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Diritto dell’Unione Europea


CAPITOLO I
ORIGINI, EVOLUZIONE E CARATTERI DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA I PRIMI
MOVIMENTI EUROPEISTI
Il processo di integrazione europea muove da lontano e trova le sue radici in concezioni politiche e
filosofiche di illustri pensatori, in movimenti di privati cittadini, in iniziative di statisti e uomini di governo.
Uno dei primi promotori del progetto di unire gli Stati europei fu il conte Richard Coundenhove - Kalergi, il
quale fondò nel 1924 un’associazione denominata Unione paneuropea, avente lo scopo di raggiungere
l’unificazione europea al fine di preservare l’Europa,
➔ da una parte, dalla minaccia sovietica e
➔ dall’altra dalla dominazione economica degli Stati Uniti.
Fondamentalmente furono tre le concezioni che ispirarono il processo di integrazione Europa:
1. Visione di tipo confederale, avanzata da Aristide Briand (1° maggio 1930, Società delle Nazioni),
ministro degli esteri francese, il cui progetto prevedeva la creazione di una organizzazione politica
tra gli Stati partecipanti che avesse obiettivi comuni a tutti ma che non mettesse in discussione la
sovranità di ognuno (permanenza dei nazionalismi).
Sullo stampo delle organizzazioni internazionali tradizionali: avrebbe comportato
l’istituzione di organi e strutture volte al perseguimento degli scopi comuni stabiliti
mediante accordo tra gli stati membri i quali, pur assumendo obblighi giuridici, avrebbero
conservato la loro sovranità.

2. Visione di tipo federalista, visione che accomunava tre autori: Spinelli, Rossi e Colorni. Secondo
tale impostazione, espressa nel “Manifesto di Ventotene per un’Europa libera e unita” del 1941, per
assicurare la pace tra i Paesi europei occorreva che questi rinunciassero alla propria sovranità e che
si giungesse immediatamente ad una nuova entità, la Federazione europea, dotata di un proprio
esercito, di una propria moneta, di proprie istituzioni e di una propria politica estera (no
nazionalismi).
“il problema che va risolto è la definitiva abolizione dell’Europa in Stati nazionali sovrani […] non si può
mantenere un equilibrio di Stati europei indipendenti con la convivenza della Germania militarista a parità
di condizioni con gli altri paesi […] è ormai dimostrata la inutilità, anzi la dannosità, di organismi quali la
Società delle Nazioni”
Questa visione stimolò la nascita del movimento federalista europeo (1943)
3. Visione funzionalista e graduale: anch’essa credeva che il permanere dei nazionalismi fra gli Stati
Europei avrebbe costituito una costante minaccia per la pace e prevedeva l’obiettivo immediato di
una unione politica europea. Tuttavia, il metodo da seguire era quello di realizzare forme di coesione
così da costruire progressivamente una situazione di fatto di integrazione tra i paesi europei che
sarebbe sfociata in un’unione politica. (Jean Monnet, Schuman, De Gasperi).
 19 settembre 1946 Churchill: ricordando che le passioni nazionalistiche avevano
distrutto
la pace propose di stabilire una sorta di STATI UNITI DI EUROPA, il cui promo passo
doveva essere una intesa tra Germania e Francia.

LE ORGANIZZAZIONI EUROPEE DEL SECONDO DOPOGUERRA


La spinta politica decisiva fu data dal celebre discorso tenuto ad Harvard dal segretario di Stato
statunitense Marshall il 5 giugno 1947: egli, nell’enunciare un piano di aiuti per la ricostruzione
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dell’Europa sconvolta dalla guerra (European Recovery Program) ne subordinava l’attuazione all’istituzione
di uno strumento che ne favorisse un’utilizzazione congiunta.
La richiesta fu accolta dai Paesi dell’Europa occidentale e si concretizzò appunto nellʼOECE.
 Parigi, 16 Aprile 1948, nasce lʼOECE: Organizzazione europea di cooperazione economica, creta per
amministrare gli aiuti del piano Marshall.
 1960, l’OECE si trasforma nell’OCSE: Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico.
Tipica organizzazione internazionale di carattere intergovernativo, destinata, cioè, a operare
mediante organi (Consiglio) composta dai rappresentanti degli stati membri la cui azione è
soggetta alla volontà di tali Governi e volta agli Stati Membri, non ai loro cittadini.
 Londra, 5 Maggio 1949, nasce il Consiglio D’Europa altra organizzazione di carattere
intergovernativo: originariamente tra i Paesi dell’Europa occidentale, ma oggi 47 membri. malgrado
la presenza di un’Assemblea Parlamentare (dotata del solo potere di discussione e di formulare
raccomandazioni), formata dai rappresentanti dei Parlamenti degli Stati Membri, i poteri si
concentrano nel Comitato dei ministri (costituito dai rappresentanti governativi).
 Roma, 4 novembre 1950, Convenzione Europea dei diritti Umani (CEDU)
Esperienze che creavano un clima politico favorevole a ulteriori e più strette forme di collaborazione tra gli
Stati europei.

LA NASCITA DELLA COMUNITA’ EUROPEA DEL CARBONE E DELL’ACCIAIO


La prima organizzazione con la quale ha inizio il processo di integrazione europea, caratterizzato da un
“trasferimento di poteri” sovrani da parte degli Stati membri a enti, appunto le comunità sopranazionali,
è la CECA (comunità europea del carbone e dell’acciaio).
All’origine della CECA del 1952 vi è la celebre dichiarazione del ministro degli esteri francese Robert
Schuman (ispirata da Jean Monnet), del 9 maggio 1950 - “Festa dell’Unione europea” -, nella quale
l’anima federalista si sposa con il metodo funzionalista, basato su interventi settoriali e graduali.
➔ La dichiarazione contiene una proposta rivolta anzitutto alla Germania, nonché agli altri Stati europei
che intendano aderirvi, di mettere in comune, sotto un’Alta Autorità, l’insieme della produzione di
carbone e di acciaio, assicurando, nel contempo, la loro libera circolazione. (le risorse tradizionalmente
terreno di scontro sarebbero divenute strumento di incontro e utilità condivisa).
➔ L’apparato organizzativo sarebbe stato formato da unʼAlta Autorità:
1. composta da personalità indipendenti che avrebbero avuto poteri sia esecutivi che normativi nei
confronti dei Paesi aderenti;
2. soggetta a un controllo giurisdizionale a livello europeo.
SCHUMAN
“il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il
mantenimento di relazioni pacifiche” e che “l’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra”
«L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni
concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”
La proposta fu accettata dalla Germania, dall’Italia, dall’Olanda, dal Belgio e dal Lussemburgo. I sei Stati
giunsero così alla firma a Parigi, il 18 aprile 1951, del Trattato istitutivo della Comunità europea del
carbone e dell’acciaio (CECA), entrato in vigore il 23 luglio 1952, ha costituito il nucleo originario della
costruzione oggi designata come Unione europea.
Gli scopi principali della Comunità erano così indicati nell’art. 2 del Trattato di Parigi: «La Comunità
europea del carbone e dell’acciaio ha la missione di contribuire, in armonia con l’economia generale degli
Stati membri e in virtù dell’instaurazione di un mercato comune, alle condizioni definite all’articolo 4,
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all’espansione economica, all’incremento dell’occupazione e al miglioramento del tenore di vita negli Stati
membri».

Lo stesso trattato prevedeva


1. la creazione di un mercato comune dei prodotti carbo-siderurgici, nell’osservanza delle condizioni di
concorrenza
2. l’eliminazione e il divieto dei dazi e delle restrizione quantitative alla circolazione di tali prodotti tra
i Paesi membri,
3. la creazione di aiuti e sovvenzioni statali…
inoltre, prevedeva un articolato apparato organizzativo, formato dalle seguenti autorità
 un’Alta Autorità: organo collegiale composto da individui indipendenti le cui funzioni erano
“sopranazionali” avente poteri sia esecutivi che normativi nei confronti degli Stati Membri;
 un’Assemblea comune: composta da rappresentanti dei popoli degli Stati riuniti in Comunità, con
▪ funzioni di controllo politico sull’alta autorità;
 un consiglio speciale dei ministri: formato da un ministro di ciascuno Stato membro, competente a
emanare pareri (talvolta vincolanti per l’Alta Autorità);
 una corte di giustizia: organo giudiziario chiamata ad assicurare il rispetto del diritto
▪ nell’interpretazione e applicazione del trattato.
Il Trattato di Parigi prevedeva un termine di durata di cinquanta anni dalla sua entrata in vigore. Esso,
pertanto, ha perso efficacia dal 23 luglio 2002 e la CECA si è estinta.

IL FALLIMENTO DELLA COMUNITA’ EUROPEA DI DIFESA (CED) E IL RILANCIO


DEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA: LA COMUNITA’ ECONOMICA
EUROPEA (CEE) E LA COMUNITA’ EUROPEA DELL’ENERGIA ATOMICA
Il successo della CECA impresse al processo di integrazione europea una spinta forse eccessiva e prematura.
Gli stessi Stati che sottoscrissero il Trattato CECA sottoscrissero a Parigi, il 27 Maggio 1952, un nuovo
Trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa (CED), che comportava la creazione di un esercito
europeo, di un apparato istituzionale e di un meccanismo di reazione a qualsiasi aggressione contro uno
Stato membro. Tale trattato non entrò però mai in vigore
1. dal punto di vista politico: poiché non fu ratificato dalla Francia, ostile all’iniziativa per
sopraggiunte ragioni politiche interne ed esterne;
2. dal punto di vista ideologico: poiché si trattava di un progetto eccessivamente ambizioso e poco
realistico, che non teneva conto delle resistenze che si incontrano quando dall’approccio economico-
sociale si tenta di operare un salto di qualità politico.
Tale fallimento, determinò un nuovo impulso del metodo funzionalista che condusse alla firma, a Roma,
nel Marzo del 1957, del Trattato Istitutivo della Comunità economia europea, la CEE, e della Comunità
europea dell’energia atomica, la CEEA (Euratom), entrati in vigore il 1° Gennaio 1958.
OBIETTIVI
Il Trattato CEE, come quello CECA, ha un oggetto di natura essenzialmente economica e commerciale
ma, a differenza di quest’ultima, non prefigura un intervento settoriale ma generale:

1. è diretto a istituire
a) una unione doganale, implicante l’eliminazione di dazi doganali, restrizioni quantitative e
ogni altro ostacolo agli scambi di merci tra i Paesi membri;
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b) lo stabilimento di una tariffa doganale comune negli scambi con i Paesi, accompagnata da
una politica commerciale comune;
2. prevede la progressiva creazione di un mercato comune caratterizzato dalla eliminazione degli
ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali tra gli Stati
membri;
3. comporta un regime inteso a garantire che la libera concorrenza non sia falsata nel mercato interno.
Accanto a questi obiettivi, ispirati a principi liberisti di un’economia di mercato aperto, la CEE ha
contemplato una serie di “politiche”, volte a riequilibrare l’approccio liberoscambista e rivelatrici di un
approccio “interventista” in segmenti deboli dell’economia:
 politica agricola comune,
 politica sociale,
 politica dei trasporti,
alle quali, si sono affiancate ulteriori politiche, a favore di fasce sociali fragile e di zone in ritardo di
sviluppo:
 quale la politica regionale (coesione economica, sociale e territoriale).
QUADRO ISTITUZIONALE
Il quadro riprendeva quello della CECA con la quale condivise, fin dalla nascita
• Assemblea (attuale Parlamento Europeo);
• Corte di Giustizia

Le altre istituzioni
• Commissione: corrispondeva all’Alta Autorità;
• Consiglio: corrispondeva al Consiglio dei ministri.
(unificati successivamente, con il Trattato di Bruxelles dell’8 aprile 1965 sulla fusione degli
esecutivi)
Quanto alla CEEA, la quale presenta sensibili somiglianze con la CEE nei suoi tratti giuridici essenziali,
essa nasceva con
“il compito di contribuire, creando le premesse necessarie per la formazione e il rapido incremento delle
industrie nucleari, all’elevazione del tenore di vita negli Stati Membri e allo sviluppo degli scambi con gli
altri Paesi”.

IL CARATTERE “SOPRANAZIONALE” DELLE COMUNITA’ EUROPEE: IL


PARZIALE TRASFERIMENTO DI POTERI LEGISLATIVI
Le tre Comunità europee si differenziano sin dalla loro nascita dalle comuni organizzazioni internazionali.
➔ “Comunità” evoca un rapporto più stretto e intenso di quello che si realizza nelle
organizzazioni tradizionali.
Infatti, queste vennero qualificate come “sopranazionali”, sottolineando gli elementi di novità che esse
presentano rispetto alle organizzazioni internazionale.
SIMILITUDINE
Le une e le altre prendono vita mediante la conclusione di un accordo tra gli Stati Membri, con cui
stabiliscono gli scopi comune e la struttura dell’ente.
DIFFERENZE
ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI COMUNITA’ SOVRANAZIONALI
Intergovernative: gli Stati membri sono di norma I cittadini partecipano alla vita della comunità
rappresentati esclusivamente dai propri governi (1) mediante il Parlamento europeo e il Comitato
(non vi è alcuna forma di partecipazione dei economico sociale.
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popoli)
Gli atti di queste organizzazioni hanno come Vi è un trasferimento di sovranità dagli Stati
destinatari gli Stati Membri, a cui spetta poi dare Membri all’Unione e a tale elemento si collega la
esecuzione agli obblighi nascenti da suddetti atti. soggettività degli individui nell’ordinamento
(Stato interposto quale diaframma tra dell’Unione. Gli organi dell’Unione hanno quindi il
l’organizzazione internazionale e la propria potere di adottare atti obbligatori e direttamente
comunità interna) applicabili.
Si tratta di differenze ben presto evidenziate non solo dalla dottrina, ma dalla giurisprudenza della Corte di
giustizia dell’Unione europea.

Sentenza Van Gend en Loos


Questa, nella celebre sentenza del 5 febbraio 1963, causa 26/62, Van Gend en Loos, dichiarò:

“Lo scopo del Trattato CEE, cioè l’instaurazione di un mercato comune il cui funzionamento incide
direttamente sui soggetti della Comunità [oggi Unione], implica che esso va al di là di un accordo che si
limitasse a creare degli obblighi reciproci fra gli Stati contraenti.
Ciò è confermato [...] dalla instaurazione di organi investiti istituzionalmente di poteri sovrani da
esercitarsi nei confronti sia degli Stati membri sia dei loro cittadini. Va poi rilevato che i cittadini degli
Stati membri della Comunità collaborano (1), attraverso il Parlamento europeo e il Comitato economico e
sociale, alle attività della Comunità stessa.
La funzione attribuita alla Corte di giustizia dall’art. 177 [oggi art. 267 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea: oltre, par. 11], funzione il cui scopo è di garantire l’uniforme interpretazione del
Trattato da parte dei giudici nazionali, costituisce la riprova del fatto che gli Stati hanno riconosciuto al
diritto comunitario [oggi dell’Unione] un’autorità tale da poter esser fatto valere dai loro cittadini davanti
a detti giudici. Inconsiderazione di tutte queste circostanze si deve concludere che la Comunità costituisce
un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati
hanno rinunziato (2), anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come
soggetti non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini».
In relazione al trasferimento di sovranità…
EMERGE SUL PIANO DELLA POTESTÀ LEGISLATIVA: gli organi dell’Unione sono legittimati a
rivolgersi sia nei confronti degli Stati membri sia dei loro cittadini;
➔ Possono adottare atti obbligatori direttamente applicabili idonei
 a produrre obblighi e diritti per i singoli;
 a essere applicato dai giudici e dalle autorità di ciascuno Stato.

1. fa sì che i cittadini siano immediatamente destinatari di diritti e obblighi derivanti da norme


europee
con possibilità di esercitarli in giudizio davanti ai giudici nazionali.

2. Sancisce un primato del diritto comunitario su quello interno incompatibile


In merito a ciò: 15 Luglio 1964, causa 6/64, COSTA C. ENEL

“Il trasferimento dei diritti e degli obblighi corrispondenti alle disposizioni del Trattato implica […] una
limitazione definitiva dei loro diritti sovrani di fronte ad un atto unilaterale ulteriore incompatibile col
sistema della Comunità, sarebbe del tutto privo di efficacia”
Questa definizione è stata anche accolta dalla Corte Costituzionale.
Tuttavia, gli Stati membri possano riappropriarsi della loro piena sovranità mediante il diritto di recesso
dall’Unione, previsto dall’art. 50 TUE e, in concreto, esercitato dal Regno Unito.
➔ Spesso si definisce “delega di poteri” e non “trasferimento”
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3. Caratterizza l’Unione Europea come un “tertium genus” in forza dell’originalità del fenomeno di
integrazione europea:
Il diritto dell’Unione così penetra all’interno delle società statali mostrando le peculiarità che le Comunità
sopranazionali presentano rispetto alle tradizionali esperienze delle organizzazioni internazionali.

In merito a ciò: parere 1/91 della Corte di giustizia del 14 dicembre 1991 relativo allo Spazio
economico europeo (SEE):
«I Trattati comunitari [oggi dell’Unione] hanno instaurato un ordinamento giuridico di nuovo genere, a
favore del quale gli Stati hanno rinunziato, in settori sempre più ampi, ai loro poteri sovrani e che riconosce
come soggetti non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini. Le caratteristiche fondamentali
dell’ordinamento giuridico comunitario così istituito sono, in particolare, la sua preminenza sui diritti degli
Stati membri e l’efficacia diretta di tutta una serie di norme che si applicano ai cittadini di tali Stati
nonché agli Stati stessi».
EMERGE SUL PIANO GIURISDIZIONALE: Tale trasferimento dagli Stati membri alle Comunità
europee non riguarda solo la potestà legislativa ma anche quella giudiziaria.

1. Rinvio pregiudiziale
In questa sede va richiamata la competenza, attribuita alla Corte di giustizia, detta “pregiudiziale” o “di
rinvio” regolata nel Trattato sul funzionamento dellʼUnione Europea (TFUE) dallʼ art 267:
Qualora in un processo dinnanzi ad un giudice nazionale sorga una questione concernente
l’interpretazione dei Trattati europei o di un atto delle istituzioni europee, o la validità di tale atto e la
soluzione di detta questione sia necessaria affinché il giudice possa decidere il caso sottoposto al suo
esame, lo stesso giudice deve sospendere il processo e chiedere alla Corte di giustizia di risolvere la
suddetta questione.
La Corte di giustizia non decide il caso concreto, ma si limita a pronunciare la corretta interpretazione
della norma europea e a decidere se l’atto in questione sia valido o meno;
Al giudice nazionale spetterà poi decidere dell’applicabilità della norma al caso in questione uniformandosi
alla pronuncia della Corte. (la decisione del caso concreto spetta a lui)
➔ La sentenza della Corte di giustizia è per lui obbligatoria; di conseguenza la decisione nazionale si
fonderà̀ sulla interpretazione della norma europea.
L’art. 267 non implica l’attribuzione alla Corte della competenza a decidere la cause nazionali, tuttavia esso
comporta una pesante “interferenza” della Corte di Giustizia sulla sorte di tali cause
anche nella potestà̀ giurisdizionale si è determinato una (se pur limitata) attribuzione di poteri dagli
Stati membri all’Unione europea.

2. Effetti delle sentenze interpretative (erga omnes?)


Sebbene, ai sensi dell’art 267 TFUE, le sentenze della Corte sono obbligatorie solo per il giudice a quo, esse
tendono a produrre effetti generali, vincolando i giudici interni a conformarsi ad esse:
• La Corte di giustizia ha affermato che, in presenza di una propria sentenza su una data questione
interpretativa o che accerti l’invalidità̀ di un atto delle istituzioni europee, il giudice nazionale non è
più̀ tenuto a rivolgersi alla Corte stessa, potendo fare affidamento sull’interpretazione o
sull’accertamento contenuto in tale sentenza.
• La Corte costituzionale ha affermato che il giudice nazionale deve applicare la pronuncia della
Corte di giustizia in luogo della legge italiana incompatibile.

3. Ruolo creativo
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La Corte ha mostrato di sentirsi svincolata da un rispetto delle norme, svolgendo una funzione di evoluzione,
di impulso affermando i caratteri propri del diritto dell’Unione Europea.
➔ il ruolo svolto dalla Corte di giustizia è in qualche misura equiparabile a quello del giudice nei
sistemi di common law, o del praetor del diritto romano, risolvendosi in una funzione “creativa”
del diritto.
EMERGE SUL PIANO DELLA “SOVRANITA’ MONETARIA”: L’adozione dell’Euro come moneta
unica e, di conseguenza, l’attribuzione alla Banca centrale europea del potere di “battere moneta”, tipica
prerogativa sovrana, e della competenza in materia politica monetaria completa, è ulteriore manifestazione
del “trasferimento” di poteri sovrani alle Istituzioni Europee.

L’ALLARGAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA


Attualmente il quadro dell’integrazione europea si è arricchito e ampliato.
Per quanto riguarda gli Stati membri, da 6 il numero degli Stati appartenenti alle Comunità e all’Unione
Europea si è ampliato agli attuali 27 Stati.
 Regno Unito, Irlanda e Danimarca (membri dal 1° gennaio 1973);
 Grecia (dal 1° gennaio 1981),
 Portogallo e Spagna (dal 1° gennaio 1986
 Austria, Finlandia e Svezia (dal 1° gennaio 1995)
 Cipro, Repubblica ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica slovacca,
Slovenia, Ungheria - dal 1° maggio 2004
 Bulgaria e Romania, il 1° gennaio 2007.

Le differenze che sussistono tra gli Stati preesistenti e quelli nuovi hanno reso necessario introdurre varie
misure:
1. clausole di Salvaguardia inserite negli atti di adesione che, a certe condizioni, possono essere usate
per evitare di applicare delle disposizioni a nuovi Stati membri.
2. deroghe all’applicazione del diritto dell’Unione per i nuovi Stati sempre previste nell’atto
di adesione, tenendo conto delle loro difficoltà ad adeguarsi ai preesistenti standard europei
ma anche per tutelare gli interessi degli Stati già membri.
3. Adattamenti delle norme dei Trattati per quanto concerne il funzionamento delle
istituzioni.

GLI SVILUPPI DELL’UNIONE EUROPEA


Dagli anni 80 si è messo in moto il processo che ha condotto all’attuale Unione Europea.

1. sottoscrizione dell’Atto unico europeo, entrato in vigore il 1°luglio del 1987


➔ Faceva seguito ad un progetto di Trattato, approvato dal Parlamento europeo nel 1984, e notocome
Trattato Spinelli: stabiliva che il Parlamento e il Consiglio dell’Unione dovessero esercitare
congiuntamente il potere legislativo e che una legge potesse essere adottata solo se approvata da
entrambi. (mai entrato in vigore)
Atto unico europeo (surrogato del trattato), il quale:
a) instaurò una cooperazione europea in materia di politica estera, basata sull’informazione
reciproca, sulla cooperazione e sul coordinamento tra gli stati;
b) diede la possibilità al Consiglio di adottare un atto anche contro la volontà del
Parlamento;
c) fissò una data precisa (31 dicembre del 1992) entro cui la CEE avrebbe dovuto adottare le
misure necessarie per il completamento del mercato interno
➔ attraverso la realizzazione di quattro fondamentali libertà di circolazione: merci,
persone, servizi, capitali;
d) Istituì nuove politiche europee, quale, ad esempio, la politica di coesione economica e
sociale volta a ridurre il divario tra diverse regioni.

IL TRATTATO DI MAASTRICHT DEL 1992 E LA NASCITA DELL’UNIONE EUROPEA


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La struttura portante dell’odierna Unione europea è rappresentata dal Trattato di Maastricht del 7 febbraio
del 1992, entrato in vigore il 1°novembre 1993. Esso riunisce tutte le tre originarie Comunità europee
(CECA, CEE E CEEA) dando vita ad una più ampia organizzazione, l’Unione Europea.

Con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, da un punto di vista formale, convivono ben 4 trattati:
1. il TUE contenente la disciplina della PESC e della GAI;
2. il Trattato sulla Comunità Economica Europea poi ridenominata Comunità Europea;
3. il Trattato dellʼEuratom (sulla comunità europea dell’energia atomica);
4. il Trattato CECA (estintosi nel 2002).

Il trattato di Maastricht si fonda su tre pilastri:


1. il primo, rappresentato dalle Comunità europee (i cui trattati istitutivi sono sensibilmente
modificati)
2. il secondo consistente nella politica estera e di sicurezza comune (PESC),
3. il terzo, relativo alla giustizia e affari interni (GAI).

Questa articolazione in tre pilastri, superata dal Trattato di Lisbona, comporta che
1. Nel primo pilastro operano pienamente le istituzioni, i procedimenti, il sistema delle fonti e il
carattere sopranazionale proprio delle originarie Comunità Europee.
2. Negli altri due pilastri prevale, invece, il metodo intergovernativo tradizionale, nel quale operano
soprattutto gli Stati membri, rappresentati dai rispettivi governi.

Ulteriori fondamentali sviluppi


 Profili monetari dell’integrazione europea: Stabilisce ritmi e condizioni per il passaggio a una moneta
unica europea, lʼEuro.
 Profili dell’integrazione inerenti ai diritti sociali e umani:
a) Riconosce quali principi generali del diritto comunitario i diritti umani fondamentali, risultanti
dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (1950) e dalle tradizioni costituzionali dei paesi
membri;
b) istituisce una cittadinanza europea, consistente in uno status giuridico spettante ad ogni cittadino
di uno Stato membro dell’Unione.
Questa sollecitudine per i profili umani e sociali dell’integrazione giustifica anche il mutamento
dell’originale denominazione della CEE (Comunità Economica Europea) in Comunità Europea (da
un’entità economica e commerciale ad una dimensione più elevata, di carattere sociale)

Altre due innovazioni del Trattato sono:


1. la “codecisione”: una nuova procedura di adozione degli atti comunitari che comporta che lato sia
adottato solo se sul suo testo si registra la comune volontà sia del Parlamento europeo che del
Consiglio;
2. modello dell’Europa a più velocità, a cerchi concentrici, a integrazione differenziata:
l’accettazione di un modello di integrazione europea non necessariamente uniforme per tutti gli Stati
membri (e.g. si è previsto che non tutti gli Stati accettassero l’euro).

GLI SVILUPPI SUCCESSIVI E IL FALLIMENTO DELLA “COSTITUZIONE EUROPEA”


Innovazioni significative sono state apportate dal Trattato di Amsterdam del 1997, entrato in vigore nel
1999: in esso si accentua la connotazione politico-sociale della costruzione europea
1. proclama i principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto quali
principi fondanti dell’Unione, inserendo come obiettivo la promozione di un elevato livello di
occupazione.
2. Istituzionalizza il modello dell’Europa a più velocità prevedendo il meccanismo di cooperazione
rafforzata;
3. Apporta modifiche al secondo pilastro,
4. Realizzata una parziale “comunitarizzazione” del terzo pilastro nel senso che materie appartenenti
ad esso (asilo, immigrazione, visti…) vengono sottratte al Trattato sull’Unione Europea e passano
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nell’ambito del Trattato della Comunità Europea. Il terzo pilastro riduce quindi il suo ambito di
applicazione alla sola cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

Modeste innovazioni sono state apportate dal Trattato di Nizza del 26 febbraio 2001, in vigore dal 3
febbraio 2003.
1. Contiene novità di un certo rilievo in relazione alla organizzazione giudiziaria (non attuate nel
trattato);
2. Reca “disposizioni abilitanti”, le quali prevedono che le istituzioni europee possano creare nuovi
organi giudiziari e modificare talune competenze di quelli esistenti;
3. Amplia l’ambito di applicazione della procedura di codecisione e cooperazione rafforzata.
Non vi è stata inserita la Carta di Nizza dei diritti fondamentali, adottata il 7 Dicembre 2000 e proclamata
e firmata dai presidenti del Parlamento europeo il 12 dicembre 2007.
➔ La carta, in virtù del Trattato di Lisbona, ha acquisito dal 1° dicembre 2009 pieno valore giuridico.

Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (comunemente denominato "Costituzione europea")
è stato firmato a Roma nel 2004 e, ove fosse entrato in vigore, avrebbe comportato una profonda
trasformazione dell'assetto normativo e istituzionale.
Esso non derivava dal negoziato tra i rappresentanti dei governi degli Stati membri. Il testo, infatti, è stato
elaborato e approvato per consensus1 da una "Convenzione", organo collegiale composto dai rappresentanti
dei governi, della Commissione, del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali (seguendo il modello
sperimentato con successo per la redazione della Carta di Nizza sui diritti fondamentali), il confronto,
trasparente, partecipativo, aperto come mai era accaduto in passato, ha conferito una profonda legittimazione
democratica al testo, definitivamente approvato dalla conferenza intergovernativa di Roma.

La Costituzione europea non è entrata in vigore, occorrendo, a tal fine, la ratifica di tutti gli Stati membri
(l'Italia vi ha provveduto mediante la legge 7 aprile 2005 n. 57) e, in seguito all’esito negativo dei
referendum francese e di quello olandese del 2005, la Costituzione è stata prima “posticipata” e poi
accantonata: il Consiglio europeo di Bruxelles del 21-22 giugno 2007 ha espressamente dichiarato che "il
progetto costituzionale è abbandonato" ed ha affidato a una conferenza intergovernativa il mandato di
elaborare un nuovo trattato di riforma.

IL TRATTATO DI LISBONA DEL 2007


Il 19 ottobre 2007, i Capi di Stato o di governo, in chiusura della suddetta conferenza, hanno approvato il
testo del Trattato, che è stato sottoscritto a Lisbona il successivo 13 dicembre.

Il travagliato processo di ratifica

Irlanda
Il Trattato è stato bocciato nel referendum tenutosi in Irlanda il 12 giugno 2008 e, solo dopo varie
concessioni a tale Paese (relative, in particolare, a politica fiscale, diritto alla vita, istruzione e famiglia,
questioni sociali, politica di difesa e di sicurezza), un secondo referendum ha dato esito positivo.

Germania
In Germania, la Corte costituzionale tedesca, con sentenza del 30 giugno 2009, ha dichiarato che una delle
leggi emanate in Germania al fine di consentire l'immissione del Trattato di Lisbona nel proprio ordinamento
(quella relativa all'estensione dei poteri del Parlamento tedesco concernenti il funzionamento dell'Unione

1
che consiste nell’approvare una risoluzione, non con votazione formale, ma con dichiarazione del presidente
dell’organismo che attesta l’accordo tra i membri.
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europea) era in contrasto con la Costituzione e richiedeva una modifica (successivamente attuata) per
rafforzare ulteriormente i poteri del Bundestag e del Bundesrat (le due camere del predetto Parlamento).
Polonia e repubblica Ceca
Ostilità al Trattato di Lisbona è stata a lungo manifestata dalla Polonia e dalla Repubblica ceca, alla quale
ultima sono state infine estese le stesse limitazioni degli effetti obbligatori della Carta dei diritti fondamentali
già concessi alla Polonia e al Regno Unito con il Protocollo n. 30.
Il Trattato di Lisbona è entrato in vigore il 1° dicembre 2009 (anziché il 1° gennaio 2009).
I due Trattati: TUE e TFUE
A differenza della c.d. Costituzione europea, che unificava in un solo Trattato quello sull'Unione europea e
quello sulla Comunità europea, il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 conserva la separazione in due
distinti Trattati:
1. il “Trattato sull’Unione europea” (TUE) ed
2. il "Trattato sul funzionamento dell'Unione europea " (TFUE, già Trattato sulla Comunità europea),
in conformità della unificazione dell'Unione e della Comunità europea nella sola Unione europea.

Articolo 1.3 TUE


L'Unione si fonda sul presente trattato e sul trattato sul funzionamento dell'Unione europea (in appresso
denominati «i trattati»). I due trattati hanno lo stesso valore giuridico. L'Unione sostituisce e succede alla
Comunità europea.
Tale suddivisione risponde in minima parte a una distribuzione razionale e sistematica delle materie
disciplinate, ma è in larghissima misura il risultato della preesistente divisione e crea un quadro
normativo spesso confuso e disordinato, aggravato dalla presenza di 37 protocolli (con due allegati), nei
quali è ulteriormente ripartita la disciplina dell'Unione europea, in quanto, come dichiara l'art. 51 TUE:
«I protocolli e gli allegati ai Trattati ne costituiscono parte integrante».
Ai Trattati fa seguito una miriade di dichiarazioni, adottate dalla Conferenza intergovernativa o da singoli
Stati, di cui si tiene conto, sia pure essenzialmente sul piano interpretativo (salvo contengano "decisioni",
obbligatorie, destinate ad entrare in vigore).
L’”incorporazione” della Comunità nell’Unione
Il Trattato di Lisbona unifica l'Unione europea e la Comunità europea nella sola Unione.
In sostituzione dell'art. 281 del Trattato sulla Comunità europea, che riferiva alla Comunità europea la
personalità giuridica, il vigente art. 47 TUE dichiara:
«L'Unione ha personalità giuridica».
L’unificazione, tuttavia, non è piena, “Sopravvive” la CEEA (o Euratom), alla quale il Trattato di Lisbona
dedica un Protocollo contenente modifiche al suo Trattato istitutivo, per raccordarlo ai Trattati.
L’abolizione della struttura in “tre pilastri”
Il Trattato di Lisbona abolisce la struttura in tre pilastri creata dal Trattato di Maastricht del 1992 e
modificata, rispetto al terzo pilastro, da quello di Amsterdam del 1997, cioè, si ha una generalizzazione delle
regole proprie dell'originario diritto comunitario ("diritto dell'Unione europea"). Tuttavia, la politica estera e
di sicurezza comune (comprendente la politica di sicurezza e di difesa comune) resta soggetta a proprie
regole specifiche (contenute essenzialmente nel Trattato sull'Unione europea), che ne perpetuano il carattere
marcatamente intergovernativo.
11

L’istituzione del Presidente dell’Unione e dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di
sicurezza
Riguardo alla struttura organizzativa dell'Unione la novità più rilevante consiste
1. nella istituzione di un Presidente dell'Unione (Cap. V, par. 5), eletto, per un mandato di due anni e
mezzo, dal Consiglio europeo, e dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica
di sicurezza (Cap. V, par. 13), avente il doppio incarico di Presidente del Consiglio "Affari esteri" e
di vicepresidente della Commissione.
L’incremento della legittimità democratica
Molto importante è l'aumento dei poteri del Parlamento europeo sia in materia di bilancio che di adozione
degli atti dell'Unione: la codecisione (Cap. VI, par. 6) diviene procedura legislativa ordinaria.
La legittimità democratica è inoltre accresciuta dai poteri dei parlamenti nazionali, dal controllo sul
rispetto del principio di sussidiarietà e dal diritto dei cittadini europei (in numero di almeno un milione) di
invitare la Commissione a presentare una proposta di atto giuridico (Cap. II, par. 4).
I diritti fondamentali
Sul piano dei diritti fondamentali viene garantito il valore giuridico della Carta di Nizza dei diritti
fondamentali.
Articolo 6.1 TUE
1. L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico
dei trattati.
Viene anche inserita una base giuridica per l'adesione dell'Unione alla Convenzione europea dei diritti
dell'uomo.
L’integrazione differenziata ed il recesso
Agli sviluppi dell'integrazione europea, che si realizzano con il Trattato di Lisbona, fanno riscontro, peraltro,
1. varie clausole di eccezione per alcuni Stati (c.d. opting out),
2. un più agevole ricorso alla cooperazione rafforzata e
3. un'espressa clausola di recesso (Cap II, par. 8)
L’aumento delle competenze di attribuzione
Talune modifiche riguardano le materie di competenza dell'Unione, che sono accresciute sotto vari aspetti.
P.es. lo sport (art. 165 TFUE), una più intensa protezione della salute umana (art. 168 TFUE), la politica
spaziale europea (art. 189 TFUE), la politica nel settore dell'energia (art. 194 TFUE), il turismo (art. 195
TFUE).
Il superamento dell’ottica economica e mercantile
Il Preambolo del TUE mette in luce l'ormai definitivo superamento di un'ottica meramente economica e
mercantile della costruzione europea e il tentativo di indirizzare tale costruzione verso obiettivi di più alto
respiro, fondati sui "valori" insiti nelle "radici" europee. Ci riferiamo al passaggio nel quale gli Stati parti
dichiarano solennemente di ispirarsi «alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa, da cui si
sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della
democrazia, dell'uguaglianza e dello stato di diritto».
12

CAPITOLO II
OBIETTIVI, VALORI E PRINCIPI DELL’UNIONE EUROPEA
OBIETTIVI
Obiettivi dell’Unione Europea
Il deciso ampliamento del progetto europeo, comprensivo di una gamma di valori ed interessi, da tutelare e
realizzare
1. a beneficio dei cittadini europei, ma
2. anche sulla scena internazionale
è esemplificato dall’art. 3 TUE, che esordisce dichiarando, al par. 1:

Articolo 3.1 TUE


1. L'Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli.

L'art. 2 TUE enuncia puntualmente tali valori, tuttavia il riferimento a “valori” non si riduce a un vago
richiamo a generici principi, il loro rispetto
 è condizione imprescindibile per l'ingresso di nuovi Stati membri ed
 è garantito con un procedimento sanzionatorio nei confronti di Stati che siano già membri
dell'Unione.

Articolo 2 TUE
L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia,
dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone
appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal
pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra
donne e uomini.

Il par. 2 dello stesso art. 3 prevede inoltre:

Articolo 3.2 TUE


2. L'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui
sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i
controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro
quest'ultima.
➔ “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” mette in luce il necessario contemperamento tra le
esigenze di libertà di circolazione e quelle di sicurezza, sia ai confini dell’Unione che all’interno,
mediante la cooperazione giudiziaria e di polizia.

Si tratta di un richiamo al (ex) terzo pilastro dell'Unione europea “giustizia e affari interni" (GAI), rientrante
ormai a pieno titolo nel diritto dell'Unione europea a seguito della soppressione della struttura "a pilastri"
dell'Unione.

Mercato interno
Risulta, invece, collegato all'originario "pilastro" comunitario, cioè agli scopi e alle realizzazioni conseguite
dalla Comunità europea, il par. 3:

Articolo 3.3.1 TUE


3. L'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una
crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente
competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di
miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico.

Di particolare importanza è il riferimento al mercato interno, così definito dall'art. 26, par. 2, TFUE:
13

Articolo 26.2 TFUE


2. Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera
circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni dei trattati.

Si tratta del "nucleo duro" dell’originaria costruzione europea, quel mercato comune con il quale si tendeva
ad identificare la comunità europea.
➔ Colpisce l'eliminazione del riferimento a "un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia
falsata nel mercato interno", che rappresentava un principio basilare nel Trattato sulla Comunità
europea.

Merita di esser segnalata l’espressione “economia sociale di mercato”: tende a conciliare


 il concetto di mercato, che evoca interessi e utilità individuali,
 con quello di interesse e bene comune.
In altri termini, si tratta di un modello di economia che, pur continuando a garantire l’utilità individuale, sia
orientata, mediante opportuni interventi pubblici, anche verso finalità sociali, quali la piena occupazione e il
progresso sociale.
in coerenza con il superamento dell'originario disegno europeo in direzione dello sviluppo sociale
dell’Unione:
Art. 3.3.2 TUE
L'Unione combatte l'esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali,
la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore.

Politica economica e monetaria

Articolo 3.4 TUE


4. L'Unione istituisce un'unione economica e monetaria la cui moneta è l'euro.

A tale enunciazione - ma anche all'obiettivo di uno sviluppo sostenibile, basato, tra l'altro, sulla stabilità dei
prezzi, di cui al precedente par. 3 - si collega la politica economica e monetaria UE (parte terza, titolo VIII,
TFUE), basata sui principi di cui all'art. 119 TFUE, par. 3:
"Prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia dei pagamenti sostenibile".

La politica economica è prerogativa degli Stati membri, in coordinamento tra loro e con l’Unione.

Articolo 119.1 TFUE


1. Ai fini enunciati all'articolo 3 del trattato sull'Unione europea, l'azione degli Stati membri e dell'Unione
comprende, alle condizioni previste dai trattati, l'adozione di una politica economica che è fondata sullo
stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla
definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in
libera concorrenza.
La politica economica è condotta congiuntamente dall'Unione e dagli Stati membri, i quali:
sono tenuti a operare per la realizzazione dei fini dell'art. 3 TUE e nel rispetto dei principi di
un'economia di mercato aperto e di libera concorrenza;
devono fondare le loro politiche su uno stretto coordinamento, tra di loro e con l'Unione, la quale
emana mediante delibera del Consiglio una raccomandazione (non obbligatoria) recante gli
indirizzi di massima per le politiche economiche;
 Art. 121 TFUE → meccanismo di sorveglianza multilaterale sul rispetto di tali indirizzi
da parte degli stati membri.
 sono tenuti ad evitare disavanzi pubblici eccessivi.
 Art. 126 TFUE → procedura di sorveglianza da parte dell’Unione che può comportare
decisioni obbligatorie o ammende rivolte allo Stato in situazione di disavanzo
eccessivo.

Il meccanismo di sorveglianza sui parametri stabiliti a livello europeo è stato rafforzato con
1. L’adozione di un nuovo “Patto di Stabilità e Crescita” (c.d. Six Pack): che prevede forme di
sorveglianza preventiva, rigorosi controlli e sanzioni, anche finanziarie, semiautomatiche sia nel
caso di disavanzi eccessivi che nel caso di superamento di determinati limiti del debito pubblico.
14

2. Ulteriori, stringenti vincoli alle politiche economiche degli Stati appartenenti alla zona euro sono
stati fissati con il Trattato di Bruxelles del 2 marzo 2012 sulla stabilità, sul coordinamento e
sulla governance nell’Unione economica e monetaria (c.d. Fiscal Compact), in vigore dal 1°
gennaio 2013, il quale, peraltro, non appartiene al diritto dell’Unione europea, essendo un accordo
internazionale estraneo al sistema giuridico dell’Unione.

La politica monetaria, al contrario, costituisce ormai una competenza esclusiva dell’Unione:

Articolo 119.2 TFUE


2. Parallelamente, alle condizioni e secondo le procedure previste dai trattati, questa azione comprende una
moneta unica, l'euro, nonché la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una politica del
cambio uniche, che abbiano l'obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo
obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nell'Unione conformemente al principio di
un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza.

E in maniera inequivocabile l'art. 3, par. 1, lett. c), TFUE dichiara che l'Unione ha competenza esclusiva
nella «politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l'euro».

Gli organi monetari


• SEBC Sistema europeo di banche centrali
• Banca centrale europea, BCE

La politica dei cambi


Per la politica dei cambi, anche nei rapporti con Stati terzi, è stabilita la competenza del Consiglio (art. 219
TFUE).

L’area Euro
La politica monetaria si riferisce solo agli Stati dell'area "euro", restandone esclusi quelli che non soddisfano
le condizioni necessarie per l'adozione dell'euro, definiti "Stati membri con deroga" (art. 139 TFUE) (la
Svezia e gli Stati entrati nell'Unione dal 1° maggio 2004 in poi, con eccezione della Slovenia, entrata
nell'area dell'euro il 1° gennaio 2007, di Cipro e Malta, che hanno adottato l'euro il 1° gennaio 2008, e della
Slovacchia, dal 1° gennaio 2009), nonché il Regno Unito e la Danimarca, che hanno esercitato la facoltà di
non partecipare alla terza fase dell'Unione economica e monetaria, quella comportante l'introduzione
dell'euro, nonché al trasferimento delle decisioni di politica monetaria dagli Stati membri all'Unione (facoltà
di opting out).

La distinzione tra le misure di politica economica e quelle di politica monetaria non è sempre agevole. La
stessa Corte di giustizia ha riconosciuto che gli autori dei Trattati non hanno inteso operare una separazione
assoluta tra la politica economica e quella monetaria (sentenza dell’11 dicembre 2018, causa C-493/17,
Weiss e altri).
Peraltro, essa ha affermato che, per stabilire se una misura rientri nell’una o nell’altra politica,

«occorre fare riferimento principalmente agli obiettivi della misura stessa. Sono altresì̀ rilevanti i mezzi che
tale misura mette in campo per raggiungere detti obiettivi».
La Corte ha dichiarato che
1. Alla luce della finalità della politica monetaria, rientrano in essa le misure volte a mantenere la
stabilità dei prezzi;
2. Vanno qualificate come misure di politica economica quelle dirette a mantenere la stabilità
finanziaria dell’intera zona euro, finalità della suddetta politica economica.

Relazioni internazionali
L'Unione europea si pone sulla scena internazionale come un soggetto politico (e, nell'ambito delle sue
competenze, anche giuridico), non solo a tutela dei propri interessi, ma anche facendosi portatrice di interessi
e valori di carattere generale.

Articolo 3.5 TUE


15

5. Nelle relazioni con il resto del mondo l'Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo
alla protezione dei suoi cittadini. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della
Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all'eliminazione
della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore, e alla rigorosa osservanza
e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni
Unite.

L’azione esterna dell’UE


L'azione esterna dell'Unione europea riguarda
 la politica commerciale,
 la cooperazione allo sviluppo,
 la cooperazione economica, finanziaria e tecnica con i Paesi terzi,
 l'aiuto umanitario, ma
 anche importanti procedimenti, come la conclusione degli accordi internazionali dell'Unione con Stati
terzi o altre organizzazioni internazionali,
 nonché l'obbligo di cooperazione degli Stati membri, coordinati in seno al Consiglio, nei confronti di
uno Stato membro che sia oggetto di un attacco terroristico o vittima di una calamità naturale o
provocata dall'uomo: (art. 222 TFUE, c.d. clausola di solidarietà).

Si evidenziano il rispetto del diritto internazionale e dei principi della Carta delle Nazioni Unite.
1. Sotto il primo profilo, l’Unione conferma la sua sottoposizione al diritto internazionale, che è tenuta
a rispettare in quanto soggetto di tale ordinamento;
2. Riguardo alla Carta delle Nazioni Unite, la proclamata fedeltà
o Non solo implica il rispetto delle sue norme materiale;
o Ma acquista rilevanza nel contesto di una dimensione militare: L'Unione europea pone a
disposizione delle Nazioni Unite le proprie capacità militari ai fini del mantenimento (e, se
del caso, dell'imposizione) della pace.
"Disposizioni di applicazione generale" (titolo II della parte prima TFUE)
Si tratta di obiettivi trasversali alle diverse politiche e azioni dell'Unione (queste ultime devono tendere a
realizzare i seguenti obiettivi), che comprendono:
 uguaglianza: l'eliminazione delle ineguaglianze e la promozione della parità tra uomini e donne (art. 8 TFUE);
 progresso sociale: la promozione di un elevato livello di occupazione, la protezione sociale, lalotta contro
l’esclusione, un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana (art. 9);
 non discriminazione: la lotta alle discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione
o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale (art. 10);
 la tutela dell'ambiente, in particolare nella prospettiva di uno sviluppo sostenibile (art. 11);
 la protezione dei consumatori (art. 12).
 il benessere degli animali: nell'ambito delle politiche concernenti vari settori (agricoltura, pesca, trasporti,
mercato interno, ricerca e sviluppo tecnologico e spazio) l'Unione e gli Stati membri devono tenere conto
pienamente delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto "esseri senzienti" (art. 13).
➔ Principi effettivi: CORTE DI GIUSTIZIA, parere 2/15 del 16 maggio 2017 → i citati artt. 9, 11,
contribuiscono a configurare lo sviluppo sostenibile come parte integrante della politica commerciale
comune.

Il principio di coerenza tra le attività dell’UE


In apertura di tali disposizioni generali, l'art. 7 TFUE prescrive la necessità di coerenza fra le diverse attività
dell'Unione, avendo di mira il complesso dei suoi obiettivi:

Articolo 7 TFUE
L'Unione assicura la coerenza tra le sue varie politiche e azioni, tenendo conto dell'insieme dei suoi
obiettivi e conformandosi al principio di attribuzione delle competenze.

VALORI FONDANTI DELL’UNIONE EUROPEA


16

Articolo 2 TUE
L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia,
dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone
appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal
pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra
donne e uomini.

Il rispetto dei valori fondanti e la sanzione


Sia gli Stati membri sia le istituzioni, gli organi e gli organismi dell'Unione europea sono tenuti a rispettare i
valori suddetti, posti a fondamento dell’Unione Europea e comuni agli Stati Membri;
in caso contrario:
 non è possibile per uno Stato essere ammesso all'Unione (art. 49 TUE);
 uno Stato membro può essere sottoposto ad una procedura sanzionatoria con conseguente
sospensione di alcuni diritti (art. 7 TUE).

l’azione esterna dell’Unione si fonda su tali valori che l’Unione si prefigge di promuovere nel resto del
mondo (art. 3, par. 5, e dell’art. 21, par. 1, TUE “principi”).

Dignità umana, libertà e uguaglianza


 La dignità̀ umana appare come il fondamento dell’intero complesso dei diritti umani
 l’uguaglianza,
 da una parte, costituisce un diritto fondamentale,
 dall’altra, si collega allo stato di diritto.
 Libertà nella sua dimensione politica, quale garanzia di rispetto di una sfera di autonomia dei
cittadini rivendicata nei riguardi dei pubblici poteri e sottratta alla loro ingerenza

Il principio di democrazia.

Principio di difficile definizione, sia sul piano normativo, sia sul piano concettuale. Esso, non comporta
alcun modello rigido in quanto sottende un processo interno alla società, legato alle sue tradizioni.
Richiede, tuttavia, la garanzia di alcuni requisiti minimi, ma essenziali e irrinunciabili:

Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (Articolo 21.3):


“la volontà popolare è il fondamento dell'autorità del governo; tale volontà deve essere espressa attraverso
periodiche e veritiere elezioni, effettuate a suffragio universale ed eguale, ed a voto segreto, o secondo una
procedura equivalente di libera votazione”

In particolare, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha più volte affermato che il principio di democrazia
si riflette nel Parlamento europeo ed esige il pieno rispetto delle sue prerogative. Il potere legislativo del
Parlamento costituisce un elemento essenziale dell'equilibrio istituzionale voluto dal Trattato.

Sentenza del 29 ottobre 1980/ Roquette Frères c. Consiglio


Sentenza del 29 ottobre 1980, causa 138/79, Roquette Frères c. Consiglio, essa ha dichiarato, con
riferimento alla consultazione del Parlamento europeo, solitamente (all’epoca) prescritta come obbligatoria
per l’adozione degli atti da parte del Consiglio, che tale consultazione:

“È lo strumento che consente al Parlamento l’effettiva partecipazione al processo legislativo della Comunità̀̀
[oggi Unione]. Questo potere riflette, sia pure limitatamente, sul piano della Comunità, un fondamentale
principio della democrazia, secondo cui i popoli partecipano all'esercizio del potere per il tramite di
un'assemblea rappresentativa”.
Tuttavia, il principio democratico non poteva dirsi realizzato, essendo insufficiente la mera consultazione del
Parlamento Europeo.
Con il Trattato di Lisbona il procedimento di codecisione è stato generalizzato (pur con alcune eccezioni:
PESC) riducendo sensibilmente il deficit democratico denunciato in precedenza dalla dottrina.
Il titolo II del Trattato sull'Unione europea è dedicato ai principi democratici, i quali si esprimono
• sia nella forma della democrazia rappresentativa
• che di quella partecipativa
17

e coinvolgono non solo il Parlamento europeo, ma pure quelli nazionali.

Lo Stato di diritto
Comporta, essenzialmente, la sottoposizione della società e dei poteri pubblici alla legge.
→Con riguardo all’Unione, esso esprime la necessità che nella stessa Unione tutti i soggetti e gli
“attori” coinvolti, quindi le istituzioni, gli organi e gli organismi europei, gli Stati membri, i singoli
(persone fisiche e giuridiche), siano subordinati al rispetto del diritto, risultante dagli stessi Trattati,
dal diritto derivato e da ogni norma giuridica applicabile nell’ordinamento europeo.
Tale subordinazione è forse resa più chiara dall’espressione “rule of law”.

Corte di Giustizia a riguardo:


sentenza del 23 aprile 1986, causa 294/83, Les Verts c. Parlamento:
«Si deve anzitutto sottolineare che la Comunità̀̀ economica europea [oggi Unione europea] è una comunità̀̀
di diritto [a community based on the rule of law] nel senso che né gli Stati che ne fanno parte, né le sue
istituzioni sono sottratti al controllo della conformità̀̀ dei loro atti alla carta costituzionale di base costituita
dal Trattato».

La nozione di “Unione di diritto” è ormai ricorrente nella giurisprudenza della Corte successiva al Trattato di
Lisbona (per esempio, nella sentenza del 29 giugno 2010, causa C-550/09, E. e F., o, più di recente, in
quella del 24 giugno 2019, causa C-619/18, Commissione c. Polonia).

Effettività del valore:


Il principio in parola si lega anche alla presenza di un sistema di controllo giudiziario nell’Unione:

«La stessa esistenza di un controllo giurisdizionale effettivo destinato ad assicurare il rispetto delle
disposizioni del diritto dell’Unione è inerente all’esistenza di un siffatto Stato di diritto» (sentenza della
Corte del 19 luglio 2016, causa C-455/14 P, H. c. Consiglio, Commissione ed EUPM).

Nella giurisprudenza più̀ recente è costante l’affermazione che la tutela giudiziaria effettiva dei diritti
derivanti dal diritto dell’Unione concretizza il valore dello Stato di diritto enunciato nell’art. 2 TUE
(sentenza del 19 novembre 2019, cause C-585/18, C-624/18 e C-625/18, A.K. e altri).

I diritti umani internazionali e quelli insiti negli ordinamenti degli Stati membri
Il rispetto dei diritti umani implica un rinvio non solo agli ordinamenti degli Stati membri, ma anche ai
principi affermatisi a livello internazionale, a cominciare dalla ricordata Dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo

I valori enunciati nell'art. 2 presentano due caratteri:


1. politico, che si riflette in procedimenti di natura politica, quali l'ammissione di nuovi Stati o la
sospensione di Stati membri.
2. giuridico, nella misura in cui i suddetti valori corrispondono ai principi generali del diritto
dell'Unione, applicabili dalla stessa Corte al fine di verificarne il rispetto da parte sia delle
istituzioni dell'Unione che degli Stati membri.
→Peraltro, principi come la democrazia o lo stato di diritto sono stati applicati dalla Corte ancor prima
del loro formale riconoscimento nei Trattati e altrettanto va detto per i diritti umani.
18

PROCEDIMENTI DI CONTROLLO SUL RISPETTO DI TALI VALORI

il meccanismo sanzionatorio per violazione grave e persistente dei valori fondanti dell’UE
I valori contemplati dall’art. 2 TUE hanno una valenza
1. “esterna”: L’osservanza e la promozione dei suddetti valori è requisito essenziale per l’ammissione
all’Unione
Articolo 49.1 TUE
Ogni Stato europeo che rispetti i valori di cui all'articolo 2 e si impegni a promuoverli può domandare di
diventare membro dell'Unione…”
.

2. “interna”: L’Unione considera la possibilità che si determini una involuzione in Stati Membri
riguardo ai valori enunciati nell’art. 2

Art. 7 TUE
Il par. 1 ha istituito una difesa dei valori di cui all’art. 2 mediante una procedura di preallarme, volta a
verificare l’esistenza di “un evidente rischio di violazione grave” di tali valori e a prevenire la stessa
commissione della violazione:

Articolo 7.1 TUE


a) Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione
europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa
approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione
grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all'articolo 2.
b) Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può
rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura.
c) Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono
validi.

Pertanto, il Par. 2 prevede un procedimento di controllo sulla condotta degli Stati membri, che può̀
condurre all’accertamento di una “grave e persistente violazione” dei suddetti valori e, di conseguenza, a
sanzioni sospensive di diritti inerenti alla qualità̀ di membro dell’Unione.

Articolo 7.2 TUE

a) Il Consiglio europeo, deliberando all'unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della
Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l'esistenza di
una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all'articolo 2,
b) dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni.

Alla constatazione della grave e persistente violazione, ai sensi del Par. 3, può seguire la decisione di
sanzioni contro lo Stato Membro, consistenti nella “sospensione di alcuni dei diritti derivanti dai Trattati”:

Articolo 7.3 TUE

a) Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2,


b) il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti
derivanti allo Stato membro in questione dall'applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del
rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio.
c) Nell'agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta
sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche.
d) Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli
derivano dai trattati.

Le misure possono esser sempre revocate, ai sensi del Par. 4.


19

Articolo 7.4 TUE


a) Le misure sanzionatorie possono essere successivamente modificate o revocate dal Consiglio, per
rispondere ai cambiamenti della situazione che ha portato alla loro imposizione

Il controllo meramente procedurale della Corte di giustizia


La procedura di cui all’art. 7 TUE è "garantista" per quanto riguarda il ruolo degli organi "politici"
(Consiglio europeo, Consiglio e Parlamento europeo), ma non è soggetta a un adeguato controllo
giudiziario.
Ex art. 269 TFU, l’unica competenza della Corte di giustizia riguarda i soli aspetti "procedurali" (quali la
regolare delibera, o il rispetto del principio del contraddittorio), ma non il merito ed è attivabile solo dallo
Stato oggetto della constatazione.
Art. 269 TFUE:
a) La Corte di giustizia è competente a pronunciarsi sulla legittimità di un atto adottato dal Consiglio
europeo o dal Consiglio a norma dell'articolo 7 del trattato sull'Unione europea unicamente su
domanda dello Stato membro oggetto di una constatazione del Consiglio europeo o del Consiglio e
per quanto concerne il rispetto delle sole prescrizioni di carattere procedurale previste dal suddetto
articolo.
b) La domanda deve essere formulata entro il termine di un mese a decorrere da detta constatazione.
La Corte statuisce entro il termine di un mese a decorrere dalla data della domanda.

Dalla sua introduzione con il Trattato di Amsterdam il procedimento in esame non è stato mai applicato.
Solo di recente sono state avanzate proposte di constatazione di un rischio evidente di violazione grave dei
valori dell’Unione ai sensi dell’art. 7, par. 1, TUE.
 20 dicembre 2017 → La Commissione è giunta alla conclusione che era chiaro il rischio di grave
violazione dello Stato di diritto in Polonia a causa delle riforme giudiziarie adottate da tale Paese e
ha chiesto al Consiglio di assumere una decisione in conformità del suddetto art. 7, par. 1.
 12 settembre 2018 → Il Parlamento Europeo ha assunto analoga posizione con una risoluzione nei
confronti dell’Ungheria a seguito di una serie di riforme costituzionali in vigore dal 2012.
Entrambe le iniziative non hanno sortito il risultato di una conforme decisione del Consiglio (estrema
difficoltà di raggiungere la prescritta maggioranza)

Un ulteriore strumento di carattere preventivo è stato predisposto dalla Commissione


11 marzo 2014 → essa ha adottato “un nuovo quadro dell’UE per rafforzare lo stato di diritto” che prevedeun
meccanismo di preallarme in casi di “disfunzione sistemica” dello Stato di diritto, basato su un dialogo
con lo Stato membro interessato, al fine di individuare soluzioni.
1. La Commissione trasmette un parere riservato allo Stato Membro nel quale esprime le sue
preoccupazioni in merito a una minaccia sistemica allo stato di diritto;
2. La Commissione invia allo Stato una raccomandazione indicando le misure da adottare e il
termine entro il quale risolvere il problema;
3. Fase di follow up della raccomandazione: la Commissione controlla il seguito dato alla
raccomandazione e valuta se attivare l’art. 7 TUE.
Si tratta di una procedura priva di base giuridica, la cui regolarità è stata riconosciuta dalla Corte di Giustizia.

Un nuovo strumento di controllo della Corte di giustizia


Come è stato visto, Il procedimento di cui all’art. 7 TUE, non è adeguato a sindacare il rispetto dei valori
enunciati dall’art. 2 TUE.
Sicché la Corte di Giustizia ha affermato la propria competenza in merito all’osservanza di un aspetto di
fondamentale importanza dello Stato di diritto, cioè̀ l’indipendenza della magistratura. La Corte ha
giustificato tale competenza sulla base dell’
Art. 19, par. 1, 2° comma, TUE
«Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale
effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione».

In particolare,
I. sentenza del 27 febbraio 2018, causa C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses:
20

La Corte ha sottolineato che l’ambito di applicazione dell’art.19, par.2 riguarda i settori disciplinati dal
diritto dell’Unione.
➔ la possibilità che il giudice nazionale interpreti o applichi il diritto dell’Unione comporta che
l’organizzazione e la disciplina nazionale della giustizia debbano conformarsi ai precetti di tale
diritto, in particolare al principio della indipendenza del giudice, confermato anche dall’art. 47
della Carta dei diritti fondamentali.

La soggezione al diritto dell’Unione della normativa statale relativa alla giustizia ha per conseguenza che la
Corte di Giustizia sia competente a verificare che tale normativa sia rispettosa del suddetto diritto e
garantisca l’indipendenza dei giudici nazionali.

In concreto,
la Corte di giustizia ha emanato alcune sentenze contro la Polonia, giudicando vari aspetti delle riforme
della giustizia adottate da tale Stato come lesive della indipendenza dei giudici.
Due rese in procedure di infrazione promosse dalla Commissione:
II. 24 giugno 2019, causa C-619/18, Commissione c. Polonia, e del 5 novembre 2019, causa C-
192/18, Commissione c. Polonia
una terza nell’ambito di una procedura pregiudiziale su rinvio di giudici polacchi,
III. 19 novembre 2019, cause C-585/18, C-624/18 e C-625/18, A.K. e altri.
Ulteriori procedimenti sono in corso contro la Polonia.

La possibilità di sentenze di “condanna” in via giudiziaria della condotta degli Stati membri contraria al
valore dello Stato di diritto, espresso dalla indipendenza dei giudici, rappresenti una garanzia efficace del
rispetto di tale indipendenza.

PRINCIPI DEMOCRATICI

Articolo 10.1 e .2 TUE


1. Il funzionamento dell'Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa.
2. I cittadini sono direttamente rappresentati, a livello dell'Unione, nel Parlamento europeo. Gli
Stati membri sono rappresentati nel Consiglio europeo dai rispettivi capi di Stato o di governo e
nel Consiglio dai rispettivi governi, a loro volta democraticamente responsabili dinanzi ai loro
parlamenti nazionali o dinanzi ai loro cittadini.

La duplice legittimazione democratica dell’UE


l'Unione europea è connotata da una duplice legittimazione democratica, in quanto entità "sopranazionale":
1. rappresentanza diretta dei cittadini dell'Unione europea (cioè del "popolo europeo") nel
Parlamento europeo, composto dai rappresentanti "dei cittadini dell'Unione", il quale, con il
Trattato di Lisbona, acquista - di regola - un potere pari a quello del Consiglio nell'adozione degli
atti legislativi (potere di “codecisione”)
2. rappresentanza indiretta dei popoli dei singoli Stati membri nell'ambito del Consiglio europeo
e del Consiglio, rispettivamente attraverso i Capi di Stato o di governo ed attraverso i governi, a
loro volta democraticamente responsabili verso i parlamenti nazionali (o verso i loro cittadini).

I Parlamenti nazionali
1. esercitano nell’Unione europea una rappresentanza in via indiretta, controllando, stimolando e
orientando l’azione dei rispettivi governi all’interno delle istituzioni europee;
2. Peraltro, svolgono anche una rappresentanza diretta nell'Unione europea nei confronti delle
istituzioni europee, ai sensi del Trattato di Lisbona. Si determina così, nell'Unione europea, una
ulteriore forma di rappresentanza popolare diretta, ma in chiave nazionale, non sopranazionale, quale
si realizza invece nel Parlamento europeo.
 Art. 48, par. 7 TUE, in relazione alla procedura legislativa speciale
 Art. 5 par. 2 TUE, in relazione al rispetto del principio di sussidiarietà

In particolare, l'art. 12 TUE dà una notevole visibilità e peso politico ai parlamenti nazionali:
21

Articolo 12 TUE
I parlamenti nazionali contribuiscono attivamente al buon funzionamento dell'Unione:
a) venendo informati dalle istituzioni dell'Unione e ricevendo i progetti di atti legislativi dell'Unione in
conformità del protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali nell'Unione europea;
b) vigilando sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo le procedure previste dal protocollo
sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità;
c) partecipando, nell'ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ai meccanismi di valutazione ai
fini dell'attuazione delle politiche dell'Unione in tale settore, in conformità dell'articolo 70 del trattato
sul funzionamento dell'Unione europea, ed essendo associati al controllo politico di Europol e alla
valutazione delle attività di Eurojust, in conformità degli articoli 88 e 85 di detto trattato;
d) partecipando alle procedure di revisione dei trattati in conformità dell'articolo 48 del presente
trattato;
e) venendo informati delle domande di adesione all'Unione in conformità dell'articolo 49 del presente
trattato;
f) partecipando alla cooperazione interparlamentare tra parlamenti nazionali e con il Parlamento
europeo in conformità del protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali nell'Unione europea.

Tali norme sono orientate a promuovere una partecipazione dei parlamenti nazionali alla formazione
degli atti legislativi europei. Partecipazione che si colloca nell’ottica della rappresentanza indiretta degli
stati membri.

ITALIA: la partecipazione del Parlamento alla formazione degli atti dell’Unione, nonché́ alla definizione della
politica europea del nostro Paese, è disciplinata dal capo II della legge 24 dicembre 2012 n. 234, contenente “Norme
generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione
europea”.

I partiti politici e la democrazia rappresentativa


Sempre nel contesto della democrazia rappresentativa l'art. 10, par. 4, TUE riconosce anche il ruolo dei
partiti politici, non solo rappresentativo (dei cittadini europei), ma anche formativo di una appartenenza
consapevole all’unione (coscienza europea). In particolare, i gruppi politici si costituiscono non già su base
nazionale, nel Parlamento europeo, ma sulla base delle affinità politiche.

Articolo 10.4 TUE


4. I partiti politici a livello europeo contribuiscono a formare una coscienza politica europea e ad esprimere
la volontà dei cittadini dell'Unione.

I cittadini e la democrazia partecipativa


Per quanto riguarda i cittadini:

Articolo 10.3 TUE


3. Ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell'Unione. Le decisioni sono prese nella
maniera il più possibile aperta e vicina ai cittadini.
Tale norma enuncia il principio di "trasparenza",

Corte di giustizia 4 Settembre 2018 ClientEarth: “La trasparenza permette di conferire alle istituzioni
dell’Unione una maggiore legittimità, efficienza e responsabilità nei confronti dei cittadini dell’Unione in
un sistema democratico”

E il principio di “prossimità” richiedendo che le decisioni concernenti la vita dell'Unione, siano assunte al
livello più vicino al cittadino.
Inoltre essa, pur inserita nell'art. 10, relativo alla democrazia rappresentativa, costituisce l'anello di con-
giunzione con un'altra forma di democrazia, anch'essa riconosciuta nel Trattato: la democrazia
partecipativa, oggetto dell'art. 11 TUE.
22

Articolo 11 TUE
1. Le istituzioni danno ai cittadini e alle associazioni rappresentative, attraverso gli opportuni canali, la
possibilità di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione
dell'Unione.
2. Le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative
e la società civile.
3. Al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dell'Unione, la Commissione europea
procede ad ampie consultazioni delle parti interessate.
4. Cittadini dell'Unione, in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero
significativo di Stati membri, possono prendere l'iniziativa di invitare la Commissione europea,
nell'ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle
quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell'Unione ai fini dell'attuazione dei trattati.
Le procedure e le condizioni necessarie per la presentazione di una iniziativa dei cittadini sono stabilite
conformemente all'articolo 24, primo comma del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

L’iniziativa legislativa popolare (ICE)


Di particolare rilevanza è il potere d'iniziativa legislativa popolare previsto dall’art. 11, par. 4 TUE, che
rimanda all’ articolo 24.1 TFUE:
“Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa
ordinaria, adottano le disposizioni relative alle procedure e alle condizioni necessarie per la presentazione
di un'iniziativa dei cittadini ai sensi dell'articolo 11 del trattato sull'Unione europea, incluso il numero
minimo di Stati membri da cui i cittadini che la presentano devono provenire.”

Regolamento 2019/788:
a) L’iniziativa è valida se ricevuto il sostegno di almeno un milione di cittadini dell’Unione, appartenenti
ad almeno un quarto degli Stati Membri e, in tali stati, i sostenitori (“firmatari”) corrispondono
almeno al numero dei membri del parlamento europeo eletti in ciascuno di essi moltiplicato per il
numero complessivo dei membri del parlamento europeo.
b) La procedura prende l’avvio con la formulazione di una proposta d’iniziativa da parte di un gruppo
di organizzatori (l’intitolazione, l’oggetto, la descrizione degli obiettivi dell’iniziativa, le disposizioni
dei Trattati ritenute pertinenti, nonché, eventualmente una bozza dell’atto richiesto).
c) L’iniziativa è registrata dalla Commissione
o se il gruppo degli organizzatori soddisfa le prescrizioni del regolamento;
o se nessuna parte dell’iniziativa esula manifestamente dalla competenza della Commissione;
o se l’iniziativa
1. non è presentata in modo manifestamente ingiurioso, o
2. non ha un contenuto futile o vessatorio;
3. non è manifestamente contraria ai valori dell’Unione di cui all’art. 2 TUE e ai diritti
sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali (art. 6, par. 3, del regolamento).

Controllo giurisdizionale della Corte di Giustizia


La Commissione
• nel decidere sull’opportunità politica di presentare o meno una proposta di atto dell’Unione,
conserva il suo potere discrezionale (Cap. VI, par. 5)
• al contrario, in merito alle condizioni giuridiche per la presentazione dell’iniziativa, non ha alcuna
discrezionalità, essendo soggetta al controllo di legittimità della Corte di giustizia, in particolare
all’impugnazione prevista dell’art. 263 TFUE (Cap, VIII, par. 9 ss.)

inoltre
• è soggetta al controllo giudiziario la decisione di non registrare la proposta di iniziativa in assenza
delle condizioni previste dall’art. 6, par. 3.

Sent. 3 febbraio 2017 MINORITY SAFE PACK→Il tribunale ha annullato la decisione della
Commissione del 13 settembre 2013, con la quale quest’ultima aveva rifiutato di registrare una proposta di
iniziativa volta a migliorare la tutela delle persone appartenenti a minoranze nazionali e linguistiche e a
rafforzare la diversità̀ culturale e linguistica nell’Unione per manifesta insufficienza della motivazione di tale
rifiuto
23

Poi,
• è soggetta al controllo giudiziario la comunicazione della Commissione contente la decisione di non
intraprendere alcuna azione rispetto a una proposta di ICE registrata

Tuttavia, dato l’ampio potere discrezionale della Commissione, il controllo del tribunale deve limitarsi a
verificare la sufficienza della motivazione e l’assenza di errori manifesti di valutazione nella decisione della
stessa Commissione.

Sentenza del 19 dicembre 2019, causa C-418/18 P, Puppinck e altri c. Commissione →La Corte
di giustizia ha respinto l’impugnazione e ha confermato che la decisione della commissione di non
intraprendere alcuna azione a seguito di una ICE registrata deve costituire l’oggetto di un controllo
giurisdizionale limitato, nei termini chiariti dal Tribunale.

In relazione al tipo di atto la cui adozione può̀ essere chiesta con una iniziativa dei cittadini europei

Sentenza del Tribunale del 10 maggio 2017, Efler e altri c. Commissione → Il Tribunale ha annullato al
decisione della Commissione del 10 settembre 2014, che aveva rifiutato la registrazione della proposta di
iniziativa “Stop TTIP” (con la quale si invitava la Commissione a raccomandare al Consiglio di annullare la
propria autorizzazione alla stessa Commissione ad avviare negoziati con gli Stati Uniti d’America per la
conclusione di un accordo di Partenariato transatlantico):
“L’obiettivo della partecipazione alla vita democratica dell’Unione perseguito dallo strumento dell’ICE
include chiaramente la facoltà di chiedere la modifica di atti giuridici in vigore o la loro revoca, totale o
parziale”

DIRITTI UMANI

Tra i valori fondanti dell’Unione europea l’art. 2 TUE prevede il rispetto dei diritti umani, compresi
quelli delle persone appartenenti a minoranze.
Ai diritti umani (inizialmente introdotti nel diritto UE in via pretoria) è dedicato poi l’intero art. 6 TUE. I
l par. 3 (l’ultimo) rappresenta il punto di approdo della evoluzione della giurisprudenza della Corte di
giustizia:
Articolo 6.3 TUE
3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte
del diritto dell’Unione in quanto principi generali.

1. In una prima fase, la Corte di giustizia aveva rifiutato di tenere conto, ai fini della valutazione di
legittimità di un atto comunitario, della eventuale violazione dei diritti umani garantiti dalle costituzioni
degli Stati membri.
il Trattato CECA, così come i Trattati CEE e CEEA, non conteneva disposizioni volte a garantire
che l'azione comunitaria si svolgesse nel rispetto dei diritti umani fondamentali.

2. Successivamente la Corte ha compiuto una decisa svolta (anche a seguito di importanti posizioni assunte
dalla giurisprudenza interna, in specie italiana e tedesca), affermando che i diritti umani fondamentali
fanno parte del diritto comunitario (dell’Unione Europea), quali suoi autonomi principi generali,
informati, peraltro, alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e agli accordi internazionali
sui diritti umani.
sentenza del 17 dicembre 1970, causa 11/70, Internationale Handelsgesellschaft mbH →dopo avere
ribadito che la validità̀ degli atti emanati dalle istituzioni europee può̀ essere valutata solo sulla base del diritto
comunitario (non dei diritti fondamentali o dei principi di una costituzione nazionale), la Corte dichiara:

“«È tuttavia opportuno accertare se non sia stata violata alcuna garanzia analoga, inerente al diritto
comunitario [oggi dell’Unione]. La tutela dei diritti fondamentali costituisce infatti parte integrante dei
principi giuridici generali di cui la Corte di giustizia garantisce l’osservanza. La salvaguardia di questi
24

diritti, pur essendo informata alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, va garantita entro
l’ambito della struttura e delle finalità̀̀ della Comunità̀̀ [oggi dell’Unione]».

sentenza del 14 maggio 1974, causa 4/73, Nold → Qualche anno dopo la Corte, riaffermando che essanon
potrebbe ammettere provvedimenti delle istituzioni incompatibili con i diritti fondamentali riconosciuti e
garantiti dalle costituzioni degli Stati membri, ha aggiunto:
«I trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo, cui gli Stati membri hanno cooperato o
aderito, possono del pari fornire elementi di cui oc- corre tenere conto nell’ambito del diritto comunitario
[oggi dell’Unione]».

3. L'appartenenza dei diritti fondamentali ai principi generali del diritto dell'Unione obbliga
anzitutto le istituzioni europee al loro rispetto, tuttavia determina la loro obbligatorietà anche
nei confronti degli Stati membri, purché ci si trovi nelle materie rientranti nell'ambito di
competenza del diritto dell'Unione europea.
Pertanto, in tale ambito, la Corte è competente ad accertare l'infrazione di uno Stato membro
derivante dalla sua condotta in violazione dei diritti fondamentali.

sentenza del 18 giugno 1991, causa C-260/89, ERT AE→ «la Corte non può sindacare la compatibilità̀̀ con
la Convenzione europea dei diritti dell’uomo di una normativa nazionale che non rientra nell’ambito del
diritto comunitario [oggi dell’Unione]. Per contro, allorché́ una siffatta normativa rientra nel settore di
applicazione del diritto comunitario, la Corte [...] deve fornire tutti gli elementi d’interpretazione necessari
alla valutazione [...] della conformità di detta normativa con i diritti fondamentali di cui la Corte garantisce
il rispetto, tali quali risultano, in particolare, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo».

4. Il riferimento alle tradizioni costituzionali comuni implica un margine di incertezza se detto


riferimento comprenda i diritti contemplati nelle costituzioni di tutti gli Stati membri, di alcuni o, al
limite, di uno solo.

La Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo

La Corte di giustizia, pur ribadendo l’appartenenza dei diritti da essa contemplati al diritto dell’Unione,
ha più̀ volte affermato che la Convenzione:

«non costituisce, fintantoché́ l’Unione non vi abbia aderito, un atto giuridico formalmente integrato
nell’ordinamento giuridico dell’Unione».

La Corte di giustizia ha escluso che, in virtù̀ del suddetto richiamo, la Convenzione sia direttamente
applicabile all’interno degli Stati membri e sia provvista del “primato” sulle norme nazionali
incompatibili, che caratterizza il diritto dell’Unione (direttamente applicabile).
sentenza del 24 aprile 2012, causa C-571/10, Kamberaj→
a) “Ai sensi dell’art. 6, par. 3, TUE, i diritti fondamentali, così come garantiti dalla CEDU
[Convenzione europea dei diritti dell’uomo] e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni
degli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali.
b) Tuttavia, l’art. 6, par. 3, TUE non disciplina il rapporto tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici
degli Stati membri e nemmeno determina le conseguenze che un giudice nazionale deve trarre
nell’ipotesi di conflitto tra i diritti garantiti da tale convenzione ed una norma di diritto nazionale.
c) Pertanto [...] il rinvio operato dall’art. 6, par. 3, TUE alla CEDU non impone al giudice
nazionale, in caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e detta convenzione, di applicare
direttamente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la norma di diritto nazionale in
contrasto con essa».

Tale affermazione non sembra con vincente nella misura in cui i diritti riconosciuti dalla Convenzione
europea vengano in rilievo in materie appartenenti al diritto dell’Unione, in quanto principi generali dello
stesso diritto dell’Unione, appaiono suscettibili di condividere il primato di cui gode tale diritto nei rapporti
con quello degli Stati membri.
25

L’adesione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali
(CEDU)
Articolo 6.2 TUE
L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati.

Quanto alla procedura della futura adesione, l'art. 218, paragrafi 6 e 8, TFUE dispone che l'accordo di
adesione richiede
a) una decisione unanime del Consiglio,
b) previa approvazione del Parlamento europeo, e
c) che tale decisione entra in vigore solo a seguito di approvazione degli Stati membri, conformemente
alle rispettive norme costituzionali.
Malgrado il valore giuridico che i diritti contemplati dalla Convenzione europea già rivestono nel diritto
dell'Unione in virtù del richiamo operato dall'art. 6, par. 3, TUE, l'adesione dell'Unione alla Convenzione
rappresenta un progresso di notevole portata,
➔ in quanto comporterà la sottoposizione dell’Unione al controllo della Corte europea dei diritti dell’uomo
di Strasburgo, in relazione agli atti lesivi dei diritti in argomento. (aspetto più garantista e
qualificante dei diritti Umani della convenzione.

L'adesione dell'Unione alla Convenzione europea implica numerosi problemi tecnici, alla cui soluzione
dovrà provvedere l'accordo di adesione e per i quali gli obiettivi da perseguire sono delineati nel Protocollo
n. 8 al Trattato di Lisbona.
 problemi relativi alla rappresentanza dell'Unione negli organi di controllo della
Convenzione europea,
 problemi relativi ai rapporti tra l'Unione e gli Stati membri quali destinatari di ricorsi per violazioni,
 problemi relativi alla posizione di Stati membri che non abbiano ratificato taluni protocolli alla
Convenzione europea, o abbiano adottato misure di deroga alla Convenzione ai sensi del suo
art. 15, o abbiano formulato riserve.

parere 2/13 del 18 dicembre 2014 della Corte di giustizia sulla compatibilità̀ con i Trattati dell’Unione:
La Commissione ha chiesto alla Corte di giustizia un parere sulla compatibilità̀ di tale progetto con i Trattati
dell’Unione, in conformità dell’art. 218, par. 11, TFUE che prevede che, in caso di parere negativo,
l’accordo in questione non può entrare in vigore, a meno che non sia modificato (per renderlo conforme ai
Trattati) o non siano modificati gli stessi Trattati (così da eliminare l’incompatibilità).
la Corte di giustizia ha dichiarato che il progetto di accordo di adesione è incompatibile sotto molteplici
profili con i Trattati, in estrema sintesi è suscettibile di pregiudicare le caratteristiche specifiche dell’Unione
e del diritto dell’Unione, nonché l’autonomia di tale diritto.

La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e ambito di applicazione

Articolo 6.1 TUE


1. L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico
dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite
nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni
generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito
conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.

L’ interpretazione e l’applicazione della Carta dei diritti fondamentali hanno luogo in conformità del titolo
VII della Carta (articoli 51-54).

La Carta non determina


• alcun ampliamento delle competenze dell’Unione (articoli 6, par. 1, 2° comma, TUE)
• né degli obblighi degli Stati membri.
26

Anche la Corte di giustizia ha più̀ volte sottolineato che «a termini dell’art. 51, par. 1, della Carta, le
disposizioni della medesima si applicano agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto
dell’Unione»

GIURISPRUDENZA:
sentenza del 26 febbraio 2013, Åklagaren «dato che i diritti fondamentali garantiti dalla Carta devono
essere rispettati quando una normativa nazionale rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione,
non possono quindi esistere casi rientranti nel diritto dell’Unione senza che tali diritti fondamentali trovino
applicazione. L’applicabilità del diritto dell’Unione implica quella dei diritti fondamentali garantiti dalla
Carta».

sentenza del 7 marzo 2017 X e X c. Belgio La Corte di giustizia ha dichiarato che le disposizioni dela
Carta non si applicano riguardo a una domanda di visto di cittadini di Paesi terzi per soggiorno di lunga
durata per motivi umanitari, poiché́ la materia attualmente non è disciplinata dal diritto dell’Unione.

Corte Costituzionale Italiana “Presupposto di applicabilità della Carta di Nizza è che la fattispecie
sottoposto all’esame del giudice sia disciplinata dal diritto Europeo e non già da sole norme nazionali prive
di ogni legame con tale diritto”
in particolare,

La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e applicazione al di fuori dell’ordinamento


giuridico dell’Unione
La Corte di giustizia ha dichiarato che le istituzioni europee sono tenute a rispettare i diritti riconosciuti dalla
Carta anche quando operano al di fuori dell’ordinamento giuridico dell’Unione, (e.g. nell’ambito del
Meccanismo europeo di stabilità istituito con il Trattato di Bruxelles del 2 febbraio 2012 – MES)

Sent. 20 settembre 2016, Ledra Advertising Ltd e altri «Per quanto gli Stati membri non attuino il
diritto dell’Unione nell’ambito del Trattato MES, cosicché́ la Carta non si applica in tale quadro [...], la
Carta si applica nondimeno alle istituzioni dell’Unione, compreso quando queste ultime agiscono al di fuori
del quadro giuridico dell’Unione [...]. Del resto, nell’ambito dell’adozione di un protocollo d’intesa come
quello del 26 aprile 2013, la Commissione è tenuta, ai sensi tanto dell’art. 17, par. 1, TUE, (La
Commissione promuove l'interesse generale dell'Unione e adotta le iniziative appropriate a tal fine. Vigila
sull'applicazione dei trattati e delle misure adottate dalle istituzioni in virtù̀̀ dei trattati.) quanto dall’art. 13,
paragrafi 3 e 4, del Trattato MES, che le impone di monitorare la compatibilità̀̀ con il diritto dell’Unione
dei protocolli d’intesa conclusi dal MES [...], a garantire che siffatto protocollo sia compatibile con i diritti
fondamentali sanciti dalla Carta».

La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e interpretazione

➔ l’art. 52, par. 1, consente limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà̀ contemplati dalla Carta, nel
rispetto del principio di proporzionalità̀ , solo se necessarie e rispondenti effettivamente a finalità̀ di
interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di tutela dei diritti e libertà̀ altrui e purché́
siano previste dalla legge e rispettino il contenuto essenziale di detti diritti e libertà.
➔ l'art. 52, par. 2, dispone che quando un diritto è già previsto nei Trattati, come quelli sulla
cittadinanza, esso è esercitato alle condizioni e nei limiti definiti dagli stessi Trattati.
➔ l’art. 52, par. 3, il quale dichiara che laddove la Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti
dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il significato e la portata degli stessi sono
➔ uguali a quelli conferiti da detta Convenzione, tenendo conto della giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo
➔ L'art. 52, par. 5 introduce una distinzione (incerta, se non arbitraria) fra ì "diritti" fondamentali,
direttamente invocabili dal loro titolare dinanzi agli organi giudiziari (europei e nazionali), e i
"principi", che possono acquistare rilevanza dinanzi ai giudici solo ai fini della interpretazione o della
valutazione di legittimità degli atti di attuazione, ma, di per sé, non possono essere esercitati in via
giudiziaria.
✓ Si tratta di una distinzione alquanto incerta, se non arbitraria, la quale risulta ancor più
oscura alla... luce (si fa per dire!) delle "spiegazioni" che accompagnano la Carta e che
27

citano, come esempi di principi, quelli relativi ai diritti degli anziani (art. 25), dei disabili
(art. 26), all'ambiente (art. 37), salvo a riconoscere che varie disposizioni prevedono sia diritti
che principi.

La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e i diritti sociali


Per quanto riguarda i diritti sociali va notato che la giurisprudenza più̀ recente ha mostrato una propensione
a riconoscerne la natura di veri e propri diritti, tutelabili in via giudiziaria, con riferimento al diritto alle
ferie contemplato dall’art. 31, par. 2, della Carta. (sentenza del 6 novembre 2018, Max-Planck-
Gesellschaft)

La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea nella sua funzione interpretativa
La Carta dei diritti fondamentali può̀ svolgere anche un’utile funzione interpretativa del diritto
dell’Unione.
sentenza del 13 maggio 2014, causa C-131/12, Google Spain SL e Google Inc., la Corte di giustizia ha
ribadito che
«le disposizioni della direttiva 95/46 [del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con
riguardo al trattamento dei dati personali, nonché́ alla libera circolazione di tali dati], disciplinando il
trattamento di dati personali che possono arrecare pregiudizio alle libertà fondamentali e, segnatamente, al
diritto alla vita privata, devono necessariamente essere interpretate alla luce dei diritti fondamentali che,
secondo una costante giurisprudenza, formano parte integrante dei principi generali del diritto di cui la
Corte garantisce l’osservanza e che sono ormai iscritti nella Carta [...]. In tal senso, l’art. 7 della Carta
garantisce il diritto al rispetto della vita privata, mentre l’art. 8 della Carta proclama espressamente il
diritto alla protezione dei dati personali».

In generale, la Carta ha trovato sempre più frequente applicazione nella giurisprudenza europea, talvolta in
combinazione con altre norme del diritto dell’Unione
a) Per verificare l’osservanza di tale diritto da parte degli Stati membri;

b) Per verificare la legittimità degli atti dell’Unione.

sentenza dell’8 aprile 2014 Digital Rights Ireland con la quale la Corte ha dichiarato invalida la direttiva
2006/24/CE del 15 marzo 2006 sulla conservazione di dati generati o trattati nell’ambito della fornitura di
servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di reti pubbliche di comunicazione per
violazione degli articoli 7 e 8 della Carta, concernenti, il primo, il rispetto della vita privata e familiare, il
secondo, la protezione dei dati di carattere personale.

I limiti all’applicazione della Carta vs Polonia e UK


Il Protocollo n. 30 limita l'applicazione della Carta nei confronti della Polonia e del Regno Unito (e tale
limitazione è destinata a operare anche nei confronti della Repubblica ceca), escludendo che i diritti in
questione, in specie i diritti sociali contemplati dal titolo IV, possano essere invocati in via giudiziaria, per
quanto riguarda detti Stati, salvo che tali diritti siano previsti nei rispettivi ordinamenti interni.

Il “conflitto” tra i sistemi di protezione dei diritti umani


La coesistenza di diverse fonti (le disposizioni dei Trattati, la Carta dei diritti fondamentali, le tradizioni
costituzionali comuni degli Stati membri, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo) che tutelano, in
ambito UE, i diritti umani, può comportare il rischiò di duplicazioni o di contraddizioni fra i diversi
sistemi di protezione, che dovrebbero essere risolti dando la preferenza al sistema che assicura la più elevata
tutela al diritto in questione (cfr. art. 52 della Carta dei diritti fondamentali).

PROBLEMATICHE
a) Tale criterio, consueto per ciò che riguarda la protezione internazionale dei diritti umani (cfr. art. 53
della CEDU), non sempre, tuttavia, è idoneo a risolvere i problemi derivanti da divergenti testi
sui diritti umani. Spesso, infatti, le divergenze dipendono da limitazioni ai diritti dovute all'esigenza
di tutelare altri valori sentiti in determinati contesti sociali come fondamentali o dal differente
bilanciamento che, in ciascun sistema di protezione, esiste tra differenti diritti (per esempio tra il
diritto all'informazione e quello alla riservatezza).
28

b) la Corte di giustizia non ha accolto la tesi secondo la quale, in caso di normative divergenti,
dovrebbe darsi la preferenza a quella più̀ protettiva dei diritti umani.

Art. 53 della Carta


«Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti
dell’uomo e delle libertà̀̀ fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto
dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione o tutti gli Stati
membri sono parti, in particolare dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà̀̀ fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri».

Sentenza 26 febbraio 2013, Melloni→ “L’interpretazione secondo cui l’art. 53 autorizzerebbe uno Stato
membro ad applicare lo standard di protezione dei diritti fondamentali garantito dalla sua Costituzione
quando questo è più elevato di quello derivante dalla Carta e ad opporlo all’applicazioni di disposizioni di
diritto dell’Unione […] sarebbe lesiva del primato del diritto dell’Unione;
è vero che l’art. 53 conferma che, quando un atto di diritto dell’Unione richiede misure nazionali di
attuazione, resta consentito alle autorità e ai giudici nazionali applicare gli standard nazionali di tutela dei
diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta
né il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione”

anche nei confronti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo le “spiegazioni” relative al ricordato
art. 52, par. 3 della Carta, pur dichiarando che tale disposizione intende assicurare la necessaria coerenza tra
Carta e Convenzione Europea anche per quanto concerne le limitazioni dei diritti, aggiungono:

“senza che ciò pregiudichi l’autonomia del diritto dell’Unione e della Corte di giustizia”.

RISCHIO: Questa precisazione può esser letta come suscettibile di consentire limitazioni ai diritti più
stringenti di quelle consentite dalla Convenzione europea, se necessarie a salvaguardare il diritto dell’unione.
→Possibile configurazione della Carta come strumento non di elevazione, ma di abbassamento
della tutela dei diritti umani.
29

PROCEDIMENTI DI REVISIONE DEI TRATTATI


I Trattati possono essere modificati attraverso una procedura di revisione ordinaria e mediante procedure di
revisione semplificate.

6.1 Procedura di revisione ordinaria


La procedura di revisione ordinaria è prevista all’Articolo 48.2 TUE
2. Il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre al
Consiglio progetti intesi a modificare i trattati. Tali progetti possono, tra l'altro, essere intesi ad accrescere
o a ridurre le competenze attribuite all'Unione nei trattati (novità inquietante). Tali progetti sono trasmessi
dal Consiglio al Consiglio europeo e notificati ai parlamenti nazionali.

La possibilità di ridurre le competenze dell’Unione segna un'inversione di tendenza, in quanto prima del
Trattato di Lisbona eventuali modifiche dei Trattati non potevano determinare la riduzione delle competenze
dell'Unione. Tale concezione era consacrata formalmente nell'art. 2 TUE (nel testo anteriore al Trattato di
Lisbona):

Art. 2 TUE ante Trattato di Lisbona:


Mantenere integralmente l'acquis2 comunitario e svilupparlo al fine di valutare in quale misura si renda
necessario rivedere le politiche e le forme di cooperazione instaurate dal presente Trattato allo scopo di
garantire l'efficacia dei meccanismi e delle istituzioni comunitarie.
→ L’azione dell’Unione non poteva in alcun caso pregiudicare o rimettere in discussione quanto
conseguito, ma doveva tendere all’approfondimento e al progresso delle realizzazioni dell’Unione.

Articolo 48.3 TUE


3. Qualora il Consiglio europeo, previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione, adotti
a maggioranza semplice una decisione favorevole all'esame delle modifiche proposte, il presidente del
Consiglio europeo convoca una convenzione composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi
di Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione. In caso di modifiche
istituzionali nel settore monetario, è consultata anche la Banca centrale europea. La convenzione esamina i
progetti di modifica e adotta per consenso una raccomandazione a una conferenza dei (soli) rappresentanti
dei governi degli Stati membri (che adotta il testo “di comune accordo”, ossia all’unanimità) quale prevista
al paragrafo 4.

Articolo 48.3.2 TUE


Il Consiglio europeo può decidere a maggioranza semplice, previa approvazione del Parlamento europeo,
di non convocare una convenzione qualora l'entità delle modifiche non lo giustifichi. In questo caso, il
Consiglio europeo definisce il mandato per una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati
membri.

Articolo 48.4.2 TUE


Le modifiche entrano in vigore dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri conformemente alle
rispettive norme costituzionali.

6.2 Procedure di revisione semplificate


L’Art. 48.6 e 7 TUE prevede due distinte procedure di revisione semplificata.

a) Modifiche della parte III del TFUE (politiche e azioni interne dell’UE)
Art. 48.6 TUE
6. Il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre
(direttamente, senza passare per il Consiglio) al Consiglio europeo progetti intesi a modificare in tutto o in
parte le disposizioni della parte terza del trattato sul funzionamento dell'Unione europea relative alle
politiche e azioni interne dell'Unione.
2
il complesso delle realizzazioni, dei risultati acquisiti nell'ambito comunitario, cioè, anzitutto, l'insieme del diritto
derivato della Comunità europea.
30

Il Consiglio europeo può adottare una decisione che modifica in tutto o in parte le disposizioni della parte
terza del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Il Consiglio europeo delibera all'unanimità previa
consultazione del Parlamento europeo, della Commissione e, in caso di modifiche istituzionali nel settore
monetario, della Banca centrale europea. Tale decisione entra in vigore solo previa approvazione degli
Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. La decisione di cui al secondo comma non
può estendere le competenze attribuite all'Unione nei trattati.

Le clausole passerella
Art. 48.7 TUE (c.d. “clausole passerella”)
Per estendere il campo di applicazione del voto a maggioranza qualificata e della procedura legislativa
ordinaria ai casi in cui è previsto dai Trattati il ricorso all'unanimità o ad una procedura legislativa
speciale, l’art. 48.7 prevede due “clausole passerella” generali:
1. il Consiglio europeo può adottare una decisione che consenta al Consiglio di deliberare a maggioranza
qualificata in un settore o caso in cui il TFUE preveda che il Consiglio deliberi all’unanimità (sono
escluse le decisioni che abbiano implicazioni militari o che rientrano nel settore della difesa).
2. il Consiglio europeo può adottare una decisione che consenta al Consiglio di applicare la procedura
legislativa ordinaria per l'adozione di atti per i quali il TFUE richieda la procedura legislativa speciale.

Le suddette decisioni del Consiglio europeo, che delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento
europeo, il quale si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono, sono trasmesse ai parlamenti
nazionali e non possono essere adottate in caso di opposizione di un parlamento nazionale notificata entro sei
mesi dalla data di tale trasmissione.

Oltre alle suddette procedure di revisione, specifiche disposizioni dei Trattati prevedono, per determinati
casi, ulteriori procedure semplificate di revisione e, talvolta, procedure di "revisione delegata", che
consistono nell'attribuzione alle istituzioni europee del potere di adottare atti diretti a integrare o sviluppare il
contenuto di particolari disposizioni.
• Articolo 25.2 TFUE
…il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione
del Parlamento europeo, può adottare disposizioni intese a completare i diritti elencati all'articolo 20,
paragrafo 2 (appartenenti ai cittadini dell'Unione). Tali disposizioni entrano in vigore previa approvazione
degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali.

Analoghi esempi sono contenuti


• nell'art. 223, par. 1, 2° comma, TFUE, relativo all'elezione a suffragio universale diretto
del Parlamento europeo secondo una procedura uniforme o secondo principi comuni a tutti
gli Stati membri, e
• nell'art. 311,3° comma, TFUE, concernente il sistema di risorse proprie dell'Unione. Anche in
questi casi è necessaria la previa approvazione degli Stati membri.

Procedure di revisione delegate


1. Articolo 281 TFUE
Lo statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea è stabilito con un protocollo separato.
Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono
modificare le disposizioni dello statuto, ad eccezione del titolo I e dell'articolo 64. Il Parlamento europeo e
il Consiglio deliberano su richiesta della Corte di giustizia e previa consultazione della Commissione o su
proposta della Commissione e previa consultazione della Corte di giustizia.

2. Gli emendamenti a molteplici articoli dello Statuto (contenuto in un protocollo) del Sistema
europeo di banche centrali (SEBC)
sono adottabili, in base all'art. 129, par. 3, TFUE, mediante un procedimento interamente europeo, cioè
senza alcuna approvazione o analogo atto degli Stati membri.

Al tema della revisione semplificata si lega anche


31

3. la possibilità di attribuire all'Unione delle competenze "sussidiarie", ampliando i suoi poteri


mediante un procedimento che si esaurisce sul piano esclusivamente europeo (art. 352 TFUE).

Tali procedure hanno carattere esclusivo oppure modifiche ai Trattati possono essere adottate anche per
altra via?
La Corte di giustizia ha stabilito che le modifiche ai Trattati possano essere effettuate esclusivamente
mediante le procedure prescritte dall’art. 48 TUE e da norme specifiche, escludendo che esse possano
derivare da un semplice accordo (eventualmente in forma semplificata, raggiunto in seno al Consiglio) tra
tutti gli Stati membri.

L’AMMISSIONE DI NUOVI MEMBRI

Articolo 49.1 TUE


Ogni Stato europeo che rispetti i valori di cui all'articolo 2 e si impegni a promuoverli può domandare di
diventare membro dell'Unione. Il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali sono informati di tale
domanda. Lo Stato richiedente trasmette la sua domanda al Consiglio, che si pronuncia all'unanimità,
previa consultazione della Commissione (parere obbligatorio e non vincolante) e previa approvazione del
Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono. Si tiene conto dei
criteri di ammissibilità convenuti dal Consiglio europeo.

1° FASE

1. Il procedimento prende l’avvio dall’iniziativa dello Stato che intende aderire all’unione;
2. La norma prescrive due requisiti per aderire:
 Uno di natura geografica: che lo Stato candidato appartenga all’Europa;
 Uno di natura politica: che lo Stato rispetti e promuova i valori di cui all’art. 3 TUE.

I tre criteri per l’adesione alla UE


L'ultima parte della norma in esame (inserita dal Trattato di Lisbona) "codifica" una tecnica che è stata
sperimentata con risultati soddisfacenti riguardo alle più recenti adesioni (quella di dieci nuovi membri,
realizzata il 10 maggio 2004, e quella di Bulgaria e Romania, del 1° gennaio 2007). Essa consiste nel
predeterminare tre criteri ai quali i candidati devono conformarsi progressivamente, nel corso di una fase di
pre-adesione, sotto il controllo della Commissione che ne verifica il rispetto:
1. giuridico, consistente nella capacità del Paese candidato di adeguarsi alle norme dei Trattati;
2. politico, relativo all'effettivo rispetto dei principi enunciati dall'art. 2 TUE;
3. economico, implicante la garanzia dello Stato candidato di assicurare il funzionamento di un
mercato aperto in libera concorrenza.
L'esplicito rinvio contenuto nell'art. 49, I comma, obbliga a tenere conto non solo di tali criteri, ma di quelli
che potranno essere definiti in futuro dal Consiglio europeo.

2° FASE
Una volta che il Consiglio abbia deliberato di accogliere la domanda di adesione, si svolge una seconda fase,
che si conclude con la stipulazione di un accordo tra Stato aderente e Stati membri contenente le condizioni
di ammissione e gli adattamenti dei trattati

Articolo 49.2 TUE


Le condizioni per l'ammissione e gli adattamenti dei trattati su cui è fondata l'Unione, da essa determinati,
formano l'oggetto di un accordo tra gli Stati membri e lo Stato richiedente. Tale accordo è sottoposto a
ratifica da tutti gli Stati contraenti conformemente alle loro rispettive norme costituzionali.

L'accordo di adesione
1. prevede emendamenti ai Trattati istitutivi solo nella misura richiesta dall'adesione: si pensi,
anzitutto, alle modifiche relative alla composizione degli organi e alle procedure di votazione.
2. contiene, inoltre, specifiche disposizioni relative ai tempi e ai limiti di applicazione del diritto
dell’Unione nei riguardi del nuovo Stato membro, al quale sono normalmente concesse delle
deroghe, temporanee o anche perpetue, in determinate materie.
32

3. Può prevedere l’emanazione di ulteriori atti dell’Unione per modificare la normativa europea
preesistente.
Corte di Giustizia: “L’atto di adesione si fonda essenzialmente sul principio generale dell’applicazione
immediata e integrale delle disposizioni del diritto dell’Unione a tale Stato, mentre deroghe sono ammesse
solo e in quanto previste espressamente da disposizioni transitorie”

Un ruolo determinante sulle scelte e sui tempi dell'adesione è svolto dal Consiglio europeo. Il Parlamento
europeo ha stabilito, nel proprio Regolamento del dicembre 2009, che, prima della firma dell'accordo di
adesione, il testo del progetto di accordo sia sottoposto alla sua approvazione (art. 74 quater, par. 5).

RECESSO DALL’UNIONE EUROPEA


Articolo 53 TUE
Il presente trattato è concluso per una durata illimitata.

Articolo 50.1 e .2 TUE


1. Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere
dall'Unione.
2. Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio europeo. Alla luce degli
orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l'Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a
definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l'Unione. L'accordo è
negoziato conformemente all'articolo 218, paragrafo 3 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
Esso è concluso a nome dell'Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa
approvazione del Parlamento europeo.

Articolo 50.3 TUE


3. I trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore
dell'accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica di cui al paragrafo 2, salvo
che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro interessato, decida all'unanimità di prorogare tale
termine.

Il diritto di recesso unilaterale volontario dall’Unione Europea da parte degli Stati membri, previsto e
regolato dall’art. 50 del Trattato sull’Unione Europea, è stato introdotto mediante il Trattato di Lisbona,
entrato in vigore nel dicembre 2009.
Si può ritenere che il recesso dall’Unione, prima di essere espressamente previsto dal TUE, fosse consentito
ai sensi delle norme internazionali sul diritto dei trattati, codificate nella Convenzione di Vienna del
1969, con le limitazioni ed alle condizioni ivi previste, ossia, in linea di massima, con il consenso, esplicito
o implicito, di tutte le parti ovvero subordinatamente al verificarsi di determinate circostanze.

Il recesso dall’Unione, ai sensi del citato art. 50, sulla base della procedura di seguito sommariamente
descritta, può intervenire in qualsiasi momento e non è subordinato al consenso dell’Unione e/o di altri
Stati membri né ad alcuna ulteriore condizione sostanziale.
1. Lo Stato membro che decida di recedere dall’Unione deve notificare la propria intenzione al
Consiglio europeo,
2. che formula gli orientamenti in base ai quali l’Unione negozia con lo Stato membro un accordo di
recesso, volto a stabilirne le modalità, nonché a disciplinare i successivi rapporti tra detto Stato e
l'Unione.
3. Si applica a tale accordo la procedura prevista dall’art. 218, par. 3, del Trattato sul Funzionamento
dell’Unione Europea, in base al quale la Commissione presenta le proprie raccomandazioni al
Consiglio, che conclude l'accordo a nome dell'Unione deliberando a maggioranza qualificata, previa
approvazione del Parlamento europeo.
4. Il rappresentante dello Stato membro che recede non partecipa alle deliberazioni ed alle decisioni del
Consiglio.
5. I Trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore
dell'accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica del recesso al
Consiglio europeo.
33

6. D'intesa con lo Stato membro interessato, il Consiglio Europeo può decidere all'unanimità di
prorogare tale termine. Da ciò deriva che il recesso può avere effetto anche senza che l'Unione abbia
espresso il suo consenso mediante l’accordo in argomento, ove quest’ultimo, per qualsiasi motivo,
non sia concluso entro il termine prescritto, originario o prorogato.

Un recesso di innegabile peso è quello notificato il 29 Marco 2017 dal Regno Unito. La data di efficacia
del recesso, più volte prorogata, è quella del 1° febbraio 2020.
Fino a tale data il Regno Unito continuava a far parte dell’Unione Europea, con tutti i diritti e gli obblighi di
uno stato membro.

QUESTIONE: Il regno Unito, dopo una notifica ex art. 50 TUE, può decidere di revocare in via unilaterale
la propria notifica di recesso? Di fronte al testo dell’articolo ci pare difficilmente sostenibile.
Tuttavia, la Corte di Giustizia ha affermato:
Sent. Wightman e altri “l’art. 50 TUE persegue un duplice obiettivo, da un lato, sancire il diritto
sovrano degli Stati Membri di recedere dall’Unione e, dall’altro, istituire una procedura intesa a consentire
che tale recesso si svolga in modo ordinato […]”
“il carattere sovrano del diritto di recesso depone a favore dell’esistenza del diritto dello Stato Membro
interessato di revocare la notifica della sua intenzione di recedere dall’Unione”

Quindi: lo Stato può revocare unilateralmente la notifica, finché non sia entrato in vigore un accordo di
recesso con l’Unione o non sia scaduto il termine di due anni previsto dall’art. 50, eventualmente prorogato.
La revoca deve essere univoca e incondizionata e fatta mediante comunicazione scritta al Consiglio Europeo.

Secondo Giuliano Amato, che ne fu il proponente, l’art. 50 del TUE “… fu scritto e voluto più come
deterrente, che come norma destinata ad essere effettivamente applicata. Per anni la strategia ostruzionistica
e di logoramento degli euroscettici di stampo britannico si era avvalsa dell'argomento «ci dite che
l'appartenenza all'Unione è irreversibile, siamo dunque costretti a stare insieme e allora non potete imporci
questo, non potete negarci quest'altro» e così via tirando permanentemente la corda. Bene, dice ora l'art. 50,
qui nessuno è tenuto a rimanere per forza e se ciò che per tutti gli altri va bene non va bene invece per
qualcuno, la porta è lì e quel qualcuno può accomodarsi. Il vecchio ricatto, insomma, non è più possibile”.

Un'affermazione che lascia di stucco, soprattutto considerando che Amato, per sua propria ammissione, di
quello stesso articolo è autore. "La mia intenzione – ha spiegato oggi – era che ci fosse una valvola di
sicurezza, ma che non fosse mai usata. È come avere un estintore che non dovrebbe mai essere utilizzato.
Invece è scoppiato un incendio", ha spiegato, aggiungendo che la clausola di uscita era stata inserita
appositamente per rassicurare il Regno Unito.

L'ex premier ha poi confessato di avere una "assurda speranza" per il futuro: quella cioè che i futuri
governanti britannici possano tornare sulle scelte dei propri concittadini. "Più comprenderanno che stanno
perdendo, più ci sarà una possibilità che nel 2020 (quando ci saranno le elezioni politiche, ndr) qualcuno farà
qualcosa", ha dichiarato.
Le sue parole hanno causato grandissimo stupore nel Regno Unito, dove la stampa sottolinea come Amato
abbia rimarcato la necessità di "non concedere alla Gran Bretagna la possibilità di pensare che il Brexit possa
essere solo un modo migliore di fare ciò che ha sempre fatto: prendere dell'Europa quello che piace e
rifiutare quello che non piace."
Parole dure, che però non riescono a nascondere una segreta speranza. Che la scelta dei britannici di
divorziare da Bruxelles possa non essere definitiva. Anche in barba a quelle
34

CAPITOLO III
I PRINCIPI DELIMITATIVI
TRA LE COMPETENZE DELL’UNIONE EUROPEA E QUELLE DEGLI STATI MEMBRI
LE COMPETENZE DI ATTRIBUZIONE

Alcuni principi segnano lo “spartiacque” tra le competenze delle istituzioni europee e quelle degli Stati
membri, riguardo sia alla loro delimitazione sia al loro esercizio.

Il principio di attribuzione
Articolo 5.2 TUE
2. In virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le
sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi
competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri.

Tale principio è esteso alle istituzioni dell'Unione dall’Articolo 13.2 TUE


2. Ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai trattati, secondo le
procedure, condizioni e finalità da essi previste. Le istituzioni attuano tra loro una leale cooperazione.

Il principio delle competenze di attribuzione significa che l'Unione dispone esclusivamente di quelle funzioni
e di quei poteri che gli Stati membri, volontariamente, hanno convenuto di attribuirle mediante i Trattati
istitutivi, ogni altra competenza resta in mano agli Stati.

Contrariamente a quanto accade per gli Stati, i poteri dell’UE non sono "originari", bensì derivati, il che
testimonia l’assenza di un intento federalistico, nell'attuale sistema europeo, confermata dall'

Articolo 4.1 e 2 TUE:


1. In conformità dell'articolo 5, qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli
Stati membri.
2. L'Unione rispetta l'uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita
nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e
regionali…

1. Intento politico e giuridico di salvaguardia della sovranità degli Stati membri:


La norma prosegue facendo esplicito riferimento alla necessità che l'Unione rispetti le funzioni essenziali
dello Stato relative all'integrità territoriale, all'ordine pubblico, alla sicurezza nazionale, dichiarata, in
particolare, di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro.

2. Esigenza di preservare le “specificità di ciascuno Stato”, le quali non vanno annullate in nome
di una ipotetica “omologazione”
Il riferimento all'identità nazionale degli Stati membri va oltre i profili della sovranità e della costituzione
dello Stato e vuole evitare il rischio dell’imposizione dei modelli degli Stati più forti (da un punto di vista
economico, politico, linguistico) sugli altri.

Tale visione dell’identità culturale è confermata dall0


Articolo 3.3.4 TUE
Essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo
sviluppo del patrimonio culturale europeo.

In maniera particolarmente espressiva l’immagine di Europa che nasce dal reciproco arricchimento delle
differenti identità nazionali emergeva dal motto adottato dalla Costituzione Europea (art. 1 – 8):
“il motto dell’Unione è: Unita nella diversità”

Rispetto dell’Identità nazionale


35

il rispetto dell’identità nazionale degli Stati membri, sancito nel citato art. 4, par. 2, TUE, ha trovato
esplicita applicazione nella giurisprudenza della Corte di giustizia.

Sentenza del 22 dicembre 2010, Sayn-Wittgenstein, con riferimento a una legge austriaca di valore
costituzionale che dispone l’abolizione dei titoli nobiliari e che, nella specie, comportava una restrizione alla
libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, la Corte ha affermato che tale legge, considerata quale
elemento dell’identità̀ nazionale di tale Paese, poteva giustificare una siffatta restrizione.

La Corte ha statuito:
«occorre riconoscere che, nel contesto della storia costituzionale austriaca, la legge sull’abolizione della
nobiltà può, in quanto elemento dell’identità nazionale, entrare in linea di conto nel bilanciamento di
legittimi interessi con il diritto di libera circolazione delle persone riconosciuto dalle norme dell’Unione»
e che
«non è indispensabile che la misura restrittiva adottata dalle autorità di uno Stato membro corrisponda a
una concezione condivisa da tutti gli Stati membri relativamente alle modalità di tutela del diritto
fondamentale o del legittimo interesse in questione e che, anzi, la necessità e la proporzionalità delle
disposizioni adottate in materia non sono escluse per il solo fatto che uno Stato membro abbia scelto un
regime di tutela diverso da quello adottato da un altro Stato membro»

Rispetto del sistema delle autonomie locali


Con particolare riguardo al sistema delle autonomie locali e regionali, richiamato nel quadro del rispetto
dell’identità̀ nazionale degli Stati membri, la Corte ha affermato che, nell’applicazione del diritto
dell’Unione,
sentenza del 12 giugno 2014, causa C-156/13, Digibet Ltd e Gert Albers→ in uno Stato come la
Repubblica federale di Germania, il legislatore può ritenere che, nell’interesse di tutte le persone coinvolte,
spetti ai Lander piuttosto che alle autorità̀̀ federali adottare determinate misure legislative [...]. Nel caso di
specie, la ripartizione delle competenze tra i Lander non può̀̀ essere messa in discussione, in quanto essa
ricade nell’ambito della tutela conferita dall’art. 4, par. 2, TUE, che obbliga l’Unione a rispettare l’identità̀̀
nazionale degli Stati membri insita nella loro struttura fondamentale, politica e istituzionale, compreso il
sistema delle autonomie locali e regionali”

Il regime sanzionatorio per la violazione del principio di attribuzione (c.d. vizio di incompetenza)
Il rispetto del principio di attribuzione è giuridicamente sanzionato, in quanto gli atti (illegittimi) viziati da
incompetenza sono soggetti a dichiarazione di nullità da parte dei giudici dell'Unione.

La Corte di giustizia ha più volte ribadito che le competenze della Comunità – oggi diventata Unione – sono
soltanto quelle attribuite dalle disposizioni dei Trattati e non possono spingersi oltre l'ambito da esse
risultanti.

• parere 2/94 del 28 marzo 1996 sull’adesione della Comunità europea alla Convenzione
europea dei diritti dell’uomo la Corte ha dichiarato che la Comunità non aveva la competenza
per aderire a questa Convenzione sulla base delle seguenti considerazioni:
«Dall’art. 3 B [oggi 5 TUE], a termini del quale la Comunità [oggi Unione] agisce nei limiti delle
competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal Trattato, emerge che essa
disponga unicamente di poteri attribuiti.
Il rispetto di detto principio dei poteri attribuiti vale per quanto riguarda l’operato sia interno che
internazionale della Comunità [...].
Si deve rilevare che nessuna disposizione del Trattato attribuisce alle istituzioni comunitarie [oggi
dell’Unione], in termini generali, il potere di dettare norme in materia di diritti dell’uomo o di concludere
convenzioni internazionali in tale settore».

• sentenza del 5 ottobre 2000, causa C-376/98, Germania c. Parlamento e Consiglio, la Corte
ha annullato una direttiva del 6 luglio 1998 sul ravvicinamento delle disposizioni degli Stati
membri in materia di pubblicità e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco, in
quanto
“le misure di cui all'art. 100 A, n. 1, del Trattato sono destinate a migliorare le condizioni di instaurazione e
di funzionamento del mercato interno. Interpretare tale articolo nel senso che attribuisca al legislatore
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comunitario una competenza generale a disciplinare il mercato interno non solo sarebbe contrario al tenore
stesso delle disposizioni citate, ma sarebbe altresì incompatibile con il principio sancito dall'art. 3 B del
Trattato CE [oggi art. 5 TUE], secondo cui le competenze della Comunità sono competenze di
attribuzione”.

Conseguenza indiretta del diritto dell’Unione


Tuttavia, resta interessante notare che anche in materie le quali restano nella competenza degli Stati
Membri

“ciò non toglie che, in situazioni ricadenti nell’ambito del diritto dell’Unione, le norme nazionali di cui
trattasi devono rispettare quest’ultimo”

Dunque, ad esempio nelle sentenze con le quali ha constatato che la Polonia aveva violato il principio
dell’indipendenza della magistratura, la Corte ha dichiarato che

Indipendenza della magistratura (sentenze del 24 giugno 2019, Commissione c. Polonia, e del 5 novembre
2019, Commissione c. Polonia) «sebbene [...] l’organizzazione della giustizia negli Stati membri rientri
nella competenza di questi ultimi, ciò non toglie che, nell’esercizio di tale competenza, gli Stati membri
siano tenuti a rispettare gli obblighi per essi derivanti dal diritto dell’Unione [...] e, in particolare, l’art. 19,
par. 1, secondo comma, TUE».

Ancora, In materia matrimoniale la Corte, pur ammettendo che essa rientra nella la competenza degli Stati
membri, che sono liberi di prevedere o meno il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ha dichiarato che
uno Stato membro il quale riservi il matrimonio alle unioni eterosessuali ha l’obbligo, tuttavia, di
riconoscere un matrimonio omosessuale ai soli fini della concessione del diritto di soggiorno al coniuge
di un cittadino di un altro Stato membro.

sentenza del 5 giugno 2018, causa C-673/16, Coman e altri Tale obbligo, essendo circoscritto al solo,
limitato effetto del diritto di soggiorno, «non pregiudica l’istituto del matrimonio in tale primo Stato
membro, il quale è definito dal diritto nazionale [e] non attenta all’identità̀̀ nazionale né minaccia l’ordine
pubblico dello Stato membro interessato» (

Competenze delle istituzioni (art. 13, par. 2, TUE), accordi internazionali

In epoca recente il problema della compatibilità̀ con il principio di attribuzione, in particolare riferito alle
competenze delle istituzioni (art. 13, par. 2, TUE), si è posto riguardo a due accordi internazionali conclusi
tra Stati membri dell’Unione (non fra tutti) nel quadro del rafforzamento della governance europea
dell’economia e delle misure volte a contrastare la crisi finanziaria ed economica che ha investito
l’Europa, in specie l’eurozona.
1. MES: Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità, sottoscritto a Bruxelles il 2 febbraio
2012 dai diciassette Stati membri che allora adottavano l’euro
2. FISCAL COMPACT: Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione
economica e monetaria, sottoscritto a Bruxelles il 2 marzo 2012 da venticinque Stati membri, non
ricomprendendo Regno Unito e Repubblica ceca.

Si tratta di accordi internazionali, soggetti alla ratifica degli Stati parti per la loro entrata in vigore ed
estranei all’ordinamento giuridico dell’Unione.

PROBLEMA: I suddetti Trattati del 2012, attribuiscono alle istituzioni dell’Unione (in particolare, alla
Commissione, al Consiglio, alla Banca centrale europea e alla Corte di giustizia) alcune competenze e poteri,
che non sempre appaiono giustificabili in base ai Trattati europei, e prevedono procedure diverse da quelle
stabilite in questi ultimi
• Ad esempio: l’adozione semiautomatica delle proposte e delle raccomandazioni della Commissione
nei confronti di uno Stato della zona euro che abbia violato i propri obblighi, nel quadro della
procedura per disavanzi eccessivi, salvo che a esse si opponga la maggioranza qualificata degli altri
Stati parti aderenti all’euro (art. 7 del Trattato sul Fiscal Compact).
37

IN REALTA’…
è dubbio che tali Trattati possano considerarsi conformi al principio di attribuzione (ciascuna istituzione
agisce nei limiti delle competenze e secondo le procedure, condizioni e finalità̀̀ previste dai Trattati europei
ai sensi dell’art. 13, par. 2, TUE) nella misura in cui prevedono procedure o votazioni non contemplate dai
Trattati europei e sembrano anche aggirare i procedimenti di revisione degli stessi Trattati di cui all’art.
48 TUE.

Tuttavia, la Corte di Giustizia la Corte di giustizia, chiamata a pronunciarsi sulla questione dalla Supreme
Court irlandese riguardo al Trattato MES, nella sentenza del 27 novembre 2012, causa C-370/12, Pringle,
ha dichiarato che tale Trattato non viola il principio di attribuzione, poiché, in considerazione della propria
giurisprudenza precedente, sono rispettate le condizioni secondo le quali i compiti affidati alla Commissione
e alla Banca centrale europea non rientrano in settori di competenza esclusiva dell’Unione – riguardando la
politica economica – e non snaturano le attribuzioni che i Trattati europei conferiscono a tali istituzioni.

Accordo autonomo e distinto rispetto all’ordinamento dell’Unione Europea?


Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia il principio di attribuzione non esclude che, a certe
condizioni, gli Stati membri, con un accordo autonomo e distinto rispetto all’ordinamento dell’Unione,
possano attribuire alle istituzioni europee determinate funzioni.
«Va rammentato che dalla giurisprudenza della Corte emerge che, nei settori che non rientrano nella
competenza esclusiva dell’Unione, gli Stati membri hanno il diritto di affidare alle istituzioni, al di fuori
dell’ambito dell’Unione, compiti come il coordinamento di un’azione comune da essi intrapresa o la
gestione di un’assistenza finanziaria [...], a condizione che tali compiti non snaturino le attribuzioni che i
Trattati UE e FUE conferiscono a tali istituzioni».
38

LE COMPETENZE “SUSSIDIARIE”

Il principio, delle competenze di attribuzione è ridimensionato dalla possibilità, espressamente prevista


dall'art. 352 TFUE, di conferire nuovi poteri, detti "competenze sussidiarie", all'Unione senza una formale
modifica dei Trattati. Tale articolo, contenente la c.d. clausola di flessibilità, dichiara al par. 1:

Articolo 352.1 TFUE


1. Se un’azione dell’Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare
uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal
fine, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del
Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate. Allorché adotta le disposizioni in questione
secondo una procedura legislativa speciale, il Consiglio delibera altresì all’unanimità su proposta della
Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo.

Il procedimento si articola in:


1. proposta della Commissione;
2. approvazione del Parlamento e, principalmente,
3. Il voto unanime del Consiglio (consenso di tutti gli Stati membri).
Anche nel caso di procedure legislative speciali, l'attribuzione di poteri aggiuntivi all'Unione richiede la
proposta della Commissione, l'approvazione del Parlamento europeo e il voto unanime nel Consiglio.

L'ipotesi prevista dall'art. 352 è che un determinato scopo rientri già nella competenza dell'Unione ("nel
quadro delle politiche definite nei Trattati"), ma che quest'ultima non sia stata provvista dai Trattati dei
poteri d'azione necessari per realizzarlo. Non sarebbe possibile, pertanto, estendere la portata dei Trattati,
ampliando le stesse materie rientranti nel loro ambito.

La Corte di giustizia, nel citato parere 2/94 del 28 marzo 1996, ha affermato, riguardo al precedente art.
308 del Trattato sulla Comunità europea:
«Tale disposizione, costituendo parte integrante di un ordinamento istituzionale basato sul principio dei
poteri attribuiti, non può costituire il fondamento per ampliare la sfera dei poteri della Comunità al di là
dell'ambito generale risultante dal complesso delle disposizioni del Trattato, ed in particolare di quelle che
definiscono i compiti e le azioni della Comunità. Essa non può essere in ogni caso utilizzata quale base per
l'adozione di disposizioni che condurrebbero sostanzialmente, con riguardo alle loro conseguenze, a una
modifica del Trattato che sfugge alla procedura all'uopo prevista nel Trattato medesimo».

• Inoltre, le misure fondate su tale articolo non possono comportare un’armonizzazione


delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri nei casi in cui i Trattati la
escludano.

Competenze sussidiarie escluse


Il ricorso alla procedura dell'articolo in esame è del tutto escluso in materia di politica estera e di sicurezza
comune.
Dichiara, infatti, il par. 4:
Articolo 352.4 TFUE
«Il presente articolo non può servire di base per il conseguimento di obiettivi riguardanti la politica estera e
di sicurezza comune e qualsiasi atto adottato a norma del presente articolo rispetta i limiti previsti
nell'articolo 40, secondo comma, del Trattato sull'Unione europea».

La Dichiarazione n. 41, allegata al Trattato di Lisbona, prevede che l'articolo in esame può essere
applicato solo per perseguire gli obiettivi indicati dall'art. 3, paragrafi 2, 3 e 5, TUE e ne restano esclusi,
quindi, l'obiettivo di promozione della pace, dei valori dell'Unione e del benessere dei suoi popoli (par. 1),
l'unione economica e monetaria (par. 4) e (in conformità dell'art. 352, par. 4) la PESC.

Sebbene le dichiarazioni non abbiano valore obbligatorio, ma solo interpretativo, non sarebbe certo
difficile, da parte di un qualsiasi Stato membro, invocare la Dichiarazione n. 41 per giustificare un
proprio voto contrario, così precludendo l'unanimità nel Consiglio richiesta dall'art. 352, par. 1.
39

Condizioni
Nella prassi anteriore al Trattato di Lisbona il corrispondente art. 308 del Trattato sulla Comunità europea è
stato applicato centinaia di volte, mentre le limitazioni previste nel testo attuale – voto unanime dei ventisette
Stati membri presenti nel Consiglio – inducono a prevedere un uso più ridotto della "clausola di
flessibilità".

Le "disposizioni appropriate" che l'art. 352 consente di adottare comprendono ogni tipo di atto che le
istituzioni europee ritengano opportuno, siano essi atti normativi "tipici", contemplati dall'art. 288 TFUE
(Cap. VII, par. 9 ss.), oppure atti "atipici" di altra natura.

Il procedimento volto a conferire nuovi poteri all'Unione resta soggetto al rispetto dei principi di sussidiarietà
e di proporzionalità
 sia per la possibilità di intervento dell'Unione,
 sia per i tipi di atti adottabili (acché siano il meno intrusivi possibili).

Per quanto concerne il rispetto della sussidiarietà, in particolare, la Commissione, ai sensi dell'art. 352, par.
2, è tenuta a richiamare l'attenzione dei parlamenti nazionali sulle proprie proposte, al fine di sollecitare i
poteri di controllo che al riguardo competono a ta0
.li parlamenti (oltre, par. 5).

I C.D. POTERI IMPLICITI


La teoria dei poteri impliciti, ulteriore limite alle competenze di attribuzione, è stata elaborata dalla Corte
suprema statunitense, con l'obiettivo di rafforzare e ampliare le competenze dello Stato federale, e ripresa
dalla Corte internazionale di giustizia per estendere i poteri delle Nazioni Unite.
• Secondo tale teoria, l'Unione europea (come, in generale, un'organizzazione
internazionale)deve ritenersi provvista non solo dei poteri ad essa conferiti espressamente
dai Trattati istitutivi (poteri espliciti), ma anche dei poteri (impliciti), pur non menzionati
dai Trattati, che siano funzionali ai poteri espliciti.
Una versione più avanzata di tale della teoria prevede che i poteri impliciti possano essere ricavati
direttamente dagli scopi (vasti e generici) dei Trattati.
P. es., la Corte ha affermato la competenza generale della Comunità a concludere accordi in qualsiasi
materia per la quale avesse il potere di emanare norme comuni all'interno della Comunità.
In un caso successivo (sentenza del 9 luglio 1987, cause 281, 283-285 e 287/85, Germania e altri c.
Commissione), la Corte ha dichiarato che la Commissione aveva il potere di adottare una decisione
vincolante, con la quale istituiva una procedura di comunicazione preliminare e di concertazione sulle
politiche migratorie nei confronti degli Stati terzi:
«… quando un articolo del Trattato CEE, nella fattispecie l'art. 118, affida alla Commissione un compito
preciso, si deve ammettere, se non si vuole privare di qualsiasi efficacia detta disposizione, che esso le
attribuisce, per ciò stesso, necessariamente i poteri indispensabili per svolgere detta missione».

LE CATEGORIE DI COMPETENZE DELL’UE


Le tre categorie di competenze:
1. esclusive;
2. concorrenti;
3. di sostegno, coordinamento o espletamento dell'azione degli Stati membri.
Una posizione a sé stante occupa la PESC (art. 2, par. 4, TFUE), fondata essenzialmente su metodi e atti di
carattere intergovernativo e nella quale, pertanto, i principali protagonisti restano gli Stati membri.

Inoltre, riguardo alla materia economica e a quella occupazionale, sono gli Stati membri che coordinano
le loro politiche, sebbene nell'ambito dell'Unione, alla quale compete la definizione delle modalità di
coordinamento, in conformità del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (art. 2, par. 3), in
particolare, spetta all’Unione l'adozione di indirizzi di massima per il coordinamento delle politiche
economiche e di orientamento per le politiche occupazionali, nonché di iniziative per il coordinamento delle
politiche sociali (art. 5 TFUE)
40

1. Competenze esclusive
Articolo 2.1 TFUE
1. Quando i trattati attribuiscono all'Unione una competenza esclusiva in un determinato settore, solo
l'Unione può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri possono farlo
autonomamente solo se autorizzati dall'Unione oppure per dare attuazione agli atti dell'Unione.

Ai sensi dell'art. 3, par. 1, TFUE, il quale "codifica" in larga parte la giurisprudenza della Corte di giustizia,
le materie di competenza esclusiva sono:
a) l'unione doganale;
b) le regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno;
c) la politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta e l'euro;
d) la conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della
pesca;
e) la politica commerciale comune.
A tali materie il par. 2 aggiunge la conclusione di accordi internazionali, a determinate condizioni, che è
preferibile esaminare nel quadro della disciplina sulla conclusione di tali accordi da parte dell'Unione (Cap.
VI, par. 9).

Tali ipotesi di competenza esclusiva vanno considerate di carattere tassativo, per cui ulteriori materie
potrebbero essere stabilite solo modificando i Trattati.

2. Competenze concorrenti
Articolo 2.2 TFUE
2. Quando i trattati attribuiscono all'Unione una competenza concorrente con quella degli Stati membri in
un determinato settore, l'Unione e gli Stati membri possono legiferare e adottare atti giuridicamente
vincolanti in tale settore. Gli Stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l'Unione non
ha esercitato la propria. Gli Stati membri esercitano nuovamente la loro competenza nella misura in cui
l'Unione ha deciso di cessare di esercitare la propria.
il potere di adottare atti giuridicamente obbligatori appartiene, di regola, sia alle istituzioni europee che agli
Stati membri, questi ultimi possono esercitare la propria competenza solo quando
1. l'Unione non abbia esercitato i suoi poteri, oppure
2. quando abbia deciso di abrogare un proprio atto, per esempio, per assicurare il rispetto dei principi di
sussidiarietà o di proporzionalità.
Ai sensi del Protocollo n. 25 sull'esercizio della competenza concorrente, peraltro, quando l'Unione emana
un atto in un determinato settore, gli Stati membri non possono più agire solo rispetto agli elementi
disciplinati da tale atto, non già nell'intero settore cui l'atto si riferisce. In ogni caso, per emanare propri atti
gli Stati membri devono pur sempre rispettare gli obblighi derivanti dalla loro appartenenza all'Unione,
anche in conformità dell'obbligo di leale collaborazione.

Articolo 4.2 TFUE


2. L'Unione ha una competenza concorrente con quella degli Stati membri nei principali seguenti
settori:
a) mercato interno;
b) politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato;
c) coesione economica, sociale e territoriale;
d) agricoltura e pesca, tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare;
e) ambiente;
f) protezione dei consumatori;
g) trasporti;
h) reti transeuropee;
i) energia;
j) spazio di libertà, sicurezza e giustizia;
k) problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica, per quanto riguarda gli aspetti definiti
nel presente trattato.
Il suddetto elenco, a differenza di quello relativo alle materie di competenza esclusiva dell'Unione (e a quello
delle materie di sostegno, coordinamento o completamento), è esemplificativo, non esaustivo.
41

La competenza concorrente si presenta come residuale, rispetto alle altre, nonché di carattere generale, ivi
rientrando qualsiasi materia non espressamente prevista dagli articoli 3 o 6.

Lo stesso art. 4 TFUE detta una disciplina differenziata, e più "sbilanciata" a favore degli Stati membri, nei
settori, da una parte, della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dello spazio (par. 3) e, dall'altra, della
cooperazione allo sviluppo e dell'aiuto umanitario (par. 4). In queste categorie l'azione svolta dall'Unione
(che, ai sensi del par. 3, consiste, in particolare, nella definizione e attuazione di programmi) non preclude
quella degli Stati membri, che può essere sempre esercitata.

3. Competenze di sostegno, coordinamento o completamento dell'azione degli Stati membri


Articolo 2.5 TFUE
5. In taluni settori e alle condizioni previste dai trattati, l'Unione ha competenza per svolgere azioni intese a
sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri, senza tuttavia sostituirsi alla loro
competenza in tali settori.
Si tratta di un'opera di assistenza all'azione degli Stati membri il cui esercizio non impedisce l'esercizio
delle competenze statali e "che non può comportare un'armonizzazione normativa degli Stati membri” (art.
2.5.2 TFUE).
I settori compresi in tali competenze, anch'essi in maniera tassativa, sono:
a) tutela e miglioramento della salute umana;
b) industria;
c) cultura;
d) turismo;
e) istruzione, formazione professionale, gioventù e sport;
f) protezione civile;
g) cooperazione amministrativa (art. 6 TFUE).
Tali competenze riguardano tali materie solo "nella loro finalità europea", cioè nella misura in cui
concernano la dimensione europea, non quella meramente interna dei suddetti settori.

Ai fini della individuazione del tipo di competenza (esclusiva, concorrente o di sostegno, coordinamento o
completamento) merita di essere particolarmente richiamata la disposizione, che chiude l'art. 2, contenuta nel
par. 6, secondo la quale:
Articolo 2.6 TFUE
6. La portata e le modalità d'esercizio delle competenze dell'Unione sono determinate dalle disposizioni dei
trattati relative a ciascun settore.
Ciò significa che gli specifici poteri dell'Unione, gli atti emanabili, le procedure di adozione degli atti stessi
vanno stabiliti sulla base delle disposizioni dei Trattati che disciplinano ciascuno dei settori, in
prevalenza contenute nella parte terza (politiche dell'Unione e azioni interne) e nella parte quinta (azione
esterna dell'Unione) del TFUE.

IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’
I Trattati provvedono non solo a delimitare le competenze dell'Unione e quelle degli Stati membri, ma anche
a stabilire i principi in base ai quali l'Unione esercita le sue competenze.

In proposito, l’Articolo 5.1 TUE:


1. La delimitazione delle competenze dell'Unione si fonda sul principio di attribuzione. L'esercizio delle
competenze dell'Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità.

Il principio di sussidiarietà è stato introdotto dal Trattato di Maastricht del 1992 ed è ispirato, secondo vari
studiosi, alla dottrina sociale della Chiesa, in particolare all'Enciclica "Quadragesimo anno" di Pio XI del 15
maggio 1931. Tale principio – richiamato già nel preambolo del Trattato sull'Unione europea – è previsto
nell'art. 5, par. 3, TUE, il quale, al 1° comma, dichiara:

Articolo 5.3.1 TUE


3. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione
interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura
42

sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo
della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione.

Il principio di sussidiarietà delimita l'esercizio delle competenze nelle materie appartenenti alla
competenza sia dell'Unione sia degli Stati membri. L'applicazione del principio di sussidiarietà va
affermata anche in materia di PESC e nelle politiche economica e di occupazione, nelle quali i principali
attori sono gli Stati membri e che, pertanto, non sono, evidentemente, di competenza esclusiva dell'Unione.

Il principio di sussidiarietà (non ancora così denominato) compare nell'Atto unico europeo del 1986, nella
materia della politica ambientale: la Comunità agiva nella misura in cui gli obiettivi in materia ambientale
potevano essere meglio realizzati a livello comunitario piuttosto che a livello dei singoli Stati membri, anche
con la ratio di favorire un'espansione dei poteri della Comunità. Tuttavia, per come esso è formulato nell'art.
5, par. 3, TUE, esso è diretto essenzialmente a salvaguardare l'ambito di operatività degli Stati membri,
arginando un eccessivo attivismo che la Comunità manifestava negli anni in cui fu inserito.

L'art. 5, par. 3, TUE, infatti, appare espresso maniera chiaramente restrittiva, rispetto all'intervento
dell'Unione (interviene soltanto se e in quanto), richiedendo, affinché esso sia giustificato, che sussistano
entrambe le seguenti condizioni:
1. l'insufficienza dell'azione statale al fine della realizzazione degli obiettivi;
2. il "valore aggiunto" insito nell'intervento dell’Unione.

Il principio di prossimità
Il principio di sussidiarietà si collega anche allo scopo che le decisioni concernenti il perseguimento degli
obiettivi europei siano assunte al livello più adatto a consentire ai cittadini di esprimere le proprie
esigenze e le proprie determinazioni.
Articolo 1.2 TUE
Il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un'unione sempre più stretta tra i
popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile
ai cittadini.

Il legame tra il principio di sussidiarietà e quello di prossimità emerge esplicitamente dal preambolo del
TUE, nel quale gli Stati membri si riferiscono a una Unione «in cui le decisioni siano prese il più vicino
possibile ai cittadini, conformemente al principio di sussidiarietà».

I poteri di vigilanza dei parlamenti nazionali


Il Protocollo n. 2 del trattato di Lisbona, sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità,
pone taluni obblighi alle istituzioni europee e regola i poteri di vigilanza sull'applicazione del principio
di sussidiarietà attribuiti ai parlamenti nazionali, con particolare riguardo all'adozione di atti legislativi.

a) Obbligo di motivazione
La Commissione, prima di proporre un atto legislativo (e salvo casi di straordinaria urgenza), effettua
ampie consultazioni tenendo conto, se del caso, della dimensione regionale e locale dell'azione intrapresa
(art. 2).

Ogni proposta di atto legislativo deve essere motivata con riguardo al principio di sussidiarietà (nonché
di proporzionalità) e accompagnata da una scheda contenente elementi circostanziati che consentano di
valutare il rispetto di tali principi;
le ragioni che hanno portato a concludere che un obiettivo dell'Unione può essere conseguito meglio a
livello di quest'ultima devono essere confortate da indicatori qualitativi e, ove possibile, quantitativi (art.
5) (prescrizioni molto stringenti e rigorose, che, peraltro, erano già presenti nell'abrogato Protocollo del
1997).

b) Obbligo di informazione
Commissione, Parlamento europeo e Consiglio, a seconda dei casi, sono tenuti a trasmettere ai parlamenti
nazionali i progetti di atti legislativi europei e i progetti modificati.
43

c) "Early warning"
Ciascun parlamento nazionale (o sua camera), entro otto settimane dalla trasmissione di un progetto di
atto legislativo europeo può formulare un parere motivato (che è inviato ai presidenti del Parlamento
europeo, del Consiglio e della Commissione), nel quale dichiara di ritenere che il progetto non sia
conforme al principio di sussidiarietà e, a seconda del numero di voti espressi dai parlamenti nazionali:
 il parere va “tenuto in conto” dalle istituzioni (o dagli Stati) proponenti;
 il progetto di atto legislativo deve essere riesaminato e, al termine di tale riesame, l'istituzione (o
il gruppo di Stati) proponente è tenuta a motivare la sua decisione, che può consistere, peraltro,
nel mantenere il progetto, così come di modificarlo o di ritirarlo (art. 7).
 la Commissione deve riesaminare la proposta e, ove intenda mantenerla, deve inviare il proprio
parere e quelli dei parlamenti nazionali al Parlamento europeo e al Consiglio, i quali,
anteriormente alla conclusione della prima lettura, esaminano la compatibilità della proposta
con il principio di sussidiarietà. Se il Consiglio, a maggioranza del 55% dei suoi membri, o il
Parlamento europeo, a maggioranza dei voti espressi, ritengono che la proposta sia
incompatibile con la sussidiarietà, essa non forma oggetto di ulteriore esame.
Uno Stato membro può impugnare un atto del genere dinanzi alla Corte di giustizia anche a nome del suo
parlamento nazionale o di una sua camera.

L’impugnazione di fronte alla Corte di giustizia

Il principio di sussidiarietà̀ comporta un notevole margine di apprezzamento discrezionale per quanto


concerne
a) sia il profilo dell’insufficienza dell’azione statale a conseguire gli obiettivi di interesse comune,
b) sia quello relativo al valore aggiunto offerto dall’intervento dell’Unione europea.

Ciò non esclude che il rispetto del principio di sussidiarietà è soggetto al consueto sindacato giudiziario
attribuito alla Corte di giustizia sulla legittimità degli atti dell'Unione, in quanto competente a
pronunciare l'invalidità di un atto che sia viziato per "violazione dei Trattati".

La Corte, peraltro, mostra particolare prudenza nel verificare il rispetto del principio di sussidiarietà,
evitando di approfondire la valutazione di merito sull'opportunità dell'intervento europeo.

Nella prassi, la motivazione degli atti delle istituzioni europee concernente la sussidiarietà, almeno per
quanto risulta dal testo degli atti adottati, si risolve in una formula di stile, presente nei "considerando", che
si limita sostanzialmente a ripetere la disposizione corrispondente a quella oggi contenuta nell'art. 5, par. 3,
TUE. La Corte di giustizia, anzi, si è accontentata, in taluni casi, di una motivazione implicita.

sentenza del 9 ottobre 2001, Olanda c. Parlamento e Consiglio Per esempio, con riguardo alla
direttiva 98/44/CE del 6 luglio 1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, che era
stata impugnata anche per una presunta violazione della sussidiarietà̀ , la Corte ha affermato:
«L’obiettivo perseguito dalla direttiva, consistente nel garantire il buon funzionamento del mercato interno
evitando, o meglio eliminando, talune divergenze tra le legislazioni e le prassi dei diversi Stati membri
nell’ambito della protezione delle invenzioni biotecnologiche, non sarebbe stato raggiungibile con
un’azione avviata a livello dei soli Stati membri. Poiché la portata di questa protezione ha effetti immediati
sul commercio e, di conseguenza, sul commercio intracomunitario, è peraltro lampante che l’obiettivo di cui
trattasi, viste le dimensioni e gli effetti dell’azione progettata, poteva essere realizzato meglio a livello
comunitario [oggi dell’Unione]».

Ad ogni modo, si rileva una diminuzione del numero delle proposte normative da parte della
Commissione, a seguito dell’introduzione del principio di sussidiarietà nell'ordinamento europeo, per una
sorta di autolimitazione che avrebbe arginato all'origine quella eccedenza legislativa, alla quale, appunto, il
principio di sussidiarietà intendeva porre un freno.
44

IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’

Articolo 5.4 TUE


4. In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione si limitano a
quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati.

Il principio di proporzionalità comporta


a) una valutazione circa la congruità̀ dei mezzi impiegati rispetto all’obiettivo perseguito e
b) implica che tali mezzi devono essere limitati a quelli occorrenti per il raggiungimento
dell’obiettivo in questione.
Anche il principio di proporzionalità̀ , pertanto, in quanto riferito all’Unione, è teso a porre un argine alla
sua azione.
A differenza del principio di sussidiarietà̀ , quello di proporzionalità opera nell’intero campo di applicazione
dei Trattati, ivi comprese le materie nelle quali l’Unione ha una competenza esclusiva.

Corte di giustizia, sentenza del 15 febbraio 2016, J.N.


«Il principio di proporzionalità̀̀ richiede, secondo una costante giurisprudenza della Corte, che gli atti delle
istituzioni dell’Unione non superino i limiti di quanto idoneo e necessario al conseguimento degli scopi
legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che gli inconvenienti causati dalla stessa
non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti».

Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di proporzionalità conformemente al protocollo (n. 2)


sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.

L'art. 5, par. 4, TUE fa espresso riferimento non solo al contenuto dell'azione dell'Unione, ma anche alla
forma, cioè ai tipi di atti adottabili.
È da ritenere, pertanto, che le misure normative, graduate rispetto all'obiettivo, devono avere la
minore obbligatorietà possibile (p.es., se non è indispensabile un regolamento dovrà emanarsi una
direttiva, obbligatoria solo per il risultato da raggiungere o raccomandazione, non vincolante).
L’Unione può anche non emanare alcun atto, ma limitarsi a incentivare azioni degli Stati membrioa
promuovere il funzionamento del principio del mutuo riconoscimento.
Anche gli oneri amministrativi e finanziari derivanti dall’intervento dell'Unione devono essere queli
strettamente necessari.

Art. 5.4 Protocollo n. 2


I progetti di atti legislativi tengono conto della necessità che gli oneri, siano essi finanziari o amministrativi,
che ricadono sull’Unione, sui governi nazionali, sugli enti regionali o locali, sugli operatori economici e sui
cittadini siano il meno gravosi possibile e commisurati all’obiettivo da conseguire.

I poteri di controllo dei parlamenti nazionali (cfr. sussidiarietà) non si estendono al rispetto del principio di
proporzionalità.

Introdotto dal Trattato di Maastricht del 1992, il principio di proporzionalità, da tempo affermato dalla
giurisprudenza della Corte di giustizia, vincola non solo l'Unione, ma anche gli Stati membri (limite
all'esercizio della facoltà loro concessa di porre delle eccezioni agli obblighi derivanti dai Trattati) con la
conseguenza che la sua violazione da parte di questi ultimi è sottoponibile al giudizio della Corte di
giustizia.

Sentenza dell’8 giugno 2010, Vodafone tale controllo non mette in discussione la discrezionalità del
legislatore dell’Unione, al quale è riconosciuto «nell’ambito dell’esercizio delle competenze attribuitegli, un
ampio potere discrezionale nei settori in cui la sua azione richiede scelte di natura tanto politica quanto
economica o sociale e in cui è chiamato ad effettuare valutazioni complesse. Non si tratta, quindi, di
accertare se una misura emanata in un determinato settore fosse l’unica o la migliore possibile, in quanto
solo la manifesta inidoneità della misura, rispetto allo scopo che le istituzioni competenti intendono
perseguire, può inficiare la legittimità della misura medesima».
45

Tuttavia, il controllo della Corte di giustizia sul rispetto del principio di proporzionalità̀ si atteggia in maniera
differente a seconda della materia alla quale l’atto si riferisce e del grado di discrezionalità della quale
gode l’Unione.

a) Il controllo è particolarmente stretto in materia di diritti umani, dove è più limitata la


discrezionalità̀ dell’Unione:

Sentenza dell’8 aprile 2014, Digital Rights Ireland «Per quanto riguarda il controllo giurisdizionale [...],
allorché́ si tratta di ingerenze in diritti fondamentali, la portata del potere discrezionale del legislatore
dell’Unione può̀̀ risultare limitata in funzione di un certo numero di elementi, tra i quali figurano, in
particolare, il settore interessato, la natura del diritto di cui trattasi garantito dalla Carta, la natura e la
gravità dell’ingerenza nonché́ la finalità̀̀ di quest’ultima [...]. Il potere discrezionale del legislatore
dell’Unione risulta ridotto e di conseguenza è necessario procedere ad un controllo stretto»

b) Più ampia è la discrezionalità dell’Unione, in particolare del Sistema europeo di banche centrali, in
materia di politica monetaria. In questo caso il controllo giudiziario si concentra, più che sulle
misure adottate, sul rispetto delle garanzie procedurali, quale l’obbligo di motivazione.

Sentenza del 16 giugno 2015, Gauweiler e altri «Quanto al controllo giurisdizionale [...], poichéil
SEBC è chiamato, quando elabora e attua un programma di operazioni di mercato aperto quale quello
annunciato nel comunicato stampa, a procedere a scelte di natura tecnica e ad effettuare previsioni e
valutazioni complesse, occorre riconoscergli, in tale contesto, un ampio potere discrezionale [...].
nel caso in cui un’istituzione dell’Unione disponga di un ampio potere discrezionale, il controllo del rispetto
di alcune garanzie procedurali riveste importanza fondamentale.
Fra tali garanzie rientra l’obbligo per il SEBC di esaminare, in modo accurato e imparziale, tutti gli
elementi pertinenti della situazione di cui trattasi e di motivare le proprie decisioni in modo sufficiente».

c) Ancora, il potere discrezionale del legislatore dell’Unione è ampio:

Sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft Oil Company «in settori che implicano, da parte del medesimo,
scelte di natura politica, economica e sociale, e in cui è chiamato ad effettuare valutazioni complesse [...].
Solo la manifesta inidoneità, in relazione allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, di un
provvedimento adottato in tali settori può inficiare la legittimità di detto provvedimento»

d) Applicazione del principio in un significato più ampio, come implicante la necessità di rispettare
l’equilibrio tra gli interessi dei diversi soggetti coinvolti da un determinato atto.

Con particolare riguardo al regime di traduzione del brevetto europeo con effetto unitario, previsto dal
regolamento n. 1260/2012 del 17 dicembre 2012:
Sentenza del 5 maggio 2015 Spagna c. Consiglio «Occorre verificare se il regime istituitodal
regolamento impugnato non vada oltre quanto è necessario per raggiungere il legittimo obiettivo
perseguito. A tal proposito [...] deve essere preservato il necessario equilibrio, da un lato, tra gli interessi
degli operatori economici e quelli della collettività̀̀ per quanto riguarda i costi dei procedimenti, e,
dall’altro, tra gli interessi dei soggetti richiedenti i titoli di proprietà intellettuale e quelli degli altri
operatori economici per quanto riguarda l’accesso alle traduzioni dei documenti che concedono di- ritti o i
procedimenti che coinvolgono diversi operatori economici».
46

LE SITUAZIONI PURAMENTE INTERNE AI SINGOLI STATI MEMBRI

L'Unione, per la giurisprudenza della Corte di giustizia, non può intervenire in situazioni che siano
puramente interne ad un singolo Stato membro e che, in ogni caso, sfuggano all'ambito di applicazione
del diritto dell'Unione.
L’espressione sembra essere stata usata per la prima volta dalla Corte di giustizia nella sentenza del 28
marzo 1979, Saunders:
«Le disposizioni del Trattato in materia di libera circolazione dei lavoratori non possono quindi essere
applicate a situazioni puramente interne di uno Stato membro, cioè̀̀ in mancanza di qualsiasi fattore di
collegamento ad una qualunque delle situazioni contemplate dal diritto comunitario».

Nell’ambito delle competenze di attribuzione il diritto dell'UE si applica soltanto a situazioni


"transnazionali", che mettano in rapporto, cioè, almeno due Stati membri.

È il caso delle quattro libertà nelle quali si concretizza lo stesso concetto di mercato interno:
libertà di circolazione delle merci,
persone (in particolare, libertà di circolazione di lavoratori dipendenti e diritto di stabilimento di
quelli autonomi),
servizi e
capitali.
Come la Corte ha ribadito, «le disposizioni del TFUE in materia di libertà di stabilimento, di libera
prestazione di servizi e di libera circolazione di capitali non sono applicabili a una fattispecie i cui elementi
si collocano tutti all’interno di un solo Stato membro» (sentenza del 15 novembre 2016, causa C-268/15,
Ullens de Schooten).

Le intese tra le imprese (art. 101 TFUE) e l'abuso di posizione dominante (art. 102 TFUE), rientrano
nella competenza UE esclusivamente qualora possano pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e lo
Stato è libero di disciplinare come crede la materia in relazione al proprio mercato interno.

Competenza per connessione


La giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea non è del tutto priva di qualche incertezza ed è
ravvisabile in essa una certa tendenza ad ampliare le possibilità d'intervento dell'Unione, mediante
l’individuazione di un nesso, anche indiretto o potenziale, tra la fattispecie dedotta in giudizio e la
competenza dell’Unione.

1. In materia di circolazione delle merci, la Corte più volte ha applicato l’art. 34 TFUE (il quale vieta fra
gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione, nonché qualsiasi misura di effetto
equivalente a una restrizione siffatta) a normative tecniche di uno Stato membro, in base
all’interpretazione secondo cui: “Ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare
direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intercomunitari va considerata come
misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative”

Sentenza 5 dicembre 2000 Guimont: di fronte ad una normativa francese concernente la messa in
commercio del formaggio emmenthal, indistintamente riguardante, per la sua formulazione letterale, sia i
prodotti francesi che quelli importati, ma che, secondo il governo francese non era applicata, in pratica, ai
prodotti importati, la Corte, ha affermato:
«Tale argomento del governo francese non può̀̀ essere accolto. Infatti la sola circostanza che una normativa
non venga in pratica applicata ai prodotti importati non esclude che la stessa possa avere effetti i quali
ostacolano indirettamente e potenzialmente gli scambi intracomunitari».

2. la Corte ha ribadito che le norme in materia di libera circolazione dei lavoratori non possono essere
applicate a situazioni che non presentino alcun collegamento con il diritto dell’Unione, come quella
di lavoratori che non abbiano mai esercitato il diritto alla libera circolazione all’interno dell’Unione e
che non prevedano di farlo.
47

sentenza del 18 luglio 2017, Erzberger: rientra nell’ambito dell’art. 45 TFUE, concernente la libera
circolazione dei lavoratori, la situazione di cittadini dell’Unione che svolgono un’attività̀ lavorativa in uno
Stato membro diverso da quello di residenza.

Art. 157 TFUE: I rapporti di lavoro che si esauriscono all'interno di uno Stato tra cittadini dello stesso
ricadono nel diritto e nella competenza dell'Unione, qualora ciò sia previsto da norme dei Trattati in vista di
dati obiettivi, come la parità di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile.

3. le norme sulla libera circolazione sono applicabili a favore di un cittadino nei rapporti con il proprio
Stato a condizione che tale cittadino abbia esercitato (o intenda esercitare) il diritto di circolazione o che
provenga da un altro stato membro (c.d. dinamico).

Tuttavia, la Corte di giustizia ha esteso il riconoscimento di diritti derivanti dalla cittadinanza europea,
solitamente limitato – come si è appena visto – ai cittadini c.d. dinamici, cioè che abbiano esercitato il
diritto di libera circolazione, anche ai cittadini c.d. statici, i quali non abbiano mai esercitato tale diritto e
che abbiano sempre soggiornato nello Stato membro del quale possiedono la cittadinanza.

Sentenza dell’8 marzo 2011Ruiz Zambrano: Nella specie si trattava di due fanciulli, cittadini belgi
soggiornanti in Belgio dalla nascita; rispetto a essi si poneva la questione se fosse compatibile con l’art. 20
TFUE, il quale attribuisce ai cittadini degli Stati membri la cittadinanza dell’Unione, il rifiuto di soggiorno e
di un permesso di lavoro in Belgio opposto al genitore di detti fanciulli, cittadino colombiano.
La Corte ha ritenuto applicabile il citato art. 20, affermando che il suddetto rifiuto era contrario a tale
disposizione poiché avrebbe impedito ai fanciulli, privati di assistenza familiare, di continuare a
soggiornare in Belgio.
«L’art. 20 TFUE osta a provvedimenti nazionali che abbiano l’effetto di privare i cittadini dell’Unione del
godimento reale ed effettivo dei diritti attribuiti dal loro status di cittadini dell’Unione [...].
Orbene, il diniego di soggiorno opposto a una persona, cittadina di uno Stato terzo, nello Stato membro
dove risiedono i suoi figli in tenera età, cittadini di detto Stato membro, che essa abbia a proprio carico,
nonché il diniego di concedere a detta persona un permesso di lavoro producono un effetto del genere.
Infatti, si deve tener presente che un divieto di soggiorno di tal genere porterà alla conseguenza che tali
figli, cittadini dell’Unione, si troveranno costretti ad abbandonare il territorio dell’Unione per
accompagnare i loro genitori. Parimenti, qualora a una tale persona non venga rilasciato un permesso di
lavoro, quest’ultima rischia di non disporre dei mezzi necessari a far fronte alle proprie esigenze e a quelle
della sua famiglia, circostanza che porterebbe parimenti alla conseguenza che i suoi figli, cittadini
dell’Unione, si troverebbero costretti ad abbandonare il territorio di quest’ultima. Ciò posto, detti cittadini
dell’Unione si troverebbero, di fatto, nell’impossibilità di godere realmente dei diritti attribuiti dallo status
di cittadino dell’Unione».

Quindi, le norme sulla cittadinanza europea sono applicabili a un cittadino “statico” (che, come si è
detto, non abbia mai esercitato il diritto di libera circolazione) solo in conformità del “criterio relativo alla
privazione del contenuto sostanziale dei diritti attribuiti dallo status di cittadino dell’Unione”, cioè solo
nell’ipotesi – da considerare eccezionale – come nel caso Ruiz Zambrano – di «provvedimenti nazionali che
abbiano l’effetto di privare i cittadini dell’Unione del godimento reale ed effettivo del nucleo essenziale dei
diritti conferiti dallo status suddetto»

4. La situazione cessa di essere interna, e ricade nell’ambito del diritto dell’Unione, anche nell’ipotesi in
cui non sono gli individui, ma i servizi che si spostano, pur se solo in parte, da uno all’altro Paese
dell’Unione.

11 luglio 2002, causa C-60/00, Carpenter In essa la Corte ha riconosciuto il diritto della moglie (filippina)
di un cittadino del Regno Unito, tale Carpenter, di soggiornare in tale Stato con il proprio coniuge, il quale
prestava servizi anche verso altri Stati membri, vendendo spazi pubblicitari su riviste mediche e scientifiche
e fornendo ulteriori servizi
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Limiti e deroghe

1. Da un lato, in alcune importanti materie le situazioni puramente interne ad uno Stato membro sono
sottratte alla competenza dell'Unione e all'applicazione del suo diritto e restano riservate allo Stato
membro.
2. Dall’altro, è lo stesso diritto dell'Unione che definisce i propri confini (e ben può regolare situazioni
interne) e la stessa nozione di situazione interna è interpretata con una notevole elasticità dalla Corte di
giustizia, ossia sulla base di elementi alquanto secondari o meramente potenziali, come la circostanza
che un cittadino si sia brevemente assentato dal proprio Stato o che la fornitura di un servizio possa
essere destinata anche a clienti che si trovino in uno Stato diverso da quello dove opera il fornitore.

Effetti indiretti: discriminazione "a rovescio"


Il diritto dell'Unione può produrre effetti indiretti su situazioni puramente interne.
Infatti, se norme europee sulla libera circolazione delle merci o delle persone vietano ad uno Stato
membro di applicare date prescrizioni o restrizioni,
queste restrizioni o prescrizioni sono invece applicabili mediante norme statali ai soli produttorio
cittadini dello Stato membro (trattandosi di situazioni interne che sfuggono al diritto dell'Unione),
generando una discriminazione "a rovescio" ("ó rebours").

In tali casi può intervenire


i. il giudice, in specie costituzionale, o
ii. il legislatore nazionale, per estendere ai propri cittadini la normativa, più favorevole, applicabile ai
cittadini di altri Stati membri.

La normativa italiana anti “discriminazione a rovescio”

i. La Corte costituzionale italiana (sentenza del 30 dicembre 1997 n. 443) ha dichiarato

“l'illegittimità costituzionale dell'art. 30 della legge 4 luglio 1967 n. 580 (non applicabile, per la Corte di
giustizia, ai prodotti UE in quanto equivalente a restrizioni all’importazione), nella parte in cui non prevede
che alle imprese aventi stabilimento in Italia è consentita, nella produzione e nella commercializzazione di
paste alimentari, l'utilizzazione di ingredienti legittimamente impiegati, in base al diritto comunitario, nel
territorio della Comunità europea”, in quanto contrario ai principi di eguaglianza di libertà di iniziativa
economica.

ii. Il legislatore italiano è intervenuto per impedire che i cittadini italiani siano vittime di trattamenti
peggiorativi, rispetto ai cittadini di altri Stati membri residenti o stabiliti in Italia, a causa di una
normativa dell'Unione europea, e per garantire loro parità di trattamento.

La legge 24 dicembre 2012 n. 234, contenente norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla
formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, confermando,
sostanzialmente, delle norme già̀ presenti nella legge 7 luglio 2009 n. 88 ha disposto che nell’attuazione del
diritto dell’Unione europea,
«è assicurata la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri
dell’Unione europea e non può̀̀ essere previsto in ogni caso un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani»
(art. 32, 1° comma, lett. i).
«nei confronti dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell’ordinamento giuridico italiano o
prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento garantiti
nell’ordinamento italiano ai cittadini dell’Unione europea» (art. 53).
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IL PRINCIPIO DI LEALE COOPERAZIONE

Articolo 4. Par. 3, 2° e 3° (Ex art. 10 T.C.E.)


3. Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione
degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell'Unione. Gli Stati membri
facilitano all'Unione l'adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere
in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione.

La giurisprudenza della Corte di giustizia, con riguardo all'art. 10 del Trattato sulla Comunità europea,
ha rinvenuto un principio generale di leale collaborazione, o cooperazione, degli Stati membri nei riguardi
della Comunità europea, dal quale ha ricavato una serie di specifici obblighi degli Stati, specificati con
riguardo a tutti gli organi e le autorità pubbliche, siano essi legislativi, giudiziari o amministrativi e siano essi
organi formalmente dello Stato oppure altri enti territoriali.

L’effetto utile
La giurisprudenza in esame, in sostanza, ha applicato l'art. 10 del TCE (4 TUE) alla luce del principio
dell'effetto utile, per cui ogni disposizione va interpretata e applicata in maniera tale da ricavarne tutti gli
effetti idonei a farle conseguire, nella maniera più completa ed efficace, il "proprio obiettivo”.

1. La prevalenza del diritto UE su quello interno


La sentenza del 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa c. ENEL, affermò il primato del diritto comunitario su
quello nazionale e la conseguente impossibilità per gli Stati membri di fare prevalere una legge interna
successiva, in contrasto con l'ordinamento comunitario (Cap. EX, par. 2).
La Corte dichiarò, tra l'altro:
«Se l'efficacia del diritto comunitario variasse da uno Stato all'altro in funzione delle leggi interne
posteriori, ciò metterebbe in pericolo l'attuazione degli scopi del Trattato […]».

2. L’obbligo del giudice nazionale di garantire i diritti spettanti ai singoli in forza delle norme
comunitarie
Nella sentenza del 1976, causa 33/76, Rewe-Zentralfinanz EG e Rewe-Zentral AG, la Corte ha dichiarato:
«Secondo il principio della collaborazione, enunciato dall'art. 5 del Trattato, è ai giudici nazionali che è
affidato il compito di garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto
comunitario aventi efficacia diretta».
Conseguentemente, in mancanza di una specifica disciplina comunitaria, è l'ordinamento giuridico interno
di ciascuno Stato membro che designa il giudice competente e stabilisce le modalità procedurali delle azioni
giudiziali intese a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie aventi
efficacia diretta, modalità che non possono, beninteso, essere meno favorevoli di quelle relative ad analoghe
azioni del sistema processuale nazionale».
A questo fine il giudice è tenuto anche ad adottare provvedimenti provvisori a tutela dei singoli,
persino nell'ipotesi in cui il diritto interno vieti l'emissione di tali provvedimenti.
• sentenza del 19 giugno 1990, Factotum: il caso di una norma britannica di common law, la
quale impediva di adottare qualsiasi provvedimento provvisorio contro la Corona, cioè̀ contro il
governo. La Corte ha infatti stabilito l’obbligo del giudice di disapplicare la predetta norma e di
adottare i necessari provvedimenti provvisori (benché́ non contemplati dal diritto nazionale)

3. L'obbligo degli Stati membri di risarcire i danni provocati ai singoli dalle proprie violazioni.
Sull'art. 10 del Trattato sulla Comunità europea (oltre che su ulteriori argomenti) è fondata la
giurisprudenza sostanzialmente "creativa" della Corte di giustizia, che afferma l'obbligo degli Stati membri
(a certe condizioni) di risarcire i danni provocati ai singoli dalle proprie violazioni di obblighi derivanti
dal diritto dell'Unione (“di eliminare le conseguenze illecite di una violazione del diritto comunitario”).
Nella prima sentenza in materia, del 19 novembre 1991, cause C-6/90 e C-9/90, Francovich e Bonifaci, la
Corte ha statuito: «L'obbligo degli Stati membri di risarcire tali danni trova il suo fondamento anche
nell'art. 5 del Trattato, in forza del quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure di carattere
generale o particolare-atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi ad essi derivanti dal diritto
comunitario. Orbene, tra questi obblighi si trova quello di eliminare le conseguenze illecite di una
violazione del diritto comunitario».
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4. L’obbligo di interpretazione conforme (cfr. direttive, inattuate)


Dall'obbligo di leale cooperazione deriva quello, per il giudice interno, di interpretare il proprio diritto in
maniera conforme al diritto dell'Unione, in particolare per le direttive. In mancanza di misure statali di
esecuzione (o quando tali misure non siano appropriate) l’obbligo di interpretazione conforme tende a
consentire l’applicazione della direttiva inattuata – investendo, tuttavia, tutto il diritto dell’Unione,
garantendo così il “primato del diritto dell’Unione –,"piegando" il diritto dello Stato a conformarsi in via
interpretativa (sentenza del 13 novembre 1990, causa C-106/89, Màlteasing).

5. Il principio di assimilazione
Lo Stato membro deve sanzionare le violazioni del diritto dell'Unione (ove esso non contenga una
specifica norma sanzionatoria) in termini analoghi rispetto a violazioni comparabili del diritto interno.
Il principio di assimilazione, per quanto riguarda la lotta alla frode, trova oggi riconoscimento normativo
nell'art. 325, par. 2, TFUE: 2. “Gli Stati membri adottano, per combattere contro la frode che lede gli
interessi finanziari dell'Unione, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro
interessi finanziari.”

6. L'obbligo per gli Stati membri di adottare i provvedimenti necessari per fronteggiare atti di privati
che impediscano l'esercizio delle libertà garantite dal diritto dell'Unione.
Causa C-265/95, Commissione c. Francia, nella quale la Francia era accusata di non avere adottato
provvedimenti adeguati rispetto ad atti vandalici messi in opera ripetutamente da agricoltori francesi contro
merci provenienti dalla Spagna.
«Occorre dichiarare che, non avendo adottato tutti i provvedimenti necessari ed adeguati affinché atti di
privati non ostacolino la libera circolazione degli ortofrutticoli, la Repubblica francese è venuta meno agli
obblighi impostile dall’art. 30 del Trattato [oggi art. 34 TFUE, il quale vieta fra gli Stati membri le
restrizioni quantitative all’importazione nonché́ qualsiasi misura di effetto equi- valente], in combinato
disposto con l’art. 5 dello stesso Trattato, e dalle organizzazioni comuni dei mercati dei prodotti agricoli».

Allo stesso modo, obblighi degli Stati Membri concernenti comportamenti di privati sono stati più volte
enunciati anche in riferimento al rispetto delle regole sulla concorrenza applicabili alle imprese:
Causa 267/86, Van Eycke: “Dalla costante giurisprudenza della Corte, tuttavia, emerge che gli articoli 85
e 86, letti congiuntamente con l'art. 5 del Trattato, fanno obbligo agli Stati membri di non adottare o
mantenere in vigore provvedimenti, anche aventi il carattere di legge o di regolamento, idonei a rendere
praticamente inefficaci le norme di concorrenza applicabili alle imprese.”

7. La cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale


Nella sentenza del 16 giugno 2005, causa C-105/03, Pupino, infine, la Corte aveva esteso l'obbligo di leale
cooperazione anche alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, sebbene questa, all'epoca,
fosse regolata nel Trattato sull'Unione europea, non già nel Trattato sulla Comunità europea nel quale era
collocato l'art. 10, contenente detto obbligo. Essa aveva applicato in tale materia l'obbligo di interpretazione
conforme alle direttive non eseguite, affermato nella citata sentenza del 13 novembre 1990, Marleasing. Per
tale via la Corte aveva ricostruito il principio di leale cooperazione quale principio generale non solo
comunitario, ma del diritto dell'intera Unione europea. Oggi, con l'unificazione in un unico contesto
normativo degli originari tre "pilastri", la questione ha perso rilevanza pratica.

8. L’obbligo di cooperazione delle istituzioni europee a favore degli Stati membri


L'art. 10 del Trattato sulla Comunità europea, si riferiva solo agli obblighi di cooperazione degli Stati
membri per l'adempimento del diritto comunitario e la realizzazione dei suoi fini. Nella giurisprudenza
l'obbligo di leale collaborazione era assurto a principio generale, al di là della previsione dell'art. 10, anzi -
come si è appena visto - a principio generale dell'intero sistema del diritto dell'Unione europea.
Così, in primo luogo, è stato applicato “a rovescio”:
Causa C-2/88, Zwartveld: La Corte, premesso che la Comunità europea (come, oggi, l'Unione) è una
comunità di diritto, le relazioni tra gli Stati membri e le istituzioni comunitarie sono rette, in forza dell'art. 5
del Trattato CEE, da un principio di leale collaborazione, nel senso che né gli Stati membri né le sue
istituzioni sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti al Trattato.
Ha affermato:
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«In questa comunità di diritto, le relazioni tra gli Stati membri e le istituzioni comunitarie [oggi
dell’Unione] sono rette, in forza dell’art. 5 del Trattato CEE, da un principio di leale collaborazione.
Questo principio non obbliga solo gli Stati membri ad adottare tutte le misure, atte a garantire, se
necessario anche penalmente, la portata e l’efficacia del diritto comunitario [oggi dell’Unione], ma impone
anche alle istituzioni comunitarie obblighi reciproci di leale collaborazione con gli Stati membri [...].”

Il Trattato di Lisbona ha recepito tale giurisprudenza inserendo, nell'art. 4, par. 3, TUE, un nuovo
comma, il 1°, così formulato:
Art. 4, par. 3.1 TUE
«In virtù del principio di leale cooperazione, l'Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono
reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai Trattati».
Posto che l'obbligo degli Stati risulta già dai commi successivi, l'aspetto innovativo di tale norma è quello
che prescrive l'obbligo dell'Unione, quindi delle sue istituzioni, di assistenza agli Stati.

9. L’obbligo di cooperazione tre le istituzioni europee


Causa 65/93, Parlamento c. Consiglio: la Corte, respingendo il ricorso del Parlamento, dichiarava legittimo
un regolamento adottato dal Consiglio in assenza del prescritto parere del Parlamento, il quale aveva
immotivatamente tolto l'argomento dall’ordine del giorno, malgrado l'urgenza di deliberare, venendo meno al
proprio obbligo di leale cooperazione con il Consiglio.
Anche questa giurisprudenza è stata accolta nel Trattato di Lisbona, che, nell'art. 13, par. 2, TUE, dopo
avere ribadito riguardo alle istituzioni il principio delle competenze di attribuzione, aggiunge:
art. 13.2 TUE
«Le istituzioni attuano tra loro una leale cooperazione».

L’INTEGRAZIONE DIFFERENZIATA

Gli Stati non sempre sono integralmente (e uniformemente) soggetti a tutta la normativa europea, al fine
di consentire agli Stati più volenterosi di procedere con una maggiore rapidità nel conseguimento di più
ambiziosi obiettivi, sebbene a discapito di un’uniforme integrazione europea.
Il metodo dell’applicazione differenziata (Europa a più velocità, Europa a geometria variabile, Europa a
cerchi concentrici) è stato introdotto a partire dall’Atto unico europeo del 1986, ampiamente impiegato dal
Trattato di Maastricht del 1992, previsto mediante uno specifico meccanismo dal Trattato di Amsterdam
del 1997, ulteriormente ampliato dal Trattato di Lisbona.

Eurogruppo
Particolarmente rilevante è il meccanismo adottato dal Trattato di Maastricht relativamente all'unione
economica e monetaria (sostanzialmente confermato dal Trattato di Lisbona), che
 da un lato, ha consentito (mediante protocolli) al Regno Unito e alla Danimarca di
evitare l'introduzione dell'euro,
 dall’altro ha previsto, quale condizione per l'ingresso nella zona dell'euro, il rispetto di
stringenti "criteri di convergenza".
La distinzione fra gli Stati la cui moneta è l'euro e gli altri Stati membri risulta ancor più marcata nel
Trattato di Lisbona, il quale, nel Protocollo n. 14, ha formalizzato la prassi dell'Eurogruppo, formato dai
ministri delle finanze degli Stati della c.d. zona euro, che si riuniscono in via informale per discutere
questioni attinenti alla materia della moneta, con la partecipazione della Commissione.
L'istituzionalizzazione dell'Eurogruppo è completata dall'elezione, a maggioranza degli Stati la cui moneta è
l'euro, di un presidente per due anni e mezzo (attualmente il portoghese Mário Centeno).

Sentenza del 20 settembre 2016, Mallis e altri c. Commissione e BCE la Corte di giustizia, sottolineandoil
carattere informale delle riunioni dell’Eurogruppo, ha dichiarato che esso non può essere assimilato a
una formazione del Consiglio, né essere qualificato come organo o organismo dell’Unione.

Trattato di Stabilità, coordinamento e governance


Le differenze nella partecipazione all’unione economica e monetaria si sono accentuate in base al ricordato
Trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità del 2 febbraio 2012 e, ancor più, al Trattato di
stabilità, coordinamento e governance del 2 marzo 2012, il quale (oltre ad ampliare le competenze
52

dell’Eurogruppo e a istituzionalizzare i vertici dei Capi di Stato o di governo dell’eurozona, i c.d.


Eurosummit) comporta una pluralità di distinte condizioni giuridiche, non solo tra gli Stati dell’eurozona e
gli altri, ma anche all’interno di tali gruppi di Stati.

Limitazioni all’efficacia giuridica della Carta dei diritti fondamentali


Rilevano pure le limitazioni (introdotte mediante protocolli) all'efficacia giuridica della Carta dei diritti
fondamentali nei confronti della Polonia e del Regno Unito e, in prospettiva, della Repubblica CECA,
nonché l’estraneità del Regno Unito e dell'Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia
(comprendente i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la cooperazione giudiziaria civile e
penale, la cooperazione di polizia), salva la facoltà degli stessi Stati di partecipare all'adozione ed
applicazione di una misura.

L’“astensione costruttiva” del Consiglio


In materia di politica estera e di sicurezza comune la regola generale di votazione nel Consiglio è
l'unanimità (art. 31, par. 1, 1° comma, TUE); il 2° comma di tale paragrafo prevede, tuttavia, la c.d.
astensione costruttiva, che conduce ad un’integrazione differenziata o flessibile:

Articolo 31.1.2 TUE


«In caso di astensione dal voto, ciascun membro del Consiglio può motivare la propria astensione con una
dichiarazione formale à norma del presente comma. In tal caso esso non è obbligato ad applicare la
decisione, ma accetta che essa impegni l'Unione. In uno spirito di mutua solidarietà, lo Stato membro
interessato si astiene da azioni che possano contrastare o impedire l'azione dell'Unione basata su tale
decisione, e gli altri Stati membri rispettano la sua posizione. Qualora i membri del Consiglio che motivano
in tal modo l'astensione rappresentino almeno un terzo degli Stati membri che totalizzano almeno un terzo
della popolazione dell'Unione, la decisione non è adottata».

Missioni operative
Anche per le missioni operative, pure di carattere militare, è previsto che il Consiglio ne affidi lo
svolgimento a un gruppo di Stati membri che lo desiderano e dispongono delle capacità necessarie per tali
missioni (art. 42, par. 5, e art. 44 TUE).

Deroghe inerenti ai nuovi membri


Deroghe a disposizioni dei Trattati sono sempre previste (a titolo più spesso temporaneo, ma talvolta
permanente) riguardo ai nuovi membri in occasione dei successivi allargamenti. Alcune deroghe, come
quelle, di cui agli articoli 349 e 355 TFUE, relative a determinati territori appartenenti a Stati membri,
risalgono addirittura ai testi originari dei Trattati comunitari.

Dichiarazione di Roma del 25 marzo 2017


Una particolare enfasi sulla integrazione differenziata è posta nella Dichiarazione di Roma del 25 marzo
2017, adottata dai leader dei 27 Stati membri e dai Presidenti del Consiglio europeo, del Parlamento europeo
e della Commissione in occasione dei 60 anni dei Trattati di Roma.
Pur evitando l’espressione “Europa a più̀ velocità”, essi affermano:
«Agiremo congiuntamente, a ritmi e con intensità̀̀ diversi se necessario, ma sempre procedendo nella stessa
direzione, come abbiamo fatto in passato, in linea con i Trattati e lasciando la porta aperta a coloro che
desiderano associarsi successivamente».

COOPERAZIONI RAFFORZATE
Articolo 20.1 TUE
1. Gli Stati membri che intendono instaurare tra loro una cooperazione rafforzata nel quadro delle
competenze non esclusive dell'Unione possono far ricorso alle sue istituzioni ed esercitare tali competenze
applicando le pertinenti disposizioni dei trattati...

La c.d. cooperazione rafforzata è stata introdotta dal Trattato di Amsterdam del 1997 (ampliata,
modificata e semplificata dal Trattato di Lisbona) per consentire forme di sviluppo flessibile o differenziato
tra alcuni Stati membri, ma all'interno dell'Unione europea.
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• L’aspetto positivo di tale istituto è la sua funzionalità allo sviluppo dell'integrazione (consentendo
di assumere obblighi più incisivi);
• l’aspetto negativo, ma inevitabile, è che alcuni Stati membri restano estranei a tale sviluppo, per cui si
rinuncia ufficialmente a mantenere l'unità e l'uniformità del sistema europeo

Nella cooperazione rafforzata rientrano gli accordi di Schengen (importante “esempio” previsto dal trattato
di Amsterdam) sulla soppressione dei controlli alle frontiere interne degli Stati membri (nonché il
complesso sistema normativo creato con ulteriori protocolli, accordi di adesione e atti degli organi istituiti
dagli Accordi di Schengen, inserito infine nei Trattati).
• Tali accordi erano stati conclusi infatti soltanto da alcuni Stati membri e vi partecipavano
Stati terzi rispetto all'Unione europea, come la Norvegia e l'Islanda.
• Il Regno Unito e l'Irlanda sono restati estranei a tale sistema, ma possono chiedere di volta in
volta di partecipare alle relative disposizioni, esercitando una scelta di opting in;
• la Danimarca si trova in una posizione particolare, poiché si riserva, di volta in volta, di
decidere se recepire nel proprio ordinamento una misura dell'Unione in tale materia; in caso
affermativo si creerà un obbligo a norma del diritto internazionale tra la Danimarca e gli altri
Stati membri.

Le cooperazioni rafforzate sono regolate dall'art. 20 TUE e dagli articoli 326-334 TFUE, mentre talune
varianti sono stabilite per la politica estera e di sicurezza comune.

Articolo 20.1 e 2 TUE


1. Gli Stati membri che intendono instaurare tra loro una cooperazione rafforzata nel quadro delle
competenze non esclusive dell'Unione possono far ricorso alle sue istituzioni ed esercitare tali competenze
applicando le pertinenti disposizioni dei trattati...”

L’obiettivo delle cooperazioni rafforzate, consistente nel consentire a un gruppo “più avanzato” di Stati
membri di impiegare le istituzioni e le procedure dell’Unione per fare progredire l’integrazione
europea, risulta chiaramente dal 2° comma della disposizione in esame:

2. Le cooperazioni rafforzate sono intese a promuovere la realizzazione degli obiettivi dell'Unione, a


proteggere i suoi interessi e a rafforzare il suo processo di integrazione. Sono aperte in qualsiasi momento a
tutti gli Stati membri ai sensi dell'articolo 328 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

La conseguenza di una cooperazione rafforzata è che, sebbene tutti gli Stati membri possano partecipare alle
deliberazioni del Consiglio nella materia oggetto di cooperazione rafforzata, solo quelli che partecipano
alla cooperazione rafforzata hanno diritto di voto (l'unanimità è data dai soli membri del Consiglio
partecipanti alla cooperazione rafforzata ex art. 20, par. 3, TUE e art. 330 TFUE). Corrispondentemente,
1. le decisioni in materia sono obbligatorie per i soli Stati partecipanti alla cooperazione
rafforzata (art. 20, par. 4, TUE).
2. Tuttavia, gli Stati membri non partecipanti alla cooperazione rafforzata hanno un obbligo negativo:
quello di non ostacolarne l'attuazione da parte degli Stati membri che vi partecipano (art. 326, 2°
comma, TFUE).

Cooperazione rafforzata quale estrema ratio, rispetto al normale funzionamento delle disposizioni e degli
strumenti dei Trattati:
Pur accettando il principio dell'integrazione flessibile o differenziata, il Trattato privilegia l'obiettivo di uno
sviluppo uniforme e omogeneo del processo d'integrazione europea:

Art. 328.1.2, TFUE


«La Commissione e gli Stati membri che partecipano a una cooperazione rafforzata si adoperano per
promuovere la partecipazione del maggior numero possibile di Stati membri».

Art. 20.2 TUE


«La decisione che autorizza una cooperazione rafforzata è adottata dal Consiglio in ultima istanza, qualora
esso stabilisca che gli obiettivi ricercati da detta cooperazione non possono essere conseguiti entro un
termine ragionevole dall'Unione nel suo insieme».
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Corte di Giustizia, sent. 16 Aprile 2013, cause C – 274/11 e C – 295/11, Spagna e Italia c. Consiglio:
“i termini “in ultima istanza” mettono in rilievo che solamente situazioni caratterizzate dall’impossibilità di
adottare una normativa siffatta in un futuro prevedibile possono condurre all’adozione di una decisione che
autorizza una cooperazione rafforzata”.

Condizioni per la cooperazione rafforzata


— deve comprendere almeno nove Stati membri;
— non può riguardare competenze esclusive dell'Unione;
— deve rispettare i Trattati e il diritto dell'Unione,
— non recare pregiudizio
o né al mercato interno
o né alla coesione economica, sociale e territoriale,
— non costituire un ostacolo né una discriminazione per gli scambi tra gli Stati membri, non provocare
distorsioni di concorrenza tra questi ultimi (art. 326 TFUE).
— deve rispettare le competenze, i diritti e gli obblighi degli Stati che non vi partecipano (art. 327 TFUE).

La cooperazione rafforzata mediante accordi internazionali


Si ritiene che non sia vietato agli Stati membri di perseguire la cooperazione rafforzata mediante la
conclusione di accordi internazionali tra alcuni soltanto di tali Stati (“Gli Stati membri … possono far
ricorso alle sue istituzioni…”).

La procedura per l’instaurazione della cooperazione rafforzata


L'instaurazione di una cooperazione rafforzata richiede un'apposita delibera di autorizzazione da parte delle
competenti istituzioni:
— la proposta è presentata dalla Commissione al Consiglio su richiesta degli Stati membri interessati;
ma la Commissione può rifiutare tale richiesta dandone una motivazione a detti Stati.
— il Consiglio deliberà a maggioranza qualificata, su proposta della Commissione e previa
approvazione del Parlamento europeo.
— Tra le condizioni prescritte va particolarmente segnalato che:
Articolo 20.2 TUE
Le cooperazioni rafforzate sono intese a promuovere la realizzazione degli obiettivi dell'Unione, a
proteggere i suoi interessi e a rafforzare il suo processo di integrazione. Sono aperte in qualsiasi momento a
tutti gli Stati membri ai sensi dell'articolo 328 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

La PESC e la cooperazione rafforzata


Diversa è la procedura per l’instaurazione di una cooperazione rafforzata nel quadro della politica estera e di
sicurezza comune.
— La richiesta è presentata direttamente dagli Stati interessati al Consiglio,
— il quale delibera all'unanimità, previo parere dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la po-
litica di sicurezza e della Commissione in merito alla coerenza della prevista cooperazione
rafforzata, rispettivamente, con la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione e con le altre
politiche dell'Unione.
— Il Parlamento europeo è solo informato della richiesta (art. 329, par. 2, TFUE).

L’ingresso di altri Stati nella cooperazione


1. lo Stato interessato notifica al Consiglio e alla Commissione la sua intenzione;
2. la Commissione richiede che siano soddisfatte certe condizioni di parte;
3. Ove la Commissione ritenga che le condizioni non siano state soddisfatte, lo Stato in parola può
sottoporre la questione al Consiglio, che decide (con il solo voto degli Stati membri partecipanti alla
cooperazione rafforzata già instaurata) (art. 331, par. 1, TFUE).
In materia di PESC, sulla domanda si pronuncia il Consiglio, previa consultazione dell'Alto rappresentante
per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Esso può stabilire condizioni di partecipazione e si pronuncia
all'unanimità degli Stati membri partecipanti alla cooperazione rafforzata (art. 331, par. 2, TFUE).
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֍ In ogni caso la partecipazione successiva a una cooperazione rafforzata comporta il rispetto degli
atti adottati nell'ambito di tale cooperazione anteriormente all'ingresso del nuovo Stato
membro (art. 328, par. 1,1° comma, TFUE).

Commissione e consiglio assicurano la coerenza della cooperazione


La Commissione ed il Consiglio assicurano la coerenza delle azioni intraprese nell'ambito di una
cooperazione rafforzata e la coerenza di dette azioni con le politiche dell'Unione (art. 334 TFUE).

La cooperazione strutturata permanente


Si tratta di una particolare forma di cooperazione rafforzata, prevista in materia di politica di sicurezza e di
difesa comune, la quale implica l'impiego anche di mezzi militari, che può essere instaurata fra gli Stati
membri che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari e che hanno sottoscritto
impegni più vincolanti ai fini delle missioni militari più impegnative.
• Essa si differenzia dalla cooperazione rafforzata proprio perché non "episodica", ma volta a
creare una struttura militare di carattere stabile e definito.
Ex art. 46 TUE, sulla richiesta degli Stati membri di instaurare una "cooperazione strutturata permanente,
delibera a maggioranza qualificata il Consiglio, previa consultazione dell'Alto rappresentante per gli affari
esteri e la politica di sicurezza. Lo stesso Consiglio, sempre con tale maggioranza, decide su domande di
partecipazione successiva alla cooperazione strutturata permanente, ma con il voto dei soli Stati
partecipanti a tale cooperazione. Di regola, nell'ambito della cooperazione strutturata permanente, il
Consiglio vota alla unanimità (limitatamente agli Stati partecipanti).

La cooperazione in materia giudiziaria penale: il freno di emergenza


Una forma particolare di cooperazione rafforzata può realizzarsi per alcune materie rientranti nella
cooperazione giudiziaria penale (art. 82, par. 3, e art. 83 par. 3, TFUE). Il c.d. freno di emergenza: qualora
uno Stato membro ritenga che un progetto di direttiva, da adottare con procedura legislativa ordinaria, incida
su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale, può chiedere che il Consiglio europeo
sia investito della questione con sospensione della procedura legislativa. Se in seno al Consiglio europeo si
verifica un disaccordo tra gli Stati membri e almeno nove desiderano instaurare una cooperazione rafforzata
sulla base del progetto di direttiva in questione, essa è concessa automaticamente.

Analogamente, in mancanza di unanimità nel Consiglio, una cooperazione rafforzata si considera concessa
tra almeno nove Stati membri relativamente all'istituzione di una Procura europea, al fine di combattere i
reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione (art. 86, par. 1, TFUE), e in materia di cooperazione
operativa di polizia (art. 87, par. 3, TFUE).
• Le condizioni si sono realizzate: adozione da parte del Consiglio, del regolamento (UE)
2017/1939 del 12 ottobre 2017, istitutivo della Procura Europea (“EPPO”)

Casi di cooperazione rafforzata


1. Con la decisione 2010/405/UE del Consiglio, del 12 luglio 2010, è stata autorizzata per la prima
volta una cooperazione rafforzata relativa alla disciplina applicabile al divorzio e alla separazione
personale ed è stato successivamente emanato il Regolamento UE n. 1259/2010 del Consiglio, del
20 dicembre 2010.
2. Con la decisione (PESC) 2017/2315 dell’11 dicembre 2017, il Consiglio ha istituito la
cooperazione strutturata permanente (PESCO) e ha fissato l’elenco degli Stati Membri partecipanti
(venticinque).
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CAPITOLO IV
LA CITTADINANZA EUROPEA

L'art. 20 TFUE (ripetendo, in parte, l'art. 9 TUE) dichiara:


«1. E ̀̀ istituita una cittadinanza dell'Unione. E ̀̀ cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno
Stato membro. La cittadinanza dell'Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non sostituisce
quest'ultima.
2. cittadini dell'Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei Trattati».

Rispetto alla cittadinanza nazionale quella europea costituisce una cittadinanza duale o derivata o
ancillare, in quanto derivante da quella degli Stati membri, i quali, disciplinando come credono
l'attribuzione e la perdita della propria cittadinanza, determinano la nascita o la perdita anche della
cittadinanza europea.

Dichiarazione n. 2 sulla cittadinanza di uno Stato membro, allegata al Trattato di Maastricht, secondo la
quale:
«Ogniqualvolta nel Trattato che istituisce la Comunità [oggi Unione] europea si fa riferimento ai cittadini
degli Stati membri, la questione se una persona abbia la nazionalità di questo o quello Stato membro sarà
definita soltanto in riferimento al diritto nazionale dello Stato membro interessato».

Sussiste, peraltro, l'impossibilità per ciascuno Stato membro di sindacare l'attribuzione della
cittadinanza ad opera di un altro Stato membro.

Con la sentenza del 7 luglio 1992, causa C-369/90, Micheletti, la Corte ha respinto la posizione della
Spagna, la quale negava che una persona, provvista di doppia cittadinanza argentina e italiana, potesse
considerarsi italiana (ed esercitare, pertanto, il proprio diritto di stabilimento in Spagna) poiché, per la legge
spagnola, in caso di doppia cittadinanza deve prevalere quella corrispondente alla residenza abituale
dell'interessato (in base a un criterio di effettività), che nella specie era in Argentina. La Corte ha affermato:
«La determinazione dei modi di acquisto e di perdita della cittadinanza rientra, in conformità al diritto
internazionale, nella competenza di ciascuno Stato membro, competenza che deve essere esercitata nel
rispetto del diritto comunitario. Non spetta, invece, alla legislazione di uno Stato membro limitare gli effetti
dell'attribuzione della cittadinanza di un altro Stato membro, pretendendo un requisito ulteriore per il
riconoscimento di tale cittadinanza al fine dell'esercizio delle libertà fondamentali previste dal Trattato.
Non è pertanto ammissibile un'interpretazione dell'art. 52 del Trattato [oggi art. 49 TFUE] secondo la quale,
allorché il cittadino di uno Stato membro è simultaneamente in possesso della cittadinanza di uno Stato
terzo, gli altri Stati membri possono subordinare il riconoscimento dello status di cittadino comuni- tario ad
una condizione come la residenza abituale dell'interessato sul territorio del primo Stato».

La Corte ha affermato, tuttavia, che la competenza degli Stati in materia di cittadinanza deve essere
esercitata nel rispetto del diritto dell'Unione.
Di conseguenza non produrrebbero effetti sulla cittadinanza europea disposizioni di uno Stato membro che,
per esempio, privassero taluno della cittadinanza, in contrasto con i diritti fondamentali, riconosciuti dai
principi generali del diritto dell'Unione.
L'orientamento risultante da tale sentenza appare confermato – e reso in maniera anche più esplicita – dalla
sentenza del 2 marzo 2010, causa C-135/08, Rottmann.
Il caso in questione riguardava un uomo, già cittadino austriaco, naturalizzato tedesco, al quale le autorità
tedesche avevano successivamente revocato la naturalizzazione, a causa della condotta fraudolenta di tale
persona, che aveva così perduto anche la cittadinanza dell'Unione (non avendo neppure riacquistato quella
austriaca). La Corte ha affermato che, ai fini della conformità di tale revoca con il diritto dell'Unione, è
necessario verificare (da parte del giudice nazionale) che la decisione di revoca rispetti il principio di
proporzionalità, per quanto riguarda le conseguenze sulla situazione dell'interessato.

La stessa Corte, invero, ha indicato precisamente gli elementi da considerare per stabilire se la revoca della
cittadinanza sia compatibile con il principio di proporzionalità:
«E necessario [...] tener conto delle possibili conseguenze che tale decisione comporta per l'interessato e,
eventualmente, per i suoi familiari sotto il profilo della perdita dei diritti di cui gode ogni cittadino
dell'Unione. A questo proposito, è importante verificare, in particolare, se tale perdita sia giustificata in
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rapporto alla gravità dell'infrazione commessa dall'interessato, al tempo trascorso tra la decisione di
naturalizzazione e la decisione di revoca, nonché alla possibilità per l'interessato di recuperare la propria
cittadinanza di origine».

In definitiva, ferma la competenza degli Stati membri nella attribuzione e nella revoca della
cittadinanza, essa è sottoposta a un complesso di limiti, derivanti dal diritto dell'Unione, nella misura in cui
tale competenza incide sulla cittadinanza europea.
E.g. Reazione critica del Parlamento Europeo e della Commissione alla iniziativa, approvata dal
Parlamento di Malta il 13 Novembre 2013, di attribuire la cittadinanza maltese a coloro che offrissero un
contributo economico, di notevole entità, a un Fondo di sviluppo nazionale.

LO STATUS DI CITTADINO EUROPEO: IL DIRITTO DI LIBERA CIRCOLAZIONE E DI


SOGGIORNO
La cittadinanza dell'Unione non consiste, come quella nazionale, in un vincolo giuridico-politico,
caratterizzato, per un verso, da una generale soggezione del cittadino allo Stato, dall'altro, da una sua
partecipazione alla vita politica dello Stato.
Essa si risolve, invece, in un catalogo di specifici diritti (che possono essere ampliati ex art. 25, 2° comma,
TFUE), esercitabili, di regola, nei confronti degli Stati membri, piuttosto che dell'Unione, e taluni
appartenenti non solo ai cittadini, ma anche alle persone fisiche o giuridiche aventi la residenza o la sede
sociale in uno Stato membro.

Con la cittadinanza dell'Unione, l’individuo non viene più in rilievo solo come soggetto economicamente
attivo, ma tende a porsi come soggetto politico, partecipe e consapevole protagonista del processo di
integrazione europea.
Come la Corte ha più volte dichiarato (a partire dalla sentenza del 20 settembre 2001, causa C-184/99,
Grzelczyk):
«Lo status di cittadino dell'Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati
membri che consente a chi tra di essi si trova nella medesima situazione di ottenere, indipendentemente
dalla nazionalità e fatte salve le eccezioni a tal riguardo espressamente previste, il medesimo trattamento
giuridico».

I diritti derivanti dalla cittadinanza dell’Unione possono esercitarsi solo in situazioni che non siano
esclusivamente interne ad uno Stato membro.

La Corte, nella sentenza del 2 ottobre 2003, causa 0148/02, Garda Avello, ha dichiarato:
«La cittadinanza dell'Unione, sancita dall'art. 17 CE [oggi art. 20 TFUE], non ha tuttavia lo scopo di
ampliare la sfera di applicazione ratione materiae del Trattato a situazioni nazionali che non abbiano alcun
collegamento con il diritto comunitario [oggi dell'Unione]. Tuttavia sussiste un simile collegamento con il
diritto comunitario nel caso di persone [...] che sono cittadini di uno Stato membro i quali soggiornano
legalmente sul territorio di un altro Stato membro».

Il primo diritto di cui è titolare ogni cittadino dell'Unione è quello di libera circolazione e soggiorno
nel territorio degli Stati membri (art. 21 TFUE).

• Nel Trattato istitutivo della Comunità economica europea, tale diritto era riconosciuto solo
alle persone economicamente attive, cioè ai lavoratori subordinati e – nel quadro del diritto
di stabilimento – a quelli autonomi.
• L’art. 21 muta la prospettiva del diritto di circolazione e di soggiorno, collegandolo a un
fondamento politico, qual è lo status di cittadino europeo. Esso, inoltre, attribuisce a tale diritto
una sicura base normativa, che ne favorisce anche il progressivo sviluppo e ampliamento.
✓ stabilisce che il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando con la procedura
legislativa ordinaria possano adottare disposizioni intese a facilitare il suo
esercizio.
La direttiva n. 2004/38/CE del 29 aprile 2004 prevede il diritto dei cittadini dell'Unione e
dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

Il diritto in oggetto non è del tutto incondizionato. L'art. 21, par. 1, TFUE lo riconosce, infatti,
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«fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai Trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione
degli stessi».
→ citata direttiva del 29 aprile 2004 conferma che gli Stati membri possono limitare la libertà di
circolazione e di soggiorno di un cittadino dell'Unione o di un suo familiare, adottando anche
provvedimenti di allontanamento, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità
pubblica (art. 27).

Per la Corte, tuttavia, il diritto di circolazione e di soggiorno deriva direttamente dall’art. 21 TFUE, che
ha un'efficacia diretta, nel senso che il diritto in questione può essere esercitato in via giudiziaria e deve
essere tutelato dai giudici nazionali.
La Corte ha sottolineato, inoltre, l'effetto utile della disposizione in esame, l'esigenza, cioè che sia
interpretata e applicata in maniera tale da garantire l'effettivo esercizio del diritto:
• “Il rifiuto di consentire al genitore, cittadino di uno Stato membro o di uno Stato terzo, che
effettivamente ha la custodia di un figlio al quale l’art. 18 [oggi art. 21 TFUE] e la direttiva 90/364
riconoscono un diritto di soggiorno, di soggiornare con tale figlio nello Stato membro ospitante
priverebbe di qualsiasi effetto utile il diritto di soggiorno di quest’ultimo. È chiaro, infatti, che il
godimento del diritto di soggiorno da parte di un bimbo in tenera età̀̀ implica necessariamente che tale
bimbo abbia il diritto di essere accompagnato dalla persona che ne garantisce effettivamente la custodia
e, quindi, che tale persona possa con lui risiedere nello Stato membro ospitante durante tale soggiorno”
(sentenza del 19 ottobre 2004, causa C-200/02, Chen).
• In una logica analoga si pone la citata sentenza dell’8 marzo 2011, causa C-34/09, Ruiz Zambrano
la quale ha riconosciuto il diritto di soggiorno e di lavoro in Belgio al genitore colombiano di due
bimbi, cittadini belgi e residenti in tale Stato; in una situazione, quindi, nella quale – a differenza del
caso Chen – i cittadini dell’Unione non esercitavano il diritto di libera circolazione.
• Sentenza 14 Novembre 2017, causa C-165-16, Lounes: La Corte di giustizia ha affermato che
il diritto di circolare e soggiornare in uno Stato Membro include quello di condurre e sviluppare una
normale vita familiare nel paese ospitante, beneficiando della vicinanza dei propri familiari, in
particolare mediante il riconoscimento del diritto di soggiorno al proprio coniuge, cittadino di uno
Stato terzo.

IL DIRITTO DI ELETTORATO ATTIVO E PASSIVO

L'art. 22 TFUE contempla il diritto di elettorato attivo e passivo, un diritto avente natura squisitamente
politica e tipica dello status di cittadino, prevedendo che ogni cittadino dell'Unione residente in uno Stato
membro di cui non sia cittadino abbia il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali e del
Parlamento europeo nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato.

“Tale diritto sarà esercitato con riserva delle modalità che il Consiglio adotta, deliberando all'unanimità
secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo; tali modalità
possono comportare disposizioni derogatorie ove problemi specifici di uno Stato membro lo giustifichino”.

L'esercizio di tale diritto richiedeva l'emanazione di un atto del Consiglio, il quale ha adottato a tal fine la
direttiva n. 94/80/CE del 19 dicembre 1994, più volte modificata in corrispondenza ai successivi
allargamenti dell'Unione europea. Essa ha previsto anche alcune deroghe, consentendo, per esempio, agli
Stati di riservare ai propri cittadini l'eleggibilità a capo dell'organo esecutivo; di tale facoltà si é valsa l'Italia
con riferimento alla carica di sindaco.

L'elettorato amministrativo si colloca essenzialmente nell'ottica del divieto di discriminazione in base


alla nazionalità, consacrato nell'art. 18 TFUE ed è volto anche ad agevolare il diritto di libera circolazione
e di soggiorno. Infatti l'opportunità di partecipare alle elezioni amministrative facilita tale diritto, che
sarebbe invece ostacolato qualora, spostandosi da uno Stato membro all'altro, si venisse privati della
possibilità di contribuire alla formazione degli organi amministrativi comunali del Paese di residenza e di
farne parte.
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Il diritto di elettorato attivo e passivo al Parlamento europeo, si colloca invece nell'ottica della
partecipazione del cittadino europeo alla vita politica dell'Unione europea, con riguardo all'istituzione
democratica rappresentativa dei cittadini dell'Unione.
• Lo svincolo del diritto di elettorato dal requisito della cittadinanza dello Stato in cui viene
esercitato,accentua nel Parlamento il carattere unitariamente rappresentativo dei cittadini
degli Stati membri e ne esalta la natura sopranazionale.
Il riconoscimento di tale diritto ha trovato terreno particolarmente propizio in Italia, la quale, con legge 18
gennaio 1989 n. 9, aveva assunto l'iniziativa di estendere l'elettorato passivo (ma non il diritto al voto) al
Parlamento europeo ai cittadini degli altri Stati membri, indipendentemente dalla loro residenza in Italia.

La Corte di giustizia ha dato alcuni contributi alla materia dell'elettorato dei cittadini al Parlamento europeo.
Nella sentenza del 12 settembre 2006, causa C-145/04, Spagna c. Regno Unito, la Corte ha affermato che il
Regno Unito non aveva violato alcuna disposizione del diritto dell'Unione estendendo il diritto di elettorato
al Parlamento europeo a cittadini del Commonwealth (aventi determinati requisiti) residenti a Gibilterra,
privi della cittadinanza del Regno Unito e, quindi, di quella dell'Unione, in quanto,
«la determinazione dei titolari del diritto di voto attivo e passivo per le elezioni del Parlamento europeo
rientra nella competenza di ciascuno Stato membro, nel rispetto del diritto comunitario», il quale non osta
«a che gli Stati membri concedano tale diritto di voto attivo e passivo a determinate persone che possiedono
stretti legami con essi, pur non essendo loro cittadini o cittadini dell'Unione residenti sul loro territorio».
Il diritto di elettorato appare, quindi, una prerogativa non esclusiva dei cittadini europei.

IL DIRITTO DI PETIZIONE

L'art. 24 TFUE, ripetendo, sostanzialmente, la disposizione dell'art. 11 TUE relativa al referendum


propositivo, ricollega, anzitutto, tale potere di iniziativa alla cittadinanza dell'Unione. Nei commi
successivi esso attribuisce al cittadino europeo alcuni diritti che, complessivamente, lo avvicinano alle
istituzioni europee e ai loro processi decisionali.
Si tratta, anzitutto, del diritto di petizione (2° comma):
«Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di petizione dinanzi al Parlamento europeo conformemente
all'articolo 227».
Quest'ultimo dispone:
«Qualsiasi cittadino dell'Unione, nonché ogni persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale
in uno Stato membro, ha il diritto di presentare, individualmente o in associazione con altri cittadini o
persone, una petizione al Parlamento europeo su una materia che rientra nel campo di attività dell'Unione e
che lo (la) concerne direttamente».
Il Parlamento europeo aveva contemplato tale diritto già nel suo Regolamento interno nel 1981.
Il suo riconoscimento nel Trattato rafforza, evidentemente, il diritto di petizione configurando un
corrispondente dovere di esaminarlo in capo al Parlamento europeo.

1. La petizione può avere un contenuto alquanto vario:


• richieste di informazioni sulla posizione del Parlamento europeo in merito a date questioni,
• suggerimenti relativi alle politiche dell'Unione o alla soluzione di specifici problemi
• proposizione all'attenzione del Parlamento di questioni di attualità,
• veri e propri reclami contro asserite violazioni dei diritti del petizionario da parte delle
istituzioni europee o degli Stati, di cui si lamenta la contrarietà al diritto dell'Unione.
In ogni caso la petizione deve rientrare nel campo di attività dell'Unione.

2. Il diritto è esteso ai soggetti, persone fisiche o giuridiche, che risiedano o abbiano la sede sociale in
uno Stato membro. (medesima formulazione dell’art. 44 della Carta dei diritti fondamentali
estensione condivisibile nell’ottica della tutela dei diritti fondamentali)

3. La materia oggetto della petizione deve concernere direttamente l'autore della stessa.
• Considerato lo scopo della petizione di sollecitare l'attenzione del Parlamento europeo e sue
eventuali iniziative, tale condizione non può essere intesa in senso rigidamente formale, quale
necessità che il petizionario sia titolare di un diritto che possa subire un pregiudizio, ma in
maniera alquanto elastica, come coinvolgimento del petizionario nella materia in questione,
anche semplicemente in quanto, per es., consumatore, o professionista, o interessato alla
protezione ambientale di una certa zona ecc.
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4. Per l'esame delle petizioni è istituita una commissione permanente del Parlamento europeo, detta
Commissione per le petizioni. Essa può organizzare anche una missione d'informazione nello Stato
membro o nella regione cui la petizione si riferisce e può chiedere, inoltre, alla Commissione europea di
assisterla. Il risultato dell'esame può essere vario, anche in corrispondenza ai diversi contenuti che le
stesse petizioni possono presentare. Ai sensi dell'art. 202 del Regolamento interno del Parlamento, la
Commissione per le petizioni può decidere di elaborare relazioni o di pronunciarsi in altro modo, previo
parere di un'altra commissione parlamentare, in particolare qualora la petizione abbia per oggetto una
modifica delle disposizioni legislative in vigore. Essa può chiedere al Presidente del Parlamento di
trasmettere il suo parere o la sua raccomandazione alla Commissione europea, al Consiglio o all'autorità
dello Stato membro in questione al fine di ottenere un intervento o una risposta.
5. Il Parlamento europeo, su proposta della Commissione per le petizioni, può adottare risoluzioni, può
formulare interrogazioni alla Commissione europea o al Consiglio; come pure può tentare di
raggiungere un regolamento amichevole (di solito tramite la Commissione europea) con lo Stato cui la
petizione imputi una violazione del diritto dell'Unione.
6. In quest'ultimo caso, ove non si pervenga ad un regolamento amichevole, si apre la possibilità di una
procedura d'infrazione su iniziativa della Commissione europea in base all'art. 258 TFUE (Cap. Vili,
par. 4 ss.).
7. Una volta concluso l'esame di una petizione ricevibile, quest'ultima è archiviata e il firmatario ne è
informato.

LA DENUNCIA AL MEDIATORE EUROPEO E GLI ALTRI DIRITTI DEL CITTADINO


EUROPEO
Allo scopo di avvicinare il cittadino alle istituzioni europee risponde anche l'istituto del Mediatore
(ombudsman nel testo inglese, e che forse meglio sarebbe stato denominare "difensore civico").
In virtù dell'art. 24, 3° comma, TFUE:
«Ogni cittadino dell'Unione può rivolgersi al Mediatore istituito conformemente all'articolo 228».
Il Mediatore è un organo individuale, istituito dal Trattato di Maastricht del 1992, con il compito di
promuovere la buona amministrazione nell'Unione intervenendo per riparare i casi di cattiva
amministrazione.

Nomina e natura del Mediatore


1. È nominato dal Parlamento europeo per la durata della legislatura e il suo mandato è rinnovabile
(art. 228, par. 2, Io comma, TFUE).
2. Lo Statuto e le condizioni generali per l'esercizio delle funzioni del Mediatore sono fissati dal
Parlamento europeo, previo parere della Commissione e con l'approvazione del Consiglio (art. 228,
par. 4).
3. Il Mediatore non è un organo del Parlamento europeo, nonostante gli stretti legami con
quest’ultimo (“che rivestono unicamente un carattere organizzativo generale e non un carattere
funzionale”, Tribunale di primo grado).
L'art. 228, par. 3, dichiara infatti:
«Il Mediatore esercita le sue funzioni in piena indipendenza. Nell'adempimento dei suoi doveri, egli non
sollecita né accetta istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo. Per tutta la durata del suo
mandato, il Mediatore non può esercitare alcuna altra attività professionale, remunerata o meno».
Lo stesso Parlamento non può revocare la nomina del Mediatore, ma solo chiedere alla Corte di
giustizia di dichiararlo dimissionario qualora egli non risponda "più alle condizioni necessarie
all'esercizio delle sue funzioni o abbia commesso una colpa grave" (art. 228, par. 2, 2° comma).

La denuncia al Mediatore
1. Il diritto di sporgere una denuncia al Mediatore non è prerogativa esclusiva del cittadino, ma di
ogni persona residente o avente la sede sociale in uno Stato membro e non richiede un interesse
ad agire; Il Mediatore, può attivarsi anche d’ufficio o su denuncia presentata da un membro del
Parlamento europeo.
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2. Oggetto della denuncia è un caso di cattiva amministrazione da parte dell’Unione, esclusi, quindi, i
comportamenti imputabili a Stati membri; il Mediatore non interviene:
o in merito all'attività giudiziaria europea
o quando sia in atto o si sia svolta una procedura giudiziaria all'interno di uno Stato in merito
ai fatti oggetto della denuncia.
o riguardo all'attività normativa dell'Unione, anche se non sempre è agevole distinguere
nettamente, nel sistema dell'Unione, i due tipi di attività (amministrativa e normativa).
Il Trattato non definisce i casi di "cattiva amministrazione", ma può essere di ausilio il Codice
europeo di buona condotta amministrativa, approvato dal Parlamento europeo con risoluzione del
2001.
Alla luce di tale Codice e della prassi, la cattiva amministrazione comprende
o non solo le ipotesi di illegittimità, nelle quali, cioè, tale azione sia posta in violazione del
diritto,
o ma pure i casi di amministrazione c.d. impropria, ossia in contrasto con criteri di
trasparenza, di opportunità, di efficacia, di correttezza, di equità ecc.

L’azione del Mediatore


Compito del Mediatore consiste nel cercare, da un lato, di riparare l'eventuale torto subito dal
denunziante, dall'altro di risolvere il problema generale sollevato dalla denuncia, mediante:
 indagine, con la collaborazione dell'istituzione, dell’organo o dell'organismo interessati (ente/i) e
del denunciante;
 un'attività conciliativa con l’ente in questione al fine di eliminare il caso di cattiva amministrazione
e di soddisfare il denunciante;
 se ciò non risulta possibile il Mediatore chiude il caso con una valutazione critica relativa all’ente
interessato, oppure
 se ritiene che il caso abbia implicazioni generali, elabora una relazione con progetti di
raccomandazione e l'invia all'ente interessato;
 se quest’ultimo non fornisce una risposta soddisfacente (quale l'accettazione delle
raccomandazioni), il Mediatore invia al Parlamento europeo una relazione speciale
sul caso, con eventuali raccomandazioni.

L'azione del Mediatore non si esprime mai con atti giuridicamente obbligatori, tuttavia sia in casi
specifici sia per problemi generali è solitamente molto efficace.
Per esempio, a seguito di un'indagine avviata nel 1997 di propria iniziativa (ma stimolata anche da alcune
denunce) sulla segretezza delle procedure di assunzione della Commissione, e conclusa nel 1999, il
Mediatore ottenne che tali procedure divenissero più trasparenti.

Altri diritti
Il cittadino europeo ha inoltre
 la facoltà di scrivere alle istituzioni in una delle lingue ufficiali (indicate dall'art. 55, par. 1, TUE) e di
ricevere una risposta nella stessa lingua (art. 24, 4° comma, TFUE).
 Diritto di accesso ai documenti nonché nel delle istituzioni, organi o organismi dell'Unione: si esplica
secondo i principi generali e alle condizioni stabiliti mediante regolamenti dal Parlamento e dal
Consiglio, nonché nei regolamenti interni delle istituzioni, organi e organismi europei,
subordinatamente, peraltro, ai predetti regolamenti del Parlamento e del Consiglio (art. 15, par. 3,
TFUE).
 Tale diritto si collega alla esigenza che l'Unione operi nel modo più trasparente possibile "al fine
di promuovere il buon governo è garantire la partecipazione della società civile" (art. 15, par. 1,
TFUE).

La Carta dei diritti fondamentali


La Carta contiene vari articoli (compresi nel titolo V, intitolato alla cittadinanza) che prevedono i diritti del
cittadino europeo, che ripetono per la maggior parte le disposizioni sin qui ricordate.
Si distingue l'art. 41, paragrafi 1 e 2, il quale stabilisce un diritto di primaria importanza, più volte
riconosciuto nella giurisprudenza della Corte di giustizia. Esso ha per oggetto il diritto ad una buona
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amministrazione, che non è una prerogativa dei cittadini dell'Unione, ma di "ogni persona", nell'ottica
corretta del riconoscimento dei diritti umani, in virtù del quale:

«1. Ogni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo
ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni, organi e organismi dell'Unione.
2. Tale diritto comprende in particolare:
a) il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un
provvedimento individuale che le rechi pregiudizio (contraddittorio);
b) il diritto di ogni persona di accedere al fascicolo che la riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi
della riservatezza e del segreto professionale e commerciale (accesso ai documenti);
c) l'obbligo per l'amministrazione di motivare le proprie decisioni (obbligo di motivazione)».

LA TUTELA DIPLOMATICA E CONSOLARE ALL’ESTERO


L'art. 23 TFUE attribuisce, infine, una proiezione esterna alla cittadinanza dell'Unione, dichiarando quanto
segue:
«Ogni cittadino dell'Unione gode, nel territorio di un Paese terzo nel quale lo Stato membro di cui ha la
cittadinanza non è rappresentato, della tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi
Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. Gli Stati membri adottano le disposizioni
necessarie e avviano i negoziati internazionali richiesti per garantire detta tutela».

L'art. 23 non riguarda il diritto di protezione diplomatica, esercitabile dallo Stato il cui cittadino, in un altro
Stato, sia vittima di una lesione in violazione degli obblighi internazionali relativi al trattamento degli
stranieri, ma, più modestamente, l'assistenza che le autorità diplomatiche e consolari forniscono ai
propri cittadini per facilitarne il soggiorno in un altro Stato.

DIRETTIVA UE 2015/637 (a partire dal 1° maggio 2018) Essa è fondata su un rigoroso rispetto
dell’eguaglianza di trattamento dei cittadini dell’Unione non rappresentati in un Paese terzo rispetto ai
cittadini dello Stato membro che presta l’assistenza e sul principio della solidarietà̀ europea.
a) la direttiva definisce l’assenza di rappresentanza di uno Stato membro in un Paese terzo come
comprensiva non solo dell’ipotesi della inesistenza in tale Paese di un’ambasciata o di un consolato
dello Stato membro, ma anche di quella in cui, per qualsiasi motivo (di lontananza della sede, di
urgenza della situazione ecc.), la rappresentanza, pur esistente, non sia in grado di fornire
efficacemente la tutela consolare in un determinato caso.
b) Inoltre, afferma che la rappresentanza compete all’interessato sia nei casi di carattere personale,
o quali, per esempio, arresto o detenzione,
o essere vittima di un reato,
o incidente o malattia grave,
o decesso,
o necessità di rimpatrio di emergenza,
o bisogno di documenti di viaggio provvisori,
sia in situazioni di crisi che, pur non definite dalla direttiva, dovrebbero consistere in ipotesi di
emergenza generalizzata, come
o guerre,
o disordini,
o terremoti,
o disastri ecc.
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CAPITOLO V
LE ISTITUZIONI DELL’UNIONE EUROPEA
QUADRO GENERALE DELLE ISTITUZIONI E DEGLI ORGANI. IL PRINCIPIO
DELL’EQUILIBRIO ISTITUZIONALE

Articolo 13 TUE
1. L'Unione dispone di un quadro istituzionale che mira a promuoverne i valori, perseguirne gli obiettivi,
servire i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini e quelli degli Stati membri, garantire la coerenza, l'efficacia
e la continuità delle sue politiche e delle sue azioni.
Le istituzioni dell'Unione sono:
— il Parlamento europeo,
— il Consiglio europeo,
— il Consiglio,
— la Commissione europea (in appresso «Commissione»),
— la Corte di giustizia dell'Unione europea,
— la Banca centrale europea,
— la Corte dei conti.
2. Ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai trattati, secondo le
procedure, condizioni e finalità da essi previste. Le istituzioni attuano tra loro una leale cooperazione.

Il Consiglio europeo
Il Consiglio europeo, formato dai massimi vertici degli Stati membri, è incluso tra le istituzioni dell'Unione
dal Trattato di Lisbona, malgrado esso resti in una posizione a sé sul piano politico, rispetto alle altre
istituzioni, in quanto esso assume le decisioni fondamentali concernenti lo sviluppo dell'azione europea e
dello stesso processo d'integrazione europea. Le sue funzioni, particolarmente significative nella PESC, sono
prevalentemente disciplinate nel Trattato sull'Unione europea.

Parlamento, Consiglio e Commissione: il principio di equilibrio istituzionale


Le successive tre istituzioni, il Parlamento europeo, il Consiglio, la Commissione, sono rappresentative,
rispettivamente
 dei cittadini, (latu sensu: funzione normativa e decisionale)
 degli Stati membri e dei loro governi (latu sensu: approvazione del bilancio) e
 dell'interesse unitario dell’Unione (latu sensu: conclusione di accordi internazionali).
I rapporti tra le istituzioni europee
a. da un lato devono corrispondere a quel principio di leale collaborazione che, stabilito
originariamente nelle relazioni tra gli Stati membri e la Comunità, è stato esteso dalla Corte di
giustizia anche ai rapporti tra le istituzioni e, infine, recepito nell'art. 13, par. 2, TUE (Cap. Ili, par.
8);
b. dall’altro devono conformarsi al riparto di competenze stabilito dai Trattati, dal quale emerge, come
la Corte ha più volte affermato, un principio di equilibrio istituzionale, il cui rispetto è essenziale
ed è sottoposto al controllo della Corte di giustizia.

Consiglio c. Commissione → “…il principio dell’equilibrio istituzionale, che caratterizza la struttura


istituzionale dell’Unione, implica che ogni istituzione eserciti le proprie competenze nel rispetto di quelle
delle altre istituzioni”

L'esigenza di garantire in via giudiziaria il rispetto del principio in esame indusse la Corte di giustizia a
riconoscere la legittimazione del Parlamento europeo ad impugnare un atto dinanzi alla stessa Corte,
anche se unicamente al fine di difendere le proprie prerogative, benché all’epoca il Trattato sulla Comunità
economica europea non attribuisse al Parlamento una siffatta legittimazione.

Corte di giustizia, Banca Centrale Europea, Corte del conti.


Le altre istituzioni si caratterizzano per la piena indipendenza, trattandosi di istituzioni giudiziarie (la Corte
di giustizia), dell'autorità monetaria (la Banca centrale europea) o di controllo dei conti (la Corte dei conti).
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SEBC e BEI
L'apparato dell'Unione europea comprende, inoltre, il sistema europeo di banche centrali (SEBC),
costituito dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali (art. 282 TFUE), nonché altri organi
bancari, quale la Banca europea per gli investimenti, la quale, peraltro, ha una spiccata autonomia ed è dotata
di una propria personalità giuridica (art. 308 TFUE) e di una propria struttura organizzativa.

Gli organi ausiliari


I Trattati istituiscono anche organi ausiliari:
art. 13, par. 4, TUE dichiara:
«Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sono assistiti da un Comitato economico e sociale e
da un Comitato delle regioni, che esercitano funzioni consultive».

Analoghi organi, con funzioni consultive in specifiche materie, sono previsti da varie disposizioni dei
Trattati:
— il Comitato di cui all'art. 99 TFUE in materia di trasporti
— il Comitato per l'occupazione (art. 150 TFUE)
— il Comitato economico e finanziario, avente, oltre a compiti consultivi, gli ulteriori compiti indicati
dall'art. 134 TFUE
— il Mediatore europeo
— Il Comitato politico e di sicurezza previsto dall'art. 38 TUE nell'ambito della politica estera e di
sicurezza comune (PESC), il quale svolge
 funzioni di controllo della situazione internazionale,
 funzioni consultive nei riguardi del Consiglio e dell'Alto rappresentante per gli affari esteri e
la politica di sicurezza,
 funzioni di controllo sull'attuazione delle politiche in materia, nonché,
 sotto la responsabilità del Consiglio e dell'Alto rappresentante, funzioni di controllo politico
e di direzione strategica delle operazioni di gestione delle crisi di cui all'art. 43 TUE.

Ulteriori organismi (espressione impiegata frequentemente dal Trattato di Lisbona) designati, solitamente,
con il termine di agenzie, sono creati con atti delle istituzioni europee, con compiti vari, di natura tecnica,
scientifica, di gestione, operativi, di sostegno e coordinamento dell'azione delle autorità statali.
Esistono oggi" circa una ventina di agenzie, tra le quali
— l'Agenzia europea dell'ambiente (EEA),
— l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (FRONTEX),
— l'Agenzia europea per la sicurezza aerea (EASA) ecc.
— In materia di cooperazione penale e di polizia vanno ricordati, rispettivamente,
o l'Organismo europeo per il consolidamento della cooperazione giudiziaria (Eurojust) e
o l'Ufficio europeo di polizia (Europol), entrambi regolati, oggigiorno, nel Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea (articoli 85 e 88).
Altre agenzie, dette esecutive e aventi durata limitata, sono costituite per la gestione di determinati
programmi (come l'Agenzia esecutiva per l'energia intelligente);
ulteriori organismi sono talvolta creati da atti di diritto derivato in specifiche materie (per esempio il
Garante europeo della protezione dei dati, incaricato di sorvegliare l'applicazione delle norme sulla
protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali).

IL PARLAMENTO EUROPEO
Esso è l’istituzione rappresentativa dei cittadini dell’Unione europea, l’organo democratico per eccellenza.
L’art. 14, par. 2, TUE dichiara infatti:
«Il Parlamento europeo è composto di rappresentanti dei cittadini dell'Unione».

Numero dei componenti del Parlamento Europeo


Il numero dei Parlamentari europei è variato molte volte, in corrispondenza ai successivi ampliamenti
degli Stati Membri.
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L’art. 14 par. 2 stabilisce solo un numero massimo per l’intero Parlamento, consistente in 750 più il
presidente, e garantisce una soglia minima di sei parlamenta e una soglia massima di novantasei per ogni
Stato membro.
Ai sensi dell’art. 14, par. 2, 2° comma TUE il numero dei componenti del Parlamento Europeo e la loro
assegnazione a ciascuno Stato Membro sono stabiliti
a. dal Consiglio Europeo con decisione votata all’unanimità;
b. su iniziativa del Parlamento Europeo e con sua approvazione.

Attuale legislatura
Riguardo all’attuale legislatura 2019 – 2014 la composizione del Parlamento europeo è stata stabilita dalla
decisione (UE) 2018/937 del Consiglio Europeo del 28 giugno 2018.
Tuttavia, essendo il Regno Unito ancora membro dell’Unione Europea all’inizio della legislatura, il numero
dei Parlamentari eletti era restato quello fissato dalla precedente decisione 2013/312/UE (751 membri
ripartiti: 96 Germania, 74 Francia, 73 Italia, 73 Regno Unito, scendendo sotto i 6 per gli altri paesi)

Questa decisione, all’art. 3, stabilisce il numero dei parlamentari dal momento di efficacia del recesso del
Regno Unito (1° Febbraio 2020).
• Vede una riduzione complessiva dei membri a 705, usando i 73 seggi vacanti del Regno Unito,
“accantonandone” 46 e distribuendone 27 tra gli stati membri meno rappresentati.

Criterio digressivamente proporzionale


Il citato art. 14, par. 2, 1° comma, TUE, pur non disponendo il numero dei membri del Parlamento
assegnato a ciascuno Stato, pone un criterio generale e dei limiti a tale numero:
«La rappresentanza dei cittadini è garantita in modo digressivamente proporzionale, con una soglia
minima di sei membri per Stato membro. A nessuno Stato membro sono assegnati più di novantasei seggi».

Il criterio “digressivamente proporzionale”, pur rispondendo alla situazione demografica degli Stati
Membri, comporta che il numero dei parlamentari di tali Stati non è in rapporto diretto con il numero
dei cittadini di ognuno di essi, ma anzi che, man mano che la popolazione si riduce, il criterio opera in
maniera meno decisiva.

Art. 1 decisione 2018/937 del 28 giugno 2018:


“Il rapporto tra la popolazione e il numero dei seggi di ciascuno Stato membro varia a funzione della
rispettiva popolazione, di modo che ciascun deputato al Parlamento europeo di uno Stato membro più
popolato rappresenti più cittadini di ciascun deputato di uno Stato membro meno popolato e che, al
contempo, più uno Stato Membro è popolato, più abbia diritto a un numero di seggi elevato nel Parlamento
Europeo”.

Parlamento Europeo come organo squisitamente sovranazionale


L'assegnazione di seggi ai diversi Stati membri non va intesa nell'ottica nazionalistica, in quanto i
parlamentari, configurati come "rappresentanti dei cittadini dell'Unione" (art. 14, par. 2, TUE), si aggregano
nel Parlamento secondo affinità politiche, non secondo la propria cittadinanza.
In altri termini, ogni Stato membro è configurato come un vasto collegio. La circostanza che i parlamentari
rappresentino i cittadini dell'Unione nel loro complesso (potrebbe forse dirsi "il popolo europeo") rende il
Parlamento un'istituzione squisitamente sopranazionale.

Evoluzione dell’elezione dei Parlamentari europei


1. In origine i componenti del Parlamento europeo erano eletti dai parlamenti nazionali tra i propri
componenti, designati, in altri termini, mediante un'elezione di secondo grado.
Da ciò derivava
• scarsa rappresentatività,
• carenza di proporzionalità rispetto ai partiti rappresentati nei parlamenti stessi.
• Che i componenti del Parlamento europeo, essendo necessariamente anche membri del
parlamento nazionale, erano generalmente indotti a concentrare il proprio impegno in
quest'ultimo.
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2. Peraltro, lo stesso art. 138, par. 3, prevedeva che il Parlamento europeo elaborasse progetti per
consentire l'elezione a suffragio universale diretto, attribuendo al Consiglio, all'unanimità, il potere
di stabilire le disposizioni da raccomandare agli Stati membri, affinché le adottassero
conformemente alle loro rispettive norme costituzionali.
3. In virtù di tale norma, dopo molteplici iniziative dello stesso Parlamento restate senza seguito, il
Consiglio, sulla base del progetto approvato dal Parlamento il 14 gennaio 1975 (presentato dal
parlamentare olandese Patijn), adottò una decisione e un atto allegato relativo all'elezione dei
rappresentanti nell'Assemblea (come ancora ufficialmente si denominava il Parlamento) a
suffragio universale diretto. Le prime elezioni dirette del Parlamento europeo si sono così tenute
nel 1979.
In base al vigente art. 14, par. 3, TUE:
«I membri del Parlamento europeo sono eletti a suffragio universale diretto, libero e segreto, per un
mandato di cinque anni».

Per quanto riguarda il procedimento elettorale l'art. 223, par. 1, TFUE, dichiara:
«Il Parlamento europeo elabora un progetto volto a stabilire le disposizioni necessarie per permettere
l’elezione dei suoi membri a suffragio universale diretto, secondo una procedura uniforme in tutti gli Stati
membri o secondo principi comuni a tutti gli Stati membri.
Il Consiglio, deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione
del Parlamento europeo che si pronuncia alla maggioranza dei membri che lo compongono, stabilisce le
disposizioni necessarie. Tali disposizioni entrano in vigore previa approvazione degli Stati membri,
conformemente alle rispettive norme costituzionali».

L’adozione di una procedura elettorale uniforme in tutti gli Stati membri, o quanto meno di principi comuni
a tali Stati, è quindi condizionata a un procedimento alquanto complesso, che richiede, tra l’altro,
a. una deliberazione unanime del Consiglio (cioè l’unanimità degli Stati membri che vi sono
rappresentati) e
b. la successiva approvazione da parte degli Stati membri in base alle rispettive disposizioni
costituzionali.
✓ procedimento di tipo convenzionale, poiché l’approvazione, da parte degli Stati membri,
delle disposizioni stabilite dal Consiglio equivale a un atto di ratifica (o di equivalente valore
giuridico) di un accordo internazionale.

Procedura elettorale “uniforme”


Sinora non si è riusciti ad adottare una procedura elettorale uniforme, ma solo taluni principi comuni, per
il resto essendo gli Stati membri liberi di disciplinare come credono l’elezione al Parlamento europeo (così
la sentenza della Corte di giustizia del 6 ottobre 2015, causa C-650/13, Delvigne).

1. In particolare, nel 2002 è stato stabilito che le elezioni debbano svolgersi con il metodo proporzionale,
consentendo agli Stati membri di adottare lo scrutinio di lista o uninominale preferenziale.
• Essa consente agli Stati membri di fissare una soglia minima per l’attribuzione dei seggi, che non
può essere superiore al 5% dei suffragi espressi.

2. Con la decisione 2018/994 del Consiglio del 13 Luglio 2018 viene confermato che l’elezione debba
avvenire con sistema proporzionale, a scrutinio di lista o con voto singolo trasferibile (art. 1), così
come la facoltà degli Stati membri di prevedere una soglia minima, non superiore al 5% dei voti
validamente espressi, per l’attribuzione dei seggi.
• gli Stati membri nei quali si utilizza lo scrutinio di lista sono tenuti a prevedere una soglia minima,
non inferiore al 2% né superiore al 5% dei voti validamente espressi.

Privilegi e Immunità Parlamentare


Di particolare rilievo è l’art. 8 del Protocollo, il quale dispone:
«I membri del Parlamento europeo non possono essere ricercati, detenuti o perseguiti a motivo delle
opinioni o dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni».
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Corte di giustizia, sentenza del 6 settembre 2011, causa C-163/10, Patriciello: ha dichiarato che, sebbene
tale norma sia essenzialmente destinata ad applicarsi alle dichiarazioni effettuate dai membri del
Parlamento europeo nelle aule dello stesso Parlamento,
«tuttavia, non si può escludere che una dichiarazione effettuata da un deputato europeo fuori da tali aule
possa costituire un’opinione espressa nell’esercizio delle sue funzioni ai sensi dell’art. 8 del Protocollo,
atteso che l’esistenza di un’opinione siffatta dipende non dal luogo in cui la dichiarazione è stata effettuata,
bensì dalla natura e dal contenuto di quest’ultima [...]. Pertanto, occorre dichiarare che la nozione di
‘opinione’ ai sensi dell’art. 8 del Protocollo deve essere intesa in senso ampio, includente cioè i discorsi o le
dichiarazioni che, per il loro contenuto, corrispondono ad asserzioni costituenti valutazioni soggettive».
Nesso, diretto e imposto con evidenza, tra l’opinione espressa e le funzioni parlamentari.

Corte di giustizia, sentenza del 19 dicembre 2019, Junqueras Vies: Nella recente sentenza, relativa a una
persona detenuta in via provvisoria per avere partecipato all’organizzazione del referendum
sull’autodeterminazione in Catalogna del 1° ottobre 2017, eletta al Parlamento europeo, la Corte ha
affermato che tale persona acquista la qualità di membro del Parlamento al momento della proclamazione dei
risultati elettorali da parte della competente autorità statale, senza necessità del soddisfacimento di formalità
eventualmente richieste dal diritto interno, e che, pertanto, da tale momento beneficia delle immunità
previste dal suddetto Protocollo. Di conseguenza la misura di detenzione provvisoria deve essere revocata
per consentire a tale persona di partecipare alla sessione costitutiva della nuova legislatura del Parlamento
europeo.
Competente a revocare l'immunità dei parlamentari è lo stesso Parlamento europeo, ai sensi dell'art. 6 del suo
Regolamento interno.

Gruppi politici
il Parlamento europeo non può considerarsi come la semplice somma di gruppi nazionali di parlamentari.
Ciò è confermato dalla disciplina, contenuta nell’art. 33 ss. del Regolamento interno, relativa alla
costituzione dei gruppi politici.
1. esclude che tali gruppi possano costituirsi su base nazionale, essendo necessario che i componenti
provengano da almeno un quarto degli Stati membri, e
2. prescrive la loro formazione esclusivamente in ragione dell’affinità politica, anche se, in
principio, al Parlamento europeo non spetta accertare l’effettiva presenza di tale affinità.

L'art. 30 del Regolamento dichiara:


«I deputati possono organizzarsi in gruppi secondo le affinità politiche.
Un gruppo politico è composto da deputati eletti in almeno un quarto degli Stati membri. Per costruire un
gruppo politico occorre un numero minimo di 25 deputati.
Un deputato può appartenere a un solo gruppo politico».

Non è ammessa, invece, la costituzione di gruppi misti, nonostante il ricorso in tal senso presentato al
Tribunale da alcuni parlamentari. Il che implica l’esclusione di questi parlamentari da alcune prerogative che
sono riservate ai gruppi.

• Sentenza del 2 ottobre 2001, promosse dal Front National, dalla lista Emma Bonino:
L’importanza del collante politico nei gruppi parlamentari europei è stata sottolineata anche dal
Tribunale di primo grado I ricorrenti intendevano costituire un gruppo misto al fine dichiarato di
garantire a ogni deputato l’esercizio pieno del mandato parlamentare, affermando, gli uni rispetto
agli altri, la loro totale indipendenza politica.

Nel respingere tali ricorsi il Tribunale ha affermato:


«La strutturazione del Parlamento in gruppi politici, che riuniscono deputati originari di più di uno Stato
membro e che condividono affinità politiche, apparirebbe, a prima vista, una misura strumentale
all’organizzazione efficiente dei lavori e delle procedure dell’istituzione, in particolar modo al fine di
consentire l’espressione di volontà politiche comuni e l’adozione di compromessi, i quali sono
particolarmente necessari alla luce del numero molto elevato di deputati che compongono la detta
assemblea, dell’eccezionale diversità delle culture, delle nazionalità, delle lingue e dei movimenti politici
nazionali che vi sono rappresentati, della grande diversità delle attività del Parlamento e del fatto che, a
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differenza dei Parlamenti nazionali, il Parlamento non è caratterizzato dalla tradizionale dicotomia
maggioranza/opposizione».

La caratterizzazione in senso politico del Parlamento europeo e il crescente coinvolgimento del


cittadino europeo nel processo di integrazione risulta anche dall'art. 10, par. 4, TUE, il quale riconosce i
partiti politici europei quali soggetti politici transnazionali:
«I partiti politici a livello europeo sono un importante fattore per l'integrazione in seno all'Unione. Essi
contribuiscono a formare una coscienza politica europea e ad esprimere la volontà dei cittadini
dell'Unione».

L’ORGANIZZAZIONE E IL FUNZIONAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO

Presidente
In conformità dell’art. 14, par. 4, TUE, il Parlamento elegge tra i suoi membri il Presidente (attualmente
l’italiano David-Maria Sassoli) e l’Ufficio di Presidenza, che include quattordici vicepresidenti.
• Essi durano in carica due anni e mezzo, cioè la metà della durata (quinquennale) del Parlamento.
• Le modalità di elezione e le loro competenze sono disciplinate nel Regolamento interno (art. 14 ss.).

Commissioni
Analogamente ai parlamenti nazionali, anche quello europeo è organizzato in commissioni, le quali hanno
carattere
• PERMANENTE:
o elette anch'esse per la durata di due anni e mezzo
o hanno una competenza per materia;
o Il loro compito è preparatorio, istruttorio e consultivo rispetto alle tematiche sulle quali
dovrà deliberare il Parlamento
o si esprimono con risoluzioni, pareri, raccomandazioni.
(Fra tali commissioni vi è quella per le petizioni).

• SPECIALE: Le commissioni speciali sono costituite dal Parlamento per una questione particolare
e la loro durata non può superare i dodici mesi (prorogabili dal Parlamento).

Lo stesso TFUE prevede la possibilità di istituire commissioni temporanee d'inchiesta.

art. 226 TFUE dispone:


«Nell'ambito delle sue funzioni, il Parlamento europeo, su richiesta di un quarto dei membri che lo
compongono, può costituire una commissione temporanea d'inchiesta incaricata di esaminare, fatti salvi i
poteri conferiti dai trattati ad altre istituzioni o ad altri organi, le denunce di infrazione o di cattiva
amministrazione nell'applicazione del diritto dell'Unione, salvo quando i fatti di cui trattasi siano pendenti
dinanzi ad una giurisdizione e fino all'espletamento della procedura giudiziaria».

 OGGETTO: casi di violazione del diritto dell'Unione o anche di amministrazione scorretta, impropria,
inadeguata, che non si risolva necessariamente nella violazione di norme, da parte di istituzioni e Stati
membri.
 LIMITI: L’inchiesta non può svolgersi contemporaneamente all’esercizio di attività giudiziaria, da
 parte sia di giudici dell'Unione che di giudici nazionali, e non impedisce che altre istituzioni o
organi (come la Commissione europea o il Mediatore europeo o la Commissione per le petizioni)
si occupino del caso sottoposto all'inchiesta.
 RISULTATO: L'attività della commissione d'inchiesta si conclude con la consegna della sua relazione
 al Parlamento europeo, il quale può assumere, di conseguenza, le iniziative che ritiene più
opportune, sia nei riguardi di Stati membri che di altre istituzioni o organi europei.

Sede e Convocazioni
Il Parlamento europeo tiene una sessione annuale e si riunisce di diritto il secondo martedì del mese di
marzo (art. 229, Io comma, TFUE).
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Ai sensi del Regolamento interno (art. 133) tale sessione ha durata annuale e ciascuna tornata ha luogo, di
regola, ogni mese (solitamente per una settimana).
Esso si riunisce, inoltre, su richiesta
— della maggioranza dei suoi membri,
— del Consiglio o
— della Commissione (art. 229,2° comma, TFUE).

Per quanto riguarda la sede del Parlamento, che – come per ogni altra istituzione – è fissata d'intesa comune
dai governi degli Stati membri (art. 341 TFUE), con una soluzione di compromesso si è stabilito che
a. essa è a Strasburgo, dove si tengono le dodici tornate plenarie mensili, mentre
b. quelle aggiuntive e le riunioni delle commissioni si svolgono a Bruxelles;
c. il Segretariato generale del Parlamento europeo e i suoi servizi restano a Lussemburgo, dove era
originariamente la sede del Parlamento (Protocollo n. 6).

Votazione
L'art. 231 TFUE, in merito alla votazione, stabilisce:
«Salvo contrarie disposizioni dei Trattati, il Parlamento europeo delibera a maggioranza dei suffragi
espressi.
Il Regolamento interno fissa il numero legale».

 Il numero legale: è dato da un terzo dei componenti,


 le votazioni sono valide qualunque sia il numero dei votanti
 a meno che all’atto della votazione, il Presidente, su preventiva richiesta di almeno quaranta
deputati, constati l'assenza del numero legale (art. 155 del Regolamento).
 Varie disposizioni dei Trattati precisano diverse maggioranze su specifiche materie.
[Per esempio, nella procedura di constatazione di una violazione grave e persistente (o di un evidente
rischio di violazione) dei valori di cui all'art. 2 TUE, il Parlamento europeo delibera alla maggioranza dei
due terzi dei voti espressi, che rappresenti la maggioranza dei suoi membri]

FUNZIONI E POTERI DEL PARLAMENTO EUROPEO

Funzione legislativa
Il Parlamento europeo esercitava in origine poteri molto modesti, prevalentemente mediante pareri
facoltativi, più spesso obbligatori, ma mai vincolanti e nessuna funzione legislativa.

Per ovviare all’evidente deficit democratico, si è istituita la procedura di "codecisione", che conferisce al
Parlamento una posizione paritaria con il Consiglio e che, con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, è
diventata la procedura legislativa ordinaria.
Dichiara, infatti, l’art. 289, par. 1, TFUE:
«La procedura legislativa ordinaria consiste nell’adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o
di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione».

Il Parlamento europeo esercita importanti funzioni anche in materia di bilancio nonché di controllo su altre
istituzioni.
Art. 14, par. 1, TUE:
«1. Il Parlamento europeo esercita, congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa e la funzione di
bilancio. Esercita funzioni di controllo politico e consultive alle condizioni stabilite dai trattati. Elegge il
presidente della Commissione».

Il potere di pre-iniziativa
Una carenza di democrazia emerge dall'inesistenza di un potere di iniziativa, né del Parlamento europeo,
né tanto meno dei singoli deputati, sebbene il Trattato di Maastricht del 1992 abbia riconosciuto al
Parlamento un potere di impulso detto anche di "pre-iniziativa", nei confronti della Commissione, oggi
consacrato dall'art. 225 TFUE:
«A maggioranza dei membri che lo compongono, il Parlamento europeo può chiedere alla Commissione di
presentare adeguate proposte sulle questioni per le quali reputa necessaria l'elaborazione di un atto
70

dell'Unione ai fini dell'attuazione dei Trattati. Se la Commissione non presenta una proposta, essa ne
comunica le motivazioni al Parlamento europeo».
a. Non si ritiene che, giuridicamente, la Commissione abbia il dovere di dare seguito alla richiesta del
Parlamento, ma solo di motivare un eventuale rifiuto;
b. tuttavia, il Parlamento potrebbe esercitare forme di pressione politica sulla Commissione, nel
quadro del rapporto fiduciario con la Commissione.

Oltre a questo specifico potere deve ritenersi che il Parlamento europeo abbia un potere generale di
deliberare e di adottare risoluzioni su qualsiasi questione che concerna l’Unione.
sentenza del 10 febbraio 1983, Lussemburgo c. Parlamento: la Corte di giustizia ha riconosciuto
«la competenza specifica del Parlamento a deliberare su qualsiasi questione concernente la Comunità [oggi
Unione], ad adottare risoluzioni su dette questioni e ad invitare i governi ad agire».

I poteri di controllo
Il Parlamento esercita significativi poteri di controllo nei riguardi delle altre istituzioni europee, in qualche
misura anche sul Consiglio europeo.

Controllo sulla Commissione


• L'ESAME SULLA RELAZIONE GENERALE ANNUALE: Nei rapporti con la Commissione va
ricordato, anzitutto, l'esame sulla relazione generale annuale (a posteriori) sull’attività dell’Unione
che, ai sensi dell'art. 249, par. 2, TFUE, la Commissione è tenuta a pubblicare ogni anno. (avviene a
posteriori ma può condurre a una valutazione politica sull’attività della Commissione, premessa per
una mozione di censura nei suoi confronti)
Nella prassi, inoltre, la Commissione presenta, assieme alla relazione generale, un programma
d'azione relativo all'anno successivo, sul quale il Parlamento può esprimere proprie valutazioni,
orientamenti e indirizzi.
Inoltre, la Commissione è tenuta a presentare al Parlamento europeo relazioni su determinate
materie, come la cittadinanza dell'Unione, la coesione economica e sociale, la ricerca e sviluppo
tecnologico (art. 190 TFUE).

• LE INTERROGAZIONI: Il Parlamento o singoli deputati possono presentare interrogazioni, alle


quali la Commissione è tenuta a rispondere:
o interrogazioni con richiesta di risposta orale, seguita da discussione, che possono essere
presentate solo per iniziativa di una commissione, di un gruppo politico o di almeno quaranta
deputati (art. 115);
o interrogazioni con richiesta di risposta scritta, che possono essere presentate da ciascun deputato
(art. 117); e
o il tempo delle interrogazioni ("question time"), cioè un periodo inserito in ciascuna tornata
riservato alle interrogazioni, nel quale ogni deputato può presentare una sola interrogazione alla
Commissione (art. 116).

• LA MOZIONE DI CENSURA: il mezzo più incisivo di controllo del Parlamento europeo sulla
Commissione è la mozione di censura. Tale potere esprime un vero e proprio rapporto di fiducia,
poiché la permanenza in carica della Commissione presuppone la sussistenza della fiducia del
Parlamento: venuta meno quest'ultima (con la mozione di censura) la Commissione deve cessare
dalle sue funzioni.
Tornando alla mozione di censura, essa è disciplinata nei termini seguenti dall'art. 234 TFUE:
«Il Parlamento europeo, cui sia presentata una mozione di censura sull'operato della Commissione, non può
pronunciarsi su tale mozione prima che siano trascorsi almeno tre giorni dal suo deposito e con scrutinio
pubblico.
Se la mozione di censura è approvata a maggioranza di due terzi dei voti espressi e a maggioranza dei
membri che compongono il Parlamento europeo, i membri della Commissione si dimettono collettivamente
dalle loro funzioni e l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza si dimette
dalle funzioni che esercita in seno alla Commissione. Essi rimangono in carica e continuano a curare gli
affari di ordinaria amministrazione fino alla loro sostituzione conformemente all'articolo 17 del trattato
sull'Unione europea. In questo caso, il mandato dei membri della Commissione nominati per sostituirli
71

scade alla data in cui sarebbe scaduto il mandato dei membri della Commissione costretti a dimettersi
collettivamente dalle loro funzioni».

Il Regolamento interno prescrive l'appello nominale per la votazione pubblica e che la mozione di
censura sia presentata da almeno un decimo dei componenti il Parlamento (art. 107).

Non è ammessa la censura contro singoli commissari, per cui essa, anche se motivata dalla condotta di
taluni commissari, si ripercuote sull'intera Commissione.

CASI?
a. Una mozione fu votata, senza ottenere la richiesta maggioranza, contro la Commissione presieduta da
Jacques Santer, alquanto screditata e che aveva compiuto anche alcune irregolarità amministrative.
Peraltro, sotto la pressione politica del Parlamento, di lì a due mesi, il 15 marzo 1999, la Commissione
Santer si dimise collegialmente.
b. Successivamente, una mozione di censura fu presentata nel 2014 contro la Commissione presieduta da
Jean-Claude Juncker, per delle critiche rivolte proprio verso di lui, già primo ministro del Lussemburgo
fino al 2013, a causa di uno scandalo che era scoppiato in merito a certe agevolazioni fiscali in tale Stato.
La mozione fu respinta a larga maggioranza
La Commissione può assistere alle sedute del Parlamento ed essere ascoltata a sua richiesta (art. 230 TFUE).
(ruolo della Commissione di naturale interlocutore del Parlamento europeo)

Controllo sul Consiglio


• Le interrogazioni: In origine il Parlamento non aveva rapporti con il Consiglio, ma dapprima nella
prassi, poi negli stessi Trattati, è stato riconosciuto il potere d'interrogazione del Parlamento e dei
deputati anche nei suoi confronti, secondo le modalità già previste per la Commissione (articoli 116-
118).
• Relazioni semestrali e annuali: Inoltre il Presidente di turno del Consiglio presenta al Parlamento,
nell'assumere la carica, una relazione semestrale sul programma di lavoro, che è discussa e votata
dallo stesso Parlamento, nonché una relazione annuale sulla propria attività.

Rapporti con il Consiglio europeo (blando controllo politico?)


• Relazione del Presidente del Consiglio Europeo: Anche con il Consiglio europeo originariamente
non esisteva alcun rapporto, ma l'art. 15, par. (5, lett. d), TUE prevede la presentazione al
Parlamento europeo di una relazione dopo ogni riunione del Consiglio europeo da parte del
Presidente di tale Consiglio.
• Canali di comunicazione: Inoltre il citato art. 230, 3° comma, TFUE estende ora al Consiglio
europeo la possibilità di essere ascoltato dal Parlamento europeo. D'altra parte, il Presidente del
Parlamento europeo può essere invitato per essere ascoltato dal Consiglio europeo (art. 235, par. 2,
TFUE). Si creano, in definitiva vari canali di comunicazione tra il "vertice" politico dell’Unione (il
Consiglio europeo) e l'istituzione rappresentativa dei cittadini europei (il Parlamento) e ciò non può
che giovare a un corretto funzionamento dell'Unione e ad un suo sviluppo democratico.

Rapporti con la BCE


I rapporti del Parlamento europeo con la Banca centrale europea sono scarsi, in ragione della sua piena
indipendenza rispetto a organi politici.
• Relazione annuale: Tuttavia l'art. 284, par. 3, TFUE dispone che la BCE presenti al Parlamento
europeo una relazione annuale sull'attività del Sistema europeo di banche centrali (SEBC) e sulla
politica monetaria dell'anno precedente e dell'anno in corso; su tale base il Parlamento europeo può
procedere a un dibattito generale, così svolgendo una sia pur blanda forma di controllo.
• Ascolto: La stessa norma dichiara, inoltre, che il Presidente e gli altri membri del Comitato esecutivo
della BCE possono, a richiesta del Parlamento europeo o di propria iniziativa, essere ascoltati dalle
commissioni competenti dello stesso Parlamento.
• Interrogazioni: Il Regolamento interno del Parlamento stabilisce, infine, che ciascun deputato può
rivolgere interrogazioni con richiesta di risposta scritta alla BCE (art. 118).
72

Inchiesta, Petizione, Mediatore


Ai poteri di controllo del Parlamento europeo sulle altre istituzioni e organi, ma anche sugli Stati membri,
vanno poi ricollegati gli istituti dell’Inchiesta (art. 226 TFUE), della Petizione (art. 227 TFUE) e del
Mediatore (art. 228 TFUE).

Rapporti con i Parlamenti nazionali


Rapporti di collaborazione con i parlamenti nazionali sono istituiti, in particolare, in seno alla Conferenza
delle commissioni per gli affari europei (COSAC) dei parlamenti nazionali, alla quale partecipa una
rappresentanza del Parlamento europeo.

Partecipazione alla formazione di istituzioni ed organi


Il Parlamento partecipa alla formazione di altre istituzioni o organi, in primo luogo della Commissione e del
Mediatore, nonché della Corte dei conti (art. 286 TFUE) e del Comitato esecutivo della BCE (art. 283
TFUE).

La PESC
Il Parlamento europeo riveste un ruolo del tutto marginale nel settore della politica estera e di Sicurezza
comune (PESC), comprensivo della politica di sicurezza e di difesa comune, avente implicazioni militari.
In questo settore sono esclusi atti legislativi ed i poteri si concentrano negli organi intergovernativi, cioè
il Consiglio europeo e il Consiglio.
Il Parlamento
• è consultato ed informato regolarmente dall’Alto rappresentante sui principali aspetti e le scelte
fondamentali della PESC,
• può rivolgere interrogazioni e raccomandazioni all’Alto rappresentante ed al Consiglio ed
• effettua due volte l’anno un dibattito sui progressi compiuti in dette politiche (art. 36 TUE).

È esclusa, invece, qualsiasi forma di partecipazione del Parlamento alle procedure decisionali.
L'emarginazione del Parlamento da scelte estremamente sensibili, come quelle della PESC, è motivodi
preoccupazione e di profonda insoddisfazione per la disciplina convenuta a Lisbona.

IL CONSIGLIO EUROPEO: COMPOSIZIONE E FUNZIONAMENTO. IL PRESIDENTE DEL


CONSIGLIO EUROPEO

Sviluppo e natura
1. Il Consiglio europeo è nato nella prassi della diplomazia intergovernativa dei c.d. Vertici, a partire dal
1961, al fine di
 affrontare problemi e
 assumere importanti decisioni politiche sul cammino dell'integrazione europea.

2. Tale prassi fu formalizzata con il Vertice di Parigi del 9-10 dicembre 1974, nel quale i Capi di Stato o di
governo, in un comunicato finale, espressero la loro decisione di riunirsi, accompagnati dai ministri degli
esteri, tre volte all'anno e ogni volta che fosse necessario come Consiglio delle Comunità e a titolo di
cooperazione politica, in modo da assicurare
 lo sviluppo e
 la coesione generale
delle attività delle Comunità e dei lavori relativi alla cooperazione politica.

3. Sino all'Atto unico europeo del 1986 il Consiglio europeo restò estraneo al sistema organizzativo e
normativo delle Comunità europee, operando essenzialmente quale conferenza intergovernativa di carattere
periodico.
 L'art. 2 dell'Atto unico europeo diede a tale struttura un formale riconoscimento, stabilendone la
composizione e prescrivendo che si riunisse due volte all'anno, ma senza precisarne le funzioni e
lasciando aperti i dubbi sulla sua natura giuridica e circa la sua appartenenza o meno all'ordinamento
comunitario.
73

4. Con il Trattato di Maastricht del 1992 il Consiglio europeo è stato formalmente inserito nell'Unione
europea e,
5. con il Trattato di Lisbona del 2007, esso ha ricevuto la qualifica di istituzione.

Malgrado l'inserimento del Consiglio europeo nel quadro istituzionale dell'Unione, non viene meno la sua
natura fortemente caratterizzata in senso intergovernativo, e al livello più elevato, secondo una logica e
un meccanismo di tipo tradizionalmente internazionalistico, nei quali il confronto e il negoziato politico
sono volti a ricercare un'intesa generale.
Il Consiglio europeo si colloca al vertice della struttura istituzionale dell'Unione, in quanto assume le grandi
decisioni relative agli sviluppi dell'integrazione europea, che sono poi attuate dalle altre istituzioni, secondo
le competenze e le procedure regolate dai Trattati.

La composizione
La composizione del Consiglio europeo è definita dall'art. 15, par. 2, TUE:
«Il Consiglio europeo è composto dai Capi di Stato o di governo degli Stati membri, dal suo Presidente e
dal Presidente della Commissione. L'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di
sicurezza partecipa ai lavori».

Il Presidente del Consiglio europeo


Il Trattato di Lisbona ha istituito la figura del Presidente del Consiglio europeo,
organo individuale che non può esercitare alcun mandato nazionale,
o eletto dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata (con i soli voti dei Capi di Stato o
di governo e con esclusione del Presidente della Commissione)
o per un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una sola volta (art. 15, par. 5, TUE).
o Con la stessa procedura il Consiglio europeo può porre fine al mandato del Presidente in
caso di impedimento o di colpa grave.

L’attuale Presidente è l’ex primo ministro belga Charles Michel, in carica dal 1° dicembre 2019.

I compiti del Presidente del Consiglio europeo sono indicati dall'art. 15, par. 6, TUE (ruolo di
coordinamento, di preparazione e di mediazione all’interno del Consiglio europeo):
«a) presiede e anima i lavori del Consiglio europeo;
assicura la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio europeo, in cooperazione con il Presidente
della Commissione e in base ai lavori del Consiglio "Affari generali";
si adopera per facilitare la coesione e il consenso in seno al Consiglio europeo;
presenta al Parlamento europeo una relazione dopo ciascuna delle riunioni del Consiglio europeo».

Il citato par. 6 gli conferisce, inoltre, una funzione di rappresentanza esterna:


«Il Presidente del Consiglio europeo assicura, al suo livello e in tale veste, la rappresentanza esterna
dell'Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune, fatte salve le attribuzioni
dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza».

Deve però notarsi che una funzione di rappresentanza esterna svolgono anche l'Alto rappresentante per gli
affari esteri e la politica di sicurezza, il governo (e il suo Capo) che ha la presidenza semestrale del
Consiglio, nonché la Commissione e, in particolare, il suo Presidente.
➔ C'è da augurarsi che tali personalità possano tenere sempre un atteggiamento coeso e coerente; in
caso contrario, da un lato, vi è il rischio che l'Unione si esprima con linguaggi differenti e che,
dall'altro, i terzi che intendano rivolgersi all'Unione non sappiano quale “numero telefonico
chiamare” (Kissinger - "chi devo chiamare se voglio parlare con l'Europa?").

Riunioni e deliberazioni
L'art. 15, par. 3, TUE, dispone che il Consiglio europeo si riunisca due volte a semestre, su convocazione
del Presidente, il quale, se la situazione lo richiede, convoca una riunione straordinaria.

Dichiara al riguardo l'art. 15, par. 4, TUE, formalizzando la pratica del consensus:
«Il Consiglio europeo si pronuncia per consenso, salvo nei casi in cui i Trattati dispongono diversamente».
74

CONSENSUS: Procedimento di adozione di atti internazionali, progetti di trattato o risoluzioni di organi


internazionali, secondo il quale l’approvazione avviene senza una votazione formale, su presentazione del
testo da parte del presidente dell’organo internazionale, in genere accompagnata da una dichiarazione dello
stesso che attesta l’accordo tra i membri. L’atto risulta in tal modo approvato se non si registrano voti
espressi contrari. Tale procedura viene spesso seguita per l’approvazione delle risoluzioni dell’Assemblea
Generale delle N.U.
L'accordo generalizzato è constatato dal presidente dell'organo interessato mediante la formula "Is there any
objection? If not, it is so approved" [C'è qualche obiezione? Se no, è così approvato].
Questa pratica è stata criticata da ampia dottrina per alcuni aspetti: ad esempio i contenuti vaghi e spesso di
compromesso. La ricerca della volontà del collegio, che approva in tal modo la risoluzione, si sposta quindi
sulla lettura delle dichiarazioni lasciate a verbale dalle varie delegazioni presenti.
➔ evidenzia in pieno il carattere diplomatico e intergovernativo di tale istituzione.

CASI IN CUI I TRATTATI DISPONGONO DIVERSAMENTE: In questi ultimi casi votano soltanto gli
Stati membri, tramite i rispettivi Capi di Stato o di governo, mentre il Presidente del Consiglio europeo e
il Presidente della Commissione non partecipano al voto (art. 235, par. 1, 2° comma, TFUE): malgrado la
presenza di tali organi individuali, il Consiglio resta un'istituzione essenzialmente intergovernativa.

L'unanimità, oltre ad essere la modalità più frequente, rappresenta poi la regola nell'azione esterna
dell'Unione (art. 22, par. 1, 3° comma, TUE) e nella politica estera e di sicurezza comune (art. 24, par. 1, 2°
comma, TUE), compresa la politica di sicurezza e di difesa comune.
a. Quando è richiesta l'unanimità, come spesso accade, l'astensione di un membro non osta
all'adesione della deliberazione (art. 235, par. 1, rispettivamente 1° e 3° comma, TFUE).

In alcuni casi, previsti dai Trattati, il Consiglio europeo decide a maggioranza qualificata o, più raramente,
a maggioranza semplice.
b. Quando, invece, è prescritta la maggioranza qualificata trovano applicazione le stesse regole
previste per la votazione nel Consiglio (art. 235, par. 1,2° comma, TFUE) (oltre, par. 8).

LE FUNZIONI DEL CONSIGLIO EUROPEO


L'art. 15, par. 1, TUE dichiara:
«1. Il Consiglio europeo dà all'Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e
le priorità politiche generali. Non esercita funzioni legislative».

La formulazione della norma, volutamente alquanto generica, mette in luce la natura eminentemente
politica del ruolo del Consiglio europeo, natura che si riflette anche sugli atti che esso emana e che non
possono avere natura legislativa.
• Gli atti del Consiglio europeo (conclusioni, alle quali possono aggiungersi comunicati e
dichiarazioni), in principio, non hanno efficacia giuridica, mentre sul piano politico possono avere
notevole rilevanza, in quanto recanti direttive o orientamenti rivolti alla Commissione e al
Consiglio e diretti a promuovere loro iniziative formali, in vista dell'adozione di atti o dello sviluppo
di politiche dell'Unione.

Accordi tra Stati nel Consiglio europeo


Non può escludersi, inoltre, che in seno al Consiglio europeo possano realizzarsi degli accordi tra gli Stati
membri, sia pure in maniera implicita ed in forma semplificata.
▪ Ci sembra che una siffatta possibilità debba ammettersi con la massima prudenza,
posto che, proprio per la natura essenzialmente politica del ruolo del Consiglio
europeo, di regola non può
riconoscersi nelle posizioni dei partecipanti una volontà di obbligare giuridicamente i propri Stati sul
piano del diritto internazionale.
• Dichiarazione UE – Turchia, adottata in seno al Consiglio europeo il 18 marzo 2016, conal
quale sono state convenute forme di collaborazione in materia di immigrazione. Sebbene sia
opinione diffusa che essa costituisca un accordo tra l’Unione europea e la Turchia, il Tribunale
dell’Unione ha affermato che tale Dichiarazione, quale che sia la sua natura (giuridica o
soltanto politica), non può considerarsi un atto dell’Unione.
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Il ruolo del Consiglio europeo nell’azione esterna e nella PESC


Il Consiglio europeo svolge un ruolo di primo piano nell'azione esterna dell'Unione e, in particolare, nel
l'ambito della politica estera e di sicurezza comune, compresa la politica di sicurezza e di difesa comune, che
ne costituisce parie integrante e che assicura che l'Unione disponga di una capacità operativa con mezzi civili
e militari (art. 42, par. 1, TUE).
In questo contesto il Consiglio europeo adotta anche atti formali, provvisti di effetti giuridici obbligatori.

Così l'art. 22, par. 1, TUE, dispone:


«1. Il Consiglio europeo individua gli interessi e obiettivi strategici dell'Unione sulla base dei principi e
degli obiettivi enunciati all'articolo 21.
Le decisioni del Consiglio europeo sugli interessi e gli obiettivi strategici dell'Unione riguardano la politica
estera e di sicurezza comune e altri settori dell'azione esterna dell'Unione. Possono riferirsi alle relazioni
dell'Unione con un paese o una regione o essere improntate ad un approccio tematico. Esse fissano la
rispettiva durata e i mezzi che l'Unione e gli Stati membri devono mettere a disposizione.
Il Consiglio europeo delibera all'unanimità su raccomandazione del Consiglio adottata da quest'ultimo
secondo le modalità previste per ciascun settore. Le decisioni del Consiglio europeo sono attuate secondo le
procedure previste dai trattati».

Articolo 26 TUE
«1. Il Consiglio europeo individua gli interessi strategici dell'Unione, fissa gli obiettivi e definisce gli
orientamenti generali della politica estera e di sicurezza comune (attuata dall'Alto rappresentante per gli
affari esteri e la politica di sicurezza), ivi comprese le questioni che hanno implicazioni in materia di
difesa».

Adotta le decisioni necessarie.


Al Consiglio europeo l'art. 42, par. 2, TUE assegna il potere di "decidere" in merito alla definizione di una
difesa comune dell'Unione:
«La politica di sicurezza e di difesa comune comprende la graduale definizione di una politica di difesa
comune dell'Unione. Questa condurrà a una difesa comune quando il Consiglio europeo, deliberando
all'unanimità, avrà così deciso. In questo caso, il Consiglio europeo raccomanda (raccomandazione, di per
sé non vincolante) agli Stati membri di adottare una decisione in tal senso conformemente alle rispettive
norme costituzionali (le norme sulla ratifica dei trattati internazionali)».

Interventi del consiglio europeo in altre materie


Il Consiglio europeo interviene anche in talune materie estranee all'azione esterna dell'Unione.
a. L'art. 121, par. 2, TFUE, dichiara che il Consiglio europeo dibatte delle conclusioni in merito agli
indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e dell'Unione, sulla base delle
quali il Consiglio adotta una raccomandazione che definisce i suddetti indirizzi di massima.
b. Analogamente, ai sensi dell'art. 148 TFUE, il Consiglio europeo esamina annualmente la situazione
dell'occupazione nell'Unione, a partire dalla relazione annuale comune del Consiglio e della
Commissione, e adotta le conclusioni del caso.

Controllo giudiziario sull’operato del Consiglio europeo


Anteriormente al Trattato di Lisbona non era consentito alcun controllo giudiziario sull'operato del
Consiglio, tanto che in un caso in cui, in maniera alquanto sorprendente, un privato aveva impugnato una
dichiarazione del Consiglio europeo, nel 1995 il Tribunale di primo grado dichiarò il ricorso irricevibile,
in quanto i Trattati non comprendevano/escludevano gli atti del Consiglio europeo dal controllo della Corte.

Con il Trattato di Lisbona, per la prima volta, è stata prevista la possibilità di impugnare dinanzi alla
Corte di giustizia atti del Consiglio europeo ritenuti illegittimi, purché destinati a produrre effetti
giuridici nei confronti di terzi (art. 263.1 TFUE), nonché di effettuare i ricorsi in carenza (art. 265.1
TFUE).
• Tuttavia, di regola, è esclusa la competenza della Corte di giustizia nell'intera materia della politica
estera e di sicurezza comune (art. 24, par 1, 2° comma, TUE), unico ambito in cui il Consiglio
Europeo produce atti giuridicamente obbligatori.
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Comunque, un limitato controllo giudiziario è previsto dall'art. 269 TFUE anche sul procedimento
concernente la violazione, da parte di Stati membri, dei valori di cui all'art. 2 TUE.

In Conclusione
Il Consiglio europeo ha svolto frequentemente un ruolo positivo,
a. riuscendo talvolta a sbloccare situazioni di impasse
b. assumendo decisioni politiche fondamentali, come quelle sull'allargamento, sulla moneta unica,
sull'avvio dei processi di revisione dei Trattati ecc.
Tuttavia, esso ha determinato una erosione dei poteri delle altre istituzioni europee, ad esso, in fatto,
politicamente subordinate (in particolare, il Consiglio, ma anche la Commissione), accentuando, mediante
decisioni verticistiche, quel deficit democratico ancora presente nella UE.

IL CONSIGLIO

Il Consiglio è un organo tipicamente intergovernativo; esso è composto, infatti, dagli Stati membri
rappresentati, come di regola nelle relazioni internazionali, dai rispettivi esecutivi.
Dichiara l'art. 16, par. 2, TUE:
«Il Consiglio è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale, abilitato a
impegnare il governo dello Stato membro che rappresenta e ad esercitare il diritto di voto».

Il Consiglio esprime gli interessi particolari dei singoli Stati membri,


• interessi che raggiungono, peraltro, la loro sintesi e il loro compromesso negli atti
adottati dal Consiglio, che vanno considerati quali atti organici, imputabili
giuridicamente allo stesso Consiglio, non ai singoli Stati membri;

infatti, uno Stato membro può impugnare un atto del Consiglio adottato con il proprio voto favorevole.
• La suddetta possibilità fu espressamente riconosciuta dalla Corte di giustizia nella sentenza del12
luglio 1979, causa 166/78, Italia c. Consiglio, in quanto, « […] l'art. 173, 1° comma, del
Trattato [oggi art. 263, 1° comma, TFUE] attribuisce a qualsiasi Stato membro il diritto di
contestare, mediante ricorso per annullamento, la legittimità di qualsiasi regolamento del
Consiglio, senza che l'esercizio di tale diritto sia condizionato dall'atteggiamento assunto dai
rappresentanti degli Stati in seno al Consiglio, in occasione dell'adozione del regolamento
considerato».

La composizione del Consiglio


Articolo 16.2 TUE
2. Il Consiglio è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale, abilitato a
impegnare il governo dello Stato membro che rappresenta e ad esercitare il diritto di voto.

Rappresentante a livello ministeriale: non si richiede più, a partire da Maastricht, che alle riunioni del
Consiglio partecipino necessariamente ministri del governo centrale di uno Stato; questo può farsi
rappresentare anche da componenti di organi di governo di enti locali (come i Länder tedeschi), purché ad
essi sia attribuito dal diritto nazionale lo status ministeriale e tale diritto imputi giuridicamente allo Stato in
questione la volontà di detto componente.

La composizione del Consiglio: è variabile, ratione materiae.

Varie formazioni: finquando l'elenco delle varie formazioni non verrà adottato dal Consiglio europeo, a
maggioranza qualificata, esso è stabilito dal Consiglio mediante la decisione del 1° dicembre 2009, che
stabilisce dieci formazioni (idonee a coprire le competenze dell’Ue)

L’art. 16, par. 6, TUE prevede due formazioni del Consiglio, precisandone le funzioni:
• "Affari generali": «assicura la coerenza dei lavori delle varie formazioni del Consiglio. Esso
prepara le riunioni del Consiglio europeo e ne assicura il seguito in collegamento con il presidente
del Consiglio europeo e la Commissione».
77

• Il Consiglio "Affari esteri": «elabora l'azione esterna dell'Unione secondo le linee strategiche
definite dal Consiglio europeo e assicura la coerenza dell'azione dell'Unione».
La presidenza del consiglio

La presidenza del Consiglio è ben distinta dalla presidenza, di carattere individuale, del Consiglio
europeo.
Fatta eccezione per la formazione "Affari esteri", essa è determinata dal Consiglio europeo con votazione
a maggioranza qualificata e secondo un sistema di rotazione paritaria.
• In sostanza,
a. viene predeterminato un gruppo di tre Stati membri, tenendo conto della loro diversità e
degli equilibri geografici nell'Unione, per un periodo di 18 mesi;
b. ciascun membro di tale gruppo esercita a turno la presidenza di tutte le formazioni del
Consiglio (ad eccezione di quella "Affari esteri") per sei mesi.
c. Di norma lo Stato che ha la presidenza esercita anche la presidenza degli organi preparatori
delle varie formazioni del Consiglio (salva la formazione "Affari esteri").

Il Consiglio ha adottato, nel 2009, una decisione che stabilisce le terne di Stati membri e l'ordine delle
presidenze fino al giugno 2020, modificata dalla decisione (UE) 2016/1316 del Consiglio, in considerazione
dell’adesione della Croazia e del preannunciato recesso del Regno Unito. (triadi fino al 31 dicembre 2030)

La presidenza del Consiglio "Affari esteri"


La presidenza del Consiglio "Affari esteri" spetta, invece ad un organo individuale, non ad uno Stato
membro: l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che è nominato
dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata, con l'accordo del Presidente della Commissione, ma che
fa parte anche della Commissione, della quale è uno dei vicepresidenti.

Le riunioni del Consiglio


Il Consiglio si riunisce, su convocazione del suo Presidente, per iniziativa
 dello stesso Presidente,
 di uno Stato membro o
 della Commissione (art. 237 TFUE).
La sua sede è Bruxelles, ma in aprile, giugno e ottobre tiene le sue sessioni a Lussemburgo.
Le sue riunioni avvengono in seduta pubblica quando esso delibera e vota su un progetto di atto legislativo;
le sessioni del Consiglio sono suddivise in due parti, dedicate, rispettivamente,
 alle deliberazione di atti legislativi e
 alle attività non legislative, per le quali non vige l'obbligo della pubblicità (art. 16, par. 8, TUE).

Il Comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER)


Il COREPER è un organo intergovernativo, formato da delegati dei governi degli Stati membri, che
svolge significativi compiti preparatori ed esecutivi nel Consiglio.
Esso si articola in due parti, tra le quali si distribuiscono le materie da trattare:
a. il COREPER I, costituito dai rappresentanti permanenti aggiunti,
b. il COREPER II, composto dai rappresentanti permanenti aventi il rango diplomatico.

La proposta della Commissione viene trasmessa dal Consiglio al COREPER, nel cui ambito è istruita e
discussa, al fine di raggiungere una posizione unanime, in esito alla quale, di regola, il Consiglio si limita ad
approvarla, senza riaprire la discussione (l'atto in questione è giuridicamente imputabile sempre al
Consiglio, come la Corte di giustizia ha dichiarato nella sentenza del 19 marzo 1996, causa C-25/94,
Commissione c. Consiglio).
In caso contrario il COREPER sottopone un rapporto avente carattere istruttorio, che viene
adeguatamente esaminato e discusso nel Consiglio.

Il COREPER è spesso il reale interlocutore della Commissione, la quale, attraverso suoi rappresentanti,
partecipa al negoziato. Alla generale competenza del COREPER fa eccezione la politica agricola, per la
quale l’attività preparatoria non è svolta da tale organo, ma dal Comitato speciale per l’agricoltura (CSA).
78

LA VOTAZIONE DEL CONSIGLIO (non spiegato)

Il sistema di votazione nel Consiglio è disciplinato dallʼart.16, paragrafi da 3 al 5 TUE, integrato dallʼart.
238 TFUE.
• Quorum richiesto perché il Consiglio possa procedere alla votazione: presenza della maggioranza
dei membri aventi titolo a votare.

Art. 16 par. 3, TUE:


“Il consiglio delibera a maggioranza qualificata, salvo nei casi in cui i Trattati dispongano diversamente”
A fronte di tale regola generale, l’art. 238 richiama altre due procedure, applicabili solo quando
espressamente prescritte dalla disposizione in questione: maggioranza semplice e unanimità

art. 238 TFUE,


“per le deliberazioni che richiedono la maggioranza semplice, il Consiglio delibera alla maggioranza dei
membri che lo compongono”.
Attualmente quindi servono almeno 14 voti favorevoli.

art. 238 par. 4 TFUE


“le astensioni dei membri presenti o rappresentanti non ostano all’adozione delle deliberazioni del
Consiglio per le quali è richiesta l’unanimità”.

Da questa disposizione di evince che, mentre l’astensione non impedisce il raggiungimento dell’unanimità,
questa è preclusa, e la delibera non è approvata, in caso di assenza di un membro.

Votazione a maggioranza qualificata


La disciplina introdotta dallʼart. 16, par. 4, TUE e dall’art. 238, par. 2, TFUE relativa alla votazione a
maggioranza qualificata si applica dal 1° novembre 2014.
• Art. 3, par. 2, protocollo n. 36 sulle disposizioni transitorie: dal 1° Novembre 2014 al 31
Marzo 2017 ogni membro poteva richiedere l’applicazione della disciplina previgente.
Dal 1° Aprile 2017 la nuova disciplina introdotta dal Trattato di Lisbona ha potuto sostituirsi a quella
“transitoria” preesistente.

1. Quest’ultima era caratterizzata dal sistema di ponderazione, nel quale gli Stati membri non avevano un
voto ciascuno, ma al voto dei diversi Stati era assegnato un differente coefficiente numerico.
• Coefficiente: frutto di una valutazione dell’importanza di ciascuno Stato (sotto il profilo
politico, economico, demografico), come risulta dall’assegnazione del valore di 29 al voto dei
quattro “grandi”, Germania, Francia, Italia e Regno Unito.

Lʼart. 3, par. 3, prevedeva una duplice maggioranza,


a. una fondata sulla ponderazione del voto,
b. l’altra sul numero degli Stati votanti, posti sullo stesso piano;
c. a questi due elementi se ne può aggiungere un terzo basato sulla popolazione europea.

Nella prassi?
La regola della maggioranza qualificata con voto ponderato era prevista già nei testi originari dei Trattati
comunitari. Tuttavia, dopo una grave crisi politica culminata con il temporaneo abbandono del Consiglio da
parte della Francia (c.d. politica della sedia vuota), che contestava il l’uso della regola della maggioranza nel
Consiglio, era invalso il sistematico ricorso all’unanimità.
2. La votazione all’unanimità era diventata così la regola generale, con evidente accentuazione del
metodo intergovernativo e della ricerca dell’accordo tra gli Stati, disponendo, praticamente, ogni Stato
membro di un diritto di veto.

3. Tale regola restò in vita sino allʼAtto unico europeo del 1986, dopo il quale si tornò a votare, nei casi
previsto dal Trattato sulla Comunità economica europea, a maggioranza.
79

4. Inoltre, anche dopo il Trattato di Maastricht il Consiglio ha preso una decisione relativa all’adozione
di delibere a maggioranza.
• c.d. compromesso di Ioannina: secondo questa decisione, quando la minoranza, pur non
essendo sufficiente a impedire l'adozione della deliberazione, era numericamente importante,
il Consiglio avrebbe fatto tutto il possibile per raggiungere entro un tempo ragionevole una
soluzione soddisfacente che potesse convogliare una maggioranza più ampia di quella minima
necessaria per l'approvazione.

5. Anche questo compromesso è venuto meno a seguito dell'allargamento dell’Unione. Ma l’insofferenza


ad accettare la regola della maggioranza, sebbene qualificata, è riemersa anche in occasione delle
modifiche al sistema di votazione a maggioranza qualificata apportate dal Trattato di Lisbona, tanto da
condurre ad una riedizione del compromesso di Ioannina.

Secondo la nuova disciplina, attualmente in vigore,


“per maggioranza qualificata si intende almeno il 55% dei membri del Consiglio, con un minimo di
quindici, rappresentanti Stati membri che totalizzino almeno il 65% della popolazione dell'Unione;”

La nuova regolamentazione della maggioranza qualificata comporta


a. l’eliminazione della ponderazione del voto (la maggioranza del 55% dei membri del Consiglio
presuppone che ognuno disponga di un solo voto).
b. A questa prima maggioranza, che deve comprendere almeno quindici membri, deve poi
corrispondere una seconda maggioranza, il 65% della popolazione complessiva dell’Unione,
maggioranza che consente agli Stati più importanti, un recupero di potere, almeno sotto l’aspetto
demografico.

Il periodo successivo dellʼart. 16 par. 4 TUE prevede che


“la minoranza di blocco deve comprendere almeno quattro membri del Consiglio; in caso contrario la
maggioranza qualificata si considera raggiunta”.
• Ratio: condizione ulteriore aggiunta al fine di evitare che un esiguo gruppo di Stati, ma dotati di
vasta popolazione, sia in grado di impedire la maggioranza del 65% della popolazione.

Va ricordata una decisione del Consiglio, incorporata nella Dichiarazione n. 7, entrata in vigore con il
Trattato di Lisbona, che fa ulteriori concessioni a Stati che, pur essendo in minoranza, presentino una certa
consistenza:
• Meccanismo ispirato al c.d. Compromesso di Ioannina: se un numero di membri del
Consiglio che rappresenti almeno il 55% della popolazione o almeno il 55% del numero degli
Stati membri,
necessari per costituire una minoranza di blocco, manifesta l’intenzione di opporsi all’adozione si un
atto a maggioranza qualificata, il Consiglio discute la questione.
o si consente ad una significativa minoranza, ma non tale da impedire il raggiungimento della
prescritta maggioranza qualificata, di sospendere la procedura di votazione e di aprire una
fase di negoziato all’interno del Consiglio, il cui esito dovrebbe sfociare in un’ampia
maggioranza.

Oltre ai sistemi di voti risultano dallʼart. 16 TUE e dallʼart. 238 TFUE specifiche disposizioni dei Trattati
prevedono, talvolta, maggioranze diverse.

La maggioranza semplice
La maggioranza semplice è prevista
• in merito alle questioni procedurali e per l'adozione del Regolamento interno del Consiglio (art. 240,
par. 3, TFUE),
• per la definizione, previa consultazione della Commissione, dello statuto dei comitati previsti dai
Trattati (art. 242 TFUE),
• per la richiesta alla Commissione di procedere a tutti gli studi che esso ritenga opportuni e di
sottoporgli tutte le proposte del caso (art. 241 TFUE) ecc.
80

L’unanimità
In passato si era generalizzata, si applica in primo luogo ad ogni modifica dei Trattati.
Permangono, tuttavia, molteplici disposizioni che prescrivono tuttora l'unanimità.
• Per esempio, l'art. 19, par. 1, TFUE sulle misure contro varie forme di discriminazioni;
• l'art. 22 TFUE sulle modalità di elettorato dei cittadini alle elezioni amministrative e del Parlamento
europeo nello Stato membro di residenza;
• l'art. 113 TFUE sull'armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte indirette ecc.

La maggior parte delle disposizioni che richiedono l'unanimità stabilisce tale regola nel quadro di
procedure legislative speciali e, normalmente, rompe l'equilibrio tra il Consiglio e il Parlamento a favore
del primo.

Nella PESC l'unanimità del Consiglio costituisce la regola generale, compresa la politica di sicurezza e di
difesa comune (cfr. art. 24, par. 1, 2° comma, TUE).
• Tale regola conferma quanto sensibile resti per gli Stati membri la materia della politica estera e di
sicurezza comune e come ciò comporti il mantenimento di un metodo decisionale di carattere
sostanzialmente intergovernativo.
o Difficoltà nel raggiungere l’unanimità? Si può ricorrere a forme di cooperazione rafforzata
o alla cooperazione strutturata permanente.

Maggioranze diverse
Oltre ai sistemi di voto risultanti dall'art. 16 TUE e dall'art. 238 TFUE specifiche disposizioni dei Trattati
prevedono, talvolta, maggioranze diverse.
• talune decisioni nell'ambito della procedura per i disavanzi eccessivi, stabilisce che il Consiglio deliberi a
maggioranza qualificata, escludendo il voto dello Stato nel quale esiste il disavanzo;
• per la constatazione di un evidente rischio di violazione grave, da parte di uno Stato membro, dei
valori di cui all'art. 2 TUE è richiesta la maggioranza dei quattro quinti degli Stati membri.
• Cooperazione rafforzata ed integrazione differenziata: Nei casi in cui non tutti i membri del Consiglio
prendano parte alle votazioni, la maggioranza qualificata va calcolata in maniera proporzionale al
numero degli Stati partecipanti alla votazione

Ratifica delle deliberazioni da parte degli Stati membri


Talvolta, per espressa previsione dei Trattati, un testo, elaborato a livello europeo con il voto unanime del
Consiglio, è sottoposto all'approvazione degli Stati membri in conformità delle rispettive norme
costituzionali, p.es. nel caso delle disposizioni intese a completare i diritti dei cittadini dell'Unione (art. 25,
2° comma, TFUE, c.d. clausola evolutiva: tali disposizioni entrano in vigore previa approvazione degli Stati
membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali.) ecc. In tali casi si ravvisa un procedimento
complesso in due fasi:
1. sino alla decisione del "Consiglio
2. la stipulazione di un accordo internazionale.

Decisioni prese di comune accordo dai governi degli Stati membri


In alcuni casi, molto rari, ì Trattati dispongono direttamente che certe decisioni vengano prese di comune
accordo dai governi degli Stati membri. Si tratta
• della nomina dei giudici e degli avvocati generali della Corte di giustizia;
• della nomina dei giudici del Tribunale;
• della determinazione della sede delle istituzioni.
In questi casi si è in presenza di accordi, ma che vengono conclusi al di fuori del Consiglio.

Accordi internazionali tra Stati membri nell’ambito del consiglio


Può ritenersi che, purché sia certa la volontà degli Stati membri di obbligarsi giuridicamente, questi ultimi
possano concludere degli accordi anche in seno al Consiglio, in forma semplificata, mancando una
successiva ratifica (o atto equipollente di approvazione) da parte degli Stati.
• Accordi siffatti sembrano ammissibili qualora integrino e sviluppino le norme e le politiche
dell'Unione; p.es., secondo taluni, il citato compromesso di Ioannina, può rappresentare un
81

accordo tra gli Stati membri inteso ad integrare l'art. 205, par. 2, del Trattato sulla Comunità
europea.

Si ritiene, peraltro, che non siano ammissibili accordi intesi a modificare i Trattati europei. Le
procedure semplificate di revisione dei Trattati coinvolgono le istituzioni europee e possono implicare un
intervento anche dei parlamenti nazionali.
La giurisprudenza europea, nella sentenza dell'8 aprile 1976, causa 43/75, Defrenne, conferma una siffatta
soluzione negativa.
Di conseguenza, non potrebbe riconoscersi efficacia giuridicamente obbligatoria al ricordato compromesso
di Lussemburgo, il quale, infatti, per larga parte della dottrina, va considerato alla stregua di una mera intesa
politica.

LE FUNZIONI DEL CONSIGLIO

Le funzioni del Consiglio sono indicate dall'art. 16, par. 1, TUE:


«Il Consiglio esercita, congiuntamente al Parlamento europeo, la funzione legislativa, la funzione di
bilancio. Esercita funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento alle condizioni stabilite nei
Trattati».
Tale articolo esprime in modo sintetico compiti e poteri del Consiglio e non rende adeguatamente quella
posizione centrale e decisiva che esso detiene nell’Unione.

a. Emerge un ruolo che tende a porsi come paritario tra il Consiglio e il Parlamento e che ne disegna
una posizione condivisa di autorità legislativa e di bilancio.

b. Poi, fa riferimento “generalmente” alle funzioni di definizione delle politiche e del coordinamento.

Gli atti non legislativi


Ai fini della definizione delle politiche e del coordinamento può dirsi che il Consiglio non emana solo atti,
legislativi (se previsti dalle pertinenti disposizioni), ma atti di indirizzo, di assistenza, di consulenza, in
definitiva, atti giuridicamente non vincolanti.

a. L'art. 292 TFUE dichiara, in termini generali, che il Consiglio adotta raccomandazioni.

b. Con riguardo a settori specifici gli atti del Consiglio, peraltro, possono acquistare una maggiore
efficacia giuridica: per esempio, in materia di occupazione, sulla base delle conclusioni del
Consiglio europeo, ai sensi dell'art. 148.2 TFUE, il Consiglio, su proposta della Commissione,
previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale, del Comitato delle
regioni e del Comitato per l'occupazione, «elabora annualmente degli orientamenti di cui devono
tener conto gli Stati membri nelle rispettive politiche in materia di occupazione».

Gli atti concernenti la politica economica


Poteri più specifici e più incisivi risultano dalle disposizioni concernenti la politica economica (articoli
120-126 TFUE),
• l'adozione di una raccomandazione contenente gli indirizzi di massima per le politiche economiche degli
Stati membri e dell'Unione,
• un compito di sorveglianza,
• un compito di assistenza finanziaria,
• poteri sanzionatori (in specie verso gli Stati membri nei quali esista un disavanzo pubblico
eccessivo),
• poteri normativi (per esempio, al fine di precisare le definizioni per l'applicazione dei divieti previsti
dagli articoli 123-125 TFUE).

Il potere decisionale nella PESC


Il Consiglio detiene un potere decisionale nella Politica Estera e di Sicurezza Comune, non legislativo
perché in tale materia è radicalmente esclusa l'adozione di atti legislativi.
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• Il Consiglio – il quale opera sulla base degli orientamenti generali e delle linee strategiche
definiti dal Consiglio europeo – adotta decisioni per un intervento operativo, che
stabiliscono
o gli obiettivi,
o la portata e
o i mezzi di cui l'Unione deve disporre,
o le condizioni di attuazione e,
o se necessario, la durata (art. 28, par. 1, TUE).
Tali decisioni «vincolano gli Stati membri nelle loro prese di posizione e nella conduzione della loro
azione».

Egualmente obbligatorie sono le decisioni con le quali il Consiglio definisce la posizione dell'Unione su
una questione particolare di natura geografica e tematica (art. 29 TUE).

Spetta al Consiglio, inoltre, su proposta dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica
di sicurezza o su iniziativa di uno Stato membro, adottare le decisioni relative alla politica di sicurezza e di
difesa comune, comprese quelle inerenti all'avvio di una missione operativa avente anche implicazioni
militari (art. 42, par. 4, TUE).

I rapporti con la Commissione


Nei rapporti con la Commissione, al pari del Parlamento europeo, il Consiglio
può chiedere alla Commissione di procedere a tutti gli studi che esso ritiene opportuni ai fini del
raggiungimento degli obiettivi comuni e di sottoporgli tutte le proposte del caso. (art. 241 TFUE).

La nomina di altre istituzioni o organi


Il Consiglio, inoltre, interviene con varie modalità nella nomina di:
— Commissione (oltre, par. 11),
— Comitato esecutivo della Banca centrale europea (art. 283, par. 2, TFUE),
— Corte dei conti (art. 286, par. 2, TFUE),
— Comitato economico e sociale (articoli 301 e 302 TFUE),
— Comitato delle regioni (art. 305 TFUE).
Esso fissa gli stipendi, le indennità e le pensioni di coloro che rivestono le cariche principali nelle
istituzioni europee (art. 243 TFUE).
Interviene, talvolta, nella definizione di atti normativi concernenti l'azione di altre istituzioni; per
esempio, il regolamento di procedura della Corte di giustizia è stabilito dalla stessa Corte, ma è sottoposto
all'approvazione del Consiglio (art. 253, 6° comma, TFUE).

Le competenze di esecuzione
L’art. 291.2 TFUE prevede una sia pur eccezionale competenza di esecuzione del Consiglio
Articolo 291.1 e 2 TFUE
1. Gli Stati membri adottano tutte le misure di diritto interno necessarie per l'attuazione degli atti
giuridicamente vincolanti (non solo quelli legislativi) dell'Unione.

2. Allorché sono necessarie condizioni uniformi di esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti
dell'Unione, questi conferiscono competenze di esecuzione alla Commissione o, in casi specifici debitamente
motivati e nelle circostanze previste agli articoli 24 e 26 del trattato sull'Unione europea (PESC), al
Consiglio.
83

LA COMMISSIONE

La Commissione è organo tipicamente sopranazionale (come era espressamente qualificata nel Trattato
CECA l'Alta Autorità, dalla quale trae origine) tenuto ad operare nell'esclusivo interesse dell'Unione, in
posizione di piena indipendenza rispetto sia agli Stati membri che a qualsiasi ente o potere.

Essa rappresenta l'interesse generale e unitario dell'Unione ed è formata da individui indipendenti, i quali
si caratterizzano anche per la loro competenza (talvolta denominata governo di "tecnocrati").

I commissari, originariamente nove, sono attualmente ventisette (un cittadino di ciascuno Stato membro), ma
il Trattato di Lisbona ne prevedeva la riduzione;
1. In una prima fase, fino al 31 ottobre 2014, la Commissione sarebbe rimasta formata da un cittadino
di ciascuno Stato membro, compreso il Presidente e l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari
esteri e la politica di sicurezza, che è uno dei vicepresidenti (art. 17, par. 4, TUE).
2. Tale composizione sarebbe cambiata dal 1° novembre 2014,
ai sensi dell'art. 17, par. 5.1, TUE:
«A decorrere dal 1° novembre 2014, la Commissione è composta da un numero di membri, compreso il
Presidente e l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, corrispondente
ai due terzi del numero degli Stati membri, a meno che il Consiglio europeo, deliberando all'unanimità, non
decida di modificare tale numero».

I timori degli Stati Membri di sentirsi emarginati da una Commissione più ristretta (sebbene i commissari
non siano organi o espressione degli Stati di cittadinanza e siano assolutamente indipendenti)
Il Consiglio Europeo, il 22 maggio 2013, ha adottato la decisione 2013/272/UE affinché la Commissione
continui a comprendere un cittadino di ciascuno Stato membro.
«La Commissione è composta da un numero di membri, compreso il Presidente e l’Alto rappresentante
dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, pari al numero degli Stati membri» (art. 1).
La novità del Trattato di Lisbona non ha avuto, quindi, alcun seguito.

Competenza, indipendenza ed impegno europeo dei membri della Commissione


A tali requisiti, il trattato di Lisbona ha aggiunto “l’impegno europeo”.
Art. 17, par. 3.2 TUE:
«I membri della Commissione sono scelti in base alla loro competenza generale e al loro impegno europeo e
tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza».

L'indipendenza dei commissari è regolata scrupolosamente dallo stesso art. 17 TUE, nonché dall'art. 245
TFUE, ed è garantita da un meccanismo sanzionatorio in caso di violazione.
Dichiara infatti l'art. 17, par. 3, 3° comma, TUE:
«La Commissione esercita le sue responsabilità in piena indipendenza. Fatto salvo l'articolo 18, paragrafo
2 [relativo all'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza], i membri della
Commissione non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo.
Essi si astengono da ogni atto incompatibile con le loro funzioni o con l'esecuzione dei loro compiti».

L'art. 245 TFUE aggiunge:


«I membri della Commissione si astengono da ogni atto incompatibile con il carattere delle loro funzioni.
Gli Stati membri rispettano la loro indipendenza e non cercano di influenzarli nell'adempimento dei loro
compiti.
I membri della Commissione non possono, per la durata delle loro funzioni, esercitare alcun'altra attività
professionale, remunerata o meno. Fin dal loro insediamento, essi assumono l'impegno solenne di
rispettare, per la durata delle loro funzioni e dopo la cessazione di queste, gli obblighi derivanti dalla loro
carica, ed in particolare i doveri di onestà e delicatezza per quanto riguarda l'accettare, dopo tale
cessazione, determinate funzioni o vantaggi. In caso di violazione degli obblighi stessi, la Corte di giustizia,
su istanza del Consiglio, che delibera a maggioranza semplice, o della Commissione, può, a seconda dei
casi, pronunciare le dimissioni d'ufficio alle condizioni previste dall'articolo 247 (il quale richiede che il
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commissario abbia commesso una "colpa grave") ovvero la decadenza dal diritto a pensione
dell'interessato o da altri vantaggi sostitutivi».

Il regime sanzionatorio dei commissari: il ricorso alla Corte di giustizia dal Consiglio o dalla
Commissione
La Commissione presieduta da Romano Prodi, dopo taluni episodi allarmanti, avvertì la necessità di
precisare ancor più correttamente gli obblighi dei commissari e, al fine di garantire il massimo livello di
correttezza e di moralità nello svolgimento dei propri compiti, adottò un codice di condotta per i commissari.
(versione vigente adottata con decisione del 31 gennaio 2018)

1. Un primo caso fu sottoposto dal Consiglio alla Corte di giustizia il 3 agosto 1999 contro Martin
Bangemann, ex membro della Commissione competente per il settore delle tecnologie
dell'informazione e delle telecomunicazioni, per violazione del dovere di delicatezza, poiché lo
stesso aveva accettato una occupazione presso la società Telefonica, una delle più importanti
imprese di tale settore.
• La violazione del dovere di delicatezza, secondo il Consiglio, poneva “in pericolo la
reputazione della Commissione quale istituzione indipendente e apartitica”.
Tale caso non fu giudicato dalla Corte, poiché si raggiunse una composizione amichevole tra l'inte-
ressato e il Consiglio.

2. Un nuovo ricorso è stato presentato alla Corte dalla Commissione il 19 luglio 2004 contro l'ex
commissaria Edith Cresson, la quale aveva fatto assumere come "ospite scientifico" presso la
Commissione un suo stretto conoscente per utilizzarlo, in realtà, come suo consigliere personale, in
violazione di diverse norme.
• La Corte quindi, nella sentenza dell'11 luglio 2006, causa C-432/04, Commissione c.
Cresson, ha affermato che «I membri della Commissione devono far prevalere in ogni
momento l'interesse generale della Comunità [oggi dell'Unione] non solo sugli interessi
nazionali, ma anche sugli interessi personali ciò non significa che un minimo scostamento da
tali norme possa essere condannato in forza dell'art. 213, n. 2, CE [oggi art. 245 TFUE]. È
necessario che sia stata commessa una violazione di una certa gravità».
Essa, pertanto, ha dichiarato che la signora Edith Cresson aveva violato gli obblighi derivanti dalla
sua carica di membro della Commissione, ma ha dispensato la stessa da decadenza dalla
pensione o da altri vantaggi, ritenendo che, alla luce delle circostanze della fattispecie, la con-
statazione della violazione costituiva, di per sé, una sanzione adeguata.

LA NOMINA, LA CESSAZIONE E L’ORGANIZZAZIONE DELLA COMMISSIONE


Originariamente i suoi membri erano nominati di comune accordo dai governi degli Stati membri, quindi
all'unanimità e al di fuori del quadro istituzionale europeo.
Le successive revisioni hanno condotto il procedimento di nomina nell'alveo dell'Unione,
a. hanno eliminato l'unanimità,
b. hanno assegnato un potere decisionale al Parlamento europeo e
c. un ruolo di partecipazione al Presidente della Commissione.
Il mandato della Commissione è di cinque anni.
La nomina della Commissione
Art. 17, par. 7, TUE
1° FASE
La prima fase della nomina della Commissione si realizza mediante l’elezione da parte del Parlamento
europeo, a maggioranza dei membri che lo compongono, del Presidente della Commissione medesima.
1. In particolare, il candidato alla presidenza della Commissione è proposto al Parlamento dal
Consiglio europeo, che ne delibera la designazione a maggioranza qualificata, tenuto conto della
85

composizione del Parlamento e dopo aver effettuato adeguate consultazioni. Il candidato alla
Presidenza è invitato, prima della votazione per la sua elezione, a fare una dichiarazione ed a
presentare i suoi orientamenti politici al Parlamento, cui segue una discussione alla quale è invitato a
partecipare anche il Consiglio europeo.
o Se il candidato proposto non viene eletto dal Parlamento, il Consiglio europeo, deliberando a
maggioranza qualificata, propone entro un mese al Parlamento un altro candidato, che può
essere eletto mediante la suddetta procedura, e così via fino a quando il Parlamento non
elegge il Presidente con la prescritta maggioranza.
Tale procedura induce a prefigurare il candidato Presidente della Commissione come politicamente
coerente con la maggioranza parlamentare (se non addirittura “espressione” di tale maggioranza),
subordinando sempre di più l’individuazione del Presidente all’orientamento politico del Parlamento.
• La figura, quindi non dovrebbe essere più espressione di una scelta e di una decisione autonome
degli Stati membri, quanto il frutto della individuazione della persona che sia in grado di ottenere la
“fiducia” dello stesso Parlamento
SPITZENKANDIDAT La prassi dei capilista (Spitzenkandidaten), secondo cui i principali
raggruppamenti politici si dovrebbero presentare ciascuno con un proprio candidato alla Presidenza della
Commissione, è stata fortemente sostenuta dal Parlamento europeo nella decisione del 7 febbraio 2018 e
seguita dai principali partiti nelle elezioni del maggio 2019.
Tuttavia…
➔ URSULA VON DER LEYEN? il Consiglio europeo non ha tenuto conto di tali indicazioni, né
dei risultati elettorali, e, ha designato quale Presidente della Commissione la ex ministra tedesca
Ursula von der Leyen.
o Il metodo usato per tale scelta, di stampo marcatamente intergovernativo e incentrato
sull’asse franco-tedesco, rappresenta un regresso sul piano democratico.
(16 luglio 2019 con soli 383 voti a favore, ben 327 contro e 22 astensioni, rischiando una
solenne bocciatura).

Riflessione…Malgrado tale vicenda, alla luce della normativa sulla nomina del presidente, è forse da
chiedersi se sia ancora pienamente attuale la visione della stessa Commissione quale istituzione formata da
persone scelte in base alla loro competenza, impegno europeo e che offrano garanzie di indipendenza, o se
tale considerazione vada temperata con una colorazione “politica” della stessa commissione.
2° FASE
Una volta eletto il Presidente, ha inizio la seconda fase di nomina della Commissione, nella quale interviene
il Consiglio,
1. il quale, sulla base delle proposte di ciascuno Stato membro e in accordo con il Presidente eletto,
adotta l’elenco dei candidati a far parte della Commissione.
2. Questi sono invitati a presentarsi di fronte alle commissioni parlamentari competenti in relazione ai
rispettivi incarichi, in audizione pubblica, per formulare una dichiarazione e rispondere a domande.
3. In esito all’audizione, può accadere che un candidato non incontri il favore della rispettiva
commissione parlamentare, nel qual caso il Consiglio, in accordo con il Presidente eletto, può
essere indotto a sostituirlo.
3° FASE
La fase finale della nomina della Commissione include
1. la presentazione da parte del Presidente eletto del collegio dei commissari e del suo programma,
in occasione di una seduta del Parlamento alla quale sono invitati tutti i membri del Consiglio, cui
segue una discussione.
2. In esito alla discussione, un gruppo politico o almeno quaranta deputati possono presentare una
proposta di risoluzione.
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3. Dopo aver votato l’eventuale proposta di risoluzione, il Parlamento, per appello nominale, elegge o
respinge la Commissione, a maggioranza dei voti espressi.
4. Infine, il Consiglio europeo procede, deliberando a maggioranza qualificata, a nominare
formalmente la Commissione.
Risulta evidente, dal procedimento di nomina della Commissione, il “rapporto permanente” di fiducia
politica tra Parlamento e Commissione, in passato limitato alla sola fase di censura, che comportava e
comporta tutt’ora la “caduta” della Commissione.
La cessazione della Commissione/dei Commissari
La mozione di censura (cfr. par. 4)
Il Parlamento può approvare una mozione di censura, a maggioranza di due terzi dei voti espressi e a
maggioranza dei membri che lo compongono, nel qual caso i membri della Commissione si dimettono
collettivamente dalle loro funzioni e l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di
sicurezza si dimette dalle funzioni che esercita in seno alla Commissione. Fino alla sua sostituzione, la
Commissione censurata attende ai soli atti di ordinaria amministrazione.
Le dimissioni d'ufficio, le dimissioni volontarie, il decesso
Articolo 247 TFUE
Qualsiasi membro della Commissione che (1) non risponda più alle condizioni necessarie all'esercizio delle
sue funzioni (p.es., non abbia più la cittadinanza di uno Stato membro, o sia diventato incapace) o che (2)
abbia commesso una colpa grave può essere dichiarato dimissionario dalla Corte di giustizia, su istanza del
Consiglio, che delibera a maggioranza semplice, o della Commissione.
a. Se le dimissioni o il decesso riguardano il Presidente o l'Alto rappresentante per gli affari esteri e
la politica di sicurezza, essi sono sostituiti per la restante durata del mandato secondo la normale
procedura di nomina.
b. Se l'interessato è un altro membro della Commissione, egli è sostituito, per la restante durata del
mandato e con un membro della stessa nazionalità, da parte del Consiglio di comune accordo con il
Presidente della Commissione, previa consultazione del Parlamento europeo.
o Il Consiglio, all'unanimità e su proposta del Presidente della Commissione, può decidere di
non procedere alla sostituzione, specie se la restante durata del mandato è breve (art. 246
TFUE).
c. Se le dimissioni volontarie riguardano l'intera Commissione, i membri della Commissione restano
in carica, curando gli affari di ordinaria amministrazione, che è limitata al completamento della
restante durata del mandato.
L’organizzazione della Commissione
L'organizzazione interna della Commissione si articola in direzioni generali, servizi e uffici. Ai commissari
sono affidati dal Presidente particolari settori di attività, con compiti
• di preparazione dei lavori della Commissione e
• di esecuzione delle decisioni (art. 248 TFUE e art. 3 del Regolamento interno della Commissione,
modificato con decisione del 24 febbraio 2010).
Per l'espletamento delle proprie competenze (il proprio "portafoglio") ogni commissario costituisce dei
gabinetti incaricati di assisterlo. In altri termini, i commissari, con le proprie strutture operative,
rappresentano i "ministri" della Commissione, intesa quasi come l'"esecutivo" dell'Unione.

La responsabilità collegiale
87

La responsabilità per gli atti dei singoli commissari ricade sempre sull'intera Commissione, nel rispetto del
principio di collegialità.
Corte di giustizia del 23 settembre 1986, causa 5/85, AKZO c. Commissione, la quale ha affermato tale
compatibilità, chiarendo nel contempo la portata del principio di collegialità:
«Il principio di collegialità [...] si fonda sull'eguaglianza dei membri della Commissione nella
partecipazione all'adozione di una decisione e, in particolare, implica, da un lato, che le decisioni sono
deliberate in comune e, dall'altro, che tutti i membri del collegio sono collettivamente responsabili, sul
piano politico, del complesso delle decisioni adottate».
Il sistema di votazione
Quanto al sistema di votazione, l'art. 250 TFUE prescrive la maggioranza dei membri della Commissione,
ma di fatto essa delibera solitamente per consensus. Tale maggioranza rappresenta anche il quorum richiesto
per le sue deliberazioni (art. 7 del Regolamento interno). Ma i membri della Commissione sono tenuti ad
assistere a tutte le riunioni, salvo impedimento, soggetto alla valutazione del Presidente (art. 5 del
Regolamento interno). La Commissione opera "a tempo pieno", come risulta dall'art. 5 del suo Regolamento
interno, il quale dispone:

«Di norma, la Commissione si riunisce almeno una volta alla settimana. Si riunisce inoltre ogni volta che se
ne presenti la necessità».
Il Presidente della Commissione
Una posizione di primato nella Commissione ha assunto il Presidente, il quale:
— svolge un ruolo attivo nella individuazione dei candidati alla carica di commissario (art. 17, par.7, TUE);
— stabilisce gli orientamenti della Commissione e;
— attribuisce i diversi settori di attività ai singoli commissari e può modificare le loro attribuzioni,
fermo restando che essi operano sotto la autorità del Presidente. Dichiara, infatti, l'art. 17, par. 6, TUE:
«Il Presidente della Commissione:
definisce gli orientamenti nel cui quadro la Commissione esercita i suoi compiti;
decide l'organizzazione interna della Commissione (attribuisce i diversi settori di attività ai singoli
commissari e può modificare le loro attribuzioni) per assicurare la coerenza, l'efficacia e la collegialità
della sua azione;
nomina i vicepresidenti, fatta eccezione per l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la
politica di sicurezza, tra i membri della Commissione.
Un membro della Commissione rassegna le dimissioni se il Presidente glielo chiede».
Il Presidente della Commissione, dalla originaria posizione di primus inter pares, tende così ad assumere il
ruolo di capo dell'esecutivo dell'Unione ed ha i seguenti poteri:
- di nomina dei vicepresidenti (con l'eccezione dell'Alto rappresentante per gli affari esteri e la
politica di sicurezza, che è vicepresidente automaticamente, in virtù della sua carica);
- di provocare le dimissioni di un commissario (sempre con l'eccezione dell'Alto rappresentante),
nei casi di cessazione del rapporto di fiducia tra il singolo commissario e
i. il Presidente medesimo ovvero
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ii. il Parlamento (anche al fine di evitare di censura del Parlamento verso l’intera Commissione,
considerato che il Parlamento non può sfiduciare il singolo).
(Commissione Santer, la censura non fu approvata ma la Commissione si dimise
collettivamente, compresi i commissari che avevano operato egregiamente)
LE FUNZIONI DELLA COMMISSIONE
Le funzioni della Commissione sono previste dall'art. 17, par. 1, TUE:
«La Commissione
a. promuove l'interesse generale dell'Unione e adotta le iniziative appropriate a tal fine.
b. Vigila sull'applicazione dei Trattati e delle misure adottate dalle istituzioni in virtù dei Trattato.
c. Vigila sull'applicazione del diritto dell'Unione sotto il controllo della Corte di giustizia dell'Unione
europea.
d. Dà esecuzione al bilancio e gestisce i programmi.
e. Esercita funzioni di coordinamento, di esecuzione e di gestione, alle condizioni stabilite dai Trattati.
f. Assicura la rappresentanza esterna dell'Unione, fatta eccezione per la politica estera e di sicurezza
comune e per gli altri casi previsti dai Trattati.
g. Avvia il processo di programmazione annuale e pluriennale dell'Unione per giungere ad accordi in-
teristituzionali».
Si possono pertanto distinguere i seguenti poteri/funzioni della commissione:
1. controllo
2. esecuzione
3. iniziativa
4. rappresentanza
IL POTERE DI VIGILANZA E CONTROLLO
Un compito fondamentale della Commissione è quello di vigilare sul rispetto del diritto dell'Unione (sia i
Trattati che il diritto derivato), in quanto custode, o guardiana, dei Trattati, esercitando la propria vigilanza
sugli Stati membri, sulle altre istituzioni, sui privati.
Tale potere viene a specificarsi in numerose disposizioni dei Trattati o di atti dell'Unione, tra cui:
— il potere generale di vigilanza in materia di regole di concorrenza applicabili alle imprese private e
pubbliche, nonché di controllo sugli aiuti di Stato (artt.105 TFUE, 106 TFUE e 108 TFUE)
— il potere di vigilanza sul rispetto delle regole antitrust da parte delle imprese attribuito alla Commissione dal
regolamento (CE) n. 1/2003 del 16 dicembre 2002;
I poteri istruttori
Al potere di vigilanza si accompagna un potere ampio di carattere istruttorio, che, sul piano generale, è
riconosciuto dall'art. 337 TFUE: «Per l'esecuzione dei compiti affidatile, la Commissione può raccogliere
tutte le informazioni e procedere a tutte le necessarie verifiche, nei limiti e alle condizioni fissate dal
Consiglio, che delibera a maggioranza semplice, conformemente alle disposizioni dei Trattati».
Tali poteri assumono carattere particolarmente penetrante in determinate materie, come nella vigilanza sulle
imprese nell’ambito della disciplina sulla concorrenza.
L’attività di vigilanza sull’osservanza del diritto dell’Unione può sfociare in diverse determinazioni delle
Commssione…
Il ricorso alla corte di giustizia e le ammende pecuniarie
• La Commissione può proporre un ricorso alla Corte di giustizia in base all'art. 258 TFUE affinché
constati l'infrazione dello Stato.
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• La Commissione può proporre alla Corte un ricorso di annullamento di atti dell'Unione ex art. 263
TFUE o, se del caso, un'azione in carenza, volta a fare constatare la violazione dei Trattati
consistente nell'omissione di un atto (art. 265 TFUE).
• Quando specifiche norme lo prevedono (come in materia di concorrenza), la Commissione può
giungere a infliggere delle ammende pecuniarie ai privati. L'efficacia di queste ultime è accresciuta
dal loro valore di titolo esecutivo ai sensi dell'art. 299, 1° comma, TFUE:
«Gli atti del Consiglio, della Commissione o della Banca centrale europea che comportano, a carico di
persone che non siano gli Stati, un obbligo pecuniario costituiscono titolo esecutivo.
L'esecuzione forzata è regolata dalle norme di procedura civile vigenti nello Stato sul cui territorio essa
viene effettuata».
N.B. in specifiche materie un potere di vigilanza è attribuito anche al Consiglio, per esempio sui disavanzi
pubblici eccessivi, sulla base dell’art. 126 TFUE. In quest’ultima materia non sono mancati problemi di
determinazione delle reciproche sfere di competenza tra il Consiglio e la Commissione, che hanno dato
luogo a una vicenda giudiziaria, decisa dalla Corte di giustizia con sentenza del 13 luglio 2004, causa C-
27/04, Commissione c. Consiglio.
IL POTERE ESECUTIVO
L’esecuzione del bilancio dell’Unione
La competenza della Commissione nella riscossione delle entrate e nella erogazione delle spese (art. 317
TFUE) è largamente condivisa con gli Stati, specie per quanto riguarda la gestione decentrata dei fondi
europei; inoltre, in principio, la Commissione non ha un potere autonomo di decidere come impegnare le
spese.
Accanto alla competenza sull'esecuzione del bilancio è menzionata la competenza di gestione dei
programmi, cioè la competenza ad amministrare programmi e strumenti finanziari europei (si pensi al
programma Erasmus+ per la mobilità degli studenti universitari).
Le funzioni di gestione riguardano anche i fondi a finalità strutturale, quali i fondi europei in materia
agricola, il Fondo sociale europeo, il Fondo europeo di sviluppo regionale (art. 175 TFUE);
tali funzioni, peraltro, sono esercitate in collaborazione con le autorità nazionali e regionali.
Dalla comitologia alle competenze normative delegate
Origine…
L’art. 211 del Trattato sulla Comunità europea (relativo alle funzioni della Commissione) dedicava uno
specifico riferimento alle competenze di esecuzione conferite alla Commissione dal Consiglio per
l’attuazione dalle norme da esso stabilite. Le modalità comportavano
• l’istituzione di comitati, composti da rappresentanti degli Stati membri, che affiancavano la
Commissione controllando l’esercizio delle sue competenze di esecuzione. La relativa tematica era
denominata “comitologia”, dal termine francese comités.
Nel trattato di Lisbona il quadro normativo è profondamente mutato,
• da un lato, la potestà legislativa non è più concentrata nel Consiglio, ma è condivisa
tra il Consiglio e il Parlamento;
• dall’altro, la competenza a eseguire gli atti obbligatori dell’Unione appartiene sia agli Stati membri
(i quali, anzi, vengono in prioritaria considerazione) che alla Commissione.
PROBLEMATICA: la disciplina fondata sulla “comitologia” poneva sullo stesso piano
• la funzione strettamente esecutiva (di mera attuazione delle norme emanate dalle istituzioni
dotate di poteri legislativi),
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• la funzione parzialmente normativa (di emanazione di misure di portata generale


intese amodificare elementi non essenziali dell’atto da eseguire, anche sopprimendo
taluni di questi elementi, o completandolo con l’aggiunta di nuovi elementi non
essenziali).
Al contrario, il Trattato di Lisbona distingue nettamente le due ipotesi, stabilendo una differente disciplina.
a. Le funzioni esecutive sono ristrette alla prima ipotesi considerata, cioè dell’adozione di misure di
mera attuazione di un atto,
b. la seconda ipotesi è ricondotta alle competenze “delegate” della Commissione.
A queste competenze è dedicato l'art. 290 TFUE:
«1. Un atto legislativo può delegare alla Commissione il potere di adottare atti non legislativi (in quanto
adottati dalla Commissione) di portata generale che integrano o modificano determinati elementi non
essenziali dell'atto legislativo.
Gli atti legislativi delimitano esplicitamente gli obiettivi, il contenuto, la portata e la durata della delega di
potere. Gli elementi essenziali di un settore sono riservati all'atto legislativo e non possono pertanto essere
oggetto di delega di potere.
2. Gli atti legislativi fissano esplicitamente le condizioni cui è soggetta la delega, che possono essere le
seguenti:
a) il Parlamento europeo o il Consiglio possono decidere di revocare la delega;
b) l'atto delegato può entrare in vigore soltanto se, entro il termine fissato dall'atto legislativo, il
Parlamento europeo o il Consiglio non sollevano obiezioni.
Ai fini delle lettere a) e b), il Parlamento europeo delibera a maggioranza dei membri che lo compongono e
il Consiglio delibera a maggioranza qualificata.
3. L'aggettivo «delegato» o «delegata» è inserito nel titolo degli atti delegati.».
L'atto delegato non ha un'efficacia meramente esecutiva dell'atto legislativo, in quanto esso può integrare o
modificare determinati elementi non essenziali dell'atto legislativo, mentre quelli essenziali restano nella
competenza esclusiva dell'atto legislativo e non possono essere oggetto di delega alla Commissione.
Numerosi regolamenti sono stati emanati dalla Commissione su delega del Consiglio in tema di
concorrenza, quali i regolamenti di esenzione per categorie in materia di accordi tra imprese (prassi ben
presente nella vita dell’Unione).
Le competenze di esecuzione degli atti normativi (art. 291. TFUE)
«1. Gli Stati membri adottano tutte le misure di diritto interno necessarie per l'attuazione degli atti
giuridicamente vincolanti (anche se non legislativi) dell'Unione.
Allorché sono necessarie condizioni uniformi di esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione,
questi conferiscono competenze di esecuzione alla Commissione o, in casi specifici debitamente motivati e
nelle circostanze previste agli articoli 24 e 26 del trattato sull'Unione europea, al Consiglio.
Ai fini del paragrafo 2, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la
procedura legislativa ordinaria, stabiliscono preventivamente le regole e i principi generali relativi alle
modalità di controllo da parte degli Stati membri dell'esercizio delle competenze di esecuzione attribuite
alla Commissione.
4.1 termini "di esecuzione" sono inseriti nel titolo degli atti di esecuzione»».
L’esercizio delle competenze di esecuzione è sottoposto al controllo degli Stati membri, ai quali spetta
l’adozione di «… tutte le misure di diritto interno necessarie per l'attuazione degli atti giuridicamente
vincolanti dell'Unione».
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La competenza ad adottare tutte le misure di attuazione di tali atti spetta anzitutto agli Stati membri, che vi
provvedono nell’ambito del loro diritto interno.
▪ Solo quando siano necessarie condizioni uniformi di esecuzione gli atti in questione conferiscono
competenze di esecuzione alla Commissione (o, eccezionalmente, al Consiglio: sopra, par. 9).
La distinzione tra atti delegati e atti esecutivi
La distinzione tra atti delegati e atti esecutivi è stata precisata dalla Corte di giustizia nella sentenza del 18
marzo 2014, causa C-427/12, Commissione c. Parlamento e Consiglio, nei termini seguenti:
“Quando il legislatore dell’Unione conferisce alla Commissione, in un atto legislativo, un potere delegato
in virtù dell’art. 290, par. 1, TFUE, quest’ultima è chiamata a adottare norme che integrano o modificano
determinati elementi non essenziali di tale atto. Conformemente al secondo comma di tale disposizione, gli
obiettivi, il contenuto, la portata nonché la durata della delega di potere devono essere esplicitamente
delimitati dall’atto legislativo che conferisce tale delega. Detto requisito implica che l’attribuzione di un
potere delegato mira all’adozione di norme che si inseriscono nel quadro normativo quale definito dall’atto
legislativo di base.
Quando invece lo stesso legislatore conferisce un potere di esecuzione alla Commissione sulla base dell’art.
291, par. 2, TFUE, quest’ultima è chiamata a precisare il contenuto di un atto legislativo, per garantire la
sua attuazione a condizioni uniformi in tutti gli Stati membri.”
Il potere di iniziativa legislativa
Articolo 17.2 TUE
«Un atto legislativo dell'Unione può essere adottato solo su proposta della Commissione, salvo che i
Trattati non dispongano diversamente. Gli altri atti sono adottati su proposta della Commissione se i
Trattati lo prevedono».
La Commissione detiene quasi il "monopolio" delle proposte di atti legislativi (e, più in generale, di atti
dell'Unione), senza le quali non è possibile avviare i procedimenti legislativi (o decisionali), anche se le
proposte possono essere sollecitate dal Parlamento europeo (art. 225 TFUE), dal Consiglio (art. 241 TFUE),
o da cittadini dell'Unione, in numero di almeno un milione (art. 11, par. 4, TUE).
La forza della proposta della Commissione è tale che essa, naturalmente, può essere respinta, ma ove il
Consiglio intenda modificarla può farlo, di regola, solo all'unanimità (art. 293, par. 1, TFUE). In casi
estremamente rari i Trattati consentono l'adozione di atti senza la proposta della Commissione:
— l'art. 76 TFUE, che prevede che gli atti in materia di cooperazione giudiziaria penale e di polizia e
le misure di cooperazione amministrativa, su iniziativa di un quarto degli Stati membri (oltre che su
proposta della Commissione);
— l'art. 132 TFUE, che attribuisce alla Banca centrale europea il potere di adottare, per l'assolvimento
dei propri compiti, regolamenti, decisioni, raccomandazioni o pareri.
La PESC
Come di consueto, a parte si colloca la politica estera e di sicurezza comune, nella quale il ruolo della
Commissione è alquanto modesto e, in particolare, viene attenuato il suo potere d'iniziativa. Dispone,
infatti, l'art. 30, par. 1, TUE:
«Ogni Stato membro, l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, o l'Alto
rappresentante con l'appoggio della Commissione, possono sottoporre al Consiglio questioni relative alla
politica estera e di sicurezza comune e possono presentare rispettivamente iniziative o proposte al
Consiglio».
Atti atipici, non vincolanti
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Si ritiene che rientrino nel potere di proposta della Commissione anche i numerosi atti atipici, non vincolanti,
che essa è solita emettere nella prassi, come comunicazioni, dichiarazioni, programmi:
 libri bianchi, contenenti un articolato programma di azione e di atti da adottare in un determinato
settore;
 libri verdi, che si collocano in una fase preparatoria meno avanzata e che contengono una
documentazione volta a provocare, su una certa problematica, una discussione e un dibattito con le
istituzioni europee e gli Stati membri, o anche con categorie interessate e settori della società civile.
IL POTERE DI RAPPRESENTANZA
La rappresentanza esterna
L'art. 17, par. 1, TUE attribuisce alla Commissione anche la rappresentanza esterna dell'Unione, non
esclusiva, in quanto in materia di politica estera e di sicurezza comune la rappresentanza esterna è
assicurata dal Presidente del Consiglio europeo, fatte salve, peraltro, le prerogative dell'Alto
rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
Di conseguenza, anche la prassi della Commissione di instaurare relazioni di tipo diplomatico con Stati terzi
mediante proprie delegazioni potrebbe essere ridimensionata o riveduta a favore di una maggiore
responsabilità dell'Alto rappresentante.
La coerenza dell’azione esterna
La Commissione, assieme al Consiglio e con l'assistenza dell'Alto rappresentante per gli affari esteri e la
politica di sicurezza, deve garantire la coerenza tra i vari settori dell'azione esterna dell'Unione e tra
questi settori e le altre politiche.
La cooperazione con le NU
La Commissione e l'Alto rappresentante sono incaricati di attuare ogni utile forma di cooperazione con le
Nazioni Unite e i suoi istituti specializzati, il Consiglio d'Europa, l'Organizzazione per la sicurezza e la
cooperazione in Europa, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, nonché di assicurare
gli opportuni collegamenti con altre organizzazioni internazionali (art. 220 TFUE).
La stipulazione degli accordi internazionali
rinvio: cfr. Cap. VI, par. 11.
La rappresentanza all’interno degli Stati membri
La rappresentanza dell'Unione è attribuita alla Commissione anche all'interno degli Stati membri. Va
ricordato, in proposito, che l'art. 335 TFUE dichiara che l'Unione ha la più ampia capacità giuridica
riconosciuta alle persone giuridiche dalle legislazioni nazionali in ciascuno degli Stati membri e che, in
particolare, essa può acquistare o alienare beni immobili e mobili e stare in giudizio. A questo fine la
rappresentanza generale dell'Unione spetta alla Commissione (mentre l'Unione è rappresentata da
ciascuna istituzione per le questioni connesse al loro rispettivo funzionamento).

IL POTERE DI DECISIONE
Sebbene, a differenza dell'abrogato art. 211 del Trattato sulla Comunità europea (relativo alle funzioni della
Commissione), l'art. 17 TUE non menzioni un potere di decisione,
93

• talune disposizioni dei Trattati attribuiscono alla Commissione tale potere, talvolta contemplato
nel quadro dei poteri di vigilanza della Commissione in quanto strumento di controllo sulla
condotta degli Stati membri.
IL POTERE NORMATIVO (ECCEZIONALE)
Non mancano disposizioni che conferiscono alla Commissione un vero e proprio potere normativo,
• come l'art. 45, par. 3, lett. d), TFUE, il quale dispone che la Commissione emani regolamenti
concernenti le condizioni alle quali i lavoratori subordinati, nell'esercizio della libertà di
circolazione, possano rimanere sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un
impiego.
Sia pure in via eccezionale, quindi, la Commissione, oltre a un potere normativo di carattere delegato (art.
290 TFUE) e a un potere esecutivo (art. 291 TFUE), può avere un potere normativo primario, derivante,
cioè, direttamente dai Trattati.
IL POTERE DI RACCOMANDAZIONE
La Commissione dispone anche di un potere di raccomandazione di carattere generale (art. 292 TFUE),
non obbligatoria, esercitabile, a nostro parere, ogni qual volta lo ritenga necessario, con il solo limite che
riguardi materie rientranti nell'ambito dei Trattati.
• Non mancano specifiche disposizioni che espressamente contemplano tale potere, come l'art. 60
TFUE (raccomandazioni in materia di liberalizzazione dei servizi) o l'art. 97 TFUE (raccomandazioni in
materia di trasporti).
In qualche caso è previsto anche che la Commissione, quando non abbia un potere esclusivo di proposta,
emani pareri.
LA RELAZIONE GENERALE SULL'ATTIVITÀ DELL'UNIONE
Art. 249.2 TFUE:
«La Commissione pubblica ogni anno, almeno un mese prima dell'apertura della sessione del Parlamento
europeo, una relazione generale sull'attività dell'Unione».
Tale relazione, sottoposta all'esame del Parlamento europeo (art. 233 TFUE), costituisce anche una preziosa
fonte di conoscenza sull'attività e i risultati dell'Unione.
94

L’ALTO RAPPRESENTANTE DELL’UNIONE PER GLI AFFARI ESTERI E LA


POLITICA DI SICUREZZA

Presidente nel Consiglio "Affari esteri" e, nel contempo, componente della Commissione, della quale è
uno dei vicepresidenti (art. 18, par. 4, TUE): solo la prassi potrà dirci se, ed in quale misura, egli riuscirà a
conciliare i due ruoli, di "mandatario" del Consiglio, a servizio, quindi, degli interessi e della logica
intergovernativa, e di componente della Commissione, a servizio, al contrario, degli interessi oggettivi e
unitari dell'Unione europea.
I rapporti con gli organi intergovernativi
Il Consiglio europeo
• non solo decide sulla sua nomina, ma
• ha anche il potere di determinare, con la medesima procedura (cioè, a maggioranza qualificata e
con l'accordo del Presidente della Commissione), la fine del suo mandato (art. 18, par. 1, TUE).
Egli, inoltre, è qualificato come "mandatario" del Consiglio, soggetto, quindi, alle sue determinazioni
Art. 18, par. 2 TUE
«L'Alto rappresentante guida la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione. Contribuisce con le sue
proposte all'elaborazione di detta politica e la attua in qualità di mandatario del Consiglio. Egli agisce allo
stesso modo per quanto riguarda la politica di sicurezza e di difesa comune».
I rapporti con la Commissione
L'Alto rappresentante fa parte anche della Commissione e ne è vicepresidente.
1. La sua nomina (e l'eventuale revoca) deve essere deliberata dal Consiglio europeo d'accordo con il
Presidente della Commissione.

2. la sua nomina (come per tutti i membri della Commissione) è subordinata all'approvazione del
Parlamento europeo, il quale, nel contesto del rapporto di fiducia che intercorre con la
Commissione, ha dunque il potere di impedire la nomina di un candidato ad Alto rappresentante.

3. Egli, inoltre, resta soggetto alla eventualità di una mozione di censura da parte del Parlamento
europeo che determina le dimissioni collettive dei membri della Commissione.
L'art. 234.2, TFUE precisa che, in caso di approvazione della mozione di censura, «l'Alto rappresentante
dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza si dimette dalle funzioni che esercita in seno alla
Commissione», mentre permane, evidentemente, nelle altre funzioni che gli competono ai sensi dei Trattati,
in specie nella qualità di mandatario del Consiglio.
▪ Non è chiaro, però, come potrebbe coesistere un Alto rappresentante "sfiduciato" dal Parlamento eu-
ropeo con una nuova Commissione (alla quale resterebbe presumibilmente estraneo).
Nell’ambito della Commissione le funzioni dell’alto rappresentante sono delineate dall'art. 18, par. 4, TUE
nei termini seguenti:
«Vigila sulla coerenza dell'azione esterna dell'Unione. In seno alla Commissione, è incaricato delle
responsabilità che incombono a tale istituzione nel settore delle relazioni esterne e del coordinamento degli
altri aspetti dell'azione esterna dell'Unione».
N.B. L'Alto rappresentante è sottratto al divieto generale, secondo il quale tali membri non sollecitano né
accettano istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo, nella misura in cui, ai sensi dell'art.
18, par. 2, TUE, opera quale mandatario del Consiglio e attua la politica estera e di sicurezza comune (art.
17, par. 3, 3° comma, TUE).
La PESC
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Numerose disposizioni dei Trattati (essenzialmente di quello sull'Unione europea) stabiliscono le sue
funzioni nell'ambito generale dell'azione esterna dell'Unione e, più specificamente, nel quadro della
politica estera e di sicurezza comune.
1. Sul piano generale l'art. 21, par. 3, 2° comma, TUE dichiara – come si è accennato – che l'Alto
rappresentante assiste il Consiglio e la Commissione nel loro compito di garantire la coerenza
tra i vari settori dell'azione esterna e tra questi e le altre politiche dell'Unione.

2. Molto più dettagliate e specifiche sono le disposizioni in materia di politica estera e di sicurezza
comune, compreso il settore della politica di sicurezza e di difesa comune.
Può dirsi, in maniera sintetica, che l'Alto rappresentante svolge una funzione:
- di proposta (di questioni o di iniziative) nei confronti del Consiglio,
- di attuazione delle decisioni dello stesso Consiglio, così come del Consiglio europeo,
- di rappresentanza dell'Unione nei rapporti con i terzi, di consultazione. In proposito va
richiamato l'art. 27 TUE:
«1. L'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che presiede il Consiglio
"Affari esteri", contribuisce con proposte all'elaborazione della politica estera e di sicurezza comune e
assicura l'attuazione delle decisioni adottate dal Consiglio europeo e dal Consiglio.
2. L'Alto rappresentante rappresenta l'Unione per le materie che rientrano nella politica estera e di
sicurezza comune. Conduce, a nome dell'Unione, il dialogo politico con i terzi ed esprime la posizione
dell'Unione nelle organizzazioni internazionali e in seno alle conferenze internazionali».
La politica di sicurezza e difesa comune: le missioni civili e militari
Di particolare importanza appaiono le funzioni dell'Alto rappresentante, anche sul piano operativo,
nell'attuazione delle missioni, implicanti l'impiego di mezzi civili e militari, previste dall'art. 43 TUE
nell'ambito della politica di sicurezza e di difesa comune (c.d. operazioni di Petersberg).
Esse comprendono
• le azioni in materia di disarmo,
• le missioni umanitarie e di soccorso, di consulenza e assistenza in materia militare,
• le missioni di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace e
• le missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, comprese le missioni tese al
ristabilimento della pace e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti,
• missioni che possono contribuire alla lotta contro il terrorismo, anche tramite il sostegno a Paesi terzi
per combattere il terrorismo sul loro territorio.
Tali missioni sono decise dal Consiglio e spetta all'Alto rappresentante, sotto l'autorità del Consiglio e in
stretto contatto con il Comitato politico e di sicurezza di cui all'art. 38 TUE, provvedere a coordinare gli
aspetti civili e militari delle stesse missioni.
Il servizio europeo per l'azione esterna – SEAE (“diplomatico”)
Una significativa novità introdotta dal Trattato di Lisbona consiste nell'istituzione di un servizio europeo
per l'azione esterna, posto sotto la direzione dell'Alto rappresentante. L'art. 27, par. 3, TUE dichiara, infatti:
«Nell'esecuzione delle sue funzioni, l'Alto rappresentante si avvale di un servizio europeo per l'azione
esterna. Il servizio lavora in collaborazione con i servizi diplomatici degli Stati membri ed è composto da
funzionari dei servizi competenti del segretariato generale del Consiglio e della Commissione e da
personale distaccato dai servizi diplomatici nazionali».
96

Il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) è configurato come un organo dell’Unione che opera in
“autonomia funzionale”, sotto la responsabilità dell’Alto rappresentante, e provvisto della capacità
giuridica necessaria all’adempimento dei suoi compiti;
• ha sede a Bruxelles, ma si articola in un’amministrazione centrale e nelle delegazioni
dell’Unione nei Paesi terzi e presso le organizzazioni internazionali (art. 1).
• Collabora, inoltre, con i servizi diplomatici degli Stati membri (art. 3).
• Rilevanti funzioni sono attribuite alle delegazioni dell’Unione nei Paesi terzi (e organizzazioni
internazionali), nei quali il capodelegazione è abilitato a rappresentare l’Unione (art. 5).

LA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA


Articolo 19.1 TUE
1. La Corte di giustizia dell'Unione europea comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e i tribunali
specializzati. Assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati.
EVOLUZIONE

1. La Corte di giustizia era, originariamente, l'unica istituzione giudiziaria dell'Unione europea,


deputata ad assicurare il rispetto del diritto dell’Unione nel quadro di quella configurazione della
costruzione europea quale “comunità di diritto”.

2. Successivamente, con una decisione del Consiglio del 24 ottobre 1988, fu istituito un secondo
organo giudiziario, il Tribunale di primo grado, con alcune limitate competenze, progressivamente
aumentate.

3. Esso è stato inserito nel trattato di Maastricht del 1992 e, con il Trattato di Lisbona, ha assunto la
denominazione di Tribunale.
La creazione del Tribunale rispondeva principalmente a due esigenze:
1. decongestionare la Corte di giustizia, trasferendo al tribunale già dal 1988 i ricorsi degli agenti
dell'Unione, cioè le controversie di lavoro, che erano (e restano) frequentissime;
2. l’opportunità di garantire un doppio grado di giurisdizione, infatti le sentenze del Tribunale sono
impugnate per i soli motivi di diritto, dinanzi alla Corte di giustizia.

Tale misura si è rivelata insufficiente a decongestionare la Corte, in ragione


i. del crescente numero dei ricorsi, in particolare pregiudiziali e
ii. per il progressivo allargamento dell'Unione, con corrispondente aumento delle occasioni e dei
soggetti suscettibili di adire la Corte;
Ne è conseguito
i. l’aumento delle competenze del Tribunale e
ii. la previsione nel Trattato di Nizza del 2001, di una "clausola abilitante”, ossia della possibilità dì
affiancare al Tribunale dei tribunali specializzati;
Articolo 257 TFUE
(ex articolo 225 A del TCE)
“Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono
istituire tribunali specializzati affiancati al Tribunale, e incaricati di conoscere in primo grado di talune
categorie di ricorsi proposti in materie specifiche.”
97

5. Con decisione del Consiglio del 2004 è stato istituito il Tribunale della funzione pubblica
dell'Unione europea, competente a pronunciarsi in primo grado sulle controversie tra l’Unione ed i
suoi agenti.
i. Contro le cui decisioni era possibile il ricorso, per motivi di diritto, al Tribunale.
ii. Contro le suddette decisioni del Tribunale, era possibile un eccezionale riesame dinnanzi alla Corte
di Giustizia.
Si configuravano, così, tre gradi di giudizio.

6. il regolamento (UE, Euratom) 2016/1192 del 6 luglio 2016, che modifica il Protocollo n. 3 sullo
Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, ha stabilito la soppressione del Tribunale
della funzione pubblica e il trasferimento della sua competenza al Tribunale.
Alla eliminazione fa riscontro un potenziamento del Tribunale, mediante
o l’aumento dei suoi componenti, tale da consentirgli di fronteggiare il nuovo carico di
lavoro e di accelerare il procedimento,
o la riorganizzazione e un ampliamento delle proprie sezioni.
La disciplina delle istituzioni giudiziarie è recata:
— dai Trattati (art. 19 TUE e articoli 251-281 TFUE)
— dallo Statuto della Corte, stabilito con un protocollo separato, il quale ha lo stesso valore giuridico
dei Trattati sebbene sia soggetto ad un meccanismo semplificato di revisione (procedura legislativa
ordinaria, “su richiesta della Corte di giustizia e previa consultazione della Commissione o su
proposta della Commissione e previa consultazione della Corte di giustizia”, ad eccezione del titolo
I, relativo allo statuto dei giudici e degli avvocati generali, e dell'art. 64, concernente il regime
linguistico);
— dai regolamenti di procedura di ciascun tribunale, soggetti all’approvazione a maggioranza
qualificata del Consiglio.
Art. 19.2 TUE
2. La Corte di giustizia è composta da un giudice per Stato membro. È assistita da avvocati generali.
Il Tribunale è composto da almeno un giudice per Stato membro.
I giudici e gli avvocati generali della Corte di giustizia e i giudici del Tribunale sono scelti tra personalità
che offrano tutte le garanzie di indipendenza e che soddisfino le condizioni richieste agli articoli 253 e 254
del TFUE. Sono nominati di comune accordo dai governi degli Stati membri per sei anni. I giudici e gli
avvocati generali uscenti possono essere nuovamente nominati.
CORTE DI GIUSTIZIA
I requisiti richiesti per la nomina sono indicati dall’art. 253,1° comma, TFUE, in base al quale i giudici
devono essere scelti.
Articolo 253 TFUE
I giudici e gli avvocati generali della Corte di giustizia, scelti tra personalità che offrano tutte le garanzie di
indipendenza e che riuniscano le condizioni richieste per l'esercizio, nei rispettivi paesi, delle più alte
funzioni giurisdizionali, ovvero che siano giureconsulti di notoria competenza, sono nominati di comune
accordo per sei anni dai governi degli Stati membri, previa consultazione del comitato di cui all'articolo 255
(comitato: sette personalità scelte tra ex membri della Corte di giustizia e del Tribunale, membri dei
massimi organi giurisdizionali nazionali e giuristi di notoria competenza, uno dei quali è proposto dal
Parlamento europeo).
98

Ogni tre anni si procede a un rinnovo parziale dei giudici e degli avvocati generali, alle condizioni previste
dallo statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea.
I giudici designano tra loro, per tre anni, il presidente della Corte di giustizia. Il suo mandato è rinnovabile.
I giudici e gli avvocati generali uscenti possono essere nuovamente nominati. (art. 255 TFUE).
▪ Sebbene nominati per ciascuno Stato membro, i giudici non rappresentano tale Stato, in quanto il
carattere di piena indipendenza è connaturato, in maniera imprescindibile, alla funzione
giudiziaria: la Córte, pertanto, è un tipico organo di individui.
I giudici godono dell’immunità dalla giurisdizione, anche dopo la cessazione dalle proprie funzioni, per
quanto concerne gli atti compiuti in veste ufficiale, comprese le loro parole e i loro scritti; l'immunità può
essere tolta solo dalla Corte di giustizia in seduta plenaria (art. 3 dello Statuto della Corte).
La Corte di giustizia è assistita da otto avvocati generali:
«L'avvocato generale ha l'ufficio di presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena
indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che, conformemente allo Statuto della Corte di giustizia
dell'Unione europea, richiedono il suo intervento».
Le sue funzioni e la sua natura sono state precisate dalla Corte di giustizia,
• la quale ha affermato anche che egli è un membro dell'istituzione giudiziaria e partecipa
all'esercizio della funzione giurisdizionale (a differenza, per esempio, di un pubblico
ministero):
«Gli avvocati generali, tra i quali non esiste alcun vincolo di subordinazione, non sono né una magistratura
requirente né un ufficio di pubblico ministero e non dipendono da alcuna autorità, a differenza di quanto
avviene nell'ordinamento giudiziario di taluni Stati membri. Nell'esercizio delle loro funzioni essi non
perseguono la difesa di alcun tipo di interesse».
Il ruolo dell'avvocato generale va collocato in quest'ottica. Tale ruolo consiste, ai sensi dell'art. 222 CE [oggi
art. 252 TFUE], nel presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza,
conclusioni motivate sulle cause che, conformemente allo statuto della Corte di giustizia dell'Unione
europea, richiedono il suo intervento».
▪ L’avvocato generale è, quindi, una sorta di amicus curiae, con il compito non già di rappresentare
l’Unione, ma, in maniera imparziale, l’interesse al rispetto del diritto.
Tuttavia, La Corte ha ribadito più̀ volte che essa
«non è vincolata né dalle conclusioni dell’avvocato generale né dalla motiva-zione in base alla quale egli vi
perviene»
i. In passato l’avvocato generale presentava sempre le sue conclusioni.
ii. Oggi lo Statuto della Corte può stabilire in quali casi egli deve presentarle e, talvolta, può omettere le
conclusioni dell’avvocato generale (dopo avere sentito lo stesso avvocato generale).
La Corte
• ha sede in Lussemburgo;
• si riunisce, a seconda dei casi, (art. 16 dello statuto)
o in sezioni composte da tre o cinque giudici, o
o in grande sezione, costituita da tredici giudici ed il presidente.
o Eccezionalmente può riunirsi in seduta plenaria, cioè nella composizione di tutti i suoi
giudici.
99

TRIBUNALE
Il Tribunale,
• anch'esso avente sede a Lussemburgo,
• Il loro numero è stato via via elevato, in forza del regolamento (UE, Euratom) 2015/2422 del 16
dicembre 2015, sino a giungere a due giudici per Stato membro a decorrere dal 1° settembre 2019.
• Le funzioni di avvocato generale sono svolte da un giudice, ma solo nelle ipotesi contemplate dal
Regolamento dello stesso Tribunale.

LA BANCA CENTRALE EUROPEA E GLI ORGANI MONETARI

Nell'ambito del sistema dell'unione economica e monetaria le istituzioni dell'Unione, in tale ambito,
vedono le loro funzioni e i loro poteri sottoposti ad una regolamentazione diversa rispetto a quella
generale risultante dai Trattati: l'unione economica e monetaria appare come una sorta di sistema speciale
nell'ambito dell'Unione.
i. Il ruolo più importante è attribuito al Consiglio e al Consiglio europeo, mentre
ii. più modesti sono i poteri della Commissione e specialmente del Parlamento europeo.
In materia, monetaria poteri estremamente incisivi, e pressoché esclusivi, sono attribuiti alle autorità
monetarie:
La Banca centrale europea (BCE) e
il Sistema europeo di banche centrali (SEBC),

regolate sia dal TFUE che dallo Statuto, contenuto nel Protocollo n. 4.
IL SISTEMA EUROPEO DI BANCHE CENTRALI (SEBC)
Articolo 127 TUE
« 1. L'obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali, in appresso denominato «SEBC», è il
mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l'obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le
politiche economiche generali nell'Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi
dell'Unione definiti nell'articolo 3 del trattato sull'Unione europea. Il SEBC agisce in conformità del
principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione
delle risorse e rispettando i principi di cui all'articolo 119.
2. I compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono i seguenti:
— definire e attuare la politica monetaria dell'Unione,
— svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell'articolo 219,
— detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri,
— promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento».
Il SEBC non è un autonomo organo, in quanto è composto dalla BCE e dalle Banche centrali nazionali ed
è retto dagli organi decisionali della BCE.
sentenza del 26 febbraio 2019, BCE c. Lettonia «In effetti, il SEBC rappresenta nel diritto dell’Unione
una costruzione giuridica originale che associa e fa strettamente cooperare istituzioni nazionali, ossia le
banche centrali nazionali, e un’istituzione dell’Unione, segnatamente la BCE, e all’interno della quale
vigono un’articolazione diversa e una distinzione meno pronunciata tra l’ordinamento giuridico dell’Unione
e gli ordinamenti giuridici interni».
“In esso si determina uno sdoppiamento funzionale del governatore di una Banca centrale nazionale, il
quale è si ̀̀ un’autorità nazionale, ma agisce nell’ambito del SEBC e, se è governatore di una Banca centrale
nazionale di uno Stato membro la cui moneta è l’euro, siede nel principale organo direttivo della BCE».
100

LA BANCA CENTRALE EUROPEA


La BCE, fornita di personalità giuridica (da intendersi di diritto interno negli Stati membri) esercita in
concreto le competenze in materia monetaria, a cominciare dalla emissione e dal governo dell'euro.
Ai sensi dell'art. 128 TFUE, infatti:
«1. La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote in euro
all'interno dell'Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere
banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali
costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell'Unione.
2. Gli Stati membri possono coniare monete metalliche in euro con l'approvazione della Banca centrale
europea per quanto riguarda il volume del conio».
Gli organi della BCE
1. il Consiglio direttivo è composto dai membri del Comitato esecutivo della BCE e dai governatori
delle banche centrali degli Stati partecipanti all'euro.
2. Il Comitato esecutivo comprende il presidente (attualmente la francese Christine Lagarde), il
vicepresidente e quattro altri membri.
Il presidente, il vicepresidente e gli altri membri del comitato esecutivo sono nominati, tra persone di
riconosciuta levatura ed esperienza professionale nel settore monetario o bancario, dal Consiglio europeo
che delibera a maggioranza qualificata, su raccomandazione del Consiglio e previa consultazione del
Parlamento europeo e del consiglio direttivo della Banca centrale europea. (art. 283 TFUE).
Il Comitato Esecutivo svolge funzioni preparatorie ed esecutive rispetto al Consiglio direttivo e, in
generale, attua la politica monetaria sulla base delle determinazioni del Consiglio direttivo, il quale
stabilisce le linee generali della politica monetaria.
L’indipendenza della BCE
La BCE si caratterizza per la sua posizione di indipendenza, sia nei confronti degli Stati membri che delle
istituzioni politiche europee, al fine di salvaguardare la stabilità dei prezzi e di evitare spinte
inflazionistiche.
Art. 130 TFUE:
«Nell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai Trattati e dallo
Statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro
dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o
dagli organismi dell'Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni,
gli organi e gli organismi dell'Unione nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo
principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale europea o
delle banche centrali nazionali nell'assolvimento dei loro compiti».
Così, le decisioni di politica monetaria vengono sottratte a ogni forma di condizionamento o di pressione
politica proveniente da organi o istituzioni politiche (europee come nazionali).
• Sentenza del 16 giugno 2015, Gauweiler e altri: «risulta dall’art. 130 TFUE che il SEBC
esercita il proprio compito di definizione e di attuazione della politica monetaria dell’Unione in
modo indipendente. Emerge dal testo di tale articolo che quest’ultimo mira a tutelare il SEBC
ed i suoi organi decisionali dalle influenze esterne che potrebbero interferire con l’adempimento
dei compiti che il Trattato FUE ed il Protocollo sul SEBC e sulla BCE affiano al SEBC. L’art.
130 TFUE mira dunque, in sostanza, a proteggere il SEBC da qualsivoglia pressione politica
per consentirgli di perseguire efficacemente gli obiettivi assegnati ai suoi compiti, grazie
all’esercizio indipendente degli specifici poteri di cui esso dispone a questo scopo in forza del
diritto primario».
101

I rapporti con le altre istituzioni (Non spiegato)


Articolo 284 TFUE
«1. Il presidente del Consiglio e un membro della Commissione possono partecipare, senza diritto di voto,
alle riunioni del consiglio direttivo della Banca centrale europea.
Il presidente del Consiglio può sottoporre una mozione alla delibera del consiglio direttivo della Banca
centrale europea.
2. Il presidente della Banca centrale europea è invitato a partecipare alle riunioni del Consiglio quando
quest'ultimo discute su argomenti relativi agli obiettivi e ai compiti del SEBC.
3. La Banca centrale europea trasmette al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione nonché al
Consiglio europeo, una relazione annuale sull'attività del SEBC e sulla politica monetaria dell'anno
precedente e dell'anno in corso. Il presidente della Banca centrale europea presenta tale relazione al
Consiglio e al Parlamento europeo, che può procedere su questa base ad un dibattito generale.
Il presidente della Banca centrale europea e gli altri membri del comitato esecutivo possono, a richiesta del
Parlamento europeo o di propria iniziativa, essere ascoltati dalle commissioni competenti del Parlamento
europeo».
Le funzioni consultive (non spiegato)
Talvolta la BCE deve essere obbligatoriamente consultata, ex art. 127.4 TFUE:
«…— in merito a qualsiasi proposta di atto dell'Unione che rientri nelle sue competenze, — dalle autorità
nazionali, sui progetti di disposizioni legislative che rientrino nelle sue competenze, ma entro i limiti e alle
condizioni stabiliti dal Consiglio, secondo la procedura di cui all'articolo 129, paragrafo 4. La Banca
centrale europea può formulare pareri da sottoporre alle istituzioni, agli organi o agli organismi
dell'Unione competenti o alle autorità nazionali su questioni che rientrano nelle sue competenze».
Il potere normativo (non spiegato)
Ai sensi dell'art. 132 TFUE, la BCE per l'assolvimento dei propri compiti può emanare regolamenti,
decisioni, raccomandazioni e pareri.
Il fatto che tali regolamenti e decisioni siano emanati senza la partecipazione degli organi politici della UE
(in particolare del Parlamento Europeo) mette in luce un profilo non secondario di quel deficit democratico,
che tutt’ora sussiste nell’ordinamento dell’Unione Europea, sebbene essi siano sottoposti al controllo di
legittimità della Corte di giustizia.
Ulteriori, importanti compiti
attribuiti alla BCE da regolamenti riguardo alla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi, nel quadro
dell’istituzione di una unione bancaria
• regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla BCE compiti
specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi,
• regolamento (UE) n. 468/2014 della BCE del 16 aprile 2014, che istituisce il quadro di
cooperazione nell’ambito del meccanismo di vigilanza unico tra la BCE e le autorità̀ nazionali
competenti e con le autorità̀ nazionali designate.
IL CONSIGLIO GENERALE DELLA BCE
(Articolo 44 dello Statuto del SEBC e della BCE)
E’ il “terzo organo decisionale della BCE” e comprende il presidente e il vicepresidente della BCE e i
governatori delle banche centrali nazionali.
102

LA CORTE DEI CONTI


Istituita con il Trattato di Bruxelles del 22 luglio 1975, per assicurare un Controllo finanziario esterno alle
singole istituzioni, in relazione al sistema di finanziamento autonomo (di risorse proprie) introdotto nel
1970.
Articolo 287.1 TFUE
1. La Corte dei conti esamina i conti di tutte le entrate e le spese dell'Unione. Esamina del pari i conti di
tutte le entrate e le spese di ogni organo o organismo creato dall'Unione, nella misura in cui l'atto
costitutivo non escluda tale esame.
Articolo 285 TFUE
La Corte dei conti assicura il controllo dei conti dell'Unione.
Essa è composta da un cittadino di ciascuno Stato membro. I suoi membri esercitano le loro funzioni in
piena indipendenza, nell'interesse generale dell'Unione.
Il controllo di merito
Il controllo della Corte riguarda la legittimità e la regolarità delle entrate e delle spese e si estende
all’accertamento della sana gestione finanziaria; esso, quindi, non ha solo carattere meramente formale,
ma anche, in una certa misura, di merito per quanto concerne l'economicità della gestione finanziaria.
I poteri di indagine
Nell'esercizio della sua funzione la Corte dei conti dispone di incisivi strumenti di indagine. Ex art. 287,
par. 3, TFUE:
Il controllo ha luogo
• tanto sui documenti
• quanto, in caso di necessità, sul posto,
o presso le altre istituzioni dell'Unione,
o nei locali di qualsiasi organo o organismo che gestisca le entrate o le spese per conto
dell'Unione e negli Stati membri,
o compresi i locali di persone fisiche o giuridiche che ricevano contributi a carico del bilancio.
Il controllo negli Stati membri si effettua in collaborazione con le istituzioni nazionali di controllo o, se
queste non hanno la necessaria competenza, con i servizi nazionali competenti.
• La Corte dei conti e le istituzioni nazionali di controllo degli Stati membri cooperano in uno spirito
di reciproca fiducia, pur mantenendo la loro indipendenza.
Il controllo sull’esecuzione del bilancio
La Corte dei conti inoltre, assiste il Parlamento europeo e il Consiglio nella loro attività di controllo
sull'esecuzione del bilancio."
La dichiarazione sull'affidabilità dei conti e la legittimità e la regolarità delle relative operazioni
Articolo 287.2 TFUE
La Corte dei conti presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una dichiarazione in cui attesta
l'affidabilità dei conti e la legittimità e la regolarità delle relative operazioni, che è pubblicata nella
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea. Detta dichiarazione può essere completata da valutazioni specifiche
per ciascuno dei settori principali dell'attività dell'Unione.
103

La relazione generale annuale


Art. 287.4.1 TFUE
4. Dopo la chiusura di ciascun esercizio, la Corte dei conti stende una relazione annuale. Questa è
trasmessa alle altre istituzioni dell'Unione ed è pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea,
accompagnata dalle risposte delle istituzioni alle osservazioni della Corte dei conti.
Sia la dichiarazione sull'affidabilità dei conti sia la relazione generale annuale, accompagnata dalle
risposte delle istituzioni controllate e dalle osservazioni della Corte dei conti, sono oggetto dell’esame del
Parlamento europeo ai fini della sua delibera di discarico, con la quale esso dà atto alla commissione
dell'esecuzione del bilancio.
La funzione consultiva
La Corte dei conti ha anche una funzione consultiva. Ai sensi dell'art. 287, par. 4, 2° comma, TFUE, essa
“[…] può inoltre presentare in ogni momento le sue osservazioni su problemi particolari sotto forma, tra
l'altro, di relazioni speciali e dare pareri su richiesta di una delle altre istituzioni dell'Unione”.
• Tali pareri sono facoltativi.
• In qualche raro caso il parere è obbligatorio (p.es., Parlamento e Consiglio devono consultare
la Corte dei conti per l'adozione delle misure di prevenzione e di lotta contro le frodi che
ledano gli interessi finanziari dell'Unione). In casi del genere la mancata richiesta del parere
costituirebbe un vizio d'invalidità dell'atto.
LA BANCA EUROPEA PER GLI INVESTIMENTI
Solo un cenno, in questa sede, può farsi alla Banca europea per gli investimenti (BEI). Essa, pur facendo
parte della struttura dell’Unione europea sin dalla sua origine, costituisce in realtà un’entità autonoma.
Ha una propria struttura organizzativa:
• il Consiglio dei governatori, composto dai ministri designati dagli Stati membri (art. 7
dello Statuto),
• il Consiglio di amministrazione, formato da individui che offrano ogni garanzia di indipendenza e
di competenza (art. 9) e
• il Comitato direttivo, anch’esso costituito da personalità indipendenti (art. 12).

Anche il sistema di finanziamento e il bilancio hanno una loro autonomia;


• il capitale della BEI è costituito, infatti, dalle quote, diversificate, sottoscritte dai
singoli Stati membri (art. 4).
Malgrado tale autonomia la BEI fa sicuramente parte del sistema dell’Unione, come dimostra, per esempio,
l’applicabilità a essa, sia pure con opportuni adattamenti, delle competenze della Corte di giustizia (art.
271 TFUE).
La funzione essenziale della BEI è così enunciata dall’art. 309 TFUE:
«La Banca europea per gli investimenti ha il compito di contribuire, facendo appello al mercato dei capitali
ed alle proprie risorse, allo sviluppo equilibrato e senza scosse del mercato interno nell’interesse
dell’Unione».
I mezzi utilizzabili dalla BEI sono le concessioni di prestiti e di garanzie senza finalità di lucro, a favore
di Stati membri o di imprese private o pubbliche per il finanziamento
• di progetti per la valorizzazione delle regioni meno sviluppate,
• di progetti contemplanti l'ammodernamento e la riconversione di imprese o la creazione di nuove
attività e
• di progetti di interesse comune per gli Stati membri, che non possono essere interamente assicurati
da finanziamenti esistenti nei singoli Stati membri a causa della loro ampiezza o natura.
104

CAPITOLO VI
I PROCEDIMENTI INTERISTITUZIONALI
Le tre istituzioni politiche, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione, interagiscono in molteplici
materie. Di particolare rilevanza, per la vita e lo sviluppo dell’Unione europea, sono il bilancio, l’adozione
degli atti dell’Unione, la conclusione degli accordi internazionali della stessa Unione.

IL FINANZIAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA


Il bilancio dell'Unione è composto dalle entrate e dalle spese:
«Tutte le entrate e le spese dell'Unione devono costituire oggetto di previsioni per ciascun esercizio
finanziario ed essere iscritte nel bilancio» (art. 310, par. 1,1° comma, TFUE).
In base al principio di equilibrio delle entrate e delle spese (art. 314, par. 10), «Nel bilancio, entrate e spese
devono risultare in pareggio» (art. 310, par. 1, 3° comma, TFUE).
Il sistema delle risorse proprie
Diversa, peraltro, è la disciplina relativa alle determinazioni sulle entrate e a quelle sulle spese.
• sulle spese significativi sono i poteri progressivamente acquistati dal Parlamento europeo, il
quale, con il Trattato di Lisbona, ha raggiunto pari potere di decisione con il Consiglio,
• le entrate sfuggono ai suoi poteri e sono sostanzialmente decise dai governi degli Stati membri.
In proposito l’art. 311, 2° comma, TFUE dichiara anzitutto:
«Il bilancio, fatte salve le altre entrate, è finanziato integralmente tramite risorse proprie».
Originariamente, il finanziamento della CEE e della CEEA proveniva da contributi obbligatori degli Stati
Membri. Solo la CECA disponeva di un vero potere impositivo (al suo finanziamento contribuivano i
prelievi sulla produzione carbosiderurgica delle imprese).
Con la decisione del 21 Aprile 1970, il Consiglio decise il passaggio a un sistema di risorse proprie per la
CEE e la CEEA;
Oggi, quindi, sono l’Unione europea e la CEEA che decidono in maniera autonoma le fonti di
finanziamento senza dipendere più̀ dai pagamenti dei contributi degli Stati membri.
• Il sistema, com’è evidente, tende a rendere l’Unione indipendente dagli Stati membri,
▪ nelle organizzazioni internazionali, le cui entrate dipendono dai contributi degli Stati membri, la
mancata erogazione degli stessi contributi
i. può determinare crisi esiziali per l’organizzazione e
ii. può essere utilizzata anche come strumento di pressione sulle sue decisioni.
malgrado l’indipendenza e l’autonomia che il sistema delle risorse proprie è volto a garantire, le
decisioni sulle fonti e la misura di tali risorse sono adottate con un procedimento che implica sostanzialmente
un accordo tra gli Stati membri.

art. 311, 3° comma, TFUE


«Il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, all’unanimità e previa consultazione
del Parlamento europeo, adotta una decisione che stabilisce le disposizioni relative al sistema delle risorse
proprie dell’Unione. In tale contesto è possibile istituire nuove categorie di risorse proprie o sopprimere
una categoria esistente. Tale decisione entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri
conformemente alle rispettive norme costituzionali».
Appare importante notare come:
105

1. Le decisioni sulle entrate dell’Unione, pertanto, richiedono anzitutto l’unanimità degli Stati
membri nel Consiglio.
2. L’efficacia della decisione del Consiglio è subordinata all’approvazione espressa di ciascuno
Stato membro, in forme analoghe alla ratifica di un accordo internazionale, secondo le proprie
norme costituzionali.
Pertanto il sistema delle risorse proprie,
➢ se affranca l’Unione dai contributi degli Stati membri,
➢ non la rende propriamente “indipendente” da questi ultimi.
In altre parole, gli Stati membri, invero, non hanno più la possibilità̀ di rifiutarsi di finanziare l’Unione,
ma

• hanno ancora il potere di decidere quali risorse destinare a essa.

N.B. se il procedimento di definizione delle risorse proprie appare scarsamente democratico a livello
europeo, esso consente un parziale recupero di controllo democratico a livello nazionale.
Quali sono le risorse proprie?
Alla luce della decisione del Consiglio 2014/335/UE, Euratom del 26 maggio 2014, sono le seguenti:
a) le risorse proprie tradizionali costituite da
• prelievi,
• premi,
• importi supplementari o compensativi,
• importi o elementi aggiuntivi,
• dazi della tariffa doganale comune e
• altri dazi sugli scambi con Paesi terzi (comprendenti i dazi agricoli), nonché
• contributi e altri dazi nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati dello
zucchero;

b) un’aliquota uniforme sull’imponibile IVA di ciascuno Stato membro, determinato secondo regole
europee e non superiore al 50% del suo reddito nazionale lordo;

c) un’aliquota del reddito nazionale lordo degli Stati membri, da fissare annualmente nel bilancio
(detta, originariamente, quarta risorsa).
In relazione a ciò,
a) la prima entrata dà luogo a un vero e proprio potere impositivo in capo all’Unione, mentre
b) quelle derivanti dall’IVA e dall’aliquota sul reddito nazionale lordo si riducono a contributi che
gli Stati membri devono obbligatoriamente versare all’Unione; (quest’ultima è ormai la più
cospicua, coprendo circa i tre quarti delle entrate).
La citata decisione stabilisce inoltre che tali entrate sono utilizzate indistintamente per finanziare tutte le
spese iscritte nel bilancio annuale (art. 6: principio dell’universalità).
La riscossione delle entrate è effettuata dagli Stati membri, i quali trattengono una percentuale per
rimborso spese.
• Nella riscossione, gli Stati devono assicurare, mediante norme interne ad hoc (in carenza di
norme UE), un'efficacia non inferiore al sistema statale di riscossione di oneri nazionali dello
stesso tipo (Corte di giustizia – sentenza del 27 marzo 1980, cause 66/79, 127/79 e 128/79,
Amministrazione delle finanze c. S.r.l. Meridionale Industria Salumi e altri).

I PRINCIPI RELATIVI AL BILANCIO


106

1. Unità del bilancio, nel quale devono essere comprese tutte le entrate e le spese.
— Fanno eccezione le spese (operative) occorrenti per l'attuazione delle disposizioni n
i
materia di PESC, se il Consiglio delibera all’unanimità in tal senso, e,
— in ogni caso, le spese derivanti da operazioni che hanno implicazioni nel settore militare e
della difesa, ripartite tra gli Stati secondo il PIL.
— Restano fuori dal bilancio dell'Unione anche le spese (diverse da quelle amministrative
sostenute dalle istituzioni) derivanti dalla cooperazione rafforzata, a carico dei soli Stati
membri partecipanti (art. 332 TFUE).
2. Universalità del bilancio, per cui l'insieme delle entrate deve coprire indistintamente l'insieme delle
spese, senza possibilità (salve alcune eccezioni) di destinare determinate entrate alla copertura di
talune spese specifiche, e, per altro verso, non può esservi compensazione tra entrate e spese (divieto
di "contrazione").
3. Annualità del bilancio. Ex art. 313 TFUE «L'esercizio finanziario ha inizio 1° gennaio e si chiude
al 31 dicembre». Il bilancio, quindi, deve contenere tutte le entrate e le spese previste per
l'anno al quale si riferisce, nell’ambito del quadro finanziario pluriennale, al cui rispetto è
subordinato il bilancio annuale.
4. Specializzazione del bilancio (o specificazione), risultante dall'art. 316, 2° e 3° comma, TFUE. In
base ad esso le risorse sono affidate alla gestione soltanto per gli scopi previsti dal bilancio stesso e
precisati in modo sufficientemente dettagliato nelle linee di bilancio.
5. Pareggio o equilibrio del bilancio.3 L'art. 310, par. 1, 3° comma stabilisce che entrate e
spese devono risultare in pareggio. Esso comporta, d'altra parte, il divieto per l'Unione di ricorrere al
prestito per coprire eventuali disavanzi e l’obbligo di garantire la copertura finanziaria.
Al principio dell’equilibrio di bilancio si collega la prescrizione in virtù della quale l’Unione, prima di
adottare degli atti, deve assicurarsi che essi abbiano una copertura finanziaria. Dichiara in proposito l’art.
310, par. 4, TFUE:
«Per mantenere la disciplina di bilancio, l'Unione, prima di adottare atti che possono avere incidenze
rilevanti sul bilancio, deve assicurare che le spese derivanti da tali atti possano essere finanziate entro i
limiti delle risorse proprie dell'Unione e nel rispetto del quadro finanziario pluriennale di cui all'articolo
312».
6. Buona gestione finanziaria. L'art. 317 TFUE enuncia tale principio al quale devono attenersi sia la
Commissione sia gli Stati membri, nel cooperare con la Commissione.
L'art. 33 del regolamento finanziario del 18 luglio 2018, lo declina nei principi di
• economia (i mezzi impiegati dall'istituzione per la realizzazione delle attività sono resi
disponibili in tempo utile nella quantità e qualità appropriate ed al prezzo migliore),
• efficienza (deve essere ricercato il miglior rapporto tra i mezzi impiegati ed i risultati
conseguiti),
• efficacia (gli obiettivi specifici fissati devono essere raggiunti e devono essere conseguiti i
risultati attesi).
Nella sentenza del 12 maggio 1998, causa C-106/96, Regno Unito c. Commissione, la Corte ha dichiarato:
«Ogni spesa comunitaria ha bisogno di un duplice fondamento giuridico, cioè la sua iscrizione a bilancio e,
di norma, la previa adozione di un atto di diritto derivato (legislativo/obbligatorio) che autorizzi la spesa in
questione [ ...] di competenza dell'autorità legislativa […], in quanto, ai sensi dei Trattati, le condizioni di
esercizio del potere normativo e quelle del potere di bilancio non sono le stesse».

3
Unico principio spiegato dal Prof.
109

Il Trattato di Lisbona ha recepito tale normativa nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
l'art. 310, par. 3, prescrive, infatti, che l'esecuzione di una spesa sia preceduta all'adozione di un
corrispondente atto obbligatorio:
«L'esecuzione di spese iscritte nel bilancio richiede l'adozione preliminare di un atto giuridicamente
vincolante dell'Unione che dà fondamento giuridico alla sua azione e all'esecuzione della spesa
corrispondente in conformità del regolamento di cui all'articolo 322, fatte salve le eccezioni previste da
quest'ultimo».

L’APPROVAZIONE E L’ESECUZIONE DEL BILANCIO


Parlamento europeo e il Consiglio sono i due rami dell'autorità di bilancio, posti sullo stesso piano dal
Trattato di Lisbona.
Il Trattato di Lisbona ha modificato sensibilmente la disciplina del bilancio, la quale, in precedenza,
ruotava intorno alla distinzione tra
• spese obbligatorie, cioè derivanti obbligatoriamente dal Trattato sulla Comunità europea o da atti
emanati a norma di tale Trattato
- l’ultima parola spettava al Consiglio
• spese non obbligatorie,
- L’ultima parola spettava al Parlamento europeo.
Il Trattato di Lisbona ha eliminato la distinzione, ponendo così sullo stesso piano le due autorità di
bilancio, e ha semplificato la disciplina relativa all’approvazione del bilancio
conseguenza
a. un ampliamento dei poteri del Parlamento europeo nella definizione delle spese denominate obbligatorie
(quelle di maggiore rilievo);
b. Il Parlamento resta in una posizione marginale nella definizione del sistema delle risorse proprie, cioè
delle entrate dell'Unione, esercitando al riguardo un ruolo meramente consultivo (art. 311 TFUE:
sopra, par. 1).
L'art. 312 TFUE prescrive formalmente l'adozione del quadro finanziario pluriennale:
L'approvazione del bilancio annuale avviene ad opera del Parlamento europeo e del Consiglio secondo
una procedura legislativa speciale (art. 314 TFUE)4:
1. entro il 31 luglio ciascuna istituzione (ad eccezione della Banca centrale europea) elabora uno stato
di previsione delle spese per il successivo anno finanziario.

2. La Commissione raggruppa tali previsioni in un progetto di bilancio, nel quale può fare anche
previsioni divergenti rispetto a quelle elaborate dalle varie istituzioni.

3. La Commissione propone il progetto entro il 1° settembre al Parlamento europeo e al Consiglio;


4. Il Consiglio esamina il progetto ed entro il 1° ottobre comunica la sua posizione al Parlamento
europeo, motivandola esaurientemente.

5. Il bilancio è approvato se entro i successivi 42 giorni il Parlamento approva la posizione del


Consiglio o non abbia deliberato alcunché (silenzio-assenso).

6. In alternativa, il Parlamento emenda il progetto inviatogli dal Consiglio (alla maggioranza dei
componenti) e lo trasmette al Consiglio.

7. Il Consiglio entro 10 giorni approva tutti gli emendamenti del Parlamento.

4
Non spiegato nel dettaglio
110

o In caso contrario si apre una fase dinanzi ad un comitato di conciliazione, formato dai
membri del Consiglio o dai loro rappresentanti e da altrettanti rappresentanti del Parlamento
europeo e con la partecipazione della Commissione, che prende ogni iniziativa necessaria
per favorire un ravvicinamento tra le posizioni del Parlamento e del Consiglio.

8. Il Comitato di conciliazione deve giungere, entro 21 giorni dalla sua convocazione, a un accordo su
un progetto comune, a maggioranza qualificata dei membri (o rappresentanti) del Consiglio e a
maggioranza dei rappresentanti del Parlamento. In caso contrario il progetto è respinto e la Com-
missione deve sottoporre un nuovo progetto di bilancio (par. 8).

9. Se, invece, entro i 21 giorni si raggiunge nel comitato di conciliazione un accordo, il Parlamento
europeo e il Consiglio dispongono di 14 giorni per approvare il progetto comune (par. 6), in caso
contrario il progetto è respinto, salvo il punto 10.

10. In caso di rigetto del Consiglio e di approvazione del Parlamento, la posizione di eguale autorità
delle due istituzioni viene alterata a favore del Parlamento, il quale, deliberando a maggioranza dei
suoi membri, e dei tre quinti dei voti espressi, può decidere di adottare il bilancio coi propri
emendamenti rispetto alla posizione del Consiglio, oppure solo alcuni di tali emendamenti.
Il regime dei dodicesimi
Se all'inizio dell'anno finanziario (cioè il 1° gennaio) il bilancio non è stato ancora approvato, le spese
effettuate mensilmente non possono superare un dodicesimo dei crediti aperti nel bilancio
dell'esercizio precedente, né un dodicesimo di quelli previsti nel progetto di bilancio non adottato.
L’esecuzione del bilancio approvato
L’esecuzione delle entrate e l'erogazione delle spese è sotto la responsabilità ed è di competenza, della
Commissione, largamente coadiuvata dagli Stati membri, ai quali è in buona parte delegata l'esecuzione del
bilancio, in specie nella politica agricola e nella gestione decentrata dei fondi strutturali.
Il controllo finanziario della Corte dei conti
La Corte dei conti svolge un controllo sia di carattere formale sia di merito,
a. con riferimento alla sana gestione finanziaria,
b. sulla gestione del bilancio e
c. redige una relazione annuale, accompagnata dalle risposte delle istituzioni alle osservazioni della
stessa Corte.
Il controllo politico del Parlamento europeo
Il controllo “politico” sulla complessiva attività di amministrazione della Commissione è affidato invece al
Parlamento europeo, il quale lo effettua sulla base di un esame dei conti e delle suddette relazione annuale
e dichiarazione di affidabilità della Corte dei conti.

In forza dell’art. 319, par. 1, TFUE:


«Il Parlamento europeo, su raccomandazione del Consiglio, dà atto alla Commissione dell'esecuzione del
bilancio».
La delibera del Parlamento è chiamata decisione di scarico ed esprime l'approvazione dell'operato della
Commissione.
a. Può essere accompagnata da osservazioni e la Commissione compie tutti i passi necessari per darvi
seguito.
b. Sebbene la norma in esame non lo preveda espressamente, il Parlamento europeo può ritardare o,
addirittura, rifiutare la decisione di scarico, come è avvenuto in qualche raro caso.
111

RILEVANZA DEL RIFIUTO? ha un'indubbia rilevanza politica e non può escludersi che possa indurre la
Commissione a dimettersi o provocare una successiva mozione di censura.
Deve invece negarsi che il rifiuto di scarico possa, di per sé, determinare le dimissioni obbligatorie, non
essendo equiparabile alla mozione di censura prevista dall'art. 234 TFUE (Cap. V, par. 4).

L’ADOZIONE DEGLI ATTI DELL’UNIONE EUROPEA


I Trattati (in particolare il TFUE) prevedono, mediante specifiche disposizioni, una pluralità di
procedimenti decisionali per l’adozione degli atti, in ciascuno dei quali può variare il ruolo delle
istituzioni, in particolare quello del Parlamento e del Consiglio, anche con riferimento alla maggioranza
richiesta ed alla consultazione di organi ausiliari, quali il Comitato economico e sociale o il Comitato delle
regioni.
La distinzione tra i provvedimenti fondati direttamente sul Trattato e le disposizioni derivate
La procedura prevista dalle singole disposizioni dei Trattati sul funzionamento dell'Unione europea va
obbligatoriamente applicata solo agli atti che contengono gli elementi essenziali della disciplina da
emanare.
Mentre, gli atti recanti la normativa integrativa, o persino modificativa di elementi non essenziali, da
parte della Commissione o, eccezionalmente, del Consiglio, secondo la costante giurisprudenza, possono
essere adottati secondo una procedura semplificata.
Tale possibilità di adottare atti di attuazione con una procedura semplificata rispetto a quella prescritta dalla
norma del Trattato per l'atto di base è stata riaffermata
• Sia per i regolamenti
• Sia per le direttive,
volti ad attuare, rispettivamente, un regolamento o una direttiva di base.
Come previsto dal trattato di Lisbona, sia gli atti delegati, sia quelli esecutivi, sono emanati dalla sola
Commissione (o, se del caso, dal Consiglio), senza seguire, quindi, le procedure stabilite dalle disposizioni
del Trattato per l'atto di base.
La procedura legislativa ordinaria (codecisione)
Ai sensi dell'art. 289, par. 1:
«1. La procedura legislativa ordinaria consiste nell'adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva
o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione. Tale
procedura è definita all'articolo 294».
Tale procedura, perfettamente simmetrica, è di applicazione generale.

La procedura legislativa speciale


«Nei casi specifici previsti dai Trattati, l'adozione di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da
parte del Parlamento europeo con la partecipazione del Consiglio o da parte di quest'ultimo con la
partecipazione del Parlamento europeo costituisce una procedura legislativa speciale».
Sebbene non risulti dalla norma, nella larga maggioranza dei casi, in queste procedure speciali il Consiglio
riprende una posizione prioritaria sul Parlamento europeo, il quale partecipa all'adozione dell'atto del
Consiglio con il suo parere o con una approvazione.
112

Individuazione degli atti legislativi


L'art. 14 TUE, par. 1, dichiara:
«Il Parlamento europeo esercita, congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa»
e, in maniera speculare, l'art. 16 TUE, par. 1:
«Il Consiglio esercita, congiuntamente al Parlamento europeo, la funzione legislativa»
la procedura legislativa (sia essa ordinaria o speciale) vale a qualificare un atto dell’Unione come legislativo.
In proposito l’art. 289, par. 3, TFUE dichiara infatti:
«Gli atti giuridici adottati mediante procedura legislativa sono atti legislativi».
La Corte di giustizia, nella sentenza del 6 settembre 2017, cause C-643/15 e C-647/15, Slovacchia e
Ungheria c. Consiglio, ha dichiarato che, pertanto,
«un atto giuridico può essere qualificato come atto legislativo dell’Unione soltanto se è stato adottato sul
fondamento di una disposizione dei Trattati che fa espresso riferimento o alla procedura legislativa
ordinaria o alla procedura legislativa speciale».
La Corte ha altresì sottolineato che:
«La distinzione tra atti legislativi e atti non legislativi riveste sicura importanza, dal momento che soltanto
l’adozione di atti legislativi è assoggettata al rispetto di alcuni obblighi attinenti, in particolare, alla
partecipazione dei parlamenti nazionali conformemente agli articoli 3 e 4 del protocollo (n. 1) e agli articoli
6 e 7 del protocollo (n. 2), nonché al requisito, imposto dall’art. 16, par. 8, TUE e dall’art. 15, par. 2,
TFUE, secondo cui il Consiglio si riunisce in seduta pubblica quando delibera e vota su un progetto di atto
legislativo»
Gli atti non legislativi
A parte le ipotesi, dianzi ricordate, di atti delegati e di atti di esecuzione, esistono numerosi altri casi nei
quali le procedure legislative non trovano applicazione.
1. Per alcune istituzioni (p.es. Consiglio europeo), o in talune materie (p.es. PESC), è esclusa
radicalmente la possibilità di adottare atti legislativi.

2. Specifiche disposizioni del TFUE (benché motto rare), non prevedono alcuna forma di
partecipazione del Parlamento europeo all'adozione di un atto da parte del Consiglio.

3. In alcuni casi, inoltre, l'atto, pur corrispondendo ad atti tipici dell'Unione, quali definiti dall'art. 288
TFUE (Cap. VII, par. 9 ss.), è adottato da istituzioni, e secondo procedure, del tutto particolari.
o P.es., la Banca centrale europea, nell'ambito delle proprie competenze, ha il potere esclusivo
di emanare regolamenti e decisioni (oltre che raccomandazioni e pareri).
o Un'altra procedura particolare può rinvenirsi nell'art. 155 TFUE, il quale prevede che, in
materia di politica sociale, possano essere conclusi contratti collettivi fra le parli sociali a
livello dell'Unione e che, a richiesta congiunta delle parti firmatarie, essi possano essere attuati
mediante norme (regolamenti e direttive) del Consiglio, su proposta della Commissione,
mentre il Parlamento è solo informato.
In tal caso è la rappresentatività delle parti sociali che, in assenza di un intervento del
Parlamento europeo, fornisce un carattere democratico al procedimento legislativo
(Tribunale, 1998).

LA PROPOSTA DELLA COMMISSIONE


L'art. 17, par. 2, TUE prescrive:
113

«Un atto legislativo dell'Unione può essere adottato solo su proposta della Commissione, salvo che 1
Trattati non dispongano diversamente. Gli altri atti sono adottati su proposta della Commissione se i
Trattati lo prevedono».
In casi molto rari un atto legislativo dell'Unione può essere adottato senza la proposta della Commissione:
Art. 289, par. 4, TFUE:
«4. Nei casi specifici previsti dai trattati, gli atti legislativi possono essere adottati su iniziativa di un gruppo
di Stati membri o del Parlamento europeo, su raccomandazione della Banca centrale europea o su richiesta
della Corte di giustizia o della Banca europea per gli investimenti».
Talvolta la proposta di soggetti diversi dalla Commissione, peraltro, è prevista in via alternativa rispetto
alla proposta della Commissione, che resta comunque possibile.
Un potere esclusivo di iniziativa sussiste, invece, a favore del Parlamento europeo
• per l'elaborazione di un progetto di disposizioni relative alla sua elezione e
• per l'emanazione di regolamenti sullo statuto e le condizioni generali per l'esercizio delle funzioni
dei suoi membri (art. 223 TFUE, rispettivamente par. 1 e par. 2, che prevedono un parere della
Commissione).
La sollecitazione del potere di iniziativa della commissione
Il potere d'iniziativa della Commissione può essere sollecitato
• dal Parlamento,
• dal Consiglio,
• da un milione di cittadini (art. 11, par. 4, TUE) e
• lo stesso Consiglio europeo può indicare alla Commissione temi sui quali formulare proposte e
criteri e principi ai quali attenersi.
• Eccezionalmente la proposta della Commissione può essere sollecitata da uno Stato membro (art.
135 TFUE).
La consultazione con Stati membri, parti sociali e gruppi di interesse (lobbies)
La proposta della Commissione viene preparata anche a seguito delle sue consultazioni con esperti degli Stati
membri, con gli ambienti sociali e i gruppi di interesse (quali associazioni di categorie economiche,
sindacati, rappresentanze di enti locali, ditte individuali, studi legali specializzati in materie dell'Unione
ecc.).
La Commissione, per evitare che le legittime sollecitazioni dei gruppi d'interesse possono assumere caratteri
anche di "aggressività" o degenerare in veri illeciti ha adottato varie misure, volte ad assicurare trasparenza
nei rapporti con i gruppi di interesse. In particolare, con l'iniziativa europea per la trasparenza, adottata dalla
Commissione con la comunicazione del 27 maggio 2008, è stata prevista l'iscrizione (su base volontaria) dei
rappresentanti di interessi in un registro della Commissione e la conseguente accettazione di un codice di
condotta elaborato dalla stessa Commissione.

L’emendamento della proposta da parte del Consiglio


Il potere esclusivo di proposta della Commissione è rafforzato dalla disposizione dell'art. 293, par. 1,
TFUE:
«1. Quando, in virtù dei trattati, delibera su proposta della Commissione, il Consiglio può emendare la
proposta solo deliberando all'unanimità, salvo nei casi …». Tuttavia il Consiglio ben può respingere una
proposta della Commissione.
114

➢ Tale regola tende ad accrescere l’autorità della proposta, presumibilmente espressione


dell’interesse generale rappresentato dalla Commissione, rendendo più difficile la sua
modificazione secondo gli interessi particolari degli Stati membri che si esprimono nel
Consiglio.
La modifica o il ritiro della proposta da parte della Commissione
Il ruolo determinante della Commissione nella fase della proposta è ulteriormente confermato dall'art. 293,
par. 2, TFUE:
«2. Fintantoché il Consiglio non ha deliberato, la Commissione può modificare la propria proposta in ogni
fase delle procedure che portano all'adozione di un atto dell'Unione».
Tale potere può essere esercitato
i) per tenere conto delle possibilità di consenso delle altre due istituzioni, ma anche
ii) per contrapporsi al Consiglio, per impedire l'adozione di un emendamento, non gradito alla stessa
Commissione, sul quale si profili il raggiungimento della unanimità nel Consiglio.
Per la Corte di giustizia (1988): «La Commissione può ritirare o modificare la sua proposta, finché il
Consiglio non si sia pronunciato, qualora in seguito ad una nuova valutazione degli interessi della
Comunità ritenga superflua l'adozione di provvedimenti».

PROCEDURA LEGISLATIVA ORDINARIA


La procedura legislativa ordinaria, consistente nell’adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o
di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, è regolata dall’art. 294 TFUE.
Nel procedimento di codecisione si realizza una pari potestà legislativa fra Parlamento Europeo e Consiglio,
conforme a quella duplice legittimità democratica che caratterizza il principio di democrazia
rappresentativa espresso dall’art. 10 TUE:
• EUROPEA: a livello del parlamento europeo;
• NAZIONALE: grazie alla responsabilità dei governi verso i parlamenti nazionali.
La Commissione invia una proposta, simultaneamente, al Parlamento europeo e al Consiglio.
La prima lettura
1. Il Parlamento adotta la sua posizione e la trasmette al Consiglio;
2. Il Consiglio approva l'atto, che è adottato;
3. in caso contrario il Consiglio adotta la sua posizione e la trasmette al Parlamento, informandolo
esaurientemente delle proprie motivazioni. Anche la Commissione informa esaurientemente il
Parlamento della sua posizione.
La seconda lettura
1. Entro tre mesi dalla comunicazione della posizione del Consiglio, il Parlamento:
a) può approvare l'atto (o non deliberare alcunché: silenzio assenso), che è adottato nel testo formulato
dal Consiglio;
b) può respingere la posizione del Consiglio a maggioranza dei suoi membri e l'atto si considera
definitivamente non adottato;
c) può proporre, sempre a maggioranza dei suoi membri, emendamenti e trasmettere l’atto emendato al
Consiglio ed alla Commissione, che formula in proposito un parere.

2. Entro tre mesi dal ricevimento dell’atto emendato, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata:
a) può approvare l'atto, che è adottato nel testo formulato dal Parlamento;
b) può respingere la posizione del Parlamento, nel qual caso il Presidente del Consiglio, d'intesa con il
Presidente del Parlamento, convoca entro sei settimane un comitato di conciliazione, composto dai
membri del Consiglio o dai loro rappresentanti e da altrettanti rappresentanti del Parlamento. Tale
comitato deve cercare di giungere a un accordo su un testo comune, approvato a maggioranza
115

qualificata dei membri (o loro rappresentanti) del Consiglio e a maggioranza dei rappresentanti del
Parlamento.
Il ruolo della Commissione
La Commissione, in veste di conciliatore, cerca di favorire un ravvicinamento fra le posizioni delle altre
due istituzioni.
In questa fase (come in quella successiva di eventuale adozione dell'atto) viene meno la regola secondo la
quale solo all'unanimità il Consiglio può modificare la proposta della Commissione, posto che il Consiglio
vota alla maggioranza qualificata.
Ciò denota che il cuore della procedura consiste precisamente nella ricerca di un atto condiviso tra il
Parlamento e il Consiglio, a prescindere dalla Commissione.
Il comitato di conciliazione
Sebbene il comitato di conciliazione si basi sulle posizioni del Parlamento e del Consiglio in seconda lettura,
per la giurisprudenza esso è libero di addivenire a qualsiasi soluzione (ampio potere discrezionale), al fine
di giungere ad un accordo su un progetto. Se entro sei settimane dalla sua convocazione il comitato di
conciliazione non approva un progetto comune, l’atto non è adottato.
La terza lettura
Se Il Comitato approva un progetto comune si avvia la "Terza lettura".
a) Se entro sei settimane il Parlamento (a maggioranza dei voti espressi) e il Consiglio (a maggioranza
qualificata) approvano il progetto comune, l’atto è adottato.
b) In mancanza di decisione (anche di una sola di tali istituzioni) l'atto si considera non adottato.
Si tenga presente che i termini di tre mesi e di sei settimane possono essere prorogati, rispettivamente, di un
mese e di due settimane, al massimo, su iniziativa del Parlamento europeo o del Consiglio.

Triloghi
Nella prassi, sono frequenti negoziati del tutto informali e riservati, denominati triloghi,
• si svolgono tra rappresentanti del Parlamento, del Consiglio e della Commissione alla
ricerca di orientamenti e posizioni comuni, che possano poi essere adottati formalmente nelle
sedi istituzionali della procedura legislativa.
Come è stato evidenziato anche dal Tribunale dell’Unione (sentenza del 22 marzo 2018, causa T-540/15,
De Capitani c. Parlamento europeo), le riunioni del trilogo rappresentano una prassi consolidata attraverso
cui è adottata la maggior parte dei testi legislativi e costituiscono, quindi, una fase decisiva del processo
legislativo.
Se l'iniziativa non compete alla Commissione
In questo caso, la Commissione non è esclusa dalla procedura, perché il Parlamento e il Consiglio le
trasmettono il progetto, accompagnato dalle loro posizioni in prima e in seconda lettura. Inoltre la
Commissione può formulare durante tutta la procedura un parere, su richiesta del Parlamento, del Consiglio,
o di propria iniziativa e, se lo reputa necessario, può partecipare al comitato di conciliazione, svolgendo in
esso le proprie funzioni conciliative.
116

PROCEDURE LEGISLATIVE SPECIALI

L'art. 289, par. 2, TFUE contempla anche la possibilità di procedure legislative differenti dalla codecisione
regolata dall'art. 294, qualificate come speciali:
«Nei casi specifici previsti dai Trattati, l'adozione di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da
parte del Parlamento europeo con la partecipazione del Consiglio o da parte di quest'ultimo con la
partecipazione del Parlamento europeo costituisce una procedura legislativa speciale».
In queste procedure legislative speciali è il Consiglio che, di norma, assume il potere decisionale, mentre è
estremamente rara l’ipotesi opposta, di adozione di un atto da parte del Parlamento con la partecipazione del
Consiglio:
• p.es., l'art. 223, par. 2, TFUE prevede che il Parlamento europeo stabilisca, mediante regolamenti,
lo statuto e le condizioni generali per l'esercizio delle funzioni dei suoi membri, comunque
subordinati all’approvazione del Consiglio.
Spesso si prevede che il Consiglio deliberi all’unanimità, accentuando la natura intergovernativa del
procedimento decisionale il cui risultato positivo è subordinato al raggiungimento di un’intesa tra i governi
degli Stati membri rappresentati nel Consiglio.
Se la decisione spetta al Consiglio, la partecipazione del Parlamento si esprime o con un parere o con un atto
di approvazione.
La consultazione/il parere obbligatorio del Parlamento
Nel caso del parere obbligatorio, non vincolante, il Consiglio è giuridicamente obbligato a chiedere al
Parlamento europeo il parere sul progetto di atto, presentato dalla Commissione, prima di assumere la
propria decisione.
In questa ipotesi rientrano numerose disposizioni del TFUE: al di là dell’elenco colpisce la rilevanza
politico-sociale di certe ipotesi (e.g. quelle concernenti i diritti dei cittadini dell’Unione e l’elezione del
Parlamento), nelle quali il rispetto del principio di democrazia avrebbe richiesto il riconoscimento di un
potere di codecisione del Parlamento, sembrando inadeguata la sua consultazione.
L'obbligo del Consiglio di consultare il Parlamento europeo comporta che, in caso di mancata consultazione,
l'atto eventualmente emanato dal Consiglio sia illegittimo per "violazione delle forme sostanziali" e può
essere dichiarato nullo dalla Corte di giustizia.
A riguardo, per la giurisprudenza:
a) il parere deve essere effettivamente dato dal Parlamento, in modo che il Consiglio possa tenerne conto,
giacché l'obbligo di consultazione non è adempiuto con la mera richiesta del parere;

b) La procedura di parere obbligatorio implica che il Parlamento venga consultato nuovamente (obbligo di
“riconsultazione”) ove l'originaria proposta sia stata sostanzialmente modificata ed è viziato l’atto diverso
quanto alla sua stessa sostanza da quello sul quale il Parlamento è già stato consultato.

c) nelle more della procedura di consultazione, il Consiglio può esaminare la proposta della Commissione,
purché non adotti la sua posizione definitiva prima di avere preso conoscenza del parere del Parlamento;
“un – tale – atteggiamento corrisponde all’intento di sfruttare il periodo durante il quale attendere il
parere del Parlamento al fine di curare la propria preparazione ed evitare quindi inutili ritardi”.

d) sia pure eccezionalmente, il Consiglio può emanare l'atto in assenza del parere del Parlamento qualora
quest’ultimo ritardi eccessivamente nel darlo.
117

Non può escludersi che il Parlamento usi il suo potere consultivo come arma di pressione verso il
Consiglio, al fine di indurlo a conformarsi alla propria posizione o, addirittura, impedire l’adozione
di un atto non gradito. (comportamento in contrasto con il principio di leale collaborazione, esteso
anche alle relazioni interistituzionali).
L’approvazione del Parlamento
L’altra forma di partecipazione del Parlamento europeo alle procedure legislative speciali è rappresentata
dalla sua approvazione della decisione del Consiglio.
L’approvazione comporta un potere determinante del Parlamento, il quale può impedire l’adozione dell’atto
esercitando una sorta di diritto di “veto”.
• Tale potere, peraltro, ha una natura esclusivamente negativa, potendo essere esercitato solo al fine
di impedire che l’atto in questione sia adottato.
118

LA CONCLUSIONE DI ACCORDI INTERNAZIONALI E LA COMPETENZA


DELL’UNIONE EUROPEA

Accanto alle norme di diritto internazionale generale (la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del
23 maggio 1969 e la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati conclusi con le organizzazioni
internazionali e tra organizzazioni internazionali del 21 marzo 1986), i Trattati pongono una propria
disciplina concernente
• la competenza a stipulare dell'Unione,
• il procedimento di stipulazione e il ruolo che in esso hanno le diverse istituzioni,
• gli effetti giuridici degli accordi nell'ordinamento dell'Unione.
Questa normativa, profondamente innovativa rispetto a quella vigente anteriormente al Trattato di Lisbona,
rappresenta in larga misura il riconoscimento normativo della giurisprudenza della Corte di Giustizia.

Il principio del parallelismo


Secondo tale principio, elaborato dalla giurisprudenza, ogni qual volta la Comunità avesse il potere di
adottare una normativa al proprio interno (l'intero ambito di applicazione del diritto comunitario) era
provvista anche del potere di concludere accordi internazionali.
La Corte di giustizia, infatti, sebbene l’art. 300 TCE sembrasse limitare la competenza della Comunità a
concludere accordi ai soli casi espressamente previsti dal Trattato («quando le disposizioni del presente
Trattato prevedano la conclusione di accordi tra la Comunità e uno o più Stati ovvero un'organizzazione
internazionale”) aveva già operato un’interpretazione evolutiva, giungendo ad affermare una competenza
generale della Comunità europea a concludere accordi internazionali in tutte le materie nelle quali avesse la
competenza a dettare norme sul piano interno.
a) Inizialmente, nella sentenza del 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione c. Consiglio (AETS,
Accordo europeo sul trasporto per strada), la Corte escludeva, in particolare, la possibilità che gli
Stati membri stipulassero accordi che potessero pregiudicare la normativa interna già adottata dalla
Comunità, sulla base del
i) riconoscimento della personalità internazionale della Comunità europea
ii) della teoria dei poteri impliciti e
iii) dell'obbligò di leale cooperazione tra gli Stati membri
(Massima: 1 . La comunità può stabilire dei rapporti contrattuali con gli stati terzi per l'intera gamma degli
scopi enunciati nel trattato. Questa competenza non è espressamente prevista dal trattato, ma può desumersi
anche da altre disposizioni del trattato e da atti adottati, in forza di queste disposizioni, dalle istituzioni
della comunità. In particolare, tutte le volte che, per la realizzazione di una politica comune prevista dal
trattato, la comunità ha adottato delle disposizioni contenenti, sotto qualsiasi forma, norme comuni, gli stati
membri non hanno più il potere, né individualmente, ne collettivamente, di contrarre con gli stati terzi
obbligazioni che incidano su dette norme o ne alterino la portata. Nell'attuare le disposizioni del trattato
non è possibile separare il regime dei provvedimenti interni alla comunità da quello delle relazioni esterne
[…]).
b) Successivamente, la Corte, ribadendo il parallelismo delle competenze, non riteneva più
necessaria, ai fini della competenza a concludere accordi, la previa emanazione di una normativa
interna e precisava, mediante diverse sentenze, che la possibilità di concludere accordi sussisteva
comunque quando la competenza interna poteva essere utilmente esercitata soltanto
contemporaneamente a quella esterna.
sentenza del 5 novembre 2002, causa C-476/98, Commissione c. Germania (e in altre sette sentenze dal
contenuto analogo, nel caso “cieli aperti”), la possibilità di concludere accordi ancor prima di emanare
norme interne è ammissibile solo nell’ipotesi «in cui la competenza interna può essere esercitata utilmente
119

soltanto contemporaneamente alla competenza esterna [...], quando cioè è necessaria la conclusione di un
accordo internazionale per realizzare determinati obiettivi del Trattato che non possono essere raggiunti
mediante l’instaurazione di norme autonome».
Il Trattato di Lisbona ha sostanzialmente recepito tale giurisprudenza.
L'art. 216, par. 1 TFUE, dichiara infatti:
«L'Unione può concludere un accordo con uno o più Paesi terzi o organizzazioni internazionali
i) qualora i Trattati lo prevedano o
ii) qualora la conclusione di un accordo sia necessaria per realizzare, nell'ambito delle politiche
dell'Unione, uno degli obiettivi fissati dai Trattati, o
iii) sia prevista in un atto giuridico vincolante dell'Unione, oppure
iv) possa incidere su norme comuni o alterarne la portata».
La norma in esame accoglie la teoria giurisprudenziale del parallelismo, prevedendo la competenza
dell’Unione quando stipulare accordi sia necessario
• per raggiungere un obiettivo fissato dai Trattati, nell’ambito delle politiche dell’Unione, quindi in
tutte le materie nelle quali l'Unione abbia il potere di emanare la propria normativa interna,
nonché
• quando la conclusione di un accordo sia idonea a incidere o modificare norme comuni già
emanate dall'Unione.

LA COMPETENZA ESCLUSIVA O CONCORRENTE DELL’UNIONE EUROPEA

Alla competenza dell'Unione a concludere accordi internazionali fa riferimento anche l'art. 3, par. 2, TFUE,
relativo, come si è visto (Cap. Ili, par. 4), alle competenze esclusive dell'Unione, in contrapposizione alle
competenze concorrenti e a quelle di sostegno, coordinamento o completamento dell'azione degli Stati
membri:
«2. L'Unione ha inoltre competenza esclusiva per la conclusione di accordi internazionali allorché tale
conclusione è prevista in un atto legislativo dell'Unione o è necessaria per consentirle di esercitare le sue
competenze a livello interno o nella misura in cui può incidere su norme comuni o modificarne la portata».
Da tale articolo la competenza a stipulare da parte dell’unione non appare esclusiva, in quanto comunque
condizionata.
“… tale conclusione è prevista in un atto legislativo dell'Unione”
In primo luogo, spesso le norme del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea prevedono
espressamente che la competenza dell'Unione a stipulare accordi internazionali non esclude quella
degli Stati membri (competenza concorrente). Pertanto la norma va interpretata nel senso che la
competenza dell'Unione è esclusiva quando l'atto che la prevede la configuri come tale.
Esempio: Dichiarazione relativa all'articolo 218 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea sulla
negoziazione e conclusione da parte degli Stati membri di accordi internazionali relativi allo spazio di
libertà, sicurezza e giustizia
«La conferenza conferma che gli Stati membri possono negoziare e concludere accordi con paesi terzi o
organizzazioni internazionali nei settori contemplati dalla parte terza, titolo V, capi 3, 4 e 5, purché detti
accordi siano conformi al diritto dell'Unione».
La competenza esclusiva ed il principio del parallelismo
L'art. 3, par. 2, può essere interpretato in maniera conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia, per
la quale la competenza, ed in particolare quella esclusiva, si basa sul principio del parallelismo.
120

• Dove la competenza interna dell'Unione sia esclusiva sarà pure esclusiva la sua competenza a
concludere accordi internazionali, salva la possibilità che la stessa Unione autorizzi gli Stati
membri (eventualmente in via transitoria) a concludere accordi.
• Nelle altre materie, di competenza concorrente, il potere dell'Unione di concludere accordi coesiste
con quello degli Stati membri, sebbene questi debbano esercitare i propri poteri in modo da non
compromettere i fini dell'Unione, secondo il principio della leale cooperazione.
“… nella misura in cui può incidere su norme comuni o modificarne la portata”
Anche nei casi in cui gli articoli dei Trattati prevedano una competenza a stipulare concorrente,
l'emanazione di disposizioni interne da parte dell'Unione estende la competenza esclusiva di quest’ultima a
stipulare accordi internazionali.
• (sentenza AETS del 31 marzo 1971 – i poteri degli Stati membri vengono progressivamente a
ridursi mano a mano che l’Unione emana norme interne nelle varie materie; gli Stati membri,
infatti, non possono assumere obblighi internazionali che incidano su tali norme, mentre i
corrispondenti poteri esterni si concentrano nelle mani dell’Unione.)
sebbene gli articoli dei Trattati prevedano una competenza a stipulare concorrente dell’Unione e degli
Stati membri, l’emanazione di disposizioni interne da parte dell’Unione trasforma progressivamente tale
competenza in esclusiva.
Infatti…
La giurisprudenza della Corte, pur con qualche incertezza di orientamento, ha finito per accogliere un
criterio alquanto ampio, tale da favorire il riconoscimento della competenza esclusiva dell'Unione.

i) Dopo che in alcune pronunce essa aveva richiesto – ai fini di un tale riconoscimento – la
realizzazione di una completa regolamentazione europea della materia in oggetto,

ii) La Corte ha mutato orientamento, dichiarando che l'esistenza di una competenza di natura esclusiva
può derivare non solo dal contesto normativo attuale, ma anche dalle prospettive di evoluzione
futura della disciplina dell'Unione.

Tale parere pur agevolando il riconoscimento di una competenza esclusiva dell'Unione, introduce fattori di
maggiore incertezza nella distinzione tra materie di competenza esclusiva e concorrente e, in definitiva,
nella ripartizione della competenza esterna fra l'Unione e gli Stati membri.

GLI ACCORDI MISTI

Appare chiaro come il quadro che risulta dalla giurisprudenza in merito alla distinzione tra le ipotesi di
competenza esclusiva o concorrente dell’Unione nella conclusione di accordi non è sempre nitido.
Inoltre, il contenuto degli accordi internazionali può riguardare diverse materie, rispettivamente rientranti
nella competenza a stipulare dell’unione e degli stati membri, nel qual caso è invalsa la prassi di stipulare
degli “accordi misti", i quali sono negoziati e sottoscritti sia dall'Unione che dagli Stati membri (e non
necessariamente tutti) e richiedono non solo una decisione dell'Unione, ma anche la ratifica degli Stati
membri.
Questa pratica elimina il problema di determinare la competenza ed assicura la valida stipulazione
dell'accordo.
Tale prassi derivava
i) anche dalla indisponibilità di Stati terzi (tipicamente, i Paesi socialisti) a riconoscere l'Unione (allora
Comunità europea) in quanto tale o,
ii) quanto meno, alla richiesta di tali Stati di avere quali contraenti anche gli Stati membri.
121

Successivamente tale prassi è stata voluta, invece, proprio dagli Stati membri, per “contrastare” la tendenza,
favorita dalla giurisprudenza AETS, ad un continuo ampliamento della competenza esclusiva dell'Unione.
Per la Corte di giustizia, «qualora risulti che la materia disciplinata da un accordo o da una convenzione
rientra in parte nella competenza della Comunità e in parte in quella degli Stati membri, occorre garantire
una stretta collaborazione tra questi ultimi e le istituzioni comunitarie tanto nel processo di negoziazione e
di stipulazione quanto nell'adempimento degli impegni assunti». (parere 2/91 del 19 marzo 1993).
Più di recente, una conferma della prassi degli accordi misti è stata data dalla Corte con il parere 2/15 del 16
maggio 2017
• la Corte ha affermato che un Accordo di libero scambio con Singapore doveva essere concluso in
forma congiunta dall’Unione e dagli Stati membri, perché́ , mentre numerose parti dell’Accordo
ricadevano nella competenza esclusiva dell’Unione, altre due parti (concernenti gli investimenti esteri
diversi da quelli diretti e la risoluzione delle controversie tra investitori e Stati) rientravano nella
competenza concorrente dell’Unione e degli Stati membri.
Di fatto la maggior parte degli accordi multilaterali dell’Unione corrispondono ad accordi misti.
[e.g. gli accordi di associazione, molti accordi sulle materie prime, gli accordi con i Paesi dell’Africa, dei
Carabi e del Pacifico (ACP) ecc. L’Unione è entrata a fare parte, accanto agli Stati membri, anche di
organizzazioni internazionali, quali la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e
l’agricoltura) e la OMC (Organizzazione mondiale del commercio)].
Problematiche connesse agli accordi misti
1. La necessità della ratifica degli Stati membri può implicare notevoli ritardi,
o tanto che solitamente gli accordi misti prevedono la loro applicazione in via provvisoria.

2. La ripartizione dei diritti e degli obblighi nascenti dall'accordo misto tra l'Unione e gli Stati
membri.
o Problemi di coordinamento tra l’Unione e gli stati membri in fase di esecuzione dell'accordo
trovano spesso soluzione in un accordo interno tra la stessa Unione e tali Stati.
Accordi tra soli Stati
Sebbene la materia oggetto dell'accordo rientri nella competenza, persino esclusiva, dell'Unione, la
partecipazione di quest'ultima può essere preclusa dal fatto che l'accordo sia aperto solo a Stati, non anche ad
organizzazioni internazionali.
La Corte ha affermato che in questi casi la competenza a stipulare, appartenente all'Unione, sia esercitata
dagli Stati membri nell’interesse dell'Unione.
• Nella prassi è frequente che il Consiglio, con una propria decisione, autorizzi gli Stati membri a
firmare o a ratificare, nell'interesse dell'Unione, convenzioni rientranti nella competenza della stessa,
ma alle quali non può partecipare, perché aperte solo a Stati.

LA PROCEDURA DI STIPULAZIONE DEGLI ACCORDI DELL’UNIONE EUROPEA E I


LORO EFFETTI GIURIDICI. IL PARERE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA

Salve le disposizioni particolari relative agli accordi commerciali ex art. 207 TFUE ed agli accordi in
materia di cambi e regime monetario o valutario ex art. 219 TFUE, gli accordi tra l'Unione e i paesi terzi o
le organizzazioni internazionali sono negoziati e conclusi secondo la procedura prevista dall’art. 218
TFUE.

Il Consiglio
122

Il Consiglio “autorizza l'avvio dei negoziati, definisce le direttive di negoziato, autorizza la firma e conclude
gli accordi”.
Esso designa, in funzione della materia dell’accordo, il negoziatore o il capo della squadra di negoziato, che
agisce sotto il controllo del Consiglio medesimo, il quale può impartirgli direttive e designare un comitato
speciale che deve essere consultato nella conduzione dei negoziati.
La decisione di concludere l’accordo spetta al Consiglio, competente a stipulare in nome dell’Unione, su
proposta del negoziatore.
Il Consiglio, nel corso della procedura, delibera le proprie decisioni a maggioranza qualificata, salvo i
casi particolari per i quali è specificamente prescritta l’unanimità.
Il Consiglio può attribuire una limitata competenza a stipulare al negoziatore, abilitandolo ad approvare a
nome dell'Unione le modifiche dell'accordo se quest'ultimo ne prevede l'adozione con una procedura
semplificata o da parte di un organo istituito dall'accordo stesso. Il Consiglio correda eventualmente questa
abilitazione di condizioni specifiche.
La formazione dei trattati internazionali in materia di politica commerciale, ex art. 207 TFUE, prevede
alcune peculiarità concernenti il ruolo del Consiglio.
La Commissione
La Commissione (l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ove
l'accordo riguardi esclusivamente o principalmente la politica estera e di sicurezza comune) dà impulso
all’avvio dei negoziati formulando raccomandazioni al Consiglio, sulla cui base questo adotta la decisione
che autorizza l'avvio dei negoziati.
Una parziale competenza a formulare accordi a nome dell’Unione può essere riconosciuta alla
Commissione, relativamente agli accordi per fare riconoscere i lasciapassare dei membri e degli agenti delle
istituzioni europee.
Inoltre, la Commissione (l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, in
materia di politica estera e di sicurezza comune) può stipulare accordi, di carattere amministrativo e
organizzativo, in attuazione dell’art. 220 TFUE, che prevede la cooperazione dell’Unione con gli organi e
le strutture specializzate delle Nazioni Unite, l’OSCE, l’OCSE, nonché l’assicurazione di collegamenti con
altre organizzazioni internazionali.
La Commissione ha tentato, in passato, di affermare la propria competenza a stipulare i Trattati in materia di
concorrenza, richiamando in via analogica il principio del parallelismo (per il quale sussiste la competenza
dell’Unione alla stipula dei trattati internazionali in tutti i settori nei quali ad essa compete l’emanazione
delle disposizioni nel piano interno), ed ha stipulato un accordo “amministrativo” con gli Stati Uniti, nel
1991, sull’applicazione del rispettivo diritto della concorrenza.
• La Corte di Giustizia ha dichiarato invalido tale accordo, in quanto la competenza riconosciuta
alla Commissione in materia di concorrenza, nell’ambito dell’Unione, non giustifica la modifica della
ripartizione delle competenze tra le istituzioni dell’Unione in materia di conclusione di accordi
internazionali.
Competenze ulteriori spettano alla Commissione in relazione alla formazione degli accordi internazionali
in materia di politica commerciale, ex art. 207 TFUE.
• In questo caso, i negoziati sono condotti dalla Commissione, previa autorizzazione del Consiglio, in
consultazione con un comitato speciale designato dal Consiglio per assisterla in tale compito e nel
quadro delle direttive che il Consiglio può impartirle. La Commissione riferisce periodicamente al
comitato speciale e al Parlamento sui progressi dei negoziati. Spetta al Consiglio e alla Commissione
adoperarsi affinché gli accordi negoziati siano compatibili con le politiche e norme interne dell'Unione.
123

La Commissione, inoltre, è associata a pieno titolo ai negoziati relativi agli accordi su un (eventuale)
sistema dei tassi di cambio, nonché in materia di regime monetario o valutario con uno o più Stati terzi
o organizzazioni internazionali, di cui all’art. 219 TFUE, le cui modalità di negoziazione e conclusione
sono stabilite dal Consiglio, in deroga all’art. 218 TFUE, su raccomandazione della Commissione medesima
e previa consultazione della Banca centrale europea.
Il Parlamento
1. Il Parlamento europeo deve essere immediatamente e pienamente informato in tutte le fasi della
procedura di formazione degli accordi internazionali (art. 218, par. 10 TFUE).

2. Inoltre, esso viene esaurientemente informato dalla Commissione, ancor prima dell’apertura dei
negoziati, sulla proposta del mandato a negoziare, e

3. può chiedere al Consiglio (su proposta della commissione competente o di almeno 40 deputati) di
non autorizzare l’apertura dei negoziati fino a che il Parlamento medesimo non si sia
pronunciato su tale proposta;

4. inoltre, in ogni fase dei negoziati il Parlamento può adottare raccomandazioni.


Allorché i negoziati sono conclusi, ma prima della firma di un accordo internazionale, il progetto di
accordo deve essere sottoposto al Parlamento per parere (consultazione obbligatoria) o approvazione.
Ai sensi dell’art. 218, par. 6, è richiesta l’approvazione del Parlamento nei seguenti casi:
i) accordi di associazione;

ii) accordo sull'adesione dell'Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali;

iii) accordi che creano un quadro istituzionale specifico organizzando procedure di cooperazione;

iv) accordi che hanno ripercussioni finanziarie considerevoli per l'Unione;

v) accordi che riguardano settori ai quali si applica la procedura legislativa ordinaria oppure la
procedura legislativa speciale qualora sia necessaria l'approvazione del Parlamento europeo.
In tutti gli altri casi, la conclusione dell’accordo da parte del Consiglio è subordinata alla consultazione
obbligatoria del Parlamento, che tuttavia deve formulare il proprio parere entro il termine fissato dal
Consiglio in funzione dell’urgenza, trascorso il quale quest’ultimo può comunque deliberare.
La competenza della corte di giustizia
Il Parlamento europeo, il Consiglio o la Commissione, nonché uno Stato membro, possono domandare il
parere della Corte di giustizia circa la compatibilità di un accordo previsto con i trattati.
• In caso di parere negativo della Corte, l'accordo previsto non può entrare in vigore, salvo
modifiche dello stesso o revisione dei trattati.
In base all'art. 107, par. 2, del Regolamento di procedura della Corte, il parere può riguardare
• tanto la compatibilità con le disposizioni dei Trattati di un accordo progettato
• quanto la competenza dell'Unione o delle sue istituzioni a concludere tale accordo.
Un accordo dell'Unione, dunque,
• da un lato non può essere stipulato se incompatibile con i Trattati,
• dall'altro non ha la forza giuridica di modificare i Trattati stessi.
124

Come la Corte di giustizia ha ribadito nel parere 1/09 dell’8 marzo 2011 sul progetto di Accordo relativo
alla creazione di un sistema unico di risoluzione delle controversie in materia di brevetti, l’art. 218, par. 11,
TFUE
«mira a prevenire le complicazioni che deriverebbero da controversie giudiziarie riguardanti la
compatibilità con i Trattati di accordi internazionali che impegnino l’Unione».
parere 2/13 del 18 dicembre 2014 concernente il progetto di accordo sull’adesione dell’Unione europea alla
Convenzione europea dei diritti dell’uomo
«Infatti, una decisione giurisdizionale che eventualmente constatasse, dopo la conclusione di un accordo
internazionale vincolante per l’Unione, che quest’ultimo è, per il suo contenuto o per la procedura seguita
ai fini della sua conclusione, incompatibile con le disposizioni dei Trattati, non mancherebbe di far sorgere
serie difficoltà non solo a livello interno all’Unione, ma anche sul piano delle relazioni internazionali, e
rischierebbe di danneggiare tutte le parti interessate, ivi compresi gli Stati terzi».
Frequentemente la Corte è chiamata a rendere il suo parere proprio sulla competenza dell'Unione nei
rapporti con la competenza a stipulare degli Stati membri.
Sebbene la competenza della Corte si esprima con un parere, esso vincola le istituzioni, infatti, ove la
Corte accerti l'incompatibilità dell'accordo con i Trattati, esso può essere concluso solo dopo averlo mo-
dificato, o dopo avere modificato gli stessi Trattati, mediante la procedura ordinaria.
Gli effetti giuridici degli accordi internazionali
Per quanto riguarda gli effetti giuridici degli accordi internazionali dell'Unione, l'art. 216, par. 2, TFUE,
dispone:
«Gli accordi conclusi dall’Unione vincolano le istituzioni dell'Unione, e gli Stati membri».
Sulla base di tale norma tali accordi – oltre ad obbligare l'Unione nei confronti degli altri contraenti in base
alla norma di diritto internazionale generale “pacta sunt servanda” – entrano a far parte integrante
dell'ordinamento dell'Unione, vincolando le istituzioni e gli Stati membri a rispettarli nello svolgimento delle
proprie funzioni.
• L'efficacia di tali accordi nell'ordinamento dell'Unione non richiede alcun atto da parte
dell'Unione di adattamento o di esecuzione, ma avviene in maniera immediata e automatica,
non appena l’accordo entra in vigore sul piano internazionale (salva l'eventuale necessità di atti
dell'Unione di applicazione, ove l'accordo non contenga una disciplina completa ed autosufficiente).

• L'obbligatorietà degli accordi conclusi dall'Unione anche per gli Stati membri determina una
efficacia degli stessi per tali Stati, senza bisogno di alcun atto statale di firma o di ratifica (salvi,
ovviamente, gli accordi misti), né di atti statali di adattamento o di esecuzione al proprio interno.
Anche se in dottrina si dubita che la conclusione di accordi dell'Unione implichi la nascita di obblighi degli
Stati membri, secondo la Corte di giustizia tali obblighi sussistono non ai sensi del diritto internazionale,
bensì in virtù della disposizione del citato art. 216, par. 2.
L’esecuzione di un trattato rappresenterebbe l’adempimento di un “obbligo interno” derivante dal
diritto dell’Unione del quale lo stesso accordo è “parte integrante”.
125

CAPITOLO VII
LE FONTI DELL’ORDINAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA
CARATTERI GENERALI
L’ordinamento giuridico dell’Unione è riconducibile a una pluralità di fonti:
Fonti primarie e fonti derivate
Sono fonti primarie
• il Trattato sull'Unione europea e
• il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea,
• inclusi i protocolli e gli allegati ai Trattati i quali, come espressamente dichiara l'art. 51 TUE "ne
costituiscono parte integrante".
Le dichiarazioni (degli Stati parti o delle istituzioni) allegate ai Trattati hanno, invece, valore essenzialmente
interpretativo.
• Fonti primarie sono anche gli accordi di adesione di nuovi Stati membri: nonché le disposizioni ivi
contenute.
Le fonti di diritto derivato sono stabilite dai Trattati (in prevalenza TFUE) e sono gli atti obbligatori emanati
dalle Istituzioni: regolamenti, direttive e decisioni.
Le fonti di diritto derivato sono subordinate alle fonti primarie, questa subordinazione deriva
a. sia, in generale, dai principi generali concernenti i rapporti fra i trattati istitutivi di organizzazioni
internazionali e le fonti da essi previste (che non possono derogare i trattati istitutivi);
b. sia, in particolare, dagli stessi Trattati. Infatti, ai sensi dell’Art. 263, 2° comma, TFUE gli atti
dell’Unione sono suscettibili di annullamento per “violazione dei Trattati”.
Sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. Alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia è da ritenere
che il rango subordinato degli atti europei comporti un dovere di interpretarli in armonia con i Trattati e,
in particolare, con i diritti fondamentali e i principi generali del diritto dell’Unione:
«Secondo una giurisprudenza costante, gli Stati membri sono tenuti [...] a fare in modo di non basarsi su
un’interpretazione di norme di diritto derivato che entri in conflitto con i diritti fondamentali tutelati
dall’ordinamento giuridico dell’Unione o con gli altri principi generali del diritto dell’Unione»
Sentenza del 19 settembre 2013, Commissione c. Strack «secondo un principio ermeneutico generale, un
atto dell’Unione deve essere interpretato, nei limiti del possibile, in modo da non inficiare la sua validità̀̀ e
in conformità con il diritto primario nel suo complesso e, in particolare, con le disposizioni della Carta»
Le fonti derivate: gli atti tipici
Non esiste, di regola, una gerarchia tra fonti di diritto derivato,
≠ salvo il caso di atti delegati di portata generale (subordinati all'atto legislativo contenente la delega,
ex art. 290 TFUE) e atti che siano esecutivi di un altro (subordinati all'atto vincolante attributivo
alla Commissione - o al Consiglio - della competenza di esecuzione, ex art. 291 TFUE).
Gli atti tipici dell’Unione (regolamenti, direttive, decisioni) sono quindi sullo stesso piano:
a. sia che costituiscano atti a portata generale, come i regolamenti,
b. sia che rappresentino atti particolari, diretti a specifici destinatari, come spesso le decisioni.
Ancora, Nessuna distinzione, quanto alla loro forza giuridica,
126

a. tra atti adottati con la procedura legislativa ordinaria,


b. atti adottati con procedure legislative speciali e
c. atti emanati dal Consiglio senza neppure l’obbligo di consultare il Parlamento europeo.
Gli atti atipici, gli accordi internazionali, i principi generali
Si tratta delle ulteriori fonti del diritto dell’Unione, la cui connotazione gerarchica non è agevole, specie
riguardo ai principi generali, i quali sono una creazione della giurisprudenza europea e rappresentano -
come vedremo (oltre, par. 4) - una categoria alquanto eterogenea, che neppure la Corte di giustizia ha
precisamente "sistemato" nella cornice dell'ordinamento dell'Unione.

I TRATTATI SULL’UNIONE EUROPEA E SUL FUNZIONAMENTO DELL’UNIONE


EUROPEA
I Trattati, da un punto di vista formale, sono accordi internazionali, soggetti, in principio, alle regole di
diritto internazionale generale concernenti la conclusione, la validità, l'efficacia dei trattati.
La Corte, tuttavia, si riferisce di frequente ai Trattati come fossero la “costituzione dell’Unione, in quanto
quest’ultima “è una comunità di diritto, nel senso che né gli stati che ne fanno parte né le sue istituzioni
sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti alla carta costituzionale di base costituita dal
Trattato”.
Analogamente, nel parere del 14 dicembre 1991, la Corte ha ribadito: «Il Trattato CEE, benché sia stato
concluso in forma d'accordo internazionale, costituisce la carta costituzionale di una comunità di diritto».
Ancora, nel più recente parere 1/17 del 30 aprile 2019 relativo all’Accordo CETA UE-Canada, La Corte di
giustizia ha precisato che nell’ordinamento costituzionale dell’Unione rientrano
«i valori fondatori enunciati nell’art. 2 TUE, ai sensi del quale l’Unione ‘si fonda sui valori del rispetto
della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei
diritti umani’, i principi generali del diritto dell’Unione, le disposizioni della Carta, nonché́ le disposizioni
dei Trattati UE e FUE, che contengono, segnatamente, le norme sull’attribuzione e la ripartizione delle
competenze, le norme sul funzionamento delle istituzioni dell’Unione e del sistema giurisdizionale di
quest’ultima, nonché́ le norme fondamentali nei settori specifici, strutturate in modo da contribuire alla
realizzazione del processo di integrazione (…)».
Gli atti costitutivi delle Organizzazioni Internazionali
Tale impostazione, con riferimento ai trattati costitutivi delle O.I., è generalmente accettata e ribadita anche
dalla Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite:
«Da un punto di vista formale, gli atti costitutivi di organizzazioni internazionali sono dei trattati
multilaterali, ai quali si applicano le regole stabilite di interpretazione dei trattati [...]. Gli atti costitutivi di
organizzazioni internazionali sono anche dei trattati di tipo particolare; essi hanno per oggetto di creare dei
nuovi soggetti di diritto, dotati di una certa autonomia, ai quali le parti affidano quale compito la
realizzazione di fini comuni. Tali trattati possono porre dei problemi specifici d'interpretazione a causa, in
particolare, del loro carattere sia convenzionale che istituzionale» (parere dell'8 luglio 1996 relativo alla
liceità dell'uso delle armi nucleari, richiesto dall'Organizzazione mondiale della sanità).
Il trasferimento di sovranità e l’efficacia nei confronti dei cittadini
Il carattere costituzionale dei Trattati relativi all'Unione europea è accentuato, perché - come la Corte ha
affermato sin dalla celebre sentenza del 5 febbraio 1963, causa 26/62, Van Gend en Loos - essi hanno dato
vita a un ente sopranazionale a favore del quale gli Stati membri hanno rinunciato, anche se in settori
limitati, ai loro poteri sovrani e il cui ordinamento giuridico riconosce come soggetti non soltanto gli Stati
membri, ma anche i loro cittadini.
127

Le regole interpretative dei Trattati


I caratteri propri dei suddetti Trattati si riflettono sulle regole interpretative degli stessi.
La corte ha affermato i seguenti metodi interpretativi:
• La teoria dei poteri impliciti: l’Unione e le sue istituzioni devono ritenersi provviste non solo dei
poteri espressamente previsti dai Trattati, ma anche di quelli ulteriori che siano necessari per
esercitare nella maniera più̀ efficace i poteri espressi o per realizzare compiutamente i fini
dell’Unione.

• Il metodo storico-evolutivo, per il quale le norme appartenenti al diritto dell'Unione vanno


interpretate tenendo conto dello stadio di evoluzione di tale diritto, su base sistematica e teleologica
«Ogni disposizione di diritto comunitario [oggi dell’Unione] va ricollocata nel proprio contesto e
interpretata alla luce dell’insieme delle disposizioni del suddetto diritto, delle sue finalità, nonché del suo
stadio di evoluzione al momento in cui va data applicazione alla disposizione di cui trattasi» (sentenza del 6
ottobre 1982, causa 283/81, CILFIT).
o la sentenza richiama anzitutto l’interpretazione sistematica (“alla luce delle disposizioni
del suddetto diritto”)
o quella teleologica (“delle sue finalità”), le quali possono considerarsi congeniali a qualsiasi
trattato internazionale (e a qualsiasi norma giuridica
o l’interpretazione evolutiva (“del suo stadio di evoluzione”) si collega più da vicino alla
configurazione del diritto dell’Unione come ordinamento di un ente che opera e si evolve
in un contesto storico mutevole.
Inoltre, la Corte ha avuto modo di ricordare che:
«anche la genesi di una disposizione del diritto dell’Unione può fornire elementi pertinenti per la sua
interpretazione» (sentenza del 3 ottobre 2013, Inuit Tapiriit Kanatami e altri c. Parlamento e Consiglio)
• pertanto elementi utili per l’interpretazione possono ricavarsi dai lavori preparatori (interpretazione
secondo la mens legis)
inoltre, sul piano interpretativo, va ricordato che
• il diritto dell’Unione deve essere interpretato in maniera uniforme, nell’intera area europea, e
autonoma, rispetto al significato che una sua disposizione potrebbe avere nel diritto di uno Stato
membro
«Occorre [...] ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, dalle esigenze tanto
dell’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto del principio d’uguaglianza discende che una
disposizione di diritto dell’Unione che non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri
per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata deve normalmente dar luogo,
nell’intera Unione, ad un’interpretazione autonoma ed uniforme [...].
Va, al riguardo, ricordato che la determinazione del significato e della portata dei termini per i quali il
diritto dell’Unione non fornisce alcuna definizione va operata segnatamente tenendo conto del contesto in
cui essi sono utilizzati e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui fanno parte».
Il riconoscimento di principi “super-costituzionali” (artt. 2 e 19)
Parere 1/91 del 14 Dicembre 1991: qui la Corte, premesso che un accordo di associazione non potrebbe
creare un sistema giurisdizionale pregiudizievole per le competenze della Corte (risultanti dall’attuale art. 19
TUE), di fronte all’eventualità di modificare il Trattato in modo da consentire un siffatto sistema, ha escluso
tale possibilità:
128

“Una modifica nel senso indicato […] non potrebbe sanare l’incompatibilità del sistema giurisdizionale
previsto dall’accordo con il diritto comunitario”.
Parrebbe che, secondo la Corte, il principio risultante dall’art. 19, concernente il ruolo stesso della Corte,
sarebbe un principio fondamentale immodificabile.
Sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation: la Corte ha affermato che le
norme dei Trattati:
“non possono essere intese nel senso che autorizzano una deroga ai principi di libertà, di democrazia,
nonché di rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sanciti dall’art. 6, n. 1, UE [oggi art. 2
TUE] quale fondamento dell’Unione.”
E che non si potrebbe
“infatti in alcun caso consentire di mettere in discussione i principi che fanno parte dei fondamenti stessi
dell’ordinamento giuridico comunitario, tra i quali quello della tutela dei diritti fondamentali, che include il
controllo, ad opera del giudice comunitario, della legittimità degli atti comunitari quanto alla loro
conformità a tali diritti fondamentali”
Alla luce di tali pronunce
a. i “valori” di cui all’attuale art. 2 TUE e
b. i principi sulle competenze della Corte di giustizia dell’Unione europea
vengono a collocarsi in una posizione gerarchicamente sovraordinata rispetto al complesso delle disposizioni
dei Trattati, precludendo,
o da un lato, ogni modifica dei Trattati,
o dall’altro, l’applicazione di accordi internazionali preesistenti, che possano pregiudicare i valori e i
principi in questione.
Tuttavia, non vi è dubbio che, nella misura in cui i principi “super-costituzionali” coincidessero con norme
inderogabili del diritto internazionale generale (ius cogens), non sarebbero in alcun modo modificabili,
anche con i procedimenti di revisione di cui all’art. 48 TUE, pena la nullità delle disposizioni eventualmente
adottate mediante tali procedimenti.

L’EFFICIACIA DIRETTA DELLE DISPOSIZIONI DEI TRATTATI


Qualora le disposizioni dei Trattati abbiano un contenuto
• chiaro,
• preciso e
• incondizionato,

esse sono munite di efficacia diretta ed attribuiscono agli individui diritti che essi possono esercitare in
ambito UE e dinanzi ai tribunali statali.
L'attribuzione diretta e immediata di diritti, esercitabili, se necessario, dinanzi ai giudici nazionali [con il
divieto di introdurre nuovi dazi doganali o tasse di effetto equivalente nel commercio tra gli Stati membri (si poneva la
questione se l’art. 12 del Trattato sulla Comunità economica europea , attribuisse ai singoli dei diritti soggettivi (di non
pagare tali tributi o di ottenerne la restituzione, se già pagati) che il giudice nazionale avesse il dovere di tutelare .] fu
riconosciuta per la prima volta nel citato caso Van Gend en Loos.
• «[L’art. 12] pone un divieto chiaro e incondizionato che si concreta in un obbligo non già di
fare, bensì di non fare. A questo obbligo non fa riscontro alcuna facoltà degli Stati di
subordinarne l’efficacia all’emanazione di un provvedimento di diritto interno. Il divieto
dell’art. 12 [oggi 30 TFUE] è per sua natura perfettamente atto a produrre direttamente degli
effetti sui rapporti giuridici intercorrenti fra gli Stati membri ed i loro amministrati. Per la sua
attuazione, quindi, l’art. 12 non richiede interventi legislativi degli Stati».
129

• “La vigilanza dei singoli, interessati alla salvaguardia dei loro diritti, costituisce d’altronde un
efficace controllo che si aggiunge a quello che gli articoli 169 e 170 affidano alla diligenza
della Commissione e degli Stati membri.”
• “Dalle considerazioni che precedono emerge che, secondo lo spirito, la struttura ed il tenore del
Trattato, l’art. 12 ha valore precettivo ed attribuisce ai singoli dei diritti soggettivi che i giudici
nazionali sono tenuti a tutelare».
L’efficacia diretta, dunque, rappresenta
• Non solo un mezzo per rafforzare la tutela dei singoli, i quali non sono legittimati a promuovere un
giudizio di infrazione a livello giudiziario europeo, in caso di violazione dei propri diritti da parte
degli Stati membri;
• ma anche uno strumento ulteriore di garanzia di rispetto del diritto dell’Unione, nell’interesse
della stessa Unione europea.
Il giudice nazionale si pone, così, quale giudice "naturale" dell'applicazione del diritto dell'Unione,
tutte le volte in cui questo sia destinato ad operare in maniera diretta e immediata negli ordinamenti
degli Stati membri, e, in un certo senso, quale primo garante di tale effettiva applicazione.
Naturalmente, determinare se una disposizione dei Trattati abbia efficacia diretta è questione
interpretativa, che riguarda
a. il contenuto chiaro, preciso e incondizionato della disposizione,
b. la sua idoneità̀ a conferire diritti soggettivi ai singoli.
Sotto questo profilo, peraltro, sin dalla sentenza Van Gend en Loos la Corte ha più volte chiarito che il fatto
che una disposizione si diriga formalmente agli Stati membri, imponendo loro un obbligo, non esclude
affatto che essa attribuisca un corrispondente diritto ai singoli.
Secondo la Corte, infatti,
«si deve ritenere che questi [diritti soggettivi] sussistano, non soltanto nei casi in cui il Trattato
espressamente li menziona, ma anche come contropartita di precisi obblighi imposti dal Trattato ai singoli,
agli Stati membri o alle istituzioni comunitarie [oggi dell’Unione]».
Il Trattato di Lisbona ha dato un ulteriore riconoscimento normativo al principio della efficacia diretta
stabilendo, nell'art. 19, par. 1, 2° comma, TUE: «Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali
necessari per assicurare una. tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione».
l’efficacia diretta può essere riconosciuta non solo alle disposizioni dei Trattati ma anche gli atti ad essi
equiparati (Carta dei diritti fondamentali).
Distinzione tra applicabilità diretta ed efficacia diretta
Sebbene nella giurisprudenza della Corte di giustizia i termini di applicabilità diretta ed efficacia diretta
vengono usati spesso promiscuamente e in pratica, sovente, i due concetti tendano a sovrapporsi, si
deve distinguere
Differenze su piano concettuale:
L’APPLICABILITÀ DIRETTA L’EFFICACIA DIRETTA
qualità oggettiva della disposizione attiene al profilo soggettivo
dipende dal contenuto “autosufficiente” – “self- si sostanzia nell’attribuzione ai singoli di un diritto
executing” – della disposizione (che essa abbia un azionabile direttamente dinanzi ai giudici nazionali.
contenuto chiaro, preciso e incondizionato) ma
tende a mettere in luce la non necessità di un
provvedimento statale di attuazione.
130

Differenza sul piano pratico: talvolta la disposizione, pur essendo applicabile senza necessità di atti di
esecuzione (quindi direttamente applicabile), non tende ad attribuire diritti ai singoli, ma, per esempio, solo
obblighi agli Stati, o alle stesse persone fisiche e giuridiche, e non è, pertanto, produttiva di effetti diretti.
Gli effetti diretti verticali
L'efficacia diretta di una disposizione dei Trattati opera anzitutto nei rapporti tra i singoli e gli Stati membri,
o altri enti pubblici.
Tale effetto diretto sorge
a. sia nei casi in cui espressamente i Trattati attribuiscono ai singoli un diritto che gli Stati sono
tenuti a rispettare,
b. sia nell'ipotesi in cui il diritto soggettivo sia riconoscibile implicitamente in corrispondenza ad un
obbligo diretto formalmente agli Stati membri. À
Nel caso in cui la P.A. si rifiuti di soddisfare il diritto in questione, l’interessato può ottenerne la tutela
giudiziale.
Gli effetti diretti orizzontali
Le disposizioni dei Trattati sono invocabili anche nei rapporti tra privati.
Nella giurisprudenza della Corte di giustizia tale efficacia diretta orizzontale è stata più volte riconosciuta in
materia di libera circolazione dei lavoratori subordinati, in maniera particolarmente ampia rispetto
all'attuale art. 45 TFUE. Per la Corte, la circostanza che determinate disposizioni del Trattato si rivolgano
formalmente agli Stati membri non esclude che, al tempo stesso, vengano attribuiti dei diritti ai singoli
interessati all'osservanza di tali disposizioni [...]. La Corte ha così concluso, quanto ad una disposizione del
Trattato avente natura imperativa, che

“il divieto di discriminazione riguarda del pari tutti i contratti che disciplinano in modo collettivo il lavoro
subordinato, come pure i contratti fra privati [...]”.
Il riconoscimento di effetti diretti orizzontali comporta che le disposizioni in questione conferiscano non
solo diritti ai singoli, ma anche obblighi.
Va notato, infine, che l'individuazione di effetti diretti orizzontali dipende dall'interpretazione della
disposizione considerata.
ove una disposizione dei Trattati abbia un contenuto chiaro, preciso e incondizionato e sia diretta a
conferire un diritto soggettivo, si ritiene che, in principio, detta disposizione riconosca tale
diritto anche nei rapporti fra privati, in quanto non parrebbe giustificato un diverso trattamento a
seconda che la controparte sia uno Stato (o, in genere, una pubblica autorità) o un privato.

I PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA


I principi elaborati dalla Corte di giustizia (origine pretoria), sono fonti non scritte e costituiscono principi
autonomi dell'ordinamento dell'Unione, destinati ad operare, di regola, nell'ambito generale del diritto
dell'Unione, non già in una materia limitata.
≠ Non ci riferiamo a quei principi contenuti in espresse disposizioni dei Trattati: Tali principi, per
quanto generali o fondamentali, sono già vigenti come diritto primario.
o il principio di sussidiarietà (art. 5, par. 3, TUE),
o il principio di non discriminazione in base alla nazionalità (art. 18 TFUE),
o il principio di libera circolazione delle merci (art. 28 ss. TFUE), o delle persone (art. 45 ss.
TFUE),
o il principio di solidarietà
✓ tra le generazioni (art. 3, par. 3, 2° comma, TUE),
✓ tra gli Stati membri (art. 3, par. 3, 3° comma, TUE e art. 122 TFUE)
131

✓ in materia di politica economica, e art. 222 TFUE,


✓ c.d. clausola di solidarietà, riferita anche ai rapporti tra l’Unione e gli Stati membri),
✓ tra i popoli (art. 3, par. 5, TUE),
✓ nel settore energetico (art. 194 TFUE),
Principio di solidarietà “e alla base di tutto il sistema dell’Unione” (Tribunale, 10
settembre 2019, causa T-883/16, Polonia c. Commissione).

≠ Non ci riferiamo all’art. 340, 2° comma, TFUE, che espressamente richiama i principi generali
comuni agli Stati Membri: la quale fa riferimento ai principi statali in settori particolari e limitati.
Sono il risultato di varie metodologie utilizzate dalla giurisprudenza sostanzialmente creativa della Corte
di Giustizia.
Principi derivanti dai caratteri dell’ordinamento UE
Alcuni principi sono dichiarati dalla Corte sulla base di una riflessione che essa compie in merito ai caratteri
propri dell'ordinamento dell'Unione.
1. PRINCIPIO DELL’EFFETTO DIRETTO
Esemplare, in tal senso, è la ricordata sentenza Van Gend en Loos, con la quale la Corte, dopo avere
analizzato e messo in luce le peculiarità dell’ordinamento UE quale "ordinamento giuridico di nuovo genere
nel campo del diritto internazionale", deduce il principio dell’effetto diretto.
2. PRINCIPIO DEL PRIMATO DEL DIRITTO DELL’UNIONE
Un altro fondamentale principio legato ai caratteri propri dell'ordinamento dell'Unione è quello del primato
del diritto dell’Unione rispetto a quello interno degli Stati membri, In virtù del quale eventuali norme interne
incompatibili con il predetto diritto sarebbero prive di efficacia e, in ogni caso, non possono essere applicate.
Principi derivanti dalle disposizioni dei Trattati
Altri principi sono stati proclamati dalla Corte, partendo da specifiche disposizioni del Trattati, intese come
espressione di principi di più vasta portata.
1. PRINCIPIO DI LEALE COOPERAZIONE
per esempio, il principio di leale cooperazione, stabilito dall’art. 10 del Trattato CE come dovere degli Stati
membri nei riguardi della Comunità, è apparso alla Corte quale manifestazione di un principio generale (non
scritto) applicabile nei rapporti fra le istituzioni europee e persino a carico delle istituzioni e a favore degli
Stati membri.
• recepito dal Trattato di Lisbona (art. 4, par. 3, e art. 13, par. 2, TUE) in tutta l’ampiezza risultante
dalla giurisprudenza della Corte.

2. PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA
Principi comuni agli ordinamenti degli Stati membri
Altre volte la Corte giunge ad affermare dei principi generali a seguito di un raffronto tra gli ordinamenti
degli Stati membri, come nel caso dei diritti fondamentali, i quali sono entrati a far parte del diritto
dell'Unione, grazie alla giurisprudenza, in quanto conformi alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati
membri (oltre che grazie alle convenzioni internazionali in materia).
Principi derivanti dalla logica giuridica o da esigenze di giustizia sostanziale
Infine, la Corte considera principi generali del diritto dell'Unione quei principi che trovano la loro "fonte"
nella logica giuridica, o in esigenze di giustizia sostanziale, tipici di ogni ordinamento giuridico, compreso
quello dell'Unione. Per esempio,
132

1. PRINCIPIO DELLA CERTEZZA DEL DIRITTO


2. PRINCIPIO DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO
I principi generali nelle gerarchia delle fonti
I principi generali tendono a porsi sullo stesso piano dei Trattati,
• in primo luogo, quelli che la Corte desume
a. dai caratteri generali del diritto dell'Unione o
b. da specifiche disposizioni dei Trattati;
• ma anche gli altri principi,
a. corrispondenti a norme di logica giuridica o di giustizia sostanziale o
b. ricavati da una comparazione degli ordinamenti degli Stati membri,
sono utilizzati dalla Corte quale parametro di legittimità degli atti dell'Unione e, pertanto, si
pongono ad un livello gerarchicamente superiore al diritto derivato.
Quesito: i principi aventi natura di regole giuridiche o di giustizia sostanziale sono subordinati ai trattati?
Sembra una questione astratta mai emersa nella giurisprudenza: presuppone una possibilità di conflitto fra
tali principi e le disposizioni dei Trattati difficilmente ipotizzabile!
• la stessa Corte di giustizia seleziona preliminarmente tali principi anche in ragione della loro
compatibilità con il diritto dell’Unione.
Operatività dei principi generali
I principi generali operano
• nei confronti delle istituzioni, le quali sono tenute a rispettarli nello svolgimento della loro attività,
• nei confronti degli Stati membri, i quali, in caso li violino, sono soggetti alla procedura d'infrazione
(p.es. principio di proporzionalità).
e.g. sentenza del 28 ottobre 1975, causa 36/75, Rutili – e.g. La giurisprudenza della Corte di giustizia è
costante nell’affermare che il principio di proporzionalità richiede che le limitazioni a una libertà, come
quella di circolazione dei capitali, o a un diritto fondamentale, come quello alla parità di trattamento, non
eccedano quanto è adeguato e necessario per raggiungere lo scopo perseguito; esso, inoltre, prescrive di
conciliare, per quanto possibile, la libertà o il diritto in questione con le esigenze del suddetto scopo
(sentenza del 21 maggio 2019, causa C-235/17, Commissione c. Ungheria, e sentenza del 22 gennaio
2019, causa C-193/17, Cresco Investigation GmbH).
Obbligatorietà nei confronti degli stati membri, efficacia diretta dei principi e applicazione “orizzontale”
L’obbligatorietà dei principi generali nei confronti degli Stati membri può comportare
a. anche un’efficacia diretta all’interno di tali Stati e, quindi,
b. la loro applicazione giudiziaria, anche in cause tra privati, in luogo di contrarie disposizioni
nazionali.
È quanto ha affermato più volte la Corte di giustizia, a partire dalla sentenza del 22 novembre 2005, causa
C-144/04, Mangold, riguardo al principio generale di non discriminazione per ragione di età in materia di
lavoro:
«È compito del giudice nazionale, investito di una controversia che metta in discussione il principio di non
discriminazione in ragione dell’età, assicurare, nell’ambito di sua competenza, la tutela giuridica che il
diritto comunitario [oggi dell’Unione] attribuisce ai soggetti dell’ordinamento, garantendone la piena
efficacia e disapplicando ogni contraria disposizione di legge nazionale» (più di recente Corte di giustizia,
19 aprile 2016, causa C-441/14, Dansk Industri).
il principio di non discriminazione, con particolare riguardo a quella fondata sulla religione è stato più volte
ribadito nella sua applicazione “orizzontale”, cioè nei rapporti di lavoro tra privati (sentenze della Corte di
133

giustizia del 17 aprile 2018, causa C-414/16, Egenberger, dell’11 set- tembre 2018, causa C-68/17, IR, e
del 22 gennaio 2019, causa C-193/17, Cresco Investigation GmbH).

La funzione interpretativa: l’effetto utile


I principi generali svolgono un’importante funzione interpretativa rispetto alle altre norme dell'Unione.
1. PRINCIPIO DELL’EFFETTO UTILE
Un principio che opera essenzialmente ai fini della interpretazione di altre norme di diritto dell'Unione è il
principio dell'effetto utile, secondo il quale ogni norma deve essere interpretata in modo che possa
raggiungere nella maniera più "efficace" il proprio obiettivo.
La Corte ne ha fatto applicazione in varie direzioni, per esempio a sostegno dello stesso primato del diritto
dell’Unione sul diritto degli Stati membri.
Sentenza del 13 febbraio 1969, causa 14/68, Wilhelm, la Corte (con riferimento, ovviamente, al Trattato
sulla Comunità economica europea e al diritto comunitario) ha dichiarato:
«Il Trattato CEE ha istituito un ordinamento giuridico a sé stante, integrato nell’ordinamento giuridico
degli Stati membri e che i giudici nazionali sono tenuti ad osservare. Sarebbe contrario alla natura di tale
sistema ammettere che gli Stati membri possano adottare o mantenere in vigore misure atte a menomare
gravemente l’effetto utile del Trattato. La forza vincolante del Trattato e degli atti adottati per la sua
applicazione non potrebbe variare a seconda degli Stati per effetto di atti interni, senza compromettere il
funzionamento del sistema comunitario e mettere a repentaglio il conseguimento degli scopi del Trattato.
Perciò, i conflitti tra norma comunitaria e norme nazionali [...] vanno risolti applicando il principio del
primato del diritto comunitario».
Il principio dell’effetto utile ha condotto a conseguenze di forte sviluppo del diritto dell’Unione;
sentenza del 19 ottobre 2004, causa C-200/02, Chen: la Corte, avendo riconosciuto il diritto di libera
circolazione e di soggiorno di una cittadina europea in tenera età in forza dell’attuale art. 21 TFUE, ha
esteso tale diritto alla mamma cinese, al fine di non privare di ogni effetto utile il diritto della suddetta
cittadina.
Esempi di principi generali
1. Il PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA deriva dalle specifiche norme del Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea che vietano le discriminazioni, ma va oltre, in quanto
a. non solo vieta differenze di trattamento per situazioni analoghe, ma
b. impone anche un trattamento differenziato se differenti sono le situazioni.

2. La CERTEZZA DEL DIRITTO può considerarsi un principio universale di giustizia sostanziale.


Esso non è chiaramente definito nella giurisprudenza, ma varie e numerose sonò le sue applicazioni.
Per la Corte, «La legislazione comunitaria deve essere certa e la sua applicazione deve essere
prevedibile per gli amministrati». Sulla base di tale principio,
a. la Corte ha limitato nel tempo l'efficacia delle proprie sentenze, escludendone l’efficacia per
le situazioni esaurite anteriormente all'emanazione della sentenza

b. ne ha differito nel tempo gli effetti di annullamento di atti illegittimi, stabilendo che l'atto
annullato restasse in vigore sino all'emanazione di un nuovo atto, da adottare in maniera
giuridicamente corretta.
134

c. ha affermato che il diritto dell’Unione deve essere applicato dal giudice nazionale, come da
essa stessa interpretato, anche a situazioni anteriori alla propria sentenza interpretativa:
«Infatti, l’interpretazione che la Corte dà del diritto dell’Unione [...] chiarisce e precisa, se
necessario, il significato e la portata di tale diritto, nel senso in cui deve o avrebbe dovuto
essere inteso e applicato sin dalla data della sua entrata in vigore. Ne deriva che, al di fuori
di circostanze del tutto eccezionali, [...] il diritto dell’Unione così interpretato deve essere
applicato dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza che
statuisce sulla domanda di interpretazione» (Corte di giustizia, 22 novembre 2017, causa
C-251/16, Cussens e altri).

d. Il principio di certezza del diritto si oppone a una efficacia retroattiva degli atti dell’Unione,
ma tale divieto può subire eccezioni:
≠ «Benché, in linea di massima, il principio della certezza delle situazioni giuridiche osti
a che l’efficacia nel tempo di un atto comunitario [oggi dell’Unione] decorra da una
data anteriore alla sua pubblicazione, una deroga è possibile, in via eccezionale,
qualora lo esiga lo scopo da raggiungere e purché il legittimo affidamento degli
interessati sia debitamente rispettato. Tale giurisprudenza si applica anche nel caso in
cui la retroattività non sia espressamente stabilita”
e.

3. La TUTELA DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO (corollario del principio di certezza del diritto)
rientra tra i principi fondamentali della Comunità, ed implica che l'istituzione comunitaria interessata
abbia fornito agli interessati precise assicurazioni che hanno fatto sorgere in capo a loro fondate
aspettative.
Per esempio, gli interessati possono contestare la legittimità di un atto che sia emanato in contrasto
con le disposizioni di un accordo dell'Unione, sebbene non ancora in vigore.
Riguardo agli ultimi due principi:
La Corte, nella sentenza sopra ricordata del 19 aprile 2016, causa C-441/14, ha precisato, peraltro, che essi
non autorizzano il giudice nazionale a continuare ad applicare una propria legge che la stessa Corte di
giustizia consideri in contrasto con il principio generale della non discriminazione in ragione dell’età.
o (l’applicazione di una legge siffatta pregiudicherebbe lo stesso principio fondamentale del primato
del diritto dell’Unione su quello nazionale confliggente).
La Corte di giustizia ha precisato, inoltre, che il principio della tutela del legittimo affidamento non può
applicarsi a scapito di un interesse pubblico inderogabile, aggiungendo, nella sentenza del 19 luglio 2016,
causa C-526/14, Kotnik e altri, che
o «l’obiettivo di garantire la stabilità del sistema finanziario, al contempo evitando una spesa
pubblica eccessiva e minimizzando le distorsioni della concorrenza, costituisce un interesse
pubblico superiore di tale natura».

4. Il PRINCIPIO DELL’AUTONOMIA PROCESSUALE DEGLI STATI MEMBRI: in relazione alla


tutela giudiziaria dei diritti derivanti dall’ordinamento europeo, in assenza di disposizioni
dell’Unione, spetta agli Stati membri stabile le norme processuali per assicurare tale tutela.
L’autonomia degli Stati membri, peraltro, è subordinata al rispetto di altri due principi:
• il PRINCIPIO DI EQUIVALENZA, in base al quale le norme statali non devono essere
meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto
interno, e
• il PRINCIPIO DI EFFETTIVITÀ̀, il quale esige che le suddette norme statali non rendano in pratica
impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione.
135

sentenza del 17 marzo 2016, causa C-161/15, Bensada Benallal: «ne consegue che due condizioni
cumulative, vale a dire il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività, devono essere rispettate affinché
uno Stato membro possa far valere il principio dell’autonomia processuale in casi disciplinati dal diritto
dell’Unione».
Numerosi altri principi generali (talvolta, ormai, contemplati da disposizioni dei Trattati) sono individuabili
nella giurisprudenza europea (il principio di democrazia, il rispetto dei diritti quesiti, il principio di buona fede, il
principio della reciproca fiducia tra gli Stati membri, sul quale si fonda, tra l’altro, il mutuo riconoscimento delle
decisioni giudiziarie, il divieto di pratiche abusive, il principio della forza maggiore, l’equilibrio istituzionale, l’intera
categoria dei diritti fondamentali, oggetto di principi generali di diritto dell’Unione, informati alle tradizioni
costituzionali comuni degli Stati membri e corrispondenti alle principali convenzioni internazionali di protezione dei
diritti umani, i quali sono ora espressamente contemplati nell’art. 6, par. 3, TUE trasfusi nella Carta dei diritti
fondamentali).

GLI ACCORDI INTERNAZIONALI DELL’UNIONE EUROPEA


La subordinazione degli accordi ai Trattati
In una posizione intermedia fra i Trattati (ai quali sono equiparabili i principi generali) e gli atti di diritto
derivato si collocano gli accordi internazionali conclusi dall’Unione (inclusi i ed. accordi misti), i quali
costituiscono parte integrante dell'ordinamento dell'Unione sin dal momento della loro entrata in vigore.
a. Essi sono subordinati ai Trattati (l'art. 218, par. 11, TFUE dichiara che quando l'accordo previsto
risulti incompatibile con i Trattati esso può entrare in vigore solo se gli stessi Trattati siano sottoposti
a revisione, in conformità dell'art. 48 TUE) e,
b. se contrari a questi ultimi, sono illegittimi e suscettibili di sindacato giurisdizionale da parte della
Corte di giustizia, formalmente rivolto non all’accordo (che non può essere annullato dalla Corte sul
piano internazionale), ma all'atto dell'Unione (regolamento, decisione) con il quale le istituzioni
europee abbiano concluso l'accordo.
La prevalenza degli accordi sul diritto derivato
Ex art. 216, par. 2, TFUE “Gli accordi conclusi dall'Unione vincolano le istituzioni dell'Unione e gli Stati
membri”, da cui si può ritenere che gli atti legislativi dell’Unione siano subordinati agli accordi in
parola.
Anche la Corte di giustizia ha dichiarato che gli accordi dell'Unione prevalgono sugli atti emanati dalle sue
istituzioni, deducendone un obbligo di interpretare questi ultimi in conformità dei primi.
Tuttavia, la Corte, con una giurisprudenza non sempre univoca, ha condizionato la pronuncia di invalidità dei
suddetti atti incompatibili con un accordo alla circostanza che le disposizioni di quest'ultimo fossero
produttive di effetti diretti.
Peraltro anche gli accordi, in quanto parte dell'ordinamento dell'Unione, sono suscettibili di produrre
effetti diretti per i singoli, cioè di creare diritti ed obblighi che i singoli possono direttamente
esercitare anche in via giudiziaria dinanzi ai giudici statali, a condizione che essi abbiano un
contenuto chiaro, incondizionato e preciso.

GLI ACCORDI CONCLUSI TRA GLI STATI MEMBRI


Gli accordi pre-esistenti
Per la Corte di giustizia, gli accordi tra Stati membri pre-esistenti alla loro partecipazione, dapprima, alla
Comunità, poi all'Unione europea, se incompatibili con obblighi derivanti dai rispettivi Trattati istitutivi,
sono destinati ad essere abrogati dalle norme di questi ultimi, alla stregua delle regole di diritto
internazionale generale concernenti la successione nel tempo fra i trattati.
136

Gli accordi successivi


Anche sugli accordi tra Stati membri conclusi successivamente alla loro partecipazione, a parte le ipotesi
specificamente disciplinate dai Trattati, prevale il diritto dell'Unione.
• L'eventuale stipulazione di accordi in contrasto derivanti da tale diritto, inoltre, potrebbe dare luogo
all’apertura di una procedura di infrazione (violazione del principio di leale cooperazione);
Ove non sussista un contrasto con i Trattati, gli Stati membri restano liberi di concludere accordi anche
in materie di competenza dell'Unione, a condizione che tale competenza non sia esclusiva.
Gli accordi in seno al Consiglio
La Corte di giustizia ha riconosciuto la possibilità che accordi tra Stati membri siano stipulati (eventualmente
in forma semplificata) anche in seno al Consiglio, nel qual caso essi, non costituendo una decisione del
Consiglio, non sono atti dell’Unione.

GLI ACCORDI TRA STATI MEMBRI E STATI TERZI


Agli accordi stipulati da Stati membri con Stati terzi anteriormente alla conclusione del Trattato fa espresso
riferimento l'art. 351 TFUE, il quale, al 1° comma (contenente una "clausola di salvaguardia"), fa salvi tali
accordi:
«Le disposizioni dei Trattati non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse,
anteriormente al 1° gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra
uno o più Stati membri da Una parte e uno o più Stati terzi dall'altra».
In conformità con le regole del diritto internazionale generale concernenti gli effetti dei trattati verso i terzi,
uno Stato membro, quindi, può sottrarsi agli obblighi derivanti dai Trattati relativi all'Unione europea nella
misura in cui ciò sia necessario per adempiere gli obblighi prescritti da una convenzione conclusa
anteriormente con uno Stato terzo.
Il subentro dell’Unione agli Stati membri
Con riguardo a materie rientranti nella competenza esclusiva dell'Unione, quest’ultima si è sostituita agli
Stati membri nei diritti e obblighi derivanti da un trattato (cfr. l'Accordo generale sulle tariffe e il commercio
- GATT), subordinatamente al riconoscimento degli Stati terzi contraenti.
In epoca recente, secondo il Tribunale, un'analoga sostituzione dell'Unione agli Stati membri si sarebbe
realizzata riguardo agli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite, mentre in precedenza la Corte
di giustizia aveva riconosciuto solo un obbligo dell'Unione di non ostacolare l'adempimento, da parte degli
Stati membri, degli obblighi precedentemente assunti con Stati terzi.
La compatibilità degli accordi con l’ordinamento dell’Unione
L’art. 351 TFUE,
• oltre a stabilire che gli Stati membri devono comunque tenere conto del contesto complessivo
dell'ordinamento dell'Unione nell’applicare le convenzioni in discorso (3° comma),
prescrive agli Stati membri di adoperarsi con tutti i mezzi e fornendosi reciproca assistenza per
eliminare le incompatibilità fra le convenzioni stesse e i Trattati (2° comma).
Inoltre, per la Corte di giustizia «un accordo internazionale non può pregiudicare il sistema delle
competenze definito dai Trattati e, di conseguenza, l'autonomia dell'ordinamento giuridico comunitario di
cui la Corte assicura il rispetto in forza della competenza esclusiva di cui essa è investita». Ancora, «gli
obblighi imposti da un accordo internazionale non possono avere l'effetto di compromettere principi
costituzionali del Trattato CE, tra i quali vi è il principio secondo cui tutti gli atti comunitari devono
rispettare i diritti fondamentali, atteso che tale rispetto costituisce un presupposto della loro legittimità, che
137

spetta alla Corte controllare nell'ambito del sistema completo dei mezzi di ricorso istituito dal Trattato
stesso».
Ne deriva che i giudici debbano interpretare la convenzione preesistente in maniera - se possibile -
conforme al diritto dell'Unione.
Denuncia dell’accordo
Da ultimo, qualora uno Stato membro incontri difficoltà che rendano impossibile la modifica di un accordo
in modo da renderlo compatibile con l’ordinamento dell’Unione, non si può escludere che esso debba
procedere alla denuncia di tale accordo, se conforme al diritto internazionale (la Corte ha dichiarato che il
Portogallo era venuto meno ai suoi obblighi derivanti dal diritto dell'Unione per non avere provveduto alla
denuncia, espressamente prevista dall’accordo, né all'adeguamento di un accordo in contrasto con i
Trattati).

DIRITTO INTERNAZIONALE GENERALE


Anche il diritto internazionale generale deve essere ricompreso nell'ambito dell'ordinamento dell'Unione,
che in quanto soggetto di diritto internazionale, è tenuta a rispettare gli obblighi e può esercitare i diritti
derivanti dal diritto internazionale consuetudinario (nella misura in cui siano applicabili ad un ente, quale
l'Unione europea, privo di una comunità territoriale).
Per la Corte, il diritto internazionale generale fa parte direttamente dell'ordinamento dell'Unione, con la
conseguenza, in particolare, che esso rappresenta un parametro giuridico alla cui stregua valutare la
legittimità degli atti emanati dalle sue istituzioni.
La Corte di giustizia, nella sentenza del 21 dicembre 2016, causa C-104/16 P, Consiglio c. Front
Polisario e Commissione, ha applicato il principio di autodeterminazione dei popoli al popolo del Sahara
occidentale, rappresentato dal movimento di liberazione nazionale Front Polisario, principio comportante il
diritto all’indipendenza e già riconosciuto dalla Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite nel
parere del 16 ottobre 1975.
Di conseguenza la Corte di giustizia, alla luce delle norme di diritto internazionale generale, codificate nella
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio 1969, concernenti l’interpretazione e l’efficacia
dei trattati, ha dichiarato che
• né l’accordo di associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il
Marocco, dall’altra, firmato a Bruxelles il 26 febbraio 1996,
• né il successivo Accordo tra l’Unione europea e il Marocco contenente misure di liberalizzazione
degli scambi commerciali, firmato a Bruxelles il 13 dicembre 2010, fossero applicabili al territorio
del Sahara occidentale, controllato dal Marocco.
La Corte ha affermato:
«Il principio consuetudinario di autodeterminazione ricordato, in particolare, all’art. 1 della Carta delle
Nazioni Unite è, come enunciato dalla Corte internazionale di giustizia ai punti da 54 a 56 del suo parere
consultivo sul Sahara occidentale, un principio di diritto internazionale applicabile a tutti i territori non
autonomi e a tutti i popoli non ancora acceduti all’indipendenza. Esso costituisce, inoltre, un diritto
opponibile erga omnes nonché uno dei principi essenziali del diritto internazionale [...] tale titolo, detto
principio fa parte delle norme di diritto internazionale applicabili nelle relazioni tra l’Unione e il Regno del
Marocco».
E, considerato che, in virtù del suddetto principio, il Sahara occidentale ha uno status separato e distinto
rispetto a qualsiasi Stato, compreso il Marocco, la Corte ha dichiarato l’inapplicabilità dei suddetti Accordi
con il Marocco al Sahara occidentale, essendo quest’ultimo un “terzo” rispetto a tali Accordi.
138

In termini analoghi la Corte si è pronunciata riguardo a un Accordo e a un protocollo tra l’Unione e il


Marocco concernenti il settore della pesca (sentenza del 27 febbraio 2018, causa C-266/16, Western
Sahara Campaign UK).
• La Corte di giustizia ha escluso che possa applicarsi,
o sia nei rapporti tra gli Stati membri e le istituzioni dell'Unione,
o sia nei rapporti reciproci tra gli Stati membri,
l'istituto, tipico del diritto internazionale generale, dell'autotutela, il quale consente ad uno Stato di
reagire con contromisure ad un comportamento lesivo dei propri diritti posto in essere da un altro
soggetto. «… Il Trattato non si limita infatti ad imporre ai singoli soggetti degli obblighi reciproci,
bensì ha dato vita ad un nuovo ordinamento giuridico il quale determina i poteri, i diritti e gli
obblighi dei soggetti stessi, come pure le procedure per far constatare e reprimere le eventuali
violazioni».

GLI ATTI DELL’UNIONE E I LORO REQUISITI


Gli atti tipici
Gli atti di diritto derivato (tipici), ex art. 288 TFUE, solo i primi tre vincolanti e, in quanto tali, fonti del
diritto:
1. regolamenti, che hanno portata generale e sono obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente
applicabili in ciascuno degli Stati membri;
2. direttive, che vincolano lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere,
salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi;
3. Decisioni, obbligatorie in tutti i loro elementi. Se designano i destinatari sono obbligatorie soltanto
nei confronti di questi;
4. raccomandazioni, non vincolanti.
5. Pareri, non vincolanti.
Il criterio sostanzialistico
Per la Corte, l’identificazione dell’atto, cioè l'appartenenza dell'atto all'una o all'altra categoria, non dipende
solo dal suo nomen iuris, ma anche dal suo contenuto e dai suoi caratteri sostanziali.
Rilevanza pratica: tale opera di identificazione non è fine a se stessa, ma determina conseguenze pratico –
giuridiche di estrema importanza, quali
a. l’accertamento della sua legittimità,
b. la definizione dei suoi effetti obbligatori e
c. la sua impugnabilità̀ da parte di persone fisiche e giuridiche dinanzi al giudice europeo.
La prevalente giurisprudenza europea ha avuto occasione di affermare il suddetto criterio
sostanzialistico con riguardo all'impugnazione, da parte di singoli, di atti denominati regolamenti: «I
presenti ricorsi dovranno essere dichiarati irricevibili qualora l'atto impugnato sia effettivamente un
regolamento. Nell'esaminare tale questione la Corte non può arrestarsi alla denominazione ufficiale
dell'atto, bensi ̀̀ deve tener conto in primo luogo del suo oggetto e del suo contenuto».
La definizione di atto legislativo
Ex art. ex art. 289.3 TFUE (introdotto dal Trattato di Lisbona): «Gli atti giuridici adottati mediante
procedura legislativa sono atti legislativi». Definizione "circolare" (se posta in correlazione con i paragrafi 1
e 2 dello stesso art. 289) conduce a definire come legislativi i soli regolamenti, direttive e decisioni quando
siano adottati con la procedura legislativa, ordinaria o speciale.
L’obbligo di motivazione
139

Ex art. 296, 2° comma TFUE, «Gli atti giuridici sono motivati e fanno riferimento alle proposte, iniziative,
raccomandazioni, richieste o pareri previsti dai Trattati».
La motivazione è contenuta nei "considerando" dell’atto (preambolo), ed è una condizione di validità
dell'atto, in quanto l'assenza della stessa rappresenta una ipotesi di “violazione delle forme sostanziali”,
suscettibile di determinare l'invalidità dell'atto e il suo conseguente annullamento.
Come la Corte di giustizia ha affermato più volte, l'obbligo di motivazione è diretto:
1. da un lato, a consentire alla Corte stessa di esercitare il proprio controllo,
2. dall'altro, a fare conoscere agli interessati le ragioni del provvedimento adottato, anche al fine,
eventualmente, di tutelare i propri diritti.
«Dalla giurisprudenza della Corte [...] si desume che affinché detto obbligo di motivazione sia adempiuto, è
necessario che gli atti comunitari [oggi dell’Unione] contengano l’esposizione degli elementi di fatto e di
diritto sui quali si è basata l’istituzione, cosicché la Corte possa esercitare il suo sindacato e tanto gli Stati
membri quanto i singoli interessati sappiano in quale modo le istituzioni comunitarie [oggi dell’Unione]
abbiano applicato il Trattato» (sentenza del 26 marzo 1987, causa 45/86, Commissione c. Consiglio; in
senso analogo, di recente, sentenza del 19 dicembre 2019, causa C-418/18 P, Puppinck e altri c.
Commissione).
Oggi si nota una tendenza a eccedere nei “considerando”, spostando negli stessi gli elementi dell’atto sui
quali non si è raggiunto un consenso nelle competenti istituzioni dell’Unione.
In ogni caso i “considerando” hanno solo un valore interpretativo, mentre va escluso un loro carattere
normativo (art. 10 dell’Accordo interistituzionale sulle linee direttrici comuni relative alla qualità
redazionale della legislazione comunitaria del 22 dicembre 1998, la cui vigenza è confermata dall’Accordo
interistituzionale “Legiferare meglio” del 13 aprile 2016).
In questi termini si è espressa chiaramente la Corte di giustizia nella citata sentenza del 19 dicembre 2019,
causa C-418/18 P, Puppinck e altri c. Commissione:
«Il preambolo di un atto dell’Unione è idoneo a precisare il contenuto delle disposizioni dell’atto stesso
[...]. I considerando di un atto dell’Unione costituiscono, infatti, importanti elementi di interpretazione, che
sono idonei a chiarire la volontà dell’autore di tale atto.
Per contro, il preambolo di un atto dell’Unione non ha alcun valore giuridico vincolante e non può essere
invocato
a. né per derogare alle disposizioni stesse dell’atto in questione,
b. né per interpretare queste disposizioni in un senso manifestamente contrario al loro tenore
letterale».
La motivazione deve riguardare in maniera specifica il rispetto del principio di sussidiarietà, ma non
necessariamente, per la Corte, deve indicare tutti gli elementi di fatto e di diritto presi in considerazione,
in quanto l'obbligo di motivazione va rapportato ad una serie di circostanze:
«… la necessità della motivazione doveva essere valutata in funzione delle circostanze del caso, in
particolare del contenuto dell'atto, della natura dei motivi esposti e dell'interesse che i destinatari dell'atto o
altre persone da questo riguardate direttamente e individualmente possano avere a ricevere spiegazioni.».
L’obbligo di indicare la base giuridica dell’atto
L’obbligo di indicare la base giuridica è legato all'obbligo di motivazione, pur se non espressamente
richiesto dai Trattati.
140

L'indicazione della base giuridica può anche non essere espressa, purché essa sia desumibile con chiarezza
da altri elementi dell'atto stesso. Tale obbligo è ricollegato altresì al principio della certezza del diritto,
ricompreso tra i principi generali del diritto dell'Unione.
La Corte (sentenza del 16 giugno 1993, causa C-325/91, Francia c. Commissione) ha dichiarato: «La
legislazione comunitaria deve essere chiara e la sua applicazione deve essere prevedibile per tutti gli
interessati. Tale esigenza di certezza del diritto fa si ̀̀ che qualsiasi atto che miri a produrre degli effetti
giuridici debba trarre la propria forza vincolante da una disposizione del diritto comunitario che deve
essere espressamente indicata come base giuridica e che prescrive la forma giuridica di cui l'atto deve
essere rivestito [...]. La Commissione, emanando un atto che mira a produrre effetti giuridici senza indicare
esplicitamente la disposizione del diritto comunitario dalla quale deriva la sua forza vincolante, ha violato il
principio della certezza del diritto che fa parte dei principi generali del diritto comunitario dei quali la
Corte deve garantire il rispetto».
La scelta dell’una o dell’altra base giuridica deve fondarsi su elementi oggettivi, verificabili in via
giudiziaria, quali, in particolare, il contenuto e lo scopo dell’atto in questione (parere della Corte 1/15 del
26 luglio 2017 relativo a un progetto di Ac- cordo tra il Canada e l’Unione europea).
Gli atti aventi duplice finalità o doppia componente
La base giuridica preponderante
Inoltre, per la Corte, «se l'esame di un atto comunitario dimostra che esso persegue una duplice finalità o
che esso ha una doppia componente e se una di queste è identificabile come principale o preponderante,
mentre l'altra è solo accessoria, l'atto deve fondarsi su una sola base giuridica, ossia quella richiesta dalla
finalità o componente principale o preponderante».
Di conseguenza, occorre seguire il procedimento e le regole di votazione prescritti da tale unica disposizione
del Trattato.
La procedura che garantisce la partecipazione del Parlamento europeo
Ove non sia possibile individuare una componente principale, quando, cioè, l'atto riguardi
inscindibilmente due (o più) materie contemplate dai Trattati, e non sia possibile l’applicazione
cumulativa di tali disposizioni (p.es., le disposizioni in questione contemplano differenti procedimenti di
adozione dell'atto, uno, per esempio, la consultazione obbligatoria del Parlamento europeo, l'altro, la
procedura legislativa ordinaria di codecisione),
il criterio di scelta è rappresentato dalla base giuridica che contempla il procedimento che garantisce in
misura maggiore le prerogative del Parlamento europeo. (nell'esempio precedente, quindi, la base giuridica
in virtù della quale il Parlamento partecipa alla codecisione, a preferenza di quella che attribuisce al
Parlamento il mero potere consultivo).
Come la Corte di giustizia ha affermato con riguardo a un procedimento (quello di cooperazione, eliminato
dal Trattato di Lisbona), che riconosceva al Parlamento europeo poteri più significativi in raffronto alla sua
consultazione, ove fosse applicata una disposizione che preveda, invece, la sola consultazione del
Parlamento europeo, con votazione unanime nel Consiglio,
«verrebbe cosi ̀̀ messo a repentaglio lo scopo stesso del procedimento di cooperazione, che è quello di
rafforzare la partecipazione del Parlamento europeo al processo legislativo della Comunità. Orbene [...]
questa partecipazione è il riflesso, sul piano comunitario [oggi dell’Unione], di un fondamentale principio
di democrazia secondo il quale i popoli partecipano all’esercizio del potere per il tramite di un’assemblea
rappresentativa» (sentenza dell’11 giugno 1991, causa C-300/89, Commissione c. Consiglio).
141

La tipologia di atto da emanare


L'individuazione della specifica disposizione in base alla quale emanare un atto vale, naturalmente, anche a
stabilire quale tipo di atti (regolamento, direttiva, decisione) può essere adottato dalle istituzioni nel settore
contemplato dalla predetta disposizione.
Ex art. 296, 3° comma, TFUE:
«In presenza di un progetto di atto legislativo, il Parlamento europeo e il Consiglio si astengono
dall’adottare atti non previsti dalla procedura legislativa applicabile al settore interessato».
Ex art. 296, 1° comma, TFUE, anch'esso inserito dal Trattato di Lisbona:
«Qualora i Trattati non prevedano il tipo di atto da adottare, le istituzioni lo decidono di volta in volta, nel
rispetto delle procedure applicabili e del principio di proporzionalità».
Sulla base del principio di proporzionalità, le istituzioni dovranno preferire il tipo di atto meno intrusivo
possibile, per esempio una direttiva piuttosto che un regolamento ovvero una raccomandazione piuttosto che
un atto giuridicamente obbligatorio.
Gli atti dell’Unione in ambito PESC
L'art 40 TUE pone sullo stesso piano le competenze dell'Unione previste dalle disposizioni di carattere
"generale" e quelle contemplate dalle disposizioni "specifiche" relative alla politica estera e di sicurezza
comune:
• la politica estera e di sicurezza comune non può invadere il campo delle competenze "generali"
dell'Unione e viceversa.
Quando un atto abbia componenti o finalità riconducibili ad entrambe le suddette competenze
a. è necessario individuare quale sia quella principale e quella accessoria e l’atto deve basarsi sul
fondamento normativo riconducibile alla finalità/componente principale.
b. Quando sia impossibile rinvenire nell'atto da emanare una componente principale ed una
accessoria
o non si può affermare alcuna preferenza per l'applicazione delle disposizioni, relative,
rispettivamente, alle competenze "generali" o alla politica estera e di sicurezza,
o né può ipotizzarsi un'applicazione cumulativa di tali disposizioni, date le differenze
inconciliabili concernenti i tipi di atti, il ruolo delle istituzioni, le procedure decisionali
(carattere fortemente intergovernativo).
In tal caso, si ritiene che l'unica soluzione praticabile sia quella di emanare due atti distinti, uno
sulla base di una disposizione in materia di politica di sicurezza comune, l'altro ai sensi della
pertinente disposizione concernente le competenze "generali" dell'Unione.
Firma e pubblicità (art. 297 TFUE)
1. Gli atti
a. adottati secondo la procedura legislativa ordinaria (di codecisione) sono firmati dal
Presidente del Parlamento europeo e dal Presidente del Consiglio.
b. Quelli adottati con procedura legislativa speciale sono firmati dal Presidente
dell'istituzione che li ha adottati, come pure gli atti non legislativi di portata generale,
adottati sotto forma di regolamenti, direttive o decisioni (se queste ultime non designano i
destinatari).

2. Tutti gli atti legislativi, nonché quelli non legislativi di portata generale, sono pubblicati nella
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, serie legislazione ed entrano in vigore alla data da essi
stabilita oppure, in mancanza di data, il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione.
≠ Solo per serie ragioni un atto può entrare in vigore lo stesso giorno della pubblicazione,
mentre,
142

≠ in principio, non è ammissibile una sua efficacia retroattiva, anteriore, cioè, alla stessa
pubblicazione, in quanto in contrasto con il principio della certezza del diritto (sopra, par. 4).

1. Le altre direttive, cioè quelle rivolte solo a taluni Stati membri, e le decisioni che hanno un
destinatario specifico, sempre che non siano state adottate con una procedura legislativa, sono
notificate ai destinatari ed entrano in vigore in vigore con la notificazione.

2. Nella prassi anche tali atti, solitamente, sono pubblicati nella serie L della GUUE (mentre l'altra
serie, C, comunicazioni, comprende altri atti per la cui validità non è prescritta la pubblicazione,
nonché comunicazioni e atti preparatori).
Esecutività degli atti contenenti sanzioni pecuniarie
Gli atti obbligatori possono contenere sanzioni pecuniarie nei confronti di persone fisiche o giuridiche,
nel qual caso sono esecutivi.
«Gli atti del Consiglio, della Commissione o della Banca centrale europea che comportano, a carico di
persone che non siano gli Stati, un obbligo pecuniario costituiscono titolo esecutivo».
• La formula esecutiva è apposta dall'autorità nazionale designata da ciascuno Stato membro (in Italia
il ministro per gli affari esteri), la quale verifica solo l'autenticità del titolo.
• L'esecuzione forzata è regolata dalle norme di procedura civile vigenti nello Stato nel cui territorio
è effettuata e può essere sospesa solo dalla Corte di giustizia dell'Unione.

I REGOLAMENTI
I regolamenti sono obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati
membri.
I tre caratteri distintivi di tale atto, avente natura normativa, sono, quindi:
1. la generalità,
2. l'integrale obbligatorietà,
3. la diretta applicabilità.
L’analogia con la legge statale, che si desume già dalla generalità, intesa come astrattezza della norma, e
dalla piena obbligatorietà, è confermata, come si è visto, dalla forma di pubblicità – cioè la pubblicazione in
una raccolta ufficiale quale la Gazzetta dell’Unione europea – richiesta per la sua entrata in vigore.
La generalità
La portata generale del regolamento implica che
a. esso si applichi a una fattispecie definita in termini generali e astratti e
b. si rivolga, pertanto, a una serie indeterminata di destinatari, conferendo a essi diritti o obblighi
giuridici.
N. B. Tale carattere differenzia il regolamento dalla DECISIONE – anch’essa integralmente obbligatoria –
almeno nella sua originaria connotazione (anteriore al Trattato di Lisbona: oltre, par. 12), quando, cioè, è
rivolta verso specifici destinatari predeterminati.
Più problematica è la distinzione dei regolamenti rispetto a quelle decisioni che –
come oggi consente l’art. 288, 4° comma, TFUE – non designano i destinatari.
La Corte di giustizia, peraltro, ha riconosciuto che un atto rappresenta un regolamento, quand’anche sia
possibile determinare il numero o l'identità dei "destinatari”, purché ciò avvenga in base a elementi obiettivi
e non individuali, concernenti gli interessati.
143

• Se i suoi destinatari non fossero individuati sulla base di elementi oggettivi, bensì in ragione
di qualità personali, l'atto, pur emanato nella forma di un regolamento, deve considerarsi
come una pluralità di decisioni individuali.
L’integrale obbligatorietà (“in tutti i suoi elementi”)
Tale caratteristica differenzia tale atto dalla DIRETTIVA, la quale ha una obbligatorietà limitata al
risultato da raggiungere, mentre, gli Stati destinatari conservano la libertà di stabilire mezzi e forme dirette
ad assicurare tale risultato.
Come risulta con chiarezza dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, data l’integrale obbligatorietà dei
regolamenti
«è quindi inammissibile che uno Stato membro applichi in modo incompleto o selettivo un regolamento della
Comunità [oggi dell’Unione], in guisa da penalizzare determinate parti della legislazione comunitaria [oggi
dell’Unione] nei confronti delle quali abbia manifestato la propria opposizione, ovvero ch’esso ritenga in
contrasto con determinati interessi nazionali» (sentenza del 7 febbraio 1973, causa 39/72, Commissione c.
Italia).
L’applicabilità diretta (o immediata)
Tale caratteristica rappresenta un aspetto essenziale della sopranazionalità (Cap. I, par. 5), che caratterizza,
dal punto di vista giuridico, l'intero fenomeno dell'integrazione europea.
I regolamenti, infatti, esprimono la capacità dell'Unione europea di produrre una normativa che, superando il
diaframma statuale, raggiunge direttamente i consociati, creando per essi diritti e obblighi giuridici, e
s'impone a qualsiasi autorità, giudiziaria o amministrativa, che sia chiamata ad applicarla. Per tale via il
diritto dell'Unione viene ad integrarsi in quello degli Stati membri.
I regolamenti acquistano efficacia giuridica all'interno degli Stati membri al momento stesso in cui entrano in
vigore, senza che detti Stati nulla debbano fare per dare attuazione agli stessi, e nulla possano fare per
impedire tale efficacia.
Atti statali che fossero pur solo riproduttivi dei regolamenti sono reputati illegittimi dalla Corte «L'efficacia
diretta del regolamento implica che la sua entrata in vigore e la sua applicazione nei confronti degli
amministrati non abbisognano di alcun atto di ricezione nel diritto interno [...]. In particolare gli Stati
membri devono astenersi dall'adottare provvedimenti atti a sminuire la competenza della Corte a
pronunciarsi su qualsiasi questione di interpretazione del diritto comunitario [oggi dell'Unione] o di
validità degli atti emananti dalle istituzioni della Comunità [oggi dell'Unione]. Ne consegue
l'inammissibilità di qualsiasi pratica che possa nascondere agli amministrati la natura comunitaria di una
norma giuridica. La competenza attribuita alla Corte dall'art. 177 [oggi 267 TFUE] resta intatta,
nonostante qualunque tentativo di trasformare, mediante una legge interna, una norma comunitaria in
diritto nazionale» (sentenza del 10 ottobre 1973).
Invero la prassi in esame (condannata anche dalla nostra Corte costituzionale)
a. non solo contrasta con la diretta applicabilità dei regolamenti, ma
b. può pregiudicarne la simultanea entrata in vigore in tutti gli Stati.
Regolamenti di esecuzione del Consiglio o della Commissione
Il carattere direttamente applicabile dei regolamenti non esclude che possano essere necessari o opportuni
ulteriori atti di attuazione da parte dell’Unione (regolamenti del Consiglio, o della Commissione).
1. Il regolamento di esecuzione, peraltro, è subordinato gerarchicamente a quello, c.d. di base, che è
diretto ad attuare;
2. con la conseguenza che il predetto regolamento di esecuzione non può modificare, né superare i
limiti stabiliti in quello di base, pena la sua invalidità.
144

L’eventuale attività statale di esecuzione


In via eccezionale, il regolamento può richiedere perfino un'attività statale di esecuzione, qualora esso non
sia pienamente self-executing, non contenga, cioè, una disciplina del tutto esaustiva e richieda la
determinazione di taluni elementi, necessari per la sua pratica applicazione.
Questo può essere previsto
• dallo stesso regolamento; ovvero
• sulla base dell’obbligo di leale cooperazione posto dall'art. 4, par. 3, TUE (Corte di giustizia nella
sentenza dell'11 gennaio 2001, causa C-403/98).
Per fare solo qualche esempio, il regolamento (CE) 1223/2009 del 30 novembre 2009 sui prodotti
cosmetici (più volte modificato, da ultimo con regolamento (UE) 2019/1966 della Commissione del 27
novembre 2019) stabilisce che gli Stati membri definiscano le norme concernenti le sanzioni da applicare in
caso di violazione delle disposizioni in esso contenute.
Inoltre, l'obbligo di cooperazione può comportare la necessità, per gli Stati membri, di emanare norme per
sanzionare la violazione del regolamento (ove questo non preveda sanzioni) da parte di privati. “[…] Gli
Stati devono segnatamente vegliare a che le violazioni del diritto comunitario siano punite, sotto il profilo
sostanziale e procedurale in forme analoghe a quelle previste per le violazioni del diritto interno simili per
natura ed importanza» (principio di assimilazione).
Idoneità dei regolamenti a creare diritti e obblighi per i singoli
L'applicabilità diretta dei regolamenti comporta anche che essi sono idonei a creare diritti e obblighi per i
singoli
• sia nei rapporti "orizzontali", ossia tra privati
• sia nei rapporti "verticali", ossia tra i singoli e lo Stato (o, in generale, i pubblici poteri).
È fatto obbligo agli Stati membri di assicurare una tutela giudiziaria effettiva di tali diritti (ex Trattato di
Lisbona, art. 19, par. 1, 2° comma, TUE).

LE DIRETTIVE
La direttiva, esclusivamente rivolta a Stati,
• taluni (particolare) o
• tutti (generale),

a. ha un'efficacia parzialmente obbligatoria, in quanto vincola gli Stati destinatari solo per i risultati da
raggiungere, riconoscendo una sfera di libertà di tali stati in merito alla scelta dei mezzi e delle forme
necessarie per conseguire il risultato prescritto e
b. non è, di norma, direttamente applicabile, in quanto necessita di atti interni di recepimento.
La direttiva, sotto questo profilo, appare atto meno intrusivo del regolamento e, pertanto, più conforme sia
al principio di sussidiarietà, sia a quello di proporzionalità.
Direttive dettagliate: Nella prassi si riscontrano direttive che forniscono una disciplina esaustiva e completa
della materia, finendo per sottrarre agli Stati destinatari la scelta della forma e dei mezzi di attuazione, delle
quali
a. alcuni hanno ipotizzato l’illegittimità, sebbene
b. la Corte non ne abbia mai annullate
c. né risultano impugnative delle stesse da singoli Stati.
145

A riguardo, il protocollo sui principi di sussidiarietà e di proporzionalità (Protocollo n. 2), stabilendo che
debba darsi la preferenza alle direttive quadro rispetto a quelle che prevedono misure dettagliate, sembra
ammettere, implicitamente, la legittimità di queste seconde.

L’obbligo di stand still


Le direttive stabiliscono il termine entro il quale gli Stati debbono darvi attuazione.
Prima della scadenza del termine la direttiva non è priva di effetti giuridici, in quanto vigente, e determina
un obbligo a carico degli Stati destinatari, anche se, ovviamente, questi non possono considerarsi
inadempienti.
• L'obbligo in questione, denominato di stand still, connesso dalla Corte a quello di leale
cooperazione, consiste nel divieto di adottare misure, in particolare legislative che “possano
compromettere gravemente il risultato prescritto dalla direttiva stessa”.
Tale obbligo è stato riconosciuto anche dalla Corte costituzionale italiana, la quale, nella sentenza del 7
febbraio 2000 n. 41, ha dichiarato inammissibile una richiesta di referendum abrogativo della legislazione
italiana in materia di contratto di lavoro a tempo determinato, in quanto tale legislazione risultava già
conforme alla direttiva n. 1999/70/CE, il cui termine di attuazione non era peraltro scaduto.

Deroghe all’obbligo di attuazione delle direttive


1. Eventuali difficoltà che uno Stato incontrasse non lo esimono dall'adempimento dell’obbligo di
attuazione, ma gli consentono di chiederne una proroga.

2. Eccezionalmente tale obbligo non sussiste qualora il diritto di uno Stato sia già pienamente
conforme all'obiettivo stabilito dalla direttiva (per esempio nel caso in cui l’Unione, in sede di
ravvicinamento delle legislazioni, abbia assunto come modello proprio la legge di un determinato
stato), ma con il rispetto di rigorose garanzie, specie a tutela dei diritti che dalla direttiva possano
discendere per i singoli.

L’obbligo di comunicazione alla commissione


La scelta della forma delle misure rientra nella competenza degli Stati.
Le misure adottate in attuazione delle direttive emanate con procedura legislativa devono essere
comunicate alla Commissione, ex art. 260.3 TFUE (procedura di infrazione: sanzione pecuniaria).

L’attuazione mediante strumenti idonei


Ai sensi dell’art. 288, 3° comma TFUE, le direttive devono essere attuate mediante strumenti idonei e
• non sono sufficienti mere prassi amministrative, in quanto modificabili a piacimento
e non adeguatamente pubblicizzate.
“Semplici prassi amministrative non possono essere considerate valido adempimento dell’obbligo
incombente”

La responsabilità dello Stato inadempiente


In esito alla scadenza del termine di attuazione, lo Stato inadempiente, responsabile della violazione dell’art.
288 TFUE, è soggetto a procedura di infrazione e, a certe condizioni, i singoli possono richiedere il
risarcimento dei danni subiti a causa dell’inadempimento.

L’applicabilità diretta delle direttive self executing, per i singoli


Sebbene la direttiva abbia, per sua natura, un’efficacia mediata…
Secondo la Corte, qualora una direttiva:
146

1. abbia un contenuto sufficientemente chiaro e preciso,


2. preveda per gli Stati destinatari un obbligo incondizionato (in particolare, il termine per la sua
attuazione deve essere scaduto) e
3. sia diretta a conferire ai singoli un diritto,
essa ha una diretta efficacia, cioè è suscettibile dì creare in capo ai singoli diritti
• da essi esercitabili ed
• eventualmente invocabili in giudizio dinanzi ai giudici nazionali.
Tale efficacia diretta può riguardare l'intera direttiva o anche sue singole disposizioni.

1. Efficacia diretta ricollegata all’obbligatorietà dell’atto:


Per la Corte “sarebbe in contrasto con la forza obbligatoria attribuita dall'art. 189 alla direttiva escludere,
in generale, la possibilità che l'obbligo da essa imposto sia fatto valere dagli eventuali interessati” e,
pertanto, l'efficacia diretta della direttiva è ricollegata alla stessa obbligatorietà dell'atto.
2. Efficacia diretta come conseguenza della possibilità che i giudici nazionali chiedano alla Corte
di Giustizia di pronunciarsi su tutti gli atti dell’Unione.
Un secondo argomento viene dedotto dalla possibilità che i giudici nazionali chiedano alla Corte di giustizia
di pronunciarsi sulla validità e sull'interpretazione di tutti gli atti dell'Unione, compresa la direttiva, il che
presupporrebbe che questa possa essere fatta valere dinanzi a tali giudici.

Fondamento e limiti dell’efficacia diretta delle direttive


L’efficacia diretta delle direttive costituisce:
i. una garanzia per i singoli e
ii. una sanzione contro lo Stato inadempiente.
La direttiva crea solo per lo Stato, non anche per i privati, l'obbligo di eseguirla.
Di conseguenza, i diritti da essa derivanti possono essere invocati dai singoli
a. solo nei confronti dello Stato (effetti verticali), ma
b. non dei singoli (effetti orizzontali).
L’effetto diretto "verticale" di una direttiva è anche "unilaterale", in quanto lo Stato, inadempiente e
soggetto a sanzione, non può vantare alcuna pretesa nei riguardi del cittadino, in forza della direttiva.
Sentenza 26 febbraio 1986, Marshall “una direttiva non può esser fatta valere nei confronti di un
singolo […] la natura cogente della direttiva esiste solo nei confronti dello “Stato Membro cui è diretta”
Sentenza 6 novembre 2018, causa C-684/16, Max-Planck-Gesellschaft, la Corte, sulla base di una
giurisprudenza consolidata, ha affermato “estendere l’invocabilità di una disposizione di una direttiva
non recepita all’ambito dei rapporti tra privati equivarrebbe a riconoscere all’Unione il potere di istituire
con effetto immediato obblighi a carico di questi ultimi […] competenza che le spetta solo laddove le sia
attribuito il potere di adottare regolamenti”
Gli effetti delle direttive nei rapporti tra privati (orizzontali)
La negazione di effetti diretti orizzontali determina una disparità di trattamento a seconda che il singolo
abbia come controparte Stato o un altro privato (p.es. tra lavoratore pubblico e privato).
Per questa ragione, la Corte, pur ribadendo costantemente il divieto di effetti diretti nei rapporti tra privati, ha
cercato di ampliare l'applicazione di una direttiva non eseguita (o non correttamente eseguita):
• l'effetto verticale è stato riconosciuto nei confronti dello Stato, quale che sia la veste giuridica
nella quale esso agisce e la nozione di "Stato" è stata dilatata al massimo, comprendendovi
qualsiasi ente che eserciti un pubblico potere;
147

“Qualora sussistano i presupposti necessari affinché i singoli possano invocare le disposizioni di una
direttiva dinnanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, essi possono farlo indipendentemente dalla
veste nella quale agisce quest’ultimo”
• i giudici nazionali devono interpretare il diritto interno in maniera conforme all'obbligo
prescritto dalla direttiva. (in base all’obbligo di leale cooperazione)
In tal modo, il giudice, mediante l’interpretazione conforme del diritto nazionale, piega il diritto
interno, così da adattarlo (nei limiti del possibile) alle prescrizioni della direttiva.
o [formalmente, infatti, il giudice non applica la direttiva, ma il diritto interno, creando
diritti e obblighi corrispondenti nei rapporti tra privati, e a prescindere dal contenuto, più
o meno "completo", della direttiva e dalla esistenza di un obbligo incondizionato]

“L’obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa
contemplato, così come l’obbligo di adottare tutti i provvedimenti atti a garantire l’adempimento di
tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli Stati Membri, ivi compresi quelli giurisdizionali”
Tale obbligo esiste solamente a partire dalla scadenza del termine di attuazione della direttiva.
L’interpretazione conforme rappresenta anch’essa un rimedio rispetto alla mancata attuazione della direttiva.
Peraltro, essa può operare nel limite di una “forzatura” del diritto interno al fine di conformarlo alla direttiva
non attuata.

LE DECISIONI
La decisione è il terzo atto obbligatorio dell’Unione Europea, contemplato dall’art. 288, 4° comma, TFUE. È
qualificata come obbligatoria in tutti i suoi elementi.
≠ si differenzia dalla direttiva, vincolante solo per quanto riguarda il risultato da raggiungere.

1. Prima del Trattato di Lisbona il secondo carattere distintivo della decisione era la sua "particolarità", in
quanto diretta a uno o più specifici destinatari.

2. La nuova formulazione dell’art. 288, 4° comma TFUE consente che siano emanate decisioni prive di
indicazione sui destinatari «Se designa i destinatari è obbligatoria soltanto nei confronti di questi».
La pubblicità delle decisioni

1. Le decisioni adottate con una procedura legislativa vanno sempre pubblicate nella Gazzetta
ufficiale dell'Unione europea ed entrano in vigore a seguito di tale pubblicazione (art. 297, par.
1, 3° comma, TFUE);

2. le decisioni non legislative prive di destinatari sono pubblicate anch'esse nella Gazzetta ufficiale
(art. 297, par. 2,2° comma, TFUE);

3. le decisioni che designano i destinatari, al contrario, sono notificate a questi ultimi e acquistano
efficacia in virtù di tale notificazione (art. 297, par. 2, 3° comma, TFUE).
Le decisioni rivolte a specifici destinatari (“particolari”)
I destinatari possono essere
• sia Stati membri (eccezionalmente anche tutti),
✓ p.es. nelle decisioni della Commissione relative agli aiuti di Stato,
• sia persone fisiche o giuridiche,
✓ p.es. nelle decisioni della Commissione in materia di regole di concorrenza applicabili alle
imprese (affini ad atti amministrativi).
La presenza di destinatari specifici consente di distinguere le decisioni particolari dai
148

≠ regolamenti, che hanno invece una portata generale, rivolgendosi a una serie indefinita di
destinatari.
Le decisioni indirizzate a persone fisiche o giuridiche che comportano un obbligo pecuniario hanno efficacia
di titolo esecutivo nell'ordinamento degli Stati membri.
Le decisioni che non designano i destinatari (“generali”)
È incerta la precisa individuazione della categoria delle decisioni che "non designano i destinatari" e che
restano, in ogni caso, obbligatorie in tutti i loro elementi.
Per la dottrina, si possono ascrivere a tale categoria:
1. le decisioni che hanno quale oggetto la composizione di date istituzioni o altri organi,
• sebbene tali decisioni non creino obblighi a carico di alcun soggetto e sembrino
avere piuttosto la natura di atto “organizzativo”.
2. le decisioni del Consiglio che autorizzano
i) l'avvio di negoziati per la conclusione di accordi dell'Unione europea, con designazione dei
negoziatori e
ii) la conclusione dell'accordo;
• anche tali atti sembrano difficilmente inquadrabili nella nozione di atto obbligatorio in
tutti i suoi elementi (l’effetto obbligatorio è ricollegabile alla conclusione dell’accordo
con la controparte…)
3. per alcuni autori, le decisioni sostanzialmente normative di portata generale, che, nella prassi, si
erano diffuse già anteriormente al Trattato di Lisbona (e si sono intensificate successivamente alla
sua entrata in vigore) per la previsione della disciplina di dettaglio di materie regolate da un
regolamento o da una direttiva;
• altri autori escludono, invece, tale possibilità, rilevando, giustamente, che decisioni di portata
generale si confonderebbero con i regolamenti;
Tuttavia, anche la GIURISPRUDENZA del Tribunale ha qualificato come generali le decisioni emanate
dalla Commissione in base a preesistenti direttive e aventi contenuto normativo
“La decisione impugnata possiede portata generale, in quanto si applica a situazioni determinate
obiettivamente e produce effetti giuridici nei confronti di una categoria di persone considerate in modo
generale e astratto”
4. le decisioni in materia di politica estera e di sicurezza comune, effettivamente obbligatorie,
• sebbene tale efficacia giuridica risulti già dalle specifiche disposizioni che le
contemplano, per cui appare superflua la previsione di obbligatorietà in una norma di
carattere generale.
• Peraltro la PESC è sottoposta a una regolamentazione giuridica autonoma e distinta rispetto
alla disciplina "generale" dei Trattati.
In conclusione, si ha l'impressione che l'innovazione apportata dal Trattato di Lisbona apra problemi
definitori più ampi di quelli che, forse, i redattori della stessa pensavano di risolvere!
La diretta applicabilità delle decisioni
Sebbene l'art. 288, 4° comma, ometta una precisa indicazione in merito alla diretta applicabilità della
decisione, considerando che è obbligatoria in tutti i suoi elementi,
a. Qualora sia indirizzata a Stati dipenderà dal contenuto della decisione stessa stabilire se essa
richieda o meno l’emanazione di atti statali di esecuzione;
tuttavia, secondo il suo carattere tendenzialmente completo, deve presumersi che la decisione sia
direttamente applicabile all’interno dello Stato destinatario
149

“le decisioni sono obbligatorie per i destinatari da esse designati. Ove si tratti di decisione indirizzate
agli Stati membri, questa obbligatorietà vale per tutti gli organi dello Stato destinatario, ivi compresi i
giudici (che devono astenersi dall’applicare norme interne la cui attuazione potrebbe ostacolare
l’esecuzione di una decisione comunitaria)”
Preminenza del diritto dell’Unione sul diritto interno incompatibile = prerogativa delle norme
dell’Unione direttamente applicabili
b. Sono senz’altro direttamente applicabili, senza bisogno di atti statali, le decisioni indirizzate a
persone determinate, le quali, ove contengano sanzioni di natura pecuniaria, hanno il valore di titolo
esecutivo.
Gli effetti diretti delle decisioni
Come per le direttive, anche per le decisioni la Corte di giustizia ha affermato la possibilità che esse
producano effetti diretti, cioè siano invocabili da parte dei singoli, eventualmente anche dinanzi all'autorità
giudiziaria.
A nostro parere è da ritenere che, in principio, la decisione sia invocabile nei rapporti
• sia con i poteri pubblici (effetti verticali) che
• tra i privati (effetti orizzontali).
Ratio: Tale carattere è il riflesso del contenuto tendenzialmente self-executing e completo della decisione,
insito nel fatto che essa è obbligatoria in tutti i suoi elementi e non contempla (almeno nella sua
definizione giuridica) una sfera di discrezionalità degli Stati (o, in genere, del destinatario).
≠ non si fonda – come per le direttive – sulla necessità di tutelare i singoli contro l'inadempienza dello
Stato e di sanzionare tale inadempienza.

• Per la Corte di giustizia, invece, ove la decisione sia direttamente destinata ad uno Stato, essa
non può essere fatta valere “orizzontalmente”, ossia nei rapporti tra singoli, non potendosene
ricavare obblighi a carico di privati…

• A conclusioni differenti si potrebbe giungere riguardo a decisioni che, ai sensi della


nuova formulazione dell'art. 288,4° comma, non designino i destinatari.

RACCOMANDAZIONI E PARERI
Sebbene l'art. 288 TFUE, che al 5° comma contempla le raccomandazioni e i pareri, si limiti ad affermare
che essi non sono vincolanti,
si può ritenere che:
1. La raccomandazione sia una manifestazione di volontà (o, almeno, di desiderio), con la quale
l'istituzione che la emana chiede al destinatario, sia pure in maniera esortativa e non vincolante,
di tenere la condotta raccomandata;
Sent. 20 febbraio 2018, Belgio c. Commissione: “L’art. 288 TFUE ha inteso investire di un potere di
persuasione e stimolo le istituzioni autorizzate ad adottarle, potere distinto da quello di adozione degli atti
dotati di forza cogente”
2. Il parere, invece, sia una manifestazione di giudizio, un consiglio, dal quale è assente l'intento,
proprio della raccomandazione, di sollecitare il destinatario a tenere un certo comportamento.
RACCOMANDAZIONI
Emittenti e destinatari
Emittenti
150

Ex art. 292 TFUE


• il Consiglio e
• la Commissione
hanno un potere generale di adottare raccomandazioni, mentre
• la Banca centrale europea
adotta raccomandazioni nei casi specifici previsti dai Trattati.
Determinate disposizioni dei Trattati conferiscono il potere di emanare tali atti anche ad altre istituzioni ed
organi, tuttavia si può ritenere che
• tutte le istituzioni abbiano una competenza generale ad adottare raccomandazioni.
Destinatari
La raccomandazione può avere quali destinatari
• un'istituzione ovvero
• Stati membri o anche
• persone fisiche o giuridiche.
Sebbene sia priva di effetti obbligatori essa fa parte del diritto dell'Unione e, di conseguenza, ricade nella
competenza pregiudiziale della Corte di giustizia, ex art. 267 TFUE.
• il fatto che un atto di diritto dell'Unione sia privo di effetti obbligatori non può impedire
alla Corte di pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione di tale atto.
Effetti giuridici
Talune disposizioni attribuiscono effetti giuridici (peraltro non vincolanti) a date raccomandazioni,
• p. es. le decisioni volte a fare cessare un disavanzo pubblico eccessivo (art. 126, par. 7, TFUE)
lacui inosservanza può determinare, anzitutto, la pubblicità delle stesse raccomandazioni e
può preludere alla decisione di misure contro lo Stato, che possono giungere sino ad
un'ammenda.
Inoltre, la Corte di giustizia ha dichiarato (sentenza Grimaldi del 13 dicembre 1989), sul piano generale, che
le raccomandazioni sono produttive di un effetto giuridico,
• consistente nel dovere dei giudici nazionali di prenderle in considerazione nella decisione delle cause
ad essi sottoposte, ove esse
a. siano di aiuto nell'interpretazione di norme nazionali adottate allo scopo di garantire la loro
attuazione, o
b. mirino a completare norme dell'Unione aventi natura vincolante.
L’effetto di liceità
Tale effetto, generalmente riconosciuto alle raccomandazioni delle organizzazioni internazionali, comporta
la liceità, nell’ambito dell’Unione, della condotta di uno Stato il quale, per adeguarsi alla
raccomandazione, violi un proprio obbligo giuridico.
PARERI
I pareri sono le manifestazioni di giudizio, di opinione, che la Commissione, o altre istituzioni, possono
emanare in una data materia o nei confronti di specifici destinatari, mentre è dubbio che rientrino in tale
categoria i pareri inter-organici, la cui efficacia giuridica dipende dal procedimento nel quale si inseriscono
(p.es. i pareri del Parlamento europeo).
Effetti giuridici
Malgrado l'assenza di obbligatorietà dei pareri, talora specifiche disposizioni dei Trattati prevedono
conseguenze giuridiche in caso di loro inosservanza,
151

• p.es. nel caso del parere motivato che la Commissione può emettere, ai sensi degli articoli 258 e 259
TFUE, sulla violazione di un obbligo derivante dai Trattati da parte di uno Stato membro, la
cui inosservanza può comportare il deferimento dello Stato alla Corte di giustizia (Cap. VIII, par.
5 e s.).
La caratterizzazione sostanziale
Sotto il nomen iuris di parere si può celare un atto di diversa natura, quale una decisione, idoneo ad
incidere sulla sfera giuridica del destinatario.
Tale questione ha una specifica rilevanza per quanto riguarda l'impugnabilità dell'atto dinanzi alla Corte
di giustizia,
• inammissibile per i pareri,
• consentita, invece, per le decisioni.
Per esempio, la Corte ha qualificato come decisione un atto, pur considerato dalla Commissione come
parere, con il quale quest'ultima aveva comunicato a certe imprese l'inapplicabilità, per il futuro, delle
disposizioni che sospendevano l'applicazione delle norme sulle ammende. Il parere assimilabile ad una
decisione è assoggettato ai requisiti di validità e di efficacia prescritti per tale atto e può essere annullato,
p.es., in quanto privo della prescritta motivazione (caso Cimenteries).

ATTI ATIPICI
Gli atti diversi da quelli contemplati nell'art. 288 TFUE sono denominati, nel loro complesso, come
atipici.
Il loro carattere vario ed estremamente eterogeneo non consente una loro classificazione "sistematica",
salvo raggrupparli in tre categorie, prescindendo dagli atti che, inserendosi in un procedimento
interistituzionale, non hanno una loro autonomia:

1. atti, espressamente previsti da disposizioni dei Trattati, che hanno la medesima denominazione di
uno di quelli tipici contemplati dall'art. 288 TFUE, ma caratteri giuridici differenti
✓ p.es. i regolamenti interni delle varie istituzioni e organi, art. 288 TFUE o
✓ p.es. le direttive che il Consiglio può impartire al negoziatore, in vista della conclusione di
accordi internazionali o,
✓ p.es. la decisione, con caratteri e contenuti profondamente differenziati;

2. atti espressamente previsti da disposizioni dei Trattati e aventi denominazioni (e caratteri) diversi
da quelli tipici
✓ p.es., gli atti del Consiglio, volti ad accertare se gli Stati membri soddisfino le condizioni
per il passaggio all'adozione della moneta unica, ex art. 140 TFUE o
✓ p.es. gli atti (risoluzioni operative) con i quali le istituzioni stabiliscono misure che regolano la
propria attività.
Gli accordi interistituzionali
La materia, oltre che nei regolamenti interni di istituzioni o organi dell'Unione (a cominciare dal ricordato
Regolamento interno del Parlamento), è oggetto della Dichiarazione n. 3, allegata al Trattato di Nizza del 26
febbraio 2001, che, nel quadro del dovere di leale cooperazione che impronta anche le relazioni tra le
istituzioni europee, afferma:
«Per quanto riguarda le relazioni tra le istituzioni, allorché risulta necessario, nel quadro di tale dovere di
cooperazione leale, agevolare l'applicazione delle disposizioni dei Trattati, il Parlamento europeo, il
Consiglio e la Commissione possono concludere accordi interistituzionali. Tali accordi
a. non possono né modificare né completare le disposizioni dei Trattati e
152

b. possono essere conclusi unicamente con l'accordo di queste tre istituzioni».


Tale Dichiarazione – come, in principio, le dichiarazioni allegate ai Trattati – non ha valore obbligatorio, ma
essenzialmente interpretativo.
Frequentemente, nella prassi,
i) le stesse istituzioni europee mostrano di considerare tali accordi quali mere intese politiche,
mentre
ii) in dottrina non manca chi li ascrive al soft law (ritenendoli, quindi, non vincolanti).
Ai sensi dell’art. 295 TFUE, gli accordi interistituzionali possono assumere carattere vincolante, per le
istituzioni che li assumono. La produzione di effetti obbligatori, peraltro, sembra ammissibile nella misura in
cui l'accordo sia espressione del principio di leale cooperazione consacrato, oggi, nei rapporti tra le
istituzioni, dall'art. 13, par. 2, TUE.

3. atti non contemplati da alcuna disposizione dei Trattati e nati dalla prassi. L'assenza di qualsiasi
disposizione che ne costituisca specifico fondamento rende particolarmente problematica
l'individuazione degli effetti di tali atti, che, invero, possono avere
• valore giuridico o
• meramente politico, come gli accordi interistituzionali conclusi tra il Parlamento europeo, il
Consiglio e la Commissione (o solo tra due istituzioni), spesso, peraltro, designati con
denominazioni ulteriori, quali dichiarazioni comuni, scambi di lettere, codici di condotta
ecc. (in questi termini, per esempio, si esprime l'art. 127 del Regolamento interno del
Parlamento europeo).
Essi si rinvengono, tra l'altro, in tema di procedimenti normativi, di bilancio, di diritti fondamentali,
di principi democratici e di sussidiarietà.

Gli atti a rilevanza esterna e i loro effetti giuridici


Diretti, cioè, a soggetti diversi dalle istituzioni europee
Possono considerarsi tali, per esempio,
a. le numerose risoluzioni dirette a soggetti diversi dalle istituzioni europee, che tali istituzioni
sono solite emanare in varie materie e che, di regola, hanno un valore solo politico, così come
b. le conclusioni adottate dal Consiglio.
In certi casi, atti del genere possono produrre effetti giuridici,
✓ p.es. le conclusioni con le quali il Consiglio aveva sospeso le procedure per i disavanzi
eccessivi nei confronti della Francia e della Germania, modificando le raccomandazioni
già da esso formulate verso tali Stati (sentenza del 13 luglio 2004, causa C-27/04,
Commissione c. Consiglio).

c. Vari e numerosi sono gli atti a rilevanza esterna della Commissione,


✓ p.es. conclusioni, lettere, comunicazioni, codici di condotta.
✓ In particolare, le comunicazioni in materie quali le regole di concorrenza, rispetto alle
quali la Commissione gode di poteri decisionali e di ampia discrezionalità, tendono ad
assumere una funzione interpretativa autorevole o, addirittura, un ruolo normativo.
La Corte di giustizia, con riferimento alle comunicazioni da ultimo ricordate, ha affermato: «La
Commissione è vincolata dalle discipline o dalle comunicazioni da essa emanate in materia di controllo
degli aiuti di Stato, nei limiti in cui queste ultime non derogano a norme del Trattato e vengono accettate
dagli Stati membri» (sentenza del 26 settembre 2002, causa C-351/98, Spagna c. Commissione).
153

In conclusione, la precisa definizione degli eventuali effetti giuridici degli atti atipici risultanti dalla prassi
è, in definitiva, fatta dal giudice europeo,
sulla base:
• della volontà dell'istituzione che emana l'atto, ma anche
• del potere del quale è espressione e dei principi giuridici sui quali si fonda.
Impugnazione degli atti atipici
La Corte, in ogni caso, attribuisce valore preminente, per l'identificazione degli effetti dell'atto, ai suoi
caratteri sostanziali.
Si tratta di un orientamento estremamente importante, specie ai fini della tutela giurisdizionale degli
interessati,
• finalizzato ad evitare che l'impiegò di un atto atipico celi la reale natura dell'atto, produttivo di effetti
pregiudizievoli per i destinatari (o, in generale, per gli interessati), i quali sono ostacolati nel
ricorrere ai rimedi giudiziari eventualmente disponibili.
Infatti la Corte, sin dalla sentenza del 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione c. Consiglio (AETS), ha
dichiarato:
«L'azione di annullamento deve [...] potersi esperire nei confronti di qualsiasi provvedimento adottato dalle
istituzioni (indipendentemente dalla sua natura e dalla sua forma) che miri a produrre effetti giuridici».

GLI ATTI IN MATERIA DI POLITICA ESTERA E DI SICUREZZA COMUNE (PESC)


Gli atti emanati dalle istituzioni in ambito PESC non possono avere:
• carattere legislativo,
• efficacia diretta verso diretta verso i singoli,
tuttavia essi sono obbligatori nei confronti degli Stati membri o delle istituzioni (organi o organismi)
dell'Unione.
Ai sensi dell'art. 25 TUE:
«L'Unione conduce la politica estera e di sicurezza comune:
a) definendo gli orientamenti generali,
b) adottando decisioni che definiscono:
i) le azioni che l'Unione deve intraprendere;

ii) le posizioni che l'Unione deve assumere,


iii) le modalità di attuazione delle decisioni di cui ai punti i) e ii),
c) rafforzando la cooperazione sistematica tra gli Stati membri per la conduzione della loro politica».
Le determinazioni del Consiglio europeo (definendo gli orientamenti generali)
Si collocano al vertice degli atti in materia di PESC le determinazioni del Consiglio Europeo, il quale, ex
art. 26.1.1 TUE,
«[…] individua gli interessi strategici dell'Unione, fissa gli obiettivi e definisce gli orientamenti generali
della politica estera e di sicurezza comune, ivi comprese le questioni che hanno implicazioni in materia di
difesa. Adotta le decisioni necessarie».
154

Inoltre, in base al 2° comma di tale disposizione, il Consiglio europeo definisce le linee strategiche della
politica dell'Unione dinanzi a eventuali sviluppi internazionali.
Gli atti del Consiglio Europeo possono avere
a. valore esclusivamente politico (p.es. le conclusioni), ma anche
b. effetti obbligatori; infatti, ex art. 22 TUE, le decisioni del Consiglio europeo sugli interessi e gli
obiettivi strategici dell'Unione «fissano la rispettiva durata e i mezzi che l'Unione e gli Stati membri
devono mettere a disposizione».
Le decisioni del Consiglio che definiscono le azioni da intraprendere
Inoltre l'art. 26.2.1 TUE dichiara che il Consiglio prende le decisioni per la definizione e l'attuazione della
PESC «in base agli orientamenti generali e alle linee strategiche definiti dal Consiglio europeo».
Le decisioni del consiglio sono pertanto giuridicamente vincolate alle determinazioni del Consiglio
europeo. In particolare, le decisioni che definiscono le azioni che l'Unione deve prendere (art. 25, lett. b, i,
TUE), ai sensi dell'art. 28.1 TUE, hanno un carattere spiccatamente specifico e operativo:
«Quando una situazione internazionale richiede un intervento operativo dell'Unione, il Consiglio adotta le
decisioni necessarie.
• Esse definiscono gli obiettivi, la portata e i mezzi di cui l'Unione deve disporre, le condizioni per
l’attuazione e, se necessario, la durata».
In generale, decisioni di azioni sono quelle adottate nell'ambito
1. delle operazioni di disarmo, umanitarie e di soccorso,
2. di missioni di prevenzione dei conflitti, di mantenimento e di ristabilimento della pace,
3. le missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, nonché di lotta al terrorismo,
nell'ambito della politica di sicurezza e di difesa, comune (art. 43 TUE).

Le decisioni di azioni operative sono obbligatorie, sebbene in caso di difficoltà nella loro applicazione, uno
Stato membro ne possa investire il Consiglio che delibera al riguardo e ricerca le soluzioni appropriate, le
quali non possono essere in contrasto con gli obiettivi dell'azione né nuocere alla sua efficacia (art. 28, par.
5, TUE).

Le decisioni del Consiglio che definiscono la posizione dell'Unione


Ex art. 25, lett. b, ii, TUE «Il Consiglio adotta decisioni che definiscono la posizione dell'Unione su una
questione particolare di natura geografica o tematica».
1. questioni geografiche,
a. relative a specifiche aree di crisi, come la Repubblica federale di
Iugoslavia, o
b. contenenti misure contro Stati, come la Somalia, o contro i Talebani
in Afghanistan, sull'Iraq, contro la Liberia, l'Iran ecc.;
2. questioni tematiche,
a. le posizioni sulla non proliferazione di armi nucleari,
b. sulla lotta al terrorismo, al traffico illecito di diamanti,
c. sulla Convenzione sulle armi biologiche e tossiniche ecc.
Frequentemente tali decisioni sono adottate a seguito di analoghe decisioni del Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite e comportano misure sanzionatorie contro Stati terzi, dirigenti statali o individui
(p.es. coinvolti in azioni terroristiche).
155

La possibilità, in materia di PESC, di adottare misure restrittive vs. individui, già ammessa dalla Corte di
giustizia ma fonte di dubbi, è oggi riconosciuta espressamente dall'art. 215 TFUE.
In tal caso, è assicurato un rigoroso rispetto dei diritti fondamentali di tali individui, anzitutto del
diritto di difesa e di tutela giudiziaria, e sussiste una competenza eccezionale della Corte, ex art. 275.2
TFUE, la quale ex art. 275.1, non è competente per le disposizioni e gli atti PESC.
Anche le decisioni che definiscono posizioni dell'Unione sono obbligatorie per gli Stati membri, ex art. 29
TUE: «Gli Stati membri provvedono affinché le loro politiche nazionali siano conformi alle posizioni
dell'Unione».
Le decisioni del Consiglio che definiscono le modalità di attuazione delle decisioni relative ad azioni o
posizioni dell’Unione
Sono gerarchicamente subordinate alle decisioni che definiscono posizioni dell’Unione.
Coordinamento tra atti PESC e atti “ordinari”
L’art. 215, par. 1, TFUE dispone che quando il Consiglio abbia deciso, ai sensi delle disposizioni della
PESC (essenzialmente, quindi, in base all'art. 29 TUE)
• l'interruzione o
• la riduzione, totale o parziale,
delle relazioni economiche e finanziarie con uno o più Paesi terzi (come misure di embargo commerciale), lo
stesso Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, su proposta congiunta dell'Alto rappresentante per
gli affari esteri e la politica di sicurezza e della Commissione, adotta le misure necessarie, informandone il
Parlamento europeo.
• Tali misure, in concreto, sono oggetto di atti "tipici" dell'Unione, quali previsti dall'art. 288
TFUE, in specie di regolamenti, idonei ad assicurare una obbligatorietà integrale e diretta, negli
ordinamenti degli Stati membri, delle misure restrittive in questione.
156

CAPITOLO VIII
LE COMPETENZE GIUDIZIARIE
PREMESSA. LE LIMITAZIONI ALLA COMPETENZA DELLACORTEDI GIUSTIZIA IN
MATERIA DI POLITICA ESTERA E DI SICUREZZA COMUNE
Il sistema giudiziario dell'Unione
Come la Corte di giustizia ha dichiarato nella sentenza del 23 aprile 1986, causa 294/83, Les Verts c.
Parlamento,
«la Comunità economica europea [oggi l'Unione europea] è una comunità di diritto nel senso che né gli
Stati che ne fanno parte, né le sue istituzioni sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti alla
carta costituzionale di base costituita dal Trattato».
Per garantire tale controllo sull’osservanza della rule of law da parte di tutti i soggetti,
• le istituzioni e
• gli organi dell’Unione

i Trattati istituiscono la Corte di giustizia e il Tribunale e prevedono la possibilità di creare tribunali


specializzati (come, in passato, il Tribunale della funzione pubblica).
Ai sensi dell'art. 19, par. 1,1° comma, TUE, il sistema giudiziario dell'Unione prende, complessivamente, la
denominazione di Corte di giustizia dell'Unione europea, articolata, peraltro, in Corte di giustizia e
Tribunale. Come dichiara la disposizione citata, essa:
«Assicura il rispetto del diritto (rule of law) nell'interpretazione e nell'applicazione dei Trattati».
Tali organi non escludono affatto il contributo dei giudici nazionali i quali, in conformità del principio di
leale cooperazione posto dall’art. 4, par. 3, TUE, sono tenuti, nello svolgimento delle proprie funzioni, a
garantire l’esecuzione degli obblighi derivanti dai Trattati.
➔ Il compito dei giudici nazionali è ribadito espressamente dall’art. 19, par. 1, 2° comma, TUE.
➔ l’art. 267 TFUE istituisce un originale strumento di cooperazione dei giudici nazionali con la Cortedi
giustizia, consistente nella competenza pregiudiziale (o di rinvio) di questa ultima.
L’opera creativa, "pretoria" della Corte
Sovente la Corte, con l’ausilio del Tribunale, ha svolto un ruolo propulsivo e, in certa misura “creativo”
nei confronti delle istituzioni politiche,
1. segnando delle svolte nell'evoluzione del diritto dell'Unione e
2. dando contributi decisivi per il superamento di fasi di stallo.
In particolare, rileva l'adozione dei principi generali, che rappresentano un'importante fonte del
diritto dell'Unione.
Competenza in materia di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale
In passato la competenza della Corte di giustizia
1. era piena riguardo al primo pilastro, quello comunitario,
2. era pressoché esclusa, invece, nella PESC e
3. subiva varie limitazioni nel terzo pilastro.
Tali competenze si applicano, oggigiorno, anche alle materie rientranti, in precedenza, nel terzo pilastro
(cooperazione di polizia e giudiziaria penale).
Inoltre, ai sensi dell'art. 276 TFUE. la Corte «non è competente a esaminare la validità o la proporzionalità
di operazioni condotte dalla polizia o da altri servizi incaricati dell'applicazione della legge di uno Stato
157

membro o l'esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell'ordine
pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna.».
Si sottrae così al sindacato della Corte di giustizia una sfera di materie attinenti a interessi essenziali di
ciascuno Stato membro e riservate alla sua competenza esclusiva.
Competenza nella PESC
L’art. 275 TFUE (ribadendo l'art. 24, par. 1, 2° comma, TUE) dichiara:
«La Corte di giustizia dell'Unione europea non è competente per quanto riguarda le disposizioni relative
alla politica estera e di sicurezza comune, né per quanto riguarda gli atti adottati in base a dette
disposizioni.
Tuttavia, la Corte è competente
1. a controllare il rispetto dell'articolo 40 del Trattato sull'Unione europea e
2. a pronunciarsi sui ricorsi, proposti secondo le condizioni di cui all'articolo 263, quarto comma del
presente Trattato, riguardanti il controllo della legittimità delle decisioni che prevedono misure
restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche adottate dal Consiglio in base al titolo V,
capo 2 del Trattato sull'Unione europea».
L’incompetenza della Corte nella PESC contempla due eccezioni:
1. Ex art. 40.1 il controllo sul rispetto, da parte delle istituzioni dell'Unione, delle competenze
"generali" dell'Unione può condurre all'annullamento di un atto emanato ai sensi delle disposizioni
sulla PESC in una materia nella quale si sarebbe dovuto adottare un atto in forza delle disposizioni
generali dei Trattati (Cap. VII, par. 9).

2. sono soggetti al controllo di legittimità della Corte di giustizia gli atti in materia di PESC che
stabiliscono misure restrittive a carico di privati (Cap. VII, par. 15), che può condurre al loro
annullamento (oltre, par. 9 ss.).
Interpretazione restrittiva delle disposizioni che limitano le sue competenze in ambito di PESC
Sentenza 24 giugno 2014 (Parlamento c. Consiglio) anche per gli accordi concernenti la PESC,la
decisione del Consiglio di firmarli e concluderli è regolata dall’art. 218 TFUE, avente portata generale e
destinato ad applicarsi a tutti gli accordi dell’Unione, di conseguenza
“non si può sostenere che la portata della limitazione a carattere derogatorio della competenza della Corte
si estenda fino ad escludere che la Corte sia competente ad interpretare ed applicare una disposizione come
l’art. 218 TFUE, la quale non ricade nell’ambito PESC, pur disciplinando essa la procedura sulla base
della quale è stato adottato un atto rientrante nella PESC.”
Tale interpretazione restrittiva si è ormai consolidata in vari casi (p. es. Sent 28 Marzo 2017, Rosneft Oil
Company la Corte ha dichiarato la propria competenza a pronunciarsi a titolo pregiudiziale sulla
validità di un atto emanato in base alle disposizioni relative alla PESC)

IL RIPARTO DI COMPETENZE TRA LA CORTE DI GIUSTIZIA E IL TRIBUNALE


La Corte di giustizia (intesa quale specifico organo giudiziario) e il Tribunale non si pongono su un piano
gerarchico, sebbene in alcuni casi il tribunale sia competente in primo grado e le sue sentenze possono
essere oggetto di ricorso alla Corte di giustizia; Per le competenze riservate alla Corte di giustizia, invece,
non sussiste un doppio grado di giurisdizione.
La ripartizione delle competenze è data dalle norme dei trattati, integrate da quelle dello Statuto della
Corte di giustizia dell’Unione Europea (Protocollo n. 3) e da atti di diritto derivato.
158

Il tribunale
Il Tribunale è competente a conoscere in primo grado (ex art. 256 TFUE)
1. “dei ricorsi di annullamento (art. 263), ad esclusione di quelli presentati dagli Stati, dalle Istituzioni
o dalla BCE (cfr. punto b)
2. dei ricorsi in carenza (art. 265), ad esclusione di quelli presentati dagli Stati, dalle Istituzioni o dalla
BCE (cfr. punto b)
3. dell'azione di risarcimento danni derivanti da responsabilità extracontrattuale dell'Unione (art. 268);
4. delle controversie tra l'Unione e i suoi agenti (art. 270, demandate, peraltro, al Tribunale della
funzione pubblica)
5. dei ricorsi relativi a clausola compromissoria contenuta in un contratto di diritto pubblico o di diritto
privato stipulato dall’Unione o per suo conto (art. 272).
Lo Statuto può prevedere che il Tribunale sia competente per altre categorie di ricorsi.”
Ripartizione di competenze sulla base dell’oggetto del ricorso
Rispetto all’elenco suddetto, ai sensi dell’art. 51 dello Statuto della Corte, sono riservati alla Corte di
Giustizia i ricorsi:
• previsti dagli articoli 263 e 265 rispettivamente,
o di annullamento e
o in carenza:
art. 51, lett. b) proposti da un’istituzione dell’Unione).

• i ricorsi proposti da uno Stato membro (artt. 263 e 265) contro un atto legislativo, un atto del
Parlamento europeo, del Consiglio europeo o del Consiglio, o contro una loro astensione dal
pronunciarsi,
≠ con l’eccezione dei ricorsi statali
o contro decisioni del Consiglio ai sensi dell’art. 108, par. 2, 3° comma, TFUE (in materia
di aiuti statali alle imprese),
o contro atti del Consiglio in forza di un regolamento concernente misure di difesa
commerciale ai sensi dell’art. 207 TFUE,
o contro atti del Consiglio con cui questo esercita competenze di esecuzione ai sensi
dell’art. 291, par. 2, TFUE,
che entrano quindi nella competenza del Tribunale (art. 51, lett. a), i, dello Statuto della Corte).

• ai sensi dello stesso art. 51, lett. a), ii, anche i ricorsi di Stati membri contro un atto o
un’astensione dal pronunciarsi della Commissione ai sensi dell’art. 331, par. 1, TFUE (in materia
di cooperazione rafforzata);
≠ a parte quest’ultima ipotesi, quindi, restano, nella competenza del Tribunale i ricorsi, fondati
sugli articoli 263 e 265, diretti contro atti (o omissioni) della Commissione.

• L’art. 51, lett. c), dello Statuto attribuisce alla Corte di giustizia, la competenza di annullamento,
ex art. 263 TFUE, sui ricorsi statali contro gli atti della Commissione relativi alla mancata
esecuzione di una sentenza della stessa Corte di condanna pecuniaria di uno Stato, per non
essersi conformato a una sua precedente sentenza o per non avere comunicato alla Commissione le
misure attuative di una direttiva (rispettivamente, art. 260, par. 2, 2° comma, e par. 3, 2° comma,
TFUE: oltre, par. 7).
159

Inoltre (a partire dal trattato di Lisbona) il Tribunale è competente a conoscere delle questioni
pregiudiziali, in materie specifiche determinate dallo Statuto della Corte (art. 256. par. 3, 1o comma,
TFUE).
Ad oggi tale disposizione “abilitante” non è stata attuata dallo Statuto della Corte.
Ripartizione di competenze sulla base di elementi soggettivi
La ripartizione di competenze fra Tribunale e Corte di giustizia, pertanto, si basa solo in parte sull’oggetto
del ricorso;
In materia
a. di ricorsi di annullamento e
b. in carenza,
essa si fonda su elementi soggettivi: sulla circostanza che il ricorrente sia
a. una persona fisica o giuridica: è sempre competente il Tribunale, oppure
b. un’istituzione: competenza esclusiva della Corte, oppure
c. uno Stato membro: i cui ricorsi rientrano,
o di regola, nella competenza della Corte, ma
o in quella del Tribunale se diretti contro la Commissione (salvo l’art. 331, par. 1, TFUE, e
l’art. 51, lett. c), dello Statuto della Corte, testé ricordato) o contro il Consiglio nei casi
contemplati dal citato art. 51, lett. a), i, dello Statuto della Corte.
Le competenze esclusive della Corte
1. Tutte le fattispecie non menzionate dall'art. 256 TFUE ricadono nella competenza della Corte di
giustizia (che si pronuncia, quindi, in unico grado di giudizio);

2. la procedura di infrazione contro gli Stati membri per violazione degli obblighi derivanti dai
trattati (artt. 258 e 259 TFUE);

3. la competenza consultiva in merito alla compatibilità di un accordo previsto dell'Unione con i


Trattati (Cap. VI, par. 11).
Carattere tassativo delle competenze
Le competenze conferite alla Corte e al Tribunale sono di carattere tassativo (espressione di una competenza
“di attribuzione” della Corte):
Art. 274 TFUE:
“Fatte salve le competenze attribuite alla Corte di giustizia dell’Unione Europea dai Trattati, le
controversie nelle quali l’Unione sia parte non sono sottratte alla competenza delle giurisdizioni nazionali”
L'Unione non gode di immunità dalla giurisdizione degli Stati membri: pertanto può essere esperita
contro di essa un’azione dinnanzi al giudice nazionale per inadempimento contrattuale.
➔ Tuttavia, per procedere ad esecuzione forzata contro l'Unione occorre l'autorizzazione della
Corte di giustizia (cfr. Protocollo n. 7 sui privilegi e sulle immunità dell’Unione europea).

LA “LITISPENDENZA” TRA LA CORTE DI GIUSTIZIA E IL TRIBUNALE E


L’IMPUGNAZIONE DELLE SENTENZE DI TALE TRIBUNALE
I rapporti fra il Tribunale e la Corte di giustizia vanno ora considerati sotto due ulteriori profili:
1. Essi, in date materie, hanno entrambi competenza e questa si ripartisce in considerazione del
ricorrente (possibili casi di litispendenza);
160

2. È possibile inoltre che, pur ricadendo i casi sottoposti ai due giudici in distinte competenze, essi
presentino lo stesso problema interpretativo o di validità di un atto;
- E.g. all’impugnazione diretta dinanzi al Tribunale di un atto (oltre, par. 9 ss.), la cui validità
sia oggetto di una causa dinanzi alla Corte nel quadro della sua competenza pregiudiziale
(oltre, par. 17).
in quale modo coordinare i due processi, per garantire
a. l’unità del diritto dell’Unione e
b. la buona amministrazione della giustizia ed evitare contraddizioni di sentenze?
L'art. 54, 3° comma, dello Statuto della Corte prevede le ipotesi in cui
«la Corte e il Tribunale sono investiti di cause che abbiano lo stesso oggetto, sollevino lo stesso problema
d'interpretazione o mettano in questione la validità dello stesso atto».
In tal caso sono possibili tre soluzioni, sulla base dell’apprezzamento dei giudici investiti delle cause:

1. il tribunale può sospendere il procedimento fino alla pronuncia della Corte;


o è garantito il doppio livello di giurisdizione, nonostante il tribunale si sentirà vincolato dalla
Corte.

2. nei ricorsi di annullamento il Tribunale può declinare la propria competenza affinché la Corte
statuisca sui ricorsi;
o è favorita una decisione celere, con sacrificio del doppio grado di giurisdizione.

3. la Corte sospende il procedimento, mentre prosegue quello dinanzi al Tribunale.


o È garantito il doppio grado di giurisdizione ma vengono rallentati i tempi della giustizia.

L’art. 54, 4° comma, stabilisce che, quando uno Stato membro ed un'istituzione dell'Unione impugnino lo
stesso atto, il Tribunale declina la propria competenza a favore della Corte.
L'impugnazione delle sentenze del Tribunale
L'art. 256, par. 1, 2° comma, TFUE dichiara:
«Le decisioni emesse dal Tribunale ai sensi del presente paragrafo possono essere oggetto di impugnazione
dinanzi alla Corte di giustizia per i soli motivi di diritto (cfr. cassazione dell'ordinamento italiano, più che
appello) e alle condizioni ed entro i limiti previsti dallo Statuto».
L'impugnabilità delle sentenze del Tribunale per i soli vizi di diritto, attinenti alla stessa sentenza attiene a
(art. 58 Statuto):
1. motivi relativi all'incompetenza del Tribunale;
2. vizi della procedura dinanzi al Tribunale recanti pregiudizio agli interessi della parte ricorrente;
3. violazione del diritto dell'Unione da parte del Tribunale.
Giurisprudenza
1. La Corte ha più volte affermato che un'impugnazione non può limitarsi a riproporre gli argomenti
addotti nel giudizio di primo grado, ma deve essere motivata in base a vizi di diritto della sentenza.
2. Inoltre il ricorrente non può sollevare dinanzi alla Corte motivi nuovi, rispetto al procedimento di
primo grado, tali da ampliare la controversia: “consentire ad una parte di sollevare per la prima
volta dinnanzi alla Corte un motivo che essa non abbia dedotto dinnanzi al Tribunale equivarrebbe
a consentirle di sottoporre alla Corte, la cui competenza in materie di impugnazioni è limitata, una
controversia più ampia di quella di cui sia stato investito il tribunale”
161

3. «Se un ricorrente contesta l'interpretazione o l'applicazione del diritto comunitario [oggi


dell'Unione] effettuata dal Tribunale, i punti di diritto esaminati in primo grado possono essere
sollevati di nuovo nel corso del procedimento di impugnazione. Infatti, se un ricorrente non potesse
basare l'impugnazione su motivi e argomenti già utilizzati dinanzi al Tribunale, tale procedimento
sarebbe privato di una parte del suo significato».
4. Alla Corte è precluso qualsiasi riesame delle questioni di fatto, salvo quando l’accertamento dei fatti
o la valutazione delle prove risultino palesemente erronei, in particolare nel caso di "snaturamento
dei fatti": “Tale snaturamento sussiste quando la valutazione dei mezzi di prova disponibili risulta,
in modo evidente, inesatta”
5. Per quanto riguarda la fondatezza del ricorso, va sottolineato che se l’eventuale vizio di diritto risulti
ininfluente ai fini del dispositivo della sentenza del Tribunale, il ricorso è respinto: “occorre
appurare se, nonostante tali errori [di diritto], il dispositivo della sentenza impugnata appaia
fondato per motivi di diritto diversi da quelli accolti dal Tribunale, nel qual caso l’impugnazione
deve esser respinta”
Termine d’impugnazione
Due mesi dalla notifica
Legittimazione all’impugnazione
1. Parte che sia rimasta parzialmente o totalmente soccombente;
2. Stati membri e istituzioni dell'Unione, pur se non siano affatto intervenuti nel giudizio di primo
grado (art. 56 dello Statuto), sulla base di un interesse oggettivo al rispetto della legalità,
riconosciuto a questi soggetti.
Accoglimento dell’impugnazione
La Corte annulla la decisione del Tribunale e
i) può rinviare la causa al Tribunale affinché decida in conformità della decisione resa dalla Corte sui
punti di diritto; o
ii) quando i fatti siano stati sufficientemente accertati nel giudizio di primo grado, la Corte può
trattenere la causa e decidere nel merito.
Il riesame delle sentenze pregiudiziali del tribunale e di quelle rese dal tribunale sulle impugnazioni delle
sentenze dei tribunali specializzati
Dal Trattato di Nizza del 2001 il riesame da parte della Corte di giustizia è esperibile
• su proposta del primo avvocato generale,
• ove sussistano gravi rischi che l'unità o la coerenza del diritto dell’Unione siano compromesse ed
• è subordinato ad una decisione preliminare della Corte sull’opportunità o meno di riesaminare la
decisione del Tribunale.
La revocazione delle sentenze della Corte
Nello Statuto della Corte (art. 44) è previsto inoltre, rispetto alle
a. sentenze di primo grado passate in giudicato e
b. per quelle della Corte (non impugnabili),
il rimedio straordinario della revocazione, solo in seguito alla scoperta di un fatto avente un'influenza
decisiva e che, prima della pronunzia della sentenza, era ignoto alla Corte e alla parte che domanda la
revocazione.
Interpretazione delle sentenze: «In caso di difficoltà sul senso e la portata di una sentenza, spetta alla Corte
di giustizia d'interpretarla, a richiesta di una parte o di un'istituzione dell'Unione che dimostri di avere a ciò
interesse» (art. 43).
162

IL RICORSO PER INADEMPIMENTO


LA PROCEDURA D’INFRAZIONE NEI CONFRONTI DI STATI MEMBRI
Ai sensi degli articoli 258-260 TFUE, la Corte di giustizia ha competenza esclusiva sul controllo del rispetto
del diritto dell’Unione da parte degli Stati membri.
La procedura “d’infrazione” è volta ad accertare la violazione degli obblighi imposti dalle norme
dell’Unione (Trattati, atti di diritto derivato, accordi internazionali) da parte degli Stati membri ed è
promossa dalla Commissione (art. 258) o da uno Stato membro (art. 259).
L’iniziativa della Commissione
Art. 258 TFUE
«La Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui
incombenti in virtù dei Trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in
condizioni di presentare le sue osservazioni.
Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può
adire la Corte di giustizia dell'Unione europea».
L’attribuzione del potere di iniziativa alla Commissione è coerente con il ruolo della Commissione di
guardiano, di custode dei Trattati, ad essa assegnato in termini generali dell’art. 17, par. 1, TUE.
L’intervento della Commissione può derivare da
• informazioni,
• denunce o
• esposti
provenienti da soggetti vari, compresi privati cittadini, che tuttavia non implicano per la stessa un "dovere
giuridico” d'intraprendere un'azione contro lo Stato.
Per la Corte «La Commissione non è tenuta ad instaurare un procedimento ai sensi di questa norma, ma [...]
in proposito essa dispone invece di un potere discrezionale, che esclude il diritto dei singoli di esigere dalla
stessa istituzione di decidere in un senso determinato» (sentenza del 14 febbraio 1989, causa 247/87, Star
Fruit Company SA c. Commissione).
La Commissione, peraltro, è tenuta a prendere contatti con l'autore di una denuncia e ad informarlo per
iscritto su ogni decisione presa al riguardo.
L’iniziativa di altre Istituzioni
In alcune specifiche ipotesi, il potere di iniziare un procedimento contro uno Stato membro a causa di un
suo inadempimento degli obblighi derivati dai Trattati è attribuito a istituzioni o organi diversi dalla
Commissione:
— Ex art. 126 TFUE, in materia di disavanzi eccessivi, il Consiglio può emanare misure contro lo Stato
inadempiente, mentre è espressamente esclusa l'applicazione della procedura prevista dagli articoli
258 e 259.
— il Consiglio di amministrazione della BEI può avviare la procedura per le violazioni degli Stati
membri degli obblighi derivanti dallo statuto della BEI;
— il Consiglio direttivo della BCE, per le violazioni delle banche centrali nazionali degli obblighi
derivanti dai Trattati e dallo Statuto del SEBC e della BCE (art. 271 TFUE, rispettivamente lettere a
e d).
163

La condotta dello Stato, dei suoi organi e degli enti locali


La condotta dello Stato può essere
a. di carattere commissivo (prassi amministrativa o specifico atto contrari agli obblighi previsti dal
diritto dell’Unione) o
b. omissivo (mancata attuazione di una direttiva entro il termine prescritto).
La condotta in questione può essere tenuta da organi legislativi, amministrativi o giudiziari della Stato, ma
anche degli enti pubblici/locali.
Sentenza 28 gennaio 2020, causa C-122/18, Commissione c. Italia: “l’inadempimento di uno Stato membro
può, in linea di principio, essere dichiarato ai sensi dell’art. 258 TFUE indipendentemente dall’organo di
tale Stato la cui azione o inerzia abbia dato luogo all’inadempimento, anche se si tratti di un’istituzione
costituzionalmente indipendente”
Sentenza 4 ottobre 2018, causa C-416/17, Commissione c. Francia: la Corte ha dichiarato che la Francia è
venuta meno all’obbligo previsto dall’art. 267, 3° comma TFUE, perché un suo giudice di ultimo grado non
si è rivolto alla stessa corte per richiedere l’interpretazione del diritto dell’Unione.
La condotta degli individui
La condotta di privati non è, di per sé, imputabile allo Stato, salvo questo non abbia adottato adeguate
misure preventive e repressive per contrastare la condotta di privati diretta a impedire l'esercizio di
diritti derivanti dai Trattati (p.es., il comportamento omissivo della Francia rispetto alle azioni di violenza
commesse da agricoltori francesi contro prodotti agricoli provenienti da altri Stati membri (C-265/95, caso
"fragole").
➔ Lo Stato "accusato" non può di norma invocare, per giustificare il proprio inadempimento, motivi
derivanti dal proprio ordinamento, quali prassi, ripartizioni di competenze, eventi politici.
Sentenza 4 marzo 2010, causa C-297/08, Commissione c. Italia.

LE FASI DELLA PROCEDURA5


La procedura d'infrazione promossa dalla Commissione si articola in due fasi:
1. la prima è di natura precontenziosa (o amministrativa), in quanto non coinvolge la Corte di
Giustizia e si esaurisce nel dialogo tra la Commissione e lo Stato membro;
2. la seconda, eventuale, contenziosa, si svolge in un processo dinanzi alla Corte e si conclude con la
sua sentenza.
La fase precontenziosa
Ha lo scopo di favorire uno spontaneo adempimento di propri obblighi da parte dello Stato membro,
dandogli l'opportunità,
• da un lato, di conformarsi agli obblighi che gli derivano dal diritto comunitario e,
• dall’altro, di sviluppare un'utile difesa contro gli addebiti formulati dalla Commissione.
La regolarità di tale procedimento costituisce una garanzia a tutela dei diritti dello Stato membro e assicura
che l'eventuale procedimento contenzioso verta su una controversia chiaramente definita».
1. La lettera di messa in mora
Finalità: La Commissione invia una lettera (detta di messa in mora, o di diffida, o di intimazione o di
addebito) con la quale

5
Non spiegato
165

a. contesta allo Stato destinatario l'esistenza di una violazione di un obbligo derivante dal diritto
dell'Unione, specificandone gli elementi di fatto e di diritto,
b. invita lo Stato a comunicare le proprie osservazioni entro un certo termine.
Lo Stato ha il diritto di sottoporre alla Commissione le sue osservazioni con eventuali giustificazioni della
propria condotta.
Contenuto della lettera di messa in mora non è modificabile,
i) né da parte del successivo atto della fase precontenziosa (il parete motivato)
ii) né dall'eventuale ricorso alla Corte. Ove quest'ultimo contenga degli addebiti6 non
preventivamente contestati nella lettera di messa in mora (anche in modo succinto), il ricorso è
dichiarato irricevibile dalla Corte.
2. Il parere motivato
Finalità: Qualora lo Stato in questione presenti delle osservazioni ritenute insufficienti dalla
Commissione (o ometta di presentarle), la Commissione, ex art. 258, 1° comma, emette un parere
motivato, con il quale
a. formalizza la contestazione
b. specificando, in fatto e diritto, in modo rigido ed esaustivo, gli addebiti già contestati e stabilisce un
termine (per la Corte, “ragionevole”) entro il quale lo Stato deve conformarsi al parere.

3. Ipotesi in cui non è prevista la fase precontenziosa


Esistono alcune specifiche ipotesi nelle quali non è prevista la fase precontenziosa e la Commissione (o uno
Stato membro) possono adire direttamente la Corte (p.es., art. 108 TFUE aiuti di Stato ritenuti dalla
Commissione incompatibili con il mercato interno o attuati in modo abusivo).
La fase contenziosa
A parte alcuni casi previsti dai Trattati, solo dopo la scadenza del termine senza che lo Stato interessato si sia
conformato al parere motivato, la Commissione può adire la Corte di giustizia.
➔ La Commissione ha un potere pienamente discrezionale in merito alla presentazione o meno del
ricorso alla Corte di giustizia e, ove ritenga di non presentarlo, le sue motivazioni sono sottratte a
qualsiasi sindacato giurisdizionale.
In attesa della sentenza, la Corte può emanare provvedimenti provvisori (ex art. 279 TFUE), p.es. può
prescrivere allo Stato convenuto la sospensione dell’applicazione di una legge o di una prassi amministrativa.
Qualora la Commissione adisca la Corte di giustizia il processo deve necessariamente concludersi con il
giudizio sull'inadempimento dello Stato, a prescindere dall’adempimento successivo alla scadenza del
termine fissato nel parere motivato (tardivo).
Tale impostazione è giustificata dalla Corte in quanto «di fronte al ritardo nell’adempiere un obbligo [...], la
sentenza pronunciata dalla Corte [...] può avere pratica rilevanza come fondamento della responsabilità
dello Stato membro nei confronti di altri Stati membri, dell'Unione o dei singoli».
Nel processo dinnanzi alla Corte alla Commissione “incombe l’onere di dimostrare l’esistenza
dell’inadempimento dedotto e di fornire alla Corte le prove necessarie affinché quest’ultima verifichi
l’esistenza di tale inadempimento.”

6
Imputazione di errori commessi
166

I RICORSI PROMOSSI DA STATI MEMBRI7


Il ricorso per infrazione, ex art. 259, 1° comma, TFUE, può essere proposto non solo dalla Commissione,
ma anche da un altro Stato membro, sebbene nella prassi questa ipotesi sia estremamente rara.
Il ricorso dello Stato non richiede uno specifico interesse ad agire, giacché sussiste l'interesse obiettivo al
rispetto dei Trattati.
Tale norma va posta in relazione con l'art. 344, il quale configura la competenza della Corte nelle
controversie tra gli Stati membri relative all'interpretazione o applicazione dei Trattati come esclusiva:
«Gli Stati membri si impegnano a non sottoporre una controversia relativa all'interpretazione o
all'applicazione dei Trattati a un modo di composizione diverso da quelli previsti dai Trattati stessi».
La fase precontenziosa
Ai sensi dell’art. 259, 2° e 3° comma, TFUE
1. lo Stato membro deve preventivamente rivolgersi alla Commissione,
2. la quale mette gli Stati coinvolti in condizione di presentare le proprie osservazioni
(contraddittorio) ed emette un parere.
Sebbene l’esperimento della fase precontenziosa sia, anche in questo caso, presupposto necessario per adire
la Corte, lo Stato attore può adire la Corte,
a. sia se la Commissione non rilascia il proprio parere entro tre mesi (art. 259.4 TFUE)
b. che, si ritiene, se il parere della Commissione è favorevole allo Stato convenuto.

LA SENTENZA DELLA CORTE E LA SUA ESECUZIONE


Effetti della sentenza
La sentenza della Corte che giudichi lo Stato convenuto responsabile della violazione contestatagli ha la
natura di sentenza dichiarativa, ossia di accertamento dell’inadempimento, non di condanna all’adozione
di specifici atti (e.g. recepimento di una direttiva, cessazione di una prassi amministrativa…)
Tuttavia, ex art. 260 TFUE, lo Stato in questione “è tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione
della sentenza della Corte comporta” (p.es. l'abrogazione di una legge, il recepimento di una direttiva ecc.).
Sebbene la norma non preveda un termine, la Corte ha statuito che tali provvedimenti devono essere adottati
al più presto, “data l'esigenza di un'immediata e uniforme applicazione del diritto comunitario”.
L'obbligo di esecuzione grava su tutti gli organi dello Stato; pertanto anche i giudici dovranno astenersi
dall'applicare una legge in conflitto con una norma dell'Unione direttamente applicabile, nelle more della sua
abrogazione.
Mancata esecuzione della sentenza
Qualora lo Stato membro non dia esecuzione alla sentenza,
a. originariamente era possibile solo un nuovo ricorso d'infrazione, diretto a fare constatare la
violazione dell'obbligo di eseguire la sentenza (procedimento di "doppia condanna");
▪ in assenza di mezzi sanzionatori di presso verso lo Stato inadempiente, tale meccanismo finiva per
rivelarsi di scarsa efficacia pratica (potendo condurre ad una moltiplicazione delle procedure di infrazione
rispetto a ogni sentenza di accertamento della mancata esecuzione di una precedente sentenza!)

b. Il Trattato di Maastricht del 1992 ha stabilito che la Commissione possa

7
Non spiegato
167

- non solo aprire un procedimento d'infrazione per fare dichiarare che lo Stato ha violato
l'obbligo di eseguire la precedente sentenza, ma
- possa chiedere alla Corte di condannare lo Stato al pagamento di una sanzione monetaria.

c. Il Trattato di Lisbona ha semplificato il procedimento, non richiedendo più la previa emanazione da


parte della Commissione del parere motivato e di un termine entro il quale adottare i provvedimenti
di esecuzione (art. 260, par. 2, TFUE).
«Se ritiene che lo Stato membro in questione non abbia preso le misure che l’esecuzione della sentenza della
Corte comporta, la Commissione, dopo aver posto tale Stato in condizione di presentare osservazioni, può
adire la Corte. Essa precisa l’importo della somma forfettaria o della penalità, da versare da parte dello
Stato membro in questione, che essa consideri adeguato alle circostanze.
La Corte, qualora riconosca che lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza da essa
pronunciata, può comminargli il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità.
Questa procedura lascia impregiudicate le disposizioni dell’articolo 259».
Tale disposizione comporta l'emanazione di una sentenza non più di mero accertamento dell'infrazione, ma
di condanna al pagamento di una somma di denaro quale sanzione per l'inesecuzione della precedente
sentenza.
L’art. 260, par. 2, non chiarisce la distinzione tra somma forfettaria e penalità. In proposito la Commissione
ha elaborato alcune comunicazioni – la più recente è del 2019 (2019/C 70/01):
La determinazione della sanzione pecuniaria richiesta si fonda su tre criteri fondamentali, elaborati dalla
Commissione e confermati dalla giurisprudenza:
1. la gravità dell'infrazione,
2. la sua durata,
3. la necessità di assicurare l'effetto dissuasivo della stessa sanzione, avendo, quindi, riguardo anche
alla capacità finanziaria dello Stato inadempiente.
 La somma forfettaria consiste in una somma determinata, quale sanzione per la mancata esecuzione
della sentenza di accertamento;
 La penalità, invece, consiste in una somma da pagare per ogni giorno (o diverso periodo) di ritardo a
partire dalla sentenza di condanna (seconda sentenza). (penalità di mora, il cui ammontare dipende dal
ritardo dello Stato)

I. Nelle prime applicazioni della norma in esame la Corte, in conformità della richiesta della
Commissione, ha comminato8 delle penalità (C-387/97 Commissione c. Grecia).

II. Successivamente (causa C-304/02, Commissione c. Francia), sebbene la Commissione avesse


chiesto di condannare la Francia solo al pagamento di una penalità commisurata al ritardo
nell'esecuzione di una precedente sentenza d'inadempimento, la Corte ha comminato sia penalità
che la somma forfettaria, in ragione della diversa natura dei due strumenti sanzionatori. (la
penalità tendendo a spingere lo Stato a cessare al più presto dal suo inadempimento, la somma
forfettaria a sanzionare la mancata esecuzione, specie se protrattasi a lungo, della sentenza).

III. Successivamente, la applicazione cumulativa della somma forfettaria e della penalità è diventata di
uso comune nella giurisprudenza della Corte. (22 febbraio 2018, Commissione c. Slovacchia)

8
Stabilire, specificare la pena, la sanzione penale relativa a un reato
168

«Il procedimento previsto all’art. 228, n. 2, CE [oggi art. 260, par. 2, TFUE], ha lo scopo di spingere uno
Stato membro inadempiente a eseguire una sentenza per inadempimento garantendo con ciò l’applicazione
effettiva del diritto comunitario [oggi dell’Unione]. Le misure previste da tale disposizione, e cioè la somma
forfetaria e la penalità, mirano entrambe a questo stesso obiettivo.”
Inosservanza dell’obbligo di comunicare le misure di attuazione di una direttiva adottata con una
procedura legislativa
Ai sensi dell'art. 260, par. 3, inserito dal Trattato di Lisbona, nel caso di specie la Commissione può indicare
alla Corte la somma forfettaria o la penalità, senza bisogno di una precedente sentenza dichiarativa della
violazione.
➔ In tal caso, peraltro, la norma dispone espressamente che la condanna della Corte deve restare "entro
i limiti dell'importo indicato dalla Commissione".

LA RESPONSABILITA’ DELLO STATO PER I DANNI DERIVANTI DA VIOLAZIONE


DEGLI OBBLIGHI PREVISTI DAL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA9
La competenza del giudice nazionale
La violazione di obblighi previsti dal diritto dell'Unione può dare luogo, a certe condizioni, all'obbligo dello
Stato inadempiente di risarcire i danni che il singolo abbia subito a causa della violazione stessa.
Il diritto al risarcimento può essere fatto valere esclusivamente davanti ai giudici nazionali, competenti in
base alle proprie norme processuali.
L'obbligo risarcitorio non si fonda sui Trattati, ma è una "creazione" giurisprudenziale della Corte di
giustizia, adita da giudici nazionali in via pregiudiziale.
Sentenza Francovich, e Bonifaci, 19/11/1991
L'Italia non aveva attuato nel termine prescritto la direttiva 80/987/CEE, relativa alla tutela di lavoratori
subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, mediante l'istituzione di un fondo di solidarietà, dei
crediti dei lavoratori. L'inadempienza dell'Italia aveva privato i lavoratori subordinati del diritto di
utilizzare tale garanzia, in seguito all’insolvenza del datore, provocando ad essi un evidente danno. I
Pretori di Vicenza e di Bassano del Grappa, aditi da alcuni lavoratori italiani in causa contro l’Italia, avevano
chiesto, tra l'altro, alla Corte di giustizia se i privati potessero rivendicare nei confronti del governo italiano il
risarcimento di tale danno.
La Corte ha dato risposta positiva al quesito, dichiarando che
«il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del diritto
comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato».
Il fondamento dell’obbligo di risarcimento
Per la Corte:

1. «sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle norme comunitarie e sarebbe infirmata la
tutela dei diritti da esse riconosciuti se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un
risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile ad uno
stato membro»

2. «l'obbligo degli stati membri di risarcire tali danni trova il suo fondamento anche nell’art. 4, par. 3,
tue (leale cooperazione), in forza del quale gli stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure di
carattere generale o particolare atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi ad essi derivanti dal

9
Non spiegato
169

diritto comunitario. orbene, tra questi obblighi si trova quello di eliminare le conseguenze illecite di
una violazione del diritto comunitario»

3. «Il principio della responsabilità extracontrattuale dell’Unione, che l'art. 340 TFUE sancisce
dunque espressamente, altro non è se non un'enunciazione del generale principio, riconosciuto negli
ordinamenti giuridici degli Stati membri, in forza del quale un'azione o un'omissione illegittima
comporta l'obbligo della riparazione del danno arrecato. Questa disposizione pone altresì in
evidenza l'obbligo, incombente alle pubbliche autorità, di risarcire i danni cagionati nell'esercizio
delle loro funzioni»
Le condizioni perché sussista l’obbligo risarcitorio
1. La norma giuridica violata deve essere preordinata a conferire diritti ai singoli.
2. Deve sussistere un nesso di causalità diretto tra
- la violazione dell'obbligo incombente allo Stato e
- il danno subito dai soggetti lesi.
3. Deve trattarsi di una violazione sufficientemente caratterizzata, cioè di una violazione grave e
manifesta.
Le fattispecie che danno luogo all’obbligo di risarcimento
4. La violazione del diritto UE può derivare dal comportamento di organi dello Stato o di enti
pubblici, territoriali e non, in quanto è imputata allo Stato membro, unitariamente considerato, la
condotta di tutti i suoi organi, legislativi, amministrativi e giudiziari, nonché di tutte le sue
articolazioni interne, territoriali o meno (cfr. procedura di infrazione);
5. Il diritto al risarcimento sussiste anche per la violazione da parte dello Stato delle norme aventi
effetti diretti (non solo delle direttive), nel qual caso “il diritto al risarcimento costituisce il
corollario necessario dell'effetto diretto riconosciuto alle norme comunitarie la cui violazione ha
dato origine al danno subito”.
6. Non è necessario il preventivo accertamento della violazione, che può essere accertata dal giudice
interno (salvo rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE), da parte della Corte di giustizia;
La riparazione del danno ai sensi delle norme nazionali
Per la Corte, «fermo restando il diritto al risarcimento che trova direttamente il suo fondamento nel diritto
comunitario, […] è nell'ambito delle norme del diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è
tenuto a riparare le conseguenze del danno provocato, restando inteso che le condizioni fissate dalle norme
nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano
reclami analoghi di natura interna e non possono essere tali da rendere praticamente impossibile o
eccessivamente difficile ottenere il risarcimento».
1. Il principio di equivalenza
In virtù del principio di equivalenza la disciplina in materia di risarcimento dei danni provocati
dall'inadempimento dello Stato non può essere meno favorevole al danneggiato rispetto a quella che, nel
diritto statale, riguarda reclami analoghi di natura interna.
2. Il principio di effettività
la legislazione nazionale non può essere congegnata in modo tale da rendere praticamente impossibile o
eccessivamente difficile ottenere il risarcimento dei danni: essa, in altri termini, deve essere tale da garantire
l'effettivo esercizio del diritto al risarcimento.
170

3. La quantificazione del danno risarcibile


I principi di equivalenza e di effettività vengono in rilievo anche ai fini della determinazione del danno
risarcibile. La Corte, peraltro, ha più volte affermato l'esistenza anche di principi di diritto dell'Unione, che il
giudice statale è tenuto ad applicare e che prevalgono su eventuali principi statali difformi, da cui il danno
risarcibile comprende
non solo quello emergente, ma anche
il lucro cessante.
Applicabilità dei principi in materia di responsabilità extracontrattuale dell'Unione
L'equiparazione tra l'obbligo risarcitorio dello Stato membro e quello dell'Unione ex art. 340, 2° comma,
TFUE, ha per conseguenza che anche rispetto alla responsabilità da illecito dello Stato siano applicabili
i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte in materia di responsabilità extracontrattuale
dell'Unione (a loro volta ricavati dai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, ai sensi del
citato art. 340, 2° comma).
171

IL RICORSO PER ANNULLAMENTO


LA COMPETENZA SULLA LEGITTIMITA’ DEGLI ATTI DELL’UNIONE EUROPEA:
GLI ATTI IMPUGNABILI10
Il controllo giudiziario sulla condotta delle istituzioni e degli organi dell'Unione europea si realizza
principalmente nel controllo di legittimità sugli atti dell'Unione, rispetto al quale sussiste la competenza
sia del Tribunale che della Corte di giustizia (sopra, par. 2), cui i soggetti legittimati possono sottoporre un
ricorso per ottenere l'annullamento dell'atto (articoli 263-264 TFUE, applicabili anche al Tribunale);
Una specifica disposizione, l'art. 271, lettere b) e e), TFUE, regola i ricorsi per l'annullamento delle
deliberazioni del Consiglio dei governatori e del Consiglio di amministrazione della Banca europea per gli
investimenti.
Il controllo di legittimità è, in questa competenza, diretto, poiché l'oggetto stesso del processo consiste
nell'impugnazione di un atto dell'Unione,
≠ il controllo indiretto attiene al rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE.
GLI ATTI IMPUGNABILI
Ex art. 263, 1° comma, TFUE,
“La Corte di giustizia dell'Unione europea esercita un controllo di legittimità
1. sugli atti legislativi,
2. sugli atti del Consiglio, della Commissione e della Banca centrale europea che non
siano raccomandazioni o pareri,
3. nonché sugli atti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo destinati a produrre
effetti giuridici nei confronti di terzi.
4. Esercita inoltre un controllo di legittimità sugli atti degli organi o organismi
dell'Unione destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi”.
I. L’esistenza dell’atto
L’impugnabilità presume, in primo luogo, che l’atto sia giuridicamente esistente.
➔ La Corte di giustizia ha ammesso la possibilità di un atto giuridicamente inesistente e, come tale,non
soggetto ad impugnazione;
➔ essa, peraltro, ne ha sottolineato l'assoluta eccezionalità, perché gli atti dell'Unione sono
assistiti da una presunzione di legittimità e, pertanto, producono effetti giuridici (anche se
viziati da illegittimità) salvo siano “viziati da un'irregolarità la cui gravità sia così evidente
che non può essere tollerata dall'ordinamento giuridico dell’Unione, ai quali non può essere
riconosciuto alcun effetto giuridico, devono cioè essere considerati giuridicamente
inesistenti.” (Sent. 15 Giugno 1994, causa C-137/92 P, Commissione c. BASF)

II. Gli atti imputabili all'Unione europea


L’atto in questione deve essere “Imputabile” all’Unione Europea: sebbene l'art. 263, 1° comma, menzioni
espressamente alcune istituzioni, dalla sua formulazione, che recepisce l’indirizzo giurisprudenziale (Sent.
Les Verts c. Parlamento), si può ritenere che sono impugnabili
• gli atti legislativi, nonché
• tutti gli atti degli organismi dell’Unione, destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi
(Il Trattato di Lisbona ha introdotto il riferimento agli atti, che abbiano effetti verso i terzi, del

10
Non spiegato
172

Consiglio europeo e degli organi o organismi dell’Unione: sono escluse le dichiarazioni e gli atti
analoghi aventi natura politica).
Va ricordato che, nella sentenza del 20 settembre 2016, Mallis e altri c. Commissione e BCE, la Corte di
Giustizia ha dichiarato che l’Eurogruppo non può qualificarsi come una formazione del Consiglio, né come
organo o organismo dell’Unione, giudicando irricevibili i ricorsi di annullamento di una sua dichiarazione,
III. Gli atti adottati nell’esercizio delle funzioni rientranti nel diritto dell’Unione europea
Di conseguenza, sono stati dichiarati irricevibili dei ricorsi di annullamento relativi ad atti compiuti dalla
Commissione e dalla BCE nel quadro del Trattato di Bruxelles del 2 febbraio 2012 istitutivo del Meccanismo
europeo di Stabilità (MES):
“il fatto che una o più istituzioni dell’Unione possano avere un determinato ruolo nel quadro del MES non
cambia la natura degli atti del MES, i quali sono estranei all’ordinamento giuridico dell’Unione”
IV. Gli atti PESC
La Corte di giustizia dell'Unione europea è competente, in materia di PESC, ad annullare gli atti dell’Unione
esclusivamente nel caso
• di violazione dell'art. 40 TUE (concernente i "confini" tra la PESC e le altre politiche dell'Unione)
e
• di decisioni comportanti misure restrittive verso persone fisiche e giuridiche (art. 275, 2° comma
TFUE).

V. L’annullamento degli atti propedeutici agli accordi internazionali


La Corte può annullare esclusivamente la decisione dell'istituzione europea diretta a concludere
l'accordo internazionale.
la sentenza non è ovviamente efficace verso gli Stati terzi,
o con i quali l’Unione dovrà ricercare una soluzione amichevole, eventualmente rinegoziando
un nuovo accordo.
o Talvolta la stessa Corte ha rinviato gli effetti della sentenza di annullamento ai momenti in
cui il Consiglio avrebbe adottato gli atti necessari per la conclusione di un nuovo accordo

VI. Gli atti che costituiscano simultaneamente una decisione sia del Consiglio, sia dei rappresentanti
degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio (atti “ibridi”)
A differenza degli “atti collettivi degli Stati membri” (v. tra gli “atti non impugnabili”), sebbene si tratti di
“atti ibridi”, in quanto adottati anche dal Consiglio sono impugnabili: nel caso sottostante si tratta di una
decisione che autorizzava la Commissione a partecipare ai negoziati di una convenzione sulla tutela dei
diritti degli organismi di diffusione radiotelevisiva, per quanto riguardava le competenze dell’Unione, e gli
Stati Membri a partecipare a tali negoziati, per le questioni di loro competenza:
Sent. 4 Settembre 2014, causa C-114/12 Commissione c. Consiglio “dato che la decisione impugnata
riunisce le autorizzazioni a negoziare rilasciate alla Commissione, da un lato, e agli Stati Membri dall’altro,
ne consegue necessariamente che il Consiglio ha partecipato alla concessione di entrambe le autorizzazioni.
Pertanto, il ricorso concerne la decisione nella sua interezza”
VII. Gli atti legislativi o produttivi di effetti giuridici – impostazione sostanzialistica
Sono impugnabili
• gli atti adottati mediante una procedura legislativa, ordinaria o speciale, o comunque
• tutti gli atti produttivi di effetti giuridici.

L’art. 263 utilizza una formula negativa, escludendo l’impugnabilità di raccomandazioni e pareri:
173

Tuttavia, tale esclusione non significa che siano impugnabili solo gli atti tipici (diversi da raccomandazioni e
pareri) elencati dall'art. 288 TFUE (regolamenti, direttive e decisioni).
Sono sicuramente impugnabili tutti gli atti dell'Unione che, a prescindere dalla loro denominazione,
siano idonei a produrre effetti giuridici.
Sentenza del 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione c Consiglio (caso AETS), la quale giudicò
impugnabile una deliberazione del Consiglio che autorizzava gli Stati membri a negoziare e stipulare un
accordo sui trasporti internazionali su strada: «In forza dell'art. 173 [oggi 263] gli Stati membri e le
istituzioni non possono impugnare per annullamento le 'raccomandazioni e pareri' i quali, a norma dell'art.
189 [oggi 288], ultimo comma, non sono vincolanti - mentre invece rimangono impugnabili tutti i
provvedimenti adottati dalle istituzioni e miranti a produrre effetti giuridici”.
Tale requisito di impugnabilità è oggi espressamente sancito (nel quadro della massima estensione del
controllo di legalità) dall'art. 263.1 per gli atti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, nonché
per quelli degli organi e organismi dell'Unione (quali le agenzie).
IMPOSTAZIONE SOSTANZIALISTICA alla luce della giurisprudenza, il requisito di impugnabilità
sancito dall’art. 263 può riferirsi a tutti gli atti, anche atipici, delle istituzioni europee (comunicazioni,
codici di condotta, linee direttrici della Commissione), atti talvolta apparentemente inoffensivi, tenuto conto
della loro denominazione, ma che potrebbero invece pregiudicare posizioni giuridiche.
Tale impostazione ha il risultato
a. di estendere al massimo il controllo di legalità sugli atti dell’Unione e, in corrispondenza,
b. di garantire il più possibile la tutela giurisdizionale dei soggetti.
Sent. 20 febbraio, causa C-16/16P, Belgio c. Commissione:“è eccezionalmente possibile proporre un
ricorso di annullamento contro una raccomandazione qualora l’atto impugnato non costituisca una
raccomandazione vera e propria” in quanto, alla luce del suo contenuto, produca effetti giuridici obbligatori.
VIII. Atti di cui all’art. 14, par. 2, 2° comma dello Statuto della Banca centrale europea
Si ammette il ricorso alla Corte di Giustizia, per violazione dei Trattati o di qualsiasi regola di diritto relativa
alla loro applicazione, contro la decisione di uno Stato membro di sollevare dall’incarico il governatore
della propria banca centrale (competenza esercitata per la prima volta con la sentenza del 26 Febbraio
2019, cause C-202/18 e C-238/18, Rimsevics e BCE c. Lettonia).
➔ Particolarità di questa competenza: alla Corte è attribuito il potere di annullare un atto di diritto
nazionale.
GLI ATTI NON IMPUGNABILI

I. Gli atti collettivi degli Stati membri, adottati dal Consiglio


Per la Corte «emerge con chiarezza che gli atti adottati dai rappresentanti degli Stati membri che agiscono
non in qualità di membri del Consiglio, ma in qualità di rappresentanti dei loro governi, e che esercitano in
tal modo collettivamente i poteri degli Stati membri, non sono soggetti al sindacato di legittimità esercitato
dalla Corte [...]».

II. Gli atti non definitivi o meramente preparatori


Non sono impugnabili gli atti meramente preparatori di altri atti (salva l’impugnazione dell’atto finale
del procedimento) a meno che essi siano di per sé idonei a produrre effetti giuridici.
174

È il caso, per esempio, dell'atto con il quale la Commissione apre una procedura tesa alla
soppressione di un aiuto statale nuovo ai sensi dell'art. 108, par. 3, TFUE, poiché tale atto determina
il divieto di erogare l'aiuto.

III. Gli atti a rilevanza meramente interna


Non sono impugnabili gli atti di un'istituzione che abbiano una rilevanza esclusivamente interna
sull'attività o sull’organizzazione della stessa, come la decisione di creare una commissione d'inchiesta del
Parlamento europeo,
«in quanto l'atto [...] non è idoneo a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. Infatti, alle commissioni
di inchiesta [...] viene attribuito un semplice potere di studio e, di conseguenza, gli atti relativi alla loro
costituzione riguardano soltanto l'organizzazione interna dei lavori del Parlamento europeo» (causa 78/85,
Groupe des droites européennes c. Parlamento).

IV. Gli atti meramente confermativi di atti precedenti


Non sono impugnabili sono gli atti meramente confermativi di atti precedenti (specie sé, non essendo
stati tempestivamente impugnati questi ultimi, il ricorso tende in realtà solo ad eludere il termine di due mesi
prescritto dall'art. 263, 6° comma, TFUE per l'impugnazione).

V. Gli atti dell'Unione che si limitano a prendere atto di provvedimenti nazionali


Tali atti non sono impugnabili, in quanto privi di effetti giuridici, che sono invece ascrivibili ai
provvedimenti nazionali.

LA LEGITTIMAZIONE ALL’IMPUGNAZIONE11
I ricorrenti privilegiati e non privilegiati (art. 263 TFUE)
I ricorrenti privilegiati (art. 263.2) possono impugnare l'atto anche se non li riguardi specificamente, in
ragione dell’interesse obiettivo al rispetto del diritto dell'Unione, e sono:

1. Stati membri (le sole autorità di governo, sono esclusi gli enti pubblici, territoriali e non)
2. Parlamento europeo
3. Consiglio
4. Commissione
I ricorrenti non privilegiati possono impugnare esclusivamente atti che ledano le proprie prerogative o i loro
individuali interessi:

1. Corte dei conti (art. 263.3, per salvaguardare le proprie prerogative)


2. Banca centrale europea (art. 263.3, per salvaguardare le proprie prerogative)
3. Comitato delle regioni (art. 263.3, per salvaguardare le proprie prerogative)
4. Le persone fisiche e giuridiche, incluse quelle di diritto pubblico (art. 263.4, atti nei loro confronti
o che li riguardino direttamente e individualmente).

11
Non spiegato
175

Il ricorso delle persone fisiche e giuridiche


I. Le regioni
La giurisprudenza europea ha riconosciuto la legittimazione a ricorrere delle persone di diritto pubblico, in
particolare delle regioni, spesso riguardo a ricorsi presentati da regioni italiane.
La legittimazione delle regioni è riconosciuta quando le loro competenze non possono ritenersi assorbite da
quelle dello Stato cui appartengono, ma presentano una propria autonomia.
Nella sentenza regione Fiamminga c. Commissione, il Tribunale ha sottolineato che la regione Fiamminga
«è titolare di un interesse proprio ad impugnare la decisione [...]. Nel caso di specie [...] non risulta che il
governo federale belga sia in grado di determinare l'esercizio da parte della Regione fiamminga delle sue
competenze, in particolare di quelle che le conferiscono la facoltà di concedere aiuti ad imprese».
II. Gli atti impugnabili dai singoli
“Qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre un ricorso contro
a. gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, e
b. contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura
d'esecuzione”.
a. Atti adottati nei suoi confronti
L'ipotesi tipica è quella, del ricorso proposto dal destinatario dell'atto,
➔ ad esempio una decisione o un atto che, quale che sia la denominazione, abbia comunque carattere
individuale, come le decisioni della Commissione rivolte a imprese e relative al rispetto delle
regole sulla concorrenza.

b. Atti che la riguardano direttamente e individualmente


Le persone fisiche e giuridiche possono impugnare anche gli atti che, pur non adottati nei loro confronti, le
riguardino direttamente e individualmente,
➔ p.es. i regolamenti, o altri atti a portata generale, come le direttive, sempreché riguardino
direttamente e individualmente il ricorrente.
Tuttavia, dalla giurisprudenza risulta che il ricorso è ammesso
- sia contro gli atti non aventi, di fatto, portata generale (p.es. un regolamento che, in realtà,
rappresenti un fascio di decisioni)
- sia contro gli atti aventi portata generale,
Ciò che risulta decisivo, ai fini dell’ammissibilità dei ricorsi dei singoli, è questa duplice condizione:
1. di un effetto diretto e
2. di un effetto individuale dell’atto sulla posizione giuridica del singolo (effetto pregiudizievole per
tale posizione).
1. Direttamente
L’atto deve avere un effetto diretto sulla posizione giuridica del singolo
➔ deve sussistere un rapporto di causalità fra l'atto e il pregiudizio del singolo, senza che il suddeto
rapporto sia interrotto da fattori diversi, quale, anzitutto, l'azione di uno Stato (p.es. i regolamenti
direttamente applicabili).
Nel caso di atti che richiedano atti di esecuzione degli Stati, quali le direttive, va verificato se l'effetto
pregiudizievole per il singolo derivi dall'atto dell'Unione o da quello statale che vi dia attuazione.
➔ Per la giurisprudenza è impugnabile l’atto dell’Unione se l’atto attuativo non comporta l’esercizio di
un potere discrezionale.
176

2. Individualmente
La Corte si è attestata (impostazione restrittiva) sulla formula enunciata nella sentenza del 15 luglio 1963,
causa 25/62, Plaumann c. Commissione:
“Chi non sia destinatario di una decisione può sostenere che questa lo riguarda individualmente soltanto
qualora il provvedimento lo tocchi a causa di determinate qualità personali, ovvero di particolari
circostanze atte a distinguerlo dalla generalità, e quindi lo identifichi alla stessa stregua dei destinatari”.
Si tratta di casi nei quali
1. un regolamento menzioni nominativamente alcune persone, (come quelli, numerosi, per la lotta
al terrorismo), o
2. sia stato adottato tenendo specificamente conto della situazione del ricorrente, (come, talvolta, i
regolamenti che istituiscono dazi antidumping dopo avere specificamente esaminato i prezzi
praticati dalle imprese produttrici o esportatrici della merce in questione).
La giurisprudenza Plaumann conduce ad escludere, tra l'altro,
1. la legittimazione di associazioni rappresentative di interessi generali o diffusi, come, in materia
ambientale, Greenpeace.
2. È parimenti esclusa l'impugnabilità di regolamenti da parte di persone che pure siano determinabili
esattamente come soggetti ai quali il regolamento sia applicabile.
➔ Infatti: «La possibilità di determinare più o meno esattamente il numero o anche l'identità
dei soggetti ai quali un atto si applica in un dato momento non influisce sulla natura
normativa dell'atto stesso: è noto, infatti, che l'applicazione avviene in base ad una
situazione obiettiva di diritto o di fatto definita dall'atto in rapporto alla sua finalità»
(sentenza del 16 aprile 1970, causa 64/69).
Il Tribunale, nella sentenza del 3 maggio 2002, causa T-177/01, aveva operato un’inversione di tendenza,
muovendo dal diritto ad una tutela giudiziaria effettiva, riconosciuto anche dall'art. 47 della Carta di Nizza
dei diritti fondamentali del 7 dicembre 2000 (oggi pienamente obbligatoria in forza dell'art. 6, par. 1,
TUE: Cap. II, par. 5):
«Si deve riconsiderare l'interpretazione restrittiva, sinora adottata, della nozione di persona
individualmente interessata da una decisione ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE [oggi art. 263, 4°
comma, TFUE].
Alla luce di quanto precede, e al fine di garantire una tutela giurisdizionale effettiva dei singoli, una
persona fisica o giuridica deve ritenersi individualmente interessata da una disposizione comunitaria di
portata generale che la riguarda direttamente, ove la disposizione di cui trattasi incida, in maniera certa ed
attuale, sulla sua sfera giuridica limitando i suoi diritti ovvero imponendole obblighi. Considerazioni
relative al numero ed alla situazione di altre persone parimenti interessate dalla disposizione o che possano
esserlo non sono al riguardo pertinenti».

La Corte di giustizia, però, non ha accolto tale criterio, riformando la sentenza in esame. Per la Corte, «se è
vero che il requisito per il quale il ricorrente deve essere interessato non solo direttamente, ma anche
individualmente dall'atto deve essere interpretato alla luce del principio di una tutela giurisdizionale
effettiva, tenendo conto delle diverse circostanze atte a individuare un ricorrente [...], tale interpretazione
non può condurre ad escludere il requisito di cui trattasi, espressamente previsto dal Trattato, senza
eccedere le competenze attribuite da quest'ultimo ai giudici comunitari.
Anche se è indubbiamente concepibile un sistema di controllo della legittimità degli atti comunitari di
portata generale diverso da quello istituito dal Trattato originario e mai modificato nei suoi principi, spetta,
se del caso, agli Stati membri, in conformità all'art. 48 UE, riformare il sistema attualmente in vigore».
c. Gli atti regolamentari che la riguardano direttamente
177

Il suggerimento della Corte di giustizia è stato parzialmente accolto in sede di modifica dei Trattati,
realizzata dal Trattato di Lisbona.
Infatti, come dichiara l'art. 263, 4° comma, qualsiasi persona fisica o giuridica può impugnare «gli atti
regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d'esecuzione».
Per tali atti, dunque
1. Viene meno il requisito del pregiudizio “individuale” del ricorrente (essendo sufficiente il
rapporto diretto fra l’atto dell’Unione e tale pregiudizio)
2. È necessario che gli atti in questione
a. non comportino alcuna misura di esecuzione;
b. riguardino il ricorrente direttamente,
problema principale: questa norma non fornisce una definizione di "atto regolamentare",
1. Inizialmente specificata dalla Costituzione europea (come atto non legislativo di portata generale
volto all'attuazione degli atti legislativi e di talune disposizioni specifiche della Costituzione).

2. Poi, venuto meno l’impianto sistematico degli atti giuridici contenuto in tale Costituzione, in dottrina
sono state avanzate diverse ipotesi.
➔ A nostro parere, premesso che non vi è dubbio che deve trattarsi di un atto generale, l’atto
regolamentare non deve identificarsi con il regolamento di cui all'art. 288,2° comma, TFUE,
ma va inteso quale atto non legislativo (ai sensi dell'art. 289, par. 3, TFUE).
Ordinanza 6 settembre 2011, causa T-18/10, Inuit Tapiriit Kanatami e altri c. Parlamento e Consiglio
il tribunale, ricordando come l’origine dell’art. 263, 4° comma, TFUE risieda nella citata disposizione della
c.d. Costituzione Europea ha dichiarato: “si deve ritenere che lo scopo di tale disposizione sia consentire ad
una persona fisica o giuridica di proporre un ricorso contro gli atti di portata generale diversi dagli atti
legislativi, che la riguardano direttamente e non comportano alcuna misura di esecuzione […]. Alla luce di
quanto sopra, si deve concludere che la nozione di “atto regolamentare” deve essere interpretata nel senso
che include qualsiasi atto di portata generale ad eccezione degli atti legislativi”
d. Gli atti rivolti ad altre persone
L'espressione "atti che riguardano direttamente e individualmente il ricorrente" comprende anche le
decisioni prese nei confronti di altre persone.
La decisione può esser rivolta
1. Sia ai singoli;
2. Sia a Stati.
Per quanto riguarda i singoli, la materia della concorrenza offre una giurisprudenza alquanto lineare, la
quale giudica
• Sia il destinatario della decisione;
• Sia il controinteressato
legittimati ad impugnare decisioni della Commissione relative ad infrazioni da parte di imprese.
Quanto alle decisioni rivolte a Stati, concernenti aiuti pubblici alle imprese, esse sono impugnabili
• Sia da parte dei beneficiari degli aiuti,
• Sia dalle regioni (o altri enti locali) che abbiano istituito o erogato l’aiuto.
Il Tribunale – nella sentenza del 15 giugno 1999, causa T-288/97, Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia c. Commissione, relativa alla ricevibilità di un ricorso di tale regione contro una decisione della
Commissione, rivolta formalmente allo Stato italiano, che aveva dichiarato incompatibili con il mercato
178

alcuni aiuti a favore di certe categorie di autotrasportatori istituiti ed erogati in base a leggi regionali del
Friuli-Venezia Giulia – ha ritenuto che, riguardando la decisione individualmente e direttamente la regione,
questa, fosse legittimata ad impugnarla.

Esso ha così motivato:


«Al riguardo bisogna rilevare che la decisione impugnata riguarda aiuti erogati dalla ricorrente. Essa non
solo incide su atti di cui la ricorrente è autore, ma le impedisce inoltre di esercitare come essa intende le sue
competenze [...].”
In giurisprudenza vi è persino un esempio di decisione adottata contro uno Stato, impugnabile da un
privato.
Si tratta della sentenza della Corte del 29 giugno 1994, causa C-135/92, Fiskano c. Commissione, relativa a
un ricorso della società svedese Fiskano per l'annullamento di una lettera della Commissione alla Svezia
(all'epoca non membro dell'Unione europea), che informava quest'ultima di una sanzione adottata dalla
stessa Commissione, con la quale veniva sospesa la concessione di licenze di pesca a una nave
appartenente alla società Fiskano, nell'ambito di un accordo sulla pesca tra la Comunità e la Svezia, in
quanto direttamente pregiudizievole degli interessi della società.
La Corte ha osservato:
“La lettera stessa contiene una decisione che riguarda direttamente e individualmente la società ricorrente
in quanto proprietaria della nave sottoposta a sanzioni”.

IL TERMINE DI IMPUGNAZIONE
Termine e Decorrenza
L'impugnazione degli atti dell’Unione è soggetta al termine di due mesi, ex art. 263, 6 TFUE, a decorrere
secondo i casi:
- dalla pubblicazione dell'atto,
- dalla sua notificazione al ricorrente ovvero, in mancanza,
- dal giorno in cui il ricorrente ne ha avuto conoscenza

Deroghe
1. In realtà, il termine è prolungato, rispetto ai due mesi, poiché termini aggiuntivi sono previsti dal
regolamento di procedura, in ragione della distanza del ricorrente.

2. Ai sensi dell'art. 45, 2° comma, dello Statuto della Corte, inoltre, la decadenza dal diritto di
impugnazione non può essere eccepita ove il ricorrente provi l'esistenza di un caso fortuito o di forza
maggiore.
Effetti del decorso del termine
La scadenza del termine
1. rende il ricorso irricevibile,
2. assicura la definitività dell'atto e
3. produce l'impossibilità di contestarne la legittimità anche dinanzi ai giudici nazionali.
La violazione del termine d'impugnazione è rilevata d'ufficio dal giudice, poiché costituisce un motivo di
irricevibilità dì ordine pubblico.

MOTIVI DI IMPUGNAZIONE
179

I motivi d'impugnazione si identificano con i vizi dell’atto (ex art. 263.2 TFUE) che conducono al suo
annullamento:
1. incompetenza,
2. violazione delle forme sostanziali,
3. violazione dei Trattati o di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro applicazione,
4. sviamento di potere.
Il controllo della Corte è relativo alla sola legittimità dell’atto e non si estende al merito, cioè al contenuto
dell'atto e alla sua opportunità.
➔ salva1'ipotesi dell'art. 261 TFUE.
I vizi di incompetenza e di violazione delle forme sostanziali comportano, in genere, una violazione dei
Trattati (che disciplinano la competenza delle istituzioni e i requisiti formali degli atti),
➔ Pertanto, il vizio di violazione dei Trattati finisce per avere un valore residuale rispetto ai primi due.
GIURIUSPRUDENZA: tuttavia, la distinzione sembra avere rilevanza, infatti, sembra emergere che
1. i vizi di incompetenza e violazione delle forme sostanziali, in quanto di ordine pubblico, sarebbero
rilevabili d’ufficio dal giudice, anche se non arrechino alcun danno alle parti,
2. I vizi di violazione dei trattati possono essere esaminati dal giudice solo su domanda del ricorrente.

1. L'incompetenza
Consiste nell'assenza del potere di emanare l'atto ed è:
1. assoluta, quando l'Unione in quanto tale sia priva del suddetto potere,
2. relativa, quando riguardi una singola istituzione o organo (e.g. regolamento emanato dalla
Commissione in luogo del Consiglio)
Essa può articolarsi nell’incompetenza
1. per materia,
2. con riferimento al tempo di emanazione (o di vigore) dell'atto, o
3. con riguardo al luogo di efficacia.

2. La violazione delle forme sostanziali


Consiste nella violazione delle regole giuridiche concernenti il procedimento di adozione dell'atto (incluse
regole sulla pubblicità e sulla entrata in vigore).

✓ P. es. la mancata consultazione di un'istituzione dell'Unione, se obbligatoria, la mancata o


insufficiente motivazione dell'atto, la mancata audizione, ove prescritta, di soggetti interessati,
l'erronea indicazione della base giuridica, se implichi una differente procedura di adozione, la
mancata autenticazione dell'atto ecc.
a. Il carattere "sostanziale" delle forme violate
Ai fini dell'annullamento deve trattarsi di
• una violazione di “adeguata gravità”, la quale, tramite la forma,
→incida su principi sostanziali, quali
o la certezza del diritto,
180

o il rapporto tra le varie istituzioni (che può essere pregiudicato dalla erronea base
giuridica),
o l'equilibrio interistituzionale o
o gli stessi principi democratici.
Sentenza della Corte del 29 ottobre 1980, causa 138/79, Roquette Frères c. Consiglio, relativa alla
mancata consultazione del Parlamento europeo: Per la Corte, la mancata consultazione del Parlamento, nei
casi previsti dal Trattato, comporta la violazione di “[…]un fondamentale principio della democrazia,
secondo cui i popoli partecipano all'esercizio del potere per il tramite di un'assemblea rappresentativa[… ]
è quindi una formalità sostanziale, la cui inosservanza implica la nullità dell'atto considerato”.
3. La violazione dei Trattati […]
Comprende
o le norme e i principi dei Trattato,
o le altre fonti del diritto dell'Unione ad essi assimilabili (i trattati di adesione, i principi generali
del diritto dell'Unione, in particolare quelli relativi ai diritti fondamentali),
o nonché le fonti che devono ritenersi sovraordinate gerarchicamente al diritto derivato, quali
➢ le norme di diritto internazionale generale e
➢ gli accordi internazionali conclusi dall'Unione.

a. La violazione degli accordi internazionali dell’Unione


L'art. 216, par. 2, TFUE, espressamente dichiara che gli accordi internazionali dell’Unione sono
vincolanti per le istituzioni e la contrarietà di un atto ad un accordo internazionale dell'Unione comporta,
pertanto, la violazione della norma suddetta e la conseguente invalidità dell'atto.
La Corte di giustizia, invece, limita il controllo di legittimità agli atti in contrasto con i soli accordi
dell'Unione provvisti di effetti diretti, ossia aventi quei caratteri di
• completezza,
• precisione e
• incondizionata obbligatorietà
in presenza dei quali i singoli possono ottenere la tutela giudiziaria nazionale.
Tale orientamento non appare persuasivo, giacché non si vede quale relazione sussista tra
a. la possibilità per il singolo di invocare una disposizione convenzionale dinanzi al giudice nazionale e
b. l'obbligatorietà dell'accordo per le istituzioni europee, con conseguente possibilità di invocare la sua
violazione ad opera di un atto dell'Unione dinanzi alla Corte di giustizia.
➔ Ci sembra che le questioni si pongano su due piani del tutto differenti e che la
giurisprudenza in esame conduca a ritenere che… pacta non sunt servanda!

b. Violazione di qualsiasi regola di diritto relativa all’applicazione dei Trattati


Essenzialmente si tratta delle ipotesi in cui un atto violi un altro atto dell'Unione al quale sia gerarchicamente
subordinato.

✓ per esempio, nel caso di un atto non legislativo di portata generale, adottato dalla Commissione in
base ad una delega disposta in un atto legislativo, che sia in contrasto con la disciplina degli
elementi essenziali contenuta nell'atto di delega, o
✓ per esempio, un regolamento di esecuzione della Commissione che violi il regolamento di base (di
carattere normativo) del Consiglio.
181

4. Lo sviamento di potere
Tale vizio si configura quando un organo adotta un atto per un fine diverso da quello in vista del quale è
stato attribuito a tale organo il potere di adottarlo,

✓ p.es. nel caso di un provvedimento con il quale l'Unione trasferisca un dipendente non per un
interesse del servizio, ma per una finalità sanzionatoria (sentenza del 13 settembre 2010, cause T-
166/07 e T-285/07, Italia c. Commissione)

a. Lo sviamento di procedura
Variante dello sviamento di potere, per la Corte ricorre quando una determinata procedura sia utilizzata
per uno scopo diverso da quello per il quale è stata istituita.
La Corte, peraltro, ha mostrato sempre un notevole self-restraint nell'esercizio di tale competenza, chiedendo
una prova pressoché inconfutabile dell'avvenuto sviamento, al fine di evitare che la propria competenza sfoci
in un controllo di merito sull'operato delle istituzioni.
Entrambe le ipotesi vanno accertate in maniera rigorosa e sicura:
«un atto è viziato da sviamento di potere solo se, in base ad indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta
adottato esclusivamente, o quanto meno in maniera determinante, per fini diversi da quelli per i quali il
potere di cui trattasi è stato conferito o allo scopo di eludere una procedura appositamente prevista dai
Trattati per far fronte alle circostanze del caso di specie» (Corte di giustizia, 16 aprile 2013, cause C-
274/11 e C-295/11, Spagna e Italia c. Consiglio, nonché 28 marzo 2017, causa C-72/15, PJSC Rosneft Oil
Company).
Inoltre,
«In caso di pluralità di scopi perseguiti, anche qualora un motivo non giustificato si fosse aggiunto a motivi
legittimi, la decisione non sarebbe per questo inficiata da sviamento di potere, dal momento che essa non
sacrifica lo scopo essenziale» (Tribunale, sentenza del 5 novembre 2014, causa T-422/11, Computer
Resources International c. Commissione).
5. Il controllo di merito ex art. 261 TFUE
«I regolamenti adottati congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio in virtù delle disposizioni
dei Trattati possono attribuire alla Corte di giustizia dell'Unione europea una competenza giurisdizionale
anche di merito per quanto riguarda le sanzioni previste nei regolamenti stessi».
Tale competenza si estende
a. all'esame del contenuto dell'atto e
b. al controllo circa l'opportunità e l'ammontare delle sanzioni pecuniarie, che la Corte può annullare o
modificare nell’importo.
Il riferimento alla Corte è comprensivo del Tribunale. In base alle regole di ripartizione di competenza tra i
due giudici normalmente il ricorso ricade, quindi, nella competenza del Tribunale.
182

SEGUE: LA SENTENZA DELLA CORTE


La “tutela cautelare”
Ex art. 278 TFUE, il ricorso per annullamento non ha effetti sospensivi sull'atto impugnato, ma la Corte di
giustizia dell'Unione ha il potere di sospendere la sua esecuzione.
Alla luce dello Statuto della Corte e del suo Regolamento di procedura, la sospensione dell’atto impugnato
(che può essere decisa anche dal Presidente della Corte)
1. è disposta con ordinanza
2. tenendo conto
o Fumus boni iuris: della presumibile fondatezza dei motivi di ricorso e
o Periculum in mora: dei motivi di urgenza, cioè di un rischio imminente di danno grave e
irreparabile per il ricorrente.
Ratio: La tutela cautelare nel processo europeo è finalizzata ad evitare che la durata del giudizio pregiudichi
in modo irreparabile i diritti in causa.
Gli effetti della sentenza
Ex art. 264, 1° comma, TFUE
«Se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia dell'Unione europea dichiara nullo e non avvenuto l'atto
impugnato».
Inoltre, ex art. 266, 1° comma, TFUE:
«L'istituzione, l'organo o l'organismo da cui emana l'atto annullato sono tenuti a prendere i provvedimenti
che l'esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea comporta».
La decisione che accerta l'esistenza del vizio nell'atto impugnato ha i caratteri del giudicato (quella del
Tribunale quando sia decorso il termine di due mesi per l'impugnazione) e,
1. nel caso di un atto di portata generale quale un regolamento, l’effetto è erga omnes.
2. Per gli atti particolari, come decisioni che stabiliscano il destinatario, l'effetto di annullamento è
limitato allo specifico atto impugnato e alla persona del ricorrente e non può estendersi a terzi
estranei al processo.
Ratio:
o da un lato, l'art. 266 obbliga l'istituzione a adottare i provvedimenti necessari per la sola
esecuzione della sentenza;
o dall'altro, un riesame a favore di altre persone sarebbe precluso dal carattere definitivo che
acquista un atto non impugnato nel termine di due mesi.

a. L’annullamento parziale
L'annullamento può essere anche parziale: limitandosi ai soli punti dell'atto
1. eventualmente impugnati o
2. giudicati illegittimi,
a condizione che
1. gli elementi dell'atto impugnato siano separabili dal resto dell'atto e
2. l'annullamento parziale non modifichi sostanzialmente il contenuto dell'atto, la qual cosa si
risolverebbe in un intervento “legislativo”, estraneo alle competenze della Corte.
183

b. Gli effetti temporali…


Gli effetti temporali delle sentenze di annullamento ex tunc

1. retroagiscono sino al momento dell'adozione dell'atto (nullo e non avvenuto), coerentemente con
il carattere genetico dei vizi di validità.
2. Di conseguenza, anche tutti gli effetti giuridici prodotti dall'atto devono ritenersi caducati.
… e la loro limitazione
Tuttavia, a tutela
i. delle esigenze di certezza del diritto e
ii. delle esigenze di tutela dell'affidamento che soggetti vari possono avere nutrito circa la legittimità
dell'atto,
l'art. 264, 2° comma consente alla Corte di limitare nel tempo l'efficacia dell'annullamento, facendo salvi gli
effetti dell'atto annullato.
«Tuttavia la Corte, ove lo reputi necessario, precisa gli effetti dell’atto annullato che devono essere
considerati definitivi».
Genesi…

I. Anteriormente al Trattato di Lisbona, la possibilità di limitare nel tempo gli effetti dell'annullamento
era riferita, testualmente, ai soli regolamenti,
la Corte era solita esercitare tale facoltà rispetto a qualsiasi tipo di atto, ove ricorressero
gravi motivi di certezza del diritto, i quali costituiscono il fondamento della norma stessa.

II. Nella prassi, la limitazione degli effetti comporta l’efficacia ex nunc della sentenza di annullamento,
in alcuni casi la Corte ha procrastinato l'effetto dell'annullamento al momento dell'adozione
di un nuovo atto, in sostituzione di quello annullato, per preminenti motivi di certezza del
diritto.

c. L’obbligo di prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza comporta


La Corte non può condannare le istituzioni che hanno emanato l’atto annullato a tenere un particolare
comportamento
➔ queste, ex art. 266, 1° comma, sono tenute ad individuare ed assumere le misure necessarie per
conformarsi alla sentenza, (p.es. l'abrogazione di atti connessi a quello annullato o ad esso
conseguenti e l'adozione di un nuovo atto in sostituzione di quello annullato).
Il risarcimento del danno
Ai sensi dell'art. 266, 2° comma, la pur corretta esecuzione della sentenza non pregiudica il diritto del
ricorrente al risarcimento del danno, in conformità all'art. 340 TFUE (oltre, par. 16).
184

L’ECCEZIONE D’INVALIDITA’ DEGLI ATTI DELL’UNIONE EUROPEA12


L'art. 277 TFUE amplia la tutela contro gli atti illegittimi, poiché consente di contestare un atto illegittimo
che
i) sia messo in causa nell’ambito di una controversia e
ii) abbia portata generale,
iii) anche una volta che sia scaduto il termine per la sua impugnazione.
Tale tutela risulta utile particolarmente per i singoli

• non legittimati a impugnare atti legislativi di portata generale,


che così possono impugnare una decisione (immune da vizi), di cui siano destinatari, che sia stata emanata
in esecuzione di un regolamento illegittimo.

➔ L'inapplicabilità del regolamento


a. fa venire meno il fondamento giuridico della decisione e
b. ne comporta l'annullamento
(analogamente accade per un atto delegato o un atto esecutivo in esito al vizio dell'atto legislativo
contenente la delega o di quello da eseguire).
Origine…
Anteriormente al Trattato di Lisbona la norma in esame menzionava solo i regolamenti e la sua estensione
recepisce la giurisprudenza, che aveva asserito “[…]un principio generale che garantisce a qualsiasi parte
il diritto di contestare, al fine di ottenere l'annullamento di una decisione che la concerne direttamente e
individualmente, la validità di precedenti atti delle istituzioni comunitarie [oggi dell'Unione], che
costituiscono il fondamento giuridico della decisione impugnata, qualora non avesse il diritto di proporre,
in forza dell'art. 173 [oggi 263] del Trattato, un ricorso diretto contro tali atti, di cui essa subisce così le
conseguenze senza averne potuto chiedere l'annullamento”.
Con riferimento alla procedura d’infrazione,
➔ l'invalidità di un regolamento
o dovrebbe escludere la dichiarazione d'infrazione per violazione da parte di uno Stato del
regolamento medesimo,
Se questa soluzione appare conforme alla lettera dell’art. 277, che rispetto agli atti generali non pone alcuna
limitazione, non vi è dubbio, invece che
➔ l'inapplicabilità del regolamento medesimo non potrebbe essere invocata da uno Stato
o per giustificare l'inadempimento di una decisione della quale sia destinatario o
o in un processo di infrazione per la mancata attuazione di una direttiva.
I vizi su cui si fonda l’eccezione di invalidità
Sono quelli previsti per il ricorso di annullamento ex art. 263.2.
Gli effetti della sentenza di accoglimento dell’eccezione
La sentenza di accoglimento comporta
1. l’inapplicabilità dell’atto impugnato al processo in corso,
2. da cui deriva l’annullamento dell’atto “subordinato”.

12
Non spiegato
185

Sebbene sia prevedibile che l'istituzione che abbia emanato l'atto in questione lo revochi o lo modifichi, in
omaggio a criteri di sana amministrazione, non sembra che sussista in proposito un vero dovere giuridico
della stessa.

IL RICORSO IN CARENZA13
Il ricorso in carenza, ex art. 265 TFUE
➔ è diretto a fare constatare una omissione da parte di una istituzione, organo o organismo
dell’Unione nell’adozione di un atto che questi hanno l'obbligo di emanare.
Come la Corte di giustizia ha sottolineato, tale ricorso è diretto, al pari di quello ex art. 263 (competenza
sulla legittimità degli atti dell’Unione), a sindacare la legittimità del comportamento delle istituzioni
europee, per cui i due ricorsi «sono l'espressione di uno stesso rimedio giuridico», benché autonomi e
distinti.
Per quello in carenza il 1° comma dell'art. 265 prevede:
«Qualora, in violazione dei Trattati, il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, il Consiglio, la
Commissione o la Banca centrale europea si astengano dal pronunciarsi, gli Stati membri e le altre
istituzioni dell'Unione possono adire la Corte di giustizia dell'Unione europea per far constatare tale
violazione. Il presente articolo si applica, alle stesse condizioni, agli organi e organismi dell'Unione che si
astengono dal pronunciarsi».
I presupposti oggettivi del ricorso
1. Il ricorso è proponibile solo nel caso d'inerzia dell'istituzione, organo o organismo,
✓non anche quando esso emani un atto diverso da quello richiesto o rifiuti l'atto che gli era
stato richiesto (ma in questo secondo caso la giurisprudenza non sempre è concorde).

2. La mancata emanazione dell'atto deve avvenire "in violazione dei Trattati", sebbene possa derivare
anche dalla violazione
• dei principi generali del diritto dell'Unione, nonché
• di atti dell'Unione che creino un obbligo di agire.
In ogni caso, la mancata emanazione deve violare un preciso obbligo giuridico, mentre
✓ non è invece ammissibile il ricorso qualora l'istituzione, l'organo o l'organismo (di
seguito nel presente paragrafo 15, “Ente”) abbiano una discrezionalità in merito
all'emanazione dell'atto.

3. A differenza di quanto accade per l’azione di annullamento ex art. 263, l'azione in carenza da parte di
Stati ed Istituzioni può riguardare qualsiasi tipologia di atto,
✓ le persone fisiche e giuridiche non possono impugnare le raccomandazioni ed i pareri (art.
265.3 TFUE) → possono impugnare esclusivamente gli atti suscettibili di produrre effetti
giuridicamente vincolanti, dei quali siano destinatarie o (sulla base della giurisprudenza, che ha
valorizzato affinità tra gli articoli 263 e 265, in quanto entrambi espressione del medesimo rimedio)
che le riguardi in maniera diretta e individuale.
I soggetti legittimati
Si ripresenta, con alcune differenze, la distinzione tra ricorrenti privilegiati e non privilegiati desumibile
dall'art. 263 per l'azione di annullamento.
1. Privilegiati sono gli Stati membri e le istituzioni dell'Unione. Nelle istituzioni sono compresi anche il
• Consiglio europeo,
✓ che non è contemplato, invece, dall'art. 263, 2° comma
• la Corte dei conti e
13
Non spiegato
186

• la Banca centrale europea,


✓ le quali, in base all'art. 263,3° comma, possono impugnare atti dell'Unione solo per
salvaguardare le proprie prerogative.

2. Non privilegiati sono le singole persone fisiche e giuridiche, che possono ricorrere esclusivamente
contro gli atti che abbiano effetto nei loro confronti (cfr. paragrafo precedente).
La fase precontenziosa: l’intimazione ad agire
La ricevibilità del ricorso è subordinata al previo svolgimento di una fase “precontenziosa” o
“amministrativa” volta a fare emergere con chiarezza l'inerzia dell'istituzione, organo o organismo.
Art. 265, 2
«Il ricorso è ricevibile soltanto quando l'istituzione, l'organo o l'organismo in causa siano stati
preventivamente richiesti di agire. Se, allo scadere di un termine di due mesi da tale richiesta, l'istituzione,
l'organo o l'organismo non hanno preso posizione, il ricorso può essere proposto entro un nuovo termine di
due mesi».
L’intimazione
1. deve essere fatta entro un termine ragionevole dal momento in cui appare evidente l'inerzia
dell'Ente
2. deve indicare con chiarezza sufficiente
o l'atto di cui si chiede l'adozione e
o la volontà di costringere l'Ente a prendere posizione.
3. rappresenta una condizione imprescindibile (una “formalità essenziale”) di ricevibilità del ricorso.
Qualora, nel termine di due mesi dall’intimazione,

a. l’Ente richiesto respinga formalmente la richiesta, o


b. adotti un atto diverso da quello richiesto,
non è possibile un ricorso in carenza, ma, se del caso, un ricorso di annullamento contro l'atto ai sensi
dell'art. 263.

c. Per la Corte, anche l'emanazione tardiva dell'atto, addirittura nel corso del processo, va parificata alla
presa di posizione e preclude la prosecuzione del giudizio, in quanto il ricorso diverrebbe privo di
oggetto.
Effetti della sentenza
Ove la Corte di giustizia constati l'illegittima omissione da parte dell'Ente in questione, essa non può
condannarlo ad emanare l’atto richiesto, in quanto la sua sentenza è di mero accertamento.
Tuttavia, ai sensi dell’art 266,
➔ l’Ente è tenuto ad eseguire la sentenza
o prendendo i necessari provvedimenti,
o adottando l’atto richiesto,
il quale non necessariamente deve soddisfare le pretese del ricorrente (l'illegittimità
consiste nella mancata adozione dell'atto, mentre il suo contenuto potrà dipendere
dal margine di discrezionalità di cui dispone l’Ente).
187

L’AZIONE DI RESPONSABILITA’ CONTRO L’UNIONE EUROPEA


Un ulteriore controllo giudiziario sull'operato dell'Unione è istituito dall'art. 268 TFUE in materia di
responsabilità extracontrattuale della stessa:
«La Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a conoscere delle controversie relative al
risarcimento dei danni in di cui all'articolo 340, secondo e terzo comma».
Tuttavia, le sentenze che accolgono le domande di risarcimento dei danni sono estremamente rare.
LA RESPONSABILITÀ “AQUILIANA” DELL’UNIONE
Ex art. 340
«In materia di responsabilità extracontrattuale, l'Unione deve risarcire, conformemente ai principi generali
comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell'esercizio
delle loro funzioni.
In deroga al secondo comma, la Banca centrale europea deve risarcire, conformemente ai principi generali
comuni al diritto degli Stati membri, i danni cagionati da essa stessa o dai suoi agenti nell'esercizio delle
loro funzioni».
La disciplina sostanziale applicabile al risarcimento dei danni va ricavata dai principi generali comuni
degli Stati membri (per l’Italia art. 2043 C.C.).
Il ricorso previsto da tali norme è quindi diretto ad ottenere il risarcimento dei danni provocati al
ricorrente (individuo o, eventualmente, Stato membro) dall'Unione europea per un proprio illecito.
L'art. 340 contempla due ipotesi:

1. quella dovuta alla condotta delle istituzioni dell'Unione e


2. quella derivante dal comportamento dei suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni.
L’istituto in questione differisce

RICORSO DI ANNULLAMENTO (ART. 263) RICORSO IN CARENZA (265)


tende ad ottenere non l’eliminazione o l’emanazione di un atto determinato, bensì il risarcimento del danno
causato da un'istituzione nell'esercizio dei suoi compiti.

Tale autonomia

a. rende inapplicabili all'azione le condizioni richieste dagli articoli 263 e 265 (si pensi alla
condizione che il singolo sia destinatario dell'atto in questione) e
b. consente di esperire l'azione anche in caso di un atto non impugnato da parte dei singoli (o non
impugnabile, quale un regolamento di natura legislativa).
La competenza della Corte di giustizia VS quella dei giudici nazionali
La Corte di giustizia I giudici nazionali
è competente per decidere in merito al Sono competenti a decidere quando l'azione
risarcimento del danno derivante da un atto risarcitoria riguardi danni derivanti da un illecito
dell’Unione. imputabile non già all'Unione, ma agli Stati
membri,
➔ È imputabile all’Unione il danno che ➔ quando l'atto dell'Unione è legittimo,
derivi da un'attività statale meramente mentre illegittimi sono quelli statali di
esecutiva di un atto dell'Unione, esecuzione
(nell’esercizio della quale lo Stato non abbia alcun (emanati nell'ambito di una sfera di discrezionalità
188

margine di discrezionalità). dello Stato, o in quanto abbiano dato attuazione in


maniera erronea a tale atto).

La suddetta distinzione non è sempre di agevole applicazione.


Il previo esaurimento dei ricorsi interni
La Corte ha integrato la regola suddetta, subordinando la ricevibilità del ricorso alla circostanza che i ricorsi
interni non abbiano reso giustizia all'interessato,
➔ salvo che i rimedi giurisdizionali interni siano inidonei a condurre al risarcimento del danno
lamentato.
Così, il ricorso alla Corte assume un carattere residuale rispetto all'azione dinanzi al giudice nazionale.
LA RESPOSABILITA’ DELLE ISTITUZIONI DELL’UNIONE
L'atto in questione deve essere stato compiuto da una delle sue istituzioni (a parte l'ipotesi della
responsabilità della Banca centrale europea). Sebbene l'art. 340, 2° comma, menzioni solo le istituzioni,
➔ la Corte di giustizia ritiene esperibile il ricorso anche per atti compiuti dagli altri organismi europei,
come la BEI e il Mediatore europeo.
Le condizioni per il risarcimento del danno
Dopo un'iniziale giurisprudenza che esigeva la violazione grave di una norma superiore intesa a tutelare
i singoli (quali il principio di non discriminazione, la proporzionalità, il legittimo affidamento),
Successivamente, la Corte ha pienamente equiparato la disciplina della responsabilità extracontrattuale
dell'Unione a quella degli Stati membri per violazione del diritto dell'Unione, identificando tre specifiche
condizioni:

1. la norma giuridica violata deve essere preordinata a conferire diritti ai singoli


2. la violazione deve essere sufficientemente caratterizzata (violazione manifesta e grave);
Nel considerare una violazione come presupposto per la responsabilità dell’Unione, la giurisprudenza è
giunta a ritenere sufficiente
“la costatazione di una irregolarità che, in circostanze analoghe, non sarebbe stata commessa da
un’amministrazione normalmente prudente e diligente”

3. deve sussistere un nesso casuale tra la violazione ed il danno subito dai soggetti lesi (rapporto causa
effetto sufficientemente diretto) la cui prova spetta al ricorrente.

4. deve sussistere un danno reale e certo e incombe al ricorrente l’onere della prova dell’esistenza e
ampiezza del pregiudizio.
• È compreso il danno morale (e.g. violazione della durata ragionevole del processo)

Nel 2008, la Corte di giustizia, con un révirement neppure motivato, è tornata ad affermare, sia pure con
riferimento ad atti normativi che implicano scelte di politica economica, che la responsabilità dell'Unione
sussiste unicamente in caso di violazione grave di una norma superiore intesa a tutelare i singoli (sentenza
del 9 settembre 2008, cause C-120/06 P e C-121/06 P, FIAMM).
Tuttavia, la giurisprudenza consolidata ha continuato a far riferimento a “una violazione sufficientemente
qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli”.

Una prima sentenza di condanna dell’Unione è stata pronunciata dal Tribunale il 10 gennaio 2017, causa
T-577/14, Gascogne Sack Deutschland GmbH e Gascogne c. Unione Europea.
189

➔ Essa è stata parzialmente annullata dalla Corte di Giustizia con la sentenza 13 dicembre
2018 per mancanza di un nesso di causalità sufficientemente diretto tra la durata del processo
e il danno.
Infine, pur essendo l’Unione a dover rispondere dell’obbligo risarcitorio, la Corte ha stabilito che
“qualora l’Unione venga chiamata a rispondere di un atto di uno dei suoi organi, debba esser convenuta in
giudizio la ISTITUTUZIONE responsabile dell’atto impugnato”
In materia di PESC
La Corte non è competente a conoscere di azioni risarcitorie contro l’Unione.
Nell’ambito del MES
Sebbene ci si trovi al di fuori dell’ordinamento dell’Unione, è configurabile una responsabilità
extracontrattuale dell’Unione e della BCE per la loro condotta (ipotesi contraria alla Carta dei diritti
fondamentali) tenuta nell’ambito del Meccanismo europeo di stabilità.
LA RESPONSABILITÀ DEGLI AGENTI DELL’UNIONE
È la seconda ipotesi di responsabilità da illecito dell'Unione contemplata dall'art. 340, 2°, subordinata a
due condizioni:
1. colui che ha prodotto il danno deve essere un dipendente dell'Unione e
2. deve avere agito nell'esercizio di un compito, affidatogli dalla stessa Unione.

La responsabilità di quest'ultima, in altri termini, sorge «per i soli atti del dipendente che, in forza di un
rapporto interno e diretto, costituiscono la necessaria appendice dei compiti che devono svolgere le
istituzioni.»
IL DANNO DA CONDOTTA LECITA DELL’UNIONE
Nella giurisprudenza era emersa la possibilità di configurare una responsabilità extracontrattuale dell'Unione
anche a seguito di una condotta lecita, a condizioni particolarmente rigorose:
• l'esistenza di un danno effettivo e certo,
• un rapporto di causalità diretta fra la condotta dell'Unione e tale danno,
• il fatto che quest'ultimo sia anormale e speciale.

Tuttavia, la Corte di giustizia ha successivamente negato tale possibilità (2008, sentenza FIAMM),
dichiarandola non conforme ai principi derivanti dagli ordinamenti degli Stati membri:
«Se l'esame comparativo degli ordinamenti giuridici degli Stati membri ha permesso alla Corte di procedere
molto presto alla constatazione [...] riguardante una convergenza di tali ordinamenti giuridici nel sancire
un principio di responsabilità in presenza di un'azione o di un'omissione illecita della pubblica autorità,
anche di ordine normativo, ciò non si verifica affatto per quanto riguarda l'esistenza eventuale di un
principio di responsabilità in presenza di un atto o di un'omissione leciti della pubblica autorità, in
particolare quando essi sono di ordine normativo.

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono occorre concludere che, allo stato attuale dell'evoluzione
del diritto comunitario, non esiste un regime di responsabilità che consenta di far sorgere la responsabilità
della Comunità per un comportamento rientrante nella sfera della competenza normativa di quest'ultima».

La prescrizione del diritto al risarcimento


190

«Le azioni contro l'Unione in materia di responsabilità extracontrattuale si prescrivono in cinque anni a
decorrere dal momento in cui avviene il fatto (la nascita del danno) che dà loro origine» (art. 46 del Prot.
N. 3, sullo Statuto della corte di giustizia).
Responsabilità contrattuale?
1. La materia della responsabilità contrattuale dell'Unione ricade nella competenza dei giudici
nazionali, a meno che nel contratto in questione non sia stata inserita una clausola compromissoria a
favore della Corte, in base all'art. 272 TFUE.
2. Le questioni, anche di responsabilità, tra l'Unione e i suoi dipendenti, che ricadono, attualmente,
nella competenza del Tribunale della funzione pubblica (art. 270, Cap. V, par. 14).
191

LA COMPETENZA IN VIA PREGIUDIZIALE E LE SUE FUNZIONI


Una fondamentale competenza riservata alla sola Corte di giustizia è quella c.d. pregiudiziale o di rinvio,
prevista dall’art. 267 TFUE.
Tale competenza viene esercitata riguardo a una questione che sorga in un processo nazionale, relativa:
i) all'interpretazione di una disposizione del diritto dell'Unione o
ii) alla validità di un atto dell'Unione,
la cui soluzione sia necessaria affinché il giudice nazionale possa decidere la causa.

In tal caso, l'art. 267 TFUE prevede che


i) il giudice nazionale sospenda il processo e rinvii all'esame della Corte di giustizia la questione
relativa al diritto dell’Unione.
ii) Emanata la sentenza dalla Corte, il processo interno viene riassunto ed il giudice nazionale decide
il caso con propria sentenza, conformandosi alla sentenza della Corte.
La competenza in via pregiudiziale è quella in base alla quale la Corte di giustizia ha emanato non solo il
maggior numero di sentenze, ma anche quelle più significative, storiche, con le quali ha costruito e
sviluppato il sistema del diritto dell'Unione, enunciandone i principi e i caratteri fondamentali.
OBIETTIVI DELLA COMPETENZA PREGIUDIZIALE

Tale competenza costituisce uno strumento di preziosa cooperazione tra il giudice nazionale e la Corte
di giustizia:
➔ Al giudice nazionale compete la giurisdizione sul diritto dell'Unione (sia esso direttamente applicato
o "mediato" tramite atti statali) poiché questo, in ragione del suo contenuto, è rivolto essenzialmente
ai privati.
La competenza in via pregiudiziale risponde a due obiettivi:
1. da un lato scongiurare il rischio che il carattere uniforme del diritto dell'Unione sia pregiudicato da
interpretazioni difformi dei giudici nazionali;
2. dall'altro, evitare che i giudici applichino atti dell'Unione illegittimi in quanto viziati.
L’importanza del sistema del rinvio pregiudiziale è stata solennemente affermata dalla Corte di giustizia, per
esempio nel parere 1/09 dell’8 marzo 2011 sul progetto di accordo relativo alla creazione di un sistema
unico di risoluzione delle controversie in materia di brevetti:
«L’art. 267 TFUE, essenziale ai fini della tutela del carattere comunitario del diritto istituito dai Trattati,
ha lo scopo di garantire in qualsiasi circostanza a detto diritto il medesimo effetto in tutti gli Stati membri.
a) La procedura pregiudiziale così istituita mira a prevenire divergenze interpretative del diritto
dell’Unione che i giudici nazionali devono applicare e
b) tende a garantire quest’applicazione, conferendo al giudice nazionale un mezzo per eliminare le
difficoltà che possa generare il dovere di dare al diritto dell’Unione piena esecuzione nella cornice
dei sistemi giurisdizionali degli Stati membri [...].
Il sistema introdotto dall’art. 267 TFUE istituisce, di conseguenza, una cooperazione diretta tra la Corte e i
giudici nazionali, nell’ambito della quale questi ultimi partecipano strettamente alla corretta applicazione e
all’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione, nonché alla tutela dei diritti attribuiti da
quest’ordinamento giuridico ai privati.
Dal complesso di questi elementi si ricava che le funzioni attribuite, rispettivamente, ai giudici nazionali e
alla Corte sono essenziali alla salvaguardia della natura stessa dell’ordinamento istituito dai Trattati».
192

Articolo 267 TFUE:


«La Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale:
a) sull'interpretazione dei trattati;
b) sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi
dell'Unione.
Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati
membri, tale organo giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una
decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione.
Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale
nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale
organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte.
Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale
nazionale e riguardante una persona in stato di detenzione, la Corte statuisce il più rapidamente possibile».
POTERE DI ATTIVARE LA CORTE
Il rinvio alla Corte compete al giudice,
• facoltativamente ovvero
• obbligatoriamente se questi è di ultima istanza,
fermo restando che spetta al giudice stesso valutare
o l'esistenza della questione, ossia del problema interpretativo, e
o la sua rilevanza ai fini della emanazione della propria sentenza.
La Corte di Giustizia, tuttavia, può evitare di statuire su una questione pregiudiziale qualora
l'interpretazione di una norma comunitaria, chiesta da un giudice nazionale, non abbia alcuna relazione con
l'effettività o con l'oggetto della causa.
Il potere di attivare la Corte non compete, invece, alle parti, che possono sollecitare il giudice e possono
presentare alla Corte osservazioni, ma sempre nei limiti dell'oggetto della questione prospettata dal giudice.
CONTENUTI DELL’ORDINANZA DI RINVIO
L’ordinanza di rinvio del giudice deve
a) definire l'ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o
b) spiegare almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate,
per un duplice ordine di motivi:
1. consentire alla Corte di verificare la rilevanza della questione,
- essa non può statuire qualora l'interpretazione di una norma comunitaria, chiesta da un
giudice nazionale, non abbia alcuna relazione con l'effettività o con l'oggetto della causa;
2. consentire alla Corte di interpretare le regole comunitarie
- alla luce della situazione che forma oggetto della controversia.
193

COMPETENZA DEL GIUDICE NAZIONALE A VALUTARE LA RILEVANZA DELLA QUESTIONE


La competenza del giudice nazionale a valutare la rilevanza della questione concernente il diritto dell’Unione
ai fini della sua decisione
• non è assoluta,
• non si sottrae a una verifica della Corte, tesa ad accertare una manifesta irrilevanza, implicante
l’irricevibilità della domanda del giudice nazionale.
Tuttavia, La Corte ha aggiunto che le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione godono di
una presunzione di rilevanza (tra le altre, sentenza dell’8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco e altri,
sentenza del 19 novembre 2019, cause C-585/18, C-624/18 e C-625/18, A.K. e altri).
IRRILEVANZA
Tuttavia, tale presunzione non è assoluta. Infatti:
«Il rifiuto della Corte di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile
soltanto
1. qualora risulti in modo manifesto che l’interpretazione richiesta relativamente ad una norma
dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia nel
procedimento principale, oppure

2. qualora il problema sia di natura ipotetica, o anche

3. quando la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per rispondere utilmente
alle questioni che le vengono sottoposte».

La Corte di giustizia ha sottolineato che, qualora il giudice nazionale non fornisca alcun chiarimento sulla
rilevanza delle norme di cui chiede l’interpretazione ai fini della soluzione della controversia, la questione
sottoposta alla Corte è irricevibile.
«l’esigenza di giungere ad un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile per il giudice nazionale
impone che quest’ultimo fornisca un minimo di spiegazioni sui motivi della scelta delle norme di diritto
dell’Unione di cui chiede l’interpretazione» (ordinanza del 3 maggio 2012, causa C-185/12, Ciampaglia, e
sentenza del 27 novembre 2012, causa C-370/12, Pringle).
DISPOSIZIONI UTILI A DIRIMERE LA CONTROVERSIA
Per altro verso, la competenza della Corte di giustizia non è limitata all’interpretazione delle norme
espressamente richiamate dal giudice nazionale, ben potendo la Corte esaminare anche le altre disposizioni
che possano riguardare il problema sollevato da detto giudice e riformulare a tal fine la questione da lui
proposta.
sentenza del 26 aprile 2012, cause da C-578/10 a C-580/10, Staatssecretaris van Financiën, la Corte ha
dichiarato: «Benché formalmente il giudice del rinvio abbia limitato le sue questioni all’interpretazione
dell’art. 18 CE [oggi art. 21 TFUE], ciò non osta a che la Corte gli fornisca tutti gli elementi interpretativi
di diritto dell’Unione che possono essergli utili per dirimere la controversia sottopostagli, a prescindere dal
fatto che il giudice del rinvio vi abbia fatto o meno riferimento nel formulare le sue questioni [...]. Invero, le
questioni sollevate devono essere risolte alla luce di tutte le disposizioni del Trattato e del diritto derivato
che possono essere pertinenti rispetto al problema»
194

IL RINVIO PREGIUDIZIALE INTERPRETATIVO PER ACCERTARE LA CONDOTTA DEGLI


STATI RISULTANTE DA LEGGI, ATTI AMMINISTRATIVI, PRASSI
L’interpretazione di un atto dell’Unione può essere funzionale a stabilire se sia conforme o meno a tale
atto una legge, un atto amministrativo, una prassi statale.
➔ In tal caso, la condotta statale,
o viene in rilievo solo indirettamente, ma
o è, nella sostanza, l'oggetto reale della pronuncia della Corte di giustizia.
Tale competenza rappresenta un ulteriore strumento di controllo (rispetto alla procedura d'infrazione)
sull'osservanza da parte degli Stati membri dei propri obblighi, particolarmente prezioso per i singoli, privi di
una legittimazione a promuovere una procedura d'infrazione,
➔ i quali possono ottenere una pronuncia della Corte di giustizia sollevando in un processo interno
la questione, sotto il profilo della interpretazione della disposizione europea che si presume
violata.
5 febbraio 1963, causa 26/62, Van Gend en Loos (Cap. I, par. 5, e Cap. VII, par. 3), ha considerato
ricevibili questioni del genere sottopostele dal giudice nazionale; essa, infatti, ha negato che tale uso
"alternativo" della competenza pregiudiziale rappresenti un modo per "aggirare" le disposizioni degli
articoli 258 e 259, in quanto le garanzie contro gli inadempimenti degli Stati membri non possono
ritenersi limitate a quelle risultanti dai suddetti articoli.
Peraltro, la Corte evita di pronunciarsi sulla condotta dello Stato,
1. dichiarando che una siffatta valutazione non rientra nella sua competenza ex art. 267 e
2. provvedendo anche a riformulare il quesito posto dal giudice nazionale, ove questo richieda un
giudizio su una legge o un atto statale.
o La Corte dichiara qual è la corretta interpretazione della disposizione europea, aggiungendo
che questa "osta" o "non osta" alla legge, o all'atto di uno Stato, che è esattamente quello
considerato da parte del giudice interno.
IL RINVIO PREGIUDIZIALE DI LEGITTIMITÀ DI UN ATTO DELL’UNIONE
Tale competenza riguarda gli atti dell’Unione
• direttamente applicabili (come un regolamento) o
• costituenti la base per l'emanazione
o di una legge di attuazione o
o di un atto amministrativo (come una direttiva)
ed è assimilabile a quella prevista dall'art. 263 per quanto riguarda i vizi dell'atto, elencati nel 2° comma,
che ne comportano l'invalidità.
LA COMPETENZA ESCLUSIVA DELLA CORTE DI STABILIRE L’INVALIDITÀ DELL’ATTO
Il giudice nazionale (se non tenuto, in quanto di ultima istanza, a rivolgersi alla Corte)
➔ ha il potere di confermare la validità dell'atto respingendo gli addebiti di illegittimità,
mentre, per la giurisprudenza della Corte,
➔ non ha il potere di dichiarare l’invalidità dell’atto (competenza esclusiva della Corte medesima ).

A partire dalla sentenza del 22 ottobre 1987, causa 314/85, Foto-Frost (sul punto confermata, tra le altre,

dalle sentenze del 21 dicembre 2011, causa C-366/10, ATA, e del 6 ottobre 2015, causa C-362/14, Schrems):

“[i giudici nazionali] non hanno il potere di dichiarare invalidi gli atti delle istituzioni comunitarie. Infatti
[...], le competenze attribuite alla Corte dall’art. 177 [oggi 267] hanno essenzialmente lo scopo di garantire
195

l’uniforme applicazione del diritto comunitario da parte dei giudici nazionali. Questa esigenza di uniformità
è particolarmente imperiosa quando sia in causa la validità di un atto comunitario.
L’esistenza di divergenze fra i giudici degli Stati membri sulla validità degli atti comunitari potrebbe
compromettere la stessa unità dell’ordinamento giuridico comunitario ed attentare alla fondamentale
esigenza della certezza del diritto».
NELL’AMBITO DELLA TUTELA DEL SINGOLO?
1. IL RINVIO PREGIUDIZIALE DI LEGITTIMITÀ E IL RICORSO DI ANNULLAMENTO
Va rimarcato che il rinvio pregiudiziale di legittimità arricchisce la tutela del singolo, in quanto gli
consente di promuovere una pronuncia di invalidità della Corte rispetto ad atti, quali regolamenti e direttive,
a) che non lo riguardano direttamente e individualmente (o rispetto ad atti regolamentari che non
soddisfano le condizioni di cui all’art. 263, 4° comma) e
b) che, pertanto, egli non può impugnare in base all’art. 263, 4° comma (sopra, par. 10).
GIURISPRUDENZA COSTANTE:
1. la Corte esclude che possano esserle sottoposte questioni di validità di atti che il singolo, parte
nella causa nazionale, avrebbe potuto impugnare ai sensi del suddetto art. 263, 4° comma, ma
che non abbia impugnato nel termine di decadenza di due mesi.
Nella sentenza del 25 luglio 2018, causa C-135/16, Georgsmarienhütte GmbH: essa ha ribadito che si
deve escludere la possibilità di contestare dinanzi ai giudici nazionali la legittimità di una decisione
dell’Unione, nell’ambito di un ricorso contro provvedimenti interni di esecuzione di detta decisione, qualora
l’interessato avrebbe potuto con certezza impugnarla davanti al Tribunale europeo;
2. ha precisato che tale esclusione opera anche quando il termine per l’impugnazione della decisione
non sia ancora scaduto.
«il ricorso di annullamento, cui si accompagna la possibilità di impugnare la decisione del Tribunale, offre
un contesto procedurale particolarmente adatto ad un esame approfondito e in contraddittorio di questioni
tanto di fatto quanto di diritto, in particolare in settori tecnici e complessi come quello degli aiuti di Stato».
2. LA TUTELA CAUTELARE DA PARTE DEL GIUDICE NAZIONALE
La Corte riconosce al giudice nazionale il potere di emanare provvedimenti provvisori a tutela dei diritti
delle parti, ove sospetti l'invalidità di un atto dell’Unione. Tali provvedimenti possono consistere
a) nella sospensione di un atto amministrativo adottato in base a un atto dell'Unione o
b) nella sospensione dello stesso atto dell'Unione, quale un regolamento (sentenza del 9 novembre
1995, causa C-465/93, Atlanta).
Detta possibilità è sottoposta a rigorose condizioni:
• il giudice deve avere gravi dubbi sulla validità dell'atto;
• devono ricorrere gli estremi dell'urgenza, in quanto incomba sul richiedente il rischio di un
pregiudizio grave e irreparabile;
• il giudice deve tenere pienamente conto dell'interesse dell'Unione, verificando se l'atto non venga
privato di ogni pratica efficacia in mancanza di un'applicazione immediata.

3. L’ESIGENZA DI RAPIDITÀ NEL RINVIO RELATIVO AI GIUDIZI RIGUARDANTI I


DETENUTI
L'esigenza di rapidità, derivante dallo stato di detenzione dell'interessato, può essere soddisfatta
impiegando il procedimento d'urgenza, già previsto dall'art. 104 ter del Regolamento interno della Corte
196

di giustizia nel caso di rinvio pregiudiziale che sollevi questioni relative al titolo V della parte terza del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ("spazio di libertà, sicurezza e giustizia").

L’OGGETTO DELLA COMPETENZA PREGIUDIZIALE


Occorre distinguere la competenza interpretativa dalla competenza di legittimità.
La competenza interpretativa
Riguarda qualsiasi disposizione del diritto dell'Unione, cioè il suo intero ordinamento giuridico, ossia
• Trattati,
• accordi di adesione,
• accordi internazionali conclusi dall'Unione (anche misti) con Stati terzi o organizzazioni
internazionali;
• indirettamente principi generali del diritto dell'Unione,
• atti emanati dalle sue istituzioni, organi o organismi, adottati da organi istituiti da accordi di
associazione e
• persino sentenze della stessa Corte di giustizia.
• Il rinvio pregiudiziale è ammesso anche contro le raccomandazioni e, eventualmente, i pareri, al
contrario del ricorso di annullamento (art. 263 TFUE) e della competenza di legittimità.
Peraltro, la Corte è solita ritenersi competente ad interpretare norme dell'Unione anche se non queste devono
applicarsi alla causa principale, ma norme nazionali, le quali determinino il loro contenuto mediante un
rinvio alle predette norme dell'Unione o riproducendone il contenuto.
La competenza di legittimità
Concerne i soli atti suscettibili di essere impugnati ai sensi dell'art. 263 TFUE, quindi
• quelli produttivi di effetti giuridici,
≠ non anche pareri e raccomandazioni.
≠ A differenza della competenza interpretativa, inoltre, è da escludere che si possa rinviare alla
Corte una questione relativa alla validità di una sentenza di quest'ultima.

a) Pronuncia giudiziale sulla validità di una decisione del Consiglio (6 settembre 2012)
La Corte, tuttavia, ha ritenuto ricevibile una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal
Bundesverfassungsgericht (Tribunale costituzionale federale) della Germania sulla validità̀ di una decisione
del Consiglio direttivo della Banca centrale europea concernente un programma di intervento
comportante la possibilità̀ di acquistare titoli del debito sovrano di Paesi dell’Eurozona, noto come Outright
Monetary Transactions (OMT); decisione che, in realtà̀ , si riduceva a un comunicato stampa del 6 settembre
2012 ed era priva della necessaria regolamentazione delle operazioni previste, le quali, per di più, non erano
state attuate.
Nella sentenza del 16 giugno 2015, causa C-62/14, Gauweiler e altri (Cap. II, par. 1), essa ha affermato
che tale circostanza
«non priva del loro oggetto i ricorsi nei procedimenti principali, in quanto il diritto tedesco consente, a
certe condizioni, la concessione di una tutela giurisdizionale preventiva in una situazione siffatta [...].
Pertanto, nella misura in cui, nell’ambito di un procedimento ai sensi dell’art. 267 TFUE, l’interpretazione
del diritto nazionale rientra nella competenza esclusiva del giudice summenzionato [quello del rinvio] [...],
il fatto che le decisioni relative alle OMT non siano state ancora attuate e che esse potrebbero esserlo
soltanto dopo l’adozione di nuovi atti giuridici non può portare a negare che la domanda di decisione
197

pregiudiziale corrisponde ad un bisogno oggettivo ai fini della soluzione delle controversie sottoposte a
detto giudice».

b) Pronuncia giudiziale sulla validità della Decisione del Consiglio europeo 2011/199
La competenza di legittimità̀ della Corte, inoltre, riguarda i soli atti dell’Unione, non anche il diritto
primario, cioè̀ le stesse disposizioni dei Trattati.
Tuttavia, la Corte si è in merito alla validità̀ della decisione del Consiglio europeo 2011/199 del 25 marzo
2011, che ha modificato l’art. 136 TFUE, inserendo il par. 3, il quale abilita gli Stati membri dell’eurozona
a istituire un Meccanismo europeo di stabilità (MES)
Infatti, la decisione è stata presa in base all’art. 48, par. 6, TUE, il quale ha introdotto una procedura di
revisione semplificata, alle condizioni in esso stesso previste.
La Corte, nella sentenza del 27 novembre 2012, causa C-370/12, Pringle, ha affermato:
«Poiché́ il controllo del rispetto delle dette condizioni è necessario per accertare se possa essere applicata
la procedura di revisione semplificata, spetta alla Corte, nella sua qualità̀̀ di istituzione che assicura, in
forza dell’art. 19, par. 1, 1° comma, TUE, il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei
Trattati, esaminare la validità̀̀ di una decisione del Consiglio europeo fondata sull’art. 48, par. 6, TUE».

LA NATURA GIUDIZIARIA DELL’AUTORITA’ NAZIONALE DI RINVIO E LE ALTRE


CONDIZIONI DI RICEVIBILITA’ DELLA DOMANDA14
La ricevibilità delle questioni pregiudiziali è subordinata alla natura di organo giudiziario posseduta
dall’autorità che opera il rinvio.
La nozione di organo giudiziario:
1. va stabilita a livello di diritto dell'Unione europea, non già alla stregua dei differenti sistemi
giudiziari "degli Stati membri;
2. è collegata alle funzioni che l'organo esercita nell'ambito del processo nazionale, per, cui allo
stesso organo può riconoscersi natura giudiziaria o meno, a seconda del differente tipo di funzione di
volta in volta sia chiamato a svolgere.
La Corte, con la sentenza del 27 gennaio 2005, causa C-125/04, Denuit, ha escluso tale natura in un
collegio arbitrale belga, sulla base di un insieme di elementi,
a) l'origine legale dell'organo,
b) il suo carattere permanente,
c) l'obbligatorietà della sua giurisdizione;
d) la natura contraddittoria del procedimento,
e) il fatto che l'organo applichi norme giuridiche e
f) che sia indipendente. [...].
La Corte ha quindi deciso che «Il tribunale arbitrale non costituisce una giurisdizione di uno Stato membro
perché
1. per le parti contraenti non vi è alcun obbligo, né di diritto né di fatto, di affidare la soluzione delle
proprie liti a un arbitrato e
2. perché le autorità pubbliche dello Stato membro interessato
o non sono implicate nella scelta della via dell'arbitrato
o né sono chiamate a intervenire d'ufficio nello svolgimento del procedimento dinanzi
all'arbitro».
14
Non spiegato
198

Viceversa, la Corte di giustizia in un caso ha affermato che può considerarsi tale la Corte di giustizia del
Benelux, istituita con il Trattato di Bruxelles del 31 marzo 1965 tra il Belgio, il Lussemburgo e l'Olanda e
composta da giudici delle Corti supreme di tali Stati.
Nella sentenza del 4 novembre 1997, causa C-337/95, Parfums Christian Dior, la Corte di giustizia ha
dichiarato:
«Non vi è, infatti, alcun motivo valido che possa giustificare che ad un organo giurisdizionale del genere,
comune a vari Stati membri, non sia consentito di sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte alla stessa
stregua degli organi giurisdizionali propri a ciascuno di tali Stati membri.
A tale riguardo si deve considerare, in particolare, che la Corte del Benelux ha il compito di garantire
l'uniformità nell'applicazione delle norme giuridiche comuni ai tre Stati del Benelux e che il procedimento
instaurato dinanzi ad essa costituisce un incidente nell'ambito delle cause pendenti dinanzi ai giudici
nazionali, in esito al quale viene fissata l'interpretazione definitiva delle norme giuridiche comuni al
Benelux.
Consentire ad un organo giurisdizionale come la Corte del Benelux, quando si trova a dover interpretare
norme di diritto comunitario [oggi dell'Unione] nell'esercizio delle sue funzioni, di avvalersi del
procedimento previsto dall'art. 177 [oggi 267] del Trattato risponde quindi all'obiettivo di tale norma, che è
quello di salvaguardare l'uniformità d'interpretazione del diritto comunitario».
In sostanza, la Corte del Benelux è stata considerata non giudice internazionale, ma giudice nazionale
comune ai tre Stati, in ragione delle funzioni da essa svolte.
LA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA
Per quanto riguarda l'Italia, si è posto il problema se rientri nella nozione di giurisdizione nazionale la Corte
costituzionale, la quale,
nell'ordinanza del 29 dicembre 1995 n. 536, aveva dato una soluzione negativa, affermando che
“tante sono, e profonde, le differenze tra il compito affidato alla Corte medesima, senza precedenti
nell'ordinamento italiano, e quelli ben noti e storicamente consolidati propri degli organi giurisdizionali».
Il rinvio della Corte costituzionale nei soli conflitti di attribuzione
Successivamente la Corte costituzionale ha mutato atteggiamento,
limitatamente all'ipotesi
a) in cui una questione relativa al diritto dell'Unione europea si ponga in una causa nella quale la
Corte costituzionale sia adita in via principale, ossia quando essa operi quale giudice di una
controversia, come nei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato e tra Stato e regioni (o regioni
tra di loro).

b) Riguardo a ricorsi di legittimità costituzionale proposti dal Presidente del Consiglio dei ministri
contro certe disposizioni di una legge della regione Sardegna, nei quali era denunciata anche una
violazione del divieto di discriminazione tra cittadini europei in base alla nazionalità (oggi art. 18
TFUE), la Corte costituzionale, nella sentenza del 15 aprile 2008 n. 102, ha affermato che essa è
legittimata a rinviare alla Corte di giustizia questioni relative (nella specie) all'interpretazione
del diritto dell'Unione.

Essa, infatti, ha osservato che «[…] questa Corte, pur nella sua peculiare posizione di organo di garanzia
costituzionale, ha natura di giudice e, in particolare, di giudice di unica istanza (in quanto contro le sue
decisioni non è ammessa alcuna impugnazione: art. 137, terzo comma, Cost.). Essa pertanto, nei giudizi di
legittimità costituzionale in via principale, è legittimata a proporre rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE]».
199

La Corte confermava tale conclusione svolgendo le seguenti considerazioni.


1. In primo luogo, la nozione di 'giurisdizione nazionale' deve essere desunta dall'ordinamento
comunitario e non dalla qualificazione 'interna' dell'organo rimettente e la Corte costituzionale
italiana possiede requisiti individuati a tal fine dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
2. In secondo luogo, nell'ambito dei giudizi di legittimità costituzionale promossi in via principale, la
Corte costituzionale è l'unico giudice chiamato a pronunciarsi in ordine al loro oggetto, in
quanto [...] manca un giudice a quo abilitato a definire la controversia, e cioè ad applicare o a
disapplicare direttamente la norma interna non conforme al diritto comunitario. Pertanto, non
ammettere in tali giudizi il rinvio pregiudiziale [...] comporterebbe un'inaccettabile lesione del
generale interesse all'uniforme applicazione del diritto comunitario, quale interpretato dalla
Corte di giustizia. In quanto giudice "avverso le cui decisioni non può proporsi un ricorso
giurisdizionale di diritto interno", la Corte costituzionale, ove ne ricorrano le condizioni, è tenuta ad
operare il rinvio alla Corte di giustizia.
La Corte costituzionale, pertanto, con ordinanza in pari data n. 103, ha sottoposto alla Corte di giustizia
talune questioni interpretative di norme dell'Unione, sulle quali la stessa Corte di giustizia si è pronunciata.
il rinvio nel giudizio di costituzionalità
Secondo l'insegnamento della stessa Corte costituzionale,
i) il giudice comune deve sottoporre anzitutto alla Corte di giustizia la questione attinente al diritto
dell'Unione e
ii) solo dopo la pronuncia della Corte di giustizia può sollevare dinanzi alla Corte costituzionale
l'eventuale problema di incostituzionalità della legge.
In altri termini, sussiste una priorità logico-giuridica della "pregiudiziale comunitaria"
Ridimensionamento…
30 Marzo 2012 n. 75: La Corte costituzionale ha ritenuto ammissibile una questione di Costituzionalità
sollevata da un giudice non di ultima istanza rispetto ad un decreto legislativo di attuazione di una direttiva,
senza che tale giudice dovesse rivolgersi in via prioritaria alla Corte di Lussemburgo in merito alla
compatibilità del decreto legislativo con la direttiva.
“La questione pregiudiziale di legittimità costituzionale sarebbe inammissibile ove il giudice rimettente
chiedesse la verifica di costituzionalità di una norma, pur esplicitando un dubbio quanto alla corretta
interpretazione di norme comunitarie ed un contrasto con queste ultime”
Tuttavia, in questo caso il giudice avrebbe avuto la facoltà di non attuare il rinvio pregiudiziale, non avendo
dubbi in merito all’interpretazione o all’incompatibilità del diritto comunitario.
Passo decisivo…
Ordinanza 18 luglio 2013 n. 207: la Corte ha compiuto il passo decisivo di rivolgersi essa stessa, anche
quale giudice delle leggi, alla Corte di Giustizia. In merito a una normativa nazionale ritenuta sicuramente in
contrasto con una direttiva comunitaria, sulla cui interpretazione essi non avevano alcun dubbio.
Essa ha dichiarato “che la questione pregiudiziale posta alla Corte di giustizia è rilevante nel giudizio di
legittimità costituzione, poiché l’interpretazione richiesta a detta Corte appare necessaria a definire l’esatto
200

significato della normativa comunitaria al fine del successivo giudizio di legittimità che questa Corte dovrà
compiere”
Alla domanda pregiudiziale, la Corte di giustizia ha dato risposta (26 Novembre 2014)
Brusco Mutamento…
Sentenza della Corte costituzionale 14 dicembre 2017 n. 269: in essa, in un obiter dictum, la Corte ha
affermato che, quando una legge contrasti sia con la Carta dei diritti fondamentali che con la Costituzione
italiana, il giudice comune deve sottoporre in ogni caso la questione alla Corte costituzionale. Solo dopo la
sua pronuncia il giudice comune potrà adire “per altri profili” la Corte di Giustizia.
Tale pronuncia si pone in contrasto con l’art. 267 TFUE, precludendo al giudice comune di
rivolgersi alla Corte di Giustizia e riservando alla competenza della Corte Costituzionale
l’interpretazione della Carta.
Infatti, la Corte di Giustizia ha bocciato tale orientamento (Sent 20 dicembre 2017, Global Starnet Ltd)
Correzione dell’obiter dictum…
a) La Corte costituzionale (sent. 21 Febbraio 2019 n. 20) ha confermato la legittimazione del giudice
comune a rivolgersi alla Corte di giustizia, prima o dopo la pronuncia della Corte Costituzionale;

b) La Corte Costituzionale ha ribadito la propria competenza a sottoporre alla Corte di Giustizia una
questione relativa al diritto dell’Unione anche attinente alla Carta dei diritti fondamentali.
L’OBBLIGO DI RINVIO PER IL GIUDICE DI ULTIMA ISTANZA
La ratio di tale disciplina è riconducibile
a) alla “irreparabilità” di un eventuale errore di un giudice di ultima istanza,
b) alla maggiore autorevolezza e influenza giurisprudenziale dei giudici di ultima istanza.
Per la Corte «Tale obbligo mira, più in particolare, ad evitare che in uno Stato membro si consolidi una
giurisprudenza nazionale in contrasto con le norme comunitarie».
Eccezioni all’obbligo di rinvio “interpretativo”
Il giudice di ultima istanza non è soggetto all’obbligo di rinvio nei seguenti casi:
1. La questione sollevata è materialmente identica ad altra questione, sollevata in relazione ad analoga
fattispecie, che sia già stata decisa in via pregiudiziale.
2. La questione è risolvibile sulla base di una giurisprudenza costante della Corte che,
indipendentemente dalla natura dei procedimenti da cui sia stata prodotta, risolva il punto di diritto
litigioso, anche in mancanza di una stretta identità fra le materie del contendere.
3. La disposizione europea è talmente chiara da non porre un problema interpretativo ("in claris non fìt
interpretatio"); tuttavia, per giungere a tale conclusione, il giudice nazionale deve maturare il
convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla
Corte di giustizia. In tal senso, anche la Corte costituzionale:
«Il rinvio pregiudiziale non è necessario quando il significato della norma comunitaria sia evidente,
anche per essere stato chiarito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, e si impone soltanto
quando occorra risolvere un dubbio interpretativo».
Le suddette eccezioni all'obbligo di rinvio non escludono, tuttavia, la facoltà dei giudici di ultimo grado di
adire egualmente la Corte di giustizia, se lo ritengano opportuno.
LE CONDIZIONI OGGETTIVE PER IL RINVIO
201

La Corte ha più volte sottolineato la necessità che la sua pronuncia sia utile per il giudice nazionale, così
contribuendo all'amministrazione della giustizia negli Stati membri, pertanto:
1. il giudice nazionale, mediante il rinvio, deve fornire gli elementi di fatto e di diritto affinché
anche la Corte possa valutare la rilevanza della questione;
2. le questioni non devono essere puramente ipotetiche e devono essere concretamente collegate
alla causa in corso
3. le questioni non devono essere "fittizie", come nel caso in cui risulti chiaramente che tra le parti
nel processo nazionale non vi è alcun contrasto reale, ma, anzi, esse hanno concordemente
"inventato" tale processo al fine di ottenere, tramite il rinvio pregiudiziale, una determinata
pronuncia,
Infatti la Corte ha il “[…] compito non di esprimere pareri a carattere consultivo su questioni
generali o ipotetiche, ma di contribuire all'amministrazione della giustizia negli Stati membri. Ad
essa non compete pertanto la soluzione di questioni di interpretazione che le siano proposte
nell'ambito di schemi processuali precostituiti dalle parti al fine di indurla a pronunciarsi su taluni
problemi di diritto comunitario non rispondenti ad una necessità obiettiva inerente alla definizione
di una controversia”.
SEGUE: GLI EFFETTI DELLA SENTENZA DELLA CORTE15
RATIONE PERSONAE
EFFETTI OBBLIGATORI PER LE GIURISDIZIONI NAZIONALI
La sentenza della Corte di giustizia in via pregiudiziale, che ha forza di giudicato, è senz’altro obbligatoria
per il giudice a quo, il quale è tenuto a conformare la propria decisione a quella della Corte
• Sia in relazione alle sentenze interpretative
• Sia in relazione alle sentenze concernenti la validità di un atto dell’Unione.
La decisione pregiudiziale della Corte parimenti vincola le giurisdizioni nazionali di grado superiore al
giudice a quo chiamate a pronunciarsi sulla medesima causa.
La procedura d’infrazione
Il rifiuto, da parte di una giurisdizione nazionale, di conformarsi ad una sentenza pregiudiziale può
comportare una procedura di infrazione ed il ricorso di inadempimento ex art. 258 TFUE.
Il “nuovo” rinvio
Tuttavia, il giudice a quo, qualora lo reputi necessario, può effettuare un nuovo rinvio alla Corte
• per richiederle ulteriori chiarimenti ovvero
• per sottoporle una nuova questione di diritto o nuovi elementi di valutazione che possano indurla a
risolvere diversamente la questione già sollevata.
Effetti ultra partes ed erga omnes
Sulla base della giurisprudenza della Corte di giustizia le sentenze pregiudiziali tendono ad avere
un’efficacia vincolante per tutti i giudici dei Paesi membri, ossia ad avere effetto ultra partes ed erga omnes.
➔ Secondo la Corte, infatti, una precedente decisione resa in via pregiudiziale può esimere
i giudici dall’obbligo di rinvio,
• sia per quanto riguarda le questioni interpretative identiche o analoghe a quelle già decise
dalla Corte

15
Non spiegato
202

• sia per quanto riguarda la validità di un determinato atto sulla quale la Corte si sia già
pronunciata.
Ne consegue il potere/dovere dei giudici nazionali di adeguarsi alla pronuncia della Corte concernente
identica questione o, per le sole sentenze interpretative, analoga, salvo un nuovo rinvio, che è sempre nella
facoltà del giudice nazionale.
RATIO:

1. Uniforme applicazione del diritto dell’Unione: si può considerare, a supporto della suddetta
impostazione giurisprudenziale, che uno degli obiettivi fondamentali del rinvio pregiudiziale è
quello di assicurare l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione europea. Tale scopo potrebbe
non essere adeguatamente conseguito se le sentenze della Corte dispiegassero i propri effetti soltanto
nella causa a quo.

2. Esigenza di certezza del diritto: (nel caso di sentenze concernenti la validità degli atti), assume
inoltre particolare rilevanza l’esigenza di certezza del diritto dell’Unione, che sarebbe compromessa
se i giudici nazionali dovessero applicare un atto già dichiarato invalido da una sentenza
pregiudiziale.
Pertanto, sebbene la sentenza della Corte che accerti l’invalidità di un atto “abbia come diretto destinatario
solo il giudice che si è rivolto alla Corte, essa costituisce per qualsiasi altro giudice un motivo sufficiente
per considerare tale atto non valido ai fini di una decisione ch’esso debba emettere” (causa 66/80 ICC).
La Corte ha tuttavia espressamente escluso che il giudice nazionale possa autonomamente considerare
invalidi atti analoghi a quello dichiarato tale.
EFFETTI PER LE ISTITUZIONI EUROPEE
Le sentenze di invalidità
La sentenza della Corte che dichiari l’invalidità di un atto impone alle istituzioni europee che lo hanno
emanato di “trarne le conseguenze”, ossia
• di revocarlo o
• modificarlo
sulla base delle indicazioni fornite dalla sentenza.
Ove la sentenza dichiari invece legittimo l’atto in questione, l’efficacia della stessa è limitata al giudice
richiedente ed ai motivi di invalidità sui quali verte la pronuncia della Corte.
Le sentenze interpretative
Con riferimento alle sentenze interpretative emanate in via pregiudiziale dalla corte di giustizia, la Corte
costituzionale italiana ha affermato che la prevalenza del diritto comunitario (dell’Unione) su quello
interno “vale non soltanto per la disciplina prodotta dagli organi della C.E.E. mediante regolamento, ma
anche per le statuizioni risultanti, come nella specie, dalle sentenze interpretative della Corte di Giustizia”.
L’art. 23 dello Statuto della Corte prevede che gli Stati UE, la Commissione, e quando sia il caso il
Consiglio, il Parlamento e la Banca centrale, abbiano il diritto di presentare le proprie osservazioni nella
causa pregiudiziale.
Tale garanzia procedurale può trovare il suo fondamento proprio nel fatto che, una volta pronunciata, la
sentenza della Corte produrrà effetti al di fuori della causa principale e finanche dell’ordinamento giuridico
nazionale del giudice a quo.
203

“Per quanto riguarda le sentenze interpretative, si potrebbe anche sostenere, ad avviso di chi scrive, che in
sussistenza dell’interpretazione (pregiudiziale) di una norma, proveniente dall’organo dell’Unione cui
compete, in linea generale, di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione dei Trattati (art. 19 TUE)
e, in particolare, di interpretare in via pregiudiziale i Trattati e gli atti dell’Unione (art. 267 TFUE), il
giudice nazionale non abbia il potere di (o abbia il dovere di non) discostarsi da tale interpretazione, salvo
operare un nuovo rinvio alla Corte. Sulla base del ragionamento suddetto, si potrebbe pertanto sostenere
che non sia la decisione in quanto tale ad avere efficacia erga omnes, ma piuttosto l’interpretazione del
diritto dell’Unione da questa recata. In altri termini l’efficacia erga omnes delle sentenze pregiudiziali della
Corte non sarebbe giustificata dalla “legge processuale” dell’Unione, bensì dalla struttura “costituzionale”
dell’Unione medesima e, in particolare, dai poteri attribuiti alla Corte di giustizia.

RATIONE TEMPORIS
Le sentenze interpretative
Per la giurisprudenza della Corte, l’efficacia delle sentenze interpretative retroagisce, di norma, al
momento dell’entrata in vigore della disposizione interpretata.
Di conseguenza la norma dovrebbe essere applicata dai giudici, sulla base dell’interpretazione fornita dalla
Corte in via pregiudiziale, anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza.
Eccezione: la Corte ha ammesso che,
✓ per esigenze di certezza del diritto e
✓ ragioni di opportunità legate all’“impatto” della sentenza sui rapporti pregressi,
la Corte medesima possa decidere di limitare nel tempo gli effetti della sentenza,
✓ senza arrecare pregiudizio a coloro che abbiano avviato azione giurisdizionale prima della sentenza medesima,
per non compromettere la tutela giurisdizionale dei diritti dei singoli.
Le sentenze di invalidità
Anche la sentenza dichiarativa dell’invalidità di un atto, stante l’accertamento di vizi genetici, avrebbe
effetto ex tunc (art. 264, c. 1, TFUE: Se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia dell'Unione europea
dichiara nullo e non avvenuto l'atto impugnato).
Eccezione: tuttavia, sulla base dell’art. 264, c. 2, TFUE, per il quale “tuttavia la Corte, ove lo reputi
necessario, precisa gli effetti dell'atto annullato che devono essere considerati definitivi”, la Corte
ha affermato il proprio potere discrezionale di attribuire un’efficacia ex nunc alla sentenza, fino alla
possibilità di escludere l’applicabilità della stessa persino da parte del giudice a quo.
In italia…
La Corte costituzionale italiana ha respinto tale ultima affermazione giurisprudenziale, in quanto contraria
all’art. 24 della Costituzione italiana. Infatti, “… il diritto di ognuno ad avere per qualsiasi controversia un
giudice e un giudizio verrebbe a svuotarsi dei suoi contenuti sostanziali se il giudice, il quale dubiti della
legittimità di una norma che dovrebbe applicare, si veda rispondere dalla autorità giurisdizionale cui è
tenuto a rivolgersi, che effettivamente la norma non è valida, ma che tale invalidità non ha effetto nella
controversia oggetto del giudizio principale, che dovrebbe quindi essere deciso con l'applicazione di una
norma riconosciuta illegittima”.
La Corte di giustizia ha riconosciuto che l’attore della causa principale possa legittimamente invocare la
declaratoria di invalidità dell’atto nella causa medesima (o in analogo procedimento),
in nome dell’effettività della tutela giurisdizionale nei confronti delle violazioni del diritto
comunitario da parte delle istituzioni dell’Unione.
204

LA COMPETENZA DELLA CORTE NELLE CONTROVERSIE SOTTOPOSTE IN BASE


A COMPROMESSO
L’art. 273 TFUE prevede una competenza della Corte di giustizia di carattere “facoltativo”
➔ non è istituita direttamente dai Trattati europei, ma è attribuita alla Corte di comune
accordo delle parti di una controversia.
Ai sensi di tale disposizione (presente, sia pure con una differente formulazione, sin dall’originario Trattato
CEE) la Corte di giustizia
«è competente a conoscere di qualsiasi controversia tra Stati membri in connessione con l’oggetto dei
Trattati, quando tale controversia le venga sottoposta in virtù di un compromesso».
In passato la norma in esame non ha avuto pratica applicazione.
Pratica applicazione in ambito MES e FISCAL COMPACT
Successivamente, invece, essa è stata espressamente richiamata quale fondamento della competenza
attribuita alla Corte
• dall’art. 37, par. 3, del Trattato che istituisce il meccanismo europeo di stabilità (MES), e
• dall’art. 8 del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione
economica e monetaria (c.d. Fiscal Compact).
MES
L’art. 37, par. 3, del Trattato MES prevede che se uno Stato membro del MES contesta una decisione con
la quale il Consiglio dei governatori (organo del MES) abbia statuito su una controversia tra il MES e i suoi
membri, o fra tali membri, relativa all’interpretazione o all’applicazione dello stesso Trattato MES
(comprese le controversie sulla compatibilità delle decisioni del MES con il relativo Trattato) la controversia
è sottoposta alla Corte di giustizia.
Effetti della sentenza: La sentenza della Corte è vincolante per le parti in causa, che adottano le
necessarie misure per conformarvisi entro il periodo stabilito dalla Corte.
Fiscal Compact
L’art. 8 del Fiscal Compact dichiara che se uno Stato parte non ha rispettato l’obbligo, stabilito dall’art.
3, par. 3, di inserire la regola del pareggio di bilancio nel proprio ordinamento, preferibilmente a livello
costituzionale, la Corte di giustizia può essere adita da uno o più Stati parti (eventualmente previa
constatazione della violazione da parte della Commissione) affinché dichiari tale inadempimento (par. 1).
Inadempimento: In caso di mancata adozione dei provvedimenti necessari per l’esecuzione della sentenza,
la Corte può essere adita nuovamente da uno Stato parte per chiedere l’imposizione di una sanzione
finanziaria (somma forfettaria o in una penalità adeguata alle circostanze, secondo lo schema risultante dal
ricordato art. 260 TFUE sulla procedura d’infrazione).
Le condizioni richieste dall’art. 273 TFUE affinché possa essere istituita la competenza della Corte sono le
seguenti.
“Controversia tra gli Stati Membri”
Anzitutto deve trattarsi di una controversia tra Stati membri dell’Unione, con esclusione, quindi, di
controversie delle quali siano parti anche
• Stati terzi o
• organizzazioni internazionali.
205

Il citato art. 37, par. 3, del Trattato MES, pertanto, non appare conforme a tale condizione: conferisce alla
Corte la competenza non solo su controversie tra Stati membri, ma anche tra uno Stato membro e il MES, il
quale non è uno Stato, né, tanto meno, membro dell’Unione.
la Corte di giustizia, sentenza del 27 novembre 2012, causa C-370/12, Pringle (Cap. III, par. 1), ha
ritenuto giustificata, ai sensi dell’art. 273 TFUE, la competenza della Corte, dichiarando che
«è vero che l’art. 273 TFUE subordina la competenza della Corte alla presenza esclusiva di Stati membri
nella controversia di cui è investita. Tuttavia, poiché il MES è composto esclusivamente di Stati membri, una
controversia di cui è parte il MES può essere considerata una controversia tra Stati membri ai sensi
dell’art. 273 TFUE».
Tale affermazione risulta invero alquanto semplicistica,
➔ lo stesso Trattato MES, all’art. 1, lo qualifica come “un’istituzione finanziaria internazionale”,
cioè come una organizzazione internazionale, provvista di un proprio complesso apparato di
organi e di significativi poteri e funzioni, distinta dagli Stati che ne fanno parte.
La “forzatura” della Corte, in realtà, sembra dettata dall’intento di “salvare” la disposizione del Trattato
MES, conciliandola a ogni costo con il diritto dell’Unione.
“in connessione con l’oggetto dei trattati”
La seconda condizione prevista dall’art. 273 TFUE è che la controversia, pur non avendo quale oggetto
diretto l’interpretazione o l’applicazione dei Trattati16, presenti una connessione con l’oggetto dei Trattati.
Corte di giustizia, nella predetta sentenza del 27 novembre 2012, causa C-370/12, Pringle, con riguardo
al Trattato MES ha dichiarato che tale connessione sussiste, poiché il protocollo d’intesa tra il MES e lo
Stato membro che richieda un sostegno finanziario alla stabilità deve essere pienamente conforme al diritto
dell’Unione, in particolare alle misure di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri
adottate dalla Commissione (art. 13, par. 13);
pertanto le condizioni per la concessione di un sostegno sono, almeno in parte, determinate dal diritto
dell’Unione. Di conseguenza
«va rilevato che una controversia legata all’interpretazione o all’applicazione del Trattato MES può vertere
altresì sull’interpretazione o sull’applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione».
“in base ad un compromesso”
Infine occorre che la controversia sia sottoposta alla Corte in base a un compromesso.
Cosa è un compromesso? – come risulta da una prassi internazionale pluricentenaria – è l’accordo con il
quale gli Stati parti di una controversia convengono di sottoporla alla decisione di un terzo, assumendo
preventivamente l’obbligo di vincolarsi al rispetto della sentenza da lui emanata.
Il terzo può essere
a. un arbitro designato o costituito dalle parti stesse per lo svolgimento dello specifico processo o
b. un tribunale precostituito di carattere permanente, come la Corte di giustizia.
Tuttavia, le disposizioni sia del Trattato MES che del Fiscal Compact attribuiscono alla competenza della
Corte una serie indeterminata di controversie future ed eventuali.
Tali disposizioni, pertanto, appaiono come una forzatura della norma contenuta nell’art. 273 TFUE.
la Corte di giustizia, nella più volte citata sentenza del 27 novembre 2012, ha “graziato” il Trattato MES.

16
poiché in tal caso sarebbe già soggetta obbligatoriamente alla competenza della Corte, nelle varie espressioni previste
dai Trattati (l’art. 344 TFUE dispone, infatti, che tali controversie non possono essere sottoposte a procedimenti diversi
da quelli previsti dai Trattati).
206

Essa, alla luce di un non meglio precisato obiettivo dell’art. 273, ha dichiarato che l’art. 37, par. 3, del
Trattato MES è conforme al suddetto art. 273, in quanto,
«se è vero che l’art. 273 TFUE subordina la competenza della Corte all’esistenza di un compromesso, nulla
impedisce, considerato l’obiettivo perseguito da tale disposizione, che un accordo siffatto si verifichi
previamente, con riferimento ad un’intera categoria di controversie predefinite, in forza di una clausola
come l’art. 37, par. 3, del Trattato MES».
207

CAPITOLO IX
I RAPPORTI TRA L’ORDINAMENTO DELL’UNIONE E QUELLO ITALIANO
IL FONDAMENTO COSTITUZIONALE DEL TRASFERIMENTO DI POTERI SOVRANI
ALL’UNIONE EUROPEA
Il parziale trasferimento di poteri sovrani, in particolare di competenze legislative e giudiziarie, dagli Stati
membri alle istituzioni europee comportano
a. l’introduzione negli ordinamenti statali di fonti del diritto estranee a tali ordinamenti (p.es. i
regolamenti) e
b. istituiscono un sistema giurisdizionale, suscettibile di limitare anche i poteri del giudice nazionale
(p.es., il rinvio pregiudiziale).
Per questa profonda incidenza dei Trattati in parola sugli ordinamenti Statali, numerosi membri dell'Unione
europea hanno dato esecuzione ai Trattati con legge costituzionale o hanno emanato norme costituzionali,
fornendo al trasferimento di poteri un fondamento e una giustificazione costituzionale.
In Italia, invece,
➔ l'autorizzazione alla ratifica e
➔ l'ordine di esecuzione
dei Trattati istitutivi delle Comunità europee (come di tutti quelli modificativi) sono stati dati con legge
ordinaria, non costituzionale, a causa di una forte opposizione ostile, all'epoca, all'integrazione europea.
Da ciò è derivato un originario, vivace contrasto tra l'atteggiamento della Corte costituzionale
italiana e quello della Corte di giustizia dell'Unione europea, appianatosi nel corso degli anni,
sino a giungere ad una sostanziale armonia nelle conclusioni (se non anche nelle premesse teoriche).
La legittimità costituzionale delle leggi di ratifica dei Trattati ex art. 11 Cost.
La Corte Cost., sin dalla sentenza del 7 marzo 1964 n. 14 “Costa c. ENEL” ha dichiarato che le leggi di
autorizzazione alla ratifica e di esecuzione dei Trattati comunitari (come di quelli modificativi) trovano un
fondamento nell'art. 11 Cost. nella parte in cui dichiara:
«L'Italia [...] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad
un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni
internazionali rivolte a tale scopo».
Per la Corte Cost.
«La norma significa che, quando ricorrano certi presupposti, è possibile stipulare trattati con cui si
assumano limitazioni della sovranità ed è consentito darvi esecuzione con legge ordinaria».
Benché tale disposizione sia nata per favorire la partecipazione dell’Italia all’Organizzazione delle Nazioni
Unite, è stata considerata idonea a consentire “limitazioni di sovranità”.
208

IL PRIMATO DEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA DIRETTAMENTE


APPLICABILE SU QUELLO ITALIANO IN CASO DI INCOMPATIBILITA’
La Corte costituzionale: norme comunitarie e interne gerarchicamente equiordinate

1. In proposito la posizione originaria della Corte costituzionale, espressa nella stessa sentenza Costa
c. ENEL del 7 marzo 1964, era nel senso che, essendo stati resi esecutivi i Trattati europei con
legge ordinaria, le disposizioni del diritto europeo direttamente applicabili non avevano un'efficacia
superiore a quella propria della legge ordinarie, pertanto, le ipotesi di contrasto andavano risolte in
base ai principi della successione delle leggi nel tempo (lex posterior derogat priori),
con la conseguenza che una legge italiana successiva conservava la sua piena efficacia e ben poteva
modificare o abrogare le disposizioni europee contrastanti.
La Corte di giustizia: la prevalenza delle norme comunitarie su quelle interne

1. In contrapposizione, la Corte di giustizia, pronunciandosi in via pregiudiziale riguardo alla


medesima vicenda Costa c. ENEL, affermò il primato del diritto europeo (direttamente applicabile)
sulle norme interne contrastanti e l'invalidità di tali norme.
A seguito dell'originario (volontario) trasferimento di sovranità da parte degli Stati membri, il diritto
dell'Unione si integra negli ordinamenti degli Stati membri in una posizione gerarchicamente
sovraordinata.
La Corte di Giustizia esprime così la teoria monista, che configura un ordinamento giuridico unitario,
comprendente i diritti degli Stati membri e quello, gerarchicamente superiore, dell'Unione.
Fondamentale, come si è accennato, resta la sentenza (alla quale si conforma la giurisprudenza succes-
siva) del 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa c. ENEL:
«A differenza dei comuni trattati internazionali, il Trattato CEE ha istituito un proprio ordinamento
giuridico, integrato nell'ordinamento giuridico degli Stati membri all'atto dell'entrata in vigore del Trattato
e che i giudici nazionali sono tenuti ad osservare. Infatti, istituendo una Comunità [oggi Unione] senza
limiti di durata, dotata di propri organi, di personalità, di capacità giuridica, di capacità di rappresentanza
sul piano internazionale, ed in ispecie di poteri effettivi provenienti da una limitazione di competenza o da
un trasferimento di attribuzioni degli Stati alla Comunità, questi hanno limitato, sia pure in campi circo-
scritti, i loro poteri sovrani e creato quindi un complesso di diritto vincolante per i loro cittadini e per loro
stessi.

Tale integrazione nel diritto di ciascuno Stato membro di norme che promanano da fonti comunitarie [oggi
dell'Unione], e più in generale, lo spirito e i termini del Trattato, hanno per corollario l'impossibilità per gli
Stati di far prevalere, contro un ordinamento giuridico da essi accettato a condizione di reciprocità, un
provvedimento unilaterale ulteriore, il quale pertanto non potrà essere opponibile all'ordine comune. Se
l'efficacia del diritto comunitario variasse da uno Stato all'altro in funzione delle leggi interne posteriori,
ciò metterebbe in pericolo l'attuazione degli scopi del Trattato contemplata dall'art. 5, secondo comma
[oggi art. 4, par. 3, 3° comma, TUE], e causerebbe una discriminazione vietata dall'art. 7 [oggi 18 TFUE]
[...].

La preminenza del diritto comunitario [oggi dell'Unione] trova conferma nell'art. 189 [oggi 288 TFUE], a
norma del quale i regolamenti sono obbligatori e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri.
Questa disposizione, che non è accompagnata da alcuna riserva, sarebbe priva di significato se uno Stato
potesse unilateralmente annullarne gli effetti con un provvedimento legislativo che prevalesse sui testi
comunitari. Dal complesso dei menzionati elementi discende che, scaturito da una fonte autonoma, il diritto
nato dal Trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un limite in qualsiasi
provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso il
fondamento giuridico della stessa Comunità.
209

Il trasferimento, effettuato dagli Stati a favore dell'ordinamento giuridico comunitario, dei diritti e degli
obblighi corrispondenti alle disposizioni del Trattato implica quindi una limitazione definitiva dei loro diritti
sovrani, di fronte alla quale un atto unilaterale ulteriore, incompatibile col sistema della Comunità, sarebbe
del tutto privo di efficacia».
L’“avvicinamento” della Corte costituzionale alla Corte di giustizia
Sentenza Corte Cost. n. 232/1975, Società Industrie chimiche dell'Italia: La Corte costituzionale afferma
che l'emanazione dì leggi successive incompatibili, o anche solo riproduttive, rispetto a regolamenti europei,
violando gli articoli 189 e 177 del Trattato (oggi articoli 288 e 267 TFUE),
«comporta violazione dell'art. 11 della nostra Costituzione, in base al quale l'Italia ha aderito alla
Comunità [oggi Unione] consentendo, in condizioni di parità con gli altri Stati, le limitazioni di sovranità
richieste per la sua istituzione e per il conseguimento dei suoi fini di integrazione, solidarietà e comune svi-
luppo economico e sociale degli Stati europei, e quindi anche di pace e giustizia fra le Nazioni».
Di conseguenza il giudice, di fronte a leggi incompatibili con regolamenti europei (o anche solo
riproduttive), è tenuto a sollevare la questione della loro legittimità costituzionale e spetta alla stessa
Corte costituzionale pronunciarsi sulla questione, dichiarando l'incostituzionalità di siffatte leggi.
Sentenza Corte di giustizia 106/77 Simmenthal:
«Il giudice nazionale, incaricato di applicare, nell'ambito della propria competenza le disposizioni di diritto
comunitario, ha l'obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all'occorrenza, di pro-
pria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza
doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento
costituzionale».
Tale soluzione, secondo la Corte di giustizia, discende dallo stesso concetto di applicabilità diretta; questa
«va intesa nel senso che le norme di diritto comunitario [oggi dell'Unione] devono esplicare la pienezza dei
loro effetti, in maniera uniforme in tutti gli Stati membri, a partire dalla loro entrata in vigore e per tutta la
durata della loro validità; [...] questo effetto riguarda anche tutti i giudici che, aditi nell'ambito della loro
competenza, hanno il compito, in quanto organi di uno Stato membro, di tutelare i diritti attribuiti ai singoli
dal diritto comunitario;
inoltre, in forza del principio della preminenza del diritto comunitario, le disposizioni del Trattato e gli atti
delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l'effetto, nei loro rapporti col diritto interno
degli Stati membri,
a. non solo di rendere 'ipso iure' inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi
disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente,
b. ma anche - in quanto dette disposizioni e detti atti fanno parte integrante, con rango superiore
rispetto alle norme interne, dell'ordinamento giuridico vigente nel territorio dei singoli Stati membri
- di impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi
fossero incompatibili con norme comunitarie».
Anche di recente, ma in un caso sottoposto da un giudice tedesco, concernente il rispetto del principio di non
discriminazione per ragioni di età, la Corte di giustizia ha ribadito la prevalenza automatica del diritto
dell'Unione, senza bisogno di un previo rinvio alla stessa Corte.
La sentenza Corte Costituzionale 170/1984, Granital: Con la sentenza Granital, la Corte costituzionale, pur
continuando ad affermare la distinzione tra l’ordinamento interno e quello comunitario (c.d. tesi
“dualista”, in contrapposizione alla tesi “monista” della Corte di giustizia), assunto che
210

“le confliggenti statuizioni della legge interna non possono costituire ostacolo al riconoscimento della
"forza e valore", che il Trattato conferisce al regolamento comunitario, nel configurarlo come atto
produttivo di regole immediatamente applicabili”,
riconosceva che alla normativa comunitaria si dovesse assicurare diretta ed ininterrotta efficacia
ammetteva, pertanto, l’immediata applicazione di tale normativa da parte dal giudice italiano,
pur in presenza di confliggenti disposizioni della legge interna.
Il giudice, pertanto, non poteva sollevare una questione di legittimità costituzionale, che sarebbe stata
dichiarata inammissibile dalla Corte, ma era direttamente tenuto ad assicurare l’applicazione del diritto
comunitario in luogo di quello italiano incompatibile.
l’effetto del diritto comunitario
≠ non era, a parere della Corte, quello di caducare la norma interna incompatibile,
bensì quello di impedire che tale norma venisse in rilievo per la definizione della
controversia innanzi al giudice nazionale.
Tale fenomeno andava distinto dall'abrogazione, o da qualsiasi altro effetto estintivo o derogatorio, che
investe le norme all'interno dello stesso ordinamento statuale, ad opera delle sue fonti. Di conseguenza la
norma interna confliggente con quella comunitaria non perdeva la propria validità, ma non poteva produrre
effetti.
In definitiva,
• pur non riconoscendo la “superiorità gerarchica” della norma comunitaria (nel caso di specie un
regolamento) su quella nazionale, in quanto appartenenti a due sistemi distinti (visione “dualista”),
• la Corte costituzionale sanciva, con la sentenza Granital, la prevalenza automatica del diritto
comunitario su quello nazionale, ad opera del giudice comune,
con effetto sostanzialmente equivalente (sebbene diversamente motivato dal punto di vista tecnico giuridico)
a quello previsto dalla citata giurisprudenza della Corte di giustizia.
In altri termini - come dirà la Corte costituzionale nella sentenza del 14 giugno 1990 n. 285, Emilia-
Romagna c. Presidente del Consiglio - di fronte a regolamenti europei
“l’ordinamento interno si ritrae e non è più operante”.

L’EVOLUZIONE DELLA GIURISPRUDENZA EUROPEA E DI QUELLA


COSTITUZIONALE
Evoluzione della Giurisprudenza Europea

1. Il primato del diritto comunitario nei confronti delle norme costituzionali


Sin dalla causa 11/70, per la Corte di giustizia “Il diritto nato dal Trattato, che ha una fonte autonoma, per
sua natura non può infatti trovare un limité in qualsivoglia norma di diritto nazionale senza perdere il
proprio carattere comunitario senza che sia posto in discussione il fondamento giuridico della stessa
Comunità. Di conseguenza, il fatto che siano menomati vuoi i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione
di uno Stato membro, vuoi i principi di una Costituzione nazionale, non può sminuire la validità di un atto
della Comunità né la sua efficacia nel territorio dello stesso Stato”.

2. L’obbligo di assicurare il primato del diritto UE da parte della P.A.


Per la Corte di giustizia «Tale obbligo di disapplicare una normativa nazionale in contrasto con il diritto
comunitario [oggi dell'Unione] incombe non solo al giudice nazionale, ma anche a tutti gli organi dello
Stato, comprese le autorità amministrative [...], il che implica, ove necessario, l'obbligo di adottare tutti i
provvedimenti necessari per agevolare la piena efficacia del diritto comunitario» (sentenza del 9 settembre
2003, causa C-198/01, Consorzio Industrie Fiammiferi).
211

3. Il primato del diritto europeo VS l’autorità della cosa giudicata


La Corte, nella sentenza del 18 luglio 2007, causa C-119/05, Lucchini, ha dichiarato che una sentenza
passata in giudicato, che abbia riconosciuto il diritto di un'impresa ad ottenere degli aiuti pubblici, non può
impedire il recupero di tali aiuti già erogati, ove la Commissione decida che gli stessi sono incompatibili
con il mercato comune, in ragione della prevalenza del diritto dell’Unione sull’art. 2909 del codice
civile.
In successive sentenze, la Corte di giustizia ha avuto cura di sottolineare l'importanza che riveste il
principio dell'autorità di cosa giudicata, nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea come negli
ordinamenti giuridici nazionali, al fine di garantire
• sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici
• che una buona amministrazione della giustizia,
precisando che “il diritto comunitario non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme
processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò
permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione”.
Tuttavia, la Corte di giustizia ha confermato la posizione assunta nel ricordato caso Lucchini, ma
rimarcando che, in tale caso, si era in presenza di una situazione del tutto particolare (si trattava di materia
nella quale la Commissione dispone di una competenza esclusiva a valutare la compatibilità con il mercato
comune di aiuti statali a imprese).

4. In relazione alle disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie


Va osservato che rispetto al “rigore” della posizione iniziale della Corte di giustizia, la quale qualificava
come
• prive di efficacia, o
• addirittura invalide,

le disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie, è riscontrabile un’attenuazione, almeno nei
toni, nella sua giurisprudenza.
Essa, infatti, ora “si accontenta” della semplice disapplicazione delle suddette disposizioni nazionali, senza
pronunciarsi in merito alla loro validità.
sentenza dell’8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco e altri:
«In forza del principio del primato del diritto dell’Unione, le disposizioni dell’art. 325, paragrafi 1 e 2,
TFUE [concernenti la lotta contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari
dell’Unione] hanno l’effetto, nei loro rapporti con il diritto interno degli Stati membri, di rendere ipso iure
inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della
legislazione nazionale esistente» (in senso analogo Corte di giustizia, 5 aprile 2016, causa C-689/13,
Puligienica Facility Esco Spa).
La giurisprudenza costituzionale

1. La “non applicazione”
La Corte costituzionale ha precisato che l'applicazione del diritto dell'Unione europea comporta, in
conformità con l’art. 11 Cost., «l'effetto di non applicazione della legge nazionale (piuttosto che di
disapplicazione, che evoca vizi della norma in realtà non sussistenti in ragione proprio
dell’autonomia dei due ordinamenti)» (sentenza del 18 aprile 1991 ri. 168, Giam- paoìl).

2. L’efficacia erga omnes delle sentenze della corte di giustizia


212

L'obbligo del giudice nazionale di non applicare le norme statali è stato riconosciuto nei confronti di
sentenze interpretative della Corte di giustizia,
• emanate in via pregiudiziale (sentenza del 23 aprile 1985 n. 113, BECA) o
• a seguito di una procedura d'infrazione, ove riguardino norme europee direttamente applicabili
(sentenza dell'11 luglio 1989 n. 389, Provincia autonoma di Bolzano).
In quest'ultima sentenza la Corte costituzionale ha osservato:
«Poiché ai sensi dell'art. 164 del Trattato [oggi art. 19 TUE] spetta alla Corte di giustizia assicurare il
rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione del medesimo Trattato, se ne deve dedurre che
qualsiasi sentenza che applica e/o interpreta una norma comunitaria [oggi dell'Unione] ha indubbiamente
carattere di sentenza dichiarativa del diritto comunitario, nel senso che la Corte di giustizia, come
interprete qualificato di questo diritto, ne precisa autoritariamente il significato con le proprie sentenze e,
per tal via, ne determina, in definitiva, l'ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative. Quando questo
principio viene riferito a una norma comunitaria avente 'effetti diretti' - vale a dire a una norma dalla quale
i soggetti operanti all'interno degli ordinamenti degli Stati membri possono trarre situazioni giuridiche
direttamente tutelabili in giudizio - non v'è dubbio che la precisazione o l'integrazione del significato
normativo compiute attraverso una sentenza dichiarativa della Corte di giustizia abbiano la stessa
immediata efficacia delle disposizioni interpretate».
3. L’estensione alle direttive self executing della prevalenza sulle norme interne
La prevalenza delle direttive sulle norme interne sussiste se le loro disposizioni appaiano
• incondizionate,
• chiare e
• sufficientemente precise,
➔ per cui i singoli possano farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello
Stato, sia nell'ipotesi in cui quest'ultimo non le abbia tempestivamente recepite, sia
qualora le abbia recepite in maniera inadeguata (sentenze del 2 febbraio 1990 n. 64 e
del 18 aprile 1991 n.
168).

4. L’obbligo, per gli organi amministrativi, di disapplicare le norme interne confliggenti


Adeguandosi ai principi affermati dalla Corte di giustizia nella sentenza del 22 giugno 1989, causa 103/88.
Costanzo, la Corte costituzionale, nella citata sentenza dell'11 luglio 1989 n. 389, ha affermato che
l'obbligo di disapplicazione delle norme interne incompatibili con il diritto dell'Unione direttamente
applicabile incombe anche sugli organi amministrativi.

5. L’obbligo del legislatore di “depurare” il diritto interno incompatibile con il diritto dell’Unione
Nella stessa sentenza dell'11 luglio 1989 la Corte costituzionale ha affermato un altro importante principio:
«Resta ferma l'esigenza che gli Stati membri apportino le necessarie modificazioni o abrogazioni del
proprio diritto interno al fine di depurarlo da eventuali incompatibilità o disarmonie con le prevalenti
norme comunitarie. E se,
a. sul piano dell'ordinamento nazionale, tale esigenza si collega al principio della certezza del diritto,
b. sul piano comunitario, invece, rappresenta uria garanzia così essenziale al principio della
prevalenza del proprio diritto su quelli nazionali da costituire l'oggetto di un preciso obbligo per gli
Stati membri».
213

o La “depurazione” nel caso di “doppia pregiudizialità” e il dibattito con la Corte di


Giustizia
sentenza della Corte costituzionale del 14 dicembre 2017 n. 26917, nell’obiter dictum sopra citato, ha
segnato un mutamento nell’orientamento ormai consolidato.
La Corte costituzionale ha osservato, anzitutto, che i principi e i diritti enunciati nella Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, aventi un “contenuto di impronta tipicamente costituzionale”,
intersecano in larga parte quelli garantiti dalla Costituzione italiana;
➔ una legge che violi un diritto della persona può infrangere sia la Costituzione che la Carta dei
diritti fondamentali, configurandosi così – come si è visto – una “doppia pregiudizialità
• una questione di legittimità costituzionale e
• una di compatibilità con il diritto dell’Unione
(simultaneamente).
In queste ipotesi – afferma la Corte costituzionale – vi è
«la necessità di un intervento erga omnes di questa Corte, anche in virtù del principio che situa il sindacato
accentrato di costituzionalità delle leggi a fondamento dell’architettura costituzionale (art. 134 Cost.). La
Corte giudicherà alla luce dei parametri interni ed eventualmente di quelli europei (ex artt. 11 e 117 Cost.
[sul quale si veda oltre, in questo paragrafo]), secondo l’ordine di volta in volta appropriato, anche al fine
di assicurare che i diritti garantiti dalla citata Carta dei diritti siano interpretati in armonia con le
tradizioni costituzionali, pure richiamate dall’art. 6 del Trattato sull’Unione europea e dall’art. 52, comma
4, della CDFUE [Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea] come fonti rilevanti in tale ambito [ ...
].
Questa Corte ritiene che, laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti
protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria, debba essere sollevata la questione di legittimità
costituzionale, fatto salvo il ricorso al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità
del diritto dell’Unione, ai sensi dell’art. 267 del TFUE».
□ la Corte di giustizia, nella sentenza del 20 dicembre 2017, causa C-322/16, ha respinto la posizione
della Corte costituzionale, rimarcando, in particolare, che il giudice nazionale di ultimo grado è
sempre tenuto a rivolgersi in via pregiudiziale alla stessa Corte di, anche quando la Corte
costituzionale abbia valutato la costituzionalità̀ delle leggi nazionali alla luce delle norme
costituzionali aventi un contenuto analogo a quelle dell’Unione.

o Depurazione: L’esigenza di abrogare


Si aggiunga che l’esigenza di abrogare, con effetti erga omnes, le disposizioni nazionali confliggenti con il
diritto dell’Unione è certo corretta.
Corte di Giustizia: sentenza del 4 dicembre 2018, causa C-378/17, Minister for Justice and Equality e
altri,
• la disapplicazione, in un caso specifico, delle disposizioni nazionali in conflitto con il diritto
dell’Unione (direttamente applicabile) e
• il loro “annullamento” sono due operazioni entrambe necessarie, ma ben distinte:
«Infatti,
a. spetta agli Stati membri designare gli organi giurisdizionali e/o le istituzioni competenti a verificare
la validità di una disposizione nazionale e prevedere i mezzi di ricorso e le procedure che
17
già ricordata a proposito del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia
214

consentono di contestare tale validità nonché, ove il ricorso sia fondato, di annullare detta
disposizione e, se del caso, di stabilire gli effetti di un simile annullamento.
b. Per contro, secondo una giurisprudenza costante della Corte, il primato del diritto dell’Unione
impone che i giudici nazionali incaricati di applicare, nell’abito delle loro competenze, le norme del
diritto dell’Unione abbiano l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme disapplicando
all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi contraria disposizione nazionale, senza chiedere né
attendere la previa soppressione di tale disposizione nazionale per via legislativa o mediante
qualsiasi altro procedimento costituzionale».

o Leggera modifica dell’orientamento relativo alla “doppia pregiudizialità”


Si è già rilevato (Cap. VIII, par. 19) che la giurisprudenza costituzionale successiva, quale risulta dalle
sentenze del 21 febbraio 2019 n. 20, del 21 marzo 2019 n. 63, del 10 maggio 2019 n. 112 e dall’ordinanza
del 10 maggio 2019 n. 117, ha corretto parzialmente il tiro.
La Corte costituzionale, pur richiamando il dictum della sentenza del 14 dicembre 2017 n. 269, nel caso di
doppia pregiudizialità non ha affermato più la necessità, ma l’“opportunità” di un proprio intervento erga
omnes, nell’esercizio del sindacato accentrato di costituzionalità, in particolare quando sia lo stesso giudice
comune che sollecita “la prima parola” della Corte costituzionale.
Essa, inoltre, ha confermato il potere del giudice comune di disapplicare, nel caso sottoposto al suo
giudizio, le disposizioni nazionali in contrasto con la Carta dei diritti fondamentali, nonché di effettuare il
rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
In questo senso appare utile la lettura del seguente brano della citata sentenza n. 63 del 2019:
«A questa Corte non può ritenersi precluso l’esame nel merito delle questioni di legittimità costituzionale
sollevate con riferimento sia a parametri interni, […] sia alle norme corrispondenti della Carta che
tutelano, nella sostanza, i medesimi diritti;
e ciò fermo restando il potere del giudice comune di procedere egli stesso al rinvio pregiudiziale
alla Corte di giustizia UE, anche dopo il giudizio incidentale di legittimità costituzionale, e –
ricorrendone i presupposti – di non applicare, nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame, la
disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta.
[…] questa Corte non potrà esimersi, eventualmente previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE,
dal fornire una risposta a tale questione con gli strumenti che le sono propri: ( anche la dichiarazione di
illegittimità costituzionale della disposizione ritenuta in contrasto con la Carta) (e pertanto con gli artt. 11 e
117, primo comma, Cost.), con conseguente eliminazione dall’ordinamento, con effetti erga omnes».
La modifica costituzionale del 2001
La legge costituzionale 11T ottobre 2001 n. 3 ha inserito nell'art. 117 un 1° comma così formulato: «La
potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».
Tale norma ha esplicitato e confermato il fondamento costituzionale della limitazione (o, meglio, del
trasferimento) di sovranità a favore dell'Unione europea, ricavato - forse al prezzo di qualche forzatura
interpretativa - dall'art. 11 Cost. In questi termini, nella sentenza del 13 luglio 2007 n. 284, si è espressa la
Corte costituzionale:
«Dato [...] costante della giurisprudenza di questa Corte è che l'esigenza di coerenza con l'ordinamento
comunitario trova collocazione adeguata nell'art. 11 della Costituzione; ulteriore conferma di tale esigenza,
poi, a seguito della riforma del titolo V, risulta dall'art. 117, primo comma, della Costituzione».
215

La corte costituzionale, con la sentenza del 24 giugno 2010 n. 227, ha precisato che l'apporto specifico
fornito dall'art. 117, 1° comma, Cost. al tema dei rapporti tra diritto interno e diritto dell'Unione europea
consiste nell’obbligo del legislatore di rispettare i vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione.
Ma tale limite alla funzione legislativa «è tuttavia solo uno degli elementi rilevanti del rapporto tra diritto
interno e diritto dell'Unione europea, rapporto che, complessivamente considerato e come disegnato da
questa Corte nel corso degli ultimi decenni, trova ancora 'sicuro fondamento' nell'art. 11 Cost.
Restano, infatti, ben fermi, anche successivamente alla riforma, oltre al vincolo in capo al legislatore e alla
relativa responsabilità internazionale dello Stato, tutte le conseguenze che derivano dalle limitazioni di
sovranità che solo l'art. 11 Cost. consente, sul piano sostanziale e sul piano processuale, per
l'amministrazione e i giudici» a cominciare dal
«potere-dovere del giudice comune, e prima ancora dell'amministrazione, di dare immediata applicazione
alle norme comunitarie provviste di effetto diretto in luogo di norme nazionali che siano con esse in
contrasto insanabile in via interpretativa».
L’obbligo di interpretazione conforme del diritto interno
Dall’ultimo passaggio della citata sentenza si desume che
a. il giudice (come l'amministrazione) nazionale deve, anzitutto, interpretare il diritto interno in
maniera conforme alle norme dell'Unione;
b. solo quando il contrasto con queste ultime risulti insanabile sul piano interpretativo tale giudice (o
amministrazione) deve disapplicare il diritto interno, garantendo la diretta applicazione (e, quindi, il
primato) delle norme europee.

I CONTROLIMITI AL DIIRTTO DELL’UNIONE EUROPEA E LE RESIDUE


COMPETENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
I Controlimiti
La limitazione di sovranità a favore dell'Unione, con la conseguente prevalenza delle norme europee e
disapplicazione di quelle interne incompatibili, non opera senza eccezioni;
né la Corte costituzionale si è "autoesclusa" completamente dal terreno dei rapporti tra diritto
dell'Unione e nazionale.
La stessa Corte costituzionale, avendo giustificato nell'art. 11 Cost. la limitazione di sovranità e il
conseguente primato del diritto dell'Unione, ha elaborato una teoria dei "controlimiti", ossia dei principi
nazionali che vanno necessariamente salvaguardati e che limitano la prevalenza del diritto dell'Unione.
La Corte costituzionale ha dichiarato nella sentenza del 24 aprile 1996 n. 126: «le norme comunitarie
possono legittimamente prevedere, per esigenze organizzative proprie dell'Unione europea, forme attuative
di sé medesime, e quindi normative statali derogatrici di tale quadro della normale distribuzione
costituzionale delle competenze interne, salvo il rispetto dei principi costituzionali fondamentali e
inderogabili».
I controlimiti, che non possono in alcun caso essere pregiudicati dal diritto dell'Unione, consistono nei
principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e nei diritti inalienabili della persona
umana. Sin dalla sentenza del 27 dicembre 1973 n. 183, Frontini, la Corte ha avvertito: «In base all'art.
11 Cost. sono state consentite limitazioni di sovranità unicamente per il conseguimento delle finalità ivi
indicate; e deve quindi escludersi che siffatte limitazioni, concretamente puntualizzate nel Trattato di Roma
[...], possano comunque comportare per gli organi della C.E.E. un inammissibile potere di violare i principi
fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana. Ed è ovvio
che qualora dovesse mai darsi all'art. 189 [oggi 288 TFUE] una sì aberrante interpretazione, in tale ipotesi
216

sarebbe sempre assicurata la garanzia del sindacato giurisdizionale di questa Corte sulla perdurante
compatibilità del Trattato con i predetti principi fondamentali».
La vigenza di tali controlimiti è stata costantemente ribadita, per esempio dalla citata sentenza del 24
giugno 2010 n. 227 e dall’ordinanza del 26 gennaio 2017 n. 24, con la quale la Corte costituzionale ha
sottoposto alla Corte di giustizia alcune questioni di interpretazione dell’art. 325 TFUE e della citata
sentenza dell’8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco e altri nonché dalla sentenza del 31 maggio 2018
n. 115, successiva alla sentenza interpretativa della Corte di giustizia.
Questione del principio di legalità in materia penale
Nell’ordinanza n. 24 del 2017 la Corte costituzionale ha qualificato come “principio supremo
dell’ordinamento, posto a presidio dei diritti inviolabili dell’individuo”, il principio di legalità in materia
penale, formulato dall’art. 25, 2° comma, Cost., per il quale “nessuno può essere punito se non in forza di
una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Detto principio, secondo la Corte
costituzionale, è applicabile anche ai termini di prescrizione, poiché, in base all’ordinamento italiano, essa
rientra nel diritto penale sostanziale (non in quello processuale) ed è tale da mettere in giuoco il rispetto
dell’identità nazionale dello Stato italiano, stabilito dall’art. 4, par. 2, TUE e risultante dai principi supremi
dell’ordinamento costituzionale e dai diritti inalienabili della persona.
La Corte di giustizia, nella sentenza del 5 dicembre 2017, causa C-42/17, M.A.S. e M.B., emanata a
seguito del rinvio della Corte costituzionale, pur non ritenendo necessario pronunciarsi su quest’ultima
questione, ha sostanzialmente accettato la posizione della Corte costituzionale.
➔ ha ammesso che l’Italia possa ricomprendere nel diritto penale sostanziale la prescrizione
e, di conseguenza, che il giudice italiano non sia tenuto a disapplicare la legge italiana sulla
prescrizione (pur giudicata, nella propria precedente sentenza dell’8 settembre 2015, contraria
al diritto dell’Unione) ove la disapplicazione comporti una violazione del principio della
legalità dei reati e delle pene.
In seguito a tale pronuncia la Corte costituzionale, nella sentenza del 31 maggio 2018 n. 115, ha preso atto,
in definitiva, del superamento delle divergenze con la Corte di giustizia.
In caso di violazione di un principio supremo
Come è stato chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, ove una disposizione o un atto dell'Unione
violassero un siffatto principio (per esempio, l'indipendenza della magistratura) o un diritto umano
fondamentale (per esempio, il diritto alla tutela giurisdizionale ai sensi dell'art. 24 Cost.), il giudice comune
dovrebbe sottoporre alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale della legge
italiana di esecuzione dei Trattati europei, in riferimento alle singole disposizioni o atti in conflitto con
detti principi o diritti fondamentali.
L'eventuale pronuncia d'incostituzionalità avrebbe come oggetto
• la legge italiana di esecuzione non nella sua interezza (non, quindi, la stessa partecipazione
italiana all'Unione, come potrebbe desumersi dalla precedente sentenza Frontini del 27 dicembre
1973), ma
• solo nella misura in cui consentisse a specifiche disposizioni o atti dell'Unione di spiegare i
propri effetti nell'ordinamento italiano.
La “ribellione” del legislatore – seconda “competenza della Corte”
Vi è una seconda ipotesi nella quale, sin dalla sentenza n. 170 del 1984, la Corte costituzionale ha affermato
una propria competenza esclusiva.
caso di "ribellione del legislatore": nel quale la legge ordinaria è deliberatamente diretta a impedire o
pregiudicare la perdurante osservanza del Trattato, in relazione al sistema o al nucleo essenziale dei suoi
217

principi (sentenza dell'8 giugno 1984 n. 170), come quelli concernenti l'instaurazione di un mercato comune
(sentenza del 23 dicembre 1986 n. 286, Pulos).
In questa ipotesi - rileva la Corte - essa deve accertare, infatti, se il legislatore ordinario abbia
ingiustificatamente rimosso un limite alla sovranità statale, posto in adempimento dell'art. 11 Cost.
I conflitti di attribuzione – “terza competenza della Corte”
La Corte è competente a conoscere, in via principale, dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e
di quelli tra lo Stato e le regioni, e tra le regioni (art. 134 Cost. e art. 127 Cost.).
Quando la legge (regionale o statale) impugnata riveli un contrasto con il diritto dell'Unione, tenuto conto
che non vi sarebbe alcun giudice comune competente a statuire sul conflitto e, quindi, a disapplicare la legge
in questione (sentenze del 10 novembre 1994 n. 384, del 30 marzo 1995 n. 94 e del 15 aprile 2008 n. 102), la
Corte si riserva di dichiararne l’incostituzionalità.
Il controllo sulla conformità di una legge ad una direttiva europea non munita di efficacia diretta –
“quarta competenza della Corte”
Altra ipotesi nella quale il giudizio sulla incompatibilità del diritto italiano con quello dell’Unione deve esser
risolto dalla Corte Costituzionale mediante declaratoria di illegittimità costituzionale:
➔ il controllo sulla conformità di una legge ad una direttiva europea non munita di
efficacia diretta spetta alla stessa Corte, dinanzi alla quale il giudice comune può
sollevare la questione di legittimità costituzionale per asserita violazione degli art. 11 e
117.1 della costituzione.
Ratio: la Corte ha avvertito che anche la pronuncia di incostituzionalità della legge italiana è subordinata
all'impossibilità di interpretare la legge italiana in maniera conforme alla norma dell'Unione (il giudice
ordinario, pur disapplicando le norme contrastanti, non potrebbe ritrovare una disciplina europea
sufficientemente completa per regolare il caso).
L’adeguamento legislativo del diritto italiano al diritto dell’Unione europea. La “legge di delegazione
europea” e la “legge europea”

L’ADEGUAMENTO LEGISLATIVO DEL DIRITTO ITALIANO AL DIRITTO


DELL’UNIONE EUROPEA. LA “LEGGE DI DELEGAZIONE EUROPEA” O LA “LEGGE
EUROPEA”
L’adeguamento del diritto italiano agli obblighi nascenti dal diritto dell’Unione richiede, com’è evidente,
anche un intervento a opera del legislatore.
L’intervento del legislatore è necessario per:
• dare attuazione alle norme e agli atti europei non direttamente applicabili, quali sono tipicamente le
direttive,
• per abrogare o modificare le norme italiane incompatibili con obblighi, contenuti in atti
direttamente applicabili,
• per dare esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia, che abbiano constatato la presenza di
norme italiane in violazione di obblighi derivanti dal diritto dell'Unione europea.
Le leggi delega e i decreti di attuazione delle norme europee
L’attuazione delle norme europee avveniva, di prassi mediante l'adozione di leggi che delegavano il governo
ad emanare una serie di decreti legislativi volti a dare attuazione a un "pacchetto" di direttive,
solitamente sotto l'urgenza di eseguire direttive il cui termine di attuazione era già scaduto o per porre
rimedio alle sentenze della Corte di giustizia in esito a procedura d'infrazione.
218

Il sistema era giustamente criticato:


1. 1.Anzitutto esso non appariva pienamente conforme al dettato costituzionale dell'art. 76, il
quale dichiara: «L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al governo se non con
determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti». In
realtà gli oggetti della delega erano estremamente diversificati, in rapporto all'oggetto delle direttive
da attuare, nè emergevano propriamente dei criteri direttivi.

2. D'altra parte, il ricorso a una sorta di legislazione di "emergenza" (l'emergenza di evitare sentenze di
infrazione, o di porvi rimedio) si rifletteva in un quadro normativo alquanto confuso della legge
delega e, in ogni caso, non assicurava affatto un tempestivo adempimento degli obblighi derivanti
dal diritto dell'Unione.
La legge “La Pergola” e s.m.i. una disciplina organica della materia è stata data dalla legge 9 marzo
1989, n. 86 ("Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle
procedure di esecuzione degli obblighi comunitari") c.d. “legge La Pergola”. Tale legge, più volte modificata
e infine sostituita da una nuova legge, ha un duplice oggetto:
1. 1.da un lato, regolare le forme di partecipazione del Parlamento e delle regioni alla formazione
degli atti dell'Unione (ed. fase ascendente),
2. dall'altro garantire «l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle
Comunità europee [oggi Unione europea]» (art. 1),
Tale adempimento è realizzato, oggi, non più da una “legge comunitaria annuale” ma da due leggi distinte:
➔ La legge di delegazione europea;
➔ La legge europea
Che assicurano il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento dell’Unione.
Il contenuto della LEGGE DI DELEGAZIONE EUROPEA è previsto dall’art. 30, 2° comma, della legge
24 dicembre 2012 n. 234.
In base a esso, la legge di delegazione europea reca
1. disposizioni
a. per il conferimento al governo di delega legislativa volta all’attuazione delle direttive (e delle
decisioni quadro, che – deve ritenersi – non siano state ancora recepite),
b. per la modifica o l’abrogazione di disposizioni statali al fine di
o eseguire i pareri motivati della Commissione o
o eseguire le sentenze d’inadempimento della Corte di giustizia, emanate nel quadro della
procedura d’infrazione ex art. 258 ss. TFUE;
2. disposizioni che autorizzano il governo a recepire in via regolamentare le direttive;
3. delega legislativa per l’adozione di sanzioni, penali o amministrative, per le violazioni di obblighi
contenuti in atti normativi europei;
4. delega legislativa per quanto necessario a dare attuazione a eventuali disposizioni non direttamente
applicabili contenute in regolamenti europei;
5. delega legislativa per l’emanazione di sanzioni penali per la violazione di disposizioni dell’Unione
recepite dalle regioni e dalle province autonome nelle materie rientranti nella propria competenza
legislativa;
6. disposizioni che autorizzano il governo a emanare testi unici per il riordino e per l’armonizzazione di
normative di settore;
7. delega legislativa per l’adozione di disposizioni integrative e correttive di decreti legislativi già̀ emanati,
in particolare al fine di recepire atti delegati dell’Unione europea, i quali – emanati, ai sensi dell’art. 290
219

TFUE, dalla Commissione – possono integrare o modificare elementi non essenziali di un atto legislativo
europeo.
L’altra legge annuale, LA LEGGE EUROPEA, ai sensi dell’art. 30, 3° comma, contiene
1. disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali in contrasto con gli obblighi derivanti
dall’Unione europea;
2. disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali oggetto di procedure d’infrazione avviate
dalla Commissione contro l’Italia o di sentenze della Corte di giustizia;
3. disposizioni necessarie per dare attuazione o per assicurare l’applicazione di atti dell’Unione
europea;
4. disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni
esterne dell’Unione europea.
Tali leggi rappresentano lo strumento “ordinario” per assicurare il periodico adeguamento dell’ordinamento
italiano agli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione Europea, tuttavia vi è la possibilità di adottare al di
fuori di tali leggi
1. le norme di attuazione di obblighi conseguenti a singoli atti dell’Unione, come sentenze di
condanna della Corte di Giustizia, o
2. norme dirette a far cessare procedure di infrazione aperte dalla Commissione contro l’Italia.
La scelta di ricorrere a leggi specifiche può derivare dalla complessità della materia oggetto di un atto.

IL RUOLO DELLE REGIONI NELL’ATTUAZIONE DEL DIRITTO DELL’UNIONE


EUROPEA
L'attuazione del diritto dell'Unione europea comporta anche un delicato problema di riparto di
competenze tra lo Stato e le regioni (nonché le province autonome di Trento e di Bolzano)
➔ in quanto frequentemente, le materie oggetto di atti dell'Unione ricadono, a livello interno, nella
competenza legislativa delle regioni.
In proposito sia la giurisprudenza costituzionale che la legislazione (costituzionale e ordinaria) hanno
compiuto un lungo cammino,
• da un originario assetto "statalista" e "centralista" del riparto di competenze tra Stato e regioni
• ad un rapporto più equilibrato e rispettoso del ruolo che la Costituzione riconosce alle regioni.
In questa materia, invero, andavano conciliati due principi fondamentali:
1. il rispetto delle competenze delle regioni, sempre più largamente interessate dalla legislazione
europea;
2. la responsabilità dello Stato per l'attuazione degli obblighi derivanti dall'Unione europea, anche
rispetto alle inadempienze dovute all'inerzia, o ai ritardi, delle regioni.
In una prima fase, il secondo principio aveva fortemente compresso le competenze regionali
➔ la preoccupazione di evitare una responsabilità dello Stato per il comportamento delle regioni
avevacondotto a concentrare nello Stato la competenza a dare attuazione agli obblighi
derivanti dall'Unione.
Successivamente era stato riconosciuto un certo margine di competenza delle regioni in materia, ma
prevedendo dei meccanismi di intervento sostitutivo dello Stato nell'ipotesi di inadempimento delle
regioni.
La legge costituzionale n. 3 del 2001. → «Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,
nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti
normativi comunitari (fase ascendente) e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi
internazionali e
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degli atti dell'Unione europea (fase discendente), nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge
dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza».
L'art. 117, 5° comma, Cost. va coordinato con il 3° comma, ai sensi del quale nelle materie di legislazione
concorrente la potestà legislativa delle regioni è subordinata ai principi fondamentali posti con legge statale.
Dunque:
• in materie di competenza esclusiva delle regioni queste sono sottoposte al solo potere sostitutivo
dello Stato in caso di loro inadempienza,
• in quelle di legislazione concorrente sussiste il limite dei principi fondamentali contenuti nella legge
statale.
Il potere sostitutivo dello Stato (art. 120, 2° comma): In base a tale norma il governo può sostituirsi a organi
delle regioni (come delle città metropolitane, delle province e dei comuni) nel caso, tra l'altro, di mancato
rispetto della normativa europea (attuata mediante L. 11/2005, Buttiglione).
Legge 24 dicembre 2012 n. 234
L’art. 40, 1° comma, riafferma che: le regioni e le province autonome, nelle materie di propria competenza,
provvedono al recepimento delle direttive dell’Unione.
≠ Sebbene si citano solo le direttive, si permette di dare attuazione a qualsiasi atto europeo
che richieda disposizioni di recepimento o di applicazione.
In relazione a questo…
L’art. 30, 2° comma, lett. g): nello stabilire il contenuto della legge di delegazione
europea, prevede disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali
le regioni e le province autonome esercitano le proprie competenze normative per recepire
o per assicurare l’applicazione degli “atti dell’Unione” (non solo direttive).
Per quanto concerne il potere sostitutivo dello Stato nel caso di inerzia delle regioni e delle province
autonome, le necessarie disposizioni sono contenute nella legge europea, ai sensi dell’art. 30, 3° comma,
lett. e. e sono precisate dall’art. 41 1° comma:

Quindi, il potere sostitutivo dello Stato, comporta che questo emani disposizioni delle materie di
competenza regionale, a determinate condizioni:
1. Dal momento di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa europea in
questione (solo da questo momento l’inerzia di una regione può dare luogo ad inadempienza),
2. Nel territorio delle regioni che non abbiano attuato la normativa entro detto termine (solo
rispetto a tale regioni si verifica l’inadempienza).
E, anche nei riguardi delle regioni inadempienti…
3. Le disposizioni statali perdono efficacia nel momento in cui le stesse regioni hanno provveduto a
dare attuazione alla normativa dell’Unione. (a questo punto cessa la ragione dell’intervento
sostitutivo dello Stato e riprende piena applicazione la competenza della regione).

Quindi, la NORMATIVA STATALE


a. Ha funzione meramente sostitutiva: si giustifica solo nella misura in cui sia strettamente necessaria
per evitare una responsabilità dello Stato a causa dell’inerzia della Regione;
b. È cedevole: è destinata a cedere il passo alla legislazione regionale, non appena sia venuta meno la
ragione della sostituzione dello Stato alla competenza della regione.
RATIO del diritto di rivalsa: ben si comprende tenendo conto del fatto che dinnanzi all’Unione Europea
l’unico soggetto responsabile è lo Stato, anche se l’inadempimento sia dovuto ad altri enti pubblici.

Le leggi comunitarie regionali


Alcune regioni, prendendo a modello il meccanismo della legge comunitaria statale introdotto dalla legge
"La Pergola", hanno previsto, nell'ambito delle proprie competenze, l'adozione di una "legge comunitaria"
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regionale (solitamente è previsto nei singoli statuti regionali). È il caso, per esempio, della regione Friuli-
Venezia Giulia.

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