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Il Mulino - Rivisteweb

Alessandro Somma
Il mercato delle riforme. Appunti per una storia
critica dell’Unione europea
(doi: 10.1436/89562)

Materiali per una storia della cultura giuridica (ISSN 1120-9607)


Fascicolo 1, giugno 2018

Ente di afferenza:
Università di Torino (unito)

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IL MERCATO DELLE RIFORME
Appunti per una storia critica dell’Unione europea

di Alessandro Somma

The market of reforms. For a critical history of the European Union

United Europe was born as a construction entrusted with the anchorage of the
Member States to capitalism, thus representing an intensifier of neoliberal thought
and practice. Mainly, this result has been achieved through a sort of market of re-
forms, i.e. through the concession of financial assistance as a counterpart for the
acceptance of the neoliberal orthodoxy, in line with what happened with the distri-
bution of the funds related to the Marshall plan. The same scheme can be observed
in connection with the enlargement of the European construction to the South and
East, with the distribution of the cohesion funds, as well with the ongoing restruc-
turing of sovereign debts.

Keywords: European Union, Neoliberalism, Enlargement of the European Union,


Debt Crisis, Cohesion Funds.

1. L’Europa, il Piano Marshall e le possibilità storiche del capitalismo

Nell’anno in cui ha compiuto sessant’anni, l’Unione europea vie-


ne diffusamente percepita come un catalizzatore di egoismi nazio-
nali, povertà vecchie e nuove, disoccupazione soprattutto giovanile
e chiusure xenofobe, tanto che la sua sopravvivenza non è più un
fatto scontato. Ovunque, in modo più o meno insistente, si discute
apertamente di abbandonarla, mentre per la prima volta un Paese
ha formalmente avviato le procedure per farlo.
Il futuro dell’Europa è insomma più incerto che mai e ciò nono-
stante, o forse proprio per questo, si moltiplicano gli sforzi per ri-
lanciare l’integrazione del Vecchio continente, e con essi il tentativo
di accreditarla come l’unico antidoto contro i mali di cui esso soffre.
Siamo cioè alla riproposizione delle medesime ricette a cui si deve
l’avvio dell’avventura europea, quelle sintetizzate nel celeberrimo di-
scorso con cui Robert Schumann la ritenne una fonte insostituibile

Alessandro Somma, Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Ferrara


Corso Ercole I D’Este, 37, 44100, Ferrara, alessandro.somma@unife.it

MATERIALI PER UNA STORIA DELLA CULTURA GIURIDICA


a. XLVIII, n. 1, giugno 2018 167
di pace e prosperità, oltre che un argine contro il riproporsi dell’im-
perialismo tedesco. Eppure i decenni che ci separano dalla nascita
della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, primo frutto di
quel discorso, sono stati carichi di avvenimenti che dovrebbero in-
durci a una riflessione seria non tanto sull’opportunità dell’integra-
zione, quanto sulle modalità scelte per realizzarla.
Non si allude ai temi affrontati nel corso di controversie note e
risalenti, come quelle che hanno opposto e oppongono i fautori del
metodo comunitario e i promotori del metodo intergovernativo1, o
chi propende per l’integrazione piena e chi invece per l’integrazione
differenziata2, o ancora i funzionalisti ai federalisti3. Si tratta qui di
riconoscere e stigmatizzare la circostanza per cui la costruzione eu-
ropea, almeno nei suoi passaggi fondamentali, ha proceduto secondo
lo schema per cui l’allineamento dei diritti nazionali è stato monetiz-
zato, ovvero ottenuto sotto forma di scambio di soldi contro rifor-
me. Il tutto per ripristinare o alimentare una sorta di normalità ca-
pitalistica4, ovvero le condizioni storiche di funzionamento di un or-
dine economico incentrato sulla proprietà privata e la concorrenza,
costantemente minacciato dal prevalere di moti verso l’emancipazio-
ne sociale, se non direttamente verso il superamento di quell’ordine.
Questo schema è costitutivo della costruzione europea, oltre che
il filo conduttore di quanto potrebbe divenire una storia critica del-
la sua evoluzione. Lo ricaviamo in modo chiaro dal contesto in cui
tutto ha avuto inizio: il varo dello European recovery program, il co-
siddetto Piano Marshall, concepito come è noto per consolidare il
fronte dell’Occidente capitalista nello scontro aperto dallo scoppio
della Guerra fredda, nel solco delle iniziative intraprese dagli Stati
Uniti per contenere il potere sovietico.
Il Piano mirava innanzi tutto al risanamento delle economie eu-
ropee, per consentire così la riattivazione degli scambi commerciali
oltreoceano. A tal fine l’amministrazione statunitense intendeva pro-
muovere l’integrazione europea, le cui finalità erano però chiaramen-
te identificate, e soprattutto espressive di un preciso progetto politi-
co: doveva costituire un catalizzatore di riforme incentrate sul tema

1
Quest’ultimo sempre più utilizzato per rafforzare l’Unione economica e monetaria: ad es.
M.F. Cucchiara, Fiscal Compact e Meccanismo Europeo di stabilità: quale impatto sull’equilibrio
istituzionale dell’Unione?, in «Il Diritto dell’Unione europea», 20, 2015, pp. 91 ss.
2
Su cui da ultimo A. Riedeberger, Die EU zwischen einheitlicher und differenzierter Inte-
gration, Wiesbaden, Springer, 2015.
3
Al proposito per tutti M. Patrono, Diritto dell’integrazione europea, vol. 1, Initium Euro-
pae, Torino, Giappichelli, 2013, pp. 97 ss.
4
Cfr. A. Maddison, La natura e il funzionamento del capitalismo europeo, in «Moneta e
Credito», 51, 1988, pp. 72 ss.

168
delle libertà economiche, e ancorare così saldamente i Paesi parteci-
panti all’Occidente capitalista.
Le premesse di un simile programma vennero esplicitate nel di-
scorso con cui George Marshall, all’epoca Segretario di Stato, an-
nunciò il Piano. Si disse che la divisione del lavoro, in quanto ca-
posaldo delle società industriali e dunque «elemento fondativo della
moderna civilizzazione», era pregiudicata dalla miseria in cui versa-
vano le popolazioni dell’area europea. La capacità produttiva del si-
stema industriale era infatti talmente ridotta rispetto a quella del si-
stema agricolo, da impedire un equilibrato scambio di manufatti con
prodotti della terra e determinare così un inarrestabile circolo vizio-
so: la contrazione dell’offerta dei beni industriali determinava un’ul-
teriore riduzione di quella dei beni agricoli. In questa situazione,
chiosava Marshall, gli Stati europei si trovavano costretti a dirottare
le risorse indispensabili alla ricostruzione verso l’approvvigionamen-
to di beni sui mercati esteri, con ripercussioni negative sulla bilan-
cia dei pagamenti. E proprio per rimediare a questi squilibri gli Stati
Uniti dovevano intraprendere sforzi economici duraturi, da concepi-
re come strumenti di integrazione nell’ordine proprietario: dovevano
alimentare l’idea per cui la crescita e il benessere sarebbero deriva-
ti dal corretto funzionamento del mercato concorrenziale, celebrato
come principale elemento di pacificazione dell’ordine. In tal senso
destinatari dell’aiuto statunitense sarebbero stati i soli Paesi disposti
a «sostenere gli sforzi volti a ripristinare un normale benessere eco-
nomico nel mondo, senza il quale non può esservi stabilità politica e
dunque una pace sicura»5.
Per assicurarsi il funzionamento di un simile meccanismo, ovvero
per indurre i Paesi destinatari degli aiuti ad adottare politiche di ri-
pristino della normalità capitalistica, venne costituita l’Organizzazio-
ne per la cooperazione economica europea. Avrebbe semplicemente
dovuto monitorare l’andamento del Piano, ma in verità divenne uno
strumento di coordinamento delle politiche economiche dei Pae-
si europei coinvolti. I quali venivano oltretutto indotti a risanare le
loro economie perseguendo il pareggio di bilancio e dunque contra-
endo la spesa pubblica, e nel contempo creando un ambiente favo-
revole agli investitori, a beneficio dei quali occorreva comprimere i
salari e ridurre la pressione fiscale. Con ciò determinando profondi
dissesti sociali, oltre che elevati livelli di disoccupazione favoriti an-
che dagli inviti a privatizzare i settori nei quali si era proceduto alle
nazionalizzazioni.

5
Il testo del discorso, tenuto il 5 giugno 1947 all’Università di Harvard, si trova ad es. in
www.oecd.org/general/themarshallplanspeechatharvarduniversity5june1947.htm.

169
Non stupisce dunque se i contemporanei ritennero che l’Orga-
nizzazione per la cooperazione economica europea operasse con mo-
dalità tali da determinare serie limitazioni della sovranità nazionale6.
Limitazioni oltretutto presidiate da un efficace sistema sanzionato-
rio, comprendente la sospensione degli aiuti nel caso non si fosse-
ro seguite le indicazioni dell’amministrazione statunitense. Tanto che
profondi dissensi sulle politiche economiche decise dal governo del
Regno Unito presieduto dal laburista Clement Attlee, in quanto con-
templavano il ricorso alle nazionalizzazioni, condussero alla sospen-
sione dell’assistenza finanziaria7.
Come abbiamo detto, lo scambio per cui si concedono finanzia-
menti in cambio dell’adozione di riforme in senso capitalista reste-
rà il principale motore della costruzione europea. Si modificherà il
modo di interpretare il capitalismo, ovvero la forma e il contenuto
delle misure indispensabili a renderlo storicamente possibile: si pas-
serà dal favore per le politiche keynesiane al loro affossamento per
un approccio di matrice monetarista, alimentato tra l’altro dalla dis-
soluzione del blocco socialista, ovvero dal venir meno di uno stimo-
lo a combinare economia di mercato e giustizia sociale. Non muterà
invece il meccanismo per cui la normalità capitalistica verrà assicura-
ta dalla monetizzazione delle riforme ritenute indispensabili a perse-
guire un simile obiettivo.
Ci occuperemo del ricorso a questo meccanismo innanzi tutto
per documentare che esso si è affermato prima dell’avanzata del ne-
oliberalismo, dunque della diffusione del capitalismo neoamericano
sponsorizzato da Ronald Reagan e Margaret Thatcher8, con il contri-
buto determinante di forze, come i laburisti inglesi, tradizionalmente
ispiratesi a modelli di capitalismo alternativi a quest’ultimo (2). Di-
remo poi di come lo scambio di soldi contro riforme in senso neoli-
berale abbia accompagnato l’allargamento della costruzione europea
verso sud, condizionando in particolare i termini dell’adesione del
Portogallo (3). Ci occuperemo quindi dell’allargamento a est, ovve-
ro dell’ingresso di Paesi riorientati dal punto di vista delle politiche
economiche con il contributo determinante della Banca europea per
la ricostruzione e lo sviluppo (4).
Di particolare interesse sono poi le politiche di coesione, per le
quali sono previsti fondi il cui utilizzo ha nel tempo sempre più ri-
calcato lo schema che oramai sappiamo essere fondativo della costru-

6
Ad es. K. Loewenstein, Union of Western Europe: Illusion and Reality, in «Columbia Law
Review», 52, 1952, pp. 55 ss. e 209 ss.
7
M. Patrono, Diritto dell’integrazione europea, cit., p. 72.
8
Cfr. M. Albert, Capitalismo contro capitalismo, 1991, Bologna, Il Mulino, 1993.

170
zione europea: quello per cui essi sono sempre più riservati ai Paesi
capaci di assicurare in cambio un allineamento alle politiche economi-
che di stampo neoliberale (5).
Chiuderemo la nostra panoramica con riferimenti all’attuale fase
di ristrutturazione del debito sovrano, per la quale si è sviluppato
il ricorso all’assistenza finanziaria condizionata (6): ovvero deroghe
al divieto di bail out motivate dalla possibilità di utilizzare il presti-
to come strumento destinato anch’esso a coartare riforme in senso
neoliberale (7). Individueremo infine le conseguenze di questo tipo
di mercato delle riforme, che attengono alla compressione dei diritti
fondamentali, i sociali in testa, così come degli spazi di partecipazio-
ne democratica (8).

2. I laburisti inglesi e il Fondo monetario internazionale

Si diceva che la nascita e la diffusione del neoliberalismo si fanno


di norma risalire alla stagione politica inaugurata da Thatcher e Rea-
gan, ma che vi sono state alcune anticipazioni di cui sono responsa-
bili attori politici almeno formalmente non riconducibili all’arco del-
le forze neoliberali, e forse proprio per questo passate sotto silenzio.
Eppure il contributo delle forze politiche di sinistra alla costru-
zione dell’Europa neoliberale è stato determinante, almeno tanto
quanto è stato trascurato9. Non tanto e non solo in termini di elabo-
razioni teoriche e di realizzazioni pratiche convergenti verso l’obiet-
tivo finale, ovvero il superamento dello schema alla base del com-
promesso keynesiano e dunque di una spirale virtuosa: quella origi-
nata dal potere contrattuale dei lavoratori, produttiva di una buona
crescita dei livelli salariali, a sua volta motore per l’incremento dei
consumi, e quindi dell’occupazione e della forza dei lavoratori10. Il
contributo di cui parliamo ha riguardato anche l’individuazione del
principale strumento utilizzato per forzare il cambiamento, ovvero
per imporlo nel disprezzo del meccanismo democratico: lo scam-
bio per cui le riforme strutturali in senso neoliberale sono ottenute
come contropartita per la concessione di assistenza finanziaria.
È quanto si ricava in modo inequivocabile dall’esperienza inglese,
dove le vicende sulle quali ci soffermeremo ora si collocano a metà

9
Con poche eccezioni: da ultimo A. Barba e M. Pivetti, La scomparsa della sinistra in Eu-
ropa, Reggio Emilia, Imprimatur, 2016, con analisi delle esperienze inglese (pp. 87 ss.), france-
se (pp. 90 ss.) e italiana (pp. 187 ss.).
10
Questa spirale caratterizza i cosiddetti Trenta gloriosi, ovvero il periodo tra la fine del
secondo conflitto mondiale e la metà degli anni Settanta, così chiamato in particolare da J.
Fourastié, Les Trente glorieuses ou la révolution invisible de 1946 à 1975, Paris, Fayard, 1979.

171
anni Settanta, all’epoca del governo di James Callaghan, Primo mini-
stro laburista tra il 1976 e il 1979, dunque immediatamente prima di
Thatcher. Epoca come si sa particolarmente turbolenta, dal momen-
to che coincide con gli anni in cui si fecero sentire gli effetti del-
la crisi energetica provocata dalla Guerra del Kippur, nonché della
scelta statunitense di far fallire gli accordi di Bretton Woods.
Quando Callaghan giunse al potere, il Regno Unito era afflitto da
un crescente debito pubblico e da una bilancia dei pagamenti forte-
mente squilibrata. Soprattutto vi erano livelli elevati di inflazione e
disoccupazione11, due mali che si potevano affrontare in due diversi
modi: attraverso politiche di sostegno alla domanda volte a promuo-
vere la piena occupazione, le quali avrebbero in un primo tempo in-
crementato l’inflazione, oppure con interventi volti a promuovere la
stabilità dei prezzi, quindi staccandosi dalla tradizione keynesiana e
anticipando il suo superamento. Le due soluzioni erano caldeggiate
dalle due anime del Partito laburista: da un lato lo stesso Callaghan,
fautore della svolta neoliberale, e dall’altro Tony Benn, all’epoca Mi-
nistro per l’energia, convinto dell’attualità del modo keynesiano di
concepire le politiche anticicliche.
Benn e i suoi sostenitori avevano elaborato una Strategia econo-
mica alternativa (Alternative economic strategy), con misure pensate
per contrastare il monetarismo e rendere nel contempo economica-
mente sostenibile il sostegno pubblico alla domanda e dunque alla
piena occupazione. Il sostegno avrebbe in effetti determinato un in-
cremento delle importazioni e dunque un dannoso squilibrio della
bilancia commerciale, che si poteva evitare svalutando la sterlina,
o in alternativa ricorrendo a una politica circoscritta nel tempo di
controlli sulla circolazione delle merci e dei capitali. La prima ricetta
non era percorribile perché avrebbe reso insopportabile il peso di
un’inflazione già molto elevata, mentre la seconda avrebbe avuto un
effetto positivo: avrebbe incentivato la produzione interna, e con ciò
spinto l’industria a recuperare una certa arretratezza sul piano tec-
nologico. Il tutto preservando la forza dei lavoratori e quindi offren-
do l’unica resistenza efficace all’avanzata del neoliberalismo, che non
a caso premeva per il rovesciamento del compromesso keynesiano12.
Lo scontro tra le due anime del Partito laburista durò poco. Pre-
valsero ben presto i monetaristi, i quali decisero di adottare politi-
che di controllo dell’inflazione, quindi di non sostenere la domanda

11
Ad es. A. Cairncross, The British Economy since 1945, Oxford e Cambridge, Blackwell,
1992, pp. 201 ss.
12
Per tutti The London Cse Group, The Alternative Economic Strategy, London, Cse
Books, 1980.

172
interna. In questo modo, tuttavia, la crisi economica poteva essere
fronteggiata solo ricorrendo a un prestito, che in effetti venne assi-
curato dal Fondo monetario internazionale, il quale mise a disposi-
zione poco meno di quattro miliardi di dollari: all’epoca la cifra più
alta mai destinata dal Fondo all’assistenza finanziaria.
Tutto ciò aprì la strada alla stagione politica di Margaret
Thatcher, che poté trarre un indubbio beneficio dallo scontento
provocato tra l’elettorato laburista per le politiche sponsorizzate dai
loro dirigenti. Ma aprì anche a una sorta di mercato delle riforme,
motivo per cui Tony Benn interpretò l’atteggiamento dell’esecutivo
guidato da Callaghan come «un disarmo economico unilaterale», de-
ciso mentre era in corso un attacco dei mercati internazionali contro
«un governo che non gradivano»13.
Il mercato delle riforme cui facciamo riferimento si è struttura-
to secondo lo schema richiamato in apertura. L’assistenza venne ac-
cordata in cambio di ingenti tagli alla spesa pubblica e di un piano
di privatizzazioni, oltre che ovviamente di impegni a non mettere
in discussione i fondamenti del pensiero neoliberale: in particolare
a «rimanere fermamente contrari a restrizioni generalizzate del com-
mercio». Il tutto mentre l’abbattimento dell’inflazione si sarebbe ot-
tenuto istituendo un freno agli aumenti salariali e un incremento del
livello di produttività, in entrambi i casi perseguiti attraverso accordi
con i sindacati e con le organizzazioni dei datori di lavoro14.

3. Dalla Rivoluzione dei garofani alla Comunità economica europea

Negli stessi anni in cui si verificarono le vicende appena ricostru-


ite, in Europa crollarono le dittature fasciste che ancora sopravvive-
vano in Grecia, Portogallo e Spagna. Le nuove democrazie avviaro-
no subito i negoziati per aderire alle Comunità europee, le cui au-
torità non potevano certo opporsi: la scelta era idealmente collegata
all’immagine fondativa della costruzione europea, quella per cui essa
rappresenta innanzi tutto «una protezione contro il ritorno della dit-
tatura» (Com/78/129 fin.). Tuttavia i problemi erano molti, tutti in
massima parte legati al modo di concepire la reazione al fascismo
scelto dalle rinate democrazie, molto diverso da quello fatto proprio
dalle istituzioni europee. Le prime si erano infatti riconosciute nei

13
T. Benn, Against the Tide. Diaries 1973-76, London, Arrow Books, 1990, pp. 551 ss.
14
Cfr. la Letter of intent del 15 dicembre 1976, riprodotta in K. Burk, A. Cairncross,
Good-bye Great Britain. The 1976 IMF Crisis, New Haven-London, Yale University Press,
1992, pp. 229 ss.

173
principi del costituzionalismo antifascista, comprendenti la promo-
zione della democrazia economica accanto alla democrazia politica,
e con ciò la scelta di sostenere l’emancipazione individuale e sociale,
se del caso contro il funzionamento del mercato. Tutto l’opposto di
quanto aveva incarnato la costruzione europea, che negli anni di cui
parliamo lasciava ancora qualche spazio al compromesso keynesiano,
ma che ben presto li avrebbe chiusi in omaggio al dogma neolibe-
rale per cui l’emancipazione si promuove attraverso e non contro il
mercato. Proprio per questo tutte le costituzioni delle rinate demo-
crazie sudeuropee prescrivevano l’uguaglianza in senso sostanziale,
ovvero impegnavano i pubblici poteri a rimuovere gli ostacoli di or-
dine economico e sociale che impedivano la parità: fuori dal merca-
to, con il sistema dei diritti sociali, ma anche nel mercato, bilancian-
do la debolezza sociale con la forza giuridica15.
Peraltro, se da un lato non si poteva rifiutare l’allargamento a
sud della costruzione europea, dall’altro neppure si poteva accetta-
re che avvenisse senza mettere in discussione quanto avrebbe rap-
presentato un ostacolo insormontabile per l’affermazione del neoli-
beralismo. Il che, dal punto di vista formale, veniva espresso sotto
forma di preoccupazione per le condizioni in cui versavano i Paesi
candidati: afflitti da elevati livelli di disoccupazione, da una bilancia
dei pagamenti in forte sofferenza e da scarsi livelli di industrializza-
zione, il tutto considerato un riflesso di politiche non in linea con i
principi espressi nei Trattati (Com/78/190 fin.). Preoccupazione evi-
dentemente coordinata con l’indicazione per cui la soluzione era il
ripristino delle libertà di mercato, nel solco di quanto preteso dalle
autorità statunitensi sin dai tempi del Piano Marshall.
A essere particolarmente sotto tiro era il Portogallo, la cui costi-
tuzione era nata in un clima ancora condizionato dagli eventi rivo-
luzionari che portarono alla sconfitta della dittatura fascista. Di qui
la sua ispirazione democratica e comunista insieme, particolarmente
evidente nella precisazione che la Repubblica è «fondata sulla digni-
tà della persona umana e sulla volontà popolare e impegnata nella
sua trasformazione in una società senza classi» (art. 1). Anche se il
clima cambiò in fretta, conducendo a una riscrittura dell’articola-
to nelle sue parti più compromesse dal punto di vista neoliberale,
persistevano scelte di politica economica sgradite al livello europeo:
come il ricorso alla nazionalizzazione nell’industria e nei servizi,
segno evidente che il Paese necessitava di «radicali riforme econo-
miche e sociali» (Com/78/220 fin.). Tanto più che aveva un debi-

15
Cfr. A. Somma, Democrazia economica e diritto privato, in questa «Rivista», 41, 2011, pp.
461 ss.

174
to pubblico particolarmente elevato, determinato tra l’altro dai co-
sti provocati dalla concessione dell’indipendenza alle colonie ancora
sottomesse dal regime di Salazar: in particolare i costi per riassorbire
nella Pubblica amministrazione i cittadini rientrati dall’Angola e dal
Mozambico, e realizzare così politiche di sostegno alla domanda.
A preparare il Portogallo per l’adesione ci pensò il Fondo mone-
tario internazionale, che per l’occasione ricevette dalle autorità eu-
ropee una sorta di incarico neppure tanto tacito a farsi carico della
questione16. Di qui la concessione di due prestiti: il primo nel 1976,
a un anno dalle prime elezioni libere vinte dai Socialisti di Mario
Soares e in concomitanza con la richiesta di adesione alla costruzio-
ne europea, e il secondo tra il 1983 e il 1985, ovvero nel triennio
immediatamente precedente l’ingresso nelle Comunità.
Soprattutto in questa seconda occasione le condizioni per l’assi-
stenza finanziaria sono state particolarmente efficaci, volte come era-
no a ottenere riforme capaci di incidere sulla disciplina del mercato
nelle parti in cui si mostrava più in linea con i fondamenti della de-
mocrazia economica. Non venne direttamente imposta la privatizza-
zione delle imprese in mano pubblica, ma questa fu di fatto avviata
nel momento in cui si impedì loro di operare sul mercato producen-
do effetti distributivi diversi da quelli riconducibili all’operare del
meccanismo concorrenziale. Il che si ottenne tagliando i trasferimen-
ti alle imprese pubbliche, costrette così a sostenersi attraverso i soli
introiti derivanti dalla loro attività, e dunque a non poter praticare
un regime di prezzi amministrativi per i beni prodotti e i servizi ero-
gati: dai beni di prima necessità, all’approvvigionamento di elettrici-
tà e acqua, ai trasporti. Il tutto mentre si imposero un contenimento
della spesa pubblica nei settori della previdenza e assistenza sociale,
della sanità e dell’educazione, oltre a riforme in materia lavoristica
finalizzate per un verso a ostacolare gli aumenti salariali, e per un
altro a produrre «flessibilità nell’utilizzo della manodopera»17.
L’impeto neoliberale con cui il Fondo monetario intervenne in
Portogallo, ribadiamo di comune accordo con le autorità europee,
fu tale che alcuni vi hanno intravisto il banco di prova per mettere a
punto quanto si è poi definito in termini di Washington consensus18:

16
Cfr. J.S. Lopes, Imf Conditionality: The Stand-By Arrangement with Portugal 1978, in J.
Williamson, a cura di, Imf Conditionality, Washington, Institute for International Economics,
1983, pp. 475 ss.
17
Cfr. la Carta de Intenções dirigida ao Fundo Monetário Internacional, in «Boletim Tri-
mestral - Banco de Portugal», 5, 1983, 3, pp. 5 ss. e la Carta de Intenções dirigida ao Fundo
Monetário Internacional, Ivi, 6, 1984, 3, pp. 5 ss.
18
A.B. Nunes, The International Monetary Fund’s Standby Arrangements with Portugal, Ga-
binete de História Económica e Social - Documentos de Trabalho 44/2011.

175
l’insieme delle riforme strutturali, inizialmente studiate per l’area
latinoamericana, la cui adozione doveva porre rimedio all’indebita-
mento dei Paesi che le avrebbero adottate, ovviamente attraverso la
loro incondizionata adesione ai dettami del neoliberalismo.

4. La Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e l’allargamento


a est

Se l’allargamento a sud ha posto non pochi problemi all’agen-


da europea, quello a est non è certo stato da meno. Come nel caso
dell’adesione di Grecia, Portogallo e Spagna, non si poteva rifiutare
l’ingresso a Paesi liberatisi da regimi che avevano compresso le li-
bertà politiche: la promozione della democrazia, almeno dal punto
di vista declamatorio, continuava e continua a rappresentare la ra-
gion d’essere del processo di integrazione europea. Peraltro, diversa-
mente dalle dittature fasciste, quelle socialiste non avevano rinnegato
il liberalismo politico semplicemente per consentire una riforma di
quello economico. Avevano inteso superare l’ordine proprietario per
edificarne uno fondato sul rigetto di entrambi i capisaldi della tra-
dizione occidentale: la democrazia, ma anche il capitalismo. Di qui
la notevole mole di problemi, che le istituzioni europee decisero di
affrontare nel modo che oramai conosciamo.
Dell’ampliamento si iniziò a discutere a partire dal Consiglio
europeo di Copenaghen del 1993, poco prima che i Paesi interes-
sati avanzassero formale richiesta di adesione. Lì si stabilirono gli
standard che i candidati avrebbero dovuto possedere per far parte
dell’Unione: «una stabilità istituzionale che garantisca la democrazia,
il principio di legalità, i diritti umani, il rispetto e la protezione delle
minoranze, l’esistenza di una economia di mercato funzionante», ol-
tre alla condivisione degli «obiettivi di un’unione politica, economica
e monetaria». Come si vede, si tratta di standard relativi all’edifica-
zione di un ordine incentrato sui fondamenti della democrazia e del
capitalismo. Tuttavia fu soprattutto sullo sviluppo del mercato con-
correnziale che, in continuità con il modo tradizionale di concepire
l’integrazione europea, si volle concentrare l’attenzione: tra le prime
misure da adottare, in attesa della formale adesione, figurano l’inten-
sificazione delle relazioni commerciali tra l’Unione e i Paesi dell’est
attraverso la progressiva costruzione di una zona di libero scambio
nella quale «vietare le pratiche restrittive, l’abuso delle posizioni do-
minanti e gli aiuti pubblici che falsano o minacciano di falsare la
concorrenza». Nel frattempo si sarebbero sostenuti gli sforzi intra-
presi dai Paesi dell’est per «modernizzare le loro economie indebo-

176
lite da quarant’anni di pianificazione centrale», ricorrendo all’aiuto
finanziario della Banca europea per gli investimenti e della Banca
europea per la ricostruzione e lo sviluppo19.
L’accordo costitutivo di quest’ultimo ente, appositamente creato
per assistere la transizione al capitalismo dei Paesi dell’Europa cen-
tro orientale e dell’Asia centrale un tempo appartenuti al blocco so-
vietico, e per questo celebrato come «la prima istituzione del nuo-
vo ordine mondiale»20, contiene indicazioni molto chiare circa i suoi
compiti: la Banca deve promuovere l’economia di mercato, quindi
l’«iniziativa privata», lo «spirito imprenditoriale» e le «riforme strut-
turali» necessarie «allo smantellamento dei monopoli, al decentra-
mento e alla privatizzazione». Nel Preambolo dell’accordo si opera-
no riferimenti anche alla democrazia e ai diritti umani, che tuttavia
devono essere letti alla luce di una precisazione da cui si ricava la
funzione attribuita al ripristino delle libertà politiche, ovvero il loro
essere connesse alla promozione delle libertà economiche così come
concepite dal credo neoliberale: «il nesso tra aspetti politici ed eco-
nomici» implica «un’attenzione primaria per i diritti civili», sicché i
diritti sociali semplicemente «possono essere presi in considerazio-
ne», ma non per essere «considerati nella valutazione dei progressi»
fatti dal Paese assistito21.
La formale apertura dei negoziati di adesione venne decisa nella
seconda metà degli anni Novanta, insieme alla «strategia rafforzata
di preadesione» e al «rafforzamento dell’aiuto alla preadesione»22,
quest’ultimo finalizzato a sostenere gli investimenti richiesti da spe-
cifici «Programmi nazionali di adattamento dell’acquis»23. Poco
dopo, in vista dell’ampliamento, il Trattato di Nizza firmato nel feb-
braio del 2001 apportò alcune modifiche alla struttura istituzionale
dell’Unione, considerate indispensabili ad agevolare l’assunzione di
decisioni nell’ambito di un’organizzazione che avrebbe di lì a poco
assunto dimensioni notevoli. Nel 2004 vennero infatti accolte l’E-
stonia, la Lettonia, la Lituania, la Polonia, la Repubblica Ceca, la
Slovacchia, la Slovenia e l’Ungheria, mentre l’adesione di Bulgaria e
Romania fu decisa nel 2007.

19
Consiglio europeo di Copenaghen del 21 e 22 giugno 1993, Conclusioni della Presidenza.
20
P.A. Mekveld, Origin and Role of the European Bank for Reconstruction and Develop-
ment, Springer, Berlin, 1991, p. 96.
21
Political Aspects of the Mandate of the European Bank for Reconstruction and Develop-
ment, www.ebrd.com/downloads/research/guides/aspects.pdf.
22
Consiglio europeo di Lussemburgo del 12 e 13 dicembre 1997, Conclusioni della Presi-
denza.
23
Ad es. T. Beichelt, Die Europäische Union nach der Osterweiterung, Verlag für Sozialwis-
senschaften, Wiesbaden, 2004, pp. 48 ss.

177
Non si tratta qui di descrivere il caotico passaggio dall’economia
di piano all’economia di mercato che ha interessato i Paesi un tem-
po appartenuti al blocco sovietico, coinvolgendo tutti i livelli dell’or-
dinamento a partire da quello costituzionale. Ciò che occorre met-
tere in luce è l’ispirazione marcatamente neoliberale delle riforme a
cui si sono condizionati i più disparati prestiti erogati per favorire
l’ampliamento dell’Unione europea verso est24, nel solco di quanto
il Fondo monetario internazionale aveva sperimentato in Portogallo
e nel Regno Unito tra gli anni Settanta e Ottanta. Sono infatti ri-
forme destinate a consentire una diminuzione delle uscite, ottenuta
con il dimagrimento della pubblica amministrazione e la contrazione
della spesa sociale, un incremento delle entrate attraverso piani di
privatizzazioni e liberalizzazioni, oltre che a trasformare il mercato
del lavoro per flessibilizzarlo e creare un ambiente favorevole alla
cooperazione tra produttori. Riforme considerate indispensabili a ri-
generare un contesto nel quale «non vi era un concetto di proprietà
privata e il profitto era ritenuto immorale»25.
Nel merito è esemplificativo ricordare un intervento legislativo
che suscitò il disappunto dei funzionari della Banca: il Codice del
lavoro slovacco del 2001, un articolato predisposto in seno al Mini-
stero del Lavoro e degli Affari sociali per realizzare l’armonizzazione
di questo settore dell’ordinamento slovacco con l’acquis comunitario.
Le prime critiche vennero mosse a questa istituzione nel suo com-
plesso, considerata «un ente fortemente resistente al cambiamento»,
presso il quale sono mancate «le capacità professionali indispensabi-
li a predisporre una moderna legislazione»: tanto da autorizzare la
conclusione che essa «ricorda l’era comunista nel suo aspetto e nel
suo modo di operare». Ebbene, il motivo di tanto disappunto fu la
mancata condivisione di un’analisi concernente la relazione tra di-
soccupazione e mercato del lavoro, o meglio dell’approccio neolibe-
rale a quell’analisi: le autorità slovacche non avrebbero riconosciuto
come «la rigidità del mercato del lavoro e l’insufficiente mobilità del
lavoro siano tra le principali cause dell’elevata disoccupazione». Di
qui i vizi del Codice, reo di aver persino «ulteriormente diminuito
la flessibilità», aumentato il costo del lavoro, posto limiti all’orario,
disincentivato il licenziamento e, soprattutto, aumentato «significati-
vamente il ruolo del sindacato»26.

24
Cfr. G. Ajani, Diritto dell’Europa orientale, in Trattato di diritto comparato, dir. da R.
Sacco, Utet, Torino, 1996, pp. 115 ss.
25
A. Newburg, Eastern Europe and the European Bank for Reconstruction and Develop-
ment, in «The International Lawyer», 28, 1994, p. 435.
26
K. Mathernova, A Reformer’s Lessons Learned: The Case of the Slovak Republic, in «Law
in Transition», 3, 2002, 2, p. 53.

178
Più numerosi sono stati i casi in cui il mercato delle riforme ha
avuto successo, ovvero ha consentito il ripristino della normalità ca-
pitalistica e dunque promosso il riallineamento all’ortodossia neoli-
berale. Spesso con uno zelo tale da essere sconosciuto in particolare
nelle esperienze legate alla tradizione del costituzionalismo antifa-
scista. Il che motiva almeno in parte la condizione in cui versano
attualmente molti tra i Paesi un tempo appartenuti al blocco socia-
lista, dove il fervore per le libertà economiche convive con un’attitu-
dine repressiva nei confronti delle libertà politiche: la seconda consi-
derata una reazione al primo, o comunque sovente presentata come
tale.

5. L’uso politico dei fondi strutturali

Il mercato delle riforme non ha interessato solo i principali al-


largamenti della costruzione europea. Vedremo tra breve che questo
mercato caratterizza anche l’attuale fase di ristrutturazione del de-
bito sovrano, utilizzata per imporre ai Paesi in difficoltà con l’ade-
guamento ai mitici parametri di Maastricht un rapido allineamento
a quanto preteso in omaggio all’ortodossia neoliberale. Prima però
occorre dire di come esso sia oramai divenuto prassi costante nella
redistribuzione delle risorse destinate ai Paesi membri o alle aree più
svantaggiate della costruzione europea.
Questo aspetto è stato affrontato soprattutto negli anni in cui
prese corpo il percorso verso l’Unione economica e monetaria, av-
viato dall’Atto unico europeo con lo stimolo a realizzare la libera
circolazione dei capitali: misura che avrebbe inevitabilmente premia-
to l’ordinamento nazionale più disposto a favorire la moderazione
salariale e la riduzione della pressione fiscale sulle imprese, indispen-
sabili ad attirare investitori. Il tutto inducendo una irreversibile ri-
duzione della spesa sociale e un complessivo ridimensionamento del
perimetro di azione dei pubblici poteri: in sintesi il superamento del
compromesso keynesiano. La Commissione sostenne però che era
questa la chiave per la crescita economica delle aree svantaggiate, e
che qualora l’affluenza di capitali «verso le zone che offrono il mag-
gior vantaggio economico» avesse determinato un «esacerbarsi delle
disparità esistenti», si sarebbe potuto ricorrere ai fondi strutturali in
funzione perequativa (Com/85/310 fin.). Questi ultimi non si dove-
vano però intendere alla stregua di dispositivi pensati per redistri-
buire ricchezza: «gli strumenti comunitari devono cessare di essere
considerati come gli elementi di un sistema di compensazione finan-
ziaria», essendo invece «destinati a svolgere, accanto alle politiche

179
nazionali e regionali e di concerto con le medesime, un ruolo impor-
tante per la convergenza delle economie» (Com/87/100 fin.).
E proprio questi principi hanno ispirato lo sviluppo della disci-
plina dei Fondi strutturali e di investimento europei, nati formal-
mente per promuovere la coesione in area europea, ovvero per rie-
quilibrare e dunque redistribuire risorse dalle aree povere a quelle
ricche, ma nel tempo divenuti strumenti per amplificare gli effetti
dell’assistenza finanziaria condizionata, ovvero per edificare un si-
stema a «condizionalità senza frontiere», o se si preferisce di «finta
solidarietà»27.
Un breve cenno alla disciplina dei principali fondi strutturali po-
trà documentare in modo puntuale questa tendenza.
Il più risalente è il Fondo sociale europeo, previsto già dal Trat-
tato di Roma del 1957 per favorire «la mobilità geografica e profes-
sionale dei lavoratori», e soprattutto «migliorare le possibilità di oc-
cupazione dei lavoratori all’interno del mercato comune e contribu-
ire così al miglioramento del tenore di vita» (art. 123). Attualmente
il Trattato sul funzionamento dell’Ue gli attribuisce altresì il compito
di «facilitare l’adeguamento alle trasformazioni industriali e ai cam-
biamenti dei sistemi di produzione, in particolare attraverso la for-
mazione e la riconversione professionale» (art. 162).
Venne previsto dal Trattato di Roma anche il Fondo europeo
agricolo di orientamento e di garanzia, in particolare la sua sezio-
ne orientamento. Il Fondo, effettivamente istituito al principio degli
anni Sessanta28, è stato sostituito nel 2007 dal Fondo europeo agrico-
lo di garanzia e dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale29.
Nella metà degli anni Sessanta è stato poi istituito il Fondo eu-
ropeo di sviluppo regionale, con il compito di correggere gli squili-
bri regionali «risultanti dalla prevalenza delle attività agricole, dalle
trasformazioni industriali e da una sottoccupazione strutturale»30. Il
Trattato sul funzionamento Ue ne ha riassunto le funzioni in modo
parzialmente diverso, precisando che esso partecipa «allo sviluppo e
all’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo, non-
ché alla riconversione delle regioni industriali in declino» (art. 176).
L’Atto unico europeo introdusse nell’allora Trattato Cee un Tito-
lo dedicato alla «coesione economica e sociale» (attuali artt. 174-178
Trattato sul funzionamento Ue). In quella sede vennero richiamati

27
R. Raponi, Finanziamenti comunitari. Condizionalità senza frontiere, Reggio Emilia, Im-
primatur, 2016.
28
Regolamento del 4 aprile 1962 (1962/25/Cee).
29
Regolamento del 21 giugno 2005 (2005/1290/Ce).
30
Art. 1 Regolamento del 18 marzo 1975 (1975/724/Cee).

180
congiuntamente il Fondo sociale europeo, il Fondo europeo agricolo
di orientamento e di garanzia e il Fondo europeo di sviluppo regio-
nale, e auspicate iniziative volte a «precisare e razionalizzare le loro
missioni». Di qui alcuni interventi normativi destinati a favorire un
loro coordinamento, innanzi tutto un regolamento di fine anni Ot-
tanta che ha operato una ricognizione degli obiettivi il cui raggiun-
gimento doveva essere perseguito attraverso un più razionale utilizzo
dei trasferimenti finanziari: «promuovere lo sviluppo e l’adeguamen-
to strutturale delle regioni il cui sviluppo è in ritardo», riconvertire
quelle «gravemente colpite dal declino industriale», quindi «lottare
contro la disoccupazione di lunga durata» e «facilitare l’inserimen-
to professionale dei giovani», e infine, in materia di politica agricola,
«accelerare l’adeguamento delle strutture agrarie» e «promuovere lo
sviluppo delle zone rurali»31.
Da menzionare anche il regolamento che, sul finire degli anni
Novanta, oltre ad aver riformulato gli obiettivi, ha codificato il prin-
cipio di addizionalità: ha stabilito che «gli stanziamenti dei Fondi
non possono sostituirsi alle spese a finalità strutturale pubbliche o
assimilabili dello Stato membro»32. In altre parole il finanziamento
europeo non può sostituirsi completamente a quello del Paese mem-
bro destinatario del contributo, che pertanto conserva l’onere di in-
tervenire a favore delle parti più svantaggiate del suo territorio. Il
che equivale a sottrarre ai Fondi la funzione di redistribuire ricchez-
za dai Paesi ricchi ai Paesi poveri, ovvero di rappresentare uno stru-
mento perequativo destinato a bilanciare gli effetti negativi dell’inte-
grazione.
Un passaggio fondamentale ai nostri fini è quello che si realizza
con il regolamento che a metà anni Novanta istituisce il Fondo di
coesione, pensato per sostenere progetti «in materia di ambiente e
di reti transeuropee nel settore delle infrastrutture dei trasporti» a
favore di Paesi membri che soddisfino due requisiti: avere un pro-
dotto interno lordo pro capite sotto una certa soglia, e aver attuato
un programma destinato a promuovere la convergenza economica
nell’ambito della sorveglianza multilaterale33. Affiora così un riferi-
mento esplicito all’utilizzo solo condizionato dei fondi strutturali, ot-
tenuti cioè come contropartita per la realizzazione di riforme strut-
turali in linea con quanto il livello europeo ritiene essere il quadro
di riferimento per procedere verso il coordinamento delle politiche
economiche. E il tutto è stato inasprito da un regolamento di fine

31
Art. 1 Regolamento del 24 giugno 1988 (1988/2052/Cee).
32
Art. 11 Regolamento del 21 giugno 1999 (1999/1260/Ce).
33
Art. 2 Regolamento del 16 maggio 1994 (1994/1164/Ce).

181
anni Novanta, in cui campeggia la precisazione che i Paesi membri
possono ricorrere ai Fondi di coesione solo se hanno predisposto un
programma come quello previsto dal Patto di stabilità e crescita del
1997, ovvero in cui sono indicate le misure individuate al fine di ot-
tenere un saldo di bilancio vicino al pareggio o positivo34.
Si giunge così a un regolamento predisposto un anno prima
dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona35: il trattato che indivi-
dua una terza dimensione della coesione cui mirano i Fondi, ovvero
quella territoriale, da affiancare a quella economica e sociale. Il rego-
lamento stabilisce innanzi tutto che la politica di coesione viene re-
alizzata esclusivamente attraverso il Fondo sociale europeo, il Fondo
europeo di sviluppo regionale e il Fondo di coesione. Precisa poi che
priorità dei fondi è «accelerare la convergenza degli Stati membri e
regioni in ritardo di sviluppo», ovvero degli Stati che, come già pre-
visto limitatamente ai Fondi di coesione, hanno un prodotto interno
lordo pro capite sotto una certa soglia e hanno attuato un programma
tra quelli definiti nell’ambito della sorveglianza multilaterale.
Più recentemente si è invece inteso generalizzare questo mecca-
nismo. Un regolamento dedicato alla sistemazione della materia ha
esplicitato il principio per cui occorre collegare l’efficacia dei fondi
a una «sana governance economica», ovvero a tutto quanto sia stato
intrapreso a livello europeo nell’ambito del coordinamento delle po-
litiche economiche nazionali: «occorre stabilire un legame più stret-
to tra politica di coesione e governance economica dell’Unione onde
garantire che l’efficacia della spesa nell’ambito dei Fondi strutturali
e di investimento europei si fondi su politiche economiche sane».
Il tutto collegato a un efficace sistema sanzionatorio: «se uno Stato
membro non dovesse adottare provvedimenti efficaci nel quadro del
processo di governance economica, la Commissione dovrebbe pre-
sentare una proposta al Consiglio intesa a sospendere, in parte o in
tutto, gli impegni o i pagamenti destinati ai programmi in detto Sta-
to membro»36.
In tal modo la politica di coesione ha definitivamente perso i
connotati che almeno inizialmente poteva avere. Essa è ora uno
strumento la cui principale finalità, se non l’unica, è la realizzazione
dell’Unione economica e monetaria, e più precisamente un suo an-
coraggio a schemi di matrice neoliberale. Uno strumento destinato
ad alimentare il mercato delle riforme.

34
Regolamento del 21 giugno 1999 (1999/1264/Ce).
35
Regolamento dell’11 luglio 2006 (2006/1083/Ce).
36
Art. 23 Regolamento del 17 dicembre 2013 (2013/1303/Ue).

182
6. L’assistenza finanziaria condizionata

Abbiamo anticipato che ultimamente, e precisamente dallo scop-


pio della recente crisi economica e finanziaria, il mercato delle ri-
forme viene alimentato soprattutto in occasione della ristrutturazione
dei debiti incombenti sui Paesi in difficoltà con il rispetto dei pa-
rametri di Maastricht. Questo tipo di assistenza finanziaria è pro-
blematico, dal momento che deve coordinarsi con il «principio del
non salvataggio finanziario», per cui «l’Unione non risponde né si
fa carico degli impegni assunti dalle amministrazioni statali, dagli
enti regionali, locali, o altri enti pubblici, da altri organismi di di-
ritto pubblico o da imprese pubbliche di qualsiasi Stato membro»
(art. 125 TfUe). Significa che l’assistenza finanziaria si può ammet-
tere esclusivamente se motivata dal proposito di evitare ripercussioni
sulla costruzione europea nel suo complesso, sebbene a determinate
condizioni.
Per i Paesi membri con deroga, ovvero quelli che non prendo-
no parte all’Eurozona in quanto non soddisfano ancora i requisiti
richiesti per l’adozione della moneta unica, questa possibilità è sta-
ta prevista dal Trattato di Maastricht, a cui si deve la disposizione
per cui, «in caso di difficoltà o di grave minaccia di difficoltà nella
bilancia dei pagamenti» pregiudizievole per «il funzionamento del
mercato interno o l’attuazione della politica commerciale comune»,
è possibile procedere al cosiddetto concorso reciproco, ovvero con-
cedere un sostegno finanziario a medio termine (art. 143 TfUe). A
tal fine, proprio perché si tratta di un intervento destinato a tutela-
re direttamente l’Unione e solo di riflesso il Paese membro in dif-
ficoltà, quest’ultimo ottiene un prestito o una linea di credito solo
se concorda con le autorità europee un «programma di riassetto o
di accompagnamento», o altre «condizioni di politica economica alle
quali è subordinato il sostegno finanziario a medio termine, al fine
di ripristinare o di garantire una situazione sostenibile della bilancia
dei pagamenti». Con la precisazione che il programma e le condizio-
ni sono costantemente monitorate, dal momento che il «versamen-
to o prelievo sarà effettuato in linea di principio in quote successi-
ve», e «la liberazione di ogni quota è subordinata alla verifica dei
risultati ottenuti nell’attuazione del programma rispetto agli obiettivi
prefissi»37.
Anche per i Paesi dell’Eurozona si volle procedere come per i
Paesi in deroga, ovvero prestare assistenza finanziaria condiziona-

37
Regolamento del 18 febbraio 2002 (2002/332/Ce).

183
ta alla realizzazione di riforme strutturali, ma nel merito nulla era
stato previsto dal Trattato di Maastricht. Vi era a ben vedere una
disposizione dedicata alle situazioni in cui «uno Stato membro si
trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a
causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono
al suo controllo», per fronteggiare le quali si poteva «concedere a
determinate condizioni un’assistenza finanziaria» (art. 122 TfUe). Da
molte parti si riteneva tuttavia non rappresentasse una base giuridica
sufficiente, motivo per cui si decise di rafforzarla attraverso il coin-
volgimento del Fondo monetario internazionale. Quest’ultimo aveva
acquisito una notevole esperienza nella ristrutturazione del debito
sovrano dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, in occasione della
quale l’assistenza finanziaria veniva concepita come una controparti-
ta per la realizzazione di riforme strutturali in senso neoliberale38. E
poteva ora metterla a disposizione delle autorità europee impegnate
nella ristrutturazione dei debiti sovrani, che in effetti vi fecero largo
ricorso: del resto, come sappiamo, non era la prima volta.
Sullo sfondo di questa copertura, e sulla base della disposizione
del Trattato appena ricordata, venne costituito il Meccanismo euro-
peo di stabilizzazione finanziaria, destinato a «preservare la stabilità
finanziaria dell’Unione europea» minacciata da una «crisi finanziaria
mondiale senza precedenti», fonte di «un grave deterioramento delle
posizioni del disavanzo e del debito degli Stati membri». Nel contem-
po venne creato il Fondo europeo di stabilità finanziaria, «società vei-
colo garantita su base prorata dagli Stati membri partecipanti in modo
coordinato»39, incaricata per statuto di «procurare finanziamenti agli
Stati membri dell’Unione europea in difficoltà finanziaria la cui mone-
ta è l’Euro, e che hanno concluso un memorandum con la Commis-
sione europea contenente condizionalità di politica economica»40.
Solo dopo l’approvazione del Trattato di Lisbona, anch’esso pri-
vo di indicazioni specifiche circa l’assistenza finanziaria destinata agli
Stati dell’Eurozona, alla materia si è finalmente messo ordine con
una decisione del Consiglio europeo, poi approvata dagli Stati mem-
bri ai sensi dell’art. 48 Trattato Ue, con la quale si è completata la
prima delle disposizioni del Trattato sul funzionamento dell’Unione

38
Cfr. in particolare le Guidelines on Conditionality del 25 settembre 2002, www.imf.org/
External/np/pdr/cond/2002/eng/guid/092302.pdf, e lo Statement of the Imf Staff Principles
Underlying the Guidelines on Conditionality del 9 gennaio 2006, www.imf.org/external/np/pp/
eng/2006/010906.pdf.
39
Decisione dei Rappresentanti dei Governi degli Stati membri della Zona Euro riuniti in
sede di Consiglio dell’Unione europea n. 9614 del 10 maggio 2010.
40
Così lo statuto (art. 3), pubblicato in Journal Officiel du Grand-Duché de Luxembourg
dell’8 giugno 2010 (C-N. 1189), 57026 ss.

184
dedicate ai Paesi dell’Eurozona (art. 136)41. Lì è stata aggiunta la
previsione per cui questi ultimi «possono istituire un meccanismo di
stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità
della Zona Euro nel suo insieme», con la precisazione che «la con-
cessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del
meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità».
Venne così istituito il Meccanismo europeo di stabilità, destinato
a sostituire i menzionati Meccanismo europeo di stabilità finanziaria
e Fondo europeo di stabilità finanziaria42. Il suo organo principale
è il Consiglio dei governatori, composto dai Ministri delle finanze
dell’Eurozona, tra i quali viene eletto il Presidente, sempre che non
si decida di attribuire questa funzione al Presidente dell’Eurogrup-
po, come in effetti è successo. Se non si decide in tal senso, il Presi-
dente dell’Eurogruppo, assieme al Commissario agli affari economici
e monetari e al Presidente della Banca centrale europea, partecipa
comunque alle riunioni del Consiglio dei governatori, sebbene sen-
za diritto di voto (art. 5). In tal modo il Meccanismo è saldamente
nelle mani di chi decide e controlla lo sviluppo e il funzionamento
dell’Unione economica e monetaria: ne costituisce il braccio arma-
to, lo strumento attraverso cui ottenere forzatamente quanto non si
ottiene con le misure preventive e correttive cui abbiamo fatto rife-
rimento poco sopra, che già dispongono di una forza coercitiva non
trascurabile.
Un rapido sguardo alle regole che presiedono al funzionamen-
to dell’assistenza finanziaria confermano questa conclusione. Essa
viene richiesta al Presidente del Consiglio dei governatori, e quindi
dell’Eurogruppo, che ricorre alla Commissione e alla Banca centrale
europea per valutare l’effettiva sostenibilità del debito pubblico del
Paese in difficoltà, così come «l’esistenza di un rischio per la stabi-
lità finanziaria della Zona Euro nel suo complesso». Sulla base di
questa valutazione il Consiglio dei governatori decide se accordare
l’assistenza richiesta, e affida quindi alla Commissione di concerto
con la Banca centrale e il Fondo monetario internazionale il compito
di negoziare «un protocollo d’intesa che precisi le condizioni con-
tenute nel dispositivo di assistenza finanziaria», così come di «mo-
nitorare il rispetto delle condizioni cui è subordinato il dispositivo
di assistenza finanziaria» (art. 13). Il protocollo individua anche le
modalità di intervento tra quelle previste nel Trattato: l’apertura in
via precauzionale di una linea di credito, la ricapitalizzazione delle

41
Decisione del 25 marzo 2011 (2011/199/Ue).
42
Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità del 2 febbraio 2012, a cui si rife-
riscono gli articoli richiamati nel testo.

185
istituzioni finanziarie, l’erogazione di prestiti, e l’acquisto di titoli del
debito sovrano sul mercato primario o secondario (art. 14 e segg.).

7. La ristrutturazione del debito sovrano

Prima di verificare il concreto funzionamento di questo specifico


mercato delle riforme, occorre soffermarsi sulla circostanza per cui i
rapporti di debito, diversamente dai rapporti di scambio formalmen-
te instaurati tra parti collocate sullo stesso piano, sono per definizio-
ne relazioni tra impari: sono anzi veri e propri dispositivi politici e
insieme biopolitici di controllo sulla produzione e riproduzione delle
soggettività individuali e collettive, incluse quelle statuali43. Per que-
sto i rapporti di debito sono particolarmente adatti a produrre l’esi-
to auspicato dal creditore, nello specifico la costruzione di un ordine
neoliberale e non certo la restituzione della somma data a prestito.
Di qui l’interesse a protrarre nel tempo la relazione debitoria al fine
di perpetuare, secondo la logica dell’usura, il controllo sul debitore.
Di qui anche il rifiuto di disciplinare il fallimento degli Stati, o peg-
gio la volontà di trasformarlo in una sorta di tabù, impedendo che
possa rappresentare l’occasione per liberarsi dal peso debitorio44, e
magari per identificare i creditori degni di essere ripagati: come ri-
levato nel Rapporto sulla riforma del sistema monetario e finanziario
internazionale predisposto alcuni anni or sono nell’ambito delle Na-
zioni Unite da una commissione presieduta da Joseph Stiglitz45.
Riscontri di quanto abbiamo appena sintetizzato li ricaviamo
non a caso dall’attività di assistenza finanziaria rivolta ai Paesi le cui
Carte fondamentali si fondano, come sappiamo, sul costituzionali-
smo antifascista: Grecia, Portogallo e Spagna. Non ci occuperemo
in modo dettagliato delle condizioni imposte per la concessione del
prestito, che del resto ricalcano tutte un identico schema, quello già
visto illustrando quanto avvenuto tra gli anni Settanta e Ottanta nel
Regno Unito e in Portogallo: includono impegni a diminuire le usci-
te e a incrementare le entrate, così come a svalutare e precarizzare
il lavoro. In compenso ci soffermeremo sulle conseguenze dell’as-

43
V. soprattutto M. Lazzarato, La fabbrica dell’uomo indebitato. Saggio sulla condizione neo-
liberista (2011), Roma, DeriveApprodi, 2012 e Id., Il governo dell’uomo indebitato. Saggio sulla
condizione neoliberista, Roma, DeriveApprodi, 2013.
44
Per tutti C. Paulus, A Resolvency Proceeding for Defaulting Sovereigns, in «International
Insolvency Law Review», 3, 2012, pp. 1 ss.
45
United Nations, Report of the Commission of Experts of the President of the United Na-
tion General Assembly on Reforms of the International Monetary and Financial System del 21
settembre 2009, www.un.org/ga/president/63/PDFs/reportofexpters.pdf, pp. 121 ss.

186
sistenza, ulteriori rispetto a quelle concernenti il sovvertimento dei
principi fondativi del costituzionalismo antifascista e dunque il supe-
ramento della democrazia economica a favore del modo neoliberale
di concepire il mercato e in ultima analisi lo stare insieme come so-
cietà. Documenteremo cioè il netto peggioramento della complessiva
situazione in cui versano i Paesi assistiti per effetto dell’assistenza,
che dunque si conferma essere un espediente attraverso cui esercita-
re potere.
Si diceva che le condizioni imposte in cambio dell’assistenza fi-
nanziaria ricalcano tutte un identico schema. Questo vale innanzi
tutto per l’assistenza finanziaria disciplinata dai Memorandum delle
politiche finanziarie ed economiche indirizzati al Fondo monetario
internazionale46, cui si ricorreva prima che il Trattato facesse espli-
cito riferimento al meccanismo delle condizionalità. E vale a mag-
gior ragione per l’assistenza finanziaria fondata su quanto ha poi di-
sposto il Trattato, ovvero per i documenti preparatori dell’interven-
to del Meccanismo europeo di stabilità, così come delle istituzioni
che lo hanno preceduto (in particolare il Fondo europeo di stabilità
finanziaria)47.
In tutti i casi l’assistenza finanziaria costituisce la contropartita
per misure volte a diminuire le uscite, quindi, in particolare, desti-
nate a contenere la spesa pensionistica e sociale, inclusa ovviamente
quella per la sanità e l’istruzione, a congelare o ridurre le retribuzio-
ni dei pubblici dipendenti, e in genere a ridimensionare la Pubbli-
ca amministrazione. Alle misure di contenimento delle uscite si ag-
giungono poi indicazioni sulle modalità di incremento delle entrate,
soprattutto attraverso programmi di privatizzazioni e liberalizzazioni,
in particolare nei settori dell’energia, delle telecomunicazioni, delle
assicurazioni e dei servizi pubblici locali. Diffuse sono anche le con-
dizionalità concernenti la riforma del mercato del lavoro, concepita
in modo tale da ripristinare più elevati livelli di libertà contrattuale,
utili fra l’altro a rimuovere gli ostacoli alla flessibilizzazione e preca-
rizzazione della relazione di lavoro: ad assimilarla sempre più a una
relazione di mercato qualsiasi, relativa al mero scambio di attività
umana contro denaro, depurata da qualsiasi obbligazione accessoria
a tutela della parte debole. Il tutto mentre si incentiva lo sviluppo
di relazioni industriali in cui sia limitato il potere dei sindacati dei

46
I Memorandum sono tutti pubblicati sul sito del Fondo, nello spazio dedicato ai singoli
Paesi: www.imf.org/external/country/index.htm.
47
Tutti pubblicati in una sezione del sito istituzionale: www.esm.europa.eu/financial-assi-
stance. Per una panoramica anche European Stability Mechanism, Annual Report 2016 (15
giugno 2017), www.esm.europa.eu/sites/default/files/esm_annual_report_2016_0.pdf.

187
lavoratori: ad esempio promuovendo la possibilità per gli accordi a
livello di singola impresa, dove più forte è il potere contrattuale del
datore di lavoro, di derogare agli accordi conclusi a livello centrale,
dove è più facile contrastare quel potere. Da notare infine il favore
con cui si guarda all’introduzione di una componente del salario ag-
ganciata agli utili d’impresa, incentivata, di norma nei periodi di cri-
si, in quanto misura capace di indurre cooperazione e collaborazione
tra capitale e lavoro48.
Passiamo ora a considerare le conseguenze dell’assistenza finan-
ziaria condizionata, concentrandoci come abbiamo detto sui Paesi a
tradizione costituzionale antifascista: Grecia, Portogallo e Spagna.
La Grecia chiese assistenza finanziaria nel 2010, dopo che l’anno
precedente il Primo ministro George Papandreou aveva rivelato che
i dati sul deficit e sul debito pubblico erano stati ritoccati per simu-
lare il rispetto dei parametri di Maastricht, e consentire così al Paese
di entrare nell’Eurozona. Di qui il netto e rapido peggioramento di
tutti gli indici economici e finanziari, che costrinsero a una richiesta
di assistenza, concessa nel maggio del 2010 dal Fondo monetario in-
ternazionale per circa 20 miliardi e dai Paesi dell’Eurozona per oltre
50 miliardi di Euro, questi ultimi erogati su base bilaterale attraver-
so un fondo istituito da uno specifico accordo sottoscritto da tutti i
Paesi interessati49. Un secondo pacchetto di aiuti venne definito tra
febbraio e marzo del 2012, comprendente oltre 140 miliardi prove-
nienti dal Fondo europeo di stabilità finanziaria e 12 dal Fondo mo-
netario. Attualmente sono in corso i prestiti condizionati previsti da
un terzo pacchetto di aiuti, da 86 miliardi, messi a disposizione dal
Meccanismo europeo di stabilità.
Sul sito di quest’ultima istituzione si afferma che l’assistenza fi-
nanziaria alla Grecia è stata concepita per consentirle di «tornare
a crescere» e si precisa poi che il proposito si stava effettivamente
realizzando: «l’economia era tornata a crescere e la disoccupazione
a calare». Poi, però, il Primo ministro ha sottoposto a referendum
popolare il contenuto degli accordi relativi al terzo pacchetto di aiu-
ti: per questo «il programma di riforme è stato sospeso e la Grecia
è ricaduta in recessione»50. Ricaviamo da questa sintesi il pessimo
stato della democrazia greca in tutto e per tutto riconducibile alle
logiche dell’economia del debito: nonostante il referendum sia stato

48
Citazioni in A. Somma, Giustizia o pacificazione sociale? La codeterminazione nello scon-
tro tra modelli di capitalismo, in «Politica del diritto», 46, 2015, pp. 549 ss.
49
Loan Facility Agreement dell’8 maggio 2010.
50
Lo si afferma in una scheda pubblicata nel sito istituzionale: www.esm.europa.eu/assi-
stance/greece#bringing_greece_back_to_growth.

188
vinto da chi chiedeva di respingere l’accordo, Primo ministro in te-
sta, quest’ultimo ha dovuto alla fine sottoscriverlo.
Ma non è tutto. A stridere è anche l’idea di un’economia gre-
ca in ripresa, sabotata dall’avvento al potere di un leader resisten-
te all’ortodossia neoliberale: il debito pubblico, che nel 2010 era al
148%, nel 2016, anno in cui il Meccanismo europeo di stabilità ha
imposto le sue ricette, è cresciuto fino a oltre il 180%. Vi sono state
alcune piccole flessioni intermedie, che tuttavia sono sovrastate dai
dati sulla disoccupazione generale, attualmente sopra il 23%, e quel-
la giovanile, attestata al 47%. Drammatici anche i dati relativi alle
persone a rischio di povertà ed esclusione sociale: si è passati da ol-
tre il 27% del 2010 a oltre il 35% del 201651.
Passiamo al Portogallo, che è stato assistito con 78 miliardi di
Euro tra il maggio del 2011 e il maggio del 2014 dal Fondo europeo
di stabilità finanziaria e dal Fondo monetario internazionale. Anche
qui si sono posti notevoli problemi dal punto di vista della tenuta
democratica, in particolare per avere l’esecutivo negoziato il prestito
senza rispettare quanto previsto a livello costituzionale, innanzi tutto
quanto al coinvolgimento del Parlamento52. E anche qui i dati relati-
vi al rispetto dei parametri di Maastricht non sono certo migliorati,
mentre sono decisamente peggiorati quelli indicativi dei livelli di di-
soccupazione e povertà.
Questo, però, sino alla fine del 2015, quando si è insediato un
esecutivo con un programma di ripresa economica incentrato, nei
limiti di quanto consente la cornice europea, su ricette di matrice
keynesiana: meno assillato dai dati sul debito e più attento a so-
stenere la domanda interna e l’occupazione. Non è un caso che la
svolta sia stata ostacolata in tutti i modi, e che ciò nonostante essa
abbia finalmente migliorato gli indici relativi alla povertà e all’esclu-
sione sociale, così come alla disoccupazione generale e giovanile. In
particolare quest’ultima è finalmente e abbondantemente scesa sotto
quota 30%, con un calo di ben cinque punti percentuali rispetto al
valore dell’anno precedente.
Infine la Spagna, che ha ottenuto prestiti finalizzati alla ricapita-
lizzazione del settore finanziario nell’ambito di un programma con-
cordato con il Meccanismo europeo di stabilità. Il programma è ini-
ziato nel luglio del 2012, si è concluso nel dicembre del 2013, e si
è sviluppato attorno a condizionalità specifiche per il settore banca-

51
Questi dati, e i successivi, sono ricavati dal sito di Eurostat: http://ec.europa.eu/eurostat.
52
Cfr. G. Vagli, Profili costituzionalistici dell’accordo tra Portogallo e Fmi/Ue, in Diritto pub-
blico comparato ed europeo online (4/2011), www.dpceonline.it/index.php/dpceonline/article/
view/312/307.

189
rio: settore per il quale si sono messi a disposizione 100 miliardi di
Euro. Ciò nonostante altri settori sono entrati in gioco, per effetto
delle indicazioni fornite nell’ambito della normale sorveglianza eco-
nomica e di bilancio esercitata dalla Commissione: tra esse l’invito a
limitare la spesa pensionistica e sanitaria, a liberalizzare il settore dei
servizi e a riformare il mercato del lavoro per favorire la flessibili-
tà e la moderazione salariale. Anche qui i risultati sono decisamente
deludenti: la disoccupazione generale e quella giovanile si attestano
rispettivamente attorno al 20% e al 44%, mentre il rischio di po-
vertà e di esclusione sociale riguarda il 28% delle persone. Il tutto
con ripercussioni sulla vita democratica del Paese che sono in ultima
analisi all’origine anche della crisi istituzionale in corso, quella con-
cernente l’autonomia della Catalogna.

8. Diritto della crisi e stato di eccezione

Insomma, gli indici del benessere economico dei Paesi europei


assistiti, per quanto desolanti, non sono le principali vittime del
mercato delle riforme. A subire i danni maggiori sono i diritti fon-
damentali e le istituzioni democratiche, fortemente snaturati dal pro-
cesso di costruzione di quanto è stato efficacemente definito «diritto
europeo della crisi»: un diritto sorto «all’ombra della costituzione
economica formale disegnata dai Trattati»53, che pure non è certo
assillata dalla volontà di preservare il circuito della politica dall’inva-
denza del circuito economico. Il tutto a testimonianza di come l’as-
sistenza finanziaria condizionata, formalmente eccezionale, sia dive-
nuta il modo ordinario di ottenere riforme in assenza di controllo
democratico: una circostanza da cui trae conferma la tesi secondo
cui la sovranità statuale si esaurisce oramai nell’esercizio del potere
di decidere sullo stato di eccezione54.
Danni irreparabili sono poi quelli subiti dal costituzionalismo an-
tifascista, il principale obbiettivo di chi ha definito e definisce le con-
dizioni per l’assistenza finanziaria ai Paesi europei indebitati, con ciò
amplificando le imbarazzanti indicazioni fornite in piena crisi econo-
mica e finanziaria da J.P. Morgan. Il colosso finanziario statunitense,
tra i principali responsabili della crisi dei mutui subprime, ha criticato
le Carte fondamentali dei Paesi sudeuropei perché recano tracce in-
delebili della «forza politica guadagnata dai partiti di sinistra al crol-

53
F. Losurdo, Stabilità e crescita da Maastricht al Fiscal compact, in «Cultura giuridica e
diritto vivente», 2, 2015, pp. 111 ss.
54
Cfr. G. Agamben, Stato di eccezione, Torino, Einaudi, 2003.

190
lo del fascismo»: tengono in elevata considerazione la tutela dei dirit-
ti dei lavoratori e rispettano «il diritto di protestare nel caso in cui
si imprimano cambiamenti non condivisi dello status quo»55. Il tutto
nel disprezzo di quanto previsto anche dal diritto internazionale, pure
esso ampiamente intaccato dal diritto europeo della crisi e dalle mo-
dalità con cui è stato e viene tutt’ora confezionato.
Insomma, la violazione dei diritti umani nel loro complesso, i so-
ciali accanto ai politici, sono l’effetto immediato delle modalità scel-
te per affrontare la crisi del debito: quelle riconducibili al proposi-
to di alimentare il mercato delle riforme. Modalità che solo recen-
temente hanno interessato in misura massiccia i Paesi a capitalismo
avanzato, ma che da tempo sono analizzate con riferimento ai cosid-
detti Paesi in via di sviluppo. Dall’esperienza così accumulata è tra
l’altro nato il Rapporto sugli effetti del debito «sul pieno godimento
di tutti i diritti umani», predisposto dal Consiglio per i diritti umani
delle Nazioni Unite anche per formulare «Principi guida sul debito
estero e i diritti umani»56.
Lì si sono valutati gli effetti del servizio del debito per i quali
«vi sono estesi riscontri»: l’impiego a questi fini delle risorse sottrae
fondi da destinare alla garanzia dei diritti fondamentali, impedisce
cioè «l’attuazione dei diritti umani, in particolare di quelli sociali,
economici e culturali». Si considerano poi le ricadute sul funziona-
mento delle istituzioni democratiche, denunciando come la compres-
sione della sovranità offuschi «la titolarità nazionale delle strategie di
sviluppo nazionali», impedendo ai «leader legittimi del popolo» di
esercitare un «controllo effettivo sulla direzione dello sviluppo eco-
nomico del Paese». Il tutto determinando una violazione di obblighi
incombenti sullo Stato, che non sono solo quelli derivanti dalla sua
condizione di debitore, e neppure solo quelli nei confronti dei suoi
cittadini: anche a beneficio dei cittadini di altri Stati si deve preser-
vare «un nucleo minimo di diritti economici e sociali»57. Occorre al-
lora operare un bilanciamento tra tutte queste posizioni, per evitare
così l’adozione di «misure regressive», e per affermare nel contempo
«l’indivisibilità e l’interdipendenza di tutti i diritti umani»58.

55
J.P. Morgan, The Euro Area Adjustment: About Halfway There (28 maggio 2013),
https://culturaliberta.files.wordpress.com/2013/06/jpm-the-euro-area-adjustment-about-halfway-
there.pdf.
56
Report del 10 aprile 2011 (A-HRC-20-23), www.ohchr.org/Documents/HRBodies/HR-
Council/RegularSession/Session20/A-HRC-20-23_en.pdf.
57
J.L. Černič, State Obligations Concerning Socio-Economic Rights in Times of the European
Financial Crisis, in «International Law and Management Review», 11, 2015, pp. 125 ss.
58
Report del 10 aprile 2011, cit.

191
Come abbiamo detto, il Rapporto sugli effetti del debito sovra-
no è stato predisposto pensando in particolare ai cosiddetti Paesi in
via di sviluppo, e tuttavia, in un suo recente aggiornamento, si tiene
conto anche della situazione greca, cui si è del resto dedicata una
specifica visita nel 2013. Nella relazione si ribadisce che «gli Stati
non possono giustificare le misure di austerità semplicemente invo-
cando la necessità di rispettare una disciplina di bilancio», oltretut-
to, nel caso greco, violando specifici obblighi costituzionali: primi
fra tutti quelli riconducibili alla previsione di diritti sociali. Segue
una dettagliata ricostruzione delle misure di austerità imposte come
contropartita per la ristrutturazione del debito, affiancata da una
elencazione altrettanto dettagliata degli effetti nefasti che ne sono
derivati. La conclusione è netta: l’austerità «ha spinto l’economia in
recessione, compromettendo lo standard di vita della maggioranza
della popolazione e minando la sua possibilità di godere dei diritti
umani». Il tutto mentre la contropartita per l’austerità, ovvero il pre-
stito condizionato, è stato in massima parte destinato a «ripagare le
stesse banche che avevano prestato soldi alla Grecia in modo scon-
siderato, con ciò incrementando ulteriormente il debito del Paese»59.
Di qui una serie di raccomandazioni ai creditori comprendenti an-
che la richiesta di interventi a livello sociale, destinate peraltro a ri-
manere ampiamente inascoltate da parte di istituzioni, come il Fondo
monetario internazionale e il Meccanismo europeo di stabilità, per cui
i risultati a quel livello costituiscono un mero riflesso di interventi vol-
ti a sostenere il funzionamento del mercato concorrenziale. Tra le rac-
comandazioni campeggia l’invito a «evitare di fornire assistenza finan-
ziaria a condizioni invadenti e onerose, capaci di minare le prospettive
di crescita del Paese e il rispetto dei diritti umani», a «includere la
riduzione della disoccupazione e della povertà come target misurabili
nei correnti piani di aggiustamento strutturale», ad «assicurare traspa-
renza nel negoziare con il governo greco» per non menomare «il di-
ritto alla partecipazione pubblica», quindi a evitare che «le stime sulla
sostenibilità del debito» intacchino le risorse «per investimenti sociali
e per creare le condizioni per la piena realizzazione dei diritti umani,
in particolare quelli economici, sociali e culturali»60.
Quella delle Nazioni Unite è forse una posizione inascoltata, ma
non certo isolata. Della Grecia si era già occupata, nel 2011, l’Orga-
nizzazione internazionale del lavoro, che con l’occasione aveva con-
fezionato un rapporto in cui si formulano rilievi complessivamente

59
Report del 7 marzo 2014 (A-HRC-25-50), www.ohchr.org/EN/HRBodies/HRC/Regular-
Sessions/Session25/Documents/A-HRC-25-50-Add1_en.doc.
60
Ibidem.

192
riferibili al modo neoliberale di ristrutturare i debiti sovrani o, me-
glio, di utilizzarli come occasione per imporre visioni neoliberali del
vivere consociato: «la crisi greca non è un problema solamente gre-
co, bensì una manifestazione greca di un problema globale»61. I temi
affrontati nel rapporto, relativi al modo di concepire le relazioni in-
dustriali e il mercato del lavoro, sono i temi attorno a cui si sono
sviluppate e si sviluppano le controversie più aspre tra quelle provo-
cate dal processo di integrazione europea.
Il primo tema è quello della contrattazione collettiva, a cui in
Grecia si affida quanto in altri ordinamenti avviene con un interven-
to del legislatore: la fissazione di minimi salariali. Ebbene, soprat-
tutto in tempi di crisi, si dice, il potenziamento della contrattazione
aziendale produce effetti destabilizzanti per la sorte dei lavoratori e
per la pace sociale in genere, evidenziando un vizio tipico del modo
neoliberale di approcciare la disciplina dei comportamenti umani:
quello per cui la si concepisce essendo «disconnessi dalla realtà». Il
tutto aggravato da un ricorso sempre più diffuso a forme precarie,
flessibili e sottopagate di lavoro, soprattutto giovanile, alla base di
un rapido impoverimento della popolazione, oltre che della diffu-
sione del lavoro nero. E afflitto da riforme del sistema pensionistico
e di quello sanitario tutte motivate dalla necessità di operare tagli
sempre crescenti, inevitabili per effetto della diminuzione del gettito
dovuto al notevole abbassamento dei livelli salariali62.
Dello stesso tenore una ricerca commissionata dalla Confedera-
zione europea dei sindacati, in cui si è chiesto di documentare l’im-
patto delle politiche di austerità, quelle indotte dal mercato delle ri-
forme, sul sistema dei diritti umani. Lì si valorizzano le disposizioni
che nel diritto europeo consentono di bilanciare la carica neoliberale
di altre disposizioni, le prime ricavate in massima parte dalla Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione. Quest’ultima viene sopravva-
lutata nella sua ispirazione di fondo63, ma è significativa la conside-
razione che, complice il meccanismo delle condizionalità, la Carta
viene comunque disattesa in molte sue parti e che questo non trova
giustificazione alcuna, giacché «non vi è nessuno stato di necessità
che possa sospendere il diritto dell’Unione»64.

61
International Labour Office, Report on the High Level Mission to Greece del 22 novem-
bre 2011, www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/@ed_norm/@normes/documents/missionreport/
wcms_170433.pdf.
62
Ibidem.
63
Cfr. A. Somma, Il diritto privato europeo e il suo quadro costituzionale di riferimento nel
prisma dell’economia del debito, in «Contratto e impresa», 21, 2016, pp. 124 ss.
64
A. Fischer-Lescano, Human Rights in Times of Austerity Policy (17 febbraio 2014),
https://media.arbeiterkammer.at/PDF/Human_Rights_in_Times_of-Austerity_Policy.pdf.

193
Qualche segnale nella stessa direzione proviene anche dall’area
europea. Il Comitato dei diritti sociali presso il Consiglio d’Europa
si è occupato delle misure di austerità imposte alla Grecia, stabilen-
do che la loro attuazione non deve mettere a rischio il sistema della
sicurezza sociale65. Dal canto suo il Parlamento europeo, dopo aver
avallato l’istituzione del Meccanismo europeo di stabilità, ha recen-
temente approvato una risoluzione in cui si mettono in discussione
l’operato della Troika, il suo fondamento, i suoi esiti e soprattutto la
sua legittimazione democratica66.
Più esplicito invece uno studio, confezionato nell’ambito della Di-
rezione generale delle politiche interne dell’Unione presso il Parla-
mento, in cui si documenta l’impatto negativo sui diritti fondamentali
in sette Paesi particolarmente esposti alle conseguenze dell’attuale crisi
economica e finanziaria: Belgio, Cipro, Grecia, Irlanda, Italia, Porto-
gallo e Spagna. I diritti considerati sono i principali tra quelli sociali,
ovvero il diritto alla casa, all’educazione, alla salute, al lavoro e alla
pensione, e due diritti della tradizione liberale: a riunirsi e a esprimere
liberamente il proprio pensiero, in quanto diritti concernenti la libertà
di opporsi alle politiche di austerità. Il tutto completato da raccoman-
dazioni su come tutelare quelle posizioni in tempi di austerità: evitan-
do i cosiddetti tagli orizzontali per non colpire la parte più debole
della popolazione, promuovendo la consultazione e la partecipazione
nella scelta circa le misure da adottare, e soprattutto prevenendo, an-
che attraverso azioni positive, un arretramento nei livelli di protezione
assicurati attraverso i diritti sociali, economici e culturali67.
Sono indicazioni importanti, che ben si possono riferire a situazio-
ni ulteriori rispetto a quelle relative al modo scelto per affrontare la
cosiddetta crisi del debito. L’attacco alla democrazia, così come alle
forme di redistribuzione della ricchezza da cui in ultima analisi dipen-
de l’equilibrio tra democrazia e capitalismo, riguarda il mercato delle
riforme nel suo complesso: un fondamento della costruzione europea,
che anche per questo ha urgente bisogno di essere ripensata.

65
Cfr. L. Mola, Carta sociale europea e riforme strutturali del mercato del lavoro in tempi di
crisi economica, in «Diritti umani e diritto internazionale», 7, 2013, pp. 206 ss.
66
Risoluzione 13 marzo 2014, P7_TA-PROV (2014) 0239.
67
Directorate General for International Policies – Policy Department C – Citizens’ Rights
and Constitutional Affairs, The Impact of the Crisis on Fundamental Rights across Member
States of the Eu. Comparative Analysis, 2015 (PE 520.021), www.europarl.europa.eu/RegData/
etudes/STUD/2015/510021/IPOL_STU(2015)510021_EN.pdf.

194

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