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STORIA DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

Non c’è pieno accordo su da dove bisogna far cominciare l’età contemporanea: c’è chi la fa cominciare dal
1848, chi dalla Prima guerra mondiale, chi dalle grandi rivoluzioni (francese, industriale). L’idea è che è
contemporanea la fase in cui sono cominciati una serie di fenomeni che si verificano ancora oggi: concetti,
idee, forme di governo, costituzioni...
La consuetudine di far partire la storia contemporanea dalla fine del ‘700 caratterizza la storiografia italiana
e quella francese.
Il partito politico come noi lo intendiamo è un prodotto proprio dell’età contemporanea. Il caso italiano
sempre più si presenta come una sorta di laboratorio dove si sono verificati una serie di casi che poi è
possibile ritrovare nel mondo occidentale: la nascita della forma partito, le prime forme, i suoi antenati, le
società segrete, le società di mutuo soccorso, i gruppi di pressione, lo Stato-partito (esperienza del
fascismo), la Repubblica dei partiti (stato democratico che si ricostituisce in forma repubblicana attorno al
partito, soprattutto attorno ai partiti di massa), l’anti-partitocrazia (crescente scollamento tra la società civile
ed i partiti, i quali invece dovrebbero essere un collante).

TESTI:
- Pombeni, Storia dei partiti italiani (Il Mulino) – no ultimo capitolo;
- Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione (Laterza);
- Gentile, La grande Italia. Ascesa e declino del mito della nazione del ventesimo secolo (Laterza).

La politica ha una sua storia perché non è sempre stata così. La civiltà occidentale è profondamente legata
alla memoria e alla storia differenzia invece del mondo orientale: abbiamo assorbito l’idea che la storia
appartiene all’esistenza. All’interno di questa dimensione storica, la dimensione politica ha grande rilevanza;
anzi, la storia è nata come storia politica ma ha subito molte trasformazioni, ha avuto momenti di sviluppo e
altri di crisi: le fonti scritte del passato non ci raccontavano ad esempio la visione in classi sociali, cosa si
coltivava, ecc…
Dapprima venivano narrate le successioni dinastiche, le cronache monastiche, eventi politici e militari:
questa storia politica a un certo momento è stata talmente attaccata da entrare in crisi, ma nel frattempo si
è sviluppata, fino a giungere ad una rinascita negli anni ’70/’80 del ‘900.
Questo tipo di narrazione comincia a cambiare a metà ‘700, specialmente in Francia (età dei lumi): erano
anni dei viaggi, e questo porta alla voglia di conoscere usi e costumi degli altri paesi. I paesi in cui questo si
afferma di più sono la Scozia, l’Italia, la Francia e la Germania: ci si comincia quindi ad interessare delle
società umane, intese come commerci, economia, costumi morali.
Lo storico che deve scrivere di storia e che subito svolge un ruolo attivo ha davanti due problemi:
1. Non è vero che “i fatti parlano da soli”, idea che a lungo invece ha dominato nel periodo positivista,
periodo nel quale si credeva si dovesse fare una storia oggettiva e che lo storico dovesse
meramente fare un elenco cronologico dei fatti, registrando ciò che ha trovato. Lo storico deve
invece saper fare scelte, interrogare le fonti e non limitarsi ad accumulare dati: non è possibile fare
una ricostruzione oggettiva perché non è possibile avere tutti i punti di vista, anche la raccolta delle
testimonianze è qualcosa di estremamente labile e ci mostra che non è possibile fidarsi.
2. Lo storico della politica deve anche capire qual è l’oggetto della sua ricerca, ovvero quali sono i fatti
politici. Deve riuscire a comprendere la valenza politica di certi fenomeni o fatti: si tratta, cioè, di
vedere se certi accadimenti, certe tendenze anche di lungo periodo sono dotate di senso ai fini
dell’interpretazione politica dei fenomeni. March Bloch è stato uno dei principali scrittori di questa
rivoluzione storiografica (rivoluzione delle Annales).

La rivoluzione storiografica delle Annales (1929 - )


Si voleva sostituire alla tradizionale storia narrativa, concentrata sugli avvenimenti, una storia analitica che
muove dai problemi, si vuole quindi fare una storia ‘totale’, cioè coprire l’intera estensione delle attività
umane. Per fare questo occorre però la collaborazione con altre discipline (scienze sociali, ma anche fisiche).
Infine, è necessario fare una storia comparata.
Intorno alle Annales si succedono tre fasi e tre generazioni: dapprima vi è un interesse per la storia sociale
ed economica nella sua accezione ampia e critica della storia evenemenziale; poi centro di interesse diviene
lo studio delle strutture (storia seriale, lunga durata): dimensioni che sembrano quasi immobili, attraverso
cui si riesce a studiare un fenomeno come quello della rivoluzione, vedendo dapprima i segnali di
cambiamento e poi man mano ricostruendo quanto avvenuto; infine l’interesse si sposta sulla
frammentazione dei percorsi (dal 1968): storia sociale, culturale, mentalità e infine riscoperta della storia
politica.
La prima generazione però era contro proprio alla storia politica, la quale aveva ancora quella pretesa di
oggettività di cui si parlava precedentemente.

Nel tempo è cambiata la nozione stessa di politica. Dallo studio del Medioevo e dell’età moderna, la “nuova
storia” si è poi fatta strada anche nello studio dell’età contemporanea. Uno dei fattori fondamentali che
caratterizza l’età contemporanea è la nascita e l’affermazione sulla società di massa: proprio la riflessione su
questo aspetto definisce i lineamenti e i caratteri della nuova storia politica. Non si studiano più solo le
istituzioni e le élite, ma anche la c.d. “storia dal basso” (masse, partiti, ..), la cultura, la società, i miti, i
simboli, la mentalità.

L’esperienza delle Annales ha agito in maniera duplice: da una parte ha attaccato questa storia politica, l’ha
demolita (era la storia dei re, delle battaglie), ma in una seconda fase, invece, c’è stato un ritorno della
storia politica, la quale ha inglobato il contributo delle Annales.

La storia politica è lo studio della sfera politica in età contemporanea. In genere, la storia politica si
ripropone di costruire come si sono poste le basi e come si è modificata la sfera pubblica, la quale è l’ambito
in cui le persone si raccolgono per diventare “una comunità di destini” (concetto che comprende le scelte,
non ci si trova in un certo ambito per caso, ma a causa di scelte che le persone operano). Weber aveva
posto la questione della sfera pubblica guardando alla città medievale e comunale: voleva distinguere
questa dimensione da quella antica, tradizionale; non si tratta più infatti di una comunità guerriera
indirizzata alla conquista e al bottino da spartire, ma di una comunità di attori economici, è una comunità
che mira allo sviluppo pacifico dell’impresa. Applicando il concetto di comunità di destino all’età
contemporanea, questo viene ulteriormente ampliato: una comunità di destino può essere una famiglia,
una truppa legata dal cameratismo, così come coloro che vivono in un ambito territoriale piccolo o grande
che si costituisce come tale (villaggio, regione, Stato); ma lo possono essere anche aggregazioni di tipo
culturale (in senso antropologico), che condividono caratteristiche che portano i loro membri a mettere in
comune la prospettiva del loro destino.

Per Pierre Rosanvallon il concetto di ‘politico’ corrisponde a un campo e a un lavoro:


 Come campo designa il luogo in cui si annodano i molteplici fili della vita drgli esseri umani. Esso
rinvia al fatto dell’esistenza di una società che appare agli occhi dei suoi membri come un insieme
fornito di senso (es. sentiamo di appartenere allo stesso Stato);
 Come lavoro, il ‘politico’ qualifica il processo attraverso il quale un raggruppamento umano, che di
per sé consiste in una semplice “popolazione”, assume gradualmente il volto di una vera e propria
comunità.
Tale concetto include perciò tutti gli elementi propri di una cultura politica: elementi intellettuali come testi
teorici, ricezione delle opere letterarie, analisi della stampa e dei movimenti di opinione, la costruzione dei
discorsi di circostanza, la presenza delle immagini ..

Per Paolo Pombeni, invece, “la sfera politica è l’ambito nel quale convivono, non necessariamente in pace,
queste comunità di destini, sicché il fine della politica è quello di costringerla ad una identificazione, il meno
forzata possibile, in un destino comune che le sovrasta e le ingloba tutte nella consapevolezza, non importa
se fondata o indotta artificialmente, che la rottura di questa solidarietà di destini comporterebbe
conseguenze molto negative per tutti i soggetti, singoli o associati, che in essa vengono ricompresi”.
Pombeni usa il problema del rapporto Chiesa – Stato perché, al di là delle lotte, c’è una profonda distanza,
forse non colmabile, tra un’istituzione, la Chiesa, che presume di conoscere il destino finale dell’umanità,
appoggiandosi al messaggio evangelico e alla credenza di Dio, dall’altra parte c’è un’autorità politica che non
vuole essere ostacolata nel creare un ordine e costruire una convivenza intorno alle leggi.

Il compito della storiografia è la ricostruzione interpretante delle dinamiche. La sua specialità disciplinare
sta nella consapevolezza che proprio l’intrecciarsi di questi fattori, ciascuno al suo interno con un numero
indefinibile di variabili, rende impossibile stabilire delle leggi nel senso meccanicistico del termine, ma
invece consente di costruire strumenti intellettuali di analisi della presenza e del peso che si può dare alle
diverse componenti. Tanto più, poi, sarà accurata l’analisi, quanto più sarà possibile estrarre dai propri studi
strumenti per la comprensione degli avvenimenti.
Nessuna disciplina tra le scienze sociali, però, è in grado di fare previsioni certe ed esatte, neppure la scienza
economica o politica o giuridica o sociologica; questo perché, come nel caso della storia, esse devono
dominare un enorme numero di variabili. L’agire umano non segue logiche certe, sempre uguali e razionali,
e le varabili offrono una molteplicità di combinazioni.

Le parole della storia


La storia non adopera un linguaggio specialistico, si usa la lingua corrente ma colta. È però importante
prestare attenzione alle parole. La lingua ha la sua storia. Si è portati a fidarsi di termini che in apparenza ci
sono vicini ma non sempre è così. Dietro la lingua stanno i concetti. Bisogna evitare gli anacronismi. Per
comprendere e spiegare gli eventi politici e sociali di un determinato periodo storico occorre collocarli nella
delimitazione semantica tipica dell’epoca considerata. La storia riceve la maggior parte del suo vocabolario
dalla materia stessa del suo studio.

Il partito politico
Dal punto di vista teorico, si può partire dal classico idealtipo: si costruisce, a partire da una serie di casi
concreti, un modello concettuale a fini euristici, di ricerca.
Pombeni ha definito la moderna forma-partito la “modalità di raccolta del consenso politico che mira a
intervenire nella decisione politica, offrendosi come canale di regolamentazione dell’obbligazione politica”.
L’obbligazione politica è una dimensione che esiste in tutte le società, dalle più semplici alle più complesse,
e riguarda la relazione comando – obbedienza: l’obbligazione politica viene quindi intesa come obbedienza
all’autorità legittima.
Il partito si vuole collocare nel punto di intersezione tra le domande della popolazione e il potere del
governo, dell’autorità: vuole porsi come tramite, e tende infatti a presentarsi come tramite esclusivo.
Il partito nasce in un certo modo, con finalità limitate e particolari, ma poi cresce e sviluppa tra i suoi
membri manifestazioni comunitarie regolate da procedure. Il partito vuole essere una forma stabile di
rappresentanza, intervenire stabilmente nella decisione politica; tende quindi a istituzionalizzarsi.
Nelle società moderne, mediando le domande e selezionando la classe politica, i partiti possono essere
ritenuti come il collante tra società civile ed istituzioni.
È quindi necessaria un’autorità politica: certamente non un’autorità politica assoluta, perché questa è
incompatibile con la forma – partito.
Infatti, la cornice in cui nasce il partito moderno è quella del costituzionalismo liberale. L’azione del partito
moderno si manifesta in sistemi che fondano la loro legittimità (intesa come capacità di essere accettati
come giusti senza ricorrere alla violenza) sulla:
a. Definizione dei diritti e doveri dei membri e la definizione dei poteri nell’ambito di un patto
costitutivo, scritto o tacito;
b. Esistenza di meccanismi di selezione della rappresentanza (sistemi elettorali competitivi);
c. Esistenza di un’opinione pubblica in grado di giudicare.
Già da questi punti essenziali è possibile comprendere che non in tutto il mondo si sono verificate o si
verificano le condizioni per la costituzione del partito moderno così inteso.
Questi partiti sono piccole componenti della società politica: in genere partono da istanze limitate (es.
diritto di voto, tutela di certe categorie sociali) fino ad arrivare ad includere fette sempre maggiori della
popolazione ampliando e orientando tali istanze verso interessi più generali.
Il consenso deve poi essere formalizzato: si dà quindi una struttura (statuto/programma), stabilisce diritti e
doveri dei suoi membri, meccanismi di selezioni dei dirigenti, ecc.

Principali forme di partiti:


a. Partito di rappresentanza individuale. Il primo partito che si avvicina alla formazione partitica
moderna sono i liberali. Nel momento in cui il suffragio universale si amplia, accedono al voto
nuove categorie di persone, le cose cambiano: il primo partito che sperimenta questa dimensione
nuova è proprio il partito liberale, che ha delle caratteristiche che poi si troveranno anche in futuro.
non è un partito stabile e presente nella società, si attiva solo in prossimità delle elezioni eleggendo
dei comitati locali a sostegno di un candidato. La sua attività è essenzialmente parlamentare, come
quella dei due partiti storici (Whig e Tory). Dopo il 1867 sperimenta la macchina politica
(extraparlamentare) prima a Birmingham e poi in Parlamento;
b. Partito di integrazione di massa. Vuole organizzare e rappresentare le classi fino ad allora escluse,
le classi subalterne (c.d. classi lavoratrici). Anche questo nasce al di fuori delle istituzioni, ma prima
degli altri comprende che deve darsi un’organizzazione stabile, perché rappresenta delle forze che
non hanno voce: la disciplina interna diventa quindi essenziale. Una delle sue istanze è chiaramente
il suffragio universale; qui entra in gioco anche l’ideologia, intesa come insieme di valori comuni e
mete da conquistare. Il primo partito di integrazione di massa è in ambito tedesco: sul continente, il
primo grande paese che si industrializza è la Germania  nascita della classe operaia: Partito
socialista dei lavoratori tedeschi (1875). Il partito comunista non è un partito di massa come il
partito socialista, ma è un partito sul modello leninista, un modello rivoluzionario: un nucleo
ristretto di persone formate che devono guidare le masse e la rivoluzione.
c. Partito di avanguardia. Es. il partito marxista-leninista e in Italia il PCI (1921). Strumento per fare la
rivoluzione, formato da un personale politico ristretto e selezionato: vuole preparare le masse, è il
custode e interprete dei valori rivoluzionari. In Italia questo modello viene abbandonato con il
Comitato di Liberazione Nazionale di Togliatti (1964)

Forme più recenti:


a. Il partito di opinione nasce quando si vuole portare avanti la forza di un’idea ma non si riesce a
diventare un partito di massa. Appartiene alle società mature dell’Occidente, cresce in Italia dagli
anni ’60.
b. Catch-all party, figlio della crisi delle grandi subculture tradizionali (cattolica, socialista). Questo tipo
di partito nasce sulle spoglie, quando questi grandi ideologie hanno perso potere. C’0è un
benessere crescente e un aumento della scolarizzazione. Pigliatutto nel senso che non ha una chiara
identificazione di classe né di ideologia, ma si rivolge a un elettorato indistinto e indifferenziato:
questo partito di solito ha obbiettivi limitati, non di lungo periodo (spesso di immediata attuazione).
Tende a creare politici di professione dediti a farne agenzie elettorali. In genere, questo tipo di
partito aumenta le tendenze elettorali: prima segue una tendenza poi un’altra, ..
c. Partito populista. Il modello viene dai partiti politici sudamericani degli anni ’60 e ’70. Questo
partito mette al suo vertice il popolo. Alle sue spalle ha la crisi dei partiti tradizionali ed una
sostanziale sfiducia nel meccanismo della rappresentanza: nonostante si presentino in parlamento,
tendono a svalutare questa dimensione  sottintendono una critica ai rappresentanti, il popolo è
“migliore”. In questi partiti c’è l’ambizione di essere l’ambizione di essere la voce diretta del popolo.
Il suo rapporto con la democrazia è quindi ambiguo. Il tipo di linguaggio che utilizza è
tendenzialmente semplice: si presentano con slogan, messaggi essenziali, l’obbiettivo è catturare il
consenso, pur sapendo che quest’ultimo è precario, instabile. Un primo esempio in Italia è stato
l’Uomo Qualunque  si presenta come un movimento di opinione guidato da Guglielmo Giannini, il
quale “sfornava” slogan, sosteneva che lo stato doveva intervenire il meno possibile.
Prevalentemente tende a destra, ma vi è qualche tendenza di questo tipo anche a sinistra: partono
tutti dalla stessa idea, cioè che i partiti tradizionali non funzionino, e si vuole quindi raccogliere la
voce del popolo e rappresentarla direttamente.
È necessario considerare i partiti in relazione a:
1. Contesto istituzionale (realtà in cui operano, dato che si tratta di soggetti che vogliono esercitare il
governo della cosa pubblica);
2. Contesto spazio-temporale: lo spazio è l’Europa. Dall’inizio dell’età moderna e fino all’inizio del ‘900
l’Europa ha svolto un ruolo sproporzionato rispetto al suo peso, condizionando l’esistenza di tutti i
popoli. Questo per cause molteplici: una cultura che sollecita curiosità, intraprendenza; conoscenza
tecnica, armi, densità di popolazione, ecc. le hanno consentito di imporre al mondo organizzazione
politica, amministrativa, codici, credenze, cultura, religione, economia, ecc.
Il potere mondiale le deriva nel XIX secolo dalla rivoluzione industriale (trasporti, armi, capitali,
produzione) e dalla modernità politica (Stato nazionale e laico, centralizzazione, burocrazia, ricerca
scientifica, istruzione, democratizzazione). Alla base c’è questa fondamentale fiducia nel processo
generale e nell’Europa modello di civiltà. Questa fiducia presenta una duplicità in quanto a
convinzioni: la superiorità militare, economica, istituzionale della civiltà europea (convinzione
oggettiva) si accompagnò alla convinzione (soggettiva) di una superiorità anche morale e culturale,
a tinte razziste;
3. Contesto culturale: cultura ha un doppio significato
- Dal XIX secolo, la cultura veniva intesa come prodotto cosciente, elaborato di un sistema
intellettuale: tradizione umanistica, scienza, università, attività pubblicistica concorrono a
formare e a far circolare idee che danno significato, interpretano glia avvenimenti,
delineano scenari futuri, influenzano i comportamenti;
- Dal ‘900, grazie al contributo dell’antropologia, per cultura si intende quel processo
attraverso il quale l’uomo che vive in una collettività attribuisce significato ai fenomeni che
lo circondano ed agisce di conseguenza. Progetti, speranze, pregiudizi, visioni del mondo,
miti, ideali, feste, riti sono espressioni culturali. Tutti ricadono anche sotto la lente dello
storico politico.

L’antico regime è definibile come un mondo quasi immobile.


Innanzitutto, fu definito antico regime dai rivoluzionari del periodo successivo, proprio per andare a
sottolineare il cambiamento. In realtà, noi sappiamo che qualcosa già si stava muovendo anche prima: Luigi
XVI già aveva iniziato delle riforme, come ad esempio l’abolizione della schiavitù. Quelle dell’antico regime
erano quindi società rurali, le quali presentavano però una lenta tendenza all’eliminazione del servaggio e
dei diritti feudali. La società era basata sulla disuguaglianza, che non feriva più di tanto, perché considerata
uno stato naturale: era considerata una struttura per ordini, ceti, per nascita, secondo un ordine considerato
naturale e perciò immutabile (a partire dalle rispettive funzioni: servire Dio, combattere, lavorare); ogni
paese, villaggio ha le sue regole. È il regime del privilegio  privata lex, legge particolare.
In questo momento sta nascendo però anche la classe borghese: non è un gruppo compatto, ma è formata
stati sociali non definiti per statuto, ma sulla base del mestiere, del tenore di vita, dello stile di vita
(spendere, risparmiare, ecc.) della cultura. Parallelamente a questa crescita della borghesia, vi è un lento
impoverimento e perdita di ruolo della nobiltà.
La sovranità (per grazia divina) veniva esercitata su uno Stato territoriale reso unitario dalla figura del
sovrano, che lo governa attraverso una classe di funzionario centralizzati: è questa l’origine dello Stato
moderno.
 Gli ordini/ceti hanno le loro rappresentanze in camere consultive. Il sovrano cerca di stabilire un
rapporto diretto col singolo suddito, eliminando il potere di quelle istituzioni che non traevano
origine dalla sua volontà;
 La monarchia assoluta, però, non riesce a sopprimere tutti i privilegi feudali e le libertà cittadine.
Cerca di creare funzionali fedeli ed efficienti ma in Francia ad es. deve vendere le cariche per avere
dei proventi. In più, soffre per carenza di entrate stabili;
 L’illuminismo contribuisce a minare le basi teoriche dell’assolutismo affermando la natura
contrattualistica del potere;
 Dal diritto di critica si passerà al diritto di associazione (non permanente) che porterà poi al diritto di
rappresentanza;
 Il retroterra sociale da cui muovono i partiti è nelle istituzioni di autonomia delle società dell’antico
regime.

Le premesse, le basi della politica contemporanea cominciano proprio alla fine del ‘700, con le grandi
rivoluzioni.
Vi è la percezione che qualcosa sta cambiando, anche tra i contemporanei: c’è un certo riformismo, la
servitù della gleba comincia a essere percepita come un’istituzione fuori dal tempo, l’economia sta
prendendo una svolta verso il capitalismo; c’erano già dei segnali, ma la grande accelerazione rispetto al
passato è data proprio dall’illuminismo e le rivoluzioni.
Kant, in pieno illuminismo (1781), scrive che il nostro è proprio il tempo della critica, cui tutto deve
sottostare. Siamo quindi entrati nel tempo della critica  tutto è sotto critica, ma in particolare Kant guarda
alla dimensione del potere e alla religione, due ambiti che fino ad allora non erano mai stati posti a critica.
Noi possiamo riconoscere e apprezzare solo tutto ciò che accetta di sottoporsi alla ragione, e quindi allo
spirito critico: tutto deve essere sottoposto alla critica della ragione.
Questo è quanto sostiene Kant e che riflette il clima del tempo a livello di élite.
Dalla fine del ‘700 nasce il “partito” della ragione: i partiti veri e proprio non esistono ancora (sono
considerati fattori di guerra civile), ma si va affermando l’idea che la società (es. i circoli ristretti dei filosofi,
per Locke) possa esprimere un giudizio morale sul governo, una censura sulla sua azione.
Il concetto della parte è ancora rifiutato: parte vuol dire fazione, se si creano delle parti all’interno dello
stato sono considerate un potenziale di conflitto.
In questi anni nascono delle istituzioni, in particolare in Francia  La Republique des Lettres, istituzioni della
borghesia illuminata del ‘700: luogo di incontro e riunioni formali dove si possa leggere giornali e di quanto
sta avvenendo, ed eventualmente criticarlo. Un altro istituto e quello della Massoneria: a differenza de La
Republique des Lettres ha la segretezza, ma rimane un luogo di confronto di idee, laico.
La politica, da affare riservato (e segreto) di pochi individui (che godono della fiducia del principe o che
godono di un diritto di nascita) ora è affare di tutti, è cosa pubblica, è res publica. L’idea che ha lasciato la
rivoluzione è che è cosa pubblica, la politica è affare di tutti. Vi è l’idea che la sovranità si debba trasferire al
popolo: chi governa lo fa in diretta rappresentanza del popolo, il quale si identifica con la nazione. Anche
questo è una novità: prima, quando in età moderna ci sono richiami alla nazione, questa viene vista come
una comunità che si riconosce intorno a un sovrano, necessita di una personificazione. Comincia anche ad
affacciarsi la politicizzazione delle masse, ma sono solo i primi accenni, la maggior parte rimane comunque
estranea: inizia però a diffondersi l’idea che tutti hanno il diritto e dovere di informarsi. Quest’idea che la
politica è affare di tutti provoca poi la pubblicità delle decisioni: i sovrani cominciano a sentire che devono
fare dei comunicati pubblici, devono tenere conto dell’“opinione pubblica”; comincia a diffondersi la libertà
di stampa e di discussione.
Jacques Necker fornisce una definizione molto interessante di ciò che è l’opinione pubblica: “La
maggioranza degli stranieri fatica a farsi un’idea esatta dell’autorità esercitata dall’opinione pubblica. Essi
comprendono con difficoltà come esista una forza invisibile la quale, senza finanze, senza guardie del corpo,
senza esercito, emana leggi che vengono seguite persino nel castello del re; e tuttavia non v’è nulla che
potrebbe essere più reale”. Con opinione pubblica quindi non si intende l’“opinione generalizzata”, ma
l’opinione espressa dai cittadini interessati alla cosa pubblica, che sono in grado di giudicare gli atti del
potere pubblico.
La sfera politica si amplia: dalla rivoluzione in poi vengono attribuite al potere pubblico nuove
responsabilità, quali
- Assistenza pubblica;
- Istruzione pubblica;
- Salute pubblica;
- Fruizione dell’arte;
- Anche la felicità è un diritto dell’individuo e una responsabilità dello Stato.
Altro tema molto complesso è quello della religione: il vecchio stato assoluto era uno stato confessionale 
trono e altare erano compenetrati, erano un tutt’uno, lo Stato assoluto ha una sua religione (fede, legge,
re). Per i sudditi, la confessione religiosa era uno dei segni della loro lealtà verso il sovrano. I dissidenti
religiosi sono “cattivi sudditi” e perciò non hanno stato civile.
Ancora prima della rivoluzione, però, lo Stato comincia a rendersi autonomo e subordinare a sé la Chiesa;
comincia una certa tolleranza di fatto (libertà di coscienza e poi di culto), specie in Inghilterra. Con la
Rivoluzione francese, poi, dalla tolleranza si passa alla libertà religiosa. La Rivoluzione francese non nega del
tutto la religione, ma tende a crearne una propria: ne trasferisce i caratteri sulla politica, adottando nuovi
miti, riti, culti. Secondo Durkheim sviluppare una religione laica è uno strumento utile al fine di una
coesione sociale e di legittimazione del potere. Gli studi che sono giunti più tardi hanno aggiunto un
qualcosa in più, non ha una mera funzione di controllo: è mutata la visione del mondo, alla politica è stata
attribuita la missione salvifica di rigenerare l’umanità.
In contesti di rivoluzione, le masse e i singoli sono disorientati, hanno bisogno di punti di riferimento: i
rivoluzionari stessi credono che il mondo non possa essere più lo stesso  è proprio in questo ambito che
alla politica viene attribuita una missione salvifica; tutto questo è figlio di un nuovo modo di guardare alla
società.
Fenomeno tipico delle società moderne è la secolarizzazione: processo di separazione delle due sfere,
politica e religiosa, e autonomia della sfera politica da quella religiosa (laicizzazione del potere politico). Al
tempo stesso, la politica tende ad assumere una propria autonoma dimensione religiosa (visione del
mondo, credenze, riti, culti, etc.). È una risposta al bisogno di integrazione in un’epoca di mutamento 
quello che Weber definiva come “disincantamento del mondo” è solo parziale, la dimensione non
scompare: vi è infatti una sacralizzazione della politica. Questo è una risposta al bisogno di integrazione in
fasi di grandi movimenti. Queste due grandi dimensioni, in età contemporanea, convivono.

Si vanno affermando nuove prassi politiche: si afferma il principio elettivo come procedimento universale di
designazione; si inventano regolamenti, procedure di discussione, sistemi di scrutinio, tutti procedimenti
oggi ancora in uso. Tuttavia, i diritti politici spettano ancora solo a una ristretta cerchia di cittadini: il criterio
è il censo. Questo perché nel XVIII-XIX secolo il denaro e la proprietà sono considerati il segno del talento e
del merito. Il denaro è il simbolo dell’iniziativa individuale (e della borghesia). Contro il privilegio per
nascita, il denaro di basa su un principio (teorico) di uguaglianza, cioè l’idea che tutti (teoricamente) si
possono arricchire. Il denaro è dunque parte di un sistema di valori che pone l’accento sulla capacità
intellettuale e sull’indipendenza di giudizio.
Cambiano anche i luoghi della politica: la città, la piazza  al di fuori di queste vi sono le assemblee, le quali
in Francia favoriscono il dibattito e le lotte politiche. Questa è la premessa al riconoscimento del diritto di
critica organizzata. In Inghilterra questo elemento è dato dal Parlamento: nel parlamento inizialmente
esistevano fazioni, più che partiti, aggregati per interessi pratici e settoriali, erano considerati la prerogativa
di politicanti di second’ordine. Tuttavia, in Gran Bretagna tra il 1750 e il 1832 il Parlamento diventa il luogo
nazionale in cui si fa politica. Sta cambiando anche la figura del parlamentare: inizialmente visto come un
politicante, parte di una fazione; la pubblicità dei dibattiti e l’estensione dei suoi compiti vanno però ad
accrescere la dignità morale e l’importanza della politica, diventando quest’ultima una delle attività più
elevate. Aumenta però il suo carattere conflittuale: le contrapposizioni hanno modo di manifestarsi e questo
favorisce la tendenza a trasformare l’avversario politico (il quale è criticato, ma la sua presenza è accettata e
considerata legittima) in nemico.
Si arriva dunque alla demonizzazione dell’avversario politico, il quale diventa un nemico da combattere
quando lo si vede come distruttore dei fondamenti su cui si regge la comunità aggredita; perciò, viene
rappresentato come il male assoluto. Combattere il nemico assoluto richiede strumenti eccezionali:
ostracismo, persecuzioni, fino all’esecuzione fisica. Le vittime di tutto questo sono i barbari, i vagabondi, i
mendicanti, le streghe, gli eretici, i protestanti, etc. Si va così a seguire una logica dicotomica (male/bene).
Se obbiettivo della politica è rovesciare un mondo e costruirne un altro, lo scontro tra le parti in lotta non
può che essere totale, senza mediazioni, in vista dell’esclusione reciproca.
I primi partiti ideologici di carattere rivoluzionario hanno prodotto proprio questo, cioè delle visioni del
mondo e valori tra loro incompatibili. Questo pone le premesse di uno scontro duro, senza possibilità di
mediazioni: es. rivoluzionari/controrivoluzionari, socialisti/liberali, fascisti/antifascisti, etc..
Il culmine di questa dialettica amico/nemico si avrà nel ‘900 con i regimi totalitari, i quali avranno come
obbiettivo la disgregazione dell’ordine precedente e la costruzione di un nuovo ordine con eliminazione
anche fisica dei nemici per attuare l’integrazione politica dell’intero corpo sociale. È un’integrazione
mediante omogeneizzazione.
NAPOLEONE IN ITALIA: PRIMA ESPERIENZA DELLA POLITICA COME FENOMENO COLLETTIVO
L’arrivo di Napoleone in Italia è un momento di maturazione politica per molti italiani, in particolare per
quegli ufficiali che ebbero funzione di comando e di vertice. Dopo il triennio giacobino (1796 – 1799), nel
1805 nasce il Regno d’Italia. L’Italia, con questo arrivo, viene investita dalle riforme (es. dipartimenti con al
vertice i prefetti, laicizzazione delle carriere amministrative, formazione di una élite di ufficiali e sottufficiali
napoleonici, logge massoniche) e da un ampio dibattito politico. I ceti popolari chiaramente rimangono
estranei da tutto questo.
Caduto Napoleone, il grosso impero che domina l’Italia diventa l’Austria: un solo Stato non ha legami
dinastici o alleanze politiche con l’impero asburgico, il Regno di Sardegna. Finite le guerre napoleoniche,
questo si ingrandisce, perché fa parte di quella corona di stati intorno al confine della Francia che si decide
di rafforzare al fine di creare una serie di stati cuscinetto che vadano a tutelare l’ipotesi che in un futuro
possa esserci un “altro napoleone” con mire espansionistiche.
L’impero asburgico ha il diretto controllo del lombardo-veneto, ci sono poi i ducati dell’Italia settentrionali, i
quali sono legati da vincoli di parentela con l’impero; idem per il granducato di Toscana. Lo Stato della
Chiesa ha un’alleanza con l’Austria, dal momento che quest’ultima è la grande potenza cattolica nel cuore
dell’Europa. Rapporti di alleanza si hanno anche nel Regno delle due Sicilie, dove ci sono i Borbone.
Uno dei re “restaurati” è Luigi XVIII  Carta concessa (octroyée) da Luigi XVIII (v. testo su slide)
Legittimismo  restaurazione dinastica e del principio monarchico, ma: modifiche territoriali e istituzionali;
mantenimento del sistema amministrativo napoleonico; trasformazioni sociali (abolizione del servaggio, fine
dei privilegi, scomparsa della manomorta ecclesiastica, uguaglianza civile). L’Europa occidentale è diventata
una società borghese, che salva ciò che va salvato della rivoluzione  critica il sistema e limita i principi
rivoluzionari, ma ha di fatto rispettato l’opera della rivoluzione.
LA RESTAURAZIONE IN ITALIA
Le categorie sociali che avevano partecipato alla fase di occupazione in Italia ed avevano respirato la
modernità, in epoca di restaurazione, alcuni chiudono con questa esperienza tornando alle posizioni
tradizionali, difendendo il legittimismo. Altri invece che non si adattano a questo ritorno danno vita alle
società segrete (la massoneria già esisteva e continua a farlo), si dà vita ad esempio alla carboneria,
impregnata di spirito romantico (linguaggio criptico, obbiettivi nascosti a livelli più bassi, particolare modo di
vestirsi). Altri ancora si orientano verso i moti insurrezionali.
Il salto di qualità arriverà, però, con la Giovine Italia di Mazzini (1832).
Tutto questo lo ricordiamo perché le società segrete sono gli antenati dei partiti: pur non essendo partiti,
presentano caratteri associativi che preparano e sono definibili come l’anticamera dei futuri partiti politici.

‘800 E ‘900: L’ETÀ DELLE IDEOLOGIE


Bisogna sempre calarsi in una realtà di grandi mutamenti: stanno venendo a meno, a uno a uno, i grandi
punti di riferimento tradizionali. Gli esseri umani hanno bisogno di punti di riferimento certi. La tradizione
aveva già offerto delle risposte: un primo tipo era quello fornito dalla religione  il mondo terreno si
comprende in rapporto a un mondo “oltre”, superiore, più vero, più giusto. È questo he dà un senso al
mondo finito, e anche al male (guerre, malattie, carestie)  bisogna sopportare qui sulla terra in
prospettiva di un aldilà, tutto ha una spiegazione ed una sua logica. Accanto alla religione si era sviluppata la
filosofia, la quale anch’essa cercava di dare delle risposte: la comprensione del mondo dipende dalla stessa
capacità razionale dell’uomo. Teoricamente alla portata di tutti, in pratica essa è affidata ai pochi che con
studio e perfezionamento sanno utilizzare gli strumenti della conoscenza.
Dalla filosofia si sviluppa l’ideologia, la quale si potrebbe definire come una forma di filosofia pratica: non
elabora grandi teorie astratte, ma serve alla pratica. Ha due componenti: una pretende di spiegare il mondo
così come fanno le religioni, ma deve anche indicare che cosa bisogna fare per modificare il sistema vigente
(componente prescrittiva), e di conseguenza per legittimare un attore politico che vuole fare questa
trasformazione. L’ideologia racchiude la motivazione ideale del dominio politico. L’ideologia politica è,
dunque, uno dei segni della modernità: in positivo, agisce da stimolo all’azione costruttiva, orienta l’azione
politica; quando, però, è orientata su fini ideali estremi, assoluti (ideologizzazione) diventa opposizione
radicale al sistema, pseudo religione che mia una società aperta.
- Tende a ridurre a un’unica verità assoluta realtà complesse;
- Assume il carattere di una religione secolarizzata della salvezza ma ha anche pretese di scientificità;
- Ha la funzione di legittimare gli attori politici (singoli o gruppi);
- Spesso le ideologie si intersecano tra loro nel tempo: i confini non sono sempre nettamente definiti
né sono immutabili.

I reazionari ultras sono i veri controrivoluzionari. I principi dell’ordine civile non sono creati dalla ragione ma
derivano dall’ordine “naturale” delle cose e quindi da Dio. Il potere spetta al re legittimo (origine divina del
suo potere), la posizione sociale degli individui è assegnata loro per nascita, le strutture portanti della
società sono gerarchiche. A fine ‘800 per raggiungere nuovi soggetti politici utilizzeranno uno strumento
nuovo: la comunità nazionale.
I conservatori non escludono il progresso e qualche riforma ma intendono intervenire dall’alto e
salvaguardare i “principi fondamentali” (struttura gerarchica della società, ordine, coesione sociale, famiglia,
religione, proprietà privata). Questi non derivano solo dalla religione, ma anche dalla storia. Ottica
paternalistica.
Gli eredi della rivoluzione si presentano invece in quattro grandi ondate (si affermano ad ondate
successive): 1. Movimenti liberali contro i ritorni offensivi di antico regime (1820-21, 1830-31, 1848); 2. Le
rivoluzioni democratiche (1848 – 1870 ca.); 3. I movimenti sociali ispirati dalle scuole socialiste (seconda
metà dell’‘800); 4. Il moto delle nazionalità: percorre tutto il XIX secolo, ora alleato, ora avversario degli altri
movimenti. Avrà la capacità di adattarsi e di collegarsi con altre ideologie (varie forme di nazionalismo:
liberale, democratico, socialista ..).

LIBERALISMO
Nell’‘800 dobbiamo distinguere nettamente tra liberalismo e democrazia, le quali sono due tendenze
contrapposte. Il liberalismo è innanzitutto una filosofia globale fondata sul principio di libertà degli individui.
Il liberalismo è individualista: l’individuo viene prima del popolo ma anche prima dello stato. Il liberalismo
nasce antistatalista, vede lo stato come un oppressore, è limitante: rifiuta ogni potere assoluto (monarchia
nel XIX secolo, totalitarismi e dittature popolari nel XX), è invece per le monarchie costituzionali. Crede poi
nell’interazione umana, pacifica e spontanea. Come filosofia è anche relativista: crede non in verità
assolute. È tendenzialmente “internazionalista”: l’idea liberale è un’idea che si può diffondere, non ha
confini, presenta valori assoluti. Crede nella ragione, quindi è razionalista: diffida di tutti i pregiudizi e
superstizioni, diffida anche del potere e della Chiesa  è laico, ma non fa della laicità una bandiera: crede
che il potere debba essere completamente svincolato dalla Chiesa (separazione della sfera politica da quella
religiosa). Crede nel progresso e nella perfettibilità umana: da qui ne discendono tutta una serie di diritti 
diritti di libertà individuale, separazione ed equilibrio dei poteri, la loro definizione sulla base di regole
giuridiche definite. Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, nonostante non siano uguali nella società.
Dal punto di vista economico è liberista: neutralità dello Stato in campo economico e sociale (lasciare libero
gioco all’iniziativa privata, neutralità giuridica e fiscale). L’ideale di Stato per i liberali è uno stato con compiti
limitati, pochi ministeri, pochi impiegati pubblici, basse imposte. Già dai primi anni dell’‘800 si comincia a
delineare una divisione: tutti i paesi europei sono grandi ammiratori dell’Inghilterra  è un modello che si
cerca di imitare: l’idea di tenere lo stato entro limiti definiti deriva dal modello inglese; quando queste idee
si trapiantano in ambito europeo si guarda allo stato in un altro modo, cioè lo Stato è visto nel suo aspetto
positivo: deve essere presente, intervenire, è visto come difensore e garante delle libertà in Europa. Già
dagli inizi vediamo che l’atteggiamento verso lo stato non è identico, pur essendo tutti liberali: questo
aspetto si manterrà nel tempo.
Un’accusa che è stata fatta ai liberali è quella di essere l’espressione della borghesia: questo è vero ma solo
in parte  i principi si sviluppano in ambito borghese, ma non rimangono poi ristretti a questo ambito,
bensì valgono per tutti. Se non ci fosse borghesia, però, il liberalismo non si sarebbe sviluppato: perché in
un paese attecchiscano gli ideali liberali occorre una classe borghese, laddove questa manca il liberalismo
non riesce ad attecchire.
Il principio dell’uguaglianza di fronte alla legge non nega che esistano delle differenze sociali ed
economiche: il liberalismo, per l’appunto, non le nega, ma le considera come mutabili nel corso del tempo;
in qualche caso, inoltre, tali differenze vengono anche sancite giuridicamente (uomo/donna, datore di
lavoro/impiegato). Importante sottolineare, poi, che tali principi di libertà ed uguaglianza non si affermano
integralmente o hanno valore differente: es. divieto di associazione, libertà di recinzione. Il liberalismo ha
quindi una faccia progressista nel momento in cui si afferma e va contro l’assolutismo, ma una volta al
potere mostra l’altra faccia, quella conservatrice: la sovranità cui si appella è quella nazionale, non quella
popolare. Il liberalismo, quindi, non è la democrazia e presenta una miscela di interessi e ideali.
I pilastri di questa istituzione sono denaro e istruzione: questi sono legati alle città in rapido cambiamento
della fine dell’‘800. Sia il denaro che l’istruzione hanno un effetto emancipatore, liberatore ed oppressivo
allo stesso tempo.
Un sistema politico liberale lo riconosciamo innanzitutto dalla presenza di una costituzione (limitazione del
potere del sovrano), a prescindere dal contenuto di quest’ultima: la costituzione definisce la forma dei
poteri, come si suddividono, la loro autonomia, il loro equilibrio, il potere vieni, limitato ma resta
monarchico: tendenzialmente sono tutti per le autonomie, per il decentramento. La forma politica di
rappresentanza preferita è il bicameralismo: l’idea è che con una Camera bassa ed una Camera alta si
arginino meglio il potere della corona e i moti dell’opinione pubblica. Il suffragio è ristretto: il diritto di voto
è una funzione un servizio pubblico affidato a una particolare categoria di cittadini ritenuti capaci, per censo
ed istruzione  I liberali, comunque, ammettono si possano allargare, presenta quindi un limite non
definitivo sempre entro certi parametri. Libertà di stampa e di opinione, pubblicità dei lavori parlamentari.
Vi è comunque un mezzo di controllo: ad esempio per quanto riguarda scrivere su un giornale, è previsto
una garanzia con deposito e cauzione. Controllo pubblico soprattutto dell’insegnamento secondario: è
l’insegnamento secondario a dover preparare la futura classe dirigente. Viene tolta l’amministrazione dello
stato civile alla chiesa: ad esempio, però, continua comunque ad esistere il matrimonio religioso a cui si
attribuisce valenza civile.
Le imposte privilegiate dai liberali sono quelle indirette: quelle che colpiscono indirettamente la ricchezza,
nel momento in cui viene spesa.

I DEMOCRATICI
La democrazia non è una prosecuzione naturale del liberalismo: per gran parte dell’‘800 viene vista come
qualcosa di opposto al liberalismo, c’è una netta separazione e un netto stacco. Ad esempio, una delle
ragioni del fallimento delle rivoluzioni del ‘48 è proprio il fatto che mancò l’intesa fra democratici e liberali.
Il principio diventa ora l’uguaglianza e l’universalità dei diritti: i cittadini sono tutti uguali, ma non solo
davanti alla legge  necessità di creare una condizione di uguaglianza sociale, anche dal piunto di vista dei
diritti. La democrazia vuole l’applicazione integrale e immediata dei principi; respinge le restrizioni, le
discriminazioni e il gradualismo liberale (vuole agire ora e subito).
La nazione è ancora un’entità astratta e giuridica, il popolo è visto dai democratici allora come qualcosa di
più concreto  sovranità popolare: sovrana è la totalità dei cittadini. I democratici dicono libertà per tutti:
pienezza di diritti non solo “ai capaci”, ma per tutti, compreso il diritto di votare e di accedere a cariche
importanti.
L’elettorato non è più una funzione, come era per i liberali: è un diritto di tutti, dal momento che la
cittadinanza appartiene a tutti, occorre quindi correggere le ineguaglianze, assicurare mezzi e condizioni
pratiche (sociali per la libertà. Questo significa accentuare il ruolo dello Strato, perché chi se non lo stato
può agire per portare avanti queste pratiche? Vi è quindi un accentramento e un importante ruolo delle
minoranze rivoluzionarie.
Da questi principi deriva
 Abolizione del criterio del censo;
 Suffragio universale: in realtà, fra i democratici dell’‘800, non vi è l’idea di concedere il voto alle
donne; si parla quindi di suffragio universale maschile. Donne che vivono nella casa e non sono
ammesse a lavorare, tranne le donne della campagna ad es.  l’idea è quella di un voto che non
garantisce una scelta indipendente. In Italia, le donne voteranno per la prima volta solo alle elezioni
del ’46. I partiti inoltre hanno paura del voto femminile perché questo rappresenta un’incognita.
Alla vigilia della Prima guerra mondiale il suffragio universale maschile è entrato nella legislazione di
tutta l’Europa nordoccidentale;
 Indennità parlamentare: per esercitare il voto con indipendenza. La politica diventa una
professione: il partito darà al politico di origine popolare la solidarietà, la rete di appoggi
(organizzazione, disciplina, propaganda, etc.). Solo gradualmente si arriverà poi alla segretezza del
voto, alla cabina elettorale, alla pubblicità delle liste, etc.;
 Sovranità popolare (e non più nazionale): il popolo (non la nazione, entità collettiva, astrazione
giuridica) è sovrano, cioè la totalità dei cittafini;
 Cambia la natura degli eserciti: prima erano eserciti mercenari, agli alti vertici c’erano esponenti
dell’aristocrazia. Con il diffondersi della democrazia questi caratteri cambiano: l’idea è che un paese,
un popolo si debba difendere: questo è il principio della nazione in armi  tutti i maschi
maggiorenni sono chiamati ad arruolarsi, a combattere non sono più solo i soldati di professione.
 Le tasse le devono pagare tutti sulla base del reddito: questo lo dicevano anche i liberali, i più i
democratici aggiungono che non solo le imposte devono essere proporzionali al reddito, ma anche
progressive.
Proprio le elezioni del ’48 rileva qualcosa che i primi democratici avevano sottovalutato: quando finalmente
si affermò il suffragio universale maschile, si pensava il popolo avrebbe votato per la democrazia  la
stragrande maggioranza della popolazione (anche contadini e operai) non votarono per la democrazia, ma
per i conservatori: ad essere sensibilizzato a queste idee che cominciavano a circolare non erano i contadini
o gli operai, ma erano operai specializzati di un certo livello, oppure gli artigiani che posseggono un arte che
si tramanda, e poi nuove figure (definibile di piccola e media borghesia) come gli impiegati, i commercianti, i
bancari. Questi ceti medi ha un livello di istruzione media, non elementare, non umanistica, ma tecnica, in
più stano assumendo dei caratteri loro particolari: è tra queste persone che cominciano a diffondersi le idee
democratiche.
Si comincia già nell’ ‘800 a delineare due possibili strade della democrazia:
a) Democrazia rappresentativa, parlamentare: riconosce un potere di delega a un’entità che agisce su
un mandato popolare. Il centro dell’azione politica comincia a diventare il parlamento, proprio i
luoghi del potere, di fronte ai quali il Governo deve rendere atto di ciò che fa. Il Governo non
risponde più dei suoi atti di fronte al re: è il Parlamento che gli deve conferire la fiducia, ed
eventualmente togliergliela. Anche in questo ambito esistono forme di democrazia diretta:
petizioni, ad esempio, antenate dei referendum  prevale comunque l’idea della delega;
b) Democrazia autoritaria: il popolo direttamente si affida a un governo, che tende a escludere il
Parlamento. Si dice plebiscitaria perché il consenso spesso si basa sul plebiscito: l’autorità si rivolge
direttamente al popolo  nel plebiscito l’alternativa è secca: sì o no. Una democrazia plebiscitaria
svilisce l’azione del parlamento.
Qui i partiti si stanno formando: per i liberali si manterrà sempre una certa diffidenza verso i partiti,
preferiscono scambi informali e accordi temporanei. Per i democratici sono importanti i partiti, non temono
l’aspetto irrazionale della politica: favore verso i partiti.
[v. slide per confronto]

IL SOCIALISMO
Il socialismo è l’incontro di due storie diverse: le dottrine socialiste e il movimento operaio. Questi due
percorsi nascono autonomi e separati che in un certo momento, in età contemporanea, si incontrano.
 Dottrine socialiste: sono preindustriali, infatti guardano alle società del passato con molta nostalgia.
Volgono riorganizzare la società pacificamente, attraverso l’istruzione, costituendo comunità ideali.
Io loro principi sono la solidarietà, l’uguaglianza, l’idea di mettere terre in comune e spartirne i
frutti. Immaginano società perfette: cercano di costituire queste realtà e diffondere. Queste idee di
solidarietà ed uguaglianza nel ‘900 troveranno terreno fertile in molti paesi ex-coloniali. Tali dottrine
socialiste rappresentano un fenomeno politico;
 Movimento operaio: inizialmente ha aspirazioni corporative. Soffre la realtà della prima
industrializzazione: guarda con nostalgia al passato, all’antico corporativismo  immagine armonica
idealizzata: vivere in armonia con il datore di lavoro è percepito come l’ideale status del lavoratore.
Questo è un fenomeno sociale, nasce proprio dal lavoro, all’inizio non è organizzato: è legato a una
categoria sociale (gli operai) che lentamente si organizza in movimento per difendere i suoi
interessi.
Nel XIX secolo si incontrano: il socialismo si appoggia sulla classe operaia, ne assorbe rivendicazioni e
aderenti; il movimento operaio trae dal socialismo la sua strategia e la sua visione del mondo.
Lo scenario in cui questo avviene è la condizione durissima delle fabbriche, senza limiti orari, di giorni, di
età, di sesso, non c’è pensione. I luoghi di lavoro sono insalubri, e anche le abitazioni. Questo sradicamento
favorisce i processi di scristianizzazione, quindi di allontanamento dalla religione. Aumenta la questione
demografica in questi ambienti urbani e, naturalmente, ogni crisi economica si abbatte pesantemente su
questa classe lavoratrice  se il mercato si contrae, si licenzia o si riducono i salari.
All’inizio, inoltre, in nome della neutralità dello stato si sostiene un divieto di associazione.
Data questa situazione e questa condizione così pesante, il movimento operaio non può nascere da questo
operaio generico e sfruttato, senza tutele: da questo non può nascere una consapevolezza e capacità di
individuare degli obbiettivi  il movimento infatti nasce dagli artigiani e dagli operai specializzati (c.d.
“aristocrazia operaia”): occorre infatti una presa di coscienza e un impegno organizzativo. Una delle prime
richieste sarà il diritto di sciopero: la Gran Bretagna lo raggiunge nel 1824, seguirà la Francia del II Impero,
altrove poi sarà raggiunto a fine secolo.
La filosofia politica che sta dietro al socialismo si fonda sul benessere del corpo sociale, quindi non solo
libertà ed uguaglianza, ma fraternità, altruismo. Quello che preme ai socialisti è tenere in maggior
considerazione gli interessi della comunità rispetto a quelli dell’individuo.
Sul terreno economico i socialisti predicano l’abolizione completa o quasi della proprietà privata in favore di
forme pubbliche, collettive: alcuni sono più filo statalisti, altri meno, però ci deve essere un’autorità
pubblica che ha il controllo della proprietà.
In comune i primi socialisti avevano una visione pacifica del progresso e dell’evoluzione, qui non si parla di
lotta di classe, bensì si immaginano comunità ideali: propongono forme diverse, una lenta e graduale
trasformazione morale ed economica della società partendo dalla creazione delle prime comunità socialiste.
Rispetto a questo socialismo, che Marx chiamerà utopistico, il marxismo porta novità molto importanti:
innanzitutto si considera una disciplina scientifica, vi è infatti un’analisi di questo tipo del meccanismo
capitalistico di produzione (sfruttamento, plusvalore, alienazione). Vengono introdotti nuovi elementi: lotta
di classe, struttura/sovrastruttura, la funzione rivoluzionaria della borghesia e la sua crisi 8importante la
spinta della borghesia, la quale a sua volta ha creato una nuova classe sociale, il proletariato), l’inevitabilità
del socialismo. Accanto allo studio delle società più avanzate del suo tempo, l’elemento attrattivo del
marxismo è che offre una visione totale e propone una soluzione futura.
Un altro elemento di questa nuova forma di socialismo è l’internazionalismo: non è possibile prescindere
dalla dimensione internazionale (“proletari di tutto il mondo unitavi”). Nella prima internazionale (’64) dei
lavorati il marxismo convive con altre dottrine (es. mazziniani, forte presenza anarchica), lentamente però il
rigore con cui è costruita la teoria marxiana comincia ad affermarsi. Entrata in crisi questa prima
internazionale, ce ne sarà una seconda negli ultimi decenni dell’‘800, la quale vede il trionfo delle idee
socialiste: ne fanno parte solo i partiti socialisti, i quali dimostrano però di non essere un fronte del tutto
compatto  per alcuni l’idea è più radicale: non si può collaborare con la società borghese, si pongono in
una situazione di netta contrapposizione; per altri invece non è così.
Mentre i socialisti utopisti avevano una visione pacifica che faceva leva soprattutto sulla visione morale,
questi nuovi socialisti fanno leva soprattutto sulla politica: questo sia come progetto politico (dittatura del
proletariato), ma anche nel senso di struttura (importanza del partito e della lotta parlamentare) – il
modello di questo partito, però, deriva dalla tradizione democratica.
Il marxismo si afferma in Europa dopo il 1870: in questa fase non è òl0inghilterr l’elemento trainante, ma il
maggiore sviluppo avviene dalla Germania (proprio qui si afferma questo socialismo). La Francia in questo
periodo sperimenta la comune, che sembra avere elementi di marxismo: in realtà fallisce per sue
contraddizioni interne.
In Germania si sviluppa un grande partito socialista che mette insieme, nel famoso programma di Gotha, la
linea di Lassalle e quella di Marx  programma ufficiale del socialismo tedesco (SPD).
Proprio le tappe dell’evoluzione per raggiungere l’obbiettivo finale provoca un vivace dibattito all’interno del
socialismo:
a) Integralismo (radicale rifiuto);
b) Rivoluzionarismo: è massimalista, in linea di massima non vuole collaborare, in una certa fase vede
l’elemento rivoluzionario, però, nel sindacato (organizzazione dei lavoratori) invece che nella
rivoluzione;
c) Riformismo: crede nel collaborare con le parti più avanzate dei sistemi liberali (il riformismo andrà
in minoranza);
d) Revisionismo: forma di riformismo di destra (Bernstein in Germania; in Italia Bissolati e Bonomi). È
una sorta di labourismo: cooperare all’interno del sistema borghese e sviluppare la parte
riformistica.
Tutto questo porta chiaramente a dei problemi, ad esempio quello non risolto della democrazia
parlamentare. La democrazia si accetta come metodo e principio all’interno del partito, il quale si dà di fatto
una struttura democratica (che verrà meno in quello comunista), ma viene accettata solo in maniera
parziale  convinzione che questa dimensione sarà superata.
Gli unici partiti che non sposano la tesi di collaborare con gli altri partiti in/dopo il periodo di guerra sono
quello proletario russo e quello italiano: la formula che adotterà il partito socialista italiano sarà non aderire
né sabotare (lo sforzo bellico).

NAZIONALISMO
Joseph de Maistre disse: “Nazione: grande parola di estrema comodità, giacché se ne fa quel che si vuole”.
Già lui capiva che sotto questa etichetta si intendevano cose diverse. Oggi possiamo dire che è l’idea politica
più universale degli ultimi due secoli.
Questo sviluppo della nazione e del nazionalismo è un processo ininterrotto dal XIX secolo ad oggi.
Il nazionalismo in Europa cresce nell’Ottocento soprattutto nelle aree dai confini mobili. Nel novecento se
ne avrà un enorme sviluppo nei paesi extra-europei: spesso con il colonialismo si esportano idee nate in
Europa (es. rivolta dei Boxers, 1900; lotte di indipendenza anticoloniale; ..). dal punto di vista ideologico,
quando si inizia a sviluppare un’ostilità contro i colonialisti, i popoli colonizzati prendono dal loro
colonizzatore le idee nazionaliste.
Il nazionalismo è un fenomeno trasversale che si va a mescolare con tutte le correnti precedenti, arrivando
persino al nazional-comunismo.
Il termine nazione circolava già in età moderna, sebbene con accezione diversa: la nazione era personificata
nella figura del re. A un certo punto si inserì in questo anche la religione: adesione alla giusta fede.
La Rivoluzione francese rilancia, ma dà anche nuovo significato all’idea di nazione, la quale si riconosce in
nuovi simboli e come la totalità dei cittadini, anche se con idee e religioni diverse. Questi cittadini non sono
legati a nessun governo al potere: è la volontà generale di Rousseau che prende corpo, si fa idea astratta.
Questo nuovo sentimento incontra il Romanticismo: tenta di comprendere la totalità della vita. La bandiera
e l’inno nazionale diventano i simboli per eccellenza dell’identità nazionale. Le idee della Rivoluzione
francese le porta in Europa l’armata di Napoleone e le diffonde, conquistando gran parte dell’Europa
arrivando fino in Russia: la sua influenza la esercita per imitazione, libera i popoli e li unisce (Nord Italia e
Polonia); inoltre la esercita per reazione (ambito tedesco).
C’è un nazionalismo romantico (culturale), uno che fa leva sulle radici anche di sangue (idea che ci sono dei
fondamenti permanenti nell’idea di nazione).
Politicamente in questa prima fase è indeterminato: può essere do destra come di sinistra, si può legare a
qualunque ideologia (liberale, democratica, raramente socialista). La parola nazione comincia ad essere
evocata nelle battaglie.
Sono conseguenza dell’affermarsi della sovranità nazionale le relazioni internazionali (la loro nascita): si
parla di rapporti fra nazioni.

Fino al 1830 prevale un movimento delle nazionalità che si ispira a un modello liberale: i patrioti sono
liberali (Italia, Francia, Belgio, Germania, Russia). Fra i 1830 e il 1848 prevale un modello democratico,
quello de “la primavera dei popoli”, destinato però a cocenti fallimenti (fallisce la prima fase liberale salvo
qualcosa che si mantiene). Falliscono questi movimenti sia nell’aspetto nazionalista che democratico; fra
questi: Mazzini (“l’umanità è il fine, la nazione il mezzo”): idea di una nazione che si realizza in associazione
con le aspirazioni nazionali di altri paesi; dieta di Francoforte; Kossuth; Manin.
Dopo la rivoluzione del ’48 comincia a cambiare qualcosa: la nazione non è più l’ideale agitato da gruppi o
società segrete, ma comincia ad essere fatto proprio da governanti, non solo democratici, ma anche di
sistemi politici autoritari. Entra allora in gioco evocare le aspirazioni nazionali anche a livello diplomatico: il
principio di nazionalità comincia, infatti, ad entrare anche nel diritto internazionale.
Dopo il 1870 il nazionalismo si allea con i conservatori: questo dà vita a nuove correnti che disegnano un
nazionalismo non entro confini (si tratta già di stati nazionali), ma disegna una possibile aspirazione di unità
di popoli diversi  il panslavismo è una forma di nazionalismo di questo tipo: immagina di poter associare
insieme tutti i popoli slavi. Ci sarà poi il pangermanesimo, anche la questione d’Oriente è classificabile in
questo senso, etc. Quando si associa ai conservatori assume caratteri xenofobi ed esclusivi, talvolta anche
antisemiti  questo, ancora prima che in Germania, lo vedremo in Francia. Salito a livello istituzionale, il
nazionalismo diventa anche strumento della politica di governo.
Dopo il 1914 in Europa si assiste a uno sviluppo di un nazionalismo che cerca di diffondere i caratteri propri
fusi con quelli socialisti: si tratta di un nazionalismo integrale e radicale che tenta di fondersi con il
socialismo. Al di fuori dei confini europei, è l’ideologia che portano i paesi colonizzatori e che ha più
successo di tutti: gli altri popoli entrando a contatto con l’Europa scoprono l’ideologia nazionalista e
sviluppano sentimenti di questo tipo nel rispettivo paese, diventando una delle armi contro i colonizzatori.
Anche all’esteri assume colorazioni diverse: ad esempio abbiamo forme di nazionalismo democratico (caso
di Sun-Yat-Sen)  nazionalismo che si modella sull’occidente.
Dopo la Prima guerra mondiale cominciano a vacillare gli imperi coloniali occidentali e si comincia a
diffondere anche una forma di nazionalismo socialista: caso dell’India con Nehru, il quale cerca di introdurre
nel suo paese un nazionalismo con elementi di socialismo. Dopo il 1945 troveremo anche una forma di
nazionalismo associata al comunismo, ad esempio in Corea.
Dopo il 1989 abbiamo una saldatura con l’islamismo estremo, arrivando così ad una nuova esplosione di
nazionalismo.

LE PRIME FORME ORGANIZZATIVE ALLE ORIGINI DEL PARTITO MODERNO


La società ‘800 è una società ancora molto stratificata in fase di mutamento, con un processo in forte
accelerazione. Possiamo considerare tre strati:
1. Aristocratica: erede del passato, si adatta però anche ai cambiamenti, ricopre quindi ancora un
ruolo importante. Sposa il nazionalismo, trovando così la chiave per rilanciarsi in una società
democratica che sta diventando di massa. Le basi erano quelle tradizionali: la terra, l’esercito (vertici
militari), diplomazia, politica;
2. Borghese: questa nuova ‘società’ (elemento di grande novità) si affianca all’aristocrazia. Deve il suo
successo al lavoro, al risparmio, all’istruzione. Essa tende ad avvicinarsi e a fondersi con
l’aristocrazia del sangue, è attratta da questa, ce l’ha come modello. Comune tra queste due è il
timore per la democrazia e per le classi popolari;
3. Strati popolari: piccola borghesia, operai, contadini, “spostati” (conseguenza dell’urbanesimo,
dell’aumento demografico, del pauperismo).

È in questo scenario che è possibile capire la spinta e la tendenza all’associazione. Una delle prime forme
che troviamo di tentativo di associarsi, la più antica, sono le organizzazioni mutualistiche.
Nascono nell’ambito delle corporazioni (origine quasi medievale) ma aumentano il numero di aderenti in
piena rivoluzione industriale. Nascono dalla necessità di aiutarsi: nel momento in cui non c’è alcuna tutela
dei lavoratori, questi fanno quello che possono. Ovviamente non sono partiti e, tra l’altro, non hanno una
finalità politica: si prendono in considerazione come uno degli antenati dei partiti perché l’esige za di
organizzazione determinano la nascita di una cultura di autogoverno, gestiscono il patrimonio dei consociati
secondo regole di governo e controllo formalizzate. Tutti questi elementi si ritroveranno poi nei patrioti
politici: anche questi avranno un tesoriere, una raccolta delle quote, una minima struttura interna
organizzativa. Questa impronta delle società di autosoccorso attecchirà soprattutto negli ambienti operai sia
protosocialisti sia (soprattutto) cattolici sia, in Italia, repubblicani.
Una seconda tipologia è data dai gruppi di pressione (contemporanei alle organizzazioni mutualistiche).
Associazioni che non intendono entrare in parlamento ma si organizzano per raccogliere adesioni popolari
attorno ad un obbiettivo. Sono un fenomeno tipicamente inglese (controllo del mercato degli alcolici, per
l’educazione scolastica pubblica e gratuita, etc.). Es  il cartismo (1838): non è un partito, esercita una
pressione esterna sul parlamento attraverso la raccolta di firme per una petizione a fini politici (suffragio
universale maschile, indennità parlamentare, voto segreto, etc.). Non ha una struttura istituzionalizzata.
I gruppi di pressione sono importanti perché adottano tecniche di mobilitazione (grandi assemblee
pubbliche, fiaccolate notturne, meetings), fanno propaganda popolare basata su formule semplici in grado
di suscitare un consenso emozionale.
Terzo antenato del partito politico sono le società segrete: più che quelle dei primi anni, il grande modello è
la Giovine Italia fondata da Mazzini. Queste resteranno un modello tanto per i partiti liberali, quanto per
molti partiti socialisti e anarchici europei.
La Giovine Italia (1831-32) ha i caratteri di un proto-partito:
 Il carattere della segretezza per la Giovine Italia è una necessità, non un ideale romantico come era
per la carboneria. La giovine Italia vuole rovesciare l’ordine esistente e quindi è perseguitata da chi
di dovere;
 Adotta un programma che deve essere conosciuto da tutti, mentre per la carboneria solo pochi
potevano conoscere i fini ultimi. Programma G. I.: Italia una, libera, indipendente, repubblicana 
“chiunque intenda chiamare il popolo alle armi deve potergli dire il perché”;
 Tendenzialmente vuole essere stabile, diffusa su tutto il territorio italiano, chiede un’adesione
individuale dei militanti, i suoi membri sono tutti giovani;
 Sistema di finanziamento regolare basato su quote, cerca di dar vita ad una propria (modesta)
stampa;
 Natura interclassista: Mazzini resta sempre ostile alla lotta di classe;
 Forti legami internazionali. Molti esuli girano per l’Europa (prevalentemente Francia e Inghilterra,
un po' in Spagna): hanno contatti con le idee che circolano in questi paesi;
 Struttura centralizzata;
 L’apostolato (fare adepti) è un passaggio fondamentale di questa organizzazione: per molti versi
questa organizzazione si ispira al modello religioso. I termini che circolano infatti sono questi:
apostolato, fede, conversione, martiri, etc. Questo è uno dei primi caratteri dell’‘800 che ci fa
comprendere che la politica sta assumendo sempre più caratteri religiosi;
 Il sentimento della nazione da mito culturale diventa mito politico: nazione + libertà + democrazia.
Comincia a tradursi in una componente politica che vuole operare anche in modo violento, pure
rovesciando il sistema vigente,
 Anche i simboli hanno la loro importanza: il tricolore è il principale simbolo della G. I..

Dopo il ’49, dopo i fallimenti di questi moti, si cerca di dare vita a una sorta di partito che prende il nome di
Partito d’Azione, il quale cerca di strutturare ancora meglio questi primi nuclei.

Quasi tutti i partiti in Europa deriveranno dalla trasformazione in istituzione politica di precedenti tradizioni
di sociabilità  concetto sviluppato da M. Agulhon: negli studi ha quasi soppiantato il concetto di socialità,
mentre sociabilità è un termine avalutativo, riguarda meccanismi di aggregazione della società civile.

L’Italia nella prima metà dell’‘800 era fatta di molti stati arretrati, alcuni meno, altri più: era quindi
prevalente l’arretratezza, lenta crescita produttiva. La costruzione delle prime ferrovie mette in moto
un’industria, soprattutto complessa (es. mette in moto l’industria siderurgica): si comprende che il
progresso passa attraverso lo sviluppo ferroviario: le prime ferrovie raggiungeranno appena i 300km nel ’48
(10 volte meno della Francia, 30 meno dell’Inghilterra).
Si cominciano ad abbassare le tariffe doganali: l’Italia le abbatterà al suo interno solo dopo l’unità politica. Si
comincia a parlare di italianità, temi italiani.

Gli anni ’40 sono caratterizzati dalla stagione del moderatismo: accanto ai conservatori, legittimisti e ai
pochi democratici mazziniani emerge questa corrente, la quale vuole riforme graduali senza rompere con i
governi, modello federalista.

IL BIENNIO RIFORMATORE IN ITALIA (1846-48)


Nel 1846 sale un nuovo papa, papa Pio IX, che sembra un papa riformatore: negli ambienti patriottici che si
stanno cominciando a diffondere nel paese vi è speranza. Pio IX infatti concede l’amnistia, crea una Consulta
di Stato e la Guardia civica e attenua la censura sulla stampa. Protesta poi contro l’occupazione e di Ferrara
da parte austriaca.
Il biennio riformatore aveva già mobilitato l’opinione pubblica e accresciuto l’aspettativa di riforme. La prima
fase è liberale: richiesta di costituzioni (statuti) e di un sistema rappresentativo. A Palermo, nel gennaio del
’48, Ferdinando II concede lo Statuto. Seguono gli altri Stati (Piemonte, Toscana, Stato della Chiesa). Tutte le
costituzioni hanno carattere moderato e si ispirano a quella francese del 1830.
Dopo la sollevazione di Vienna (marzo), l’insurrezione di Venezia (Manin) e Milano (Cattaneo) contro
l’Austria è democratica e vede insieme borghesi e popolani. Proclamazione della Repubblica a Venezia,
governo provvisorio a Milano. Si offre l’opportunità per carlo Alberto di dichiarare guerra all’Austria (marzo).

PRIMA GUERRA DI INDIPENDENZA NAZIONALE


L’esempio si propaga agli altri sovrani, che inviano truppe per timore delle agitazioni interne, ma le ritirano
presto. Restano i volontari col regno sabaudo, che ha soprattutto mire espansionistiche verso il Lombardo –
Veneto. I gruppi democratici sono isolati: non si tratta di una guerra popolare, la sua base è nella piccola e
media borghesia urbana. Poco vittorie, le sconfitte: Custoza (luglio ’48) e Novara (marzo ’49). Carlo Alberto
abdica in favore di Vittorio Emanuele II.

L’ASSEMBLEA COSTITUENTE E LA REPUBBLICA ROMANA (1849)


Il triumvirato Mazzini, Saffi, Armellini. È la prima esperienza di confronto democratico in Italia organizzato in
assemblea (ma non in partiti), attorno ad alcune questioni: guerra all’Austria? Costituente romana o
italiana? Si può stilare una dichiarazione di principi, nonostante l’arrivo dei francesi?
Nella costituzione c’è anche un progetto di riforma agraria e di laicizzazione dello Stato.
Il 1849 si rivela essere un anno cruciale: gli austriaci riprendono il Lombardo Veneto, le Legazioni pontificie e
abbattono la Repubblica democratica sorta in Toscana. I francesi fanno cadere la Repubblica romana (luglio),
democratica, costituita dopo la fuga del papa a Gaeta, attraverso elezioni a suffragio semi-universale (ma
vota il 10% della popolazione).

Le ragioni della sconfitta:


- Spaccature tra liberali moderati e democratici radicali;
- Timore dei liberali che si inneschi una rivoluzione sociale e quindi si ritirano;
- Impreparazione militare di Carlo Alberto;
- Ritiro degli altri sovrani;
- Presenza di un forte esercito austriaco;
- Ripiegamento dei democratici, crisi del neoguelfismo e del federalismo;
- Estraneità delle masse contadine;
- Una seconda restaurazione si attua anche a livello internazionale.
Resta comunque l’esperienza di un intenso dibattito pubblico attorno alla Rappresentanza, alla Nazione
(sotto il Piemonte, che resta liberale e accoglie gli esuli) e alla necessità della guerra contro l’Austria.

Lo Statuto Albertino è l’unico a sopravvivere: per le pressioni dell’opinione pubblica liberale, per il timore da
parte del re di cadere nell’anarchia sarà esteso al Regno d’Italia e durerà cento anni.
Si tratta di una costituzione moderata. Vi è un bicameralismo: a) Camera dei deputati: elettiva, la legge
elettorale prevede un suffragio ristretto su base censitaria elevata; b) Senato di nomina regia. Ad entrambe
le camere spetta il potere legislativo.
La religione cattolica è la sola religione dello stato. gli altri culti sono tollerati (Art. 1). Riconosce la libertà di
associazione (favorisce di fatto la diffusione delle società operaie di mutuo soccorso); ancora non si parla di
partiti. Il solo titolare del potere esecutivo è il re, che ha ampi poteri ed è partecipe con le camere anche del
potere legislativo. Il governo, pertanto, non trae la sua legittimità dalla fiducia delle Camere ma da quella
del sovrano: sembra delinearsi un sistema “costituzionale” simile a quello che ci sarà in Germania.

Vi è però estrema instabilità politica: 3 elezioni nel ’49. La Camera riflette le precedenti divisioni
moderati/democratici sulla guerra all’Austria e ora non vuole ratificare il trattato di pace, per il quale si era
già impegnato il re e il governo. Ma il re, secondo lo Statuto. Ha il bisogno dell’approvazione parlamentare
per un trattato che prevedeva oneri per le finanze (indennità di guerra). Da qui scioglimento della Camera e
proclama del re.
La larvata minaccia di abolire o sospendere lo Statuto, in caso di elezione di una camera ostile alla ratifica,
ha successo. L’intervento del re nelle elezion è stato possibile perché ancora non si è affermata la prassi
parlamentare di rendere il governo responsabile di fronte alle camere (lo diverrà con Cavour). In quel
momento, però, l’atto voluto dal presidente del Consiglio d’Azeglio consente di conservare insieme
l’appoggio del re e le libertà costituzionali (e consolidare la maggioranza moderata) in un’Europa tornata
alla reazione.
In Piemonte le libertà costituzionali restano. Il proclama segna il consolidamento delle forze moderate
(nobili e borghesi) intorno ai presidenti del Consiglio. Esse prevalgono su democratici e reazionari. In
parlamento, i gruppi prendono posto stabilmente a destra e a sinistra secondo l’orientamento politico,
sull’esempio francese. Il confronto politico si svolge in Parlamento; si avviano programmi di legislatura. Sono
poste le premesse per la modernizzazione dello Stato.

DAI PARTITI MONOTEMATICI AI PARTITI PARLAMENTARI


La fase successiva alla prima guerra d’indipendenza vede i primi orientamenti politici all’interno della
camera (destra, sinistra). Questa posizione non crea un partito ma il fatto che le idee sono raccolte e
incarnate da determinati gruppi che si posizionano in modo specifico nella camera. In questo periodo
avviene il passaggio da partiti monotematici (uniti attorno ad un solo obiettivo) a partiti parlamentari
(raggruppamenti che si formano ancora non stabilmente che però hanno un programma di legislatura). Si
rendono necessari progetti politici più ampi.
Le forze reazionarie, conservatrici e clericali sono alla guida di tutti i governi della penisola tranne che in
Piemonte: sono sostenitori dell’assolutismo amministrativo e difendono le tradizioni.
Le forze liberali guidano il governo piemontese, si trovano all’opposizione in tutti gli altri stati della penisola.
In Piemonte avviano un processo di riforma: leggi Siccardi aboliscono il foro ecclesiastico, diritto di asilo, la
censura dei libri e la mano morta. Una forte spinta verso la laicizzazione.
Le forze democratiche più intransigenti continuano l’attività cospirativa, sono fautrici della guerra
patriottica. Mazzini fonda il Partito d’Azione (1853).
Il grande protagonista di questo periodo è Cavour. È un liberale moderato e non 1852 diventa presidente del
consiglio in Piemonte. Fu il promotore delle leggi di riforma dello stato piemontese con un celebre discorso.
Dal punto di vista politico Cavour fece un accordo, detto il “connubio”, con il leader della sinistra moderato
Urbano Rattazzi. Alcuni studiosi hanno visto questo accordo come anticamera del trasformismo. Questa
visione è però sbagliata. L’idea di Cavour era di fare un accordo permanente che diede vita alla Destra
Storica. Si avvia una graduale evoluzione dei partiti. L’organizzazione rimane minima e si attiva solo a ridosso
delle elezioni. La destra storica ha però un programma di governo col quale si presentano alle elezioni.
Nasce la società nazionale italiana, una società extra parlamentare in supporto di Cavour. Questo accordo
avrà la sua stabilità anche grazie alle concezioni che Cavour fa alla sinistra.
 Guerra all’Austria
 Riforme di tipo sociale

Vi fu un forte sviluppo industriale grazie alla stabilità politica che permise la creazione di grandi
infrastrutture come le ferrovie e il canale Cavour.
Cavour è il padre di un’azione diplomatica molto innovativa:
 Partecipazione piemontese alla guerra di Crimea 1855, con obiettivo di rendersi alleate Francia e
Inghilterra per uscire dall’isolamento diplomatico.
 Alleanza franco-piemontese militare e politica (accordi di plombierès): Napoleone III simpatizzava
con le idee di unità dell’Italia, ma aveva anche l’intenzione politica di sostituirsi all’Austria nella
penisola.
 II guerra di indipendenza (1859): guerra vittoriosa
 La Francia firma l’armistizio di Villafranca con l’Austria: questo è un atto inaspettato da parte
dell’alleato transalpino. In base a questa pace l’Austria cede la Lombardia ma non il veneto.
 Emilia-Romagna, Toscana e Marche insorgono, volendosi annettere al Piemonte. Questa
sollevazione avviene sotto la guida della società nazionale.
 Napoleone III riconosce il fatto compiuto e ottiene Nizza e la Savoia.
 Le annessioni di Emilia, Romagna e Toscana sono ratificate con dei plebisciti.

L’azione dei democratici: la spedizione del mille 1869


Il progetto era di promuovere rivolte sociali con l’appoggio del Piemonte per unificare la penisola. Garibaldi,
ex mazziniano, ora democratico monarchico, parte dalla Liguria e si dirige in Sicilia dove viene accolto con
grande appoggio. La risalita della penisola non trova grandi resistenze dalle truppe Borbone ormai allo
sbando. Allo stesso tempo l’esercito piemontese attraversa lo stato della chiesa e invade il regno delle due
Sicilia. Il re e Garibaldi si incontrano a Teano. Il 17 marzo 1861 viene proclamato il regno d’Italia.
Cavour si pronuncia pubblicamente all’oscuro della spedizione dei mille, in quanto lo stato piemontese non
si poteva esporre pubblicamente riguardo una questione simile che avrebbe visto contro la maggior parte
degli stati europei.
Fuori dal regno d’Italia rimane fuori il veneto, il Trentino e le zone del Lazio attorno a Roma. Questo regno
viene costituito nel segno della continuità. Il regno d’Italia si è costituito per ampliamento del regno di
Sardegna, il tricolore ha lo stemma sabaudo, si mantiene vigente lo statuto albertino e inizia un processo di
assimilazione delle nuove componenti del paese. Il sistema elettorale maggioritario con collegi uninominali
favorisce dei forti localismi.

Dopo l’unità altri avvenimenti di spicco sono:


 Convenzione di settembre: capitale da Torino a Firenze 1864, per rassicurare la Francia sule mire
italiane su Roma.
 III guerra d’indipendenza in cui l’Italia conquista il Veneto 1866: alleanza tra Italia e Prussia.
 Tentativo fallimentare dei garibaldini di prendere Roma 1867
 Presa di Roma dopo la caduta di Napoleone III 1870
 Leggi delle guarentigie

DESTRA STORICA
Ha il suo nucleo principale in Piemonte a cui si associano esponenti della toscana, Lombardia e Emilia. Crea
comitati elettorali e si basa su una rete di associazioni di sostegno: culturali e sportive. Gli obiettivi sono di
modernizzare il paese, efficientare lo stato e normalizzazione dei rapporti stato-chiesa. La destra ha da
affrontare, oltre le guerre che abbiamo visto, l’amministrazione di uno stato difforme e assai differenziato
nelle sue realtà. Verranno quindi promulgate una lunga serie di leggi volte a unificare il territorio.
 Leggi unificatrici;
 Legge Casati: sistema scolastico nazionale;
 Unificazione amministrativa: comuni elettivi, sindaci di nomina regia, province con prefetti;
 Unificazione economica: creazione delle infrastrutture, scelta liberista. Sviluppo prevalentemente
agricola;
 Aumento della fiscalità: tassa sul macinato, coscrizione obbligatoria;
 Divisione delle terre demaniali e dell’asse ecclesiastico, con risultati però insufficienti.

Lo stato dovette affrontare anche la nascita di problematiche come il brigantaggio e la questione


meridionale. Nel 1875 si vedrà il risultato di queste riforme con il raggiungimento del pareggio in bilancio.
Nel 1876 la destra cade. Questo fu un grande shock per il tempo, tale che i contemporanei parlarono di
“rivoluzione parlamentare”.
La destra rappresentava l’alta borghesia agraria del nord e del centro e dei gruppi industriali del nord. La
sinistra rappresentava la piccola borghesia del centro nord e la borghesia agraria del sud. Nel tempo però si
va a creare una certa omogeneità tra destra e sinistra e le idee vanno a convergere. Le somiglianze
diventano più delle differenze. Per questo motivo i liberali, sia di destra che di sinistra, al governo verranno
chiamati costituzionali. L’avvento della sinistra non segna però un avvento del bipartitismo in quanto i due
gruppi sono fusi, non si attiva un meccanismo di alternanza tipico del bipartitismo.
La sinistra va al governo con Depetris come leader che governerà per circa 10 anni il programma della
sinistra si basa sull’estensione del suffragio in base all’istruzione oltre che il censo e la riforma dell’istruzione
(riforma Coppino, 1877). L’istruzione viene affidata ai comuni, questione problematica. Non si attua il
decentramento amministrativo e neppure la riforma fiscale

Dopo il 1870 si ha lo sviluppo della riflessione sul partito politico. Si ha il completamento unità, Roma
Capitale; il consolidamento della stabilità politica e l’avvento della sinistra favoriscono la riflessione anche in
Italia sui caratteri del partito politico.
Vi sono principi di industrializzazione e una dilagante crisi economica.
Tale dibattito prende in ambito dei liberali costituzionali (esponenti destra e sinistra storica) protagonisti del
Risorgimento e dell’unificazione nazionale.
Due grandi direttrici:
1. Destra tradizionalista costituzionale, che vede negativamente i partiti politici. La tirannia dei
comitati condiziona la libera azione del deputato (Bonfadini, 1879);
2. Destra riformista costituzionale, che riconosce il ruolo positivo del partito politico. Una
strutturazione del Parlamento per partiti ha una sua ragion d’essere. Il partito organizzato ha un
ruolo moralizzatore della vita politica, garantisce il corretto funzionamento delle istituzioni, purché
non perda di vista gli interessi generali (difesa dei principi risorgimentali e delle istituzioni). Il partito
è anche necessario a difesa del sistema contro le Estreme.
L’Estrema:
 Repubblicani: eredi di Mazzini con influenze del filone democratico di Cattaneo. Pratica associativa
[società di mutuo soccorso] e astensionista. Il loro programma è la Repubblica [impossibilità di
conciliazione con la Corona], democrazia sociale, ma rifiutando l’idea della lotta di classe. Si
costituiscono in partito nel 1895;
 Radicali: [Bertani, Cavallotti, “Il Secolo”]. “Liberali di estrema sinistra”. Lega con i repubblicani e si
costituiscono in partito nel 1904. Modernizzazione del Paese, riforma della pubblica
amministrazione, massoneria, anticlericalismo, liberismo, decentramento amministrativo. Oscillano
tra astensionismo e opposizione parlamentare;
 Socialisti: dai partiti socialisti nasce il modello del partito di massa. Il partito di massa sarà la forma
di organizzazione politica più diffusa in Europa nel XX secolo. Il nucleo del partito socialista è nel
movimento operaio [aristocrazia operaia]. Nascono le organizzazioni di difesa: società di mutuo
soccorso, leghe di resistenza, federazioni di mestiere e Camere del lavoro. Dopo la Comune di Parigi
[1871] si diffondono le prime idee internazionaliste, prima essenzialmente anarchiche [Bakunin] e
poi orientate in senso marxista. A fine secolo nasce il Partito dei lavoratori italiani [1892], poi PSI nel
1895 [Turati]. Obiettivi politici: programma minimo [legislazione sociale, sistema pensionistico e
riformismo] e programma massimo [socializzazione dei mezzi di produzione].
È in questi gruppi che si va delineando la moderna forma-partito: organizzazione radicata nel territorio,
comitato centrale, struttura piramidale, elezioni interne annuali, ampia autonomia delle singole
associazioni. Sono divisi tra astensionismo e partecipazionismo. Dal 1877, queste fazioni diventano un
gruppo parlamentare autonomo.
E i cattolici?
Il Papa considera lo Stato italiano come usurpatore.
“Non expedit”: divieto di partecipazione politica (attiva e passiva) per i cattolici.
Una parte consistente della popolazione italiana non partecipa alla vita politica del Paese.
Pressione delle Estreme e del c.d. pericolo nero.
Netta intransigenza clericale (intransigentismo), cui si oppone un netto anticlericalismo liberale.
I cattolici non facevano scioperi, ma erano una forza eversiva, perché non riconoscevano la legittimità dello
Stato italiano.
Nel 1874, gli intransigenti confluiscono nell’Opera dei Congressi. Istituita dal Papa, accoglie il laicato
cattolico. Rifiuto di collaborazione politica sino all’epoca giolittiana.
Dopo la morte di Pio IX gli succede Leone XIII, che si apre alle questioni sociali.
Cresce una rete di cooperative, società di mutuo soccorso, casse rurali controllate dal clero.
Nascita delle leghe bianche.
Tra fine Ottocento e inizio Novecento si vanno delineando due tendenze:
a) Conservatori nazionali: liberali cattolici. Cercano una conciliazione pratica tra Stato e Vaticano;
Ricorda: la Chiesa avversa fortemente il liberalismo, violazione del diritto naturale.
b) Democrazia cristiana, Murri: vuole conciliare la dottrina cattolica, impegno sociale, democrazia
contro il capitalismo e lo Stato liberale e borghese. Occorre servirsi delle istituzioni liberali per
trasformare lo Stato laico in una società cristiana. Tollerata dal Leone XIII, osteggiata dal Pio X
(ripresa da Sturzo).

IL PARTITO DI CORTE
Il Re, con il Ministro della Real Casa, il ministro della guerra e i senatori esercitano un’influenza sulle
istituzioni rappresentative.
Umberto I, interferenza su governo e Camera. Tentativi autoritari a fine secolo.
Ma anche fattore e simbolo di integrazione nazionale.

IL TRASFORMISMO
Nasce dall’accordo elettorale Depretis (leader Sinistra storica) e Minghetti (leader Destra storica). È la
tendenza a fare blocco al centro, a formare una solida maggioranza costituzionale (mutevole, instabile)
contro le forze antisistema, “rossi” e “neri”. A differenza del connubio, è un accordo temporaneo. Ruolo
della Pentarchia.
Critiche: visto come pratica perenne di negoziazione degli interessi particolari.
Per molti, in un’accezione negativa, trasformismo e parlamentarismo coincidono (involuzione della pratica
parlamentare). Diffidenza verso i partiti e verso la classe politica nel suo insieme.
Il trasformismo impedisce il sistema dell’alternanza e frena l’azione riformista.
Ostacola la formazione dei moderni partiti politici: svilisce il programma politico proprio di ciascun partito. Il
trasformismo si verifica anche in Francia, dove prende il nome di opportunismo.
Il trasformismo diviene una pratica politica per acquisire consenso e conservare o aumentare le fedeltà
politiche.
La Destra si trovò ad affrontare tre opposizioni radicali: cattolica, repubblicana intransigente e reazionaria e
filoborbonica nel Sud (Stato usurpatore). All’epoca della Sinistra vi si aggiungono anarchici e socialisti (Stato
sfruttatore). Sindacalismo rivoluzionario e nazionalismo in epoca giolittiana. Lo Stato liberale si sentì sotto
assedio: vi fu un momento in cui prevalse la repressione autoritaria e il tentativo di mettere in atto propositi
autoritari.
[Rivedi Governo Crispi]

PRIMO MINISTERO GIOLITTI (1892 – 1893)


Scandalo della Banca romana.
Uomo proveniente dall’amministrazione dello Stato e non dall’esperienza risorgimentale.
Affronta la crisi economica aumentando le tasse: introduzione principio di progressività delle imposte.
Scoppiano i Fasci siciliani del lavoro.

CRISI DI FINE SECOLO


La crisi di fine secolo è comune a tutti i Paesi europei.
Comune tensione attorno al funzionamento delle istituzioni rappresentative liberali.
Crisi economica generalizzata; carenza di materie prime; calo della produzione agricola e blocco delle
importazioni. Protesta dello stomaco: non matrice politica, ma derivanti dalla diffusa difficoltà economica.
Repressione e stato d’assedio a Milano, Napoli e in Toscana [schieramento dell’esercito]. Governo Pelloux e
ostruzionismo parlamentare

L’INGRESSO NEL ‘900


Ci sono forti aspettative che il nuovo secolo apra un futuro di progresso, di benessere, di grandi conquiste.
C’è anche un guardarsi indietro con soddisfazione: l’Ottocento ha preparato un’era di progresso per tutti; c’è
stata un’accelerazione, uno sviluppo dell’industrializzazione e delle scoperte scientifiche.
LE DUE MODERNITÀ
MODERNITÀ COME PROGRESSO PACIFICO  Si considera superata la fase delle guerre degli anni passati. A
simboleggiare l’immagine di progresso avviamo due figure: Alfred Nobel ed Ernesto Teodoro Moneta.
C’era però chi già allora aveva un’idea diversa della modernità, ad esempio la corrente futuristica: esalta
tutto quello che è dinamismo, velocità, progresso. Dall’esaltazione della velocità a esaltare la guerra il passo
è molto breve: Marinetti dirà “guerra sola igiene del mondo”.
Si comincia ad intuire (in pochi) che il pericolo della guerra non era del tutto scampato, e se la guerra fosse
arrivata sarebbe stata una guerra nuova, con coinvolgimento mondiale, ci fu anche chi intuì ad esempio
l’avvento delle trincee.
Nel primo decennio del ‘900 siamo all’apice dell’egemonia europea sul mondo. Questo diffuso ottimismo è
favorito dallo sviluppo economico: uscita dalla crisi e avvio di un ciclo espansivo, all’interno del quale si
rafforzano quei caratteri dello sviluppo industriale che erano iniziati a fine ‘800. Vi è una tendenza alla
concentrazione monopolistica e alla ricerca di nuovi mercati; vi è una grande mobilità di uomini, merci e
capitali. È inoltre l’età d’oro dell’imperialismo e del colonialismo generalmente riconosciuto come un
elemento positivo, come il segno attraverso il quale riconoscere una grande potenza. Stavolta, a differenza
di alcuni decenni precedenti, tutto questo avviene con il pieno sostegno dell’opinione pubblica.
Possiamo dire che l’Europa occidentale resterà convinta ancora a lungo di essere l’apice del mondo, però ci
sono già allora dei segnali che qualcosa sta cambiando: emergono gli Stati Uniti, i quali alla fine
dell’Ottocento hanno fatto una guerra contro la Spagna dalla quale sono risultati vincitori. Non se ne coglie
appieno ancora l’importanza, ma intanto si sono affacciati sulla sfera pubblica. C’è un altro tipo di
imperialismo: gli Stati Uniti rifuggono dall’idea di creare un impero coloniale, dal momento che loro stessi
erano una colonia, questo però non gli impedisce di consolidare una forma di imperialismo di fatto.
C’è un secondo imperialismo, in Estremo Oriente: il Giappone, che ha imparato la lezione dell’Europa, si è
auto modernizzato, a differenza della Cina, e ha compiuto una sorta di modernizzazione dall’alto. La sua
espansione la orienta verso la Cina, e poi addirittura verso la Russia, rivelando al mondo la debolezza
inaspettata di quest’ultima. Altro focolaio di crisi è dato dall’area dei Balcani: l’Austria aveva interesse a
erodere interiormente l’Impero Ottomano, voleva estendersi in quella direzione, nonostante non fosse
l’unica potenza a volerlo fare  occupazione austriaca della Bosnia Erzegovina: questo ha un riflesso anche
in Italia, dal momento che quest’ultima faceva parte della Triplice Alleanza. La triplice alleanza prevedeva
che in caso di espansioni dell’Austria sarebbero dovuti spettare dei compensi all’Italia, ma tutto questo non
si verifica: inoltre, avverte l’Italia a fatto compiuto, cosa che invece avrebbe dovuto fare prima  tutto
questo mette in luce che l’Italia è l’anello debole dell’Alleanza.
Vi è poi la questione d’Oriente, ovvero tutti i fatti che attengono al declino dell’impero ottomano.
Possiamo allora dire che dopo aver celebrato questo inizio secolo di pace e di progresso, in realtà l’Europa
sta vivendo un clima di pace armata: ognuno di questi fattori di crisi alimenta la tendenza al riarmo.
Anche l’Italia vive questo inizio secolo con un progresso: alle spalle ha l’unificazione del mercato interno,
avvenuto dopo l’unità, vengono create infrastrutture e si ha una regolamentazione degli istituti di emissione
dopo gli scandali e i fallimenti bancari. A fine secolo nasce la Banca d’Italia: in cambio della liquidazione
delle passività della Banca Romana, assume il servizio di tesoreria dello Stato per tutta l’Italia. Lo Stato
controlla meglio l’emissione. Nascono anche nuove banche, sul modello tedesco, e si configurano come
banche miste: si unificava nella stessa banca piccolo, medio e lungo credito. Si raggiunge il risanamento del
bilancio, che era un aspetto sentito come fondamentale, si supera la crisi agraria, c’è un grande sviluppo di
capitali. Viene adottata già a fine ‘800 una pesante tariffa protezionistica che protegge le giovani industrie
italiane.
L’Italia vede quindi un progresso economico e sociale senza precedenti, favorito dalla congiuntura
internazionale favorevole. Conosce i problemi comuni a tutti i paesi industrializzati: la questione sociale, la
competizione internazionale e il dominio coloniale. Presenta però dei suoi problemi specifici: vi è la
necessità di superare il ritardo economico e i grandi squilibri non solo tra Nord e Sud ma anche tra centro e
periferia. Si trova quindi a dover adattare il sistema politico-istituzionale che ha ereditato, sostanzialmente a
base oligarchica, alla nascente società di massa.

GIOLITTI
Era il ministro dell’interno nel governo Zanardelli, ed era fra i due la figura più importante e significativa. È
un governo (1901 – 13) in cui l’azione politica e la maggior parte della carica è dominata dalla figura di
Giolitti.
Giolitti era già esordito, c’era stato un suo governo a fine ‘800, aveva già delineato nei discorsi alla camera la
sua idea di liberalismo che deve aprirsi alla democrazia, comprendere e fare sue le richieste che vengono
dalla società, e a questa linea rimarrà fedele.
C’è un famoso discorso di Giolitti alla camera (1901): dopo i fatti di Genova (sciopero generale nel dicembre
1900), questa fu l’occasione per Giolitti (siamo ancora nel governo Saracco) di fare un discorso di lungo
periodo, nel quale distingue tra la massa, di cui il governo non deve avere paura a meno che non siano
masse disorganizzate; la massa organizzata bisogna “farsela amica”: allora diceva che lo Stato non deve
intervenire nei conflitti di lavoro, deve restare neutrale  “Che interesse ha lo Stato nel tenere bassi i
salari?” Quando interviene in questo senso il governo commette un’ingiustizia, perché manca al suo dovere
di uguaglianza tra i cittadini. Commette anche un errore economico perché non lascia il libero gioco tra
domanda e offerta; il governo commette anche un errore politico perché rende nemiche dello Stato quelle
classi che in realtà costituiscono la maggioranza del paese. Il moto ascendente delle classi popolari è un
moto invincibile perché comune a tutti i paesi civili e poggiato sul principio dell’uguaglianza tra gli uomini:
sta a noi conquistare queste masse e renderle fedeli allo Stato.

SONNINO
Progetto riformatore anche con delle punte avanzate
 Il sistema liberale è minacciato al suo interno e dalle estreme. Ciò che manca è un grande partito
conservatore (“fascio di forze nazionali”), con un programma di conservazione politica e
rinnovamento sociale.
[vedi slide]

GIOLITTI
 Meno teorie, più pragmatismo. Bisogna governare il paese con i mezzi a disposizione: è necessario
fissare punti programmatici più circoscritti ma di efficacia immediata;
 È necessario prevenire la lotta di classe e la vittoria delle estreme con una politicaq di riforme
(revisione del sistema tributario, sgravi fiscali per la picfcola prorpietà, sacrifici ale classi dirigenti);
 Riforma sistema scolastico

RIFORME DEL GOVERNO ZANARDELLI-GIOLITTI


 Legislazione sociale: municipalizzazione dei servizi pubblici, limitazione del lavoro di donne e
bambini, ...
 Neutralità nei conflitti di lavoro;
 Avvio leggi speciali per il Mezzogiorno: macò però un piano organico di riforma, perché vi furono
una serie di opposizioni, si adottarono quindi leggi speciali su singole tematiche.
 Statizzazione delle ferrovie (attuata poi dal governo Fortis nel 1905)
 Rinuncia al progetto complessivo di riforma tributaria  forte opposizione
 Tentativo (presto accantonato) di introduzione del divorzio: l’opinione pubblica non la sostenne.
 La novità di questo governo è che i socialisti, che sono dominati in questa fase dalla corrente
riformista, decidono di mettere da parte l’intransigenza che avevano avuto negli anni precedenti, e
di collaborare caso per caso: non entrano a far parte del governo ma vedono che di fronte a certe
riforme la classe operaia ha tutto fa guadagnare.
Questa linea favorisce la crescita sia del partito operaio che socialista.
Il sindacalismo rivoluzionario crede nello spontaneismo di piazza, anche violento e nello sciopero generale.
Sarà una breve stagione: esplode proprio a inizio ‘900 quando le agitazioni sociali provocano proprio meò
1904 uno sciopero generale nazionale. L’obbiettivo era quello di far cadere il governo e instaurare la
rivoluzione, tutto questo fallisce perché si trova davanti Giolitti.

[vedere slide con le correnti del tempo – “i liberali restano senza un vero partito”]
Con il II ministero di Giolitti nasce la “dittatura parlamentare” di Giolitti, il quale aveva il controllo reale della
maggioranza della camera: non aveva quindi bisogno di creare un grande partito. La sua maggioranza si
costituiva proprio in sede parlamentare intorno alla sua forte personalità. In questa fase non gli riesce più
l’alleanza né con i socialisti né con i radicali, crea allora delle maggioranze con elementi di destra, i
conservatori, per cercare di portare avanti il suo programma che, seppur liberale, era di sinistra  questo ci
conferma quanto questa costruzione fosse legata alla sua forte personalità.
Se dobbiamo definire la posizione dei cattolici, dobbiamo usare il termine “clerico modernismo”: l’eredità
arrivata dall’ ‘800 era la corrente intransigente, derivante dall’assoluta intransigenza del papa nei confronti
dello Stato Liberale. Questo intransigentismo in realtà si era andato già a fine ‘800 suddividendo, cioè aveva
prodotto al suo interno delle differenze.
Dentro le file dell’intransigentismo era cresciuta la corrente di Meda che aveva una forte carica antiliberale,
antiborghese e anticapitalistica, ma voleva sviluppare una democrazia sociale.
Il nuovo papa comincia a consentire delle sospensioni del non expedit: lascia facoltà alle singole diocesi di
sospenderli per consentire ai cattolici di andare a vorare i candidati liberali, laddove si profila il rischio che
vincano i socialisti. Si sviluppa questa idea di compromesso fra “tesi e antitesi” cioè la condanna da parte
della chiesa del sistema liberale resta sul punto di vista dei principi, ma dal punto di vista pratico bisogna
creare un compromesso. Già nel 1904 vengono eletti due deputati cattolici, cioè uomini liberali che a titolo
personale partecipano alle elezioni e vengono votati.

Pio X preferisce sciogliere i congressi. Da questo nascono: Unione popolare, U. economico -sociale, U.
elettorale. Di fatto, questo apre la strada alla fine del non-expedit: i cattolici possono partecipare alle
elezioni, non possono però essere un partito. Possono votare solo quei liberali che si impegneranno a
sostenere un programma caro ai cattolici: contro la scuola pubblica, contro il divorzio, questa è l’essenza del
clerico-moderatismo.
Patto Gentiloni: patto segreto, o quantomeno il governo non ne sapeva niente; era stato un accordo delle
singole circoscrizioni con singoli candidati. Giolitti in merito ai rapporti chiesa-Stato manterrà la sua linea:
Chiesa e Stato due parallele che non dovranno incontrarsi mai. Questa linea fu fortemente criticata da Luigi
Sturzo, il quale sosteneva che i cattolici dovevano costituire un loro partito autonomo, comprendendo però
che in quella fase i tempi erano prematuri.

Elezioni a suffragio semi universale del 1912 accompagnato da una riforma scolastica: si poteva concedere il
suffragio accompagnando lo sviluppo dell’istruzione. Questo vide una forza dei liberali che cominciarono ad
avere l’appoggio dei liberali, ma anche grande forza delle sinistre. Ingresso di cinque nazionalisti.

La crisi del sistema giolittiano non toglie nel susseguirsi dei governi la carica riformista: in questi ultimi anni
abbiamo elementi avanzati come la riforma elettorale, e un altro che va ricordato è l’INA, perché è il
tentativo di Giolitti di affidare a un ente pubblico una fonte di finanziamento per la cassa per la vecchiaia e
invalidità dei lavoratori. L’INA nasce ma non diventa un monopolio: le assicurazioni private sulla vita
sopravvivranno.
L’altra iniziativa che invece va in tutt’altra direzione è la decisione di fare l’impresa coloniale della guerra
contro la Libia.

Questa crisi del giolittismo è la crisi di quel modo di fare politica, è la crisi del liberalismo ottocentesco, il
quale poneva il fulcro dell’azione politica nel parlamento. Nel breve volgere di qualche anno, qualcosa
prevale sul parlamento: la classe, la nazione.
La fase di Salandra è brevissima: egli è il leader dei liberali conservatori, sogna anche lui di dar vita ad un
grande partito liberale nazionale, con la differenza che egli avrebbe voluto riunire sotto un unico partito
cattolici e nazionalisti. Questo suo tentativo non avrà successo: i liberali continueranno ad essere divisi. Si
forma il gruppo parlamentare, è vero, ma si tratta di un gruppo parlamentare diviso. Intanto si sta
accentuando una radicalizzazione tra destra conservatrice e una frangia estrema su posizioni sempre più
rivoluzionarie, il tutto coincide con una nuova fase di rallentamento economico. Torna la paura del
sovversivismo, cioè che la rivoluzione possa scoppiare in ogni momento.
PRIMA GUERRA MONDIALE

Si apre una nuova linea di frattura trasversale tra interventisti e neutralisti. Questa non è una spaccatura
solo dentro il parlamento, ma si misura anche nelle manifestazioni di piazza (nelle mani degli interventisti) e
la stragrande maggioranza del parlamento che non vuole entrare.
“Ne aderire ne sabotare”  socialisti + neutralisti: cattolici e giolittiani, gran parte del paese.

Il patto di Londra NON prevedeva fiume: non se n’era proprio parlato.


Ridisegnare i confini su basi nazionali  diritto all’autodeterminazione dei popoli.
Vedi slide
L’Italia si ostina a chiedere o patto di Londra + fiume facendo rivalere il diritto di autodeterminazione.
Vittoria mutilata: l’Italia vincitrice viene trattata come un paese sconfitto.
Guerra totale: coinvolgimento anche dei civili + guerra tra ideologie, quello che conta è un principio da
affermare contro un nemico da svilire (es. “io rappresento la civiltà”).

Dopo la guerra: una crisi economica e sociale. Il “biennio rosso” – nero


Da un sistema liberale avanzato (italiano) simile ad altri paesi si è poi arrivati al fascismo, ma come?
Si conosce il fenomeno dell’inflazione: nelle proporzioni del 30% annuo è davvero una novità, anche se con
il passare di qualche anno rientrerà. Durante la guerra il costo della vita è comunque triplicato. Vengono
licenziate quelle donne che avevano preso il posto degli uomini, senza grandi problemi, per consentire ai
reduci di riprendere il loro posto: nella prima fase c’è comunque una forte disoccupazione. Anche questo,
però, è un fenomeno comune che gradualmente viene riassorbito.
La crisi industriale è dovuta allo sbilanciamento tra alcuni settori industriali che hanno avuto grande
giovamento ed altri molto meno: c’è un processo generale di riconversione industriale da affrontare.
Regresso nell’agricoltura: i campi non sono stati coltivati perché gli uomini erano a combattere.
Cominciano ad essere concesse delle licenze nelle fasi del raccolto dei campi. In diversi casi è consentito ai
soldati di tornare in patria per la raccolta del grano poi di tornare alla guerra. Nonostante questo, c’è un
regresso dell’agricoltura e ancora maggiore un regresso dell’allevamento del bestiame. Per la prima volta, le
masse contadine, a un livello generale nazionale, cominciano a prendere coscienza di essere anch’essi una
forza con qualcosa da chiedere: la prima richiesta nata già durante la guerra è “la guerra ai contadini”, si
vuole rompere il latifondo e dare la guerra a chi già la lavorava.
Al sud, grande latifondo, ci furono effettivamente grandi occupazioni di terre, e quando possibile il governo
cercò di accontentare i contadini: c’erano molte terre incolte. Le campagne del centro-nord dal punto di
vista capitalistico erano quelle più sviluppate: lì si consolidò la forza del partito socialista, che guidava molte
proteste e ottenne dei risultati  si sviluppò l’organizzazione per il lavoro, ottennero l’opponibile di
manodopera, i contratti collettivi. Al centro la realtà era quella mezzadrile: istituto che non era né l’impresa
capitalistica né il latifondo: anche in questo caso migliorano le condizioni tra datore di lavoro e lavoratore.
Questa è una fase di scioperi. Nel 1919 avviene la prima importante concessione senza sciopero:
concessione delle otto ore lavorative nel settore più avanzato del mondo operaio, cioè quello metallurgico.
Ruolo particolare del partito socialista: a un certo punto sembrò che l’Italia dovesse partecipare alle armate
bianche contro la Rivoluzione russa. Questa presenza italiana in realtà non ci fu, ma nonostante questo si
tenne uno sciopero generale.
L’apice delle occupazioni si ebbe nel ’20 con l’occupazione delle fabbriche: questo spaventò fortemente la
borghesia. Partita da ragioni economiche (aumento dei salari), c’era stata una risposta durissima da parte
degli imprenditori industriali che reagirono con la serrata: gli operai non potevano più entrare. La reazione
dei lavoratori fu di forzare la serrata e, appunto, occupare le fabbriche. All’epoca dell’occupazione delle
fabbriche al governo c’era Giolitti  necessità di una figura forte al governo. Egli svolse quella che era stata
sempre la sua linea: non far intervenire la forza pubblica, man tenere la neutralità del governo ed affidare
proprio al governo un ruolo di mediazione. Questo significò smontare questa fase di crisi acuta. Gli
imprenditori dovettero accettare le richieste dei lavoratori, ci furono miglioramenti salariali e tutta una serie
di agevolazioni, e accettare anche una serie di consigli/forme di controllo sindacale. Da una parte già alla
fine del ’20 si può dire che la crisi si risolve, ma lascia un frutto avvelenato, l’idea che il governo sia debole,
che non tuteli abbastanza imprese e imprenditori.
Da un punto sociale i protagonisti sono le masse, cioè tutti i mobilitati delle masse  si può dire che la
guerra abbia operato come fattore di nazionalizzazione delle masse, le quali scoprono di avere una voce e si
percepiscono in termini generali e non sono nella realtà di un luogo, una città, una regione.
Una seconda novità è quella dei ceti medi: in termini di dati statistici c’è una crescita di questi, crescono con
lo sviluppo industriale dei paesi. Cresce anche l’istruzione del ceto medio, sempre di più vanno
all’università: questo produce un aumento della disoccupazione intellettuale.
Il fascismo comincerà ad avere successo proprio in questi settori dei ceti medi; l’alta borghesia guarda con
diffidenza all’avvento del fascismo e una certa ostilità negli ambienti popolari. Il ceto medio è il settore più
colpito dalla crisi economica, guarda con un misto di ostilità e invidia il proletariato che attraverso le
rivendicazioni riesce a migliorare la sua situazione economica, e sono anche i più colpiti dal problema del
ritorno: sono persone che molto spesso erano stati ufficiali nell’esercito, essere ufficiali significa avere
persone sotto di se da comandare e a cui dare ordini. Per loro il ritorno fu una delle cose più difficili:
dall’abitudine ad avere una certa dimensione di potere a tornare ad essere un impiegato  si sentirono
degli spostati.
Ci sono state delle differenze di lettura su questo ceto medio: sulla scia di Salvatorelli (storico) viene visto
come una categoria discendente. Chi ha rovesciato questa lettura è stato Renzo de Felice uno dei maggiori
atorici del fascismo, che ritiene il ceto medio una classe ascendente: nella guerra hanno acquisito una
consapevolezza di sé che non avevano mai avuto prima, consapevolezza che quando tornano in patria dopo
la guerra non trova una forza politica in cui riconoscersi. Si tratta di una massa di persone alla ricerca di un
orientamento politico. La guerra ha radicalizzato questa situazione.
Abbiamo poi parlato di guerra totale: questa idea passa anche alla politica, cioè si tende a vedere la politica
come una forma di impegno totale della persona. Altro elemento è quello della violenza: passa anche alla
politica, avviene in questo periodo proprio una torsione, soprattutto in questi settori di ceti medi  la
violenza ha anche degli aspetti positivi, tempra l’uomo (componente di genere – virilità), ha una
componente rigeneratrice.
C’è un certo disprezzo per le ideologie tradizionali: non contano le teorie ma l’azione pratica, e la fede 
questo porta ad esaltare il capo, emerge l’idea della figura del capo, figura che si rafforza alla luce della
guerra (culto della figura eccezionale dell’uomo forte).
Altra conseguenza della lotta politica del dopoguerra sono delle nette contrapposizioni:
 Pacifismo – glorificazione e mitizzazione della guerra;
 Risveglio del sentimento religioso – crisi religiosa;
 Nazionalismo – concezione democratica della guerra.

MAGGIORI FORZE POLITICHE DEL DOPOGUERRA


Innanzitutto, c’è il clima della vittoria mutilata.
Troviamo ancora i liberali, i quali non hanno cambiato di molto la posizione che avevano prima della guerra:
non riescono a dar vira a un partito unico, si accordano attorno a singole questioni ma non si organizzano né
in partito unico né men che meno in partito di massa  questo è un enorme limite che il liberalismo non
riesce a superare.
Anche la chiesa capisce che, avvenuta una piena integrazione i cattolici nella nazione, si possa autorizzare i
cattolici a creare un partito: partito guidato da don Luigi Sturzo, che dà subito un’impostazione a questo
partito ben diverse a quelle del mondo cattolico  non si può chiamare partito cattolico, il cattolicesimo è
una religione: Partito popolare (gennaio 1919), i cui i capisaldi sono autonomia (anche dai liberali),
democrazia, anti-confessionalismo, interclassismo.
L’altro grande protagonista è il partito socialista, il più antico partito di massa. L’area maggioritaria sono i
massimalisti: vogliono la realizzazione del programma massimo, erano convinti che la rivoluzione fosse
imminente, leggono la situazione del dopoguerra come la vigilia della rivoluzione. L’altro filone che in tutti
questi anni è rimasto minoritario è quello dei riformisti, qui la prima figura è turati: i riformisti partono dalla
realtà, erano la maggioranza nel sindacato (CGdL) e nel gruppo parlamentare. Il sindacato contava molto:
per dieci iscritti al sindacato, uno era iscritto al partito socialista. La novità del dopoguerra è la fascinazione
per la Rivoluzione russa, di cui in realtà non si sapeva tantissimo, ma era vista come la realizzazione del
socialismo: con la costituzione del Comintern (terza internazionale comunista) si accingeva ad estendersi e
conquistare tutto l’occidente. Idea che la rivoluzione per potersi consolidare doveva superare i confini della
Russia. Nel gennaio nel ’21 si avrà all’interno del partito una scissione comunista, dando vita al partito
comunista di Italia (PCII) che aderisce al Comintern. A dirigerlo sarà inizialmente Bordiga, successivamente
avrà un ruolo di rilievo Gramsci: non aspettare gli eventi ma provocare la rivoluzione sul modello sovietico.
La forza potenziale del partito socialista è indebolita da queste frammentazioni interne: la spaccatura si ha,
appunto, con la scissione comunista. Si percepisce però la paura verso il socialismo: solo con il senno di poi
possiamo comprendere che non vi era la possibilità di una rivoluzione, ma negli ambienti moderati del
tempo era forte la percezione del rischio.

Nasce il governo Nitti: esponenti di centro, destra e giolittiani.


Elezioni novembre 1919: sistema proporzionale, scrutinio di lista, nuovi collegi.
 PSI: Prende circa il 32,4% del totale dei voti (156 seggi);
 PPI: Prende circa il 20,5% del totale dei voti (100 seggi);
 I costituzionali perdono la maggioranza assoluta;
 Nessun deputato fascista: a queste elezioni si presentano anche i fasci di combattimento nati
qualche anno prima, i quali tentano la carta elettorale.
Le elezioni rivelano che i gruppi vicini al combattentismo non ottengono rappresentanti politici: sono una
minoranza nel paese. Allo stesso tempi, i vecchi partiti sono in crisi. Anche dal punto di vista della
strutturazione del parlamento notiamo una modifica: i gruppi parlamentari sono la manifestazione in
parlamento della direzione politica del partito, seguono le indicazioni sviluppate nel partito. Anche i liberali
costituiscono un gruppo parlamentare, ma in tutti i partiti rimane la forma clientelare del potere, sono
legati a simboli autoritari. Vediamo che nel parlamento che esce nel ’19 convivono di fatto due diversi fasi
della politica italiana: quella nuova, della politica di massa, e quella tradizionale, che pian piano sparirà, con
l’avvento del fascismo.

MOVIMENTO ANTIPARTITO
È nella crisi del dopoguerra che si offre l’opportunità a un movimento che avesse saputo raccogliere le
confuse spinte antisistema di ritagliarsi uno spazio tra le forze maggiori utilizzando violenza e manovra
politica.
23 marzo 1919: nascono i Fasci di combattimento (ex combattenti, arditi, fiumani, futuristi, ex socialisti,
sindacalisti rivoluzionari)
Fattori unificanti: attivismo, rivolta contro l’ordine esistente, giovanilismo; tradurre i valori prodotti dalla
guerra in una religione civile; comunità di fede, esclusivista, intollerante.

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