Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
GIULIANO MILANI
ROMA
NELLA SEDE DELL’ISTITUTO
PALAZZO BORROMINI
2003
Nuovi Studi Storici
collana diretta da
Girolamo Arnaldi e Massimo Miglio
INTRODUZIONE
1. Tracce e questioni
Questo libro parla del modo in cui i governi di alcuni comuni ita-
liani alla fine del XIII secolo punirono migliaia di nemici interni esclu-
dendoli dalla città e privandoli dei diritti di cittadinanza. Il tema pre-
senta uno statuto contraddittorio nella produzione storiografica. Da un
lato lo scarso numero di studi specifici non consente di valutarne rapi-
damente dimensioni e caratteristiche e costringe a ricerche lunghe e di-
spersive; dall’altro, la maggior parte delle sintesi di storia comunale con-
ferisce grande importanza a queste esclusioni, mettendo in campo ipote-
si che tuttavia, in assenza di riscontri puntuali, non si allontanano dalla
semplice impressione soggettiva.
Per spiegare la scarsità di lavori significativi esistono senz’altro ra-
gioni strutturali, legate cioè alle fonti conservate. Se tentiamo di avvici-
narci all’esclusione attraverso quel materiale che normalmente si impie-
ga negli studi sugli altri aspetti della politica comunale, vale a dire le
fonti amministrative, ci troviamo alle prese con un panorama estrema-
mente spoglio, in cui spiccano qua e là alcuni elementi isolati fin trop-
po famosi come il Libro del chiodo fiorentino, celebre soprattutto per-
ché menziona Dante. I processi politici e le liste di proscrizione, così
come gli elenchi di beni sequestrati e i registri relativi al loro affitto e
vendita, ebbero geneticamente una scarsissima probabilità di essere tra-
mandati poiché si provvide a distruggerli una volta che l’esclusione era
finita, e di fatto si conservarono solo in quei casi in cui i regimi poste-
riori tentarono di stabilire una continuità ideologica forte con il pro-
prio passato. A Firenze come anche a Bologna – lo si vedrà da vicino
– la relativa longevità delle istituzioni repubblicane da un lato e il ri-
chiamo offerto dall’ ideologia guelfa duecentesca dall’altro furono alla
base, nei secoli XIV e XV di un recupero dell’antico materiale. I docu-
menti di cui disponiamo, in altri termini, sono perlopiù copie tre-o
quattrocentesche.
A fronte di questa fortissima selezione delle scritture amministra-
tive che genera una notevole difficoltà di lettura diretta si colloca la
1 Muratori, Antiquitates, IV, col. 605: « Mortalium animos, non minus quam cor-
pora, innumeris perturbationibus ac morbis obnoxios esse, nemo est qui nesciat aut
qui facile, si in mores et acta hominum attente inquirat, agnoscere continuo non possit
(...). Ex his popularibus animorum morbis nullum fortasse parem, neque pernicioso-
rem, neque diuturniorem Italia peperit atque experta est qua teterrimas Gibellinorum
& Guelforum factiones ». Su Muratori in generale v. almeno Bertelli, Erudizione e sto-
ria in Ludovico Antonio Muratori. Su Muratori medievista e storico delle città comuna-
li v. Tabacco, Muratori medievista; Artifoni, Cives Dissidentes atque Feroces; Von Moos,
Muratori und die Anfänge der italienischen Mediävistik.
2 Tra i frutti più importanti di quella stagione storiografica vi furono per esempio:
italiano, pp. 131-146, p. 131: « In illa vero civitate Tudertina repperi duas affectiones:
quidam enim vocabantur Guelphi, quidam Gebellini ».
5 Su questo risveglio d’interesse v. Dionisotti, Varia fortuna di Dante, pp. 262 e ss.
6 Su Dante e le partes v. Peters, Pars, parte.
7 Simonde de Sismondi, Storia delle repubbliche italiane, p. 94. Si cita dalla recen-
delle repubbliche italiane – egli scrisse – acquisivano spesso nuove ricchezze e nuova
influenza durante l’esilio, perché il bisogno le costringeva a dedicarsi con raddoppiato
ardore, al lavoro, al commercio o agli studi militari».
10 Su Balbo v. Fubini-Leuzi, Gli studi storici, pp. 162 e ss.
11 Per la centralità dell’indipendenza nella storiografia di Balbo, v. Croce, Storia
tici in cui vivevano quegli studiosi 14. Il fatto che fosse forte e repubbli-
cano o debole e assoggettato non inficiava la sua natura di sistema
politico compiuto, al cui interno non potevano muoversi che partiti.
Nella percezione degli storici, i gruppi che nel comune si erano scon-
trati non erano differenti da quelli che si combattevano negli stati otto-
centeschi: per questo la storia comunale poteva offrire un monito al
presente. Rarissimi furono coloro che – come fece Carlo Cattaneo 15 –
si distaccarono da quest’assimilazione attualizzante. Per gli altri l’assimi-
lazione del comune a uno stato rese necessario interrogarsi sulle parti
che in questo stato avevano agito, al fine di comprenderne le ragioni.
Questa domanda impegnò gli studiosi italiani nella seconda metà del-
l’Ottocento, generando una serie di risposte diverse.
Nell’identificazione della sostanza dei partiti pesarono i due filoni
più rilevanti della ricerca storica nazionale: la questione longobarda, con
cui si cercò di stabilire se l’invasione del 569 avesse o meno interrotto
la continuità romana in Italia e, come si è accennato, la tematica citta-
dina, con la quale si volle rinvenire nell’età comunale un modello a cui
ispirarsi per costruire un’Italia libera e indipendente dallo straniero 16. Il
conflitto politico dei comuni medievali fu interpretato combinando que-
sti due approcci attraverso le antitesi suggerite dal dibattito sulla conti-
nuità (latini/germani; istituzioni ecclesiastiche/istituzioni civili) e quelle
presenti nelle cronache (guelfi/ghibellini; nobili/popolari). Rispetto alla
prima metà del secolo, tuttavia, in cui queste analogie erano state fatte
con una certa disinvoltura, dopo l’Unità si cominciò a mettere in cam-
po una volontà di spiegare queste « antitesi » con metodologie che si
volevano scientifiche 17. La « scoperta » della lotta tra strutture romano-
ecclesiastiche e germanico-imperiali come tratto fondamentale della sto-
14 Il tema del comune come modello di stato è stato affrontato, per un periodo
scritto in Tabacco, La città italiana fra germanesimo e latinità, pp. 23-24. Sullo stesso
argomento v. anche Artifoni, Il medioevo nel romanticismo, con bibliografia.
17 L’espressione « Medioevo delle antitesi » che qualifica la produzione comunalisti-
la netta differenza di piani tra la scarna proposta di Tabarrini e la ricca teoria villariana.
21 Il dato si ricava da una serie di articoli. Il primo, L’Italia, la civiltà latina e la
civiltà germanica, fu pubblicato nel 1861. Gli altri saggi relativi alla storia fiorentina ap-
parvero negli anni 1866-1869 sulle riviste « Il Politecnico » e « Nuova Antologia » prima
di essere raccolti in volume , talvolta con sostanziali modifiche, nel 1893-94, sotto il ti-
tolo: I primi due secoli della storia di Firenze. Per la consultazione di questi testi ci siamo
rifatti sostanzialmente all’edizione in volume, andando a verificare, sulla base dei saggi di
Moretti e Artifoni citati, le eventuali variazioni rispetto alle edizioni originali.
22 Villari, I primi due secoli, vol. 2, p. 61-62 (l’articolo è La famiglia e lo Stato
Sulla visione del comune come stato in Salvemini e Volpe v. Vallerani, Modelli di comune.
tema centrale fu sin dall’inizio quello dei partiti che si erano mossi a
Firenze alla fine del Duecento 24. Com’è noto egli rinvenne il fonda-
mento delle contese nell’opposizione tra produttori e consumatori teo-
rizzata da Achille Loria, e catalizzata dallo sviluppo demografico 25. Lo
studioso però ricostruì analiticamente i vari passaggi con i quali questa
contrapposizione aveva fatto gemmare tutte le altre (quella tra arti mag-
giori e minori nel popolo, quella tra parte guelfa e ghibellina nei mili-
tes 26, e infine la ricomposizione sotto le insegne dei magnati e dei
popolani ) e i modi in cui nel corso del tempo si erano formati e
disfatti gli equilibri 27. In queste ricostruzioni, rimanendo aderente alle
fonti e dunque non esasperando né il determinismo sociale, né il ca-
rattere democratico del sistema comunale, Salvemini esaltò l’esperienza
del comune di Popolo di fine Duecento rilevando la diffusa cultura
istituzionale che a suo parere era stata introdotta dal priorato, al pun-
to che quando dovette affrontare il problema della fine dell’esperienza
comunale per molti dovuta alle contraddizioni presenti in quel regime,
nei fatti lo eluse 28.
Il tratto unificante della produzione di Gioacchino Volpe è stato
individuato in uno stile storiografico fondato sul fluire della storia, sulla
dinamica della trasformazione dalla società allo stato, con una netta
prevalenza della dimensione diacronica su quella morfologica 29. Risulta
quindi impossibile trovare nelle sue opere un modello unitario di con-
flitto 30. Lo sforzo di Volpe fu volto piuttosto all’individuazione di mo-
vimenti secolari di costruzione politica, anche attraverso la sistematica
decostruzione delle « antitesi » ottocentesche. Da questa operazione ne
uscì un comune che aveva ricomposto, dopo un lungo periodo di caos,
24Il titolo della prima stesura di Magnati e popolani, quella discussa nel 1895
come tesi di perfezionamento presso l’Istituto di Studi Superiori di Firenze era La
lotta fra i partiti firentini dal 1280 al 1295 e la formazione dei primi Ordinamenti di
Giustizia (Artifoni, Un carteggio Salvemini-Loria, p. 246). Nello stesso periodo Salvemi-
ni scrisse anche Partiti politici milanesi nel secolo XIX. Sulla contemporaneità tra i due
saggi v. Berengo, Salvemini storico, pp. 71-72.
25 Artifoni, Salvemini e il Medioevo, pp. 124-138.
26 Salvemini, La dignità cavalleresca
27 Per un esempio Salvemini, Magnati e Popolani, pp. 6-8.
28 Come nota Vallerani, Modelli di comune, p. 77 si trattava di un’interpretazione
processi costituzionali.
sto senso vanno lette le ricerche di Antonio Anzilotti sulla crisi che
aveva comportato la fine della repubblica fiorentina e l’instaurazione
del principato mediceo alla fine del Quattrocento, che, pur insistendo
su un periodo posteriore a quello strettamente comunale influenzarono
notevolmente lo studio delle città due-trecentesche 34. Per la prima volta
in questo studio la morte del comune per mano delle partes (in questo
caso della consorteria medicea) era studiata nei suoi meccanismi specifi-
ci: la modifica a proprio vantaggio delle procedure elettorali; la convo-
cazione delle balìe, i consigli ristretti che potevano creare nuovi magi-
strati favorevoli al gruppo vincente; il controllo sugli « accoppiatori », i
magistrati addetti a formare le liste di eleggibili 35. Rispetto agli schemi
precedenti il libro di Anzilotti introduceva due importantissime propo-
ste: il sistema politico appariva più permeabile alle forze che si muove-
vano al suo interno, latrici in molti casi di progetti di riformulazione
istituzionale; le partes perdevano l’aspetto di veri e propri partiti per
divenire gruppi di interesse, guidati e tenute insieme da motivi persona-
li e clientelari.
Queste proposte furono accolte con entusiasmo da quanti studiava-
no il periodo a cavallo dei secoli XIII e XIV. Lo si nota bene dalla
celebre rassegna che Federico Chabod dedicò ad Alcuni studi recenti
sull’età comunale e signorile (1925) 36. Analizzando i lavori di Simeoni
su Verona e su Modena 37, di Picotti su Treviso 38 di Schupfer su Mila-
no 39, e infine di Ottokar su Firenze, Chabod scrisse che la fine della
concordia cittadina e la chiamata dei signori erano state favorite da
organizzazioni in cui « gli interessi personali o famigliari hanno, per lo
meno, importanza uguale a quella degli interessi generali e di classe ».
Tutti gli studi presi in esame fornivano puntelli a questa impressione,
ma in maniera diversa. Nello studio modenese di Simeoni, ad esempio,
si faceva riferimento ad elementi che Chabod nel suo resoconto tende-
va a passare sotto silenzio, come la presenza di un Popolo ben organiz-
zato, sottovalutata dal recensore in favore di aspetti come lo schiera-
mento guelfo del primo capitano del popolo eletto a Modena. Al con-
se a Modena.
38 Picotti, I Caminesi.
39 Schupfer, …
una data città assume la forma di un regime partigiano accentuato, in quanto il partito
dominante tende ad indentificarsi col Comune e ad erigere i propri organi a organi
del governo normale della città. Tale regime è interessante anche per l’analogia coi
sistemi vigenti negli stati cosiddetti “totalitari” dei nostri tempi ».
44 Ottokar, Il comune di Firenze, pp. 56-57.
45 Bock, Civil discords.
dubbi i più entusiasti tra i sostenitori della signoria. V. Solmi, Recensione a Anzilotti,
La crisi costituzionale, p. 170-172 e Ercole, Dal comune al principato, p. 370.
47 Plesner, L’emigrazione dalla campagna. Per alcuni esempi cfr. pp. 136-138.
48 Chabod, L’età del Rinascimento, pp. 174-175.
49 Cristiani, Nobiltà e popolo e Sestan, Le origini delle signorie cittadine.
inguaribile della storia italiana, abbiano poi rappresentato la via o una delle vie attra-
verso le quali il frammentarismo politico comunale si venne riducendo e componendo
in organismi regionali: questo paradosso dei paradossi farebbe fremere nella fossa il già
ricordato Giuseppe Ferrari, che proprio con i Guelfi e con i Ghibellini di paradossi
storici ne ha sparati tanti; ma non questo ».
53 Chittolini, La formazione dello Stato regionale, p. 3, 7-8.
54 Torre, Faide, fazioni e partiti; Raggio, Faide e parentele; Grendi, Il cervo e la
repubblica.
55 Raveggi e altri, Gibellini guelfi e popolo grasso; Bortolami, Fra « alte domus » e
« populares homines ».
56 Cracco, Da comune di famiglie a città satellite, Racine, Plaisance, Collodo, Il
ceto dominante.
57 Il saggio è poi confluito in Jones, Economia e società nell’Italia medievale.
58 Bertelli, Il potere oligarchico.
59 Bertelli, Il potere oligarchico, pp. 17-20: « Il carattere privatistico del Comune
62 Artifoni, Città e comuni, ma cfr. ora anche I podestà itineranti e l’area comunale
piemontese e più in generale I podestà dell’Italia comunale.
63 Artifoni, I podestà professionali; Artifoni, Sull’eloquenza politica nel Duecento;
communiter observari ».
66 Bartoli Langeli, La documentazione degli stati italiani, Cammarosano, Italia me-
« popolo » nell’Italia del Nord (Racine, Le « Popolo », groupe social ou groupe de pression).
68 Si tratta di considerazioni condotte in Artifoni, Città e comuni, e Vallerani, la
La strada per una simile impresa non può essere cercata nelle me-
todologie che sono state, per così dire, generate dallo schema fondato
sulla morte del comune per mano delle parti. Non può rivelarsi utile la
semplice prosopografia, che tende naturalmente ad attenuare la portata
69 Per gli studi di storia del pensiero politico dedicati alla fortuna del repubblica-
zione di J.P. Genet citata da Petralia, Bartoli Langeli, La documentazione degli stati
italiani; Clanchy, Literacy, Law and the Power of the State e Maire Vigueur, Représenta-
tion et expression des pouvoirs.
77 Petralia, « Stato » e « moderno » in Italia nel Rinascimento, p. 44.
– errate – a cui era giunto Isidoro del Lungo in alcuni articoli apparsi sull’« Archivio
Storico Italiano » nella seconda metà del secolo scorso (in particolare: Del Lungo, Una
vendetta in Firenze), ma non tiene conto delle più recenti conclusioni a cui, in merito
alla stessa fonte, è giunto nel frattempo Brattö, Liber Extimationum, pp. 15-17.
83 Su questa distinzione si basa la divisione dei capitoli 2 (« La fuga nella sera dei
zione di delitto politico. Alla fine del XII si identificava ancora nella
iurisdictio la sfera del potere più importante e più bisognosa di prote-
zione, e solo chi metteva in dubbio questa capacità del comune subìva
i provvedimenti più gravi e carichi di significato politico, come il ban-
do. Un secolo dopo, la componente dell’autorità considerata a rischio e
dunque protetta attraverso le pene più significative era divenuta quella
dell’appoggio attivo alla linea politica seguìta dal governo e alla rete di
schieramenti cui il governo aderiva. Questa trasformazione non era av-
venuta tramite la semplice sostituzione di alcune leggi ad altre, ma at-
traverso l’evoluzione e il consolidamento di un ordinamento giuridico
sempre più articolato, che all’inizio si sostanziava soprattutto in singole
delibere e alla fine si fondava su sistemi complessi di gerarchie tra le
fonti dello ius proprium, all’interno delle quali l’attacco al comune nelle
sue varie forme era configurato in diverse fattispecie criminose.
L’evoluzione dell’idea di delitto politico si rivela dunque connessa a
quella delle scritture attraverso cui fu definito, collegata a sua volta alla
più generale evoluzione dei documenti che il potere comunale produsse
per affermare le proprie istanze politiche. Nella stessa direzione in cui,
come segnala Paolo Grossi, a partire dal XII secolo, si muoveva la
costruzione di un « laboratorio sapienziale » per contemperare e riporta-
re a unità i molti diritti esistenti, ebbe anche luogo il movimento che
fissò nelle codificazioni statutarie le consuetudini cittadine e avviò il
processo della loro continua reformatio; e, con esso, anche lo sforzo di
rendere verificabili (ed eventualmente contestabili) i diritti di alcuni grup-
pi sociali e di alcuni individui, attraverso il ricorso a tecniche sempre
più analitiche di registrazione amministrativa degli atti e dei nomi da
parte non solo del comune ma anche delle organizzazioni che si muo-
vevano al suo interno, prime tra tutte quelle « popolari ». Così, nel campo
dell’esclusione, attraverso numerosi passaggi, si passò dalla scrittura dei
primi atti di bando giudiziario, redatti nel XII ancora su carte sciolte,
alla redazione di registri processuali, registri amministrativi ed enormi
liste di proscrizione, fondamento a loro volta per la creazione di un
numero potenzialmente infinito di elenchi che da queste liste derivavano.
Presi insieme, lo studio del controllo giuridico e quello del control-
lo amministrativo della popolazione politicamente attiva concorrono a
formare una nuova possibilità per accedere alla nozione di cittadinanza
in età comunale. Gli studi che hanno affrontato questo tema, quando
non hanno costituito semplici compilazioni di diversi statuti cittadini
nella prospettiva di delineare un’unica immagine dei diritti e degli oneri
legati allo status di cittadino, hanno spesso insistito sul momento di
gnalati Bizzarri, Ricerche sul diritto di cittadinanza, Cortese, Cittadinanza (diritto inter-
medio); Ullmann, The Individual and Society in the Middle Ages; Bowsky, Medioeval
Citizenship.
7. Ringraziamenti
ta a Bologna in un patto di alleanza con Nonantola del 1131 (Savioli, Annali bologne-
si, I, 1, p. 178 (num. 113).
3 Un diverso uso di questi termini per connotare gli abitanti della città si ebbe in
età altomedievale. Violante, La società milanese, pp. 309-316 stabilisce la differenza tra
cives e habitatores identificando nei primi gli abitanti stabili, nei secondi quelli provvi-
sori. Per una trattazione più generale v. Bizzarri, Ricerche sul diritto di cittadinanza,
pp. 20-27.
esercita la professione del diritto. Il patronimico potrebbe essere accostato per ragioni
esclusivamente onomastiche al Randoinus f. Segnoritti de Franco che compare in un
documento del monastero di S. Stefano citato in Lazzari, « Comitato » senza città, p.
190. Ma non si tratta di dati che, allo stato attuale delle conoscenze, consentano di
contestualizzare socialmente o prosopograficamente l’omicidio di Octolinus.
7 È noto come le assemblee non elettive abbiano costituito l’istituzione più conti-
nua della città nel medioevo. Per Bologna, Mengozzi, La città Italiana nell’alto medio-
evo, p. 266 ha ravvisato un segno di presenza di una simile struttura nel formulario di
un documento del 1056 citato in Muratori Antiquitates, t. I, coll. 853-855.
8 Il primo a formulare questa cronologia, sulla base delle analisi delle città di
Bergamo, Lodi, Como, Novara, Pavia e Vercelli è stato Busch, Einleitung: Schriftkultur
und Recht. Baietto, Scrittura e politica, p. 134, afferma che tale cronologia è estendibile
anche ad altri comuni.
9 Mette in rilievo questo doppio registro Lütke-Westhues, Beobachtungen zum Cha-
dove sono conservati documenti fondanti come le carte di comune. Il dato è messo in
evidenza da Ascheri, Istituzioni medievali, p. 217.
11 Codice Diplomatico della Repubblica di Genova, pp. 155-156. Statuti pistoiesi del
secolo XII, pp. 162-165. Le introduzioni alle due edizioni costituiscono importanti av-
viamenti alla storia della composizione di brevi e statuti nelle due città. Su Genova cfr.
anche Niccolai, Contributo allo studio dei più antichi brevi, e Piegiovanni, Gli statuti
civili e criminali. Su Pistoia, v. Lütke-Westhues, Beobachtungen zum Charakter e Maire
Vigueur, Osservazioni sugli statuti pistoiesi.
12 Statuti pistoiesi del secolo XII, p. 163: « Si cognovero aliquem civem alterum
concivem studiose interfecisse, nisi pro se defendendo fecerit, si habuerit turrim vel
partem turris meliorem casam ei faciam destrui et de civitate illum expellam et per
quinquennium in civitate Pist(ori)a eum habitare non permittam nec in suis burgis nec
infra tria miliaria prope civitatem, [me] sciente, nisi pacificatus fuerit cum eo cum quo
litem habuerit [...] ».
13 Statuti pistoiesi del secolo XII, p. 140(?): « Item si quis finem vel pacem ante
consules vel potestatem aut rectores seu vicinos aut amicos, seu facta(m) inter se, stu-
diose feriendo ruperit, non permittam illum habitare in civitate Pist(ori)a me sciente
nec in suis burgis in meo dominio nec infra tria miliaria prope civitatem et puniam
eum sicut infra de homicidio continetur, excepto quam de casa et turri [...] ». Cfr.
anche p. 164.
14 Statuti pistoiesi del secolo XII, pp. 175, 177, 187, 261.
15 Pillio da Medicina, scrivendo poco prima del 1170 il Libellus de preparatoriis
litium et earum preambulis, dedicò una rubrica al caso in cui il convenuto non si fosse
presentato in giudizio, e indicò la soluzione nel bando giudiziario previsto dal diritto
statutario: « Sed quid si ille contumax, etiam multa indicta, non veniat nec in ea pre-
standa pareat? respondeo quod ponat eum in banno sue civitatis secundum loci con-
suetudine que pro lege habetur ». Citato in Ghisalberti, La condanna al bando, p. 15.
16 Ficker, Forschungen, I, pp. 94-95
17 Pertile, Storia del diritto italiano, V, pp. 309-341.
diritto germanico 18. Nel 1960 Sessanta Carlo Ghisalberti arricchì questa
tesi di ulteriori argomentazioni, mostrando come i glossatori avevano
provato a inquadrare il bando di origine germanica nelle categorie ro-
mane senza però riuscirvi, a causa della irriducibile estraneità di questa
pratica al diritto comune 19.
In queste analisi si riscontra una certa confusione, dovuta al fatto
che le fonti usano il termine bannum per indicare sia questa pratica,
sia l’esclusione dalla città esplicitamente prevista per alcuni delitti che,
per i quali, a differenza di quanto avveniva nel primo caso, il bannum
costituiva una vera e propria pena 20. Alcuni storici, sulla base di questa
sovrapposizione terminologica, hanno voluto schiacciare tutti gli usi del
bando su una sola accezione del termine, forzando i termini della que-
stione e facendo perdere distinzioni essenziali 21. È invece importante
considerare, come del resto aveva già chiarito Julius Ficker, che, pro-
prio attorno alla metà del XII secolo, mentre « si assisteva alla nascita
della scienza penalistica con una sempre maggiore individuazione degli
18 Calisse, Storia del diritto, p. 106. Leicht, Storia del diritto, I, pp. 25-26.
19 Ghisalberti, La condanna al bando.
20 A questa confusione ha contribuito la sovrapposizione tra la contrapposizione
ullum hominem testibus qui sint recipendi ad tam magnum crimen vel sua confessione
qui falset monetam ianuensem vel qui eam falsatam habeat, aut qui eam falsare faciat,
vel qui eam falsari consentiat, vel cuius consilio, falsetur, omnes res suas mobiles et im-
mobiles comuni Ianue laudabo et res eius quas invenero, ita quod eas capere possim,
capiam ad comune Ianue et amplius ei non reddam nec ulli alteri persone pro eo. si
enim personam eius habere potero manum eius obtruncare faciam atque in parlamento
publice laudabo ut eius persona perpetim exilietur [...] ». È interessante notare che come
nel caso bolognese è l’assemblea (qui parlamentum) a ratificare questa pena.
in the Kingdom of Italy, pp. 249 e ss. ha messo l’accento sulla carenza di legittimità
dei comuni nell’età precedente allo scontro con Federico Barbarossa. Lo stesso autore
aveva svolto considerazioni simili a partire dalle fonti narrative, in particolare genovesi,
in The Sense of the Past, p. 189.
35 La politologia ci viene in soccorso quando distingue nell’autorità due compo-
anche oggi qualificheremmo come reati politici da altre azioni che oggi non definirem-
mo normalmente come tali, e che tuttavia, come si è cercato di chiarire, costituivano
nelle città italiane del secolo XII comportamenti percepiti come lesivi dell’essenza del
potere comunale, cioè della iurisdictio.
36 Sull’importanza dello scontro con Federico I e della formazione della Lega Lom-
barda per l’evoluzione dei regimi comunali italiani ha insistito più volte Renato Bordo-
ne: V. Bordone, La società cittadina, pp. 130-141; Id., L’influenza culturale e istituziona-
le e Id., I comuni italiani nella prima Lega Lombarda, e infine Id., La Lombardia
nell’età di Federico I, pp. 387-426. Sulle città italiane nell’epoca di Federico I è neces-
sario fare riferimento soprattutto agli interventi contenuti negli atti di quattro grandi
convegni: Popolo e Stato in Italia nell’età di Federico Barbarossa, in particolare i saggi
di Marongiu, La concezione imperiale, Tabacco, La costituzione del regno italico; Brezzi,
Gli uomini che hanno creato la Lega, Vismara, Struttura e istituzioni, Manselli, La gran-
de Feudalità; Fasoli, La politica di Federico Barbarossa dopo Costanza. In secondo luogo
I problemi della cività comunale, in part.: Cristiani, Le alternanze. In terzo luogo Fede-
rico Barbarossa nel dibattito Storiografico (in particolare i saggi Fasoli, Aspirazioni citta-
dine, Brezzi, Gli alleati Italiani). Infine, Federico I Barbarossa e l’Italia, in particolare i
saggi Engels, Federico Barbarossa e l’Italia nella storiografia più recente, Tabacco, I rap-
porti tra Federico Barbarossa e l’aristocrazia; Oppl, La politica cittadina; Bordone, L’am-
ministrazione del regno d’Italia.
37 Per questa evoluzione la trattazione più sistematica resta quella in Ficker, For-
schungen, pp. 45; 62-74.
38 Friderici I Diplomata, I, p. 203: « Imperialis excellentia nichil magis proprium
habere debet, quam ut contumaces iusta severitate puniat, humiles vero et Romano
imperio devotos consueta benignitate pro[veat et honoret]. Huius itaque rationis intui-
tu Medilanenses ob immania eorum scelera á nostra gratia penitus removimus et, quia
ausu temerario et spiritu sacrilego preclares Ytalie civitates Cumas et Laudam sua iniu-
sta potestate impiissime destruxerunt et eas relevari violenter prohibuerunt, [cum se-
pius] solemnibus edictis ad nostram presentiam citati de iusticia diffidentes se absenta-
re presumerent, pro tantis excessibus dictante iusticia ex sententia principum nostro-
rum imperiali banno eos subiecimus ». V. anche Friderici I Diplomata, I, p. 204.
struantur qui pacem iurare et tenere noluerit et lege pacis non fruatur ».
42 Friderici I Diplomata, II, p. 33: « Qui vero ad predictam penam [= la sanzione
pecuniaria] persolvendam inopia dinoscitur laborare, sui corporis coercionem cum ver-
beribus patiatur et procul ab eo loco, quem inhabitat, L miliaria per quinquennium
vitam agat ».
sua grazia ed essere assolti dal bannum pagando una multa 43. Ma nel
1159 emanò un nuovo bannum contro cremesi, milanesi e bresciani,
affermando che costoro e quanti altri si trovavano a Crema a combat-
terlo erano stati ufficialmente dichiarati « hostes imperii » e per questo
privati di feudi e allodi, e che le loro persone, come le loro cose,
erano state publicatae, cioè « sequestrate » 44. L’atto costituiva un passo
ulteriore rispetto a quanto stabilito a Roncaglia: chi fosse stato giudica-
to nemico dell’imperatore avrebbe subìto per questo stesso fatto le pene
legate alla rottura della pace 45. Si trattava di un’acquisizione destinata a
durare, creando un nuovo tipo di crimine politico in cui disobbidienza
all’ordine imperiale, perdita della pace connessa all’impossibilità di ac-
cedere alla giustizia imperiale e all’allontanamento dalla città di residen-
za, e qualifica di hostis imperii venivano di fatto a coincidere. Fu in
questa accezione che il bando imperiale fu citato posteriormente alla
distruzione di Milano, per esempio quando Federico minacciò di ban-
num, della qualifica di nemico dell’impero e del sequestro dei beni,
chiunque – città o singolo individuo che fosse – avesse molestato i
pisani 46, e lo stesso fece, due anni dopo, con i potenziali nemici degli
43 Friderici I Diplomata, II, p. 10: « Hoc pacto et ordine domnus imperator Me-
ipsum Castrum Creme obsedissimus et cum principibus nostri die quadam sub papilio-
ne ducis Henrici nepotis nostri consedissemus, consilio et iuditio principum nostrorum
et omnium Lombardorum, qui nobiscum aderant, ipsos Cremenses hostes imperii iudi-
cavimus et de ipsis talem legem promulgavimus: Quoniam Crema et omnes Cremenses
sub nostro sunt banno positi, statuimus et imperiali auctoritate nostra confirmamus, ut
omnes tam Cremenses quam Mediolanenses seu Brixienses sive cetere undecumque sint
persone, que in tempore hoc in Crema sunt, tam feudum quam etiam allodium totum
amittant et feudum ad dominos revertatur et domini liberam amodo habeant potesta-
tem feodum intromittendi nostra auctoritate ac tenendi et quiete possidendi. Nos enim
et personas eorum et bona publicavimus.
45 Altri diplomi mostrano come i possessi dei banditi cremaschi e milanesi vennero
utilizzati da Federico per ricompensare i suoi alleati Friderici I Diplomata, II, p. 99: « Quo-
niam bona Cremensium et omnium eorum qui sunt in Crema tempore huius obsidionis,
veluti imperii hostium publicavimus et nostri commodis assignavimus... »; p. 100: « Pre-
terea quia Mediolanenses imperii nostri similiter hostes adiudicavimus et in banno pos-
suimus, licet generaliter omnium illorum bona publicavissemus... »; p. 104: « Pretera quo-
niam Mediolanenses hostes imperii iudicati sunt et bona eorum publicata... ».
46 Friderici I Diplomata, II, p. 204: « vobis promittimus et constanter teneatis quod,
si aliqua civitas vel persona interim, dum pro honore imperii werram habueritis vel
expeditionem feceritis, aliquam iniuriam vobis intulerit vel in aliquo vos offenderit, nos
ipsam civitatem vel personam in banno nostro statim ponemus et sicut hostem imperii
publicabimus ».
47 Friderici I Diplomata, II, p 374: « Si quis igitur prefatos Astenses in hac conces-
sione nostra molestare vel inquietare presumpserit, offensam nostram incuret gravissime
et persona et possessione banni imperialis pene subiacebit ».
48 Friderici I Diplomata, II, p 213: « Si Amizo Sacco Amizonem Bataliam vel ali-
quos alios appellaverit de morte filiorum suorum et illi ad curiam venire noluerint
facturi et recepturi iusticiam, erunt in banno domini imperatoris et Placentini eos ei-
cient extra civitatem et episcopatum eorum et persequentur eos tamquam hostes et
omnia bona eorum mobilia et inmobilia fisco applicabuntur ». Per le implicazioni del
bando imperiale e per il sequestro dei beni v. oltre.
chi non avesse voluto stipulare quella tregua 49. Il passo attesta il ricor-
so alla pena dell’allontanamento fisico dalla città e dal suo contado
come risposta alla rottura di una tregua, secondo una logica simile a
quella dei brevi genovesi e pistoiesi. Fu dunque naturale che l’esclusio-
ne fosse richiamata anche nel momento in cui il patto in oggetto co-
minciò a essere l’alleanza contro Federico.
Nel maggio del 1167, momentanemente libera dalla presenza dei
legati imperiali, Piacenza chiese ai cremonesi di impegnarsi a interveni-
re militarmente nel caso Federico si fosse ripresentato nel contado 50. Il
primo dicembre, nel patto che riunificava le alleanze lombarde con
quelle, precedenti, della Marca, nonché con Venezia e Ferrara, si definì
per la prima volta proditor chi fosse venuto meno alla concordia giura-
ta, e si decretò che chi fosse giunto a conoscenza di atti di proditio li
avrebbe dovuti denunciare al più presto al consiglio o all’assemblea del
proprio comune 51. Si trattava di una prima generalizzazione che defini-
va la dissidenza filoimperiale come un grave tradimento dovuto alla
rottura di un trattato di pace, apparentemente senza stabilire una pena
specifica. Che tuttavia nei fatti tale pena consistesse nel sequestro e
nella distruzione dei beni dei dissenzienti che avevano abbandonato
– si direbbe volontariamente – la città, escludendosi dal suo spazio
giurisdizionale, lo mostra con ogni evidenza il più antico breve piacen-
tino. Proprio nel 1167 i consoli di Piacenza inclusero nel giuramento
che erano tenuti a pronunciare in occasione dell’entrata in carica un
capitolo nuovo. Essi si impegnarono a sequestrare a nome del comu-
ne tutti i redditi in natura e in denaro ricavabili dai possessi di « co-
loro che erano usciti da Piacenza e che appartenevano alla parte del-
l’imperatore », e a non riedificarne i beni danneggiati, fatto salvo per
49 Gli Atti del Comune di Milano, p. 76: « […] et illa persona que hanc finem
facere noluerit, ego expellam eum de mea civitate et comitatu, nec eum permittam ibi
habitare donec hanc finem non fecerit ».
50 Gli Atti del Comune di Milano, p. 82: « Et si imperator vel eius pars in
comitatu Placentino venire voluerit, Cremonenses et alie civitates, cum eis requisitum
fuerit a consulibus Placentie, vel litteris sigillo publico sigillatis, ad deffendendum
eum comitatum et civitatem comuniter venire debent, bona fide et sine fraude, et
moram ibi facere donec opus fuerit sine fraude; et Placentini aliis civitatibus similiter
facere debent ».
51 Gli Atti del Comune di Milano, p. 84: « Et non ero proditor alicuius supra-
scriptorum locorum vel alterius qui nobiscum fuerit in hac concordia. Et si scivero
aliquam personam que velit hoc facere, vel si quis me de hoc interpellavit, quam citius
potero in comuni conscilio vel in concione manifestabo ».
ciò che riguardava gli eventuali diritti e crediti vantati nei confronti
degli usciti 52.
Una volta formata, nel dicembre 1167, la Lega cominciò a estender-
si, coinvolgendo anche città che avevano manifestato più volte il pro-
prio appoggio all’imperatore. Nei patti che presero corpo da questi
ampliamenti il riferimento ai dissidenti si faceva tanto più necessario.
Fu così che nel 1168 il reato politico consistente nella rottura del patto
e la pena dell’esclusione confluirono insieme in un provvedimento do-
tato ormai di valore preventivo. Il giuramento prestato a Lodi il 3
maggio 1168 stabilì che le città collegate (e il marchese Obizzo Mala-
spina) avrebbero dovuto espellere dai territori sottoposti alla propria
giurisdizione (virtus) chiunque avessero dichiarato proditor, e che nessu-
na altra città avrebbe dovuto accogliere scientemente l’escluso. Se l’avesse
accolto, entro i quindici giorni decorrenti da quando gliene era stata
fatta richiesta dai consoli della città del proditor, avrebbe dovuto espel-
lerlo dal proprio territorio e non riammetercelo più 53. Dunque, pur
trattandosi di una decisione presa collegialmente dai rectores della Lega,
la giurisdizione in materia di nemici politici resto ancora alle magistra-
ture fino a quel momento responsabili del mantenimento della pace,
ora anche del mantenimento dell’allenza. Significativa della continuità
tra questi due impegni risulta la presenza dell’espressione ut supra, che
non può che riferirsi a un precedente capitolo del giuramento che trat-
tava, con disposizioni identiche, la materia dei banditi. Poche righe so-
pra il passo citato si legge infatti che nessuna città (o il marchese)
avrebbero dovuto accogliere chi era stato bandito. Nel caso lo avessero
fatto, lo avrebbero dovuto scacciare entro quindici giorni dalla richiesta
dei consoli della città che lo aveva esclusoe non riammetterlo in futuro,
a meno che il bando non fosse stato revocato dagli stessi magistrati che
lo avevano emesso 54. Con ogni probabilità i rettori della Lega inten-
za, p. 63: « Et omnes fructus redditusque possessionum illorum qui Placentiam exie-
runt et ex parte imperatoris sunt, colligere faciam et in comuni mittam, vel eas guastas
manere faciam, salvo eo quod pro isto sacramento non cogas alicui domino vel credi-
tori eorum contra rationem facere ».
53 Gli Atti del Comune di Milano, p. 95: « Illum quoque quem aliqua civitatum
vel marchio de sua terra proditorem decreverit, nec ipsa civitas vel marchio de cetero
teneat in sua virtute, nec alia eum sciens recipiat, et si receperit, infra .xv. dies po-
stquam ei requisitum fuerit a consulibus illius civitatis cuius proditor fuerat ut supra
inventus, de sua virtute de cetero eum non recepturus expellet ».
54 Gli Atti del Comune di Milano, p. 94: « Item decreverunt ut nulla civitas vel
in suam virtutem venerit, infra .xv. dies postquam a consulibus vel marchione a quibus
bannitus fuerit eis requisitum fuerit, de sua potestate et virtute eum eicient, nec de
cetero recipient eum nisi de banno tractus fuerit a suis consulibus ».
55 Nel trattato del 24 ottobre del 1169 la Lega compì un ulteriore passaggio di-
chiarando che le persone che avessero aderito alla pars imperii sarebbero state cacciate
dalle città e dai territori, mentre i loro beni sarebbero stati distrutti. Questa norma fu
accompagnata da una serie di clausole preventive, relative a questo punto non solo ai
proditores, ma ai loro favoreggiatori. Si dichiarò che non era consentito stringere accor-
di segreti con l’imperatore, essere « spia vel guida ad dampnum nostre partis », inviare
lettere e ambasciatori o ricevere doni da Federico. Gli Atti del Comune di Milano, p.
99: « Et si aliqua civitas vel ulla persona societatis adheserit parti imperatoris Frederici,
ita quod sit contra hanc societatem nostram, ego bona fide operam dabo ad eum
expellendum de suo habitaculo et res eius deguastandas; nec ero ultra in consilio ut
receptus sit a nobis, nisi comuni consilio omnium rectorum civitatum vel maioris par-
tis; et si erit de mea civitate, bona fide operam dabo ut domus eius quam habuerit in
civitate destruatur et de civitate expellatur ».
56 Gli Atti del Comune di Milano, p. 115: « Et bona fide, sine fraude depellam
illos qui sunt processi ad imperatorem de civitate e de burgis, et de omnibus illis locis
in quibus virtutem habuero; et eorum bona destruam et destrui faciam, et milites et
pedites bandiçatos a sua civitate non recipiam in mea civitate, nec in illis locis in
quibus virtutem habuero, postquam requisitum fuerit a consulibus vel a sigillo publico
sue civitatis ».
dixisti apud Roncaliam a Bononiensibus iudicibus contra nos sententiam fuisse prola-
tam, plane inficiamur, eam non fuisse sententiam, set imperatoriam iussionem. Cum
enim plures ex nobis, nec per contumaciam, fuissemus absentes, quidquid tunc contra
nos dictum fuit, nobis nocere non debet, nec pro sententia reputari; secundum leges
enim in absentes prolata sententia nullius est roboris vel valoris » (Romoaldi II. Archie-
piscopi salernitani Annales, p. 447).
58 Solmi, Le leggi più antiche del comune di Piacenza, p. 67: « Et omnes fru[ctus
59 Castignoli e Racine, Due documenti contabili del comune di Piacenza, pp. 50-54.
60 Castignoli e Racine, Due documenti contabili del comune di Piacenza, p. 53. Il
comune spende 23 soldi per pagare un sacerdos Sancti Leonardi per il suo iudicamentum.
61 Giulini, Memorie, VI, pp. 234-345.
62 Sullo « speronismo » v. da Milano, L’eresia di Ugo Speroni e Merlo, Eretici ed
eorum qui de Placentia pro imperatore exierunt et in eius parte perseverant, in di-
stricto placentino per totum meum consolatum habitare non sinam ».
64 Sulla scarsezza di informazioni sugli scontri interni alle città nell’età del Barba-
XIV secolo, è oradisponibile in I brevi dei consoli del comune di Pisa, pp. 117-119. Su
Pisa in questa fase v. AA.VV., Pisa nei secoli XI e XII, con ampia bibliografia.
68 L’ultimo atto in cui a Pisa è testimoniato il visconte nell’esercizio dei suoi pote-
ri è del 1116. Per questa notizia, Leicht, Visconti e comune a Pisa. Per alcune conside-
razioni comparative rispetto alle altre città in cui esistevano famiglie vicecomitali v.
Bordone, I visconti cittadini.
schierò con l’imperatore 70. Ma nella stessa città l’imperatore seppe por-
tare dalla sua parte anche persone che non potevano vantare diritti
minacciati dal comune. Nel 1162, redigendo la concordia con cui la
città accettava di pagargli 6.000 marche d’argento, l’imperatore esentò
dal pagamento coloro, tra i piacentini, che lo avevano appoggiato du-
rante la guerra con la città o che erano tornati nelle sue grazie dopo
averlo combattuto, quanti insomma si erano schierati « in parte domini
imperatoris » 71. Una divisione interna al comune piacentino era dunque
già in atto nel momento in cui venne imposto alla città il podestà
tedesco Arnaldo di Darmstadt. Come hanno mostrato Güterbock e
Castagnoli, nel periodo 1162-1164, l’imperatore, nonostante la durezza
del suo magistrato, riuscì ad attirarsi nuovi favori nella cittadinanza pia-
centina. Non solo si prestarono a esercitare la giustizia per il podestà
imperiale individui che con ogni probabilità facevano già parte della
schiera dei suoi seguaci 72, ma, specialmente negli incarichi minori legati
alla riscossione delle imposte nella città e nel contado, trovarono posto
anche funzionari comunali (dazieri, ispettori, messi) non inseriti nel con-
solato 73. Nel 1163 i Piacentini furono costretti al pagamento di altre
70 Alcuni riscontri indiretti mostrano che tra i fuoriusciti piacentini dovevano trovar-
si almeno Oddo Novello, che aveva ricoperto la carica di console nel 1158 per poi eser-
citare l’ufficio di giudice imperiale nella corte di Federico I, e Ugo Speroni, anch’esso
giudice imperiale, formatosi allo studio di Bologna (Racine, Plaisance, II, p. 699). La bio-
grafia di quest’ultimo è ricostruita in Güterbock, Piacenza Beziehungen zu Barbarossa; pp.
64-89, e, con alcune puntualizzazioni, in Haverkamp, Herrschaftsformen der Frühstaufer,
pp. 532-536 e in Haverkamp, I rapporti di Piacenza con l’Impero, pp. 87-88 e 90-95.
71 Friderici I. Diplomata, II, p. 214 (n. 362).
72 Si trattava di domini loci come Alberto de Andito; uomini di legge e iudices
come Riccardo Sordo, Oddo Novello, Gerardo de Porta, Oberto Paucaterra de Fonta-
na, Alberto Speroni, Malus Nepos, Tedaldo de Roncoveteri, che già in passato avevano
ricoperto incarichi consolari. La collocazione nell’aristocrazia consolare è desumibile
dalla Chronica rectorum civitatis Placentie, coll. 611-613. Su questa fonte v. ora Bulla,
Famiglie dirigenti nella Piacenza del XII secolo.
73 È il caso di individui come Salvus de Carmiano, Guillelmus villanus, Villanus de
Homodeo, tutti esattori di pedaggi; Guido Airelde, che riscuoteva il « teloneo », e molti
altri. I nomi dei funzionari maggiori e minori impiegati negli anni del dominio del
Barbarossa sono ricavati da alcune pergamene della chiesa di S. Antonino relative a
un’inchiesta sulle vessazioni fiscali promossa in seguito all’abbandono della città da
parte del Barbavaria pubblicati in Güterbock, Alla vigilia della Lega Lombarda, pp. 65-
75. Castagnoli, Piacenza di fronte al Barbarossa, p. 130, leggendo questi nomi afferma
che il partito dei sostenitori del Barbarossa è formato da « uomini di legge, giudici,
mercanti, proprietari terrieri con castelli nel contado, e soprattutto la piccola borghesia
impiegatizia del comune: dazieri, ispettori fiscali, corrieri, messi ».
74 Fasola, Una famiglia di sostenitori milanesi di Federico I; Brezzi, Gli alleati ita-
Arsago è una località del Seprio. Sulla famiglia dei capitanei de Arsago v. Keller, Si-
gnori e vassalli, pp. 175-177. I de Pita sono valvassori che appartengono al ceppo dei
de Puteobonello (Keller, Signori e vassalli, p. 366). Moscardo de Antegrate andò a
Cremona; Giovanni da Gavirate, Giovanni de Sancto Blatore, Bragamita e Ottone da
Sormano abbandonarono Milano attorno al 1161, mentre l’esercito imperiale si era
riposizionato all’assedio.
76 Arnaldo, Ugo e Alberto da Carate si recarono a esercitare le loro funzioni per
Federico I a Como, come anche Arderico da Bonate, che era stato console durante
l’assedio. Bellotto da Desio acquisì un’investitura dal vescovo di Lodi. Nel 1164 altri
due tra i consoli del 1162, Anselmo da Orto (figlio del feudista Oberto più volte
console di Milano dagli anni 30 del XII secolo. Keller, Signori e vassalli, p. 3 e n.) e
il giudice Ariprando furono scelti da Federico assieme all’abate pavese di San Pietro in
Ciel d’Oro per esercitare funzioni amministrative e fiscali nei borghi in cui avevano
trovato riparo i milanesi dopo la distruzione della città.
77 Il testo è edito in Annales Mediolanenses, p. 373. Non sappiamo con precisione
quale fu la punizione del traditore Giordano Scaccabarozzi e dei suoi seguaci filoimpe-
riali dopo che Milano riuscì a emanciparsi dalla soggezione di Federico. L’analisi dei
mandati consolari porta a credere che come minimo gli vennero preclusi gli offici
pubblici, dal momento che scompare dalla documentazione fino alla morte, avvenuta
con ogni probabilità tra il 1198 e il 1200. Mentre la Fasola giunge a queste conclusio-
ni, Brezzi, Gli alleati italiani di Federico Barbarossa, p. 174 rileva la permanenza degli
Scaccabarozzi nel consolato, ma senza distinguere tra i diversi rami della famiglia.
78 Gesta Friderici I in Lombardia, p. 50.
79 Fasola, Una famiglia di sostenitori milanesi di Federico I, pp. 121-132.
80 Hessel, Storia della città di Bologna, pp. 47-77, Rabotti, Note sull’ordinamento
costituzionale, e prima ancora, ma quasi inservibile Bosdari, Bologna nella prima Lega
Lombarda.
II, 1, p. 271, (num. 181). Se 14 nomi appartengono a perfetti sconosciuti, gli altri 34
sono individui raggruppabili in 25 famiglie su cui possediamo qualche altra notizia. Con
certezza possiamo affermare che questo primo organo collegiale attestato nominalmente
comprende: i membri della più antica milizia cittadina, come i Garisendi, Guarini, Lam-
bertini, Lambertazzi, Prendiparti, Auselitti, de Urso; i lignaggi provenienti dagli strati
più alti della società del contado già bene integrati, come i conti dell’Albero, i da Sala,
i da Vetrana e gli Albari; le famiglie che forniscono al comune giudici come Pegolotti,
Tigrini, Guidotti, Buvalelli, Romanzi. Ma anche famiglie che con ogni probabilità già
esercitano quelle attività mercantili e finiziarie che si affermano soprattutto nel secolo
successivo come Negosanti e Zovenzoni, oppure che sono qui ricordate con la qualifica
di una professione artigianale come i figli di Teuzius, calegarius. La minore rappresen-
tanza dei segmenti inferiori della società dev’essere inoltre contestualizzata con il tipo di
fonte. Non solo l’elenco non riporta tutti i componenti, ma tende anche a disporli in
un ordine che è anche e soprattutto un’ordine di preminenza: si apre con le menzioni
dei Lambertini e dei Lambertazzi – famiglie discendenti dal duca bizantino Petrone
vissuto nel secolo VIII – e dei da Sala, capitanei del contado, e si chiude verso la fine
con i nomi di cittadini sconosciuti come Arardinus e Flaccamercatus.
Artenisio Beccadelli, che sin da quest’epoca hanno comunque torri a ridosso di questa
cerchia. Con il consolato del 1164 l’immagine di una certa apertura sociale permane.
Ma la netta svolta nella storia del consolato si rende visibile nel quarto di secolo
(1168-1194) in cui – grazie alla documentazione, analizzata negli studi di Nicolai Wan-
druszka – possiamo conoscerne la composizione continuativamente. Si tratta di un pe-
riodo che inizia significativamente l’anno stesso in cui Bologna aderisce alla Lega Lom-
barda e la cui continuità appare interrotta quà e là quasi esclusivamente a causa della
chiamata di podestà, forestieri e cittadini (1177; 1183-1184; 1188, 1191-92). Complessi-
vamente, il bacino di reclutamento, pur presentando dimensioni analoghe a quelle del
consilium del 1164 (36 famiglie in tutto forniscono consoli, contro le 39 che sono
testimoniate per il consiglio), appare più omogeneo: i consoli sono quasi sempre mili-
tes, quasi sempre cittadini, talvolta come nel caso dei da Vetrana, immigrati, ma con
rapporti cognatizi con famiglie cittadine. Non tutte le famiglie di milites però contri-
buiscono in maniera eguale. Delle 36 famiglie , 22 forniscono un solo console una sola
volta in tutto il periodo, altre quattro lo fanno due volte e solo dieci costituiscono un
nucleo forte di questa aristocrazia consolare, essendo attestate nel consolato in tre o
più occasioni: Albari e Perticoni (3 volte), Garisendi e da Vetrana (4), Prendiparti (5),
Buvalelli, Carbonesi e Guarini (6), Asinelli e Galluzzi (7). Un dato di grande interesse
è il fatto che alcune famiglie di prestigio dell’aristocrazia urbana, che avevamo trovato
in posizione eminente nel consilium filofedericiano del 1164 (Lambertini, de Urso),
entrino nel consolato solo attorno al 1180, senza che tale ingresso dia inizio a una
partecipazione frequente, e che altre, di livello senz’altro paragonabile (Lambertazzi,
Caccianemici, Geremei), compiano lo stesso percorso, e raccolgano lo stesso relativo
insuccesso, solo all’alba del decennio successivo.
83 Cfr. supra, cap. II, par. 1.
84 Savioli, Annali bolognesi, II, 2, p. 55: « Anno Domini milles. centes. septuages.
quinto Imperante Federico Romanorum Imperatore. octavo decimo Kal. octob. Indict.
octava. Pop. Bonon. in plena concione in curia Sancti Ambrosii fecit jurare super suas
animas manellum portonarium Comunis parabola ei data quod omnes alienationes vel
obligationes quas Consules Bon. qui nunc sunt vel in antea fuerint fecerint de domi-
bus aut de aliis possessionibus alidoxi vel ejus uxoris & palmeri vel ejus uxoris &
ottolini vel ejus uxoris & baruffaldi & Parisii & Bartholomei & Ubertini Salomonis &
filiorum rivelli aut eorum uxorum & Aigonum sive alicujus hominis quem Comune
Bononie iudicaverit inimicum omnibus accipientibus in perpetuum adjuvabunt defen-
dere [...] ».
85 Quando nel 1202 Milano strinse un trattato di pace con Piacenza e Pavia in-
trodusse una clausola che stabiliva: « Bannitum abhinc in antea vel inimicum publicum
alicuius suprascriptarum trium civitatum, vel alterius civitatis que hoc idem sacramen-
tum suprascriptis tribus civitatibus fecerit et aliis civitatibus que[…] hoc idem sacra-
mentum facerent, in mea civitate vel districtu scienter non retinebo, et infra octo dies
postquam mihi dinuntiatum fuerit expellam » (Gli Atti del Comune di Milano, p. 344)
La stessa clausola fu inserita nel patto che dieci anni dopo Milano e Piacenza stipula-
rono con Guglielmo e Corrado Malaspina e in quello che la metropoli lombarda siglò
con Vercelli nel 1215 (Gli Atti del Comune di Milano, pp. 480 e 482 (n. CCCLXI);
pp. 508, 512 e 514 (nn. CCCLXXXVII e CCCLXXXVIII).
6. Conclusioni
1 L’atto è edito con ampi commenti in Orlandelli, La revisione del bilancio e Or-
landelli, Il sindacato del podestà. Egli afferma che la revisione riguarda solo i quattro
mesi (gennaio-aprile 1195) della podesteria di Guidottino da Pistoia e gli otto della
podesteria di Guido da Vimercate stesso (Orlandelli, La revisione del bilancio, pp. 158-
159). Ci sono invece ottime ragioni per credere che tale revisione riguardò anche i due
anni precedenti (1193 e 1194), amministrati da consoli. Orlandelli stesso, descrivendo
l’atto, notò che, mentre per la podesteria di Guido erano nominati due massari (come
sarebbe avvenuto nel corso del Duecento) per quella di Guidottino ne erano nominati
di più (cioè tre) e spiegò questa anomalia affermando che l’eccezione « doveva rientra-
re negli arbitrii di Guidottino » (ibidem, p. 159, n. 8). In realtà al nome di Guidotti-
no, nella sezione dell’atto che precede la revisione del bilancio per la podesteria di
Guido da Vimercate, è associato il nome di un solo massaro: Iacobus (ibidem, p. 190:
« In nomine Domini. Hec est ratio Guitoncini et Iacobi eius massari »). I due massari
nominati precedentemente sono nell’ordine Lambertus e Victorius (Ibidem, p. 189: « [...]
in primis invenimus [...] pervenisse apud Lambertum tempore sue massarie [...] »; « Item
apud Victorium invenimus pervenisse [...] tempore sue massarie [...] »). Il secondo di
costoro compare in un atto datato 11 febbraio 1194 come Vittorius massarius (ASBo,
Comune, Governo, Diritti e Oneri del comune, Registro Grosso, c. 69v) Si tratta dun-
que del massaro del governo consolare in carica in quell’anno. È ragionevole pensare
che Lambertus, del quale, come si è visto, viene indicato un differente tempus massa-
rie, fosse il massaro in carica l’anno precedente. Accettando questa spiegazione si rica-
va che la prassi di chiamare due massari fu introdotta solo con la podesteria di Gui-
do, mentre in precedenza per ogni governo vi era un solo massaro.
2 Alla prima serie di mandati consolari (1167-1176) segue un triennio in cui go-
4 Per questa ipotesi sulla collocazione politica dei Carbonesi e dei Lambertini v.
Capitolo II.
5 Orlandelli, La revisione del bilancio, p. 189: « Item apud Victorium invenimus
pervenisse inter expensas que non videntur nobis bene facte et dicta rusticorum et res
que ad eum non debuerunt pervenerunt tempore sue massarie .xxxv. libras imperii et
.iiij. solidos et .iiij. denarios imperii que in utilitatem communis Bononie non processe-
runt et .l. currus lignorum que homines Castelli de Brittis dicto Victorio dare iurave-
runt et ipse ea Madio et Guidoni Lambertini dare fecit et tres molas agostanas que
filii Prindepartis de molendinis Savine abstulerunt et ei dederunt e duas sibi retinue-
runt que in utilitatem comunis Bononie non processerunt ».
6 Tra coloro che compaiono in veste di beneficiari di spese non bene facte vi sono
Oseph (Toschi), Egidio Pritoni (forse Geremei), Alberto Scarpa, Guglielmo Malavolta,
Terçobonus, Peldericcio, Rodulfus Romei, di cui nessun parente stretto sembra aver
ricoperto il consolato negli anni precedenti. Accanto ad essi, nella stessa veste si rico-
noscono membri dei lignaggi consolari degli Albari, Alberici, Carbonesi, Guarini, Lam-
bertini, Milanzoli, Orsi, Prendiparti, Ramisini. In base a questi dati la rivolta contro il
vescovo Gerardo non può essere più interpretata semplicisticamente come una reazione
dell’aristocrazia consolare contro il nuovo regime podestarile (come sostiene Hessel).
Per maggiori informazioni su queste famiglie v. Wandruszka, Die Oberschichte Bolo-
gnas, pp. 330-334, pur con le riserve espresse nel cap. II, par. 5.
da tempo che l’avvento del podestà forestiero coincise con una prima
intensificazione della produzione e della conservazione di scritture poli-
ticamente significative 7. Oggi, grazie a una ormai nutrita serie di studi
ci si può spingere oltre e dichiarare che l’affermazione del podestà fo-
restiero e la moltiplicazione dei documenti costituirono due conseguen-
ze del medesimo fenomeno: la manifestazione di una nuova domanda
di controllo dei meccanismi di esercizio del potere.
Attilio Bartoli Langeli ha posto attorno agli anni Venti del Duecen-
to il culmine del fondamentale passaggio che condusse dalla produzio-
ne di « scritture elementari », le carte sciolte, alla documentazione in
registro: una svolta che interessò ambienti e paesi diversi, e che per
l’Italia comunale avvenne in stretta connessione con l’avvento dei magi-
strati itineranti 8. Jean-Claude Maire Vigueur ha chiarito bene come tale
processo, in questa fase coincidente con i primi anni del secolo (defini-
ta come « prima rivoluzione documentaria »), trovò la sua principale ra-
gion d’essere nel « risveglio di una vera e propria coscienza archivistica
da parte dei comuni ». Questa coscienza si manifestò tanto nella crea-
zione di nuove tipologie di documenti quanto nell’elaborazione di nuo-
vi sistemi di ordinamento e conservazione delle carte disponibili 9. Come
lo stesso Maire Vigueur ha sottolineato, proprio a questa « rivoluzione »
ha dedicato i suoi sforzi il gruppo riunito a Münster sotto la guida di
Hagen Keller che per un decennio ha sottoposto diverse tipologie do-
cumentarie prodotte nell’Italia comunale dei secoli XII-XIII ad analisi
fondate sul concetto di scrittura pragmatica (pragmatische Schriftlichkeit) 10.
Trattando dell’imponente produzione di questo gruppo di lavoro, Laura
Baietto ha sottolineato di recente il legame tra queste analisi e l’inter-
pretazione kelleriana del comune consolare come tradimento di un pre-
7 Cammarosano, Italia medievale, pp. 113 e ss. Vallerani, L’affermazione del siste-
Langeli, La documentazione degli stati italiani; Bartoli Langeli, Le fonti per la storia di
un comune.
9 Maire Vigueur, Révolution documentaire et révolution scripturaire, p. 183.
10 Per una rassegna complessiva della ingente produzione del Sonderforschungbe-
11 Baietto, Scrittura e politica, p. 114, con riferimento, tra l’altro, a Keller, Die
Entstehung der italienischen Stadtkommune; Keller, Einwohngemeinde und Kommune;
Keller, Gli inizi del comune in Lombardia.
12 Baietto, Scrittura e politica, p. 118; Vallerani, L’affermazione del sistema podesta-
no, p. 138. Per le liste di centri soggetti della fine del XII secolo v., oltre a questo
articolo, anche Vallerani, L’affermazione del sistema podestarile, pp. 116-117.
14 Sui libri iurium v. Rovere, I libri iurium dell’Italia comunale; Cammarosano, I
libri iurium e la memoria storica, e da ultimo Rovere, Tipologie documentali nei Libri
iurium, con ampia bibliografia.
omnibus aequitatem servabo, vel servare faciam, et aequus utrique parti ero ».
17 Liber Juris Civilis Urbis Verone, p. 190.
degli Annales brixienses; dell’autore degli Annales Cremonenses, del vescovo di Cremo-
na Siccardo (Siccardi episcopi cremonensis Cronica), di Giovanni Codagnello (Iohannis
Codagnelli Annales placentini) e infine del vicentino Gerardo Maurisio (Gerardi Mauri-
sii Chronica).
e qualificano gli esuli come exiti 21. In pochi altri casi i cronisti usano
invece il verbo expellere (o talvolta fugare), attribuito alla parte vincitri-
ce, mettendo l’accento sulla passività dell’uscita, ma quasi sempre conti-
nuando a qualificare comunque la pars perdente come « coloro che usci-
rono dalla città » 22. La scelta dell’uno o dell’altro verbo (exire, cioè,
21 L’esclusione dei milites bresciani nel 1200 è definita in negativo dagli Annales
Brixienses (p. 816), che fanno riferimento per contrasto alla parte di coloro che rima-
sero in città: « Alio anno de mense Agusti capta est magna pars eorum qui remanse-
runt in civitate ». Relativamente allo stesso evento le cronache cremonesi menzionano
solo l’accordo tra i milites fuoriusciti (che non vengono definiti esplicitamente tali) e
Cremona (Annales Cremonenses, p. 804: « Eodem anno ipsi milites Brixienses contra
populum suum nobiscum sunt iurati et concordati »; Siccardi Episcopi Cremonensis
Cronica, p. 176: « Milites autem cum Cremonensibus confederati sunt et plebeios, qui-
bus comes Narisius preerat, artaverunt »). Solo Giovanni Codagnello menziona esplici-
tamente l’uscita dei milites, nei termini di una defezione dall’esercito comunale: « Qua-
dam vero vice cum populus Brixie cum carocio extra civitatem cum militibus eorum
ad pugnandum exierunt, dicti milites illico Cremonam pergentes, auxilium ab eis, prout
tenebantur, petientes » (Johannis Codagnelli Annales, p. 33).
L’esclusione dei milites di Leno da Brescia nel 1207 è data come uscita dagli
Annales Brixienses, p. 816, che si limitano a osservare come « 1207. illa pars comitis
Alberti atque Vifredi confanorii intraverunt in Leno, [...] ».
La stessa fonte narrando dell’anno successivo afferma che « 1208. de mense Madii
Vuido Lupus recessit et dereliquid potestatum et fugit Cremonam, et cum omnibus
Cremonensibus et cum una parte militum Brixie et Parme venerunt circa Pontevicum,
[...] ». Poco oltre si riferisce alla pars uscita come « Vido Lupus » e i « milites qui de
civitate exiverant ». Mentre Codagnello spiega che « Unde tam milites quam pedites
eiusdem civitatis Brixie commoti nimiumque turbati predictum iuramentum [alla Lega]
omnes concorditer fecere, preter XXX vel XL eiusdem terre milites, qui cum eadem
potestate de ea civitate turpiter exiere » (Johannis Codagnelli Annales, p. 34).
Fedeli al modello della semplice uscita sono anche cronache più tarde: gli Annales
Mediolanenses minores, p. 398, narrando i fatti del 1204 affermano che « [...] Galiardi
exiverunt de civitate Mediolani pro suprascripta discordia ». Il Liber de Temporibus di
Alberto Milioli, p. 454, sostiene che nel 1200 « In millesimo CC. anno fuit maxima
discordia inter Maçaperlinos et Scopaçatos in civitate Reg.; et fuerunt inventi V consu-
les pro comuni: Ugonem Coradi, Arduinum de Sesso et socios; et exiverunt civitatem
et stabant per castra Regii; [...] ».
22 L’esclusione dei da Vivaro da Vicenza nel 1194 è testimoniata da Gerardo Mau-
risio come un’espulsione: « [...] et sic inter ipsos orta discordia partes insimul pugnave-
runt et, tunc pro magna parte civitate combusta, tandem pars Vivaren’sium cum ipso
domino Ecelino expulsa est de civitate, cum qua pars exivit tunc bone memorie Pistor
episcopus vicentinus » (Gerardi Maurisii Cronica, p. 6). L’esclusione dei sostenitori del-
la pars populi da Brescia è descritta con questi termini dagli Annales Brixenses, p. 816:
« 1203. rupta est inter milites et societatem Bruzele de mense Februarii, et Verzius
Tempesta deiectus de potestatu, et magna pars societatis capti sunt et in carcere positi,
et multi in banno perpetuati ». La stessa fonte, più oltre « [...] eodem anno, de mense
Octubris deiectus fuit de potestate et reversi et restituti sunt in civitate illi qui deiecti
et capti erant, per Narisium comitem et Pizium et Iacobum confanonerium et pro
eorum parte ». Simile il racconto di Codagnello: « Qui [i cremonesi alleati ai milites]
eos quos voluere de populo ceperunt et in carcere recluserunt, alios vero extra civitate
expulerunt » (Johannis Codagnelli Annales, p. 34).
23 Le azioni condotte dai Vivaresi nel 1209 sembrano avere il carattere dell’espul-
sione: « Tunc domos et turres quamplures amicorum domini Ecelini, ipsis fugatis, de-
struxerunt », ma subito dopo il cronista si riferisce a costoro come « amicos domini
Ecelini qui de civitate exierant » (Gerardi Maurisii Cronica, p. 12).
Simile il vocabolario usato dagli Annales Brixienses a proposito dei fatti bresciani
del 1210: « [...] et circa festum sancti Faustini expulsi sunt de civitate Iacobus confa-
nonerius cum filiis Bocacii et cum societate eorum et Thomas potestas, et acceperunt
Vielminum de Lendera pro potestate, et omnes tures eorum et eorum dificia dirupta
sunt, et reducti sunt in Gavardo et Rodingo et Montreundo et Terenzano et Palazolo »
(Annales Brixienses, p. 817). Poco oltre, tuttavia, a proposito degli stessi, viene usato il
campo semantico dell’uscita: « [...] fuit bellum magnum inter Mediolanenses et pars
illorum qui exierant de civitate Brixie ex una parte, et Cremonenses et Brixienses qui
remanserunt in civitate ex altera [...] », e « [...] facta est pax inter filios domni Bocaci
cum omnibus illis qui exierunt de civitate ex una parte et illi qui remanserunt ex
altera, [...] ». Così anche Johannis Codagnelli Annales, p. 43 che si riferisce ai « [...]
milites extrinseci Brixie [...] ».
24 V. Capitolo I.
prio nei confronti di coloro che, uscendo dalla città, si sono uniti a
Federico. In questo senso la scarna formula con cui il breve piacenti-
no aveva definito i nemici interni (« illi qui cum imperatore exiverunt »)
non costituisce soltanto, in negativo, una traccia della cautela con cui
il comune della metà del XII secolo volle presentarsi come istituzione
capace di definire il reato politico perpetrato nei suoi confronti 25. Essa
testimonia anche la grande importanza conferita a uno degli aspetti
della ribellione dei cives filoimperiali: l’uscita dalla città invocata dal
comune per privare dei diritti di residenza e di proprietà coloro che
l’hanno compiuta. Osservando la diffusione che il ricorso all’uscita as-
sume in questa nuova fase si è tentati di concludere che fu proprio il
consolidamento del potere comunale sulla città e sul territorio avvenu-
to nel ventennio che separa la pace di Costanza dai primi decenni del
Duecento a spingere molti gruppi che intendevano manifestare il pro-
prio dissenso al governo comunale a scegliere, tra le possibili forme di
protesta, l’uscita dalla città, innescando a loro volta una reazione co-
munale più consistente.
In maniera analoga l’introduzione del podestà forestiero, fondata
sull’idea di un unico magistrato superiore riconosciuto, capace di « sot-
trarre il vertice alla competizione » 26, provocò una complessiva necessità
di definirsi dei gruppi in conflitto, che per la prima volta si presentaro-
no come organizzazioni dotate di un’esplicita finalità politica. È vero
che i conflitti che vedevano opporsi queste organizzazioni – fondamen-
tali per comprendere la stessa affermazione del comune podestarile –
affondavano le loro radici nei mutamenti della società cittadina. Paolo
Cammarosano ha indicato al proposito negli anni 1175-1220, dunque
esattamente in questa generazione, il momento di compresenza di tre
fenomeni tra loro interconnessi: la confluenza al vertice della società
cittadina di un gruppo di famiglie diverse dalle precedenti, destinate a
rimanere in una posizione elevata fino alla fine del Duecento; la mani-
festazione di nuovi conflitti, connessi a questa « saturazione » del vertice
della società cittadina; l’esigenza di trovare un raccordo superiore, che
si esprime nell’affermazione del podestà forestiero 27. Jean-Claude Maire
25 V. Capitolo II.
26 Per questa interpretazione, ormai largamente condivisa dell’avvento del podestà
forestiero si rimanda ai lavori di Enrico Artifoni, Tensioni sociali; Artifoni, I podestà
professionali; Artifoni, Città e Comuni; Artifoni, I podestà itineranti e l’area comunale
piemontese.
27 Cammarosano, Il ricambio e l’evoluzione dei ceti dirigenti, pp. 22-30.
fronte filoestense, e dei Guidaldi, Guizzardi, Misotti, Susinelli e Tornaimparte sul fron-
te dei Torelli.
35 Simeoni, Il comune veronese fino a Ezzelino, pp. 26-35.
36 Simeoni, Il comune veronese fino a Ezzelino. Si ebbe per esempio il passaggio
di fronte di alcune grandi famiglie come i Crescenzi, milites, e i dalle Carceri, di stirpe
capitaneale, dai Monticoli alla pars Comitis, e quello dei figli di Turrisendo Turrisendi,
già legato al conte, ai Monticoli.
37 Vaini, Dal comune alla signoria, che tuttavia per questa fase non supera molto
il livello della narrazione cronachistica.
38 Mazzi, La pergamena Mantovani. Per un inquadramento Sala, Problemi, avveni-
due tipi di associazioni siano state presentate come prodotte dallo stesso
movimento di trasformazione della vita politica innescato dall’affermazio-
ne del podestà forestiero. Come ha scritto recentemente Enrico Artifoni,
il regime podestarile « da un lato, precludendo lo stanziamento diretto
al vertice istituzionale di famiglie (...) induce una trasformazione delle
strategie di accesso alla scena politica che devono farsi più raffinate ed
elaborare soluzioni nuove (...). Dall’altro ciò si traduce in una maggiore
mobilità dell’attività politica, nella quale lo strumento del raggruppamen-
to organizzato si affianca ora, senza sostituirli, ai tradizionali strumenti
della forza militare e della potenza sociale » 44. Tenendo conto di ciò si
può comprendere come la formazione delle partes della Marca, che pure
avvenne solo in questi decenni, costituì il semplice processo di adatta-
mento delle stirpi che occupavano il vertice della società urbana al nuo-
vo sistema, mentre la costituzione delle società nelle altre città padane
rappresentò un’innovazione profonda e fu la premessa per la nascita di
un movimento di « popolo » destinato a mutare profondamente la vicen-
da comunale.
Non è un caso che nelle due aree delle partes-lignaggi e delle par-
tes-societates fu profondamente diversa la funzione svolta in questa pri-
ma fase dagli stessi podestà forestieri. Com’è stato ricordato recente-
mente le podesterie di molte città della terraferma veneta furono per lo
più occupate da esponenti dei grandi lignaggi degli Este e dei da Ro-
mano o da altri personaggi ad essi legati, e non beneficiarono se non
in misura minore della funzione di mediazione dei conflitti cittadini
svolta dai podestà lombardi 45. Particolarmente significativo, in quanto
intermedio, appare quindi il caso bresciano. A Brescia la presenza, da
un lato, di una società cittadina capace di trovare ragioni nella contrap-
posizione tra milites epopulus, e, dall’altro, di stirpi comitali ben inseri-
te nel ceto dirigente cittadino provocò la formazione di parti mutevoli
e cangianti, in cui di volta in volta venivano a intrecciarsi solidarietà
politiche e fedeltà clientelari. I conflitti si accesero nel 1200 in occasio-
ne di un intervento militare a Bergamo e proseguirono fino al 1201.
Essi videro opporsi la societas militum, guidata dal conte Alberto di
Martinengo, a una società « popolare », la societas Sancti Faustini, guida-
ta dal conte Narisio di Montichiaro. Nel 1203 i conflitti si riaprirono,
ma stavolta la societas militum si oppose alla societas Bruzele, una socie-
tà il cui nome, forse connesso al carroccio, rimandava comunque al-
l’ideologia della difesa delle istituzioni comunali 46. Nel 1207 si aprì un
fronte ulteriore: la lotta tra la parte del conte Alberto di Casaloldo,
alleata ai milites del monastero benedettino di Leno, e la parte di Gia-
como Confalonieri, miles cittadino, già filopopolare, ma alleato con altri
cavalieri transfughi dalla societas militum.
È significativo che, come appare dalla seguente tabella, le fonti che
testimoniarono questi avvenimenti (una cronaca locale, due cronache di
altre città, e infine un corpus di patti con Cremona, città che, come si
vederà nel prossimo paragrafo, ebbe stretti contatti con le parti brescia-
ne) divergano nei nomi attribuiti agli schieramenti contendenti. Il pia-
centino Giovanni Codagnello e l’autore degli Annali cremonesi, prove-
nienti da città fortemente segnate dal conflitto milites/populus, interpre-
tano sempre il conflirtto bresciano in termini a loro familiari. La crona-
ca locale usa definizioni più specifiche e fa largamente ricorso ai nomi
dei capi, mentre i patti con Cremona, dotati di un valore giuridico,
sembrano fissare i nomi che le parti si sono attribuiti.
Sulla presenza di un corpus di patti stipulati con Cremona si ritor-
nerà presto. Per ora basti dire che essa indica come alle due ragioni
principali che dividevano la società bresciana (fedeltà a grandi aristocrati-
ci, in particolare conti, e conflitto milites/populus) venne presto ad ag-
giungersene una terza, di ordine diplomatico. La Marca e il resto del-
l’Italia padana retta a comune rappresentarono in quest’epoca anche due
sistemi di alleanze, in origine distinti, ma tendenti a entrare in contatto e
a comunicare, condizionando, come avvenne a Brescia, i conflitti interni.
La generazione che si trovò a vivere nella Padania occidentale dopo
la pace di Costanza assistette allo sviluppo di un sistema di dominazio-
ne promosso da Milano. Uscita rafforzata dall’esperienza della guerra
con Federico I, la metropoli lombarda si trovò a coordinare attorno a
sé, soprattutto per mezzo dello sviluppo di una rete di podestà, un
gran numero di comuni, prima intervenendo direttamente sui centri
più vicini (Lodi, Como, Monza), poi cercando di arginare l’espansione
delle città nemiche con l’aiuto di poche alleate fedeli (Brescia, Piacen-
za, Vercelli, in parte Bologna) 47. Tale sistema era volto fondamental-
mente ad arrestare la potenza di Cremona, che pur non disponendo di
48 Per la politica cremonese v. Vallerani, Cremona nel quadro conflittuale delle città
Vivaro; Vermilio dei Crescenzi, futuro alleato dei San Bonifacio, per rappresentare i
conti Maltraversi. Cracco, Da comune di famiglie a città satellite, p. 85.
50 Documenti per la storia delle relazioni diplomatiche fra Verona e Mantova, pp.
17 e ss.
51 Nel 1205 Turrisendi e Monticoli allontanarono il podestà di Verona per inse-
un arma dei clienti che sono privi, almeno in quel momento, di una fonte alternativa
di approvvigionamento dei beni o dei servizi che generalmente acquistano dall’azienda
o organizzazione boicottata, ma che possono temporaneamente farne a meno. È per-
tanto un’uscita temporanea senza una corrispondente entrata altrove, ed è costosa per
entrambe le parti, più o meno come uno sciopero. Anche da questo punto di vista il
boicottaggio combina caratteristiche dell’uscita, che causa perdite all’azienda o organiz-
zazione, e della voce, che costa tempo e denaro ai membri ».
54 Alberti Milioli notarii regini liber de temporibus, p. 204.
55 Annales Mediolanenses minores, p. 398.
56 Gerardi Maurisi Cronica dominorum Ecelini, p. 6.
57 Gerardi Maurisi Cronica dominorum Ecelini, p. 6-7.
58 Gerardi Maurisi Cronica dominorum Ecelini, p. 7.
59 Simeoni, il comune veronese fino a Ezzelino, pp. 27-33.
60 Castagnetti, società e politica a Ferrara, p. 192.
61 Amidei, Cronaca Universale, p. 334.
62 Per l’uso di queste categorie desunte da Keller, Signori e vassalli, v. ora Maire
lo stesso conte che per questo venne privato dei beni che teneva in concessione dal-
l’episcopio (Cracco, Da comune di famiglie a città satellite, p. 85).
popolare una base nel contado in cui fosse possibile rifugiarsi. Quando
la pars populi uscì sconfitta dagli scontri furono soprattutto i suoi lea-
ders aristocratici ad abbandonare la città. Nel 1200 a Reggio dovette
accadere qualcosa di simile. Secondo ciò che è possibile ricavare dalla
cronaca tardoduecentesca di Alberto Milioli, in un primo momento
uscirono dalla città per ritirarsi nei castelli del contado alcuni consoli
della pars militum. Il loro rientro, patrocinato dal vescovo cittadino,
portò all’uscita di altri personaggi di livello sociale elevato che si erano
schierati con il popolo 68.
La vicenda di Brescia, città di confine fortemente caratterizzata dal-
l’uscita in questi anni, sembra infine confermare l’importanza delle va-
riabili identificate (presenza di conti e marchesi, scarsa negoziabilità
dei conflitti e abbandono del ruolo super partes dei podestà, mancato
coinvolgimento del « popolo » nella secessione). Come appare dal se-
guente schema a Brescia sono testimoniate molte più uscite che in qual-
cunque altra città: qui uscirono i milites nel 1200, la Societas Sancti
Faustini nel 1201, la societas Bruzele dal 1203 al 1206, i milites vicini a
Leno nel 1207, i milites filocremonesi nel 1208-1209, e nuovamente la
pars Bruzella tra 1208 e 1213 69.
Rispetto alle città della Marca, a Brescia vi erano più conti e la
loro area di influenza era più legata al territorio di quanto non lo fosse
alla città. Nel gruppo che comprendeva i conti di Casaloldo, di Redal-
desco, di S. Martino e di Montichiari non era compreso un lignaggio
di conti « di Brescia », paragonabile a quelli dei San Bonifacio di Vero-
na o dei Maltraversi di Vicenza. Le stirpi comitali inoltre, erano ben
lontane da assorbire interamente il complesso reticolo di fedeltà che
innervava la società del primo comune. Tre istituzioni ecclesiastiche di
grande rilievo esercitavano ancora potere e raccoglievano clientele: il
vescovo di Brescia, il monastero femminile cittadino di Santa Giulia e
quello di San Benedetto di Leno, ognuno con il suo gruppo di capita-
nei nel ceto dirigente comunale. Infine esisteva un cospicuo gruppo di
milites cittadini, che non detenevano giurisdizioni nel contado, e la cui
prevalenza nel ceto dirigente comunale cominciava a essere minacciata
dalle rivendicazioni del populus. A Brescia, in quattro casi su sei a
uscire fu almeno uno dei quattro comites, e i luoghi scelti furono sem-
pre connessi alle giurisdizioni che i comites e i loro alleati detenevano
nel territorio. Nel 1201 il conte Narisio di Montichiari, guida della
7 Illi qui in civitate Illi qui exiverunt > 1213 ante feb.
remanserunt (alleati con Milano) < 1213 ott. 5
mona con i milites bresciani nel 1201 si specificò che i cremonesi si impegnavano a
bandire e a tenere fuori dalla città chiunque si fosse opposto alla pars militum.
74 V. Capitolo II.
75 Gli Atti del Comune di Milano, p. 344 (n. CCLXIV).
76 Antiquae collationes statuti veteris civitatis Pergami, col. 1922. Sul bando perpe-
apportate alle disposizioni precedenti nel 1213, in occasione del rientro dei Monticoli,
patrocinato da Venezia. Una rubrica « De sententiis latis contra eos qui sunt ex parte
Monticulorum » annullò in quell’anno i provvedimenti (Liber Juris Civilis Urbis Vero-
nae, p. 17). Un’altra rubrica stabilì che a chi aveva ricevuto in concessione dal comune
beni sequestrati ai Monticoli spettava un risarcimento da parte dei proprietari rientrati
per i melioramenta effettuati sulle terre durante l’esilio (Liber Juris Civilis Urbis Vero-
nae, p. 121: « De expensis factis in possessionibus restitutis alicui ex parte Monticulo-
rum »). Dunque le terre sequestrate erano state concesse, con modalità che non cono-
sciamo, ad alcuni cittadini. Questa norma, che costringeva i riammessi ad ulteriori
gravami, venne in qualche misura attenuata poiché nella stessa rubrica si affermò che i
debiti contratti da coloro che erano usciti dalla città con i Monticoli sarebbero stati
pagati dal comune.
78 Leoni-Vallerani, I patti tra Cremona e le città della regione padana, pp. 124-125.
79 Leoni-Vallerani, I patti tra Cremona e le città della regione padana, pp. 116-117.
80 Leoni-Vallerani, I patti tra Cremona e le città della regione padana, pp. 117-118.
81 Annales Brixienses, p. 816: « rupta est inter milites et societate bruzele de men-
giurarono il trattato con Cremona furono 24; nel 1207 il gruppo dei
cavalieri che si era ritirato a Leno, era rappresentato da 33 persone
nel giuramento della pace; e la cifra di trenta o quaranta milites for-
nita da Giovanni Codagnello a proposito dei milites filocremonesi usciti
nel 1209 sembra comprovata dalle fonti documentarie. Più numerosi
appaiono i fuoriusciti bresciani del 1210: l’anno successivo con i Boc-
cacci da Manervio rientrarono e giurarono ben 125 persone, mentre
nel 1212 con Giacomo Confalonieri se ne aggiunsero altre 44 85. L’uscita
dunque e, a maggior ragione, la ritorsione che ne conseguì, riguarda-
rono gruppi limitati.
85 Leoni-Vallerani, I patti tra Cremona e le città della regione padana, pp. 119
(1200), 134-136 (1207), 142-144 (1209); ASCr, Fondo segreto, 2317 (1211); 2265 (1212).
86 ASBo, Comune, Diritti e oneri del Comune, Registro Grosso, c. 69v. Il rector
societatum è Guido de Tarrafogolis, membro di una famiglia che più tardi entrerà nella
società dei cambiatori. Il suo nome segue, nella lista dei presenti quello di Calanchinus
consul mercatorum.
87 Il primo a rendersi conto di questa anticipazione della partecipazione del « po-
volti non compare nelle liste di consoli, ma è attestata nella revisione del bilancio del
1193, con Guillelminus che risulta miles iustitie nel 1206 (Wandruszka, Die Oberschi-
chten Bolognas, p. 332).
Mutinensis.Dominus Azzo legum Doctor & dominus Albertus Guidonis Buualelli &
dominus Ubertinus Judex & dominus Guido Alberici de Scanabici Communis Bon.
Ambaxatores ex parte domini Will. De Pusterla Pot. Bon. & Communis illius terre
supplicaverunt domino G. Albanesi electo ac domini Pape Legato ut ad presens non
deberet intrare Civitatem Bon. & de hoc plures rationes assignauerunt, sc. quia ejus
adventus poterat generare discordiam & scandalum magnum inter Cives. Cum enim
certum sit & notorium quod quidam Civium Bonn. diligunt dominum Azzonem Mar-
chionem estensem alii vero diligunt dominum Salinguerram & in hoc ardore nimium
sint accensi velintque plures eorum prestare auxilium Ugoni de Guarmasio ad recupe-
randam Ferrariam Civitatem tum ex precepto domini Imp. tum quia sacramentis factis
in concordia de pace domini Marchionis & domini Salenguerre manutenendam putant
se teneri. Alii vero Cives putant non esse dandum auxilium rationibus quibusdam pre-
tensis ab eis & quia non credunt se teneri ex sacramentis factis de pace domini Mar-
chionis & domini Salinguerre manutenenda & quia non credunt predictum dominum
Marchionem pacem fregisse & specialiter pretextu quarumdam literarum destinatarum
a predicto domino Legato domino Episcopo Bon. in quibus continebantur quod nullus
Civium Bon. debeat dare auxilium Ugoni de Guarmasio vel alii ad recuperandam Fer-
rariam civitatem & si hoc facere attemptaverint quod excommunicationi a predicto
episcopo subjicentur. ne ergo ex talibus oriretur discordia et destructio Civit. Bon.
supplicaverunt ut dictum est jam dicto Legato ut ad presens si ei placeret non veniret
ad dictam Civitatem Bon. & specialiter hoc dicebant quod non uetabant venire ad
dictam Civitatem set ut si placeret ei interim se abstineret. tempore autem alio con-
gruo si ei placuerit dictam Civitatem visitare omnem honorem et reverentiam ei exhibi-
rent [...] ».
belins à Bologne, che ravvisa in questo episodio l’origine delle parti. Questo studio ha
il merito di segnalare questo conflitto bolognese, in precedenza poco considerato, ma
spiega lo scontro esclusivamente con la diversa reazione alla minaccia pontificia di
togliere lo studio, senza considerare che la divisione è precedente a questa minaccia.
sdem M.CC.xj. die dominico x. jntrante aprili jndictione terciadecima facta sunt hec
statuta a domino guilelmo de posterla potestate bon. jn pleno conscilio facto ad Cam-
panam conscilii. Statuimus et ordinamus quod si quis de Civitate bon. vel eius distric-
tu amodo in antea per se vel per alium aliquam peccuniam acceperit a domino Mar-
chione hestense vel a domino Sallinguerra vel a domino ycilino vel a comite sancti
bonifacij vel aliqua alia persona ad detrimentum alicuius partis vel alicuius hominis in
diviso civitatis bon. vel districtus causa adiuvandi vel deffendendi aliquem seu aliquo
modo vel ingenio sive permissu et voluntate potestatis ubi causam juxtam vel hone-
stam non fraudolentam ostenderit quare ipsam peccuniam acceperit totam amittat et jn
comune deveniat, et tantumdem de suo et plus arbitrio potestatis et jnsuper ad ali-
quod officium comunis Bononie deinde in anum non admittatur sive ad aliquam anba-
xatam communis faciendam ».
106 V. Capitolo II.
107 Frati, Statuti di Bologna, II, p. 199.
108 Frati, Statuti di Bologna, II, p. 200.
6. Conclusioni
1 Hessel, Storia della città di Bologna, pp. 328 e ss. Pini, Magnati e popolani a
Bologna, Fasoli, Appunti sulle torri, Wandruszka, Die Revolte des Popolo.
2 Wandruszka, Die Revolte des Popolo, p. 55.
3 De Vergottini, Arti e « popolo », p. 411. La testimonianza del consilium generale
del 1245 è in Frati, Statuti di Bologna, II, p. 50. Il consilium generale del 1229 è in
Savioli, Annali bolognesi, II, 2, p. 575.
4 L’unico precedente per il consilium generale a Bologna risale agli anni 1217-
1219. Allora, quando sembrano incrociarsi tensioni su numerosi fronti (una parte della
cavalleria comunale è partita per la crociata; da parte papale si riapre il problema della
minaccia di togliere al comune il controllo sullo Studium, poi in parte attuata attraver-
so il conferimento all’arcidiacono, quindi a un’autorità ecclesiastica, di conferire la li-
centia docendi) è attestata in maniera intermittente l’esistenza di un consilium generale
del quale tuttavia non è possibile definire l’estensione (Pini, Magnati e popolani a Bolo-
gna). Ma con il fallimento della lotta per lo studium e il ritorno di Federico II in
Italia, dal 1220, questo consiglio non è più convocato (De Vergottini, Il « popolo » a
Modena, pp. 282). Il consiglio del 2 gennaio 1219, che le fonti non chiamano con
l’aggettivo generale conta 247 membri (Savioli, Annali Bolognesi, vol. II, 2, pp. 394-
396, n.457), qualcuno in più rispetto ai 226 del 1216 (Savioli, Annali Bolognesi, II, 2,
pp. 364-367, n. 436). Forse si tratta di un segno del fatto che la convocazione del
consilium generale in quel periodo aveva lasciato comunque qualche traccia. Ma l’incre-
mento potrebbe essere anche dovuto al fatto che nel 1216 il consilium è costituito dal
solo consiglio di credenza, mente tre anni dopo con esso è riunita la curia, cioè gli
ufficiali del comune, senza che tuttavia il documento lo specifichi. L’ipotesi è suggerita
dalla somiglianza tra la cifra del gennaio 1219 (247 membri) con quella del luglio
1220 (229 membri). Nel 1220 un consiglio non generale di 248 persone è composto
per il 70% dal consiglio di credenza (il consiglio segreto) e per il restante 30% dalla
curia, cioè dall’insieme degli ufficiali comunali (giudici e milites della città e del conta-
do (Savioli, Annali Bolognesi, vol. II, 2, pp. 435-438, n. 490).
5 Savioli, Annali Bolognesi, III, 2, pp 90-95, n. 575.
6 Nel primo consiglio del XIII secolo quello composto da 71 persone nel 1203 il
territoriali; Tamba, Note per una diplomatica del Registro Grosso; Bocchi, Le imposte
dirette; Milani, Prime note su disciplina e pratica del Bando; Tamba, « Libri », « Libri
contractum », « Memorialia ».
10 Fasoli, Catalogo descrittivo.
luogo agli statuti che occorrerà rivolgere l’attenzione per valutare il modo
in cui, nel corso di questa generazione, cambiarono le forme dello scon-
tro politico e il i modo in cui si reagì al dissenso dei nemici interni.
Negli statuti, in particolare nei libri dedicati alla giustizia relativa ai
crimini straordinari (quelli per i quali non era esplicitamente prevista
una pena), si trovano infatti numerosi provvedimenti in materia di con-
flitti interni.
Questi conflitti furono profondamente modificati dal processo di
ampliamento dei consigli e dal primo accesso del « popolo ». Ritrovan-
dosi per la prima volta all’interno delle medesime istituzioni tutti i sog-
getti coinvolti, milites e pedites, aristocratici e « popolari », furono co-
stretti a formalizzare le proprie alleanze e a formare reti più estese che
in precedenza per difendere i propri interessi privati e di categoria. A
Bologna sul fronte del « popolo », rappresentato fino al 1231 soltanto
dalle Arti, a partire dal 1231 si riorganizzarono anche le società territo-
riali delle Armi 11. Sul fronte aristocratico, l’ampliamento del consiglio
sollecitò il superamento della microconflittualità nella direzione di una
polarizzazione in partes vere e proprie (un processo che fino a quel
momento era avvenuto solo occasionalmente, come nel 1211) e l’aper-
tura di queste partes a elementi socialmente inferiori, in precedenza
non cooptati, indispensabili a questo punto per poter difendere in con-
siglio interessi e ragioni.
Queste partes aristocratiche furono immediatamente osteggiate in
maniera forte dal « popolo », che anche in questo portava avanti, radi-
calizzandole, istanze che – lo si è visto – erano state già espresse nella
fase d’impianto del sistema del podestà forestiero. Si moltiplicarono i
provvedimenti che tentavano di porre un freno alla presenza di partes
aristocratiche, talvolta limitando il reclutamento da parte di queste dei
popolari iscritti alle società territoriali o di mestiere, pena l’esclusione
da queste società (come avvenne più volte secondo lo schema giunto
sino a noi in una redazione del 1248), talvolta regolandone la presenza
attraverso una distribuzione fissata di alcune cariche tra le stesse partes,
talvolta infine proibendone, con decreti magari poco efficaci, ma signi-
ficativi, l’esistenza tout court. Più in generale, nel corso di questa gene-
razione si cominciò a stabilizzare l’equivalenza tra iscrizione alle fazioni
nobiliari e messa a repentaglio del « buono stato del comune », che nei
provvedimenti scritti da Guglielmo Pusterla nel 1211 era ancora legata
all’emergenza di avvenimenti contingenti. In virtù di questo nuovo at-
teggiamento del governo bolognese, influenzato dalla presenza popolare
11 De Vergottini, Arti e « popolo », pp. 412-416.
2. Gli effetti della nuova partecipazione sui conflitti: lo scontro tra i co-
muni e Federico
luogo immune, e far decadere così la contumacia, ossia la condizione su cui si basava
il bando emanato contro di loro dal comune (I registri dei cardinali, p. 56: « Item
precepimus et laudamus ut turrim et ciborium maioris ecclesie Placentine pro securita-
te sua tenent milites Placentini, ita quod propter hoc milites ipsi potestatibus vel con-
sulibus placentinis inobedientes et contumaces aliquatenus non existant »). La quarta
volta, nel novembre 1221, fu il podestà di Cremona, il bergamasco Sozzo Colleoni, a
stabilire una tregua, che accoglieva nuovamente le richieste del popolo (Iohannis Coda-
gnelli Annales Placentini, p. 71. Iohannis Mussi Chronicon Placentinum, col. 459). La
quinta volta, nell’agosto del 1222, bastò la nomina del podestà, il cremonese Gerardo
da Dovara, a provocare l’allontanamento dei milites a Potenzano e la loro chiamata di
un altro cremonese, Isacco de Burgo, a proprio podestà (Iohannis Codagnelli Annales
Placentini, p. 71).
causa: stringendo un trattato che la legava alla sola parte dei milites
piacentini, allora in esilio, impegnandosi a osteggiare il « popolo » e il
suo capo Guglielmo Landi 27. A Milano, interessatissima a coinvolgere
Piacenza nella Lega, restò in tal modo l’arma della pacificazione, che
venne condotta con l’appoggio della Chiesa e condusse all’adesione di
Piacenza alla Lega 28.
Al contrario l’atteggiamento di Milano prima della formazione della
Lega, ben visibile a Lodi, è caratterizzato da una decisa scelta di cam-
po tesa a eliminare una delle due parti per rendere possibile un’egemo-
nia più compiuta. Già nel 1221 alcune cronache lodigiane menzionano
gli scontri tra la parte guidata dalla famiglia Sommariva e quella che
aveva a capo gli Overgnaghi. In seguito i disordini si rinnovarono e
con ogni probabilità nel 1223 i secondi vennero banditi per aver rifiu-
tato di sottostare agli ordini del podestà milanese Niger Prealonus, alle-
andosi, anch’essi, con un gruppo di signori di tradizione autonomista
rispetto a Milano, provenienti da Vaprio e Vistarino 29. Con una vera e
propria sentenza, che fu inserita negli statuti lodigiani, si impose agli
Overgnaghi di abbattere le torri, di non costituire una societas superio-
re alle otto persone e di sistemare alcune controversie di confine con i
Sommariva. Alla pars perdente era concesso di entrare due volte all’an-
no, per un periodo non superiore ai venti giorni, nel contado lodigiano
al fine di controllare i propri possedimenti, ma gli Overgnaghi non
potevano stipulare alienazioni e contratti. Questa sentenza, che prende-
va decisamente le parti dei Sommariva, condannando i loro nemici come
disubbidienti fu modificata dalla pace promossa nel 1225 dal podestà
Avenno di Mantova, che nello stesso anno aveva stabilito la pace anche
30 Gli atti del comune di Milano nel secolo XIII, I, pp. 213-216).
31 Su questa alleanza v. Chiodi, Istituzioni e attività della seconda Lega Lombarda,
ma resta ancora utile, per un primo approccio, Simeoni, Note sulla formazione della
seconda lega lombarda.
32 Le città confederate erano Milano, Brescia, Bergamo, Lodi, Crema, Vercelli,
richieste di adesione alla Lega avanzate da Milano. La città già da alcuni anni penco-
lava tra il fronte milanese, cui tradizionalmente era legata, e quello di Cremona, che
fornì propri podestà nel 1225 e nel 1226. Nel gennaio di quell’anno, mentre si allesti-
vano i preparativi per il rinnovo della Lega (che si sarebbe riunita per la prima volta
a marzo), fu emesso uno statuto che prevedeva il bando perpetuo e la confisca dei
beni per chiunque si fosse recato in territorio milanese. Il conflitto scoppiò in maggio,
quando i Colleoni, assieme ai Suardi (la famiglia che nel 1207 si era schierata contro il
comune e le vicinie), alleati con il podestà cremonese, combatterono contro i Rivola (il
lignaggio che vent’anni prima aveva preso le parti delle organizzazioni territoriali), fau-
tori di una politica filomilanese. Ma anche in questo caso si raggiunse rapidamente
una tregua che portò all’adesione di Bergamo alla Lega. Non sembra che in questa
occasione si fosse giunti all’uscita, che tuttavia avvenne nel 1228, quando i Rivola
procedettero alla distruzione di una torre dei Mozzi, alleati con i Colleoni, e questi si
allontanarono, spostando la battaglia fuori dalla città che aveva ricominciato a importa-
re podestà milanesi, e coinvolgendo contro Bergamo la stirpe rurale dei de Sexo. Le
due antiche famiglie che in passato, probabilmente sulla base di una rivalità « privata »,
si erano scontrate nell’ambito della contrapposizione milites/populus si trovarono dal
1226 a combattere sui due fronti che dividevano l’Italia padana e tale scontro coinvol-
se nella contesa, intensificandone l’unione con una delle parti cittadine, alcuni signori
del territorio. Su questi avvenimenti la fonte di riferimento è costituita da alcuni ellit-
tici passi degli Annales Bergomates, analizzati in Belotti, Storia di Bergamo, II, p. 22.
Di scarso ausilio risulta Capasso, Guelfi e ghibellini a Bergamo, mentre ancora utili
Mazzi, Le vicinie di Bergamo e La pergamena Mantovani.
34 Come si è accennato, proprio nel 1225 da un gruppo di aderenti al conte
casate assunto da Ezzelino III da Romano, fu la defezione del Veneto. A Verona nel
1232 – poco dopo, dunque, l’ulteriore pacificazione tra le partes operata dalla Lega –
Ezzelino e i Monticoli giurarono l’alleanza con Federico II, provocando l’allontanamen-
to dei conti e della loro parte da Verona e la rottura con i Caminesi a Treviso. Nei
cinque anni successivi l’adesione all’imperatore si allargò: si ribadì l’esclusione della
pars comitis da Vicenza, mentre a Treviso, dopo una prima fase di prevalenza dei
Caminesi (coincidente con l’allontanamento di Ezzelino nel 1235), la città venne ricon-
quistata al fronte imperiale assieme a Padova nel 1237 (per un primo orientamento
Castagnetti, La marca Veronese-trevigiana, pp. 235-237).
pars populi) e papato, poi, per l’alleanza del comune con Cremona,
quello tra Cremona e i milites in esilio; in seguito, quello risorto tra
milites rientrati e populus, e, infine, quello tra aristocratici all’interno
della pars populi fomentato dal Recoara. È l’inserimento di tutte queste
tensioni nel nuovo contesto della guerra sempre più intensa tra Federi-
co e i comuni che conduce all’uscita e al bando di Guglielmo Landi e
dei suoi aderenti. In questi aderenti è il secondo aspetto degno di nota.
Per la prima volta appare in maniera forte come alcuni populares – e
non aristocratici alleati con il popolo, su questo punto le testimonianze
sono evidenti 42 – siano disposti a seguire, in un’avventura tutto somma-
to inedita come quella dell’esilio volontario e dell’appoggio alla causa
imperiale, quel potente signore territoriale che li ha spalleggiati per molti
anni in una battaglia volta alla modifica delle istituzioni. Le ragioni
clientelari che spieghino una simile scelta non sono difficili da immagi-
nare, ma si tratta di un’opzione nuova e ancora in gran parte inedita
nel panorama delle città italiane 43.
Più semplice l’evoluzione degli schieramenti cittadini a Brescia 44. Qui
le tensioni interne culminarono nel fuoriuscitismo nel 1238, quando la
città era stretta dall’assedio dell’imperatore. In principio il vescovo, un
bergamasco, favorì dall’interno della città Federico, concedendogli i ca-
stelli del contado di sua pertinenza. A questi si aggiunsero rapidamente
alcuni grandi signori del territorio. Tra questi vi erano i figli di Alberto
di Casaloldo e Narisio di Montechiaro, vale a dire di due personaggi
che all’inizio del Duecento avevano guidato, rispettivamente, le due par-
tes cittadine dei milites e della societas Bruzele 45. A Brescia dei molti
processi visibili a Piacenza se ne riesce a identificare solo uno: al fronte
imperiale aderiscono alcuni signori del contado, che in un primo mo-
mento hanno cercato di intromettersi nella dialettica urbana, ma che in
seguito ne sono usciti, per promuovere, con l’ampliarsi della giurisdizio-
ne cittadina, un politica anticomunale. Dall’inizio del grande conflitto,
le partes interne subiscono quindi una profonda riformulazione in virtù
del rinnovato antagonismo tra comune e potere signorile.
Como, p. 205.
51 Su questi avvenimenti e l’inizio del dominio imperiale sulla Marca: Varanini, La
marca trevigiana. Per una ricostruzione degli avvenimenti, Verci, Storia degli Ecelini,
vol. II, pp. 181-197.
che non vi fossero varianti locali. Come mostrano le città della Marca,
sulle quali le ricerche prosopografiche sono più avanzate, se ovunque,
tra quanti si vennero a ribellare al comune, vi furono aristocratici dota-
ti di giurisdizioni nel contado, variò, a seconda della composizione del-
la società locale, la presenza di altri ceti 52. In conseguenza di ciò variò
il anche grado di mobilità interna alle partes. Anche nelle realtà urbane
in cui le partes costituivano da tempo aggregazioni stabili vi fu un cer-
to movimento di persone tra gli schieramenti in prossimità delle esclu-
sioni che caratterizzarono l’età di Federico II, ma tale movimento fu
più intenso laddove il « popolo » aveva raggiunto una qualche forma di
partecipazione 53.
Nel corso degli anni Trenta si venne, dunque, complessivamente a
catalizzare e a diffondere il processo di stabilizzazione dell’identità –
non della composizione – di due partes, che raccoglievano persone che
avevano partecipato al governo del comune e che, con intensità e fre-
quenza diverse, si erano scontrate tra loro in materia di configurazione
istituzionale o di scelte militari e di politica estera in sedi politico-
istituzionali oltre che in conflitti civili. Alla fine degli anni Venti erano
aumentate di molto le città che avevano fatto l’esperienza di una divi-
52 A Verona nel 1239 furono banditi, insieme ai conti di San Bonifacio, più di
novanta maschi adulti (il bando imperiale è edito in Verci, Storia degli Ecelini, III, pp.
270-271). Tra costoro si trovavano stirpi capitaneali come i Lendinara e i Turrisendi,
lignaggi signorili come i da Monzmbano, i Crescenzi, i da Villimprenta, i da Moratica
e un grande numero di cives veronesi, alcuni dei quali avevano sostenuto esplicitamen-
te la comunantia populi negli anni 1227-1230 (Varanini, Primi contributi alla storia della
classe dirigente veronese, pp. 301, 213. Lo stesso bando del 1239 segnala, come ha
notato Castagnetti, quanto diversa fosse la situazione nelle altre città della Marca: a
Ferrara il provvedimento imperiale si rivolse contro il solo marchese d’Este, senza coin-
volgere nessun altro cittadino. Non molto diverso, del resto, doveva essere il fronte
opposto. Quando, nel 1240 Azzo VII strinse d’assedio la città costringendo alla fuga
Salinguerra Torelli, moltissimi sostenitori dei Torelli passarono dalla sua parte (Casta-
gnetti, Società e politica a Ferrara, pp. 210-215. Poco dissimile infine doveva essere la
composizione delle partes vicentine, dal momento che nel bando del 1239 compaiono,
oltre ai conti, solo i loro vecchi alleati Pili, famiglia di giudici di recente tradizione
signorile.
53 A Verona i rivolgimenti furono dovuti dapprima al distacco dei Quattuorviginti
dalla pars comitis (1225), poi alla costituzione della comunancia populi (1227-1228) (Si-
meoni, Il comune veronese fino a Ezzelino, pp. 63-64). A Ferrara nel 1240 tornarono
con Azzo famiglie tradizionalmente filoestensi che si erano allontanate solo negli anni
venti (Giocoli, Fontana) e anche tradizionali alleati dei Torelli (Turchi, Guidoberti,
Constabili e singoli personaggi come Partenopeo di Egidio dei Guizzardi, Susinello
Susinelli, Galvano dei Misotti) (Castagnetti, Società e politica a Ferrara, p. 213.
no sul tema dei rapporti tra concezione federiciana del potere e modelli pontifici Lan-
dau, Federico II e la sacralità e Abulafia, Federico II, pp. 170-172.
56 Sulla cancelleria imperiale v. Schaller, Die Kanzlei Kaiser Friederichs II; Enzen-
berger, La struttura del regno; e Herde, Federico II e il papato. La lotta delle cancelle-
rie va contestualizzata con Capitani, Problemi di giurisdizione.
60 Friderici II. Constitutiones, p. 266. Già Kantorowicz, Federico II, pp. 422 e ss.
nostri, tam universitates locorum quam marchiones, comites et omnes alii, vivam et
instantem guerram faciant omnibus inimicis nostris et quod omnes modos et vias inve-
niant qualiter ipsis cum instancia guerra fiat.
2. Volumus etiam et mandamus, quod nullus omnino nostrorum fidelium cum infi-
delibus nostris aliquo modo vel ingenio per se vel per aliquem alium habeat omnino
tractatum, nullas ab eis litteras, nullum nuncium signumve recipiat; quod qui fecerit,
sicut antiquis legibus est inductum velut lese maiestatis reus ab omnibus habeatur ».
63 Verci, Storia degli Ecelini, III, p. 274 (in corsivo sono segnalate le formule più
vicine alla tradizione comunale): « [...] Citati coram ejusdem presentia comparere con-
tumaciter recusantes perpetuo banno Imperii tanquam proditores Corone precipimus
subjacere, ut eorum vassallos & servos a mandatis imperialibus se obtulerint parituros,
cujuslibet fidelitatis & servitutis nodo quo ejus tenerentur, omnino absolvimus, ut eis
de cetero nullius fidelitatis, vel conditionis vinculo sint adstricti, ac ipsos proditores
eorumque filios & sequaces atque universos qui potestatis et Comunis Verone non pa-
rent preceptis & extra Civitatem Verone morantur ad sententiam faciendam Communita-
una giurisdizione confinante con il contado parmigiano (oltre che piacentino e genove-
se), e trovò quindi in Parma, città che la aveva visto membro del capitolo, il suo
territorio d’elezione. Dapprima il nuovo papa agì secondo linee di condotta più tradi-
zionali: pochi giorni dopo la sua elezione sospese il vescovo parmigiano Bernardo Vi-
zio, trasferendo all’abate del monastero di S. Giovanni evangelista l’amministrazione
della chiesa cittadina.
69 Si trattava di Bernardo di Rolando Rossi, Bernardo da Cornazzano e membri
delle famiglie da Correggio e Lupi. Nei Rossi la fedeltà all’imperatore era antica: Rolan-
do era stato podestà imperiale in Emilia, Lombardia e Toscana, e Bernardo aveva spo-
sato una sorella dell’allora cardinale « ghibellino » Sinibaldo Fieschi. I da Correggio,
detentori di diritti nella bassa reggiana, erano stati anch’essi filoimperiali, ma Gherardo
aveva preso la guida di uno dei due raggruppamenti aristocratici cittadini che si erano
scontrati nel 1239. I Lupi costituivano invece una famiglia signorile di minore rilievo.
Parenti dei Pelavicino con i quali avevano contese, esercitavano il loro potere su Sora-
gna, nella bassa parmense. Recentemente tuttavia avevano stretto anche loro matrimoni
politicamente rilevanti: Guido aveva sposato una sorella di Bernardo di Rolando Rossi,
mentre suo figlio, una nipote di Innocenzo IV. Nel 1246 dalla città uscirono inoltre
altre due famiglie di milites: gli Arcili, e i da Beneceto. Con loro si schierò anche
Ghiberto da Gente, cavaliere di antica tradizione imparentato con i Rossi, la cui fami-
glia, probabilmente in declino economico, ancora nel 1240 risultava fedele a Federico.
Su queste famiglie v. ora Guyotjeannin, I podestà imperiali e Podestats d’Èmilie centrale.
70 A Reggio la traduzione dei conflitti aristocratici in senso politico era avvenuta
su influsso parmigiano già nel 1245, quando alcune grandi stirpi signorili cittadine: i
Roberti, i da Fogliano, i da Sesso, i Lupicini e pochi altri lignaggi si erano allontanati
dalla città e avevano subito il bando imperiale. A Modena il processo fu più comples-
so. Anche qui si erano manifestate tensioni in seno alle famiglie aristocratiche nel
corso degli ultimi anni Trenta e dei primi anni Quaranta. Sebbene già nel 1244, men-
tre il papa guadagnava terreno a Parma e Reggio, alcuni cittadini lasciarono la città
per aderire al fronte della Chiesa. fu soltanto nel 1247, in pieno assedio di Parma, che
la spaccatura si aprì nel seno dei più illustri sostenitori di Federico: i Rangoni e una
quindicina di milites de sua parte, che stavano combattendo assieme all’imperatore,
abbandonarono il campo.
71 Guyotjeannin, I podestà imperiali, pp. 124-125.
72 Nello stesso momento venne bandita da Cremona la fazione filopontificia dei
« Cappelletti ». Di essa facevano parte i Sommi, famiglia investita all’inizio del secolo
di numerosi diritti sulla riva destra del Po, e dotata probabilmente di un ramo anche
a Parma, i marchesi Cavalcabò, gli Amati, i Conti, gli Oldovini e i Casanova, tutte
famiglie che Innocenzo IV mise sotto la propria protezione. Indicazioni in Astegiano,
Ricerche sulla storia civile.
73 V. oltre par. 5.
74 Per fare un esempio, il giuramento prestato dagli estrinseci modenesi nel 1249
75 A Firenze i guelfi furono scacciati la prima volta nel 1239. Per molto tempo la
storiografia relativa ai comuni toscani ha considerato come un dato sostanzialmente
scontato che tale esclusione fosse fondata sull’esistenza di due fazioni di estensione
regionale già mature e organizzate. In realtà questa tesi sembra possibile solo nel caso
del tutto particolare di Pisa. Qui un’esclusione non incanalabile nello schema guelfi/
ghibellini era avvenuta già nel 1233-34, quando, in occasione di alcuni conflitti di
giurisdizione sui giudicati sardi di Cagliari e Torres tra il comune e la famiglia Viscon-
ti, quest’ultima era stata messa al bando, aprendo in Sardegna il territorio di formazio-
ne delle partes pisane (Petrucci, Re in Sardegna, pp. 39-47. Ronzani, Pisa e la Toscana,
pp. 71-72). Quanto a Firenze, sia nelle cronache più antiche, sia nella documentazione,
si comincia a trovare attestazione di queste due parti soltanto a partire dall’epoca di
Federico II. L’approfondito rastrellamento di Davidsohn ha rinvenuto la prima menzio-
ne cronachistica dei due termini « guelfi » e « ghibellini » in un passo dei cosiddetti
Annales Florentini II, scritti attorno all’inizio degli anni Quaranta. Il passo tratta del
conflitto avvenuto negli anni 1237-1239 tra un gruppo di cittadini favorevoli alla riele-
zione del podestà milanese Robaconte da Mandello, guidati con ogni probabilità dalla
famiglia Giandonati, e un’altra porzione di cittadinanza, al cui vertice si intravedono i
Fifanti, che invece caldeggia una più stretta adesione di Firenze al fronte imperiale,
concedendo all’imperatore la nomina del podestà. La lotta, complicata peraltro dalla
tensione tra il vescovo e il da Mandello, si sarebbe conclusa secondo la stessa fonte
nel 1239 sotto la podesteria del pavese Guglielmo Usimbardi, con la sconfitta dei
guelfi, la loro cacciata, seguita poi dalla pacificazione interna. Più che dimostrare l’esi-
stenza di due parti già stabili e organizzate, l’episodio segnala quindi il nuovo valore
politico che, come altrove, assumono le divisioni nell’aristocrazia cittadina alla fine de-
gli anni Trenta, mentre si intensifica la lotta con Federico II. È quindi solo verso la
fine degli anni Quaranta, in prossimità dell’altro apice della tensione tra pars imperii e
pars ecclesiae, successivo alla deposizione del 1245, che si rinvengono attestazioni docu-
mentarie dei nomi degli schieramenti e narrazioni cronachistiche (come quella di Gio-
vanni Villani, Nuova Cronica, I, pp. 315-320) che attestano la raggiunta maturità delle
fazioni cittadine.
76 Nel febbraio Federico scriveva a suoi fedeli commentando l’accaduto: « [...] li-
teras Friderici comitis Albe dilecti filii nostri recepimus, continentes qualiter in virtute
Dei et nostre felicitate fortune partem Guelphorum Florentie, cui dudum nostra maie-
stas pepercerat, cum juste ad ipsius exterminium procedere potuisset, que velut fami-
liaris et pestilentis cardinalis Octaviani tractatibus exposita, Bononiensibus nostris pro-
ditoribus advocatis civitatem Florentie per intestinum bellum nobis subtrahere intende-
bat, fidelium nostrorum assistentibus sibi suffragiis debellavit, et nonnullis captis quo-
sdam de civitate ipsa violenter ejecit [...] » (Huillard Breholles, Historia diplomatica
Frederici II, VI, 2, p. 586).
77 Tholomei Lucensis, Annales, pp. 75-76.
78 Ad Arezzo i guelfi esclusi nel 1249 rientrarono solo nel 1254.
tere con quelle vecchie della Lombardia e della Marca perché ormai
erano impegnate nella stessa guerra.
Gli statuti comunali mostrano come alla fine degli anni Quaranta la
ritorsione attuata contro i nemici interni subì significativi cambiamenti
rispetto a una ventina di anni prima. Alcune tendenze evolutive già
visibili verso il 1220 si andarono definitivamente affermando nell’inten-
sificarsi del conflitto con Federico II e nel diffondersi della sovrapposi-
zione tra dissidenza politica ed eresia. Si diffuse in tutta l’area padana
un medesimo termine, malexardi, per indicare i nemici politici. Teorici
e pratici del diritto cominciarono ad aggiungere sempre più frequente-
mente l’aggettivo « perpetuo » al termine bando (come si è visto da
oltre un secolo fondamento della giustizia comunale), dimostrando che
la pena dell’allontanamento per motivi politici non costituiva più un
provvedimento eccezionale che, proprio per la sua novità doveva essere
legittimato con il nome di uno strumento (il bando appunto) fonda-
mentale nell’esercizio della giustizia cittadina, ma era divenuta una spe-
cie particolare di quello strumento. Il sempre maggior peso che i bandi
perpetui assunsero venne così a minare il carattere revocabile del ban-
do, avvicinandolo sempre più alla pena dell’esilio. Accanto all’esclusione
punitiva, infine, – e questo fu il contributo più significativo che que-
st’epoca diede alla vicenda dell’esclusione – si fece strada un’esclusione
preventiva con la quale, nel tentativo di purificare preventivamente la
città dalla presenza di elementi pericolosi, i governi comunali inviavano
al « confino », cioè al soggiorno obbligato in alcuni luoghi del contado,
i propri cittadini. Complessivamente, ma in maniera ancora molto gra-
duale (l’evoluzione si compirà solo nel secolo successivo), l’esclusione
politica cominciò a perdere il carattere di misura eccezionale, di rispo-
sta del comune ad un’azione di ribellione comunque straordinaria e
dunque non prevista, per assumere quello di strumento più usuale di
governo, applicabile a diverse fattispecie di comportamenti e come tale
previsto dalla normativa. La maggiore presenza di rubriche dedicate al-
l’esclusione politica negli statuti successivi al 1230 non è dunque sem-
plicemente la passiva ricaduta sulle codificazioni statutarie del dilagare
di un conflitto, ma il segno di una nuova consapevolezza nella defini-
zione dei nemici interni: non più trascurabili eccezioni all’ordine pacifi-
cato, delle quali può recare traccia la sola sentenza, ma presenza stabi-
le, che, come tale, richiede l’inserimento negli statuti di casi precedenti
a cui ispirarsi e di delibere in base alle quali agire.
Come si è accennato in apertura di capitolo, dagli anni Venti, in
concomitanza con la prima penetrazione popolare, si affermò definitiva-
mente la conservazione di un insieme organico di documenti in regi-
stro: libri iurium, libri di statuti, libri di ambasciate e di ufficiali, regi-
stri amministrativi. Questa necessità di verifica fondata sulla scrittura si
accompagnò al progredire della riflessione giuridica, portando comples-
sivamente a una nuova formalizzazione nell’amministrazione della giusti-
zia visibile, a questa altezza, sopratutto nella proliferazione di libri di
banditi. È in questo generale diffondersi di nuove definizioni scritte e
di ricorso sempre più sistematico allo strumento del bando che va col-
locata la bipartizione tra bandi ordinari e bandi perpetui. Questa bipar-
tizione segnò il riconoscimento definitivo da parte dei giuristi dell’epo-
ca della contiguità esistente tra due istituti da lungo tempo presenti
nella normativa e nella pratica dei comuni: il bando giudiziario revoca-
bile, attuato contro i contumaci che non si presentavano in giudizio e
contro i debitori insolventi, e la pena dell’esclusione, l’exilium dei brevi
consolari, dotato di un profondo significato politico, che assunse ap-
punto il nome di bando perpetuo. I teorizzatori del XIV secolo avreb-
bero scritto che il bando perpetuo differiva dal bando ordinario in
quanto non era revocabile tramite la pace con l’offeso, ma soltanto con
il pagamento di una pena pecuniaria, spesso altissima 79. Esso aveva dun-
que un carattere in qualche modo giuspubblicistico poiché la parte of-
fesa era identificata con il comune. Un secolo prima, per gli statutari
della prima metà del Duecento, riportare definitivamente la pena del-
l’esilio nel campo del bannum significò tracciare una linea continua ca-
pace di congiungere tutti i tipi di sanzione, dalla più lieve alla più
grave, dalla multa per la mancata esecuzione di una stentenza alla esclu-
sione conseguente a una ribellione politica. Specificare che in quest’ulti-
mo caso si trattava di bandi « perpetui » significò tuttavia il manteni-
mento di una distinzione importante all’interno di questa linea conti-
nua, una distinzione tra provvedimento giudiziario e atto politico.
Come ha messo in rilievo Sara Menzinger, in un anno imprecisato
anteriore al 1234, Accursio inserì nella Glossa alle Istituzioni giustinia-
nee un passo in cui equiparò le pene romane della deportatio e della
relegatio a due differenti forme di bando. La deportatio era interpretata
79 Cavalca, Il bando, pp. 239-240: « tutti i bandi, anche quelli perpetui, si estin-
guevano quando il reo avesse espiato la pena inflittagli nel bando e nella condanna ».
– a ridosso della dieta di Piacenza – per gli eretici 83. Infine il bando
« pepetuo », ma solo in caso di mancato pagamento di una altissima
multa (200 lire se miles, 50 se pedes, 100 se notaio), fu decretato per
tutti coloro che avessero tentato di riunirsi in partes, tanto quella del
conte Bonifacio, quanto quella dei Monticoli e Quattuorviginti, nomina-
te assieme a tutti gli alleati esterni.
La configurazione degli scontri interni nei come scontri fra la « par-
te della chiesa » e la « parte dell’impero » affermataso negli anni Trenta,
non intaccò, anzi favorì il ricorso al bando perpetuo, che divenne lo
strumento abituale per punire la dissidenza. Alcune scarne menzioni
piacentine segnalano l’uso dell’espressione banniti pepetuales per indica-
re sia i milites che si allontanarono nel 1233, sia la pars imperii, che
subì la stessa sorte nel 1236 e che certamente subì il sequestro dei
beni 84. Inoltre, analogamente a quanto stava avvenendo nella politica
federiciana dell’esclusione (che si sarebbe concretizzata di li a poco nel-
la Constitutio contra infideles imperii), la sempre maggiore sovrapposi-
zione tra disubbidienza politica ed eresia spinse verso l’equiparazione
tra i rei e i favoreggiatori. Rivelatore al proposito è lo statuto bergama-
sco. Nel 1215, come si è appena accennato, per coloro che ospitavano
i banditi perpetui era stata prevista solo una pena di venti soldi. Nel
1237 furono banditi da Bergamo i signori rurali che avevano consegna-
to a Milano i castelli di Cortenuova e Mura. Il comune stabilì allora,
fissando precise multe, che nessuno doveva chiamare comites, ma sem-
plicemente proditores, Zilio, Guifredo e gli altri signori di Cortenuova;
che nessuno dovesse più sentirsi stretto a legami feudali con i conti
stessi e che nessun cittadino di Bergamo potesse recarsi nei luoghi da
loro controllati senza il permesso del comune, pena il bannum perpetua-
le, la distruzione dei beni immobili e il sequestro. Si provvide inoltre a
fissare delle ricompense per chi avesse catturato i traditori 85. È facile
notare in questi provvedimenti alcune similitudini con quanto due anni
dopo Federico inserì nella sua costituzione contro gli infideles imperii e
non è dunque improbabile che queste misure – visto anche il significa-
to del tradimento per Federico I – abbiano subìto direttamente l’in-
fluenza della diplomazia imperiale.
Lo stesso inserimento della Constitutio contra infideles imperii nello
statuto bergamasco mostra come questo intervento normativo federicia-
86 Antiquae collationes, col. 1946: Item statuimus quod si aliquis homo virtutis
Pergami tensabit [Sic, forse per « tentabit »] aliquod mercatum illis terris vel locis qui-
bus vetitum erit per comune Pergami, vel dederit seu traxerit vel dari seu trahi fecerit
tempore guerre, vel trahere seu dare facere temptaverit versus inimicos et in itinere
repertus fuerit, ipso facto sit in banno perpetuali et guastum de omnibus suis bonis
teneatur Rector ei facere ».
87 Antiquae collationes, coll. 1946-1947: « Item statuimus quod omnes nostrates
qui a tempore inceptionis guerre a nobis ad hostes fugierunt pro offensione comunis
Pergami vel divisorum, vel de cetero fugient, quod eorum persone perpetuo sint in
banno et res eorum perpetuo publicentur et in comune deveniant, [...] ».
88 Cavalca, Il Bando, p. 150.
89 Simeoni, Ricerche sulle origini della signoria estense, p. 19.
nò alcuni membri delle partes veronesi a Venezia 90. Infine, per essersi
sottratti al confino cui erano stati condannati per avere provocato scon-
tri, nel 1241 furono condannati al bando i filoimperiali genovesi. Per
quanto potenzialmente collegabile all’idea di separare i dissidenti-eretici
dal resto della popolazione, in quest’epoca al confino si fece ancora
poco ricorso, in primo luogo per effetto della breve durata delle esclu-
sioni 91. Solo nella generazione successiva sarebbe divenuto un provve-
dimento largamente diffuso.
La definizione della dissidenza elaborata nelle cancellerie del papa e
dell’imperatore pesò nell’adozione di un unico termine usato specifica-
mente per i colpevoli di reati politici. A Brescia e a Milano i nemici
filoimperiali vennero definiti come malexardi, un termine dispregiativo
di origine incerta, ma sicuramente connesso con l’aggettivo malus, che
indicò da lì in avanti i banditi politici in tutta l’area padana, così come
il termine malexardia (usato nelle espressioni banniti pro malexardia,
confinati pro malexardia) fu usato per definire specificamente il delitto
politico. Delle esclusioni dei malexardi da Brescia e Milano sappiamo
pochissimo, e come d’abitudine rimangono testimonianze esclusivamente
legate al sequestro dei beni. A Brescia, nel Liber Potheris è conservato
un documento relativo al sequestro dei diritti dei conti territoriali, che
contiene, oltre a una ventina di menzioni di banditi (la stragrande mag-
gioranza delle quali sono individuali), anche una breve formula eccet-
tuativa da cui si ricava che la colpa perseguita in quell’occasione fu
anche quella della fellonia feudale 92. A Como pochi anni dopo, ma-
lexardi fu usato per indicare i banditi antiimperiali dei cui beni i vicari
federiciani cedevano gli introiti al comune 93.
Precisazione del concetto di bando politico attraverso la distinzione
del bannum perpetuale, comparsa di atteggiamenti preventivi mediante
l’adozione del confino, impiego di termini unificanti sono tutti sintomi
del passaggio a una prospettiva più generale nella politica dell’esclusio-
ne dei comuni. Un passaggio non improvviso come mostra la docu-
mentazione vercellese degli anni Quaranta.
pp. 37-39.
93 Campiche, Die Comunalverfassung von Como, p. 200-205.
Sulla correzione del 1249 torneremo tra breve. Per ora vale la pena
di notare il procedimento di astrazione compiuto dai legislatori sul com-
portamento tenuto pochi anni prima dal rebellis Pietro Bicchieri. Ognu-
na delle sue azioni, già censurate con i bandi precedenti, divenne nel
1247 una delle componenti che concorrevano a formare l’immagine com-
plessiva di ogni futura ribellione. La congiura ai danni del comune e
della sua giurisdizione; l’aperta ribellione e inobbedienza; l’uscita dalla
città; l’alleanza con il nemico e persino la permanenza in compagnia
degli hostes furono assunte come singole azioni perseguibili in maniera
indipendente. Ma non fu solo questo a mutare, poiché, come la norma,
anche la pena, prevista ora anche per i familiari più prossimi, si affran-
cò dal caso particolare, dall’eventuale bando, e fu fissata a mille lire in
più della condanna comminata.
Dopo questi provvedimenti il nome di Pietro Bicchieri veniva cita-
to ancora esplicitamente, accompagnato da quello dei suoi familiari,
ma ormai quale specificazione della norma generale. Il suo bando ve-
niva giustificato retroattivamente in base alla validità dell’ordinamento
generale.
« Item statuit e ordinavit quod Petrus Biccherius (*) cum contra com-
mune Vercellarum de predictis omnibus fecerit et in predictis omnibus
comiserit. quod penis istorum statutorum ipse et eius filii et uxor subia-
ceant. et supradicte omnes pene ipse et eius filii et uxor subiaceant et
supradicte omnes pene in eo et eis et in quolibet casu locum habeant et
sibi vendicent. et si in virtute potestatis vel communis Vercellarum per-
venerit capite puniatur. nisi hinc ad diem jovis proximi venerit stare
mandatis potestatis »101.
(*)
nel 1249 corretto in « Advocati et omnes de eorum progenie tam clerici
quam laici et Vbertus de Bulgaro et filii et ablatici quondam domini Ferracani
de Arborio tam clerici quam laici. et omnes eorum sequaces et fautores et
adiutores existentes rebelles domino Imperatori et communi Vercellarum ».
103 Statuta comunis Vercellarum, coll. 1306-1312, il testo viene riportato sinottica-
105Le deposizioni sono edite con alcune inesattezze in Savioli, Annali Bolognesi,
III, 2, p. 196, num. 639. L’originale è conservato in ASBo, Comune, Curia del Podestà,
Giudici « ad maleficia », Accusationes, b. 1, fasc. 7.
106 Mi riferisco a una lista dei prigionieri a Parma conservata in ASBo, Comune,
Soprastanti alle prigioni, reg. 1241 e a due liste di presentazioni di cavalli del 1249
(ASBo, Estimi di città e contado, s. III, estimi restaurati, b. 57, reg 3D (1249); ASBo,
Estimi di città e contado, s. III, estimi restaurati, b. 3, reg B (1248).
107 La testimonianza più antica è in Petri Cantinelli Chronicon, p. 4. Ma v. anche
suoi banditi 108, segno che, in caso di bando, anche a Bologna i legami
tra aristocrazie urbane e rurali tendevano a stringersi. È dunque in
questo elemento, nel bando, che emerge un punto importante della
peculiarità dei conflitti bolognesi nell’età federiciana. Mentre nella Mar-
ca, in Lombardia e anche nell’Emilia filoimperiale, sembra prevalere il
volontario ricorso all’uscita da parte dei nobili cittadini, a Bologna ap-
pare più frequente il ricorso al bando da parte del comune, a sua volta
originato dalla volontà di intervento istituzionale nei conflitti violenti
della milizia. Se a Milano insomma i nobili si accordano con i domini
loci e per questo vengono banditi, a Bologna essi vengono banditi e
per questo si accordano con i signori rurali.
La grande quantità di documentazione bolognese conservata spinge
a pensare, per quanto riguarda il ricorso al bando dei nobili violenti,
una certa precocità, ma è probabile che si tratti di una deformazione
dovuta a ragioni esclusivamente archivistiche. Proprio a questa genera-
zione, nel contesto della più antica documentazione in registro, risalgo-
no i primi libri di banditi, e, all’interno di essi, alcuni bandi politici di
tipo nuovo. Il già nominato Registro Grosso, il più antico liber iurium,
è degli anni Venti. La prima raccolta di statuti in un corpus unitario,
che è andata perduta, daterebbe invece al 1237, ma sono molti gli sta-
tuti che risalgono al decennio precedente. I primi libri di amministrazio-
ne finanziaria (« Libri », « Libri contractuum », « Memorialia ») sono atte-
stati egualmente per gli anni Venti e Trenta del Duecento 109. Non stupi-
sce che in questa generale volontà di documentare e conservare i diritti
trovi spazio anche, nello stesso periodo, la documentazione giudiziaria
relativa alle procedure di esclusione. Restano importanti frammenti di
un registro con il quale nel 1226 (prima ancora della rivolta di popolo),
sotto la podesteria del veneziano Ranieri Zeno furono ordinati alfabeti-
camente i nomi dei banditi di tutti gli anni precedenti. Il dato indica
che a quell’altezza cronologica la pratica di registrare scrupolosamente i
banditi giudiziari di ogni anno fosse già largamente diffusa, al punto
che il grande numero di registri rendeva necessari strumenti di secondo
livello, come appunto l’indice alfabetico, che si è in parte conservato.
Al 1234 risale invece il più antico registro di banditi conservato
integralmente 110. Esso risulta diviso in quattro sezioni: bandi per malefi-
108 Oltre alle fonti citate v; anche Ghirardacci, Della Historia di Bologna, I, p. 164.
109 Tamba, « Libri », « Libri contractuum », « Memorialia ».
110 Un’analisi in Milani, Prime note su disciplina e pratica del bando. Ma cfr. an-
che i contributi nati dalla stessa ricerca: Gaulin, Les registres de bannis; Mehu, Structu-
re et utilisation, e Tamba, Per atto di notaio.
cio, bandi per debito, bandi per condanna, bandi alle comunità. In
tutti e quattro i casi, il meccanismo è lo stesso. Il bando costituisce la
risposta fornita dal comune alla mancata esecuzione di un precetto.
Rispettivamente, per le sezioni indicate, il precetto corrisponde all’ordi-
ne di presentarsi in giudizio a difendersi, a quello di eseguire il precet-
to di pagamento emanato dal giudice, a quello di pagare una condanna
stabilita da una sentenza e infine a quello di eseguire alcuni lavori pub-
blici. In tutti i casi il soggetto che non si è attenuto all’esecuzione del
precetto viene posto in una condizione che comporta la perdita di al-
cuni diritti, non sempre menzionati. Da questa condizione potrà uscire
solo ed esclusivamente se porterà a compimento l’ordine originario e se
si sottoporrà a una serie di altri oneri, come il pagamento di multe o
di diritti fissi. Una serie di annotazioni presenti nel registro stesso mo-
strano come i banditi di tutte le categorie poterono rientrare attraverso
le procedure previste dalla normativa statutaria.
Tra i bandi per maleficia contenuti in questo registro se ne osserva
uno diverso dagli altri. Si tratta del caso di Alberto Lambertazzi, di-
scendente di una delle famiglie più antiche della milizia urbana, il qua-
le non si era presentato a rispondere dell’accusa di omicidio sporta da
Andrea de’Amabili, padre della vittima 111.
Non sappiamo in quali circostanze si perpetrò il crimine. Certo è
che di fronte alla contumacia di Alberto il tribunale provvide all’ema-
nazione di uno strumento straordinario, il cui carattere fu accuratamen-
te esplicitato nella formula di bando. Il testo della condanna di Alberto
Lambertazzi è infatti costituito da una serie di clausole con le quali la
caratteristica di irrevocabilità del bando viene specificata in maniera estre-
mamente analitica. Vengono escluse, una dopo l’altra, tutte le possibili-
tà di assolvere il condannato: innanzitutto la pace con l’offeso; in se-
111 Frati, Statuti, I, p. 361: « In nomine domini nostri ihesu christi amen. In pleno
112 Il dato è interessante poiché costituisce una modifica del formulario ordinario
113 Secondo la cronaca Villola, i Dalfini giurarono pace ai Malatacchi, gli Andalò
ai Torelli, i Griffoni agli Andalò, gli Artenisi ai Castel de’Britti, i Galluzzi ai Carbone-
si, i Lambertini agli Scannabecchi e molti altri (Corpus Chronicorum Bononiensium, II,
p. 120).
114 Savioli, Annali bolognesi, III, 1, p. 182.
civibus sit munita, quia decet etiam non solum privatos, sed etiam rem esse publicam
pacta et convenciones servare, et ut si deinceps oportunum fuerit res sit boni exempli,
statuimus et ordinamus quod potestas teneatur jnfra unum mensem ab ingressu sui
regiminis extrahere vel extrahi facere de banno libere omnes bannitos qui intraverunt
plumacium vel crepalcore et steterint ad eius deffensionem tempore obsessionis Impe-
ratoris non obstante aliquo statuto vel ordinamento; exceptis bannitis pro falso, et
pace rupta, vel pro avere comunis malo modo accepto, vel strata robata, vel pro homi-
cidio si pacem non haberet et hoc quia per plures reformationes conscliliorum fuerit
ordinatum atque promissum: et de hoc potestas non possit petere absolucionem. hoc
statutum lectum et firmatum sub anno domini Millesimo. Ducentesimo. Quadragesimo.
V. die tercio exeunte Agusto (...) ».
7. Conclusioni
Quale eredità si trasmise dunque alla generazione che prenderemo
in esame nei prossimi capitoli, quella che nacque attorno agli anni Trenta
del Duecento e morì verso la fine del secolo, che si affacciò alla politi-
117 Statuti delle società del popolo di Bologna, II, pp. 96-99.
118 Statuti delle società del popolo di Bologna, II, p. 526.
ca negli anni Cinquanta e visse sulla propria pelle il periodo più inten-
so dell’esclusione comunale tra gli anni Sessanta e Novanta?
Dalla metà del XII secolo le città italiane avevano visto un generale
e progressivo aumento della partecipazione. Il numero di persone coin-
volte nella politica cittadina si ampliò fortemente dall’epoca di Federico
I a quella di suo nipote Federico II. Un simile aumento, determinato
dal generale movimento di crescita demografica ed economica, costituì
la ragione principale dell’intenso mutamento istituzionale delle città co-
munali tra XII e XIII secolo. A sua volta questo mutamento istituzio-
nale condizionò l’organizzazione dei conflitti che videro opporsi gruppi
sempre più ampi di cittadini. Nella generazione di Federico I le forme
tradizionali di partecipazione, l’assemblea plenaria e il consiglio, comin-
ciarono a manifestare i propri limiti. Nella generazione successiva tali
limiti si fecero manifesti ovunque, portando al successo il sistema, sorto
per varie ragioni in diversi luoghi, del podestà forestiero. Tale sistema,
fondato sulla presenza di un magistrato super partes e su quella di un
consiglio in cui valeva il principio di maggioranza, subì un allargamento
con il primo accesso del « popolo », che si ebbe – non ovunque –
nell’età di Federico II. L’ampliamento delle istituzioni consiliari condus-
se a una parallela estensione dei gruppi che si andavano organizzando
per far prevalere le proprie istanze all’interno di quelle istituzioni. Alla
fine degli anni Quaranta i gruppi che combattevano presentavano or-
mai una forma simile nelle diverse città: non solo in virtù di ragioni
esogene, come la formazione delle partes intercittadine dell’Impero e
della Chiesa, ma anche perché esisteva una tendenza alla polarizzazione
dei conflitti, dovuta a ragioni strutturali come il principio di maggio-
ranza che faceva tendere alla produzione di due schieramenti e, per
così dire, cronologiche, come il fatto che in molte città della Lombar-
dia e dela Marca parti e societates fossero ormai alla loro seconda ge-
nerazione e la loro esistenza fosse ormai data per scontata. Il peso di
queste ragioni variava da una città all’altra con il mutare dei caratteri
originali dell’aristocrazia, della presenza di scontri più antichi, dell’azio-
ne del papato e dell’impero, del successo di politiche « popolari » tese
alla repressione della conflittualità aristocratica e della sua potenziale
organizzazione in partes. Si andava da parti antiche e stabili come quel-
le di Ferrara, a parti che avevano appena subìto una trasformazione
come quelle di Piacenza, che dallo scontro milites-populus erano passate
a quello Federico II-comuni, fino a parti create artificialmente come
quelle di Parma, e a quelle già radicate, ma ancora non agganciate alla
contesa tra Impero e papato, come quelle di Bologna. Solo queste ulti-
IL SISTEMA DELL’ESCLUSIONE
LA GENERAZIONE DEL 1230
1 Il calcolo è stato compiuto sulla base dei dati desumibili dalle cronache e dagli
studi per le seguenti città: Alba; Alessandria; Arezzo; Asti; Bergamo; Bologna; Brescia;
Como, Cremona; Faenza; Ferrara; Firenze; Forlì; Genova; Imola; Lodi; Lucca; Manto-
va; Milano; Modena; Novara; Padova; Parma; Pavia; Piacenza; Pisa; Pistoia; Prato; Ra-
venna; Reggio Emilia; San Gimignano; Siena; Treviso; Vercelli; Verona; Vicenza.
tale numero passa da 16 per gli anni 1245-1250 a 23 per gli anni
1275-1280. Ancora più drammatico appare il contrasto se viene calcola-
to lungo l’arco di un trentennio: tra 1220 e 1250 le città ad avere una
parte esclusa erano in media 8, cioè una su quattro nel trentennio
successivo erano ben 17, cioè quasi una su due. Si può dunque affer-
mare che in questa generazione ebbe luogo lo snodo fondamentale nel-
la vicenda che ci interessa.
Il confronto tra le cronache di quest’epoca e quelle scritte nel peri-
odo precedente segnala quanto i contemporanei si resero conto di que-
sto cambiamento. Complessivamente, pur riportando un numero di esclu-
sioni notevolmente maggiore di quello del trentennio ancora precedente
(1190-1220), i cronisti che arrestano le loro narrazioni prima del 1250
non possiedono ancora quella consuetudine con l’esclusione e con la
presenza di partes organizzate, che nella generazione successiva avrebbe
portato addirittura a sviluppare embrionali teorie generali in proposito
a un osservatore attento come Salimbene de Adam 2. Prima della morte
di Federico non vi era ancora l’abitudine alla presenza di due alleanze
intercittadine capaci di escludersi reciprocamente in nome della Chiesa
e dell’Impero. Girolamo Arnaldi ha osservato che Giovanni Codagnello
– nonostante la qualifica di annalista guelfo attribuitagli da Pertz – non
faccia mai uso nei suoi annali non solo dei termini di guelfi e ghibelli-
ni, ma nemmeno di quelli di pars imperii e pars ecclesiae 3. Il cronista
piacentino si colloca quindi al di qua di una linea di separazione oltre
la quale la stabile presenza di partes sovracittadine costituisce un’inelu-
dibile chiave di spiegazione degli eventi vissuti dalla propria città. E
come lui si comportano scrittori e compilatori coevi. Cronache più scar-
ne, il più delle volte continuazioni di annali cominciati in precedenza,
come i brevissimi Annales Bergomates o gli appena più consistenti An-
nales Brixienses non riportano nemmeno tutti gli episodi di esclusione
avvenuti nelle rispettive città e noti da altre fonti. Mentre una narrazio-
ne sistematica e ricchissima come quella degli Annali Genovesi, pur
facendo esplicito riferimento alla « parte dell’impero », descrive l’esclu-
sione dei filoimperiali genovesi del 1240 connettendola ai precedenti
bandi emanati dal comune contro signori del contado e comunità ribel-
li, collocandola, insomma, in un contesto ancora strettamente locale,
non influenzato nemmeno indirettamente dalle città circostanti4. Riflet-
manualistico.
11 Artifoni, Tensioni sociali.
ostava l’idea fortemente rilanciata dal « popolo » secondo cui solo l’uni-
tà e la concordia generale poteva essere assunta come obiettivo politi-
co 17. Così, anche quando furono presi questi provvedimenti, non dura-
rono a lungo e non si ebbe quasi mai l’ulteriore trasformazione delle
« parti » in « partiti » legittimi 18. Da un lato, quindi, i gruppi organizzati
prodotti dal sistema podestarile continuarono a evolversi e a sviluppare
strategie per farsi valere nel corso dei conflitti, dall’altro, la loro azione
non fu veramente disciplinata dall’alto e si lasciò che fossero i rapporti
di forza a condizionare lo scontro. Così furono le stesse organizzazioni
in conflitto a premere per far passare modifiche istituzionali che li fa-
vorissero, mettendo in discussione l’assetto esistente. Mentre, all’inizio
del Duecento, si trovano solo richieste di ampliamento del numero dei
membri dei consigli, alla fine del secolo si registrano una serie di lotte
in merito a più strutturali spostamenti nell’equilibrio tra i consigli, con
l’inserimento di alcuni collegi e la cassazione di altri 19.
La compresenza tra un podestà debole, ma più legittimo, e una
serie di organizzazioni forti, ma meno legittime, si coglie bene scorren-
do la più antica cronaca bolognese conservata, che termina attorno al
1278 e fu quindi composta verosimilmente proprio da un esponente
della generazione che qui c’interessa. Pur nella sinteticità delle sue note,
questo breve testo rivela un autore estremamente sensibile al tema del
conflitto interno, chiaramente schierato con la parte filoimperiale dei
lambertazzi, assieme alla quale – come sembra – egli dovette abbando-
nare Bologna nel 1274, portando con sé la sua cronachetta 20. La scan-
sione annalistica deriva dagli scarni elenchi di podestà, ma le notizie
aggiunte ai nomi dei rettori sono molto più numerose e politicamente
caratterizzate rispetto al di poco posteriore Chronicon Bononiense (o
cronaca Lolliniana) 21. Fino agli anni Cinquanta le menzioni riguardano
ze in Najemi, Corporativism and Consensus, continuerà per tutto il XIV secolo nelle
realtà repubblicane.
20 Ortalli, Aspetti e motivi di cronachistica romagnola.
21 Questa interessantissima cronachetta frammentaria, pubblicata in in Petri Canti-
nelli Chronicon, pp. 1-13 (da cui si citerà nelle seguenti note, pur non trattandosi
dell’opera di Cantinelli) non è stata considerata sufficientemente dalla storiografia, al
punto che il repertorio della cronachistica emiliano-romagnola non le dedica una scheda
autonoma. Sul suo autor e su quello della Lolliniana v. Ortalli, Aspetti e motivi di
cronachistica romagnola e Ortalli, Alle origini della cronachistica bolognese.
22 Petri Cantinelli Chronicon, pp. 7-8: « Hoc anno fuerunt maximi rumores in
Mediolano fuit capitaneus populi. Hoc anno civitas Bononie fuit in magno periculo, et
magni fuerunt ibi rumores, dolo et fraude capitanei, qui tractavit et feci se [eligi] in
potestatem anno futuro, contra sacramentum suum, et contra formam statuti comunis
Bononie ».
24 Petri Cantinelli Chronicon, p. 9: « Hoc anno pars Geremiorum de Bononia tali-
ter operata est, quod expulsus fuit de potestaria, et solutus fuit integre de feudo suo,
et fuit licenciatus de regimine ».
25 Il medesimo schema interpretativo (e narrativo) è applicato ai fatti del 1267:
« Hoc anno dictus potestas fuit solutus de feudo suo et expulsus de potestaria propter
tà assunta dai principi sui quali si basava il sistema del podestà fore-
stiero. Ma il ricorso ad essa nella polemica politica mostra che il pode-
stà poteva essere strumentalizzato dalle parti che, proprio perché si trat-
tava di una istituzione di per sé autorevole, cercavano di guadagnare il
favore del magistrato forestiero.
Un episodio di questo tipo ebbe luogo a Bologna nel 1258. In
quell’anno vi furono a Bologna gravi rumores tra le parti, in particolare
tra la famiglia Galluzzi, schierata sul fronte geremeo, e la famiglia An-
dalò, che fino al 1274 avrebbe avuto la guida della parte lambertazza 26.
Il podestà Alberto Greco prese posizione per quest’ultima. Come appa-
re da un documento si era infatti preventivamente accordato con Bran-
caleone Andalò, in quel momento senatore a Roma, per favorirne la
parte 27. Trattando di quell’anno, l’anonimo cronista, che come si è det-
to seguiva la parte lambertazza, si limitò a scrivere: « Dominus Albertus
de Grego de Mantua fuit potestas Bononie, et fuit bonus et comunis
potestas, et multos malefactores interemit tempore suo ». Proprio per-
ché riteneva che l’abbandono dell’equidistanza da parte dei magistrati
foresteri fosse qualcosa di profondamente negativo, qualcosa da rimpro-
verare ai propri avversari, passò sotto silenzio il conflitto in cui il po-
destà aveva programmaticamente favorito la parte a cui era legato.
Tra gli altri elementi che questo attento e partecipe osservatore del-
la vita politica dava per scontati va rilevata la presenza delle istituzioni
popolari accanto a quelle del comune. Si è appena accennato al fatto
che egli denuncia in termini simili a quelli adoperati per il podestà le
pressioni esercitate dai geremei sui capitani del « popolo ». Ciò dimostra
che nella sua visione le magistrature del « popolo » erano altrettanto
legittime di quelle comunali, mentre lo stesso non si poteva dire per
57: « MCCLVIII. Dominus Albertus Gresius de Mantua potestas. Eo anno fuit ma-
gnum prelium inter Galucios et illos de Andalo »).
27 Savioli, Annali Bolognesi, III, 2, p. 354: il podestà Alberto Greco promette a
quelle delle due partes dei lambertazzi e dei geremei. Rispetto a una
ventina di anni prima, quando un ordinamento aveva cercato di divide-
re tra tre soggetti politici (il « popolo » e le due partes) la composizione
del consiglio comunale, attorno al 1270 il « popolo » costituiva ormai
una porzione importante dell’ordinamento politico bolognese, mentre le
partes, pur essendo fortemente presenti, proprio in virtù dell’egemonia
popolare, non erano più riconosciute ufficialmente. Tra le varie organiz-
zazioni che avevano cominciato ad agire all’interno del comune pode-
starile, favorite dallo sviluppo di questo sistema di governo, una, il « po-
polo », era stata accettata e introdotta nel novero delle istituzioni ordi-
narie, le altre, le partes, rimanevano al di fuori. Le ragioni di questo
sviluppo vanno cercate nell’esito di un conflitto e segnalano un nuovo
rapporto di forza. Ma a questo esito aveva contribuito il fatto che il
« popolo », a differenza delle partes, sin dalla sua prima costittuzione
unitaria si era presentato come una struttura sorta per sostenere non
per occupare il comune, a cui aveva giurato fedeltà 28. Il « popolo »,
inoltre, intraprese sin dalla sua nascita una lotta contro i conflitti dei
gruppi aristocratici, e venne quindi a convergere sui principi di equidi-
stanza che caratterizzavano, come si è visto, il regime podestarile sin
dalla sua origine. Per queste ragioni, e non solo a Bologna, riuscì a
penentrare e a ottenere grandi successi nel terzo quarto del Duecento.
Per cogliere appieno le modalità del passaggio dal regime inclusivo
degli anni Cinquanta ai regimi esclusivistici degli anni Settanta non
basta quindi osservare le ragioni che avevano condotto alla formazione
e alla stabilizzazione di organizzazioni indipendenti nel comune pode-
starile, occorre anche considerare in che modo la più forte di quelle
organizzazioni, il « popolo », fornì al comune strumenti capaci di con-
dizionarne profondamente lo sviluppo, in particolare in materia di esclu-
sione politica.
28 Lo statuto generale delle società delle Arti e delle Armi del 1248 si apre così:
« In nomine domini nostri Ihesu Christi amen. Ad honorem Dei et gloriosissime virgi-
nis marie et omnium santorum et bonum statum communis Bononie et omnium socie-
tatum civitatis eiusdem, tam Artium quam Armorum ». Il giuramento degli anziani, che
segue immediantamente recita: « Iuro ego ançianus populi Bononie ad santa Dei evan-
gelia regere et conducere, manutenere, defendere et consiliari societates Armorum et
Artium civitatis Bononie et omnes et singullos ipsarum societatum, et salvare et guar-
dare bene et bona fide ad maiorem honorem et bonum statum dicti populi ipsaru-
mque societatum et hominum toçius communis Bononie. Et fortiam, auxilium et con-
sillium pro meo posse bona fide dabo potestati Bononie vel rectori ad regendum et
manutenendum et defendendum civitatem Bononie et districtum ac episcopatum in
bonu statu » (Statuti delle società del popolo di Bologna, II, p. 501).
29 Sulle società di « popolo », oltre alla letteratura citata alla nota precedente, è
essenziale, anche se talvolta semplificante Koenig, Il « popolo » dell’Italia del Nord. Per
una contestualizzazione si può vedere Artifoni, Corporazioni e società di « popolo ».
Ancora molto utili i saggi di De Vergottini, Il « popolo » nella costituzione del comune
di Modena; De Vergottini, Il « popolo » di Vicenza; De Vergottini, Note sulla formazione
degli statuti di « popolo », e soprattutto De Vergottini, Arti e « popolo » nella prima
metà del secolo XIII; e sulla legislazione antimagnatizia Fasoli, Ricerche sulla legislazio-
ne antimagnatizia.
30 Il punto di partenza per comprendere l’evoluzione politico istituzionale dei co-
muni nella seconda metà del secolo XIII è costituito da Artifoni, Tensioni sociali. Lo
stesso argomento è stato ripreso nella recente sintesi Artifoni, Città e comuni, pp. 375-
379, e da un punto di vista differente in Maire Vigueur, Représentation et expression
des pouvoirs. Numerosi gli spunti offerti dal volume collettivo Magnati e popolani nel-
l’Italia comunale (in particolare, per una prospettiva comparativa nei saggi di Camma-
rosano, Ricambio ed evoluzione dei ceti dirigenti; Maire Vigueur, Il problema storiografi-
co: Firenze come modello; Bortolami, Le forme societarie). Altre sintesi dotate di vaste
rassegne bibliografiche sull’argomento sono costituite da Pini, Dal comune città-stato al
comune ente amministrativo, da Bordone, La società urbana nell’Italia comunale; da
alcuni saggi contenuti in Forme di potere e struttura sociale in Italia (in particolare
Sestan, La città comunale italiana e Cassandro, Un bilancio storiografico); da alcuni
saggi contenuti in La crisi degli ordinamenti comunali (in particolare Sestan, Le origini
delle signorie cittadine; Ventura, La vocazione aristocratica della signoria; e Jones, Co-
muni e Signorie); e dai capitoli V e VI di Tabacco, Egemonie sociali. Risultano utili in
una prospettiva di inquadramento generale, anche se per certi versi superate, le sintesi
di Hyde, Società e politica nell’Italia medievale; Waley, Le città-repubblica dell’Italia
medievale.
33
Fasoli, Ricerche sulla normativa antimagnatizia, pp. 252-255.
34
Fasoli, Ricerche sulla normativa antimagnatizia, ricorda al proposito gli statuti di
Padova, Parma e Prato.
35 Fasoli, Ricerche sulla normativa antimagnatizia, ricorda al proposito gli statuti di
Hagen Keller per mostrare in atto l’esustenza di una distinzione cetuale nell’Italia pie-
nomedievale (Keller, Signori e vassalli nell’Italia delle città, p. 8).
37 Per limitarsi agli statuti di questa generazione, provvedimenti di questo tipo
appaiono a Lucca, Cremona, Chieri, Siena, Alba, Padova, Parma, Bergamo, Verona,
Bologna (Fasoli, Ricerche sulla legislazione antimagnatizia).
38 Fasoli, Ricerche sulla normativa antimagnatizia, p. 283 ricorda che negli statuti
parmigiani è prevista a questo scopo una commissione di 100 sapienti.
39 Nel corso di questa generazione le tracce si trovano solo negli statuti di Pado-
50Scrivendo al comune di Siena per chiedere che fossero rispettati i patti, già
stipulati in seguito alle vittorie fiorentine, in cui era stato stabilito che la città ghibelli-
na non potesse accogliere banditi di Firenze, si affermò « (...) quod non recipiatur in
eorum civitatem et terris aliqua persona que guerram faceretur vel facere vellet civitati
Florentie. Item quod non recipiatur ne teneantur in eorum fovea vel districtu aliquem
exbannitum a comuni Florentie pro proditione vel feritis unde sanguis exiret vel pro
seditione vel conspiratione vel pro aliquo malefitio [...] Et quod debeat ipsos exbannitos
expellere de civitate et districtus Senarum. Item quod non recipiatur aliquam perso-
nam que faceat vel seditione, vel conspiratione contra comune Florentie vel comitatum
eius vel que sit rebellis vel inimica comunis Florentie et quod debeat ipsum expellere
et exbannire de civitatem Senarum et districtum et quod non permittat eos ibi morari
secundum tenorem scripture pacis et concordie habite et facte inter ipsa comunia et
etiam secundum tenorem sotietatis et carte societatis et pactorum facte et factorum et
compositorum inter ipsa comunia et nominatim infrascriptos qui sunt exbanniti a co-
mune Florentie in anno presenti pro proditione, seditione, conspiratione et feritis unde
sanguis exivit et maleficio enormi, videlicet: [seguono 40 nomi] » (ASFi, Capitoli, XXIX,
c. 318r).
51 Per i fatti narrati, v. Davidsohn, Storia di Firenze, II, p. 544. Per la documenta-
rentur, quod Deus avertat, de ipsa civitate, [Siena] debeat eis providere in soldis se-
nel 1245) in atti relativi alla spartizione dei beni dei banditi, in qualità di destinataria
delle confische. Varanini, Il comune di Verona, pp. 148-149.
56 Per un’analisi di tali condanne v. Rippe, La logica della proscrizione.
57 Bortolami, Honor Civitatis, p. 180-181: « [...] l’esercizio dell’enorme potere che
Ezzelino si trovò ad avere nella terraferma veneta in quanto capo militare e consigliere
dello schieramento politico filoimperiale [...] non si esplicò affatto, almeno fino al 1243
e specialmente nei primi tre anni di presenza in città, in forme gran che dissonanti da
logiche e pratiche tradizionali [...] ».
famiglia dei Pleo, che aveva sostenuto Ezzelino, ebbe inizio nel 1252
l’escalation autoritaria 58. Solo qui, dunque, nel Veneto dell’ultima età
ezzeliniana, si osserva una trasformazione della struttura politica basata
su un sistema podestarile e sulla presenza di due partes che all’interno
di questo sistema si fronteggiano, in un regime di parte vero e proprio.
E tale trasformazione, con un paradosso soltanto apparente, comporta
proprio la decapitazione della pars intrinseca per mano dello stesso si-
gnore della città 59.
le accuse con premi pecuniari come era stato già suggerito dalle ritor-
sioni dell’età federiciana, ma anche inviando nunzi e notai nei luoghi di
soggiorno obbligato, e inserendo tra i doveri del podestà e delle altre
magistrature la persecuzione dei banditi e la tenuta dei registri di esclu-
sione. Si avviò così la produzione di una documentazione di tipo nuo-
vo, necessaria all’espletamento di queste procedure, che si fondò in
gran parte su tecniche già acquisite dai primi regimi a partecipazione
« popolare » e applicate per la riscossione delle imposte dirette, la par-
tecipazione militare e il reclutamento dei consigli comunali. In tutti questi
ambiti i comuni avevano iniziato a produrre documenti di riferimento
in forma di elenco nominale. Le competenze notarili che avevano con-
sentito la produzione di queste liste furono messe al servizio della nuo-
va esigenza politica, e si pervenne in molte città alla formazione di liste
di banditi e confinati. Come si vedrà chiaramente dall’analisi dagli elen-
chi fiorentini, questi elenchi non vennero assunti come elenchi chiusi e
immodificabili, ma come registri di riferimento provvisori e aggiornabili.
Il mantenimento della possibilità di rientri condizionati, di assoluzioni,
di aggravamento della pena del confino in caso di mancata presentazio-
ne, fecero sì che le stesse condizioni penali del bando e del confino
non si configurassero come perpetue, ma come elementi provvisori di
un sistema di esclusione complesso, all’interno del quale si poteva pas-
sare dall’una all’altra categoria penale a seconda del proprio comporta-
mento o della dimostrazione in sede processuale di una maggiore o
minore pericolosità.
L’esclusione giunse così a condizionare tutti gli aspetti della vita
pubblica, in primo luogo la politica economica e la normativa. Una
parte rilevante della persecuzione fu rappresentata dall’amministrazione
dei beni dei banditi, che in un primo momento (e anche questo costi-
tuisce un segnale della novità) scatenò una serie di dibattiti in merito
alle modalità della sua attuazione, e in seguito fu resa più complessa
proprio dai rientri e dalle modifiche delle condizioni. Al fine di far
fruttare i beni dei banditi si provvide alla scrittura di altri elenchi che
costituivano basi su cui produrre ulteriore documentazione relativa al-
l’affitto e alle altre forme di concessione. È molto difficile valutare qua-
le fu il peso che tali introiti ebbero nelle finanze dei comuni, ma a
giudicare dall’insistenza degli statuti non si trattò di entrate marginali.
Come mostrano bene le città lombarde, i nuovi regimi formalizzarono
la propria prevalenza e quella dei gruppi organizzati che li sostenevano
attraverso una rilevante opera di riscrittura e riforma degli statuti citta-
dini. Oltre alle nuove pene, anche le nuove regole, vennero dunque
fissate dalla scrittura.
Anche sotto un altro aspetto i nuovi regimi risultavano eredi dei
regimi di « popolo ». La direzione delle procedure che la nuova per-
secuzione dei banditi e dei confinati richiedeva venne normalmente
accentrata in una societas « di parte », che spesso fondò la propria
legittimità istituzionale sul fatto che i suoi membri avevano in prece-
denza subito un’esclusione. Questo iniziale monopolio sulla persecu-
zione dei nemici, fondato sul mendum, sul risarcimento dovuto in
ragione dell’antica esclusione, restò a lungo un elemento di legittima-
zione delle partes intrinseche, che giunsero in alcuni casi a esercitare
la propria egemonia sul comune attraverso gli stessi sistemi che aveva
utilizzato il « popolo »: costituzione di consigli separati, magistrati di
vertice, commissioni speciali. La penetrazione di queste strutture fu
però condizionata dalla tradizione politica locale. Nella conformazio-
ne dei nuovi regimi pesarono le precedenti esperienze di « popolo »
come quelle signorili.
In base a queste varianti l’esclusione assunse forme più dure o
più morbide. Ovunque, tuttavia, nel momento della sua affermazione,
l’idea di una divisione netta ed esclusiva della cittadinanza incontrò
delle resistenze. Non fu immediatamente accettata da quanti – soprat-
tutto all’interno del « popolo » – erano ancora convinti che, al di là
delle adesioni a uno dei due schieramenti, potesse esistere una zona
franca di estraneità al conflitto. Ma non fu solo il « popolo » a mani-
festare una tendenza conciliativa rispetto alle procedure che si anda-
vano diffondendo. Un altro gruppo sembra complessivamente mostra-
re scarso entusiasmo per le nuove forme di giustizia politica: i giuristi
e i pratici del diritto. Degli effetti di tale resistenza, in qualche misu-
ra testimoniati anche da questi processi pratesi di cui si dirà nel pros-
simo paragrafo, si parlerà più diffusamente nei prossimi capitoli, poi-
ché a Bologna essi appaiono con grande chiarezza. Qui basti notare
che la resistenza dei giurisperiti sembra ben conciliabile con quella
che si manifestò all’interno dei consigli cittadini: sapientes e consigli
del comune costituivano due elementi tipici di quel comune podesta-
rile che le nuove forme di esclusioni e la presenza delle partes orga-
nizzate nelle istituzioni stavano vigorosamente riformando senza tutta-
via riuscire ad annullare 66.
66 Sul ruolo dei giuristi in qualità di sapientes nella politica comunale v. ora Men-
67 A Siena lo stesso movimento sarebbe avvenuto pochi anni dopo, tra 1269 e
848-849. È interessante notare che questi particolari (la durata della carica, l’impegno
militare) li conosciamo grazie a una sorta di sacramentum sequimentis potestatis che
nello stesso 1267 venne fatto giurare a tutti i ghibellini rimasti in città. Un estratto dal
libro dei sacramenta dei ghibellini fu pubblicato in Del Lungo, Una vendetta in Firen-
ze, pp. 396-397.
74 Non si dovette trattare però di un’operazione troppo complessa. Fino a poco
tempo prima la maggior parte dei guelfi erano stati fuori città, soggiacendo alle pene
del bando e del confino. La divisione quindi era stata già formalizzata da un’esclusio-
ne, sicuramente documentata. Inoltre, in seguito al loro rientro, avvenuto dopo il no-
vembre 1266, si era provveduto alla creazione della magistratura dei « trentasei uomini
eletti alla riforma della città », i cui componenti dovevano essere egualmente ripartiti
tra le due partes. Davidsohn, Forschungen, IV, pp. 175-177 dimostra che la magistratu-
ra dei Trentasei venne istituita solo dopo il novembre 1266 e cita come sua ultima
attestazione un atto notarile del 24 marzo 1267, che menziona i « trigintasex viri electi
ad reformationem civitatis ». Tale commissione, preposta in primo luogo alla pacifica-
zione interna, era rimasta attiva fino agli scontri di aprile. È dunque molto probabile
che si fossero stilate liste di eleggibili dei due partiti, in base a dichiarazioni individua-
li o presentazioni dei vicini di parrocchia.
75 I convocati promisero di essere fedeli e obbedienti agli ordini del papa, di
mantenere il re Carlo e i suoi vicari come signori e rettori di Firenze fino al 1274, di
consigliarli e aiutarli in ogni modo a conservare il loro incarico e di evitare loro ogni
danno, o in caso di impossibilità, di avvertirli. Essi si impegnarono inoltre a combatte-
re i nemici del re o del comune di Firenze, facendo loro guerra quando fosse stato
ordinato, in particolare contro quanti tenevano prigionieri o controllavano castelli del
comune o delle città fedeli alla pars Ecclesie. Infine essi giurarono di combattere Cor-
radino, di non ricevere da lui lettere o ambasciatori, di catturarli nel caso in cui fosse-
ro giunti, di non ricevere in città alcun imperatore eletto senza un consenso unanime
fino a che non fosse stato approvato dalla Chiesa (Del Lungo, Una vendetta in Firen-
ze, p. 396).
76 Del Lungo, Una vendetta in Firenze, p. 397: « [...] quibus Lapo et fideiussori-
che almeno uno dei fideiussori (Nasus f. Bencini risulta inserito nelle condanne conte-
nute in ASFi, Capitani di parte, Numeri rossi, 20, p. 102 (Il Libro del chiodo, p. 212).
78 Non sappiamo quando l’operazione ebbe inizio, ma certamente era già avviata
alla fine del 1268 e continuò per una parte del 1269. Il termine iniziale si ricava dal
documento del 12 dicembre 1268 pubblicato in Del Lungo, Una vendetta in Firenze,
p. 292. Le pene menzionate nel Libro del chiodo in alcuni casi vengono esplicitamente
stabilite in base alla delibera del 12 dicembre 1268, come a esempio, ASFi, Capitani di
parte, Numeri rossi, 20, p. 81 (Il Libro del chiodo, p. 171): « Hii sunt ghibellini suspec-
ti de sextu Ultrarni qui, secundum ordinationem factam anno Dominice incarnationis
millesimo ducentesimo sexagesimo octavo, die mercurii duodecimo decembris, indictio-
ne duodecima, tempore domini Isnardi Ugolini regii vicarii Florentie, debent ad confi-
nes extra civitatem et comitatum Florentie commorari »); in altri ancora sono datate
1269, come a esempio, ASFi, Capitani di parte, Numeri rossi, 20, p. 112 (Il Libro del
chiodo, p. 231): « Isti sunt ghibellini confinati tempore domini Isnardi Ugolini regi
vicarii Florentie, tempore nobilis viri domini Malateste de Veraculo, excellentissimi do-
mini Karuli, Sicilie Regis, vicarii in regimine florentino, qui debent extra civitatem
Florentie comitatum et totum districtum ad confines morari, sub annis Domini milesi-
mo duecentesimo sexagesimo nono, duodecima indictione. Florentie »).
79 Esso comprendeva: i dodici boni viri super bono statu et custodia civitatis et
super violentiis reprimendis deputati, una balia straordinaria, composta di due uomini
per sestiere, che aveva sostituito nelle funzioni di governo la precedente magistratura
mista dei Trentasei, e che si mantenne a Firenze fino alla pace del cardinale Latino
(1280). L’unico personaggio di cui possiamo dire con certezza che fece parte dei « do-
dici » fu Guglielmo Sgualze, un guelfo che aveva subìto la distruzione delle case e che
venne rimborsato per ben duecento lire (Brattö, Liber Extimationum, p. 21).
80 Sulla base della lettura erronea di un documento contenuto nel Libro del chio-
do, Davidsohn ha voluto vedere in essi i rappresentati dei confinati ghibellini, a cui
sarebbe stata data dai guelfi la possibilità di partecipare, evidentemente con una rap-
presentanza minoritaria, alla selezione dei loro compagni di partito (Davidsohn, Storia
di Firenze, II, 2, pp. 850-851). Che si trattasse di una società di guelfi lo attesta in
maniera evidente il nome dell’unico nome della società dei confinati giunto fino a noi:
Toccus de Ricco Bardi, che naturalmente non compare in alcuna lista di confinati ghi-
bellini, mentre appartiene a una delle più potenti famiglie di mercanti guelfi, danneg-
giati nel periodo 1260-1266 (Raveggi et al., Ghibellini, Guelfi e popolo grasso, p. 107.
Brattö, Liber Extimationum, pp. 39 e 42).
81 Del Lungo, Una vendetta in Firenze, p. 398.
82 Tali liste sono conservate nel Libro del chiodo sotto il nome del vicario Isnardo
di Ugolino, v. per un esempio ASFi, Capitani di parte, Numeri rossi, 20, p. 81 (Il
Libro del chiodo, p. 171). Il computo è stato effettuato, prima dell’edizione, diretta-
mente sulle 3 copie del Libro del chiodo conservate in: ASFi, Capitani di parte, Numeri
rossi, 21; ASFi, Capitoli di Firenze, Registri, 19 a; e ASFi, Capitani di Parte, Numeri
rossi, 20.
83 Queste liste sono conservate nel Libro del chiodo sotto il nome del vicario
Malatesta da Verrucchio (v. per un esempio ASFi, Capitani di parte, Numeri rossi, 20,
p. 112 (Il Libro del chiodo, p. 231).
84 V. per un esempio ASFi, Capitani di parte, Numeri rossi, 20, p. 106 (Libro del
chiodo, p. 218).
85 Brattö, Liber Extimationum, p. 18.
dei sequestri è messa in rilievo sulla base di un’analisi della documentazione superstite
in Mazzoni, Note sulla confisca dei beni dei ghibellini, p. 28.
89 Davidsohn, Forschungen, IV, pp. 194-195. La prima redistribuzione compiuta
dal comune è confermata in Mazzoni, Note sulla confisca dei beni dei ghibellini, p. 16,
che tuttavia segnala il condizionamento delle operazioni ad opera della parte guelfa.
90 Raveggi et al., Ghibellini, Guelfi e popolo grasso, p. 75.
tamente ai ghibellini, ma spinge a crederlo il fatto che, nel corso degli anni 1267-1269,
in cui esercitarono il mandato podestarile il piacentino Rinaldo da Lavandaio, Guido
Salvatico e, infine, il fiorentino Gualterotto de Bardi, lo sviluppo istituzionale di Prato
fu strettamente parallelo a quello di Firenze. Piattoli, I ghibellini del comune di Prato,
p. 201. Un simile giuramento è attestato anche a Pistoia (Liber Censuum, pp. 255-57).
95 La prima attestazione della magistratura è del 31 maggio 1268.
96 L’attestazione di queste magistrature è del 31 dicembre 1268. Quella delle ana-
pali casate ghibelline nel settembre del 1267, riportata da Piattoli, I ghibellini del co-
mune di Prato, I , p. 201, in quanto basata su un documento che lo stesso Piattoli
dieci anni dopo dimostrò essere un falso. Cfr. Raveggi, Protagonisti e antagonisti nel
libero Comune, p. 717, n. 266 e testo corrispondente.
98 Carlo stesso chiese alle autorità cittadine di accedere a questo materiale (« petit
nel 1267 un tale Maccarone era stato deunciato da un certo Zamputo per rottura del
confino che gli era stato assegnato in quanto ghibellino. In base a tale denuncia Mac-
carone era stato arrestato e per questo aveva cominciato a odiare il suo accusatore
(Piattoli, I ghibellini del comune di Prato, II, pp. 215-217).
100 Il fatto che il Maccarone, confinato nel 1267, risulti libero da carichi penali
nel 1270 lascia supporre non tanto che il confino fu sempre una pena transitoria come
sembrò a Piattoli, quanto che Maccarone non venne più incluso nelle liste redatte in
seguito, come avvenne ad alcuni fiorentini tra 1268 e 1269 (Piattoli, I ghibellini del
comune di Prato, II, p. 235).
101 Piattoli, I ghibellini del comune di Prato, II, p. 226. Gli statuti trecenteschi
mostrano che questa proibizione era presente anche a Firenze, dove la pena stabilita
fu di 25 lire (50 in caso di magistrature delle Arti).
102 Piattoli, I ghibellini del comune di Prato, II, pp. 223-225.
non sunt expresse ghibellini nec expresse tenent aliquam partem » 107. L’esi-
stenza di queste sacche di resistenza tendenti a una maggiore equanimi-
tà con i nemici scatenò a sua volta la necessità di frapporre una barrie-
ra più resistente tra guelfi e ghibellini, ma anche a questo tentativo si
rispose nelle sedi consiliari 108.
In un certo senso il caso di Prato mostra che fu proprio la presen-
za di questa zona grigia nella cittadinanza a rendere necessari la reda-
zione, l’aggiornamento e talvolta la completa riscrittura di elenchi estesi
ed esaustivi di nemici politici che funzionassero da fonte politica, mili-
tare e fiscale 109. La prima normativa sui banditi a Prato venne emanata
anteriormente al novembre 1270 sulla base delle istruzioni impartite da
Carlo d’Angiò: si introdusse nel giuramento del podestà l’impegno a
proclamare entro il primo mese dall’entrata in carica il divieto di resi-
denza nel contado per tutti i ghibellini fuoriusciti e per le loro fami-
glie, pena l’arresto perpetuo nelle carceri del comune. A ogni cittadino
fu vietato di ospitarli e concedere loro aiuto o favore sotto pena di
cinquanta lire e della distruzione della casa in cui era stato ospitato il
bandito 110. I processi conservati consentono però di comprendere che
la normativa venne applicata in maniera flessibile 111.
due copie un elenco di ghibellini non fosse rispettato, è sicuro che a Prato, almeno
nel 1270 e nel 1280, vennero scritte nuove liste (Piattoli, I ghibellini del comune di
Prato, IV, p. 240).
110 Piattoli, I ghibellini del comune di Prato, IV, p. 233.
111 Nell’aprile del 1271 Berardaccio di Rustichello accusò Braccio da Castelnuovo
esito assolutorio. Nella nuova temperie politica continuavano a vigere le regole che
fino a quel momento avevano caratterizzato il sistema processuale accusatorio, in cui
l’esito dipendeva dalla capacità di poter contare su testimoni e fideiussori affidabili,
più che dall’intenzione del giudice di pervenire alla verità. Su questi aspetti della giu-
stizia comunale cfr. Vallerani, Il sistema giudiziario del comune di Perugia. In virtù
della medesima vischiosità del sistema giudiziario cittadino subirono attenuazioni i pro-
cedimenti contro gli stessi banditi, oltre che quelli contro i loro favoreggiatori. Lo
mostra un altro caso riportato da Piattoli, quello di Berricordato di messer Gentile
Frescobaldi, bandito ghibellino, arrestato come ribelle e incarcerato, ma in seguito rila-
sciato in base a una solenne promessa di obbedire ai precetti del podestà vicario, di
presentarsi in caso di ordine, di non uscire dalla città se non con espressa licenza delle
autorità e di rinunziare a ogni protezione pubblica sia nella persona sia nell’avere,
sotto pena di diecimila lire. L’ultima clausola dell’impegno è significativa e mostra come
anche nella nuova accezione di parte, la pena del bando, quando non fosse connessa
alla pena capitale (di cui tuttavia in questo primo periodo angioino non vi è traccia
nemmeno a Firenze), continuasse a mantenere in sostanza l’originaria valenza di esclu-
sione dalla possibilità di rivolgersi alla giustizia comunale (Piattoli, I ghibellini del co-
mune di Prato, IV, p. 260).
112 Piattoli, I ghibellini del comune di Prato, II, pp. 14 e ss.
113 Piattoli, I ghibellini del comune di Prato, II.
a Prato, di una procedura certa per l’assegnazione dei beni dei banditi, e soprattutto
la sua applicazione a un patrimonio ben maggiore di quello che era stato amministrato
precedentemente, dovette generare all’inizio una certa tensione, capace di concretizzar-
si, come era avvenuto a Firenze, in conflitti di cui i contorni in parte ci sfuggono. La
concessione dei terreni da parte del consiglio del « popolo » che, di fatto, la parte
guelfa pratese rifiutò, fu invece con ogni probabilità accolta a Firenze, dove i guelfi,
anche al di là dei risarcimenti legittimi, poterono procedere ad alienare una parte
vieppiù consistente dei terreni acquisiti.
115 Zdekauer, Breve et ordinamenta populi Pistorii, p. XXVII.
116 La notizia di Libri rebellium redatti sotto la podesteria vicariale di Pagano di
117 Nel giuramento del capitano del « popolo » redatto nel 1267 (Zdekauer, Breve
da guelfis petentibus rationem super bonis rebellium. Ordinamus pro evitandis scanda-
lis et brighis inter homines partis Guelfe, et pro utilitate ipsius partis et pro unione
servanda inter homines ipsius partis quod capitaneus et eius iudex teneantur et debe-
ant vinculo iuramenti facere et tenere summariam rationem de bonis rebellium comu-
nis Pistorii personis dicte partis, debentibus recipere vel habere aliquam pecunie quan-
titatem a dictis rebellibus vel altero eorum vel super eorum bonis. Et habeat locum
dictum capitulum tam in masculis, quam de feminis, natis de aliqua domo vel stirpe
seu homine partis guelfe Et si contigerit aliquam suprascriptarum personarum habuisse
vel habere in solutum vel pagamentum bonos rebellium, quod dominus capitaneus et
eius iudex teneantur precise et sine remedio bona data et danda in solutum eis et ei,
cui data fuerint, absque molestia dimittere et pacifice tenere et possidere [...]. Salvo
quod nulli, qui haberet iura cessa ab aliqua persona partis Ghibelline prosit hoc capi-
tulum ». Cfr. anche pp. 64-65: « XXIII. De redditibus rebellium dandis et solvendis
camerariis populi Pistorii vel alii persone ad voluntatem potestatis, capitanei et anzia-
norum ».
119 Zdekauer, Breve et ordinamenta populi Pistorii, p. 122: « [CLX]. = De ponen-
indebite detempta per populum Pistorii tanquam de bonis rebellium restituantur per-
sone stanti ad mandata comunis et solventi datia ».
122 Zdekauer, Breve et ordinamenta populi Pistorii, p. 80: « Quod Ghibellinus fa-
ciens brigam vel feritam vel rumorem cum Guelfo vel contra Guelfum ponatur ad
confines, extra districtum Pistorii, per .C. milia ».
123 Un indizio della maggiore clemenza visibile a Pistoia è costituito dalle norme
sulle vedove dei ghibellini che stabilirono la restituzione integrale dei beni dotali se-
questrati (Zdekauer, Breve et ordinamenta populi Pistorii, p. 85).
124 A Firenze la parte guelfa, probabilmente anche per effetto del capitale accu-
mulato con le vendite dei beni sequestrati, venne a inserirsi pienamente, e in posizione
di rilievo, nel novero delle istituzioni cittadine. Così addirittura nel 1271 Carlo dovette
intervenire per frenare gli eccessi attuati dai guelfi nella proscrizione di ex-ghibellini
rientrati (Davidsohn, Storia di Firenze, II, 2, p. 99). Tre anni dopo, in seguito al fallito
tentativo di tentativo di pacificazione tra le partes di Gregorio X, la parte guelfa fio-
rentina si sganciò dall’influenza di Carlo riorganizzandosi completamente. I sei capitani
vennero sostituiti con un magistrato forestiero: il Capitano della massa di parte dei
guelfi che fu dotato di poteri giurisdizionali e fiscali (Davidsohn, Storia di Firenze, II,
2, pp. 159-162). A Pistoia l’influenza della parte fu meno pregnante sul lungo periodo:
le pacificazioni promosse dai pontefici nel 1274, 1278, 1280 riuscirono a ricondurre i
fuoriusciti in città, anche se ogni volta dovettero riallontanarsi dopo poco tempo. A
San Gimignano, che nel 1267 aveva dovuto accettare il governo angioino, si pervenne
addirittura, attorno alla metà degli anni Settanta, a un originale sistema di distribuzio-
ne delle cariche, negoziandolo con Carlo e accettando il pagamento delle sanzioni da
lui comminate (Brogi, Il comune di San Gimignano, pp. 17-20 e Waley, Guelfs and
Ghibellines at San Gimignano).
che quella allestita più di un secolo fa da Odorici fu condotta sulla copia parziale di
un codice completo ancora inedito. In attesa di una tale opera occorre servirsi della
vecchia edizione, integrandola con altro materiale emerso nel frattempo, e orientandosi
grazie ad alcuni importanti studi (Roberti e Tovini, La parte inedita del più antico
codice statutario bresciano). Essi mostrano comunque che nel 1272, due anni dopo la
concessione della signoria cittadina a Carlo, fu allestita un’imponente opera di risiste-
mazione normativa, in particolare delle delibere contro i nemici.
127 Statuti di Brescia del secolo XIII, col. 196.
128 Statuti di Brescia del secolo XIII, col. 197.
essere poi convocato il consiglio della pars formato da 100 uomini pro-
venienti da tutte le contrade che fossero risultati « veri amici » della
Chiesa e del re di Sicilia. Colui che, eletto a far parte del consiglio,
non si fosse recato alle riunioni avrebbe dovuto pagare una multa di
tre soldi 129, mentre il membro della pars Ecclesie che avesse congiurato
o stretto accordi senza autorizzazione del consiglio generale sarebbe stato
multato con 4 lire ed espulso dal consiglio. Queste sanzioni per la
mancata partecipazione alle riunioni del consiglio segnalano bene le dif-
ficoltà di impiantare una nuova parte. La stessa difficoltà del resto ap-
pare dall’attribuzione al capitano del « popolo » del compito di sedare
entro un mese le liti che fossero sorte all’interno di essa 130.
Come in Toscana, Carlo incentrò l’operato della nuova istituzione
sulla repressione dei nemici interni e l’amministrazione dei beni dei
banditi 131. Questa riorganizzazione delle procedure di esclusione si svol-
se tuttavia nel corso degli anni Settanta attraverso il recupero della
normativa precedente all’avvento del Pallavicino 132, che fu affiancata da
in tal modo di introdurre nei bilanci dei comuni un nuovo rilevante cespite di entrate
che consentisse non solo di affrontare le spese ordinarie, ma anche di concedergli
denaro per finanziare le sue guerre. A Brescia fu stabilito che i beni e i redditi dei
banditi, per i quali si continuò ad usare l’espressione lombarda di malexardi, sarebbero
stati amministrati dagli anziani della parte. Questi avrebbero concesso i ricavi al comu-
ne, che in tal modo avrebbe potuto pagare i soldati angioini secondo le modalità
previste dal patto di soggezione. Gli stessi anziani, inoltre, avrebbero dovuto provvede-
re al pagamento dei milites cittadini che avevano combattuto a partire dal 1267, quan-
do Brescia, sottraendosi alla signoria pallaviciniana, si era alleata con Francesco della
Torre (Statuti di Brescia del secolo XIII, col. 198).
132 Si trattava dei provvedimenti emanati durante gli anni Cinquanta che avevano
visto Brescia alleata a Milano nell’osteggiare il fronte filoimperiale formato dagli ex-
vicari federiciani. Innanzitutto si provvide a rafforzare, introducendoli negli statuti, quegli
ordinamenta che avevano cassato i provvedimenti punitivi nei confronti degli extrinseci
filomilanesi. Negli Statuti di Brescia del secolo XIII, col. 199 si afferma che le condan-
ne degli amici della parte emesse prima del tempo di Francesco della Torre dovevano
essere cancellate dai libri e annullate, a meno che i bandi non fossero stati dati per
l’offesa di qualche amico, nel qual caso la decisione sarebbe stata vincolata all’approva-
zione dell’offeso. Sempre negli Statuti di Brescia del secolo XIII, col. 153, si dichiara
135Statuti di Brescia del secolo XIII, col. 145 (aggiunta del 1277).
136Chi fosse entrato nel districtus sarebbe stato punito per 25 lire se miles, con
10 se pedes; chi fosse entrato nel contado avrebbe dovuto pagare, a seconda della sua
condizione, 50 o 25 lire; chi infine fosse entrato in città sarebbe stato unito con la
pena capitale, o in caso di fuga con il bando perpetuo (Statuti di Brescia del secolo
XIII, col. 146).
137 Statuti di Brescia del secolo XIII, col. 202.
138 Statuti di Brescia del secolo XIII, col. 212.
139 Statuti di Brescia del secolo XIII, col. 96.
lasciò nel periodo successivo. Nel 1288, quando a causa di una nuova
ribellione della Valle Camonica, zona da sempre difficile da assoggetta-
re, Brescia dovette procedere a compilare degli statuti contro i nuovi
ribelli, ci si riallacciò alle forme tradizionali. Si procedette a stilare una
piccola lista dei ribelli, vennero stabiliti premi pecuniari per la loro
cattura, si proibì ogni contatto con essi, ma nient’altro. Quest’operazio-
ne riprendeva in sostanza la normativa comunale della prima metà del
secolo contro i concorrenti poteri del comitatus 140.
Nelle altre città lombarde le testimonianze sono più scarse, ma
vanno nella stessa direzione riscontrabile a Brescia: a partire dalla sog-
gezione a Carlo, l’esclusione dei nemici procedette di pari passo con
l’istituzionalizzazione di una parte intrinseca, che lasciò tuttavia larghi
margini di tolleranza. A Cremona la fine del dominio di Pallavicino e
Buoso da Dovara si dovette all’intervento dei legati pontifici, che nel
1266 trattarono la pace della città con gli estrinseci Cappelletti e,
attraverso complesse manovre, riuscirono a far espellere tra quell’anno
e il 1268 i due « tiranni » e i loro seguaci della parte dei Barbarasi. È
significativo tuttavia che le tracce della ritorsione sui malexardi filoim-
periali e dell’esistenza di un giudice ai beni dei banditi si facciano
più frequenti proprio a partire dal 1270, quando la città accolse la
signoria angioina, procedendo a promuovere un governo dotato di
esplicite caratteristiche di « popolo » 141, destinato a consolidarsi negli
anni Ottanta 142.
140 Questi statuti sui ribelli della Val Camonica, presenti nel codice inedito degli
statuti bresciani, vennero pubblicati nel 1898 in Valentini, Gli statuti di Brescia del
secolo XIII.
141 Specificamente le tracce dell’esclusione sono costituite da una richiesta sporta
nel 1270 dalla famiglia Sommi, in passato leader della pars Ecclesie cremonese, al giu-
dice ai beni dei malexardi, affinché restituisse loro le decime della Pieve di Ottoville,
sequestrate assieme ai beni di Uberto Pallavicino, ma, a giudizio dei petitori, da questi
confiscate in precedenza a loro. La richiesta venne accolta (Astegiano, Codex Diploma-
ticus Cremonae, II, dd. 908-909. Altri atti del giudice ai beni dei malexardi del 1279
sono in Astegiano, Codex Diplomaticus Cremonae, II, dd. 963-966).
142 Nei frammenti statutari del 1288 è stabilito « [...] quod si velint potentiores et
majores et fratres eorum et filii eorum intelligantur de populo et societate populi Cre-
monae, dum tamen non sint banniti, confinati vel rebelles partis ecclesiae de Cremo-
na » (Gualazzini, Il « populus » di Cremona, p. 336). Un registro di affitti dei beni dei
banditi dal 1288 al 1293 è conservato nell’Archivio Gonzaga e mostra procedure simili
a quelle adottate nelle città del circuito guelfo (regestato in Astegiano, Codex Diploma-
ticus Cremonae, II, doc. 1084). Anche l’esistenza di reformatores partis spingerebbe ad
avvicinare la vicenda istituzionale di questa città a quelle che abbiamo delineato per
Brescia e la Toscana (Astegiano, Codex Diplomaticus Cremonae, II, p. 318).
Poitiers, quest’ultimo forse per influenza angioina, come attesta Canetti, Un santo per
una città.
149 Chronicon Parmense, pp. 52 e 64. La prima volta si decretò che il libro fosse
addirittura bruciato per essere sostituito da un nuovo esemplare mondato delle aggiun-
inflitte ai da Sesso; quello per il giudice ai beni dei banditi di amministrare i beni dei
fuoriusciti del 1265 (Consuetudini e statuti reggiani, p. 153), nonché le norme contro i
favoreggiatori dei banditi in occasione della ribellione di Guazolo, e quelle sullo sfrut-
tamento dei loro beni e la distruzione delle abitazioni. Sono presenti inoltre i provve-
dimenti che cassano le alienazioni fatte dagli ex fuoriusciti. Si tratta di ordinamenta
scritti a ridosso degli eventi che avevano condotto anche qui a bandire la pars imperii
negli anni 1266-67 (Consuetudini e statuti reggiani, pp. 199-200).
151 Consuetudini e statuti reggiani, pp. 210-211.
152 A Modena, per la quale non si conservano statuti duecenteschi, sappiamo che
fu la societas popolare di San Gemignano a occuparsi del rientro dei banditi facendo
loro giurare la fedeltà alla parte (Simeoni, Le origini della signoria estense a Modena,
Appendice). È dunque probabile che si fosse occupata anche dell’avviamento delle
procedure di esclusione.
153 Come abbiamo accennato, a partire dalla metà degli anni Settanta il fronte
compatto del circuito guelfo-angioino cominciò a incrinarsi per una serie concomitante
di cause: in Toscana per i tentativi di pacificazione tra le parti promossi da Gregorio
X a partire dal 1273, che in molti casi ebbero, almeno temporaneamente, effetto. In
Emilia, dapprima a causa dei nuovi disordini scoppiati a Bologna e il riversarsi della
parte Lambertazza nelle città romagnole (1274), in seguito per l’estendersi del dominio
di Azzo d’Este su Modena e Reggio. In Lombardia il cambiamento coincise con la
battaglia di Desio (1277), che provocò fine il periodo dell’egemonia torriana, con con-
seguenze importanti nelle città che attorno a Milano continuavano a gravitare; in Vene-
to, infine, con passaggio di Mantova al fronte imperiale in occasione della presa di
potere di Pinamonte Bonaccolsi (1274), seguita di lì a poco dalla congiura che portò
alla morte di Mastino della Scala a Verona (1277).
intensa proprio a partire dal periodo 1266-76 154. E come reazione alle
forti incentivazioni alla denuncia dei nemici politici promosse da Carlo
può forse essere letto il provvedimento milanese che, nel 1267, in un
momento di tensione con il re di Sicilia, stabilì che il futuro podestà
non avrebbe dovuto prendere in considerazione le denunce anonime,
ma soltanto quelle « palesi », convalidate per mezzo di una fideiussione
con cui il promuovente si fosse impegnato a dimostrare la propria ac-
cusa 155. Anche il sacramentum del podestà Visconte Visconti, riportato
da Corio al 1272, contiene in forma embrionale alcuni elementi che
mostrano la vicinanza al re di Sicilia 156. Nel 1274, in seguito all’allarme
suscitato dalla notizia che Buoso da Dovara con gli esuli milanesi e
alcune milizie inviate da Alfonso di Castiglia stavano marciando su Mi-
lano, si procedette a bandire come ribelli molti milanesi, e a promuo-
vere inquisizioni generali per verificare la presenza di favoreggiatori dei
malexardi. In seguito a tali inchieste furono inviati al confine 200 citta-
dini, tra i quali Guglielmo Pusterla 157. Simili provvedimenti si ritrovano
nelle città che gravitavano sotto l’egida milanese 158.
154 Gli atti del comune di Milano, II, alle date 1266, dicembre 2; 1268, dicembre
5; 1273, giugno 12; 1273, novembre 20; 1276, maggio 5; settembre 26; novembre 12.
155 Corio, Storia di Milano, p. 448.
156 Il rettore infatti si impegnò « a honore de la beata Vergine et il divo Ambro-
promosso da Martino della Torre sancì il predominio dei Vittani (filotorriani) per i
diciotto anni successivi, durante i quali uscì dalla città per brevi periodi la parte « ghi-
bellina » di Giordano Rusca. Gli atti di questo compromesso, conservati nell’inedito
liber iurium comasco, prevedono la distruzione della torre di famiglia dei Rusconi e la
possibilità per i Vittani di veder rimborsate le condanne emesse nei loro confronti, e
di poter edificare liberamente una propria torre (Liber statutorum comunis Novocomi,
Appendice, coll. 441-442). Si tratta di provvedimenti tutto sommato non molto innova-
tivi, ancora non improntati a quella necessità di censimento dei nemici che è visibile a
partire dalla metà del decennio successivo. Solo nel 1263, del resto, i Torriani assunse-
ro la signoria a Como, e nello stesso anno, i Rusconi uscirono dalla città e si rifugia-
rono a Chiavenna dopo alcuni disordini seguiti alla morte di Martino della Torre (Ar-
chivio Capitolare Laurenziano, Chiavenna, Quaternus expensarum comunis (1264), cc.
5r-v). Ringrazio Claudia Becker per avermi messo a disposizione le riproduzioni di
questo materiale.
Nel 1276, poco prima della battaglia di Desio che avrebbe condot-
to Ottone Visconti a Milano, i ghibellini Rusconi riuscirono a prevale-
re a Como cacciando i guelfi Vittani. L’anno successivo furono intro-
dotte negli statuti alcune norme che costituiscono un’importante trac-
cia della ritorsione operata da Milano nei confronti degli sconfitti del-
la Torre. Lo spunto era offerto dalla detenzione dei Torriani catturati
nel corso delle battaglie. I comaschi vicini ai Visconti, che nella guerra
avevano avuto un ruolo importante, deliberarono che chi avesse tratta-
to della liberazione dei prigionieri sarebbe stato considerato « in per-
petuum malexardus et bannitus de maleficio » con tutta la sua famiglia,
che i suoi beni sarebbero stati distrutti e pubblicati, e non avrebbe
avuto la possibilità di recuperare credito o dote. Chi fosse stato cattu-
rato sarebbe stato condannato a morte. Venne quindi concesso al po-
destà l’arbitrio di indagare e mettere sotto tortura chiunque fosse so-
spettato di volere la liberazione dei della Torre. Si vietò qualsiasi for-
ma di contatto con i reclusi, e si concesse a chiunque la possibilità di
catturare e tenere prigionieri i parenti e i sostenitori della famiglia,
stabilendo premi in denaro a chi avesse accusato coloro che contrav-
venivano a tali disposizioni. Si specificò, infine, che potesse ricoprire
l’incarico di carceriere solo un amicus domini Episcopi Cumarum et
partis Rusconorum che avesse prestato servicia in guera civitatis Cuma-
rum proxime preterita159. Queste disposizioni, e il fatto che uno dei
primi provvedimenti del nuovo governo insediato fu la riforma degli
statuti, mostrano come il regime ghibellino di Como utilizzò alcune
delle modalità che, a partire dagli anni Sessanta, avevano caratterizzato
le esclusioni nel circuito « guelfo-angioino », e che forse erano già state
impiegate anche nella Como filo-torriana. L’impressione è confermata
da quanto rimane degli statuti comaschi emanati in quel periodo, che
prevedevano il divieto di portare armi durante la festa di sant’Abbon-
dio per tutti coloro che fossero stati identificati come simpatizzanti
della fazione dei Vittani, segno di un’avvenuta bipartizione della citta-
dinanza 160.
Simile a Como è la vicenda di Novara. Anche qui, dopo un perio-
do filotorriano, i clan filoviscontei dei Tornielli e dei Cavallazzi riusciro-
no a cacciare nel 1273 quello opposto dei Brusati, portando il comune
dalla parte degli esuli di Milano. Anche qui il nuovo governo promosse
una sistematica riforma degli statuti 161. In essi si stabilì che le condanne
emesse contro Torniello Tornielli e la sua parte fossero annullate e che
i beni sequestrati fossero restituiti 162 ed emetteva nuove condanne di
malexardia contro i vecchi dominatori del comune 163. Ma accanto a
queste procedure standard, che compaiono in ogni statuto compilato
posteriormente ad un rientro, vi sono nella codificazione novarese altri
aspetti di maggiore significato. È interessante a esempio che tra le pri-
me norme se ne trovi una che stabilisce che il podestà è tenuto a far
scrivere in due volumi « nomina et tempus omnium interdictorum et
abhominatorum et restitutorum et defectorum tam preteritorum quam
futurorum » 164. Non viene specificato che si tratti dei banditi politici,
ma l’ampiezza delle possibilità previste lascia credere che in ogni caso
il bisogno di una tenuta rigorosa delle registrazioni individuali fosse
sentito con più forza che in precedenza, dopo un periodo in cui pro-
prio quelle scritture erano state uno dei mezzi usati per l’esclusione
politica. Un altro provvedimento mostra una prima conseguenza di questa
preminenza della scrittura nelle procedure di esclusione, poiché afferma
che nessun bandito possa essere denunciato se il suo nome non risulta
scritto nel « libro comunis ». È evidente che si trattava del tentativo di
frenare l’indiscriminato ricorso all’accusa di eterodossia politica generata
dal sistema di esclusione « guelfo-angioino », che stabiliva premi pecu-
niari per gli accusatori 165.
161Nel 1276 venne ultimata la codificazione che servì da antigrafo alla copia che
possediamo, scritta l’anno successivo.
162 Statuta comunitatis Novarie, coll. 609; 710; 713; 716; 784. Su questi statuti v.
1287, che modificarono o cassarono alcune delle statuizioni. Una norma che nel 1276
prevedeva il divieto per il podestà di procedere alla distruzione delle case dei nemici
venne a esempio corretta più tardi, con ogni probabilità in seguito al primo rafforzarsi
della signoria viscontea a Milano, specificando la sua eccepibilità in caso di banniti pro
malexartia. E così anche le delibere che nel 1276, in un momento che a quanto risulta
era di relativa stabilità, avevano stabilito che nessuno potesse essere più condannato
alla pena del confino e che le sicurtates sequestrate ai confinati che si erano allontanati
dai luoghi di soggiorno obbligato andavano abolite. Il notaio che sulla base di questo
codice provvide alla risistemazione degli statuti siglò queste norma con un significativo
« non ponatur » (Statuta comunitatis Novarie, coll. 608-609), che attesta quanto fosse
necessario ricorrere nuovamente a quei sistemi che in precedenza si era tentato di
attenuare. Venne infatti approbatum lo statuto che prevedeva le pene per i favoreggia-
tori dei malexardi, e l’altro, che stabiliva le remunerazioni per i denunciatori (Statuta
comunitatis Novarie, coll. 611-612). E così si mantenne a favore della società dei para-
tici, dei milites, dei Cavallazzi e dei Tornielli l’eccezione che escludeva dall’obbligo di
ottemperare allo statuto che proibiva le riunioni (Statuta comunitatis Novarie, col. 684).
Sorprende maggiormente che fu cassata la delibera che conferiva agli uomini di Nova-
ra e del distretto della parte intrinseca il diritto di portare liberamente le armi, ma
probabilmente si trattò di un tentativo di riformulare quel privilegio, restringendo il
beneficio ai novaresi più affidabili. In sostanza gli statuti novaresi testimoniano come
in una prima fase successiva alla vittoria sui Brusati, il governo dei Tornielli avesse
cercato di attuare un esclusione in qualche misura « moderata », per poi ricorrere, nel
giro di una decina di anni, alle stesse tecniche adottate durante il predominio della
fazione filotorriana, che in un primo momento erano state cassate.
166 Gli statuti veronesi del 1276, p. 57.
167 Gli statuti veronesi del 1276, pp. 72; 105; 107. La proibizione di pronunciare
chiunque si fosse allontanato dalla città con la parte del conte di San Bonifacio o con
quella dei Turrisendi sarebbe incorso nel bando perpetuo del comune di Verona, « uscen-
do dalla tregua, come nemico e traditore del comune anche se non era stato in prece-
denza scritto nel registro dei banditi ». I suoi beni sarebbero stati del comune anche
in assenza di una sentenza di pubblicazione. Il podestà entro due mesi avrebbe dovuto
indagare al riguardo e aggiornare i libri dei banditi. Le case sarebbero state distrutte.
Il comune non avrebbe riconosciuto alcuna alienazione compiuta dai banditi, né altro
contratto (Gli statuti veronesi del 1276, pp. 451-454).
169 Gli statuti veronesi del 1276, pp. 111-112. A questo giudice vennero inoltre
norme come quella veronese sui figli dei banditi, a cui è vietato venire
in città sotto pena dell’amputazione del piede (se maschio) o del naso
(se femmina), oppure del carcere per i minori di quattordici anni 176.
Anche se tali norme non vennero fatte scrupolosamente rispettare rima-
ne il fatto che esse rappresentino un programmatico giro di vite dato
alle modalità dell’esclusione politica.
A tale intensificazione delle componenti punitive, che costituisce a
questa altezza ancora un unicum ideologico, si accompagna negli statuti
veronesi un altro elemento originale. Spesso le norme sui nemici fuo-
riusciti vengono specificate e talvolta adattate alla speciale porzione di
rebelles che si intende colpire. Alcuni provvedimenti sono generali, ma
in altri si specifica che l’attuazione è ristretta (o estesa) alla parte del
conte di San Bonifacio, a quella di Pulcinella e Macono Turrisendi, agli
autori dell’uccisione di Alberto. Si tratta di un segno importante che
differenzia questi statuti da quelli finora osservati. L’esclusione e la pu-
nizione non riguardano una sola parte, quella che in seguito alla vitto-
ria riportata nel conflitto civile è stata dichiarata nemica, ma più parti,
che in momenti diversi, anche se spesso in collegamento tra loro, han-
no cercato di combattere e scalzare coloro che dominano il comune e
che soprattutto tendono a identificarsi con esso. Gli statuti di Verona
del 1276 acquisiscono così un doppio valore per la storia dell’esclusio-
ne politica: da un lato costuiscono la prima codificazione in cui è rile-
vabile con chiarezza l’acquisizione nel circuito « ghibellino » di procedu-
re e modalità elaborate e rese ordinarie nei comuni « guelfi », dall’altro
esprimono già la volontà di convertire tali procedure alle esigenze di
un governo più gerarchizzato, in cui la pars – e il termine comincia a
divenire improprio – non è più uno degli elementi che nel gioco delle
giustapposizioni delle istituzioni comunali riesce a controllare provviso-
riamente gli altri, ma il vertice indiscutibile del comune stesso.
9. Conclusioni
Le grandi esclusioni dell’ultimo quarto del Duecento non furono il
risultato dell’improvvisa ingerenza nel comune da parte di fazioni più
strutturate ed estese di quelle precedenti, ma il frutto della lunga evo-
luzione subìta dal regime podestarile.
Per comprenderle occorre considerare la compresenza realizzatasi
verso la metà del secolo tra due fenomeni: la definitiva e incontestata
BOLOGNA 1274-1277
LA PARTE ESCLUSA
1. L’esclusione a Bologna
1 V. Capitolo V.
2 Hessel, Storia della città di Bologna, p. 252.
3 Sui « frati gaudenti » v. almeno Roversi, L’ordine della Milizia di Maria Vergine.
4 Frati, Statuti, III, p. 595.
5 Corpus Chronicorum, pp. 170-179. Ma v. Capitolo V, 1.
in Romagna. Sulle loro ripercussioni regionali Vasina, I Romagnoli. Sulla società della
Croce v. ora Pini, Manovre di regime.
23 V. Capitolo VII.
24 V. Capitolo VIII.
25 V. Capitolo VIII.
Negli anni in cui questo sistema funzionò, e cioè dal 1279 al rien-
tro dei lambertazzi patrocinato da Bonifacio VIII nel 1299, il controllo
dei ghibellini subì alcuni adattamenti e modifiche. In un primo mo-
mento l’esclusione di una quota consistente dell’aristocrazia e lo sfrutta-
mento dei suoi beni contribuirono assieme a una serie di altri fattori a
risollevare Bologna dalla stagnazione del decennio precedente. Negli anni
Ottanta del Duecento la città visse la fase più intensa dell’egemonia del
popolo sul comune e del rilievo politico della società dei notai 26. In
tale contesto Bologna, lungi dal divenire un regime « accentuato » sotto
la guida della pars geremea, promosse l’emanazione di nuovi e più cir-
costanziati ordinamenti antimagnatizi, gli Ordinamenti Sacrati del 1282
e quelli Sacratissimi del 1284. Nel 1288 si compilò un nuovo statuto
del comune e del popolo 27. In questo statuto confluirono molte norme
contro i nemici politici, ma esso divenne anche la sede in cui furono
inseriti e dotati di maggiore stabilità i provvedimenti presi per attenua-
re o adattare la portata dell’esclusione.
A favorire la progressiva attenuazione dell’esclusione concorrevano
differenti elementi. La società bolognese manifestò una complessiva re-
sistenza alle istanze più repressive e di parte, e la espresse negli organi
deliberativi e giurisdizionali di cui nel corso del Ducento si era dotata,
attraverso meccanismi consentiti dalle procedure mediatorie e negoziali
del comune « popolare », che il bando del 1274 non aveva modificato.
Dal punto di vista normativo, acquisì un ruolo determinante la possibi-
lità di sottoporre al consiglio del popolo proposte relative ai differenti
aspetti della persecuzione (procedure giudiziarie, revocabilità dei bandi,
modalità di sfruttamento dei beni), solitamente giustificate con la neces-
sità di perfezionare il sistema e di risolvere gli inconvenienti derivati
dalla sua applicazione 28. I lambertazzi inoltre, o i loro patrocinatori,
furono di fatto dotati della possibilità di presentare petizioni ai consigli
cittadini, in cui chiedevano revisioni delle condizioni penali, permessi
temporanei, deroghe di vario genere. Dal punto di vista giurisdizionale,
la sede deputata al mantenimento dell’esclusione, ossia la curia del ca-
pitano del popolo, lungi dall’elaborare procedure inquisitorie rigide,
continuava a privilegiare il sistema accusatorio, in virtù del quale gli
accusati, non senza l’ausilio di numerosi sapientes ben disposti a fornire
29 V. Capitolo VIII.
30 V. Capitolo IX.
31 V. Capitolo VII.
32 V. Capitolo VII.
Con l’eccezione delle liste fiorentine confluite nel Libro del Chiodo,
le fonti trattate nel capitolo precedente non consentono di capire quan-
te e quali persone subirono l’esclusione in questi anni. A Bologna que-
sta possibilità è offerta dalla presenza di un notevole numero di elenchi
superstiti in originale e in copia. Come si è accennato e si potrà segui-
re più distintamente nel prossimo capitolo, tra questi elenchi spicca per
completezza e antichità un registro compilato nel 1277 che riporta poco
meno di quattromila menzioni di cittadini maschi adulti censiti come
appartenenti alla pars lambertatiorum, la parte ghibellina bolognese ban-
dita nel 1274.
La cifra è notevole, paragonabile – anche se più ampia – a quella
desumibile dalle liste fiorentine 33. Essa va interpretata tenendo conto
che poco più di un terzo delle menzioni si riferisce a banditi, cioè a
cittadini privati di tutti i diritti, mentre un altro terzo è relativo ai
confinati fuori città, e poco meno di un altro terzo a confinati in città,
obbligati ad allontanarsi solo in caso di ordine del capitano del popolo.
33 Che sono circa tremila come risulta dai dati contenuti in Il Libro del chiodo
34 ASBo, Comune, Governo, Riformagioni dei consigli minori, vol. I, reg. A+, cc.
13v e 38v. La seconda lista riporta 40 nomi elencati in due gruppi di 20 che, come
risulta evidente da un confronto con gli elenchi di lambertazzi scritti a partire da due
anni dopo, corrispondono anch’essi alle due parti cittadine. Nelle prima lista i nomi
sono invece divisi per quartiere di residenza, ma la delibera che ne decretò la redazio-
ne stabiliva che vi fossero riportati 25 magnati « pro qualibet parte »; l’analisi dei nomi
illuminata dalla restante documentazione anteriore e posteriore al bando, mostra che
l’indicazione fu rispettata.
35 Il testo, conservato in ASBo, Accusationes, b. 1, reg. 1274, è edito in Savioli,
36 Gli Andalò non si erano ancora distaccati dai Carbonesi, cosa che avverrà
solo con Andalò di Pietro di Lovello Carbonesi, attestato tra 1202 e 1222, padre del
magnate Castellano. Wandruszka, Die Oberschichten Bolognas, p. 353. Sulla genealo-
gia degli Andalò v. anche Cristiani, Una vicenda dell’eredità matildina, pp. 294-296. I
Boccacci non si erano separati dai Lambertazzi, dal momento che trassero la loro
origine da Ardicio Lambertazzi, « qui dicitur Boccatius », attestato tra 1194 e 1234, e
quindi ascrivibile alla stessa generazione di Andalò (Wandruszka, Die Oberschichten
Bolognas, p. 364). Gli antenati dei Boccaderonco infine erano ancora attestati come
Guarini, dalla quale si separarono negli stessi anni (Wandruszka, Die Oberschichten
Bolognas, p. 325).
37 Sono Accarisi, Albari, Asinelli, Carbonesi, Fratta, Guarini, Lambertazzi, Orsi,
documentazione.
39 Dai dati ricavabili da Gozzadini, Delle Torri, pp. 60; 95; 184; 242; 318; 328;
461; 463.
40 Le eccezioni sono Asinelli, della Fratta, Orsi e Ramisini. Nella documentazione
duecentesca sono censite come cappelle cittadine: S. Matteo degli Accarisi, S. Nicolò
degli Albari, S. Giovanni dei Carbonesi, S. Lorenzo dei Guarini, S. Tecla, S. Vito e S.
Michele dei Lambertazzi, S. Maria dei Rustigani, S. Dalmasio degli Scannabecchi. Su
questi aspetti v. Fasoli, Appunti sulle torri, cappelle gentilizie e grandi casate.
41 Difficile risulta per esempio aderire all’ipotesi di un titolo vicecomitale all’origi-
sius vicecomes Galerie, ma non sembrano esserci sufficienti elementi di prova, dato che
il nome Accarisius era piuttosto diffuso. Così come non sembra probante, per conferire
una valenza signorile ai Carbonesi, il fatto che essi abbiano stretto un patto per la
costruzione di una torre con i da Vetrana, « capitanei » inurbati del paese omonimo,
anche nel caso in cui tra i due casati fossero avvenuti matrimoni. Un’ipotesi, quest’ul-
tima, largamente accettabile e indirettamente confermata dall’esistenza nelle generazioni
successive di un ramo della famiglia Carbonesi attestato come « Iacobi Bernardi », ori-
ginato probabilmente dalla linea cognatizia con i Da Vetrana (Gozzadini Delle Torri,
pp. 523-525). Solo per la famiglia della Fratta, attestata in precedenza a Ferrara, è
possibile affermare che concesse nel 1189 una terra in feudo ad un ferrarese, ma il
titolo che nel contratto è riportato (Henrico de Frata, nobili cive Bononie) non sembra
provare che si trattasse di signori (Wandruszka, Die Oberschichten Bolognas, p. 306). E
un’analoga situazione sembra caratterizzare gli Storlitti. La menzione di un contratto
con cui un membro di questa famiglia infeuda una vigna a Talgardo degli Ariosti è in
Ranieri Perusini Summa Totius Artis Notarie, p. 57. Il primo membro testimoniato è
Sturtilictus, riscossore dei dazi per il comune nel 1195, e i cui figli compaiono nei
patti con Firenze e con la Romagna (Savioli, Annali Bolognesi, II, 2, pp. 189, 365,
373) Il loro profilo professionale si precisa nella generazione successiva, a partire da
Piperata, da cui deriva una stirpe di giuristi.
42 Non si tratta di una novità per i Carbonesi, il cui antenato-fondatore Witerno
di Carbone appare come iudex già nel 1116 nel contesto del patto tra il comune di
Bologna e Enrico V (Simeoni, Bologna e la politica Italiana di Enrico V, p. 149), o il
cui esponente Uspinello si reca per il comune di Bologna a trattare nel 1185 con
Federico I (Savioli, Annali Bolognesi, II, 2, p. 142). In questa fase tuttavia simili atte-
stazioni si fanno più frequenti. Uspinello continua a svolgere missioni diplomatiche per
il comune, così come i suoi congiunti Pietro di Lovello e Timone, già entrambi consoli
e ora membri del consiglio cittadino (Savioli, Annali Bolognesi, II, 2, pp. 148, 198,
213, 241, 365, 395). I loro figli ne proseguono l’attività, come Dotto di Timone, con-
sole di giustizia, inserito nel consiglio cittadino nel 1203, procuratore del comune l’an-
no successivo e nuovamente attestato nel consiglio maggiore nel 1216 e nel 1219 e in
quello di credenza nel 1220 (Savioli, Annali Bolognesi, II, 2, pp. 158; 243; 256; 366;
438). I figli del console Maio Carbonesi, ucciso nell’esercizio della carica podestarile a
Rimini, nel 1206 si accordano con quel comune per un risarcimento di 800 lire. Uno
di loro, Alberto, già ufficiale della Curia del comune nel 1199, risulta presente in
alcune paci giurate dal comune di Bologna con Reggio e Rimini, rispettivamente nel
1203 e nel 1206, e, assieme ai fratelli, nel 1216 (Savioli, Annali Bolognesi, II, 2, pp.
216; 241; 279; 373). Membri del consiglio appaiono anche Bartolomeo, Arriverio, Egi-
dio, Azzolino. Godescalco è console di giustizia nel 1208 e nel 1212 (Savioli, Annali
Bolognesi, II, 2, pp. 297; 329). Bulgarino, Enrigettus, Carboncellus e Madiolinus, Pipi-
nus e Simoncinus sono nel consiglio maggiore nel 1229 (Savioli, Annali Bolognesi, III,
2, p. 94).
Secondo Jean Louis Gaulin nel periodo 1194-1250 i Carbonesi (assieme a Lamber-
tazzi e Buvalelli) sono tra le pochissime famiglie bolognesi a ricoprire più di 10 incari-
chi podestarili (Gaulin, Ufficiali forestieri bolonais, p. 333). Andalò di Pietro Lovello
Carbonesi, capostipite del celebre lignaggio funzionariale, risulta aver ricoperto per il
comune la carica di podestà della montagna nel 1205 (Savioli, Annali Bolognesi, II, 1,
p. 278), nonché aver presenziaro a vari patti e sottomissioni di altre città (Savioli,
Annali Bolognesi, II, 2, p. 345; e III, 2, 31).
Egli è inoltre podestà, nel 1202 a Cesena, e durante il secondo decennio del
Duecento, a Firenze, Milano, Ferrara, Genova e Piacenza (Savioli, Annali Bolognesi, II,
1, pp. 360, 367, 386). Iacopo di Bernardo Carbonesi, forse discendente dal ramo più
vicino ai capitani di Vetrana, è anche lui un funzionario itinerante attivissimo (Savioli,
Annali Bolognesi, II, 2, pp. 271, 304, 305).
Anche i Lambertazzi, il cui cognome si comincia a trovare proprio in questa gene-
razione, procedono in parallelo con l’esercizio di incarichi podestarili e con la presenza
nelle più importanti cariche militari e politiche della città. Tra gli eredi di Guido di
Guizzardo di Lambertazzo, console, c’è Bonifacio, podestà di Padova nel 1215 e capo-
stipite del ramo principale della famiglia (Wandruszka, Die Oberschichten Bolognas, p.
336). Tra i figli di Madio, c’è Arditio qui dicitur Boccatius, consul iustitie nel 1220, che
sposa Maria figlia di Guglielmo di Gosia, nipote di uno dei quattro giuristi presenti a
Roncaglia, dando discendenza al ramo che da lui prenderà il nome di Boccacci (Wan-
druszka, Die Oberschichten Bolognas, p. 361), e Brancaleone, miles iustitie nel 1219. I
due assieme vendono nel 1201 alcune case al comune per ampliare la piazza maggiore
(Bergonzoni, Le origini e i primi tre secoli).
Assimilabili sotto il profilo dell’attività politica sono gli Asinelli e in misura mi-
nore gli Scannabecchi. Nel 1206, Alberto Asinelli, figlio di quel Munso che nel 1168
aveva rappresentato la città alla riunione della Lega Lombarda, è podestà a Brescia,
e nello stesso periodo è attestato in atti pubblici (Savioli, Annali Bolognesi, II, 1, p.
21). Ugolino, suo fratello, è console di giustizia nel 1220; Munsarello appare in una
seduta consiliare del 1216 (Savioli, Annali Bolognesi, II, 2, pp. 364-365). Zinus, è
presente assieme ad Alberto ad alcuni patti con le città romagnole (Savioli, Annali
Bolognesi, II, 2, pp. 253; 370). Tra gli Scannabecchi, che esercitano con ogni proba-
bilità la mercatura, si segnala Guido, figlio di Alberigo console, ambasciatore a Reg-
gio nel 1211, e testimone nei patti con Modena (Savioli, Annali Bolognesi, II, 2,
pp. 255; 311). Arpinello, attestato nel 1216 assieme a Albrigitto e Scannabiccus, rive-
ste nei decenni successivi un incarico podestarile ad Arezzo (Savioli, Annali Bologne-
si, II, 2, pp. 366; III, 1, 14).
43 Innanzitutto gli Accarisi con Guido, console e figlio del console Accarisius, con-
sole di Giustizia nel 1198 (Savioli, Annali Bolognesi, II, 1, p. 229), con Lambertus
iudex, impegnato nella diplomazia in Romagna negli anni 1214-1218 (Savioli, Annali
Bolognesi, II, 1, p. 377; II, 2, pp. 370; 382), assieme ad un nuovo Accarisio, che
appare come consigliere anche nel 1234 (Savioli, Annali Bolognesi, II, 2, p. 150). Simi-
le la vicenda dei Guarini, famiglia di giuristi, da cui si distaccano, oltre al ramo che
origina da Boccadironco, anche quello degli Uguccioni (Gozzadini, Delle torri, p. 510).
Tra loro compaiono Rolando di Rodolfo, miles iustitie nel 1209 (Wandruszka, Die
Oberschichten Bolognas, p. 348); suo figlio Alberto, consul iustitie nel 1214 (Wandru-
szka, Die Oberschichten Bolognas, p. 354), e Arriverius, che ricopre la stessa carica nel
1220 (Wandruszka, Die Oberschichten Bolognas, p. 360). Meno attivi, ma comunque
attestati negli stessi incarichi, sono gli Orsi, con Siripere console di giustizia nel 1214
(Wandruszka, Die Oberschichten Bolognas, p. 354) e i Guezi, da cui dirameranno i
discendenti di Nevo di Raniero, presenti nelle istituzioni per la prima volta con Guezo
console nel 1193 (Wandruszka, Die Oberschichten Bolognas, p. 330).
Non ricoprono cariche « civili » legate all’esercizio della giustizia, ma sono comun-
que attestate in posizione rilevante all’interno dei consigli cittadini altre famiglie già
ben inserite nel consolato e che sembrano tuttavia presentare una tradizione cittadina
meno antica. I Rustigani, milites, con Ardizzone presente al giuramento con Reggio nel
1214 (Savioli, Annali Bolognesi, II, 2, p. 382). Gli Albari, probabilmente provenienti
dalla nobiltà rurale dei capitani di Castel dell’albero, non hanno alcun console di giu-
stizia. Wandruszka, Die Oberschichten Bolognas, pp. 348 e 352 non offre prove suffi-
cienti per collocare in questa famiglia Corvolinus e Geremia Parmexanis. Il primo sem-
brerebbe piuttosto derivare da « illi qui appellantur Corvoli », capitanei del Frignano,
su cui v. Rölker, Nobiltà e comune a Modena, p. 43. I da Fratta, come abbiamo accen-
nato, originari di Ferrara, pervengono a ricoprire la massima carica ecclesiastica cittadi-
na con Enrico, già console, poi arcidiacono, quindi vescovo a partire dal 1213. Altri
membri della stessa famiglia sono presenti nei consigli e nei patti (Savioli, Annali Bolo-
gnesi, II, 2, pp. 352, 395, 438).
44 È il caso dei da Baisio, originari del Frignano e dunque già vassalli matildici
(Rölker, Nobiltà e comune a Modena, pp. 77-80), gravitanti nei decenni precedenti tra
Modena e Reggio, dove giurarono cittadinatici, avvicinatisi poi a Bologna con Ubertus,
che nel 1195 rappresenta la città alla Lega lombarda e che tre anni dopo ricopre la
carica di miles iustitie (Savioli, Annali Bolognesi, II, 2, p. 203) Tra 1215 e 1219 è
attestato nel consiglio cittadino un Fredericus de Baysio, che nel 1220 compare anche
queste famiglie entrano per la prima volta nelle istituzioni futuri casati
magnatizi che in questa fase non sembrano appartenere all’aristocrazia,
ma svolgono soprattutto attività creditizie e mercantili 45.
Come altrove, però, la generazione più importante per la formazio-
ne delle parti fu quella successiva. Per costoro, che nacquero attorno al
1200, la vita pubblica si aprì con lo scontro con Federico II e culminò
con la necessità di adattarsi alla nuova società e alle nuove istituzioni
della seconda metà del secolo, quando Bologna divenne un « regime di
popolo » forte e organizzato. Cerchiamo dunque di capire che profilo
sociale ebbero e quale attività politica svolsero le famiglie che abbiamo
seguito finora in questo passaggio cruciale, nel quarantennio in cui co-
minciò a farsi sentire più forte l’urgenza delle scelte.
nel consiglio di credenza (Savioli, Annali Bolognesi, II, 2, pp. 353; 366; 395; 437).
Altri da Baisio ricoprono incarichi diplomatici e sono presenti ai patti (Savioli, Annali
Bolognesi, II, 2, pp. 365; 373; III, 1, 71).
Simile carriera sembrano avere in questa fase i da Gesso, valvassori del castello
omonimo situato sull’Appennino bolognese, assoggettatisi nel 1164 al comune, e in
seguito inurbatisi riuscendo a mantenere un forte controllo del comune rurale. Gerar-
dino da Gesso fu incaricato nel 1219 di trattare con Federico II che aveva bandito
Bologna, pronta a combattere Imola (Savioli, Annali Bolognesi, II, 1, p. 382). Dalla
nobiltà rurale sembrano provenire anche i Maccagnani, forse caratterizzati da un lega-
me cognatizio con il ramo bolognese dei Torelli. L’ipotesi, fondata sulla presenza di
alcuni nomi tipici dei Torelli, come Salinguerra, Torello, o Pietro Torello nella genealo-
gia dei Maccagnani, è stata avanzata da Hessel, Storia di Bologna, è ripresa con alcune
cautele da Wandruszka, Die Oberschichten Bolognas, p. 338. I Maccagnani appaiono
dotati a metà del secolo XII di un diritto di ripaticum nel porto di Trecenta (Savioli,
Annali Bolognesi, I, 2, pp. 230-231). Marsiliotto dei Maccagnani è consul iustitie nel
1198, compare quindi nel consiglio cittadino nel 1203, nel 1211, nel 1216 e nel 1219
(Savioli, Annali Bolognesi, II, 2, pp. 203; 241; 293; 311; 366). In quest’ultima occasio-
ne sono con lui anche Maccagnano e Simone. Nel 1206 è consul iustitie Tommaso
(Wandruszka, Die Oberschichten Bolognas, p. 345). Nel 1222 Iacopo di Maccagnano è
miles iustitie (Wandruszka, Die Oberschichten Bolognas, p. 368).
45 È il caso dei Principi, una delle poche famiglie bolognesi studiate con accura-
tezza (Greci, Una famiglia mercantile) Attestati in documenti pubblici nel 1199 e nel
1208, dal secondo decennio del Duecento la loro presenza si fa più consistente: Barto-
lomeo compare come console dei Mercanti nel 1212 e nel 1218, mentre altri membri
della famiglia sono nel consiglio cittadino. Nel 1222 Bartolomeo diviene miles iustitie e
in seguito è presente nel consiglio cittadino anche nel 1229 e nel 1234 (Wandruszka,
Die Oberschichten Bolognas, p. 368).
Partecipano agli organi consiliari anche famiglie che per il momento non esercita-
no cariche giudiziarie per il comune, ma che al tempo stesso risultano in posizione
economicamente rilevante, come i Magarotti, anch’essi più volte nel consiglio (Savioli,
Annali Bolognesi, II, 2, pp. 189 e 421) e i Pizzigotti, che compariranno in seguito
nella società del Cambio (Pini, La società del cambio).
con sei, i da Baysio con cinque, così come i Principi. I Ramixini e i Carbonesi con
quattro, gli Andalò con tre, come i da Fratta, i Lambertazzi, i Maccagnani; Magarotti
con due. I Guarini-Uguccioni, i Pizzoli, i Curioni e i Guezzi con uno. Le uniche assen-
ze sono relative a quelle famiglie che risiedevano in quartieri di residenza di cui non ci
è pervenuto l’elenco dei milites: Boccadironco (Piera); da Gesso (Stiera); Orsi (Piera),
Pizzigotti (Piera); Rustigani (Stiera); Storlitti (Stiera). In generale, il dato non stupisce
per quelle famiglie che risultano attestate tra i consoli, che possono vantare una tradi-
zione risalente di esercizio del diritto, o che provengono dagli strati più alti della socie-
tà rurale, ma risulta significativo per quei casati la cui principale attività è il prestito di
danaro (come i Magarotti), il commercio (come i Principi), e soprattutto che non com-
paiono affatto nelle cariche e nei consigli della generazione precedente, come i Piccioli,
notai, o i Curioni, probabilmente in origine conciatori, ossia semplici populares.
48 Sul Liber Paradisus v. Vaccari, L’affrancazione dei servi; Simeoni, La liberazione
dei servi; Kotelnikova L’emancipazione dei servi; Pini, Un aspetto dei rapporti tra città e
territorio.
49 Il numero complessivo di servi liberati è 5855. Quelli liberati dai magnati lam-
servi di tutto il gruppo dei magnati lambertazzi: i Carbonesi, con il loro ramo ormai
autonomo degli Andalò, i Lambertazzi, assieme al meno facoltoso lignaggio dei Boc-
cacci, e gli Albari, che rispetto a queste stirpi sembrano possedere un’origine rurale.
Le segue, ben distanziato, un gruppetto di altre famiglie dell’aristocrazia consolare po-
liticamente molto attive anche nella generazione procedente: i Guarini, e il loro ramo
degli Uguccioni, gli Accarisi, i da Fratta, i Ramisini e gli Scannabecchi. Sullo stesso
livello si collocano famiglie di inurbazione più recente, non presenti nel consolato, e
delle quali sembra più probabile l’esercizio di poteri signorili, come i da Gesso e i da
Baysio. Fin qui niente di sorprendente. Più rilevante il fatto che altri lignaggi cittadini,
ben attestati nel consolato nonché negli incarichi politico-diplomatici della prima metà
sel secolo appaiono possedere un numero di servi sensibilmente inferiore: si tratta de-
gli Orsi, dei Rustigani e degli Asinelli, che sembrano essere nella stessa condizione di
famiglie di tradizione meno antica, ma comunque dotate di competenze giuridiche (Nevi
Ranieri, cioè Guezzi; Storlitti) o di piccole porzioni di diritti signorili (Maccagnani,
forse anche gli Storlitti). I futuri magnati di origine popolare (Principi, Magarotti, Cu-
rioni, Pizzigotti) o chiudono il gruppo detenendo pochissimi servi.
51 Oltre alle podesterie che Carbonesi, Lambertazzi e Andalò ricoprono nelle città
della lega ghibellina toscana, occorre ricordare che nel 1255 a parlamentare a Roma
per la liberazione di Brancaleone Andalò, tenuto prigioniero dai baroni della città,
viene inviato Oliviero degli Asinelli, i cui figli sarebbero stati compagni dei figli di
Brancaleone nella militanza lambertazza (Savioli, Annali Bolognesi, III, 1, p. 283). Il
fatto che proprio quei legami tra domus che si stabilizzano negli anni cinquanta assu-
mano valore nelle relazioni internazionali del comune è poi testimoniato dalla già men-
zionata serie dei podestà di Modena. Per la parte « filoimperiale » modenese ricoprono
l’incarico sempre « padri » dei magnati lambertazzi: nel 1249 Bonifacio di Castellano
Lambertazzi; nel 1251 Loderigo Andalò; nel 1252 Iacopo Buglioni Lambertazzi; nel
1253 Oliviero Asinelli, nel 1254 Fabbro di Bonifacio Lambertazzi; nel 1257 Pellegrino
da Baysio; nel 1258 Arimondo di Giacomo di Bernardo Carbonesi. Nel 1252, mentre
Oliviero Asinelli regge Modena per la parte filoimperiale dei Graisolfi, il suo congiun-
to Filippo governa per conto degli Aigoni, antiimperiali. Si tratta del primo segno
della scissione intrafamiliare tra i due rami degli Asinelli: quello principale, che sarà
geremeo, e quello di Oliviero, i cui figli si schiereranno con i lambertazzi.
52 Il Liber del 1277 è conservato in ASBo, Elenchi, vol. III, reg. II. Esso è mutilo
delle prime carte, relative ai banditi, e ai confinati delle prime tre categorie del quar-
tiere di porta Piera. Per queste menzioni occorre quindi ricorrere a una copia. In
Milani, Il governo delle liste, p. 224, avevamo scelto, in base a ragioni di leggibilità la
copia contenuta in ASBo, Elenchi, reg. I. Con il progredire della ricerca, ci siamo
accorti che questa copia, che ritenevamo affidabile, è in realtà più incompleta di quella
contenuta in ASBo, Elenchi, vol. III, reg. I, cc. 67r-117v, che presenta 54 menzioni in
più. Per questa ragione, e poiché questa altra copia, a differenza di quella precedente-
mente selezionata, presenta la specificazione della condizione penale di tutte le menzio-
ni, abbiamo deciso di assumerla come copia più affidabile. A causa di questa scelta la
cifra totale di 3907 menzioni , riducibile, una volta eliminate le ripetizioni a 3895
differisce lievemente da quella di 3841 da noi proposta in quella sede.
53 Si tratta per la precisione di 3907 menzioni di cui 58 sotto la forma compren-
siva « omnes de domo ... » (relativi a uno stesso cognome) o « omnes filii ... » (relativi
a uno stesso padre). Altre 156 sono individuali ma specificano, per mezzo dell’aggiunta
« et filii », o « et fratres » che la pena viene estesa anche ai parenti nominati. La metà
di queste menzioni collettive risulta tuttavia, a una lettura ravvicinata, pleonastica: in
altre parole, i nomi dei parenti sottintesi dalle menzioni collettive appaiono anche come
menzioni individuali. Un piccolissimo gruppo (12 menzioni) è infine rappresentato da
persone che compaiono sotto differenti cappelle, spesso vicine, ma condannati alla stessa
pena, e che vanno pertanto eliminate dal totale (Il governo delle liste, p. 224). Vista la
loro relativamente scarsa rilevanza sul totale e le notevoli difficoltà di separarle, soprat-
tutto nel confrontare differenti liste, d’ora in avanti le menzioni collettive e quelle
individuali verrano considerate assieme.
tratta di due studi che, per la loro rilevanza, sarebbe stato importante incrociare con i
dati sui lambertazzi forniti dal Liber del 1277, cosa che tuttavia non è stato possibile
fare se non in parte, poiché si basano entrambi su documenti posteriori alla cacciata e
che quindi rendono conto di una situazione in gran parte modificata dallo stesso ban-
do del 1274.
nel corso del medioevo l’espansione della città: si ricava in tal modo
una prima zona, corrispondente alla piccola porzione di centro circo-
scritta dalle mura altomedievali e dalla sua addizione longobarda, cioè
l’area imediatamente circostante la Piazza e la zona che collega la Piaz-
za alle attuali « due torri »; una seconda zona situata tra la prima e la
seconda cerchia, la cerchia dei torresotti del XII secolo; una terza zona
tra questa e la cerchia di mura del XIV secolo, visibile negli attuali
viali di circonvallazione; e una quarta zona esterna ad essa. Come spie-
ga Greci, « le 99 cappelle cittadine sono variamente ripartite sul territo-
rio urbano giàcché nel nucleo più antico, in poco spazio, si addensano
ben 34 parrocchie, 40 nella seconda fascia, 20 nella terza e solo 5 oltre
l’ultimo giro della cinta urbana » 56. Tenendo conto della forte relazione
esistente tra residenza nel centro, antichità della famiglia e prestigio
sociale, l’analisi delle parrocchie appare quindi come un indicatore no-
tevolmente più solido rispetto a quella dei quartieri.
I dati relativi alla ripartizione delle 3895 attestazioni effettive di
lambertazzi indicano che nella zona più centrale sono attestate 392
menzioni (10% del totale), nella seconda zona 2032 (52%), nella ter-
za 1235 (32%); nella quarta soltanto 214 (5,5%). Il restante 0,5%è
costituito dalle 22 attestazioni che i notai trascrissero sotto la rubrica
cappella ignota 57.
Come si può notare, la grande maggioranza dei condannati risiede
tra la prima e la terza cerchia di mura, in particolare nella zona situata
tra la prima e la seconda, in cui abita più della metà dei lambertazzi.
Quest’ultima è l’area in cui si sono stabilite le famiglie e gli individui
inurbatisi fino al XII secolo e in cui tende con ogni probabilità a con-
fluire anche l’immigrazione più recente che preferisce e ha la possibilità
di oltrepassare la zona dei burgi (zona 3). Piuttosto scarsa appare la
presenza di lambertazzi nelle parrocchie più periferiche (zona 4), e meno
consistente di quello che ci si potrebbe attendere dal censimento di
una parte « aristocratica », è il dato relativo alle parrocchie più antiche
e centrali, anche se va ricordato che la presenza demica complessiva,
visto lo spazio (soltanto 21 ettari), non poteva essere molto estesa.
In questa zona, ripartita tra le parrocchie, quasi tutte gentilizie, che
si affacciano sulla Piazza, in cui ha sede il comune, e nelle sue imme-
diate vicinanze, sono raggruppate innanzituto le case, quasi sempre do-
58 La più alta presenza di colpiti dalle condanne di questa zona si registra nella
cappella di S. Matteo degli Accarisi, posta all’estremità orientale della zona, verso la
Porta Ravennate. In questa parrocchia, alle relativamente poche menzioni relative al
lignaggio che detiene il patronato (9), si affiancano quelle ben più numerose (35) dei
membri della famiglia Principi, come abbiamo visto non altrettanto antica, non inserita
nel consolato, ma ben attiva sin dai primi anni del Duecento nella societas mercatorum,
e quindi nelle istitutizioni del comune podestarile. I Principi sconfinano nella cappella
di S. Dalmasio, intestata a un’altra famiglia magnatizia lambertazza: gli Scannabecchi,
che vi convivono accanto agli eredi del vescovo podestà di ottant’anni prima: i Gisla.
Allo stesso livello di presenza lambertazza si trova la cappella di Nicolò degli Albari,
dove la famiglia patrona, probabilmente detentrice di poteri nel contado, è presente
con i suoi diversi rami: i da Castello e i Corvolini. Segue, in ordine decrescente, con
30 lambertazzi, la parrocchia di S.Maria dei Carrari, situata dietro al lato orientale
della Piazza, intestata a un’altra famiglia di fortuna risalente almeno all’ultimo venten-
nio del XII secolo (Savioli, Annali Bolognesi, I, 2, p. 158). ma non censita tra quelle
magnatizie del 1271-72. Qui i Carrari vivono accanto ai Curioni, di origine molto più
recente, ma che evidentemente avevano praticato uno stile di vita, e un coinvolgimento
nei conflitti interni, passibile della censura antimagnatizia. Registra un ventina di colpi-
ti S. Vito, una delle parrocchie in mano alla famiglia Lambertazzi che controlla diretta-
mente l’angolo sud-orientale della Piazza, avendo a disposizione, oltre a questa, anche
le cappelle di S. Tecla, situata dove nel secolo successivo sorgerà la basilica di S.
Petronio, nonché quella di S. Michele, sul lato est, dove abita il loro ramo dei Boccac-
ci. I membri della famiglia Lambertazzi del resto sono ben presenti anche sul fronte
opposto della Piazza, con il ramo dei Mulnaroli, che risiede nella cappella di S. Anto-
lino. Allo stesso ordine di grandezza, per presenza di condannati, è ascrivibile la par-
rocchia di S. Tecla di Portanuova, non gentilizia, ma abitata dai Guezzi, che vi posseg-
gono una torre. E così la parrocchia di S. Simone e Giuda, dove abitano altri Accarisi
oltre ai Guarini; quella di S. Maria dei Gudescalchi, ove sono i da Baysio. Lievemente
inferiori quanto a numero di lambertazzi sono altre tre cappelle tutte attestate con 16
colpiti: S. Maria della Chiavica, S. Martino dei Caccianemici, S. Michele del Mercato,
tutte situate in una fascia lievemente più esterna rispetto alla Piazza e in alcuni casi di
proprietà di famiglie leader dello schieramento geremeo, come appunto i Caccianemici.
Anche le altre cappelle di questa prima zona con poche eccezioni sembrano registrare
un numero vieppiù inferiore di condannati, a mano a mano che ci si allontana dalla
Piazza verso le zone esterne della cerchia più antica: a est, la porta Nuova, a nord gli
isolati posti a settentrione della via Emilia, sui quali era stato l’antico palazzo imperiale
e ancora si trovava la cattedrale di S. Pietro, a sud verso le cappelle attigue a quella
insula dei Galluzzi, probabilmente la famiglia più prestigiosa tra quelle magnatizie ge-
remee, di cui la torre e la corte sono ancora ben visibili. È interessante che proprio in
questa zona di parrocchie strettamente controllate dalle famiglie si situino ben otto
delle nove cappelle cittadine di cui grazie ad altre fonti conosciamo l’esistenza, ma che
non compaiono nel nostro registro poiché non vi abita nessun individuo identificato
come lambertazzo.
59 Si tratta di S. Maria Rotonda dei Galluzzi, S. Bartolomeo in Palazzo, S. Catal-
do, S. Ippolito, S. Maria dei Bulgari, S. Maria di Castello. Ma v. Fasoli, Appunti sulle
torri, cappelle gentilizie e grandi casate.
60 Il riferimento alla casa degli Accarisi a Medicina si trova in ASBo, Beni, vol.
VI, c. 25v. Come è probabile che si situassero lontane da altri possedimenti le terre
detenute da Soldano Albari in località Camaldoli, vale a dire presso Ponte Maggiore
(ASBo, Beni, vol. VI, c. 68v), o anche quelle di Pietro dei Curioni a Fossole, consi-
stenti in qualche ettaro di canneto, una casa e una vigna (ASBo, Beni, vol. VI, c. 58r).
I sedici ettari di proprietà dei Guarini, anzi del loro ramo degli Uguccioni, posti a
Fiesso e a Castenaso, lungo il corso del Savena (ASBo, Beni, vol. VI, cc. 41r; 46r),
potrebbero essere l’appendice registrata nel quartiere di porta Ravennate di più ampi
possessi che si estendevano in quello di porta Piera.
61 Esso comprende varie case e varie torri nella cappella di S. Dalmasio, altre in
quella di Matteo degli Accarisi, le beccarie situate al livello stradale delle stesse case,
alcune quote della beccaria magna ad esse attigua, nonché quindici casamenta, vale a
dire terreni edificabili, situati nella periferica parrocchia di S. Giuliano, in prossimità
del luogo dove sorgerà la terza cerchia di mura, alla fine della strada di Santo Stefano,
affittati a privati per 20 lire ognuno. Anche l’insieme delle proprietà rurali, che com-
prende quindici ettari di vigne, altrettanti di arativo, e un esteso bosco a Medicina,
lascia supporre una strategia diversificata di investimenti economici del danaro ricavato
dall’attività mercantile (ASBo, Beni, vol. VI, cc. 5v; 6r; 32r-v; 47r-v; 48r; 56v; 69v; 70r.
Ma sulle proprietà fondiarie dei Principi v. anche Greci, Una famiglia mercantile nella
bologna del Duecento).
Simile risulta l’assetto proprietario degli Scannabecchi, che vede quattro case, di
cui alcune turrite, nella loro parrocchia di S. Dalmasio, una in quella attigua di S.
Maria in Solario e un’altra più distante, nella parrocchia di S. Biagio, nella stessa zona
di investimento praticata dai Principi con i loro casamenta, simile anche nella pluralità
di colture e di appezzamenti, che complessivamente contano dieci ettari di vigna, tre-
dici di arativo e tre di prato (ASBo, Beni, vol. VI, cc. 7r; 32v; 37v: 62r; 66v; 68r; 70r-
v; vol VIII, reg. 6, c. 9r).
62 ASBo, Beni, vol. VI, c. 6v; 18v; 19r-v; 20r-v; 21r-v; 22r; 36r-v; 56r; 58r; 75r; vol
VIII, reg. 6, c. 41v; 48v; 49r. Complessivamente contano una casa con torre nella
parrocchia di S. Remedio, altre due a S. Tecla, e altre cinque a S. Vito. Nella guardia
civitatis e nella zona di campagna immediatamente esterna alla città possiedono alcune
vigne, a cui affiancano, più lontano, grandi quantità di terreno a Medicina (119 ha) e
a S. Martino in Argile (46 ha), e in altre zone per un totale di circa 200 ha, di cui
tuttavia solo 10 coltivati a vigna, 75 arativo, 7 a prato, altri 2 a incolto e ben 109 di
bosco. È evidente che, almeno a giudicare dal quartiere per cui disponiamo di questi
dati, si tratta di una gestione notevolmente meno produttiva di quella praticata da
famiglie economicamente più dinamiche come i Principi.
63 I personaggi riferibili ai casati analizzati nel precedente paragrafo sono 148 (pari
al 37% dei 392 lambertazzi censiti nella prima zona), che, assieme a quelli che pro-
vengono da altre famiglie aristocratiche dotate di cognome, ma non censite nel 1271-
72 e nel 1274 come magnati di parte lambertazza, costituiscono il 51% del totale.
mezzo della professione, e che un altro 5%, circa, può essere invece
identificato attraverso un toponimo di provenienza. Anche questi « ano-
nimi » che abitano nella zona più centrale della città sembrano costitu-
ire un gruppo socialmente medio-alto. Tra i professionisti vi sono figure
prestigio: sette medici e tre speziali, otto sarti, altrettanti beccai, cinque
notai. Anche tra quei personaggi che sono identificati attraverso il nome
di una località, di cui pertanto è possibile supporre la recente immigra-
zione, la maggioranza proviene da altre città più o meno vicine piutto-
sto che da località del contado, e si tratta di città che lasciano suppor-
re attività economiche come il credito, la mercatura, e in un caso
anche il commercio della lana: dominano infatti Firenze, Reggio, Par-
ma 64. In questa zona, infine, anche gli individui designati con toponi-
mo del contado sembrano appartenere alle classi più facoltose della
società rurale 65.
Nella seconda zona si concentrano, come abbiamo già accennato,
più della metà dei lambertazzi censiti. Le cause che concorrono a spie-
gare una prevalenza così forte sono varie, ma tra queste due sembrano
potersi isolare rispetto alle altre: la maggiore presenza demica rispetto
alla prima zona, inferiore di circa sei volte per estensione, e la residen-
za di alcune tra le famiglie magnatizie più potenti in seno alla fazione
lambertazza. È per esempio proprio in queste cappelle, situate appena
lo centro collinare di Liano, e ben integrato in città, dal momento che risulta, nello
stesso 1274, iscritto alla società territoriale dei Rastrelli (ASBo, Matricole, b. 1, reg.
1, c. 1r). Dal libro dei beni sequestrati del 1277 egli risulta possedere nel solo
quartiere di porta Ravvennate, dove si trova il suo paese d’origine, un totale di più
di 190 ha di terreno (ASBo, Beni, vol. VI, c. 64r-v; 65r-v; 66r-v; 67r-v). Questo
« sconosciuto » viene così a collocarsi, per estensione del patrimonio posseduto in
questo quarto del territorio controllato dal comune, allo stesso livello dell’intera fa-
miglia Lambertazzi. Le terre di Soldaderius, a differenza di quelle della famiglia citta-
dina, risultano inoltre concentrate in un’area piuttosto ristretta, posta nelle pertinen-
ze di Liano e dei due comuni vicini di Casalecchio dei Conti e di Castel San Pietro,
con una piccola quota allibrata sotto il comune di Varignana, appena più distante. E
grande risulta la qualità e la varietà nel tipo di colture, che comprendono per lo più
l’arativo (101 ha) e l’arativo misto ad altre coltivazioni come la vigna, l’incolto, il
prato (in tutto 50 ha); ma anche la vigna da sola (3 ettari); il prato (15ha); l’incolto
(10 ha) e il bosco (altri 10 ha).
al di fuori del primo giro di mura, che abitano i Carbonesi, gli Andalò,
larga parte dei da Baysio, quei lignaggi cioè che sin dalla fine degli
anni Cinquanta – a giudicare dal patto del pubblicato da Savioli 66 –
sono attestati, a fianco della famiglia Lambertazzi, alla guida della pars
cittadina che da questi ultimi prende il nome. L’enorme numero di
condannati che risultano risiedere in quest’area appare così il risultato
di una convergenza tra la capacità manifestata da alcuni casati nel co-
struire relazioni politicamente significative con i loro vicini di parroc-
chia e lo spessore quantitativo del gruppo di cittadini, non magnati,
coinvolti in queste relazioni. L’importanza di questo aspetto risulta bene
dai dati relativi alla presenza di individui definibili come « magnati »:
mentre nella prima zona il 37% delle attestazioni riguarda personaggi
riconducibili alle domus magnatizie di parte lambertazza e un altro 14%
si può attribuire ad altre famiglie che, pur non essendo censite tra i
magnati del 1271, 1272 e 1274, vantano comunque il possesso di una
torre, per un totale di menzioni « aristocratiche » del 51%, in questa
seconda zona tali menzioni non ammontano che al 14%, con solamente
il 4,5% che fa parte della famiglie magnatizie « ufficiali » prima della
cacciata. Ciò significa che attorno al gruppo numericamente piccolo rap-
presentato dalle famiglie che già abbiamo osservato si era stretto un
insieme di persone grande più di sei volte tanto, che sicuramente, come
attestano le stesse condizioni penali su cui ci soffermeremo nel prossi-
mo paragrafo, esprimeva a livelli diversi la propria solidarietà, ma al
punto da essere comunque coinvolto nella punizione.
L’enorme numero dei colpiti non consente di proseguire l’analisi dei
lambertazzi censiti sul totale delle attestazioni, come abbiamo fatto os-
servando la prima zona, ma rende necessario isolare un campione signi-
ficativo. Ci atterremo qui ai lambertazzi residenti in alcune parrocchie
che continueremo ad analizzare nel corso dei capitoli seguenti 67. La
prima è la cappella gentilizia di S. Giacomo dei Carbonesi, situata al-
l’incrocio tra la via S. Mamolo e il trebbio dei Carbonesi (attuali via
d’Azeglio e via Carbonesi). In uno spazio non troppo esteso si affianca-
no qui le case della famiglia Carbonesi e quelle della famiglia Andalò,
da essa derivata. Si tratta di domus note in tutta l’Italia comunale per
l’attività dei loro membri come ufficiali forestieri particolarmente com-
66 V. Capitolo V, par. 2.
67 Si tratta delle parrocchie di S. Giacomo dei Carbonesi, S. Giovanni in Monte,
S. Michele del Lebbroseto, S. Vitale, che sono incluse nel campione che abbiamo
scelto di isolare. Su questo campione v. Capitolo VII.
68 ASBo, Beni, vol. VI, c. 3v; 15r-v; 16r-v; 17r-v; 72v; 73v; 75r; vol VIII, reg. 6, c.
28r-v; 29v Nel solo quartiere di porta Ravennate, che non è il loro quartiere di resi-
denza, gli Andalò posseggono 22 tra case e terreni edificabili, e beni fondiari per un
totale di più di 149 ettari. Si tratta di terreni differenti, posti in zone anche distanti
tra loro. Gli Andalò hanno possessi a Ponte Maggiore, a Ronchoveto, a Farneto, posti
nelle vicinanze della città tra l’Idice e il Savena; a Bixano, una località nella montagna
vicino a Monterenzio, dove hanno altri terreni, a Casalecchio dei Conti, e a Varignana,
sulla collina, a Cazzano e a Ozzano, in pianura. Con un’estensione media di 3 ha, in
cui l’arativo occupa la parte preponderante (più dell’80%), ma quote non indifferenti
(ognuna, circa il 4%) hanno la vigna, il prato, il bosco, e la coltura mista (arativo-
vigna; arativo-bosco). Si tratta inoltre di terreni gestiti oculatamente, dal momento che
l’incolto ne costituisce una percentuale non quantificabile, ma bassa, e che in alcune
zone, come a Cazzano, sulla riva sinistra del Savena, o a Ozzano nell’Emilia, i singoli
appezzamenti afferiscono a « poderi », vale a dire a grandi aziende agricole. Accanto a
questi beni fondiari gli Andalò risultano possedere, oltre alle case in cui abitano, an-
che alcune abitazioni poste a Ponte maggiore, nella circla civitatis, che concedono in
affitto a privati. Sull’uso del termine « podere » nel bolognese a quest’altezza cronologi-
ca, che non indica una azienda assimilabile al podere toscano, ma una di maggiori
dimensioni e non legata alla coltura promiscua, v. Gaulin, Les terres des Guastavillani,
pp. 51 e ss.
71 Grazie alla matricola della loro società scritta nel 1274 anteriormente alla cac-
ciata, siamo in grado di sapere che essi afferiscono a cinque staciones (banchi) diffe-
renti (ASBo, Matricole, b. 1, Società dei mercanti, cc. 1r-4v). Tre di questi banchi,
quello dei Principi, quella di Guglielmo da San Giorgio e quella di Iacobus Bernardini,
sono tenute da proprietari residenti nella zona più centrale. Il banco dei Principi è
composto da 8 soci e 8 servientes (apprendisti). Tra i primi, 6 risultano scritti negli
elenchi di lambertazzi mentre due (membri della famiglia de Lamandinis) non lo sono.
Tra i servientes ben 7 risultano lambertazzi. Nel banco dei de Sancto Georgio appaiono
5 soci (di cui 4 lambertazzi) e 11 servientes (di cui 10 lambertazzi). Nel banco, ancora
più ridotto, di Iacobus Bernardini, i soci sono due (e solo Iacobus è censito come
lambertazzo), i servientes 5 (e tra questi solo uno risulta lambertazzo). Altri due sono
in mano a tenutari che abitano in queste stesse parrocchie: si tratta della stacio di
Rolando Benvignoni, e di quella di Consilius Bolnisini, due personaggi che danno lavo-
ro oltre a parenti stretti anche a persone dotate di differente cognome, come un mem-
bro della famiglia Cavalli, i cui familiari sono attestati come drappieri, e come mercan-
ti che afferiscono ad altri banchi, o Leonardus de Fortesonaglo, che ha un fratello
notaio. La stacio di Consilius Bolnisini è composta da cinque soci (di cui 4 lambertaz-
zi), che appartengono alla famiglia di Consilius e a quella dei Blanchi Superbe, e da
due servientes (di cui solo uno lambertazzo).
72 Valga a titolo di esempio il caso del già citato Consilius Bolnisini, che sembra
possedere soltanto la casa in cui abita, un orto e alcune vigne poste nella circla civita-
tis, per un totale di poco più di 6 ettari (ASBo, Beni, vol VI, cc. 22v, 23r). Di
maggiore peso sembra essere il patrimonio dei Foscardi, una famiglia di mercanti tenu-
taria di un banco e distribuita tra la seconda e la terza zona, che risultano avere nello
stesso quartiere, oltre alle proprie case, un totale di 46 ettari di terreno, di cui il 76%
di arativo e il resto distribuito tra vigna e prato (ASBo, Beni, vol VI, c. 46v, 55r; 63r;
76r). Il fatto che tutte le terre si trovino a Budrio tuttavia, assieme ad altri fattori (non
è presente nelle istituzioni cittadine della prima metà del secolo), è spiegabile in due
modi non necessariamente incompatibili: i Foscardi potrebbero essere stati una famiglia
di proprietari terrieri del contado che trovò nell’esercizio della mercatura in città una
fonte di guadagno, oppure una famiglia che derivò in un primo momento le sue entra-
te principali dal commercio e che in seguito reinvestì il capitale in un acquisto di terra
concentrato in una zona, anzi in un solo comune rurale. Più probabilmente giocarono
entrambi i fattori e l’origine rurale della famiglia mercantile pesò nell’orientarne gli
acquisti. La stacio dei Foscardi è composta da 13 soci, tutti della famiglia e tutti
lambertazzi, e da nessun serviens.
73 Nel quartiere di porta Ravennate Tommasino Magarotti, cambiatore di una cer-
ta rilevanza sembra possedere soltanto due case, una nella terza zona, nella parrocchia
di S. Maria in Torleone, un’altra a ridosso della prima cerchia di mura, in quella di S.
Bartolomeo di porta Ravennate (ASBo, Beni, vol VI, c. 70r). Nel contado, da alcuni
affondi condotti sugli altri registri frammentari di beni sequestrati, sembra che siano in
possesso di questa famiglia solo alcune vigne in prossimità della città. Simile la situa-
zione dei Tonsi e di altri cambiatori noti, come i Tettalasina, come vedremo destinati a
rientrare e a ricoprire un ruolo importante nel regime di popolo. In questo caso però
la scarsezza delle proprietà potrebbe dipendere dal campione. Dal momento che costo-
ro, pur risiedendo in città anche nel quartiere di porta Ravennate, avevano la maggior
parte delle case in quello di porta Procola, è possibile che avessero la maggior parte
dei beni nello stesso quartiere del contado, per il quale l’elenco dei beni sequestrati
non è giunto fino a noi che in forma estremamente frammentaria. I Pizzigotti, che
risiedono nella cappella di San Donato in porta Piera, hanno 10 ettari di terra a porta
Ravennate, ma non è chiaro quale quota rappresenti dei loro possessi complessivi.
Fanno invece eccezione, registrando un possesso fondiario appena più consistente, i
Terrafocoli, una famiglia di mercanti-cambiatori attiva nelle istituzioni cittadine sin dal-
l’inizio del Duecento, ma non attestata tra i mercanti del 1274, residente nelle cappelle
poste attorno al tratto più centrale della via S. Vitale, che risulta avere ben 55 ettari di
terreno, tutti situati a Medexano (oggi S. Martino), una località di pianura a sud di
Medicina (ASBo, Beni, vol VI, cc. 58r; 60v; 61r-v; 62r; 69r; 70r). Per questa famiglia è
possibile avanzare un’ipotesi simile a quella che abbiamo formulato per i Foscardi:
probabilmente essa fu originaria della località in cui risulta avere i beni, e nella stessa
località reinvestì i proventi dell’attività economica svolta in città. Gaulin, Une nouvelle
source pour l’histoire de l’endettement, p. 497, segnala come i Magarotti rappresentino
nel 1250 una delle poche famiglie che presta denaro sia in città che nel contado e
come continuino ad essere tra i creditori più attivi anche nel 1270.
non lambertazzo; quella di Salvestre da Tignano, residente nella terza zona. Sebbene
numericamente poco consistenti, i mercanti della terza zona evidenziano quindi l’im-
portanza della società dei mercanti nella creazione di una rete di solidarietà politica
trasversale.
76 ASBo, Beni, vol. VI, c. 60r-v.
77 ASBo, Beni, vol. VI, c. 63r.
78 ASBo, Venticinquine, b. 7 (Procola), S. Omobono.
città (fuori dal distretto, fuori dal comitato, fuori dalla città) gli altri
individui identificati come lambertazzi che non avevano manifestato una
simile disobbedienza, ma che al tempo stesso erano stati giudicati suffi-
cientemente responsabili. Con l’ultima categoria infine, quella del confi-
no di quarta condizione, o confino de garnata, vennero condannati a
risiedere in città, ma ad allontanarsene ogniqualvolta l’ordine fosse stato
loro impartito dal capitano del popolo, i lambertazzi meno responsabili.
La tripartizione tra banditi, confinati fuori dalla città e confinatide gar-
nata, fu solennemente sancita dal proemio del Liber del 1277 81.
Al di là di questa chiara relazione tra responsabilità e condizioni
penali, dobbiamo riconoscere che non possediamo informazioni su qua-
li furono i criteri concreti che ispirarono le autorità comunali e i consi-
gli speciali che procedettero a questa selezione. In altre parole, è piut-
tosto complesso cercare di stabilire in base a quali elementi un cittadi-
no venne condannato al confino di prima, seconda, terza o quarta con-
dizione. Più intellegibile appare la selezione dei banditi, poiché sappia-
mo che, anche a questa altezza cronologica, il bando continuava ad
essere giustificato sulla base della mancata presentazione in tribunale di
un accusato in seguito a una citazione. Per quanto intesa estensivamen-
te, strumentalizzata in senso politico, proprio questa motivazione venne
invocata nel giugno 1274 per attuare la prima ritorsione contro i lam-
bertazzi fuggiti a Faenza82 ed è altamente probabile che venne chiamata
in causa anche per punire quanti a partire dal 1274 erano stati identi-
ficati come lambertazzi e per questo condannati al confino, ma non si
erano presentati ai controlli dei notai inviati dal capitano 83. Dal mo-
mento che – anche su questo ci soffermeremo nel prossimo capitolo –
possediamo molte delle liste per mezzo delle quali si pervenne tra 1274
e 1277 a identificare l’insieme di lambertazzi passibili di punizione, sia-
mo in grado di ricostruire con una certa approssimazione anche chi
furono i lambertazzi banditi già nel 1274 e quanti invece lo furono
soltanto nei tre anni successivi. Si tratta di un elemento importante per
valutare la gerarchia interna della fazione esclusa, distinguendo due grup-
pi tra quanti vennero inclusi nell’elenco del 1277: un gruppo « di verti-
ce », impegnato a tal punto nei conflitti civili da allontanarsi volontaria-
mente di fronte alla sconfitta imminente; e un altro gruppo che compì
questa scelta solo in un secondo momento, dopo essere stato identifica-
to come nemico dalle commissioni deputate e, dunque, dopo aver per
un periodo più o meno lungo interagito ancora con le autorità, pagan-
do la colletta speciale che ai lambertazzi venne imposta nel 1274 o
fornendo un cavallo al comune, come separatamente lambertazzi e ge-
remei dovettero fare nel 1274 e nel 1275.
Al primo gruppo, quello dei banditi del 1274, sono riconducibili
735 attestazioni 84. Tra questi banditi della prima ora, 143 (pari al 19,7%)
sono magnati lambertazzi, cioè i membri di quelle famiglie attestate
come lambertazze nelle liste che abbiamo analizzato nel primo paragra-
fo di questo capitolo. Altri 58 (8%) sono membri di altre famiglie
importanti che, tuttavia, non appaiono nelle liste di magnati del 1271-
72. Si tratta di alcuni lignaggi cittadini non presenti nel consolato, ma
che vantano in alcuni casi giuristi e che sono tutti attestati nella milizia
del 1249, come gli Accursi, figli del famoso glossatore, i Boschetti, i
Bombelli, i Vandoli, gli Arienti, i Castel de’ Britti. Tra queste vi sono
inoltre famiglie di cambiatori, ma già iscritti come milites a metà del
secolo XIII, come i Terrafocoli, i Tettalasini, i Tonsi, e altri dediti alla
mercatura, come gli Abbati (beneficiati largamente nel testamento di
Enzo, figlio di Federico II). Infine completano il gruppo importantissi-
me stirpi di signori del contado, come il ramo lambertazzo dei conti di
Panico, detentori della più rilevante isola signorile della montagna bolo-
gnese. Tutti costoro non compongono assieme ai magnati lambertazzi
che il 28% banditi del 1274. Le rimanenti 534 attestazioni si riferisco-
no a individui e famiglie meno chiaramente valutabili. Tra questi, 120
83
Sui controlli dei confinati v. Capitolo VIII.
84
La cifra è ricavata sottraendo alle 1387 menzioni di banditi del Liber del 1277,
le 652 menzioni che compaiono nelle liste superstiti prodotte durante gli anni 1274 e
1275. Su queste liste v. Capitolo VI.
Tabella 2 – Banditi del 1274, del 1275-76 e del 1277 distinti per zona cittadina.
1 152 21 57 8 57 14
2 351 47,7 322 49,8 322 49,5
3 192 26,1 247 39,3 247 31,6
4 35 4,6 24 3,6 24 4,4
Ignota 5 0,6 2 0,3 2 0,5
Totale 735 100 652 100 652 100
Tabella 3 – I lambertazzi del 1277 distinti per condizione penale e per zona di
residenza.
Zona B % C1 % C2 % C3 % C4 % Totale %
1 193 14 76 17 31 7 34 7 58 5 392 10
2 689 49,5 305 68 262 62 245 50,5 531 46,7 2032 52
3 439 31,6 56 12,5 116 27,8 157 32,5 467 40 1235 32
4 59 4,4 11 2,5 12 3 36 7,5 96 8,3 214 5,5
non attribuita 7 0,5 0 0 1 0,2 14 2,5 0 0 22 0,5
Totale 1387 100 448 100 422 100 486 100 1152 100 3895 100
1 15 6,5 10
2 54 50 52
3 27 36 32
4 3,8 7 5,5
non attribuita 0,2 0,5 0,5
Totale 100 100 100
85 I banditi risultano essere il 38% nel campione, a fronte di un 37% nel totale.
I confinati fuori dalla città, presi assieme costituiscono il 33% nel campione contro il
35% del totale; i confinati in città rappresentano il 29% sia nel campione che nel
totale.
86 Si tratta del 10% sia nel campione, sia nel totale.
87 24% nel campione, 19% nel totale.
88 11% nel campione, 19% nel totale.
qualche modo sottintesi dagli schedatori, come sembrerebbero suggerire alcune delibe-
re dei consigli in cui si afferma per i confinati l’estensione della pena a tutta la discen-
denza maschile, e, per i banditi, talvolta, anche agli ascendenti e ai fratelli, ma a una
simile ipotesi contrastano molti fattori. In primo luogo la struttura stessa della lista
che, attraverso elencazioni quasi sempre individuali, menziona meticolosamente figli,
fratelli, e nipoti di personaggi già menzionati, o attraverso il nome o attraverso espres-
sioni collettive come « figli di » ecc. Una simile precisione risulterebbe eccessiva se si
trattasse di una lista di capifamiglia, mentre trova senso se si intende questo elenco
come una lista di individui puniti. Come si ricava dalle liste successive, l’estensione
« automatica » della condanna avveniva solo nei confronti dei figli, nel momento in cui
avessero superato l’età minima per essere condannati e, cioè, quattordici o quindici
anni. In quel caso tuttavia, i nomi venivano scritti nelle nuove liste. In base a ciò è
molto probabile che, in generale, i figli scritti nel Liber del 1277 fossero solo i figli
maggiori, mentre quelli non scritti fossero ancora troppo piccoli e quindi non passibili
di punizioni (una conferma di questo si ha nelle richieste di cancellazione presentate a
partire dal 1281 dai procuratori dei lambertazzi minorenni, su cui v. Capitolo VII). In
secondo luogo, in molti processi registrati dopo il 1281 si vedono agire personaggi che
affermano e riescono a provare di non essere condannati, sebbene alcuni loro stretti
parenti (fratelli, zii, nipoti, in alcuni casi anche figli, v. Capitolo VII) lo siano. Infine,
come vedremo tra breve, un terzo elemento è fornito dall’analisi degli stessi alberi
genealogici ricavabili dal Liber del 1277: in circa metà di queste « famiglie », i parenti
(padri, figli, fratelli) non sono condannati alla stessa pena, ma a pene diverse. Per le
stesse ragioni che mostrano in maniera chiara come le pene dei lambertazzi fossero
fortemente percepite come pene individuali, non riteniamo che gli elementi in nostro
possesso siano sufficienti per tentare di calcolare quanti altri cittadini (e cioè figli mi-
nori, mogli e figlie) uscirono dalla città assieme ai banditi e ai confinati lambertazzi,
come invece fa Montagnani, I Libri bannitorum del comune di Bologna. I registri giudi-
ziari mostrano una notevole presenza in città di figlie, mogli e vedove dei banditi negli
anni Ottanta del Duecento.
91 Si tratta degli Andalò; della famiglia di Alberto di Aliserio Carbonesi; di quella
suoi figli.
93 Pellegrino da Baisio, anche egli figlio di Gerardo pelato, non compare negli
elenchi, probabilmente perché è morto, ma i suoi figli, nipoti di banditi, sono tutti
condannati al confino di prima categoria. Stessa situazione per Rolandino di Lorenzo
di Bergadano, anch’egli nipote di un bandito, condannato al confino fuori dal di-
stretto.
94 Si tratta di Bonagratia tabernarius, già censito nella colletta del 1274 e poi tra i
sospetti del 1275, condannato al confino in città come suo figlio Benvenuto; e di
Bonaventura Omoboni, punito con la stessa pena assieme a suo figlio Iacobinus.
5. Conclusioni
BOLOGNA 1274-1300
LISTE E CONDIZIONI PENALI
lombarde nell’età di Federico II, pp. 419-426. Particolarmente dedicati alla produzione
e all’impiego delle liste sono Blattman, Wahlen und Schrifteinsatz in Bergamo, Lütke
Westhues - Koch, Die Kommunale Vermögenssteuer (‘Estimo’).
3
Milani, Prime note sulla disciplina e la pratica del bando, con riferimenti alla
presenza di libri di banditi nell’ASBo.
4 Vallerani, Le città lombarde nell’età di Federico II, pp 420-426; Blattman, Wahlen
coscritte, queste liste preventive vennero utilizzate nei primi mesi del
1274 per la revisione delle liste di cittadinanza, entrando nel sistema
di verifica e amministrazione della popolazione attiva. La decisione di
escludere i lambertazzi utilizzando le liste preesistenti fu dunque pre-
parata dal ricorso a pratiche simili nel periodo immediatamente a ri-
dosso della cacciata.
Nelle pagine che seguono le liste di lambertazzi prodotte a Bologna
nel trentennio 1274-1300 saranno analizzate per raggiungere due obiet-
tivi: da un lato ricostruire, sulla base degli elenchi superstiti, le varia-
zioni quantitative del gruppo dei condannati; dall’altro, cogliere i criteri
soggiacenti alle produzione delle liste stesse, e la loro variazione nel
corso del tempo. Quest’analisi sarà scandita da due momenti di siste-
mazione generale, due anni in cui il comune produsse grandi liste di
riferimento destinate a durare: il 1277 e il 1287.
5 V. Capitolo VI.
verso il bando perpetuo 8. Di ben altra portata, dal punto di vista delle
procedure, fu quanto si cominciò a fare nei confronti dei cives che
erano rimasti in città ma potevano essere identificati come simpatizzanti
dei banditi lambertazzi. La guerra con i ghibellini romagnoli, a cui i
lambertazzi si erano uniti nella loro fuga a Faenza, rendeva indispensa-
bili al comune, fiaccato dalla guerra con Venezia, nuove imposizioni
straordinarie per finanziare le spedizioni dell’esercito cittadino. D’altra
parte, occorreva anche evitare la potenziale presenza in questo esercito
di simpatizzanti della fazione sconfitta, ancora in pieno possesso dei
diritti di cittadinanza e quindi inclusi nella leva. Si provvide dunque a
riformulare le normali procedure attuate in caso di guerra: l’imposizio-
ne di una colletta straordinaria basata sull’estimo e la stima dei cavalli
necessaria per i risarcimenti ai milites.
Nel luglio del 1274, soltanto un mese dopo la fuga, ancora prima
che il bando venisse formalizzato, fu bandita una colletta di quattromi-
la lire riservata esclusivamente ai cittadini di parte lambertazza rimasti a
Bologna 9. Non sappiamo esattamente chi procedette a identificarli, ma
è possibile che tale compito venne conferito ai ministrali delle cappelle,
cioè ai responsabili delle più piccole ripartizioni urbane, o ad altri uo-
Ego Iachobus domini Rodaldini de Surdis nunc notarius officio bannitorum dictos
bannitos in libro bannitorum exemplavi et scripsi, die septimo intrante augusto.
Ego Marchixinus Bardelle nunc notarius officio bannitorum dictum bannum dicti
Bonaventure de Chocha et filii ut invenii cum conclusione ita exemplavi et scripsi ».
8 Sul bando perpetuo v. cap. IV.
9 ASBo, Disco dell’Orso, b. 11, reg. 5 (relativo a porta Ravennate, molto rovinato),
c. 9r: « Hec est impositio collecte hominibus partis lambertatiorum pro quarterio porte
Ravennatis, data et diligenter examinata per duodecim offitiales ad hoc specialiter de-
putatos. Sub anno domini millesimo ducentesimo septuagesimo quarto inditione secun-
da ». Segue l’elencon quindi, a c. 15v: « Ego [...] notarius dictam collectam impositam
lambertaciis pro quarterio porte Ravennatis scriptam manu mei [...] et Bencevenis
Amadoris notario, cum domino Ventura Morato notario potestatis, cum exemplo scrip-
tu manu Ansaldini notari et sumpto de dicto autetico, diligenter et fildeliter auscultavi
et quia utrumque concordari inveni ideo me subscripsi ».
ASBo, Disco dell’Orso, b. 11, reg. 4 (relativo a porta Stiera, restaurato, con mon-
taggio, errato, dell’ultima carta al posto della prima), c. 6v: « Autenticum. De quarterio
porte Sterii. Impositio collecte per offitiales ad hoc specialiter constitutos ». Segue l’elen-
co, quindi, a c. 5v: « Ego Jacobus Petri de Unçola, notarius, dictam collectam imposi-
tam lambertaciis pro quarterio porte Steri scriptam manu mei notarii una cum domino
Aygulfo notario domini potestatis et domino Ubaldino de Stigliano notario et Ansaldi-
no Alberti Ansaldini notario, cum exemplo scriptu manu dicti Ansaldini et sumpto de
dicto autentico diligenter et fidelter auscultavi et quia utrumque concordare inveni
contentum, ideoque me subscripsi ».
10In un processo del 1275 fu accusato di connivenza con i lambertazzi uno dei
responsabili per la riscossione delle collette speciali nella cappella di S. Lucia: « Co-
ram domino Hondesanti iudice domini capitanei venit dominus Petriçolus Çoenis et
dicit sacramentum denuntiando Thomaxinum Michaelis de Cavrara qui facit pecitas
de capella Sancte Lucie esse et fuisse semper lambertatium et de parte lambertatio-
rum et electum fuisse tempore presentis potestatis tamquam lambertacium ad impo-
nendum colectam lambertaciorum ». ASBo, Giudici, reg 1 c. 20r. Su questo processo
v. Capitolo VIII.
11 Non possediamo la delibera comunale, ma è richiamata in un contratto tra un
cavaliere lambertazzo e uno geremeo conservato nei memoriali del comune. ASBo,
Memoriali, Memoriale 24 (Ugolini de Rigaçi), c. 211r: « Eodem die [20 agosto]. Pro-
sperinus condam Benvenuti recepit a domino Bolnesio condam domini Feliciani, dante
pro se et fratribus, unum equum baium scurum cum alquot piliis albis in frunte et
cum freno et sella pro servitio comunis cum ipso equo faciendo per unum annum,
secundum modum et formam reformationis comunis tractantis de equis lambertacio-
rum dandis hominibus partis geremensium, quem equum promisit salvare et guardare
et restituere in fine termini [...] ».
14 Secondo Gaudenzi, Gli statuti delle società delle Armi, p. 40, che riprese ed
lista dotata di un valore più duraturo, a cui attingere i nomi ogni volta
che fosse stato necessario. Dal punto di vista giudiziario, definendo i
lambertazzi rimasti in città come suspecti si posero le condizioni per
aprire una vera e propria persecuzione penale nei loro confronti. Dal
punto di vista politico, il compito dell’identificazione, sino a quel mo-
mento detenuto dalle vicinie, dalle parrocchie e dai loro ufficiali, cioè
dal comune, passò integralmente ai rappresentanti delle società di Arti
e di Armi, agli incaricati, sempre interni alle società, di cassare i nomi
dei lambertazzi dalle matricole, e all’anzianato: complessivamente, dun-
que, al « popolo ».
Nelle liste dei sospetti del 1274 compaiono 1795 menzioni. In quel-
le della colletta e delle assignationes equorum giunte sino a noi (che
costituiscono una parte, anche se non indifferente, di quelle effettiva-
mente prodotte) se ne trovano 152316. Nella lista dei sospetti tuttavia
compaiono 1132 menzioni non presenti nelle liste della colletta e in
quelle dei cavalieri. E altre 904 menzioni, presenti nelle liste fiscali e
militari non si trovavano nella nuova lista di sospetti. Dunque l’elenco
prodotto dalla commissione dei cento costituì un lavoro autonomo, che
tenne conto solo relativamente di quanto era stato fatto nelle vicinie e
negli uffici fiscali. I membri di questa commissione si basarono innanzi-
tutto sulle proprie informazioni, che erano di per sé già molte. Per
ogni maschio adulto appartenente al « popolo » esistevano infatti, nella
commissione, un membro iscritto alla sua stessa società di Arti e un
altro suo consocio in una società di Armi, quindi suo vicino. Grazie
all’appartenenza territoriale, poi, i membri avevano informazioni anche
sugli aristocratici non iscritti al popolo. Infine i numerosi canali di co-
municazione (parentali, clientelari, di mestiere e di « consiglio ») di cui
potevano disporre cento persone equamente distribuite in una società
face to face come quella bolognese del Duecento costituivano un mezzo
idoneo a stabilirne la pubblica fama. Al termine della selezione vi fu
una votazione che portò alla cancellazione di alcuni nomi. La stessa
operazione fu ripetuta nel 1275 17.
Elenchi, reg. IV, c. 9r. Quelle per Porta Stiera, datate 8 maggio 1275, sono in: ASBo,
Elenchi, reg. IV, c. 17r. Quelle di Porta Ravennate (6 maggio 1275) in: ASBo, Elenchi,
reg. IV, c. 33r. Quelle di Porta Piera (6 aprile 1275) in ASBo, Elenchi, reg. IV, c. 50r.
18 Per il 1275 la presenza di collette è testimoniata dalle deposizioni processuali
analizzate nel paragrafo precedente. Per il 1276 v. ASBo, Riformagioni, vol. I/1, c. 57v:
« Item licentiam concessam in eodem consilio Henrigipto de Abaixio vendendi dece-
octo tornaturas terre aratorie positas in terra Urbiçani in loco qui dicitur Ronco Brex-
to iuxta viam publicam, iuxta dominum Petrum Bergadani et iuxta dominum Ardicio-
nem de Acharixiis, domino Bartolomeo de Pavanensibus, vel alii qui eas voluerint emere
ad rationem quadraginta solidos bononinorum pro tornatura; pro solvendis collectis ei
impositis pro parte lambertatiorum ». In margine si legge: « Tempore domini Riçardi de
Bellovidere potestatis in millesimo ducentesimo septuagesimo sexto, inditione quarta ».
19 ASBo, Riformagioni, I/ 1, c. 37v.
20 V Capitolo VIII.
21 V. Capitolo IV.
pagare una multa di 200 lire 22. D’altra parte, tra 1275 e 1276 comin-
ciarono ad apparire anche, nella serie delle riformagioni del consiglio
del popolo, i provvedimenti di reintegrazione con cui confinati, sospetti
e, in alcuni casi, banditi lambertazzi erano riaccolti in città, cancellati
dalle liste, e dichiarati « buoni cittadini di parte geremea », talvolta, in
seguito a un loro giuramento ufficiale 23. Come a Prato, a Firenze, a
Brescia, i provvedimenti di questo tipo vennero presi all’interno delle
grandi assemblee, specificamente dal consiglio del popolo, dove la ritor-
sione contro i nuovi nemici aveva maggiori possibilità di stemperarsi.
Tra la fine del 1276 e l’inizio del 1277 il processo di progressiva
penalizzazione dei lambertazzi non banditi raggiunse il suo compimento
con la redazione del Liber del 1277. Si trattò del primo elenco di
riferimento in cui una larghissima selezione dei nomi censiti sino a quel
momento in vari modi e in varie sedi fu ordinata secondo cinque con-
dizioni penali: il bando e quattro differenti condiciones di confino, di-
stinte in base alla lontananza dalla città. Il modello fornito dalle liste
fiorentine e toscane, basato sul bando e su tre analoghe categorie di
confino, venne quindi leggermente ampliato, al fine di includere una
quota di persone, in proporzione, più estesa, nel tentativo di adattare
in maniera ancora più analitica le pene ai gradi di partecipazione fazio-
sa. Non siamo in grado di sapere quali autorità ordinarono l’operazio-
ne, ma possiamo affermare con sicurezza che il ruolo dei tre notai che
materialmente provvidero alla scrittura di questo registro non fu affatto
marginale. In posizione principale appare Rolandino Passageri, autore
della Summa di arte notarile più diffusa del tempo, maestro dello Stu-
dio nella stessa materia, di lì a poco primo preconsole, la massima cari-
ca della società dei notai. Il suo ruolo nell’esclusione dei lambertazzi e
più in generale nel nuovo regime geremeo, fu centrale, come dimostra
il fatto che fu notaio degli anziani nel dicembre del 1274, vale a dire
ricoprì un incarico chiave all’epoca del conferimento alla balìa dei cen-
to sapientes dell’arbitrium di legiferare e del compito di provvedere alla
redazione della prima lista di sospetti. Accanto a lui, come redattori
del Liber del 1277, appaiono Lorenzo Bonacatti e Antonio di Auliviero,
notai che in futuro occuperanno posti chiave nella loro società e saran-
no spesso membri delle balìe deputate a provvedere sulle diverse que-
stioni 24. Considerato il loro spessore politico è dunque lecito supporre
ASBo, Elenchi, vol. III, reg. 2, c. 59 r. Su Rolandino cfr. almeno Palmieri, Rolandino
che i tre notai non lavorarono passivamente sul materiale già esistente,
ma provvidero a un’ulteriore selezione dei personaggi fino a quel mo-
mento censiti, escludendone alcuni e includendone altri.
Per quanto lungamente concepito, e pensato per essere un elenco
di riferimento, il Liber del 1277 risultava già superato pochissimo tem-
po dopo la sua ultimazione. Da un registro di beni sequestrati, compo-
sto poco dopo, sappiamo che alcuni personaggi che erano stati condan-
nati al confino furono banditi nei mesi immediatamente successivi 25.
Questa fonte consente di ipotizzare che nel periodo trascorso tra la
compilazione del Liber del 1277 e il dicembre 1278 il gruppo dei ban-
diti lambertazzi si fosse ampliato complessivamente di quasi il 50%, in
seguito ai bandi dei confinati 26. Dallo stesso registro ricaviamo che nel-
lo stesso periodo alcuni banditi e confinati cominciarono ad essere riac-
colti. Sulla base di attestazioni frammentarie e indirette che non con-
sentono di stabilire termini quantitativi attendibili, possiamo dire che il
flusso di uscita e quello di entrata nel gruppo dei lambertazzi non si
esaurirono nel corso degli anni 1277-1279 27. Le condizioni fissate dal
Passageri, Cencetti, Rolandino dal mito alla storia, Rolandino 1215-1300, Pini, Un prin-
cipe dei notai, e ora Rolandino.
25 ASBo, Beni, vol. VI, cc. 1-87. Su questo registro ci soffermeremo a lungo nel
Capitolo IX. Esso venne redatto sotto la capitaneria di Garsindonio dei Luvicini, che
ricoprì la carica dal novembre del 1276 fino all’aprile del 1277. Come vedremo meglio
oltre, in questo registro i beni appaiono ripartiti innanzitutto per nome del bandito
proprietario. Tra i 296 proprietari censiti, ben 60 non risultano banditi nel Liber del
1277. Tale discrepanza può essere spiegata ricorrendo a due considerazioni. Innanzitut-
to i due elenchi vennero elaborati in due sedi differenti e sulla base di diverse infor-
mazioni: quello dei condannati fu scritto, come si è visto, da tre notai incaricati dal
podestà sulla base di tutte le liste prodotte sino a quel momento, e in particolare delle
liste di banditi del 1274 e di quelle di sospetti del 1274 e del 1275; quello dei beni
venne invece scritto partendo dalle dichiarazioni d’estimo consegnate prima della cac-
ciata dai lambertazzi, di cui si occupò un collegio di otto sapientes e dalle « denunce »
dei beni dei lambertazzi che vennero presentate dai ministrali delle parrocchie nel
corso del 1276, risistemando il tutto durante il periodo novembre 1276 – aprile 1277.
26 Il dato è stato ricavato in questo modo: dal gruppo dei banditi proprietari
attestati nel libro dei beni (296) sono state sottratte le 60 menzioni non presenti nel
Liber del 1277. In tal modo si ottiene la consistenza del gruppo dei banditi proprietari
di beni nel quartiere di porta Ravennate all’epoca della compilazione del Liber del
1277: 236 persone. Abbiamo quindi sommato i 60 proprietari banditi entro l’aprile del
1277 (termine ante quem del libro dei beni) e i 57 banditi entro il dicembre 1278,
ricavando la cifra di 117, pari al 49,5% dei 236 proprietari banditi all’epoca della
compilazione del Liber del 1277.
27 Contemporaneamente, alcuni lambertazzi banditi videro migliorare la propria
condizione penale sottoponendosi agli ordini del comune. Non siamo in grado di quan-
registro del 1277, dunque, non erano affatto fisse, ma sin dall’inizio
passibili di modifica.
tificare il peso di questi rientri. Quarantuno note marginali apposte al libro dei beni di
porta Ravennate specificano come le case e i terreni in questione siano uscite dal
possesso del comune nel periodo 1277-1279, ma esse non ci consentono di distinguere
i beni derubricati, perché restituiti a banditi rientrati, da quelli cancellati dagli elenchi
perché concessi a geremei che avevano dimostrato che case e terreni erano in realtà di
loro pertinenza. In entrambi i casi, successivamente al 1280, un notaio appose la nota
« ante tempus secundorum rumorum », e cioè, cancellati prima del dicembre 1279. Le
note di questo tipo sono in tutto 39 nell’elenco e 2 nell’aggiornamento del 1278. La
notizia di questi primi rientri è confermata da altre fonti. Le riformagioni del consiglio
del popolo, che per il periodo succesivo forniscono molte attestazioni di rientro, sono
conservate in maniera estremamente frammentaria per questo periodo. Una di esse
indica che il 29 settembre del 1277 due persone vennero approvate in questa sede
come « buoni cittadini di parte geremea », con ogni probabilità in seguito a una peti-
zione (ASBo, Riformagioni, vol. I/1, c. 39r). Dalla correzione al Liber del 1277, che ci
permette di datare questo registro a prima del marzo 1277, si ricava inoltre che sicura-
mente, nel marzo del 1277 due confinati avevano giurato la parte geremea ed erano
stati assolti dalla loro pena (ASBo, Elenchi, vol. III, reg. 2, c. 59r).
28 Come ha rilevato Fasoli, La legislazione antimagnatizia, la parte geremea, sulla
quale al principio del Novecento discussero animatamente Vitale, Il dominio della parte
guelfa e Caggese, Su l’origine della Parte guelfa, compare direttamente, come istituzio-
ne, nella documentazione bolognese duecentesca, soltanto in questa occasione.
te, e dei propri vicini 29. Le liste di questi giuramenti non sono giunte
fino a noi che attraverso occasionali citazioni e quindi non è possibile
stabilirne l’entità numerica 30. Grazie a queste citazioni, siamo però in
grado di farci un idea, per quanto vaga, delle persone che giurarono: si
trattò soprattutto di populares, residenti nella seconda e nella terza zona31,
che nel 1277 erano stati inclusi nelle categorie più leggere dei confinati.
Tra di loro si riconoscono beccai, artigiani, tintori e immigrati recenti.
Spesso i padri di famiglia fecero giurare anche i figli minori che non
erano stati inclusi nel libro del 1277.
Dopo il nuovo tumulto provocato alla fine del dicembre dalla so-
cietà dei beccai, e in particolare dal suo leader militare, il barixellus
il settembre e il dicembre 1279: ASBo, Elenchi, vol. III, reg. 2, cc. 18v (Gandulfinus
domini Barbi); 42v (Iohanninus Iacobi de Parma); 43v (Martinus tintor); 44r (Iacobinus
de Açonibus); 68r (Petrus Caccianemicis de Cacciptis); 77r (Laurencius et Aço Cacciane-
mici de Cacciptis); 77r (Benvenutus de Sabatinis); 77r (Nicolaus Guillelmi de Arientis).
Altre menzioni di « illos qui iuraverunt ante tempus secundorum rumorum » sono ri-
portate in copia nell’elenco miscellaneo del 1308 conservato in ASBo, Elenchi, vol. III,
reg. 1, cc. 53v-54r (p. Stiera); c. 169v (p. Procola); c. 240 (p. Ravennate). Grazie a
queste aggiunte sappiamo che giurarono in quei tre mesi anche: Nicolaus Gerardi;
Mathiolus e Maxe Ugolini Mathioli; suo figlio Ugolinus; Ungarellus de Gargognano;
Arriverius de Caccianemicis; Michael Benvenuti Butrigari e suo fratello Iacobus; Domini-
cus Guidonis de Bagnarola; Bombolognus e Gerardus figli di Iacobinus de Açonibus;
Bonacosa di Bonacosa Taconis; Bonaccursius Petroboni sartori.
31 L’unica persona che giurò la parte e risulta residente nella prima zona è Arrive-
Giovanni Summa, che portò alla nuova fuga dei lambertazzi, i giura-
menti della parte geremea, lungi dall’esaurirsi, si intensificarono. Con la
fine degli scontri venne stabilita una nuova procedura, secondo la quale
i lambertazzi potevano giurare nel consiglio comunale. Nel corso del
1280 giurarono così la parte almeno 657 persone, di cui ben 470 erano
stati inclusi nel registro del 1277. Gli altri 187 (il 31%) o erano stati
censiti nelle liste di sospetti, nelle collette o nelle assignationes equorum
del 1274-75, oppure si trattava di familiari di lambertazzi condannati,
che, come era avvenuto negli ultimi mesi del 1279, venivano fatti giura-
re cautelativamente affinché non potessero in futuro subire le conse-
guenze dell’esclusione. Nel complesso si trattò comunque di una prima
erosione del gruppo dei condannati, che riportò nella condizione di
cittadini dotati di pieni diritti circa il 12% dei lambertazzi. Tra i giu-
ranti che avevano subito condanne, il 42% era stato soltanto confinato
in città, una percentuale analoga (41%) era stata confinata al di fuori
dalla città, nelle altre tre categorie 32, e il restante 17% era stato bandi-
to. Se si osserva il gruppo dei giuranti dal punto di vista sociale si
nota che in esso la percentuale di famiglie dotate di una torre è bassa
(14%) e quella di magnati è minima (solo 5 su 657) e composta da
membri di rami minori o « periferici » di casati lambertazzi (i Mulnaro-
li, parenti dei Lambertazzi, i da Castello parenti degli Albari, oltre a un
Accarisi, un Albari e uno Scannabecchi), residenti per lo più lontano
dal resto della famiglia nelle parrocchie attorno all’antico palazzo impe-
riale. Considerando che anche nel 1279 l’unico personaggio appartenen-
te a un’alta classe sociale a giurare era stato un Caccianemici, residente
nella stessa zona e appartenente a una famiglia geremea, appare chiara-
mente come in questi giuramenti ebbe un ruolo rilevante la « presenta-
zione » dei vicini di parrocchia, che in queste aree a maggiore presenza
geremea tendevano a far riavvicinare parenti e amici eterodossi. Attra-
verso questi giuramenti alcuni dei lignaggi toccati dalla persecuzione,
come i Carrari, o i Tettalasini i Vandoli, rientrarono definitivamente a
Bologna e non subirono negli anni successivi l’esclusione. Altre famiglie
lambertazze (come Corradi, Garisendi, Maccagnani, Piatesi, Poeti, To-
schi) videro importanti defezioni al proprio interno. Ma soprattutto
moltissimi populares riuscirono a rimediare alla scelta politica che li aveva
privati per alcuni anni della pienezza dei propri diritti. Nelle cappelle
32 Specificamente, tra i giuranti il 10% era stato condannato alla prima condizio-
ne, fuori dal distretto; il 17% alla seconda condizione, fuori dal comitato; il 14% alla
terza condizione, fuori dalla città, ma nel comitato.
35 Anche queste nuove condizioni si ricavano dalle correzioni al Liber del 1277.
Come abbiamo ricordato nel Capitolo precedente, il Liber del 1277 ci è giunto mutilo
delle prime carte, relative al quartiere di porta Piera. Per le menzioni scritte nel 1277
tale lacuna è stata integrata grazie a una copia trecentesca che tuttavia non riporta le
note marginali apposte a questo registro nel 1280. Non è quindi possibile conteggiare
le persone che giurarono o vennero assolte sulla base di queste annotazioni per tutti i
2508 confinati, ma solo per i 2046 che sono riportati dal registro originale, e che non
comprendono la quasi totalità dei confinati di porta Piera. Tra questi 2046, 337 ripor-
tano correzioni come « iur[avit partem] » oppure « abs[olutus] ». Si tratta del 16,5%.
La percentuale dei confinati assolti o giuranti varia notevolmente a seconda dei quar-
tieri attestati: a porta Ravvennate è del 12%, a porta Procola del 19,5%, a porta
Stiera del 22%. A giudicare dalla fisionomia socio politica dei confinati di porta Piera
la percentuale in questo quartiere dovette essere più vicina a quelle di Procola e di
Stiera cha a qualla di porta Ravennate. Se così fosse si otterrebbe una percentuale
complessiva superiore. Nelle cappelle del nostro campione, il gruppo dei confinati si
ridusse del 25%.
36 Si trattò dei confinati che nel 1277 erano stati condannati nella prima condicio
(fuori dal distretto), nella seconda condicio (fuori dal comitato) e nella terza condicio
(fuori dalla città) e che nelle note del 1280 vennero spostati al terzo gradus (in città).
37 Videro peggiorare la propria pena i confinati che nel 1277 erano stati inclusi
nella seconda, terza e quarta condicio e che nel 1280 furono spostati nel primo gradus,
e coloro che nel 1277 erano stati inseriti nella terza e nella quarta condicio e nel 1280
furono spostati nel secondo gradus.
38 Rimasero, di fatto, nella stessa condizione coloro che passarono dalla prima
condicio al primo gradus, quanti passarono dalla seconda condicio al secondo gradus e
quanti passarono dalla quarta condicio al terzo gradus.
39 ASBo, Elenchi, b. X, reg. s.d. 1. Il registro non è datato, poiché manca della
prima carta, ma una sua copia trecentesca relativa al quartiere di porta Procola (ASBo,
Elenchi, vol. III, reg. 1, cc. 169-175) e un estratto di questo libro conservato in un
registro del Capitano del Popolo (ASBo, Giudici, reg 11, c. 1) permettono di attribuir-
lo alla capitaneria del Rossi.
40 Il 25% dei confinati aveva giurato la parte o si era fatto assolvere.
1280 ed erano così rientrati nel pieno possesso dei loro diritti. Come i
confinati, anche i banditi che avevano giurato erano per lo più popula-
res, in questo caso dotati di un buon prestigio sociale (notai, cambiato-
ri), che spesso avevano parenti condannati a pene più lievi. Questi dati
da soli testimoniano che il gruppo dei banditi era diminuito almeno del
28%, secondo una percentuale minore a quella dei confinati nelle stes-
se « cappelle », ma comunque consistente. Inoltre con ogni probabilità
vi furono altri rientri di banditi 41. Non ci sono giunte tuttavia le nuove
liste complete dei banditi che, analogamente a quelle dei confinati, do-
vettero essere prodotte.
Dopo la redazione di queste liste, sempre durante la capitaneria di
Ugolino Rossi, si continuò a lavorare sugli elenchi, apponendo accanto
ai nomi dei confinati alcune annotazioni che segnalavano i luoghi di
confino prescelti 42; altre che indicavano i confinati che avevano giurato
la parte dopo essere stati iscritti nella nuova lista; e, infine, altre ancora
per indicare i confinati assolti dopo l’assegnazione dei confini per aver
dimostrato di avere un’età incompatibile con la pena (maggiori di 70
anni, minori), o per aver presentato documenti che comprovavano la
loro appartenenza al clero 43. Per queste ragioni, nel nostro campione,
dopo la compilazione delle liste dei confinati del 1281, altri 14 indivi-
dui, tutti confinati, vennero esentati dalla loro pena. Ma la capitaneria
di Ugolino Rossi non fu solamente un susseguirsi di occasioni di rien-
tro. Una volta fissato per mezzo delle liste il gruppo dei nuovi confina-
ti, si provvide ad ampliarlo secondo modalità che non siamo in grado
di stabilire, ma che lo riportarono quasi alle dimensioni che aveva nel
41 Esiste infatti un estimo del 1281 relativo agli allibrati nel quartiere di porta
Ravennate in cui appaiono, solo per il nostro campione, 3 menzioni di banditi del
1277 che non sono riportati né nelle liste dei giuramenti del 1280, né nelle liste di
confinati redatte l’anno successivo (BCA, ms. Gozzadini 80, cc. 27v; 28v, 30v). Si
tratta di Petrus Petri de Medicina, Boniohannes Rodulphi Datari e Martinus Liaçari de
Crescentiis.
42 Questi luoghi furono Padova, Ferrara; Argenta; Pistoia; Firenze, Un numero
minore di persone scelse Pisa, Massa Trabaria; Cumiatus, nella diocesi di Pisa; Aquile-
ia; Orvieto; Oristano, Monselice; Monpellerio, Solaria, Porto nel contado di Ferrara,
Cavacla, Modena, Ancona.
43 Note marginali all’elenco dei confinati conservato in ASBo, Elenchi, b. X, reg.
s. d. 1. Da queste annotazioni vennero ricavate delle liste autonome che ci sono giunte
in copia per il solo quartiere di porta Procola in ASBo, Elenchi, vol. III, reg. 1, cc.
142v-143r; 159r; 160r; 170r.
1277 (218 menzioni, a fronte delle 235 di allora) 44. Come previsto dagli
statuti vennero quindi inviati dei notai a controllare l’effettiva perma-
nenza dei condannati nei luoghi di soggiorno obbligato. Coloro che non
furono trovati vennero banditi e i loro nomi furono copiati in un appo-
sita lista 45. Nelle cappelle del nostro campione vennero in tal modo
bandite più di 138 persone. Il 1281, che si era aperto con una grande
riduzione del numero dei lambertazzi e con una complessiva attenuazio-
ne delle condizioni, si concludeva quindi in apparenza con una serie di
operazioni che riportavano il gruppo dei condannati ai livelli del 1277.
Negli anni successivi sappiamo con certezza che vennero emanati
nuovi bandi, sempre sulla base del mancato compimento di obblighi
legati alla condizione di confinato. Tra fine 1281 e inizio 1282 il capita-
no Aimerico de Ansandri fece bandire i confinati che non avevano
prestato la fideiussione di rimanere al confino 46. Ma si trattò di una
misura che coinvolse un gruppo piuttosto ristretto di lambertazzi. Nel
nostro campione solo 4 individui vennero banditi per questa ragione.
Nel 1283 e nel 1284, quando i capitani Giovanni da Pescarolo e Tom-
masino da Enzola procedettero a nuovi bandi sulla stessa base, le con-
danne testimoniate, solo per il quartiere di porta Procola, sono ben
54 47. Sotto il capitano successivo, Tigrino dei Sighibuldi, vi fu un pri-
mo tentativo di aggiornamento volto ad includere negli elenchi dei con-
dannati i discendenti divenuti maggiorenni. Corso Donati, capitano dal-
l’aprile all’ottobre del 1286, fece scrivere almeno una lista di lambertaz-
zi non trovati ai confini 48 e una di lambertazzi approvati e respinti
dalle società popolari 49. I suoi due successori fecero scrivere liste di
confinati non trovati. Si tratta di dati che sembrerebbero testimoniare,
per questi anni, il ritorno a un’esclusione dura, e un netto aumento del
numero dei banditi. Tale impressione è soltanto apparente, e si deve al
44 Questo dato si ricava dal fatto che nelle liste di lambertazzi banditi per non
essersi presentati alle ispezioni dei notai scritte nel 1281 (su cui v. nota successiva) vi
sono 79 personaggi che non appaiono nelle liste di confinati del 1281. Sommando
questi nomi a quelli presenti nelle liste di confinati (139) si ricava la cifra di 218
menzioni.
45 ASBo, Elenchi, vol. IV, cc. 88r-95v. Una copia di questa lista relativa a porta
fatto che per questo periodo possediamo solo liste di banditi, mentre
sono andate perdute quelle dei confinati e soprattutto quelle di quanti
procedettero a giurare la parte.
Come era avvenuto sin dal 1277, anche attorno alla metà degli anni
Ottanta del Duecento il flusso dei nuovi bandi venne affiancato da un
flusso di rientri, altrettanto se non più consistente. A questi concorsero
alcuni meccanismi che andavano consolidandosi, minando alla base il
principio dell’irrevocabilità del bando per i lambertazzi, solennemente
sancito nel 1274. In moltissimi casi, ad esempio, i confinati banditi per
non aver prestato la fideiussione uscirono dal bando dopo aver pagato,
anche in ritardo, questa garanzia pecuniaria. I confinati banditi per non
essersi presentati alle ispezioni poterono difendersi in tribunale dall’ac-
cusa di violazione del confino, e rientrarono dopo aver vinto il proces-
so. Sempre attraverso il tribunale oppure per mezzo della presentazione
di petizioni nel consiglio del popolo molti personaggi inclusi nelle liste
riuscirono a dimostrare con gli espedienti più diversi che tale inclusio-
ne era stata illegittima e rientrarono nella pienezza dei propri diritti.
Per effetto di tutti questi spostamenti di status, i limiti tra le diverse
condizioni penali (bando e confino) e tra le pene più lievi (come il
confino in città) e il riconoscimento dello status di geremeo si fecero
sempre più labili, ingenerando una forte confusione sullo status giuridi-
co di molti cittadini. A tale situazione si cercò di porre riparo nel
1286. Nell’ottobre di quell’anno venne affidato a una commissione di
40 sapientes il compito di regolamentare la scrittura di nuove liste di
lambertazzi condannati. I sapientes, che in maggioranza avevano parteci-
pato attivamente sin dal primo momento alla schedatura dei lambertaz-
zi e che al tempo stesso venivano ordinariamente consultati dal tribuna-
le capitaneale per formulare le sentenze in merito ai processi contro
banditi, confinati e sospetti, decisero di procedere analiticamente, rico-
struendo le carriere penali e i passaggi di condizione di tutti i lamber-
tazzi censiti, e ricollocandoli, sulla base di un regolamento da loro stes-
si elaborato, nelle diverse categorie. Le delibere con cui venne formula-
to questo regolamento mostrano in maniera evidente come i legislatori
si sforzarono di prevedere tutti i percorsi possibili che i lambertazzi
avevano potuto compiere all’interno della selva delle differenti condizio-
ni penali. Meritano per questo di essere analizzate da vicino, confron-
tando le vicende penali previste da questi legislatori con quelle testimo-
niate dalle liste in nostro possesso, e verificando, con l’ausilio degli
elenchi che vennero redatti nel 1287, al termine della revisione iniziata
con queste provvisioni, se le norme furono effettivamente applicate.
50 ASBo, Giudici, reg. 97, c. 1v: « In primis providerunt predicti ançiani et consu-
les et sapientes quod omnes et singuli de parte lambertatiorum qui iuraverunt partem
Ecclesie et geremensium civitatis Bononie secundum formam alicuius specialis aut ge-
neralis reformationis consili comunis vel populi Bononie extrahantur et cancellentur de
libris bannitorum et confinatorum comunis Bononie pro parte lambertatiorum; exceptis
illis qui post iuramentum partis geremiensium fuissent [rebelles] comunis Bononie vel
discessissent de civitate Bononie et ivissent ad standum Faventiam vel [Forlivi] vel
alibi cum inimicis et rebellibus comunis Bononie; salvo et [excepto ...] quod reforma-
tio populi facta tempore domini Gerardini de Buschitis olim capitanei populi que lo-
quitur quod nullus qui fuit lambertatius tempori primorum rumorum possit eligi in
consillio vel habere officium et cetera sit firma et rata in omnibus et pro omnia prout
in ea continetur inviolabiliter debeat observari ».
51 ASBo, Giudici, reg. 97, c. 1v: « Item quod omnes illi qui iuraverunt partem set
non iuraverunt in consilio veneant [ad] faciendum se scribi coram iudice domini capi-
tanei et defferant reformationes, instrumenta et iura que habent de ipsorum iuramento
et postea examinentur reformationes, instrumenta et iura per dictos sapientes ».
52 I loro nomi infatti appaiono nelle correzioni al Liber del 1277 ma non negli
giurato assieme al padre. Ma cosa fare in quei casi in cui ciò non era
avvenuto? Anche su questo legiferarono i sapientes affermando che i
figli di coloro che avevano giurato la parte, che all’epoca del giuramen-
to erano minori, sarebbero stati collocati nella stessa categoria del loro
padre (cioè sarebbero stati assolti dalle pene), purché procedessero a
un nuovo giuramento nel caso fossero divenuti maggiorenni nel frat-
tempo 53. Chiaruccio di Giovanni Cavalli, un drappiere, aveva a esempio
giurato nel 1280, ma senza i suoi figli, che conosciamo grazie a un
elenco successivo. Essi in ogni caso dovettero prestare un nuovo giura-
mento e non vennero inclusi tra i puniti del 1287 54. Ma poteva darsi il
caso che i figli di coloro che avevano giurato la parte non avessero
giurato pur essendo maggiorenni all’epoca del giuramento dei padri.
Costoro, stabilirono i sapienti, avrebbero dovuto motivare opportuna-
mente il loro mancato giuramento, altrimenti non sarebbero stati riam-
messi 55. Dalle liste successive sappiamo che anche questa regola venne
applicata. Meglus salarolus, confinato di quarta condizione, aveva giura-
to nel 1280, senza i suoi figli Benvenuto e Michele 56. Costoro doveva-
no aver compiuto quindici anni nel 1284, poiché in quell’anno vennero
segnalati in una lista di discendenti di lambertazzi condannati al confi-
no nella quarta condizione 57. Quando, in seguito all’emanazione di que-
ste delibere, ebbero la possibilità di giurare, lo fecero e scomparirono
dalle liste del 1287. Ma non per tutti andò così: Pietro di Iacopino di
Bolognetto, confinato nel 1277, aveva giurato nel 1280, ma senza suo
figlio Iacopino che pertanto venne incluso già dal 1281 nelle liste di
confinati. Evidentemente, tra 1286 e 1287, egli non riuscì a fornire
spiegazioni valide per questa sua negligenza e per questo fu scritto tra
i confinati di terza categoria nel 1287 58. Con altre due delibere i sa-
pientes estesero questo provvedimento anche ai fratelli e ai figli dei
fratelli (in questo caso orfani di padre, e come tali sottoposti alla tutela
53 ASBo, Giudici, reg. 97, c. 2r: « Item quod filii illorum qui iuraverunt partem
qui tempore quo patres iuraverunt erant minores quindecim annis, sint in eo casu quo
patres set si nunc sunt maiores quindecim annis debeant iurare partem ».
54 ASBo, Elenchi, vol. I, c. 50r.
55 ASBo, Giudici, reg. 97, c. 2r: « Item quod filii illorum qui iuraverunt partem
qui tempore quo patres iuraverunt erant maiores quindecim annos et non iuraverunt
partem cum patribus non extrahantur de libris bannitorum vel confinatorum si non
habent legyptima excusationem ex eo quod non iuraverunt cum patribus ».
56 ASBo, Elenchi, vol. IV, c. 55r.
57 ASBo, Elenchi, vol. III, reg. 1, c. 78r.
58 ASBo, Elenchi, b. 10, reg. s. d. 1, c. 60r. ASBo, Elenchi, vol. III, reg. 1, c. 172r.
59 ASBo, Giudici, reg. 97, c. 2r: « Item quod fratres illorum qui iuraverunt partem
qui tempore quo fratres iuraverunt erant minores quindecim annis sint in eo casu quo
fratres qui iuraverunt dum tamen si nunc sunt maiores quindecim annis iurentur par-
tem de novo ».
« Item quod filii fratrum illorum qui iuraverunt partem qui tempore quo patrui
iuraverunt erant minores quindecim annis et ipsorum patres tunc erant mortui sint in
eo casu quo patrui eorum qui iuraverunt dum tamen modo iuretur partem de novo si
nunc sunt maiores quindecim annis ».
60 ASBo, Elenchi, vol. IV, c. 58v.
61 ASBo, Giudici, reg. 97, c. 2r: Die .XV. octubris.
62 ASBo, Giudici, reg. 97, c. 2r: « Item providerunt quod banniti pro parte lam-
bertatiorum tempore prime guerre qui postea venerunt ad mandata comunis Bononie
extrahantur de libris bannitorum et [...] ponantur in libris confinatorum et confinentur
in illis locis qui placuerint consillio populi si postquam venerunt ad mandata comunis
Bononie [fueru]nt et steterunt obedientes continui comuni Bononie habendo extimum
in civitatem et solvendo collectas ».
stima di 733 lire 63. Egli inoltre era assente dalle liste dei confinati com-
pilate nel 1281, cosa che lascia immaginare che fosse riuscito non solo
a uscire dalla condizione di bandito, ma anche a risparmiarsi il confino.
Fu per sanare situazioni come questa che nel 1287 si provvide a ema-
nare la delibera a cui abbiamo fatto riferimento. La sua applicazione
non fu però rigorosa: Bongiovanni e le altre persone che, come lui,
avevano seguito la strada dell’iscrizione all’estimo non appaiono affatto
come confinati (né tantomeno come banditi) nelle liste del 1287. È
possibile che nel frattempo fossero morti, ma è possibile anche che essi
riuscirono in qualche modo a provare di non meritare più la pena.
Con un’altra delibera i sapientes decretarono che quanti comparivano
nelle liste scritte in seguito alla prima guerra (quelle del 1277) e poi
non erano stati inclusi nelle liste successive alla seconda cacciata dove-
vano essere considerati banditi, a meno di non aver giurato la parte o
di non essere passati agli ordini del comune. Nel caso in cui fossero
morti e avessero lasciato dei figli, che nel frattempo erano rimasti agli
ordini del comune, pagando le imposte, questi figli non dovevano esse-
re considerati banditi 64. Si trattava di una delibera che istituiva definiti-
vamente una procedura già attuata da tempo, l’uscita dal bando degli
orfani ubbidienti 65 – per i quali venne stabilito in ogni caso che doves-
sero subire il confino 66 –, ma che al tempo stesso tentava di porre un
argine ai rientri informali dei banditi, ottenuti per effetto della distra-
zione o della connivenza di un notaio addetto a scrivere gli elenchi.
banditi si ritrova nelle petizioni presentate al giudice ai beni dei banditi già dal 1281
(su questo v. cap. V). Visto il largo utilizzo che ne facevano vedove e altri parenti al
fine di riottenere dal comune i beni sequestrati, è possibile ipotizzare che già all’indo-
mani della seconda cacciata fosse stata emanata una delibera al riguardo.
66 ASBo, Giudici, reg. 97, c. 2v: « Item quod liberi ex linea masculina bannitorum
mortuorum qui sunt obedientes et stant ad mandata comunis Bononie et habent exti-
mum in civitatem Bononie et solverunt collectas extrahantur de libris bannitorum et
ponantur in libris confinatorum et confinentur in locis qui placuerint consilio populi
et dando securitatem de novo de obediendo et stando mandatis comunis Bononie co-
ram domino capitaneo ».
Per quanto riusciamo a capire dalle liste che possediamo tali norme
vennero attuate compiutamente: abbiamo moltissime prove del fatto che
alcuni banditi « dimenticati » dagli schedatori dopo il 1277, come Arri-
verio di Nicolò Lambertazzi, o Pietro di Iacopello Sartore, un artigiano
residente nella cappella gentilizia di S. Tecla dei Lambertazzi, furono
scritti nelle nuove liste del 1287. Risulta anche che molti orfani dei
banditi furono schedati come banditi nelle nuove liste del 1287. Così
avvenne ad esempio per Bianchino, figlio naturale di Castellano Anda-
lò, che era morto bandito, in carcere, nel 1276. O per Carbonese e
Spinello del fu Uspinello Carbonesi, che pur essendo stati riconosciuti
come minori nel 1281, vennero nuovamente banditi nel 1287 67. In mol-
ti altri casi i figli orfani dei banditi vennero condannati al solo confino,
evidentemente perché si erano sottoposti agli ordini del comune. In
altri casi ancora, come avvenne ai figli di Çanrobertus Clarissimi, venne-
ro scritti tra i banditi solo i figli, evidentemente inobbedienti, mentre il
padre, che era rimasto ad mandata, subì il confino. Questi differenti
percorsi appaiono tutti inquadrabili nelle tipologie previste dai quaranta
sapientes, e l’analisi delle liste mostra in maniera evidente che vennero
trattati sulla base delle delibere che li disciplinavano.
Infine, altre delibere fissarono il da farsi in merito ai confinati e ai
loro figli. Coloro che fossero stati assolti dalla pena a partire dal 1281
avrebbero dovuto essere riesaminati e approvati sulla base delle liste di
assoluzioni dai sapientes e dagli anziani, prima di veder cancellata defi-
nitivamente la loro pena 68; e così anche si sarebbe dovuto procedere
per i confinati del 1277 che non erano entrati nelle liste posteriori alla
seconda cacciata 69 e per quei figli che all’epoca in cui i loro padri
67 ASBo, Elenchi, b. X, reg. s.d. 1, cc. 44r; ASBo, Elenchi, vol. III, reg. 1, c.
138r.
68 ASBo, Giudici, reg. 97, c. 2v: « Item quod illi qui fuerunt confinati tempore
prime guerre et fuerunt absoluti a confinibus tempore domini Ugolini de Rubeis olim
capitanei populi Bononie ad scruptinium fabarum albarum et nigrarum vel tempore
Gerardini de Buschittis vel alterius [...] capitanei populi Bononie extrahantur de libris
confinatorum dummodo: prius debeant per dominum capitaneum haberi libri et refor-
mationes in quibus sunt dicte abrasiones et per dictos sapientes debeant videri et
examinari et aprobari predicti libri et reformationes et causae propter quas fuerunt
predicti confinati absoluti qui ançiani et sapientes postea examinaverunt et approbave-
runt illos qui absoluti fuerunt de confinibus tempore domini Ugolini de Rubeis olim
capitanei populi Bononie qui sunt in libro scripto pro Iohannem Butrigarium notarium
die .XVIo. octubris ».
69 ASBo, Giudici, reg. 97, c. 3r: « Item quod illi qui fuerunt conscripti in libris
confinatorum tempore prime guerre et postea non fuerunt scripti in libris tempore
erant maiores viginti annis et patres eorum fuerunt confinati et ipsi non et immo se
aprobaverunt in omnibus tamquam geremienses venendo in exsercitibus et cavalcatis
nobiscum vel qui habuerunt equos pro comuni Bononie pro parte geremiensium et
quod habuerunt extimum in civitate Bononie et solverunt collectas, sive sint de socie-
tatibus sive non, faciant se scribi coram domino capitaneo et postea nomina et cogno-
mina predictorum legantur et examinantur inter dictos sapientes ».
71 ASBo, Giudici, reg. 97, c. 2v: « Item quod liberi ex linea masculina confinato-
rum mortuorum qui sunt maiores quindecim annis et qui obediunt comuni Bononie
sint in eo casu quo reperiunt fuisse patres eorum mortuorum ».
72 Si trattò di Lambertinus di Gualdradina degli Arienti (ASBo, Elenchi, vol. IV,
qui sunt de casalibus et magnatum populi debeant confinari ad presentem extra di-
strictum Bononie in illis locis qui placuerint consillio populi, tamen confinati qui sunt
artifices et sunt homnes vili conditionis et qui sunt homines qui non possunt turbare
statum comunis vel populi Bononie nec partis geremiensium modo non debeant confi-
nari set ipsorum nomina et cognomina scribi de[beant ...] ita quod expedite possent
mitti extra civitatem Bononie in [locis qui placerentur]comuni Bononie ».
74
ASBo Elenchi, vol. IV, cc. 105 e ss.
75
Allora venne stabilito che non potevano essere accusati di appartenenza alla
pars lambertaciorum quanti non inclusi nelle liste v. Statuti di Bologna del 1288, p. 524.
strade facili o accessibili a tutti: per giurare occorreva il favore dei vici-
ni, per farsi assolvere quello di un giudice o di una maggioranza del
consiglio; per essere iscritto negli estimi, nelle liste militari o per essere
cancellati dalle liste, si doveva contare almeno su un notaio amico. Nel
1286 i sapientes resero di fatto legittime tutte queste strategie. Se un’idea
comune è possibile rinvenire nelle differenti e specifiche norme che al-
lora vennero approvate è quella per cui dovevano restare puniti solo
coloro che, non cogliendo nessuna delle opportunità che si erano pre-
sentate, avevano mostrato di non volere o non potere rientrare.
Naturalmente per applicare le decisioni prese occorsero alcuni mesi
e numerosi passaggi. Nel corso della stessa capitaneria di Corrado da
Montemagno, che terminò nel marzo del 1287, vennero stilate una lista
di persone definitivamente approvate 76, e una di discendenti di banditi
da aggiungere ai nomi già censiti 77. Si procedette quindi, forse sotto la
successiva capitaneria di Iacobus de Rivola (maggio-settembre 1287), a
dividere coloro che appartenevano alle magne domus dagli altri 78. Tale
lavoro condusse da un lato alla scrittura di una lista di membri dei
grandi casati, non ancora ripartita in banditi e confinati 79, dall’altro alla
76 Ci rimane una copia di questa lista per il quartiere di porta Stiera in ASBo,
Elenchi, vol. III, reg. 1, c. 54v: « Sub hoc titulo continentur nomina illorum qui exa-
minati et aprobati fuerunt tempore domini Coradi de Montemagno olim capitanei po-
puli Bononie qui erant de parte lambertatiorum ».
77 Ci rimane una traccia di questa lista in un’intestazione in ASBo, Elenchi, vol.
III, reg. 1, c. 160r: « Infrascripti sunt nomina bannitorum et rebellium comunis Bono-
nie pro parte lambertaciorum et eorum filiorum sumpta et exemplata de libris veteri-
bus et de adicionibus factis per sapientes tempore domini Corradi de Montemagno
olim capitanei populli Bononie qui sunt in libro signato per X ».
78 L’indagine era stata decretata nell’ottobre del 1287: « Item quod cridetur per
civitate Bononie quod quilibet qui scit aliquem de casalibus magnatum nobilium seu
de casalibus magnatum populi qui sit de parte lambertatiorum et non sit conscriptus
in libris bannitorum vel confinatorum veniat ad denuntiandum domino capitaneo si
vult palam aut secrete ponendo scriptum in cassa que est in pallatio novo ad termi-
num ordinandum per dominum capitaneum et elapso dicto termino debeant predicti
denuntiati legi et examinari inter dictos sapientes et postmodum reducantur ad consi-
lium populi et banniantur vel confinentur illi tales ad voluntatem consilii populi » (ASBo,
Giudici, reg. 97, c. 3v). Una copia trecentesca della lista intermedia scritta al termine
di questa indagine è in ASBo, Elenchi, vol. III, reg. 1, c. 162v: « Inquixicio facta per
dictos dominos de nominibus et cognominibus omnium illorum de parte lambertacio-
rum et ipsorum descendentium masculorum tam de domibus magnis nobilium quam
popularium, quam de aliis, de quartierio sancti Proculi ».
79 Una copia trecentesca di questa lista intermedia, sempre relativa a porta Proco-
la è in ASBo, Elenchi, vol. III, reg. 1, c. 184v: « Infrascripte sunt domus tam magna-
tum quam popularium de parte lambertaciorum que sunt confinate extra comitatum
Bononie et districtum Bononie secundum forma ordinamentorum provisionum et refor-
mationionum comunis et populi Bononie, et bannite pro dicta parte ».
80 Una copia per il quartiere di porta Stiera è conservata in ASBo, Elenchi, vol.
III, reg. 1, c. 59v: « Infrascripti sunt de parte lambertatiorum qui non sunt conscriptis
in magnis domibus militum vel popularium tam banniti, quam confinati et cuiuscu-
mque conditionis existant et eorum descendentes ». Una copia per porta Procola in
ASBo, Elenchi, b. X, reg. s. d. II.
81 Della presenza di questo libro negli archivi del comune ancora nel 1290 testi-
moniano gli inventari redatti quell’anno e pubblicati in Fasoli, Due inventari, p. 238:
« Item unum librum in cartis pecudinis cum alipis ligneis continens in se octuaginta
cartas inter scriptas et non, in quo continentur nomina bannitorum et rebellium pro
parte lambertacciorum et confinatorum dicte partis tam extra districtum Bononie quam
in comitatu Bononie et de garnata factum tempore Bertholini de Madiis capitanei po-
puli Bononie sub annis domini millesimo ducentesimo LXXXVII, indictione XV, signa-
tum per B ». Di questo registro originale sono conservate soltanto otto carte relative ai
confinati di primo grado in ASBo, Elenchi, vol. IV, c. 105r, che recano l’intestazione:
« Liber confinatorum primi gradus partis lambertaciorum civitatis Bononie qui stare
debent ad confinia extra civitatem comitatum et districtum Bononie qui sunt de domi-
bus magnatum, nobilium et popularium dicte partis, factus et editus sub anno Domini
millesimo [ducentesimo] octuaçesimo septimo, indictione quintadecima, de mense octu-
bris ». Una copia di questo elenco è in ASBo, Elenchi, b. X, reg. 1287. Una copia di
questa copia è in ASBo, Elenchi, vol. III, reg. 1, c. 86v. Una copia del grande elenco
del 1287 relativa ai banditi, ma solo di porta Procola è in ASBo, Elenchi, vol. III, reg.
1; c. 160v: « Infrascripti sunt nomina banitorum et rebellium comunis Bononie pro
parte lambertaciorum et eorum filiorum sumpta et exemplata de libris veteribus et de
adicionibus factis per sapientibus tempore Corradi de Montemagno olim capitanei Bo-
nonie qui sunt in libro signato per X ». Una copia dei banditi di porta Stiera è forse
in ASBo, Elenchi, vol. III, reg. 1, c. 44v, ma riporta un intitolazione più concisa « In-
frascripti sunt banniti et inobedientes comunis Bononie pro parte lambertatiorum qui
sunt de domibus magnatum et de nobili progenie ». Una copia dei confinati di secon-
do grado residenti nel quartiere di porta Procola è in ASBo, Elenchi, vol. III, reg. 1,
c. 186r; una copia relativa agli stessi confinati, ma residenti nel quartiere di porta
Stiera è in ASBo, Elenchi, vol. III, reg. 1, c. 47v. Una copia dei confinati in città
relativa al quartiere di porta Procola è in ASBo, Elenchi, vol. III, reg. 1, c. 171v; una
copia relativa agli stessi confinati, ma residenti nel quartiere di porta Stiera è in ASBo,
Elenchi, vol. III, reg. 1, c. 48v.
lares, nel 1277 erano stati censiti 28 banditi, nel 1287 lo furono soltanto
11. Nella parrocchia gentilizia di S. Giacomo dei Carbonesi, nel 1277 le
menzioni relative a banditi erano state 21, nel 1287 furono 46. Tra le 57
menzioni di banditi del 1287, ben 52 riguardavano i membri di 6 lignag-
gi, tutti definibili come magnatizi (Andalò, da Baisio, Carbonesi, Clarissi-
mi, Lambertazzi, Marcheselli). Le altre cinque menzioni indicavano con
ogni probabilità i pochi individui di più bassa condizione che avevano
deciso di seguire questi lignaggi nella lunga avventura dell’esilio. Si noti
che le delibere che nell’ottobre 1286 avevano inserito un criterio di di-
stinzione sociale non riguardavano i banditi, ma i confinati. La quasi as-
soluta prevalenza degli aristocratici tra i banditi del 1287 non si dovette
quindi alla scelta degli schedatori, ma a quella degli schedati.
Diversamente era stato deciso per i confinati della prima condizio-
ne, costretti a risiedere al di fuori del distretto e del comitato. In que-
sto caso i sapientes avevano stabilito un criterio preciso, costringendo a
questa pena proprio i membri dei lignaggi. Nell’agosto del 1287, quan-
do le liste che distinguevano le magne domus dei lambertazzi dal resto
dei colpiti erano pronte, ma non era stato ancora redatto l’elenco defi-
nitivo ripartito secondo le condizioni penali, i giudici del capitano del
popolo fecero diffondere una cridacio in cui stabilivano che i compo-
nenti delle magne domus si sarebbero dovuti recare al confino in quat-
tro differenti città, a seconda del quartiere di residenza 83. Da questa
82La riformagione è in ASBo, Giudici, reg. 97, c. 3r: « Item providerunt quod illi
qui sunt cancellati vel subscrpti in libris veteribus tam pro reformatione consiliorum
quam pro sententiis et certis iuribus eorum veniant ad fatiendum se scribi coram dicto
capitaneo et quod dominus capitaneus debeat penes se habeat omnes libros in quibus
sunt dicte cancellature et subscriptiones et examinentur per dictos sapientes predicte
cancellature et subscriptiones ». Il Liber Misericordie è conservato in copia per porta
Procola in ASBo, Elenchi, vol. III, reg. 1, c. 61v: « Infrascripti sunt qui reperiuntur in
quodam libro cartarum pecudis qui Liber Misericordie nominatur continens nomina et
cognomina filiorum illorum qui iuraverunt actenus partem ecclesie et ieremensium civi-
tatis Bononie et filiorum suorum et filiorum fratrum et fratrum eorum et patruum
ipsorum in conscillio octigentorum et populi vel altero eorum. Item nomina et cogno-
mina omnium et singuloum confinatorum de garnata pro parte lambertaciorum civitatis
Bononie et alliarum plurium conditionum, qui liber est in camara actorum comunis et
populi Bononie, scriptus et compositus tempore domini Bertholini de Madiis honorabi-
lis capitanei populi per dominum Michaelem Tomaxii secundum formam reformationis
conscilii populi scripta manu ipsius Michaelis sub anno Domini millesimo ducentesimo
octuagesimo septimo, indictione quintadecima, die vigesimo octubris ».
83 ASBO, Giudici, reg. 101, cc. 76v e ss. Quelli di porta Ravennate dovevano
andare a Lucca; quelli di porta Stiera ad Ancona; quelli di porta Piera a Padova,
quelli di porta Procola a Piacenza.
84 ASBO, Giudici, reg. 101, cc. 76v e ss: per porta Ravennate vennero indicati:
Abati, Accarisi, Agoclari, di Amedeo Pizoli, Angelelli, Arienti, Asinelli (« dicte partis »),
di Azzone Alberti; Boccadiragno, Boschetti, Boccacci, da Calegata, Calamoni di Bu-
drio, Carletti, da Castel de’ Britti, Ciuffoli, Corradi, Foscardi, Gozoli (« excepto Capa-
no »), Grilli, Lamberazzi, Landolfi di Imola, Maffi, Magarotti, Melloni, Mulnaroli, di
Nicolò da Boccafugaza, Novelloni, Passavanti, Pellaci, di Pietro Corradini, da Pontec-
chio e Sicchi, da Pedramala, Principi, Raccorgitti, Scannabecchi e Gisla, Soldaneri da
Liano, Stampellini, Tettalasina ( « scilicet Petriçoli et Lambertini ») Tomari, Tonsi. Per
porta Stiera: Accursi, Agnella, Balugani e di Pietro Cavalli, da Crevalcore, Benci, Cac-
cianemici piccoli, di Geminiano da Castagnolo, Greci, Malatachi, di Martino Boatteri,
Nipoti di Guinizzello Magnani, da Roncore, Rustigani, Savioli (« qui non iuraverunt
partem excepto Bertolino »), Storlitti e Piperati, da Tizzano, Toschi, di Ubaldo da Fer-
rara. Per porta Piera: Abati, Albari, di Alberto di Frugerio da Marano, Albertoni, di
Ardizzone conte, Avenati e Fruffi, Baruffati, Calamoni di Budrio, Castaldi, Curioni, di
Giovannino Bonaggiunta da Bagnarola, Guizoni, di Gruamonte da Boccadironco, Gu-
glielmi, di Guglielmo da S. Giorgio, Maranesi, Milanzoli, Orsi, Passarini, Pelle, Pizzi-
gotti, Radici, di Rolandino da Marano, da Saliceto, Terrafocoli, Tregoli, da Villanova.
Per porta Procola: Andalò, Balbi, Baisio, Beccapane, di Bongerardo Marcheselli, da
Brigola, Calamoni, Fassarini, Fratta, di Geremia da Saragozza, Greci, Guezzi, Lamber-
tini, Maccagnani, Magni, Mascherati, Mariscotti, Merolini, Montasigo, Muchitti, Nasini,
conti di Panico, Parisini, Radici, di Solimano beccaio, Teuci, Zanroberti.
85 I loro nomi si ricavano da una rubrica dello statuto del popolo scritto nel
1288, pubblicata, con alcuni error in Montorsi, Plebiscita Bononiae, p. 266. Si tratta di
Çamboninus Ursolini; Lombardus Rayneri Salaroli, dominus Iacobus de Lastignano,
Anthonius de Policino, Iohannes Guillelmi de Sancto Georgio, Iacobus Bitterni, Henri-
gettus Feliciani, Matiolus de Roncore.
86 Per citare solo le cariche esercitate all’interno della società, tacendo dei nume-
rosissimi incarichi come sapientes, Anthonius de Policino fu console nel 1286 (ASBo,
Società dei notai, reg. 22, c. 3r), Iohannes de Sancto Georgio fu console nel 1289
(ASBo, Società dei notai, reg. 22, c. 5v). Lombardus Rayneri Salaroli fu notaio della
società nel 1288 (ASBo, Società dei notai, reg. 22, c. 5r). Icobus Biterni fu sindaco nel
1284 (ASBo, Società dei notai, reg. 22, c. 2r). Çamboninus Ursolini fu preconsole nel
1288 (ASBo, Società dei notai, reg. 22, c. 5r). Henrigettus Feliciani fu preconsole nel
1289 ASBo, Società dei notai, reg. 22, c. 5v), Iacobus de Lastignano fu preconsole nel
1285 (ASBo, Società dei notai, reg. 22, c. 2v), Matiolus de Roncore fu preconsole nel
1287 (ASBo, Società dei notai, reg. 22, c. 4v).
87 Questa specificazione si legge ancora in una copia trecentesca di questo elenco,
conservate in ASBo, Elenchi vol. III, reg. 1, c. 51v: « Salvo quod predictis vel alicui
eorum, cuiuscumque condicionis sint, predicta confinium consignacio vel descritio non
prosit, nec ex ea quidcquam iuris vel emolumenti ei vel eis, si invirentur conscriptus
in libro bannitorum vel rebellium partis lambertaciorum, acquiratur ».
88 Quest’altra specifica non venne copiata nelle liste trecentesche, ma la conoscia-
mo grazie a un processo tenutosi nella curia del capitano nel 1289 durante il quale
vennero interrogati i notai che avevano redatto l’elenco, i quali affermarono e provaro-
no che nel libro si poteva leggere: « salvo quod si reperietur aliquem vel aliquos ex
supradictis bannitis vel eorum filiis nuper conscriptis in hoc presenti libro bannitorum
obedisse et obedire comuni Bononie habendo extimum in comune Bononie et solven-
do collectas et alia honera subendo, illi vel illis bannum vel banna non obsit nec
possit predictis preiudicium in aliquo gravare » (ASBo, Giudici, reg. 136, c. 106r). Su
questo v. oltre, Capitolo VIII.
89 Ci rimane la prima carta di un lista in cui vennero scritti i nomi di coloro che
non giurarono la parte pur avendone la possibilità: ASBo, Elenchi, vol. IV, c. 113r:
« Hic est liber continens in se nomina et cognomina omnium et singulorum confinato-
rum de garnata partis lambertaciorum quibus concessum erat posse iurare partem ec-
clesie et ieremensium civitatis Bononie, ut constat ex reformatione conscilii populi Bo-
nonie scripta manu Micahelis Thomaxii notarii et etiam, ex approbatione scripta manu
eiusdem notarii, qui non venerunt ad iurandum dictam partem terminis ordinatis se-
cundum quod poterant, et exemplatus per me Mathiolum de Ronchore notarium tem
pore nobilis et potentis militis domini Berthollini de Madiis capitanei populi Bo-
nonie, currente anno Domini millesimo .CCo. octuagesimo octavo. Indictione prima ».
90 ASBo, Elenchi, vol. IV, cc. 136-142.
91
ASBo, b. X, reg. II (1291).
92
Su questo episodio v. Palmieri, Rolandino Passageri e Fasoli, La legislazione
antimagnatizia.
93 La delibera affermava che tutti i banditi, anche quelli di parte lambertazza, che
stesso andava assottigliandosi per effetto dei giuramenti alla parte gere-
mea. Questi giuramenti vennero favoriti anche dalla necessità di uomi-
ni da impiegare nella guerra che Bologna si trovò a combattere contro
Azzo VIII d’Este a partire dal 1295 96. Nel gennaio 1297, alcuni dei
casati lambertazzi di tradizione più antica furono ammessi a giurare e
divennero « veri geremei » 97. Nell’agosto di quell’anno il podestà richia-
mò altri banditi 98. La stessa guerra, d’altra parte, occasionò altre con-
danne al bando, poiché dalla parte del Marchese si schierarono alcuni
dei lambertazzi rientrati. Gli alleati di Bologna iniziarono a premere
perché i lambertazzi rientrassero a rimpolpare le fila dell’esercito, ma
la grande necessità di danaro imposta dalla guerra spinse le speciali
balìe di sapienti, a cui si faceva sempre più ricorso, a tentare di rior-
ganizzare lo sfruttamento dei beni dei banditi, che da molti anni, a
causa dei diversi effetti sortiti dai rientri (riduzione del patrimonio,
restituzione dei beni ancora detenuti ai parenti rientrati), versava in
grave crisi 99. Grazie ai nuovi bandi provocati dalla guerra il potenziale
sfruttabile era di nuovo cresciuto. Tra 1298 e 1299, mentre Bonifacio
VIII cercava in ogni modo di far rientrare i lambertazzi e convocava
come mediatori Alberto della Scala e Matteo Visconti, si provvide dopo
molto tempo alla redazione di registri di locazioni dei beni sequestrati,
in cui apparivano come proprietari banditi solo 153 persone, aristocra-
tiche e, almeno in origine, dotate di grandi patrimoni. L’idea di ripro-
porre nelle forme del decennio precedente l’affitto dei beni dei banditi
in un momento in cui alcuni tra i massimi poteri italiani premevano
affinché quei banditi fossero riaccolti, si rivelò fallimentare. La guerra
privava il comune della possibilità materiale di organizzare un control-
lo dei terreni e, del resto, da qualche anno, i notai non potevano più
recarsi nei luoghi di soggiorno obbligato a controllare il rispetto del
confino. In queste condizioni il lodo proposto da Bonifacio VIII ven-
ne accettato. Esso previde una clausola secondo la quale duecento lam-
bertazzi, con ogni probabilità l’intero gruppo dei banditi, sarebbero
dovuti rimanere al confino.
Nel settembre 1299 i lambertazzi per la seconda volta dopo vent’anni
esatti entravano a Bologna ufficialmente. Si trattava tuttavia di un grup-
po ormai piuttosto circoscritto se, come sembra dagli indizi che abbia-
mo passato in rassegna nelle pagine precedenti, le tendenze al rientro
continuarono. Per quel che riguarda i banditi, riepilogando le congettu-
re che è possibile azzardare sulla base della documentazione superstite,
il loro numero di banditi subì una prima crescita subito dopo la scrit-
tura del primo elenco completo, quello del 1277, per poi calare in
occasione del rientro del 1279, rialzarsi nel 1281, con la ripresa della
ritorsione, e iniziare tuttavia una lunga ma inesorabile diminuzione per
tutto il ventennio successivo.
Per i confinati lo svolgimento è in qualche modo complementare
anche se i dati sono complicati dalle diverse condizioni. Il processo
ipotizzabile è simile e vede una sostanziale tendenza alla diminuzione
contraddetta tuttavia, in alcuni momenti, come nel 1287, dal fatto che
il gruppo dei confinati tende ad ampliarsi in virtù dei rientri dei bandi-
ti. Il dato mostra come questa condizione potesse prestarsi a costituire
occasionalmente anche una pena di « decantazione » degli ex-banditi ed
è lecito immaginare che qualcosa di simile avvenne nel 1292, ma su
99 V. Capitolo IX.
1274 [850]
1277 1387
1278 [2000]
1279 [1780]
1280 [1000]
1281 [1380]
1287 [584]
1292 [300]
Tabella 2 – Ipotesi sul numero dei confinati (1274-1287) [x]= congetturale 101.
1274 ? ? ? ? 1794
1275 ? ? ? ? 1157
1277 448 422 486 115 2508
1281 [500] [360] – [480] [1340]
1287 [464] [124] – [2048] [2640]
100 In questa e nella prossima tabella i dati congetturali di tutti gli anni meno il
1287 sono ricavati da una moltiplicazione per dieci dei dati del campione discusso nel
Capitolo VI. Per il 1287 sono invece ricavati da una moltiplicazione per quattro dei
dati del quartiere di porta Procola.
101 Per gli anni 1274 e 1275 si è inserito nella colonna Totale il numero dei sospet-
ti. Per gli anni successivi al 1281 le condizioni si riducono da 4 a 3. La condizione terza
scompare in quanto inizia a contemplare i confinati « de garnata », a cui era consentito
di risiedere in città che in precedenza erano censiti sotto la condizione quarta.
4. Conclusioni
Sia dal punto di vista dei criteri di redazione delle liste, sia da
quello del numero dei condannati si osserva dunque una forte disconti-
nuità tra i due momenti di ripartizione del gruppo dei lambertazzi esclu-
si. Sui criteri abbiamo avuto modo di soffermarci analiticamente. Se nel
1277 alla base delle divisioni dei lambertazzi nelle diverse categorie era
stato solo il comportamento dei condannati, nel 1287 a questo criterio
si affiancò un altro elemento: la connotazione magnatizia, discriminante
per dividere i confinati in città da quelli nelle località più lontane. Si
affermò, inoltre, il principio destinato ad avere grande successo, secon-
do il quale chi intendesse rientrare aveva la possibilità di farlo, giuran-
do la parte e reinserendosi nella cittadinanza
Questi criteri costituiscono un elemento importantissimo per spiega-
re le curve discendenti nel numero dei colpiti desumibili dalla docu-
mentazione, ma sarebbe sbagliato non collocarli nel contesto di un ri-
cambio generazionale che avvenne nel corso della lunga esclusione bo-
lognese. La lettura delle norme istitutive della lista del 1287 mostra con
grande evidenza che, tra gli scopi della nuova operazione, vi era pro-
prio la necessità di adattare la ritorsione al passaggio di generazione.
Rispetto a dieci anni prima, nel 1287 molti lambertazzi erano morti e i
loro figli erano divenuti maggiorenni e come tali perseguibili. Questa
evoluzione del gruppo dei nemici politici innescò due processi paralleli:
da un lato, le loro pene subirono una netta attenuazione; dall’altro, la
persecuzione si istituzionalizzò.
I lambertazzi non erano più coloro che si erano violentemente
opposti alla politica bolognese nelle defatiganti guerre combattute ne-
gli anni 1274-1279, ma i loro figli, politicamente più inoffensivi per-
ché più deboli. Per questo si provvide a uscire dall’emergenza, ad
attenuare i provvedimenti più duri. Per la stessa ragione passò in
generale il principio secondo il quale chi avesse voluto rientrare lo
avrebbe potuto fare e si chiuse un occhio su molti rientri informali,
che di per sé dimostravano una volontà dei perseguitati di mettersi
agli ordini del comune.
Ma vi era anche un altro aspetto di questa evoluzione. A differenza
dei loro padri, questi bolognesi erano nati già schedati come lambertaz-
zi e con questa condizione dovettero fare i conti sottoponendosi ad
accertamenti, presentando petizioni, giurando la parte, o accedendo a
strategie più informali per rientrare: furono insomma costretti a guada-
gnarsi una cittadinanza a pieno titolo, cosa che i loro padri non aveva-
BOLOGNA 1274-1300
PROCESSI E OPERAZIONI DI POLIZIA
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, tra 1274 e 1275, men-
tre andava precisandosi la criminalizzazione dell’appartenenza alla fazio-
ne sconfitta, la competenza in merito alla persecuzione dei lambertazzi
passò dal podestà al capitano del popolo. Vale la pena di ricordare che
tale passaggio venne senza dubbio favorito dal fatto che a esercitare la
capitaneria nel 1275 fu Malatesta da Verrucchio, già podestà-vicario di
Carlo I d’Angiò a Firenze nel 1268. L’anno successivo, il 1276, un
ufficiale angioino vero e proprio, il provenzale Richard de Beauvoir,
ricoprì congiuntamente le due massime cariche cittadine. Vi fu dunque
una netta influenza della rete intercittadina controllata dal re di Sicilia
nella costruzione di un apparato di ritorsione contro la fazione sconfit-
ta bolognese. D’altra parte, tale influenza non venne recepita passiva-
mente dalla città, ma piuttosto accolta e progressivamente adattata ai
bisogni del regime popolare e geremeo scaturito dalla cacciata del 1274.
Sul momento iniziale, quello della costruzione del nuovo sistema di
giustizia politica, ci informano tre registri prodotti dalla curia del capi-
tano nel corso del 1275 che contengono alcuni processi e alcune crida-
ciones, ossia precetti che il magistrato fece bandire in tutta la città 1.
Il primo registro risulta particolarmente interessante per osservare la
giustizia politica in questo momento di passaggio, in cui l’appartenenza
individuale alle parti lambertazza e geremea non era stata ancora defi-
nita con chiarezza e soprattutto non contemplava ancora, con l’eccezio-
ne dei banditi, vere e proprie condizioni penali. Esso contiene la regi-
strazione di alcune fasi (soprattutto testimonianze e fideiussioni degli
imputati) di 15 procedimenti contro individui accusati di appartenere
alla pars sconfitta, e pochi altri atti 2. L’analisi di questi processi mostra
1
ASBo, Giudici, regg. 1; 2; 3.
2
Gli atti che non riguardano i lambertazzi sono: un’inquisizione promossa con-
tro un cavaliere che ha dato false generalità a un notaio del capitano del popolo
(ASBo, Giudici, regg. 1, c. 22v); un processo per aggressione (c. 24r); un elenco di
persone trovate dai berrovieri mentre si aggiravano in città la notte del 19 febbraio,
con le difese e le fideiussioni (c. 22v-23r); un elenco di custodi delle mura non
trovati nelle loro postazioni la stessa notte (c. 23r-v) e un processo per l’assenza da
una cavalcata (c. 25v).
3 ASBo, Giudici, reg. 1, c. 20 r: « Coram domino Hondesanti iudice domini capi-
rogatus si a tempore rumorum citra vidit vel audivit quod dictus Antonius vel pater
eius substinuit honus confinium vel equitis vel collecte pro parte lambertaciorum, re-
spondit quod non [...] ».
5 ASBo, Giudici, reg. 1, c. 12r: « Dominus Lambertus de Rodaldis [...] dicit quod
6 ASBo, Giudici, reg. 1, c. 4v. « Ansaldus fornarius cappelle Sancte Tecle [...] re-
spondit quod tempore rumorum vidit predictum cum armis et sine cum parte gere-
miensium ad domum de Basacomatribus in strata Stefani et ad domum de Artenesiis
sic fatiebant alii ieremienses et dicit quod vidit eum in esercitu facto contra faventi-
nos ». ASBo, Giudici, reg. 1, c. 5v: « Iacominus Minarellus [...] dicit quod [...] tempo-
re rumorurm vidit eum trahere cum armis ad stratam Sancti Stephani et proeliari
contra lambertacios et specialiter ad domum Passavantium ». ASBo, Giudici, reg. 1, c.
6v: « Franciscus Maymelllini [...] dicit [...] quod ipse testis tempore rumorum vidit
predictum Bonvisinum cum armis esse cum illi de Castrobrittonum qui sunt de parte
lambertaciorum et rebellium comunis Bononie proeliari ad rostam sive stellatam contra
Artemisios et alios amicos partis ieremiensium [...]; item dicit quod audivit [...] ei
dicere quod mitteret ignem in domibus ieremiensium [...] ». ASBo, Giudici, reg. 1, c.
8r: « Vivianus de Rodaldis [...] dicit quod [...] tempore rumorum predictus utebatur
cum Rodaldis et cum aliis de parte ieremiensium. Interrogatus si vidit eum cum armis
cum aliquam partem [sic], respondit quod illo tempore predictus venit ad Rodaldos et
dixit sibi testi et aliis de domo sua quod si lambertaci vellent sibi auffere domum
suam ipse incontinenti daret ea Rodaldis pro sua defensione ».
7 ASBo, Giudici, reg. 1, c. 8r: « Iacobus Ammonitti notarius [...] dicit quod ipse
dicit quod ipse testis fuit vicinus predicti Iohannis iam sunt .XV. annos et ultra et toto
predicto tempore audivit et vidit predictum esse de parte ieremiensium et numquam
audivit contrarium. Item dicit quod anno proximo preterito, tempore Guillelmi de
Posterla potestatis et Marchi Iustiniani capitanei Bononie ipse testis erat ancianus et
predictus Iohannes etiam erat ancianus cum eo et semper cum tractabant de negotiis
tangentibus partem, idem Iohannes una cum ipso teste et aliis anzianis qui erant iere-
mienses concordabat in eligendo et fatiendo singula que partem ieremiensium respitie-
bant, et dicit quod predictus est de conscilio Bononie tamquam ieremensis et quod de
hiis est publica fama. Item dicit quod predictus Iohannes cum ipso teste fuit armatus
hoc anno ad preliandum contra lambertaçios tempore rumoris in plateis comunis ».
9 ASBo, Giudici, reg. 1, c. 18r: « Dominus Saxolinus cartolarius [...] dicit quod
annno proximo preterito quando tractabant de civitate Faventie et Forlivi quod veni-
rent ad precepta comunis et de aliis que respicierent comune Bononie, audivit predic-
tum Antonium et patrem et maxime Antonium dicere quod isti qui sunt hodie in
Bononie semper defendebant honorem comunis Bononie et in omnibus locis quibus
ipse testis vidit unquam predictum Antonium audivit eum tractantem de honore comu-
nis Bononie et defendere cum suis verbis et ratiotinationibus istos qui sunt in Bononia
nunc et maxime contendendo contra Blasium suum patruum qui defendebat lamberta-
cios ». L’espressione « isti qui sunt hodie in Bononia » sembra riferirsi al partito gere-
meo, poiché l’hodie è il 1275. Alla stessa carta un altro testimone sullo stesso episodio,
applica immediatamente l’equazione nemico dei lambertazzi = amico dei Geremei: « Pe-
trus Billinus de Donçellis [...] dicit [...] quod Çovaninus pater dicti Antonii et ipse
Antonius fuerunt amici de parte ieremensium; item dicit quod vidit et audivit tempore
quo tractabant de facto Mutine dictum Çovaninum ad bancham suam cambii conten-
dere pro parte ieremensium contra Blasium suum fratrem qui contendebat pro parte
lambertaciorum dicendum sibi: ‘o nasu marçu! [...]’ ».
10 ASBo, Giudici, reg. 1, c. 12v: « Guarinus de Vetrana de cappella Sancti Vitalis
[…] dicit quod per ea que vidit predictum Iacobinum facere tempore rumorum et
post et ante credit eum potius ieremensem quam lambertacium ». ASBo, Giudici, reg.
1, c. 18r: Dominus Saxolinus cartolarius [...] dicit quod tempore rumorum predictus
Antonius venebat cum ipso teste et filiis suos ad plateam comunis ad defendendum
bonum statum comunis Bononie. Interrogatus si vidit eum trahere ad aliquam partem
dixit quod ipse nec pater suus sunt homines qui habuerint intentionem suam ad dan-
dum favorem alicui partium nisi ad defendendum comune Bononie [...] ».
tum subscriptum per Iacobum de Lastignano notarium continens quod in cedula por-
recta per impositores equorum suprascripte sue cappelle impositus fuit sibi equus
tamquam homini de parte ecclesie; item quamdam reformationem scriptam per Pacem
de Brayna que continens ipsum approbatum esse de parte ecclesie in societate Balça-
norum; item quamdam reformationem populi subscriptam per Bonacosam de Tuschis
in qua continetur quod non preiudicaret alicui si assignaret equum in parte lamberta-
tiorum dum modo approbatus est; et sunt penes me ».
13 Sul tribunale del capitano del popolo bolognese v. Kantorowicz, Albertus Gan-
14 ASBo, Giudici, reg. 1, c. 20r: « Die .XV. februarii. Coram domino Hondesanti
iudice domini capitanei venit dominus Petriçolus Çoenis et dicit sacramentum denun-
tiando Thomaxinum Michaelis de Cavrara qui facit pecitas de capella Sancte Lucie
esse et fuisse semper lambertatium et de parte lambertatiorum et electum fuisse tem-
pore presentis potestatis tamquam lambertacium ad imponendum colectam lamberta-
ciorum et dicit ipsum esse secundum reformationem populi in societate Castellorum.
Item dicit illud idem de filio predicti Thomaxini, Michaele.
Die .XVIIII. februarii. Preceptum est suprascripto domino Petriçolo ad bannum
.XXV. librarum bononinorum quod hic ad .III. dies ostendat et probet cum effectu
predicta omnia vera esse ». ASBo, Giudici, reg. 1, c. 20r: « Magister Thomaxinus iurat
preceptum et cetera. Interrogatus sacramento et ad bannum .L. librarum bononinorum
re testimoni 15, vengono vagliati dai giudici, insomma, sulla base dei
medesimi criteri. L’unica differenza riscontrabile consiste nell’imposizio-
ne, per l’accusato, di un’ulteriore garanzia pecuniaria da prestare nel
momento in cui, ottenuto il termine entro cui allestire la propria difesa,
si allontani dal palazzo del comune 16. Un’importante conseguenza del
carattere accusatorio della procedura è poi la netta prevalenza delle
assoluzioni 17. L’esito di questi processi è noto solo in sei casi 18, ma solo
in uno di essi si tratta di una condanna.
Con ciò non si intende affatto sostenere che la curia del capitano
del popolo fosse strutturalmente estranea alle procedure di tipo inquisi-
torio. Come vedremo tra breve, in questo tribunale furono al contrario
promosse inquisizioni e altri procedimenti indirizzati più all’attuazione
di obiettivi politici che alla risoluzione dei conflitti 19, come a esempio
le periodiche operazioni di polizia tese al reperimento dei banditi e dei
confinati in città. L’assenza di questi aspetti, pur sottintesi nelle disposi-
quod dicat veritatem in omnibus dicit ad excusationem suam quod ipse est ieremensis
er numquam fuit lambertatius et est in societate Castellorum approbatus de parte iere-
mensium et dicit quod tempore rumorum fuit in saragoçia ad preliandum contra lam-
bertacios cum Bayetto confalonerio quarterii porte sancti Proculi et dicit quod tempore
exercitus Faventie preliando cum inimicis comunis fuit in fovea dicte terre cum filio et
aliis [...].
Suprascriptus Michael eius filius iurat precepta et cetera. Interrogatus sacramento
et ad dictum bannum dicit in omnibus et per omnia id quod pater ad eius defensio-
nem [...].
15 ASBo, Giudici, reg. 1, c. 20r: « Bolnisius Iohannis de capella Sancti Felicis,
nuntium comunis Bononie [dicit] se hodie, mandato domini iudicis, citasse Iacobum
domini Iohannis de Çovençonibus, Accarisium Bonaventure cappelle Sancte Lucie pre-
sentialiter quod incontinenti compareant coram iudice ad testificandum pro suprascrip-
to Thomasino et filio » [...]. ASBo, Giudici, reg. 1, c. 19r: « Prescriptus iudex pronun-
tiavit testes producti ab Antonio ex una parte et ab Guidone ex altera, in causa intra
eos vertenti, presentibus et petentibus partibus, apertos, presentibus domino Cabrio
notario et domino Beccadino de Artinisiis ».
16 ASBo, Giudici, reg. 1, c. 20r: « Pro eo et eius filio infrascripto fideiussit in .C.
lerani, Il sistema giudiziario del comune di Perugia, pp. 31-33 e Vallerani, I processi
accusatori a Bologna fra Due e Trecento.
18 La sentenza è registrata in margine all’interrogatorio dell’imputato con le for-
zioni dello stesso anno 20, nel registro del 1275, è dovuta in parte al
fatto che, a questa altezza cronologica, la condizione di lambertazzo
non si era ancora compiutamente evoluta in senso penale. Crediamo
tuttavia importante notare, anche per valutare appieno le inquisizioni
capitaneali condotte negli anni successivi, che la competenza in materia
di ritorsione politica venne affidata a un organismo giudiziario già dota-
to di procedure autonomamente costruite, e costruite sulla base del
modello accusatorio.
I registri conservati consentono di seguire l’attività del tribunale del
capitano del popolo con continuità solo a partire dal 1281. Si è già
accennato al fatto che durante i secundi rumores che precedettero la
nuova esclusione del 1279 e nel periodo immediatamente successivo,
vennero alla luce nuove istituzioni, segnate da un carattere più marcata-
mente di parte, come la società della Croce, il cui nome echeggiava
quello della confraternita parmigiana dotata di funzioni di governo da
Carlo I d’Angiò. Un simile prestito lessicale si riscontra anche all’inter-
no della curia del capitano del popolo. Il giudice che in questa sede
esercitava la giustizia penale, e dunque si occupava della repressione
dei lambertazzi, assunse infatti il titolo di « vicario » che non aveva pre-
cedenti nelle istituzioni bolognesi 21. È possibile che nella scelta di que-
sto nome abbia pesato il modello dei podestà-vicari angioini che nel
corso degli anni Sessanta e Settanta del Duecento avevano ricoperto la
massima carica cittadina nei comuni sottomessi al re di Sicilia. Se una
tale ipotesi fosse esatta, potremmo affermare che, come era avvenuto
nel 1275 attraverso la chiamata di Malatesta da Verrucchio, anche nel
1280 si intese collegare la giustizia politica all’esperienza della coordina-
zione guelfa.
Nello stesso periodo venne redatto un sacramentum che il capitano
entrante era tenuto a prestare all’atto del suo insediamento. Tale docu-
mento costituisce un buon punto di partenza per osservare quali com-
piti gli venivano assegnati in materia di giustizia politica in un momen-
to in cui ormai il gruppo dei lambertazzi risultava chiaramente distinto
20 I registri di « cridaciones » del 1275 conservano una traccia delle ricerche dei
confinati. ASBo, Giudici, reg. 3, c. 5r: « Item cridatum fuit quod omnes confinati de
parte lambertatiorum incontinenti ad eorum confinia ire debeant in banno .C. librarum
bononinorum pro quolibet et plus et minus arbitrio domini capitanei, sciendo quod
notarii ibunt ad circandum ».
21 Nei processi del 1275 il giudice Hondesanti, non appare mai qualificato come
22 Questo giuramento doveva essere stato inserito negli statuti del popolo che,
ciones del 1275. su cui v. sopra. Altre « cridaciones » vennero emanate nel 1281 e sono
registrate in ASBo, Giudici, reg. 8. I verbali delle ricerche dei confinati per il periodo
1281-1282 sono in ASBo, Giudici, reg. 10, cc. 28r-29v; reg. 34, cc. 33-40; 76r.
25 Per raccogliere i processi condotti contro i lambertazzi sono stati schedati tutti
i registri dell’ufficio del vicario per il periodo 1275-1300. Si tratta di registri distingui-
bili in due tipologie: libri di precetti, e libri processuali, anche se talvolta questa di-
stinzione tende a sfumare. La forma di registrazione dei procedimenti è infatti quella
del « registro giornaliero » in cui vengono accumulati i diversi atti secondo una scan-
sione cronologica che non rispetta sempre la separazione tra i processi. La quasi totale
mancanza dei libri di sentenze costringe a utilizzare le annotazioni con[dempnatus] e
ab[solutus] che compaiono spesso, ma non sempre, accanto al libello accusatorio. Per
il periodo 1275-1300 sono conservati 189 registri dell’Ufficio del Vicario, con un’unica
lacuna significativa per gli anni 1276-1281. Per il periodo successivo al 1281 si ha
dunque una media di 9, 25 registri all’anno. Per valutare quale sia la consistenza delle
perdite si rivela preziosa la conservazione, anche se frammentaria, di un inventario
dell’antico archivio del « popolo », l’armarium populi della camera actorum (edito in G.
Fasoli, Due inventari, pp. 173-277), che riporta l’elenco dei registri prodotti dalla curia
capitaneale distinti in base all’anno di produzione per gli anni 1281-85. Per il primo
semestre del 1281 sono conservati 9 pezzi sui 13 attestati dall’inventario; per i succes-
sivi due semestri rimangono solo 5 registri su 19, ma in seguito lo scarto va sensibil-
mente attenuandosi: per il secondo semestre del 1282 abbiamo 5 registri su otto, e in
seguito il rapporto è di 7 su 9, di 6 su 8 e infine di 4 su 5. Il grande numero di
registri conservati per gli anni successivi, non confrontabili con questo inventario, indi-
ca che la differenza tra registri prodotti e conservati rimane esigua e che la disparità
del 1282 costituisce l’eccezione più che la regola. Questi registri riportano 294 processi
celebrati in materia di lambertazzi negli anni 1281-1300.
26 Nel sacramentum il capitano affermava: « Et omnia et singula statuta et ordina-
tica del capitano del popolo occorre dunque prestare attenzione all’atti-
vità normativa del comune, e in particolare del « popolo ». Riguardo ai
lambertazzi i consigli emanarono nel corso del tempo moltissime deli-
bere attraverso procedure sia ordinarie sia straordinarie. La discussione,
che costituiva il carattere precipuo di queste procedure, non avvenne
soltanto all’interno dei singoli consigli, ma anche tra i diversi organi e
ancora tra questi e le altre sedi deputate al controllo dei lambertazzi,
come lo stesso tribunale capitaneale. Le norme in materia cambiarono
spesso, dando luogo tanto a dibattiti che si protraevano nel tempo,
quanto a progressivi adattamenti al mutare delle circostanze. In questa
prima fase di costruzione della giustizia politica alcuni argomenti venne-
ro privilegiati rispetto agli altri, sollecitati in parte dal coevo processo
di ricostruzione delle liste di condannati, avviato in seguito alla nuova
esclusione del 1280.
Particolarmente legate ai postumi del rientro del 1279 appaiono le
riformagioni che stabilirono, sicuramente nel 1281, ma probabilmente
anche prima, che coloro che erano venuti ad mandata comunis doves-
sero prestare delle garanzie pecuniarie, pena il rinnovo del bando 27.
Lo stesso vale per le riformagioni che, inaugurando una serie che sa-
rebbe proseguita fino ai primi decenni del Trecento, sollecitarono l’al-
lontanamento dei confinati dalla città, minacciando il bando in caso di
mancata esecuzione 28. Meno contingenti furono altre norme già ema-
nate nel 1275 e implicitamente riprese nel sacramentum, con cui si
et contra eorum familias et receptores eorum et eorum familias et que in eis continen-
tur et continebuntur observabo et esecutioni mandabo et observari et esecutioni man-
dari faciam precise ».
27 ASBo, Giudici, reg. 10, c. 21r: « Çocholus bannitor populi pro se et aliis banni-
toribus populi respondit mihi Amadori notario se publice banuisse per civitatem et
burgos, in locis consuetis quod omnes homines et persone qui venerunt ad mandata
comunis et qui postea, infra tempus infra quem ordinatum fuit omnes lambertacios
posse venire ad mandata comunis qui postea per forma reformationis consiliorum po-
puli et masse venerunt ad mandata comunis qui nundum securitates comuni prestite-
runt hinc ad terciam diem debeant dictas securitates prestare alioquin a dicto termino
in antea pro bannitis haberentur et eorum bona pubblicarentur ».
28 ASBo, Giudici, reg. 10, c. 23r: « Çocholus banitor populi respondit mihi nota-
rio pro se et sociis se publice banuisse quod omnes homines de parte lambertaciorum
confinati in secundo et tertio gradu incontinenti debeant se partire de civitate et comi-
tato Bononie et ire ad confinia in terris Masse et Codeguro et de inde nullatenus se
partire sine licentia domini capitanei et quod qualibet die faciant fieri instrumenta
publica qualiter se presentarent in dictis terris coram rectoribus ipsarum terrarum et
hec ad penam arbitrio domini capitanei tollendam ».
29 ASBo, Giudici, reg. 10, c. 21r: « Çocholus bannitor populi pro se et sociis
bannitoribus populi respondit mihi Amadori notario se publice banuisse eodem modo
quod nullus audeat vel presumat aliquem bannitum pro parte lambertaciorum seu re-
bellem nec eorum familiares tenere in domibus suis nec eis dare aliquid consilium,
auxilium vel favorem in pena et banno .C. librarum bon et plus ad voluntatem capita-
nei et in dirruptionem domus in qua vel in quibus eos tenerent et quilibet possit
accusare et denunciare et habebit medietatem banni ».
30 Non possediamo riformagioni o cridaciones relative a questa materia per il 1281,
ma sappiamo che furono emanate poiché ne recano traccia i processi di questi anni. A
titolo di esempio riportiamo quanto venne stabilito già nel 1275.
ASBo, Giudici, reg. 3, c. 8v: « Item quod aliqua persona non teneat in eorum
domibus curia vel curtilibus aliquem bannitum vel confinatum vel aliquem qui stetisset
in civitate Faventie. .Vc. libras bononinorum cuilibet militi et .CC. libras bononinorum
cuilibet pediti et plus et minus ad voluntatem domini capitanei et quilibet possit accu-
sare contrafacientes, medietatis cuius banni sit comunis et alia medietas accusantis ».
ASBo, Giudici, reg. 2, c. 1r: « Cridatum fuit per dictos bannitores quod omnes
confinati et illi de garnata et suspecti de parte lambertaciorum cuiuscumque condicionis
existant, incontinenti debeant exire de civitate Bononie et districtu sub pena et banno
averis et persone et quod quilibet possit eos sua autoritate ab hodie in antea capere et
detinere et in fortia domini capitanei presentare et habebit medietatem bani ordenati ».
ASBo, Giudici, reg. 2, c. 1r: « Item quod alliquis de civitate vel districtu Bononie
non teneat alliquem de predictis confinatis et de illis de garanata et suspetis in eorum
domibus vel conductis vel curtile ad penam et banum quingentarum librarum bononi-
norum cuilibet militi vel filio militis et ducentarum librarum bononinorum cuilibet
pediti et quilibet possit accusare et denunciare et habebit medietatem banni ordenati ».
ASBo, Giudici, reg. 2, c. 2r: « Cridatum fuit per dictos bannitores quod omnes
setuagenarii de parte lambertaciorum hodie per totam diem debeant exire de civitate
Bononie et ire ad confinia in comitatu Bononie longe a civitate Bononie per .V. millia-
ria ubi voluerint ad pena .XXV. libras bononinorum et quod quillibet possit eos cape-
re et presentare et in fortia comunis reducere et quicumque aliquem presentaverit ha-
bebit medietatem bani ».
ASBo, Giudici, reg. 2, c. 4r: « Cridatum fuit per dictos bannitores quod omnes et
singuli confinati de garnata quibus non fuit certa confinia destinata incontinenti sine
mora vadant ad eorum confinia silicet illi de quarterio porte Sancti Petri ad Balughul-
lam comitatis Mutine et illi de quarterio porte Sancti Proculi ad Curigiam de Fregna-
no et illi de quarterio porte Sterii ad Campum comitatis Mutine et illi de quarterio
porte Ravennatis ad Sanctum Felice in massa et ibi continue stare debeant et se qua-
libet die presentare coram illis officialibus qui sunt comuni Bononie deputati et hoc
ad penam et bannum cuilibet contrafacienti .CC. librarum bononinorum pro quolibet
et qualibet vice et insuper si alliquis fuerit inventus extra loca predicta possit a quibu-
scumque in avere et persona offendi impune et quilibet possit eos accusare et deuncia-
re et habebit medietatem banni ».
ASBo, Giudici, reg. 2, c. 4r: « Cridatum fuit per dictos bannitores quod nulla
persona de civitate vel districtu Bononie audeat vel presumat in sua domo propria
vel conducta tenere vel alliquem de predictis confinatis aceptare pena et banno con-
trafacienti .C. librarum bononinorum et destrutionis domus in qua erant reperti et
quilibet possit predictos contrafacientes acusare et tenebitur in credentia et habebit
medietatem banni ».
ASBo, Giudici, reg. 2, c. 5r: « Cridatum fuit per dictos bannitores quod omnes
confinati suspecti et de de garnata pro parte lambertaciorum civitatis Bononie et cuiu-
scumque conditionis incontinenti debeant se separare de civitate Bononie et districtu
et quilibet possit eos capere et detinere et offendere ad suam voluntatem et in fortia
comunis reducere et quod alliquis de civitate Bononie in suis domibus, curtilis vel
albergis eos non debeant tenere, siendo quod quicumque eos tenuerit quod domos
eorum destruerentur usque in fundamentum cum et quilibet possit eos denuntiare et
accusare, medietatis banni sit accusantis et alia comunis ».
ASBo, Giudici, reg. 2, c. 5v: « Cridatum fuit per dictos bannitores quod omnes
homines civitatis Bononie de parte Ecclesie qui invenerit alliquem de parte lamberta-
ciorum eos possint capere et detinere et facere redimere et offendere in avere et per-
sona ad eorum voluntatem sine pena et quicumque potuit alliquem presentare, medie-
tas eorumbonorum sit sua et alia comunis ».
1281 9 3 12
1282 8 23 31
1283 9 11 20
1284 18 6 24
1285 6 5 11
1286 34 23 57
1287 17 25 42
1288 3 16 19
1289 8 5 13
1290 2 2 4
1291 2 2 4
1292 2 6 8
1293 8 6 14
1294 4 10 14
1295 7 5 12
1296 2 2
1297
1298 1 1
1299 2 2 4
1300 2 2
Totale 139 155 294
condannati. Negli anni successivi tale principio, per cui le liste assume-
vano la valenza di prova unica per dimostrare l’appartenenza faziosa,
rimase stabilmente in vigore. Esso fu accolto negli statuti del 1288, e
nel 1290 una norma confermò che non si potesse procedere alla con-
danna di un bandito trovato in città se questi non era inserito negli
elenchi 39. In tal modo le fonti per qualificare i cittadini come ghibellini
vennero ristrette a quelle prodotte dal comune stesso, e l’azione contro
i lambertazzi acquisì un carattere autoreferenziale.
La lettura dei registri processuali mostra bene l’importanza acquisita
dopo il 1284 dalla menzione degli elenchi come elemento di prova.
Prima di questa data nelle accuse e nelle difese il riferimento alla docu-
mentazione si trova, ma è affiancato da argomenti di altro tipo. Così a
esempio nel dicembre del 1282, Bencevene Bonaventure de Mellonis si
difendeva dall’accusa di essere lambertazzo con una serie di dichiarazio-
ni in cui alternava alcuni argomenti « di fatto » a lui favorevoli (« egli
era agli ordini del comune e pagava le collette »; « faceva parte del
consiglio dei quattromila ») alla semplice negazione degli argomenti del
suo accusatore (« è vero che era iscritto negli estimi speciali per i lam-
bertazzi, ma lo era a torto »; « è vero che non compariva nella lista di
coloro che avevano giurato la parte geremea, ma perché ne era stato
cancellato senza alcun diritto »). Grazie all’intervento di un sapiente,
che produsse un semplice strumento notarile in cui era riportato il suo
giuramento, egli fu assolto 40.
Dopo il 1284 in conseguenza della modifica normativa, anche nei
processi il riferimento alle liste tende a farsi quasi esclusivo. Ma la pre-
senza di diversi elenchi, spesso in contrasto tra loro, fornì argomenti
contrastanti alle due parti. Il 18 aprile 1287 Andriolus Petriçoli Alberti-
ni de Badolo denunciò Petronius Petri Beliti, confinato di garnata, per-
ché non si era allontanato dalla città in seguito all’ordine del capita-
no 41. Dopo aver pagato la fideiussione in cui si impegnava a portare
avanti la propria accusa, egli fece citare Petronius, che, dopo una lunga
serie di inviti a presentarsi, finalmente venne in tribunale e negò le
accuse a suo carico. Fu a quel punto, dopo che alle parti erano stati
dati i termini per sostenere le proprie ragioni, che Andriolus presentò
un’intentio in sette punti, tutti ricavati dalla consultazione delle liste
redatte fino a quel momento. In essa si affermava che: 1) Petronius
nella sezione relativa ai confinati di secondo grado (ASBo, Elenchi, vol. III, reg. 2, c.
70v). Probabilmente dunque fu bandito in anni successivi per non essere rimasto ai
confini.
45 ASBo, Giudici, reg. 95, c. 31r-35r.
46 ASBo, Giudici, reg. 136, c. 101r: « Item quod illi quorum nomina que scripta
47 ASBo, Giudici, reg. 136, c. 105v: « Dominus Mathiolus de Ronchore testis [...]
dixit quod nomina illorum que scripta sunt in libris bannitorum de parte lambertacio-
rum credit quod comuni oppinione habentur pro bannitis de dicta parte lambertacio-
rum secundum formam reformationum factarum tempore Bertolini de Madio quondam
capitanei populli Bononie et scriptarum manu Michelis Thomaxii notarii et secundum
quod continetur in libris bannitorum scriptorum manu domini Cambonini Ursolini
notarii et aliorum sociorum super hoc assumptorum per comune Bononie; dicit etiam
quod nescit si illa scriptura preiudicet alicui qui habet extimum et solvat collectas et
sit obediens comuni Bononie nisi continetur in illa reformatione [...] ».
48 ASBo, Giudici, reg. 136, c. 106r: « Paullus Venture [...] dixit quod comuni
opinione hominum civitatis Bononie non habentur pro bannitis de parte lambertatio-
rum habentes extimum et solventes collectas comuni Bononie et alia honera et publi-
cas fationes, et si nomina ipsorum reperientur in libris bannitorum per errorem con-
scripta sunt. Interrogatus quomodo sit predicta, respondit quia publice dicitur et credi-
tur per homines civitatis Bononie cuiuscumque condicionis quod non habentur pro
bannitis extimum habentes. Interrogatus que est causa quare ita creditur publice per
homines civitatis Bononie, respondit quod sapientes qui fuerunt ad scribendum cuius
scripturam tenor talis est: ‘salvo quod si reperietur aliquem vel aliquos ex supradictis
bannitis vel eorum filiis nuper conscriptis in hoc presenti libro bannitorum obedisse et
obedire comuni Bononie habendo extimum in comune Bononie et solvendo collectas
et alia honera subendo, illi vel illis bannum vel banna non obsit nec possit predictis
preiudicium in aliquo gravare’ qui liber factus fuit et conditus tempore domini Bertho-
lini de Madiis capitanei populi Bononie ».
49 ASBo, Giudici, reg. 136, c. 106v: « Dominus Henregiptus quondam domini Fe-
liciani […] dixit quod fuit cum aliis quibusdam sapientibus super determinationem et
examinationem bannitorum et confinatorum partis lambertaciorum tempore Bertolini
de Madiis capitanei populi Bononie et tempore confetionis librorum dictorum bannito-
rum et confinatorum; dicti sapientes addiderunt et scribi fecerunt post nomina banni-
Come le liste, del resto, anche la normativa aveva subito nel corso
del tempo variazioni, cassazioni, rispristini e deroghe. Lo si nota bene
osservando quento si era deliberato in merito a quello che abbiamo
definito come uno dei principi fondatori della giustizia politica: l’accusa
torum illud ‘salvo’ quod scriptum est in libris et aliud ‘salvo’ quod est post nomina
confinatorum, et credit quod de predictis que dixit sit publica fama per civitatem
Bononie. Interrogatus que fuit causa quare dicti sapientes poni fecerunt dictum ‘salvo’
in dicto libro bannitorum, respondit quia non fuit eorum intentionis quod illa scriptu-
ra banni obesset vel preiudicium gravaret alicui vel aliquibus ibi conscriptis qui repe-
rientur obedisse et obedire comuni Bononie habendo extimum in comuni et solvendo
collectas et alia honera subendo, cum de iure non debetur preiudicare predictis. Inter-
rogatus si dicti sapientes habuerunt potestatem vel bayliam faciendi predicta, respondit
quod non videtur sibi quod habuerunt potestatem ab initio nisi transcribendi et deter-
minandi libros veteres bannitorum et confinatorum eisdem sapientibus datos, tamen
postea per reformationem populi confirmate fuerunt omnes scripture et libri facti de
predictis per dictos sapientes ». ASBo, Giudici, reg. 136, c. 106v: « Dominus Iacobus
domini Bittini [...] dixit quod credit quod omnes qui sunt conscrpti in libris bannito-
rum pro parte lambertaciorum facti tempore domini Bertholini de Madiis capitanei
populi Bononie reservato eo ‘salvo’ quod scriptum est in ipsis libris ad quos libros
faciendos fuit cum sociis dicto tempore. Interrogatus si ipse et socii sui habuerunt
potestatem et bayliam ordinandi et determinandi dictos libros et ipsum ‘salvum’ re-
spondit quod credit ut sibi videtur et credit quod quicquid factum et ordinatum fuit
per eos in predictis et circa predictia fuerit aprobatum et confirmatum per reformatio-
nem populi. Interrogatus que fuit causa quare ipse testis et socios fecerunt poni et
scribi in dictis libris dictum ‘salvo’, respondit quod credit quod poni et scribi fecerunt
predictum salvo pro meliori statu civitatis Bononie [...] ». ASBo, Giudici, reg. 136, c.
107r: « Dominus Iohannes de Sancto Georgio [...] dixit quod ipse testis tempore do-
mini Bertholini de Madiis capitanei populi Bononie cum quibusdam aliis sapientibus
fuit ad ordinandum et disponendum nomina bannitorum et confinatorum partis lam-
bertaciorum in dictis libris scribi fecerunt dicti sapientes post nomina bannitorum dicte
partis ‘salvum’ quod ibi scriptum reperitur et ipse, manu propria scripsit. Interrogatus
que fuit causa quare dicti sapientes fecerunt poni et scribi in dictis et post dicta
nomina dictum ‘salvo’, respondit quia ipsi nolebant quod preiudicaret scriptura banni
ibi positi alicui qui haberet extimum et solveret collectas et foret obediens comuni
Bononie ». ASBo, Giudici, reg. 136, c. 107r: « Dominus Iacobus de Baldoynis [...] dixit
quod ipse et quidam alii sapientes qui elleti fuerunt per comune Bononie tempore
domini Bartholini de Madiis capitanei populi Bononie ad fatiendum et compilandum
libros bannitorum et confinatorum partis lambertaciorum fecerunt scribi post nomina
bannitorum dicte partis illud ‘salvo’ quod ibi in dicto libro bannitorum. Interrogatus
que fuit causa quare ibi scribi fecerunt dictum ‘salvo’, respondit quia nolebant preiudi-
tium gravare propter scripturam banni alicui qui habuisset et haberet extimum et obe-
diret comuni Bononie et quia hoc videbatur eis esse ius. Interrogatus si predicti sa-
pientes habuerunt autoritatem et bayliam ordinandi et disponendi ac scribi fatiendi
predicta, respondit quod sibi videtur quod aprobatum et confirmatum fuerit per refor-
mationem conscilii populli quicquid per eos factus fuit ».
50 La norma del 1282 è in Statuti di Bologna del 1288, pp. 300-301: « (...) et
quilibet possit accusare et denuntiare tales contrafacientes et habeat medietatem banni
et teneatur in credentia ». La modifica del settembre 1284 è ibidem, pp. 435-440: « et
non petierit dimidium condempnationum, et non petierit quod teneatur in secreto, sed
possit hoc facere infrascripto modo et forma, videlicet quod ille et talis accusator seu
denuntiator sit legittime etatis, et de parte Ecclesie et ieremensium, et societatum po-
puli Bononie artium et armorum, cambii et mercadandie et habeat extimum aut sit de
fumantibus alicuius terre districtus Bononie. (...) et idem et eo modo [ex suo officio et
suo modo tantum inquirere] possit de tali delicto dominus capitaneus et sua familia de
bannitis pro parte lambertatiorum ». La norma del dicembre 1284 che cassa la prece-
dente è ibidem, pp. 450-451. La norma del 1286 è ibidem, pp. 485-489: « quod domi-
nus capitaneus habeat merum, generale et liberum arbitrium super omnibus et singulis
accusationibus, denunciationibus et notifficationibus et inquisitionibus factis tempore
domini Mathei de Madiis [1282] et ab inde citra [...]. In primis quod persona accu-
sans, denunctians seu nottificans sit legitime etatis, integre fame et oppinionis et ha-
bens extimum in civitate Bononie et de parte Ecclesie [...] et sit probaverit habeat
medietatem condempnationis ». La riformagione del 1298 è in ASBo, Riformagioni, Ri-
formagioni del consiglio del popolo, vol. IV, reg. 5, c. 288: « Item quod quilibet possit
acusare vel denunciare publice vel occulte omnes et singulos qui predictis rebellibus
darent auxilium, consilium vel favorem et habeat medietatem condempnationis que sit
in arbitrio domini capitanei populi Bononie [...] ».
51 ASBo, Giudici, reg. 75, c. 69v. Tra le altre ragioni addotte da Petrus vi era il
fatto che il capitano aveva affermato che nulla della condanna doveva pervenire a
Iohannes; che il danaro era già nelle casse comunali; e che Iohannes non era un buon
cittadino perché non pagava le tasse.
52 ASBo, Giudici, reg. 104, c. 14r.
53 ASBo, Giudici, reg. 104, c. 14v. I sapientes consultati furono Lambertino Ram-
poni, Nicolò Zovenzoni, il notaio Antonio da Manzolino e Bernabò Gozzadini. Essi
citarono: 1) la norma del 1282 sulle accuse a i favoreggiatori; 2) la norma del 1284
che lo modificava; 3) il sacramentum del capitano del popolo; 4) la norma del 1286.
turiti da accuse palesi. Non solo l’esito finale risulta distribuito tra as-
soluzioni e condanne in maniera analoga, ma si riscontrano dati simili
anche osservando i diversi momenti in cui i processi vennero interrotti.
Anche nelle inquisizioni, un terzo dei casi (42) vedono soltanto la regi-
strazione della notifica (in questo caso anonima) e non contengono al-
cuna traccia della presenza dell’imputato. Rispetto alle accuse, la per-
centuale di condanne sembra leggermente più alta: nei 26 casi « in as-
senza », di cui conosciamo l’esito, vi sono 14 assoluzioni e 12 condan-
ne. Si tratta dell’unico elemento che ci permette di affermare che l’in-
quisizione contro i lambertazzi costituiva un procedimento più duro
dell’accusa, ma solo nel caso in cui l’imputato non si presentasse. Dal
momento in cui si presentava, anche se le sue accuse erano state for-
mulate anonimamente e dunque venivano sostenute in maniera autono-
ma dal tribunale, la possibilità di essere assolto cresceva assieme al
protrarsi del processo. Ci è noto l’esito di 7 processi dei 14 in cui
l’imputato si presentò e venne sottoposto all’interrogatorio ma non pre-
stò una fideiussione: in 5 casi fu assolto, in 2 condannato. Con la
prestazione della fideiussione le possibilità di assoluzione crescevano.
Dei 31 casi di cui conosciamo l’esito sui 57 totali in cui si giunse a
questa fase, ben 25 terminarono con l’assoluzione e solo 6 con la con-
danna. E l’assoluzione diveniva ancora più sicura nel caso in cui l’im-
putato giungesse a produrre testimoni. Sui dodici casi di questo tipo
conosciamo l’esito solo per 9 processi e si tratta di 9 assoluzioni. An-
che nelle inquisizioni, infine, ebbe un ruolo importante la richiesta dei
consilia, che fu sempre il tramite per un’esito assolutorio. La tabella 3,
che riassume i dati sugli esiti nel complesso dei procedimenti attestati,
mostra chiaramente la prevalenza delle accuse.
Anche le ricerche dei confinati vennero in questi anni ad avere
un’incidenza più bassa che in precedenza. Sebbene, come si è visto nel
capitolo precedente, in alcuni casi furono l’occasione per condurre a
nuovi bandi, a partire dagli anni Novanta, e specialmente dal 1295, la
capacità di promuoverle, per effetto della guerra con Ferrara, si ridusse
notevolmente. Quanto alle « inquisizioni generali », con il passare degli
anni i questionari subirono alcune modifiche giungendo talvolta a com-
prendere attività criminose estranee al controllo dei ghibellini: i notai
inviati dal capitano raccoglievano in questi casi informazioni anche su
assassini, Anziani e Consoli che avevano contravvenuto alle regole per
la loro elezione, persone di cattiva fama, ghibellini di altre città. Non
cambiò tuttavia l’atteggiamento degli interrogati, che nella grande mag-
gioranza dei casi affermarono di non sapere nulla riguardo a ciò che
1281
1282 4 12
1283 14 540 2
1284
1285 8 240 2
1286 5 192 1
1287 8 160 7
1288 6 162 3
1289 2 3 1
1290
1291
1292
1293 2 6
1294 3 8
1295 1 116 23
1296
1297 3 46 1
1298 1 3
1300 5 ? ?
Totale 62 1488 40
58 ASBo, Giudici, reg. 362, c. 75r: « Manifesta cosa scia a vui miseri podesta et a
vui miseri capetaneo et agli segnori anciani che Pero de ser Caçanemigo de gli Caçepti
de la capella de Sancta Agata de porta sancto Proculo foe sbandegao per la parte de
lambertaçi al tempo de miser Rolando Putaglo e questo apare in suso gli libri de lo
comuno a la chamera di gl’ati et la o suno scriti quili che sono et eno de quela parte.
Conçosia cosa che ‘l ditto Pero sia a presente de lo consiglo del povolo e lo dicto
consiglo avi çurato et vene continuamenti al dicto consiglo e che in lo dicto consiglo
no se po fare cosa che ‘l dicto Pero no mandi a dire a Maghinardo da Sosenana et
agli lambertaci ch’eno nimisi del camuno de Bologna. Onde plaça a vui signori sovra-
dicti lo dicto Pero punire et condenare e ‘l dicto Pero casare dal dicto consiglo secon-
do che se contene in gli statuti sagrati, sagratissimi sovra gli quali statuti voi miseri
podestai et vui miseri chapitaneo avi çurai cha dii çaschuno daviri pena de livri .CCC.
si voi non campli le predicte cose.
Item che l dicto Pero ave al consiglo di quattromilia dui brevi: una potestaria da
bandera et uno notaro a lu memoriale ».
59 ASBo, Elenchi, vol. III, reg. 2, c. 68r.
cesso un termine di soli due giorni, allo scadere dei quali egli, eviden-
temente non pronto, si impegnò a difendersi entro cinque giorni sbor-
sando la cifra, comunque rilevante, di 100 lire. Fu a quel punto che si
presentò Princivalle di Iacopo Pizzigotti – un altro cambiatore di livello
sociale e prestigio inferiore, figlio di un giudice che nel 1277 era stato
bandito come lambertazzo – rivelando con ogni evidenza di essere l’au-
tore della denuncia anonima. Egli dichiarò di voler aiutare la curia a
procedere e presentò un estratto dal Liber del 1277 60.
Di lì a pochi giorni l’accusato Pietro si presentò portando con sé
un dossier impressionante di documenti a difesa, in cui erano raccolti:
1) un privilegio concesso a lui e a suo fratello nel 1282 (data di pro-
mulgazione degli Ordinamenti Sacrati) in cui si specificava che erano
sempre stati geremei; 2) un atto notarile con cui si dichiarava che « in-
vestigatis libris bannitorum et confinatorum non reperitur nomen et
cognomen »; 3) una riformagione del 1284 (data di promulgazione degli
Ordinamenti Sacratissimi) che confermava i privilegi emanati due anni
prima; 4) un capitolo degli statuti relativo ai crimini contro gli Ordina-
menti Sacrati e Sacratissimi; 5) una copia autentica del privilegio otte-
nuto; 6) una sentenza emanata in base a un consilium collettivo di
sapienti molto importanti 61 al termine di un processo scaturito da una
notifica in cui lo si accusava di aver illegitimamente eletto suo fratello
al consiglio del popolo; 7) un estratto dei primi libri dello statuto del
popolo relativo ai casi in cui il capitano aveva il potere di procedere ex
offitio, dal quale risultava che nel caso di una semplice notifica trovata
nella capsa comunis non era possibile procedere in questa forma 62.
Per rispondere a quest’ultimo argomento, basato sull’illegitimità del-
la procedure ex offitio in caso di denuncia anonima, Percivalle presentò
una denuncia palese recando con sé un estratto del libro delle assigna-
tiones equorum del 1274 dal quale risultava che Pietro aveva contribui-
to all’epoca con due cavalli in quanto lambertazzo, e impegnandosi a
60 ASBo, Giudici, reg. 362, c. 76r. Il nome di Iacobus de Piççigottis si trova tra i
banditi del 1277 della cappella di S. Donato in ASBo, Elenchi, vol. II, c. 98r.
61 I sapientes erano stati Alberto di Odofredo, Tommaso di Guidone Ubaldini,
puli in quo continetur in quibus casibus dominus capitaneus habet et potest inquirere;
quibus nominibus visis non habet nec potest se intromitere ad procedendum contra
dictum dominum Petrum ex cedula posita in cassa seu denunciatione quia casus con-
tentus in dicta denunciatione non est de casibus ex quibus possit inquiri offitio case,
imo expresse prohibitum est dominum capitaneum in ipso casu posse inquirere ».
sostenere le proprie ragioni con una fideiussione 63. In tal modo all’ano-
malo processo per inquisizione, scaturito da una denuncia anonima ma
proseguito in maniera aperta da Percivalle, si sovrappose un processo
accusatorio vero e proprio. Quando venne nuovamente convocato, Pie-
tro, forte di questa anomalia procedurale, ma cambiando completamen-
te tattica, sostenne che sulla nuova accusa non era possibile procedere
poiché era già in corso un’inquisizione. Il giudice decise quindi di affi-
dare la questione al sapiente Nicolaus de Lameriis, che emise un parere
favorevole a Pietro: occorreva procedere solo con l’inquisizione 64. Perci-
valle chiese allora la revoca del consilium, che venne accettata. Il giudi-
ce convocò un nuovo sapiens, Azo Grignoli, che tuttavia espresse un
parere analogo a quello precedente. Forte della posizione raggiunta,
Pietro chiese che Percivalle fosse costretto al pagamento delle spese
legali dei consilia. Il suo rifiuto scatenò la richiesta di un ulteriore con-
silium relativo a questo nuovo problema. Il sapiens si mostrò favorevole
a Pietro, che in breve tempo ottenne una sentenza di assoluzione, men-
tre il suo avversario fu costretto con un precetto a sborsare il compen-
so ai tre sapientes convocati 65.
Ci siamo voluti soffermare a lungo su questo processo poiché me-
glio di altri mostra a che punto fosse giunto il processo di normalizza-
zione della giustizia politica nel momento in cui anche gli ultimi lam-
bertazzi stavano uscendo dal bando. Il vero e proprio duello che si
scatena nel tribunale tra due cambiatori ex-lambertazzi sorge è vero da
un’accusa legata alla normativa politica ma assume presto l’aspetto di
un conflitto tra due persone in cui il giudice si presenta e si mantiene
quale terza parte. Pietro, dimostrando una notevole perizia giudiziaria,
costringe il suo accusatore a recedere e utilizza a proprio vantaggio gli
errori di Percivalle: dapprima spingendolo a palesarsi attraverso una
norma popolare che sostiene la forza dell’accusa palese rispetto alla
notifica anonima (forse la scelta più sicura per il figlio di un bandito);
poi, spostando tutta l’attenzione sull’anomalia procedurale della com-
presenza tra accusa e inquisizione, confermata da ben tre sapientes; mai,
però, chiamando in causa il fatto che Percivalle può essere considerato
più lambertazzo di lui.
Il ricorso alla normativa antilambertazza assume quindi l’aspetto di
una scelta sempre meno conveniente. Nel 1299 non è che una delle
4. Conclusioni
66 Il caso non è unico: nel gennaio 1300 venne celebrato un processo che ebbe
uno svolgimento molto simile contro Domenico e Tommasino figli di Giovanni dei
Caccianemici piccoli, registrato come confinato lambertazzo nel Liber del 1277. Dopo
che gli imputati ebbero obiettato, come Pietro, l’insostenibilità della procedura ex offi-
tio in caso di semplice notifica anonima, venne allo scoperto il giurista Bonaccursio di
Viviano Toschi, anch’egli ex lambertazzo (su questo personaggio v. anche Capitolo IX).
Naturalmente i due vennero assolti. ASBo, Giudici, reg. 362, cc. 106-107 e 118r-119v.
67 ASBo, Giudici, reg. 416, cc. 22 e ss.
BOLOGNA 1274-1300
SEQUESTRO E SFRUTTAMENTO DEI BENI
1. Il sequestro condiviso
runt providerunt quod omnes possessiones et ecclesie et hospitalia [sic] et res ablate
et ablata alicui persone collegio vel universitati per aliquam personam collegium uni-
versitatem, clericum vel laycum debeant restitui et libere relaxari usque ad quarta die
cum omnibus fructibus in pena et banno mille librarum bononinorum cuilibet militi
vel filio militis, .Vc. librarum bononinorum cuilibet pediti, et plus et minus ad vo-
luntate domini potestatis, et nichilominus teneatur restituere res aceptas salvo si acep-
ta essent dicta bona alicui de parte lambertaciorum debeant restitui si venerit et
steterit ad mandata domini potestatis et comuni Bononie, alioquin restituantur et per-
veniant ad comune Bononie [...] ».
nes homines qui volunt accipere et tenere domos que sunt circa plateam palatii co-
munis et que fuerunt Principium et Scannabicchorum et cuiuslibet alterius persone
secundum quod continetur in reformatione populi et comunis Bononie vadant coram
domino Hondesanti iudice domini capitanei ». Non è chiaro se in tal modo si inten-
desse promuovere un affitto di tali abitazioni, una semplice vendita a privati, o infi-
ne, come sarebbe avvenuto in seguito, una vendita particolare, destinata alla distru-
zione delle case, limitata quindi al materiale edilizio ricavabile dalla smantellamento,
che non intaccava il diritto di proprietà del comune sul casamentum, il terreno edifi-
cabile. Almeno in un caso, tuttavia, sembra che l’alienazione non si limitò al solo
materiale. Questo tipo di vendita vera e propria – assimilabile al primo « fare mobi-
le » dei beni sequestrati ai ghibellini fiorentini – non sarebbe stata promossa dal
comune bolognese negli anni successivi, ma forse, in questa prima fase, ebbe un
certo ruolo. Un gruppo di sei persone acquistò infatti dal comune che le aveva poste
all’incanto, alcune case-torri intorno alla Piazza Maggiore già appartenenti ai banditi
Folco dei Guarini, Giambuglione dei Lambertazzi, e Guglielmo Boccacci, per un to-
tale di più di duecento lire (il contratto è conservato in ASBo, Memoriali, 26 (An-
thonii de Pollicino), c. XVIII e edito in Gozzadini, Delle Torri, p. 601). Il prezzo
sembra indicare un vero passaggio di proprietà, ma più tardi alcune di queste abita-
zioni si ritrovano negli elenchi di beni sequestrati destinati all’affitto. In particolare la
casatorre di Guglielmo Boccacci appare in ASBo, Beni, vol. VI, c. 33v. Si può dun-
que suppore che subito dopo questa prima fase il comune provvide a cassare le
alienazioni di beni dei banditi che in precedenza erano state contratte.
8 ASBo, Giudici, reg. 3, c. 6v: « Die XIV exeunte martio [...]. Item quod omnes
persone que habent vel tenent ad pensionem vel ad affittum de domibus vel casa-
mentis bannitorum de parte lambertatiorum hinc ad terciam diem coram domino
Hondesanti iudice domini capitanei debeant comparire in banno .xxv. librarum pro
quolibet ».
9 ASBo, Giudici, reg. 3, c. 3v: « Die quarto intrante martio. Item quod omnes
il 1275.
14 ASBo, Riformagioni, vol. I/1, c. 5v.
sui possessi occupati 15. Nel 1271 i banchieri geremei avevano contri-
buito complessivamente per circa 8.000 lire, poco più di un quarto
del totale. Il resto era stato versato da cambiatori in seguito identifi-
cati come lambertazzi. Accogliere la petizione dei cambiatori geremei
innescò quindi un duplice processo per il comune: la riduzione del
debito esistente e l’organizzazione di procedure per sanarlo. Venne
infatti precisato che la notevole quota sborsata dai cambiatori lamber-
tazzi (che ammontava a circa 25.000 lire, più gli interessi) non sareb-
be stata restituita 16. Ma si stabilirono le prime modalità di ammini-
strazione dei terreni sequestrati. In ottemperanza a quanto richiesto, il
comune affermò che i redditi degli appezzamenti confiscati sarebbero
stati consegnati a due importanti cambiatori: Zoene de Pepoli e Bon-
giovanni Zovenzoni 17, i quali li avrebbero a loro volta suddivisi tra
coloro che ne avevano diritto 18.
15 ASBo, Riformagioni, vol. I/1, c. 5v: « Cum multe reformationes populi et co-
essi non avrebbero potuto ricevere nessuna quota già prestata dai lambertazzi, nem-
meno se avessero dimostrato di aver acquisito il titolo di credito. ASBo, Riformagio-
ni, vol. I/1, c. 6r: « [...] Salvo quod nullus predictorum possit vel debeat petere,
recipere vel habere ex vigore dicte reformationis aliquam quantitatem peccunie seu
partem aliquis de parte lambertaciorum comuni Bononie mutuisset, de qua quantitate
seu quantitatibus aliquis de parte ecclesie vel ieremiensium haberet instrumentum vel
sentenciam quoque modo vel titullo factam ».
17 Come si ricava da ASBo, Riformagioni, vol. I/1, cc. 1v-5v, che contiene la
riformagione di rinnovo del debito del 1271 emanata nel 1273, in cui sono elencate
le singole quote dei prestatori del 1271, Zoene aveva contribuito al prestito per più
di 1500 lire (c. 5r), Bongiovanni per quasi 2000 lire (c. 3v). Sull’attività economica di
Zoene del Pepoli v. Giansante, Patrimonio familiare e potere, pp. 25-33. È interessan-
te notare che nel 1270 lo stesso Zoene, assieme al fratello Ugolino (il padre di Ro-
meo Pepoli, futuro « protosignore » di Bologna) prestò al comune di Imola 1000 lire
per allestire l’esercito cittadino, alleato a quello bolognese, contro Venezia.
18 ASBo, Riformagioni, vol. I/1, c. 5v: « [...] Quod furmentum vendi debeat in
kalendis madii cuiuslibet anni ad voluntatem populi et quod predicti reditus et pos-
sesiones et furmentum seu denarium dicti furmenti dentur et deponantur penes do-
minum Çoenem de Pepolis et dominum Boniohannem de Çovençonibus campsores
qui dictos reditus et pensiones et furmentum seu denarium in quindecim dies po-
stquam ad eorum manus pervenerint dare et dividere teneantur pro libris inter pre-
dictos de parte Ieremiensium [...] ».
19 Le tracce di questa « naturale » confluenza sugli estimi sia di coloro che erano
deputati a tassare i lambertazzi rimasti in città, sia di quanti iniziavano a censire i
beni di quanti si erano allontanati il due giugno 1274 o in seguito, appaiono anche
in una riformagione del 1276. Nel luglio di quell’anno il comune provvide a riam-
mettere in città il dominus loci Ubaldino di Loiano, in precedenza bandito come
lambertazzo. Dal provvedimento di riammissione ricaviamo che in occasione del ban-
do il suo estimo era stato separato da quello della moglie, non bandita, ma confina-
ta. I beni di Ubaldino erano stati quindi concessi in affitto, mentre quelli della mo-
glie Bolnixia erano stati stimati al fine di stabilire quanto essa dovesse pagare nelle
collette speciali promosse nel 1274 e 1275. Una volta riammesso in città Ubaldino, il
comune aveva provveduto a riunificare i due estimi, assolvendo a questo punto la
coppia anche dalle collette (ASBo, Riformagioni, vol. I/1, c. 38r). Da operazioni come
questa, che tra 1274 e 1277 dovevano essere tutt’altro che infrequenti visto il flusso
dei rientri, si comprende bene come i dati in possesso del comune sul patrimonio di
un lambertazzo potevano servire al duplice scopo di tassarlo o valutarne il patrimo-
nio da incamerare.
20 Riscontrabile nel precetto, testimoniato per la prima volta nel 1276, di de-
nunziare i beni emanato dal capitano del popolo nei confronti dei ministrales cap-
pellarum.
21 ASBo, Riformagioni, vol. I/1, c. 6v: « Cum hoc sit quod in consillio sexcento-
rum ançianorum et consulum et masse populi Bononie et sex sapientium pro quali-
bet societate reformatum fuerit quod per ançianos et consules elligantur duo sapien-
tes pro quolibet quarterio qui esse deberent cum domino potestate, capitaneo et qua-
tuor sapientibus qui deputati sunt ad defendendum iura comunis Bononie cum duo-
bus ex ancianis et totidem consullibus ad sciendum omnia que facere volunt illis de
prestancia .XXXIIIm. librarum bononinorum et de debito usurario [...] ». Sulla figura
di Hosetxanus v. Castagnini, Il patrimonio di un frate gaudente.
22 La scrittura di questi registri cartacei si ricava da ASBo, Beni, vol. 6, c. 1:
rapido. Dopo il 1276 non troviamo più tracce della necessità di sod-
disfare i creditori geremei 26, mentre si assiste all’avvio di un organico
sistema di sfruttamento da parte del comune. Già nella prima metà
del 1276, i ministrali delle parrocchie dovettero presentare al giudice
del capitano del popolo, che si occupava dei sequestri, elenchi dei
beni dei lambertazzi residenti nelle loro cappelle. Tali beni vennero a
integrare quelli già censiti dai domini octo. Su tutte le proprietà così
individuate, come anche sulle case della città e del contado, il capita-
no del popolo inviò appositi extimatores, che correggessero in base a
nuove misurazioni quelle vecchie, con ogni probabilità tratte da prece-
denti dichiarazioni d’estimo. Il risultato complessivo di questa impo-
nente operazione amministrativa fu la scrittura, completata tra la fine
del 1276 e l’inizio del 1277, di quattro grandi registri, uno per ogni
quartiere della città e del contado 27, che contenevano tutti i possedi-
menti sequestrati.
L’analisi di questi documenti rivela la portata dell’operazione alle-
stita dal comune. Si tratta di grandi elenchi in cui le « poste » relative
ai singoli beni sono in primo luogo ordinate alfabeticamente secondo
il nome del bandito proprietario. I beni (fondi rustici, terreni edifica-
bili, case, in alcuni casi anche debiti, mulini, animali) di ogni bandito
(o di più banditi, nel caso di comproprietà) risultano poi ulteriormen-
te ripartiti secondo la località (parrocchia o località cittadina e comu-
ne del contado). Un opera, dunque, di alta tecnica notarile e contabi-
le, finalizzata a un’inventariazione delle nuove risorse quantomai accu-
rata e precisa 28. Una simile accuratezza nella schedatura delle risorse
cificato che possidet vari beni, elencati separatamente e separati da larghe spaziature,
utili a riportare le correzioni relative alle successive concessioni in affitto o alle deru-
bricazioni, in caso di rientro. Come negli estimi, per le case cittadine è specificata
stato quello della fedeltà alla natura della fonte: un elenco finalizzato allo sfruttamen-
to economico dei beni censiti. Per questo abbiamo preferito schedare interamente il
libro del quartiere relativo ai beni censiti nel quartiere di porta Ravennate, piuttosto
che selezionare alcuni proprietari e censirne le proprietà anche negli altri quartieri.
L’operazione avrebbe consentito di acquisire più dati sul possesso prima della caccia-
ta, ma meno sull’entità complessiva dei sequestri. La scelta è caduta su questo regi-
stro poiché si tratta dell’elenco di beni scritto nel 1277 giunto in forma più completa
fino a noi. Dei registri relativi agli altri tre quartieri ci rimangono frammenti notevol-
mente consistenti, conservati in maniera piuttosto disordinata in ASBo, Beni, voll. 6;
7; b. 8. Fortunatamente ogni registro, secondo una consuetudine piuttosto diffusa,
venne scritto in due copie, cosicché almeno in un caso, quello appunto di porta
Ravennate, siamo in grado di ricostruire, dal confrontro tra le due copie, un intero
registro con pochissime lacune: una copia, meno frammentaria, è conservata in ASBo,
Beni, vol. 6, cc. 1-70; l’altra, più frammentaria, in ASBo, Beni, b. 8, fasc. 9. La
ricostruzione codicologica da noi condotta ha permesso di ricostruire un registro di
88 cc., formato da 11 quaderni di 8 cc. ciascuno. Le lacune sono limitate alle 3 cc.
fronte a Budrio, in teoria pertinente al quartiere di Porta Piera (ASBo, Beni, vol. VI,
c. 15v). In realtà questo mulino non ha una posta autonoma, ma è menzionato nella
posta di una casa di Castellano Andalò. Un altro mulino risulta complessivamente
dalle quattro diverse quote sequestrate a Puccicalvoli, nel basso corso dell’Idice, al-
l’ospedale di ponte sull’Idice. Si tratta di un ente evidentemente appartenente a uno
dei banditi che tuttavia non è specificato, ma risulta possedere anche numerosi ap-
pezzamenti di terra (ASBo, Beni, vol. VI, c. 38v). La restante trentaeseisima parte di
mulino è allibrata a Bittino di Petrone degli Uguccione e risulta collocata sul primo
tratto del Savena, a Castenaso (ASBo, Beni, vol. VI, c. 8v).
ha. 188,52 ha. 1,189,97 ha. 697,8 ha. 179,6 ha. 27,358 ha 289,69
Terreni 110 terreni edificabili terreni edificabili contado
edificabili 32 78
Abitazioni 320 case città case contado
205 115
Crediti 20 tot. debiti in denaro tot. debitiin frumento tot. debiti in animali
1.278. s. 40 22 corbe; 33 coppe 1 cavalla con puledro
Mulini 5 tot. mulini
(quote) 2 + 36a parte
Animali 1 pecore e capre: 50
relativi alla riscossione di affitti di cui non sono specificati né l’oggetto né l’ammon-
tare (ASBo, Beni, vol. VI, c. 22v). Stessa situazione per i crediti di Corrado, conte di
Panico, di Soldaderio di Liano e di Gaiducius da Medicina (ASBo, Beni, vol. VI, cc.
22r; 55r; 66v). Una posta ricorda una cavalla con puledro ceduta in soccida dallo
stesso Gaiducius da Medicina precedentemente alla cacciata, ma in seguito venduta
illegittimamente dal concessionario (ASBo, Beni, vol. VI, c. 31v: « Item reperitur ip-
sum Gaiducium dedisset in soccidam quamdam equam cum pullo Albertino Bonpetri
in pascate resurectionis proxime et ipsum Albertinum vendidisse dictam equam .XL-
VIII. librarum bononinorum depulsa parte a civitate Bononie et predicta reperta fue-
runt per dominum Casalinum et Bonacosa domini Montanarii notarios »).
Tra le restanti sette poste relative a debiti, cinque menzionano quantità di fru-
mento di proprietà di banditi detenute da cittadini non identificati come lambertazzi
(ASBo, Beni, vol. VI, cc. 50r; 55r; 58r; 64r). altre due, crediti in denaro che vedono
come debitori lambertazzi confinati (ASBo, Beni, vol. VI, cc. 50r; 66r).
35 Fanti, Le lottizzazioni e lo sviluppo urbano di Bologna. Pini, L’azienda agraria
nendo all’incirca 9 lire a tornatura, mentre per quelli del contado potevano esigere
20-25 soldi (Pini, L’azienda agraria del monastero di S. Procolo, p. 113). Non posse-
diamo dati sull’estensione dei terreni da costruzione cittadini, ma per quelli del con-
tado la media è di una tornatura. Se il comune avesse deciso di affittare i casamenta
sequestrati allo stesso prezzo, solo nel nostro quartiere si sarebbero potute in teoria
ricavare dunque almeno un paio di centinaia di lire l’anno, per il solo contado.
37 Delle 115 case censite nel contado, ben 43 risultano essere cuppate cioè in
mattoni, una addirittura dotata di torre (Si tratta di una casa posseduta da Castellano
Andalò a Bixano, nell’appennino), 10 sono costruite su terreno sopraelevato. Solo 8
sono esplicitamente indicate come de pallea, e 3 come domunculae.
38 Suddividendo l’area urbana del quartiere di porta Ravennate nelle quattro zone
concentriche scandite dalle successive cerchie murarie, possiamo farci un’idea appros-
simativa della qualità delle abitazioni sequestrate. Nella prima zona, interna alla cer-
chia muraria altomedievale, corrispondente all’area immediatamente a est della piazza
Maggiore, sono censite 35 case (corrispondenti al 19% delle 170 abitazioni urbane di
cui è possibile accertare la parrocchia di appartenenza). Nella seconda zona, posta tra
la prima cerchia e la seconda, troviamo 41 case (23%). Nella terza zona, quella dei
borghi delle strade di San Vitale, Maggiore, Santo Stefano e Castiglione, ma ancora
interna alla cerchia di mura trecentesca, troviamo ben 80 case (45%). Nell’ultima
zona, infine, esterna all’attuale cerchia dei viali, 24 case (13%). Si tratta di dati facil-
mente spiegabili considerando che i molti banditi aristocratici facevano capo a un
numero relativamente basso di lignaggi (domus) residenti nel centro cittadino, mentre
i banditi « borghesi » afferivano a molte più famiglie, meno estese, che abitavano
appunto nei borghi.
39 Delle 32 poste relative esclusivamente a casamenta registrati come tali, seque-
strati in città, solo 6 sono nella zona più centrale, altrettanti nella seconda zona, 20
nella terza. Dalle stesse attestazioni veniamo a sapere che alcuni tra i banditi lamber-
tazzi lucravano sull’affitto dei terreni edificabili. È il caso di Michele Principi, appar-
tenente alla grande famiglia di mercanti aristocratici studiata da Roberto Greci, che
risulta avere 15 lotti nella parrocchia di S. Giuliano (posta nella terza zona, quella
dei burgi). Prima della cacciata, i conduttori, che sul terreno hanno un loro « edifi-
cium », gli versavano 20 soldi l’anno (ASBo, Beni, vol. VI, c. 47v).
pitano del popolo testimoniano come nel corso di questo denso de-
cennio ebbe luogo un censimento continuo. I registri di locazioni per-
mettono invece di farsi un’idea delle modalità con cui i beni dei ban-
diti vennero affittati ai privati, del tipo di contratti che vennero stretti
tra il comune e gli affittuari, dell’identità sociale di quanti affittarono i
beni e dei prezzi di affitto. Assieme ad essi, una particolare tipologia
di registri scarsamente conservata per questa fase, molto più presente
nel periodo successivo, quello dei registri di introiti ricavati dai beni
dei banditi, autorizza alcune ipotesi sulla consistenza economica dello
sfruttamento dei beni sequestrati. Questi due ambiti tematici – consi-
stenza del patrimonio e sistema degli affitti – si tratteranno separata-
mente cominciando dal primo.
relative ad alcuni affitti triennali scritte dalla mano dello stesso notaio che scrisse le
poste. Nei registri di locazioni del 1281 si fa riferimento agli stessi affittuari citati in
queste poste, specificando che il loro termine di affitto è scaduto. L’intestazione, in
parte corrrotta ma ricostruibile dalla formula degli inventari relativi agli altri quartieri
è: « Hoc est ilber possessionum inventarum [per denunciationes datas ministralibus
cappellarum de dicto quarterio porte Ravennatis] »: (ASBo, Beni, VI, cc. 71r).
50 Per un esempio, v. ASBo, Beni, VI, c. 72.
51 I dati sono ricavati dal computo del registro in ASBo, Beni, VI, cc. 71r-86v.
52 Montorsi, Plebiscita Bononiae, p. 263: « Item iuro bona eorum qui sunt baniti
p. 492) stabilisce che chiunque denunci beni dei lambertazzi non censiti dal comune
ne otterrà la quarta parte entro 8 giorni dal capitano del popolo. Sebbene sia datata
al dicembre del 1286 dalle denunce conservate nei registri del capitano del popolo si
ricava che era già in vigore all’inizio degli anni Ottanta.
56 A Milano la ricompensa promessa dal comune era un terzo del valore del
trova un totale, invero piuttosto scarso, di 69 denunce, tra anonime e palesi, presen-
tate alla curia del capitano del popolo. Nella quasi totalità dei casi (62) non è ripor-
tato l’esito finale. Non sappiamo se tale lacuna sia dovuta all’interruzione del proces-
so, oppure, come è più probabile, all’assenza di registrazione regolare delle fasi im-
mediatamente successive alla presentazione della notifica al giudice. Anche se così
fosse, i dati che possediamo costituiscono di per sé un indizio dell’impatto relativa-
mente debole che ebbe l’incentivazione del censimento dei beni.
58 Nel 1281 una notifica anonima segnalò all’ufficio ai beni dei banditi che
61Nel 1283 una denuncia anonima accusò il massaro di Casole sopra Sirano di
Panico. Questi, secondo la notificazione si era appropriato di alcuni possessi seque-
strati. « Vobis domino Manfredino iudice domini capitanei facio manifestum quod
masarius terre casole supra Syranum de Panico accepit possessiones domini Castellani
de Andalo et retinuit per duos annos, quidam non solvit affictum comuni Bononie,
et habuit de dictis affictibus sexagintas quinque libras bononinorum quas fecit de
frumento et de vino dictarum possessionum. Et dictas sexaginta quinque libras reti-
nuit asconsas comuni Bononie ». L’anonimo suggeriva quindi al capitano di procedere
circostanziando ulteriormente le sue accuse: « Unde mittatis pro eo et faciatis quid
habetis facere. Et sciatis quod tempore preteriti capitanei non fuit dictum aliquid sibi
quia denarium expendit » (ASBo, Giudici, reg. 38, c. 9v).
62 ASBo, Giudici, reg. 38, cc. 15v-20r.
63 Statuti di Bologna del 1288, I, pp. 399-413.
64 Montorsi, Plebiscita Bononiae, p. 265.
et frater consanguineus aut alie coniuncte persone, que sint vel fuerint de parte lam-
bertatiorum et habent vel habebunt bona comunia cum dictis bannitis et sunt ad
mandata comunis Bononie et habent, tenent et possident omnia et singula suprascrip-
ta bona, vel partem ipsorum, spectantia ad bannitos supradictos, que tenebatur et
possidebantur per eos vel alios eorum nomine a dicto tempore citra, et fructus et
reditus dictarum possessionum dant dictis bannitis cum quibus guerram faciunt co-
muni Bononie, quod est iniquum et abuminabile Deo et mundo providerunt sapien-
tes predicti quod predicti officiales et iudex possint, teneantur et debeant inquirere
de predictis et quolibet predictorum, et facere fieri divisionem dictorum bonorum
[...] » (Montorsi, Plebiscita Bononiae, p. 292).
67 Su 34 poste dell’elenco relativo al quartiere di porta Ravennate e su due del
suo aggiornamento del 1278 risulta vergata l’annotazione « ante tempore secundorum
rumorum » Con essa, come è possibile dimostrare in base ad alcune note marginali
più circostanziate della stessa mano, si stabiliva di non considerare più la singola
posta come bene pertinente al comune perché già derubricata prima della seconda
cacciata. ASBo, Beni, vol. VI, cc. 2v, 5r; 6r-v; 7v; 11r; 19r e passim.
68 Un petitore nel 1282 chiese che alcuni beni gli fossero restituiti poiché li aveva
69 I dati sono ricavati da ASBo, Giudici. regg. 13; 14; 18; 20; 38; 40; 43; 54; 65;
76; 86; 98; 100. Il numero romano indica il semestre di carica del capitano: 1281, I
indica ad esempio il primo semestre (febbraio-luglio) del 1281.
1281, I 26 22 4 11
1281, II 77 41 36 ? 2
1282, I 24 20 4 24
1283, I 51 20 31 42
1284, II 1 1 0 ?
1286, I 3 1 2 ?
1287, I 20 6 14 19
Totale 202 111 91 96 2
vato in forma integrale per questo periodo, è rovinata): « Consilium populi civitatis
Bononie fecit dominus Bernardinus de Medicis iudex et assessor dicti domini capita-
nei deputatus ad officium bonorum bannitorum rebellium comunis Bononie pro par-
te lambertaciorum in pallatio novo comunis Bononie ad sonum campanee et voce
preconia, ut moris est. Ad quem consilium vocati fuerunt pro precones populi omnes
volentes conduxere ad pensionem seu ad affictum de bonis dictorum bannitorum et
rebellium civitatis Bononie. In quo quidem consilio, in presentia domini Guidonis de
Boateris et domini Iuliani Cambi Gratiadey, iudicum officio procuratorum, dicti do-
mini Guidonis militis predicto offitio, predictus dominus Bernardinus alta et preconia
voce proclamari fecit si in dicto consilio esset aliquis qui vellet conducere ad affic-
tum seu ad pensionem hinc ad duos annos proxime venturos infrascriptam peciam
terre vineate positam in pertinenciis de Sancta Maria Magdalena iuxta stratam de
alcuni dati sono ricavabili dai registri giudiziari del giudice ai beni dei banditi. Ad
esempio in ASBo, Giudici, reg. 18, c. 69r, il massaro del comune di Corvaria chiese
la restituzione di un deposito di 13 lire che aveva dovuto versare per una vigna di
12 tornature, poi attribuita a un petitore e dunque non sfruttabile. Si tratta di un
prezzo superiore all canone d’affitto di un anno.
83 ASBo, Giudici, reg. 68, c. 15v.
84 ASBo, Locazioni, b.1, reg. 1, cc. 4r; 5r; 8r-v; 11v; 12r; 12v; 17r; 19v.
partiva da una base d’asta di 6 soldi e, in virtù dei rilanci che subiva
nel corso dell’incantum, poteva essere maggiorato di uno o due soldi
raggiungendo al massimo una cifra corrispondente a circa un terzo del
prezzo ordinario 88. Nel 1281 il prezzo di partenza per una tornatura
di arativo era stato abbassato a 5 soldi 89. Per le vigne messe all’incan-
to nel 1281 il prezzo di partenza era di 18 soldi all’anno per tornatu-
ra, un prezzo inferiore a quello rinvenibile nei contratti tra privati (3
lire) 90, ma più vicino a quello stabilito per i propri possedimenti dal
monastero di San Procolo (1 o 2 lire, a seconda delle località). Va
peraltro osservato che se, in due terzi dei casi, il prezzo d’affitto ri-
mase quello di partenza, compreso cioè tra i 20 e i 30 soldi, occasio-
nalmente (per alcune vigne già di proprietà di Lambertinus Mulnaroli
Lambertazzi poste a San Ruffillo) raggiunse le cifre di 38, 40 e in un
caso di 50 soldi per tornatura, aumentando quindi di due volte e
mezzo nel corso dell’asta 91. In queste – rare – occasioni l’affitto delle
vigne sequestrate poteva quindi sfiorare il prezzo di mercato, a tutto
vantaggio del comune. Il singolo affitto faceva comunque entrare una
piccola quantità di denaro, che diveniva più consistente solo quando
il comune stabiliva di mettere all’incanto forfettariamente tutti i beni
detenuti da un certo bandito in una data località del contado. Parteci-
pavano a queste aste privati cittadini particolarmente interessati ad al-
largare le proprie possessioni già esistenti, i quali versavano cifre non
indifferenti, che superavano spesso complessivamente, per ogni gruppo
di beni, le 30 lire l’anno, raggiungendo in un caso ben 91 lire, pagate
da Bartolomeo di Bellondino, a quanto sembra un ricco cartolaio 92,
per affittare i beni del bandito Pietro di Bergadano Carbonesi a Ga-
vaseto 93. I terreni che rimanevano sfitti attraverso questi canali ordina-
ri erano imposti in affitto ai massari delle comunità, che si dovevano
poi incaricare di ripartire tra i propri fumanti i lavori di conduzione
dei terreni affittati e pagare l’affitto al comune. Anche in questi casi,
in cui veniva specificato appunto che i responsabili dei comunia terra-
rum affittavano tutti i beni posti nelle loro pertinenza ad eccezione di
beni furono nelle varie occasioni di lire 32, 58, 50, 9, 23, 31, 91, 3, 5.
fraudes que comitebantur super bonis et in bonis bannitorum et rebellium pro parte
lambertatiorum et omnis invidia cesset, et non ignorentur redditus ipsorum bannito-
rum bonorum, qui et quot fuit que perveniant comuni, providerunt quod bona om-
nia et singula dictorum bannitorum que reperiuntur conscripta in libris bonorum
bannitorum de parte lambertatiorum novis, et de quibus non est data sententia per
dominum Pacem et sotios quod extrahantur de comuni, vel de quibus non dabitur
sententia de consiliio dicti domini Pacis et sotiorum quod debeant extrahi de comuni
ex comissione eis facta per consillium populli vel sine consilio ipsorum que reservata
sunt per dominum Pacem et socios, iudici domini capitanei, quas questiones teneatur
dictus dominus iudex expedire infra quindecim dies post publicationem ipsius ordi-
namenti, dividantur particulariter et equaliter pro ut mellius fieri potest per iugera,
sive per tornaturas vel pro redditus, ita quod fiant .VIIIc. brevia que coequari debe-
ant per quarteria, ita quod quolibet quarterio habeant ducenta brevia et dictis brevi-
bus scriptis ponantur dicta brevia in consilio duorum millium et in galletis et vocen-
tur consiliarii dicti consilii pro ut votantur in ellectione offitialium comunis Bononie
quando elliguntur, et quicumque habuerit breve possit sibi retinere possessiones vel
reditus qui vel que continebuntur in dicto breve et alii dare et concedere ad volun-
tatem suam. Et possint et debeant habentes dicta brevia vel hii quibus concedentur,
ut dictum est, rectinere dicta bona vel reddictus per duos annos, incipientes a kalen-
dis Ianuarii proximi venturi in antea [...]. Et habeat lochum in possessionibus que
sunt in districtus Bononie vel in curia civitatis, extra civitatem et burgos, et in hiis
bonis que per sententiam vel consilia Pacis de Pace legum doctoris vel sotiorum
debeant vel debebunt remanere seu describi in dictis libris et locationes facte de
dictis possessionibus ad tempus supradictum kalendis ianuarii in antea sint casse, vane
et nullius valloris et pro cassis et iritis habeant. Predicta autem divisio sive brevia
fieri debeant per duos bonos et legales homines pro quolibet quarterio, inter quos
sint duos camsores vel merchatores, et per unum notarium bonum et legalem pro
quartererio elligendos per ançianos et consules ad scruptinium inter eos. Et salvo
quod iuddex habens breve vel cui concedetur de dictis possessionibus ad brevia te-
natur et debeat reficere conductori qui retinebat dictas possessiones a comuni expen-
sas legitimas pro tota possessione factas in dictis possessionibus, pro melioramento
ipsarum vel pro seminibus vel alia iusta de caussis salvo iure laboratorum ».
così concessi, che l’anno precedente era stata portata da due a quat-
tro anni 97. Non si abolì però la prestazione di fideiussioni: per ogni
assegnatario dei brevi due fideiussori dovettero garantire il pagamento
dell’affitto attraverso un impegno per 100 lire 98.
Complessivamente si trattò quindi di un tentativo di politicizzare il
sistema di concessione dei beni sequestrati affidando la selezione dei
conduttori al più allargato organismo di partecipazione del variegato
panorama consiliare bolognese, il consiglio dei Duemila. Deputato nor-
malmente all’elezione di 1800 ufficiali l’anno tra responsabili delle co-
munità del contado, messi, nunzi, e moltissime altre cariche, era aper-
to non solo alla partecipazione di quel bacino formato dai membri
delle società, ma anche di parte delle famiglie magnatizie e di quote
di cittadinanza socialmente più marginali e non inserite nelle organiz-
zazioni di popolo 99. La distribuzione dall’alto dei beni sequestrati
implicò necessariamente un abbassamento dei canoni d’affitto, quale
incentivo alla creazione di un gruppo di proprietari provvisori più
allargato, che non riuscisse a controllare i terreni finendo per acqui-
sirli in proprietà attraverso vari escamotages. Le motivazioni con cui
la riforma venne emanata facevano riferimento alla necessità di far
cessare i « multa mala et fraudes que comitebantur super bonis et in
bonis bannitorum et rebellium pro parte lambertatiorum », di mettere
fine all’invidia e alla necessità di conoscere con certezza i redditi ri-
cavabili dai beni. Alla luce dei dati che abbiamo messo in rilievo
finora, non sembra troppo azzardato leggere, dietro queste ragioni
generali, quelle procedure « informali » che da una decina d’anni ca-
ratterizzavano l’amministrazione dei beni sequestrati: il sistema di ac-
quisizione dei beni comunali da parte dei petitori capaci di raccoglie-
re testimoni, procuratori e sapientes; il complesso gioco che consenti-
va a una rete di cambiatori, notai e artigiani facoltosi di aggiudicarsi,
non senza una serie di accordi preliminari, i più consistenti tra i beni
posti all’incanto; e infine la relativa facilità con cui eredi e parenti
dei lambertazzi riuscivano a rientrare in possesso di case e terreni. Il
consiglio dei Duemila costituiva infatti pur sempre un organismo a
cui era vietato l’accesso a chiunque fosse stato mai incluso in un
elenco di lambertazzi.
105 L’ordine di grandezza delle entrate comunali si ricava da alcuni registri del
giudice al sindacato conservati per gli anni 1288-1293 (ASBo, Comune, Governo, Cu-
ria del Podestà, Giudice al sindacato, bb. 5-10).
6. Conclusioni
BOLOGNA 1300-1326
LA NUOVA ESCLUSIONE
1 V. Capitolo VI.
2 V. Capitolo VII.
3 Vitale, Il dominio della parte guelfa.
5I bandi del 1300, emanati sotto la podesteria di Fulcieri dei Calboli sono
conservati in copia in ASBo, Elenchi, vol. III. Per il quartiere di porta Stiera sono
riportate 23 menzioni (c. 60v). Per porta Piera i bandi del 1300 sono divisi tra le
varie parrocchie (cc. 67-117) e ammontano complessivamente a 14 menzioni. Non
sono conservati bandi per porta Ravennate e per porta Procola. I Bandi del 1301,
emanati sotto la capitaneria di Goffredeo dei Vergiolesi, sono conservati in copia in
ASBo, Elenchi, vol. III, c. 61r (porta Stiera, 8 menzioni); cc. 67-117 (porta Piera, 20
menzioni); cc. 216 (porta Ravennate, 77 menzioni). Non sono conservati bandi per
porta Procola.
Paragonando, sia sulla base del campione, sia su quella del totale dei quartieri
attestati, il numero di queste menzioni con quelle delle menzioni presenti nel Liber del
1277 si ottiene un risultato simile. Per i quartieri attestati, i banditi che risultano
risiedere nelle cappelle del nostro campione sono 11, pari al 14% dei 77 banditi
censiti nelle stesse parrocchie nel 1277. Sempre per i quartieri attestati, sommando
tutti i banditi del 1300 e quelli del 1301, si ottiene un totale di 142 banditi, pari al
14,2% dei banditi censiti negli stessi quartieri nel 1277. In base a questa rispondenza
è possibile ipotizzare che complessivamente i due bandi del 1300 e del 1301 coinvolse-
ro un numero di banditi pari a circa il 14% di quelli del 1277, cioè 194 banditi.
Sapendo da altre fonti che i lambertazzi ancora obbligati al confino erano circa due-
cento e che i bandi del 1300 e del 1301 furono giustificati attraverso il mancato
pagamento della garanzia pecuniaria (ASBo, Elenchi, vol. III, c. 61r), appare chiara-
mente che tali bandi riguardarono tutti o quasi tutti i duecento confinati.
6 Il primo elemento è dato dal fatto stesso che i confinati subirono il bando, che
mostra come tutti i lambertazzi ancora sottoposti a una limitazione della libertà non
sentì affatto il bisogno di prestare una garanzia. Il secondo elemento è dato dal proe-
mio dei bandi del 1300 che indica come tali bandi vennero emanati dal capitano « de
conscilio suorum iudicum secundum formam provvisionis de hoc loquente de quibu-
sdam actis seu processibus ventilatis coram ipso et sua curiam ». Il bando, dunque,
non non fu come in precedenza una conseguenza automatica dell’infrazione del confi-
no, ma venne emanato attraverso una procedura complessa: i notai deputati alla riscos-
sione delle garanzie presentarono le loro denunce ai giudici del capitano; questi a loro
volta avevano proposero una posta al consiglio degli anziani, e questo emanò una
provvisione con cui si ordinava di bandire i confinati inadempienti.
7 ASBo, Giudici, reg. 417, cc. 1r-2r. Si tratta di un frammento di solo due carte
9 ASBo, Elenchi, vol. III, c. 60v: « In nomine Domini nostri Yhesu Christi amen.
Hec sunt quedam banna data per nobilem et potentem virum dominum Fulcerium de
Calbulo laudabilem capitaneum civitatis et populi Bononie de conscilio suorum iudi-
cum secundum formam provvisionis de hoc loquentis de quibusdam actis seu processi-
bus ventilatis coram ipso et sua curia. Sub examine sapientis et discreti viri domini
Nicholai de Roçanis de Parma, iudice [sic] dicti domini capitanei ad bona bannitorum
pro parte lambertatorum deputati, et scripta per me Benvenutum domini Ferulfi et
nunc ofitialem et scribam dicti domini capitanei, curentibus annis domini millesimo
trecentesimo, inditione tertiadecima.
Nos Fulcerius de Calbulo capitaneus antedictus, cum innicium cuiuscumque pec-
cati dicatur superbia secundum quod sapiens attestatur et reperiatur in iure descrip-
tum, quod parum prodesset humilitas humilibus si contumacia contumacibus non obesset
et isti qui infra sunt scripti suadente humani generis inimico ac etiam iniquitatis et
superbie spiritum assumentes videantur adversus obedientiam errigere cornu suum. Ideo
eos et quemlibet eorum bannimus et in banno ponimus in hac forma ».
10 Vitale, Il dominio della parte guelfa, p. 75.
11 Un primo complotto filoestense ebbe luogo nel 1300 (Ghirardacci, Della histo-
ria di Bologna, pp. 412-413). Un secondo complotto si ebbe nel marzo 1301 (Vitale, Il
dominio della parte guelfa, p. 81). Nel 1302 si provvide a richiamare dal confino e dal
bando i cittadini condannati negli anni precedenti (Ghirardacci, Della historia di Bolo-
gna, pp. 420 e ss). Nel gennaio 1303 si scoprì una nuova congiura per consegnare la
città nelle mani di Azzo VIII (Ghirardacci, Della historia di Bologna, p. 422), e nel
marzo dello stesso anno l’inchiesta che sacaturì da questa scoperta coinvolse molte
altre persone che vennero bandite e confinate (Ghirardacci, Della historia di Bologna,
pp. 423 e ss.).
12 Sono giunte fino a noi alcune sentenze con cui vennero puniti gli autori della
congiura del 1303 e del 1304 copiate dai registri dei podestà di quegli anni in un
quaderno « antologico », con l’indicazione del registro podestraile di provenienza. Que-
sto quaderno è conservato in ASBo, Elenchi, b. X, reg. V (1303-04). Sulla pena capi-
tale cfr. c. 1v (sentenze di condanna di Mathiolus Zanochi de Becchadellis; Minus Benni
de Bechadellis; Philippus qui dic. Lipuus Iohannis de Meçovillanis): « (...) Ideo in banno
tamquam proditores comunis et populi Bononie et subvertatores boni et pacifici status
comunis et populi Bononie et societatum artium eiusdem comunis et populi et pro
gravi mallefitio turbarie et de .X.m libris bononinorum pro quolibet ipsorum, de quo
banno perpetuo exire non possunt cum pace vel sine pace Et quod si aliquo tempori
pervenerint in fortiam comunis et populi Bononie quod ea die vel sequenti trahi et
traxinari debeant per civitatem Bononie ad cauda equitis et postea comburantur in
campo fori ita quod moriantur ». Ma v. anche c. 1v per il caso di confinati non trovati
al confine e banditi con la minaccia di pena capitale, nel caso in cui vengano trovati
in città, e c. 2v per la condanna all’impiccagione.
13 ASBo, Elenchi, b. X, reg. V (1303-04), c. 1: « Contra quos processum fuit
tamquam contra personas qui intendebant et ordinabant et continue ordinare non ces-
sabant, tam in civitate Bononie quam alibi, proditorie et malitiose et per modum pro-
ditionis subvertere presentem bonum statum et pacificum comunis et populi Bononie,
[...] et ipsam civitatem Bononie in servitudine deducere et prodere et tradere et in
fortiam domini marchionis Extensis et alia multa enormia committere et cetera ».
banditi nullatenenti e che, quindi, non sono inclusi nei registri dei beni sequestrati
sembra aggirarsi attorno al 10%. Applicando la stessa percentuale, si ricava che nel
1305 vennero bandite circa 230 persone.
19 Per le famiglie presenti nel nostro campione compaiono gli Andalò, i Carbone-
Come era avvenuto nel 1274 la lista dei confinati venne redatta
dopo quella dei banditi. La minore consistenza del numero dei puniti
rese più celeri le procedure e nel 1308 era già pronta una lista di
lambertazzi condannati al confino in città vicine, redatta da una com-
missione larga in cui, accanto alle istituzioni tradizionali, come il pode-
stà e il capitano, gli anziani e i consoli, comparivano anche cariche di
nuova istituzione come il barisello dei beccai, gli otto capitani di guerra
e alcuni sapienti tra cui Romeo Pepoli. Una commissione, dunque, che
in pratica coincideva con il governo cittadino secondo le stesse linee di
coinvolgimento di tutti i gruppi egemoni nello stesso vertice che avreb-
bero cartterizzato il Consiglio della Parte. Per quanto introdotto da un
mirabolante proemio in cui si faceva riferimento al nefasto proposito
del lambertazzi, rivelato al popolo bolognese affinché potesse provvede-
re a stornarne il pericolo, l’elenco conteneva solo 87 menzioni relative
per lo più a magnati 20. Già dal 1307 si era stabilito nel consiglio del
popolo il divieto per i confinati di allontanarsi dai luoghi di residenza.
Si trattava del primo passo verso un inasprimento della condizione di
confinato, testimoniato dalle delibere che vietarono a chiunque di di-
fendere in tribunale i lambertazzi (anche quelli non banditi) e ai confi-
nati di alienare i loro beni 21.
Pur essendo sottoposti a un regime penale più duro, complessiva-
mente, tra banditi e confinati, i nuovi condannati costituivano un grup-
po molto più piccolo rispetto a quelli dei lambertazzi puniti nel Due-
cento 22. Molto probabilmente tale gruppo non venne ampliato signifi-
cativamente negli anni successivi, anche se vi furono tentativi in tal
senso. Nel 1309 il consiglio del popolo stabilì che dovevano essere con-
siderati banditi tutti coloro che lo erano stati trent’anni prima, nelle
liste del 1287-88; che i processi per mezzo dei quali costoro erano stati
riaccolti andavano annullati così come le cancellazioni; e che l’unica
autorità che da quel momento in poi se ne sarebbe dovuta occupare
sarebbe stato il barisello dei beccai 23. In tal modo, come si vedrà nel
23 ASBo, Riformagioni, vol. IX/3, c. 66v: « Cum hoc sit quod multe fraudes ap-
pareant commisse circha libros bampnitorum seu rebellium partis lambertatiorum co-
munis et populi Bononie, equum sit quod dictis fraudibus debeat obviari et potissime
ad officium domini barixelli spectet providere super talibus fraudibus tollendis et ex-
tirpandis; et per ipsum dominum barixellum et ipsius consilium societatis becchario-
rum deliberatum sit et provisum quod infrascripta eorum deliberatio et provisio pro-
ponatur ad consilium populi, videlicet: quod omnes qui conscripti sunt vel fuerunt
pro bampnitis et rebellibus in libro seu libris factis tempore domini Bertholini de
Madiis olim capitanei populi Bononie scriptis manu dominorum Mathioli de Roncho-
re, Çambonini Orsolini, Lonbardi Raynerii Salaroli, Jacobi de Lastignano, Anthoni de
Policino, Iohannis Guillelmi de Sancto Georgio, Iacobi de Biterno, Guillelmo [sic] de
Canuto, Henrigepti de Feliçiano notarii, vel alterius ipsorum vel alterius notarii vel
scriptoris, sint et esse intelligantur fore et fuisse bampniti et rebelles pro ipsa parte
lambertatiorum, non obstante aliqua cancellatione vel subscriptione facta de nomine
vel nominibus alicuius eorum in aliquo ex dictis libris per quamcumque personam;
que omnes cancellationes censeantur ipso iure nulle esse et fuisse et casse et vane et
quod potuerint et possint impune offendi in persona et rebus; et quod dominus pote-
stas, dominus capitaneus et eorum familie, aliquis officialis comunis Bononie non pos-
sint nec valeant presentialiter vel infuturum non poterint nec valuerint in preteritum
facere aliquem processum contra aliquam personam, collegium, universitatem que in
personas, res, vel bona predictorum quoque modo delinquerunt, delinquerint vel de-
linquissent vel delinquebunt in futurum vel adiutorium vel consilium prestiterant, pre-
stiterunt in preteritum vel prestantur in futurum ad delinquendum in eos modo ali-
quo; et quod per quencumque personam coram domino potestati seu domino capita-
neo et coram quocumque officiali comunis Bononie predicta opponi valeant per
quamcumque personam ita et taliter quod offendens vel qui prestant auxilium vel
consilium nullo modo possit citari, inquietari vel agravari occasione predictorum of-
fensa [lapsus per « ostensa »] scriptura bampni in aliquo dictorum librorum per quamcu-
mque personam prout dictum est.
Et quod omnis processus factus in preterito vel qui fieret in futurum per ipsum
dominum potestatem vel aliquem eorum aliqua ex causis predictis vel occasionum pre-
dictorum sit ipso iure nullus, vanus cassus et nullius valoris atque momenti . Et quod
omnia et singula statuta, ordinamenta, provvisiones contra lambertacios loquentia sint
firma et innovata et observari debeant simpliciter ut eorum lictera iacet, quod si pre-
dicta omnia et singula ita non fuerint observata in totum per quoscunque rectores et
officiales comunis et populi Bononie tam presentes quam futuros ad quos spectarent
executio vel prosecutio ex nunc prout ex tunc priventur et privati esse intelligantur
suis officiis et nichilominus condamnentur in quingentis libris bononinorum eis per
syndacatum auferendis; et quod nullus iudex, advocatus, vel procurator vel aliqua alia
persona ecclesiastica vel secularis et cuiuscumque conditionis et status existat audet vel
presumat contra presentem provvisionem, reformationem vel aliquam aliam quem ip-
sam corroboratur aliquid dicere, proponere vel alegare palam vel caute vel in favore
predictorum venire pena et bampno cuilibet iudici et advocato vel procuratori quin-
gentarum librarum bononinorum et totidem cuilibet alteri singulari persone eisdem
auferendarum per dominum potestatem presentem vel qui pro tempore fuerit infra
tertiam diem postquam eidem vel sue familie aliquid fuerit, aliquem contra predicta
venisse, quod si non fecerit incidat in supradictas penas eidem per syndacatores tem-
pore sindacati auferendas et predictam reformationem vel provisionem teneatur et de-
beat executioni mandare contra supradictos superius nominatos qui in aliqua parte
ipsius contrafaceret dominus barixellus una cum ministralibus illarum duarum sotieta-
tum que sunt vel pro tempore fuerint ad conservationem Ordinamentorum Sacratorum
sub pena domino barixello predicta non observanti trecentarum librarum bononinorum
et cuilibet ministralium centum librararum pro qualibet vice, eisdem aufferenda per
dominum capitaneum infra tertiam diem postquam predicta fuerint manifesta non ob-
stante et cetera ».
24 ASBo, Riformagioni, vol. IX/3, c. 70r.
nati, non lambertazzi, del febbraio del 1306 25. Già cinque giorni dopo
si tornò su questa decisione. L’estensione del gruppo potenzialmente
imponibile, si affermò, avrebbe potuto arrecare danno alla parte della
Chiesa, includendo tra i nemici molti « uomini del popolo ». Si decretò
pertanto che il capitano del popolo, gli anziani e consoli, il difensore
delle venti società (una nuova carica istituita nei primi anni del Trecen-
to), il preconsole dei notai, nonché i sapientes Romeo Pepoli e France-
sco de Roti avrebbero eletto 10 uomini per quartiere deputati a redige-
re nuovi elenchi di lambertazzi, soprattutto magnati 26.
Un simile lavoro si dimostrò delicatissimo. La complessa trasforma-
zione subita nel corso degli anni dalle parti bolognesi metteva in risalto
sin dall’inizio una serie di problemi: chi erano i lambertazzi da include-
re negli elenchi fiscali? In tali elenchi sarebbero confluiti anche quanti
nel corso del tempo erano stati assolti? I bianchi che si erano ribellati
nel febbraio 1306 andavano omologati nella lista ai lambertazzi? Di
questi aspetti si discusse in molte riunioni del consiglio del popolo: la
redazione di una nuova lista di lambertazzi tassabili, già pronta alla fine
del gennaio 1307, sollevò numerose proteste. Il 13 febbraio si accolse
una petizione in cui si sosteneva che le nuove liste contenevano moltis-
simi nomi di geremei, e che dunque le stesse autorità che avevano
nominato i quaranta sapienti addetti al censimento dovessero tornare
sul proprio lavoro ed eliminare queste ingiustizie 27. Ma neanche questa
revisione bastò e in aprile vennero richiamati dai confini altri geremei
che erano stati coinvolti nella nuova proscrizione. In novembre, quando
era stata imposta una nuova colletta speciale, sorsero nuove lamentele
in merito al lavoro che avevano condotto i quattro impositores che in
ogni quartiere avevano selezionato i tassabili. Si disse che costoro, scelti
tra i lambertazzi affinché potessero selezionare i loro compagni di par-
tito, avevano agito spinti dall’odio nei confronti dei geremei, includen-
do persone non lambertazze e derubricando dalle liste già preparate i
loro parenti e amici 28. Per sanare questa situazione che contribuiva a
creare discordia nella parte dei geremei, si decise di procedere così: gli
anziani, i consoli ed alcuni sapienti avrebbero esaminato le liste fiscali,
al fine di isolare i nomi di quanti fossero sembrati totalmente estranei
alla parte lambertazza; avrebbero quindi portato questi nomi nel consi-
glio del popolo, dove sarebbero stati sottoposti a votazione e derubri-
cati a maggioranza dagli elenchi di tassati lambertazzi. Dal 1 dicembre
sono attestate queste votazioni 29.
Il 1308 si aprì con nuove votazioni nel consiglio del popolo finaliz-
zate a cancellare alcune persone dagli elenchi dei lambertazzi e con
l’accoglimento di petizioni presentate da individui inclusi nelle liste che
affermavano di essere sempre stati geremei 30. Ciononostante venne scel-
ta una linea « dura », stabilendo che il criterio di iscrizione alle collette
speciali sarebbe stato quello dell’inclusione in una qualsiasi delle liste di
lambertazzi 31. Secondo questa visione estensiva si provvide alla redazio-
ne di un voluminoso elenco, terminato appunto nel 1308 32.
Questa lista presentava caratteristiche del tutto nuove: non si trat-
tava di un elenco ordinato, ma di una grande centone diviso per quar-
tiere, in cui erano stati ricopiati sotto intitolazioni, che facevano riferi-
mento alla lista originale, tutti gli elenchi di lambertazzi prodotti fino
a quel momento e disponibili nell’archivio del comune: da quelli rela-
tivi alle collette e alle assignationes equorum del 1274 fino agli ultimi
bandi emanati nel 1301 e 1302, passando per gli elenchi di condanna
generali, come quelli del 1277 o del 1287, ma anche per le liste di
assolti prodotte negli anni Ottanta del Duecento. La scarsa familiarità
dei notai che scrissero questo grande « elenco degli elenchi » con il
materiale che avevano a disposizione è dimostrata dal fatto che essi
copiarono spesso due volte la stessa lista, probabilmente perché ne
trovarono due copie differenti; nonché dalla diversità dei criteri con
cui i nomi vennero ordinati nei differenti quartieri, talvolta per lista di
origine, talvolta per cappella, accorpando i nomi tratti da liste diffe-
renti. Gli stessi segnali di una perdita di confidenza con le procedure
duecentesche si ritrovano, del resto, nelle copie Tre-Quattrocentesche
delle liste fiorentine del 1268-69, come il Libro del chiodo e i registri a
questo apparentati.
Questo nuovo elenco del 1308, benché radunasse in forma leggibile
le sparse membra del censimento dei lambertazzi, non forniva di per sé
criteri per stabilire chi effettivamente doveva essere tassato. Inoltre, rac-
cogliendo nomi censiti trenta-quarant’anni prima, costituiva soprattutto
33 La lista ci è giunta in copia in un elenco del 1310 su cui si riferirà più oltre
(ASBo, Elenchi, vol. I, c. 82r). La intitolazione è: « Sub hoc titullo continentur nomina
filiorum et desendentium per lineam masculinam tam legitimorum quam naturalium
omnium et syngullorum de supradicta capella et tam abrasorum quam cançellatorum
ex inquisitione facta per quarteria et capellas per dominum Jacobum de Raminghis
barixellum et socios suprascriptos ad hoc per comune Bononie deputatos vigore ar-
bitrii et baylie eis concesse secundum formam reformationis conscilii populli super
hoc facte ».
Cfr. anche ASBo, Elenchi, vol. II, c. 100r: « Infrascripti sunt qui creati fuerunt
lambertacii per Iulianum de Raminghis barixellum populi Bononie secundum formam
reformationis de hoc loquentis scripta manu Bonifacii de Goçadinis sive Comacii do-
mini Alberti notarii ancianorum et consulum mensis aprelis millesimi trecentesimi octa-
vi, indictione sexta, qui ligati e[t] adiunti sunt in libro lambertaciorum facti tempore
domini Bertholini de Madiis capitanei populi Bononie [1287. Secondo semestre] scripto
per Naximbenem Marchixiii Restani notarii domini barixelli ».
34 Il suo nome si trova in questa lista di discendenti (ASBo, Elenchi, vol. I, c.
50r) e anche in un estimo di lambertazzi del 1307 (ASBo, Comune, Disco dell’Orso,
reg. 6, c. 15r).
quest’anno è conservato in una capia per il solo quartiere di porta Procola in ASBo,
Comune, Disco dell’Orso, reg. 7, cc. 27 e ss. Esso riporta 405 poste di estimati. Nello
stesso registro sono conservati frammentariamente altri estimi e collette bandite nei
confronti dei lambertazzi nel 1307 e nel 1315.
43 ASBo, Riformagioni, vol. VIIII/3, c. 96r.
barisello la compilazione di queste liste sono in ASBo, Riformagioni, vol. X/2, c. 35r.
48 ASBo, Riformagioni, vol. X/2, c. 102v. Il provvedimento è attuato contro Barto-
interdetti di una colletta di 6.000 lire (1311). ASBo, Riformagioni, vol. X/4, c. 258:
imposizione di una colletta ai lambertazzi (1312); ASBo, Riformagioni, vol. XI/1, c. 3r
(1314) proposta di una colletta per i lambertazzi con cui si possano pagare i 1300
fiorini dovuti a Roberto d’Angiò; ASBo, Riformagioni, vol. XI/2, c. 7. (1314) colletta
di 2.000 lire imposta ai lambertazzi.
50 Nell’ottobre del 1312 si decretò di rinvenire il denaro per pagare gli stipendiari
inviati in Tuscia, ma nel febbraio successivo i soldi non erano stati ancora reperiti
(ASBo, Riformagioni, vol. X/4, cc. 188 e 266).
51 ASBo, Riformagioni, vol. X/5, c. 303 (1313) dove si conferisce al barisello e al
preconsole dei notai la possibilità di proporre in consiglio del popolo norme contro i
lambertazzi. ASBo, Riformagioni, vol. X/5, c. 328 dove si vieta ai lambertazzi di parte-
cipare alle riunioni del consiglio del Duemila.
52 ASBo, Riformagioni, vol. X/5, c. 330r in cui si fa riferimento alla necessità di
63 ASBo, Riformagioni, vol. XII/4, c. 212 (1319) viene richiesta altra pergamena
per rifare i libri di lambertazzi, dal momento che tali libri comprendono venti volumi-
na, cinque per quartiere. Nella stessa carta si stabiliscono nuovi privilegi.
64 Gli scontri del gennaio videro opporsi sul fronte scacchese, oltre ai Pepoli, gli
Albiroli, e sul fronte opposto un gruppo di grandi magnati geremei uniti dall’antica
tradizione (Beccadelli, Galluzzi, Rodaldi).
65 Si riconfermò al capitano del popolo la sola competenza sui confinati
66 ASBo, Provvigioni, vol. IV, c. 139. Un elenco di banditi scacchesi è conservato
Con l’esclusione del 1306, assieme alla ripresa del censimento dei
lambertazzi, vi fu il tentativo di rimettere in vigore, attraverso alcune
delibere del consiglio del popolo, le regole che avevano fondato la giu-
stizia politica geremea. L’esperienza delle condanne contro i « marchesa-
ni » emanate al principio del secolo, tuttavia, suggeriva al nuovo regime
di adottare una linea nettamente più dura rispetto a quanto era avve-
nuto nel Duecento. Così, da un lato, si cercò di promuovere nella
curia del capitano del popolo tutte quelle operazioni che consentivano
di presentare la nuova esclusione come una ripresa di quella interrottasi
nel 1299 (ricerche dei confinati, inquisizioni generali contro i lamber-
tazzi, sollecitazione di accuse e denunce); dall’altro, si adottò il formu-
lario che era stato utilizzato nelle sentenze politiche prodotte durante il
regime bianco, che, prevendendo la pena di morte e riferendosi a un
gravissimo tradimento perpetrato nei confronti del comune, apparivano
nettamente diverse da quella giustizia a maglie larghe emanata nel tri-
bunale del capitano del popolo 70.
Mentre nel tribunale capitaneale si riorganizzavano le ricerche dei
nuovi confinati 71 e le domande delle inquisizioni generali venivano fo-
calizzate nuovamente sui lambertazzi 72, le balìe di recente istituzione
proponevano e facevano approvare dal consiglio del popolo princìpi
giurisdizionali inediti, come il conferimento al podestà dell’arbitrio di
procedere nei crimini commessi dai lambertazzi, scritti o meno nelle
liste contro i geremei, istruendo inquisizioni, processi « sine solempnita-
te », cioè al di fuori delle procedure ordinarie, comminando multe, pene,
confini e bandi. Nella stessa occasione si stabilì che sarebbe stato puni-
to con una multa di 1000 lire chiunque avesse osato difendere un lam-
bertazzo in tribunale 73. In questo modo si cercava di affermare in ma-
niera forte il principio secondo cui, nel perseguimento della giustizia
criminale, occorreva tenere nel debito conto lo status politico-giuridico
dei cittadini, colpendo più duramente gli imputati dei quali si fosse
dimostrata l’appartenenza alla pars lambertaciorum. Non solo si rendeva
70
È bene ricordare che tali condanne erano state emesse dalla curia del podestà.
71
ASBo, Giudici, reg. 452 (II semestre del 1306). Nuove ricerche dei confinati
sono attestate in ASBo, Giudici, reg. 460.
72 ASBo, Giudici, reg. 472.
73 ASBo, Riformagioni, vol VIII/3, c. 75r.
74 Sul ruolo dei consilia sapientium nella giustizia civile amministrata dal giudice ai
beni dei banditi v. cap. 5.3. Le petizione del 1308 sono conservate in ASBo, Giudici,
reg. 477, cc. 11 e ss. e ASBo, Giudici, reg. 478, cc. 25 e ss.
75 ASBo, Giudici, reg. 492, c. 1r. e ASBo, Giudici, reg. 495 (I semestre del 1307).
76 Su questa figura sta svolgendo una ricerca Antonio Ivan Pini. Per il suo impe-
in una balia deputata a decidere sulla guerra con i ghibellini romagnoli l’11 marzo
1308); c. 227r (il barixellus chiede al comune l’uso di una casa e la concessione di 200
lire per spese di rappresentanza in occasione dell’arrivo della figlia di Carlo II d’Angiò
a Bologna).
78 ASBo, Riformagioni, vol. VIIII/3, c. 70r.
richiesta del suo giudice ai beni, affermò che per il momento i nuovi
banditi venuti ad mandata comunis dovevano comunque lasciare i loro
beni alle cure dei privati e di quanti li avevano ancora in affitto 91, ma
non sembra che tale decisione abbia avuto esito.
Con la nuova esclusione del 1306 si tentò di riorganizzare in tempi
brevi il censimento e lo sfruttamento dei beni dei banditi « bianchi » e
lambertazzi. Procedendo anche in questo campo sulla scia di quanto
era avvenuto alla fine degli anni Settanta del Duecento, i massari delle
comunità del contado e i privati cittadini furono sollecitati a denuncia-
re terre e case dei banditi. Come allora, massari e privati avrebbero
avuto diritto a un terzo dei beni denunciati, e i loro nomi sarebbero
stati tenuti segreti 92. Tra la fine del 1306 e l’inizio dell’anno successivo
tali denunce vennero raccolte in appositi registri, sempre ad opera dei
giudici e dei notai del capitano del popolo 93, a cui nel gennaio il con-
siglio del popolo aveva rinnovato la competenza sui beni dei lambertaz-
zi 94. Nelle intenzioni si volle promuovere un censimento dei beni anco-
ra più analitico di quanto era avvenuto in passato, e i beni denunciati
vennero distinti in mobili e immobili 95. Contemporaneamente alle nuo-
ve denunce dei beni giunsero nuove accuse e notifiche relative alla
detenzione illecita e dannosa per gli interessi del comune dei beni se-
questrati. Come nel 1274 e nel 1279, nel corso del conflitto civile vi
erano stati fenomeni di accaparramento 96.
I beni del nuovo sequestro furono dapprincipio sfruttati attraverso
il sistema della divisione in lotti, condotta dall’ufficio ai beni dei bandi-
ti e della concessione biennale ai privati interessati e ai massari delle
comunità del contado 97. Vi furono però difficoltà nella riscossione degli
affitti 98. Le case in città furono vendute all’incanto con il vincolo che
fossero immediatamente distrutte, ma anche su questo sorsero problemi
poiché i cittadini che le comprarono non procedettero alla distruzione,
delle comunità del contado nel quartiere di porta Procola); reg. 463 (stessa cosa per
porta Stiera); reg. 464 (porta Ravennate).
94 ASBo, Riformagioni, reg. VIII/3, c. 81.
95 ASBo, Giudici, reg. 465 (beni immobili); reg. 466 (beni mobili).
96 ASBo, Giudici, reg. 466, c. 1r (febbraio 1307).
97 ASBo, Giudici, reg. 467 (affitti ai massari); ASBo, Giudici, reg. 468 (affitti ai
privati cittadini).
98 ASBo, Giudici, reg. 470, cc. 1r e ss.
99 ASBo, Giudici, reg. 469. Per i precetti del capitano sulla mancata distruzione
502 (inventario dei beni da mettere all’incanto nel consiglio del popolo), e 503 (inven-
tario dei beni in possesso dei geremei).
silio populi de possessionibus quod super bonis bannitorum et rebellium comunis Bo-
nonie inter milites comunis Bononie dividendis vel in consilio populi Bononie incan-
tandis et locandis ut moris est remaneret in provvixione domini capitanei, ançianorum
et consulum presentis, et sapientum quos secum habere voluerunt et quecquid per
ipsos providerentur reducentur ad consilium populi et secundum voluntatem consilii
populi procedatur, et super predictis, congregatis dominis capitaneo, ançianis et consu-
libus et sapientibus ab eis electis, providetur quod dicta sapientium qui consulerunt
super predictis legantur in consilio populi; quorum sapientum dicta sunt hec ».
107 ASBo, Riformagioni, reg. IX/5, c. 265v: « Dominus Arardus de Victis con-
suluit quod de bonis bannitorum providatur yndempnitati illorum qui fuerunt banni-
ti condempnati vel confinati tempore illorum receptionis civitatis et duret dicta prov-
visio toto tempore quo civitas Bononie erit sine guerra. Et si contingat civitatem
habere guerram tunc dicta bona remaneant in comuni Bononie, et quod de dictis
bonis fiant libri et intitulentur quod sunt bona et possessiones partis zeremiensium
civitatis Bononie ».
108 ASBo, Riformagioni, reg. IX/5, c. 265v: « Dominus Deolinus de Bataglucis con-
suluit quod dicta bona locentur comunibus terrarum scilicet cuilibet comuni illa que
sunt in curia sua pro eo quod tassata sunt secundum formam statutorum et bona que
sunt in guardia civitatis incantentur et locentur in consilio populi plus offerenti ».
109 ASBo, Riformagioni, reg. IX/5, c. 265v: « Dominus Martinus Vernaça nota-
rius consuluit quod dicta bona dividantur inter milites comunis Bononie equis por-
tionibus eundo ad brevia inter ipsos milites et quis habuerit breve possit se ipsum
eligere vel alium de militibus quem voluerit et dentur talis militibus ad terminem
decem annorum et quod per iudicem domini capitanei fiat inquisitio de valore dicto-
rum bonorum et quod laboratores dictorum bonorum teneantur de fructibus refun-
dere dictis militibus facta dicta divisione et ipsis possessoribus bene et diligenter
facere laborari. Salvo afficto dominorum Bassiani de Mediolano et Petri de Eugubio
iudicum et dentur de dictis bonis cuilibet militi tantum quod valeat mille libris bo-
noninorum pro una parte ».
avvenuto 111. Dopo una discussione non priva di interesse, in cui si era-
no visti progetti innovativi per risolvere il problema dell’affitto dei beni
sequestrati, si tornava esattamente al punto di partenza.
Lambertazzi e geremei continuarono così a presentare petizioni al
consiglio del popolo per riacquisire i beni sequestrati, e nella maggior
parte dei casi ci riuscirono 112. La risorsa dei sequestri non costituiva
più un cespite di entrate rilevante per le finanze comunali, che conta-
vano sempre di più sui prestiti di Romeo Pepoli. Nel 1311 fu concesso
l’arbitrio di provvedere alla salvaguardia del comune a una balìa specia-
le di diciassette sapienti da lui presieduta. Tra le prime decisioni vi fu
quella di non accogliere più alcuna petizione relativa ai beni dei lam-
bertazzi, dal momento che moltissime frodi erano state compiute al
riguardo, di assolvere il capitano del popolo dal capitolo del suo giura-
mento relativo al recupero dei beni dei banditi, e di dichiarare nulle
tutte le « restituzioni » 113. Ma anche questa volta la decisione sollevò
reazioni di protesta e nel luglio si dovette recedere, stabilendo in un
primo momento che sarebbero state accolte solo petizioni volte a riot-
tenere beni sequestrati ai banditi non lambertazzi 114.
Vista la comprovata incapacità di pervenire a una soluzione nel qua-
dro del sistema tradizionali di sfruttamento, che lasciava aperti vasti
spazi alle restituzioni, nel dicembre del 1311 si cambiò completamente
politica: rispondendo a una petizione di un gruppo di geremei che si
lamentava di non disporre più delle proprie sostanze in seguito ai dan-
ni sofferti durante quella che veniva menzionata come la « tirannia di
Bonincontro dagli Spedali », e cioè il regime « bianco » degli anni 1303-
1306, si decise di cedere ai petitori l’intero patrimonio sequestrato 115.
Per la prima volta a Bologna si gestì il sequestro secondo la prassi del
mendum, risarcendo i danneggiati a ben sei annni dal torto patito, come
aveva proposto l’anno precedente Arardo dei Ricci, ma senza le limita-
zioni e i correttivi che da questo sapiente erano stati suggeriti. I petito-
110 ASBo, Riformagioni, reg. IX/5, c. 265v: « Dominus Thomas de Riccis consuluit
quod dicta bona incantentur et locentur in consilio populi per iudicem domini capita-
nei plus offerenti ut moris est ».
111 ASBo, Riformagioni, reg. IX/5, c. 266v.
112 Per alcuni esempi della restituzione dei beni in questi anni v. ASBo, Giudici,
reg. 518.
113 ASBo, Riformagioni, reg. X/1, cc. 35 e 41.
114 ASBo, Riformagioni, reg. X/1, c. 65.
115 ASBo, Riformagioni, reg. X/2, cc. 122v e ss.
116 È giunto fino a noi anche l’estimo sulla base del quale si procedette alla divi-
sione, conservato in ASBo, Beni, vol. VI, cc. cc. 143-148: « In Christi et beate Marie
virginis gloriose matris eius amen. Hoc est extimum et quantitates extimi ac eciam
nomina ipsorum extimatorum quibus concessi sunt et fuerunt per comune et populum
Bononie bona omnia et singula bannitorum rebellium et inhobedientum comunis et
populi Bononie, secundum formam reformationis conscilii populi Bononie scripta manu
Gerardi Guidonis Bontalenti notarii tunc anzianorum et consullum populi Bononie.
Sub annis domini Millesimo trecentesimo duodecimo.
Indicione decima ».
117 ASBo, Riformagioni, reg. X/5, c. 324.
118 La cifra è ricavabile da due registri di introiti dei beni dei banditi conservati
5. Conclusioni
L’ESCLUSIONE NORMALIZZATA
LA GENERAZIONE DEL 1260
2 V. Capitolo I.
3 Petralia, « Stato » e « moderno » in Italia, pp. 38-39.
4 ASFi, Capitani di parte, Numeri rossi, 20, pp. 81-135 e 1-77 (Il Libro del chiodo,
6 ASFi, Capitani di parte, Numeri rossi, 20, pp. 1-77(Il Libro del chiodo, pp. 3-
167). Per una panoramica sulle scritture giudiziarie nei comuni italiani di quest’epoca
v. Kantorowicz, Albertus Gandinus; e Torelli, Studi e Ricerche di Diplomatica comunale.
7 Solo in un caso il notaio sottoscrittore risulta un fiorentino che afferma di aver
copiato il testo da un quaternus di otto carte: ASFi, Capitani di parte, Numeri rossi,
20, p. 12 (Il Libro del chiodo, p. 33). È probabile che il quaternus citato fosse una
copia d’ufficio, che i compilatori del chiodo unirono al corpus formato dalle sentenze
originali da essi rinvenute.
8 ASFi, Capitani di parte, Numeri rossi, 20, p. 93 (Il Libro del chiodo, p. 192):
« Hii sunt ghibellini rebelles exbampniti sacre regie maiestatis et communis Florentie ».
Ma su questo si veda anche il Giuramento di Sottomissione dei ghibellini pubblicato in
Del Lungo, Una vendetta, cit., pp. 396-397.
9 ASFi, Capitani di parte, Numeri rossi, 20, p. 1 (Il Libro del chiodo, p. 3).
10 Il dato fu rilevato in polemica con la letteratura precedente in Barbadoro, La
condanna di Dante, pp. 5-74.
11 ASFi, Capitani di parte, Numeri rossi, 20, pp. 1-2 (Il Libro del chiodo, cit.
pp. 4-8).
tamente precedente – gli anni dal 1299 al 1301, così vivamente illumi-
nati dalla cronaca di Dino Compagni –, essi appaiono come il punto di
arrivo di un conflitto fatto sì di scontri armati, vendette e omicidi, ma
anche e soprattutto di ordinamenti, processi, brogli elettorali e « finte
leggi »: un conflitto, insomma che aveva manifestato il suo carattere
distintivo proprio nella compresenza – solo apparentemente contraddit-
toria – tra forte inquadramento legalistico e tentativi di strumentalizza-
zione della giustizia.
La forte tensione accumulata nel corso dei primissimi anni del se-
colo, del resto, aveva certamente condotto i priori bianchi ad agire
secondo procedure che si prestavano bene a costituire la pezza d’ap-
poggio per accuse di « baratteria ». È, a esempio, noto che nella lotta
tra bianchi e neri ebbe una grande importanza la rissa del Calendimag-
gio 1300, in seguito alla quale furono emesse gravi condanne pecuniarie
contro chi aveva partecipato agli scontri. Il podestà che emise quelle
condanne fu accusato in sindacato di non aver valutato approfondita-
mente le aggravanti politiche che l’uccisione di alcuni neri avevano com-
portato, e costretto a pagare di sua tasca la differenza tra la multa da
lui effettivamente comminata e quella, più gravosa, che secondo gli uf-
ficiali al sindacato avrebbe dovuto comminare 12. Durante il periodo della
loro egemonia, i bianchi, oltre a presentare accuse di baratteria, relati-
vamente facili da dimostrare in un momento conflittuale che lasciava
poco spazio a posizioni neutraliste, avevano in numerose occasioni col-
to la possibilità di denunciare i loro nemici per « tradimento della cit-
tà », un crimine previsto dagli ordinamenti di Giustizia. Già all’inizio
degli scontri, Simone Gherardi e Noffo Quintavalle, due neri, vennero
multati per 2000 lire ciascuno, in base all’accusa di aver tramato contro
Firenze in accordo con Bonifacio VIII 13. E così, più tardi, l’assemblea
segreta « di Santa Trinita », convocata dai neri, scatenò, in seguito a
pressioni dei bianchi, un’inquisizione, che si concluse con la commina-
zione di una multa di 20.000 lire a Simone dei Bardi per tradimento 14.
Anche nel Libro del Chiodo alle condanne emesse dall’ufficio addet-
to alle baratterie si alternano quelle promulgate dai vari giudici che si
co dei Pazzi già condannato per 5200 lire dal podestà e per 2000 lire dal capitano,
per il quale venne in seguito stabilita una pena superiore alle 8000 lire, che dovette
appunto versare il podestà uscente.
13 Davidsohn, Storia di Firenze, III, p. 141.
14 Compagni, Cronica, pp. 56-57.
una serie di strategie più indirette per agire contro i nemici interni. In questa chiave
va letta per esempio la redazione di un finto contratto stretto tra la parte bianca e il
cavaliere Pierre Ferrand d’Alvernia, in cui si concedeva al francese Prato e alcuni ca-
stelli, in cambio dell’appoggio alla distruzione della parte che dominava a Firenze (Da-
vidsohn, Storia di Firenze, III, pp. 288-289).
18 ASFi, Capitani di parte, Numeri rossi, 20, pp. 15-19 (Il Libro del chiodo,
pp. 40-52).
19 Davidsohn, Storia di Firenze, III, pp. 293-294.
20 Istorie pistoresi, p. 35. È significativo che, come ha rilevato Girolamo Arnaldi
(Arnaldi, Dino Compagni, pp. 54-55), nella parte finale dalla sua Cronica Dino Compa-
gni specifichi che le morti violente – e, a suo modo di vedere, provvidenziali – di
« cinque crudeli cittadini » responsabili delle discordie fiorentine siano avvenute nella
zona del Campo di Fiore « dove la giustizia si fa e punisconsi i malifattori di mala
morte » (Compagni, Cronica, p. 196).
25Compagni, Cronica, p. 109: « (...) e molti altri che furno più di uomini DC, i
quali andarono stentando per lo mondo, chi qua e chi là ».
26 Henrici VII Constitutiones, pp. 325-331. Soltanto trattando di Como i legati
imperiali specificano che i rettori della città esppressero la speranza che « messirs
[l’imperatore] gardera les drois et les privileges, les chastiaus et les terres du con-
mun de Come, et especialment la partie de Vicane, et en l’estat ou il sont mainte-
nant » (p. 328).
27 Henrici VII Constitutiones, p. 408.
sovrano, come introito delle confische, 2821 lire, pari a circa 2000 fio-
rini imperiali 34.
La ritorsione imperiale cominciò, dunque, colpendo le partes che
all’interno dei comuni infrangevano la pace. Ma presto divenne una
vera e propria lotta contro quegli schieramenti che tradizionalmente si
definivano antiimperiali. Nel maggio 1311, in occasione della ribellio-
ne di Cremona, Enrico condannò settanta cremonesi, Guido della Torre
e i suoi familiari al bando per lesa maestà, sequestrandone i beni.
Facendo le dovute proprorzioni, è possibile affermare che, usando come
arma contro i suoi nemici il richiamo al delitto politico per eccellen-
za, Enrico VII fece sua la tecnica impiegata dai regimi cittadini e che
aveva cercato di eradicare, con la cancellazione dei bandi, pochi mesi
prima. Nella costituzione relativa a questi fatti l’imperatore elencò i
banditi secondo i quattro quartieri cittadini di residenza, riprendendo
anche nella forma, gli elenchi di banditi di cui aveva decretato la
distruzione 35.
Questo mutamento di rotta nella politica imperiale provocò una re-
azione. Tra novembre e dicembre 1311, Firenze promosse una vasta
alleanza antiimperiale a cui aderirono Bologna, Lucca, Siena, Guido della
Torre con gli esuli di Milano e Cremona, nonché Giberto da Correggio
signore di Parma e Reggio 36. L’imperatore reagì citando Firenze; poi,
trascorso un mese, paragonando i fiorentini a « superbi figli di Lucife-
ro », decretò la fine di ogni diritto all’autogoverno, reclamò il contado
fiorentino e impose una pena pecuniaria di cinquemila lire auree. Nel
gennaio 1312 stabilì inoltre che chiunque avesse avuto un debito con
un fiorentino potesse considerarasi assolto; e che chi avesse catturato e
consegnato cittadini di Firenze, avrebbe avuto in premio i beni del
co VII non fosse morto o si fosse raggiunta la pace in Lombardia. Bowsky, Henry VII
in Italy, pp. 142-143.
37 Bowsky, Henry VII in Italy, p. 148. Per la lista degli eccettuati, ASFi, Capitani
di parte, Numeri rossi, 20, pp. 137-146 (Il Libro del chiodo, pp. 285-309).
38 Sebbene la maggior parte delle sentenze fosse stata motivata in base alla re-
bellio nei confronti del comune e della parte guelfa, in questa occasione vennero
graziati « omnes et singuli vere guelfi, mares et femine tam populares quam magna-
tes », in ASFi, Capitani di parte, Numeri rossi, 20, pp. 141-148 (Il Libro del chiodo,
pp. 294-306).
39 Biscaro, Benzo da Alessandria, p. 309.
40 Sandri, Un « Quaternus condempnationum », pp. 188-189.
41 Sandri, Un « Quaternus condempnationum », p. 199: « Quod nulla persona in
pena et banno quingentarum librarum parv. audeat vel presumat producere aliquod
instrumentum ad defensionem bonorum et possessionum illorum [dei ribelli] vel illa-
rum qui banniti et condempnati erunt ut in provisionibus continetur et nihilominus
instrumentum presumatur ficticium et nullius valoris intelligendo de instrumentis ven-
dicionum, donacionum et alienacionum factarum per huiusmodi condempnatos et ban-
nitos postquam civitas Vicencie venit ad mandata domini Imperatoris vel ante [...] ».
pp. 180-181.
45
Henrici VII Constitutiones, pp. 937-950.
46
ASFi, Capitani di parte, Numeri rossi, 20, pp. 153-158 (Il Libro del chiodo,
pp. 319 e ss.).
47 Tabacco, Egemonie sociali, p. 325.
48 Sullla base di quanto è stato scritto in questo e nel precedente capitolo è pos-
sibile affermare che Bologna e Firenze costituiscono ancora i casi più documentati, gli
unici sui quali possiamo fondarci per azzardare una stima dei colpiti dalle nuove con-
danne. In base alle liste conservate possiamo dire che nella città toscana all’epoca
dell’arrivo di Enrico VII vi erano poco più di 400 persone sottoposte a condanna
politica. A Bologna, pochi anni prima si trattava di circa 300. A Vicenza tra 1311 e
1317 furono condannate 56 persone (Sandri, Un quaternus condempnationum, appendi-
ce), mentre a Padova dagli elenchi di famiglie conservati in Guillelmi de Cortusiis,
Chronicon, pp. 33-34, si può stimare il numero dei colpiti nell’ordine delle poche
centinaia.
va saputo costruire una pars forte il sistema angioino era stato recepito
nella sua versione più radicale; laddove invece, come a Pistoia o a
Bologna, era stato il Popolo a prevalere, lo stesso sistema era stato
attenuato in molti suoi aspetti.
Per la generazione nata attorno al 1260, che si affacciò alla ribalta
politica alla fine degli anni Ottanta del Duecento, queste strutture sepa-
rate costituivano ormai i principali canali d’accesso al ceto dirigente
cittadino. Gli organismi in cui parti e società di Popolo si articolavano,
specialmente i rispettivi consigli ristretti, rappresentavano ormai istitu-
zioni riconosciute, a cui larghe porzioni della società cittadina facevano
riferimento per fare valere le proprie istanze. A partire dagli anni Ses-
santa erano stati soprattutto questi organismi, quasi sempre combatten-
do tra loro, a governare la città. A Firenze, la prevalenza dei Capitani
di Parte era stata seguita da quella dei priori delle Arti; a Parma, l’ege-
monia del Capitaneus Cruxatorum, una magistratura di parte, era stata
rimpiazzata da quella del Capitaneus Populi che, come suggerisce il nome,
era selezionata dal « popolo »; a Milano, la « popolare » Credenza di S.
Ambrogio era stata offuscata nel 1279 dall’affermazione dei « Dodici di
provvisione », una magistratura a reclutamento nobiliare, formata da quei
sostenitori dei Visconti che avevano vissuto direttamente l’esilio 49. Al-
trove, « popolo » e pars avevano coesistito, magari sotto l’egida di un
signore che proprio attraverso il « popolo » si era affermato. Così era
avvenuto a Piacenza, in occasione, prima, della signoria di Carlo I e
poi di quella dello Scotti, e in una certa misura anche a Verona nella
prima età scaligera.
Gruppi sociali in competizione avevano prodotto strutture di parte-
cipazione dotate di meccanismi e bacini di reclutamento differenti al
fine di difendere e veder trionfare i propri interessi. A Firenze, nel
periodo che andò dalla emanazione degli Ordinamenti di Giustizia (1293)
fino alla divisione tra bianchi e neri (1302), la sostanza dello scontro
riguardò il ruolo che il « popolo » e la parte guelfa dovevano avere nel
governo comunale 50. Tale sostanza non mutò, anzi si arricchì di impli-
gnati, inaugurata a partire dal 1281; e, infine, l’attacco alla legittimità istituzionale della
Parte guelfa, attraverso l’espressa volontà di privarla del sigillo, ossia della personalità
giuridica, e dell’aministrazione dei beni sequestrati ai ghibellini: Raveggi et al., Guelfi,
ghibellini e popolo grasso, pp. 239-326.
51 Compagni, Cronica, p. 162-166.
52 Villani, Nuova Cronica II, pp. 172-173.
che Randolph Starn ha usato per affermare che all’epoca di Dante sa-
rebbe risultato assurdo che un esule si fosse rivolto con un tono così
ubbediente a coloro che lo avevano condannato, ricorda nel contenuto
le petizioni inviate dai lambertazzi ai consigli bolognesi 68.
Una forte similitudine è osservabile anche nelle procedure con cui
si decretava l’emanazione di queste pene. I dati forniti da Starn e dalla
Shaw ci permettono di affermare che la tendenza a giustificare le con-
danne politiche sulla base della normativa esistente, visibile all’inizio del
Trecento nelle condanne fiorentine e degli altri comuni nell’epoca di
Enrico VII, non costituì un punto di non ritorno, la definitiva inclusio-
ne della giustizia politica straordinaria in una dimensione ordinaria, ma
l’elemento più recente di un repertorio cui si continuò ad attingere con
grande libertà. Starn sostiene che, nel maturo secolo XIV, erano le ba-
lìe di sapienti e non più il podestà a emanare le condanne politiche 69,
non cogliendo il proseguire del gioco, tipicamente duecentesco, per cui
le magistrature straordinarie della città decretavano le condanne, men-
tre quelle ordinarie e forestiere come il podestà fornivano il suggello
finale e il controllo. Una simile dialettica istituzionale è invece chiara-
mente percepita dalla Shaw, che, descrivendo l’esclusione senese del
1456, mette in risalto elementi di origine antica come la scrittura dei
nomi su pezzi di pergamena, poi sottoposti all’approvazione di un co-
mitato che ne decreta la condanna votando secondo il sistema dei
due terzi, o la ratifica finale delle condanne più gravi, sancita dall’as-
semblea più ampia 70; un elemento, quest’ultimo, che si trova nella più
antica esclusione politica testimoniata a Bologna, quella del 1149.
Infine, appare chiaramente come tra Due e Quattrocento si osserva-
no le medesime pratiche di amministrazione dei beni sequestrati. Le
procedure che Starn descrive come modular and routine (e, a suo pare-
re, impensabili in precedenza) sulla base dei registri degli Ufficiali della
Torre, la magistratura fiorentina che a partire dal 1367 prese in conse-
gna la gestione dei beni sequestrati ai ghibellini 71, sono del tutto simili
a quelle duecentesche. Elencare i beni sulla base dei vecchi elenchi,
correggerli, aggiornarli, provvederli di riscontri incrociati, e calcolarne
le possibili rendite sono esattamente le operazioni a cui, lo si è visto
nei capitoli scorsi, provvedeva a Bologna l’ufficio ai beni dei banditi
fondamento. Contestando la tesi di Starn secondo cui gli esuli del Quat-
trocento appaiono più pronti dei loro antenati ad accettare la legittimi-
tà dei governi che li avevano espulsi, la Shaw argomenta che, in realtà,
il contrasto con il passato non è così netto e che esisteva ancora spazio
per sfidare il potere. « Gli italiani del Quattrocento » – scrive – « erano
in grado di distinguere tra l’autorità legittima dello Stato, la sua pretesa
di lealtà e obbedienza, e ciò che poteva essere visto come l’illegittima
appropriazione dello Stato da parte dei membri di un regime, la cui
autorità e le cui pretese potevano essere legittimamente sfidate » 74. Questa
differenza tra regime e istituzioni, tra una componente della politica
contingente, e come tale contestabile, e un più ampio quadro perma-
nente, che occorreva lasciare intatto, nel Duecento non poteva essere
altrettanto chiara e non lo fu finché non giunse a termine la gerarchiz-
zazione delle istituzioni che erano andate sedimentandosi le une accan-
to alle altre e la riduzione a unità della pluralità di sedi politiche. Non
è un caso se, come mostrano ancora una volta gli studi menzionati, a
occuparsi degli esclusi, e dei loro beni, non furono più ufficiali della
parte o del popolo. Neanche a Firenze, dove la parte guelfa continuò
ad esistere per molto tempo, essa continuò a occuparsi dei beni dei
ghibellini, che nel 1364 passarono sotto la competenza degli ufficiali
della Torre, addetti all’amministrazione delle gabelle, dei mulini, dei
porti e delle altre proprietà del comune. Non era più disponibile lo
spazio di azione politica che un tempo aveva consentito l’organizzazio-
ne di comuni alternativi di esuli e la loro riconversione istituzionale,
nel momento del rientro, in parti intrinseche organizzate che affianca-
vano il comune.
È, dunque, significativo che, proprio quando questo processo si sta-
va compiendo, negli anni attorno al 1330 in cui, tramite gli statuti, le
nuove istituzioni gerarchicamente disposte ricevevano la loro sanzione
solenne, Bartolo da Sassoferrato prese « definitivamente distanza dalle
idee di Accorso, avanzando un’originalissima interpretazione, alla base
della quale si trova nuovamente l’utilizzazione di una categoria romani-
stica. Nel Tractatus bannitorum egli affermò infatti che la condizione
del bandito doveva identificarsi con quella del transfuga, ossia colui
che, secondo il diritto romano, aveva abbandonato la comunità al cui
governo era sottoposto passando al campo nemico » 75. Come sottolinea
Sara Menzinger, autrice del passo citato, Bartolo precisò che in tale
categoria non andavano inquadrati tutti i banditi, ma soltanto coloro
che, una volta usciti, avevano promosso un’azione militare contro la
città. In tal modo la giurisprudenza passava da una classificazione tec-
nica dei banditi, quella proposta con successo all’inizio del Duecento
da Accursio, basata su una distinzione degli effetti del bando (deporta-
tio = bando più grave; relegatio = bando più lieve), a una classificazio-
ne politica, basata sulla causa del bando. Con la creazione di questa
categoria, la giurisprudenza riconosceva finalmente alle città la possibili-
tà di esercitare una giustizia contro i propri nemici ribelli. I giuristi
prendevano atto che il bando politico non rappresentava più la conse-
guenza dell’offesa a una « parte », ma la reazione a un attacco alla città,
a un organismo che, oltre che superiori, non riconosceva nemmeno
concorrenti al proprio interno.
6. Conclusioni
CONCLUSIONI
queste uscite sollecitarono riguardarono non più solo gli usciti stessi,
ma per la prima volta i loro favoreggiatori: tutta la cittadinanza do-
vette essere inquadrata attraverso il criterio dell’appoggio/ostilità al
governo. Attraverso questa novità, inventata dalle società di « popo-
lo » e applicata alle parti ghibelline dopo la vittoria di Carlo I d’An-
giò, l’esclusione giuridica dagli uffici e quella fisica dalla città tesero
a saldarsi: tutti i perturbatori reali o potenziali della politica del co-
mune dovettero essere posti, provvisoriamente o definitivamente, fuo-
ri dalle mura. Per certi versi non si trattava di un compimento defi-
nitivo. L’esclusione dai pubblici uffici avrebbe riacquistito di lì a poco
un ruolo importante. Non però come un secolo e mezzo prima, qua-
le misura di ritorsione per un diverso tipo di delitto, ma quale misu-
ra attenuata per gli stessi delitti puniti con l’esclusione dalla città.
L’idea secondo cui lo spazio fisico della città e del suo territorio
coincideva con lo spazio politico del comune, insomma, e il suo co-
rollario secondo cui chi avesse attaccato la parte al potere sarebbe
stato escluso da questo spazio non sarebbe più stata abbandonata
per molto tempo.
dagli elenchi. Ciò non significa che essi non riuscissero a rientrare: solo
che dovettero sottoporsi a procedure più complesse. Spesso i banditi
dovettero stare per un certo periodo al confino in luoghi lontani, prima
di rientrare in città. Grazie a questo duplice e differente movimento,
compiuto da confinati e banditi, il gruppo dei colpiti andò assottiglian-
dosi fin quasi a scomparire.
Fuori da Bologna, le commissioni addette al censimento dei confi-
nati furono meno ampie. In alcuni posti, specialmente nelle città tosca-
ne che avevano registrato importanti esperienze di esilio precedenti, fu-
rono formate soprattutto dai membri della parte al potere legittimati
dal precedente esilio. Dove, come a Bologna, non esistevano tradizioni
di parte altrettanto solide si inclusero magistrature del « popolo », come
avvenne a Cremona e a Brescia. Le cifre testimoniate a Firenze portano
a credere che in generale queste commissioni non cercarono di definire
un gruppo ampio come quello bolognese. I pochi dati relativi al nume-
ro dei confinati, come la notizia secondo cui a Milano nel 1274 vi
furono 200 condanne al confino, o il fatto che a Pistoia il confino
fosse una misura straordinaria e il periodo di permanenza dei condan-
nati nei luoghi assegnati era comunque limitato, spingono a pensare
che normalmente i gruppi di confinati erano più piccoli e meno con-
trollati che a Bologna Altri indizi fanno pensare che, nonostante questa
diversità di partenza, anche altrove si verificò il processo di erosione
del gruppo dei colpiti osservabile a Bologna. È significativa a questo
proposito la norma statutaria bresciana che negli anni Ottanta stabilì di
ridurre a solo 200 il numero dei confinati.
La diminuzione del gruppo dei condannati non si dovette quindi
solo alle politiche decretate dall’alto come le risistemazioni delle liste o
gli eventuali decreti sulla diminuzione del numero dei confinati, ma
anche alle strategie poste in atto dai colpiti, che riuscirono ad avere
dalla propria parte una porzione della cittadinanza. Lo stesso processo
è visibile, in maniera ancora più netta, dall’analisi della giustizia per
reati politici, lo strumento principale a cui i comuni delegarono il man-
tenimento delle misure punitive contro i nemici interni. A Bologna, le
fonti giudiziarie conservate consentono di cogliere in maniera particolar-
mente viva il complesso gioco che si instaurò tra comune, lambertazzi e
cittadinanza. Esse testimoniano che i cittadini non reagirono così pron-
tamente, come si potrebbe immaginare, agli inviti alla delazione pro-
mossi dal comune attraverso la garanzia dell’anonimato e la consegna
di premi pecuniari. La discrepanza tra l’assoluto insuccesso delle inqui-
sizioni generali e la presenza di procedimenti contro singoli indica che
no che non fosse già stato scritto nel registro dei colpiti, o la notizia
secondo cui a Milano si vietò di ricevere notifiche anonime, mostrano
che anche altrove si procedette verso l’attenuazione dell’emergenza.
Considerando che in queste zone, come si è appena detto, si partiva da
gruppi di colpiti notevolmente meno numerosi, si può supporre con un
buon margine di approssimazione che questa attenuazione fu più rapi-
da. Perdendo importanza l’aspetto propriamente punitivo, la condizione
di confinato o di ex bandito divenne un elemento aggravante, una mac-
chia nella reputazione in grado di pesare nel corso di conflitti o pro-
cessi innescati da reati comuni, ancora una volta attraverso il ricorso a
vecchi documenti. A Prato questo elemento è chiaramente visibile e
lascia immaginare sviluppi verso quel complesso gioco fondato sull’infa-
mia e sul privilegio, che caratterizzò il primo Trecento bolognese.
Infine la dialettica delle scritture ebbe un ruolo importantissimo nella
gestione dei patrimoni sequestrati. A Bologna il sequestro, come la sche-
datura dei confinati, fu organizzato su grande scala. A ciò concorsero
due fattori contingenti: la presenza di un consistente gruppo di banditi
e la mancanza di una precedente esperienza di esilio in grado di far
pesare la presenza della parte vincitrice sulle istituzioni del comune e
del « popolo ». Ma a questi fattori si aggiunse la tradizione notarile e
amministrativa del comune di « popolo », che trasformò la gestione di
un grande patrimonio sequestrato in un ambizioso progetto di redistri-
buzione delle risorse, in grado di evitare l’accumulazione di parti consi-
stenti di questo patrimonio da parte dei privati. Per questa ragione si
cercò di mantenere il sistema della concessione in affitto da parte con-
siglio del popolo, a un certo punto si introdusse un sistema ancora più
redistributivo come quello dei brevia, e si mantennero basse le durate
delle concessioni.
Il censimento continuo dei beni fu dunque organizzato attraverso
strumenti simili a quelli della giustizia per reati politici: inquisizioni ge-
nerali, denunce di beni sollecitate attraverso premi e garanzia di anoni-
mato. Anche in questo ambito la popolazione non fu sollecita a reagire:
le denunce non giunsero se non raramente e le inquisizioni generali
non diedero i frutti sperati. Grande successo ebbe al contrario la pre-
sentazione di petizioni, con cui i cittadini che ritenevano di poter van-
tare dei diritti su un certo bene sequestrato chiesero al comune che
fosse derubricato e assegnato loro. Quasi sempre riuscirono a ottenere
il terreno o la casa richiesta, soprattutto in virtù del carattere largamen-
te amministrativo della giustizia amministrata presso il tribunale ai beni
dei banditi, il cui modello era offerto dalla giurisdizione civile del co-
del comune. Da tempo gli storici del diritto hanno messo l’accento sul
pluralismo di ordinamenti giuridici che caratterizzò in generale la realtà
medievale e dunque anche l’orizzonte della città comunale. Solo recen-
temente Pietro Costa, nel quadro di una riflessione sulla cittadinanza,
ha posto il problema delle conseguenze di questo pluralismo sulla natu-
ra dei dispositivi di esclusione 1. La sua analisi si presta bene a costitu-
ire il punto di partenza per quest’ultimo paragrafo conclusivo. Vale
dunque la pena di ricapitolarne i tratti essenziali.
Da un certo punto di vista – afferma Costa – la città comunale
praticò, come molte altre realtà, un’esclusione nei confronti di quanti si
situavano al di sotto di un certo livello della scala sociale. Così donne,
servi, comitatini non accedettero alle istituzioni in ragione del basso
grado che occupavano nella gerarchia della società. Si tratta dell’esclu-
sione che, in sede introduttiva, abbiamo chiamato « implicita » e che
più precisamente Costa, sulla base di una distinzione di Ralf Dahren-
dorf, definisce « verticale ». Ma questo tipo di esclusione – prosegue
Costa – non coglie la specificità dei dispositivi esclusivi così come emerge
dal « discorso politico-giuridico medievale » che, prevedendo un’ordinata
gerarchia di funzioni per ogni soggetto, tende ad attribuire un ruolo a
ogni membro del corpo sociale, giungendo al paradosso di un’esclusio-
ne « inclusiva ». Non è, dunque, alla categoria della cittadinanza « verti-
cale », che esclude chi è più in basso di un certo livello, che occorre
far riferimento, ma piuttosto a quella della cittadinanza « spaziale » o
“laterale”, che esclude chi è al di là di una certa soglia. Nell’applicazio-
ne alla realtà comunale, tuttavia, il ricorso a quest’altra nozione dahren-
dorfiana pone un problema. Nello stato moderno studiato da Dahren-
dorf è chiaro quale sia la soglia, e cioè i confini della nazione, nella
città duecentesca lo spazio politico appare molto più « frastagliato e
diversificato ».
Nei capitoli precedenti si è cercato più volte di mettere in rilievo
come il comune duecentesco consentì l’esistenza di organizzazioni e grup-
pi autonomi capaci di evolversi in istituzioni. A fronte della natura
esclusiva che i legami di appartenenza e di obbedienza presentano nella
modernità, nel Duecento vi fu dunque, come scrive Costa, una « molte-
plicità dei vincoli che potevano legare un soggetto a una molteplicità
gerarchicamente ordinata di centri di potere ». La qualifica di « gerar-
chico » conferita a quell’ordine non deve trarre in inganno. Essa non
caratterizzò strutturalmente il comune, dove, come avverte lo stesso au-
Abbreviazioni
Fonti inedite
Archivio Capitolare Laurenziano, Chiavenna, Quaternus expensarum comunis (1264)
Archivio di Stato di Como, Vetera Monumenta
Archivio di Stato di Piacenza, Ospizi civili, XVI, nn. 80-81
ASBo, Archivio Lambertini, b. 1.
ASBo, Accusationes, bb. 1a; 1b; 2a; 2b.
ASBo, Beni, voll. 6; 7; 8; 9.
ASBo, Cavalli, bb. 10; 11.
ASBo, Comune, Curia del podestà, Ufficio delle acque e strade, ponti e calancati, b. 1.
ASBo, Comune, Curia del Podestà, Giudici « ad maleficia », Accusationes, b. 1, fasc. 7.
ASBo, Comune, Diritti e oneri del Comune, Registro Grosso
ASBo, Comune, Soprastanti alle prigioni, reg. 1241.
ASBo, Demaniale, S. Francesco, b. 336/5079.
ASBo, Disco dell’Orso, Registri delle collette, bb. 3; 7; 9; 11.
ASBo, Elenchi, Sigurtà per i beni del lambertazzi e libri inquisitionum, b. 17.
ASBo, Elenchi, Elenchi di banditi e confinati, voll. 1; 2; 3; 4; 5; b. 10.
ASBo, Elenchi, Fedi di presentazione dei confinati, bb. 18;19; 20.
ASBo, Estimi, serie I, b. 1.
ASBo, Estimi, serie III, bb. 1a; 1b; 1c; 1d; 3; 57.
ASBo, Giudici, regg. 1- 521; 541-544; 555-575; 670-676.
ASBo, Locazioni, subastazioni e concessioni di beni dei banditi, bb. 11; 12; 13; 14;
15; 16.
ASBo, Matricole, vol. 1, fascc. 1; 2; 3; 4.
ASBo, Memoriali, voll. 21; 22; 23; 24; 25; 26; 27; 28; 29.
ASBo, Provvigioni, voll. I-IV.
ASBo, Riformagioni, voll. I-XIII.
ASBo, Sindacato, bb. 5; 6; 7; 8; 9; 10; 12; 17; 18.
ASBo, Società dei notai, Ufficiali della società, reg. 22.
ASBo, Venticinquine, Libri vigintiquinquenarum, bb. XIV; XV; XVI; XVII.
ASBo, Venticinquine, Venticinquine, bb. I; IV; VII; X; XIII.
Fonti edite
Antiquae Collationes Statutum Veterum Civitatis Pergami, a c. di G. Finazzi, in
HPM, XVI, Leges municipales 2.2, Torino 1876, coll. 1921-2087.
Böhmer J. F., Acta imperi Selecta. Urkunden deutscher Könige und kaiser mit einem
anhange von Reichssachen, Innsbruck 1870.
Breve et ordinamenta populi Pistorii anni MCCLXXXIIII nunc primum edidit Lud-
ovicus Zdekauer, Milano 1891.
Codex Diplomaticus Cremonae, a c. di L. Astegiano, in HPM, ser. II, XXI e XII,
Torino 1895-1898.
Codice Diplomatico della Repubblica di Genova dal DCCCCLVIII al MCLXIII, I, a
c. di C. Imperiale di Sant’Angelo, Roma 1936.
Consuetudini e statuti reggiani del secolo XIII, a c. di A. Cerlini, I, Milano 1933.
Documenti per la storia della città di Arezzo, a c. di U. Pasqui, II. Codice diploma-
tico (anni 1180-1373), Firenze 1916.
Documenti per la storia delle relazioni diplomatiche fra Verona e Mantova nel secolo
XIII, a c. Di C. Cipolla, Milano 1901.
Epistulae saeculi XIII e regestis pontificorum romanorum selectae, a c. di C. Ro-
demberg, I-III., Berlin 1883-1894.
Frati, Statuti, v. Statuti di Bologna dall’anno 1245 all’anno 1267.
Friderici I Diplomata inde ab a. MCLII usque ad a. MCLVII., a c. di H. Appelt, in
MGH, Diplomata Regum et imperatorum Germaniae, X, I. Hannover 1975.
Friderici I Diplomata inde ab a. MCLVIII usque ad a. MCLXII., a c. di H. Appelt,
in MGH, Diplomata Regum et imperatorum Germaniae, X, II. Hannover 1979.
Friderici II. Constitutiones, a c. di L. Weiland in MGH, Legum sectio IV, Constitu-
tiones et acta publica imperatorum et regum, t. II, Hannover 1896, pp. 54-389.
Gli albori del comune di San Gimignano e lo statuto del 1314, a c. di M. Brogi,
Siena 1996.
Gli atti del Comune di Milano fino all’ anno MCCXVI, a c. di C. Manaresi, Mila-
no 1919.
Gli atti del comune di Milano nel secolo XIII, I (1217-1250), a c. di di M. F.
Baroni, Milano 1976.
Gli statuti veronesi del 1276 colle correzioni e le aggiunte fino al 1323, I, a cura di
G. Sandri, Venezia 1940.
Henrici VII. Constitutiones, a c. di J. Schwalm, in MGH, Legum sectio IV, Constitu-
tiones et acta publica imperatorum et regum, t. IV, Hannover 1906, pp. 228-711.
Fonti narrative
Alberti Milioli notarii regini Liber de temporibus et aetatibus et Cronica imperato-
rum, a c. di O. Holder-Egger, in MGH, Scriptores, XXXI, Hannover 1980,
pp. 336-580.
Annales Bergomates, a c. di P. Jaffé, in MGH, Scriptores, XVIII, Hannover 1863,
pp. 809-810
Annales Brixienses, a c. di L. Bethmann, in MGH, Scriptores, XVIII, Hannover
1863, pp. 811-820.
Annales Cremonenses, a c. di O. Holder Egger, in MGH, Scriptores, XVIII, Han-
nover 1863, pp. 800-807.
Annales Florentini II, a c. di O. Hartvig, in Quellen und Forschungen zur altesten
Geschichte der Stadt Florenz, I, Marburg 1875, pp. 40-45.
Annales mediolanenses, a c. di G. H. Pertz, in MGH, Scriptores, XVIII, Hannover,
1863, pp. 357-382.
Annales mediolanenses minores, a c. di P. Jaffé, in MGH, Scriptores, XVIII, Han-
nover, 1863, pp. 383-402
Annales Placentini Ghibellini, a c. di G. H. Perz, in MGH, Scriptores, XVIII,
Hannover 1863, pp. 457-581.
Annales Placentini Guelfi, a c. di G.H. Pertz, in MGH, Scriptores, XVIII, Hanno-
ver 1876, pp. 411-457.
Annales Sanctae Justinae, a c. di P. Jaffé, in MGH, Scriptores, XVIIII, Hannover
1866, pp. 148-193.
Annali genovesi di Caffaro e de’ suoi continuatori dal MCLXXIV al MCCXXIV, a c.
di T. Belgrano e C. Imperiale di Sant’Angelo, II, Roma 1901.
Carmen de gestisi Friderici I imperatoris in Lombardia, a c. di I. Schmale-Ott, in
MGH, Scriptores Rerum Germanicarum in usum scolarum ex monumentis Ger-
maniae Historicis separatim editi, Hannover-Lipsia 1965.
Chronicon Parmense ab anno 1038 usque ad annum 1338, a c. di G. Bonazzi, in
RIS, n.s., IX/9, Città di Castello 1902-1904.
Corpus Chronicorum Bononiensium, a c. di A. Sorbelli, in RIS, n.s., XVIII/1, Città
di Castello 1910-1940.
Cronica Rectorum Civitatis Placentiae videlicet Consulum, et Potestatum ab anno
Christi MCXXX citra, a c. di L. A. Muratori, in RIS, IX, Milano 1726.
Dino Compagni, Cronica, introduzione e note di Gino Luzzatto, Torino 1978 [te-
sto utilizzato: Dino Compagni, Cronica, a c. di I. del Lungo, in RIS n.s., IX/
2, Città di Castello 1913, pp. 1-266].
Studi
Balbo C., Sommario della storia d’Italia, Milano 1933 [ed. or. Milano 1846].
Balbo C., Vita di Dante, Napoli 1840.
Banti O., Forme di governo personale dei comuni dell’Italia centro-settentrionale nel
periodo consolare (secc. XI-XII), in Banti O., Studi di storia e di diplomatica
comunale, Roma 1983, pp. 20-47.
Barbadoro B., La condanna di Dante e le fazioni politiche del suo tempo, in “Studi
Danteschi diretti da Michele Barbi”, II (1920) pp. 5-74.
Bartoli Langeli A., Codice diplomatico del Comune di Perugia. periodo consolare e
podestarile (1139-1254), I-II, Perugia 1983-1985.
Bartoli Langeli A., La documentazione degli stati italiani nei secoli XII-XV: forme,
organizzazione, personale, in Culture et ideologie dans la génèse de l’État mo-
derne, Rome 1985, pp. 35-55.
Bartoli Langeli A., Le fonti per la storia di un comune, in Società e istituzioni del-
l’Italia comunale: l’esempio di Perugia (secoli XII-XV), Perugia 1988, pp. 5-21.
Becker C., Statutekodifizierung und Parteikampfe in Como. Das ‘Volumen Medium’
von 1292, in Statutencodices des 13. Jahrhunderts als Zugen Pragmatischer Schrif-
tlichkeit, a cura di H. Keller e J. W. Busch, München 1991, pp. 57-76.
Belotti B., Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, I-II, Bergamo 1959.
Berengo M., Salvemini storico e la reazione del ‘98, in Atti del convegno di studi su
Gaetano Salvemini, a c. di E. Sestan, Milano 1977, pp. 69-85.
Berengo M., Stato moderno e corpi intermedi, in “Annali dell’Istituto storico italo-
germanico in Trento”, 20 (1994), pp. 233-237.
Bernini F., Come si preparò la rovina di Federico II. Parma, la lega medio padana e
Innocenzo III dal 1238 al 1248, in “Rivista Storica Italiana”, 60 (1948), pp.
204-249.
Bernini F., Innocenzo IV e il suo parentado, in “Nuova Rivista Storica”, 24 (1940),
pp. 1-24.
Bertelli S., Erudizione e storia in Ludovico Antonio Muratori, Napoli 1960.
Bertelli S., Il potere oligarchico nello stato-città medievale, Firenze 1978.
Bertelli S. Embrioni di partiti alle soglie dell’età moderna, in Per Federico Chabod.
Atti del seminario internazionale. I. Lo Stato e il potere nel Rinascimento, a c.
di S. Bertelli, Perugia 1981, pp. 17-35.
Biscaro G., Benzo da Alessandria ed i giudizi contro i ribelli dell’impero a Milano
nel 1311, in “Archivio Storico Lombardo”, ser. IV, 7 (1907), pp. 281-316.
Biscaro G., Gli estimi del comune di Milano, in “Archivio Storico Lombardo”, ser.
VI, 55 (1928), pp. 343-495.
Bizzarri D., Ricerche sul diritto di cittadinanza nella costituzione medievale, in “Stu-
di Senesi”, XXXII (1916), (poi in Eadem, Studi di Storia del diritto Italiano,
Torino 1937, pp. 61-158).
Blattman M., Wahlen und Schrifteinsatz in Bergamo in 13. Jahrhundert, in Kommu-
nales Schriftgut in Oberitalien. Formen, Funktionen, Überlieferung, a c. di H.
Keller e T. Behrmann, München 1995, pp. 217-264.
Bocchi F., Bologna. II. Il Duecento. (Atlante storico delle città italiane), Bologna 1997.
Bocchi F., Le imposte dirette a Bologna nei secoli XII e XIII, in “Nuova Rivista
Storica” 57 (1973), pp. 273-312.
Bock G., Civil discord in Machiavelli’s Istorie Fiorentine, in Machiavelli and Republi-
canism, a c. di G. Bock, Q. Skinner, M. Viroli, Cambridge 1990, pp. 181-201.
Bordone R., I comuni italiani nella prima Lega Lombarda: confronto di modelli
istituzionali in un’esperienza politico diplomatica, in Kommunale Bündnisse Oberi-
taliens und Oberdeutschlands im Vergleich, a c. di H. Mauer, Siegmaringen
1987, pp. 45-61.
Bordone R., I visconti cittadini in età comunale, in Formazione e strutture dei ceti
dominanti nel Medioevo. Marchesi, conti e visconti nel Regnim Italie. Secoli IX-
XII (Atti del secondo Convegno di Pisa, 3-4 dicembre 1993), pp. 377-403.
Bordone R., L’amministrazione del regno d’Italia, in Federico I Barbarossa e l’Italia
nell’Ottocentesimo anniversario della sua morte. Atti del convegno. Roma, 24-
26 maggio 1990, a c. di I. Lori Sanfilippo, in “Bullettino dell’Istituto Storico
Italiano per il Medioevo”, 96 (1990), pp. 133-156.
Bordone R., L’influenza culturale e istituzionale nel Regno d’Italia, in Friedrich Bar-
barossa. Handlungsspielraüme und Wirkungsweise des Staufischen Kaisers, Sieg-
maringen 1992 (“Vorträge und Forschungen”, 40), pp. 147-168.
Bordone R., La Lombardia nell’età di Federico I, in Storia d’Italia, diretta da G.
Galasso, VI, Andenna-Bordone-Somaini-Vallerani, Comuni e signorie nell’Italia
settentrionale: La Lombardia, Torino 1998, pp. 387-426.
Bordone R., La società cittadina del regno d’Italia. Formazione esviluppo delle carat-
teristiche urbane nei secoli XI e XII, Torino 1987.
Bordone R., La società urbana nell’Italia comunale (secoli XI-XIV), Torino 1984.
Bortolami S., ‘Honor civitatis’. Società comunale ed esperienze di governo signorile
nella Padova ezzeliniana, in Nuovi Studi Ezzeliniani, a c. di G. Cracco, I, pp.
161-239.
Bortolami S., Fra “alte domus” e “populares homines”: Il comune di Padova e il suo
sviluppo prima di Ezzelino, in Storia e cultura a Padova nell’età di Sant’Anto-
nio, Padova 1985, pp. 3-83.
Bortolami S., Frontiere politiche e frontiere religiose nell’Italia comunale: il caso
delle Venezie, in Frontière et peuplement dans le monde méditerranéen au Moyen
Age, a c. di J.M. Poisson, Roma-Madrid 1992, pp. 211-238.
Bortolami S., Le forme societarie di organizzazione del popolo, in Magnati e Popola-
ni nell’Italia comunale (Atti del Quindicesimo convegno di Studi Pistoia. 15-
18 maggio 1995 del Centro Italiano di Studi di Storia e d’Arte), Pistoia 1997,
pp. 41-81.
Bortolami S., Politica e cultura nell’import-export del personale itinerante di governo
nell’Italia medievale: il caso di Padova comunale, in I podestà dell’Italia comu-
nale. Parte I: Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII sec.-
metà XIV sec.) a c. di J.-C. Maire Vigueur, I, Roma 2000, pp. 203-258.
Bosdari F., Bologna nella prima Lega Lombarda, in AMR, .XV (1897), pp. 12-67 e
XVI (1898), pp. 143-205.
Bosisio A., Il comune, in Storia di Brescia, a c. di Giovanni Treccani, vol. I. Dalle
origini alla caduta della signoria viscontea (1426), Milano 1963, pp. 559-710.
Bowsky W., Cives Silvestres: Sylvan Chitizenship and the Sienese Commune 1287-
1355, in “Bollettino Senese di Storia Patria”, 3, 24 (1965), pp. 1-13.
Bowsky W., Medioeval Citizenship: the Individual and the State in the Commune of
Siena. 1287-1355, in “Studies in Medieval and Renaissance History”, IV (1967),
pp. 193-243.
Bowsky W.M., Henry VII in Italy. The conflict of Empire and city-states. Lincoln,
Nebraska 1960.
Brezzi P., Gli alleati italiani di Federico Barbarossa (Feudatari e città), in Federico
Barbarossa nel dibattito storiografico in Italia e in Germania, Atti della settima-
na di studio 8-13 settembre 1980, a c. di R. Manselli e J. Riedmann, Bologna
1982, pp. 157-199.
Brezzi P., Gli uomini che hanno creato la Lega Lombarda, in Popolo e Stato in
Italia nell’età di Federico Barbarossa. Alessandria e la lega Lombarda. Relazioni
e comunicazioni al XXXIII congresso storico subalpino per la celebrazione
dell’VIII centenario della fondazione di Alessandria. Alessandia 6-9 ottobre
1968, Torino 1970, pp. 249-261.
Brogi A., ll comune di San Gimignano fino allo Statuto del 1314, in Gli albori del
comune di San Gimignano e lo statuto del 1314, a c. di M. Brogi, Siena 1966,
pp. 11-39.
Bulla G.P., Famiglie dirigenti nella Piacenza del XII secolo alla luce delle pergamene
di S. Antonino. Per una Novella Chronica rectorum civitatis Placentiae, in “Nuova
Rivista Storica” 79 (1995), pp. 505-586.
Busch J.W., Einleitung: Schriftkultur un Recht, Statutencodices des 13. Jahrhunderts
als Zeugen pragmatischer Schriftlichkeit, die Handschriften von Como, Lodi,
Novara und Voghera, a c. di H. Keller, J. W. Busch, München 1991, pp. 1-14.
Caggese R., Su l’origine della Parte Guelfa e le sue relazioni col comune, in “Archi-
vio Storico Italiano”, ser. V, 32 (1903), pp. 265-309.
Calisse C., Storia del diritto penale italiano, Firenze 1895.
Cammarosano P. Italia medievale. Struttura e geografia delle fonti scritte, Roma 1991.
Cammarosano P., Il ricambio e l’evoluzione dei ceti dirigenti nel corso del XIII
secolo, in Magnati e popolani nell’Italia comunale, Pistoia 1997 (Atti del Quin-
dicesimo convegno di Studi del Centro Italiano di Studi di Storia e d’Arte,
Pistoia 15-18 maggio 1995), pp. 17-40.
Cammarosano, I libri iurium e la memoria storica delle città comunali, in Il senso
della storia nella cultura medievale italiana (1100-1350), Pistoia 1995, pp. 95-108.
Campiche C., Die Comunalverfassung von Como in 12. und 13. Jahrhundert, Züri-
ch 1929.
Canetti L., Gloriosa Civitas. Culto dei santi e società cittadina a Piacenza nel Me-
dioevo, Bologna 1993.
Capasso C., Guelfi e ghibellini a Bergamo, in “Bergomum”, 15 (1921), pp. 1-44.
Capitani O., Legislazione antiereticale e strumento di costruzione politica nelle deci-
sioni normative di Innocenzo III, in “Bollettino della società storica di studi
valdesi” 97 (1976), pp. 31-53.
Capitani O., Problemi di giurisdizione nella ecclesiologia di Innocenzo IV nel con-
flitto con Federico II, in Federico II, Convegno dell’Istituto Storico Germanico
di Roma nell’VIII centenario della nascita, a c. di A. Esch e N. Kamp, Tübin-
gen 1996, pp. 150-162.
Caretta A., Samarati L., Lodi. Profilo di storia comunale, Lodi 1958.
Casini L., Il contado bolognese durante il periodo comunale (Secoli XI-XV), Bologna
1991.
Cassandro G., Un bilancio storiografico, in Forme di potere e struttura sociale in
Italia nel Medioevo, a c. di G. Rossetti, Bologna 1977, pp. 153-174.
Castagnetti A., I Conti di Vicenza e di Padova dall’età ottoniana al comune, Verona
1981.
Castagnetti A., La marca veronese-trevigiana (secoli XI-XIV), in Storia d’Italia diret-
ta da G. Galasso, VII.Comuni e signorie nell’Italia nordorientale e centrale,
1Veneto Toscana Emilia-Romagna, pp. 161-357.
Castagnetti A., Società e politica a Ferrara dall’età postcarolingia alla signoria estense
(Secoli X-XIII), Bologna 1985.
Castagnini O., Il patrimonio di un frate gaudente bolognese all’inizio del Trecento:
Dondiego Piantavigne, in “Il Carrobbio”, II (1976), pp. 103-125.
Castignoli P. e Racine P., Due documenti contabili del comune di Piacenza, in “Stu-
di di storia medievale e di diplomatica”, 3 (1979) pp. 49-55.
Castignoli P., L’alleanza tra Carlo d’Angiò e Piacenza e la nuova costituzione del
comune, in “Bollettino storico Piacentino” 69 (1974), pp. 16-27.
Castignoli P., Piacenza di fronte al Barbarossa, in Storia di Piacenza, vol. II. Dal
vescovo conte alla signoria, Piacenza s. d., pp. 127-186.
Cattaneo C., La vita di Dante di Cesare Balbo, in C. Cattaneo, Scritti letterari
artistici, linguistici e vari, a c. di A. Bertani, vol. 1, Firenze 1948, pp. 96-113.
Cavalca D., Il bando nella prassi e nella dottrina giuridica medievale, Milano 1978.
Cencetti G., Rolandino Passageri dal mito alla storia, in “La Mercanzia” 5 (1950),
pp. 33-38.
Cervelli I., Gioacchino Volpe, Napoli 1977.
Chabod F. Di alcuni studi recenti sull’età comunale e signorile nell’Italia settentrio-
nale, in “Rivista Storica Italiana”, n.s. XLII (1925), pp. 19-47.
Chabod F., L’età del rinascimento, in Cinquant’anni di vita intellettuale italiana,
1896-1946, Scritti in onore di Benedetto Croce per il suo ottantesimo complean-
no, I, Napoli 1950, pp. 125-237.
Chiodi G., Istituzioni e attività della seconda Lega Lombarda (1226-1235), in “Studi
di Storia del Diritto”, I, Milano 1996, pp. 79-262.
Chittolini G., La formazione dello Stato regionale e le istituzioni del contado. Secoli
XIV e XV, Torino 1979.
Chittolini G., Poteri urbani e poteri feudali-signorili nelle campagne dell’Italia cen-
tro-settentrionale fra tardo medioevo eprima età moderna, in “Società e Storia”
81 (1998), pp. 473-510.
Chittolini G., Premessa a Città, comunità e feudi negli stati dell’Italia centro-setten-
trionale (XIV-XVI secolo), Milano 1996, pp. x-xxvii.
Collodo S., Il ceto dominante padovano dal comune alla signoria (secoli XII-XIV),
in Ortalli G.-Knapton M., Istituzioni, società e potere nella Marca Trevigiana e
Veronese (secoli XIII-XIV). Sulle tracce di G.B. Verci, Roma 1988.
Colorni V., Le tre leggi perdute di Roncaglia (1158) ritrovate in un manoscritto
parigino (Bibl. Nat., cod. Lat.4677), in Scritti in memoria di Antonino Giuffré,
I, Milano 1967, pp.
Della Misericordia M., Dividersi per governarsi: fazioni, famiglie aristocratiche e co-
muni in Valtellina in età viscontea (1335-1447), in “Società e Storia” 86 (1999),
pp. 715-766.
Der Codex in Gebrauch, a c. di C. Meier, D. Hüpper, H. Keller, München 1996.
Dionisotti C., Varia fortuna di Dante, in Geografia e storia della letteratura Italiana,
Torino 1967, pp. 255-303.
Diurni G., Pena criminale, in Enciclopedia del Diritto, XXXII, Milano 1982, pp.
752-770.
Drewniock M.-Sasse Tateo B., Novareser Kommunalstatuten 1276-1291. (Codex Tri-
vulzianus 864) in Statutencodices des 13. Jahrhunderts als Zugen Pragmatischer
Schriftlichkeit, a cura di H. Keller e J. W. Busch, München 1991, pp. 39-71.
Elze R., Papato, impero e regno, in Potere società e popolo nell’età sveva, Bari
1985, pp. 25-40.
Engels O., Federico Barbarsoosa e l’Italia nella storiografia più recente, in Federico I
Barbarossa e l’Italia nell’Ottocentesimo anniversario della sua morte. Atti del
convegno. Roma, 24-26 maggio 1990, a c. di I. Lori Sanfilippo, in “Bullettino
dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo”, 96 (1990), pp. 39-60.
Enzenberger H. La struttura del regno: corte, uffici, cancelleria, in Potere società e
popolo nell’età sveva, Bari 1985, pp.49-69.
Ercole F., Dal comune al principato. Saggi sulla storia del diritto pubblico nel Rina-
scimento, Firenze 1929.
Exil et civilisation en Italie (XIIe-XVIe siècles), a c. di J. Heers e C. Bec, Nancy 1990.
Fanti M., Le lottizzazioni e lo sviluppo urbano di Bologna nel Duecento. Spunti per
una ricerca, in AMR, n. s. 26 (1976), pp. 121-144.
Fasola L., Una famiglia di sostenitori milanesi di Federico II. Per la storia dei rap-
porti dell’imperatore con le forze sociali e politiche della Lombardia, in “Quel-
len und Forschungen aus italienischen Archiven und Biblioteken” 52 (1972),
pp. 116-218.
Fasoli G. Aspirazioni cittadine e volontà imperiale, in Federico Barbarossa nel dibat-
tito storiografico in Italia e in Germania, Atti della settimana di studio 8-13
settembre 1980, a c. di R. Manselli e J. Riedmann, Bologna 1982, pp. 131-156.
Fasoli G., Appunti sulle torri, cappelle gentilizie e grandi casate bolognesi fra il XII
e il XIII secolo, in “Il Carrobbio” 41 (1995), pp. 37-45.
Fasoli G., Catalogo descrittivo degli Statuti bolognesi conservati all’Archivio di Stato
di Bologna, Bologna 1931.
Fasoli G., Due inventari degli archivi del comune di Bologna nel sec. XIII, in AMR
XXIII (1932-33), pp. 173-277.
Fasoli G., Federico II e la Lega lombarda. Linee di ricerca, in “Annali dell’Istituto
storico italo-germanico in Trento” II (1976), pp. 39-79.
Fasoli G., Federico II e le città dell’Italia padana, in “Cultura e scuola” 24 (1985),
pp. 91-100.
Fasoli G., Gli statuti di Bologna nella edizione di L. Frati e la loro formazione, in
AMER, 1 (1935), pp. 37-60.
Fasoli G., Guelfi e Ghibellini in Romagna nel 1280-1281, in “Archivio Storico
Italiano” 1 (1936), pp. 157-180.
Giansante M., Retorica e politica nel Duecento. I notai bolognesi e l’ideologia comu-
nale, Roma 1999.
Giulini G., Memorie spettanti alla storia al governo e alla descrizione della città e
campagna di Milano nei secoli bassi, VI, Milano 1885.
Gorreta A., La guerra tra il comune di Bologna e la signoria estense (1293-1303),
Bologna 1906.
Gozzadini G., Delle Torri gentilizie di Bologna e delle famiglie alle quali prima
appartennero. Studi del conte Giovanni Gozzadini, Bologna 1875.
Greci R., La compagnia dei Lombardi di Bologna, in La compagnia dei Lombardi in
Bologna, Bologna 1992, pp. 13-27.
Greci R., Professioni e “crisi” bassomedievali: Bologna tra Due e Quattrocento, in
Società italiana di Demografia Storica, Disuguaglianza: stratificazione e mobilità
sociale nelle popolazioni italiane, II, Savona 1992, pp. 707-729.
Grendi E., Il cervo e la repubblica. Il modello ligure di antico regime, Torino 1993.
Grundman J.P., The «Popolo» at Perugia 1139-1309, Perugia 1992.
Gualazzini U., Il “populus” di Cremona e l’autonomia del comune, Bologna 1940.
Güterbock F., Alla vigilia della Lega Lombarda. IL dispotismo dei vicari imperiali a
Piacenza, in “Archivio Storico Italiano” 95 (1937), pp. 199-201.
Güterbock F., Piacenzas Beziehungen zu Barbarossa auf Grund des Rechtsstreits um
den Besitz des Poübergangs, , in “Quellen und Forschungen aus italienischen
Archiven und Bibliotheken”, 24 (1933), pp. 62-111.
Guyotjeannin O., I podestà imperiali nell’Italia centro-settentrionale, in Federico II e
le città italiane, a c. di P. Toubert e A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp.
115-128.
Guyotjeannin O., Podestats d’Èmilie centrale: Parme, Reggio et Modene (fin XIIe-
milieu XIVe siècle, in I podestà dell’Italia comunale. Parte I: Reclutamento e
circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII sec.-metà XIV sec.), a c. di J.-C.
Maire Vigueur, I, Roma 2000, pp. 349-403.
Haverkamp A., Herrschftsformen der Frühstaufer in Reichsitalien, I-II, Stuttgart
1970-71.
Haverkamp A., I rapporti di Piacenza con l’autorità imperiale nell’epoca sveva, in Il
registrum Magnum del comune di Piacenza, Atti del Convegno internazionale
di Studio, Piacenza, 29-31 marzo 1985, Piacenza 1986, pp. 79-115.
Haverkamp A., La Lega lombarda sotto la guida di Milano (1175-1183), in La pace
di Costanza 1183. Un difficile equilibrio di poteri fra società italiana ed impero,
Bologna 1984, pp. 159-178.
Heers J., L’esilio, la vita politica, la società nel Medioevo, Napoli 1997.
Heers J., Espaces publiques, espacesprivés dans la ville. Le Liber terminorum de
Bologne (1294), Paris 1984.
Heers J., Partiti e vita politica nell’Occidente medievale, Milano 1983 [ed. or. Am-
sterdam-New York-Oxford 1977].
Hegel C., Storia della costituzione dei municipi italiani, I-II, Milano 1851 [ed. or.
Leipzig 1847].
Herde P., Federico II e il papato. La lotta delle cancellerie in Federico II e le nuove
culture, Atti del XXXI convegno storico internazionale (9-12 ottobre 1994,
Todi), Spoleto 1995, pp. 69-90.
Herde P., Guelfen und Neoguelfen. Zur Geschichte einer nationalen Ideologie vom
Mittelalter zum Risorgimento, Stuttgart 1986.
Hessel A., Storia della città di Bologna dal 1116 al 1280, ed. italiana a c. di G.
Fasoli, Bologna 1975 (ed. or. Berlin 1910)
Hirschmann A. O., Lealtà, Defezione, Protesta. Rimedi alla crisi delle imprese dei
partiti e dello stato, Milano 1982.
Hirschmann A. O., A propensity to self-subversion, Cambridge Masachussetts 1995.
Hyde J. K., Contemporary Views on Faction and Civil Strife in Thirteenth- and
Fourteenth-Century Italy, in: Violence and Civil Disorder in Italian Cities. 1200-
1500, a c. di L. Martines, Berkeley-Los Angeles-London 1972.
Hyde J. K., Padova nell’età di Dante, Padova 1985 [ed. or. Manchester 1966].
Hyde J. K., Società e politica nell’Italia medievale, Bologna 1977.
I podestà dell’Italia comunale. Parte I: Reclutamento e circolazione degli ufficiali
forestieri (fine XII sec.-metà XIV sec.) a c. di J.-C. Maire Vigueur, I-II, Roma
2000.
I problemi della cività comunale. Atti del congresso internazionale per l’VIII cente-
nario della prima Lega Lombarda, Bergamo 1970.
Il Medioevo nell’Ottocento in Italia e Germania, a c. di R. Elze e P. Schiera,
Bologna-Berlin 1988.
Ildefonso di San Luigi, Delizie degli eruditi toscani, 1-24, Firenze 1770-1789.
Jones P. J, Comuni e Signorie: la città-stato nell’Italia del tardo medioevo, in La
crisi degli ordinamenti comunali e le origini dello stato del rinascimento, a c. di
G. Chittolini, Bologna 1979, pp. 99-125.
Jones P.J., The italian City-State. From Comune to Signoria, Oxford 1997.
Jordan E., Les origines de la domination angevine en Italie, Paris 1909, 2 voll..
Kantorowicz E., Federico II imperatore, Milano 1988.
Kantorowicz H., Albertus Gandinus und das Strafrecht der Scholastik, II. Die Pra-
xis. Ausgewälte Strafprozessakten des 13. Jahrhunderts nebst diplomatischer Ein-
leitung, Berlin 1907.
Keller H., Die Entstehung der italienischen Statdkommune als Problem der Sozialge-
schichte, in “Fruhmittelalterlische Studien” 10 (1976), pp. 167-211.
Keller H., Einwohngemeinde und Kommune: Probleme der italienischen Stadtferfas-
sung im 11. Jahrhundert, in “Historische Zeitschrift”, 224 (1977), pp. 561-579.
Keller H., Gli inizi del comune in Lombardia: limiti della documentazione e metodi
di ricerca, in L’evoluzione delle città italiane nell’XI secolo, a c. di R. Bordone,
J. Jarnut, Bologna 1988, pp. 45-70.
Keller H., Signori e vassalli nell’Italia delle città (secoli IX-XII), Torino 1995 [ed.
or.: Tübingen 1979]
Koenig J., Il “popolo” dell’Italia del Nord nel XIII secolo, Bologna 1986.
Kommunales Schriftgut in Oberitalien: Formen, Funktionen, Überlieferung, a c. di
H. Keller, T. Behrma, München 1995.
Kotelnikova L. A., L’emancipazione dei servi di Bologna, in Kotelnikova L. A., Mon-
do contadino e città in Italia dal XI al XV secolo, Bologna 1975, pp. 143-229.
La crisi degli ordinamenti comunali e le origini dello stato del rinascimento, a c. di
G. Chittolini, Bologna 1979.
Lampertico F., I podestà di Vicenza, in Id., Scritti storici e letterari, Vicenza 1883,
II, pp. 355-371.
Landau P., Federico II e la sacralità del potere sovrano, in Federico II e il mondo
mediterraneo, a c. di P. Toubert, A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 31-47.
Lazzari T., Bologna, in I capitanei nell’Italia medievale, in corso di stampa.
Lazzari T., “Comitato” senza città. Bologna e l’aristocrazia del territorio (Secoli IX-
XI), Torino 1999.
Leicht P.S., Storia del diritto italiano. I Il diritto privato, Milano 1941.
Leicht P.S., Visconti e comune a Pisa, in “Rivista di Storia del Diritto Italiano, XI
(1938), pp. 17-22.
Lizier A., Gli Statuti novaresi anteriori al 1402, in “Bollettino storico per la Pro-
vincia di Novara”, 3 (1909).
Lütke Westhues P. - Koch P., Die Kommunale Vermögenssteuer (‘Estimo’) im 13.
Jahrhundert. Rekostruktion und Analyse des Verfahrens, in Kommunales Schrift-
gut in Oberitalien. Formen, Funktionen, Überlieferung, a c. di H. Keller e T.
Behrmann, München 1995, pp. 149-189.
Lütke-Westhues P., Beobachtungen zum Charakter und zur Datierung der ältesten
Statuten der Kommune Pistoia aus dem 12. Jahrhundert, in “Quellen und For-
schungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken”, 77 (1997), pp. 51-83.
Luzzatti M., Firenze e l’area toscana, inStoria d’Italia, diretta da Giuseppe Galasso,
vol. VII* Comuni e signorie nell’Italia nordorientale e centrale: Veneto, Emilia
Romagna, Toscana, Torino 1998, pp. 563-786.
Magnati e Popolani nell’Italia comunale (Atti del Quindicesimo convegno di Studi
Pistoia. 15-18 maggio 1995 del Centro Italiano di Studi di Storia e d’Arte),
Pistoia 1997.
Maire Vigueur J.-C., Flussi circuiti e profili, in I podestà dell’Italia comunale. Parte
I, II, pp. 897-1100.
Maire Vigueur J.-C., Il problema storiografico: Firenze come modello e mito di regi-
me popolare, in Magnati e Popolani nell’Italia comunale (Atti del Quindicesimo
convegno di Studi Pistoia. 15-18 maggio 1995 del Centro Italiano di Studi di
Storia e d’Arte), Pistoia 1997, pp. 1-16.
Maire Vigueur J.-C., Osservazioni sugli statuti pistoiesi del secolo XII, in “Bollettino
Storico Pistoiese”, s. III, 99 (1997), pp. 3-12.
Maire Vigueur J.-C., Représentation et expression des pouvoirs dans les communes
d’Italie centrale (XIIIe-XIVe siècles), in Culture et idéologie dans la genèse de
l’état moderne, Actes de la table ronde organisée par le Centre national de la
recherche scientifique et l’École française de Rome. Rome 15-17 octobre 1984,
Roma 1985, pp. 479-489.
Maire Vigueur J.-C., Révolution documentaire et révolution scripturaire: le cas de
l’Italie Médievale, in “Bibliothèque del l’École des chartes” 153 (1995), pp.
177-185.
Mandelli V., Il comune di Vercelli nel Medioevo. Studi storici, I, Vercelli 1857.
Manselli R., La repubblica di Lucca in Storia d’Italia diretta da G. Galasso, vol.
VII, Comuni e signorie nell’Italia nordorientale e centrale, 2, Lazio, Umbria,
Marche, Lucca, pp. 609-743.
Montagnani A., I Libri bannitorum del comune di Bologna. per una storia del ghi-
bellinismo bolognese. Tesi di Laurea dell’Università degli Studi di Bologna.
Relatore A. I. Pini. a. a. 1971-1972.
Monti S. Riforme degli statuti comaschi in odio ai Torriani prigionieri del Baradello,
in “Periodico della Società Storica per la Provincia e antica diocesi di Como”,
13 (1900), pp. 93-108.
Montorsi W., Plebiscita Bononiae. Il perduto Statutum Populi Bononie ed una rac-
colta di leggi sui beni dei banditi, in “Bullettino dell’Istituto storico italiano
per il Medio Evo”, 73 (1958), pp. 181-298.
Mor C. G., “Dominus Ecerinus”. Aspetti di una forma presignorile, in Studi Ezzeli-
niani, Roma 1963, pp. 81-121.
Moretti M., Sismondi: storiografia e riflessione costituzionale, in “Contemporanea” 1
(1998), pp. 129-138.
Moretti M., Storici accademici e insegnamento superiore della storia nell’Italia unita.
Dati e questioni preliminari, in “Quaderni Storici” 82 (1993), pp. 61-98.
Moretti M.,”L’Italia, la civiltà latina e la civiltà germanica” (1861). Sulle origini
degli studi medievistici di Pasquale Villari, in Italia e Germania. Immagini,
modelli, miti fra due popoli nell’Ottocento. Il Medioevo, a c. di R. Elze e P.
Schiera, Bologna 1988, pp. 299-371.
Morsoletto A., Aspetti e momenti del regime ezzeliniano a Vicenza, in Nuovi Studi
Ezzeliniani, a c. di G. Cracco, I, pp. 267-322.
Muratori L.A., Antiquitates Italicae Medii Aevi, sive dissertationes de moribus, riti-
bus, religione, regimine, magistratibus, legibus, studiis literarum, artibus, lingua,
militia, nummis, principibus, libertate, servitute, foederibus, aliisque faciem et
mores Italici populi referentibus post declinationem Romani Imperii ad annum
usque 1500, I-V, Mediolani 1738-42.
Najemy J. M., Corporativism and Consensus in florentine Electoral Politics (1280-
1400), Chapel Hill , 1982.
Najemy J. M., Stato, comune e “universitas”, in “Annali dell’Istituto storico italo-
germanico in Trento”, 20 (1994), pp. 245-263.
Niccolai F., Contributo allo studio dei più antichi brevi della Compagna genovese,
Milano 1939.
Occhipinti E., Podestà « da Milano » e « a Milano » fra XII e XIV secolo, in I
podestà dell’Italia comunale. Parte I, I, pp. 47-73.
Odorici F., Storie bresciane dai primi tempi sino all’età nostra, I-X, Brescia 1856-
1858.
Oppl F. La politica italiana di Federico I Barbarossa nel Regnum Italicum, in Fede-
rico I Barbarossa e l’Italia, pp. 85-114.
Origini dello stato, a c. di G. Chittolini, A. Molho, P. Schiera, Bologna 1994.
Orioli A., Eresia e ghibellinismo, in Federico II e le città italiane, a c. di P. Tou-
bert e A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 420-430.
Orlandelli G., Il sindacato del podestà. Ranieri da Perugia e la tradizione tabelliona-
le bolognese del secolo XII, Bologna 1975.
Orlandelli G., La revisione del bilancio nel comune di Bologna dal XII al XV seco-
lo, in AMR, n. ser., 2 (1951), pp. 157-218.
Roberti M. e Tovini L., La parte inedita del più antico codice statutario bresciano,
in “Archivio Storico Lombardo” XXXII (1905), pp. 5-46.
Rolandino 1215-1300. Alle origini del notariato moderno, A c. di G. Tamba, Bolo-
gna 2000.
Ronzani M., Pisa e la Toscana, in Federico II e le città italiane, a c. di P. Toubert
e A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 65-83.
Rose R., Tendenze dinamiche nell’autorità dei regimi, in La politica comparata,a c.
di G. Urbani, Bologna 1973.
Rossini E., La signoria scaligera, in Verona e il suo territorio, III, 1, Verona 1975,
pp. 83-311.
Rovelli L., Storia di Como, I, Dalle origini al 1335, Milano 1962.
Rovere A., I libri iurium dell’Italia comunale, in Civiltà comunale: libro, scrittura,
documento, Genova 1989, pp. 157-199.
Rovere A., Tipologie documentali nei Libri iurium, in Scrineum, 1 (1999).
Roversi G., L’ordine della Milizia di Maria Vergine Gloriosa, in Ronzano e i frati
gaudenti, Bologna 1965, pp; 11-50
Ruffini E., La ragione dei più, Bologna 1977.
Sala A., Problemi, avvenimenti, aspetti della vita civile a Bergamo nel secolo XII, in
“Bergomum”, 82 (1987), pp. 32-54.
Salvemini G., I partiti politici milanesi nel secolo XIX, a c. di G. Armani, Milano
1994.
Salvemini G., Magnati e popolani in Firenze dal dal 1280 al 1295 a c. di E. Sestan,
in Opere di Gaetano Salvemini, I, Milano 1960 [ed. or. Firenze 1899]
Sandri G., Un “quaternus condempnationum communs Vicentie” e la sorte degli
ultimi guelfi vicentini, in “Archivio Veneto” (1939), pp. 179-213.
Savioli L.V., Annali Bolognesi, 1-3, Bassano 1784-1791.
Sbriccoli M., «Vidi communiter observari». L’emersione d un ordine penale pubblico
nelle città italiane del secolo XIII, in “Quaderni fiorentini per la storia del
pensiero giuridico moderno”, 27 (1998), pp. 231-268.
Sbriccoli M., Crimen Lesae Maiestatis. Il problema del reato politico alle soglie
della scienza penalistica moderna, Milano 1974.
Schaller H.M., Die Kanzlei Kaiser Friederichs II. Ihr Personal und ihr Sprachstil, in
“Archiv für Diplomatik”, 3 (1957), pp. 207-296; 4 (1958), pp. 264-327.
Schiera P. Presentazione a Simonde de Sismondi J.-C.-L., Storia delle repubbliche
italiane, Torino 1996, pp. IX-XCVI.
Sergi G., Villaggi e curtes come basi economico-territoriali per lo sviluppo del banno,
in Curtis e signoria rurale. Interferenze fra due strutture medievali, a c. di G.
Sergi, Torino 1997, pp. 7-24.
Sestan E., L’erudizione storica in Italia, in Cinquant’anni di vita intellettuale ita-
liana, 1896-1946. Scritti in onore di Benendetto Croce per il suo ottantesimo
anniversario, a c. di C. Antoni e Raffaele Mattioli, vol. II, Napoli 1950, pp.
477-511.
Sestan E., La città comunale italiana dei secoli XI-XII nelle sue note caratteristiche
rispetto al movimento comunale europeo, in Forme di potere e struttura sociale
in Italia nel Medioevo, a c. di G. Rossetti, Bologna 1977, pp. 175-196.
Sestan E., Le origini delle Signorie cittadine: un problema storico esaurito? in: Isti-
tuzioni e società nella storia d’Italia. La crisi degli ordinamenti comunali e le
origini dello stato del Rinascimento, a c. di G. Chittolini, Bologna 1979, pp.
53-75. [già in “Bullettino dell’Istituto Storico Italiano” (1961)].
Sestan E., Le origini delle Signorie cittadine: un problema storico esaurito? in: Isti-
tuzioni e società nella storia d’Italia. La crisi degli ordinamenti comunali e le
origini dello stato del Rinascimento, a c. di G. Chittolini, Bologna 1979, pp.
53-75. [già in “Bullettino dell’Istituto Storico Italiano” (1961)]
Shaw C., The politics of exile in Renaissance Italy, Cambridge 2000.
Simeoni L., Bologna e la politica Italiana di Enrico V, in AMR, 2 (1936-1937), pp.
147-166.
Simeoni L., Il comune Veronese fino a Ezzelino e il suo primo statuto, estratto dalla
“Miscellanea di Storia Veneta della R. Deputazione di Storia Patria”, s. III,
vol. XV, Venezia 1920.
Simeoni L., La liberazione dei servi a Bologna nel 1256-57, in “Archivio Storico
Italiano” 109 (1951), pp. 3-26.
Simeoni L., La lotta per le investiture a Bologna e la sua azione sulla città e sullo
Studio, in “Atti dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Classe di
scienze morali. Memorie”, s. IV, 3 (1941), pp. 117-137.
Simeoni L., Le proporzioni e le forme delle espulsioni dei partiti vinti in Italia nel
secolo XIII, in Seventh international Congress of historical Sciences. Rapports I,
Warsaw 1933.
Simeoni L., Note sulla formazione della Seconda Lega Lombarda, in “Memorie della
reale Accademia delle scienze di Bologna”, classe di scienze morali, III, VI
(1932), pp. 3-52.
Simeoni L., Ricerche sulle origini della signoria estense a Modena, Modena 1919,
estratto da “Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le pro-
vincie Modenesi”, V, vol. XII (1919).
Simonde de Sismondi, J.-Ch.-L., Storia delle Repubbliche italiane dei secoli di mez-
zo, Capolago 1831-32, 16 voll. [ ed or. Paris 1807-1818].
Simonde de Sismondi, J.-Ch.-L., Storia delle Repubbliche italiane, Torino 1996 [ed.
or. London 1832].
Skinner Q., Le origini del pensiero politico moderno, Bologna 1989.
Skinner Q., Machiavelli’s Discorsi and the pre-humanistic origins of republican ideas,
in Machiavelli and Republicanism, a c. di G. Bock, Q. Skinner, M. Viroli,
Cambridge 1990, pp. 121-141.
Soldi Rondinini G., «Ad Honorem Imperii cui fide et devotione tenemini»: Federico
II e le città lombarde, in «Nuova Rivista Storica», 80 (1997), pp. 1-19.
Solmi A., Le leggi più antiche del comune di Piacenza, in “Archivio Storico Italia-
no”, LXXIII (1916), pp. 3-81.
Solmi A., recensione a Anzilotti, La crisi costituzionale, in “Archivio Storico Italia-
no”, LXXI (1913), pp. 160-172.
Somaini G., Processi costitutivi, dinamiche politiche e strutture istituzionali dello stato
visconteo-sforzesco, in Storia d’Italia, diretta da Giuseppe Galasso, vol. VI Comu-
ni e signorie nell’Italia Settentrionale: la Lombardia, Torino 1998, pp. 681-786.
Starn R., Contrary Commonwealth. The Theme of Exile in Medieval and Renaissan-
ce Italy, Berkeley-Los Angeles-London [1982].
Statutencodices des 13. Jahrhunderts als Zeugen pragmatischer Schriftlichkheit, die
Handschriften von Como, Lodi, Novara und Voghera, a c. di H. Keller, J. W.
Busch, München 1991.
Storti Storchi C., Diritto e istituzioni a Bergamo dal Comune alla Signoria, Milano
1984.
Tabacco G., Egemonie sociali e strutture del potere nel medioevo italiano, Torino
1979.
Tabacco G., Ghibellinismo e lotte di partito nella vita comunale italiana, in: Fede-
rico II e le città italiane, a c. di P. Toubert e A. Paravicini Bagliani, Palermo
1994, pp. 335-343.
Tabacco G., I rapporti tra Federico Barbarossa e l’aristocrazia italiana, in Federico I
Barbarossa e l’Italia, pp. 61-83.
Tabacco G., La città italiana fra germanesimo e latinità nella medievistica ottocente-
sca, in Il Medioevo nell’Ottocento in Italia e Germania, pp. 23-42.
Tabacco G., La costituzione del regno italico al tempo di Federico Barbarossa, in
Popolo e Stato in Italia nell’età di Federico Barbarossa, pp. 163-177.
Tabacco G., Nobili e cavalieri a Bologna e a Firenze fra XII e XIII secolo, in
“Studi medievali”, ser. III, 17 (1976), pp. 41-79.
Tabacco, Muratori medievista, in L.A. Muratori storiografo. Atti del convegno inter-
nazionale di studi muratoriani. Modena 1972, Firenze 1975.
Tamba G., “Libri”, “Libri contractuum”, “Memorialia” nella prima documentazione
finanziaria del comune di Bologna, in “Studi di Storia medievale e di Diploma-
tica” 11 (1990), pp. 79-110.
Tamba G., Consigli elettorali degli ufficiali del comune Bolognese alla fine del XIII
secolo, in “Rassegna degli Archivi di Stato” 42 (1982), pp. 34-95.
Tamba G., Il consiglio del popolo di Bologna. Dagli ordinamenti popolari alla signo-
ria (1283-1336), in “Rivista di Storia del diritto italiano” 69 (1996), pp. 49-93.
Tamba G., Note per una diplomatica del Registro Grosso, il primo «liber jurium»
bolognese, in Studi in memoria di Giovanni Cassandro, III, Roma 1991, pp.1033-
1048.
Tamba G., Per atto di notaio. Le attestatzioni di debito a Bologna alla metà del
secolo XIII, in “Melanges de l’Ecole Française de Rome. Moyen Âge”, 109
(1997), pp. 525-544.
Tiraboschi G., Memorie storiche modenesi col Codice diplomatico, 1-5, Modena
1793-94.
Torelli P., Studi e ricerche di diplomatica comunale, Roma 1988 [già in “Atti e
memorie della Regia Accademia Virgiliana di Mantova” nuova serie, IV (1910)].
Torre A., Faide, fazioni e partiti, ovvero la ridefinizione della politica nei feudi
imperiali delle Langhe tra Sei e Settecento, in “Quaderni Storici” 21 (1986),
pp. 775-810.
Ullman W., Frederick II’s opponent. Innocent IV, in Ullman W., Law and Jurisdic-
tion in Middle Ages, London 1988.
Ullmann W., The Individual and Society in the Middle Ages, Baltimore 1966 (cfr.
la recensione di G. Post in “Speculum”, XLIII (1968), 387-390).
Vaccari P., L’affrancazione dei servi nell’Emilia e nella Toscana, Bologna 1926.
Vaccari P., Pavia nell’età comunale in Storia di Pavia, III Dal libero comune alla
fine del principato indipendente 1024-1535, 1 Società, istituzioni, religione nelle
età del comune e della signoria, Milano 1992 [estratto da Vaccari P., Pavia
nell’alto medioevo e nell’età comunale. Profilo storico, Milano 1956]
Vaini M., Dal comune alla signoria. Mantova dal 1200 al 1328, Milano 1986.
Valentini P., Gli statuti di Brescia dei secoli XII al XXV illustrati e documenti
inediti, in “Nuovo Archivio Veneto”, t. XV (1898), p. II, pp. 370-376.
Vallerani M., Introduzione generale: Il Comune di Cremona e le sue alleanze tra
XII e XIII secolo, in I patti tra Cremona e le città della regione padana (1183
al 1213), in “Bollettino storico cremonese” (1998), pp. 3-15.
Vallerani M., Cremona nel quadro conflittuale delle città padane nell’età di Federico
II, in Cremona città imperiale. Nell’VIII centenario della nascita di Federico II.
Atti del Convegno internazionale di Studi (Cremona 27-28 ottobre 1995), Cre-
mona 1999, pp. 41-69.
Vallerani M., Il sistema giudiziario del comune di Perugia. Conflitti reati e processi
nella seconda metà del secolo XIII, Perugia 1991.
Vallerani M., L’affermazione del sistema podestarile, in Storia d’Italia, diretta da
Giuseppe Galasso, vol. VI Comuni e signorie nell’Italia Settentrionale: la Lom-
bardia, Torino 1998, pp. 385-426.
Vallerani M., L’amministrazione della giustizia a Bologna in età podestarile, in “AMR”
43 (1992) pp.291-316.
Vallerani M., Le città lombarde nell’età di Federico II, in Storia d’Italia, diretta da
Giuseppe Galasso, vol. VI Comuni e signorie nell’Italia Settentrionale: la Lom-
bardia, Torino 1998, pp. 385-480.
Vallerani M., Le leghe cittadine: alleanze militari e relazioni politiche, in in Federico
II e le città italiane, a c. di P. Toubert e A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994,
pp. 389-402.
Vallerani M., Modelli di comune e modelli di stato nella medievistica italiana fra
Otto e Novecento, in “Scienza e politica” 17 (1997), pp.65-86.
Vallerani M., Modi e forme della politica pattizia di Milano nella regione piemonte-
se: alleanze e atti giurisdizionali nella prima metà del Duecento, in “Bollettino
storico-bibliografico subalpino” 96 (1998), pp. 619-655.
Vallerani M., Ufficiali forestieri a Bologna (1200-1326) , in I podestà dell’Italia co-
munale. Parte I: Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII
sec.-metà XIV sec.) a c. di J.-C. Maire Vigueur, I, Roma 2000I, pp. 289-308.
Vallerani M.V., Sfere di Giustizia. Strutture politiche, istituzioni comunali e ammini-
strazione della giustizia a Bologna tra Due e Trecento, Tesi di dottorato del-
l’Università degl studi di Torino, a.a. 1991-1992.
Varanini G..M., Il comune di Verona, la società cittadina ed Ezzelino III da Roma-
no, in Nuovi Studi Ezzeliniani, I, pp. 115-160.
Varanini G.M., L’organizzazione del distretto cittadino nell’Italia padana nei secoli
XII-XIV (Marca Trevigiana, Lombardia, Emilia), in Città e territorio in Italia e
in Germania, a c. di G. Chittolini e D. Willoweit, Bologna 1994, pp. 133-234.
Varanini G.M., La marca trevigiana, in Federico II e le città italiane, a c. di P.
Toubert e A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 48-64.
Varanini G.M., Primi contributi alla storia della classe dirigente veronese del Due-
cento. Un documento del giugno 1230, in Viridarium Floridum, Studi di storia
veneta offerti dagli allievi a Paolo Sambin, a c. di M. C. Billanovich, G. Crac-
co, A. Rigon, Padova 1984, pp. 191-228.
Varanini G.M., Reclutamento e Circolazione dei podestà fra governo comunale e
signoria cittadina: Verona e Treviso, in I podestà dell’Italia comunale. Parte I:
Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII sec.-metà XIV sec.)
a c. di J.-C. Maire Vigueur, I, Roma 2000, pp. 169-201.
Vasina A., I romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale nell’età di
Dante, Firenze 1995.
Ventura A., La vocazione aristocratica della Signoria, in La crisi degli ordinamenti
comunali e le origini dello stato del rinascimento, a c. di G. Chittolini, Bologna
1979, pp. 77-98.
Verci G.B., Storia degli Eccelini, I-VIII, Bassano 1779.
Vicini E.P, I podestà di Modena (1156-1796. Parte prima (1156-1336), Roma 1918.
Vignati C., Lodi e il suo territorio, Cosenza 1961 [ristampa anastatitica dell’edizio-
ne Lodi 1859].
Villari P., I primi due secoli della storia di Firenze. Ricerche, I-II, Firenze 1893-94.
Villari P., L’Italia, la civiltà latina e la civiltà germanica. Ossevazioni Storiche, Firen-
ze 1862.
Violante C., Considerazioni esterne e processi costituzionali; note sul “realismo” sto-
riografico del primo Volpe, in Annali dell’Istituto Storico italo-germanico in
Trento, IV (1978), pp.235-254.
Violante C., La società milanese nell’età precomunale, Bari 1974 [ed. or. Napoli
1953]
Vismara G., Struttura e istituzioni della prima Lega Lombarda (1167-1183), in Popo-
lo e Stato in Italia nell’età di Federico Barbarossa, pp. 293-322.
Vitale V. Guelfi e ghibellini a Genova nel Duecento, in “Rivista Storica Italiana” 52
(1948), pp. 525-541.
Vitale V., Il dominio della parte guelfa in Bologna, Bologna 1901.
Volpe G., Movimenti religiosi e sette ereticali nella società medievale italiana, Firen-
ze 1922.
Von Moos P., Muratori und die Anfänge der italienischen Mediävistik, in « Mittella-
teinischens Jahrbuch », 31 (1996), pp. 21-37.
Waley D., Guelfs and Ghibellines at San Gimignano, c. 1260-c. 1320: A Political
Experiment, in “Bullettin of the John Rylands University Library of Manche-
ster”, 72 (1990), pp. 1999-212.
Waley D., Le città-repubblica dell’Italia medievale, Torino 1980.
Wandruszka N., Die Oberschichten Bolognas und ihre Rolle wärend der Ausbildung
der Kimmune (12. und 13. Jahrhundert), Frankfurt am Mein. 1993.
Wandruszka N., Die Revolte des Popolo von 1228 in Bologna, in Bene vivere in
comunitate. Beiträge zum italienischen und deutschen Mittelalter. Hagen Keller
zum 60. Geburtstag überreicht von seinen Schülerinnen un Schülern, a c. di T.
Scharff e T. Behrmann, Münster 1997, pp. 49-63.