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Il Mulino - Rivisteweb

Alessandro Somma
”Roma madre delle leggi”. L’uso politico del diritto
romano
(doi: 10.1436/6795)

Materiali per una storia della cultura giuridica (ISSN 1120-9607)


Fascicolo 1, giugno 2002

Ente di afferenza:
Università di Torino (unito)

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«ROMA MADRE DELLE LEGGI»
L’uso politico del diritto romano

di Alessandro Somma

La storia del diritto romano è la storia della formazione del popolo


italiano, di quest’unità spirituale così omogenea come nessun’altra,
alla quale ora il fuoco delle battaglie più ardue e più sante ridona
l’antica tempra.
(P. Bonfante)

Le concezioni fondamentali dello stato, della sovranità, dell’autorità,


della gerarchia [hanno] avuto la loro prima espressione concreta nel
diritto pubblico romano.
(P. De Francisci)

Basta con questa farsa della difesa del diritto romano, che dovrebbe
concretare la conferma del sistema liberale nel campo del diritto.
(C. Costamagna)

Gli storici dell’età di mezzo sanno da tempo da quali sistemi siano


sorti gl’istituti giuridici del capitalismo: certo tra essi non vi è il ro-
mano.
(F. De Martino)

L’aspirazione odierna [...] al ritorno ad un diritto unitario [...] può


essere in buona parte attuata dalla scienza giuridica, con la riscoper-
ta del diritto comune mediante l’utilizzazione delle fonti romane.
(G. Impallomeni)

1. Alla ricerca dello «studio storico del diritto romano»

Lo studioso di diritto – si sa – ama esprimersi «in punta di pen-


na». Ama utilizzare stili austeri in cui non residui troppo spazio per la
fantasia o per l’ironia o per la provocazione: ingredienti dello scrivere
che non si addicono ai generi letterari in voga presso i giuristi. Auste-
re devono poi essere le tecniche espositive utilizzate: testi in cui un
nutrito numero di note dia conto delle opinioni espresse – possibil-
mente di tutte le opinioni espresse – sul tema trattato. Chi innova
omettendo il diligente lavoro ricostruttivo dell’esistente, assolve solo in
parte ai compiti che la comunità scientifica gli ha assegnato.
Certo vi sono materie in cui la tradizione ha un peso ridimensio-
nato: materie che ammettono stili e tecniche espositive differenti da
quelli ora descritti. Se non temessimo di apparire campanilisti – ac-
MATERIALI PER UNA STORIA DELLA CULTURA GIURIDICA
a. XXXII, n. 1, giugno 2002 153
cusa infamante per i cultori della nostra disciplina – menzionerem-
mo tra queste il diritto comparato. Non crediamo invece si possa di-
scutere che tra le materie afflitte dalla tradizione sia da annoverare
la storia del diritto1. In particolare la romanistica, con la sua produ-
zione a volte talmente «pedante» da risultare «kitsch»2.
Da questo punto di vista, il libro e il saggio di Tomasz Giaro3 –
cui dedicheremo alcune delle nostre riflessioni – sono decisamente
non convenzionali. Nel primo caso il giudizio concerne innanzi tut-
to lo stile e la tecnica espositiva. Non solo si tratta di un dialogo –
formula un tempo in voga specialmente nelle ricerche filosofiche, ca-
pace ora di trasformare un lavoro scientifico in mero scritto giornali-
stico4 – ma di un dialogo con un morto: il noto romanista tedesco
Paul Koschaker scomparso nel 1951, che comunica con il suo inter-
locutore attraverso brani tratti dalla sua ricca produzione scientifica5.
Sia il libro sia il saggio sono poi non convenzionali a causa del
tema trattato: l’uso politico della romanistica nella definizione dei
confini dell’Europa. Uso politico che nel caso di Koschaker – è que-
sta la tesi di Giaro – diviene uso nazionale, prima volto alla realizza-
zione della dottrina razziale nazionalsocialista6 e poi asservito alla
contrapposizione tra occidente americanizzato e oriente sovietizzato7.
Definire non convenzionale un lavoro dedicato all’uso politico
della romanistica potrebbe apparire eccessivo o fuori tempo massi-
mo. Implica in un certo senso che i cultori della disciplina siano so-
liti ritenere la storia uno strumento neutrale per la soluzione di pro-
blemi attuali. Presuppone in altre parole che si pensi ancora oppor-
tuno e utile perdere di vista – per dirla con Riccardo Orestano – lo
«studio storico del diritto romano»8 o – con Mario Bretone –

1 Allo stile conservatore degli studi storico giuridici allude anche M.G. Losano, I grandi si-
stemi giuridici. Introduzione ai diritti europei ed extraeuropei, Roma-Bari, 2000, p. 447.
2 F. de Marini Avonzo, I signori delle fonti. Note sullo stile della romanistica italiana, in
«Materiali per una storia della cultura giuridica», 2, 1979, p. 234.
3 Aktualisierung Europas. Gespräche mit Paul Koschaker, Genova, Name, 2000; Id., Compa-
remus! Romanistica come fattore d’unificazione dei diritti europei, in «Rivista critica del diritto
privato», 20, 2002, pp. 539 ss.
4 Cfr. H. Mohnhaupt, Form und Funktion des Dialogs in philosophischen und juristischen
Texten, in M. Senn e C. Soliva (Hrsg.), Rechtsgeschichte Interdisziplinarität. Festschrift für C.
Schott zum 65. Geburtstag, Bern-Berlin, 2001, pp. 77 ss. con riflessioni sul «Dialog als bedeu-
tendste Form sozialer Kommunikation».
5 La scelta non viene perdonata dal quotidiano conservatore – e a volte reazionario –
«Frankfurter Allgemeine Zeitung». V. la recensione pubblicata il 18 ottobre 2001.
6 P. Koschaker, Die Krise des römischen Rechts und die romanistische Rechtswissenschaft,
Berlin, 1938.
7 P. Koschaker, Europa und das römische Recht, München-Berlin, 19664 (la prima edizione
è del 1947).
8 R. Orestano, Introduzione allo studio storico del diritto romano, rist. 2. ed., Torino, 1963.

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«l’obiettivo della romanistica come storia»9. Il tutto nonostante si ri-
conosca da tempo che «la storia risulta bonne à tout faire»10 e che
«ogni civiltà propende all’esaltazione di quei valori storici che ri-
spondono ai suoi fini»11.
Queste ultime valutazioni non sono nuove: hanno iniziato a farsi
strada attraverso le ricerche storicistiche ottocentesche. Esse costitui-
scono casi di uso politico del diritto romano – in quanto le riflessio-
ni sul contenuto dei riferimenti alla storia non mettono in discussio-
ne il mantenimento di una prospettiva in ultima analisi attualista –
che tuttavia hanno contribuito ad una iniziale presa di distanze dalle
visioni della storia come «moralisch-politische Beispiel-Sammlung»12
e del diritto come vicenda impermeabile ai moti dello «spirito popo-
lare»13.
La reazione allo studio astorico e avalutativo del diritto romano
viene poi alimentata dalla ricerca interpolazionista novecentesca. Ma
soprattutto la reazione al metodo praticato dai «signori delle fonti»
ha consentito di promuovere l’osservazione del diritto come «espe-
rienza», ovvero come «aspetto di un vasto fenomeno sociale»14. Per
questo soprattutto tra i romanisti si ha da da tempo la consapevolez-
za che soprattutto «Roma offre per tutti i tempi e per tutte le esi-
genze una miniera inesauribile»15 e che – se pure «qualunque espe-
rienza conserva tracce di un passato anche remoto» – non per que-
sto si possono stabilire con esso improbabili punti di contatto16.
Sono poi sempre i romanisti a riconoscere – specularmente – che i
loro studi

si sono sviluppati attraverso i secoli attorno all’esigenza fondamentale di rinnovare o


di combattere, volta a volta da sempre nuovi angoli visuali ed in funzione di sem-

9 M. Bretone, Diritto e tempo nella tradizione europea, Roma-Bari, 1999, p. 233. Sul punto
anche C.A. Cannata, Franca de Marini ovvero della storia del diritto, in M. Bianchini e G. Via-
rengo, a cura di, Studi in onore di F. de Marini Avonzo, Torino, 1999, pp. 1 ss.
10 G. Alpa, La cultura delle regole. Storia del diritto civile italiano, Roma-Bari, 2001, p. 266.
Per alcuni esempi v. T. Honsell, Historische Argumente im Zivilrecht. Ihr Gebrauch und ihre
Wertschätzung im Wandel unseres Jahrhunderts, Ebelsbach, 1982, part., pp. 80 ss.
11 P. De Francisci, Civiltà romana, Roma, 1939, p. 9.
12 F.C. von Savigny, Ueber den Zweck dieser Zeitschrift, in «Zeitschrift für geschichtliche
Rechtswissenschaft», 1, 1815, p. 3.
13 Al proposito ad es. R. Orestano, Introduzione allo studio storico del diritto romano, cit.,
pp. 204 ss. e 669 ss. Successivamente F. de Marini Avonzo, La politica del diritto di Savigny,
in «Politica del diritto», 9, 1979, pp. 423 ss.
14 F. de Marini Avonzo, Rileggere «l’Introduzione» di Orestano, in «Labeo», 34, 1988, pp.
209 ss. e Id., I signori delle fonti, cit., pp. 231 ss. V. anche A.-A. Fusco, Continuità e disconti-
nuità nell’esperienza giuridica romana, in «Diritto romano attuale», 1, 1999, 1, p. 30.
15 G. Grosso, Pensieri sparsi sulla tradizione giuridica e i tempi nostri, in «Rivista di diritto
commerciale», 40, 1942, I, p. 160.
16 M. Bretone, Diritto e tempo nella tradizione europea, cit., pp. 226 e 228.

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pre nuove esigenze contingenti, il mito dell’età romana come momento d’insuperata
altezza e fortuna nella storia dell’umanità17.

Si possono ricavare esempi del nuovo corso con riferimento a


molti tra i momenti in cui si suole suddividere la «seconda vita del
diritto romano»18. Si pensi alle ricerche volte a chiarire come l’ordi-
namento medievale sia scaturito dal libero apprezzamento di testi
romani, utilizzati come «fondazione formale» o momento di «validi-
tà» per le soluzioni proposte19. Si consideri poi lo studio dei riferi-
menti al diritto romano come fonte di norme di diritto naturale, ri-
corrente soprattutto nella cultura illuministica francese20. E si valuti
infine la denuncia dell’utilizzo del diritto romano attualizzato come
strumento attraverso cui la dottrina ha rivendicato il ruolo di fonte
del diritto21, a fronte dei propositi codificatori annunciati nel corso
dell’ottocento dal legislatore tedesco22 e di quelli realizzati nello stes-
so periodo dal legislatore italiano23.
Tutto questo – dicevamo – costituisce patrimonio di conoscenze
acquisite. Come acquisita è la consapevolezza che il modello storico
naturalista – come quello evoluzionista – trasforma la storia da stru-
mento atto a problematizzare lo studio neutrale del diritto, a veicolo
di «discorsi legittimanti»24. Eppure – nonostante la conoscenza di
queste ultime e di molte altre ipotesi di uso politico del diritto ro-
mano – questa pratica non ha mai cessato di costituire l’occupazione
di un nutrito numero di dottori. Lo abbiamo riscontrato durante i
primi decenni del Novecento constatando l’utilizzo del diritto roma-

17 L. Raggi, Materialismo storico e studio del diritto romano, in «Rivista italiana per le
scienze giuridiche», 62, 1955-56, pp. 574 s.
18 S. Riccobono, Roma madre delle leggi, in «Bullettino dell’Istituto di Diritto romano»,
57-58, 1953, p. 5.
19 P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Roma-Bari, 1995, part. pp. 154 ss. Per una criti-
ca all’impostazione v. tuttavia E. Conte, Diritto medievale. Una discussione storiografica italia-
na, in corso di stampa – in traduzione francese – su «Annales ESC», 2002.
20 Ad es. A. Guzmán, Ratio scripta, Frankfurt am Main, 1981, pp. 113 ss.
21 In prospettiva generale cfr. R. Sacco, Voce Dottrina (fonte del diritto), in «Digesto delle
discipline privatistiche. Sezione civile», vol. VII, Torino, 1991, pp. 214 ss. e P.G. Monateri,
Pensare il Diritto civile, Torino, 1997, pp. 21 ss. con riflessioni storiche.
22 Per tutti F. de Marini, Savigny-Antologia di scritti giuridici, Bologna, 1980, pp. 7 ss. e A.
Mazzacane, voce «Pandettistica», in Enciclopedia del diritto, vol. XXXI, Milano, 1981, pp. 592
ss.
23 Ad es. P. Bonfante, Il metodo naturalistico nella storia del diritto, ora in Id., Scritti giuri-
dici varii, vol. IV, Roma, 1926, p. 47 afferma che «la storia del diritto romano è la storia della
formazione del popolo italiano». Sul punto da ultimo L. Ferrajoli, La cultura giuridica nell’Ita-
lia del Novecento, Roma-Bari, 1999, pp. 13 s. e P. Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo
storico 1860-1950, Milano, 2000, p. 72.
24 A.M. Hespanha, Introduzione alla storia del diritto europeo, trad. it. di L. Apa e L. Santi,
Bologna, 1999, pp. 10 ss.

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no – quello successivamente definito dai «caratteri primitivi con ele-
menti prettamente barbarici»25 – come mezzo per legittimare cultu-
ralmente le esperienze totalitarie italiana e tedesca. E lo riscontriamo
ancora con la promozione di un uso del diritto romano in funzione
supplente rispetto al diritto scritto, sia nel processo di costruzione o
sviluppo dell’ordinamento europeo, sia in quello di evoluzione della
prassi applicativa interna.
Sono dunque ancora numerosi i casi di ricorso alla identificazio-
ne dell’«antico» con il «buono» realizzata attraverso l’uso politico
del diritto romano. E Tomasz Giaro lo mette in luce con ricerche
colte e innovative di notevole interesse ed arricchimento per lo stu-
dioso italiano.

2. Il nazionalsocialismo e il «diritto romano asservito all’ordine mora-


le materialista»

Nella Germania weimariana del diritto romano si occupa il Pro-


gramma della Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei (NSDAP),
proclamato nel febbraio del 1920. Esso auspica la sostituzione del
diritto romano «asservito all’ordine mondiale materialista con il di-
ritto germanico» (Punto 19)26.
Nel periodo di cui ci stiamo occupando la contrapposizione tra di-
ritto romano e diritto germanico costituisce un tema oramai acquisito
dalla scienza giuridica tedesca27. Nei primi decenni del 19. secolo – al-
meno a partire dall’opera di Friedrich Ludwig von Bernhard – si af-
ferma infatti il valore simbolico del diritto germanico come ordina-
mento nazionale, chiamato a sostituire quello romano28. E nello stesso
periodo si delinea l’ulteriore nesso tra diritto romano e individualismo
liberale, richiamato nella nota controversia che durante la redazione
del codice civile tedesco oppone Bernhard Windscheid a Otto Gie-

25 S. Riccobono, Roma madre delle leggi, cit., p. 1.


26 In prospettiva generale v. P. Bender, Die Rezeption des römischen Rechts im Urteil der
deutschen Rechtswissenschaft, Diss. Freiburg, 1955, pp. 154 ss. e P. Koschaker, Europa und
das römische Recht, cit., pp. 311 ss.
27 V. per tutti C. Freiherr von Schwerin, Rechtsgeschichte und Rechtserneuerung, in AA.
VV., Zur Erneuerung des Bürgerlichen Rechts, München-Berlin, 1938, pp. 37 ss. Nel merito ad
es. D. Schwab, Zum Selbstverständnis der historischen Rechtswissenschaft im Dritten Reich, in
«Kritische Justiz», 1969, pp. 58 ss. e D. Willoweit, Deutsche Rechtsgeschichte und «nationalso-
zialistische Weltanschauung»: das Beispiel Hans Frank, in M. Stolleis e D. Simon, Hrsg., Rechtsge-
schichte im Nationalsozialismus. Beiträge zur Geschichte einer Disziplin, Tübingen, 1989, pp. 25
ss.
28 M.G. Losano, Studien zu Jhering und Gerber, Teil 2, Ebelsbach, 1984, pp. 33 ss. Da ul-
timo E. Conte, Diritto medievale, cit.

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rke: quest’ultimo fautore di un ordinamento che, proprio per caratte-
rizzarsi in senso sociale, deve fondarsi sul diritto germanico29.
Il ponte tra la letteratura accademica di formazione germanista e
il costituendo pensiero nazionalsocialista – ovvero la deformazione
del pensiero di Otto Gierke e l’introduzione di un forte richiamo
alla razza – lo avrebbe gettato uno studioso di secondo piano: Ar-
nold Wagemann30. Questi descrive il diritto romano come ordina-
mento che costituisce forse un esempio da imitare per quanto con-
cerne le forme, ma che deve invece essere affossato nei contenuti31.
Contenuti concernenti le modalità di esercizio del potere politico
che – in quanto fondate sulla costrizione32 – contrastano con il con-
cetto germanico di Führertum, incentrato sull’autorevolezza33.
Wagemann discorre poi delle caratteristiche del diritto germanico
e in particolare dell’accento che esso pone – non sul profilo dell’ar-
bitrio dell’individuo: come il diritto romano – ma su quello dei vin-
coli nei confronti della collettività. Una collettività individuata –
come il concetto di Führertum – sulla base della provenienza etnica
dei suoi membri. Precisamente:

Per [il diritto romano] era soggetto di diritto la persona, il singolo uomo e que-
sto era l’unico signore, i cui interessi ispiravano le uniche direttive per la formazio-
ne delle norme di diritto. In questo modo si è giunti a creare diritti non limitati da
doveri, rimessi al loro titolare senza considerazione per il tipo di patrimonio coin-
volto o per il fine del loro acquisto. La concezione germanica non ha mai preso le
mosse dal carattere non vincolante della volontà umana. Essa ha sempre cercato di
verificare quali fossero le conseguenze riconducibili al tipo di acquisto dei singoli
beni e quanto spazio si potesse lasciare a chiunque senza ledere gli interessi delle
istituzioni permanenti34.

Nella letteratura nazionalsocialista si precisa che il giudizio conte-


nuto nel menzionato Punto 19 concerne in particolare il diritto ro-

29 Controversia discussa ad es. da F. Wieacker, Privatrechtsgeschichte der Neuzeit unter be-


sonderer Berücksichtigung der deutschen Entwicklung, 2. Aufl., Göttingen, 1967, pp. 468 ss. e
K. Luig, Römische und germanische Rechtsanschauung, individualistische und soziale Ordnung,
in J. Rückert e D. Willoweit, Hrsg., Die Deutsche Rechtsgeschichte in der NS-Zeit. Ihr Vorge-
schichte und ihre Nachwirkungen, Tübingen, 1995, pp. 95 ss.
30 «Der erste Jurist, der für die Nationalsozialisten Bedeutung erlangte». Così P. Landau,
Römisches Recht und deutsches Gemeinrecht, cit., pp. 18 ss. con ulteriori notizie sullo studioso.
31 A. Wagemann, Geist des deutschen Rechts. Volkswirtschaftliche Gedanken und Untersu-
chungen, Jena, 1913, p. 48.
32 Münster, Eigenartige Faktoren der Rechtsbildung im römischen und im englischen Rechte.
Ihre Entbehrlichkeit für das deutsche Volksrecht, in «Deutsches Gemein-u. Wirtschaftsrecht»,
3, 1938, p. 131 e A. Wagemann, Geist des deutschen Rechts, cit., p. 1.
33 Al proposito per tutti P. Koschaker, Europa und das römische Recht, cit., pp. 317 ss. con
citazioni di dottrina prenazionalsocialista.
34 A. Wagemann, Geist des deutschen Rechts, cit., p. 28.

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mano della recezione – vicenda inconciliabile con un approccio na-
zionalista alla storia del diritto tedesco35 – considerato vittima di
interpolazioni orientali36 e quindi non ariane37. A casua di esse il di-
ritto romano avrebbe assunto i caratteri di uno strumento di potere
utilizzato dallo stato contro il popolo38 e legittimatosi attraverso la
costruzione di una scienza votata allo studio apolitico ed avalutativo
del diritto39.
Altre considerazioni sono riservate al diritto romano «dei primi
trecento anni», considerato un monumento del passato da onorare
in quanto ordinamento «razzista» di un «popolo nordico»40. Come
precisato da Hans Frank:

Il diritto romano dei doctores juris era falsificato e non più l’originale e fiero di-
ritto di quei romani nordici che hanno creato il più grosso regno mondiale dell’an-
tichità. Ciò che un tempo era il diritto organico e caratteristico di una entità popo-
lare ubbidiva al concetto di razza del civis Romanus41.

Altri riferiscono i loro apprezzamenti anche al diritto romano


classico, attenuando in tal modo la polemica sulle interpolazioni
orientali42.
Peraltro non tutta la letteratura vicina al potere politico condivi-
de simili valutazioni. Nel corso di una conferenza tenuta all’Akade-
mie für Deutsches Recht, Paul Koschaker sottolinea la valenza simbo-

35 Cfr. P.S. Leicht, Dispute sul diritto romano e comune, in «Rivista di storia del diritto ita-
liano», 12, 1939, p. 380.
36 Come sostenuto del resto dallo storicismo tedesco: v. P.G. Monateri, Black Gaius. A
Quest for the Multicultural Origins of the «Western Legal Tradition», in «Hastings Law Jour-
nal», 51, 2000, part. pp. 490 ss.
37 Al proposito A. Mantello, La giurisprudenza romana fra nazismo e fascismo, in Quad.
storia, 1987, I, pp. 23 ss. Dello stesso autore v. anche Das Jhering-Bild zwischen Nationalso-
zialismus und Faschismus. Die Analyse eines ideologischen Vorganges, in O. Behrends, Hrsg.,
Jherings Rechtsdenken. Theorie und Pragmatik im Dienste evolutionärer Rechtsethik, Göttin-
gen, 1996, pp. 119 ss. E cfr. P. Bender, Die Rezeption des römischen Rechts im Urteil der
deutschen Rechtswissenschaft, cit., part. pp. 168 s. che considera l’atteggiamento nazionalso-
cialista nei confronti del diritto romano, condizionato prevalentemente dalla politica razzia-
le.
38 Sulla critica interpolazionistica in epoca nazionalsocialista E. Betti, La crisi odierna nella
scienza romanistica in Germania, in «Rivista di diritto commerciale», 36, 1938, I, p. 123.
39 Così ad es. C. Freiherr von Schwerin, Rechtsgeschichte und Geschichtswissenschaft, in
«Zeitschrift der Akademie für Deutsches Recht», 4, 1938, p. 16 e H. Frank, Die Zeit des
Rechts, cit., pp. 1 s. Sul punto A. Nunweiler, Das Bild der deutschen Rechtsvergangenheit und
seine Aktualisierung im «Dritten Reich», Baden-Baden, 1994, pp. 197 ss.
40 H. Frank, Die Zeit des Rechts, in «Deutsches Recht», 6, 1936, p. 2. Al proposito D. Si-
mon, Die deutsche Wissenschaft vom römischen Recht nach 1933, in M. Stolleis e D. Simon
(Hrsg.), Rechtsgeschichte im Nationalsozialismus, cit., pp. 161 ss.
41 H. Frank, Die Zeit des Rechts, cit., p. 2.
42 Sul punto P. Bender, Die Rezeption des römischen Rechts im Urteil der deutschen Rechts-
wissenschaft, cit., pp. 165 ss.

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lica del diritto romano come fondamento dell’Europa cristiana, ri-
condotta al Sacro romano impero carolingio benedetto dal Papato.
Giaro – lo abbiamo anticipato in apertura – sottolinea le obbiettive
convergenze di simili affermazioni con la politica razziale nazionalso-
cialista e ridimensiona in tal modo la distanza tra l’illustre romanista
e il potere politico43.
Koschaker – sullo sfondo di riflessioni dedicate all’Asse culturale
Roma-Berlino – rivendica poi l’impronta tedesca dell’opera di attua-
lizzazione del diritto romano e di internazionalizzazione della scienza
giuridica realizzata dalla Scuola storica: «se per l’Italia fascista il di-
ritto romano costituisce una parte della sua storia giuridica naziona-
le, noi mettiamo in primo piano la sua funzione europea»44.
Altri non escludono di poter ricavare dalla romanistica – even-
tualmente per contrapposizione – elementi utili alla costruzione di
un ordinamento nazionalsocialista e le riconoscono pertanto un ruo-
lo non secondario nella definizione dei relativi presupposti di ordine
politico normativo45. Altri ancora contestano l’essenza orientale e
quindi non ariana del diritto romano o negano che esso sia privo di
un’indole collettivistica:

in verità l’ordinamento romano non [può] in alcun modo essere considerato indivi-
dualistico, liberale o capitalista e – nepure in epoca bizantina – essere qualificato
come orientale46.

3. Il fascismo e «il diritto vivente dello stato romano autoritario»

Al ruolo e al valore da attribuire al diritto romano nella costru-


zione del nuovo ordinamento, italiani e tedeschi hanno evidentemen-

43 T. Giaro, Aktualisierung Europas, cit., pp. 37 ss. V. anche Id., Der Troubadour des Abend-
landes. Paul Koschakers geistige Radiographie, in H. Schröder e D. Simon (Hrsg.), Rechtsge-
schichtswissenschaft in Deutschland 1945 bis 1952, Frankfurt am Main, 2001, pp. 31 ss.
44 P. Koschaker, Deutschland, Italien und das römische Recht, in «Deutsches Recht», 8,
1938, pp. 183 s. e Id., Die Krise des römischen Rechts und die romanistische Rechtswissen-
schaft, cit. Sul punto nella letteratura dell’epoca Figge, Bologna, in «Deutsches Gemein- u.
Wirtschaftsrecht», 4, 1939, p. 231 e K. Gelbert, Savigny, ivi, 1939, pp. 33 ss.
45 Cfr. H. Lange, Deutsche Romanistik? Grundsätzliche Bemerkungen zu Fritz Schulz «Prin-
zipien des römischen Rechts», in «Deutsche Juristen-Zeitung», 39, 1934, c. 1493 ss. e Id., Lage
und Aufgabe der deutschen Privatrechtswissenschaft, Tübingen, 1937, pp. 27 ss. V. anche F.
Wieacker, Der Standort der römischen Rechtsgeschichte in der deutschen Gegenwart, in «Deut-
sches Recht», 12, 1942, pp. 49 ss.
46 E. Schönbauer, Die actio aequae pluviae arcendae. Ein Beitrag zur Geschichte des römi-
schen Agrarrechts, in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte-Romanistische
Abteilung», 54, 1934, pp. 233 s. Nello stesso senso ad es. M. Kaser, Römisches Recht als Ge-
meinschaftsordnung, Tübingen, 1939.

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te dedicato non pochi scambi anche ufficiali di opinioni47. Da essi
traspare una valenza politico-normativa dei discorsi attorno al diritto
romano inconciliabile con la funzione che la letteratura postfascista
ha classicamente attribuito alla materia: avere rappresentato l’om-
brello al riparo del quale la dottrina del ventennio ha potuto preser-
vare la propria vocazione intimamente liberale48.
L’attenzione della letteratura italiana viene evidentemente attirata
dai contributi volti alla riabilitazione del diritto romano: in particola-
re dal volume in cui Paul Koschaker sviluppa i temi trattati nel cor-
so della conferenza tenuta all’Akademie für Deutsches Recht49 e dalle
ricerche di Max Kaser sul carattere non individualista del diritto ro-
mano50.
Non mancano tuttavia adesioni alle critiche mosse dalla letteratu-
ra tedesca che sottolinea la distanza tra il diritto romano e gli ordi-
namenti connotati in senso sociale. In tale prospettiva si formulano
auspici nel senso di una liberazione della cultura italiana dai «pro-
fessori ebrei» e dalla «dottrina ebraica» e si richiede di abbandonare
la difesa del diritto romano di matrice liberale51:

Sissignori! Niente professori e studenti israeliti nelle scuole italiane! Ma pur


niente insegnamento ebraico, impartito dagli stessi ariani nella scuola italiana! E ba-
sta colle Enciclopedie, coi vecchi o nuovi Digesti o coi Congressi scientifici diretti
dai soliti bacchettoni sui soliti temi sornionescamente anodini. E basta anche con
questa farsa della difesa del diritto romano, che dovrebbe concretare la conferma
del sistema liberale nel campo del diritto e la parafrasi del Codice Napoleone a ti-
tolo di codificazione fascista, col successo di ilarità internazionale che qualunque
uomo di buon senso ben può prevedere!

Costituisce una farsa evidentemente il solo diritto romano attua-


lizzato e astorico52, considerato «il diritto romano-europeo che Na-

47 A titolo esemplificativo si possono ricordare la conferenza tenuta da Hans Frank ai


membri dell’Istituto fascista di cultura nel 1936 e l’orazione pronunciata da Salvatore Riccobo-
no all’università di Berlino nel 1942: v. – rispettivamente – Der Präsident der Akademie für
Deutsches Recht Reichsminister Dr. Hans Frank vor den Mitgliedern des Istituto Fascista di Cul-
tura, in «Zeitschrift der Akademie für Deutsches Recht», 2, 1936, pp. 396 ss. e S. Riccobono,
De fatis iuris romani, Berlin, 1942 (rist. in «Bullettino dell’Istituto di diritto romano», 55-56,
1951, pp. 353 ss.).
48 Sul punto A. Somma, Fascismo e diritto: una ricerca sul nulla?, in «Rivista trimestrale di
diritto e procedura civile», 55, 2001, pp. 641 ss.
49 V. E. Betti, La crisi odierna della scienza romanistica in Germania, in «Rivista di diritto
commerciale», 36, 1938, I, pp. 120 ss. e G. Grosso, Pensieri sparsi sulla tradizione giuridica e i
tempi nostri, cit., pp. 162 ss.
50 P. Frezza, Recensione a M. Kaser, Römisches Recht als Gemeinschaftsordnung, Tübingen,
1939, in «Rivista di diritto commerciale», 38, 1940, I, pp. 207 ss. con rilievi critici.
51 [C. Costamagna], Professori ebrei e dottrina ebraica, in «Lo Stato», 9, 1938, pp. 490 ss.
52 P. De Francisci, Storia del diritto romano, vol. I, Roma, 1926, pp. 7 ss.

161
poleone stesso definì il formidabile masso di granito gettato a fonda-
mento della rivoluzione liberale ed individualistica del Secolo
XIX»53. Diverse sono invece le valutazioni circa il diritto della «civil-
tà romana che costituisce il fondamento della nostra storia», descrit-
to come sistema in cui «il momento statale» risulta «ben più forte
dei momenti individualistici»54. Un sistema in ultima analisi funzio-
nale allo sviluppo di politiche di stampo autarchico e razzista:

il Diritto romano-italico è il Diritto vivente dello stato romano autoritario, gerarchico,


espansionista: il diritto del buon senso umano, epperciò universale. Per le stesse ra-
gioni noi fascisti abbiamo opposto al concetto di latinità, che sotto un artificioso
pretesto universalistico tendeva all’altrui preminenza politica, l’idea della romanità
che porta il segno fatale e inconfondibile della nostra razza primogenita di fronte
alle razze civilizzate da Roma55.

Peraltro le posizioni esposte sono non sempre condivise o non


sempre sviluppate in modo coerente: il fascismo ha conosciuto e
promosso altri e diversi usi e abusi politici del diritto romano. In ef-
fetti gli autori del ventennio operano in un contesto nel quale le
strutture tradizionali sono ancora solide56. Essi sono pertanto inte-
ressati a legittimare il regime, escludendo forti rotture con il passa-
to57 e ad esaltare in chiave propagandistica una qualunque identifica-
zione fra tradizione romana e ordinamento fascista: come si evince
ad esempio dal discorso di Mussolini al 1. Congresso giuridico ita-
liano del 1932 («il diritto è originario di Roma»)58 e da quello di
Lando Landucci alla celebrazione per il 14. centenario delle Pandet-
te di Giustiniano («il fascismo è il ritorno alla grandezza romana»)59.

53 D. Grandi, Tradizione e rivoluzione dei Codici Mussoliniani. Discorso pronunziato in occa-


sione del Rapporto tenuto dal Duce alle Commissioni per la Riforma dei Codici il 31 gennaio
1940-XVIII a Palazzo Venezia, Roma, 1940, p. 9.
54 Cfr. P. De Francisci, La difesa del diritto romano, in «Lo Stato», 9, 1938, pp. 513 s. il
quale sottolinea come «le concezioni fondamentali dello stato, della sovranità, dell’autorità,
della gerarchia abbiano avuto la loro prima espressione concreta nel diritto pubblico romano».
Al proposito da ultimo G. Alpa, La cultura delle regole, cit., pp. 265 ss.
55 D. Grandi, Tradizione e rivoluzione dei Codici Mussoliniani, cit., p. 10. Nello stesso sen-
so fra gli altri C. Curcio, Germanesimo antiromano?, in «Lo Stato», 4, 1933, p. 703 e F. Ma-
roi, La codificazione fascista del diritto civile, in «Monitore dei Tribunali», 82, 1941, p. 66.
56 Diversamente da quanto accade in Germania: v. T. Giaro, Aktualisierung Europas, cit.,
p. 127.
57 Per questi aspetti v. da ultimo A.J. De Grand, L’Italia fascista e la Germania nazista, cit.,
pp. 121 ss. Raffronti con l’ideologia nazionasocialista si ricavano anche da M. Stolleis, Geschi-
chte des öffentlichen Rechts in Deutschland, Bd. III, München, 1999, pp. 323 s.
58 V. il resoconto in «Rivista penale», 3, 1932, pp. 1299 ss.
59 Cfr. ad es. L. Landucci, Una grande centenaria ricorrenza della civiltà latino italica. Le
Pandette di Giustiniano 15 dicembre 530 – 15 dicembre 1930, in «Archivio giuridico Filippo
Serafini», 109, 1933, pp. 29 ss. Dello stesso Autore v. anche Apoteosi delle Pandette di Giusti-
niano 15 dicembre 530 – 16 dicembre 1933, ivi, 112, 1934, pp. 129 ss.

162
Lo si ricava poi dalla qualificazione della codificazione del diritto ci-
vile fascista come espressione della invidiata tradizione romano-itali-
ca chiamata a costituire una sorta di appendice culturale di supporto
ai propositi espansionistici ed imperialistici dell’Italia mussoliniana:

[La nuova legge civile del popolo italiano] si riallaccia in modo diretto alla tradi-
zione del diritto romano-italico, diritto nostro, che tutte le nazioni hanno saccheg-
giato e spesso contrabbandato come cosa propria e che noi, nell’epoca delle colpe-
voli acquiescienze, abbiamo talvolta reimportato, con i relativi inquinamenti e de-
formazioni, sotto marca straniera [...]. Per intendere questa verità – che ogni fasci-
sta sente palpitare istintivamente nel fondo del cuore – non basta dire che è questo
il Codice fondamentale di una Nazione di statura e di destino imperiali, ma occorre
soprattutto ricordare che esso pone le tavole regolatrici di una nuova vita, informa-
ta ai principî della rivoluzione che già trionfa negli spiriti e nelle armi in Europa ed
è presto destinata a diffondersi e ad affermarsi nel mondo intero60.

In tale prosettiva alcuni elaborano difese del diritto romano dalle


accuse di individualismo, ritenute «tendenze aberranti» e «manife-
stazioni di antistoricismo»61. Altri evitano poi di alimentare lo studio
antichista incentrato sul tema delle interpolazioni62 e dell’influsso
orientale ed ebraico63.
In effetti non pochi autori si dedicano al diritto romano «attuale»
sottolineando – come abbiamo visto accennando alla letteratura ri-
sorgimentale – la sua tradizionale vocazione nazionale. Questa viene
poi sottolineata da studiosi di formazione prefascista come Vittorio
Scialoja e – seppure unitamente all’interesse per indagini di tipo filo-
logico interpolazionista – come Pietro Bonfante64. La vocazione vie-

60 A. Putzolu, Panorama del Codice civile fascista, in «Rivista di diritto civile», 33, 1941,
pp. 396 e 424.
61 G. Grosso, Pensieri sparsi sulla tradizione giuridica e i tempi nostri, cit., pp. 160 ss.
62 Fra i tanti S. Riccobono, Per l’istituzione della cattedra di diritto romano comune, in «Ar-
chivio giuridico Filippo Serafini», 110, 1933, pp. 3 ss. Sul punto R. Orestano, Introduzione
allo studio storico del diritto romano, cit., pp. 672 ss. con notizie su Salvatore Riccobono «ban-
ditore di una vera e propria crociata contro l’interpretazione bizantinista».
63 Cfr. S. Riccobono, Il diritto romano indice del genio della stirpe, Roma, 1940, p. 38 che
utilizza il concetto di «stirpe» in luogo di «razza» (sul punto A. Mantello, La gurisprudenza ro-
mana fra nazismo e fascismo, cit., pp. 51 ss.). Cfr. inoltre G. Maffei, La concezione «anti-roma-
no» razzista del diritto, in «Lo Stato», 5, 1934, pp. 674 ss. che polemizza con la letteratura na-
zionalsocialista, accusata di riportare «proclamazioni che vorrebbero essere grosse mentre
spesso non sono che ingenue e grossolane».
64 Nello stesso senso L. Landucci, Il diritto romano, le nuove fonti, il metodo d’insegnamen-
to, in «Archivio giuridico Filippo Serafini», 106, 1931, pp. 9 e 21 e A. Solmi, Il diritto comune
nella storia e nella vita del diritto italiano, ivi, 123, 1940, pp. 3 ss. Al proposito A. Schiavone,
Un’identità perduta: la parabola del diritto romano in Italia, in Id. (a cura di), Stato e cultura
giuridica in Italia dall’Unità alla Repubblica, Roma-Bari, 1990, pp. 278 ss. con riferimenti al-
l’opera di Vittorio Scialoja – prevalentemente interessato ad uno studio attualizzante del dirit-
to romano – e di Pietro Bonfante, che conciliava lo studio in discorso con una «vocazione più
propriamente storiografica della ricerca romanistica».

163
ne in ultima analisi ribadita da Emilio Betti, che ha inteso ricavare
dal diritto romano lo strumentario tecnico per una esplicita revisione
in senso non individualista dell’ordinamento privatistico65.
Come abbiamo visto, al valore nazionale del diritto romano «at-
tuale» si sono riferiti anche i difensori tedeschi della tradizione. E
questo nonostante la letteratura nazionalsocialista abbia dovuto con-
frontarsi con la circostanza che «in Germania il diritto comune
dopo la recezione era divenuto estraneo allo spirito tedesco»66. Pe-
raltro tutto il dibattito sul valore del diritto romano viene condotto
avendo in mente obbiettivi di politica interna e non l’inasprimento
dei rapporti tra dottori italiani e dottori tedeschi. In questo senso
Dino Grandi ha potuto rivolgersi ai giuristi tedeschi affermando:

voi, camerati nazional-socialisti intesi a realizzare la più pura tradizione del germa-
nismo e della razza tedesca e noi fascisti strenui propugnatori del Diritto romano
che è il Diritto della nostra razza italiana, siamo strettamente legati dalla chiara uni-
tà del nostro avvenire67.

4. Il diritto romano e la civilistica defascistizzata

L’uso politico del diritto romano ha caratterizzato il processo di


codificazione del diritto civile italiano realizzata dal ventennio: il tutto
nonostante le numerose crisi annunciate da chi lo aveva ritenuto ina-
datto alla edificazione di un ordinamento di tipo non individualista68.
Comunque sia, proprio una nuova sottolineatura del nesso tra
cultura liberale e diritto romano – la prima celebrata come strumen-
to di tutela dalla deriva fascista – ha determinato alla conclusione
del secondo conflitto mondiale ulteriori fortune dei riferimenti al
passato. Riferimenti che abbondano specialmente nel contesto tede-
sco, dove il diritto romano si accredita come nemico giurato del na-
zionalsocialismo e del bolscevismo69.

65 Cfr. E. Betti, Diritto romano e dogmatica odierna, in «Archivio giuridico Filippo Serafi-
ni», 99, 1928, pp. 129 ss. e Id., La crisi odierna della scienza romanistica in Germania, cit., pp.
125 s. Al proposito – nella letteratura dell’epoca – L. De Sarlo, Indirizzi, metodi e tendenze.
Della moderna scienza del diritto romano, in «Archivio giuridico F. Serafini», 111, 1934, pp.
98 ss. Successivamente per tutti P. Costa, Emilio Betti: dogmatica, politica, storiografia, in
«Quaderni fiorentini», 7, 1978, pp. 311 ss. e A. Schiavone, «Il nome» e «la cosa». Appunti sul-
la romanistica di Emilio Betti, ivi, pp. 293 ss.
66 P.S. Leicht, Dispute sul diritto romano e comune, cit., p. 381.
67 D. Grandi, Diritto romano-fascista e germanico-nazista di fronte alla rivoluzione del secolo
XX, in «Monitore dei tribunali», 82, 1941, pp. 3 ss.
68 Al proposito A. Schiavone, Un’identità perduta, cit., p. 302.
69 In T. Giaro, Aktualisierung Europas, cit., p. 121 Koschaker allude a «die beiede Feinde
Roms, der vom Neonazi abgelöste Nazi und der aus Europa herauskomplimentierte Bol-

164
Ma torniamo al diritto civile italiano. In letteratura si sottolineano
le radici romanistiche della codificazione al fine di promuovere «un
nuovo individualismo che si vorrebbe edificare sulle rovine dello sta-
to autoritario»70. In particolare tra i civilisti prevale l’orientamento
sintetizzato da Biondo Biondi, secondo cui i nuovi testi, «ai quali si
è voluto dare impronta fascista, si adagiano largamente sui vecchi
codici e la dottrina precedente, per quanto formati sotto altro cli-
ma»71. Sicché il legislatore del ventennio
anziché rinnegare, la qual cosa sarebbe stata impossibile, la vecchia legislazione e l’an-
tica dottrina, [ha] creduto di accoglierle, innestandovi solo nuovi germogli, in guisa
che il tutto avesse nuova impostazione ed altro spirito, tanto vero che oggi è facile
defascistizzare, per così dire, tali codici, eliminando appunto quei nuovi germogli72.

Affermazioni del medesimo tenore sono talvolta mediate dai ri-


chiami al diritto naturale, rivelatosi – secondo l’impostazione di ma-
trice illuminista cui ci siamo riferiti in apertura – attraverso il diritto
romano73.
Esaurita la fase dell’approccio marcatamente emotivo al tema
della cosiddetta defascistizzazione dell’ordinamento, queste imposta-
zioni hanno cessato di avere particolare ascolto. Il tutto con il con-
tributo determinante della componente cattolica e di sinistra della
civilistica italiana, curiosamente impegnata – sulla scorta di riflessio-
ni di tipo defeliciano forse non avvertite come tali – a riabilitare
l’ideologia corporativa, considerata una variante del processo di svi-
luppo nei sistemi a capitalismo avanzato74 o eventualmente un «mal-
destro adattamento verbale di schemi già diffusi nella cultura giuri-
dica europea»75.

schewik». Sul punto da ultimo J.-L. Halpérin, L’approche historique et la problématique du jus
commune, in «Revue internationale de droit comparé», 52, 2000, p. 720 con riferimenti al
contesto tedesco.
70 Così – criticamente – E. Betti, A proposito di una revisione del codice civile, in «Rivista
di diritto commerciale», 43, 1945, I, p. 21.
71 B. Biondi, Il diritto romano cristiano, vol. I, Orientamento religioso della legislazione, Mi-
lano, 1952, p. 55. Nello stesso senso G. Ferri, Del codice civile, della codificazione e di altre
cose meno commendevoli, in «Foro italiano», 69, 1944/46, IV, cc. 34 ss. Nella manualistica v.
M. Rotondi, Istituzioni di diritto privato, 8. ed., Milano, 1965, p. 44 e E. Casati e G. Russo,
Manuale del diritto civile italiano, Torino, 1947, p. V.
72 B. Biondi, Il diritto romano cristiano, I, cit., p. 55. Nello stesso senso per tutti R. Nicolò,
voce «Codice civile», in Enciclopedia del diritto, vol. VII, Milano, 1960, p. 248.
73 Sulla rinascita del diritto naturale v. da ultimo G. Zanetti, John M. Finnis e la nuova dottrina
del diritto naturale, in Id. (a cura di), Filosofi del diritto contemporanei, Milano, 1999, pp. 33 ss.
74 P. Rescigno, Per una rilettura del codice civile, in «Giurisprudenza italiana», 120, 1968,
IV, cc. 218 s.
75 S. Rodotà, Introduzione, in Id., a cura di, Il diritto privato nella società moderna, Bolo-
gna, 1971, p. 33.

165
Peraltro, anche in assenza di simili apporti la romanistica aveva
oramai ridimensionato la prospettiva attualista – talvolta riaffiorata
sotto forma di funzione formativa per l’educazione del cultore del
diritto positivo – e, secondo alcuni, consumato una «frattura con le
scienze giuridiche»76. Una frattura che – se non altro per strategie di
marketing77 – molti vorrebbero ora ricomporre78, valorizando temi
peraltro mai del tutto cancellati dalla riflessione della dottrina79:
«Nessuna storia del diritto dell’antichità, bensì una renovatio della
Pandettistica [...] in quanto noi romanisti non siamo mica topi da
archivio»80.
In effetti si sono recentemente moltiplicati i tentativi di fornire
«una piccola testimonianza della fiducia nel diritto romano, appunto
quale importante strumento di interpretazione del diritto moderno»81.
Tentativi alla catalogazione dei quali ha avuto modo di dedicarsi un
Tomasz Giaro stupito ma soprattutto divertito82. E come non condivi-
dere tali sentimenti, quando si viene messi a parte di una ricerca volta
a descrivere i contorni di un diritto commerciale romano fondato
sulla figura dello schiavo «trasforma[to] in strumento di attività eco-
nomica e giuridica nelle mani (in dominio) del padrone»83 o di uno
studio sulla tutela dell’ambiente nel diritto romano84.
Non si pensi peraltro che simili voli della fantasia siano preroga-
tiva esclusiva della dottrina. Anche la prassi applicativa – lo vedre-
mo fra breve – ama ricorrervi come supporto retorico per la risolu-
zione di controversie85. Peraltro la ricerca di un «luminoso esempio»

76 A. Schiavone, Un’identità perduta, cit., p. 302. Un’impressione parzialmente diversa si ri-


cava dagli interventi sollecitati dall’inchiesta su «studio e insegnamento del diritto romano»,
pubblicati in «Labeo», 2, 1956, pp. 48 ss. e 187 ss.
77 M.T. Fögen, Marketing für römisches Recht, in «Rechtshistorisches Journal», 19, 2000,
pp. 56 ss. V. anche F. de Marini Avonzo e M. Campolunghi, Riccardo Orestano oggi: il Mae-
stro e le scelte, in «Diritto romano attuale», 1, 1999, 1, p. 53 e A. Mazzacane, «Il leone fuggito
dal circo», in «Index», 29, 2001, pp. 97 ss.
78 V. per tutti M. Marrone, Per una funzione «strumentale» del diritto romano: in materia
di possesso, in Studi in memoria di G. Impallomeni, Milano, 1999, pp. 298 ss.
79 Ad es. G. Impallomeni, La validità di un metodo storico-comparativo nell’interpretazione
del diritto codificato, in «Rivista di diritto civile», 17, 1971, I, p. 370.
80 Lo afferma Koschaker in T. Giaro, Aktualisierung Europas, cit., pp. 163 e 174.
81 P. Ferretti, Doni a causa di promessa di matrimonio. Prospettiva storico comparativa, in
«Labeo», 45, 1999, p. 77.
82 T. Giaro, Comparemus!, cit., pp. 547 s.
83 A. Di Porto, Il diritto commerciale romano. Una «zona d’ombra» nella storiografia roma-
nistica e nelle riflessioni storico-comparative dei commercialisti, in Nozione formazione e inter-
pretazione del diritto dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al Professor Fi-
lippo Gallo, vol. III, Napoli, 1997, pp. 419 s. Sul punto T. Giaro, Comparemus!, cit., pp. 547.
84 A. Di Porto, La tutela della «salubritas» fra editto e giurisprudenza, in «Bullettino del-
l’Istituto di Diritto romano», 91, 1988, pp. 459 ss.
85 Per una rassegna di decisioni in cui si ricorre al diritto romano cfr. G. Micali, Il diritto
romano nella giurisprudenza della Corte di cassazione, in «Giurisprudenza italiana», 145, 1993,

166
si traduce sovente in motivazioni «inopportune» o «controproducen-
ti»86.

5. Il diritto romano al servizio della lotta di classe

Tra le correnti di pensiero che avevano contribuito alla sconfitta


dell’attualismo, occorre annoverare la romanistica di impostazione
marxista. Anche questo orientamento era tuttavia frutto di un uso
politico del diritto romano, in quanto connesso con una visione del-
lo sviluppo storico ben precisa: la visione che portava ad imporre
allo «stato romano» l’etichetta di «ordinamento schiavista»87, asservi-
to alla lotta di classe88.
Tuttavia non tutta la dottrina riconducibile alla corrente di pen-
siero in discorso si riconosce in simili affermazioni. Alcuni autori
imputano infatti l’equazione «diritto romano-capitalismo» alla «per-
sistenza dell’ideale pandettistico» ed affermano che non al diritto ro-
mano storico, ma alla tradizione romanistica, si addice una simile
identificazione89. Ne derivano possibili stimoli verso forme di uso
politico del diritto romano, in buona sostanza fondati sulla negazio-
ne del suo carattere individualista90:

Le pretese tendenze individualistiche romane si riassumono nella fierezza dei


poteri familiari del pater e nell’indipendenza della proprietà: l’una e l’altra sono
però caratteristiche di un organismo che era sorto come organismo politico ed
in quanto tale erasi affermato libero ed autonomo nei confronti altrui. [...] Tut-
to il moto storico del diritto privato si sviluppa comunque nel senso di ricevere
nel sistema giuridico positivo idee e forze sociali: aequitas romana e romana
bona fides.

Una rivalutazione di simili riflessioni ci sembra ispirare la linea


editoriale di un periodico di recentissima pubblicazione: il «Diritto

IV, cc. 489 ss. Sull’uso retorico del diritto romano nella prassi applicativa cfr. A. Somma,
L’uso giurisprudenziale della comparazione nel diritto interno e comunitario, Milano, 2001, part.
pp. 287 ss. con rilievi critici.
86 A. Adamo, Diritto romano: a proposito ed a sproposito, in «Labeo», 54, 1999, pp. 254 ss.
87 Ad es. M. Bartosek, La periodizzazione del diritto romano, in A. Guarino e L. Labruna, a
cura di, Synteleia Vincenzo Arangio-Ruiz, Napoli, 1964, pp. 1149 ss.
88 Sul punto ironizza F. de Marini Avonzo, I signori delle fonti, cit., pp. 234 s. V. anche la
critica di L. Raggi, Materialismo storico e studio del diritto romano, cit., pp. 593 ss. il quale
considera antistorica l’idea che la schiavitù sia «il fattore principale dell’esperienza giuridica
romana».
89 L. Raggi, Materialismo storico e studio del diritto romano, cit., pp. 596 ss.
90 F. De Martino, Individualismo e diritto romano privato, in «Annuario di diritto compara-
to e studi legislativi», II serie, vol. XVI, Roma, 1943, p. 51.

167
romano attuale» di Giuliano Crifò e Federico Spantigati. Nel «Pro-
gramma della Rivista» – «pubblicata innanzi tutto per dimostrare
che lo studio del diritto romano oggi serve» – si legge infatti che
esso ha il fine «di ottenere le trasformazioni delle soluzioni giuridi-
che da un equilibrio di rapporti di classe ad un altro». Il tutto muo-
vendo dal presupposto che la «scienza pandettistica» costituisce un
modello quanto a «precisione delle difinizioni concettuali» ed a «raf-
finatezza di espressione delle analisi»91. Affermazioni che ricordano
– e non poco – il programma politico normativo fatto proprio da
Emilio Betti e ricordato poco sopra.
Enfatizzando alcune riflessioni contenute in una pronuncia di
cassazione, potremmo dire che l’uso politico del diritto romano
come strumento da utilizzare nella lotta di classe – o in pratiche
ad essa riconducibili – sembra ricorrere anche nella prassi applica-
tiva. Ci riferiamo ad una «decisione pre-mobbing»92, con cui si os-
serva che il rapporto di lavoro viene governato dal «principio del
rispetto della persona» e si stabilisce che questo viene violato se il
superiore tiene un comportamento ingiurioso nei confronti della
sottoposta93.
Le riflessioni, incentrate sul «concetto di rispetto della persona»,
sono accompagnate da un excursus storico comprendente divagazioni
sul trattamento di favore che il diritto romano avrebbe riservato allo
schiavo e alla donna.
In ordine al primo aspetto si afferma che la società romana «non
nacque schiavista, ma lo divenne». Precisamente:

Essa, inizialmente, fu composta soltanto da uomini liberi, secondo la legge di


Romolo, che dispose che i vinti non venissero uccisi per sedare l’ira delle anime dei
vincitori morti in battaglia, in ossequio alle regole del diritto pontificale, secondo la
concezione del tempo (come canta Omero che avvenne sulla tomba di Patroclo),
ma conservati in vita, assoggettati alla legge di Roma e colonizzati secondo i suoi
costumi, onde lavorare per essa ed essere assimilati (Dionigi da Alicarnasso, Anti-
quitates Romanae, 2, 16, 11). Da qui l’etimologia della parola servus: «conservato»
mantenuto in vita e libero, per cui il significato di schiavo che essa assunse in se-
guito fu postumo e spurio.
Quel conditor volle, civilmente, con una autentica fictio iuris di cui fu l’iniziato-
re, come istituto giuridico, che i popoli vinti fossero considerati come malati di

91 Cfr. «Diritto romano attuale», 1, 1999, 1, pp. 4 ss. dove si precisa che lo studio del di-
ritto romano «può contribuire a risolvere i problemi del vivere come applicazione del dominio
di classe oppure, all’opposto, del pluralismo degli interessi» e che la Rivista «prende posizione
sull’utilità scientifica dello studio del diritto romano, nel senso che la sua utilità è di essere
strumentale a cambiare la società, non a conservarla nell’assetto attuale».
92 P.G. Monateri, M. Bona e C. Oliva, Mobbing. Vessazioni sul lavoro, Milano, 2000, pp.
17 ss.
93 Cass. civ. 29 novembre 1985 n. 5977, in «Giustizia civile», 36, 1986, I, pp. 357 ss.

168
mente al momento che avevano preso le armi contro Roma, onde, dopo la vittoria,
dovevano esser considerati come guariti e trattati da cives e non da servi.
Tale regola, poi, fu assunta a norma costituzionale dalla legge delle dodici tavo-
le (ché tale essa era) in una norma a noi non pervenuta nel testo originario, ma de
relato: «si dicono sanati coloro i quali in tempo antico abitarono in Roma, perché
essendo stati nemici dei romani, dopo breve tempo ritornarono nella loro amicizia,
come se la loro mente fosse stata sanata. Pertanto fu prescritto dalla legge delle do-
dici tavole: che i sanati avessero lo stesso diritto dei forti, cioè che avessero lo stes-
so diritto dei buoni che non cessarono mai di appartenere al popolo romano» (Fe-
sto Avieno, De captivis, alla voce sanati).

Con riferimento a chi «offendendo e disprezzando il lavoratore


oltre il limite della sopportabilità, ne ferisce la dignità di uomo e ne
riduce la libertà di cittadino», si aggiunge:

La giurisprudenza romana, al riguardo, aveva coniato un neologismo, per quel-


l’epoca, onde giustificare il giudizio d’infamia di chi costringeva uomini al lavoro
per guadagno, e, nel caso in esame, la costrizione è insita, palesemente, nella consa-
pevolezza della condizione dell’attrice, iscritta, come già detto, nella «lista giovani»
e bisognosa di un lavoro, anche precario, pur di vivere.
Il mercante di schiavi veniva chiamato spregiativamente venaliciarius, parola
composta dai vocaboli venator ed uncus: l’uncino usato dal cacciatore per la cattura
delle bestie, nel suo significato orribile di privazione della libertà mediante ferimen-
to, intesa come offesa grandissima e lesione d’identità per qualsiasi creatura.
Tale parola denotava tutta la repugnanza, per quei giuristi, di esser costretti a
ritenere contro natura, gli schiavi come cadaveri: «noi paragoniamo la schiavitù
quasi alla morte» (Ulpiano, D. 50,17, 209), e diede loro il destro per negare il ca-
rattere di merce agli uomini posti in vendita: «Mela sostiene che la denominazione
di merce non comprende i servi, onde egli afferma che i venditori di uomini non
devono esser chiamati commercianti (riconoscimento a cui tenevano moltissimo) ma
venaliciari» (Africano, D. 50,16, 207).
Da tale espugnanza concettuale nacque una giurisprudenza di resistenza: l’ela-
borazione del principio del favor laboratoris, anche se non ebbe un nome ben preci-
so, e di esso il giudice di rinvio dovrà tener conto nella valutazione complessiva dei
fatti di causa.
Inizialmente, riguardò soltanto l’aspetto materiale delle condizioni di vita degli
operari ritenuti tutti infames, al punto che il donatore di un terreno per l’adibizione a
cimitero pubblico (Cecilio Stazio), volle che non venisse profanato con l’inumazione
degli «auctorati», cioè di coloro che prestavano lavoro per mercede (auctoramentum).
[...] L’espressione più alta del favor laboratoris come favor libertatis, si ebbe con
la difesa del lavoratore, quale persona animata da sentimenti e da affetti, che non
potevano esser disgiunti dalle condizioni della prestazione impostagli: «molte volte a
causa dei servi ammalati, devono esser restituiti anche i sani nel caso in cui non si
possa procedere alla loro separazione senza offenderne i sentimenti che li uniscono.
Infatti, che avverrebbe se, trattenendo il figlio, si volessero restituire soltanto i geni-
tori o viceversa? Si deve avere riguardo a tale circostanza anche quando si tratti di
fratelli o di persone unite in contubernio» (Ulpiano, 21,1, 35).

Come anticipato non mancano poi riflessioni sulla protezione del-


la donna nel diritto romano:

169
Tale aspetto dei rapporti di relazione tra uomini e donne è stato espresso ab an-
tico in una massima che è di per sè rivelatrice di tale connaturalezza: maxima debe-
tur puero et mulieri reverentia.
[...] La verecondia, il pudore ed il senso di riservatezza che la tiene lontana dal
turpiloquio e dalla scurrilità sono stati sempre sentimenti tutelati in modo rigido e
con sanzioni gravissime.
Valga in proposito la costituzione dell’imperatore Costantino resa al vicario Do-
mizio Celso: «nessun giudice deve credere di poter mandare un ufficiale, con qual-
che pretesto, in una casa in cui vive una madre di famiglia, sì da ridurla a vivere in
pubblico, anche nel caso in cui sia certo che i debiti di quella donna, che sta rin-
chiusa in casa per pudore verso il prossimo, possano esser soddisfatti con la vendita
della sua casa o di qualsiasi altra cosa. Se in avvenire qualcuno riterrà legittimo ri-
durre in pubblico una madre di famiglia, commetterà un delitto gravissimo e senza
alcuna indulgenza sarà condannato alla pena capitale» (C. 1 48 1).

Il tutto condito dal rilievo che


il paragone con i tempi passati è oggi addiritura improponibile sotto l’aspetto delle
modalità di svolgimento del rapporto ma lo è molto meno sotto l’aspetto psicologi-
co di chi, offendendo e disprezzando il lavoratore oltre il limite della sopportabilità,
ne ferisce la dignità di uomo e ne riduce la libertà di cittadino.

Ecco il motivo per cui un riferimento al diritto romano in mate-


ria di schiavitù «ha certamente un riflesso immediato sulla decisione
presente, ma lo avrà ancor più per il giudice del rinvio».
La decisione merita di essere presa in considerazione anche nella
parte in cui si profonde in riflessioni circa il fondamento formale del
riferimento al diritto romano. Vi si legge che la prassi applicativa
deve prendere in considerazione la «tradizione romana» – considera-
ta «la tradizione giuridica più nobile della nostra legislazione» – in
quanto «criterio comprimario d’interpretazione della legge» ai sensi
dell’art. 12 preleggi. Ciò troverebbe riscontro in un brano della Re-
lazione al Re, riportato nella motivazione:

in luogo della formula principi generali del diritto vigente (di cui all’art. 3 del c.c.
1865), che avrebbe potuto apparire troppo limitativa dell’opera dell’interprete, ho
ritenuto preferibile l’altra principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato, nel-
la quale il termine ordinamento risulta comprensivo, nel suo significato ampio, oltre
che delle norme e degli istituti, anche dell’orientamento politico-legislativo statuale
e della tradizione scientifica nazionale (diritto romano, diritto comune, ecc.) con
esso concordante94.

94 Relazione al Re n. 22. Sul punto M. D’Amelio, Sub Disposizioni sull’applicazione della


legge in generale, in Codice civile. Libro I (Persone e famiglia). Commentario, a cura di M.
D’Amelio, Firenze, 1940, p. 24. Successivamente G. Alpa, I principi generali, in Trattato di di-
ritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 1993, pp. 163 ss.

170
Da notare infine che la decisione – sulla scia di quanto abbiamo
osservato essere accaduto dopo il crollo del fascismo – utilizza il di-
ritto romano per riabilitare alcune formule utilizzate dal legislatore
del ventennio: come «codice sociale della nazione italiana», riferita
all’articolato del 1942 e «interessi nazionali della produzione», utiliz-
zata per motivare la disciplina di tutela del lavoratore95.

6. Unificazione europea e diritto romano: la lotta al solidarismo

Consultando la letteratura ci si avvede che l’uso politico del dirit-


to romano viene ora asservito a propositi di tutt’altra natura rispetto
a quelli segnalati. Non alludiamo all’uso connesso a forme di stori-
cizzazione dell’ordinamento romano: come quello che ha caratteriz-
zato la ricerca interpolazionista. E neppure all’uso riconducibile a
sfoghi di ordine emotivo: come quello della dottrina preoccupata di
evitare nuove derive totalitarie.
Con quest’ultimo vi sono tuttavia punti di contatto: ad esempio
la matrice attualista e il proposito – sovente inconfessato ma implici-
to nelle riflessioni proposte – di promuovere in massima parte valori
di stampo liberale96.
Alcuni studi utilizzano per i fini in discorso il diritto comune al-
tomedievale, elevato a «termine di paragone che induc[e] a relativiz-
zare talune certezze o mitologie del giurista odierno»97. Tra essi vi
sarebbe il tentativo di presentare l’esperienza in discorso come do-
minata dall’indipendenza del diritto dal potere politico98. Tentativo
di interesse per lo studioso intenzionato a risolvere il problema della
proliferazione dei provvedimenti statali, dando seguito alle «aspira-
zioni ad una sorta di diritto libero»99: ovvero a rivitalizzare i propo-
siti politico normativi evoluzionistici e liberali ispirati tra gli altri a
Friedrich August von Hayek100.

95 Sulla valenza totalitaria di simili espressioni cfr. F. Galgano, Storia del diritto commercia-
le, Bologna, 1976, pp. 103 ss. e P. Perlingeri, Scuole civilistiche e dibattito ideologico: introdu-
zione allo studio del diritto privato in Italia, in «Rivista di diritto civile», 24, 1978, I, pp. 405
ss.
96 O meglio liberista. Sul punto A. Somma, Comparing legal cultures. Tutela privatistica dei
deboli e industrializzazione dal liberalismo al liberismo, in «Rechtshistorisches Journal», 20,
2001, pp. 70 ss.
97 E. Conte, Diritto medievale, cit.
98 P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, cit.
99 E. Cortese, Nostalgie di romanità: leggi e legislatori nell’alto medioevo barbarico, in AA.
VV., Ideologie e pratiche del reimpiego nell’alto medioevo, Spoleto, 1999, pp. 485 s. Cfr. anche
E. Conte, Diritto medievale, cit.
100 Su cui da ultimo M. Barberis, L’evoluzione nel diritto, Torino, 1999, pp. 260 ss. Al pro-
posito P. Grossi, Scienza giuridica e legislazione nella esperienza attuale del diritto, in «Rivista

171
Una descrizione dell’esperienza altomedievale in termini – mutatis
mutandis – assimilabili ci viene da una ricerca che individua nella
produzione di norme pattizie un tratto caratteristico di quell’ordina-
mento101, in forme che una corretta valutazione delle fonti decisa-
mente non consente102. La ricerca sarebbe da ricondurre alla lettera-
tura che – rimeditando sul ruolo della romanistica – le attribuisce il
compito di costruire sul diritto comune storico il fondamento giuri-
dico dell’unità europea103 ed eventualmente una alternativa alla pro-
duzione statuale del diritto104.
Nel contesto italiano simili propositi sono teorizzati almeno a
partire dai primissimi anni settanta da Giambattista Impallomeni.
Questi – volendo riscattare i romanisti accusati di non essere «veri
giuristi» in quanto votati allo studio «arido e senza sbocco» di un
«diritto storico» – ricorda che «uno dei grandi risultati della Pandet-
tistica è stato tra l’altro la scoperta di un nuovo concetto di diritto
comune» ed afferma che quel concetto105

resta valido a tutt’oggi e va esteso a tutta l’Europa, anzi a tutti i popoli, compresi
gli africani, che di essa hanno adottato i principi giuridici fondamentali. E nel dirit-
to comune rientra, anzi ne costituisce la parte essenziale, il diritto derivato da quel-
lo romano, accolto e transfuso nelle varie legislazioni. [...] Queste potranno tutt’al
più aggiungere o variarne i dettagli di importanza assolutamente contingente e mar-
ginale; ma la sostanza rimarrà sempre la medesima. Di conseguenza il giurista vero
deve studiare il diritto comune, come quello che è fondamento della disposizione
formale, e perché solo attraverso quello egli potrà intenderla pienamente.

L’invito di Impallomeni sembra sia stato accolto da non pochi


studiosi dedicatisi alla «autoproiezione romanistica»106 e per questo
chiamati «attualisti» – di terza generazione: dopo quella degli adepti
di Savigny e quella dei seguaci di Koschaker107 – o «neopandetti-

di diritto civile», 43, 1997, I, pp. 183 ss. precisa tuttavia che estendere all’oggi le riflessioni
formulate per «l’ordine giuridico medievale» avrebbe «un valore scopertamente provocatorio».
101 Il riferimento è a M. Lupoi, Alle radici del mondo giuridico europeo. Saggio storico com-
parativo, Roma, 1994.
102 Sul punto E. Cortese, Nostalgie di romanità, cit., pp. 488 ss.
103 Così R.M. Kiesow, Wagnisse, in «Rechtshistorisches Journal», 19, 2000, p. 486 il quale
annota: «Si potrebbe semplicemente non leggere il libro – e sarebbe di sicuro la cosa migliore
da fare. Tuttavia il libro costituisce un esempio di dove si può finire quando diritto compara-
to e storia del diritto sono accomunati in prospettiva attualista, al fine di servire all’Europa fu-
tura ed attuale». Anche E. Conte, Recensione a M. Lupoi, Alle radici del mondo giuridico euro-
peo. Saggio storico comparativo, Roma, 1994, in «Rivista di storia del diritto italiano», 68, 1995,
p. 322 mette in relazione la ricerca di Lupoi con la letteratura attualista.
104 T. Giaro, Aktualisierung Europas, cit., p. 128.
105 G. Impallomeni, La validità di un metodo storico-comparativo nell’interpretazione del di-
ritto codificato, cit., pp. 374 ss.
106 T. Giaro, Comparemus!, cit., p. 549.
107 Ibidem, pp. 544 s.

172
sti»108. Appellativi che colgono nel segno in quanto riferiti a proposi-
ti autodefinitisi di ricostruzione dell’Usus hodiernus pandectarum109 o
addiritura di recupero dalle fonti romane di una ricchezza di solu-
zioni successivamente perduta110. Il tutto nella convinzione che i veri
studiosi non sono il semplice «érudit de l’histoire des institutions» o
il «philologue sensible à l’évolution des textes» ma colui che si fon-
da «sur le droit romain pour approfondir [son] engagement de juri-
ste tout court»111.
Possiamo concentrarci sui risvolti di simili propositi e rilevare in
prima battuta come essi – oltre a riflettere l’opinione secondo cui
l’unità europea presuppone l’unità della scienza giuridica112 – abbia-
no a che vedere con il tentativo della dottrina di assicurarsi un certo
peso politico nello scontro con altre fonti concorrenti nel processo
di costruzione dell’unità giuridica europea113:

Il diritto romano antico può non risuscitare come norma iuris, ma riproporre
nuovamente la sua attualità nelle forme della letteratura del caso, della dominanza
della scienza sulla legislazione, della partecipazione dei giurisiti alla giurisdizione114.

Hanno forse il medesimo fine anche i lavori volti alla stesura dei
Principi di diritto europeo dei contratti115 e quelli per la redazione

108 Queste espressioni ricorrono sia tra gli oppositori sia tra i fautori dell’orientamento: cfr.
rispettivamente, P. Caroni, Der Schiffbruch der Geschichtlichkeit. Anmerkungen zum Neopan-
dektismus, in «Zeitschrift für Neuere Rechtsgeschichte», 16, 1994, pp. 85 ss. e G. Broggini,
Was bedeutet heute gemeineuropäisches Vertragsrecht?, in «Zeitschrift für Rechtsvergleichung»,
38, 1997, p. 221.
109 R. Zimmermann, Usus Hodiernus Pandectarum, in R. Schulze, Hrsg., Europäische Rechts-
und Verfassungsgeschichte. Ergebnisse und Perspektiven der Forschung, Berlin, 1991, pp. 61 ss.
e Id., Heutiges Recht, Römisches Recht und heutiges Römisches Recht: Die Geschichte einer
Emanzipation durch «Auseinanderdenken», in Id., Hrsg., Rechtsgeschichte und Rechtsdogmatik,
Heidelberg, 1999, pp. 1 ss. Nello stesso senso H. Kötz, Was erwartet die Rechtsvergleichung
von der Rechtsgeschichte?, in «Juristenzeitung», 41, 1992, p. 22.
110 R. Knütel, Von schwimmenden Inseln, wandernden Bäumen, flüchtenden Tieren und ver-
borgenen Schätzen. Zu den Grundlagen einzelner Tatbestände originären Eigentumserwerbs, in
R. Zimmermann, Hrsg., Rechtsgeschichte und Rechtsdogmatik, cit., p. 569.
111 G. Broggini, Le droit romain et son influence actuelle, in B. Schmidlin, Hrsg., Vers un
droit privé européen commun? Skizzen zum gemeineuropäischen Privatrecht, Basel, 1994, pp.
115 ss. con esplicito riferimento all’opera koschakeriana.
112 Fra i tanti R. Sacco, Il sistema del diritto privato europeo. Le premesse per un codice eu-
ropeo, in L. Moccia, a cura di, Il diritto privato europeo: problemi e prospettive, Milano, 1993,
pp. 87 ss. e C.A. Cannata, Legislazione, prassi, giurisprudenza e dottrina dal XVIII al XX secolo
come premesse per l’avvenire del diritto privato europeo, in Nozione formazione e interpretazione
del diritto dall’età romana alle esperienze moderna, cit., p. 46. Sul punto v. criticamente R.M.
Kiesow, Wagnisse, cit., pp. 483 ss.
113 Cfr. M. Bellomo, L’Europa e il diritto comune, Lausanne e Roma, 1989, part. pp. 36 ss.
e P. Grossi, Scienza giuridica e legislazione nella esperienza attuale del diritto, cit., pp. 183 ss.
114 F. Casavola, Diritto romano e diritto europeo, in «Labeo», 40, 1994, p. 168.
115 O. Lando e H. Beale, ed., Principles of European Contract Law, Parts I and II, prep. by
The Commission on European Contract Law, The Hague, London e Boston, 2000.

173
di un Codice europeo dei contratti116. Essi peraltro – crediamo di
averlo dimostrato in altra sede – sembrano ispirarsi ai modelli di
matrice aristotelico tomista elaborati della prassi applicativa interna
e prendere le distanze da quelli di impostazione liberista, imposti117
invece dal legislatore comunitario118.
In un simile panorama la proposta di ricorrere alla romanistica
consente di costruire normative che affossano la matrice solidarista
finora preservata dai fautori dei Principii e del Codice menzionati. È
in effetti assolutamente prevalente l’orientamento volto a presentare
il carattere individualista del diritto romano dei contratti, come lo
strumento attraverso cui sviluppare il nocciolo della comune tradi-
zione europea119. Mentre non riscuote successo l’osservazione – for-
mulata ad esempio da Bruno Schmidlin – che il diritto romano co-
stituisce uno strumento di unificazione idoneo a promuovere la ma-
trice solidaristica della materia contrattuale120. Per dirla con
Reinhard Zimmermann121:

That contracts based on nothing more than formless consent are, as a rule, ac-
tionable, is recognized today in all Western European legal system. This is one of
those latent underlying principles of European contract law. And this principle, like
many others, is in characteristic fashion Roman and non-Roman at the same time: it
is Roman Law in modern clothing.

116 G. Gandolfi, a cura di, Code europeen des contrats, Milano, 2001.
117 Cfr. A. Mazzacane, «Il leone fuggito dal circo», cit., p. 99, il quale – dopo aver rilevato
che l’unificazione del diritto europeo appare «informata ai miti ideologici della libertà di mer-
cato» – annota che essa costituisce evidentemente «una libertà assai poco autonomica, se ha
bisogno di essere imposta dal gigantismo pervasivo e crescente dell’eurocrazia».
118 Rinviamo ad A. Somma, Autonomia privata e struttura del consenso contrattuale. Aspetti
storico-comparativi di una vicenda concettuale, Milano, 2000, pp. 405 ss. e Id., Diritto comuni-
tario vs. diritto comune europeo: il caso della responsabilità medica, in «Politica del diritto», 30,
2000, pp. 561 ss.
119 Sul punto J. Rückert, Privatrechtsgeschichte und Traditionsbildung, in «Rechtshistori-
sches Journal», 11, 1992, pp. 140 ss. e W. Wiegand, Back to the future?, ivi, 12, 1993, pp. 277
ss. con rilievi critici.
120 B. Schmidlin, Zum Gegensatz zwischen römischer und moderner Vertragsauffassung:
Typengebundenheit und Gestaltungsfreiheit, in E. Spruit, ed., Maior viginti quinque annis
– Essays in commemoration of the sixth lustrum of the Institute for legal history of the
Univ. of Utrecht, Assen, 1979, p. 125. V. peraltro Id., Gibt es ein gemeineuropäisches Sy-
stem des Privarechts? Eine allgemeine Betrachtung «über den Beruf unserer Zeit zu einer
europäischen Gesetzgebung und Rechtswissenschaft», in Id., Hrsg., Vers un droit privé eu-
ropéen commun?, cit., pp. 36 ss. con affermazioni di impronta decisamente meno solida-
rista.
121 Così per tutti R. Zimmermann, Roman Law an European Legal Unity, in A. Hart-
kamp, M. Hesselink, E. Hondius, C. Joustra e E. du Perron, ed., Towards a European Ci-
vil Code, Nijmegen, Dordrecht, Boston e London, 1994, p. 72. Cfr. anche Id., Diritto ro-
mano e unità giuridica europea, in AA. VV., Studi di storia del diritto, Milano, 1996, pp.
10 ss.

174
Queste riflessioni si possono evidentemente estendere oltre i con-
fini del diritto dei contratti, dove trae conferma il nesso tra romani-
stica e politiche normative di stampo individualista o «reaziona-
rio»122, indisponibili a farsi carico delle vicende – non riconducibili
ad impostazioni formaliste – considerate dalle carte costituzionali
delle democrazie europee123. «Nonostante le declamazioni romanisti-
che sulla libertà umana e sul rispetto della persona come valori cen-
trali del diritto classico», l’esperienza romana resta pur sempre
schiavista124 e imperialista125.
L’uso del diritto romano in chiave individualista trae conferma
da alcuni riferimenti al formalismo. Ciò viene esplicitato nelle teoriz-
zazioni sulla comparazione retrospettiva126 o studio storico compara-
tivo – lo studio che utilizza le conoscenze storiche per l’individua-
zione e la comprensione globale delle differenze e delle identità sca-
turenti dalla comparazione sincronica127 – e in particolare nell’affer-
mazione che il diritto romano e l’analisi economica del diritto ne co-
stituiscono l’essenza128. Ora i comparatisti considerano i loro studi
«sovversivi»129 in quanto deputati alla «critica del diritto come ideo-
logia»130. Al contrario l’analisi economica del diritto – come la roma-

122 J.-L. Halpérin, L’approche historique et la problématique du jus commune, cit., p. 726 e
W. Wiegand, Back to the future?, cit., pp. 277 ss. V. anche T. Giaro, Aktualisierung Europas,
cit., p. 125.
123 Al proposito H. Mohnhaupt, Europäische Rechtsgeschichte und europäische Einigung.
Historische Beobachtungen zu Einheitlichkeit und Vielfalt des Rechts und der Rechtsentwicklun-
gen in Europa, in H. Lück e B. Schildt, Hrsg., Recht – Idee – Geschichte. Beiträge zur Rechts-
und Ideengeschichte für R. Lieberwirth anlässlich seines 80. Geburtstags, Köln, Weimar e Wien,
2000, pp. 662 s.
124 T. Giaro, Comparemus!, cit., p. 566.
125 T. Giaro, Aktualisierung Europas, cit., pp. 160 e 168 dove Koschaker specula sul signi-
ficato del diritto romano: «Manche nennen hier Freiheit, Gleichheit und Demokratie oder
Humanität, Liberalität und Urbanität. Ich selbst soll bei einem Bankett in Verona unseren
Dienst an der Demokratieidee erwähnt haben. Was plaudert man nicht bei Banketten! [Ich
war] für das Fortleben des kulturellen Gedankens des Reichs».
126 H. Hübner, Sinn und Möglichkeit retrospektiver Rechtsvergleichung, in Festschrift für G.
Kegel zum 75. Geburtstag, Stuttgart, Berlin e Köln, 1987, pp. 235 ss. Sul punto T. Giaro,
Comparemus!, cit., p. 542.
127 R. Schulze, Vom Ius commune bis zum Gemeinschaftsrecht – das Forschungsfeld der Eu-
ropäischen Rechtsgeschichte, in R. Schulze, Hrsg., Europäische Rechts- und Verfassungsgeschichte,
cit., p. 35 e C.A. Cannata, Il diritto romano e gli attuali problemi d’unificazione del diritto eu-
ropeo, in Studi in memoria di G. Impallomeni, cit., pp. 53 ss. In precedenza ad es. V. Giuffré,
Studio comparato e studio storico del diritto, in «Labeo», 9, 1963, pp. 355 ss. con ulteriori cita-
zioni.
128 C.A. Cannata, Legislazione, prassi, giurisprudenza e dottrina dal XVIII al XX secolo come
premesse per l’avvenire del diritto privato europeo, cit., p. 47.
129 H. Muir Watt, La fonction subversive du droit comparé, in «Revue internationale de
droit comparé», 2000, pp. 503 ss.
130 P.G. Monateri, La dottrina, in AA. VV., Le fonti del diritto italiano, vol. II, in Trattato
di diritto civile, dir. da R. Sacco, Torino, 1999, pp. 484 ss. V. anche Id., Comparazione, critica

175
nistica applicata al processo di unificazione europeo – viene conside-
rata una neopandettistica (forse «involontaria»)131, criticata per la
sua aspirazione al confezionamento di massime universali e di mo-
delli neutrali132.
Altri riferimenti al formalismo scaturiscono dalla definizione del
diritto romano come ordinamento caratterizzato da una sedimentata
«separazione del dato giuridico dal dato non giuridico»:

Il y a toutefois – et je suis d’acord avec Jhering – un esprit du droit romain


dans les différentes parties de son développement dont les caractères fondamen-
taux [sont] d’une côté la liberté pour les sujets [...] de mener de manière respon-
sable leurs propres activités et d’exercer leurs propres droits, pouvoires et facultés
dans les limites d’une autonomie reconnue par le système juridiques même, et de
l’autre la certitude et des règles, et des conditions, et des situations juridiques133.

Come ha affermato Rodolfo Sacco – sottolineando la contraddi-


zione che scaturisce da un simile modo di procedere – in questo
modo si introduce nella storia «qualche cosa che assomiglia ad una
idea di fissità»134. Idea alimentata da una curiosa concezione dello
storicismo, in cui il trascorrere del tempo viene visto come mera
«questione cronologica» e non anche come una vicenda che ci pone
di fronte ad «oggetti differenti»135.
Ecco il dato che accomuna i fautori di propositi attualisti impe-
gnati nella loro «ricerca di un diritto puro mediato dalle interpreta-
zioni del diritto romano»136. Un approccio formalista allo studio del

e civilistica – Diritto e latenza normativa a dieci anni dalle Tesi di Trento, in «Rivista critica del
diritto privato», 16, 1998, pp. 453 ss.
131 P. Cappellini, Scienza civilistica, «rivoluzioni industriali», analisi economica del diritto:
verso una neopandettistica involontaria?, in «Quaderni fiorentini», 15, 1986, pp. 523 ss.
132 Sul punto per tutti K.-H. Fezer, Aspekte einer Rechtskritik an der oeconomic analysis of
law und am property right approach, in «Juristenzeitung», 35, 1986, pp. 817 ss. e P.G. Monate-
ri, Risultati e regole (Un’analisi giuridica dell’analisi economica del diritto), in «Rivista critica
del diritto privato», 13, 1995, pp. 605 ss.
133 L. Labruna, Le rôle du droit romain dans la Méditerranée, in J.-F. Gerkens, H. Peter, P.
Trenk-Hinterberger e R. Vigneron (dir.), Mélanges F. Sturm à l’occasion de son soixante-dixième
anniversaire, Liège, 1999, p. 299. Nello stesso senso C.A. Cannata, Il diritto romano e gli attuali
problemi d’unificazione del diritto europeo, cit., pp. 69 ss. afferma: «nulla è più lontano dalla pro-
spettiva storico-comparativa di quella di una histoire des institutions et des faits sociaux».
134 Relazione al XVI Colloquio biennale dell’Associazione italiana di Diritto Comparato –
Caserta e Capri 3/5 giugno 1999. I brani riportati nel testo sono ricavati da M. Campolunghi
e C. Lanza, Il diritto romano attualmente (per discutere), in «Diritto romano attuale», 2, 2000,
2, p. 215, nt. 1. Nello stesso senso D. Simon, Zwillingsschwestern und Stammesbrüder oder
What is What?, in «Rechtshistorisches Journal», 11, 1992, pp. 574 ss.
135 Cfr. F. de Marini Avonzo e M. Campolunghi, Riccardo Orestano oggi, cit., pp. 50 s. e
P.G. Monateri, Black Gaius, cit., part. pp. 514 ss.
136 Come osserva J.-L. Halpérin, L’approche historique et la problématique du jus commune, cit.,
p. 726: «la place accordée au jus commune peut apparaître comme symptomatique d’une histoire
du droit réduite à l’étude de la science du droit et déconnectée des realités socio-juridiques».

176
diritto, che non viene scalfito neppure nelle situazioni in cui ci si
potrebbe lasciare andare: come ad esempio nella valutazione delle
romanistica nazionalsocialista. Ci imbattiamo così nella descrizione
delle teorie koschakeriane sui confini del contesto europeo conside-
rate mere «proiezioni concettuali di un dato geografico»137 o in rife-
rimenti alla ricerca interpolazionistica tedesca tra i due conflitti
mondiali come una semplice reazione alla codificazione138. Oppure
assistiamo a una ricostruzione delle vicende accademiche del roma-
nista Ernst Rabel in cui si menziona l’esilio nordamericano come se
fosse un piacevole viaggio di studio e non una scelta imposta della
politica razziale del regime hitleriano139.

7. Segue: la lotta al pluralismo culturale

Molti sono i dubbi che suscita l’uso politico della romanistica


come strumento di unificazione europea. Già abbiamo visto che da
esso scaturiscono modelli politico normativi di stampo individuali-
sta e liberista. Ci soffermeremo ora su ulteriori risvolti accettati o
auspicati dalla letteratura attualista e riconducibili ad una visione
del diritto quale strumento che – se vuole contribuire all’unifica-
zione in discorso – deve realizzare la soppressione del pluralismo
culturale140.
Un simile proposito sembra tradito dalle sottolineature della ma-
trice cristiana della cultura europea141, che ritroviamo nella letteratu-
ra in ultima analisi fedele alle tesi sviluppate anni or sono da Paul
Koschaker142: tesi epurate dalla impostazione antisemita143 ma per il
resto ribadite, soprattutto per ciò che attiene alla rievocazione della

137 M. Lupoi, Alle radici del mondo giuridico europeo, cit., p. 14.
138 P. Stein, Roman Law in European History, Cambridge, 1999, p. 128.
139 R. Zimmermann, «In der Schule von Ludwig Mitteis». Ernst Rabels rechtshistorische Ur-
sprünge, in «Rabels Zeitschrift für ausländisches und int. Privatrecht», 65, 2001, pp. 23 ss.
140 Sul punto E. Bucher, Recht – Geschichtlichkeit – Europa, in B. Schmidlin, Hrsg., Vers
un droit privé européen commun?, cit., pp. 7 ss. il quale osserva: «Europa als juristisch-kultu-
rell geschlossener Raum würde ein Doppeltes voraussetzen: Übereinstimmung nach innen, Ab-
grenzung nach aussen. Von beiden kann nicht die Rede sein».
141 La sottolineatura si trova ed es. in M. Bellomo, L’Europa del diritto comune, cit., p. 7 e
F. Casavola, Diritto romano e diritto europeo, cit., p. 163. Nella letteratura tedesca i riferimenti
alla matrice canonica del diritto comune europeo caratterizzano l’opera di Helmut Coing: v.
ad es. Europäisches Privatrecht, Bd. I (Älteres Gemeines Recht 1500 bis 1800), München, 1985,
pp. 7 ss. Sul punto W. Brauneder, Europäisches Privatrecht – Aber was ist es?, in «Zeitschrift
für Neuere Rechtsgeschichte», 15, 1993, pp. 228 ss.
142 T. Giaro, Aktualisierung Europas, cit., p. 126.
143 Ibidem, p. 170, dove Koschaker afferma: «Unser Kulturkampf schont aber die Juden-
rasse, die das Sicherheitsbedürfnis des Römers und des Romanisten nicht mehr bedroht».

177
lotta «acharné et violent contre l’Islam»144. Le sottolineature – so-
vente avvolte da un alone di mistica certezza – hanno infatti costret-
to ad oscurare le componenti orientali dell’esperienza romana, attra-
verso operazioni culturali che rammentano riflessioni di triste memo-
ria145. E la circostanza non sfugge a Giaro, che fa discorrere Ko-
schaker intorno all’incolmabile distanza tra l’Islam e l’Europa roma-
no-germanica con espressioni neppure troppo velatamente razziste146.
I riferimenti al cristianesimo non si conciliano poi con i rilievi in-
sistenti e circostanziati di chi nota come essi siano il portato di una
errata percezione o mitizzazione della fusione tra esperienza romana
ed esperienza canonica147.
Affiora così il sospetto che la cristianità europea sia una costru-
zione funzionale alla selezione di coloro cui consentire la permanen-
za entro i confini di un rinnovato impero carolingio. Un impero – si
badi – che avrebbe motivo di sentirsi culturalmente distante dal
mondo della common law e in particolare dalla porzione collocata
nel continente americano. Eppure il riferimento alla romanistica non
deve mettere in crisi il mito della western legal tradition – del resto
esplicitamente richiamata dalla letteratura attualista148 – fondato sulla
constatazione che la costituzionalizzazione degli ordinamenti europei
continentali ha consentito di individuare i tratti di una tradizione
giuridica occidentale. Una tradizione – condivisa anche dall’esperien-
za statunitense – fondata su valori comuni149, sviluppatisi attorno alla
massima della separatezza tra diritto e politica150 ed alla comunanza
delle soluzioni elaborate in materia economica151.

144 G. Broggini, Le droit romain et son influence actuelle, cit., p. 116.


145 P.G. Monateri, Black Gaius, cit., part. pp. 490 ss. con ulteriori citazioni.
146 T. Giaro, Aktualisierung Europas, cit., pp. 153 ss. e 155 ss.
147 Al proposito per tutti C. Vano, «Il nostro autentico Gaio». Strategie della scuola storica
alle origini della romanistica moderna, Napoli, 2000 e W. Brauneder, Europäisches Privatrecht,
cit., pp. 228 ss. V. anche D. Osler, The Myth of European Legal History, in «Rechtshistori-
sches Journal», 16, 1997, pp. 393 ss. e A. Mazzacane, «Il leone fuggito dal circo», cit., pp. 104
ss.
148 Per tutti R. Zimmermann, Usus Hodiernus Pandectarum, cit., p. 88. Sul punto T. Giaro,
Aktualisierung Europas, cit., p. 172.
149 Cfr. P. Stein e J. Shand, I valori giuridici della civiltà occidentale, trad. it. di A. Maccio-
ni, Milano, 1981 e G. Broggini, Le droit romain et son influence actuelle, cit., p. 116. Sul pun-
to le critiche di E. Bucher, Rechtsüberlieferung und heutiges Recht, in «Zeitschrift für Europäi-
sches Privatrecht», 7, 2000, pp. 394 ss. e K. Schurig, Europäisches Zivilrecht: Vielfalt oder
Einheit?, in Festschrift für B. Grossfeld zum 65. Geburtstag, Heidelberg, 1999, pp. 1089 ss.
Cfr. anche T. Giaro, Comparemus!, cit., pp. 552 ss. con una ricostruzione del dibattito sulla
«elitaria roman law tradition inglese».
150 Per tutti A. Gambaro e R. Sacco, Sistemi giuridici comparati, in Trattato di diritto com-
parato, dir. da R. Sacco, Torino, 1996, pp. 51 ss.
151 T. Ascarelli, Ordinamento giuridico e realtà sociale, in S. Rodotà, a cura di, Il diritto pri-
vato nella società moderna, Bologna, 1971, p. 87.

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Occorre infatti confermare la comunanza politica e sociale tra
esperienze di civil law e di common law152, sacrificando da un lato la
differenza culturale tra i due sistemi153 e costruendo dall’altro barrie-
re tra chi condivide «i principii generali del diritto delle nazioni civi-
li»154 e il resto del mondo:

So we face a theory elaborated by the rising academic discipline of Comparative


Law, which, consciously or unconsciously, [...] assumes the typical function of de-
picting the frame of diversities between an us and them, a center and a periphery, a
West and an East. What is particular is that this theory entails a devaluation of the
classical Common Law/Civil Law distinction, in favor of a convergence amoung
modern Western systems which ultimately depicts a more unitary estern legal family
resting on the Roman pillars of Roman jurisprudence, superior to all the other
world legal cultures155.

In tale prospettiva il processo di costruzione del nuovo diritto


comune europeo attraverso il metodo storico comparativo finisce per
sostituire alla tradizionale «tripartizione delle famiglie giuridiche eu-
ropee» una «nuova ma sostanzialmente più vecchia bipartizione Est-
Ovest»156, prima funzionale alle strategie della guerra fredda157 e
oggi forse utilizzabile come elegante supporto nella conduzione delle
trattative sulla estensione della Comunità europea verso oriente158.
Un oriente che si ritiene pur sempre minacciato da una possibile ri-
nascita del comunismo159.
Ora una simile visione del diritto comune europeo omette di
considerare – oltre alla matrice orientale del diritto romano – che
il diritto comune storico si faceva carico della differenza cultura-
le160 e possedeva anzi meccanismi di salvaguadia del pluralismo

152 H.J. Berman e C.J. Reid, Roman Law in Europe and the Jus Commune. A Historical
Overview with Emphasis on the New Legal Science of the Sixteenth Century, in Scintillae iuris.
Studi in memoria di G. Gorla, vol. II, Milano, 1994, pp. 979 ss.
153 Cfr. P. Legrand, Against a European Civil Code, in «Michigan Law Review», 60, 1997,
pp. 44 ss. su cui V. Zeno-Zencovich, The «European Civil Code», European Legal Tradition
and Neo-Positivism, in G. Alpa e E.N. Buccico, a cura di, Il Codice civile europeo. Materiali
dei seminari 1999-2000, Milano, 2001, pp. 375 ss.
154 V. Giuffré, Studio comparato e studio storico del diritto, cit., p. 362.
155 P.G. Monateri, Black Gaius, cit., pp. 481 ss.
156 T. Giaro, Comparemus!, cit., p. 544.
157 T. Giaro, Aktualisierung Europas, cit., pp. 121 e 128 fa esclamare a Koschaker: «In sei-
ner Glanzzeit war Europa ein Reich und so muss es auch, in Savignys Sinn kultureller Gesin-
nung, bleiben. Oder wir lassen uns vom Sowjetrecht niedermachen».
158 Cfr. T. Giaro, Comparemus!, cit., pp. 556 ss. e Id., Aktualisierung Europas, cit., pp. 10
e 149 ss.
159 T. Giaro, Aktualisierung Europas, cit., pp. 170 ss.
160 H. Mohnhaupt, Europäische Rechtsgeschichte und europäische Einigung. Historische Beo-
bachtungen zu Einheitlichkeit und Vielfalt des Rechts und der Rechtsentwicklungen in Europa,
cit., pp. 658 ss.

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ben più estesi ed efficaci di quanto ammesso dal pensiero unico at-
tualista161. La visione non tiene poi conto che la valorizzazione di
vicende ulteriori rispetto a quelle considerate dal diritto privato
condurrebbe – in omaggio alla tradizionale vocazione universalisti-
ca della scienza pubblicistica europea – ad estendere almeno verso
oriente i confini del diritto comune europeo. Si avrebbe così a che
fare con ordinamenti del resto interessati dalla circolazione otto-
centesca di modelli codicistici occidentali e della «pandettizzazio-
ne»:

l’ottocentesca ondata delle costituzioni e codificazioni, riconducibili tutte a pochi


modelli di prestigio, non era un fenomeno esclusivamente europeo, ma preludio al-
l’attuale globalizzazione, che interessò anche l’Africa settentrionale, l’America latina
e l’Estremo oriente. [...]. La pandettistica conquistò altresì tutta l’Europa orientale,
dalla Grecia ai Paesi nordici ed alla Russia162.

Le teorizzazioni attorno alla western legal tradition non conside-


rano infine che essa vive attualmente una fase di profonda «america-
nizzazione», ovvero di passiva e forzata rivisitazione alla luce dei
modelli liberisti di provenienza statunitense. Modelli che tra l’altro –
come ha rilevato Luigi Raggi oramai mezzo secolo fa – impediscono
di riconoscere che

il tradizionale concetto dell’universalità del diritto romano appare superato di fron-


te a nuove esperienze giuridiche che interessano masse enormi di uomini e che
sono sorte e si sono sviluppate senza riallacciarsi alla tradizione romanistica163.

La neopandettistica costituisce insomma il portato di una visione


eurocentrica, che occulta le cause cui si deve la crisi dei diritti na-
zionali e in particolare come essa derivi da «mutamenti d’ordine pla-
netario che disarticolano i tradizionali sistemi produttivi e culturali
europei»164. Come osserva Aldo Mazzacane:

Davanti a fenomeni di tale portata lo strumentario elaborato dalla pandettistica


sembra arcaico e troppo sommarie le analogie che si vogliono riconoscere con pro-

161 Sul punto J.-L. Halpérin, L’approche historique et la problématique du jus commune, cit.,
pp. 722 ss.
162 T. Giaro, Comparemus!, cit., p. 558. Cfr. inoltre R. Sacco, Il sustrato romanistico del di-
ritto civile dei paesi socialisti, in «Rivista di diritto civile», 15, 1969, I, pp. 115 ss.
163 L. Raggi, Materialismo storico e studio del diritto romano, cit., p. 602. Per riflessioni nel-
lo stesso senso v. E. Bucher, Recht – Geschichtlichkeit – Europa, cit., pp. 16 e 30 ss. e T. Gia-
ro, Comparemus!, cit., p. 541 il quale rammenta: «All’epoca in cui Jhering deplorava la pover-
tà storica di questa dogmatica successiva, la storia del diritto universale, disciplina necessaria-
mente dedogmatizzata, aveva già scalzato il diritto romano».
164 A. Mazzacane, «Il leone fuggito dal circo», cit., p. 102.

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getti di unificazione relativi alla Germania dell’ottocento – l’unser geliebtes Vater-
land di Savigny – che guardavano alla coscienza o allo spirito dei popoli civili pla-
smati dalla recezione (Puchta e Savigny), vale a dire a un’Europa rispetto alla quale,
sul piano della civiltà giuridica, l’Italia era solo un passato ed un morto deposito,
l’Inghilterra una difformità inconciliabile (ganz anders, reine empirische Tradition:
Savigny) e la Francia del codice una deviazione pericolosa. Progetti inoltre che trae-
vano ispirazione proprio da quegli ideali di nazione e di stato, da quella misurazio-
ne del tempo, che non sembrano più capaci di governare il presente della rivoluzio-
ne tecnologica165.

Peraltro non tutto il male viene per nuocere. Un caposaldo del li-
berismo statunitense – il principio della concorrenza tra ordinamenti
– sembra ora accolto nel contesto comunitario, che in tal modo fa
proprio un elemento idoneo a contrastare in modo significativo il
processo di unificazione internazionale del diritto166. La concorrenza
di cui discutiamo presuppone infatti un elevato grado di diversità
tra ordinamenti, forse incapace di corrispondere alle aspettative at-
tualiste.
Ma a ben vedere non ha importanza sapere se questo costituisce
un esito realistico o meno dell’abbraccio tra attualisti e liberisti. In
effetti si possono accettare tutte le alternative e persino proporre
una unificazione del diritto europeo a misura delle politiche comuni-
tarie e per questo oscillante tra la proposizione di macromodelli do-
tati di «Fortgeltung» e l’elaborazione di «micromodelli dogmatici e
funzionali»167. Come dice Franca de Marini «facciamo pure le opera-
zioni alla Zimmermann del diritto romano comune», ma a condizio-
ne che si sappia dove si vuole andare168.
Speriamo – da questo punto di vista – di aver fornito alcuni ele-
menti utili alla riflessione.

165 Ibidem.
166 Per tutti G.B. Portale, Tra «deregulation» e crisi del diritto azionario comunitario, in
AA. VV., La riforma delle società quotate, Atti del Convegno di studio Santa Margherita Ligu-
re 13-14 giugno 1998, Milano, 1998, p. 380 e A. Somma, Il diritto privato liberista. A proposi-
to di un recente contributo in tema di autonomia contrattuale, in «Rivista trimestrale di diritto e
procedura civile», 55, 2001, pp. 282 ss.
167 Sul punto i rilievi critici di T. Giaro, Geltung und Fortgeltung des römischen Juristen-
rechts, in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte – Romanistische Abteilung»,
111, 1994, pp. 89 ss. e P. Caroni, Der Schiffbruch der Geschichtlichkeit, cit., p. 100 secondo
cui si realizza in tal modo una «Manipulierung der Quellen» e una «Vergewaltigung der Ver-
gangenheit».
168 F. de Marini Avonzo e M. Campolunghi, Riccardo Orestano oggi, cit., p. 54.

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