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(2021)
TOMO II
GIANLUCA BASCHERINI
1. Cenni introduttivi.
Nell’Italia repubblicana, a differenza di altri paesi, la coloniz-
zazione e i saperi che la accompagnarono sono stati a lungo trascu-
rati dagli studiosi. A quest’oblio hanno senz’altro contribuito le
vicende che segnarono la fine del colonialismo patrio, e che deter-
minarono un singolare impasto di continuità e discontinuità. La fine
del fascismo ha assorbito la fine del colonialismo e le sue responsa-
bilità, come se non ci fosse stato un colonialismo liberale, mentre la
mancata epurazione e l’istituzione dell’Amministrazione fiduciaria
italiana in Somalia hanno permesso una continuità dei corpi ammi-
nistrativi e accademici nel passaggio dal fascismo alla Repubblica
che non ha favorito lo sviluppo di una riflessione critica sull’espe-
rienza coloniale e, anzi, ha alimentato persistenti stereotipie e reto-
riche autoassolutorie, riproducendo in versione aggiornata quelle
stesse logiche di dominio e civilizzazione che caratterizzarono l’espe-
rienza coloniale.
Solo negli ultimi lustri il colonialismo italiano e il diritto che
per esso si elaborò hanno conquistato l’attenzione degli studiosi, che
hanno evidenziato le numerose e reciproche contaminazioni che
caratterizzarono quell’esperienza, la persistenza dei suoi lasciti e
« gli effetti di retroazione » generati dalla « torsione coloniale degli
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(6) Si v., ad es., S. ROMANO, L’ordinamento giuridico, I ed., Pisa, Spoerri, 1918,
p. 26.
(7) S. CASSESE, Ipotesi sulla formazione de “L’ordinamento giuridico” di Santi
Romano, in questi « Quaderni », 1 (1972), p. 245.
(8) M. FIORAVANTI, Costituzione, amministrazione e trasformazioni dello Stato, in
Stato e cultura giuridica in Italia dall’Unità alla Repubblica, a cura di A. Schiavone,
Roma-Bari, Laterza, 1990, p. 29.
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(11) Cfr. ad es. M. NANI, Ai confini della nazione. Stampa e razzismo nell’Italia
di fine Ottocento, Roma, Carocci, 2006, p. 97 e ss.; C. DUGGAN, La forza del destino. Storia
d’Italia dal 1796 a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2008, p. 257 e ss.; C. CONELLI, Razza,
colonialità, nazione. Il progetto coloniale italiano tra Mezzogiorno e Africa, in Quel che
resta dell’impero. La cultura coloniale degli italiani, a cura di V. Deplano e A. Pes,
Milano-Udine, Mimesis, 2014, p. 149 e ss.
(12) E. RAGIONIERI, La storia politica e sociale, in Storia d’Italia, vol. IV: Dall’U-
nità a oggi, t. III, Torino, Einaudi, 1976, p. 95.
(13) V. ad es. M. MAZZA, L’amministrazione della giustizia nella Colonia Eritrea,
Soveria Mannelli, Rubbettino, 2016, p. 189 e ss.
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« paradigma [...] dell’eccezionalismo italiano, che tiene assieme, come due facce della
stessa medaglia, discorsi sul primato e discorsi sul ritardo o sulla decadenza, con
l’avvertenza che questi ultimi si sono rivelati più resistenti e influenti dei primi ».
(25) GENTILE, La grande Italia, cit., p. 44.
(26) Cfr. G. BELARDELLI, Mazzini, Bologna, il Mulino, 2010, p. 148 e s., per il
quale quella Roma mazziniana avrebbe alimentato in seguito « una sorta di bovarismo
nazionale, [...] un insieme di aspirazioni di grandezza e di sogni di gloria senza rapporto
con la realtà del paese ».
(27) Si v. a riguardo L. NUZZO, Da Mazzini a Mancini: il principio di nazionalità
tra politica e diritto, in « Giornale di storia costituzionale », II (2007), 14, p. 161 e ss.
(28) P.S. MANCINI, Della nazionalità come fondamento del diritto delle genti,
Torino, Tipografia eredi Botta, 1851, p. 52.
(29) BANTI, La nazione del Risorgimento, cit., p. 162.
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verso », una natura ‘mite’, e l’Italia non poteva non associarsi alla
« impresa comune e solidale » di « incivilimento »: a quella « missione
educatrice » che instaurava tra colonizzatore e colonizzato un rap-
porto giuridico « tanto legittimo nella società internazionale, quanto
è legittimo nel diritto privato quel rapporto che chiamasi di tutela [...]
degli incapaci per età, ovvero per debolezza di mente »; un « rapporto
di protezione [...] fra i popoli avanzati nella civiltà, e quelli i quali hanno
bisogno di esservi condotti » che « prepara, manoduce al possesso
della indipendenza e dell’eguaglianza il popolo che manca ancora dei
benefizi della civiltà ». Nel caso italiano, per Mancini, questa rela-
zione, per quanto « temporanea e destinata a cessare » (30), avrebbe
condotto a un assorbimento dei quadranti coloniali nel territorio del
Regno e reso i loro abitanti dei « nuovi cittadini » (31). Il ministro
rimarcava l’incapacità dei popoli colonizzati a esprimere una ‘nazione’
e, dunque, a partecipare di quella eguaglianza e indipendenza tra co-
munità nazionali che il giurista aveva disegnato trent’anni prima con
riguardo all’Europa; quei popoli erano colonizzabili perché non erano
nazioni, ma « tribù quasi selvagge e semi-barbare senza leggi e forme
di politico reggimento » (32). Peraltro, se la ‘tutela civilizzatrice’ per-
metteva a Mancini di conciliare teoricamente nazionalità e colonia-
lismo (33), già nei suoi interventi non mancavano richiami ai nessi che
nel caso italiano legavano la scelta coloniale alle questioni migrato-
rie (34).
La politica coloniale manciniana ebbe vita assai breve, esau-
(30) A.P., 1896, XVI legislatura, I sessione, Discussioni, Tornata del 30 giugno
1887, p. 4295.
(31) A.P., 1882, XIV legislatura, I sessione, Discussioni, II Tornata del 26
giugno 1882, p. 12188 e infra.
(32) Ivi, p. 12189.
(33) Si v. a riguardo G. CAZZETTA, Patria senza territorio? Emigrazione e retorica
dello Stato-nazione, in Studi in onore di Luigi Costato, vol. III, I multiformi profili del
pensiero giuridico, Napoli, Jovene, 2014, p. 149 e ss. e L. NUZZO, Origini di una scienza.
Diritto internazionale e colonialismo nel XIX secolo, Frankfurt, Klostermann, 2012, p. 97
e ss.
(34) « O signori, sarà più vantaggioso che questa emigrazione si disperda sulla
faccia del globo; che vada a caso in lontane ed ignote regioni, [o] che non vi sieno paesi
[...] dove il suo lavoro possa essere con certa e propizia utilità esercitato, e dove sventoli
la bandiera nazionale [...]? ». A.P., 1885, XV legislatura, I sessione, Discussioni, I
Tornata del 27 gennaio 1885, p. 11067.
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A.P., 1896, XIX legislatura, I sessione, Discussioni, II tornata del 18 dicembre 1895, p.
3336.
(56) V., ad es., l’intervento di Crispi il 12 maggio 1888, per il quale è « ozioso,
ed anche inopportuno, tornare a discutere del passato. I fatti del 1885, furono approvati
da questa Camera con due voti distinti. Aggiungo che, dopo il 1886, la responsabilità
della impresa Africana, è vostra e nostra ». A.P., 1888, XVI legislatura, II sessione,
Discussioni, Tornata del 12 maggio 1888, risp. p. 2522.
(57) Si vedano ad es. l’interpellanza di Imbriani Poerio e la mozione di Ferrari
nel dibattito parlamentare che si sviluppò ai primi di marzo 1890 intorno alla richiesta
della Estrema sinistra di sottoporre ad approvazione parlamentare il R.d. 6592/1890, che
‘civilizzava’ il governo dei possedimenti nel Mar Rosso riunificandoli nella colonia
denominata Eritrea. A.P., 1890, XVI legislatura, IV sessione, Discussioni, Tornata del 5
marzo 1890, spec. p. 1519 e ss.
(58) Da sinistra, Colajanni rimarcava che « il decoro e l’onore nazionale esigono
che scompaiano dall’Italia, prima che dall’Africa, tante cause di miseria, di delinquenza,
di depressione morale ed intellettuale ». A.P., 1895, XIX legislatura, I sessione, Discus-
sioni, Tornata del 2 luglio 1895, p. 520. Da destra, invece, Di Rudinì invocava una « sosta
nell’impresa africana », domandandosi « se nelle presenti condizioni finanziarie [...] sia
opportuna questa grande impresa coloniale [...] visto che in Africa le vittorie s’hanno
forse a temere più delle sconfitte ». A.P., 1896, XIX legislatura, I sessione, Discussioni,
Tornata del 2 dicembre 1895, p. 2697. Per A. GRAMSCI, Quaderni dal carcere, a cura di
V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, vol. III, p. 2018 e s., la politica coloniale di Crispi,
« il vero uomo della nuova borghesia », « è legata alla sua ossessione unitaria »: « il
contadino meridionale voleva la terra e Crispi che non gliela voleva (e poteva) dare in
Italia stessa [...] prospettò il miraggio delle terre coloniali da sfruttare ». Diversamente
dalle altre nazioni colonizzatrici, l’Italia non aveva « capitali da esportare », mancava
« una spinta reale all’imperialismo italiano e ad essa fu sostituita la passione popolare dei
rurali ciecamente tesi verso la proprietà della terra: si trattò di una necessità di politica
interna da risolvere, deviandone la soluzione all’infinito ».
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(63) V. ad es., R. QUADRI, Diritto coloniale, Padova, Cedam, 1958 p. 17, per il
quale « quando la dottrina parla di ‘riconoscimento’ del diritto indigeno da parte dello
Stato, usa un’espressione impropria », trattandosi piuttosto « di trasformare il diritto
indigeno in diritto statale, o meglio di produrre diritto statale conforme, quanto al
contenuto al diritto indigeno ». Sul concetto di ordine pubblico coloniale, nella dottrina
del tempo, si v. ad es. E. DE LEONE, Il concetto di ordine pubblico coloniale, in ID., Studi
di diritto coloniale, Roma, Dott. Paolo Cremonese editore, 1935, p. 18 e ss.; A. D’EMILIA,
Intorno ad una valutazione qualitativa del diritto coloniale, in Scritti giuridici in onore di
Santi Romano, vol. III, Padova, Cedam, 1940, spec. p. 453 e ss. Sulla strumentalità della
clausola ai fini della colonizzazione, cfr. P. COSTA, Il fardello della civilizzazione.
Metamorfosi della sovranità nella giuscolonialistica italiana, in questi « Quaderni », 33/34
(2004-2005), p. 214 e s.
(64) Per G. CIAMARRA, La giustizia nella Somalia, Napoli, R. Tip. F. Giannini &
figli, 1914, la ricerca delle norme da applicarsi in colonia doveva dare « adito a
quell’‘arbitrario’ che [...] è ovunque la libertà dell’amministrazione, ma in Colonia ne è
vita ed essenza » (p. III) e gli ordinamenti giudiziari locali avrebbero dovuto ispirarsi
« alla massima concisione di prescrizioni e spigliatezza di attuazione, sorvolando su tante
formalità di procedura, illogiche e contrarie alla rapidità dei giudizi ».
(65) V. artt. 2-5, l. n. 205/1903 (Ordinamento della Colonia Eritrea); analoghe
previsioni caratterizzarono i regi decreti di riordino dell’amministrazione (67 e 68/1894)
e della giustizia (201/1894).
(66) Su questo tentativo di codificazione, si v. la puntuale ricostruzione che ne fece
lo stesso presidente della commissione, M. D’AMELIO, L’ordinamento giuridico della colonia
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Eritrea. Estratto dalla Enciclopedia Giuridica Italiana, vol. III, p. 2, sez. II, Milano, Società
editrice libraria, 1911, p. 221 e ss. Sulla presenza togata nelle colonie italiane, cfr. ad es.
P. SARACENO, La magistratura coloniale italiana (1886-1942), in « Clio », 1986, p. 275 e ss.
e C. GIORGI, Magistrati d’oltremare, in « Studi storici », 2010, p. 855 e ss.
(67) L. MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di Procedura Civile, II, Della
Competenza. I principi generali della procedura, Milano, F. Vallardi, 1903, p. 515, aveva già
polemicamente rimarcato la scarsa preparazione dei magistrati coloniali, « reclutati [...]
nell’inferiore personale giudiziario [...] piuttosto in considerazione della robustezza fisica
che con riguardo alle prove di esperienza e di dottrina ». V. Scialoja, nell’anticipare sulla
« Rivista di diritto civile » la propria Relazione, sottolineò l’inopportunità di trasportare
in colonia « l’ingombrante mole dei nostri codici », laddove sarebbero bastate « poche
norme, nelle quali fosse detto [...] che ai cittadini si applicano le leggi che sarebbero loro
applicate in Italia [...] e che per i sudditi coloniali continuano ad aver vigore le loro
consuetudini, salvo che siano contrarie alla civiltà ». Piuttosto, per Scialoja, i magistrati
coloniali avrebbero dovuto dedicarsi a individuare i criteri per la risoluzione delle anti-
nomie originate da quella giustizia differenziale, dettando « alcune regole per risolvere
eventuali conflitti derivanti dal doppio regime giuridico e per regolare taluni dei più im-
portanti rapporti misti ». V. SCIALOJA, Il codice civile per la colonia Eritrea. Relazione al
Consiglio coloniale, in « Rivista di diritto civile », 1909, p. 363.
(68) Intanto, nel governatorato eritreo, a Martini era succeduto S. Raggi, critico
verso una codificazione che avrebbe ridotto gli spazi d’intervento normativo e giurisdi-
zionale dell’amministrazione coloniale. V. ad es. M. ZACCARIA, Magistratura togata vs.
giustizia amministrativa nella Colonia Eritrea, 1907‐1911. Il memoriale Conte e il
rapporto nr. 10330 di Salvago Raggi, in « Ethnorema », 2006, 2, p. 49 e ss.
(69) Per S. CAPRIOLI, Codice civile. Struttura e vicende, Milano, Giuffrè, 2008, p.
124 e ss. quel tentativo di codificazione « non fu lavoro gettato al vento, se appena si
considerino alcune di quelle modifiche e la diffrazione di esse in altri testi normativi ».
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nato (artt. 76 e ss.) orientata alla difesa dell’ordine pubblico e alla pacificazione dei
territori conquistati. Nati come temporanei, i tribunali d’indigenato vennero introdotti
anche nelle altre colonie e, infine, stabilizzati dagli ordinamenti giudiziari coloniali della
metà degli anni Trenta (R.d. 1649/1935, per l’Eritrea e R.d. 2167/1935 per la Libia). Per
BORSI, Corso, cit., p. 177 e s., tali tribunali erano chiamati a tracciare la « linea di un
diritto pubblico indigeno rispondente alle esigenze di conservazione e di progresso delle
istituzioni coloniali, nel quale l’antico costume della popolazione locale si mostra piegato
e adattato alle idee della civiltà e ai capisaldi del diritto dei colonizzatori ». Per CIAMARRA,
La Giustizia nella Somalia, cit., p. 7, quella giurisdizione eccezionale era lo strumento per
liberare la sanzione da una « rigida applicazione della legge [...] lasciando il giudizio [...]
nel campo naturale di loro apprezzamento, che per l’essenza e il carattere dei fatti stessi
non poteva essere che il campo politico ».
(76) I periodici richiami ad approfondire la conoscenza delle realtà e dei diritti
coloniali rimasero ampiamente inascoltati, e alla costruzione giurisprudenziale del diritto
coloniale non si accompagnò un adeguato lavoro di raccolta di quella giurisprudenza. V.
a riguardo MARTONE, Giustizia coloniale, cit., spec. p. 145 e ss. e MAZZA, L’amministra-
zione della giustizia, cit., p. 450 e ss. Riguardo alla Libia giolittiana, si v. anche G.
CIANFEROTTI, Giuristi e mondo accademico di fronte all’impresa di Tripoli, Milano,
Giuffrè, 1984, pp. 59 e s. e 120 e ss. e L. BORSI, Costituzionalismo 1912-1913. Nazione e
classe, Milano, Giuffrè, 2017, p. 332 e ss.
(77) Cfr. I. ROSONI, L’invenzione del diritto consuetudinario, in « Hacta Histrie »,
16 (2008), 4, spec. p. 584 e ss. e M. MAZZA, Il dibattito sui progetti di codificazione
autonoma per la Colonia Eritrea, in « Diritto pubblico comparato ed europeo », 2013, 1,
spec. p. 178 e ss.
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(78) V. risp. SCIALOJA, Il codice civile per la colonia Eritrea, cit., p. 363 e M.
COLUCCI, Le codificazioni del diritto privato e penale nelle colonie, in Atti del terzo
congresso di studi coloniali. Firenze-Roma, 12-17 aprile 1937, vol. III, Sez. II, Firenze,
Sansoni, 1937, p. 145.
(79) Il riferimento è alla distinzione tra pluralismo monotipico e pluralismo
politipico elaborata da A. CAMMARATA, Il concetto del diritto e la « pluralità degli
ordinamenti giuridici » (1926), in ID., Formalismo e sapere giuridico, Milano, Giuffrè,
1963, p. 210.
(80) Così R. Falcone nel presentare alla Camera il primo libro del progetto di
codice penale eritreo, in MARTONE, Giustizia coloniale, cit., p. 10 e s.
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(97) MANGONI, Giustizia e politica, cit., p. 308, con riferimento a COSTA, Lo Stato
immaginario, cit., p. 97 e ss. È ancora L. Mangoni a rilevare come Romano —
appartenente a « una generazione formatasi sui temi del revisionismo risorgimentale e su
una cultura politica [...] non più volta a prolungare un rapporto ideale con le generazioni
e la temperie risorgimentale » — nel suo contributo « tradusse [...] in termini giuridici
l’interpretazione, ormai largamente acquisita di Alfredo Oriani dell’Unità italiana come
prodotto di conquista regia ». L. MANGONI, La crisi dello Stato liberale e i giuristi italiani,
in I giuristi e la crisi dello stato liberale, cit., p. 44.
(98) V. ad es. ANZILOTTI, La formazione del Regno, cit., p. 11 e ROMANO, I
caratteri giuridici, cit., p. 416.
(99) Nel 1927, forse anche per legittimare la limitata penetrazione italiana in
quei territori, MONDAINI, Manuale di storia e legislazione coloniale, cit., p. 331 e s., definì
la Libia come colonia di un « popolamento da realizzarsi attraverso la sostituzione
dell’emigrante italiano all’indigeno nella regione costiera ed il progressivo respingimento
di quest’ultimo verso l’interno ».
(100) CAZZETTA, Patria senza territorio?, cit., p. 159.
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(101) Si v. già F.S. NITTI, La nuova fase dell’emigrazione d’Italia (1896), in ID.,
Scritti sulla questione meridionale, a cura di A. Saitta, Bari, Laterza, 1958, spec. p. 382 e
s. Si v. a riguardo V. AMOROSI, Il lavoro come problema giuridico di ordine internazionale.
Spunti dalle colonie d’Africa di primo Novecento, in Lontano vicino. Metropoli e colonie
nella costruzione dello Stato nazionale italiano, a cura di G. Bascherini e G. Ruocco,
Napoli, Jovene, 2016, p. 145 e ss.
(102) Si v. A. DEL BOCA, Gli italiani in Libia. Tripoli bel suol d’amore. 1860-1922,
Milano, A. Mondadori, 1993, p. 253 e s.
(103) È il caso, ad es., di G. Valenti, tra i maggiori esperti di economia agraria
dell’epoca e membro della commissione Bertolini, per il quale quel « gran lembo del
Mezzogiorno d’Italia » richiedeva quella « trasformazione e intensificazione delle col-
ture » che, in patria, i governi non erano stati in grado di attuare e che, in colonia,
necessitava, da una parte, di un indemaniamento poggiante su un sistema di certifica-
zione immobiliare accettabile dalle popolazioni locali e, dall’altra, di una colonizzazione
agraria che associasse gli imprenditori nazionali e gli « industri » lavoratori indigeni. Cfr.
G. VALENTI, Gli studi sulla Libia, Roma, Tip. Unione Ed., 1912. Su Valenti, si v., peraltro,
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(110) Così, ancora, ROMANO, Corso di diritto coloniale, cit., p. 25, ma v. anche, ad
es., SCHANZER, L’acquisto delle colonie, cit., p. 13 e ss., E. GIANTURCO, Appunti di dritto
pubblico coloniale, Napoli, Morano, 1912, p. 5 e ss. e, in chiave ‘anticoloniale’, ARCOLEO,
Il problema coloniale, cit., p. 27 e ss.
(111) Si v. E. CARUSI, Il problema del diritto comparato, sotto l’aspetto scientifico,
legislativo e coloniale, Roma, Società Italiana per il Progresso delle Scienze, 1917, p. 8 e
ss.
(112) P. DE FRANCISCI, La scienza del diritto comparato secondo recenti dottrine.
Note critiche, in « Rivista internazionale di filosofia del diritto », III/IV (1921), p. 232 e
ss. (per le citazioni, p. 245).
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(113) SAGÙ, Alle origini, cit., p. 593. Per A. MORI, Il concetto giuridico di colonia
e le sue recenti formulazioni nella dottrina italiana, Roma, Tipografia dell’Unione
Editrice, 1919, p. 23 e ss. era la ‘combinazione di inferiorità’ (nella civiltà delle
popolazioni e nell’utilizzazione del territorio) che determinava il proprium della situa-
zione coloniale e ingenerava nel colonizzatore un dovere di civilizzazione della colonia;
per U. BORSI, Studi di diritto coloniale, Torino, F.lli Bocca, 1918, p. 6 e ss., era piuttosto
il tipo di ordinamento che determina la qualità di colonia, mentre per ROMANO, Corso di
diritto coloniale, cit., p. 8 e ss., era solo il trattamento giuridico che la metropoli riserva
a un territorio a definire una colonia, e per entrambi la civilizzazione della colonia non
costituiva un fine della colonizzazione, ma soltanto una sua indiretta ed eventuale
conseguenza.
(114) Quattro anni prima del Corso, Romano aveva già redatto una prima sintesi
organica in materia coloniale per il capitolo conclusivo del suo Italienische Staatsrecht. Si
v. S. ROMANO, Il diritto pubblico italiano, a cura di A. Romano, Milano, Giuffrè, 1988, p.
431 e ss.
(115) A. SANDULLI, Costruire lo Stato. La scienza del diritto amministrativo in
Italia (1800-1945), Milano, Giuffrè, 2009, p. 179.
(116) GROSSI, Scienza giuridica, cit., p. 110.
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(117) S. ROMANO, Osservazioni sulla natura giuridica del territorio dello Stato, in
ID., Scritti minori. Vol. I. Diritto costituzionale, rist. Milano, Giuffrè, 1990, p. 214.
(118) ROMANO, Corso di diritto coloniale, cit., p. 10. Cfr. a riguardo COSTA, Il
fardello della civilizzazione, cit., p. 173, per il quale Romano, con « disincantato
‘realismo’ », recupera « come ‘fictio’ » la separazione tra civiltà e inciviltà per legittimare
la colonizzazione.
(119) ROMANO, Corso di diritto coloniale, cit., p. 23.
(120) Ivi, p. 103.
(121) Ivi, p. 122 e s.
(122) Ivi, p. 125.
(123) Ivi, p. 103 e s.
(124) Ivi, p. 140.
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(136) S. ROMANO, Oltre lo Stato, in ID., Scritti minori. Vol. I, cit., p. 424.
(137) Ivi, p. 431 e s. Si v. a riguardo SANDULLI, Costruire lo Stato, cit., p. 178.
(138) A. BURGIO, La guerra delle razze, Roma, Manifestolibri, 2001, p. 74.
(139) G. TINTORI, Cittadinanza e politiche di emigrazione nell’Italia liberale e
fascista, in Familismo legale. Come (non) diventare italiani, a cura di G. Zincone,
Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 67.
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(147) P. VILLARI, Dopo la guerra, in « Corriere della Sera », 24 ottobre 1912, cit.
in CIANFEROTTI, Giuristi e mondo accademico, cit., p. 9.
(148) È il giudizio di GRAMSCI, Quaderni dal carcere, cit., vol. I, risp. p. 205 e p.
209.
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