. Il 2 marzo Nicola accettò di abdicare e la Russia divenne una repubblica.
I SOVIET
Il governo provvisorio era stato espresso dalla duma. In quella sede il gruppo politico prevalente era quello dei liberali moderati, fuori dalla duma, fra gli operai e fra i soldati, erano
subito sorti degli organi di autogoverno detti soviet. Si trattava di un’istituzione nata, per la prima volta, durante la rivoluzione del 1905, scoppiata a seguito della clamorosa sconfitta
subita dall’impero russo nella guerra con il Giappone. Per ogni fabbrica e ogni reggimento, veniva eletto un certo numero di delegati; essi poi, a loro volta, concorrevano a formare il
soviet cittadino. La forza del soviet derivava dall’appoggio dei soldati i quali riconoscevano il soviet di Pietrogrado come unica autorità, impegnandosi ad obbedire agli ordini di
qualsiasi altro soggetto solo nella misura in cui non fossero in conflitto con quelli del consiglio Operaio rivoluzionario. Con la rivoluzione di febbraio, la Russia pose termine al
medioevo. Il potere assoluto del sovrano era stato spazzato via e la Repubblica, dopo secoli di autocrazia, per diritto divino, l’aveva sostituito. Il problema che si pose ai protagonisti
divenne ben presto quello dell’indirizzo da dare al nuovo Stato e, più in generale del processo rivoluzionario appena innescato. Si trattava di decidere se la rivoluzione fosse da
considerare già conclusa oppure se fosse solo il suo inizio. In Russia la risposta a tale decisivo quesito si intrecciava con il fatto che, nella primavera del 1917, esisteva ciò che
Correntemente viene indicato come dualismo dei poteri: all’ufficiale autorità del governo provvisorio si contrapponeva quella non meno reale dei soviet.

MENSCEVICHI E BOLSCEVICHI
Il partito socialdemocratico russo, di ispirazione marxista, era diviso in due correnti. A fronte di una tendenza risultata in un primo tempo minoritaria e per questo chiamata
menscevica, stava l’agguerrita corrente dei cosiddetti bolscevichi. Mentre i primi incarnavano il marxismo Ortodosso e quindi prevedevano tempi molto più lunghi per la rivoluzione
proletaria, i bolscevichi erano più radicali e meno disponibili a soluzioni rivoluzionarie più decise. I menscevichi propendevano per un partito ampiamente ramificato, di massa,
mentre i bolscevichi erano favorevoli a un partito elitario.

LENIN E LE TESI DI APRILE


A capo della corrente bolscevica stava Lenin. Al momento dello scoppio della rivoluzione di febbraio, Lenin si trovava in esilio a Zurigo, prese contatto con le autorità militari
tedesche e chiese di poter far ritorno in Russia, i tedeschi compresero subito che la presenza Russia di un prestigioso leader rivoluzionario avrebbe accresciuto il disordine e quindi
limitato l’efficienza bellica della neonata Repubblica. Lenin arrivo a Pietrogrado il 3 aprile, il giorno seguente, scandalizzò tutti i marxisti russi e proclamò la sua intenzione di forzare
i tempi, in modo che la rivoluzione passasse più rapidamente possibile dalla fase borghese a quella proletaria. Le sue direttive politiche vennero condensate nelle cosiddette tesi di
aprile, un breve documento articolato in 10 punti. Innanzitutto, insisteva sul fatto che occorreva aggiungere il più fretta possibile una Pace separata della Russia con la Germania, il
governo però insisteva sul fatto che la sconfitta militare avrebbe travolto tutte le conquiste della rivoluzione. A questa tesi del difensivismo rivoluzionario, Lenin opponeva
un’interpretazione tutta negativa del ruolo storico del conflitto, all’inizio del 1917 Lenin aveva pubblicato l’imperialismo, fase suprema del capitalismo. Dopo la nascita dei grandi
monopoli i profitti erano diventati talmente elevati che, secondo Lenin non era più possibile reinvestirli entro i confini nazionali. La guerra mondiale per Lenin era la conclusione
Dell’imperialismo. Una volta compiuta la ripartizione dell’intera terra tra le grandi potenze capitalistiche, ciascuno Stato industrializzato cercava di strappare con la forza ai rivali
nuove regioni. Tramite questo concetto di imperialismo, inteso come fase suprema del capitalismo, Lenin poteva giustificare la propria convinzione che le condizioni per la
realizzazione del socialismo si fossero ormai verificate. Alla linea dei menscevichi che in nome del marxismo ortodosso proponevano sostegno al governo in modo che la fase
borghese della storia russa potesse consolidarsi, Lenin opponeva, in sostanza, due parole d’ordine: pace immediata e tutto il potere ai soviet.
LA RIVOLUZIONE CONTADINA
Nel giugno 1917, il governo provvisorio decise di lanciare una grande offensiva contro gli austriaci e tedeschi. All’interno del consiglio dei ministri, stava acquistando un’importanza
sempre maggiore la figura del socialista moderato Kerenskji. Nelle sue intenzioni l’estremo sforzo dell’offensiva estiva avrebbe dovuto suscitare una grande ondata di patriottismo
e, quindi, permettere alla Russia di conquistare forza, ordine stabilità, in nome della democrazia. L’esercito russo poté schierare in campo più cannoni del nemico, tuttavia negli
stessi giorni in cui l’offensiva stava iniziando, il soviet di Pietrogrado votò una risoluzione che aboliva la pena di morte per i disertori e per i soldati che si rifiutassero di andare
all’assalto. Dopo alcuni successi iniziali, l’avanzata si trasformò in una disfatta, che provocò quasi 400.000 caduti. Tra marzo e ottobre, i disertori che lasciarmi loro reparti furono
almeno 1 milione. Il fenomeno della diserzione di massa inizia a manifestarsi in maggio, allorché la rivoluzione raggiunse le campagne. I contadini cominciarono ad assalire le
residenze padronali, obbligando i signori a cedere le loro tenute. Quando la notizia arrivò al fronte e circolò tra i contadini-soldati, i disertori divennero una marea umana e diedero
vita a una specie di migrazione di massa verso est. Un altro problema si aggiunse a complicare il quadro politico, il
10 giugno, un’assemblea parlamentare istituita a Kiev acclamò una dichiarazione di libertà per l’Ucraina. I ministri liberali si ritirarono dall’esecutivo, obbligando il principe a dare le
dimissioni.

IL GOVERNO DI KERENSKJI
La crisi di governo accese nei bolscevichi il desiderio di insurrezione. Il 3 e il 4 luglio, migliaia di operai di Pietrogrado, invasero le strade della capitale e assediarono le sedi del
soviet e del governo provvisorio. Il 7 luglio Kerenskji assunse l’incarico di costituire il nuovo governo, creò una specie di culto della propria figura e, per rafforzare il prestigio del
governo trasferì il proprio ufficio nel palazzo d’inverno, già residenza della famiglia imperiale. Il tentativo insurrezionale del tre-4 luglio, l’ interrotta fiumana di disertori, molti dei quali
davano vita a un esercito parallelo, spinsero i liberali moderati a chiedere al governo misure drastiche, capace di riportare l’ordine nel paese. Il generale Kornilov propose a
Kerenskji una politica dittatoriale, ma quest’ultimo decise di destituire Kornilov, che non si destituì. Il soviet di Pietro grado mobilitò i soldati della città e gli operai, per far fronte a
quella che considera una grave minaccia controrivoluzionaria. Per fronteggiare il nuovo pericolo, si è deciso di accettare anche il sostegno dei bolscevichi. Essi furono muniti di
armi, si può dire che il partito di Lenin fosse dotato di un vero esercito parallelo. Kornilov fu arrestato senza spargimento di sangue e internato in un monastero. I bolscevichi
poterono presentarsi come i veri difensori della rivoluzione. Il numero degli iscritti al partito di Lenin registrò un brusco incremento.

STATO E RIVOLUZIONE
Le condizioni per l’insurrezione bolscevica stavano rapidamente maturando. Intanto, Lenin cercò di precisare la propria linea teorica in “Stato e rivoluzione”. Nella sua
argomentazione, il leader bolscevico prese le mosse della dottrina dello Stato proposta da Marx e Engels. Secondo gli autori del manifesto del partito comunista, se si vuole
davvero instaurare il socialismo, il proletariato deve prima di tutto conquistare lo Stato. La prima tappa della rivoluzione è per Lenin proprio quella relativa all’acquisizione del potere
statale; solo in virtù di esso sarà possibile al proletariato respingere gli assalti della borghesia. Per indicare tale Stato proletario, Marx e Engels avevano cognato l’espressione
dittatura del proletariato.

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L’ESTINZIONE DELLO STATO
Lo Stato proletario, per Lenin, dovrà inevitabilmente fare uso della violenza. Lenin, ripreso da Marx e da Engels anche un altro concetto quanto mai importante; egli era convinto,
come i due padri fondatori, che una volta raggiunto davvero il socialismo lo Stato si sarebbe estinto. Secondo Lenin, nella società socialista gli individui non si comporteranno più in
modo malvagio, né agiranno in modo moralmente giusto solo per timore delle punizioni previste per chi viola la legge. Il comandamento morale, per così dire verrà interiorizzato da
ogni essere umano, Lenin non fa che rilanciare una tesi tipica della concezione del mondo tardo-illuministica già presenti in Rousseau e
Roberspierre. Lenin ragiona ancora come un illuminista del settecento, convinto com’è che l’instaurazione del socialismo non solo porti la libertà e giustizia, persino integrerà la
natura umana in tutta la sua perfezione. In un certo senso, si può dire che il comunismo prometteva una sorta di ritorno all’umanità dell’eden perduto e si presentava con caratteri
messianici. Va notato che il comunismo non si limitava a promettere per il futuro, bensì esortava ad agire nell’immediato, in modo da calare il più presto possibile nella realtà quella
grande visione. (Fascino del comunismo)

LA CONQUISTA DEL POTERE


Lenin riuscì a imporre la propria linea di azione favorevole all’insurrezione armata in tempi brevi. La notte tra il 24 25 ottobre 1917, reparti armati bolscevichi penetrarono all’interno
del palazzo d’inverno e arrestarono numerosi ministri. Quando la notizia dell’insurrezione arriva al congresso panrusso dei soviet, l’azione dei bolscevichi fu criticata dai
menscevichi e dai socialisti rivoluzionari, per protesta tutti questi socialisti moderati abbandonarono la sala della riunione del congresso, il congresso così passò interamente in
mano ai bolscevichi, che una volta assunto il potere, approvarono i primi decreti rivoluzionari predisposti da Lenin. Innanzitutto fu lanciato un vibrante appello ai popoli e ai governi
di tutte le nazioni belligeranti, affinché ponessero immediatamente fine alle ostilità e iniziassero trattative per una pace giusta e democratica. Nei mesi seguenti, provvedimenti di
tipo analogo furono emanati per ogni altro settore dell’economia; le banche ad esempio vennero nazionalizzate mentre fu decretato il controllo operaio su tutte le imprese
commerciali e industriali che possedessero almeno cinque dipendenti o avessero un giro da fare minimo di 10.000 rubli all’anno. Si proponeva L’eliminazione della proprietà privata,
considerato il maggior ostacolo alla realizzazione di una comunità umana pienamente armonica e priva di ingiustizie. Sotto questo profilo il contrasto con la tradizione liberale, non
potrebbe essere più stridente e completo.

LA DITTATURA DEL PARTITO BOLSCEVICO


Il 26 ottobre il congresso Panrusso dei soviet, egemonizzato dai bolscevichi emanò un altro provvedimento importante, designando a guida dello stato un consiglio dei commissari
del popolo. Presieduto da Lenin, il compito principale del nuovo organo rivoluzionario era infatti quello di instaurare la dittatura del proletariato. Il governo provvisorio aveva
organizzato per il giorno 12 novembre le elezioni, in modo da istituire l’assemblea costituente incaricata di dare alla Russia un nuovo regime politico liberale-democratico. I
bolscevichi appena giunti al potere non si sentirono ancora sufficientemente forti per impedire le votazioni; ma queste ultime per loro, si rivelarono crea moroso insuccesso. Lenin
decise di lasciar riunire l’assemblea, ma dopo la prima seduta inaugurale la fece disperdere, con la giustificazione che il proletariato, nel momento del voto non aveva deciso
liberamente, bensì ancora mentalmente condizionato dall’ideologia che la classe dominante gli aveva trasmesso per tenerlo soggiogato. Il 24 novembre era stata istituita la
commissione straordinaria per la lotta contro la controrivoluzione e il sabotaggio denominata ceka, incaricata di schiacciare tutti nemici del proletariato e della sua vittoriosa
rivoluzione. Lenin era profondamente convinto che solo il partito bolscevico fosse perfettamente consapevole e cosciente della meta cui il proletariato doveva tendere. La dittatura
del proletariato, di fatto era la dittatura del partito che si era autoproclamato avanguardia del proletariato stesso.

L’ULTIMA OPPOSIZIONE DI SINISTRA


Nel corso de 1917, uno dei motivi per cui il partito di Lenin aveva ottenuto l’appoggio di fasce sempre crescenti del popolo russo era stato la sua promessa di giungere il più presto
possibile a una pace separata con la Germania, con il trattato di Brest Litovsk. L’intera Ucraina, ad esempio, avrebbe dovuto diventare uno stato autonomo, satellite della
Germania, oltre ad altre durissime condizioni che Lenin dovette accettare. Tra i bolscevichi, il più fiero oppositore della durissima pace proposto dei tedeschi fu bucarin. Contrari al
trattato di pace erano anche socialisti
rivoluzionari di sinistra, guida dei socialisti rivoluzionari si ricorda Spiridonova, essi tentarono a Mosca un’ insurrezione contro il nuovo governo, che però fallì. I socialisti rivoluzionari
proseguirono per qualche tempo la lotta contro il governo bolscevico, un’esponente di questo partito, una giovane donna ebrea, sparò allo stesso Lenin ferendolo in modo grave.
Per il regime bolscevico quell’ episodio segnò una svolta fondamentale, in direzione della repressione violenta di ogni forma di opposizione, subito dopo il fallito attentato infatti fu
organizzato il cosiddetto terrore rosso.

LA GUERRA CIVILE
Nel dicembre del 1917, alcuni generali dell’esercito russo decisero di ribellarsi al nuovo governo bolscevico e tentarono di dar vita a un esercito volontario. Questi militari
anticomunisti ricevettero l’appellativo di bianchi, dal momento che si opponevano ai rossi. Ben presto i bianchi furono sostenuti dai giapponesi. In Siberia i bolscevichi dovettero
affrontare un’altra minaccia, quella dei soldati della legione cecoslovacca. Questi uomini erano ex prigionieri di guerra dell’esercito austroungarico. Poiché il governo provvisorio
aveva proposto loro di combattere contro gli austriaci, in nome della comune fratellanza slava, i cecoslovacchi avevano di nuovo ricevuto armi ed erano stati trasformati in un’
efficiente reparto militare. Saliti al potere, i bolscevichi non si fidarono di queste truppe e ne chiesero l’immediato disarmo. I cecoslovacchi rifiutarono di smobilitare, sfidarono il
potere sovietico e divennero una pericolosa forza antibolscevica. Quando si avvicinarono alla città di Ekaterinburg, dove sono detenuti lo zar Nicola e la sua famiglia, il soviet
regionale degli Urali ne ordina l’esecuzione che ebbe luogo il 16 luglio 1918. Entrambi le parti utilizzano lucidamente la violenza più efferata come arma per terrorizzare il nemico, il
crescente imbarbarimento dello scontro spinse sia bianchi che i rossi a pensare alla guerra come una lotta che non avrebbe mai potuto concludersi con un compromesso, la guerra
civile russa assomiglia moltissimo alle guerre che si svolsero in Europa al tempo della rivoluzione francese, ma ancor più appare come un’anticipazione del carattere assoluto che
avrebbe assunto la seconda guerra mondiale sul fronte orientale. Il parallelo risulta ancora più pertinente non appena teniamo conto del fatto che i bianchi si macchiarono di un tipo
particolare di violenza dato che molti reparti bianchi massacrarono intere comunità ebraiche. A fondamento del loro feroce antisemitismo i bianchi posero i cosiddetti protocolli dei
Savi anziani di Sion, si trattava di un falso nel quale si descriveva il grandioso piano per la conquista del potere mondiale che gli ebrei avrebbero messo a punto in alcune riunioni
segrete, di cui protocolli pretendevano di essere i verbali ufficiali. Di fatto in quel testo si presentavano tutte le correnti di opposizione allo zarismo come sovvenzionate e controllate
dagli ebrei. Ripreso e amplificato dai generali delle truppe bianche, il mito della cospirazione mondiale ebraica si diffuse in tutta l’Europa, addirittura sul quotidiano londinese Times,
che una volta scoperta la falsità dei documenti si affrettò a comunicarlo.

IL COMUNISMO IN GUERRA
Alla fine del 1917, la situazione economica della Russia era drammatica. Le città cominciarono a soffrire tragicamente freddo e la fame, per carenza di grano, legna e carbone.
All’inizio del 1918 Lenin ordinò di procurare cereali e generi alimentari con ogni mezzo possibile. In tal modo è iniziato il cosiddetto comunismo di guerra: una politica finalizzata a
ottenere dai contadini russi tutto il grano possibile. Gli abitanti dei principali centri industriali, primi fra tutti gli operai delle grandi industrie metallurgiche di Pietrogrado,
abbandonavano i luoghi di lavoro e se ne andavano nelle campagne alla ricerca di cibo. Il 9 maggio 1918 Lenin annunciò che coloro che Possedevano grano e non lo
consegnavano le stazioni ferroviarie e agli ammassi destinati all’uopo sarebbero stati dichiarati nemici del popolo, era una vera e propria dichiarazione di guerra contro i contadini
che venivano chiamati Kulaki cioè sfruttatori. Alla metà di marzo 1918 Trockji divenne commissario della guerra. Subito si rese conto che, se il governo bolscevico voleva vincere la
guerra civile, doveva dotarsi di un efficiente apparato militare. Denominato armata Rossa, il nuovo esercito che venne creato aveva però un disperato bisogno di professionisti
esperti, questi specialisti militari ritenuti indispensabili per la difesa non sempre erano ritenuti politicamente affidabili, pertanto al fianco di ognuno di loro venne posto un
commissario politico comunista. Nel 1920 i rossi avevano vinto la guerra. Il paese però era in condizioni catastrofiche, ciò provocò ben presto una nuova ondata di rivolte contadine,
La rivolta più impegnativa si verificò nel distretto di Tambov.

L’INTERNAZIONALE COMUNISTA
Molti dirigenti bolscevichi erano convinti che la rivoluzione si sarebbe salvata solo se, nei vari paesi d’europa gli operai fossero insorti a difesa del primo stato proletario della storia.
Tuttavia il movimento socialista in Europa aveva accolto la notizia della rivoluzione d’ottobre con sentimenti contrastanti. La critica più esplicita mossa all’operato dei bolscevichi
venne dal dirigente socialista austriaco Kautsky, che nel 1918 scrisse “la dittatura del proletariato” in aperta polemica con Lenin e le sue posizioni. A suo giudizio la scelta del leader
russo di procedere comunque alla conquista del potere avrebbe comportato non solo la guerra civile, ma la distruzione di ogni libertà, questo significava ricadere nell’anarchismo,
abbandonando il marxismo e la sua analisi scientifica delle condizioni oggettive. Lenin si scagliò contro Kautsky chiamandolo rinnegato e traditore. In opposizione al movimento

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socialista europeo venne creata la terza internazionale, denominato Comitern. Lenin pose ai vari partiti socialisti una serie di 21 precise e rigide condizioni da accettare o respingere
senza possibilità di contrattare per far parte del comitern. In questo contesto i termini socialismo, comunismo e socialdemocrazia vennero divisi. Comunismo= movimento che
aveva come metà la rivoluzione e la riteneva realizzabile in brevi tempi. Socialismo= movimento che continua a presentare la rivoluzione come propria metà, tuttavia esso riteneva
che il rovesciamento del capitalismo non fosse possibile in tempi brevi. Socialdemocrazia= nome assunto da quella corrente del movimento operaio che aveva definitivamente
rinunciato alla prospettiva di una rivoluzione, essa riteneva che i lavoratori dovessero concentrare tutte le proprie energie nello sforzo di riformare gli aspetti più gravi e disumani del
sistema capitalistico.

LA RIVOLTA DI KRONSTADT
Mentre era in corso il secondo decisivo congresso del comitern, la Polonia aveva invaso le regioni occidentali del neonato Stato sovietico, pensando di poter approfittare della sua
debolezza e dei suoi problemi interni. A giugno, l’armata Rossa riuscì a contrattaccare, giungendo fino alle porte di Varsavia. Gli operai polacchi risultarono sensibili al richiamo del
sentimento nazionale, con il risultato che i russi furono costretti a compiere una precipitosa ritirata e ad arretrare il proprio confine con la Polonia. La grave sconfitta subita nella
guerra contro la Polonia convinse definitivamente Lenin della possibilità di scatenare una generale insurrezione europea che appoggiasse l’esperimento bolscevico e della
necessità di dedicare piuttosto tutte le energie a rafforzare dall’interno il nuovo regime. I marinai della base navale Kronstadt si erano schierati compatti per Lenin, molti di loro però
avevano ricevuto notizie delle loro famiglie contadine costrette a subire continui maltrattamenti, così si riunirono in un’assemblea e stesero un documento molto critico nei confronti
del governo, chiedendo la liberazione di tutti prigionieri politici appartenenti a partiti socialisti, nuove elezioni e libertà di parola, di assemblea di stampa. Di fronte alla secca risposta
negativa del partito, i marinai proclamarono che era tempo di procedere a una terza rivoluzione, la quale avrebbe dovuto combattere rovesciare la commissariocrazia. Per Lenin si
trattava di una sfida inaccettabile. Il 7 marzo, il generale Tuchacevskji inizia l’attacco della fortezza di Kronstadt

LA NUOVA POLITICA ECONOMICA


Pur avendo usato il pugno di ferro contro i marinai ribelli, Lenin si rese conto della gravità della situazione, pertanto il 15 marzo 1921 al 10º congresso del partito Lenin presentò la
cosiddetta nuova politica economica denominata Nep, che pose fine alle requisizioni di grano e introdusse di nuovo nelle campagne un’economia di mercato. I contadini furono
chiamati a versare una percentuale fissa della loro produzione, il resto del raccolto però restava nelle loro mani. Per Lenin era una dura sconfitta e il leader bolscevico ne era
consapevole. La prima vittima di questo nuovo sfondo politico fu la Chiesa ortodossa, il governo approfittò della situazione per attaccare la Chiesa russa e privarla delle sue notevoli
ricchezze, fu così Che iniziarono le rivolte da parte dei fedeli che vennero placate dai soldati della ceka. Insieme alle persecuzioni contro la Chiesa, il principale segnale della linea
politica intransigente fu la durezza con cui fu repressa l’imponente insurrezione contadina di Tambov, si trattava di metodi coloniali molto simili a quelli messi in atto dagli inglesi
contro i Boeri, gli inglesi tuttavia avevano usato i lager contro dei nemici esterni lontani dalla madrepatria. Per la prima volta un governo usava i lager come strumento di
repressione interna, contro i propri cittadini. Inoltre in Russia per la prima volta il lager fu introdotto in uno Stato in cui la stampa non poteva più criticare il governo e condizionare
l’operato. Persecuzioni religiose e repressioni si fusero nel caso del monastero delle isole Savoki che divennero sede del primo lager a detenzione speciale.

MORTE DI LENIN E LOTTA PER LA SUCCESSIONE


Nel 1922, la situazione economica e politica del nuovo Stato uscita dalla tempesta della guerra mondiale si era finalmente stabilizzata. In dicembre, la nuova entità assunse
ufficialmente il nome di unione delle repubbliche socialiste sovietiche. Dopo una serie di scontri feroci causati dalla morte di Lenin tra i principali esponenti comunisti, risultò padrone
assoluto della situazione Stalin, Che per molto tempo era stato una figura di secondo piano. Lo scontro tra i vari dirigenti del partito non aveva come posta in gioco solo il potere
assoluto, ma anche la questione dello sviluppo economico del paese. Il primo avversario di Stalin fu Trockji che avrebbe voluto riprendere una strategia di respiro europeo, al
contrario di Stalin che sosteneva la linea del socialismo in un solo paese. A sostegno dei contadini si pose soprattutto Bucharin Che fu processato e condannato a morte dallo
stesso Stalin. Elemento più tipico di questi processi fu la spettacolarità, il punto culminante del dramma divenne l’autocritica dell’imputato a tratti inverosimile. Solo Trockji non
venne processato pubblicamente: fuggì all’estero.

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DELLA RUSSIA


Il nuovo padrone dell’unione sovietica adottò di fatto le idee di Trockji nel campo della politica economica. Restava il problema dell’enorme dislivello che in campo industriale
separava l’unione sovietica dai paesi capitalisti dall’Occidente. Dal 1927 si decise di passare da una linea economica che privilegiava la produzione dei beni di consumo
all’investimento di una quantità sempre crescente di capitali nell’industria pesante, i salari furono pesantemente compromessi e si potenziò in tutti modi la produttività degli impianti;
il lavoro a cottimo e il lavoro notturno furono incentivati, I sindacati vennero trasformati dall’associazione finalizzata alla tutela degli interessi dei lavoratori in organizzazioni
controllate dallo Stato. Fu varato il primo piano quinquennale che fissava gli obiettivi da raggiungere nei vari campi della produzione industriale. La pianificazione rappresenta
l’antitesi più completa del liberismo economico, il concetto di pianificazione pone il potere statale come elemento motore e propulsore. Il modello principale a cui gli economisti
sovietici si riferivano fu quello della Germania durante la prima guerra mondiale, a differenza della Germania però l’esperienza sovietica non ha alcun vero precedente nel passato
negli anni 30, il suo sviluppo di fronte ad un’economia capitalistica in piena crisi in preda della Grande depressione suscitò ammirazione stupore in tutta Europa.

LA DEPORTAZIONE DEI KULAKI


Nel giro di 10 anni, l’unione sovietica divenne una grande potenza industriale. Alla fine degli anni
20, Stalin si rese conto che il processo di industrializzazione avrebbe potuto aver luogo solo se i centri industriali fossero stati riforniti regolarmente di derrate alimentari, a basso
costo; nel medesimo tempo, lo Stato sovietico aveva necessità di esportare grandi quantità di cereali, per ottenere dall’estero capitali, macchinari e tecnologia di cui la Russia era
del tutto priva. Una scelta di questo tipo significava cancellare la Nep. Per evitare che le città soffrissero la fame a partire dei primi mesi del 1928 si fece di nuovo ricorso alle
requisizioni forzate, come al tempo del comunismo di guerra. Agendo in questo modo però si ottenne solo una drastica riduzione delle semine. I contadini non avevano alcun
interesse a produrre eccedenze che sarebbero poi state confiscate, gli agricoltori maggiormente determinati a resistere al governo erano quelli più agiati, l’offensiva Staliniana nei
loro confronti inizia con una massiccia campagna di propaganda che vagliò questi contadini-imprenditori con l’insulto di kulak. Stalin decise di procedere alla liquidazione dei Kulaki
come classe. Gli elementi ritenuti più pericolosi per il potere sovietico furono uccisi o internati, tra il 1930 il 1931 furono deportati in zone periferiche e semidesertiche circa 300.000
famiglie di Kulaki.
LA COLLETTIVIZZAZIONE DELLE CAMPAGNE
Tutti gli agricoltori furono obbligati a riunirsi in grandi aziende agricole collettive, i cosiddetti kolchoz. Le autorità potevano prelevare da quelle fattorie tutto il grano che ritenevano
necessario, la maggior parte degli agricoltori rifiutò questa rivoluzione dall’alto introdotta nelle campagne e si può senz’altro dire che nei primi anni 30 si verificò nell’unione sovietica
con secondo grande durissimo scontro tra Stato e contadini. Tutta via per esprimere la propria rabbia e la propria protesta, la maggior parte dei lavoratori costretti alla
collettivizzazione usò soprattutto l’arma della resistenza passiva precedendo all’ abbattimento degli animali. Contro coloro che si rifiutavano di entrare nelle fattorie collettive, le
autorità facevano sistematicamente ricorso alla forza e alla deportazione nei campi di concentramento. Alla fine del 1932 lo Stato sovietico introdusse un complesso sistema di
passaporti interni che rendeva difficili gli spostamenti e impossibile la soluzione del fuggiasco. Per dimostrare all’agricoltore che lo Stato non sarebbe arretrato di un passo, le
autorità ordinarono comunque di procedere nella requisizione delle quote fissate a costo di far patire la fame ai contadini. Con la legge del 7 agosto 1932 venne vietato persino di
raccogliere nei campi qualche spiga per rimediare qualcosa da mangiare. Questo insieme di comportamenti delle autorità trasformò un’ordinaria situazione di penuria alimentare in
un micidiale sterminio per fame. Nel caso della carestia del 1932 1933 non siamo di fronte una semplice catastrofe naturale, ma a un momento violento e drammatico dello scontro
in atto per il controllo delle campagne dei raccolti.

IL GRANDE TERRORE
Stalin era consapevole del fatto che i suoi metodi brutali non erano condivisi da tutti e per prevenire sul nascere qualsiasi forma di opposizione, il dittatore attuò una durissima
repressione. A volte le persone erano addirittura fucilate senza processo. La repressione colpì anche moltissimi cittadini sovietici che si consideravano comunisti fedeli a Stalin, ma
che ugualmente vennero condannati ai lavori forzati, l’ondata di terrore toccò il proprio culmine negli anni 1937 e 1938 vennero denominate con il nome esecuzioni degli anni terribili
A cui poi vanno aggiunti i morti per le esecuzioni supplementari non ratificate. Il gruppo più numeroso preso di mira fu quello degli ex Kulaki e ciò portò alla fuga di moltissimi di loro.
Stalin temeva che questi individui in fuga potessero rivoltarsi contro di lui, temeva che avrebbero costituito una specie di quinta colonna interna ostile. Per lo stesso motivo, il grande
terrore degli anni 1937 e 1938 colpì molto duramente anche tutte le minoranze nazionali.

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FASCISMO E ASCESA DI MUSSOLINI
Nel 1918, l’Italia figurava tra i vincitori della grande guerra. Eppure ben presto i frutti ottenuti da quella vittoria costata tanti sacrifici apparvero deludenti. La prima delusione fu l’esito
di un errato calcolo del governo italiano nel 1915. Infatti nel momento in cui Salandra stipulò il patto di Londra nessuno credeva che una sconfitta austriaca avrebbe provocato la
totale disgregazione dell’impero asburgico. Nel 1915 la prospettiva non era quella di una dissoluzione dell’unità multinazionale austroungarica e della sua sostituzione con una
pluralità di Stati. L’Italia sperava in un arretramento dell’Austria Ungheria, in modo che regioni dominate fino ad allora dall’impero di Vienna passassero sotto amministrazione e
controllo italiano. Per questo motivo l’Italia, nel patto di Londra, non si limitò a rivendicare Trento e Trieste, bensì anche la Dalmazia. Viceversa, il patto di Londra non menzionava
in modo esplicito il porto di fiume. La città di fiume dichiarò la sua volontà di essere italiana, tale dichiarazione pose un grave problema di strategia diplomatica alla delegazione
italiana alla conferenza di pace di Parigi. Poiché l’impero austroungarico si era dissolto, le rivendicazioni italiane sulla costa adriatica, perdevano ogni significato. La delegazione
italiana tenne un atteggiamento rigido e ambizioso, chiedendo sia fiume, sia la Dalmazia. Di fronte alla netta opposizione degli alleati, la delegazione italiana abbandonò Parigi in
segno di una protesta. In questo modo l’Italia creò danni al prestigio italiano, visto che i lavori della conferenza andarono avanti regolarmente, anzi si procedette perfino
all’assegnazione delle colonie tedesche in Africa e alla spartizione delle zone di influenza in Medioriente, senza ottenere il minimo conto dell’Italia che da tali operazioni di divisione
delle prede di guerra non ottenne praticamente nulla.
D’ANNUNZIO, FIUME E LA VITTORIA MUTILATA
Gabriele D’Annunzio lanciò una formula destinata a colpire profondamente l’immaginazione degli italiani. Secondo il poeta abruzzese quella ottenuta dall’Italia sarebbe stata una
vittoria mutilata, cioè un grande trionfo che a causa dell’egoismo e dello strapotere del governo delle nazioni vincitrici, non avrebbe comunque portato alcun profitto reale all’Italia.
D’Annunzio nel 1919 passò all’azione ponendosi alla guida di alcuni reparti dell’esercito che dopo aver disobbedito agli ordini del governo italiano, si impadronirono militarmente di
fiume. La città divenne presto il rifugio e il punto di riferimento di un’ampia gamma di personaggi che da lì a poco avrebbero formato il movimento fascista. In genere erano ex arditi,
truppe d’assalto che si erano distinte per la loro temerarietà. Per essi la guerra era stata un’esperienza appassionante, fare la guerra significava uscire dalla piatta routine
quotidiana, dalla noia del lavoro e dalla banalità della vita borghese. A tutti costoro D’Annunzio offre un’avventura supplementare in nome dell’onore dell’Italia infangato a Parigi. Si
può affermare che sia il maggio radioso sia l’esperienza fiumana, entrambi guidati da D’Annunzio svolsero per Mussolini e per il nascente movimento fascista il ruolo di laboratorio:
furono vicende politiche di tipo nuovo e moderno, grazie alle quali è possibile sperimentare tecniche e strategie capaci di movimentare grandi masse di persone per ottenere
determinati risultati voluti da un leader o da una minoranza.

crisi del dopoguerra in Italia 


Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, anche l'Italia soffrì di gravi difficoltà economiche. La disoccupazione, la riconversione industriale da militare a civile, il ritorno dei reduci
furono problemi giganteschi per il nostro paese. I ceti medi e le classi a reddito fisso furono particolarmente colpite dalla crisi economica, anche perché danneggiate più delle altre
dall'inflazione causata dalle enormi spese militari) e deluse a causa del mancato aumento degli stipendi.
 
Nel gennaio 1919, i Cattolici diedero vita al Partito Popolare Italiano, il primo vero partito di ispirazione cattolica. Fondatore e ispiratore della nuova formazione fu Don Luigi Sturzo.
Intanto il 23 marzo del 1919 Mussolini fondava i fasci di combattimento, a Milano.
Le elezioni politiche del '19 dimostrarono la voglia di novità del popolo italiano, facendo registrare:
 
il netto declino dei liberali;
la crescita del partito popolare di don Sturzo;
l'enorme forza del partito socialista.
Il Partito socialista ottenne 156 deputati in confronto ai 48 del 1913, il Partito popolare ne ebbe 100 in confronto ai 33 cattolici eletti nel 1913. I liberali persero la maggioranza.
Ottennero infatti poco più di 200 deputati rispetto agli oltre 300 eletti nel 1913.
 
Nel periodo successivo, tra il 1919 e il 1920, la classe operaia esplose con scioperi, dimostrazioni ed agitazioni a livelli impressionanti nelle fabbriche italiane, contro il taglio degli
stipendi e le serrate. Tra le cause di questa ondata di scioperi ci furono la crisi economica conseguente alla guerra appena terminata, ma ebbe un ruolo importante anche il mito
della rivoluzione russa e il sogno di fare come in Russia. Agli scioperi causati dalle difficoltà economiche e volti a ottenere migliori condizioni di lavoro e salari più alti, si aggiunsero
manifestazioni di contenuto dichiaratamente politico.
Così i due motivi, le richieste economiche e la pressione rivoluzionaria, finirono col mescolarsi e confondersi. Si diffusero parole d’ordine come le fabbriche agli operai e la terra ai
contadini. Nel mezzogiorno gruppi di braccianti tentarono di occupare le terre incolte.
 
Intanto cresceva il partito dei nazionalisti e dei reduci della guerra. La "vittoria mutilata", ovvero il sentimento di scontentezza per l’esito degli accordi di pace di Versailles (l’Italia
ottenne il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia Giulia, Trieste e l’Istria; restarono invece aperte la questione della città di Fiume e quella della Dalmazia) trovò un ottimo portavoce in
Gabriele D’Annunzio. I reduci della Prima Guerra mondiale videro che il loro ruolo non era valorizzato dallo Stato.
 
Le preoccupazioni della classe politica liberale allora dominante erano sostanzialmente due: fermare il revanscismo dei dannunziani e prevenire in ogni modo la possibilità di una
rivoluzione comunista, del tipo di quella avvenuta in Russia pochi anni prima. La seconda preoccupazione era particolarmente sentita anche dagli industriali e dai possidenti
agricoli, che detenevano gran parte delle ricchezze del paese. La cronica indecisione dei governanti italiani fece il resto.
 
L’Italia si trovò di fronte ad un bivio, e scelse la tragica strada del fascismo credendo portasse lontano, verso un futuro migliore.
 

Come iniziò il biennio


 
La storia del Biennio Rosso iniziò a Torino il 13 settembre 1919 con la pubblicazione sulla rivista Ordine Nuovo del manifesto Ai commissari di reparto delle officine Fiat Centro e
Brevetti, nel quale si ufficializzava l’esistenza e il ruolo dei Consigli di fabbrica quali nuclei di gestione autonoma delle industrie da parte degli operai. Già tre mesi prima Gramsci e
Togliatti avevano affrontato il problema, sempre sulla stessa rivista, in un articolo chiamato Democrazia operaia.
 
Torino, culla dell’industrializzazione italiana, si prefigurava così come il centro propulsore del bolscevismo, in quanto la struttura dei Consigli proposta dagli ordinovisti ricalcava,
seppur con peculiarità proprie, quella dei Soviet russi. Le proteste iniziarono nelle fabbriche di meccanica, per poi continuare nelle ferrovie, trasporti e in altre industrie, mentre i
contadini occupavano le terre. Le agitazioni si diffusero anche nelle campagne della pianura padana, innescando duri scontri fra proprietari e braccianti, con violenza da una parte e
dall’altra, soprattutto in Emilia e Romagna. Gli scioperanti, però, fecero molto più che un’occupazione, sperimentando per la prima volta forme di autogestione operaia: 500.000
scioperanti lavoravano, producendo per se stessi. Durante questo periodo, l'Unione Sindacale Italiano (USI) raggiunse quasi un milione di membri.
 
Il fenomeno si estese rapidamente ad altre fabbriche del Nord, coinvolse il movimento anarchico ma venne solo in parte appoggiato dal P.S.I., che in quel momento era diviso tra
riformisti e massimalisti. Gramsci avvertì l’incapacità dei politici socialisti di fronte a queste manifestazioni di autogoverno proletario, e cercò di dare sistemazione, teorica prima, e
pratica poi, al movimento operaio. Nulla potè, però, contro la reazione degli industriali, appoggiati dal governo e da questo aiutati con migliaia di militari in assetto di guerra.
 
Dal 28 marzo 1920 si delinearono i due blocchi, da una parte gli operai con lo sciopero ad oltranza, dall’altra i proprietari, che adottarono la serrata come reazione alle richieste
operaie. Dopo alcuni mesi di trattative sugli aumenti salariali, sempre respinti dalla Confederazione Generale dell’Industria, si ritornò all’inasprimento dei contrasti, con
l’occupazione armata delle fabbriche da parte degli operai, il 30 agosto del 1920.
 
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Guardie rosse armate all'interno di una fabbrica occupata (1920)
 
Mentre il Partito Socialista tentava la trattativa con il governo presieduto da Giolitti, gli industriali e i latifondisti, più pragmatici, cominciarono a garantire il loro appoggio economico
alle squadre dei "ras" fascisti.
 
E così agli scioperi agrari nella Pianura Padana, allo sciopero generale dei metallurgici in Piemonte e all'occupazione delle fabbriche in molte città italiane il fascismo rispose con la
violenza. Squadre fasciste intervennero per spezzare gli scioperi aggredendo i partecipanti, pestando deputati e simpatizzanti socialisti. A novembre, in occasione
dell'insediamento del nuovo sindaco di Bologna, un socialista di estrema sinistra, partirono pistolettate e bombe a mano che provocarono la morte di nove persone nella piazza,
mentre un consigliere nazionalista venne ucciso in pieno Consiglio comunale. Le spedizioni punitive estesero il loro raggio d'azione alla Toscana, al Veneto, alla Lombardia e
all'Umbria. Vennero assaltate le Case del Popolo, le sedi delle amministrazioni comunali socialiste e le leghe cattoliche. In Venezia Giulia giovani squadristi assalirono e
incendiarono le sedi di associazioni e giornali sloveni. In Alto Adige simili attenzioni vennero rivolte alla popolazione tedesca, di cui i fascisti auspicavano una forzata
italianizzazione ("dobbiamo estirpare il nido di vipere tedesco", disse Mussolini). Prefetti, commissari di polizia e comandanti militari tolleravano e in alcuni casi agevolavano le
"operazioni" della squadre fasciste contro il 'sovversivismo rosso'. "Sono dei fuochi d'artificio, che fanno molto rumore ma si spengono rapidamente", disse Giolitti minimizzando il
problema

La sconfitta del movimento operaio


 
Giolitti rifiutò di far intervenire la polizia e l'esercito nelle fabbriche e aspettò che il movimento si esaurisse da sé, che terminassero le scorte di materie prime nei magazzini delle
aziende occupate, che gli stessi operai si rendessero conto che l'occupazione non portava a nulla. Nello stesso tempo favorì le trattative fra gli industriali e sindacati e,
praticamente, obbligò gli industriali a concedere ai lavoratori i miglioramenti di salario richiesti. Così all’inizio di ottobre del 1920 Giolitti riuscì a far accettare un compromesso tra le
parti sociali. A tal uopo presentò anche un progetto di legge per controllo operaio su fabbriche, mai attuato.
 
Le agitazioni operaie ebbero in conclusione risultati economici positivi: i lavoratori ottennero miglioramenti nel salario e nelle condizioni di lavoro; la durata massima della giornata
lavorativa passò da 10-11 ore a 8 ore.
 
Ebbero tuttavia anche degli effetti politici negativi, perché spaventarono fortemente la borghesia: non solo i grandi proprietari di industrie o di terre ma, ancora di più, il ceto medio, i
piccoli borghesi che cominciavano a costituire una classe sociale decisamente numerosa. Il timore di una possibile rivoluzione li avrebbe presto spinti ad appoggiare il fascismo di
Benito Mussolini. Così come fece la classe politica liberale. Fu lo stesso Giolitti a favorire l'ascesa del fascismo quando, in occasione delle elezioni del maggio 1921, cercando di
assorbire i fascisti nella normale prassi parlamentare, li inserì nei Blocchi nazionali da opporre ai partiti di massa (popolare, socialista, comunista): ne furono eletti 35, con alla testa
Mussilini.
 
Gli industriali e le squadre fasciste
 
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La violenza fascista continuò anche dopo il biennio rosso, anzi si intensificò. Nella sola pianura padana, nei primi sei mesi del 1921, gli attacchi operati dalle squadre fasciste furono
726. Gli obiettivi di questa violenza mostrano chiaramente che le squadre fasciste volevano colpire e da quali interessi erano sostenute: 59 case del popolo, 119 camere del lavoro,
107 cooperative, 83 leghe contadine, 141 sezioni socialiste, 100 circoli culturali, 28 sindacati operai, 53 circoli ricreativi operai. Gli organi dello Stato che avrebbero dovuto
mantenere l'ordine, non intervennero per reprimere le illegalità. In alcuni casi, le forze di polizia si affiancarono alle squadre fasciste. Comunisti e anarchici reagirono con la
creazione delle squadre degli Arditi del Popolo (epica fu, ad esempio, la difesa di Parma, assalita da migliaia di fascisti nell'agosto del 1922).
 
Conclusioni
 
Il Biennio Rosso rappresentò quindi l’incubatrice di due tendenze opposte, entrambe nate da una scissione del partito socialista: il rivoluzionarismo di stampo bolscevico, che poi si
concretizzerà nella fondazione, avvenuta nel gennaio del 1921, al Congresso di Livorno, del P.C.I., un soggetto politico destinato a lasciare un’indelebile impronta nella vita italiana,
e contemporaneamente il fascismo reazionario e violento, altrettanto determinante per la storia d’Italia nel XX secolo
 

LA SITUAZIONE ECONOMICA E SOCIALE


In tempo di guerra molti industriali si erano normalmente arricchiti, ma lo Stato era di nuovo sprofondato in un abisso. Il debito pubblico era schizzato alle stelle, la prima
conseguenza di tale situazione fu una pesante svalutazione della lira, ciò ovviamente significava un pesante rincaro di tutti i generi che l’Italia doveva importare dall’estero. Il paese
era in preda all’inflazione che divorava i redditi fissi, le rendite e i salari. Il proletariato urbano riuscì ad ottenere un aumento di salari, ma nel caso dei ceti medi all’opposto, stipendi
e risparmi furono in genere rovinati dalla perdita del potere d’acquisto della lira. Per quanto si sentissero molto superiorial proletariato, piccoli commercianti impiegati e funzionari
statali videro pericolosamente diminuire il divario che li separava dai semplici lavoratori. A un numero sempre più crescente di operai le fabbriche erano in fermento. Ma per certi
aspetti lo erano ancora di più le campagne dove i contadini negli anni immediatamente seguenti la vittoria procedettero spesso all’occupazione delle terre, del resto lo stesso
governo aveva fatto ricorso alla promessa di una sostanziosa distribuzione di terre ai contadini. Quando le autorità non mostrano alcuna seria intenzione di mantenere quanto
avevano annunciato, i braccianti agricoli passarono all’azione diretta.
UN GOVERNO DEBOLE, UNA NAZIONE DIVISA
Guidate soprattutto da leader cattolici o da ex combattenti, le azioni di occupazione delle terre non avevano finalità rivoluzionarie. La difficile situazione economica e sociale riaprì le
polemiche tra neutralisti e interventisti, i primi affermavano che la guerra era stata solo un inutile macello, i secondi che erano perlopiù militari, ex combattenti e nazionalisti,
accusavano i sovversivi di non aver compreso l’importanza della prova sostenuta dalla patria e di volere una rivoluzione bolscevica. In una parola gli interventisti accusarono i loro
avversari di essere senza patria o peggio dei nemici della nazione. In un contesto così teso e lacerato, il presidente del consiglio Francesco Saverio Nitti era convinto che in Italia
stesse per esplodere la rivoluzione comunista. Secondo il principale esponente del governo se la rivoluzione fosse scoppiata, lo Stato non sarebbe stato in grado di fermarla con il
solo sostegno dell’esercito e della polizia. L’eventuale uso della forza da parte di soggetti nazionali contro i sovversivi rossi era viceversa da considerare non un pericoloso
sconfinamento in un campo di competenza esclusiva dello Stato, bensì un importante contributo alla salvezza dell’ordine sociale e delle istituzioni. Debole e terrorizzato il governo
Nitti concesse un’amnistia ai disertori, agli occhi di molti ufficiali e dei nazionalisti, lo Stato liberale non era del tutto adatto a fronteggiare l’emergenza.

LE CONTRADDIZIONI DEI SOCIALISTI


Dal congresso bolognese del 1919, uscì vincitrice la corrente massimalista che guidata da Giacinto Menotti Serrati, approvò per acclamazione la proposta di aderire alla nuova
internazionale fondata a Mosca. I sogni rivoluzionari non erano affatto condivisi da tutti i settori del movimento operaio italiano. Il sindacato era ormai schierato su posizioni
pragmatiche era più preoccupato di conquistare migliori salari e le condizioni di lavoro che di preparare l’insurrezione. Quanto al partito, la maggior parte dei deputati aveva assunto
una posizione riformista, cioè moderata. Persino i massimalisti erano sovversivi più a parole che nei fatti, pertanto alla sinistra estrema del partito cominciò a delinearsi una corrente
più determinata e decisa ad andare fino in fondo, imitando l’esempio leninista. Tra questi radicali desiderosi di insorgere si distinse in primo piano Amedeo Bordiga, a suo giudizio
occorreva dare vita al più presto a un disciplinato partito simile a quello bolscevico, egli era un ingegnere. Di formazione del tutto diversa era invece Antonio Gramsci, un altro dei
giovani favorevoli a una svolta rivoluzionaria che aveva studiato all’università di Torino, al momento della vittoria della rivoluzione russa, egli si pose la domanda relativa
all’ortodossia marxista nella mossadi Lenin. Per Gramsci era evidente che la rivoluzione russa si era svolta secondo modalità completamente differenti rispetto a quelle previste da
Marx. Nell’azione rivoluzionaria, occorreva rilanciare il ruolo creatore della volontà o meglio della capacità umana di dirigere gli eventi. Gramsci diede vita alla rivista “ordine nuovo”.
L’idea più innovativa che fu lanciata dal nuovo periodico era quella dei consigli di fabbrica, concepiti come organismi eletti dai lavoratori al fine di preparare gli ingranaggi della

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nuova macchina proletaria. Rispetto alla concezione di Bordiga, in Gramsci c’era maggiore volontà di trasformare le masse in soggetto attivo; nella visione di Bordiga, al contrario
l’unico vero protagonista dell’azione era il partito.

IL PARTITO POPOLARE
1919, per ostacolare la crescente importanza dei socialisti, il quadro politico italiano si arricchì di un nuovo soggetto: il partito popolare italiano. L’evento è quanto mai rilevante in
quanto segna il rientro a pieno titolo dei cattolici nella dialettica elettorale parlamentare nazionale. Da più parti da molto tempo si chiedeva la riforma elettorale, che sostituisse il
sistema uninominale con un sistema proporzionale. Con un simile sistema si rischiava che i socialisti ottenessero una vera valanga di deputati, sia nelle campagne che nelle città.
Per scongiurare un simile pericolo i cattolici furono finalmente autorizzati dalla Chiesa, il partito politico il cui leader era Don Luigi Sturzo, non voleva affatto rivolgersi solo ai
cattolici, ma a tuti gli italiani che si riconoscessero negli ideali e negli obiettivi del partito. Nelle intenzioni di Sturzo la strategia del partito doveva orientarsi In una direzione
sinceramente democratica, cioè preoccuparsi delle esigenze dei ceti più deboli e delle zone meno fortunate del paese. A differenza dei socialisti però gli obiettivi ultimi di una simile
politica democratica non avrebbero mai dovuto essere l’abolizione della proprietà privata e la dittatura di una classe, bensì la pacifica composizione degli interessi delle varie classi
sociali. Il PPI si proponeva in sintesi come partito aconfessionale e interclassista sinceramente rispettoso dell’ordinamento parlamentare, chiedeva però che lo Stato non diventasse
mai il puro strumento di dominio di una classe sulle altre, bensì che fosse il bene comune.

BENITO MUSSOLINI
Insieme ai popolari, l’altra nuova forza che fece la sua comparsa nel 1919 fu il movimento dei fasci italiani di combattimento, il suo principale esponente era Benito Mussolini. Nato
nel 1883, inizia la sua esperienza politica nel PSI all’interno del quale fece una rapida e brillante carriera, giungendo a diventare nel 1912 direttore del “avanti!“. Mussolini fu il leader
indiscusso della corrente più radicale del movimento socialista, influenzato profondamente dalle riflessioni sulla violenza del filosofo francese Sorel. Fu Mussolini il principale
animatore della cosiddetta settimana rossa, una grande ondata di scioperi che investì soprattutto la Romagna e le Marche. Scoppiata la guerra mondiale il PSI si schierò
apertamente per il non intervento dell’Italia. Mussolini invece scelse il campo dell’interventismo, perciò venne espulso dal partito socialista e tentò di elaborare una linea politica
propria: innanzitutto la scelta di appoggiare l’intervento lo riconciliò con l’idea di nazione e di patria, che fino ad allora aveva disprezzato in nome dell’internazionalismo proletario. In
secondo luogo, l’andamento del conflitto e la tragica esperienza di Caporetto lo portarono alla conclusione che la lotta di classe, all’interno di una nazione, l’avrebbe
irrimediabilmente corrosa e disintegrata. Infine lo scoppio della rivoluzione bolscevica in Russia lo spinse ad abbandonare definitivamente l’idea di un radicale rovesciamento
dell’ordine sociale. Eppure malgrado tutto questo Mussolini non aveva ancora del tutto abbandonato la propria matrice socialista.

IL PROGRAMMA DEL 1919


Il 23 marzo 1919 Mussolini convocò nel salone del circolo a Milano una riunione al fine di fondare una nuova formazione politica denominata fasci italiani di combattimento. La
nuova formazione nata in marzo espose pubblicamente il suo programma il 6 giugno 1919 su “il Popolo d’Italia“. L’elemento più singolare è rappresentato dal fatto che la linea
politica appare ancora decisamente spostato a sinistra. Nel medesimo tempo il programma insisteva sulla necessità di una politica estera intesa a valorizzare la nazione italiana nel
mondo. Il nuovo movimento si proponeva di fondere insieme due concetti, quello di nazione e quello di socialismo che fin dai tempi di Marx e Mazzini erano sempre sembrati del
tutto antitetici. All’inizio del 1920 il movimento fondato da Mussolini attraversò un momento di crisi radicale profonda: basti pensare che alle elezioni del novembre 1919 essa aveva
raccolto pochissimi consensi. La disfatta elettorale era il segnale evidente del fatto che lo strano miscuglio di socialismo e di nazionalismo proposto dei fasci non aveva colpito e
conquistato le masse, eppure non era del tutto certo che un simile progetto fosse già definitivamente condannato alla sconfitta. Nata da motivazioni schiettamente nazionaliste,
l’impresa fiumana si carica poi anche di radicali aspirazioni di rinnovamento sociale. Influenzato dal sindacalista rivoluzionario De Ambris, D’Annunzio promulgò la carta del
Carnaro, una sorta di costituzione della città di fiume, nella quale il concetto di proprietà privata non era in sé messo in discussione ma ad esso potremmo dire era posto un limite in
nome dell’idea di produttività nel contesto più generale dell’attività economica della collettività.

L’ULTIMO GOVERNO GIOLITTI


Nel giugno 1920, divenne presidente del consiglio Giovanni Giolitti. La tensione sociale era ancora altissima tanto che gli operai metalmeccanici occuparono le fabbriche. Tra la
borghesia italiana si sparse il panico, il terrore del bolscevismo. Al contrario Giolitti rimase lucido e freddo: consapevole che una repressione violenta dell’occupazione degli impianti
industriali avrebbe solo acuito lo scontro, avvantaggiando gli estremisti, il governo attese che il moto sbollisse da sé, il PSI dichiarò che l’occupazione non era assolutamente da
considerare come il prologo della rivoluzione sociale. Il proletariato italiano fu così pesantemente disilluso e disorientato, mentre la borghesia trovò una nuova determinazione, una
ritrovata volontà ad opporsi ai sovversivi Rossi. Molti esponenti della borghesia si convinsero che lo Stato liberale era debole, incapace di difenderli dalla rivoluzione e quindi si
orientarono nella direzione di cercare altri strumenti per la protezione dei loro interessi della proprietà privata. Tra i militari ormai serpeggiava la voglia di uno Stato più forte e
capace di valorizzare la nazione italiana. Il 12 novembre Giolitti risolse la spinosa questione di fiume; in base a un accordo con la Jugoslavia, il cosiddetto trattato di Rapallo l’Italia
poté almeno annettersi l’Istria, mentre fiume fu dichiarata città libera. In dicembre dal momento che D’Annunzio non si decideva ad abbandonare la città, Giolitti ordinò al generale
Caviglia di procedere militarmente.

LA NASCITA DEL PARTITO SOCIALISTA


Nel 1921 Giolitti affrontò la grave situazione economica, abolendo il prezzo politico del pane e nello stesso tempo introducendo alcune misure fiscali che rappresentarono un
ulteriore motivo di rancore verso l’anziano statista da parte della borghesia italiana, infatti fu stabilita la nominatività dei titoli azionari e viene aumentata la tassa di successione. Nel
giugno 1921 consapevole della sua debolezza, Giolitti diede le dimissioni. Il suo governo avrebbe potuto reggersi solo con l’appoggio dei Socialisti: ma questi abbagliati dal
miraggio di una rivoluzione che non sapevano costruire nei fatti, disprezzavano un’istituzione borghese come il parlamento, oltre tutto il partito socialista dovette affrontare una
gravissima crisi interna, causata della scissione degli estremisti, decisi a fondare un partito comunista. Nell’estate 1920 Lenin e gli altri dirigenti bolscevichi posero i partiti socialisti
d’Europa di fronte a una secca e netta alternativa, per cui l’Italia doveva prendere una netta decisione tra prendere o lasciare per poter partecipare alla nuova internazionale
comunista, tutto ciò lascia perplessi Serrati e gli altri socialisti italiani: l’assoluta necessità di cambiare il nome dal partito da socialista a comunista e l’espulsione dei riformisti non
convincevano questi ultimi. La resa dei conti definitiva si ebbe nel 1921 al congresso di Livorno. In previsione di quella riunione decisiva, i vari gruppi decisi a dare vita a un’Italia un
partito comunista si erano riuniti a Imola essi avevano predisposto una mozione in cui chiedevano al partito di accettare senza modifiche tutte le 21 condizioni poste da Mosca.
Poiché la maggioranza dei delegati propose di poter ancora negoziare con i bolscevichi, coloro che sostenevano la mozione di Imola abbandonarono la sala del teatro Goldoni e si
riunirono nel teatro San Marco e li proclamarono formalmente la nascita del partito comunista d’Italia.

LO SQUADRISMO AGRARIO
Il movimento fascista nella seconda metà del 1920 intraprese con decisione la strada della violenza. Il 13 luglio a Trieste venne incendiato l’hotel Balkan, il 21 novembre i fascisti
presero d’assalto il municipio di Bologna per impedire l’insediamento di una giunta comunale rossa. Il prestigio che il movimento dei fasci trasse da queste due aggressioni contro i
nemici della nazione fu enorme, mentre la borghesia comincia guardare con interesse al movimento che invece, fino ad allora, era parso poco affidabile. Armato e rifornito di mezzi
dai grandi proprietari terrieri, il fascismo cominciò organizzarsi in squadre d’azione. Il compito che esse si assunsero fu quello di procedere al metodico smantellamento di tutta
l’organizzazione politica e sindacale di matrice socialista. In tal modo il movimento procedette rapidamente a una duplice metamorfosi, a partire dalla fine del 1920 si alleò
apertamente con la borghesia, in funzione antisocialista.

CARATTERISTICHE DELLA SQUADRA D’AZIONE


La maggioranza degli elementi che facevano parte delle squadre d’azione era composta da persone che appartenevano ai ceti medi, essi erano pressoché giovani spesso
minorenni e addirittura adolescenti. Tutti coloro vissero lo squadrismo come un’esperienza affascinante, quasi tutti i capi dello squadrismo invece erano ex combattenti. Grazie
all’esperienza e alla mentalità dei loro comandanti le squadre introdussero nella lotta politica un elemento completamente nuovo: la violenza organizzata. Ai loro occhi l’avversario
interno di oggi socialista non era per nulla diverso dagli austriaci e dei tedeschi contro cui avevano combattuto fino a poco tempo prima, anzi per certi versi era persino più
pericoloso dunque andava sconfitto con gli stessi metodi e con la medesima determinazione impiegati al fronte. Tale trasposizione nella vita politica nazionale di una mentalità e di
un metodo tipicamente bellico fu un elemento decisivo del successo fascista: esso permise al nuovo movimento nel giro di un anno di imporsi come una forza travolgente e

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devastante. Un elevato numero di prefetti guardò ai fascisti non come dei nemici dell’istituzioni liberale, ma come dei preziosi alleati, durante le aggressioni messe in atto dalle
squadre, le forze dell’ordine in genere non intervennero per difendere le vittime.

LA NASCITA DEL PARTITO NAZIONALE FASCISTA


Senza la complicità e il sostegno logistico dell’esercito e delle forze di polizia, le squadre fasciste non avrebbero mai potuto ottenere risultati così clamorosi. Va precisato però che
lo squadrismo era sostanzialmente acefalo, in quanto il movimento fascista delle origini era privo di una rigida organizzazione di una vera struttura gerarchica. Questa realtà emerse
con estrema chiarezza in occasione del cosiddetto patto di pacificazione stipulato da Mussolini con il PSI e la CGL. Mussolini impegnava il movimento fascista ad accettare le azioni
squadristiche. Tuttavia i capi delle principali squadre d’azione, i cosiddetti Ras, veri padroni della situazione a livello locale sconfessarono l’accordo negando addirittura che
Mussolini avesse l’autorità di stipularlo. Si può affermare che nell’estate del 1921 Mussolini in realtà era solo un primo tra pari e arrivò ad ammettere la propria sconfitta e a
rassegnare le dimissioni che tuttavia furono respinte per il fatto che egli era l’unica figura veramente nota a livello nazionale. Per facilitare la trasformazione dell’esperienza dello
squadrismo in un processo nazionale, il movimento dei fasci si riorganizzò in partito nazionale fascista, la metamorfosi così era ormai completa: il fascismo si era ormai schierato su
posizioni di estremo conservatorismo sociale, di difesa a oltranza degli interessi borghesi e della proprietà privata, di opposizione violenta nei confronti di tutti coloro che avevano
tentato di far progredire il movimento organizzato dai lavoratori.

LA MARCIA SU ROMA
Il fascismo parve una sorta di cura, energetica, ma necessaria, capace di riportare all’ordine le classi lavoratrici. Giolitti ad esempio formò il cosiddetto blocco nazionale, una lista di
liberali e nazionalisti in cui inserì esponenti anche fascisti. Nello stesso tempo Giolitti sperava di poter addomesticare e moderare la violenza del movimento fascista. Dopo la
caduta di Giolitti i socialisti riformisti si dichiararono disponibili a partecipare a un governo che si ponesse come priorità assoluta la lotta contro il fascismo. Questa scelta però non fu
condivisa assolutamente da serrati e degli altri massimalisti. Dopo essere stati espulsi dal PSI al congresso di Roma, i riformisti diedero vita al partito socialista unitario, fu inscenata
dal fascismo la cosiddetta marcia su Roma: circa 14000 squadristi si accamparono in alcune località vicino alla capitale. Se lo Stato avesse risposto con le armi, il fascismo sarebbe
stato definitivamente spazzato via; il rischio tuttavia era stato calcolato in quanto Mussolini sapeva che il re Vittorio Emanuele III stava ricevendo pressioni da più parti affinché fosse
formato un governo in cui fascisti fossero presenti in modo consistente significativo. Il 29 ottobre 1992 Vittorio Emanuele III prese la sua decisione: mentre si rifiutò di firmare il
decreto che instaurando lo stato d’assedio avrebbe permesso all’esercito di disperdere le squadre, il re conferì a Mussolini l’incarico di formare il nuovo governo. Il fascismo dunque
non conquistò il potere con un colpo di stato, esso certo utilizza la violenza per farsi strada, ma tale violenza non fu in alcun modo esercitata contro lo Stato.

LA CONQUISTA DELLO STATO E DELLA NAZIONE


Salito al potere con la complicità della monarchia e di gran parte della tradizionale classe dirigente, nei primi due anni del suo governo Mussolini procedette con una certa cautela.
In primo luogo abolì due provvedimenti più antiborghesi fra quelli presi da Giolitti: l’innalzamento della tassa di successione e la nominatività dei titoli azionari. L’esercito invece fu
subito gratificato con un imponente celebrazione della Vittoria, il 4 novembre. Il leader del fascismo si sforzò di presentare il suo movimento come la parte più sana della nazione,
mentre cercava di presentarsi come il vero garante della memoria della guerra, Mussolini cercò di far si che il concetto di patria e quello di fascismo si identificassero. Chi era contro
il fascismo era contro l’Italia e come tale doveva essere abbattuto. Nel 1923 fu lanciato in questo senso un segnale eloquente e pericoloso: l’istituzione della milizia volontaria per la
sicurezza nazionale, lo squadrismo veniva inserito ufficialmente tra le forze dell’ordine dello Stato. Fin dal 1923 alcuni acuti osservatori antifascisti coniarono un nuovo aggettivo per
definire l’atteggiamento del fascismo, essi lo definirono totalitario.

IL DELITTO MATTEOTTI
Per ottenere la maggioranza alle elezioni, che si svolse lo 6 aprile 1924, le squadre fasciste ricorsero in diversi collegi ai brogli e alla violenza. All’apertura della nuova camera tutta
via il giorno 30 maggio, il deputato socialista Giacomo Matteotti osò denunciare apertamente tutte le irregolarità, in un appassionato discorso parlamentare. Decisi a conservare il
potere, i fascisti di una squadra speciale denominata ceka, rapirono e uccisero Matteotti il 10 giugno. Tutta l’opposizione per protesta abbandonò la camera dando vita a quella che
fu chiamata la secessione dell’Aventino. In quell’occasione un’azione di Vittorio Emanuele III contro Mussolini sarebbe stata accolta molto favorevolmente dalla gran parte
dell’opinione pubblica. Tra gli intellettuali si distinse il giovane torinese Gobetti, che esortava tutte le forze antifasciste a coalizzarsi e impegnarsi per un radicale rinnovamento
politico e morale dell’Italia. Nel momento in cui scriveva queste parole Gobetti aveva già subito un pesante aggressione da parte di una decina di squadristi. L’assoluta impunità
degli aggressori dimostrava che il fascismo era tutt’altro che disposto a uscire di scena. L’unico soggetto che avrebbe potuto fare qualcosa era Vittorio Emanuele III che non si
decise ad intervenire. Persino l’associazione nazionale combattenti prese le distanze dal governo. Forte dell’assoluta passività di Vittorio Emanuele III, nel discorso della camera del
3 gennaio 1925 Mussolini poté assumersi la responsabilità politica e morale e storica di quanto avvenuto, cioè del delitto Matteotti e di tutti gli altri crimini compiuti dal fascismo. La
dittatura di fatto era iniziata come testimonia in primo luogo la sorte della rivista rivoluzione liberale. L’8 febbraio Gobetti andò in esilio in Francia dove si ammalò e morì.

LO STATO TOTALITARIO
Uno dopo l’altro tutti gli elementi più tipici e caratteristici dello Stato liberale furono eliminati. Vi fu una progressiva abolizione della libertà di stampa e il controllo di tutti i quotidiani
più prestigiosi. Si procedette a liquidare la separazione dei poteri. Con l’approvazione delle leggi sulle prerogative del capo di governo, il parlamento cessò di esercitare qualsiasi
potere effettivo. Il capo del governo in pratica era abilitato a controllare ogni settore della vita dello Stato, non era più responsabili davanti a camera e Senato e poteva essere
revocato dal suo incarico solo dal re. Tuttavia Mussolini non poté mai prescindere completamente dalla presenza del sovrano, che era pur sempre il capo dello Stato. Il duce
dovette rapportarsi con un’altra istituzione ineliminabile, la Chiesa cattolica. Per guadagnarsi l’appoggio, Mussolini attenua il proprio originario
anticlericalismo e nel 1929 portò il regno d’Italia a stipulare con la Santa sede i cosiddetti accordi di Laterano, che sancirono la nascita dello Stato della Chiesa del Vaticano e
proclamarono il cattolicesimo religione ufficiale dello stato italiano. Il processo totale di cancellazione delle libertà personali ebbe sanzione formale con l’approvazione delle
cosiddette leggi fascistissime, del novembre 1926. Ad eccezione del PNF, tutti i partiti furono automaticamente sospensi, mentre i deputati di opposizione che parteciparono
all’Aventino furono dichiarati decaduti. Per i reati più gravi fu reintrodotta la pena di morte e fu istituito un tribunale speciale incaricato di procedere contro tutti gli antifascisti. Il
confino di polizia era invece previsto per coloro i quali erano sospettati di attività antifascista. Chiunque fosse accusato di nutrire sentimenti antifascisti era obbligato a risiedere per
cinque anni in zone remote e scarsamente collegate con resto del paese, spesso indicate dalla propaganda come villeggiature. Ulteriori provvedimenti restrittivi proibirono lo
sciopero e sostituirono la figura del sindaco con quella del podestà designato direttamente dal governo.

LA NAZIONE E LO STATO
A più tardi alla fine del 1926, il cittadino italiano si trovò prigioniero di una rigida dittatura. A questo proposito il testo più eloquente è costituito dalla voce Dottrina del fascismo, che
uscì a firma di Mussolini per l’enciclopedia italiana. In tale saggio il duce tentò di precisare ciò che distingue il suo movimento: alla base di tutta la sua concezione stanno i due
concetti di nazione e di Stato. La nazione è un risultato coscientemente generato dall’azione dello Stato. Senza di esso la nazione non esiste, tuttavia lo Stato può a sua volta
esercitare la propria azione dei creatore e di promotore della grandezza della nazione solo nella misura in cui tutti i singoli componenti della nazione stessa accettino di subordinare
il proprio interesse personale a quello collettivo. Nello stesso tempo Mussolini rifiuta apertamente il concetto di democrazia. Il duce svolge la funzione di guida.

LA MOBILITAZIONE DELLE MASSE


La dittatura è la logica conseguenza di questa impostazione. Come scritto da Renzo de Felice, il fascismo ha sempre teso a creare nelle masse la sensazione di essere sempre
mobilitate, di avere un rapporto diretto con il capo. La meta ultima del fascismo era il consenso del cittadino al regime. Il duce non voleva essere un nuovo Zar di un gregge docile e
passivo. Per il raggiungimento di questi scopi si cercò di dare il massimo sviluppo possibile alle organizzazioni educative fasciste e di predisporre sempre più imponenti raduni di
massa.

IL DUCE, LO STATO E IL PARTITO

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Mussolini dovette affrontare il problema del rapporto con il partito fascista, che in certe realtà locali fu per vari anni una presenza ingombrante rumorosa. Il fatto stesso che
Mussolini ne abbia affidato la segreteria a Roberto Farinacci, uno dei ras più estremisti e violenti dello squadrismo, sta indicare che la sua posizione politica era tutt’altro che solida.
Farinacci avrebbe voluto una figura di spicco all’interno del nuovo regime sognava una sorta di diarchia tra governo e partito. Mussolini si premurò di affermare e ribadire l’assoluta
supremazia dello Stato sul partito. All’interno del partito fu abolita ogni forma di democrazia sicché il governo del 1925 fu l’ultimo della storia del PNF. È evidente che il nuovo
indirizzo politico impresso al partito era volto a una celebrazione sempre più solenne di Mussolini che doveva essere il capo indiscusso del fascismo, o meglio ancora come figura al
limite del sovrumano. Il mito di Mussolini è parte integrante di un preciso meccanismo, finalizzato a eliminare ogni forma di concorrenza iniziativa politica. Nella sua versione finale
la sua persona assumeva una coloritura quasi religiosa.

LA COSTRUZIONE DELLO STATO TOTALITARIO


Anche il partito cambiò la propria funzione, una volta privato di qualsiasi potere decisionale servì in primo luogo come strumento di diffusione dell’ideologia ufficiale, di educazione
popolare e di promozione del mito. Con questi obiettivi il PNF ha visto la sua ultima grande stagione, quella in cui fu segretario Achille Starace. La nuova linea si caratterizza
soprattutto per il rifiuto di considerare il PNF come una specie di ristretta Élite. Il segretario cessò le epurazioni sommarie, aprì a chiunque l’iscrizione al PNF e anzi le rese
obbligatoria per i pubblici funzionari per la svolgimento di numerose altre attività. Nessun aspetto della realtà sociale doveva sfuggire al controllo del fascismo.

L’UOMO NUOVO FASCISTA


L’obiettivo ultimo del regime era quello di trasformare l’Italia in una grande potenza. Il mito consapevolmente assunto dal fascismo fu quello di Roma: l’Italia avrebbe dovuto tornare
alla potenza e alla posizione di egemonia che aveva posseduto nell’antichità al tempo dell’impero dei cesari. Tutto ciò parve realizzarsi allorché fu conquistata l’Etiopia e Vittorio
Emanuele III fu proclamato imperatore. Mussolini decise allora di accelerare l’operazione di creazione dell’uomo nuovo fascista, cioè di procedere con maggiore radicalità. Pertanto
nei mesi seguenti la vittoria il primo problema che si pose il regime fu quello di regolamentare le relazioni tra popolo conquistatore e nuovi sudditi dell’impero appena costituito. Il
regime fascista decise per una politica di netta separazione tra i due soggetti.

IL RAZZISMO FASCISTA
All’inizio del 1938 Mussolini si rese conto che i provvedimenti razzisti già emanati avevano bisogno di una cornice teorica più solida e coerente. Nel “Manifesto degli scienziati
razzisti“, Landra fu incaricato di riunire un comitato di intellettuali disposti ad assumersi insieme a lui paternità del testo in cui venivano esposte le idee fasciste razziste. Il manifesto
si sposta su una linea biologica molto simile a quella tedesca. In un primo tempo Mussolini restò incerto perché anche l’impostazione di Pende, che non condivideva questa idea,
poteva costituire un valido strumento ideologico politicamente spendibile e infine decise di recepire l’impostazione biologica. Questa scelta del duce significò un immediato
allargamento della legislazione razzista che non riguardò più solo i neri, ma anche gli ebrei. I provvedimenti riguardarono la scuola e gli ebrei stranieri, stabilì l’esclusione con effetto
immediato dei docenti ebrei dalle scuole statali. Il decreto prevedeva inoltre il divieto di iscrizione per gli alunni ebrei alle stesse scuole degli alunni di razza ariana.

LE LEGGI RAZZIALI
Mussolini agì per propria iniziativa e non sotto pressione di Hitler, il quale non chiese mai al duce di adeguare la legislazione razziale italiana a quella del Reich. L’autonomia
dell’azione delle comunità ebraiche che il duce sopportavano sempre meno lo portò a prendere le suddette decisioni. Il 6 ottobre 1938 il Gran Consiglio del fascismo emanò una
solenne dichiarazione programmatica, in cui vennero enunciati per sommi capi i principali provvedimenti razzisti che il regime da lì a poco avrebbe assunto.
Innanzitutto si decise che sarebbero stati vietati i matrimoni misti. Vittorio Emanuele III firmò senza proteste tutti i decreti che avrebbero dato un valore giuridico alle indicazioni
programmatiche della dichiarazione sulla razza del Gran Consiglio. Agli occhi degli ebrei italiani Vittorio Emanuele III tradiva clamorosamente il gesto liberare di Carlo Alberto che
aveva concesso la pienezza dei diritti civili agli ebrei piemontesi e liguri. Dopo le prime leggi razziali gli ebrei italiani furono colpiti da una vera valanga di provvedimenti
amministrativi.

LO STATO CORPORATIVO
Alla base dell’ideologia nazionalista adottata dal fascismo, stava la negazione del concetto di lotta di classe. Secondo questo principio di fondo venne siglato a Roma un accordo tra
le organizzazioni del padronato e quelle dei lavoratori.
Le prime riconobbero sindacalismo fascista come unico legittimo rappresentante del proletariato e portavoce delle sue esigenze specifiche; il sindacato invece accettò la rinuncia
dello sciopero come strumento di lotta e di rivendicazione economica.
Tale accordo fu poi integrato dalla legislazione sull’ordinamento corporativo; in base ad esso i datori di lavoro e i prestatori d’opera impegnati in un determinato settore economico
venivano uniti in una cooperazione. Le cooperazioni furono solo l’organismo di collegamento tra il governo e i grandi gruppi economici del paese, il luogo in cui i due protagonisti
ormai rimasti soli sulla scena, dopo la cancellazione di ogni potere contrattuale effettivo dei lavoratori, cercavano di conciliare i rispettivi interessi.

LA POLITICA ECONOMICA DEL REGIME


Per quanto concerne la politica economica, il governo si preoccupò di ridare stabilità e forza alla moneta. A fronte di un cambio con la sterlina che era giunti fino al livello di 145 lire,
ci si prefisse l’obiettivo di fermare il cambio alla cosiddetta quota 90. La rivalutazione della lira garantì il valore dei risparmi di quei ceti medi che con particolare entusiasmo avevano
aderito al fascismo. Gli effetti della rivalutazione furono dunque molteplici e contraddittori; la stessa cosa si può dire nel campo agricolo per la cosiddetta battaglia del grano. Per
quanto a livello mondiale negli anni 20 i prezzi agricoli fossero in ribasso, il fascismo preferì puntare decisamente sulla direzione del protezionismo. Tuttavia, i risvolti negativi di
questa operazione orientata in direzione dell’autarchia alimentare furono numerosi. L’incremento della produzione di grano fu ottenuto mettendo a coltura cerealicola anche
numerosi terreni che in precedenza erano destinati al pascolo per l’allevamento o alla coltivazione di prodotti pregiati come la frutta o le olive.

LO STATO INDUSTRIALE E BANCHIERE


La crisi economica del 1929 influenzò anche l’Italia a partire dal 1932, quando si trovò con un gran numero di disoccupati. L’industria più colpita fu quella tessile. Per far fronte alla
disoccupazione, lo Stato intervenne in campo economico. Numerosi furono i lavori di pubblica utilità, come la bonifica dell’Agro Pontino e le prime autostrade nel Nord del Paese.
Vennero introdotti l’IMI (Istituto mobiliare italiano) e l’IRI (Istituto per la ricostruzione industriale). L’IMI è una grande banca pubblica che sostiene le industrie e le banche coinvolte
nella crisi, mentre l’IRI assume la gestione diretta delle aziende in difficoltà. L’IRI possedeva quasi la metà del capitale azionario italiano: lo Stato assume un importante ruolo nella
vita economica e finanziaria del paese e si instaura un’economia mista. Nonostante lo Stato disponesse di una significativa somma di denaro, il regime fascista nella n fu in grado di
preparare il Paese per sostenere un conflitto mondiale.

NAZISMO E ASCESA DI HITLER

LA LEGGENDA DELLA PUGNALATA ALLA SCHIENA


L’11 novembre 1918 la Germania firmò l’armistizio con le potenze alleate. I primi sintomi del crollo si verificarono nella base navale di Kiel, ove i marinai della flotta da guerra si
ammutinarono. A tale episodio seguirono le rivolte di Monaco e di Berlino che provocarono l’abdicazione del keiser Guglielmo II, la proclamazione della Repubblica e l’armistizio. A
firmare la capitolazione furono gli uomini del nuovo governo, fu così che si diffuse la leggenda della pugnalata alla schiena, secondo cui i responsabili della perdita della guerra
erano i socialdemocratici. In trincea e sotto il fuoco si era creato un clima del tutto speciale, una comunità di camerati. Finita la guerra il sogno era quello di trasferire questa
comunità di trincea all’intera vita nazionale. La prima guerra mondiale lasciò una terribile eredità di violenza. Questa assuefazione della morte portò una grave conseguenza che gli
storici chiamano brutalizzazione della politica. Lo scopo ultimo dell’azione politica diventava l’eliminazione fisica del nemico.

LA PAURA DELLA RIVOLUZIONE

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Nel corso del 1919 la Germania visse importanti episodi di insurrezione operaia. Il partito socialdemocratico tedesco era la forza politica marxista più forte di tutta l’Europa. Allo
scoppio della prima guerra mondiale, tuttavia, la maggioranza del partito aveva scelto di appoggiare il governo. Solo nel 1918, svanite definitivamente tutte le speranze tedesche di
vincere il conflitto, la nuova formazione politica dissidente che aveva assunto il nome di lega di Spartaco acquistò un ruolo importante. Gli spartachisti decisero di trasformarsi in
partito comunista di Germania e scelsero di non partecipare alle elezioni per l’assemblea nazionale costituente e di tentare la conquista del potere per via rivoluzionaria. La
situazione cominciò a precipitare quando le forze contro-rivoluzionarie demolirono la sede del partito comunista.

LE VIOLENZE DEI CORPI FRANCHI A BERLINO E A MONACO


Rosa Luxemburg, una rivoluzionaria che prometteva la sicura vittoria futura della rivoluzione proletaria venne assassinata senza processo dal reparto dei corpi franchi i quali
repressero la rivoluzione. Dalla sconfitta del 1919 l’estrema sinistra tedesca si riprese nell’ottobre 1920 allorché nacque il partito comunista unificato di Germania che era il più forte
partito comunista d’Europa. I comunisti non perdonarono mai la scelta del governo socialdemocratico di far intervenire i corpi franchi e si determinò un vero e proprio baratro di odio
e diffidenza al punto che negli anni 1929-1932 la terza internazionale arrivò a bollare la socialdemocrazia con lo sprezzante epiteto di socialfascismo.

L’ASSEMBLEA COSTITUENTE
Nel 1919 si tennero le elezioni per l’assemblea costituente incaricata di stendere la nuova costituzione repubblicana. La scelta di far riunire l’assemblea Weimar nasceva dalla
consapevolezza che da più parti si guardava con sospetto e diffidenza all’istituzione democratica e al sistema parlamentare. Il testo della Repubblica di Weimar è articolato in due
parti, che rispettivamente si occupano dei diritti dei cittadini e dell’ordinamento dello Stato. Il parlamento consisteva in una sola camera, eletta suffragio universale, avrebbero
goduto del diritto di voto tutti i cittadini che avessero compiuto vent’anni. Anche il presidente della Repubblica sarebbe stato eletto a suffragio universale. Anche se, in teoria, lo stato
di Weimar era una Repubblica parlamentare, al presidente erano conferiti poteri ampi e notevoli, infatti oltre ad avere il potere di sciogliere il parlamento e di designare il cancelliere,
poteva emanare decreti legge e dare ordine alle forze armate.

IL TRATTATO DI VERSAILLES
Uno dei primi atti ufficiali della Repubblica di Weimar fu la firma di un trattato di pace pesantissimo, imposto alla Germania dai vincitori. Questi avevano iniziato a riunirsi a Versailles
il 18 gennaio 1919. La Germania non fu ammessa alle sedute della conferenza stessa e dovette subire tre tipi di conseguenze: le amputazioni territoriali, essa infatti fu privata di
tutti i suoi possedimenti coloniali, dovette cedere alla Francia l’Alsazia e la Lorena, un’ampia porzione di territorio prussiano passò al neonato Stato polacco e la regione della
Prussia orientale fu separata dal resto del Reich mediante un corridoio; limitazioni militari, alla Germania fu vietato di possedere sottomarini, carri armati, aviazione da guerra,
artiglieria pesante, mentre la flotta più drasticamente ridotta, analogamente con l’esercito; l’indennità di guerra. La Germania dunque fu considerata la principale per non dire l’unica
responsabile del conflitto e dovette pagare tutti i danni che essa aveva provocato. L’entità dei risarcimenti da versare sopra citato fu infine di 132 miliardi di marchi oro.

L’INFLAZIONE DEL 1923


La Germania chiese di poter ritardare il pagamento, ma Francia e Belgio respinsero e invasero il bacino carbonifero della Ruhr. Il governo tedesco esortò la popolazione della
regione occupata alla resistenza passiva: si trattava in pratica di uno sciopero generale. Tuttavia nel medesimo tempo il governo tedesco promise agli operai che avrebbe
regolarmente pagato loro il loro salario. Il risultato fu una formidabile svalutazione del marco che perse praticamente ogni valore.

ADOLF HITLER, LA FORMAZIONE A VIENNA E A MONACO


Sul drammatico sfondo della disfatta militare e dell’inflazione iniziò la lenta ascesa verso il potere del partito nazista e del suo leader, Adolf Hitler. Negli anni viennesi, Hitler
frequentò con regolarità il teatro, per assistere alla rappresentazione delle opere di Wagner, che celebravano la spiritualità del popolo tedesco. Egli sosteneva che solo un simbolo
di luce e perfezione come la svastica fosse idoneo a raffigurarne la grandezza creativa. A Vienna Hitler vide in azione i primi movimenti politici dichiaratamente antisemiti. Fu Karl
Lueger a compiere questo passo, il suo antisemitismo era di tipo cristiano. Nel 1913 Hitler fuggì a monaco per evitare il servizio militare, ma scoppiata la guerra si arruolò volontario
nell’esercito tedesco. Dopo aver partecipato a varie battaglie, essere stato ferito e ricoverato, ricevette la notizia della resa tedesca mentre era ricoverato in un ospedale militare in
Prussia orientale. Hitler fu impegnato dall’esercito come propagandista antibolscevico. Nei suoi discorsi politici finalizzati a nazionalizzare le truppe si sofferma su punti economici,
sulla prima guerra mondiale, sulle prospettive di pace ecc..

IL PARTITO NAZIONALFASCISTA
Verso la fine del 1917, era stata fondata la Thule Gesellschaft, una società di cospirazione nazionalista e antisemita. Nell’ultimo anno di guerra essa svolse un’intensa campagna di
propaganda contro gli ebrei. Herrer e Dexler avevano fondato un circolo operaio, per contrastare la propaganda socialista, Dexler aveva deciso di procedere oltre e di dar vita a una
vera e propria organizzazione politica che ricevette il nome di partito dei lavoratori tedeschi. Le autorità militari ordinarono a Hitler di recarsi alla birreria Sternacker per assistere a
una riunione di questo partito. A quell’epoca l’organizzazione era minuscola e del tutto insignificante. Hitler comunque iniziò ad appassionarsi al dibattito, decise di iscriversi al
partito e grazie al suo talento oratorio i consensi iniziarono a crescere. In quella fase fu presentato un programma politico di 25 punti, che mescolava elementi antisemiti, nazionalisti
e persino socialisti. Gli obiettivi chiaramente illustrati erano due: la soppressione dei duri trattati di pace imposti dai vincitori e la volontà di cancellare lo Stato liberale. Una settimana
dopo questo partito cambiò il proprio nome in partito nazionale socialista tedesco dei lavoratori, meglio conosciuto come partito nazista.

IL BOLSCEVISMO GIUDAICO
Approfittando del caos provocato dalla grande inflazione, Hitler tentò un colpo di stato in Baviera: il suo obiettivo era di conquistare il potere in quel distretto in modo da poter poi
organizzare una sorta di marcia su Berlino. Hitler fu arrestato e processato per alto tradimento infine condannato a cinque anni di carcere. Qui prese a scrivere la prima parte
prevalentemente autobiografica di un libro intitolato Main kampf. Si tratta di un’opera in cui si trovano poche e semplici idee; esse però sono tutte ben coordinate tra loro in modo da
formare un complesso ideologico organico e coerente. Hitler da un lato mostra di condividere la leggenda della pugnalata alla schiena, cioè l’idea secondo cui la Germania sarebbe
stata sconfitta per colpa dei marxisti, d’altro canto per Hitler quei marxisti in realtà erano manovrati dagli ebrei. Il concetto centrale su cui sarebbe tornato più volte può essere
espresso mediante l’espressione bolscevismo giudaico. Per Hitler i veri registi del movimento comunista sono gli ebrei. Era convinto che gli ebrei stessero da secoli congiurando
segretamente per la conquista del mondo. In alcuni passi del libro Hitler menziona esplicitamente Mussolini afferma di averlo ammirato per la radicalità con cui nel suo paese si è
opposto al comunismo, ma, mentre l’antisemitismo fu del fascismo una componente alquanto tardiva, nel caso di Hitler esso fu fin dall’inizio l’elemento centrale della sua
concezione del mondo.

IL RAZZISMO DI HITLER
Dopo la fine della guerra civile in Russia, moltissimi bianchi erano fuggiti in Occidente. Tra i fuggiaschi registriamo pure Rosemberg, colui che fece conoscere i protocolli dei Savi
anziani di Sion a Hitler. L’odio per gli ebrei nella visione di x Hitler si era fuso con le teorie razziste nate alla fine del settecento e sviluppatesi nel corso dell’ottocento. Secondo tali
dottrine esisterebbe una razza, quella ariana, corrispondente in pratica agli europei di pelle chiara che possederebbero caratteristiche superiori a quelle di tutte le altre. Solo l’ariano
può a buon diritto portare il nome di uomo ed essere considerato il fondatore della cultura umana. Hitler finisce per presentare gli ebrei come esseri demoniaci, assetati di potere
che mirano alla conquista del mondo intero: da un lato cercano in ogni modo di abbassare il livello della purezza razziale del popolo che vogliono conquistare e dall’altro diffondono
il marxismo.

I SUCCESSI DEL PARTITO NAZISTA


I risultati elettorali del partito di Hitler restarono alla lunga decisamente scadenti. La produzione industriale subì un calo. Il primo risultato di questa nuova situazione drammatica fu
la repentina crescita dei comunisti, che alle elezioni ricevettero più di 4 milioni di voti. Moltissimi disoccupati tuttavia preferirono votare per il partito di Hitler che nel contempo era
sostenuto anche da gran parte del ceto medio e quindi ottenne 6 milioni e mezzo di voti. La sinistra aveva percepito con insufficiente lungimiranza il pericolo nazista, ma soprattutto
non riuscì a trovare una strategia comune per contrastare Hitler.

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LE RAGIONI DEL SUCCESSO NAZISTA
Non è facile individuare il motivo per cui milioni di tedeschi dapprima scelsero Hitler, poi aderirono al movimento nazista e ne rimasero affascinati. Per prima cosa è opportuno
sgombrare il campo da un equivoco e lasciare sullo sfondo l’antisemitismo. Hitler fu concepito come l’ultima opportunità che si offriva alla nazione: l’estrema speranza a cui
aggrapparsi, per la resurrezione di una patria umiliata e disperata. Col passare del tempo Hitler fu percepito come il salvatore della Germania. Moltissimi individui si sentirono
proiettati verso un futuro di prosperità, a grandi masse di individui disperati, il profeta che annunciava l’imminente inizio del millennio offrì una speranza, rinnovate certezze e ragioni
di vita. Nel momento stesso in cui rendeva forte la speranza, la nuova fede preparava migliaia di persone al massacro di massa.

LA PRESA DEL POTERE E L’INCENDIO DEL REICHSTAG


Nel 1933 Hitler fu nominato cancelliere. Quello che Hitler iniziò a presiedere era in realtà un governo di coalizione, egli arrivò al governo per vie legali, ma in posizione di debolezza.
L’occasione per trasformare il potere in una dittatura illimitata gli fu offerta dall’incendio del parlamento. Il presidente emanò un decreto che permise di eliminare, con una parvenza
di legalità, ogni forma di opposizione. Infatti sulla base del principio dell’emergenza, la polizia avrebbe potuto arrestare ogni persona senza l’obbligo di effettuare un processo. Non
colpo solo e venivano spazzati via tutti diritti dell’uomo e del cittadino sanciti dalla costituzione. A giustificazione di tale politica, il ministro della propaganda Goebbels affermò che il
nazionalsocialismo si distingueva dal liberalismo proprio per il fatto di porre al centro non l’individuo, ma il popolo o meglio ancora la comunità popolare. Nel mein Kampf Hitler
aveva affermato esplicitamente che la scelta del colore rosso per la bandiera del suo movimento aveva proprio questo significato simbolico: doveva indicare con estrema chiarezza
la componente antiliberale del suo partito, al centro della bandiera rossa vi era infatti una svastica.

L’ASSUNZIONE DEI PIENI POTERI


Il 23 marzo 1933 il cancelliere propose al parlamento di votare una legge che di fatto consegnava al governo tutti i poteri: così facendo sarebbe stata soppressa la separazione dei
tre poteri. 14 luglio 1933 il processo di conquista del potere fu completato mediante l’emanazione di una legge del governo che trasformava la Germania in uno stato a partito unico
e obbligava tutte le altre forze politiche a sciogliersi.

IL FÜHRER E LO SPAZIO VITALE


Nel mein Kampf, Hitler affermò che il nazionalsocialismo si distingueva dagli altri gruppi politici proprio in virtù del cosiddetto principio del Fuhrer, secondo cui tutte le decisioni
capitali erano di competenza esclusiva del capo del movimento. Secondo Hitler il Fuhrer doveva disporre di tutti i poteri allo scopo di costruire, senza intralci, il grandioso e
luminoso destino che nelle promesse naziste stava per aprirsi davanti al popolo tedesco. In politica interna per Hitler i compiti supremi dello Stato erano la difesa della purezza della
razza da ogni contaminazione e il suo miglioramento. In politica estera, affermava che il popolo avrebbe potuto raggiungere una vera e duratura prosperità solo se fosse riuscito a
conquistare quello che nel suo libro è chiamato spazio vitale. Con tale espressione Hitler designava in pratica un impero capace di fornire al popolo tedesco i mezzi necessari per il
suo sviluppo. Quanto al territorio in cui lo spazio vitale avrebbe dovuto essere trovato, Hitler non ebbe mai dubbi infatti, rinunciando a ogni obiettivo coloniale extra europeo si
indirizzò verso gli immensi spazi russi. Mostrandosi come il più radicale avversario del trattato di Versailles, egli riuscì a presentarsi ai conservatori tedeschi come il campione della
rinascita della Germania come grande potenza. L’obiettivo del programma di Hitler era una sorta di gigantesco impero continentale germanico.

LO SCONTRO CON LE SA
L’aggressiva politica estera progettata da Hitler necessitava della collaborazione dell’esercito e dell’industria pesante. I militanti più estremisti chiedevano al nuovo regime di
intervenire alla radice sulla struttura sociale tedesca. Queste aspirazioni di cambiamento sociale erano molto diffuse soprattutto all’interno delle cosiddette SA guidate da Röhm,
erano il braccio armato del movimento nazista. Röhm sognava di trasformarle nel nerbo di un nuovo esercito tedesco che fosse veramente popolare, cioè capace di essere
l’autentica espressione del popolo tedesco. Per Hitler queste posizioni rappresentavano un grave pericolo per vari convergenti motivi. Pertanto nel 1934 Hitler procedette a una
radicale epurazione del movimento nazista, in quella che ha preso il nome di notte dei lunghi coltelli, Röhm e numerosi suoi sostenitori furono uccisi a sangue freddo, con un’azione
brutale che tolse di mezzo gli ultimi ostacoli a un incontrastato dominio di Hitler. Le SA furono disarmate e aumentarono enormemente il potere il prestigio delle cosiddette SS
guidate da Himmler che divenne il capo della Gestapo incaricata della repressione di ogni dissenso politico all’interno dello Stato. Ciò permise a Himmler di dominare l’intero
sistema dei campi di concentramento. I primi campi erano nati in modo improvvisato, selvaggio nei giorni seguenti l’incendio del parlamento, ma durante il 1933 sorsero circa 70
campi.

I LAGER NAZISTI
Quando Himmler dopo la notte dei lunghi coltelli assunse il controllo di tutto il sistema dei lager, il comandante delle SS assegnò a Dachau un ruolo del tutto speciale. Esso divenne
così una specie di modello, tra le innovazioni che qui vennero introdotte vi fu lo slogan “il lavoro rende liberi”, la scritta esprime una delle intenzioni per cui venne istituito il lager. I
campi infatti si proponevano di correggere i comportamenti errati, tenuti da alcuni gruppi di cittadini tedeschi. I prigionieri internati all’interno di un lager nazista si trovavano in una
condizione giuridica del tutto particolare. In Germania l’internamento era un provvedimento puramente amministrativo, si poteva assumere il principio dell’arresto di sicurezza. I
testimoni di Geova cominciarono a essere internati perché si rifiutavano di prestare giuramento allo Stato e di fare il servizio militare, successivamente iniziarono ad essere arrestati
anche politici, asociali e gli zingari.

IL PROBLEMA DELLA DISOCCUPAZIONE


I lager tedeschi cominciarono a svolgere un importante ruolo nella vita economica della Germania solo a partire dal 1938. Fino a questa data non si fece ricorso al lavoro dei
detenuti a causa dell’elevatissimo numero di disoccupati. I risultati della politica nazista furono ben presto evidenti tant’è che nel giro di sei mesi la disoccupazione calò di
moltissimo. Tale processo di riassorbimento della manodopera restò una costante del regime nazista. Per certi aspetti siamo di fronte a una ricetta affine a quella del new deal
roosveltiano, caratterizzato dal massiccio intervento dello Stato nella sfera economica. Accanto alle grandi opere pubbliche in Germania si rivelarono fattori decisivi di rinascita
economica il riarmo e la produzione di materiali bellico.

I COSTI DELLA RIPRESA ECONOMICA


La strategia militare di Hitler si basava su campagne rapide, capaci di schiacciare in brevissimi tempi l’avversario. Finché gli fu possibile, Hitler si sforzò di non comprimere i
consumi e non abbassare il tenore di vita dei tedeschi. Su queste basi nel 1936 fu elaborato il cosiddetto piano quadriennale di cui Göring fu nominato responsabile. L’obiettivo
principale del piano era di far fronte alle necessità dell’espansione demografica della Germania, rendendo essa stessa il più possibile autosufficiente sotto il profilo economico. In
realtà il vero scopo del progetto era di attrezzare la Germania per la guerra.

ECONOMIA E POLITICA DEL TERZO REICH


Va dunque ribadito che gli obiettivi ultimi di Hitler furono sempre di tipo razzista. Fu la dottrina della razza ad animare il terzo Reich, a dettarne le mosse essenziali, sia all’interno
che all’esterno e a fare del nazionalsocialismo un fenomeno originale, diverso dal fascismo italiano. Gli obiettivi di politica estera furono dettati sempre e solo da Hitler. Nella
Germania nazista dunque per quanto la struttura sociale non sia stata sostanzialmente intaccata e le élite tradizionali abbiano potuto conservare o persino a rafforzare le proprie
posizioni di privilegio, ad esse non fu lasciato in campo politico alcun potere decisionale.

ECONOMIA E POLITICA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI

I RUGGENTI ANNI VENTI NEGLI STATI UNITI

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Si tratta di un’epoca felice che precede la catastrofe e riceve una denominazione positiva per segnalare un passato recente, ma perduto, in cui si viveva allegramente senza i
problemi che sarebbero sorti più tardi. Gli americani definirono ruggenti i loro anni Venti, cioè il periodo compreso tra la fine del primo conflitto mondiale e la grande crisi del 1929. Il
cinema, la musica jazz e alcuni balli come il Charleston divennero i simboli evidenti di questo periodo.
Gli anni ruggenti furono anche un periodo di brutale intolleranza, xenofobia e ostilità verso ogni forma di diversità, basti pensare al Ku Klux Klan: coloro che erano diversi
rappresentavano dei pericolosi sovversivi che mettevano in discussione lo stile di vita americano. L’episodio più eloquente fu la condanna a morte di Sacco e Vanzetti, due
anarchici italiani emigrati negli Stati Uniti che furono accusati di aver ucciso due persone durante una rapina. Durante il processo la loro innocenza era stata ampiamente
dimostrata, ma salirono sulla sedia elettrica nel 1927. Secondo l’opinione pubblica americana, il fatto che essi fossero stranieri anarchici li trasformava automaticamente nelle menti
antiamericani e pericolosi delinquenti.
Il proibizionismo, il divieto di vendere bevande che contenessero una percentuale di alcol superiore allo 0,5%, segnò la crescita del contrabbando e della vendita clandestina di
alcolici, gestita dalla criminalità organizzata.
Gli anni Venti segnano una formidabile espansione economica: il prodotto nazionale lordo aumenta, l’inflazione rimane sotto l’1%, mentre la disoccupazione è bassa. In questa
situazione favorevole, il reddito statunitense medio cresce costantemente e ciò permette l’acquisto di un numero crescente di beni di consumo e migliora la qualità della vita delle
persone.
Per la prima volta, la pubblicità viene elaborata in modo scientifico per ottenere il massimo effetto sul cliente. Una novità erano anche i grandi magazzini capaci di provvedere alla
distribuzione di beni di largo consumo su tutto il territorio americano e la formula del pagamento rateale.
L’INIZIO DELLA CRISI ECONOMICA
Negli anni Venti la produzione industriale visse una stagione di straordinario sviluppo, mentre la situazione era decisamente più critica nel settore dell’agricoltura. L’agricoltura
europea aveva ripreso gradualmente a funzionare e, negli stati uniti, i prezzi dei prodotti agricoli stupirono un pesante ribasso. Molti agricoltori andarono in rovina e innescarono un
processo di contrazione della domanda che sta alla base della grande depressione.
Nell’ottobre del 1929 la borsa di New York, dopo un periodo di speculazione finanziaria, registrò un brutale ribasso del valore dei titoli, in quanto le aziende non possedevano più un
livello di prosperità effettivamente corrispondente all’elevata quotazione in borsa delle loro azioni. Il 24 ottobre 1929, il cosiddetto giovedì nero, Wall Street crollò. Il crollo borsistico
rappresenta l’inizio ufficiale della grande depressione, non ne fu la causa, ma il sintomo più clamoroso della situazione che si è venuta a creare: a causa delle difficoltà degli
agricoltori, un regime economico basato sull’aumento costante della produzione si stava scontrando con una stasi della domanda. La crisi si manifestò nel giro di poco tempo in tutti
i comparti fino a travolgere l’intera economia. La produzione industriale diminuì, mentre i disoccupati aumentarono.
In Inghilterra aumenta il numero di disoccupati, la sterlina viene svalutata e si introducono dazi protezionistici. Inoltre, Venne definitivamente abbandonato il liberismo economico,
basato sul presupposto che lo Stato dovesse astenersi dall’intervenire nel campo dell’economia.
L’inizio della grande depressione diede origine alla grande trasformazione degli anni 30, caratterizzati da esperienze sociali, economiche e politiche radicalmente nuovi rispetto al
passato.

L’INDUSTRIA AMERICANA NEGLI ANNI VENTI


Negli anni 20 gli USA erano lo Stato capitalista più potente del mondo soprattutto grazie ai grandi colossi dell’industria pesante e mineraria; tra essi andò assumendo un posto
sempre crescente l’automobile. Si prenda come esempio la Ford modello T. Un bene tradizionalmente di lusso come l’automobile si avviava a diventare un oggetto alla portata di
un numero enorme di individui, un prodotto destinato al consumo di massa. Tale risultato fu ottenuto dall’industriale Henry Ford applicando la cosiddetta catena di montaggio. Il
lavoro a catena portò al processo di divisione del lavoro fino al taylorismo, processo per cui il lavoratore era chiamato a compiere sempre lo stesso e solo medesimo movimento.

IL NEW DEAL
Presidente degli Stati Uniti, nel 1929, Hoover era convinto della capacità del mercato di autoregolarsi in campo economico senza l’intervento dello Stato, il che significherebbe
altrimenti l’oppressione dell’individuo e della sua libertà di iniziativa. Il Paese era lasciato a se stesso, le campagne erano invase da vagabondi, mentre alla periferia delle metropoli
si ammassavano baraccopoli improvvisate denominate hoovervilles. In questa situazione di miseria e di frustrazione, alle elezioni del 1932 venne eletto il democratico Franklin
Delano Roosevelt. Per affrontare la crisi, si rese conto della necessità di abbandonare l’impostazione liberista. Di conseguenza si circondò di esperti (Brain Trust) per affrontare la
situazione con metodi diversi. Essi elaborarono il New Deal, la cui idea centrale consisteva nell’intervento dello Stato nella vita economica del Paese. Il mercato, tuttavia, non era
più capace di generare occupazione, di conseguenza Roosevelt si impegnò a fornire lavoro ai cittadini, in modo tale da guadagnare e spendere denaro e rimettere in moto il
meccanismo. L’amministrazione Roosevelt intraprese un grande campagna di lavori pubblici e causò un alto numero di posti di lavoro all’anno. Anche l’agricoltura fu sostenuta con
una serie di sussidi.
Il debito nazionale aumentò e, nonostante gli sforzi, la disoccupazione rimase piuttosto alta. Solo lo scoppio della II Guerra Mondiale pose fine alla grande depressione.

L’INCONTRO DI LIBERISMO E DEMOCRAZIA


Il New Deal spinse verso una revisione della concezione liberale dello Stato. Roosevelt era convinto che la libertà dell’individuo fosse un bene sacro che lo Stato non potesse
violare. Eppure, lo Stato liberale si limitò a non violare i diritti fondamentali del cittadino e si impegnò a migliorare la qualità della vita del cittadino stesso. Ciò significò che, durante
la grande depressione, la concezione liberale iniziava a coniugarsi con ideali di matrice democratica. Grazie a Roosevelt, si verificò una sorta di conversione se, liberalismo alla
democrazia. Il liberalismo tento la sintesi dei propri valori con quelli della tradizione democratica.

LA SOCIETÀ DELLE NAZIONI


Le gravi difficoltà economiche e finanziarie incontrate dall’Inghilterra negli anni 30 condizionarono pesantemente l’azione di molti uomini politici inglesi. Gran parte della classe
dirigente britannica giunse alla conclusione che il paese non avrebbe potuto sopportare il peso di un’altra guerra mondiale, assumendo così la posizione definita isolazionismo.
Alla fine della prima guerra mondiale il presidente americano Wilson aveva esercitato forti pressioni sulle altre potenze, finché nascesse un organismo internazionale denominato
Società delle Nazioni. La nuova organizzazione avrebbe dovuto promuovere la collaborazione internazionale e realizzare la pace. Il Senato degli Stati Uniti non ratificò il documento
che istituiva l’organizzazione, in quanto molti senatori la ritennero pericolosa per gli interessi americani.
La debolezza strutturale della società delle nazioni emerse per la prima volta nel 1931 quando il Giappone occupò la Manciuria. La Società delle Nazioni condannò l’intervento
giapponese, ma di fatto non potè far nulla per modificare la nuova situazione che l’impero nipponico aveva imposto con la forza. Per porre rimedio a questa incapacità operativa la
società elaborò un complesso sistema di sanzioni economiche.

I TRATTATI DI RAPALLO E LOCARNO


La Germania fu ammessa alla società delle nazioni soltanto nel 1926. Nel 1922 la Germania e l’unione sovietica firmarono il trattato di Rapallo, un accordo che prevedeva non solo
l’attivazione di un regolare commercio tra i due paesi, ma anche l’impegno della Germania a non partecipare a un'eventuale futura crociata antibolscevica delle potenze
capitalistiche. Inoltre una clausola segreta dell’accordo prevedeva che all’esercito tedesco fosse concesso di addestrarsi clandestinamente in territorio russo con tutte quelle armi
moderne che il trattato di Versailles aveva vietato alla
Germania di possedere. Nell’unione sovietica il principale sostenitore della collaborazione militare fu il generale Tukacevskji. Nel 1931 convinse anche Stalin dell’importanza di
potenziare l’apparato militare sovietico e fu posto a capo di un grandioso progetto per la produzione su vasta scala di carri armati e aeroplani. Il 24 giugno 1922 Rathenau fu
assassinato da alcuni nazionalisti vicino all’ambiente dei corpi franchi. L’assassinio sta indicare che l’antisemitismo, il razzismo, l’anticomunismo e la volontà di rivincita nazionale
stavano mescolandosi in una pericolosa miscela. Il trattato di Rapallo partiva dal presupposto che la principale nemica della Germania fosse la Polonia. Un grande successo
diplomatico fu quello ottenuto dal cancelliere tedesco Stresmann nel 1925 con il trattato di Locarno quando la Germania accettò come definitivo l’assetto territoriale fissato dei
vincitori ai confini occidentali, il che significava che essa rinunciava definitivamente all’Alsazia e la Lorena e accettava di intraprendere un nuovo rapporto, non più conflittuale, con
la Francia.

LA POLITICA ESTERA TEDESCA TRA IL 1933 e il 1936

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Nella concezione di Hitler il vero nemico del Reich era l’unione sovietica, pertanto con l’avvento al potere di Hitler cessò il rapporto di collaborazione tra Germania e Russia
comunista. Le relazioni della Germania col resto delle potenze europee si fecero di nuovo tese: un esempio è il contrasto che opponeva il Reich all’Italia a proposito
dell’indipendenza dell’Austria. Dopo la dissoluzione dell’impero asburgico il governo di Vienna aveva chiesto alle potenze vincitrici di poter unirsi alla Germania in nome del principio
di nazionalità. Tale richiesta era però stata respinta. I nazisti austriaci tentarono un colpo di stato e Mussolini minacciò di intervenire militarmente. Hitler ottenne un clamoroso
successo politico, infatti gli abitanti della Saar ottennero con un plebiscito la riunificazione al Reich. Hitler procedette alla prima significativa violazione del trattato di Versailles,
ripristinando la coscrizione obbligatoria. Nel 1935 a Stresa si riunirono i governanti di Francia, Gran Bretagna e Italia e concordarono di mantenere l’assetto europeo esistente. In
maggio Hitler annunciò che la Germania ripudiava le residue clausole sul disarmo del trattato di Versailles.

LA CONQUISTA ITALIANA DELL’ETIOPIA


L’esercito italiano invase l’Etiopia nei primi giorni d’ottobre del 1935. Gran Bretagna e Francia non sollevarono obiezioni particolari, l’Etiopia tuttavia faceva parte della società delle
nazioni pertanto quest’ultima colpì l’Italia con sanzioni economiche. Si trattava a dire il vero di misure alquanto blande, perciò il 9 maggio 1936 il re d’Italia fu proclamato dal duce
imperatore di Etiopia. Il fronte di Stresa si era incrinato; Hitler colse al volo la nuova situazione e ne approfittò per rompere il patto di Locarno e occupare la Renania smilitarizzata.

I FASCISMI IN EUROPA
L’ordine internazionale creato a Vesailles tra le potenze vincitrici della Prima Guerra Mondialesi rivelò piuttosto fragile, in quanto molte questioni rimasero irrisolte e non si creò il
programmato equilibrio internazionale. (l’invasione giapponese della Manciuria e quella italiana dell’Etiopia dimostrarono l’incapacità della Società delle Nazioni)
Dopo la crisi del ’29 le tensioni fra gli stati europei si aggravarono, in quanto tutti avviarono politiche di chiusura e di difesa delle proprie economie. Inoltre sorsero vicini, diversi
sistemi politici, come le democrazie liberali, il comunismo e il fascismo, tra loro contrastanti.
Questa situazione è alla base delle ragioni che portarono lo scoppio della 2GM.
Negli anni fra le due guerre si sviluppano in molti paesi europei regimi antidemocratici che si rifanno al nazismo e al fascismo.
Questo avvenne soprattutto in Europa centro-orientale: Romania, Bulgaria, Polonia, Grecia, Ungheria, Finlandia e repubbliche baltiche. L’unica eccezione fu la Cecoslovacchia, che
rimase democratica fino all’invasione nazista nel ’39.
I paesi dell’Europa centro-orientale erano caratterizzati soprattutto da economie agricole e da arretratezza sociale e culturale, con scarse tradizioni democratiche. Qui vi erano molti
problemi causati dalla compresenza di etnie, lingue e religioni diverse. Un altro elemento era il radicato antisemitismo, che creò a fenomeni di razzismo, nazionalismo o fascismo.
Antisemitismo nei confronti, in particolare, degli ebrei che occupavano ruoli importanti nel commercio e nelle professioni, e, in generale, verso tutta la razza ebrea.
 
AUSTRIA
Un caso particolare fu quello dell’Austria, dove il sistema politico assunse un carattere sempre più autoritario, allontanandosi dalla democrazia stabilita dalla costituzione. Qui si
diffuse la destra austriaca, che considerava Mussolini punto di riferimento e, Mussolini, vedeva nell’Austria un’alleata fondamentale per aumentare la propria potenza nell’area
balcanica e anche per contenere l’ascesa di Hitler.
In questo periodo però Hitler manovrava i nazisti austriaci, per annettere l’Austria alla Germania; ma il primo ministro austriaco appoggiava l’Italia. Per questo, nel ’34 i nazisti
tentano un colpo di stato a Vienna, ma l’annessione alla Germania fu bloccata da una reazione internazionale e dallo stesso Mussolini.
SPAGNA
Anche in Portogallo e Spagna si affermarono dittature che durarono per molti anni.
La Spagna era un paese ancora arretrato (non più impero coloniale), retto negli anni ’20 dalla monarchia di Alfonso 13°, il quale, dopo le elezioni del ’31 in cui vincono i
repubblicani, lascia il paese. Di conseguenza si forma un governo progressista che introduce una serie di riforme (terre, chiesa, …).
1936 – guerra civile spagnola. Importante anche sul piano internazionale, perché si prefigurano gli schieramenti della 2GM. L’Italia e la Germania mandano infatti aiuti e truppe a
Franco. La Spagna era divisa tra franchisti e monarchici. La guerra durò tre anni e fu caratterizzata da atrocità e massacri; infine i franchisti vinsero e Franco salì al potere.
 

IL GIAPPONE DAGLI ANNI VENTI ALLA GUERRA MONDIALE

L’ECONOMIA NIPPONICA NEL 1924-29


In Giappone la produzione e il commercio capitalistici, che avevano subito una flessione nel periodo della crisi postbellica del 1920 e che erano rimasti a un basso livello nei tre anni
successivi, realizzarono un notevole aumento verso in biennio 1925-26: il valore globale della produzione dell’industria di trasformazione e il volume delle esportazioni raggiunsero il
livello del 1919 e il numero degli operai occupati arrivò a quota 1,9 milioni, con un aumento di 100.000 unità rispetto al 1919.
La ripresa fu il risultato dei grandi lavori di ricostruzione intrapresi dal governo dopo il grande terremoto del 1923, principalmente con i fondi del bilancio statale, incrementato
dall’aumento delle tasse, specie quelle indirette. I monopoli sfruttarono la calamità naturale per intascare i rilevanti sussidi governativi per i lavori di ricostruzione.
Tuttavia nel 1927 scoppiò una crisi economica nella sfera del credito e delle finanze, accompagnata dalla bancarotta di numerosi consorzi e aziende industriali. La banca
semistatale di Formosa, così come decine di altre banche, con un deposito complessivo di circa un miliardo di yen, cessarono i pagamenti. L’apparato produttivo rimase inattivo per
il 25-30%.
Un forte colpo alle esportazioni giapponesi venne data dal boicottaggio delle loro merci in Cina e in altri paesi dell’Asia sudorientale.
I monopoli giapponesi cercarono di reagire puntando più che sulla ristrutturazione tecnologica dell’industria, su una forte intensificazione dello sfruttamento del lavoro operaio. Anzi,
preparandosi a una nuova guerra di conquista (dopo quella degli anni 1905-10 in Corea), il governo giapponese incentivò lo sviluppo dei settori dell’industria pesante.
I DISSENSI ALL'INTERNO DEI GRUPPI DIRIGENTI
Gli elementi moderati delle classe dominanti, considerando la situazione di tensione politica esistente nel paese e il malcontento delle masse popolari, preferivano perseguire un
indirizzo di politica estera più cauto e una politica interna volta a fare alcune concessioni alle masse lavoratrici, che rivendicavano il suffragio universale.
La vecchia burocrazia, la corte imperiale, la nobiltà feudale e i ceti militari insistevano invece per una politica estera espansionistica, mentre in politica interna erano contrari al
parlamentarismo, all’estensione del diritto di voto e alla limitazione delle competenze delle vecchie istituzioni politiche semifeudali (consiglio segreto di Stato e Genro, un organo
extra-costituzionale che si poneva come fonte reale dell'autorità del Governo, in quanto sceglieva il Primo Ministro e consigliava l'Imperatore su tutte le questioni di politica interna
ed estera).
Nel maggio 1924 alle elezioni parlamentari vinse il partito della grossa borghesia (“Associazione per una politica costituzionale”). Il leader di questo partito, Kato, un uomo del
gruppo industriale Mitsubishi, diresse il nuovo governo, favorendo l’estensione del diritto elettorale: nel 1925 il numero degli elettori era passato da 3.000.000 a 12.000.000. La
riforma però non concesse il diritto di voto alle donne, conservò un limite elevato di età per l’esercizio del voto attivo e passivo (di 25 e di 30 anni) e richiese un lungo periodo di
residenza per poter esercitare il diritto elettorale e forti spese per la presentazione dei candidati. Inoltre la nuova legge elettorale sarebbe entrata in vigore solo dopo tre anni.
Quasi contemporaneamente alla riforma elettorale venne approvata una nuova legge di polizia “sul mantenimento dell’ordine” (più nota con il nome di “legge sui pensieri
pericolosi”), che prevedeva dieci anni di lavori forzati per l’attività rivoluzionaria. La legge venne estesa anche alle colonie giapponesi. Il governo Kato la utilizzò per compiere dure
repressioni contro il movimento operaio e contadino.
L’indebolimento delle posizioni internazionali del Giappone sia dopo la conferenza di Washington del 1921-1922 sul disarmo generale e la soluzione dei problemi dell'Estremo
Oriente e del Pacifico che dopo il rafforzamento dell’Urss, indusse il governo a rinunciare temporaneamente alle avventure belliche antisovietiche. Anzi nel 1925 i rappresentanti dei
due paesi firmarono a Pechino un trattato sulla apertura di normali relazioni diplomatiche. Tuttavia il governo giapponese fece di tutto per impedire la conclusione dell’accordo
commerciale previsto dal trattato, anzi favorì al massimo l’attività antisovietica dei controrivoluzionari bianchi e dei militaristi cinesi nella Cina nordorientale.
LO SVILUPPO DELLA LOTTA DI CLASSE

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Intanto il partito comunista, scioltosi nel marzo 1924 in conseguenza della politica opportunista della sua direzione, e ricostituitosi alla fine del 1926, elaborò un programma d’azione
contro l’offensiva degli imprenditori, rafforzando la propria influenza nel paese grazie a un’intesa col partito operaio-contadino, creato nel 1926, che ottenne nelle elezioni
parlamentari del 1928 200.000 voti.
L’attività di questi due partiti gettò l’allarme nei circoli dirigenti, che nel 1928 introdussero nella “legge sui pensieri pericolosi” alcune clausole che prevedevano la pena di morte per
attività rivoluzionaria e che comportarono lo scioglimento di tutti i partiti di sinistra, arresti in massa di comunisti e l’assassinio, nel 1928, di un dirigente comunista, Masanosuke
Watanabe.
LA POLITICA AGGRESSIVA DEL GOVERNO TANAKA
Nell’aprile 1927 andò al potere il governo del leader della “Società degli amici politici”, il generale e barone Tanaka, uno degli organizzatori dell’intervento giapponese nell’Estremo
Oriente sovietico nel 1905.
Il nuovo governo si dedicò subito all’elaborazione di piani di aggressione contro l’Urss e la Cina. Nell’estate del 1927 si tenne a Tokyo, sotto la presidenza di Tanaka, la cosiddetta
“Conferenza orientale”, nella quale venne discusso, con le massime autorità governative e militari, un programma aggressivo (detto “memorandum segreto di Tanaka”) che
prevedeva la conquista di una parte della Cina e di tutta la Mongolia, con l’obiettivo di realizzare un dominio nipponico nell’Asia sud-orientale e nel bacino dell’oceano Pacifico.
In concomitanza con l’inizio della guerra civile in Cina tra il Kuomintang (Partito Cinese Nazionalista) e il Partito Comunista Cinese, gli imperialisti giapponesi nel maggio 1927
avevano inviato proprie truppe nella provincia costiera cinese dello Shandong, occupando alcune città. Scopo di questo intervento armato era di fermare l’offensiva delle truppe del
Kuomintang verso nord e di utilizzare queste forze per sconfiggere il movimento comunista. L’anno dopo infatti, col pretesto della “difesa degli interessi vitali e delle proprietà dei
residenti giapponesi”, l’esercito giapponese penetrò massicciamente in tutta la provincia dello Shandong, chiedendo in forma ultimativa il ritiro di tutte le truppe cinesi. Uccisero
anche nel giugno 1928 il governatore della Cina nord-orientale Zhang Zuolin, che s’era accordato con gli imperialisti americani, sottraendosi all’ubbidienza verso il Giappone.
Tuttavia un forte movimento cinese di boicottaggio delle merci giapponesi e l’azione decisa della diplomazia sovietica contro il nuovo atto di aggressione costrinsero il Giappone a
iniziare nell’agosto del 1928 l’evacuazione delle proprie truppe dallo Shandong (che terminò solo nel maggio 1929). Per tutta risposta nell’estate 1929, di concerto con gli Stati Uniti
e con la Gran Bretagna, gli imperialisti giapponesi inscenarono una provocazione antisovietica di militaristi cinesi sulla ferrovia della Cina orientale e sulla frontiera sovietico-cinese,
ma le truppe sovietiche respinsero l’attacco degli aggressori.
GLI EFFETTI DELLA CRISI ECONOMICA MONDIALE DEL 1929
Dopo il 1929 la crisi economica mondiale si manifestò in Giappone in forma straordinariamente acuta. Il valore totale della produzione industriale scese, nel 1931, del 32,4%,
rispetto al 1929; il volume dell’industria estrattiva e dell’industria pesante fu quasi dimezzato. L’esportazione dei principali prodotti si ridusse di oltre i 2/3.
Durante la crisi si rafforzò il processo di concentrazione della produzione e del capitale, a spese delle piccole e medie imprese. Nel 1929 si contavano nel paese 21 associazioni
monopolistiche; nel 1930 esse erano già 31 e nel 1931 ne sorsero altre 23.
I salari degli operai subirono continue riduzioni: nei rami fondamentali dell’industria diminuirono dal 25 al 45%. Nel 1931 c’erano nel paese 3 milioni di disoccupati.
Il prezzo del riso era calato nel 1931 di oltre la metà rispetto al 1929, e siccome scendevano i prezzi anche degli altri prodotti agricoli, si accrebbe nettamente l’indebitamento delle
aziende contadine. Approfittando di ciò, i proprietari fondiari presero a cacciarli dalle loro terre, anzi utilizzavano i numerosi disoccupati, ritornati dalle città dopo i licenziamenti dalle
officine e dalle fabbriche, per rompere i vecchi rapporti tradizionali con i contadini affittuari. Cioè invece di concludere nuovi contratti di affitto, molti proprietari fondiari preferivano
gestire le loro aziende con manodopera salariata.
I lavoratori, con le loro nuove organizzazioni democratiche, scesero in lotta contro i licenziamenti, le riduzioni del salario e l’aumento della giornata lavorativa. Nel 1931 gli scioperi
furono due volte e mezzo più numerosi che nel 1928. Nei primi tre anni di crisi il numero dei conflitti nelle campagne superò gli ottomila. I contadini chiedevano l’annullamento dei
debiti dovuti ai proprietari fondiari (a cui spesso s’incendiavano le case), la riduzione degli affitti e avanzarono la parola d’ordine “la terra ai contadini”. I disoccupati chiedevano
anche l’assegnazione di sussidi, la distribuzione gratuita delle scorte di riso, l’esenzione dal pagamento degli affitti delle abitazioni, l’introduzione di assicurazioni contro la
disoccupazione a spese degli imprenditori.
Le incursioni della polizia contro le organizzazioni sindacali, le bastonate ai partecipanti agli scioperi e gli arresti in massa divennero un fenomeno quotidiano. Nel 1930 vennero
arrestate 6.000 persone, nel 1931 più di 10.000. Si rafforzò anche l’attività di organizzazioni para-militari sovvenzionate dal regime, che effettuavano azioni terroristiche contro i
dirigenti del movimento operaio, disperdevano le assemblee operaie, attaccavano le sedi dei sindacati.
I COMPLOTTI MILITARI FASCISTI
L’oligarchia finanziaria del Giappone tendeva sempre più verso l’instaurazione di un “governo forte”. Lo strumento per realizzare questo fine doveva essere il ceto militare, i cui
rappresentanti sottoponevano a violente critiche i partiti parlamentari per la loro incapacità di assicurare un “ordinamento solido”, e chiedevano apertamente la liquidazione del
sistema parlamentare e il passaggio alla dittatura militare.
Nel 1931 vennero scoperti complotti che avevano lo scopo di preparare dei colpi di Stato per l’instaurazione della dittatura. Una particolare attività venne manifestata in quest’epoca
dai cosiddetti “giovani ufficiali”, in prevalenza provenienti dai ceti dei piccoli e medi proprietari fondiari (gli ufficiali superiori provenienti dall’antica nobiltà feudale-militare e che
avevano partecipato alla guerra russo-giapponese del 1904-1905 erano denominati i “vecchi”). I “giovani ufficiali” esprimevano un certo malcontento verso la vecchia burocrazia e
l’ambiente dei generali, considerandoli un ostacolo sulla strada del loro avanzamento nella carriera militare.
Nel 1932 cominciò a formarsi l’organizzazione fascista “Federazione nazionale dei giovani ufficiali”, capeggiata dal generale Araki. Vi aderirono l’Unione dei riservisti, i
rappresentanti dell’Associazione dei proprietari fondiari, la Società agricola imperiale e alcuni deputati degli agrari. L’organizzazione diffuse manifestini in cui attaccava
demagogicamente i monopoli e prometteva il proprio aiuto al popolo nella lotta contro le speculazioni dei gruppi commerciali, dei “politicanti” e degli “amanti del facile
arricchimento”. Il 15 maggio i ribelli fascisti penetrarono a viva forza nella residenza del premier Inukai e l’uccisero, gettarono bombe contro il palazzo del governo e le sedi del
partito di governo e del gruppo monopolistico Mitsubishi.
Il loro tentativo d’instaurare una aperta dittatura militare non ebbe però successo. La demagogia anticapitalistica dei fascisti apparve pericolosa alla classe dominante. Il governo
fece disarmare i ribelli e arrestare alcuni di loro. Tuttavia il principale responsabile del complotto, il generale Araki, non venne arrestato, anzi ebbe il portafoglio di Ministro della
guerra nel nuovo governo di “unità nazionale”, chiamato a quietare l’indignazione popolare.
L'INVASIONE DELLE TRUPPE GIAPPONESI NELLA CINA NORD-ORIENTALE
Negli anni della crisi economica, successivi al 1929, i monopolisti giapponesi, statunitensi e britannici si scontrarono aspramente in Cina per i mercati di smercio dei loro prodotti,
per gli investimenti dei capitali e per le sfere d’influenza economico-politiche, allo scopo di alleggerire la loro situazione economica mediante la spoliazione del popolo cinese.
Nel 1931 gli Stati Uniti elaborarono un progetto per la concessione di un prestito cosiddetto “dell’argento” da utilizzarsi per il riscatto delle ferrovie cinesi, allora in mano ai
giapponesi. La Banca d’America a Shanghai decise di istituire alcune decine di succursali nel nord-est della Cina. Nello stesso anno gli Usa occuparono il primo posto nel
commercio cinese, facendo retrocedere il Giappone al secondo e la Gran Bretagna al terzo.
Non volendo rassegnarsi al fatto che le più importanti posizioni in Cina, destinata a diventare nei suoi intenti una propria colonia, passassero nelle mani degli americani, il Giappone
pensò a una soluzione di tipo militare, aggredendo la Manciuria (la Cina nordorientale), le cui ricchezze economiche e la cui posizione geografica veniva considerata strategica, in
quanto da lì si potevano compiere altre azioni aggressive contro la Cina e l’Urss. A dir il vero gli obiettivi finali della cricca militarista nipponica erano quelli di occupare tutta la Cina,
la Mongolia, l’Estremo Oriente sovietico e vaste regioni dell’Asia centrale, contando di poter sfruttare gli atteggiamenti antisovietici dei circoli governativi degli Stati Uniti, della Gran
Bretagna, della Francia e delle altre potenze imperialiste: per questo motivo presentava la sua aggressione soprattutto come lotta contro la “minaccia comunista”.
Nell’estate del 1931 il Giappone aveva completato la preparazione per l’attacco alla Cina. Il momento scelto gli sembrava assai favorevole, perché i concorrenti imperialisti erano
presi dalla crisi economica mondiale. Nella stessa Cina era scoppiata la guerra civile (1926-1949), che veniva descritta dalla propaganda giapponese come una “minaccia rossa”.
Nel settembre 1931 le truppe giapponesi iniziarono l’invasione della Cina nord-orientale, occupando in pochi giorni tutti i principali centri e approfittando della politica di
capitolazione del governo di Chiang Kai-shek, secondo cui prima di combattere il Giappone bisognava eliminare i comunisti interni.
Nel gennaio 1932 i militaristi giapponesi tentarono di occupare Shanghai, ma la resistenza degli operai della città e di alcuni reparti della XIX armata cinese fece fallire il loro
tentativo.
L'ATTEGGIAMENTO DELLE POTENZE OCCIDENTALI DI FRONTE ALL’AGGRESSIONE GIAPPONESE
Sebbene l’aggressione giapponese alla Cina toccasse gli interessi delle potenze occidentali e violasse il trattato di Washington, il “patto Briand-Kellogg” e lo statuto della Società
delle Nazioni, i circoli governativi di questi paesi attuarono una politica di connivenza con l’aggressore, rifornendolo di materiale strategico-militare. Alla base di questo
atteggiamento stavano l’avversione contro la rivoluzione cinese del democratico Sun Yat-sen (1866-1925), fondatore della Cina moderna, nonché l’idea che lo sviluppo degli
avvenimenti avrebbe portato a una guerra nippo-sovietica, nella quale ambedue le parti si sarebbero seriamente indebolite.
Le truppe giapponesi, dopo aver occupato la Cina nord-orientale, cominciarono ad avanzare verso sud, cioè verso quelle regioni dove le potenze occidentali, in primo luogo la Gran
Bretagna e gli Stati Uniti, avevano grossi interessi industriali e finanziari. Provocò particolare inquietudine tra i monopolisti britannici e americani il tentativo giapponese di occupare

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Shanghai, principale centro del commercio britannico in Cina e importante zona d’investimento del capitale americano. Le ditte americane avevano a Shanghai 400 succursali:
appartenevano loro la centrale elettrica, le aziende municipali, le aviolinee. Verso il 1932 gli Stati Uniti occupavano il primo posto nell’importazione di merci a Shanghai.
Nel gennaio 1932 gli Usa invitavano il Giappone e la Cina a non creare una situazione in cui venissero danneggiati gli interessi del loro paese. Il che, in pratica, voleva dire che il
Giappone avrebbe dovuto limitarsi a occupare la parte nord-orientale della Cina, rivolgendosi semmai verso i confini con l’Urss. I governi di Gran Bretagna e Francia speravano
invece di accordarsi col Giappone per garantire i propri interessi in Cina senza la partecipazione degli Stati Uniti. Ovviamente neppure la Società delle Nazioni si oppose
all’estensione dell’aggressione in Cina: si propose soltanto una commissione per studiare la situazione.
Nel frattempo i militaristi giapponesi, volendo mettere la commissione davanti al fatto compiuto, accelerarono la riorganizzazione della Cina nord-orientale, ponendo al governo l’ex
imperatore della Cina Pu Yi, ultimo imperatore Qing, “reggente” del nuovo Stato fantoccio del Manciukuò. Nel giugno 1932 il parlamento giapponese approvò la decisione di
riconoscere, de iure, il Manciukuò, permettendo ai militaristi giapponesi possibilità illimitate di spadroneggiarvi.
Nell’ottobre 1932 venne pubblicata la relazione della commissione della Società delle Nazioni sulla situazione in Cina. La proposta era quella di lasciare la Cina nord-orientale sotto
la sovranità cinese con un’autonomia protetta dalle grandi potenze, cioè in pratica si mirava a trasformare la Cina nord-orientale in una zona di sfruttamento del capitale
internazionale. Sicché per circa cinque mesi alla Società delle Nazioni si assistette a una dura lotta tra gli imperialisti per la spartizione di quell’area.
Soltanto nel febbraio 1933 l’assemblea della Società delle Nazioni approvò una risoluzione nella quale si richiedeva lo sgombero delle truppe giapponesi dalla Cina nord-orientale,
anche se riconosceva i particolari interessi del Giappone in questa regione.
All’approvazione di tale risoluzione il Giappone reagì uscendo dalla Società delle Nazioni ed estendendo ulteriormente l ’aggressione ad altre province cinesi. Alla fine il Kuomintang
capitolò, firmando un accordo con i giapponesi per la trasformazione della parte nord-orientale di questa provincia in una zona smilitarizzata. Gli aggressori avevano però la strada
aperta verso Pechino e Tientsin.
A nulla valsero le opposizioni del partito comunista giapponese e di altre organizzazioni progressiste contro questa invasione imperialistica. Decine di migliaia di persone vennero
arrestate, due dirigenti del partito comunista vennero uccisi dalla polizia, furono sciolte tutte le organizzazioni di sinistra e lo stesso partito comunista.
LA PROGRESSIVA MILITARIZZAZIONE DEL GIAPPONE
Il governo presieduto dell’ammiraglio Okada, che era subentrato nel luglio 1934 al governo dell’ammiraglio Saito, continuò la politica di consolidamento delle posizioni del capitale
statale-monopolistico e la preparazione della “grande guerra”. I monopolisti ottennero sovvenzioni statali e commesse militari che assicurarono loro enormi profitti.
Il governo favorì in primo luogo quei settori della produzione che erano legati alla preparazione della guerra. Una particolare attenzione venne dedicata all’industria pesante. Nel
1934 fu creato un grande trust metallurgico semistatale del quale fecero parte le fabbriche statali e alcune aziende appartenenti ai consorzi Mitsui, Mitsubishi ecc. Tre quarti del
capitale del trust erano dello Stato. Le commesse militari del governo raggiunsero i 5 miliardi e mezzo di yen nel 1932-1936, stimolando il rapido sviluppo dell’industria pesante.
La produzione della ghisa in Giappone (compresa la Corea) aumentò, nel periodo 1929-1936, da 1,2 milioni a 2,3 milioni di tonnellate; la produzione dell’acciaio aumentò negli
stessi anni da 2,3 milioni a 5,3 milioni di tonnellate. Dal 1931 al 1936 furono investiti nell’industria bellica quasi 7 miliardi di yen, di cui circa 5,3 nella costruzione di nuove fabbriche.
Enormi somme furono spese per rafforzare e modernizzare l’esercito e la marina: nel 1935-1936 esse raggiunsero i 1.023 milioni di yen, mentre nel periodo 1933-1934 le spese
militari erano state di 852 milioni di yen.
Sorsero però, inevitabilmente, serie difficoltà finanziarie, e il deficit del bilancio statale raggiunse un miliardo di yen, mentre la somma dei prestiti statali raggiunse i 9 miliardi. Lo
Stato cercò di superare le difficoltà economiche e politiche causate dalla militarizzazione con un intensificato sfruttamento dei lavoratori e con una politica interna reazionaria. La
giornata lavorativa era di 11 e più ore, mentre i salari vennero diminuiti. Un’operaia tessile giapponese riceveva un salario 7 volte inferiore a quello della sua collega britannica.
Aumentò anche il numero dei disoccupati. Nel periodo 1933-1935 vennero gettate in carcere 24.000 persone, accusate di “comunismo” o di simpatia per i comunisti.
Nell’autunno del 1935, nelle elezioni delle rappresentanze di circondario, le due grandi organizzazioni sindacali, la Federazione del lavoro e la Lega generale dei sindacati, che
contavano nelle loro file circa 100.000 aderenti, si accordarono su di un programma di unità di azione, e nel gennaio del 1936 si unificarono.
Con una legge del 1933 il governò aveva stabilito prezzi fissi sul riso, acquistandone grossi quantitativi dai contadini. I contadini più poveri, costretti in autunno a vendere il riso ai
bassi prezzi statali, dovevano poi acquistarlo in primavera sul mercato a prezzi elevati. Alla fine del 1934 e nella prima metà del 1935 una carestia colpì le campagne giapponesi.
Nel periodo 1935-1936 i conflitti furono 2-3 volte più numerosi di quelli registrati nel periodo 1929-1933, e nel 1936 raggiunsero la cifra di 5.500. Ciò era dovuto soprattutto alla
cacciata degli affittuari dalla terra, all’alto canone di affitto, agli acquisti statali di riso a prezzi fissi. Accanto ai contadini poveri partecipavano alla lotta anche quelli medi. Alla testa
del movimento contadino si pose l’associazione di sinistra delle unioni dei contadini, che chiedeva la concessione di terra ai contadini e l’abrogazione delle leggi più inique.
IL PUTSCH MILITARE-FASCISTA DEL 1936
Preoccupati dal crescente inasprimento della lotta di classe i gruppi dirigenti nipponici tendevano sempre più a una dittatura apertamente fascista. Uno dei gruppi militari
giapponesi, il “Kodoha” (“Fazione del Cammino Imperiale”), che poggiava sui proprietari fondiari e sulle concentrazioni monopolistiche, si poneva l’obiettivo d’instaurare, mediante
congiure e rivolte, un “socialismo di stato con al centro l’imperatore” e la conquista dei paesi asiatici confinanti col Giappone. Questo gruppo era formato soprattutto dai
rappresentanti dei cosiddetti “giovani ufficiali”.
Un’altra organizzazione militare, il “Toseiha” (“Fazione del Controllo”) riteneva necessario consolidare l’apparato statale esistente e compiere la fascistizzazione del regime
monarchico senza ricorrere a congiure e rivolte.
I dissensi nel campo dei militari assunsero forme assai aspre quando il ministro della guerra Hayashi, che rappresentava il “Fazione del Controllo”, attuò un’epurazione nell’esercito,
esonerando dai loro incarichi molti sostenitori della “Cammino Imperiale”, i quali passarono al terrorismo aperto, finché il 12 agosto 1935 fu ucciso uno dei capi della “Fazione del
Controllo”.
Tuttavia le elezioni parlamentari svoltesi nel febbraio 1936 indicarono che la politica avventuristica incontrava una sempre maggiore resistenza. Tutte le organizzazioni fasciste
vennero sconfitte, ottenendo solo 200.000 voti e 5 seggi in parlamento.
Di fronte alla sconfitta elettorale, i “giovani ufficiali” decisero di ricorrere alla rivolta aperta per instaurare una dittatura militare-fascista capeggiata dal generale Mazaki. Il 26
febbraio, 1.500 rivoltosi occuparono vari edifici governativi e compirono una serie di atti terroristici: furono uccisi varie personalità di spicco, mentre il premier Okada riuscì a fuggire
in tempo dalla sua residenza.
Nonostante questo la rivolta fallì, poiché considerevoli forze dell’esercito e della marina si schierarono con la “Fazione del Controllo”. Dopo una resistenza di tre giorni i rivoltosi
capitolarono: 18 capi della congiura furono fucilati e 60 “giovani ufficiali” vennero condannati a periodi più o meno lunghi di reclusione, oppure passati nella riserva o trasferiti in
zone remote del paese.
Dopo la liquidazione del complotto si fermò un nuovo ministero presieduto da Hirota Hirotake, strettamente legato all’ambiente militare della “Fazione del Controllo”. Si decise allora
di nominare alla carica di ministro della guerra e della marina solo generali o ammiragli in servizio militare attivo, per non consentire un eventuale indebolimento del controllo dei
militari sul governo.
Il ministero Hirota attuò una serie di misure reazionarie: il divieto dei festeggiamenti del 1° maggio; le leggi “sul controllo della corrispondenza pericolosa” e “sul controllo delle idee
pericolose”; lo scioglimento dei sindacati nelle fabbriche militari ecc. In politica estera fu continuata la preparazione diplomatica della “grande guerra”.
Nel novembre 1936 il Giappone firmò con la Germania di Hitler il “patto anti-Komintern”. Alle frontiere con l’Urss e la Mongolia vennero provocati nuovi “incidenti”. All’inizio del 1937
il governo Hirota fu sostituito da quello non meno reazionario di Hayashi, che nel marzo dello stesso anno sciolse il parlamento e indisse nuove elezioni, pensando di rafforzare le
proprie posizioni. Ma, contrariamente alle aspettative, le elezioni diedero una grande vittoria ai suoi avversari.
Gli sforzi congiunti degli ambienti della corte e dei grandi monopoli riuscirono a formare il ministero del principe Konoe, legato sia alla “Fazione del Controllo” che ai “giovani
ufficiali”. Konoe riuscì a ottenere un consolidamento provvisorio di tutti i partiti della borghesia e dei grandi proprietari fondiari, sulla base del riconoscimento del programma bellico
e della conservazione delle prerogative del parlamento. La via per l’attuazione dei piani della “grande guerra” era aperta.
SECONDA GUERRA SINO-GIAPPONESE 1
Il 7 luglio 1937 il Giappone militarista iniziò una nuova penetrazione nella Cina del nord, ritenendo che l’arretratezza tecnico-militare del paese, la debolezza del suo governo
centrale, cui numerosi comandanti militari locali negavano obbedienza, avrebbero consentito un rapido successo entro pochi mesi. Con un esercito di 300.000 uomini i giapponesi
entrarono a Tientsin e a Pechino e in molte altre città e in agosto cominciarono i combattimenti per occupare Shanghai.
L’8 luglio il Partito comunista cinese invitò il popolo a partecipare alla guerra nazionale contro gli invasori giapponesi e chiedeva al Kuo Min Tang di collaborare: in cambio
prometteva di sospendere la confisca delle terre dei proprietari fondiari e di porre l’Armata Rossa sotto un comando unico di tutte le forze armate della Cina. Per sollevare le
condizioni di vita dei contadini si proponeva una diminuzione dei canoni d’affitto della terra e degli interessi dovuti agli usurai.
Nel clima di slancio patriottico generale il Kuo Min Tang non osò respingere le proposte del partito comunista. Venne così formato il fronte unico nazionale antigiapponese,
composto da elementi assai diversi per la loro origine sociale e quindi con motivazioni assai diverse per conseguire l’obiettivo finale.

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Nel settembre del 1937, mentre le truppe del Kuo Min Tang subivano una sconfitta dopo l’altra e abbandonavano al nemico grossi centri abitati, le forze armate popolari, dirette dai
comunisti, ingaggiarono una guerra partigiana nelle retrovie del nemico, causandogli perdite consistenti.
Tuttavia nel periodo novembre-dicembre 1937 le truppe giapponesi s’impadronirono nella Cina orientale di Shanghai, Nanchino e altre importanti città, anche grazie al tradimento
del comando del Kuo Min Tang.
Nell’ottobre 1938, nonostante la resistenza del fronte partigiano, le truppe giapponesi entrarono a Canton. Ma qui si dovettero fermare, poiché la guerra nelle retrovie giapponesi
assunse un carattere di massa e nel 1938 gli effettivi avevano raggiunto i 180.000 uomini.
Dal canto suo il Kuo Min Tang continuava a sperare di poter giungere a un compromesso con gli imperialisti giapponesi, ristabilendo la situazione esistente al 7 luglio 1937. Il
governo del Kuo Min Tang, infatti, era disposto a lasciare nelle mani degli invasori l’intero nord-est della Cina e una parte della Cina settentrionale e, per questo motivo, Chiang Kai-
shek si dichiarava disposto a iniziare trattative di pace.
In due anni di guerra la Cina venne perduto un territorio enorme con importanti centri industriali e quasi l’intera rete ferroviaria. Dalla fine del 1938 la forza principale della resistenza
del popolo cinese contro gli invasori giapponesi furono le armate dirette dal partito comunista e il fronte principale di guerra fu costituito dalle zone liberate nelle retrovie del nemico.
L’APPOGGIO DELL’URSS ALLA LOTTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE DEL POPOLO CINESE. LA POLITICA IMPERIALISTICA DELLE POTENZE OCCIDENTALI
Nella situazione determinata dall’aggressione giapponese in Estremo Oriente acquistò una certa importanza il trattato di non aggressione firmato dall’Urss e dalla Cina il 21 agosto
1937. L’articolo 1 infatti condannava il ricorso alla guerra per risolvere le divergenze internazionali e come strumento di politica nazionale nei loro reciproci rapporti. Il governo
sovietico si pronunciò anche contro i massicci bombardamenti delle città cinesi, che causavano migliaia di vittime tra i civili e nel 1938 concesse alla Cina un prestito di 100 milioni
di dollari e nel 1939 un nuovo credito di 150 milioni, senza legarli ad alcuna clausola politica, né ad alcuna garanzia.
Le potenze occidentali, invece, benché l’occupazione di territori cinesi da parte del Giappone fosse in contrasto con i loro interessi sia in Cina che in tutto il bacino del Pacifico,
svolsero una politica d’incoraggiamento dell’aggressore, poiché consideravano il Giappone “la principale forza anticomunista” in Estremo Oriente, destinata a soffocare il
movimento di liberazione nazionale in Cina e ad aggredire l’Urss. E così, dopo l’aggressione del Giappone alla Cina, gli Stati Uniti dichiararono ch’essi assumevano “un
atteggiamento amichevole, imparziale”, e non intendevano dichiarare il Giappone responsabile dello scatenamento della guerra in Cina. Un atteggiamento simile assunse anche il
governo britannico.
La violazione da parte del Giappone del trattato di Washington delle nove potenze, del “patto Briand-Kellogg” e di altri trattati internazionali non incontrò la necessaria opposizione,
nemmeno da parte della Società delle Nazioni. La discussione del conflitto sino-giapponese in seno alla Società si limitò alla decisione di sottoporre il problema all’esame di una
conferenza delle potenze firmatarie del trattato di Washington del 1922.
Ai primi di novembre del 1937 si aprì a Bruxelles la conferenza delle potenze firmatarie del trattato di Washington per discutere la situazione creatasi in Estremo Oriente. Il
Giappone e la Germania rifiutarono di partecipare alla conferenza. Benché l’Urss non avesse firmato il trattato di Washington, essa inviò una propria delegazione allo scopo di
difendere gli interessi del popolo cinese.
La delegazione cinese chiese che la conferenza di Bruxelles decidesse sanzioni economiche contro l’aggressore e offrisse aiuto alla Cina. Quella sovietica appoggiò queste
richieste in base all’articolo 16 dello statuto della Società delle Nazioni. Le sanzioni economiche da parte delle potenze aderenti alla Società delle Nazioni nei confronti del
Giappone potevano essere una misura valida per fermare l’aggressore, dato che la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, la Cina (senza la Manciuria), l’Olanda, l’Indonesia, la Francia,
l’Indocina fornivano al Giappone circa i tre quarti del suo fabbisogno di materie prime. Il Giappone dipendeva quasi completamente dalle importazioni dalla Gran Bretagna, dagli
Stati Uniti e dall’Olanda per materie prime importantissime dal punto di vista strategico-militare, quali il ferro, il piombo, lo stagno, il manganese. Ma la proposta delle sanzioni non fu
appoggiata dalla Francia, dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti. Il delegato italiano, che alla conferenza si fece portavoce delle potenze dell’Asse, approvò addirittura l’aggressione
giapponese.
In sostanza la conferenza di Bruxelles (che si chiuse il 24 novembre 1937) si limitò ad approvare alcune dichiarazioni verbali, nelle quali si affermava che le azioni del Giappone in
Cina contrastavano con trattato di Washington delle nove potenze e si chiedeva al Giappone di cessare le operazioni militari, senza però prendere misure di alcun genere contro
l’aggressore. Anzi, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna continuarono anche in seguito a prestare aiuti ai militaristi giapponesi. Nel 1938 il Giappone ottenne dagli Stati Uniti prestiti e
crediti per 125 milioni di dollari, una grande quantità di macchine utensili, di attrezzature militari e di armamenti. La Gran Bretagna aiutò il Giappone nei trasporti dei carichi militari in
Cina, diventando il suo secondo fornitore di materiali strategici. I banchieri britannici parteciparono al finanziamento delle operazioni militari del Giappone, insieme alla Germania e
all’Italia.
 

LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA


Negli anni 20 la Spagna era una delle regioni più povere e arretrate d’Europa. La maggior parte degli abitanti viveva coltivando. Le uniche zone industrializzate erano il Paese
Basco e la
Catalogna. Essi avevano un altro importante tratto in comune: entrambe possedevano un fortissimo senso della propria diversità e peculiarità rispetto alla Castiglia e quindi
premevano da tempo sul governo centrale per avere ampia autonomia amministrativa.
A livello politico la Spagna era una monarchia costituzionale, ma il sistema parlamentare era gravemente corrotto. L’esercito inoltre aveva assunto l’abitudine di intervenire con la
violenza per orientare la dinamica politica.

DALLA REPUBBLICA ALLA GUERRA CIVILE


Nel settembre 1923 ci fu l’ennesimo intervento militare nella vita politica e il generale Miguel primo de Rivera si impossessò del potere, creando un governo ispirato a Mussolini.
Incapace di dominare una situazione economica sempre più grave e più complessa egli si dimise nel 1930 e il 14 aprile 1931 venne ufficialmente proclamata la Repubblica. La
Repubblica cominciò ad essere osteggiata dai cattolici quando la nuova costituzione proclamò che lo Stato spagnolo non aveva nessuna religione ufficiale e che esso in nome del
principio della laicità dello Stato ammetteva la possibilità di divorziare. Lo Stato repubblicano si assunse l’onere di aumentare le scuole pubbliche. L’opposizione cattolica
tradizionalista si divise ben presto in due orientamenti, denominati catastrofisti e occidentalisti. I primi erano favorevoli a un intervento secco e diretto in tempi brevi contro la
Repubblica rossa. Anche gli occidentalisti disprezzavano la democrazia, guardavano soprattutto la Germania ove Hitler aveva utilizzato le lezioni per salire al potere e infine
distruggere dall'interno il sistema parlamentare. A questa destra la sinistra non seppe opporsi, le destre pertanto vinsero le elezioni aprendo la strada a una lunga stagione di dura
conflittualità sociale. A dirigere le operazioni di repressione fu chiamato il generale Francisco Franco.

L’INSURREZIONE DEI MILITARI


Nonostante le violentissime tensioni che agitavano il paese, la vita democratica resistì fino alle nuove elezioni del febbraio 1936. La sinistra pur vincendo di stretta misura riuscì
comunque a conseguire una schiacciante maggioranza in parlamento. La rivolta dei militari venne preparata con estrema cura e infine scatenata il 17 e 18 luglio 1936 quando le
truppe di Franco erano di stanza in Marocco. Occorreva pertanto trasferirlo in Spagna il più presto possibile, Franco decise di rivolgersi a Mussolini e Hitler che accettarono di
sostenere il generale ribelle di inviandogli gli aerei necessari per effettuare il trasferimento. Nel nord il paese basco restò completamente tagliato fuori dal resto della Repubblica.
Per certi versi è strano che i baschi si siano schierati contro Franco, essi tuttavia intuirono che solo la Repubblica democratica avrebbe potuto venire incontro al loro desiderio di
autonomia amministrativa. A fine estate le due città più importanti rimaste in mano alla Repubblica erano Barcellona e Madrid. A Madrid anche molte donne imbracciarono il fucile e
ciò si rivelò una novità assoluta. Lo scontro si era ormai trasformato in una guerra di logoramento.

LA CHIESA, LA GUERRA E LE VIOLENZE ANTICLERICALI


Solo il clero basco si schierò dalla parte della Repubblica, mentre tutto il resto della Chiesa spagnola sostenne apertamente i ribelli. La carta propagandistica dell’antisemitismo fu
giocata da Franco: i protocolli dei Savi anziani di Sion furono ristampati in edizione economica e moltissime copie. Non sorprende che agli occhi dei repubblicani ogni ecclesiastico
paresse automaticamente un nemico e fosse trattato come tale. A Barcellona praticamente tutte le chiese furono distrutte o profanate. In tutto il paese vennero effettuate esecuzioni
sommarie di preti e vescovi.
LA GUERRA E LO SCENARIO INTERNAZIONALE

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Il movimento comunista internazionale si mobilitò a favore della Spagna repubblicana e creò le brigate internazionali. L’unione sovietic cominciò ad inviare regolarmente armi e
consiglieri militari per bilanciare il contributo italiano e tedesco sul fronte opposto. Stalin richiese che le armi sovietiche fossero pagate in oro; la Francia e l’Inghilterra preferirono
restare fuori dalla guerra spagnola e assunsero un atteggiamento di assoluta equidistanza, in pratica scelsero di non scegliere.
Il generale tedesco von Richtofen decise di bombardare un ponte sul fiume Guernica. La strage di Guernica fu immortalata da Picasso in uno dei quadri più celebri del 900.
L’episodio in sé però non deve essere sopravvalutato e tanto meno a trasformarsi in un mito storico, infatti non fu il primo un bombardamento aereo, se ne ricordano di ben più
gravi su Madrid. Il 26 gennaio 1939 le truppe franchiste entrarono a Barcellona, pochi mesi più tardi era la volta di Madrid.

LA POLITICA ESTERA TEDESCA NEGLI ANNI 1937-1938


Fino al 1936 i rapporti tra Italia fascista e Germania nazista erano stati decisamente tiepidi. A partire dalla crisi d’Etiopia, le relazioni fra i due regimi si fecero sempre più strette al
punto che nel novembre 1936 Mussolini proclamò solennemente l’esistenza di un asse Roma-Berlino. L’Inghilterra era disponibile ad accettare una revisione dei confini tedeschi
fissati a Versailles, a patto che ciò non alterasse eccessivamente l’equilibrio politico europeo nel suo complesso. Tale politica condotta soprattutto dal Primo Ministro Chamberlain e
definita correntemente mediante l’espressione appeasment portò la Gran Bretagna a svolgere regolarmente un notevole ruolo di freno nei confronti della Francia, che si
considerava il vero garante dell’ordine uscito da Versailles. Il 25 novembre 1936 si ebbe la firma di un patto anticomintern tra Germania e Giappone in direzione antisovietica. Hitler
sperò a lungo di avere come alleato nella sua lotta contro l’unione sovietica anche l’Inghilterra, ma fu costretto a ripiegarsi sull’Italia. La prima vera mossa tedesca nella direzione
dello scardinamento dell’ordine fu l’annessione dell’Austria, realizzata dall’entusiasmo generale della popolazione. In Italia l’annessione non suscitò alcuna reazione negativa. Per
esaminare la questione fu convocata a monaco una riunione a quattro alla quale parteciparono Hitler, Mussolini, Chamberlain e Il primo ministro francese. In quella sede si decise,
senza interpellare il governo della Cecoslovacchia che essa doveva cedere al terzo Reich la regione dei Sudeti. L’equivoco in cui caddero i britannici fu quello di pensare che Hitler
desiderasse come loro mantenere la pace in Europa. Il risultato di questo equivoco fu che Hitler proseguì nelle sue azioni dimostrative tant’è vero che nel 1939 la Germania occupò
anche Praga, la Boemia e la Moravia.

IL PATTO DI NON AGGRESSIONE RUSSO-TEDESCO


La situazione prese a chiarirsi allorché Hitler, deciso a portare a termine il suo programma di espansione di conquista pose la Polonia di fronte ad una netta alternativa. Le venne
esplicitamente proposto di entrare a far parte del patto anticomintern, ma essa rifiuto e Hitler decise allora di cancellare la Polonia come entità statale. L’occupazione della Polonia
avrebbe irrimediabilmente compromesso l’equilibrio europeo; ormai pienamente consapevole delle intenzioni egemoniache di Hitler, Chamberlain pronuncia una solenne
dichiarazione di garanzia dell’indipendenza polacca. Per la seconda volta pertanto la Germania si trovò costretta ad appoggiarsi all’Italia con la quale firmò nel 1939 il patto
d’acciaio: un’alleanza militare completa e incondizionata. Il governo fascista fu però costretto ad ammettere che l’Italia non sarebbe stata pronta per una guerra di vaste proporzioni
prima del 1943. Poiché la Polonia si era trasformato in un ostacolo, Hitler giunse ad un provvisorio accordo tattico con Stalin. Il dittatore russo era stato a più riprese interpellato da
Francia e
Inghilterra affinché l’unione sovietica si alleasse con loro e con la Polonia, in funzione antitedesca.
L’accordo però non si era concretizzato in quanto la Polonia non voleva assolutamente che le truppe russe transitassero sul suo territorio. Così quando Hitler offrì alla Russia un
patto di non aggressione Stalin accettò immediatamente la proposta. L’accordo fu firmato il 23 agosto 1939. Venne poi siglato anche un protocollo segreto che prevedeva in caso di
guerra contro la Polonia di una delle due potenze una vera e propria spartizione della Polonia stessa.

SECONDA GUERRA MONDIALE


LA GUERRA LAMPO IN POLONIA
Il 1 settembre 1939, le truppe tedesche penetrarono in territorio polacco. 3 giorni dopo, Inghilterra e Francia dichiararono guerra alla Germania. La Germania aveva bisogno
dell’unione sovietica non solo sotto il profilo strettamente strategico-militare, ma anche dal punto di vista economico. Solo la Russia poteva garantire al terzo Reich regolari
rifornimenti di petrolio e di altre materie prime fondamentali. La campagna militare in Polonia fu di una velocità sorprendente: Varsavia capitolo dopo che le forze tedesche ebbero
travolto l’esercito polacco mediante l’applicazione della cosiddetta guerra lampo. Essa si basava sull’utilizzo combinato delle nuove armi che resero la seconda guerra mondiale un
conflitto radicalmente diverso: l’aviazione e il carroarmato. Nel 1939 la Germania non aveva affatto impostato tutta la propria vita economica e sociale in direzione del riarmo. Il
tenore di vita dei tedeschi e la disponibilità di beni di consumo in Germania erano ancora decisamente elevati e Hitler non poteva permettersi di abbassarli se voleva mantenere il
consenso di una popolazione che era entrata in guerra contro voglia e senza entusiasmo. Infine la massiccia importazione di materie prime dall’unione sovietica mostrava
chiaramente che il terzo Reich non disponeva di risorse interne sufficienti: di qui l’individuazione di una geniale tattica militare.

L’INTERVENTO SOVIETICO
Da est entrò in Polonia anche l’armata russa, con l’obiettivo di occupare i territori assegnati all’unione sovietica dal protocollo segreto. Francia e Inghilterra avrebbero dovuto
dichiarare guerra immediata anche all’unione sovietica, in realtà decisero di non allargare il conflitto. Germania e Russia si accordarono in modo più preciso per la spartizione delle
rispettive sfere di influenza nell’Europa orientale; in quella circostanza Hitler permise ai sovietici di occupare anche gli Stati baltici della Lettonia dell’Estonia e della Lituania. Nelle
intenzioni di Stalin anche la Finlandia avrebbe dovuto cedere una parte del proprio territorio all’unione sovietica. I finnici, tuttavia si opposero alle pretese sovietiche cosicché iniziò
un conflitto che si sarebbe risolto a favore dell’armata Rossa. L’unione sovietica fu espulsa dalla società delle nazioni, mentre l’Inghilterra si propose di intervenire militarmente a
fianco della Finlandia. Per le stesse ragioni da parte francese si progettò di attaccare i giacimenti petroliferii del Caucaso. Si tratta di progetti vaghi e mai realizzati: la guerra
mondiale avrebbe potuto prendere un indirizzo del tutto diverso rispetto all’andamento che poi assunse definitivamente.

LA GUERRA IN OCCIDENTE DEL 1940


L’esercito tedesco occupò la Danimarca e la Norvegia, la guerra lampo nazista investì Olanda Belgio e Francia. Risultarono decisive la velocità e la capacità d’urto delle forze
corazzate appoggiata all’aviazione: aggirato da nord il sistema di fortificazioni denominato linea Maginot, i tedeschi sfondarono il fronte alleato vicino a Sedan e riuscirono a isolare
le armate nemiche impegnate nella Francia settentrionale. La disfatta anglo-francese fu totale e l’unico successo consistette nel fatto che gli inglesi riuscirono a evacuare dal porto
di Dunkerque le truppe in ritirata. Le truppe tedesche entrarono trionfalmente a Parigi, la Francia venne divisa in due zone: mentre il Nord fu posto sotto il diretto controllo tedesco,
nel sud fu instaurato un governo conservatore.
Guidato da Petain, il nuovo esecutivo insediato a Vichy si dichiarò disposto a collaborare con i tedeschi, fu in quel momento che il prestigio di Hitler toccò il suo massimo livello. Il
19 luglio, in un discorso al parlamento, Hitler offrì alla Gran Bretagna la pace, a Londra tuttavia il Primo
Ministro Churchill, il più fiero avversario della politica dell’ appeasement rifiutò. Lo Stato
Maggiore tedesco iniziò a progettare l’invasione della Gran Bretagna. Così ebbe luogo la cosiddetta battaglia d’Inghilterra. L’aviazione inglese tuttavia riuscì ad infliggere enormi
perdite a quella avversaria in virtù sia della superiorità tecnica dei propri caccia, sia del rivoluzionario utilizzo del radar. Verso la fine dell’estate e in autunno Londra fu colpita
praticamente ogni giorno e ogni notte.

LA SITUAZIONE NELL’EUROPA ORIENTALE


Hitler rinunciò definitivamente al progetto di invadere la Gran Bretagna. Il Fuhrer agì prima sul piano diplomatico e rinsaldò i rapporti con i propri alleati: la Germania strinse con
l’Italia e il Giappone il patto tripartito che impegnava i tre paesi a fornirsi assistenza politica e militare. Nel frattempo l’espansionismo sovietico non si era fermato. La Germania
occupò militarmente la Romania che aderì al patto tripartito insieme all’Ungheria e alla Slovacchia. Hitler però fu costretto a soccorrere con l’Afrika Korps l’esercito italiano incalzato
in Libia dagli inglesi; poi a inviare truppe in Jugoslavia dove un colpo di Stato aveva tolto il potere al governo autoritario filo tedesco. Queste operazioni fecero sì che il vero obiettivo
di Hitler, l’attacco dell’unione sovietica, subisse ritardo di un paio di mesi.

PROGETTI, PROMESSE E MOTIVAZIONI DELL’ATTACCO TEDESCO IN URSS

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La speranza del Fuhrer era di poter sconfiggere l’unione sovietica con una nuova guerra lampo. A questa valutazione ottimistica della situazione il dittatore tedesco fu mosso da
una serie di fattori, fra i quali le difficoltà incontrate dall’armata Rossa in Finlandia e le pesanti epurazioni condotte da Stalin tra i generali, condizioni che avevano contribuito a
indebolire l’esercito sovietico. Un altro elemento decisivo fu poi la sua concezione razzista: l’unione sovietica era comandata da una banda di bolscevichi ebrei, capaci solo di
disgregare e decomporre le energie vitali di un popolo. Questa concezione razzista è alla base anche della particolare brutalità che caratterizza la guerra oriente.
Nel 1941 a più riprese il comando supremo tedesco ricevette precise istruzioni sulla necessità che l’esercito venisse accompagnato da speciali reparti di s.s., incaricati di eliminare
la classe dirigente sovietica. Hitler nei suoi progetti avrebbe voluto indurre anche la Gran Bretagna a una pace di compromesso con la Germania. In alternativa le immense riserve
agrarie minerali russe avrebbero fornito al terzo Reich le risorse alimentari e di materie prime per combattere una lunga guerra di logoramento.

SUCCESSI E LIMITI DELL’OFFENSIVA SUL FRONTE ORIENTALE


Denominata in codice operazione Barbarossa, l’offensiva iniziò il 22 giugno 1941 cogliendo completamente di sorpresa Stalin. Alla fine dell’estate 1941 i sovietici furono costretti ad
arrendersi al momento della conquista di Kiev e furono catturati nei pressi dell’Ucraina. I Nazisti presero come pretesto il fatto che l’unione sovietica non ha firmato la convenzione
di Ginevra sui prigionieri di guerra, in realtà il disprezzo razzista contro i sotto uomini slavi si mescolava con l’odio per il nemico bolscevico. L’esercito di Hitler era riuscito ad
avanzare in territorio russo per una profondità di 800 km, mentre a sud la conquista dell’Ucraina non si rivelò così decisiva come si era sperato. Quanto al settore centrale del
fronte, l’esercito subì una prima battuta d’arresto, poi però le truppe di Hitler arrivarono fino ai sobborghi di Mosca. L’armata Rossa contrattaccò davanti alla capitale, provocando la
trasformazione della guerra lampo in una micidiale guerra di logoramento. Stalin aveva esortato il popolo russo alla resistenza a oltranza contro l’invasore e a far uso sistematico
della tattica della terra bruciata e della lotta partigiana. Il brutale comportamento dei nazisti spese ben presto le illusioni di che aveva sperato di poter riversare la spietata dittatura
staliniana con l’aiuto dell’esercito tedesco.

IL PROGRESSIVO ALLARGAMENTO DEL CONFLITTO NEL 1941


il governo inglese avrebbe sostenuto in ogni modo possibile la lotta del popolo russo: la Gran Bretagna godeva dell’appoggio politico ed economico degli Stati Uniti, che il
presidente Roosevelt definì arsenale delle democrazie. Nel 1941 l’aiuto americano trovo un’espansione ancora più efficace mediante la cosiddetta legge affitti e prestiti. Essa
prevedeva che il presidente avesse il potere di mettere le risorse americane a disposizione della difesa di quegli Stati la cui sconfitta militare avrebbe messo in pericolo la sicurezza
degli USA. Churchill e Roosevelt si incontrarono e stesero insieme un documento programmatico noto come carta atlantica. Il testo riprendeva i 14 punti lanciati da Wilson e quindi
proclamava che tutti i popoli, sconfitto il nazismo, dovevano recuperare la sovranità e l’indipendenza eventualmente perdute oltre a essere liberi di scegliere la forma di governo
sotto la quale intendevano vivere. La legge affitti e prestiti fu estesa anche alla Cina. Nell’estate 1941 il Giappone si trovava di fronte a una grave alternativa, in quanto Hitler la
incitava intervenire in Siberia e a schiacciare l’unione sovietica. Tuttavia il governo giapponese scarto una simile ipotesi, il Giappone e dunque non aprì mai le ostilità nei confronti
dell’unione sovietica.

L’ENTRATA IN GUERRA DI GIAPPONE E STATI UNITI


Roosevelt, temendo che l’espansione giapponese potesse progressivamente estromettere la Gran Bretagna e gli Stati Uniti dai mercati dell’estremo oriente, reagì il 26 luglio
annunciando il blocco di tutti i beni giapponesi negli USA e l’embargo di ogni prodotto nei confronti del Giappone stesso. Poiché a tale chiusura delle forniture si associarono
immediatamente anche la Gran Bretagna, i paesi del Commonwealth e l’Olanda, il Giappone si decise per la guerra nei confronti delle potenze occidentali, accusate di voler
impedire la creazione della vasta sfera economica asiatica, la cosiddetta sfera di co-prosperità della grande Asia orientale. Il 7 dicembre 1941 l’aviazione nipponica attaccò la base
americana di Pearl Harbor, nelle Hawaii. Tuttavia le quattro porta aerei in dotazione della flotta statunitense non si trovano nel porto al momento dell’attacco. Restarono indenni le
unità navali più importanti ai fini della prosecuzione del conflitto nel Pacifico. Nei primi mesi del 1942, il Giappone non fece che accumulare successi. I principali possedimenti
inglesi americani in Asia orientale furono conquistati uno dopo l’altro, mentre l’occupazione della Birmania portò l’esercito giapponese praticamente ai confini con l’India britannica.
La grande battaglia a largo delle isole Midway può essere considerata la prima vera battuta d’arresto dell’espansione giapponese: l’aviazione americana infatti riuscì ad affondare
quattro grandi portaerei nipponiche.

STALINGRADO
Nel 1941 Hitler dichiarò guerra agli Stati Uniti. Il Fuhrer sapeva che gli USA era la più forte potenza industriale del mondo, ma sperava di poter bloccare i rifornimenti americani
all’Inghilterra. La sicurezza di Hitler poggiava soprattutto sulla convinzione che la Germania, dopo la sconfitta della Russia in tempi brevi avrebbe ben presto potuto utilizzare le sue
immense risorse. Nell’estate del 1942, l’esercito germanico riprese la sua avanzata in territorio sovietico, l’offensiva non ebbe questa volta come obiettivo principale Mosca, bensì i
campi petroliferi del Caucaso. Dopo alcune clamorose vittorie estive, il 23 luglio Hitler compì l’errore strategico più grave di tutta la guerra, in quanto ordinò all’esercito di dividersi in
due gruppi di armate, in modo da attaccare contemporaneamente sia il Caucaso sia Stalingrado. Il risultato fu che nessuno dei due obiettivi viene conseguito visto che la capacità
d’urto delle armate tedesche fu compromessa da quella divisione di forze. Nel 1942 l’armata Rossa passo al contrattacco. Hitler vietò esplicitamente al generale ogni ritirata dalla
città in cui tedeschi si erano trasformati in assediati. Il risultato fu che il generale fu costretto ad arrendersi. Per molti aspetti quella di Stalingrado fu la battaglia decisiva di tutta la
guerra.

L’ORGANIZZAZIONE DELLA PRODUZIONE BELLICA IN GERMANIA


I tedeschi lanciarono nella Russia centrale un’ultima poderosa offensiva, denominata operazione
Zitadelle. Ebbe luogo la più vasta battaglia campale di tutta la guerra. Sconfitto ancora una volta, Hitler decise allora di procedere a una mobilitazione di tutte le risorse tedesche,
ciò significa che per la prima volta dall’inizio della guerra, gli investimenti diretti ai beni di consumo furono in Germania drasticamente ridotti, mentre il tenore di vita dei tedeschi
venne ridimensionato. Il compito di gestire l’economia tedesca in questo disperato sforzo fu assegnato ad Alberto Speer. I risultati ottenuti dall’organizzazione costruita da Speer
hanno del miracoloso. Le incursioni aeree anglo americane sul centro industriale della Germania si fecero sempre più massicce. Per sopperire alla carenza di manodopera,
vennero deportati in Germania tecnici e operai prelevati su tutto il territorio controllati dall’esercito tedesco. Nel 1944 la cifra globale dei lavoratori stranieri occupati in Germania
superava i 7 milioni. Quanti provenivano dai paesi occidentali erano tutti trattati in modo relativamente recente, russi e polacchi invece furono in genere sfruttati come veri e propri
schiavi. Le modalità di reclutamento furono ben presto così sommarie e brutali da lasciare perplessi persino molti funzionari tedeschi. Persino il governatore della Polonia denunciò
il fatto che le razzie indiscriminate di lavoratori polacchi da spedire all’interno del Reich avevano gravissimi effetti controproducenti. Solo una minima parte dei lavoratori deportati
finiva in un lager nel senso stretto del termine. Pare che l’idea di sfruttare la manodopera dei detenuti nei lager sia venuta prima di tutto ai dirigenti dell’industria Heinkel, produttrice
di aeroplani, così nessuno si lasciò sfuggire l’occasione di usare manodopera a bassissimo costo. Nessuna di queste aziende trattò i detenuti in modo umano, imprenditori e
dirigenti condividevano quasi interamente la concezione razzista di Hitler, per cui i prigionieri erano soltanto pezzi intercambiabili o sostituibili a basso costo, non soggetti portatori di
diritti.

LA CONFERENZA DI TEHERAN E DI CASABLANCA


Dal punto di vista politico, gli eventi più importanti del 1943 furono le conferenze di Casablanca e di Teheran. La decisione più importante presa Casablanca fu quella di non
interrompere la guerra fino alla resa incondizionata della Germania. La seconda guerra mondiale si trasformava così in uno scontro totale, seguendo la strada che in passato era
già stata percorsa dalla guerra civile americana, la radicale differenza rispetto al passato però stava nel fatto che nel 1943 l’aviazione riusciva a colpire direttamente i centri
produttivi e le città. Alla conferenza di Teheran invece partecipò anche Stalin, sotto il profilo militare si era deciso che entro il 1944 gli anglo americani avrebbero aperto un secondo
fronte in Francia. Una simile opzione fu osteggiata fino all’ultimo da Churchill che proponeva in alternativa uno sbarco nei Balcani, per fare un attacco da sud alla fortezza Europa
nazista. La proposta di Churchill pone in evidenza come durante la guerra permanessero tra i diversi nemici della Germania tutti quei sospetti e quelle differenze che esistevano
prima del conflitto. Solo Hitler aveva potuto indirettamente favorire nel 1941 la strana alleanza tra le due potenze liberali, da un lato e la Russia comunista dall’altro. A Teheran si

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cominciò a discutere della riorganizzazione che avrebbe subito l’Europa dopo la guerra. A proposito della Polonia, si inizia prendere in considerazione lo spostamento verso ovest,
a danno della Germania.

ESTATE 1944: SBARCO IN NORMANDIA E OFFENSIVA SOVIETICA


L’agonia della Germania nazista iniziò nell’estate del 1944 per effetto della pressoché contemporanea offensiva degli anglo americani e dei sovietici. I primi, il 6 giugno 1944
procedettero all’invasione della Francia, che ebbe come atto iniziale lo sbarco in Normandia. Il 25 agosto Parigi venne liberata, le prime truppe che entrarono nella capitale furono
francesi. Si trattava di reparti che avevano aderito a un appello lanciato dal generale Charles de Gaulle. De Gaulle assunse la carica di presidente della Repubblica francese, tutta
via la Francia non era piú una grande potenza capace di guidare e dominare la situazione politica internazionale. Nel corso dell’estate, un gruppo di militari ed industriali tedeschi
stabili di eliminare fisicamente Hitler per rovesciare la dittatura, Il Fuhrer tutta via scampò alla bomba. La situazione nazista andava peggiorando sempre di più: nel 1944 l’armata
Rossa scagliò l’offensiva decisiva che aprì ai russi le porte della Polonia. La Germania tentò di rispondere a questi colpi mettendo in funzione una serie di nuove armi, si trattava di
aerei a reazione e di razzi a lunga gittata. Le prime bombe volanti vennero soprannominati e V1 e V2. La maggior parte dei razzi etichettati dai tedeschi fu prodotta da una fabbrica
sotterranea denominata Dora.

LA FINE DELLA GUERRA IN EUROPA


Hitler lanciò un’ultima disperata offensiva a occidente, nella regione delle Ardenne, i carri armati tedeschi furono fermati dalla supremazia aerea degli anglo-americani. Gli eserciti
degli alleati penetrarono da est ed ovest all’interno del territorio tedesco vero e proprio. Fino all’ultimo Hitler aveva sperato che i dissidi e i conflitti di interesse tra le varie potenze
impegnate combattere il terzo Reich degenerassero in uno scontro aperto. Tale speranza però fu spenta allorché il nuovo presidente Herri Truman non mutò minimamente la linea
politica del suo predecessore. Chiusa nel suo Fuhrer bunker di Berlino, Hitler perse completamente il controllo della situazione. Non solo continuò a dirigere eserciti tedeschi di
fazioni corazzate che ormai non esistevano più, ma comunicò a Speer il cosiddetto ordine di Nerone: sentitosi tradito dal popolo tedesco, ora Hitler ne auspicava la completa
distruzione. Egli muoveva dal presupposto secondo cui in Germania ciò che restava dopo la battaglia erano solo gli esseri inferiori, quelli buoni erano caduti, così il 30 aprile si tolse
labvita. I russi avevano già sferrato l’attacco finale contro Berlino, la cui guarnigione si arrese. La capitolazione ufficiale tutta via avvenne solo dopo cinque giorni. Alla mezzanotte
dell’8 maggio 1945 in Europa la seconda guerra mondiale era ufficialmente finita.

LA FINE DELLA GUERRA IN ASIA


Nel Pacifico si giunse alla pace soltanto i primi di settembre del 1945. Invero all’inizio dell’anno anche il Giappone era alle corde. La situazione alimentare, per la popolazione era
tragica, eppure il Giappone voleva a tutti i costi evitare l’umiliazione della resa incondizionata e continuava a resistere. L’unione sovietica dichiarò guerra all’impero nipponico l’8
agosto. A quella data però gli Stati Uniti avevano già impiegato come strumento per piegare la resistenza giapponese, l’arma nucleare. La prima bomba atomica fatta esplodere il
16 luglio, il 6 agosto invece venne bombardata la città giapponese di Hiroshima e il 9 agosto fu sganciata a Nagasaki, a quel punto il Giappone chiese la resa.

LE CARENZE MILITARI ITALIANE


L’Italia non era assolutamente preparata a sostenere il peso di una grande guerra moderna. L’industria italiana era del tutto dipendente dall’estero per materie prime fondamentali
come ferro, carbone e petrolio. Secondo il patto d’acciaio l’Italia avrebbe dovuto subito entrare in guerra a fianco del terzo Reich, nel momento stesso in cui la Germania invase la
Polonia, ma il paese era del tutto privo di protezione contro i bombardamenti nemici. L’Italia non possedeva aerei, carri armati e pezzi di artiglieria moderni. I comandanti
dell’esercito insistevano sull’importanza del numero di soldati da gettare in campo di battaglia mentre non avevano fatto compreso il ruolo devastante delle divisioni corazzate.

L’INTERVENTO
A settembre 1939 Hitler comunicò a Mussolini che per la sua guerra non aveva certo bisogno dell’Italia; il duce optò allora per la cosiddetta non belligeranza che non significava
affatto neutralità, bensì pieno appoggio politico alla Germania senza effettiva partecipazione al conflitto. La rapida sconfitta della Francia sconvolse completamente i piani di
Mussolini, che il 10 giugno
1940 annunciò pubblicamente la sua decisione di scendere in campo. Sconfitta la Francia secondo
Mussolini l’Inghilterra sarebbe senz’altro scesa a patti con la Germania. Il progetto di Mussolini era di conquistare la Corsica, Nizza, la Savoia e alcune colonie, il duce sperava di
creare una duratura egemonia romana nel Mediterraneo e nei Balcani. Tuttavia la Gran Bretagna respinse ogni offerta di armistizio da parte di Hitler, l’Italia si trovò coinvolta in un
grande conflitto europeo senza avere la minima speranza di vincerlo. L’11 novembre 1940 gli aereo siluranti inglesi riuscirono senza problemi e a fondare tre corazzate nel porto di
Taranto e a mettere fuori combattimento metà dell’intera flotta da guerra italiana. In Etiopia il 6 aprile 1941 gli inglesi occuparono Addis Abeba e l’Italia divenne totalmente
dipendente dalla Germania per il proprio fabbisogno energetico. A causa della carenza di materie prime, con un simile il retroterra industriale precario, l’esercito e la marina si
trovarono subito gravi difficoltà. Mussolini però non compreso mai la strutturale debolezza dell’esercito, pertanto il 28 ottobre 1940 dichiarò guerra alla Grecia, con la campagna di
Grecia voleva mostrare che l’Italia non era una semplice pedina tedesca, bensì poteva condurre una guerra parallela. Il successo fu totale risultato fu del tutto l’opposto di come
sperato, l’esercito italiano fu salvato dalla completa disfatta solo in virtù del tempestivo intervento tedesco nei Balcani.

L’OCCUPAZIONE DELLA GRECIA


Dopo il 1945, diversi generali tedeschi sottolinearono che la decisione di salvare l’italiani dalla disfatta in Grecia ritardò all’inizio dell’operazione Barbarossa contro l’unione sovietica
e quindi impedì l’ attacco decisivo contro Mosca. In Realtà si tratta di un’affermazione di comodo. Per accedere alla Grecia i tedeschi dovettero attraversare i territori della Bulgaria
e della Jugoslavia, la prima accettò di collaborare mentre la Jugoslavia tentò di resistere, per questo venne sventrata. Per gli italiani la prima delusione venne nel 1941 subito dopo
la capitolazione della Grecia all’esercito nazista. I tedeschi infatti trattarono il paese con notevole benignità, Berlino accettò l’esistenza di un governo greco e quindi di trattenere
l’ambizione dell’italiani. I tedeschi avevano posto fine a qualsiasi speranza italiana di dominare la Grecia. Per sfuggire ai tedeschi, molti ebrei greci si recarono nella capitale nella
zona d’occupazione italiana. La determinazione italiana a proteggere gli ebrei non nasceva da spirito umanitario, ma per ragioni politiche. Impedire la cattura e la deportazione di
coloro che si erano rifiutati nella zona controllata all’italiani era un modo per ribadirela loro autonomia rispetto ai tedeschi. Nei primi tempi dell’occupazione, i problemi più gravi dei
greci furono di natura alimentare. Le truppe italiane in Grecia e in Jugoslavia erano mal equipaggiate, il dato più importante riguarda comunque il numero enorme di soldati italiani
impiegati dell’occupazione di Balcani nonostante guerra balcanica fu vissuta con scarsa partecipazione dei soldati.

LA DISPERSIONE DELLE FORZE ITALIANE


L’Africa del Nord fu il principale teatro della guerra tra Italia e Gran Bretagna. Nel febbraio 1941 le inadeguate truppe italiane furono rafforzate da un contingente tedesco,
denominato Africa Korps, guidato dal generale Rommel. Nell’autunno del 1942 gli inglesi ottennero imponenti rifornimenti e scatenarono una grande offensiva nei pressi di El
Alamein ricacciando indietro le truppe italiane e tedesche. Le truppe anglo americane sbarcarono in Marocco e in Algeria, con il risultato che le forze italiane e tedesche si trovarono
compresse in Tunisia ed infine dovettero arrendersi. L’Italia divenne così una sorta di fortezza assediata. Una delle principali cause delle ripetute disfatte italiane è da individuare
nella dispersione delle forze. Nel 1942 dopo il fallimento dell’operazione Barbarossa fu Hitler a chiedere all’Italia un maggiore contributo: così alle tre divisioni nazionali se ne
aggiunsero altre sette. In Russia il regio esercito impiegò in tutto 10 divisioni su un totale di 65: per l’esercito italiano si Trattò di uno sforzo notevole. L’armata italiana in Russia era
assolutamente inadatta per il tipo di scontro che dovette affrontare. I soldati erano privi di armi automatiche, mentre le pesanti mitragliatrici in dotazione ai reparti spesso erano
inutilizzabili nel rigido inverno russo. La qualità della lana delle divise era cattiva, e i pochi i carri armati non reggevano il confronto con quelli tedeschi e russi. La grande offensiva
dell’accerchiamento dei tedeschi sfondò il fronte in più punti e infine racchiuse anche 150.000 italiani, in maggioranza alpini in una grande sacca, costringendoli a una terribile
ritirata in mezzo alla neve. La ritirata verso ovest avvenne a piedi.

DISFATTA E PRIGIONIA IN RUSSIA


L’odissea nella neve di coloro che riuscirono a uscire dalla sacca durò una decina di giorni. In questo disastro, l’esercito italiano perse circa 95.000 uomini che morirono per le
cause più disparate. Per coloro che furono catturati l’esperienza della prigionia fu estremamente dura, a cominciare dalle marce dell’avanti con cui le guardie di scorta

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sospingevano soldati prigionieri. Enormi quantità di prigionieri che simultaneamente cadde in mano all’armata russa dopo Stalingrado completare il quadro, in cui impreparazione,
inefficienza e colpevole negligenza si rafforzano a vicenda. Nel 1942-43 ma mano che il numero di prigionieri catturati dall’armata Rossa andò aumentando, il partito comunista e la
prima internazionale organizzarono una capillare attività di propaganda fra i soldati nemici detenuti e cercarono di trasformarsi in una risorsa per diffondere disfattismo e ribellione
tra le forze avversarie. Tra i comunisti italiani che operavano a Mosca l’incarico di dirigere questa propaganda antifascista tra i prigionieri fu assegnato a Vincenzo Bianco. Bianco
tuttavia visitando i campi di prigionia si rese conto che le pessime condizioni in cui erano tenuti gli italiani ostacolavano notevolmente il lavoro di propaganda, egli si rivolse a
Palmiro Togliatti, alto esponente dell’internazionale che da lì a poco avrebbe assunto in Italia la guida del PCI. Questi però si rifiutò di intervenire presso Stalin affinché migliorasse
le condizioni di vita nei campi, egli era consapevole del totale disinteresse del dittatore sovietico verso la sorte dei prigionieri nemici.

IL FRONTE INTERNO
Sul fronte interno i prezzi dei generi alimentari salirono moltissimo. A seguito di questa drammatica situazione nel 1943 scoppiò a Torino una serie di scioperi di protesta. Il regime
fu colto alla sprovvista così il governo fu costretto ad annunciare un amento generale dei salari e degli stipendi. Appellandosi a questa simbolica data il regime voleva far finta di
mascherare la grave situazione di malcontento diffuso tra la popolazione. Il Significato degli scioperi del 1943 segna proprio in questa data la progressiva corrosione del consenso
del popolo italiano nei confronti del fascismo. Rendendosi conto di questo fatto, nell’autunno 1940 erano stati congedati ben 600000 soldati. Un segnale ancora più preoccupante
per il regime venne dall’ambiente dei giovani di estrazione borghese che nelle guerre risorgimentali e nel 1915 si erano arruolati volontari in gran numero. Nel luglio 1942 fu
modificata la normativa vigente e permetteva gli studenti universitari di completare gli studi di rinviare la chiamata alle armi nell’età di 26 anni. Il risultato fu un’improvvisa esplosione
di iscrizioni maschili alle università. Meno spettacolare fu l’episodio delle dimissioni del conte Cini da ministro delle comunicazioni. Cini infatti era una figura di primo piano nel
mondo dell’industria e dell’imprenditoria, cioè quella fascia sociale che aveva accettato che il fascismo andasse al potere, considerandolo l’unica barriera di fronte al pericolo della
rivoluzione. Le dimissioni di Cini sono per certi versi il parallelo alto borghese degli scioperi operai, si tratta di un distacco, di una presa di distanza critica.

LO SBARCO DEGLI ALLEATI IN SICILIA


Nella notte tra il 10 e l’11 luglio 1943, gli Alleati attaccarono la Sicilia. La scelta di sbarcare sul territorio italiano non nacque da una decisione strategica, ma da un compromesso e
da esigenze più politiche che militari. Roosevelt non avrebbe voluto distogliere molte truppe dalla forza di invasione destinata ad attaccare la Francia, mentre Churchill premeva per
un attacco nei Balcani. Stalin insisteva perché gli anglo americani aprissero un secondo fronte in Occidente e dal momento che Churchill e Roosevelt temevano una pace separata
di Stalin con la Germania, un’operazione di portata limitata nel Mediterraneo pareva una soluzione capace di venire incontro alle esigenze di tutti gli alleati. Solo le due divisioni
tedesche presenti in Sicilia combatterono accanitamente finchè riuscirono a riparare sul continente. Il 17 agosto gli anglo-americani erano padroni assoluti dell’isola. Il re si decise
finalmente a preparare insieme all’esercito un colpo di stato che estromettesse Mussolini dal potere e desse al paese un nuovo governo. Le motivazioni che indussero Vittorio
Emanuele III ad agire furono di natura dinastica. Il 19 luglio il re prese accordi con il generale Ambrosio e il comandante dei carabinieri, in modo da arrestare Mussolini. La seduta
del gran consiglio del fascismo, la notte tra il 24 il 25 luglio precipitò gli eventi.

LA CADUTA DEL FASCISMO


Un gruppo di alti esponenti del partito decise di sfruttare l’occasione per mettere sotto accusa Mussolini e chiederne la distruzione. Tale nucleo di dissidenti era guidato da Dino
grandi e da Galeazzo ciano. Grandi aveva fatto di tutto per mantenere buoni rapporti tra l’Italia e l’Inghilterra e impedire l’avvicinamento del fascismo a nazionalsocialismo tedesco.
Ciano invece è stato ministro degli esteri, aveva più volte sollecitato Mussolini a premere su Hitler affinché concedesse una maggiore attenzione al fronte mediterraneo o meglio
ancora che giungesse a una pace negoziata con l’unione sovietica. Hitler rifiutò in quanto considerava la lotta contro il bolscevismo come una specie di missione, di guerra di
religione. La destituzione di Ciano significa l’ennesimo allineamento di Mussolini alla volontà di Hitler. La riunione del gran consiglio del fascismo ebbe luogo il 24 luglio 1943;
Grandi pose in votazione un proprio ordine del giorno, che in sostanza esautorava Mussolini da ogni potere, essi si prospettavano una sorta di fascismo senza Mussolini. Mussolini
non ritenne affatto decisiva e vincolante la votazione dal momento che a suo avviso nell’economia globale del regime il gran consiglio avevano funzioni solo consultive non
veramente deliberative. Pertanto non prese nell’immediato un provvedimento contro Grandi e il gruppo. Il re vide nella decisione del gran consiglio la legittimazione finale del colpo
di stato che stava per attuare. Recatosi alla reggenza di Emanuele III Mussolini si sentì dire dal sovrano che non era più il capo del governo e che al suo posto per quell’incarico il
re aveva già nominato il maresciallo Pietro Badoglio. Mussolini fu arrestato e portato in una località segreta in modo che non potesse dirigere una reazione fascista diretta contro la
decisione del re. I nuovi messaggi furono accolti con entusiasmo dalla popolazione, viceversa non ci fu alcun tentativo di reazione fascista, esautorato il duce, il regime crollò.

L’ARMISTIZIO E L’8 SETTEMBRE


Intanto furono presi contatti con gli alleati per giungere a un armistizio che venne firmato a Cassibile in Sicilia il 3 settembre. L’8 settembre 1943 Badoglio si rassegnò a diffondere
via radio la notizia che l’Italia aveva cessato le ostilità con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Seguendo il piano di Achse preparato da tempo dal comando, le truppe tedesche
affluirono sempre più numerose del Brennero e in poco tempo occuparono tutto il territorio nazionale. In Italia e nei Balcani almeno 700.000 militari italiani furono catturati dai
tedeschi e deportati in Germania. Più tragica e concitata fu la vicenda di molti reparti di stanza in Grecia, in Albania o sulle isole dell’Egeo e dello Ionio; le truppe che scelsero di
resistere ai tedeschi dovettero affrontare duri combattimenti e resistere alla spietata violenza dei tedeschi. L’episodio più grave si verificò a Cefalonia dove moltissimi italiani
vennero fucilati dopo la resa.

LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA


Il 12 settembre 1943, un reparto di paracadutisti tedeschi liberò Mussolini, che era detenuto in un albergo della zona del gran sasso, in Abruzzo. Portato in Germania il duce ottenne
da Hitler il permesso di ricostruire uno Stato fascista in Italia, nacque la cosiddetta Repubblica sociale italiana che prese dimora in varie ville sulla costa del lago di Garda: e poiché
il ministero degli esteri tenuto personalmente da Mussolini, aveva sede nella città di Salò, l’espressione Repubblica di Salò venne ben presto utilizzata per indicare la nuova realtà
politica. Fu celebrato un processo contro i fascisti che avevano votato l’ordine del giorno Grandi. La RSI non ebbe vita facile. Per quanto cercasse di presentarsi come uno stato
pienamente sovrano, la sua autonomia e la sua legittimità vennero rifiutate da tutti i paesi neutrali, cosicché neppure la Spagna di Franco e il Vaticano riconobbero ufficialmente la
nuova Repubblica fascista. La stessa Germania la trattò sempre e solo al pari di un qualsiasi altro territorio occupato e non più come un alleato. Hitler ha riportato i confini italiani a
quelli del 1915, quando Trento, Bolzano e Trieste erano sotto la dominazione austriaca. Inoltre la Germania sottopose l’Italia occupata a uno spietato sfruttamento economico. Il
nuovo Stato fascista non trovo mai l’appoggio della popolazione italiana. Gli scioperi più consistenti si verificarono dall’uno all’8 marzo 1944; come le agitazioni operaie di un anno
prima anche in questo caso il motivo scatenante furono le dure condizioni di vita imposti dalla guerra. Il dato che più di ogni altro dimostra lo scollamento esistente tra RSI e
popolazione riguarda la scarsa risposta alla chiamata alle armi. In pratica l’RSI poteva contare solo su alcune unità composte da fascisti convinti e sulle cosiddette brigate nere,
nate grazie alla militarizzazione del partito.

LA SVOLTA DI SALERNO
Il 9 settembre 1943 gli anglo americani sbarcarono a Salerno, in Campania. I tedeschi tuttavia riuscirono a organizzare un efficace resistenza sulla cosiddetta linea Gustav. In
questa battaglia l’antica abazia benedettina di Montecassino venne distrutta dagli alleati. Finalmente nel maggio 1944 i tedeschi furono obbligati a ritirarsi verso nord, permettendo
la liberazione di Roma. Il re aveva provocato la fine del regime il 25 luglio 1943 e il governo Badoglio aveva proceduto, il 13 ottobre a dichiarare guerra alla Germania. Tuttavia nel
sud liberato, i partiti antifascisti continuavano a diffidare del sovrano o meglio ancora ritenevano che fosse suo dovere uscire dalla scena politica. Su questo punto insisteva
soprattutto il partito d’azione che dopo la caduta di Mussolini assunse una posizione di rigida intransigenza. Partiti più moderati come la democrazia cristiana e liberali avrebbero
accettato di dialogare con il re e Badoglio. La situazione si mise in movimento solo nella primavera del 1944 quando l’unione sovietica e il partito comunista italiano presero alcune
iniziative clamorose e spiazzarono le altre forze antifasciste, obbligandole ad adeguarsi al loro indirizzo. Il 4 marzo un diplomatico sovietico fu inviato a Salerno, dove il governo si
era trasferito e comunico a Badoglio che l’unione sovietica era disponibile e pronta a riprendere rapporti ufficiali con l’Italia. Subito dopo il suo arrivo in Italia, Togliatti dichiarò che il
suo partito era disposto a partecipare a un governo di unità nazionale, rinviando la soluzione della questione istituzionale al periodo successivo alla vittoria. Il nuovo governo
Badoglio nacque il 24 aprile 1944 e durò fino alla liberazione di Roma. A quel punto mentre Vittorio Emanuele III accettò di nominare come luogo tenente del regno il proprio figlio
Umberto, si ebbe la formazione di un altro governo, aperto a tutte le formazioni politiche antifasciste presieduto da Bonomi.

IL MOVIMENTO DI RESISTENZA

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Gli eventi dell’estate 1944 diedero un notevole impulso al movimento di resistenza, nato tra notevoli difficoltà nell’autunno precedente. In un primo tempo i reparti partigiani furono
concentrazioni di notevole entità, in quanto si trattava di unità militari che non si erano sbandate e a cui si erano aggiunti numerosi fuggiaschi. A Essi si aggiunsero poi i reparti
partigiani organizzati da partiti politici antifascisti. I comunisti crearono le brigate Garibaldi, mentre il partito d’azione diede vita alle formazioni di giustizia e libertà. Il movimento era
guidato da un comitato di liberazione nazionale, le decisioni più importanti furono presi da un comitato di liberazione Nazionale alta Italia. Nel luglio 1944 le formazioni riunivano
forse 50.000 uomini. In diverse zone del Nord Italia, l’autorità della Repubblica sociale fu di fatto sostituita da quella partigiana: gli storici contano 17-18 zone libere o repubbliche
partigiane. L’insurrezione divenne grande obiettivo politico anche per il CLNAI, che si propose di coinvolgere settori sempre più ampi della popolazione nell’attività antifascismo. L’
entusiasmo suscitato dalla liberazione di Firenze però si spense in fretta. I tedeschi riuscirono a riorganizzarsi dietro la Linea gotica e nella loro ritirata verso nord compirono
numerose stragi civili, sia in Toscana che in Emilia-Romagna. L’episodio più grave si verificò nella zona di Monte sole. Le forze partigiane furono attaccate in modo sistematico;
tutte le repubbliche partigiane furono cancellate. La sconfitta partigiana più grave ebbe luogo in Veneto. Il 13 novembre 1944 il generale inglese Aleksander rivolse un proclama ai
patrioti aldilà del Po esortandoli a cessare le operazioni su larga scala e a non esporsi in azioni troppo arrischiate. Dopo le prime sconfitte tedesche in tutte le principali città
dell’Italia settentrionale scattò l’insurrezione popolare guidata dal CLNAI Che il 25 aprile a Milano assunse i pieni poteri. Mussolini tentò di fuggire in Svizzera, ma fu arrestato il 27
aprile e fucilato il giorno seguente. Il 2 maggio le truppe tedesche si arresero. Formalmente la seconda guerra mondiale in Italia era finita, ma per qualche tempo ci fu uno strascico
di violenze. Nell’arco di un mese 4-5000 italiani furono uccisi e i loro cadaveri gettati in profonde cavità carsiche dette foibe. La gestione dell’ordine pubblico in un paese devastato
dall’odio e dal conflitto fu uno dei primi e più seri problemi dei governi del dopoguerra.

 
SHOA
L’INVASIONE DELLA POLONIA
Prima della guerra, in Polonia vivevano circa 3 milioni di ebrei; sotto la dominazione tedesca diventarono poco meno di 2 milioni, distribuiti in modo irregolare tra governatorato
generale e territori mezzi al terzo Reich. In un primo tempo nei confronti degli ebrei polacchi la violenza nazista si scatenò in modo pubblico, negli anni 30, i nazisti boicottarono i
negozio ebraici in Germania e furono protagonisti della notte dei cristalli. In effetti a Lodz proprio il 10 novembre 1939, anniversario della notte dei cristalli, le quattro principali
sinagoghe della città vennero distrutte. L’esercito nel 1939 non può ancora essere additato come un ingranaggio attivo e vitale nel processo di genocidio. Un’ordinanza del
governatore Frank impose che tutti gli ebrei del governatorato generale dovessero apporre una stella gialla sui vestiti. Intanto andava maturando il progetto secondo cui gli ebrei di
Polonia avrebbero dovuto essere internati in ghetti, cioè in quartieri speciali. La prima direttiva in tal senso fu emanata nel 1939 da Reinhard Heyndrick, capo della polizia tedesca. Il
risultato fu la reclusione della maggior parte degli ebrei in alcune aree all’interno dei principali centri urbani. All’inizio degli anni 1940-41 pareva che l’intenzione principale dei
tedeschi fosse lo sfruttamento intensivo della manodopera ebraica.

SOVRAFFOLLAMENTO E MALATTIE
Nei confronti degli ebrei polacchi rinchiusi nei ghetti, i nazisti praticarono una politica ambigua e contraddittoria. La manodopera era sprecata poiché erano costretti a vivere in
condizioni tali che il risultato del meccanismo non era la produzione, ma la morte di massa. Quando il fenomeno raggiunse il proprio apice, le spese aumentarono, ma i profitti si
fecero sempre più scarsi. Lo sterminio degli ebrei rappresenta un’operazione economicamente non vantaggiosa; l’internazione fu progettata e condotta non per ragioni di profitto,
ma per motivi di tipo ideologico. Lo sterminio degli ebrei polacchi prese vita solo nel 1942, fino ad allora, i principali problemi che gli ebrei rinchiusi nei ghetti dovettero affrontare
furono quelli della fame e del sovraffollamento. A Varsavia, una popolazione fu obbligata a vivere in un quartiere che comprendeva appena 73 strade, inevitabile, in un contesto
così degradato sotto il profilo igienico Il dilagare delle malattie, prima fra tutte il tifo. Nelle iniziali intenzioni del governatore tedesco, la sistemazione appena descritta era
provvisoria, egli era convinto che gli ebrei avessero accumulato enormi fortune, pertanto la minaccia della morte doveva servire come strumento di pressione o meglio distorsione
delle ricchezze che sicuramente tenevano nascoste. Anche se vivevano in condizioni terribili di sovraffollamento e di miseria, agli ebrei fu imposto di lavorare. Alla fine vennero
creati bene 117 laboratori che producevano uniformi per l’esercito venduto in Germania.

I REPARTI OPERATIVI MOBILI


Nell’immensa area sovietica occupata dall’esercito tedesco nel 1941, dietro le linee del fronte iniziarono subito ad operare quattro reparti d’intervento incaricati di eliminare la classe
dirigente del regime comunista. Si trattava di una forza di uomini reclutati tra la polizia di Stato e servizi segreti delle SS. I quattro Einsaztgruppen erano contrassegnati dalle prime
lettere dell’alfabeto, ognuna di esse corrispondeva a luoghi diversi in quali operavano. Essi ricevevano ordini da Himmler e Heyndrick ai quali spesso venivano inviati rapporti
dettagliati sulla situazione. Gli Einsatzgruppen potevano contare sul completo appoggio e sostegno logistico da parte dell’esercito. I loro compiti tuttavia erano estremamente vaghi,
cosicché il loro incarico di eliminare l’intera classe dirigente del regime sovietico si presta a varie interpretazioni. L’Elasticità degli ordini conferiti ai comandanti lasciava loro molto
margine per l’iniziativa personale. Entra allora in gioco il principio di base secondo cui funzionava gran parte dell’apparato nazista: in situazione di incertezza si doveva cercare di
interpretare le più profonde intenzioni del Fuhrer e tentare di realizzarle. Hitler affermò che in caso di guerra, essa non si sarebbe conclusa con la vittoria del bolscevismo, bensì
con l’annientamento della razza ebraica in Europa. Quando gli Einsaztgruppen iniziarono le loro attività criminali in unione sovietica, Hitler non aveva ordinato il genocidio. Dunque
in un contesto bellico che si faceva sempre più spietato, ufficiali e soldati spesso procedettero di propria iniziativa in quella direzione e poiché nessuno veniva punito per i propri
eccessi di zelo, le azioni radicali contro gli ebrei divennero sempre più frequenti.

IL DISAGIO DI UCCIDERE
I tedeschi occuparono Kiev. Per l’armata Rossa fu uno dei momenti più critici e difficili. Una decina di giorni più tardi entrò in azione l’einsatzgruppen C che prese come pretesto
l’esplosione di alcuni palazzi nella capitale Ucraina per eliminare gli ebrei di Kiev. Nell’ Autunno 1941 il processo di sterminio era ormai diventato indiscriminato, la violenza totale
investiva solo i territori occupati dall’unione sovietica, ma a breve avrebbe riguardato anche la Polonia, l’Europa centrale e quello occidentale. I poliziotti tedeschi coinvolti
nell’azione di sterminio tuttavia incontrarono numerosi problemi di ordine psicologico che li turbarono profondamente. Dopo i Grandi massacri molti di loro subivano dei veri e propri
crolli nervosi, che potevano essere superati solo grazie a massicce quantità di alcol: in pratica spesso gli omicidi furono condotti da soldati completamente ubriachi. Venne
potenziato il numero di subordinati speciali, ai quali spesso si cerca di delegare il lavoro più sporco. Denominati hiwi, erano soprattutto dei prigionieri sovietici. Pertanto già nel 1941
si cercò di trovare metodi alternativi che fossero meno traumatizzanti delle fucilazioni di massa.

I CENTRI DI STERMINIO
Nel periodo compreso tra il gennaio e luglio 1942 furono creati i veri e propri campi di sterminio. I tre centri facevano parte di un unico vasto progetto che viene denominato Aktion
Reihnard. I nuovi centri di sterminio non erano campi di detenzione o di lavoro forzato ma puri e semplici luoghi di esecuzione.

LE DEPORTAZIONI A VARSAVIA
Il presidente del consiglio ebraico di Varsavia venne informato dai tedeschi del fatto che essi sarebbero stati deportati verso est. Da Varsavia erano condotti a Treblinka, che venne
presentato come un campo di transito e di disinfezione; in tal modo almeno all’inizio, giustificavano l’ordine di entrare nelle baracche-spogliatoio. Usciti da queste strutture, nudi, gli
ebrei potevano leggere un cartello con scritto: alle docce. Entravano così nel tubo, un percorso delineato dal filo spinato che impediva alle sguardo di spingersi fino alle fosse
comuni. Infine arrivavano alle strutture omicide. Una volta chiuse le porte, le camere erano prive di illuminazione, un’altra stanza, adiacente, conteneva il motore diesel che
produceva monossido di carbonio. Nonostante molte persone conoscessero perfettamente la verità, preferirono continuare a rifiutare la realtà.

L’INSURREZIONE DEL GHETTO DI VARSAVIA


La traumatica esperienza delle deportazioni dell’estate 1942 la fallimentare politica di acquiescenza attuata dal consiglio ebraico spinsero alcuni giovani di movimenti e reparti già
attivi prima della guerra a dar vita a una organizzazione ebraica di combattimento. Fu creata una commissione di coordinamento e quando Himmler arrivò a Varsavia rimase

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contrariato per il fatto che nella capitale polacca ci fossero ancora moltissimi ebrei impegnati in fabbriche di proprietà tedesca, il comandante delle s.s.pertanto ordinò la distruzione
del ghetto. Il 16 febbraio 1943 ci fu la completa cancellazione del ghetto di Varsavia, l’azione tedesca iniziò il 19 aprile quando il colonnello von Sammern si attendeva uno scontro,
ma non una tenace resistenza da parte degli ebrei. I primi incendi si svilupparono come conseguenza dei combattimenti, dal giorno 20 aprile tuttavia Stroop ordinò la sistematica
distruzione col fuoco di tutti gli edifici del gatto.

AUSCHWITZ
Il 20 gennaio 1942 a Wannsee si tenne una conferenza finalizzata a pianificare lo sterminio degli ebrei di tutti territori europei conquistati dall’esercito tedesco. Poco tempo dopo
venne deciso che la maggioranza degli ebrei prelevati nei diversi paesi dell’ Europa occupata sarebbe stata portata ad Auschwitz, una località polacca presso la quale esistevano
una rete di campi di concentramento chiamati Auschwitz uno il secondo Auschwitz Birkenau il terzo Auschwitz Monowitz. A fianco del campo di Birkenau vennero costruiti il
terminale ferroviario e complesso dei crematori. Quando arrivava un convoglio, i deportati erano sottoposti alla cosiddetta selezione, un officiale valutava che l’ebreo sembrasse
abile al lavoro. Coloro che non erano considerati capaci a svolgere un’ attività lavorativa erano inviati ai crematori, cioè uccisi poco dopo l’ora del loro arrivo. I cadaveri erano portati
fuori dalle camere e bruciati nei forni dai reparti speciali composti da prigionieri ebrei. Chi uccideva era riuscito a rendere quasi invisibile la propria vittima, a prendere le distanze da
lei e a ridurre al minimo il proprio coinvolgimento diretto nell’atto che provoca la morte.

I LAGER
Coloro che alla stazione di Brikenau erano ritenuti abili al lavoro, venivano inviati in uno dei lager che si trovavano nei dintorni di Auschwitz. Fino alla guerra il regime aveva
rinchiuso soprattutto prigionieri politici, asociali, omosessuali e dissidenti per motivi religiosi. Nel gergo del campo, il prigioniero distrutto dalla fatica veniva chiamato musulmano, un
individuo solo biologicamente vivo. Se non era condotta dai naziste le camere a gas, o non veniva ucciso dei guardiani perché non riusciva più a lavorare, il musulmano finiva per
lasciarsi morire, cessando di mangiare di bere.

LA ZONA GRIGIA
L’unico modo Per sopravvivere era quello di sottrarsi ai lavori più duri e di trovare razione supplementare di cibo, tutto ciò era possibile solo ponendosi al servizio dei nazisti. Il
mondo del lager non è affatto semplice, cioè facilmente divisibile in carnefici e vittime; al contrario esisteva ed era parte integrante del meccanismo del lager una vasta e indistinta
zona grigia, composta da più persone che per sopravvivere accettavano posti di responsabilità e si ponevano a livello intermedio fra i nazisti e gli altri deportati. Nel lager comunque
era pressoché impossibile ogni forma di solidarietà verso il prossimo. Questo processo di degradazione morale di detenuti era incentivato dalle condizioni di vita dei campi in cui
vivevano. Anche se prigionieri erano obbligati a lavorare come schiavi, la finalità del lager non era di natura economica, ma assunse una funzione ideologica. I prigionieri
razzialmente inferiori assumevano tutte le caratteristiche che l’ideologia nazista assegnava loro, essa infatti fu sempre la preoccupazione principale del nazionalsocialismo. E
mentre rafforzavano la loro idea di appartenere a una razza superiore, riuscivano perfino a convincersi che, procedendo allo sterminio di quegli esseri malefici e ripugnanti, non
stavano compiendo un crimine orrendo, bensì rendevano servizio all’umanità.

LE SPECIFICITÀ DELLO STERMINIO NAZISTA


Nel passato le stragi di israeliti erano avvenute soprattutto per motivi di carattere religioso, mentre lo sterminio nazista fu condotta in nome di un’ideologia razzista. La logica
razziale nazista non faceva eccezione di nessun tipo: mentre dal lato consideravano impossibile ogni tentativo da parte di un ebreo di trasformarsi in un tedesco, dall’altro riteneva
necessario procedere all’eliminazione completa di tutti tedeschi, il processo di distruzione degli ebrei appare diverso rispetto alle violenze del passato, in quanto esso grazie alle
nuove tecniche di uccisione appare molto moderno, inoltre lo sterminio era stato freddamente pianificato. Il Nazionalsocialismo presenta però anche forti tratti in comune con i
movimenti millenaristi dell’autunno del medioevo e del 500: con essi in particolare il nazismo condivideva una concezione dualista e apocalittica secondo cui il bene il male si
devono affrontare in una lotta all’ultimo sangue, che si concluderà a seconda del vincitore o con la fine dell’umanità o con la l’instaurazione del millennio e la definitiva eliminazione
del male. L’idea di razza e il ruolo decisivo svolto dai funzionari dello Stato sono tipiche espressioni della modernità; invece la mentalità nazista nel suo complesso appare
assolutamente premoderna.

 
Dalla Guerra Fredda alla coesistenza
 
La Guerra fredda comincia con la fine della Seconda guerra mondiale ed è caratterizzata dall’opposizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica, due grandi potenze con due diversi
modelli di sviluppo: da un lato il capitalismo, dall’altro il comunismo. Pur definendosi “guerra” non assistiamo mai ad uno scontro diretto tra le due potenze: questo conflitto infatti
non può essere risolto militarmente poiché l’avvento di strumenti di distruzione di massa come la bomba atomica (sperimentata con i bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki)
rende impraticabile l’opzione militare, pena la distruzione mondiale. Questo non impedisce però lo scoppio di una serie di guerre regionali, all’interno delle quali le due potenze si
schierano appoggiando l’uno o l’altro dei contendenti, in una continua battaglia volta all’affermazione della propria egemonia. 
 
La creazione di due blocchi contrapposti (1945-1950) 
Nelle fasi finali del secondo conflitto mondiale le potenze ormai vittoriose (Gran Bretagna, Stati Uniti e URSS) si incontrano per stabilire i destini europei, prima a Yalta (4-11
febbraio 1945) e poi a Potsdam (17 luglio - 2 agosto 1945). È in queste conferenze che viene definito il futuro della Germania e di Berlino, che sono divise in quattro zone occupate
dalle potenze vincitrici e dalla Francia. 
La guerra però ha piegato le economie gli stati europei e solo USA e URSS possono competere in qualità di potenze mondiali, anche se i due stati si trovano in una situazione
decisamente diversa: l’URSS esce molto provata da una guerra che ha devastato il suo territorio, mentre gli USA sono assai floridi e ricchi, anche grazie al fatto che i combattimenti
non li hanno colpiti direttamente. Tra le due grandi potenze, non più legate dal comune nemico nazista, emergono le differenze riguardanti i sistemi ideologici ed economici che le
caratterizzano: da un lato il capitalismo americano (e occidentale) e comunismo sovietico. Proprio la convinzione della superiorità del proprio modello di sviluppo porterà alla
contrapposizione tra esse, che si manifesterà inizialmente in una differenza di vedute sul futuro della Germania. 
Già dal 1946 la tensione tra le due potenze emerge in alcuni discorsi che segneranno la teorizzazione della guerra fredda: in febbraio, Stalin parla di un mondo diviso tra
capitalismo e comunismo, due differenti schieramenti destinati a scontrarsi, mentre Winston Churchill, primo ministro britannico parla di una “cortina di ferro” che è scesa
sull’Europa, dividendola dal Baltico all’Adriatico. Un funzionario americano, George Kennan, ritenendo che i sovietici facciano leva sulla situazione di ostilità internazionale per
mantenere il pugno di ferro all’interno del paese e puntino ad una futura espansione in Europa, conia quella che diverrà nota come la “teoria del containment”: per Kennan è
fondamentale contenere la diffusione del comunismo all’interno dei confini dell’URSS, tutelando gli interessi e il modello di sviluppo americano nel mondo. Negli anni tra la fine della
guerra e il 1950 Stalin infatti crea alcuni stati-satellite alle porte dell’URSS imponendo governi comunisti in Polonia, Romania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Ungheria.
La sovietizzazione dell’Europa orientale avviene principalmente attraverso metodi autoritari. Nel 1948 la Jugoslavia di Tito si oppone a questo processo, rivendicando il proprio
carattere di forza nazionale protagonista della resistenza partigiana all’occupazione nazista. Questo atteggiamento conduce alla rottura con Stalin e ad una defezione significativa
per il progetto sovietico: la Jugoslavia da questo momento porta avanti un atteggiamento di equidistanza tra i due blocchi che vanno definendosi. 
Questi anni sono anche segnati da un progressivo impegno statunitense in Europa, sempre al fine di evitare un espansionismo comunista e - come affermò Truman in un suo
celebre discorso del 1947 che costituì il fulcro della “Dottrina Truman” - “sostenere i popoli liberi che resistono all’asservimento da parte di minoranze armate o da pressioni
esterne”. Così gli Stati Uniti dapprima si sostituiscono alla Gran Bretagna nell’elargire aiuti economici aGrecia e Turchia e nel giugno del 1947 lanciano
lo European Recovery Program, anche noto come Piano Marshall dal nome del segretario di stato USA che lo annuncia. Questo piano prevede aiuti economici ai paesi europei per
la ricostruzione post-bellica e supporto nella creazione di un mercato europeo. Anche l’URSS viene invitata ad aderire al piano ma preferisce declinare l’offerta e opporsi ad esso,
ritenendolo uno strumento dell’imperialismo americano. 
In questo clima il più importante terreno di confronto tra le due grandi potenze diventa la Germania: nel giugno del 1948 gli occupanti del settore occidentale (inglesi, francesi ed
americani) unificanole loro porzioni di territorio e iniziano a farvi circolare una moneta unica, in vista dellacreazione di uno stato tedesco autonomo. L’URSS, che occupa il settore
tedesco di cui fa parte Berlino (città divisa a sua volta in quattro settori), reagisce con il blocco delle vie di terra di accesso alla città che durerà fino al maggio 1949 (dando vita

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anche ad un celebre “ponte aereo” da parte delle forze occidentali) e costituisce la prima grande contrapposizione tra potenze della Guerra fredda. Pochi mesi dopo la fine del
blocco nasce la Repubblica Federale Tedesca nel settore occidentale, seguita dalla Repubblica Democratica Tedesca in quello sovietico. 
L’ultimo tassello nella definizione delle due sfere contrapposte è costituito dalla creazione della NATO con la firma, il 4 aprile 1949, del Patto Atlantico. La minaccia
dell’espansionismo sovietico richiede infatti un’alleanza degli stati occidentali sul piano militare, in quanto gli Stati Uniti altrimenti non possono garantire adeguata protezione
all’Europa; con la firma di questo trattato viene definitivamente meno la politica isolazionista statunitense. Il 1949 si chiude con due eventi che spingono ancora di più gli Stati Uniti a
temere per la propria supremazia. Infatti, se la superiorità delle forze militari di terra dell’URSS è stata fino ad ora bilanciata dal fatto che solo gli USA dispongono della bomba
atomica, con gli esperimenti nucleari sovietici nell’agosto del 1949 questa sicurezza statunitense viene meno. A questo si associa la proclamazione della Repubblica Popolare
Cinese nell’ottobre del 1949: la vittoria di Mao in Cina e gli accordi stipulati con l’URSS alimentano una percezione del comunismo internazionale come di un fenomeno monolitico
asservito alla potenza sovietica. La reazione negli USA alla “minaccia comunista”è rappresentata dal documento del National Security Council memorandum 68 (NSC-68) dell’aprile
1950, nel quale si delineano le misure da prendere per opporsi al rafforzamento sovietico. Queste vanno dall’aumento degli investimenti nella difesa, all’incremento delle forze
statunitensi, allo sviluppo di un programma per la bomba all’idrogeno. 
 
Dal riarmo alla coesistenza pacifica (1950-1956) 
Il 25 giugno del 1950 lo stato comunista della Corea del Nord invade l’omonimo stato del sud, a regime non comunista 1. Ha inizio così la Guerra di Corea, che vede l’intervento
diretto USA su mandato ONU, mentre URSS e Cina agiscono appoggiando non ufficilamente la Corea del Nord. Nel 1953, dopo alterne vicende, si giunge alla firma di un armistizio
che, di fatto, ripristina la situazione iniziale. La guerra di Corea spinge però Truman a prendere la strada del riarmo, applicando molti dei suggerimenti presenti nel memorandum
NSC-68, come ad esempio l’aumento delle forze militari in Europa e, più in generale, del numero dei militari statunitensi e l’ampliamento degli investimenti nell’ambito della difesa. 
Nonostante l’aumento delle forze militari statunitensi in Europa, le forze NATO schierate nella regione rimangono comunque inferiori a quelle dell’esercito sovietico e dei suoi stati
satellite. Per questo motivo si inizia a discutere della possibilità che la Germania possa contribuire attivamente alla difesa europea. Nei primi anni ’50 si cerca quindi di perseguire
una politica volta a riarmare la Repubblica Federale Tedesca all’interno di un contesto di unità europea, ma il progetto fallisce, in particolar modo per la diffidenza che la Francia
mantiene nei confronti del vicino tedesco. La soluzione è che il riarmo tedesco avvenga tramite l’ingresso nella NATO nel 1955, che coincide di fatto con la fine dell’occupazione dei
suoi territori da parte delle tre potenze occidentali. L’URSS risponde all’indipendenza della Germania Ovest con la stipula del Patto di Varsavia, un’alleanza difensiva con i propri
stati satellite 2. 
Intanto assistiamo ad un grande cambiamento al vertice delle due grandi potenze: nel 1953 Stalin muore e gli succede prima Georgij Malenkov e poi Nikita Krusciov (in
russo, Nikita Sergeevič Chruščëv) dal 1955; negli Stati Uniti, Truman invece termina il suo mandato e si insedia come nuovo presidente il generale Dwight Eisenhower. I nuovi
leader danno il via ad un periodo di disgelo, caratterizzato da un atteggiamento più accomodante dell’URSS in politica estera e dalla firma del trattato che concede l’indipendenza
all’Austria, ponendo fine alla sua occupazione da parte delle potenze vincitrici. Anche dal punto di vista degli armamenti assistiamo ad una nuova politica di difesa caratterizzata,
per entrambe le potenze, dall’uso del deterrente nucleare e da una riduzione della spesa per la difesa. 
Nel solco di questo processo rientra anche il famoso discorso di Krusciov del febbraio 1956 al XX Congresso del Partito Comunista Sovietico: egli difende la nuova politica di
coesistenza pacifica con l’occidente e condanna apertamente i crimini di Stalin e il “culto della personalità” connesso alla sua figura. Inoltre nei mesi successivi scioglie
il Cominform e apre ad una distensione con Tito e ad una maggiore libertà per i governi comunisti degli stati satellite. Questa apertura provoca però dei gravi sommovimenti interni
in Polonia e Ungheria: in Polonia la situazione viene risolta con un cambio ai vertici del governo locale, mentre in Ungheria deve intervenire l’esercito, provocando un’ondata di
sdegno anche tra coloro che, in occidente, guardavano con favore alla svolta di Krusciov. La vicenda ungherese mostra come la politica riformista del leader sovietico abbia limiti
evidenti: se da un lato la situazione internazionale di contrapposizione tra blocchi rende impossibile mettere in discussione gli assetti geopolitici formatisi dopo la guerra, dall’altro il
potere sovietico sugli stati satellite continua a basarsi su un rapporto coercitivo, senza riuscire a cambiare davvero prospettiva accordando maggiore autonomia e libertà agli alleati. 
 
La guerra fredda nelle periferie e la nuova corsa agli armamenti (1956-1963) 
A partire dagli anni ’50, il processo di decolonizzazione in atto finisce per essere condizionato dalle dinamiche dello scontro tra USA e URSS. Le due grandi potenze si trovano a
giocare un ruolo fondamentale anche nelle periferie del mondo, non tramite una politica coloniale ma mediante l’appoggio politico ai diversi governi al fine di allargare la propria
sfera di influenza. In questo ambito centrali sono gli avvenimenti in Medio Oriente, con il crescere della tensione tra i paesi arabi e il neonato stato di Israele, e significativa è
l’esperienza dell’Egitto di Nasser, che riesce a sfruttare a proprio vantaggio la contrapposizione tra USA e URSS per ottenere supporto economico. 
La coesistenza apparentemente pacifica sposta il confronto tra le due potenze all’ambito economico e a quello della corsa agli armamenti. Quest’ultimo aspetto diventa centrale
nella seconda metà degli anni ’50 dando vita ad una sempre maggiore ricerca soprattutto in ambito missilistico e portando al lancio nel 1957 del primo satellite sovietico, lo Sputnik,
che anticipa di un anno il primo lancio statunitense. La propaganda di Krusciov genera negli USA l’idea che vi sia un forte gap missilistico a proprio sfavore, quando in realtà sono
gli Stati Uniti a godere di una schiacciante superiorità in questo campo. Su tale tema, molto caldo in questi anni, si basa la campagna elettorale di John Fitzgerald Kennedy, che
diviene presidente nel 1961 e che potenzierà, tra le altre cose, la capacità nucleare USA contribuendo all’intensificazione della corsa agli armamenti che caratterizzerà i primi anni
’60. Parallelamente però, proprio sul tema degli armamenti nucleari, assistiamo ad alcune fratture all’interno dei blocchi contrapposti: tra la metà degli anni ’50 e l’inizio degli anni
’60 si assiste ad un deterioramento e successivamente ad una rottura dei rapporti tra Cina e URSS, mentre sul fronte occidentale è la Francia di De Gaulle a mettere in discussione
la politica Statunitense dotandosi di un proprio armamento nucleare. 
L’acuirsi delle tensioni a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’60 sfocia in due episodi centrali per l’equilibrio politico mondiale, riguardanti la città di Berlino e l’isola di Cuba. Nel 1958
Krusciov dà avvio alla cosiddetta crisi di Berlino, al fine di fermare il processo di rafforzamento della Repubblica Federale Tedesca. Il prodotto di questo scontro, protrattosi fino al
1961, sarà la costruzione del famoso muro a dividere le due diverse zone d’occupazione della città.  
A Cuba invece sono gli statunitensi ad intervenire nella politica interna dell’isola: intimoriti dall’avvicinamento del regime di Castro all’URSS tentano prima un’azione militare sotto
copertura con lo sbarco alla Baia dei Porci e poi, scoperta la presenza di missili sovietici in territorio cubano, attuano un blocco navale per imporre lo
smantellamento degliarmamenti. La crisi si risolve per il meglio dopo alcuni giorni in cui il mondo è nuovamente sull’orlo di una guerra. Il lascito di questi avvenimenti è
rappresentato dall’installazione del telefono rosso, una linea diretta tra il Cremlino e la Casa Bianca per prevenire incidenti, e dalla fine del periodo di massima tensione della guerra
fredda. 
 
 
IL SECONDO DOPOGUERRA
Negli anni ’50 si assiste alla «guerra fredda» tra USA ed URSS, agli interventi americani per risollevare l’economia europea (Piano Marshall) e alla nascita di organizzazioni atte a
regolamentare i rapporti economici e politici mondiali (ONU, CEE, FAO, UNESCO etc.) e militari (NATO). La Germania, uscita sconfitta dalla guerra, viene divisa in due Stati
(Repubblica Federale Tedesca e Repubblica Democratica Tedesca). In Italia i cittadini votano per la prima volta con suffragio universale per la Costituzione della repubblica (1°
gennaio 1948). La Gran Bretagna avvia la politica assistenziale (Welfare State) mentre in Russia Krusciov quella di destalinizzazione. Nel 1947 l’ONU vota la spartizione della
Palestina: nasce lo Stato d’Israele.
TAVOLA CRONOLOGICA
 1946 Abdicazione di Vittorio Emanuele III.
 Referendum istituzionale e proclamazione della Repubblica italiana (2 giugno).
 Conferenza di pace a Parigi.
 1948 Entrata in vigore della Costituzione italiana.
 Successo elettorale della Democrazia Cristiana.
 Luigi Einaudi presidente della Repubblica.
 Approvazione del Piano Marshall.
 1949 Divisione della Germania in Repubblica Federale e Repubblica Democratica.
 Nascita della NATO. Mao Tse-tung fonda la Repubblica popolare cinese.
 1954 Restituzione di Trieste.

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 1957 Nascita della CEE e dell’EURATOM.
 1958 De Gaulle è presidente della Repubblica in Francia.
Alla fine del conflitto l’Europa si ritrova divisa in due: nella parte orientale, sotto l’influenza russa, sono istituiti regimi comunisti, mentre nella parte occidentale, sotto l’influenza
americana, si rafforza la consistenza delle repubbliche democratiche. L’Europa ha ormai perso la propria centralità politica ed economica per lasciare spazio alle due superpotenze,
USA e URSS, divise da una cortina di ferro, come la definisce Churchill. L’avvicinamento degli USA agli Stati minacciati dall’URSS e la messa a punto della bomba atomica da
parte degli URSS porta alla cosiddetta guerra fredda, una sorta di conflitto incruento e non dichiarato che provoca tensione nel mondo. 2)
LA GUERRA DI COREA
Il primo conflitto «indiretto» tra le due superpotenze mondiali è la guerra di Corea (1950-53) tra la Corea del nord, comunista ed appoggiata dall’URSS, e la Corea del sud,
filoamericana. La crisi coreana si conclude il 27 luglio 1953, quando Corea del Nord e Corea del Sud firmano l’Armistizio di Panmunjom, in virtù del quale viene ristabilita la linea di
confine lungo il 38° parallelo, si delimita una zona-cuscinetto smilitarizzata ed entrambi i paesi vengono riconosciuti dall’ONU, rimandando agli anni successivi la sottoscrizione di
una pace vera e propria. 3) L’ECONOMIA EUROPEA E IL PIANO MARSHALL
Nel secondo dopoguerra la ripresa economica europea avviene grazie al flusso di aiuti americani: tra il 1946-1947 ne beneficia anche l’Unione Sovietica, mentre nel 1948 gli
interventi diventano più cospicui e prendono il nome di European Recovery Program (ERP) o, più comunemente, Piano Marshall, dal nome del segretario di Stato americano
George Catlett Marshall che, in un discorso tenuto all’università di Harvard nel giugno del 1947, invita gli Stati europei a elaborare un programma di ricostruzione economica che gli
USA avrebbero finanziato. Il Piano Marshall riversa sulle economie europee 13 miliardi di dollari fra materie prime, beni di consumo, risorse energetiche e prestiti a fondo perduto.
Come contropartita, gli Stati beneficiari hanno l’obbligo di acquistare una certa quantità di forniture industriali americane e sottoporsi al controllo sull’impiego dei fondi e sui piani
adottati dai singoli paesi. Il Piano rafforza l’egemonia politico-economica degli USA. 4)
LA COLLABORAZIONE INTERNAZIONALE TRA LA FINE DEGLI ANNI ’40 E GLI ANNI ’50
Nel venticinquennio successivo alla guerra, gli Stati più avanzati dell’area capitalistica (Europa occidentale, America del nord, Giappone) cominciano a mettere in atto una serie di
politiche economiche che portano al boom degli anni ’50. In questo periodo si avviano strategie per la globalizzazione dell’economia, grazie a una serie di accordi commerciali e
finanziari internazionali che incentivano gli scambi. Nell’ottobre 1947 viene stipulato il GATT («Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio»), con cui i paesi firmatari si
impegnano a mantenere le tariffe doganali basse per liberalizzare i commerci. I contenuti dell’accordo hanno portato, nel 1995, alla trasformazione del GATT in WTO
(«Organizzazione mondiale del commercio»).
 
 
L’ONU E IL NUOVO ORDINE MONDIALE
Il vecchio ordine mondiale è scomparso e un nuovo ordine sta per emergere: il mondo si trova di fronte a scelte cruciali. L’ordine impostosi dopo il 1945 era condizionato dalla
guerra fredda fra i due sistemi di potere guidati da USA e URSS, il secondo dei quali era caratterizzato da posizioni revisioniste e contrarie allo status quo. L’instabile mondo
bipolare era il quadro all’interno del quale funzionava pressoché l’intero sistema internazionale. Ma la fine della guerra fredda (1988-91) e il collasso del sistema di potere sovietico
ha travolto all’improvviso i criteri su cui si basava il vecchio ordine.
Ciò ha significato un cambiamento del sistema di proporzioni storiche, e, come sempre avviene, ha portato vantaggi per qualcuno e svantaggi per altri. Ma l’attuale sistema
internazionale ha caratteristiche di globalità mai riscontrate in precedenza, sia per quanto riguarda il numero dei suoi membri, sia per quanto riguarda il grado di interdipendenza fra
di essi. Qualsiasi valutazione della natura dell’ordine mondiale emergente deve basarsi su una visione olistica dell’intero sistema internazionale. A tal fine può essere utile
cominciare ad enumerare gli elementi chiave del cambiamento avvenuto all’interno del vecchio ordine, prima di considerare le sfide a cui il mondo si trova di fronte e il posto che
occupano le Nazioni Unite nel nuovo ordine.
 
Gli elementi del cambiamento.
Come già detto, la fine della guerra fredda rappresenta il cambiamento più significativo nel vecchio ordine, che è certamente positivo, ma ha creato varie incertezze. I paesi
appartenenti ai due blocchi sono rimasti senza i vecchi amici ed alleati del cui appoggio non possono più essere sicuri. L’incertezza maggiore, paradossalmente, riguarda i paesi
non allineati, che non possono più contare sull’appoggio di una delle due
superpotenze in caso di ostilità dell’altra, sia a livello diplomatico che
militare. Ora ciascun paese deve affrontare la sfida ed ha l’opportunità di cercarsi i propri amici in ogni parte del mondo, contando sull’interesse reciproco.
Il secondo cambiamento significativo è il collasso del sistema di potere che faceva capo all’Unione Sovietica. Ciò ha significato non soltanto la scomparsa del secondo sistema di
potere più importante nel mondo, creando un vuoto militare e ideologico in una vasta area, ma ha anche liberato molti paesi in Europa e altrove dal dominio militare e ideologico.
Ciò ha inoltre significato che una popolazione di centinaia di milioni fino ad ora esclusa dall’economia di mercato ora vuole farne parte, entrando in competizione con il mondo
sottosviluppato per ottenere capitali scarsi, tecnologia e servizi.
Il terzo cambiamento, che deriva dai primi due, è l’emergere degli Stati Uniti come potenza dominante, che ha dato luogo a una situazione definita unipolare.[1] Questo sviluppo
può essere considerato positivamente nella misura in cui essi sostengono i valori di libertà e democrazia, ma diventa inaccettabile quando gli USA, in nome della libertà, mirano ai
propri obiettivi strategici o strumentalizzano a tal fine le istituzioni globali.
Il quarto importante cambiamento riguarda l’affermarsi di Germania e Giappone come centri di potere economico.[2] E’ nello stesso tempo un paradosso e una cosa straordinaria
che le due potenze sconfitte, alle quali, dopo la seconda guerra mondiale, è stata negata la facoltà di dotarsi di un esercito, stiano ora minacciando la pace dei loro ex nemici
attraverso il potere economico. Dato che l’influenza internazionale della Germania è legata soprattutto alla sua appartenenza alla Comunità europea, la quale, dopo le decisioni
prese al Vertice di Maastricht, sta trasformandosi in Unione economica e monetaria e in Unione politica, è necessario trovare un modo perché i nuovi centri di potere emergenti a
livello mondiale possano assumersi maggiori responsabilità nell’ambito delle organizzazioni internazionali.
Il quinto cambiamento riguarda una più netta contrapposizione fra Nord e Sud del mondo. Nel vecchio ordine mondiale l’Unione Sovietica era considerata come la potenza disposta
a sostenere gli scopi e le aspirazioni dei paesi del Sud, anche se il suo aiuto era molto selettivo. In seguito al collasso del sistema di potere che vi faceva capo, essa, e i paesi
dell’Europa orientale, sono spinti a rivolgersi all’Occidente alla ricerca di massicci aiuti, ed hanno già dato prova in modo abbastanza evidente di una certa compiacenza nei
confronti delle pretese occidentali riguardo a problemi critici a livello globale. La loro dipendenza economica dall’Ovest, così come i legami culturali e geografici, pongono tutto il
Nord in una posizione di più profonda contrapposizione con il Sud, a cui, con l’andar del tempo, saranno negati quegli aiuti che ora sono destinati all’Est.
 
Le sfide per avviarsi verso il nuovo ordine mondiale.
Alla luce dei cambiamenti suddetti, è necessario capire quali sono le sfide a cui il mondo si trova di fronte.
La prima riguarda il problema della sicurezza. Da questo punto di vista il mondo nel suo complesso presenta situazioni diverse: alcuni sono più sicuri di altri. Nonostante la fine della
guerra fredda e lo smantellamento di parte delle armi strategiche e tattiche, non è scomparsa l’attitudine a ragionare sulla base della contrapposizione fra blocchi, come dimostra la
NATO. Non esiste un meccanismo assolutamente sicuro di controllo della diffusione delle armi nucleari, alle quali alcuni Stati hanno libero accesso, ed è particolarmente minacciata
la sicurezza degli Stati piccoli e deboli.
La seconda sfida riguarda il problema dello sviluppo. Malgrado i grandi progressi nel campo della scienza e della tecnologia, permangono vergognose e umilianti differenze per
quanto riguarda gli standards di vita nelle varie parti del mondo. Nei paesi in via di sviluppo più di un miliardo di persone vive in povertà, cioè contando, per la sopravvivenza, su

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meno di 370 dollari all’anno (quasi la metà di questi poveri vive nell’Asia meridionale). L’aspettativa di vita nell’Africa sub-sahariana è di 50 anni, contro gli 80 del Giappone. La
mortalità infantile sotto i cinque anni nell’Asia meridionale supera il 170 per mille, mentre in Svezia è inferiore al 10. Più di 110 milioni di bambini nei paesi in via di sviluppo sono
esclusi dall’educazione primaria, mentre nei paesi industrializzati l’iscrizione generalizzata alla scuola primaria è obbligatoria.[3] In Mozambico, una popolazione di 15 milioni e
trecentomila persone vive con un reddito pro capite di 80 dollari, mentre la Svizzera, con una popolazione di sei milioni e seicentomila persone, ha un reddito pro capite di 29.880
dollari.[4]
Ci sono altre sfide, che riguardano la democrazia e i diritti umani, l’ambiente, il traffico di droga, il terrorismo, la maggior parte delle quali ha carattere transnazionale. Questi
problemi derivano dalla povertà, contribuiscono all’insicurezza nei rapporti fra gli Stati e richiedono soluzioni globali.
Una popolazione di 400 milioni di persone in Unione Sovietica e nell’Europa dell’Est sta lentamente avviandosi verso la democrazia, ma i diritti umani e la democrazia sono ancora
negati a più di metà della popolazione dei paesi in via di sviluppo. Il degrado ambientale è causato sia dalla negligenza del Nord del mondo che dalla povertà del Sud, ma per esso
questa parte diseredata del mondo deve pagare un prezzo più alto. Il traffico di droga è controllato nel Sud da regimi feudali, autoritari e militaristi legati alla potente mafia del Nord.
Il terrorismo, infine, è un sottoprodotto della povertà e della negazione dei diritti umani. Tutti questi problemi possono essere risolti solo attraverso istituzioni multilaterali, sia a livello
globale che a livello regionale. In questo contesto dobbiamo esaminare il ruolo delle Nazioni Unite.
 
La riforma dell’ONU.
Trentasei eminenti leaders e uomini di cultura si sono fatti interpreti delle aspirazioni dell’umanità quando, nel corso della Stockholm Initiative on Global Security and
Governance (Iniziativa di Stoccolma sulla sicurezza e il governo globali), tenutasi il 22 aprile 1991, affermarono: «Il sistema internazionale basato sulle Nazioni Unite è stato creato
alla fine di una guerra mondiale, quando la gente percepiva chiaramente la necessità e l’opportunità di creare un sistema che potesse garantire la pace e la sicurezza... Tuttavia,
oggi le Nazioni Unite non sono abbastanza forti per affrontare i compiti a cui si trovano di fronte... Le Nazioni Unite devono essere adeguate alla nuova situazione e la loro
organizzazione deve essere trasformata».[5]
Il sistema internazionale odierno consiste di 166 Stati membri dell’ONU e di circa dieci che non ne fanno parte.[6] Esso comprende quasi il mondo intero, con differenze di religione,
di cultura e di identità etnica. Se vogliamo che tutti possano vivere felici, è necessario un qualche «ordine» che garantisca gli interessi globali e non quelli parziali. Un tale ordine,
che possiamo chiamare il nuovo ordine mondiale
 
Carta dei diritti dell'Unione europea
La Carta dei diritti dell'Unione europea (Carta di Nizza) è stata proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 dal Consiglio d'Europa. Oggi fa parte del Trattato di Lisbona, il quale
conferisce alla Carta di Nizza valore di Trattato e la fa diventare pienamente vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri.
La Carta di Nizza, oltre a prevedere l’inviolabilità della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà, sancisce anche il diritto al rispetto della propria vita privata
e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni (art. 7), e il diritto di ogni persona alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano (art. 8). 
L'articolo 8 recita: 
1.   Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano.
2.   Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto
dalla legge. Ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica.
3.   Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un'autorità indipendente.
 
Gli scenari della decolonizzazione, la politica di “non allineamento” e la nascita della “questione mediorientale”
Nel secondo dopo guerra ha inizio un processo di “decolonizzazione”. In una prima fase è limitato al continente asiatico, in una seconda fase anche gli stati africani. Durante la
seconda guerra mondiale sono stati chiesti alle colonie grandi quantità di uomini e di mezzi, promettendo in cambio una futura maggiore autonomia politica ed economica. Al
termine del conflitto però nemmeno le potenze europee vincitrici sono più in grado di mantenere i loro imperi. Nella prima metà del XX secolo,sono nati movimenti indipendentisti. I
principali esponenti sono leader asiatici e africani portatori di duplice cultura la propria e quella occidentale. La decolonizzazione rappresenta anche un elemento di contestazione
del bipolarismo originato della guerra fredda, poiché formano un terzo blocco di stati che non si schierano. Nasce così il “non allineamento” sancito alla conferenza di Bandung dove
29 paesi afroasiatici combattono contro il residuo colonialismo, la discriminazione razziale e alla divisione del mondo in blocchi contrapposti. Questo movimento però verrà
riassorbito negli schemi della guerra fredda fino a esaurirsi nei primi anni Ottanta. Nel 1947 l’Onu si pronuncia in favore alla divisione della Palestina in due stati, arabo e uno
ebraico. Questa decisione però venne subito respinta dai paesi arabi che dettero inizio alla prima guerra arabo-isdraeliana. Questo conflitto segnò l’affermazione del nuovo stato
ebraico. In seguito alla guerra molti palestinesi lasciano le loro terre e cercano riparo nei paesi vicini. Iniziò così il dramma dei profughi e un conflitto che tutt’ora non trova soluzione.
 
Le tappe dell’indipendenza dell’India e la nascita del Pakistan
L’impero britannico aveva iniziato nei confronti delle sue colonie un graduale processo di concessione dell’autonomia. Nel 1935 venne approvata una costituzione che attribuiva
maggiori poteri alle province indiane detta “Governament India Act”.Inizialmente il “Governament India Act”venne giudicato troppo limitato dal Partito del Congresso (partito politico
indiano guidato da Gandhi) , ma successivamente venne accolto, fino al 1939 che in concomitanza con l’inizio della seconda guerra mondiale le proteste contro la Gran Bretagna
ripresero. L’India infatti per unilaterale decisione inglese si trovò coinvolta nel confitto, perciò l’Inghilterra fu costretta a promettere all’india un indipendenza di fatto. Il riconoscimento
dell’indipendenza avvenne solo nel 1947 con “ Indian Independance Act”. Durante la lotta all’indipendenza, l’India fu divisa tra induisti e musulmani, che portò il parlamento inglese
a formare due diversi stati, l’unione indiana con la religione indù, e il Pakistan con la religione islamica. Il Pakistan si suddividerà ancora in due parti il Pakistan vero e proprio a
ovest dell’india e il Bengala orientale a est. La divisione del paese causò l’esodo forzato con scontri e violenze di centinaia di migliaia di profughi. Le tensioni tra India e Pakistan
sfociarono anche in una guerra per il controllo della religione del Kashmir
 
L’indipendenza degli altri paesi del Sud-est asiatico, la guerra di liberazione in Indocina e conferenza di Ginevra
Ancora prima dell’india raggiunsero l’indipendenza dagli Stati Uniti nel 1946 le Filippine, nel 1948 la Birmania si liberò dalla denominazione inglese, l’olanda riconobbe l’autonomia
dell’Indonesia nel 1949, nel 1957 la Gran Bretagna concesse l’indipendenza alla Malaysia e le Isole Hawaii uscirono dalla loro condizione subordinata venendo integrata a pieno
titolo nel 1959 e divennero il 50esimo stato degli Usa. L’Indocina non si era mai rassegnata al dominio francese, perciò nel 1946 cominciò una guerra tra la Francia e il Fronte
nazionale per la liberazione del Vietnam. Nel 1954 fu sancita la sconfitta francese. Dopo il conflitto mondiale, gli usa erano ostili alla volontà francese di mantenere un impero
coloniale, mala vittoria dei comunisti in Cina cambiò le carte in tavola, perciò gli Stati Uniti appoggiarono la Francia con un massiccio sforzo militare. La fine del dominio francese in
Indocina fu ufficializzata a Ginevra nel 1954. Nascevano tre diversi stati quali: Cambogia, Laos e Vietnam. Il Vietnam venne suddiviso a sua volta in due parti: in Vietnam del Nord
con la repubblica socialista e il Vietnam del Sud nel 1955 con la repubblica che venne affidata a Ngo Dinh Diem che diede vita a un regime autoritario repressivo. Nel corso degli
anni venti e trenta la Gran Bretagna concede l’indipendenza a Iraq, Arabia Saudita e Yemen del Nord, mentre l’Egitto era un regno autonomo già dal 1922. La Francia invece aveva
sempre rimandato l’indipendenza dei suoi mandati, in Siria e Libano, che durante la guerra seguirono perciò le sorti della Francia. Nel 1941 furono invasi da truppe britanniche e
golliste avviandosi verso l’indipendenza.
 
Creazione della Lega araba, la fine mandato britannico, la nascita stato di Israele e prima guerra arabo-israeliana
Nel 1945 Siria e Libano parteciparono alla formazione della Lega araba, che riuniva stati indipendenti del Medio Oriente e ne facevano parte oltre a Siria e Libano anche Arabia
Saudita, Egitto, Iraq, Yemen del Nord e Transgiordania. Questa Lega si proponeva come associazione di difesa e organo collegiale per aiutare gli stati arabi non ancora
indipendenti. La Gran Bretagna aveva favorito l’immigrazione ebraica in Palestina, ma la crescita esponenziale dei coloni ebrei generò delle proteste da parte degli arabi nei
confronti degli inglesi. Nel 1939 la Gran Bretagna decise di limitare l’immigrazione ebraica e entro dieci anni sarebbe stato creato uno stato a maggioranza araba in cui ebrei e arabi
avrebbero convissuto. Il genocidio compiuto nella seconda guerra mondiale posero all’ordine del giorno la costituzione di uno stato autonomo ebraico. Successivamente il problema
fu consegnato alle Nazioni Unite che nel 1947 arabo e uno ebraico, con Gerusalemme posta sotto un’amministrazione internazionale. Ma i governi arabi respinsero
incondizionatamente la proposta. Nel 1948 il governo provvisorio ebraico proclamò la nascita dello stato d’Israele, ma subito dopo venne accerchiato dei paesi arabi. L’esercito

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Libanese giunse da nord, quello Siriano da nord-est, quelli di Iraq e Transgiordania al centro e quello Egiziano da sud, prese il via così la guerra arabo-israeliana che si concluse
nel 1949 con la sconfitta degli arabi. Al momento dell’armistizio, Israele ampliò il suo territorio inglobando porzioni di territorio inizialmente destinate allo stato arabo. Nel 1949 lo
stato di Israele fu ammesso a far parte dell’Onu.
 

Gli imperi coloniali si sgretolano


Mentre accadeva tutto ciò, un altro fondamentale processo si andava evolvendo nei continenti extra-europei (Asia e Africa): la decolonizzazione. Gli imperi coloniali di Francia e
Inghilterra andarono in frantumi dando luogo alla formazione di nuovi Stati che vennero inclusi nel cosiddetto Terzo Mondo (ponendosi così accanto ai «mondi» capitalista e
comunista). Occorre però sottolineare che, ben presto, la definizione di «terzo mondo» assunse un significato fortemente negativo: sottosviluppo economico e status di neutralità
erano gli elementi distintivi delle nuove entità nazionali. L'impero coloniale francese, dopo i fatti del Vietnam, visse gli anni del dopoguerra in un clima rovente. In Africa, la Tunisia,
forse il paese più evoluto, ottenne l'indipendenza il 20 mar. 1956: il 25 lug. 1957 fu proclamata la Repubblica Tunisina. Nello stesso anno conseguì l'indipendenza anche
il Marocco che mantenne lo status di monarchia. Il 29 giu. 1960 a essi si unì il Madagascar (dove, nel 1947, i francesi avevano soffocato una rivolta mietendo 90 mila vittime). Via
via conquistarono l'indipendenza anche tutti gli altri possedimenti africani. Fu però in Algeria che si registrarono gli episodi più violenti. Dopo la “sporca guerra” che in Francia trovò
l'opposizione delle forze progressiste (1955-1962), grazie all'opera mediatrice del generale De Gaulle, la colonia ottenne l'indipendenza con il referendum del 1962. Nei
possedimenti inglesi, la decolonizzazione avvenne in maniera assai meno cruenta. Mentre in Asia, l'India (grazie all'opera di Gandhi) ottenne l'indipendenza nel 1947 con la
formazione dell'Unione Indiana e del Pakistan diviso in due parti, Orientale e Occidentale, molto lontani tra loro. Nel 1971 il Pakistan Orientale si sarebbe proclamato indipendente
con il nome di Bangladesh. In Africa le colonie britanniche conseguirono l'indipendenza tra il 1957 e il 1965. Solo in Kenya e nell'area sud-orientale si ebbero contrasti di una certa
entità tra coloni e indigeni. Nello stato del Sudafrica resistette a lungo il sistema razzista dell'apartheid. Per chiudere, il Belgio concesse l'indipendenza alle regioni del proprio
impero (Congo, Ruanda e Burundi) tra il 1960 e il 1962, il Portogallo (Guinea-Bissau, Mozambico, Angola), nel 1975.
 
COLONIALISMO & NEOCOLONIALISMO
Se l'ascesa dei grandi stati nazionali europei nei secoli XVII e XVIII spinse le monarchie assolute ad utilizzare le scoperte geografiche per affermare fuori dall'Europa la loro politica
di potenza attestando il colonialismo, così la seconda guerra mondiale, la perdita di ruolo delle grandi potenze coloniali (Francia e Gran Bretagna in particolare) e l'avvento della
politica dei blocchi, diede inizio al processo di decolonizzazione.
Il periodo che va dalla fine della seconda guerra mondiale alla metà degli anni 70, vide la nascita di un elevato numero di stati indipendenti nell'area Asiatica e Africana.
Il processo di decolonizzazione favorito oltre che dalle variazioni geopolitiche postbelliche, anche dalla nascita dei movimenti nazionalistici e anticoloniali (vedi il movimento non
violento in India, il movimento culturale Negritudine in Africa, il Fronte di Liberazione Nazionale in Algeria, in Panafricanismo, i movimenti di liberazione nelle colonie lusofone ….) e
dalla azione degli organismi internazionali, è stato sotto molti aspetti un’ effimera liberazione.
I  nuovi stati indipendenti, governati , spesso autoritariamente,  da elites corrotte formatesi nelle scuole europee (la prima università dell'Africa nera nasce ad Accra nel 1948),
hanno vissuto e vivono sotto il controllo politico-economico delle vecchie e nuove potenze "coloniali", che hanno continuato a sfruttarne le risorse (talora molto ricche) utilizzando la
necessità di assistenza (in campo tecnologico, economico e umano) dei PVS come forma di controllo indiretto.
Pesante inoltre è stata l'interferenza politico-militare nelle questioni interne (l'intervento americano in Corea e in Vietnam, l'intervento Belga in Congo negli anni 60 e quello
americano, cubano e sudafricano in Angola, per citarne solo alcuni), situazione che ha radicalmente mutato le sorti degli stati e che ha contribuito a consegnarci, nel Terzo
Millennio, delle nazioni, soprattutto in Africa, profondamente povera e in continuo conflitto.
In ultima analisi, il Neocolonialismo rappresenta una continuità storica e politica con il colonialismo, attraverso il passaggio da un dominio diretto a un controllo politico, economico e
militare sugli stati e le loro risorse, è una fase di trasformazione del sistema coloniale, tramonta l'ideologia della missione civilizzatrice e protettrice della colonizzazione precedente
e si profila un nuovo modello di penetrazione economica senza responsabilità politiche né coinvolgimento militare, una forma di controllo indiretto che garantisce i vantaggi della
dominazione coloniale abbattendone al contempo i costi.
Si seguono tre diverse politiche coloniali: da parte dei paesi di antica industrializzazione (Regno Unito, Francia, Olanda) si cerca di mantenere le colonie come mercato per le
proprie merci e fonte di materie prime, da parte dei paesi di più recente industrializzazione (Germania, Italia, Giappone) una politica di espansione, da parte degli Stati Uniti una
politica di dominio neocoloniale.  
 
dalla guerra del Kippur agli accordi di Camp David

La guerra del Kippur, risalente al 1973, scoppiò in un momento di particolare tensione internazionale e nel cuore di un contesto, quello mediorientale, particolarmente complesso. I
rapporti tra Paesi arabi ed Israele, divenuto Stato nel 1948, era segnati da decenni di conflitti e violenze. La guerra del Kippur era stata infatti preceduta da tre guerre arabo-
israeliane: la prima tra il 1948 e il 1949; la seconda nel 1956; la terza, detta guerra dei Sei giorni, nel 1967. La conflittualità tra Arabi e Palestinesi da un lato e Israeliani dall’altro
aveva assunto in quegli anni forme diverse: non solo guerre, ma anche rappresaglie, occupazioni e attacchi terroristici. 

Sadat e la penisola del SinaiUno dei motivi che furono all’origine della guerra del Kippur fu la volontà di Sadat di riottenere la penisola del Sinai. Questo territorio, a cavallo tra Asia
e Africa, era stato occupato temporaneamente da Israele già durante la prima e la seconda guerra arabo-israeliana. Con la terza guerra arabo-israeliana del 1967, la guerra dei Sei
Giorni, Israele aveva invece dato inizio a una occupazione stabile del territorio.

Il SinaiIl conflitto ebbe inizio quando le truppe egiziane e siriane attaccarono di sorpresa Israele. L’esercito di Sadat attraversò il canale di Suez e occupò la penisola del Sinai.

Il GolanLa Siria attaccò contestualmente dalle alture del Golan, area occupata da Israele sin dal 1967. All’inizio le forze arabe ebbero la meglio e Israele fu messo per la prima volta
seriamente in difficoltà.

L’avanzata degli israelianiDopo pochi giorni, però, le sorti del conflitto si ribaltarono: le forze militari israeliane riuscirono a posizionarsi sul lato occidentale, cioè la sponda africana,
del Canale di Suez. Le capitali di Siria ed Egitto, Damasco e Il Cairo, furono seriamente minacciate dalle forze israeliane.

 
Guerra del Kippur. Truppe israeliane sulle alture del Golan — Fonte: Getty-Images
La fine del conflittoDopo un lungo negoziato che aveva visto coinvolti in particolar modo Stati Uniti e Unione Sovietica, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU approvò una risoluzione
con la quale imponeva la fine dei combattimenti. Il 22 ottobre richiese infatti alle potenze coinvolte di cessare il fuoco e di avviare trattative con l’obiettivo di giungere a un armistizio.
Israele ed Egitto in un primo momento non rispettarono la tregua e si accusarono vicendevolmente di aver trasgredito alla disposizione emessa dal Consiglio di Sicurezza. La
guerra del Kippur ebbe comunque termine nel volgere di pochi giorni, dopo tre settimane di combattimenti.

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3L’attività diplomatica successiva alla guerra del Kippur

Nixon e KissingerSin dai mesi successivi alla fine del conflitto, vennero avviate numerose iniziative diplomatiche che ebbero il patrocinio in particolare degli Stati Uniti. Nixon stesso,
presidente degli Stati Uniti, si recò in viaggio in Medio Oriente nel giugno 1974. Il ruolo di primo piano svolto dagli Stati Uniti come potenza in grado di mediare tra Israele e Paesi
arabi è testimoniato in particolar modo dall’attività diplomatica condotta dal segretario di stato Kissinger. 

Iniziative diplomaticheIl percorso che avrebbe portato agli accordi di Camp David e alla pace tra Israele ed Egitto fu caratterizzato da una serie di iniziative:

 Il 21 dicembre 1973 si aprì a Ginevra una conferenza con l’obiettivo di discutere la situazione in Medio Oriente. Tale iniziativa fu presieduta dai ministri degli Esteri di
Stati Uniti e Unione Sovietica.
 Il 18 gennaio 1974 venne firmato un primo trattato tra Israele ed Egitto con cui si prospettava un disimpegno delle truppe dei due Paesi dalla penisola del Sinai.
 Nella primavera del 1974 vennero avviate trattative tra Israele e Siria che portarono, nell’ambito della Conferenza di Ginevra ancora in corso, a un accordo sulla
smobilitazione delle truppe israeliane e siriane dalle alture del Golan.
 Nel giugno del 1975 venne riaperto il Canale di Suez, chiuso dai tempi della Guerra dei Sei Giorni, e nel settembre dello stesso anno si giunse a un ulteriore accordo di
disimpegno del Sinai da parte dell’Egitto e di Israele.
 Tra gli eventi che ebbero il maggiore impatto, anche sull’opinione pubblica, fu la visita che Sadat fece a Gerusalemme nel novembre 1977. Il gesto fu fortemente
simbolico perché esplicitava l’intenzione del presidente dell’Egitto di giungere a una politica pacifica con Israele e di far prevalere la via diplomatica su quella militare.
4Gli accordi di Camp David

 
Pace in Medio OrienteRispetto alla prima parte degli accordi, relativa alla pace in Medio Oriente, acquisì una posizione specifica la Palestina. Infatti si stabilì che nel volgere di
cinque anni, coloro che vivevano nei territori occupati da Israele sulla riva occidentale del fiume Giordano e sulla striscia di Gaza avrebbero dovuto godere dell’autonomia e ottenere
un proprio governo. Gli accordi di Camp David, pur ponendo la questione della Palestina come centrale per la pace nel Medio Oriente, non furono risolutivi. Alla Palestina non fu
infatti riconosciuta l’indipendenza nazionale e negli anni a seguire le tensioni e la conflittualità tra Palestinesi ed Israeliani non diminuirono.

Relazioni tra Israele ed EgittoIl secondo punto degli accordi di Camp David, relativo alle relazioni tra Israele ed Egitto, gettò le basi del trattato di pace che i due Paesi firmarono a
Washington alcuni mesi dopo, il 26 marzo 1979. Con gli accordi di Camp David aveva avuto inizio la smobilitazione delle truppe israeliane dalla Penisola del Sinai. Nell’aprile del
1982 il ritiro di Israele da questa regione venne completato. Gli israeliani, a fronte di questo impegno, pretesero che sul territorio vigilasse una forza multinazionale. I rapporti tra
Israele ed Egitto presero la via della normalizzazione: i due Stati iniziarono ad avere relazioni diplomatiche con lo scambio di ambasciatori nel gennaio 1980, aprirono
reciprocamente le proprie frontiere, le navi israeliane potevano navigare nel Canale di Suez, negli stretti di Tiran e nel golfo di Aqabah. 

Contrasti tra Egitto e altri Paesi arabiSi guastarono invece i rapporti tra l’Egitto e gli altri Paesi arabi. L’Egitto infatti era accusato di aver tradito la causa palestinese e araba e di
essersi piegato ad Israele e agli Stati Uniti. L’Egitto fu così escluso dalla Lega araba dal 1979 al 1989 e Sadat stesso fu vittima di un attentato terroristico il 6 ottobre 1981, a causa
del quale perse la vita.

5Le conseguenze della guerra del Kippur nel mondo occidentale: crisi petrolifera ed economica

di conseguenza, della benzina, causò un generale aumento dei prezzi. Al contempo, si verificarono un calo della produzione industriale, una caduta dei profitti e un aumento della
disoccupazione.

Fenomeno della stagflazioneL’economia occidentale andò incontro al fenomeno della stagflazione, termine con cui si descrive la compresenza della stagnazione con l’inflazione: si
registrano in contemporanea una contrazione dell’attività produttiva e un aumento dei prezzi.

Politiche di austeritàI singoli Paesi cercarono di attuare diverse strategie che potessero rispondere ai nuovi bisogni e dare una soluzione alle problematiche emerse. Era infatti
indispensabile non solo ridurre i consumi, ma individuare anche nuove forme di energie alternative al petrolio. Per ridurre i consumi furono messe in atto politiche di austerità.

Risparmio energetico in ItaliaIn Italia, fortemente colpita dalla crisi petrolifera, si stabilì una politica volta al risparmio energetico: oltre all’aumento del prezzo della benzina, si vietò
di circolare con l’auto la domenica, si impose la sospensione dei programmi televisivi alle 23, si ridusse l’illuminazione nelle strade e si decise che i negozi dovessero chiudere alle
19, ristoranti e bar alle 23.

Uso civile dell’energia nucleareAl tempo stesso, ebbero una notevole implementazione gli studi e i progetti volti a un uso civile dell’energia nucleare che, meno costosa del petrolio,
avrebbe potuto sostituirsi ad esso.

LA FINE DELL’IMPERO CINESE


La Cina aveva subito un brutale processo di sfruttamento da parte delle principali potenze imperialiste. L’aggressione era venuta soprattutto dall’Inghilterra e dalla Francia, ognuno
di questi Stati era riuscito ottenere per sé una o più zone di influenza. A differenza del Giappone l’impero cinese non aveva saputo rispondere alla sfida degli occidentali. In questo
periodo tra gli intellettuali del paese si distinse Sun Yat-Sen. nei primi 10 anni del 900 e gli fu un instancabile organizzatore di congiure e colpi di mano; i suoi avversari principali
non furono tanto le grandi potenze imperialiste, bensì il governo imperiale di Pechino. Il 29 dicembre 1911 venne proclamata la Repubblica e Sun assunse la carica di presidente.

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L’ALLEANZA TRA COMUNISTI E NAZIONALISTI
Dopo l’abdicazione dell’ultimo imperatore cinese il potere passò nelle mani dell’esercito e dei militari. Questi signori della guerra cinesi si comportavano da veri padroni nei territori
che controllavano militarmente. Nel luglio 1921 un gruppo di questi diede ufficialmente vita al partito comunista cinese che fu riconosciuto dalla terza internazionale. A partire dal
1923 l’unione sovietica forni a Sun un regolare sostegno militare organizzativo che permise alla Cina di entrare in competizione con i signori della guerra.

LA LOTTA POLITICA E SOCIALE NEGLI ANNI VENTI


Alla morte di Sun alla guida della Cina sì insediò Kaishek che ebbe il proprio maggiore risultato positivo nella conquista di Shanghai. Tuttavia la mobilitazione operaia lo impaurì E
decise di rompere l’alleanza con Mosca. Per la giovane organizzazione marxista ciò significò un colpo durissimo. Alcuni intellettuali avevano condotto un capillare e sistematico
lavoro di promozione della rivoluzione comunista nelle campagne. Tre militanti che operavano fra i contadini più abile si rivelò Mao Zedong Il quale elaborò gradualmente una
propria strategia politica militare che si rivelò vincente sulla lunga durata pur incontrando all’inizio la netta ostilità sia del partito e cinese che dell’internazionale. I dirigenti comunisti
credevano che la sola forza rivoluzionaria capace di modificare l’assetto sociale della Cina fosse il proletariato delle città. Ma oppose fin dall’inizio contadini al centro della propria
strategia. Secondo Mao bisognava creare un esercito rosse conquistare militarmente il regime.

LA LUNGA MARCIA
Ma riuscì a costruire una piccola isola comunista. Al massimo della sua espansione la Cina rossa controllare nelle regioni meridionali del paese un territorio molto vasto. Kaishek
decise di attaccare con ingenti forze le posizioni dei comunisti che furono accerchiati con una fitta rete di fortificazioni di cemento. Alla fine i comunisti riuscirono a mettersi in salvo.
Nel 1935 però il gruppo comunista era deciso di intraprendere la cosiddetta lunga marcia, cioè di trasferire tutte le forze armate comuniste rimaste nel nord del paese. L’ Obiettivo
che si proponevano i comunisti era di combattere contro l’esercito giapponese che stava occupando sempre più estesi territori della Cina. Nel 1937 la situazione politica e militare
subì una brusca accelerazione, L’esercito giapponese infatti attacco in forze in tutto il territorio cinese con l’esplicito obiettivo di conquistarlo integralmente. Pechino Cad dell’8
agosto mentre in ottobre-novembre furono occupate Shanghai, Nanchino e Canton. Di fronte a una simile massiccia e feroce offensiva, Khaischek fu costretto a stipulare una
tregua con i comunisti.

LA VITTORIA DEI COMUNISTI E LA GUERRA DI COREA


Nel 1949 a Pechino ma oggi Dong proclamò la nascita della Repubblica popolare cinese. Gli Stati uniti non riconobbero il nuovo governo che invece trovo all’immediato sostegno
dell’unione sovietica. Anche in politica estera legame fra Cina e Unione Sovietica era di stretta collaborazione. La guerra di Corea fu l’unico vero scontro armato fra i due blocchi
che si erano formati In seguito alla seconda guerra mondiale. Gli stati uniti si premurarono di ottenere l’autorizzazione all’intervento militare da parte del consiglio di sicurezza
dell’Onu. Mentre il comandante delle forze americane riteneva necessario allargare il teatro della guerra, attaccando direttamente il territorio cinese, il presidente Truman impose
che il conflitto restasse localizzato in Corea. Nel 1953 i contendenti trovare un accordo e stipulare un armistizio. Nel 1950 si procedette a una riforma agraria.

LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE


Negli anni 1953-57 la Cina comunista sperimentò il suo primo piano quinquennale, basato sul modello economico staliniano. La priorità assoluta fu assegnata all’industria pesante e
si procedette e poi alla collettivizzazione delle campagne. I problemi cominciarono a sorgere verso il 1957, quando in Cina ci fu un enorme crescita demografica. Si aprì il periodo
del grande balzo, in cui la Cina avrebbe dovuto arrivare Velocemente il comunismo, questo periodo fu caratterizzato da un notevole decentramento della gestione economica. Nel
paese infatti sorsero le cosiddette comuni popolari, gigantesche città collettive che comprendevano migliaia di famiglie. Il risultato di questo salto nell’utopia fu a dir poco di
drammatico. I contadini si trovarono sottoposti a ritmi di lavoro massacranti e soprattutto del tutto impossibilitati A curare contemporaneamente anche la produzione dell’acciaio,
una gravissima carestia colpì l’intero paese e l’unione sovietica abbandonò la Cina.

LA RIVOLUZIONE CULTURALE
Per risolvere la crisi che aveva investito il paese a causa del grande balzo, ai dirigenti comunisti si orientarono verso una politica economica simile alla NEP adottata da Lenin per
uscire dal cosiddetto comunismo di guerra. Era senza dubbio un passo indietro nel cammino verso il comunismo, in quanto di fatto introduceva di nuovo nel paese sia la proprietà
privata sia il libero mercato. Ma zie Dong e non accettò di tirarsi indietro e si rivolse alle nuove generazioni, venne pubblicato il libretto rosso che raccoglieva passi dei discorsi degli
scritti più famosi di Mao. Il libretto rosso divenne il testo di riferimento per le guardie rosse, termine che indicava una complessa articolata rete di gruppi giovanili concentrati nelle
città e accomunati dal fatto di considerare Mao una guida infallibile. La rivoluzione culturale sia tua quando ma ho deciso di utilizzare questi giovani radicali per eliminare i suoi
avversari politici. Il risultato fu che in Cina nacque un avere propria guerra civile tra maoisti e antimaoisti. Nel 1968 Mao chiese aiuto all’esercito Che riportò l’ordine con la violenza.

LA CINA DI DENG XIAOPING


Nel 1976 dopo la morte di Mao salì al potere Deng Xiaoping. La sua azione riformatrice investì in primo luogo le campagne dove venne messo in atto la completa liquidazione della
collettivizzazione attuata da Mao. Affronta in termini drastici il problema dell’incremento di demografico adottando la cosiddetta politica del figlio unico. Infine Deng si preoccupa di
rilanciare la produzione industriale. Nonostante grandi passi in avanti, Deng non ha concesso nulla sul piano delle libertà e del potere.

IL SECOLO CINESE
A partire dagli anni ultimi del 900 le economia cinese è cresciuta ritmi vertiginosi. Secondo la maggior parte degli esperti il tasso medio di crescita è stato del 7% all’anno ed è
possibile che intorno a 2025 l’economia cinese superi quella degli stati uniti. Le campagne costituiscono un insesauribile serbatoio di manodopera a basso costo.

PROBLEMI E TIMORI PER IL FUTURO


In Europa e negli stati uniti lo sviluppo economico cinese incute paura, rischio è la chiusura di moltissime aziende. Tutti fenomeni di massa in Cina assumono dimensioni
impressionanti, cominciare dalla motorizzazione che ha portato a un inquinamento impressionante. Persino il rallentamento della crescita demografica e la politica del figlio unico
provocheranno dei seri problemi: primo fra tutti quello del notevole squilibrio fra giovani anziani, ma anche tra maschi e femmine.

La Primavera di Praga: cause e conseguenze

Nel gennaio 1968, in Cecoslovacchia, viene eletto segretario del partito Alexander Dubček, esponente dell’ala innovatrice del Partito comunista.

Subito dopo il suo insediamento, egli avviò un importante esperimento di liberalizzazione, per realizzare il quale egli contava sull’appoggio dell’opinione pubblica, sugli intellettuali,
sugli studenti, sui lavoratori e su di una parte dell’esercito gli intendeva conciliare un sistema a base socialista con elementi pluralisti in economia e in politica.

Dal punto di vista pratico questo comportava un’ apertura in direzione della libertà di opinione, di stampa e di associazione. Come conseguenza, si costituirono diverse formazioni
politiche. Tutto questo viene chiamato “Primavera di Praga”; al momento sembrò che si stesse realizzando una forma di socialismo dal volto umano.

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Da parte sua, l’URSS ritenne che un esperimento simile fosse intollerabile e temeva che l’innovazione si potesse diffondere anche altri Paesi satelliti di oltre cortina. Per questo
motivo, a partire dal mese di marzo dello stesso anno, il leader sovietico Brežnev cominciò a manifestare segni di impazienza e invitò più volte Dubček a fare marcia indietro e a
rientrare nell’ortodossia sovietica, dato che egli di fatto si stava allontanando dall’ideologia di Mosca. Tutti i tentativi, che si protrassero fino a metà agosto, furono inutili. Fu così che
nella notte fra il20 ed il 21 agosto, le truppe sovietiche unitamente a quattro paesi del Patto di Varsavia, Repubblica democratica tedesca, Polonia, Ungheria e Bulgaria) occuparono
Praga e tutta la Cecoslovacchia. I soldati sovietici fecero irruzione nella sede del comitato centrale e mentre si dette vita ad un governo filosovietico, la città veniva invasa dai carri
armati russi. Il primo ministro e lo stesso Dubček furono arrestati e trasferiti e il presidente fu inviato a Mosca. Come reazione, gli abitanti di Praga scesero in piazza per protestare
e non esitarono a trattare i Russi da fascisti e a dipingere le svastiche sui loro carri armati. Nei giorni successivi, le truppe russe spararono sulla folla e si arrivò a contare fino a 100
morti. I dirigenti cecoslovacchi scelse di non ricorrere alle armi ma di attivare la resistenza o passiva. Nel frattempo un congresso clandestino fu tenuto in una fabbrica abbandonata
ed esso confermò la fiducia a Dubček. In questo modo, i Russi furono costretti a rimettere sia Dubček che gli altri dirigenti cecoslovacchi al loro posto., anche se il loro operato d’ora
in poi sarebbe stato sotto lo stretto controllo sovietico. Progressivamente i sostenitori della Primavera di Praga furono costretti ad emigrare o ad abbandonare il loro incarico. La
rivolta di Praga ebbe notevoli ripercussioni all’estero e minò l’immagine dell’URSS Il problema fu portato anche davanti all’ONU il quale,però, non condannò l’operato sovietico
perché l’URSS con il suo veto riuscì ad evitare che fosse presa tale risoluzione. L’invasione fu comunque condannata non solo da singole personalità ma anche da alcuni partiti
comunisti dell’Europa occidentale come quello italiano con Luigi Longo che aveva espresso una forte ammirazione per il programma che Dubček aveva cercato di mettere in atto.
Nel complesso, l’intervento armato sovietico danneggiò pesantemente la credibilità dell’URSS in tutto il mondo.

Nel 1988, Dubček riapparve sula scena politica a fianco degli esponenti del dissenso e l’anno successivo guidò Havel, il presidente in carica, nella gestione della protesta contro il
regime comunista cecoslovacco.

 
Guerra in vietnam
Nella seconda metà del Novecento si svolge in Vietnam uno dei conflitti più importanti, sia a livello politico che a livello simbolico, della Guerra Fredda. L’appoggio statunitense al
Vietnam del Sud finisce per conferire a quello che è un conflitto regionale legato ad una questione di autonomia territoriale il rilievo di una contrapposizione ideologica e il significato
di una lotta contro il comunismo. I principali attori della Guerra Fredda giocano qui la loro partita, appoggiando l’una o l’altra fazione: da una parte gli USA intervengono con uomini
e mezzi, dall’altr URSS e Cina, pur senza intervenire in modo diretto, appoggiano il regime del Vietnam del Nord militarmente e finanziariamente. L’importanza di questa guerra sta
anche nel fatto che rappresenta una delle più grandi sconfitte nella storia degli Stati Uniti e che con essa prendono il via le grandi proteste pacifiste che caratterizzarono il 1968. 
 
La guerra tra Francia e Vietnam (1946-1954) 
 
Dalla seconda metà del XIX secolo la penisola indocinese si trova sotto il controllo francese. Nel corso della Seconda guerra mondiale, tra il 1940 e il 1941 il Giappone avanza in
Asia e conquista la penisola indocinese, di cui assume il controllo in collaborazione con i francesi del governo di Vichy. Nella zona dell’attuale Vietnam nasce un movimento di
indipendenza denominato Vietminh, sotto la carismatica guida del leader rivoluzionario Ho Chi Minh, che aveva fondato il partito comunista locale nel 1929, e con la guida militare
del generale Vo Nguyen Giap. Nel settembre del 1945, con la fine della guerra, il Vietminh proclama la nascita della Repubblica Democratica del Vietnam, che comprende le regioni
di Annam, Tonchino e Cocincina. Nel giro di poco tempo però il Vietnam si trova ancora nelle mani dei francesi, grazie anche al tacito assenso del governo statunitense che, seppur
contrario all’idea stessa del colonialismo, desidera mantenere buoni rapporti con l’alleato francese. Tra il 1946 e il 1954 si ha quindi la prima guerra del Vietnam: alla Francia, che
cerca di mantenere il controllo sul paese, si oppone il Vietminh, che combatte per l’indipendenza vietnamita utilizzando efficaci tecniche di guerriglia. Nel corso della guerra
l’atteggiamento statunitense cambia: se inizialmente gli USA sono rimasti neutrali, dal 1949 iniziano a vedere questo conflitto all’interno della più grande contrapposizione in blocchi
caratteristica della Guerra Fredda. Infatti la vittoria di Mao Zedong in Cina nel 1949 e l’inizio della guerra di Corea nel 1950 costituiscono motivo di preoccupazione per la situazione
politica della regione, mentre nel frattempo Cina e URSS iniziano a sostenere militarmente i Vietminh. Negli USA comincia allora a diffondersi la convinzione di un possibile effetto
domino: si teme che nel caso di vittoria del comunismo in Vietnam, questo possa diffondersi anche negli stati confinanti. Gli USA decidono dunque di aiutare la Francia,  pur
limitandosi ad un sostegno solamente economico. Nel 1954 la Conferenza di Ginevra giunge ad un accordo riguardante la situazione del Vietnam: si decide così di dividere il paese
in due regioni lungo la linea del 17° parallelo: il Vietminh amministrerà la zona settentrionale mentre il sud sarà governato da un regime non comunista. La Conferenza di Ginevra
prospetta la riunificazione dei due stati entro due anni e la formazione di un governo mediante elezioni. La firma del trattato di Ginevra crea però un certo allarme negli Stati Uniti,
che, sempre temendo un’egemonia comunista sul sud-est asiatico, decidono di sostenere il regime del primo ministro Ngo Dinh Diem nel Vietnam del Sud. Di fatto dunque, mentre i
francesi lasciano la regione, gli statunitensi iniziano a impegnarsi in Vietnam. 
 
Lo stallo dei due Vietnam e l’inizio della guerriglia (1955-1964) 
 
Fallita la riunificazione dei due Vietnam a causa dell’opposizione di Ngo Dinh Diem e degli USA, la divisione lungo il 17° parallelo si fortifica diventando una vera e propria frontiera.
Questo provoca una radicalizzazione da entrambe le parti: al sud il regime tirannico di Diem porta ad un’esasperazione delle contrapposizioni politiche interne, mentre al nord
iniziano le persecuzioni verso gli oppositori interni e i cosiddetti “proprietari terrieri”. Intanto, dal 1957, prende piede al sud la guerriglia organizzata dai gruppi di resistenza legati a
Ho Chi Minh, che continua negli anni successivi alimentata dalle forniture di armi e mezzi che vengono introdotti clandestinamente attraverso piste aperte nella giungla a cui viene
dato il nome di “sentiero di Ho Chi Minh”. Nel 1960 la resistenza nel sud prende il nome di Fronte di Liberazione Nazionale, anche se più comunemente questi guerriglieri
divengono noti con il nome di Vietcong, ovvero “comunisti vietnamiti”, secondo l’appellativo datogli dai loro oppositori. Intanto proprio il ruolo statunitense nella regione si fa via via
più importante, attraverso il supporto aereo all’esercito sudvietnamita e l’invio sempre crescente di personale militare che aumenta fino a raggiungere i trentamila uomini durante la
presidenza di John Fitzgerald Kennedy. 
 
La guerra del Vietnam (1964-1975) 
 
Con l’avvento alla presidenza di Lyndon B. Johnson, la presenza statunitense in Vietnam diviene più incisiva e sfocia in un vero conflitto bellico: il nuovo presidente americano non
vuole essere ricordato per una cocente sconfitta militare ed inoltre è incalzato dagli oppositori interni che lo ritengono inadeguato per risolvere la crisi. Per questo motivo Johnson
porta avanti una nuova strategia: è necessario vincere la guerra ed è possibile farlo rapidamente e con uno sforzo bellico minimo. Manca però l’approvazione del Congresso per un
intervento militare in Vietnam, anche se già truppe statunitensi sono presenti sul territorio sud vietnamita al fine di addestrarne l’esercito. L’occasione si presenta con il cosiddetto
“incidente del Tonchino”: un presunto scontro tra un cacciatorpediniere statunitense e una vedetta nordvietnamita, che non ha conseguenze dirette, fornisce il pretesto
all’amministrazione Johnson per presentare al Congresso una risoluzione che autorizzi il Presidente a rispondere con tutti i mezzi necessari all’aggressione nordvietnamita. La
risoluzione viene approvata all’unanimità, così dal febbraio 1965 gli USA iniziano a bombardare il Vietnam del Nord, senza che ci sia stata una vera e propria dichiarazione di
guerra. Si assiste successivamente ad una vera e propria escalation militare, caratterizzata da un continuo aumento dell’impegno statunitense non solo nei bombardamenti ma
anche nel rafforzamento del corpo di spedizione militare, fino a giungere nel 1968 a oltre mezzo milione di uomini presenti sul territorio. Nonostante il grande impegno profuso dagli
USA in questa guerra, la resistenza Vietcong non accenna a diminuire. Questo grazie al largo appoggio di cui dispone tra la popolazione contadina del sud, vessata dapprima da un
regime dittatoriale e successivamente da numerosi colpi di stato, ma soprattutto grazie al sostegno che il regime comunista e i Vietcong ricevono da Cina e URSS. Il 30 gennaio del
1968, in occasione della locale festa del Têt per la quale si era concordata una tregua, i Vietcong e alcune unità dell’esercito regolare nord vietnamita lanciano un attacco a
numerose città del sud. Con questa operazione, nota come “l’offensiva del Têt”, i nord-vietnamiti passano da una guerra di guerriglia ad un conflitto dalle dinamiche più
convenzionali. Tale attacco si dimostra militarmente un fallimento per le forze del Nord, in quanto non si verifica la prevista sollevazione degli abitanti delle città, tanto che la
maggiore potenza militare del sud, unita al supporto statunitense, può facilmente aver la meglio in un confronto bellico tradizionale. L’offensiva, tuttavia, rappresenta una vittoria
comunista dal punto di vista psicologico: dimostra infatti che il territorio del sud è facilmente penetrabile e che il Vietnam del Nord non è intenzionato ad arrendersi nonostante i
pesanti bombardamenti americani. I fatti dei primi mesi del 1968 aumentano il numero di coloro che negli USA ritengono dannosa e inutile questa guerra, in quanto è sempre più
evidente che la conclusione del conflitto non è affatto vicina e il prezzo che gli Stati Uniti stanno pagando in termini di vite umane è troppo alto in relazione al senso ideologico e alle
opportunità politiche del conflitto. Così l’opposizione alla guerra del Vietnam, che fin dalla metà degli anni Sessanta è cresciuta all’interno delle Università o nel mondo della cultura,
conquista larghi settori della popolazione e coinvolge anche una parte del Congresso. In questo svolgono un ruolo fondamentale i media che, trasmettendo in diretta le immagini dal
Vietnam, mostrano la brutalità dei combattimenti e contribuiscono a mettere in discussione il senso stesso della guerra. Proprio l’opposizione crescente e la difficile situazione del
Vietnam portano Johnson a decidere di non ricandidarsi alle elezioni presidenziali e lo spingono a cercare un accordo con il governo nord-vietnamita. Nel marzo del 1968, a Parigi,

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si hanno i primi contatti per tentare un negoziato tra i vari attori presenti in Vietnam ma, nonostante la fine dei bombardamenti americani sul Vietnam del Nord, il potere contrattuale
dei negoziatori statunitensi è indebolito dalle imminenti elezioni negli USA e dalla certezza che Johnson non si ricandiderà. I negoziati finiscono dunque in un nulla di fatto mentre
nel 1969 si insedia il nuovo presidente: Richard Nixon. Il nuovo presidente USA propugna la necessità di diminuire nettamente l’impegno statunitense in Vietnam continuando
invece ad appoggiare il proprio alleato del sud dal punto di vista logistico. Per forzare la mano però sui negoziati di Parigi, che sono nel frattempo ripresi, Nixon ordina ulteriori
bombardamenti sui territori del nord; allo stesso tempo Nixon allarga l’intervento alla confinante Cambogia dove si trovano alcune basi Vietcong da cui partono attacchi alle regioni
del sud. Militari USA sbarcano in Cambogia senza però riuscire a trovare queste basi e provocando ulteriori proteste negli Stati Uniti per l’impegno militare nella zona, tanto
continuo e dispendioso quanto infruttifero. Di fatto questa situazione apre anche ad una guerra civile tra il governo cambogiano appoggiato dagli USA e l’opposizione appoggiata
dalla Cina, di cui fanno parte i comunisti locali noti col nome di Khmer Rossi. Nel 1972, nonostante i continui bombardamenti subiti, i soldati del nord attaccano nuovamente il
Vietnam del Sud: dopo alcuni mesi di campagna militare, la situazione si risolve in uno stallo, che permette alle parti di riunirsi a Parigi per negoziare la fine della guerra.
Nel gennaio 1973 si raggiunge un accordo per il “cessate il fuoco” che di fatto permette agli USA di ritirarsi dal conflitto in Vietnam. Gli Stati Uniti escono da questa guerra umiliati
per la mancata vittoria, nonostante il gran dispiego di uomini e mezzi. Per di più i costi sociali, psicologici ed economici per il paese sono enormi: circa cinquantottomila soldati
americani sono morti in battaglia mentre molti tornano a casa feriti o con gravi disturbi psicologici, che ne pregiudicano il reinserimento nella società civile. Per la prima volta una
della nazioni più forti al mondo ha mostrato la propria vulnerabilità militare, venendo di fatto sconfitta da un piccolo esercito e da una efficiente tattica di guerriglia.  
 
La guerra del Vietnam si può dire definitivamente conclusa nel 1975: in marzo il Vietnam del Nord invade le regioni meridionali, occupandole e riunendo il paese sotto il dominio
comunista: la città di Saigon viene rinominata Ho Chi Minh City in memoria del leader comunista, morto nel 1969, che tanto aveva fatto per un Vietnam unito. Contemporaneamente
anche in Laos e Cambogia dei guerriglieri comunisti, appoggiati dal Vietnam, prendono il potere. 
 
LA CRISI DEL MONDO BIPOLARE: CAUSE
(1968 1980)Forze centrifughe nell’ambito del controllo bipolare dopo il 1968

Le cause del dissolvimento progressivo del bipolarismo dopo il 1968 vanno ricercate:

•    nel discredito delle politiche di Usa e Urss

In Usa la violenta e sanguinosa guerra del Vietnam era ormai condannata dall’opinione pubblica su scala mondiale e nazionale,mentre gli Usa perdevano credito anche sul piano
interno per gli assassinii di Martin Luther King e di Robert Kennedy. Il 68 si era concluso non positivamente anche in Urss,a causa dei fatti determinati dalla primavera di Praga;
•    nel dinamismo dei popoli.
In questa situazione si aprivano per il mondo possibilità nuove di autonomia politica e culturale,destinate a favorire un vistoso processo di graduale superamento dei blocchi est-
ovest;
•    nella contestazione studentesca. Un contributo al dissolvimento del bipolarismo venne dato da un vasto movimento di contestazione giovanile,che tendeva a screditare i sistemi
sia dell’ovest che dell’est e che finiva per dare forza e credito al superamento della logica di Yalta;
•    nella crisi economica degli anni settanta e il mondo arabo. Infatti nei primi anni 70 l’occidente conobbe una gravissima crisi economica,determinata dall’aumento del prezzo del
petrolio imposto dal mondo arabo,che si avviava a divenire un nuovo polo politico ed economico,oltre che culturale,ormai pienamente autonomo.
Guerra fredda: riassunto

BIPOLARISMO
 
Le risposte politiche di Usa e Urss e il loro discredito. L’Unione Sovietica conobbe il momento della maggiore immobilismo della sua storia durante gli ultimi anni di Breznev,il
quale,a partire dal 1968,volle ricompattare il blocco sovietico-comunista con la forza. In tale funzione di recupero della credibilità egli giungerà a riesumare la guerra fredda,senza
rendersi conto che il mondo politico era cambiato,che la situazione economica russa era allo stremo e che l’assimilazione delle idee comuniste negli stessi paesi del blocco veniva
sempre meno.  

Gli Usa cercarono di recuperare la loro credibilità e la loro fisionomia di potenza egemone inserendovi positivamente nella mutata situazione politica,grazie all’intraprendenza del
presidente repubblicano Richard Nixon (1968-1974) il quale,coadiuvato dal segretario di stato Kissinger,seppe dare vita a una politica di successo.  In politica interna egli riuscì a
ricompattare gli americani,in politica estera cercò di attuare una politica pragmatica,consapevole dei profondi mutamenti centrifughi in atto nel mondo. A caratterizzare il mandato di
Nixon fu inizialmente il fermo proposito di porre fine alla continua dilatazione dell’impegno militare americano nel Vietnam e di dare vita a un concreto e onorevole negoziato di
pace,nonché a un progressivo ritorno delle truppe statunitensi.

MONDO BIPOLARE, STORIA


 
I drammatici avvenimenti del Vietnam avevano assunto sempre più il carattere di ingerenza neocolonialistica da una parte e di ispirazione alla libertà nazionale dall’latra. Il governo
Nixon decise di intraprendere la via di un accordo,raggiunto a Parigi nel gennaio 1973,in base al quale gli Usa sospendevano gli aiuti militari a Saigon in cambio della formazione di
un governo democratico e del mantenimento dei due Vietnam. Dopo 30 anni di guerra,condotta prima contro l’occupazione francese (1946-1954) e poi contro gli Usa (1957-
1975),nasceva,nel 1975 la Repubblica socialista del Vietnam,che determinava il fallimento della politica imperialista condotta dagli Stati Uniti nel sud-est asiatico.

L'AMERICA LATINA FRA DITTATURE E DEMOCRATIZZAZIONE


I paesi del centro e del Sud America furono caratterizzati da uno squilibrio tra una massa di contadini poveri e una massa di ricchi latifondisti. A tutto ciò si aggiungeva un aumento
demografico, povertà, mortalità precoce e analfabetismo. In questi anni però in alcuni paesi dell'America Latina si formò un vasto movimento per democratizzare la vita politica e
rifiutare il controllo da parte dei USA ma quest'ultimi,determinati a mantenere al comando le forze conservatrici, appoggiarono ogni tipo di governo, arrivando così a spietati regimi
dittatoriali. Nel 1964 in Brasile ci fu un colpo di stato che dette vita alla “dittatura del gorilla”, un’alleanza tra gli interessi delle multinazionali, gli USA e i brasiliani. Anche in Uruguay
venne adottata una dittatura militare che usò strumenti del terrore. Nacquero contrasti sociali anche in Cile dove un Fronte di unità popolare mise alla presidenza Allende che
realizzò la nazionalizzazione delle miniere di rame e del sistema bancario. Allende morì in uno scontro armato ed una giunta militare prese il potere instaurando una feroce dittatura
di alleanza con gli USA. In Argentina presiedeva Peròn, dittatore basato sul nazionalismo e giustizialismo sociale, egli affidava all'esercito la direzione politica e il suo governo fu
definito populismo demagogico. Un colpo di stato lo costrinse all'esilio ed a capo andò Videla con il governo miliare. Ci furono molte repressioni e migliaia di persone furono uccise
e fatte sparire (desaparecidos)e per denunciare queste scomparse, le madri dei desaparecidos fecero una marcia silenziosa intorno alla piazza de Mayo, indossando un fazzoletto
bianco. Le proteste ed una sconfitta con la Gran Bretagna portarono al ritorno della democrazia in Argentina. In Nicaragua l'ultimo membro della dittatura dei Somoza fu represso
da un Fronte di liberazione sandinista con leader Ortega, che fu sconfitto nelle elezioni del 1990 da Chamorro. Ci fu, inoltre, una guerra civile nel Salvador tra le forze della dittatura
militare, appoggiati dagli USA e il movimento guerrigliero comunista del fronte Farabundo Martì, appoggiato dall'URSS. Durante la guerra ci furono violazioni dei diritti umani e
numerose morti. Fu raggiunto un “accordo di pace” nel 1992 ed il governo passò al partito conservatore.

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"Seconda guerra fredda" (1979-85)[modifica | modifica wikitesto]
Con il termine "seconda guerra fredda" ci si riferisce all'intenso periodo che va dalla fine degli anni settanta a metà degli anni ottanta caratterizzato da un risveglio delle tensioni e
dei conflitti tra le maggiori potenze, con entrambe le parti che divennero sempre più militariste. [133] Lo storico John Patrick Diggins disse: "Reagan fece di tutto per combattere la
seconda guerra fredda, sostenendo le contro-insurrezioni nel terzo mondo". [134] Il suo collega Michael Cox ha invece osservato che: "L'intensità di questa seconda guerra fredda è
stata grande quanto fu breve la sua durata." [135]
Guerra sovietica in Afghanistan[modifica | modifica wikitesto]
Nell'aprile 1978, il Partito Democratico Popolare dell'Afghanistan (PDPA) prese il potere in Afghanistan durante la Rivoluzione di Saur. In pochi mesi, gli oppositori del governo
comunista lanciarono una rivolta nell'Afghanistan orientale che si espanse rapidamente in una guerra civile condotta dai guerriglieri mujaheddin contro le forze governative su scala
nazionale.[136] Gli insorti avevano ricevuto l'addestramento militare e armi nel vicino Pakistan e in Cina,[137][138] mentre l'Unione Sovietica inviò migliaia di consiglieri militari per
sostenere il governo PDPA.[136] Nel frattempo, il crescente attrito tra le fazioni concorrenti del PDPA, il dominante Khalq e il più moderato Parcham, portarono al licenziamento dei
membri del gabinetto di Parchami e all'arresto degli ufficiali militari con il pretesto di un colpo di Stato da lui organizzato. Verso la metà del 1979, gli Stati Uniti avviarono un
programma segreto per assistere i mujaheddin.[139]
Nel settembre 1979, il presidente Nur Mohammad Taraki venne assassinato in un colpo di Stato avvenuto all'interno del PDPA e orchestrato dal suo collega Khalq, Hafizullah Amin,
che assunse così la presidenza. Diffidato dai sovietici, Amin fu assassinato dalle forze speciali sovietiche nel dicembre 1979. Un governo organizzato dai sovietici, guidato
da Babrak Karmal di Parcham ma inclusivo di entrambe le fazioni, riempì il vuoto governativo. Le truppe sovietiche furono schierate per stabilizzare l'Afghanistan sotto Karmal in
quantità più consistenti, sebbene il governo sovietico non si aspettasse che la maggior parte dei combattimenti sarebbero stati effettuati in quel territorio. Di conseguenza, tuttavia, i
sovietici furono ora direttamente coinvolti in quella che era stata una guerra interna dell'Afghanistan. [140]
Carter rispose all'intervento sovietico ritirando il trattato SALT II dal Senato, imponendo embarghi sulle spedizioni di grano e sulla tecnologia verso l'Unione Sovietica e chiedendo
un aumento significativo delle spese militari. Inoltre, annunciò che gli Stati Uniti avrebbero boicottato le Olimpiadi estive del 1980 a Mosca. Egli descrisse l'incursione dei sovietici
come "la più grave minaccia alla pace dalla seconda guerra mondiale".[141]
Reagan e Thatcher[modifica | modifica wikitesto]
Nel gennaio del 1977, quattro anni prima di diventare presidente, Ronald Reagan dichiarò apertamente, in una conversazione con Richard Allen, le sue aspettative base in
relazione alla guerra fredda con queste parole: "La mia idea della politica americana nei confronti dell'Unione Sovietica è semplice, e alcuni direbbero semplicistica", affermò, "È
questa: vinceremo e loro perderanno. Cosa ne pensi?" [142] Nel 1980, Ronald Reagan sconfisse Jimmy Carter nelle elezioni presidenziali del 1980, promettendo di aumentare le
spese militari e di affrontare i sovietici ovunque.[143] Sia Reagan, sia il nuovo primo ministro britannico Margaret Thatcher accusarono l'Unione Sovietica e la sua ideologia; Reagan
la etichettò come un "impero del male" e predisse che il comunismo sarebbe finito nel "mucchio di cenere della storia", mentre Thatcher descrisse i sovietici come "inclini al dominio
del mondo".[144]
All'inizio del 1985, la posizione anticomunista di Reagan si era sviluppata in una posizione nota come la nuova dottrina Reagan, che, oltre al containment, prevedeva un diritto
aggiuntivo di sovvertire i governi comunisti esistenti. [145] Oltre a continuare la politica di Carter a sostegno degli oppositori islamici dell'Unione Sovietica, la CIA cercò anche di
indebolire l'URSS stessa promuovendo l'islamismo nei paesi a maggioranza islamica dell'Asia centrale. [146] Inoltre, la CIA incoraggiò l'ISI pakistana anti-comunista ad addestrare i
musulmani di tutto il mondo a partecipare allo jihād contro l'Unione Sovietica.[146]
Movimento polacco di solidarietà e legge marziale[modifica | modifica wikitesto]
Papa Giovanni Paolo II fornì un'anima morale per l'anticomunismo; una visita nella sua nativa Polonia avvenuta nel 1979 stimolò una risurrezione religiosa e nazionalista incentrata
sul movimento di Solidarność, che galvanizzò l'opposizione ma che potrebbe aver favorito il suo tentato assassinio avvenuto due anni dopo.[147] Nel dicembre 1981, il polacco
Wojciech Jaruzelski reagì alla crisi imponendo un periodo di legge marziale. Reagan impose sanzioni economiche alla Polonia in risposta. [148] Michail Suslov, il principale ideologo
del Cremlino, consigliò ai leader sovietici di non intervenire se la Polonia cadesse sotto il controllo di Solidarność, per timore che potesse portare a pesanti sanzioni economiche,
rappresentando una catastrofe per l'economia sovietica.[148]
Questioni militari ed economiche sovietiche e statunitensi[modifica | modifica wikitesto]
Mosca aveva messo in piedi un esercito che richiedeva fino al 25% del prodotto nazionale lordo dell'Unione Sovietica a scapito dei beni di consumo e degli investimenti nei settori
civili.[149] La spesa sovietica per la corsa agli armamenti e per altri impegni relativi alla guerra fredda causò e aggravò molti problemi strutturali profondi nella società [150] comportando
almeno un decennio di stagnazione economica durante gli ultimi anni di Brežnev.
Gli investimenti sovietici nel settore della difesa non vennero guidati dalla necessità militare, ma in gran parte dagli interessi delle massicce burocrazie statali e di partito che
dipendevano dal settore per garantire il proprio potere e i propri privilegi. [151] Le forze armate sovietiche divennero le più grandi al mondo in termini di numero e tipi di armi che
possedevano, per il numero di truppe nelle loro file e per le dimensioni della loro base militare-industriale. [152] Tuttavia, i vantaggi quantitativi detenuti dall'esercito sovietico
nascondevano spesso aree in cui il blocco orientale era drammaticamente in ritardo rispetto all'Occidente. [153] Ad esempio, la guerra del Golfo Persico ha dimostrato come
l'armatura, i sistemi di controllo antincendio e il raggio di tiro del più importante carro armato sovietico, il T-72, fossero drasticamente inferiori rispetto all'M1 Abrams statunitense,
eppure l'URSS schierò un numero di T-72 quasi tre volte maggiore rispetto a quanto fecero gli americani con l'M1. [154]
All'inizio degli anni ottanta, l'Unione Sovietica aveva costruito un arsenale militare e un esercito che superava quello degli Stati Uniti. Subito dopo l'invasione sovietica
dell'Afghanistan, il presidente Carter iniziò a rafforzare massicciamente l'esercito statunitense. Questo incremento venne accelerato dall'amministrazione Reagan che portò le
spese militari dal 5,3% del PIL nel 1981 al 6,5% nel 1986,[155] il più grande potenziamento relativo alla difesa che si sia mai registrato in tempo di pace nella storia degli Stati Uniti. [156]
Nei primi anni ottanta le tensioni continuarono a intensificarsi quando Reagan rianimò il programma B-1 Lancer precedentemente cancellato dall'amministrazione Carter, mise in
produzione l'LGM-118 Peacekeeper,[157] fece installare missili da crociera statunitensi in Europa e annunciò la sperimentazione di una iniziativa di difesa strategica (Strategic
Defense Initiative), soprannominata "Star Wars" dai media, un programma di difesa per abbattere i missili nemici a metà volo.[158]
Conseguentemente all'accumulo di tensioni tra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti e lo spiegamento di missili balistici RSD-10 sovietici puntati sull'Europa occidentale, la NATO
decise, con l'impulso della presidenza Carter, di schierare MGM-31 Pershing e missili da crociera in Europa, in particolare in Germania Ovest. [159] Questo spiegamento avrebbe
posto i missili in condizione di raggiungere la città di Mosca in soli 10 minuti. [160]
Nonostante il rafforzamento militare voluto da Reagan, l'Unione Sovietica non reagì aumentando a sua volta l'esercito, [161] poiché le già enormi spese militari insieme con
un'inefficiente economia pianificata e all'agricoltura collettivizzata, rappresentavano già un pesante onere per l'economia sovietica.[162] Allo stesso tempo, l'Arabia Saudita aumentò
la produzione di petrolio,[163] così come fecero anche le altre nazioni non OPEC.[164] Ciò comportò a una saturazione di petrolio che colpì l'Unione Sovietica che faceva delle
esportazioni di greggio una delle sue più importanti fonti di reddito. [149][162] Tutti questi eventi portarono gradualmente l'economia sovietica a una fase di stagnazione.[162]
 
Il 1º settembre 1983, l'Unione Sovietica abbatté il Volo Korean Air Lines 007, un volo civile operato con un Boeing 747 con 269 persone a bordo, incluso il membro del
Congresso Larry McDonald. Questo avvenne quando il velivolo violò lo spazio aereo sovietico, appena oltre la costa occidentale dell'isola di Sachalin vicino all'Isola di Moneron. Il
presidente Reagan definì l'abbattimento come un "massacro" e procedette ad aumentare lo spiegamento militare, misure che rimasero in vigore fino ai successivi accordi tra lo
stesso Reagan e Michail Gorbačëv.[165] L'esercitazione Able Archer 83, condotta nel novembre 1983, una simulazione realistica, coordinata dalla NATO, che prevedeva l'ipotesi di
una escalation globale che avrebbe portato alla guerra atomica, fu forse il momento più pericoloso della guerra fredda dai tempi della crisi missilistica cubana, poiché alcuni membri
del Politburo temevano che fosse una cortina fumogena che mascherava la preparazione per un autentico primo colpo nucleare.[166]
La preoccupazione dell'opinione pubblica interna statunitense su possibili interventi in conflitti stranieri persistette dalla fine della guerra del Vietnam.[167] L'amministrazione Reagan
enfatizzò il ricorso a strategie contro-insurrezionali rapide e a basso costo per intervenire in conflitti stranieri.[167] Nel 1983, l'amministrazione Reagan intervenne nella
pluripartimentale guerra civile libanese, invase Grenada, bombardò la Libia e appoggiò i Contras centroamericani, paramilitari anticomunisti che cercavano di rovesciare il
governo sandinista allineato ai soviet in Nicaragua.[168] Mentre gli interventi di Reagan contro Grenada e Libia si rivelarono popolari negli Stati Uniti, il suo appoggio ai
ribelli Contra fu oggetto di diverse controversie.[61] Anche l'appoggio dell'amministrazione Reagan al governo militare del Guatemala, durante la durante la guerra civile
guatemalteca, in particolare il regime di Efraín Ríos Montt, è stato criticato.[169]
Nel frattempo, i sovietici avevano sostenuto costi elevati per i propri interventi all'estero. Sebbene nel 1979 Brežnev fosse convinto che la guerra sovietica in Afghanistan sarebbe
stata breve, i guerriglieri musulmani, aiutati da Stati Uniti, Cina, Gran Bretagna, Arabia Saudita e Pakistan, [138] intrapresero una fiera resistenza contro l'invasione.[170] Il Cremlino
inviò circa 100 000 soldati per sostenere il suo regime fantoccio, portando molti osservatori esterni a nominare la guerra come "il Vietnam dei soviet". [170] Tuttavia, il pantano di

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Mosca in Afghanistan si rivelò ancora più disastroso per i sovietici di quanto non fosse stato il Vietnam per gli americani, perché il conflitto coincideva con un periodo di decadenza
interna e crisi interna del sistema sovietico.
Un alto funzionario del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti aveva predetto, fin dal 1980, un risultato del genere sostenendo che l'invasione fosse in parte risultata da una "crisi
interna all'interno del sistema sovietico... Può darsi che la legge termodinamica dell'entropia abbia... raggiunto il sistema sovietico, che ora sembra spendere più energia
semplicemente mantenendo il suo equilibrio che non migliorando sé stesso. Potremmo vedere un periodo di movimento straniero in un momento di decadenza interna". [171][172]
 
Le riforme di Gorbačëv[modifica | modifica wikitesto]
Quando, nel 1985, Michail Gorbačëv divenne Segretario Generale del PCUS,[144] l'economia dell'Unione Sovietica si trovava in una fase stagnante complice anche il forte calo di
introiti in valuta estera dovuto al vistoso calo dei prezzi del petrolio che si era avuto negli ultimi anni. [173] Questi problemi spinsero Gorbačëv a studiare misure adeguate per
rivitalizzare la sua nazione.[173]
Complice un inizio inefficace, il Segretario arrivò alla conclusione che fossero necessari cambiamenti strutturali profondi e, dunque, nel giugno 1987, annunciò un'agenda di riforme
economiche che prese il nome di perestrojka, o ristrutturazione.[174] La perestrojka attuò il rallentamento del sistema delle quote di produzione, permise la proprietà privata alle
imprese e spianò la strada agli investimenti stranieri. Queste misure ebbero lo scopo di reindirizzare le risorse del paese dai costosi impegni militari relativi alla guerra fredda a zone
più produttive nel settore civile.[174]
Nonostante lo scetticismo iniziale riscontrabile in Occidente, il nuovo leader sovietico si rivelò intenzionato a invertire il deterioramento della condizione economica dell'Unione
Sovietica piuttosto che continuare con la corsa agli armamenti.[77][175] In parte anche per contrastare l'opposizione di partito alle sue riforme, Gorbačëv introdusse simultaneamente
la glasnost', o apertura, con cui venne aumentata la libertà di stampa e la trasparenza delle istituzioni statali.[176] Con la glasnost' si intendeva ridurre la corruzione dei vertici
del PCUS e moderare l'abuso di potere che caratterizzava il Comitato centrale.[177] La glasnost'  permise anche un maggiore contatto tra i cittadini sovietici e il mondo occidentale, in
particolare con gli Stati Uniti, contribuendo a un'accelerazione nella distensione tra i due paesi. [178]
 
L'Europa dell'Est si separa[modifica | modifica wikitesto]
Nel 1989, il sistema di alleanze dell'Unione Sovietica era sull'orlo del collasso e, privato del sostegno militare, i leader comunisti degli Stati del Patto di Varsavia accusavano una
perdita di potere.[186] Organizzazioni popolari, come il movimento polacco Solidarność, guadagnarono rapidamente un solido consenso tra la popolazione. Nel 1989, i governi
comunisti di Polonia e Ungheria furono i primi a negoziare l'organizzazione di elezioni libere. In Cecoslovacchia e nella Germania dell'Est, le proteste di massa misero in difficoltà i
dirigenti comunisti. Anche i regimi di Bulgaria e Romania si sgretolarono, in quest'ultimo caso a seguito di una violenta insurrezione. Gli assetti cambiarono tanto che il Segretario di
Stato americano James Baker affermò che il governo statunitense non si sarebbe opposto all'intervento sovietico in Romania, per conto dell'opposizione, per evitare spargimenti di
sangue.[190]
Questi sconvolgimenti politici ebbero il loro culmine con la demolizione del muro di Berlino, evento accaduto nel novembre 1989 che simboleggiò il crollo dei governi comunisti
europei e la fine della cortina di ferro. L'ondata rivoluzionaria del 1989 attraversò l'Europa centrale e orientale e rovesciò pacificamente tutti gli Stati comunisti che seguivano il
modello sovietico: Germania dell'Est, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia e Bulgaria; [191] La Romania fu l'unico paese del blocco orientale a rovesciare violentemente il suo regime
comunista arrivando a condannare a morte il suo capo di Stato e leader politico.[192]
Le repubbliche sovietiche si separano[modifica | modifica wikitesto]
Nella stessa Unione Sovietica, la glasnost'  contribuì a indebolire i legami che tenevano insieme l'Unione [185] tanto che nel febbraio 1990, con la dissoluzione dell'URSS incombente,
il Partito Comunista fu costretto a cedere il suo monopolio di 73 anni sul potere statale.[193] Allo stesso tempo, la libertà di stampa e di dissenso vennero permesse, la "questione
delle nazionalità", sempre più radicata, portò le repubbliche componenti dell'Unione a dichiarare la propria autonomia da Mosca, con i tre Paesi Baltici che decisero di ritirarsi
interamente dall'Unione.[194]
Dissoluzione sovietica[modifica | modifica wikitesto]
 
I leader delle repubbliche di Russia, Ucraina e Bielorussia firmano l'accordo di Belaveža, che dissolve l'URSS e istituisce la Comunità degli Stati Indipendenti (1991).
L'atteggiamento permissivo di Gorbačëv verso l'Europa centrale e orientale non si estese inizialmente al territorio sovietico; persino Bush, che si sforzò di mantenere relazioni
amichevoli, condannò le uccisioni del gennaio 1991 avvenute in Lettonia e Lituania, avvertendo (in forma privata) che le relazioni economiche sarebbero state congelate se le
violenze fossero continuate.[195] L'Unione Sovietica venne, infine, fatalmente indebolita da un fallito colpo di Stato e da un numero crescente di repubbliche sovietiche che
minacciavano di ritirarsi dall'Unione. La "Comunità degli Stati Indipendenti", formalizzata il 21 dicembre 1991, viene vista come un'entità che succedeva all'Unione Sovietica ma,
secondo i dirigenti russi, il suo scopo era quello di "consentire un divorzio civile" tra le repubbliche sovietiche ed è paragonabile a una dissoluzione di una confederazione.
[196]
 L'Unione Sovietica fu ufficialmente dichiarata sciolta il 26 dicembre 1991. [197]
 
 
L’ITALIA DOPO IL FASCISMO
UN PAESE SCONFITTO:
Con la liberazione dal fascismo iniziò per l’Italia il difficile dopoguerra. L’Italia era una nazione sconfitta e occupata militarmente, dipendente dagli aiuti alleati.
Economia in gravi condizioni: calo di produzione, ingenti danni all’agricoltura, approvvigionamenti alimentari problematici, razionamento di generi primari, inflazione, sistema dei
trasporti disastrato, molte abitazioni distrutte. Anche i problemi all’ordine pubblico non mancavano: fame, mancanza di alloggi, disoccupazione.
Italia settentrionale: nuovo slancio alle lotte sociali. Gli ex partigiani riluttanti nel deporre le armi e inclini a misure di giustizia sommaria nei confronti dei fascisti.
Italia centro-sud: terre incolte occupate dai braccianti. Minaccia più grave: la malavita comune, legata soprattutto al contrabbando e alla borsa nera (commercio clandestino dei
generi razionati). Il fenomeno mafioso fu favorito anche dal comportamento delle autorità militari americane, che al momento dello sbarco in Sicilia riuscirono a stabilire contatti con
la popolazione servendosi di esponenti della malavita italo-americana.

LE FORZE IN CAMPO:
Il ritorno della democrazia determinò una crescita della partecipazione politica; le forze politiche che si candidavano alla guida del paese all’indomani della liberazione erano le
stesse che erano state protagoniste della lotta politica tra la fine della Prima guerra mondiale e l’avvento della dittatura:

 Partito socialista: dal 1943 PSI, con leader Pietro Nanni, molto popolare, ma con un gruppo dirigente non compatto, diviso fra spinte rivoluzionarie, che portavano a
stretti legami con i comunisti, e spinte riformiste, che spingevano ad assumere una posizione intermedia.
 Partito comunista: grazie al contributo offerto alla lotta antifascista, e alla guida di Togliatti, che dopo la “svolta di Salerno” aveva dato nuovo slancio al partito. Si
presentava come partito di massa con un’area di consensi su base operaia, contadina, sui ceti medi e gli intellettuali. Senza rinnegare il legame con l’Urss, e
continuando ad alimentare le aspettative rivoluzionarie della classe operaia, si inserì attivamente nelle istituzioni democratico-parlamentari.
 Democrazia cristiana: appoggiata dalla Chiesa, erede del Partito popolare di Don Sturzo, guidato da Alcide De Gasperi, col gruppo dirigente proveniente proprio dal
Partito popolare, ma rafforzato anche da nuove figure politiche attive nell’Azione cattolica, tollerata durante il regime fascista.
 Partito Liberale: gran parte della dirigenza prefascista, sostenuto dalla grande industria e dai grandi proprietari. Einaudi e Croce aderirono al partito liberale. Ma il
rapporto con gli elettori era compromesso.
 Partito repubblicano: intransigente sulla questione istituzionale, respingendo compromessi con la monarchia. Era un partito laico.
 Partito d’azione: adesione di leader dell’antifascismo come Parri, Lussu, Valiani e di molti intellettuali. Una forza nuova e moderna, promotrice di riforme sociali e
istituzionali come la nazionalizzazione dei grandi complessi industriali, la riforma agraria, e più autonomie locali, senza forte base di massa, molto diviso fra l’ala
socialista e quella liberal-democratica—> contrasto che portò nel 1946 alla scissione e poi ad un successivo scioglimento.
 La destra: era politicamente fuori gioco ma molto forte soprattutto nel Mezzogiorno. In parte contribuirono alla nascita del Movimento qualunquista: fondato da Giannini
dopo il successo ottenuto dall’omonimo giornale, privo di qualsiasi caratterizzazione ideologica. Assumeva le difese del cittadino medio “l’uomo qualunque”.

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 CGLI (Confederazione generale italiana del lavoro): svolse un ruolo importante, benché fosse divisa in tre componenti: socialista, comunista e cattolica. Grazie a
profondo lavoro di mediazione
tra le parti, la Cgil riuscì a mantenere una linea moderata che permise di realizzare importanti conquiste normative: il riconoscimento delle commissioni interne,
rappresentanti il sindacato all’interno delle aziende; l’introduzione di un meccanismo di scala mobile per l’adeguamento automatico dei salari al costo della vita; una nuova
e più rigida disciplina dei licenziamenti; un maggior egualitarismo retributivo fra i lavoratori delle diverse categorie. La Confederazione fu ricostruita su basi unitarie nel ’44.

DALLA LIBERAZIONE ALLA REPUBBLICA:


La prima occasione di confronto fra i partiti si presentò al momento di scegliere il successore di Bonomi. I partiti si accordarono sul nome di Parri, uno dei capi militari durante la
Resistenza, che cercò di promuovere un processo di normalizzazione nel paese e mise all’ordine del giorno il problema dell’Epurazione. Annunciò una serie di provvedimenti: forti
tasse per le grandi imprese e favorire le piccole e medie aziende. Parri suscitò l’opposizione delle forze moderate, in particolare del Pli, che nel novembre 45 ritirò la fiducia al
governo, determinandone la caduta.
La Dc impose la candidatura di Alcide De Gasperi. Il nuovo governo, retto sulla partecipazione di tutti i partiti del Cln, accantonò i progetti di riforme economiche l’epurazione fu
rallentata, fino ad arrivare, nel giugno 46, ad una larga amnistia varata dal ministro della Giustizia, Togliatti.
Per il 2 giugno 1946 venne fissata la data per le elezioni dell’Assemblea costituente: le prime consultazioni politiche libere dopo ventiquattro anni, le prime a suffragio universale
maschile e femminile. In quello stesso giorno i cittadini sarebbero stati chiamati a decidere, mediante referendum, tra monarchia e repubblica.
Il 9 maggio, Vittorio Emanuele III, abdicò in favore del figlio Umberto II, sperando di ampliare il consenso pro-monarchia, ma la mossa non ottenne i risultati sperati. La repubblica
prevalse, Umberto II partì per l’esilio in Portogallo e la Dc si affermò come il primo partito, seguita dal Psiup e dal Pci.

LA CRISI DELL’UNITA’ ANTIFASCISTA:


Con l’avvento della Costituzione, l’Italia definì il suo nuovo assetto istituzionale. Democristiani, socialisti e comunisti governarono insieme, scegliendo come Presidente della
Repubblica De Nicola (giurista liberale). Ma i contrasti fra i partiti della coalizione, nel ‘46/47 si approfondirono, comportando tensioni interne ed internazionali.
Questo provocò, nel gennaio ’47, la scissione del Partito socialista: da un lato abbiamo il Psi (Partito socialista italiano) con a capo Nenni che manteneva i caratteri classisti e
rivoluzionari, dall’altro il Partito socialista dei lavoratori italiani (diventato poi Partito socialdemocratico italiano) con a capo Saragat, contrario all’alleanza con la Pci.
Alla scissione seguì una crisi e la formazione di un nuovo governo tripartito (Dc,Psi,Pci) presieduto da De Gasperi, che però, nel maggio formò un governo di soli democristiani
“monocolore”. Così, i cattolici al potere e le sinistre all’opposizione = ∅coalizione tra i 3 partiti di massa.

LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA:
I contrasti politici non impedirono il varo della Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio ’48. Dava vita a un sistema di tipo parlamentare: il governo responsabile di fronte alle due
Camere (la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica), titolari del potete legislativo, entrambe elette a suffragio universale e incaricate anche di scegliere, in seduta
congiunta, un presidente della Repubblica con mandato settennale. Oltre agli istituti tipici, vengono affiancati alcuni importanti principi di tipo sociale: diritto al lavoro, libertà
sindacale etc.

LE ELEZIONI DEL 48 E LA SCONFITTA DELLE SINISTRE:


La campagna per le elezioni del 18 aprile 1948, dalle quali doveva uscire il primo Parlamento, vide una forte contrapposizione tra socialisti e comunisti (uniti nel fronte popolare) da
un lato, e Dc e partiti laici minori dall'altro. I democristiani ottennero un grande successo, grazie anche all’appoggio della Chiesa e degli Stati Uniti. Dopo le elezioni, De Gasperi
diede vita a una coalizione centrista, che vedeva la Dc alleata con liberali, repubblicani e socialdemocratici.

LA RICOSTRUZIONE ECONOMICA:
Sul piano della politica economica ebbero sempre il sopravvento le forze moderate, che seguirono una politica di “restaurazione liberista” rifuggendo da un uso incisivo e degli
strumenti di intervento statale nell'economia.
Tale politica si afferma pienamente dopo l’estromissione delle sinistre dal governo, ad opera del ministro del bilancio Einaudi: gli obiettivi principali erano la fine dell’inflazione, il
ritorno alla stabilità monetaria e il risanamento del bilancio statale. Nel complesso, la linea Einaudi ottenne i risultati prefissati ma con forti costi sociali, soprattutto in termini di
disoccupazione.

IL TRATTATO DI PACE E LE SCELTE INTERNAZIONALI:


Il trattato di pace fra Italia e alleati fu firmato a Parigi nel febbraio 1947. Il trattato comportava la rinuncia delle colonie e secondarie rettifiche di confine a favore della Francia, ma
anche il pagamento delle riparazioni e una riduzione delle forze armate.
Restava aperta con la Jugoslavia la questione di Trieste: Il maresciallo slavo Tito ne rivendicò il possesso, generando uno scontro che portò all’uccisione di migliaia di italiani gettati
nelle foibe. Trieste venne riunita l'Italia solo nell'ottobre 1954.
Per un paese sconfitto, economicamente debole e privo di qualsiasi autonomia forza militare, il problema capitale era quello della scelta di campo fra i due blocchi che si
fronteggiavano in Europa (GUERRA FREDDA). La scelta dell’Italia diventò netta dopo l’estromissione delle sinistre dal governo e l’accettazione del piano Marshall, per essere poi
sancita dall’elettorato il 18 aprile 1948. L’adesione al Patto Atlantico fu approvata dal Parlamento nel marzo 1949.

GLI ANNI DEL CENTRISMO:


Gli anni dal 48 al 53 sono gli anni del centrismo: la democrazia cristiana punta sull’appoggio di partiti laici minori e sulla candidatura come presidente della Repubblica Einaudi,
eletto nel 1948. La Dc occupa il centro dello schieramento politico, lasciando fuori dalla maggioranza sia la sinistra che la destra e conservando il consenso delle masse popolari,
soprattutto dei contadini.
Ci furono importanti interventi sociali come la riforma agraria (1950; fissa norme per l’esproprio e il frazionamento di una parte delle grandi proprietà terriere, con lo scopo finale di
incrementare la piccola impresa agraria) e l'istituzione della Cassa per il Mezzogiorno (1950; ente pubblico con lo scopo di promuovere lo sviluppo economico e civile del meridione
usando il finanziamento statale). Altre sono la legge Fanfani: finanziamento alle case popolari e la riforma Vanoni: obbligo della dichiarazione annuale dei redditi (1955).
Nonostante la forte ripresa produttiva iniziata nei primi anni 50, la disoccupazione si mantenne su livelli elevati e i salari restarono bassi. I partiti di sinistra e la Cgil reagirono
mobilitando le masse operarie in una serie di scioperi e manifestazioni. Il governo rispose intensificando l’uso dei mezzi repressivi. In questa situazione la Dc cercò di rendere più
stabile la propria maggioranza con la riforma del meccanismo elettorale (“la legge truffa”), la cui approvazione suscitò vivaci proteste a sinistra e fu comunque prima di risultati
pratici nelle elezioni del 53.

ALLA RICERCA DI NUOVI EQUILIBRI:


Fallito il tentativo di stabilizzazione centrista, cominciò una lunga fase di transizione e di ricerca di nuovi equilibri politici. Il paese cominciava lentamente a modernizzarsi e la ripresa
economica si consolidava. Dimessosi De Gasperi nel 53, i successivi governi a guida democristiana continuarono ad appoggiarsi sulla maggioranza quadripartita rafforzata
dall’apporto di voti monarchici e neofascisti.

1956: ministero della Partecipazione Statale, col compito di coordinare le attività delle aziende statali + Corte costituzionale (diventato il Consiglio superiore della magistratura).
Nelle elezioni del ’53, con la sconfitta politica di De Gasperi, ci fu la progressiva emarginazione del suo gruppo dirigente e l’allargamento della maggioranza ai socialisti.
Nella Dc si affermò con la segreteria Fanfani (1954) una nuova generazione, più attenta all’intervento dello Stato nell’economia e più sensibile ai problemi sociali.
Il Psi, soprattutto dal ’56, andava allontanandosi dai comunisti.

DAL MIRACOLO ECONOMICO ALLA CRISI DELLA PRIMA REPUBBLICA


IL MIRACOLO ECONOMICO:
Fra il 1958 il 1963 ci fu un progresso di crescita economica, infatti furono questi gli anni del miracolo economico che, nonostante il tasso di sviluppo si riducesse dopo la crisi del 63,
mutua definitivamente in senso industriale il volto del paese.

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Le conseguenze del miracolo economico furono: sviluppo dell’industria manifatturiera, che nel 61 triplica la sua produzione rispetto al periodo prebellico nei settori siderurgico,
meccanico e chimico; aumento di esportazioni di prodotti industriali (= politica di libero scambio + CEE), aumento della produttività e basso livello dei salari portarono alti profitti.
La crisi del 63 è dovuta alla maggiore capacità contrattuale dei lavoratori, con lotte sindacali, che riuscirono a ottenere miglioramenti salariali, riducendo il margine di profitto e
mettendo in moto un processo di inflazione.

TRASFORMAZIONI SOCIALI:
Al boom industriale si accompagnarono due importanti fenomeni sociali: l'esodo dal sud al nord e la crescita dell'urbanizzazione. La crescita demografica delle città si accompagnò
ad incremento dell’occupazione, che favorì il processo di integrazione, e per cui fu importantissima la diffusione della scolarizzazione.
La televisione, attraverso cui passava la lingua comune, e le automobili, sempre più diffuse nel privato, furono strumenti e simboli del cambiamento. A metà anni 70 su completata
la rete autostradale.

IL CENTRO-SINISTRA:
All’inizio degli anni ’60 i socialisti entrarono nel governo e nella maggioranza. Ma nel 1960, Tambroni (democristiano), non riuscendo a trovare un accordo con socialdemocratici e
repubblicani, forma un governo monocolore con l’appoggio del Movimento Sociale Italiano (Msi), suscitando proteste e tensione da parte di operai e antifascisti che scatenarono
rivolte.
Il governo cedette e, per superare la crisi, si formò un governo Fanfani di centro-sinistra, grazie all’astensione dei socialisti in Parlamento. Si formò il primo governo di centro sinistra
organico presieduto dal leader della Dc, Moro.
In questa fase furono varati due importanti provvedimenti: la nazionalizzazione dell'industria elettrica (Enel) e l'istituzione della scuola media unica.
Dall’anno successivo, si bloccò il processo riformatore. Molti i problemi in seno ai vari partiti, tensioni e divergenze portarono, nel 1964, alla scissione del Psi: la minoranza di
sinistra formò il Partito socialista di unità proletaria (Psiup).

IL ’68 E L’AUTUNNO CALDO:


Alla fine degli anni 60, studenti e classe operaia furono protagonisti di forti scontri sociali.
Movimenti studenteschi: con l’occupazione di facoltà universitarie, manifestazioni di piazza, scontri con le forze dell’ordine; rivendicavano una forte ideologizzazione in senso
marxista e rivoluzionario. Nacquero anche nuovi gruppi politici extraparlamentari in favore della classe operaia; nonché lotte di lavoratori industriali che rivendicavano rinnovi
contrattuali (1968, il cosiddetto “autunno caldo”).
I maggiori protagonisti dell’autunno caldo furono i lavoratori immigrati al nord.
Le lotte operaie si conclusero con forti aumenti salariali e con un rafforzamento delle confederazioni sindacali.
Nel 1970 furono approvati alcuni importanti provvedimenti: Statuto dei lavoratori (= norme atte a garantire libertà sindacali e diritti dei lavoratori all’interno delle aziende);
provvedimenti relativi all’istituzione delle regioni (si tennero le prime elezioni regionali); approvazione della legge Fortuna-Baslini (= legge sul divorzio).

CRISI DEL CENTRO-SINISTRA:


Nei primi anni '70 iniziarono a manifestarsi le prime forme di terrorismo politico, a cui il governo non seppe reagire adeguatamente. Il 12 dicembre 1969 ci fu l'attentato di piazza
Fontana a Milano; quella in atto era una strategia della tensione: le forze di destra avevano come scopo quello di incrinare le basi dello Stato democratico, per poter favorire un
ritorno all’autoritarismo.
Gli equilibri politici cominciarono a modificarsi dopo il successo del referendum (1974) che confermò il divorzio, contro le posizioni della chiesa e della Dc, testimoniando i profondi
cambiamenti della società. Ciò fu dimostrato anche dall’approvazione, nel 1975, della riforma del diritto di famiglia, che sanciva la parità giuridica fra i coniugi, e dall’abbassamento
della maggiore età a 18 anni; nonché dalla legge che legalizzava l’aborto nel ’78.
Sull’onda del cambiamento, il segretario del Pci Berlinguer, cercò un accordo fra le forze comuniste (=eurocomunismo), socialiste e cattoliche: un compromesso storico per
scongiurare soluzioni autoritarie.
Berlinguer fu poi succeduto da Craxi, in seguito alla sconfitta alle elezioni.

IL TERRORISMO E LA SOLIDARIETA’ NAZIONALE:


Dalle elezioni del 1976 nacque un governo democristiano guidato da Andreotti, giungendo ad un governo di solidarietà nazionale (per affrontare la crisi e il terrorismo di sinistra).
In quel periodo furono gravi problemi: terrorismo nero e rosso.
Il primo, il terrorismo di destra, ricorreva ad attentati dinamitardi in luoghi pubblici: stragi che avevano lo scopo di diffondere il panico nel paese per poter avviare la svolta autoritaria
(bombe in piazza a Brescia, sul treno Italicus, e alla Stazione di Bologna il 2 agosto 1980); il terrorismo rosso, o di sinistra, nacque in reazione al terrorismo nero, alla corruzione
politica, all’immagine di uno stato debole. Il più grande gruppo terroristico rosso furono le Brigate Rosse che rapirono e assassinarono Aldo Moro nel 1978.
Alle Brigate Rosse si affiancarono i Nuclei armati proletari e Prima linea.
Negli stessi anni in cui dovette fronteggiare il salto di qualità del terrorismo rosso, il governo si trovò a confrontarsi con la crisi economica: inflazione dovuta all’aumento del prezzo
del petrolio, aumento spesa pubblica, meccanismo di scala mobile (introdotto nel ’75 che assicurava ai salari un più rapido adeguamento al costo della vita), disoccupazione
giovanile e non.
Il malessere giovanile si espresse in forme drammatiche nel 1977, quando un nuovo movimento di studenti universitari e medi (il cosiddetto movimento del ’77) diede vita a
occupazioni e violenti scontri di piazza ricorrendo non di rado alle armi. Protagonisti degli scontri furono i gruppi di Autonomia operaia, che inasprì il terrorismo di sinistra.
Dopo la morte di Moro, nonostante alcune leggi di contenuto sociale (= equo canone e riforma sanitaria) il programma riformatore del governo di solidarietà nazionale non riuscì a
realizzarsi, mentre si accentuarono le divisioni tra le forze politiche.

POLITICA, ECONOMIA E SOCIETÀ DEGLI ANNI 80:


Nel 1979 si ebbero le elezioni in cui ci furono forti mutamenti nel panorama politico: la Dc fortemente sconfitta, il Pci in perdita consensi. Si formò un governo di coalizione di centro-
sinistra: una formula pentapartito guidata dal socialista Craxi, quindi governi non democristiani.
Il sistema economico italiano manifestava una vitalità notevole, primo fra tutti il settore terziario. Le prospettive di crescita economica furono accompagnate da gravi fattori:
corruzione politica; 1980, con lo scandalo della Loggia P2 (= una branca segreta della massoneria, ben inserita nel mondo politico, nella burocrazia e nei vertici militari, sospettata
di perseguire il fine di un ritorno all’autoritarismo). La malavita organizzata era sempre più diffusa, soprattutto mafia e camorra, e non più solo nelle tradizionali aree meridionali. Per
coordinare la lotta alla mafia fu inviato a Palermo, come prefetto, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che venne assassinato nel 1982.
Grazie ad una legge che concedeva forti sconti di pena (= “legge sui pentiti”), approvata nel 1980, alcuni terroristi arrestati decisero di denunciare i compagni sfuggiti alla cattura: i
pentiti aumentarono costantemente, e ciò diede forte contributo alla sconfitta del terrorismo.

LE DIFFICOLTA’ DEL SISTEMA POLITICO:


Contrasti, differenze e polemiche, all’interno dei partiti, portano alla forte instabilità di una maggioranza troppo composita. Nel 1985 fu eletto presidente della Repubblica il
democristiano Cossiga, in seguito ad un accordo tra forze politiche, ma ciò non evitò il riproporsi di contrasti, cosi ingestibili che nel 1987 una lunga crisi di governo portò ad elezioni
anticipate (segnarono un progresso del Psi e un calo del Pci). Dopo le elezioni, la coalizione si ricostituiva, dando vita a tre successivi governi a guida democristiana (Goria, De
Mita, Andreotti). Si accentuavano frattanto nell’opinione pubblica la critica alle disfunzioni del sistema politico (corrotta e debole) e l'attesa delle riforme istituzionali.

LA SECONDA REPUBBLICA
LA CRISI DEL SISTEMA POLITICO
Con l’espressione “seconda repubblica” viene indicato il nuovo assetto politico determinatosi in Italia negli anni 1992-94.
I fattori che caratterizzano il sostanziale cambiamento del nostro paese furono: il crollo del sistema dei partiti, la nuova legge elettorale maggioritaria, il profondo rimescolamento e
rinnovamento della classe politica e infine la nascita di un tendenziale bipolarismo.
Le novità politiche però furono accompagnate dall’aggravarsi dei fattori di crisi, sia sul terreno dell’economia, dove vi fu un aumento del deficit pubblico, rallentamento della
produzione, la svalutazione della lira; sia su quello della convivenza civile, con la ripresa dell’offensiva mafiosa e il dilagare della corruzione.

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Sul piano politico, le maggiori novità furono la trasformazione del Pci in Partito democratico della sinistra e l’emergere di nuovi movimenti ostili al sistema dei partiti come i verdi, le
Leghe e la Rete capeggiata da Orlando.
Le forze politiche cominciarono a prendere in considerazione l’ipotesi di una nuova legge elettorale che rafforzasse l’esecutivo. La questione fu sollevata da un comitato composto
da esponenti di diversi partiti e presieduto da Segni e anche il presidente della repubblica Cossiga dimostrava, attraverso varie polemiche, il desiderio di cambiare il sistema che lui
stesso rappresentava. Nel ’92 Cossiga sciolse le Camere e indisse le elezioni che, segnavano la sconfitta delle forze tradizionali (Dc e Pds) e la vittoria delle forze politiche nuove
ostili al sistema dei partiti, cioè la Lega Nord guidata da Bossi, i verdi che rafforzarono la loro presenza in Parlamento e la Rete. Dopo le dimissioni di Cossiga il Parlamento nominò
Scalfaro, democristiano, presidente della Camera. In quel periodo la maggior parte dei politici furono accusati di ottenere delle tangenti in cambio della concessione degli appalti e
quindi di adottare un sistema di finanziamento illegale dei partiti e di autofinanziamento, denominato Tangentopoli. Inoltre, si aggiunsero le stragi della mafia, con l’uccisione di
Falcone e Borsellino e l’incremento dei problemi della crisi produttiva e dei debiti statali.
Scalfaro nominò Amato presidente del governo, il quale ottenne alcuni successi nell’affrontare l’emergenza economica e quella dell’ordine pubblico. Ma il ceto politico, delegittimato
dalle inchieste della magistratura, non riusciva a trovare un accordo sulle riforme istituzionali.

UNA DIFFICILE TRANSIZIONE


Nell’aprile 1993 un referendum abrogativo impose il passaggio al sistema maggioritario uninominale al Senato, passaggio confermato dalle nuove leggi elettorali.
Dopo le dimissioni di Amato, il governo fu affidato a Ciampi che affrontò la crisi economica e occupazionale del paese, appoggiato dalla vecchia maggioranza quadripartita (Dc, Psi,
Psdi, Pli). Si astennero il Pds, Lega, verdi e Pri. Vi fu il varo di una nuova legge elettorale per le due Camere che recepisse il principio maggioritario indicato dal referendum per il
Senato.
Inoltre, continuarono le privatizzazioni, la riduzione della spesa pubblica e le riforme fiscali. Un’importante novità furono le elezioni comunali per la nomina diretta del sindaco, che
decretarono l’ascesa della Lega e la sconfitta per la Dc e il Psi. Nel centro e nel sud prevalse il Pds.
Tuttavia, il governo si ritrovò nuovamente in difficoltà, a causa della ripresa del terrorismo e degli intrecci fra politica e criminalità organizzata. Sul piano economico diminuì la
produzione, nonostante il costo del denaro venne diminuito per favorire le esportazioni.

L’AVVIO DEL BIPOLARISMO


Nel frattempo le forze politiche si prepararono ad un nuovo confronto elettorale (Lega e Pds le richiedevano, Dc cercava di posticiparle). Vi fu una trasformazione dei partiti:
 il Psi affidò la segreteria del partito prima a Benvenuto, poi a Del Turco;
 la Dc guidata da Martinazzoli decise di tornare alla vecchia denominazione del partito cattolico fondato da Sturzo, “Partito popolare italiano” Ppi, ma alcuni dirigenti
democristiani ostili al predominio delle sinistr nel nuovo partito formarono il Centro cristiano democratico (Ccd);
 una nuova scissione del Partito popolare diede vita ai Cristiani democratici uniti (Cdu);
 il segretario del Msi Fini avviò la trasformazione del suo partito in Alleanza nazionale, puntualizzando che il fascismo era finito ed esaltando alcuni aspetti positivi del
movimento;
 la novità fu la nascita di un partito di centro-destra “Forza Italia” presieduto da Berlusconi, imprenditore televisivo e proprietario del Milan.

Egli fondò un cartello elettorale con la Lega nord nell’Italia settentrionale (Polo della libertà) e con Alleanza nazionale nel centro-sud (Polo del buon governo).
Le elezioni del ’94, tenutesi con nuovo sistema maggioritario uninominale, che poneva le premesse per instaurare un meccanismo di alternanza tra maggioranza e opposizione
chiamato bipolarismo, portarono al governo una precaria maggioranza di centro-destra guidata da Berlusconi.
Costretto solo dopo 7 mesi a dimettersi per i contrasti sopraggiunti all’interno della maggioranza, gli succedeva un ministero di tecnici presieduto da Dini e sostenuto da uno
schieramento di forze di centrosinistra. Il centro-destra passò all’opposizione.
La realizzazione più significativa del sistema fu la riforma del sistema pensionistico, cioè le pensioni non sarebbero state legate all’ultima retribuzione percepita ma in base ai
contributi versati negli anni di lavoro. Nelle elezioni regionali il centro sinistra prevalse sul centro-destra e seguirono vari referendum sulla riduzione della pubblicità, della
distribuzione delle reti concesse ai privati, mirati a ridimensionare il potere televisivo di Berlusconi, che prevalse comunque.
Le elezioni anticipate del ’96 videro il successo dell’Ulivo, coalizione di centro-sinistra con leader Prodi, che
ottenne la maggioranza assoluta al Senato e alla Camera. Il nuovo governo schierò Veltroni come vicepresidente, Napolitano agli Interni, Berlinguer all’Istruzione, alcuni verdi, Dini
agli Esteri e Di Pietro ai Lavori Pubblici.

L’ITALIA NELL’UNIONE EUROPEA


Il governo di centro-sinistra affrontò il problema del deficit di bilancio riuscendo a ridurlo nel corso del 1997 e quindi a rientrare nei parametri indicati del trattato di Maastricht per
l’ingresso nell’Unione monetaria (l’euro entrò in vigore in Italia a partire dal 1° gennaio 2002).

Fra i problemi politici del paese rimanevano aperti quello dei correttivi al Welfare state e quello relativo alle riforme istituzionali, in presenza di una continua instabilità politica. Lo
stesso Berlusconi, in collaborazione con D’Alema segretario del Pds, aveva favorito la costituzione di un sistema bicamerale per delineare in Parlamento un progetto di riforme
istituzionali.
Nel frattempo, si aggregò intorno a Cossiga l’Unione democratica per la repubblica (Udr) e nel 1998 il governo Prodi cadde, sostituito da un nuovo centrosinistra guidato da
D’Alema.
Nell’anno seguente l’Italia partecipò con gli altri paesi della Nato all’intervento militare in Kosovo. Nel 2000, dopo la sconfitta elettorale nelle regionali, D’Alema fu sostituito da un
altro governo di centrosinistra presieduto da Amato. Alla fine della legislatura la maggioranza approvò un’importante legge costituzionale che ampliava i poteri degli enti locali.

LA SOCIETÀ ITALIANA ALLE SOGLIE DEL NUOVO SECOLO


Nel campo delle trasformazioni sociali, l’Italia registrava uno spiccato calo demografico e un invecchiamento della popolazione, causato dal ruolo crescente della donna e dalla
difesa del livello di benessere. L’omologazione dei consumi non riusciva a nascondere differenze sociali basate soprattutto sulla disuguaglianza dei redditi e dei livelli culturali . Si
presentò un deficit dell’etica pubblica, causato dalla corruzione del sistema politico, dall’affermarsi della criminalità organizzata: compito della classe politica era quello di educare il
popolo italiano ad una nuova pedagogia.

IL CENTRO-DESTRA AL GOVERNO
Gli schieramenti politici si preparavano anticipatamente alle elezioni del 2001.
Amato fu sostituito da Rutelli, sindaco di Roma, come leader del centro-sinistra. Nel frattempo, il leader di
Forza Italia Berlusconi guidava la coalizione della Casa delle libertà (Cdl) composta da Alleanza nazionale, Ccd, Cdu uniti nell’Udc Unione dei democratici cristiani e di centro, e
Lega Nord.
Le elezioni politiche del maggio 2001 diedero una netta vittoria alla Casa delle libertà, la coalizione guidata da Berlusconi, che nel giugno successivo formò il nuovo governo di
centro-destra. Il successo di Berlusconi è dovuto alla raccolta di voti moderati ottenuti da diversi strati sociali, in particolare dai giovani e dagli anziani, e dalle regioni meridionali e
insulari.
Berlusconi affidò a Fini la vicepresidenza, a Bossi il ministero per le Riforme istituzionali e il governo presentò un progetto ambizioso volto a dare una scossa all’economia
attraverso incentivi fiscali e snellimenti nelle procedure d’investimenti. Tuttavia, il governo si ritrovò ad affrontare alcune difficoltà come il mantenimento dell’ordine pubblico e
l’approvazione di una serie di provvedimenti che all’opposizione apparivano troppo mirati alla tutela della posizione del presidente del consiglio. Si aggiunsero le tensioni politiche
per il consenso dato da Berlusconi, nella linea americana di intervento nell’Iraq e per progetto della modifica dello Statuto dei lavoratori disapprovato dal Cgil.
Nel tentativo di sfruttare questi contrasti tra maggioranza e opposizione, emersero le Brigate rosse con una serie di attentati e sequestri.

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La grande riforma istituzionale voluta dalla maggioranza nel 2005 fu respinta dal successivo referendum di conferma. Le elezioni del 2006, tenute con una nuova legge elettorale,
segnarono la sconfitta, con stretto margine, del centro-destra. Dopo l’elezione del nuovo presidente della repubblica, Napolitano, Romano Prodi formò il nuovo governo di centro-
sinistra. Ma due anni dopo le divisioni interne alla maggioranza provocarono una serie di crisi di governo.
Alle elezioni anticipate del 2008 si presentarono schieramenti rinnovati: il Popolo della libertà, la nuova formazione politica creata da Berlusconi, prevalse nettamente sul Partito
democratico, guidato da Veltroni. E Berlusconi riassunse la guida del governo.

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