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Carestie e cronisti nel Trecento: Roma e Firenze nel racconto dell'Anonimo e di Giovanni

Villani
Author(s): Luciano Palermo
Source: Archivio Storico Italiano , 1984, Vol. 142, No. 3 (521) (1984), pp. 343-375
Published by: Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l.

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Carestie e cronisti nel Trecento:
Roma e Firenze nel racconto dell'Anonimo
e di Giovanni Villani

Il ciclo carestia-epidemia e il suo intreccio abituale con la


guerra non è una scoperta degli storici moderni: i cronisti me
dioevali, nella maggior parte dei casi, ne sono pienamente con
sapevoli. La lettura dei loro scritti costituisce, pertanto, una
delle principali vie che possono essere seguite per penetrare in
quella complessa realtà che è la carestia medioevale, le cui carat
teristiche e il cui ruolo storico, come comunemente affermano
gli studiosi, ci rimangono ancora sostanzialmente sconosciuti.1
La frequenza drammatica nel mondo medioevale europeo

1 In mancanza di uno studio sistematico della carestia medioevale, questo


tema va rintracciato sulle storie dell'agricoltura e in generale dell'economia ru
rale, dove non sempre viene trattato con l'ampiezza che la sua importanza richie
derebbe. Questa carenza è stata più volte messa in luce dagli studiosi. E. Car
pentier ha scritto che « la faim au Moyen Age attend toujours son historien »
(Autour de la peste noire: famines et épidémies dans l'histoire du XIV' siècle,
« Annales ESC », 6, 1972, p. 1074); G. Duby afferma che « questo settore della
storia dell'alimentazione è anch'esso insufficientemente esplorato; d'altra parte
bisogna riconoscere che è particolarmente difficile studiarlo » (L'economia rurale
nell'Europa medievale, Bari 1970, voi. II, p. 452); secondo G. Cherubini « sulle
carestie medievali, nonostante il continuo avanzamento della ricerca, le nostre
conoscenze sono in verità approssimative » (Agricoltura e società rurale nel Me
dioevo, Firenze 1972, p. 8). Per quanto riguarda in particolare il XIV secolo,
sono stati fatti alcuni studi specifici, dedicati a singole regioni europee; abbon
danti indicazioni bibliografiche sono presenti nel volume L'agricoltura e la società
rurale nel Medioevo, « Storia economica Cambridge », voi. 1, Torino 1976,
p. 1034; v. inoltre E. Carpentier, op. cit.; E. Perroy, Les crises du XIV' siècle,
«Annales ESC», 2, 1949; H. S. Lucas, The great european jamine of 1315,
« Speculum », XV, 1930; altri lavori particolari sull'Italia centrale sono indicati
nelle pagine seguenti.

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della carestia, che come fenomeno storico ha peraltro lasciato


tracce assai abbondanti, nulla toglie alla difficoltà di dare poi
un senso a queste tracce per ricostruire i sistemi ideologici ed
economici che attorno a questi terribili eventi sorgevano, e ciò
può essere compreso se si considera quanto complessi fossero i
fattori che attorno alla carestia si componevano e si scompone
vano con ritmo serrato. La paura ancestrale di restare senza cibo
accompagna costantemente la vita dell'umanità medioevale: essa
giustifica una concezione ostile della natura, di fronte alla quale
l'uomo risulta inadeguato e perdente o, tutt'al più, vincitore a
prezzo di grandi fatiche; da essa scaturisce il terrore dell'ira di
Dio, che con la privazione del cibo e con la malattia punisce la
malvagità umana; ad essa possono essere ricondotti gli scontri
violenti che si verificano in quei momenti in cui appare chiaro
che la penuria di cibo è dovuta ai giochi economici dei potenti,
che per raggiungere i propri obbiettivi non esitano ad affamare
città ed intere regioni.
È possibile comprendere tutto ciò attraverso la lettura delle
cronache? A questa domanda non può essere data una risposta
generica.2 Ogni cronista ha un suo livello di attendibilità, ha i
suoi interessi dominanti, ha una sua cultura, ha una sua capacità
di comprendere uomini e fatti, ha un suo modo di esprimersi.
Non solo, ma nessuna cronaca può sostituire le informazioni che
sui contratti agrari, sui livelli di produttività delle campagne,
sulle quantità dei consumi, sulla politica annonaria dei gover
nanti possono essere ricavate da fonti ben più specifiche, s'in
tende quando ci sono. I dati delle cronache vanno, dunque, con
trollati ed integrati, eppure la loro lettura consente spesso di
cogliere aspetti anche assai complessi di questa problematica che
nessun dato tecnico da solo riuscirà a far emergere.
Una prima risposta non generica all'interrogativo sulla pos
sibilità di utilizzare le cronache quali fonti per la storia delle

2 Secondo il Duby (op. cit., voi. II, p. 452) non sempre le cronache danno
modo di valutare la gravità della penuria alimentare. Giudizi simili o contrap
posti presentano gli Autori citati alla nota 10.

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carestie può essere fornita dall'esame del caso romano. Nel corso
del XIV secolo, infatti, la città di Roma fu visitata sistematica
mente dal ciclo carestia-epidemia e le sparse informazioni che ci
sono pervenute dai vari episodi luttuosi acquistano organicità e
quindi rilievo storico quando vengono inserite nell'ampio qua
dro che per molti decenni del Trecento ci viene offerto dalla
Cronica dell'Anonimo romano 3 e da quella scritta da Giovanni
Villani e dai suoi continuatori.4 La singolarità della situazione
delle fonti della storia economica romana trecentesca, che si con
centrano attorno ad alcune tipologie ed alcune epoche 5 (si pensi
ai minutari notarili6 o alle serie documentarie dei registri e delle
lettere dell'Archivio Datini)7 mentre sono frammentarie o as
senti del tutto per altri momenti pure assai importanti della sto
ria cittadina di questo secolo, rende particolarmente preziosa e
significativa la presenza di questi due straordinari scrittori; l'uno,
e cioè l'Anonimo, direttamente legato all'ambiente culturale ro

3 Anonimo romano, Cronica, a cura di G. Porta, Milano 1981 (d'ora in


avanti: Anonimo).
4 G. Villani, Cronica, con le continuazioni di Matteo e Filippo, Firenze
1845-1847 (d'ora in avanti: Villani).
5 Un esame di queste fonti, accompagnato da una serie di giudizi sulla
loro consistenza, si trova in E. Duprè Theseider, Roma dal comune di popolo
alla signoria pontificia, in Storia di Roma, voi. XI, Bologna 1952, pp. 718-719.
Il medesimo Autore parla di un vero e proprio « naufragio della documentazione
medievale. romana » (ibid., p. 40).
6 Sulla consistenza dei minutari notarili romani e sui dati che per la storia
economica e sociale possono essere da essi ricavati v. C. Gennaro, Mercanti e
bovattieri nella Roma della seconda metà del Trecento, « Bullettàio dell'Istituto
Storico Italiano per il Medio Evo», 78, 1967; J.-C. Maire-Vigueur, Classe
dominante et classe dirigeantes à Rome à la fin du Moyen Age (1348-1428),
in Storia della città, 1, 1976.
7 Sull'Archivio Datini di Prato v. il fondamentale lavoro di F. Melis,
Aspetti della vita economica medievale (Studi nell'Archivio Datini di Prato),
Siena 1962; per una possibile utilizzazione di tale Archivio per la storia econo
mica di Roma v. F. Melis, Movimento di popoli e motivi economici nel giubileo
del 1400, in Miscellanea Gilles Gérard Meersseman (« Italia sacra », 15-16),
Padova 1970; A. Esch, La fine del libero comune di Roma nel giudizio dei
mercanti fiorentini. Lettere romane degli anni 1395-1398 nell'Archivio Datini,
« Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo », 1976-1977, pp. 235
277; L. Palermo, Il porto di Roma nel XIV e XV secolo. Strutture socio
economiche e statuti, Roma 1979, p. 103 sgg.

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mano,8 l'altro, il Villani, « sempre informato ed attendibile » 9


quando parla di cose romane. I loro scritti sono stati spesso uti
lizzati come filo conduttore per la ricostruzione degli eventi ac
caduti nel Trecento romano e i dati che essi offrono agli studiosi
sono stati sottoposti al vaglio più accurato e sono risultati am
piamente confermati dalle altre fonti contemporanee.10
Una seconda risposta al medesimo interrogativo è offerta dal
costante riferimento che le due cronache qui ricordate fanno alla
situazione, nella medesima epoca e cioè soprattutto nella prima
metà del Trecento, della città di Firenze. A parte i pochi cenni
che alla città toscana dedica l'Anonimo, è soprattutto il Villani
ad occuparsi di quella che era la sua città natale. Risalta, anzi,
immediatamente agli occhi il continuo parallelismo che questa
cronaca presenta tra Roma e Firenze, ed è particolarmente signi
ficativo che si riscontri operante questo parallelismo soprattutto
nei capitoli che il Cronista dedica al dispiegarsi del ciclo carestia
epidemia, nei quali Roma e Firenze sono ampiamente privile
giate rispetto alle informazioni che pure il Cronista ci dà sulle
altre città e regioni italiane ed europee. Le vicende interne, poli
tiche ed economiche, di queste due città sono descritte proprio

8 Cfr. L. Felici, La « Vita di Cola di Rienzo » nella tradizione cronachi


stica romana, « Studi Romani », 3, 1977, p. 325 sgg. Sulla Cronica dell'Anonimo
v. inoltre G. Castellani, I « Frammenta Romanae Historiae ». Studio prepara
torio alla nuova edizione di essi, « Archivio della Società Romana di Storia
Patria», XLIII-XLIV, 1920-1921; F. A. Ugolini, La prosa degli «Historiae
romanae fragmenta » e della cosiddetta « Vita di Cola di Rienzo », ibid., LVIII,
1935; Id., Preliminari al testo critico degli Historiae romanae fragmenta, ibid.,
LXVIII, 1945; G. Contini, Invito ad un capolavoro, « Letteratura », IV, 1940;
Id., Letteratura italiana delle origini, Firenze 1970.
9 II giudizio è di E. Duprè Theseider (op. cit., p. 464); altrove lo stesso
Autore definisce il Villani « straordinariamente minuzioso nella sua informa
zione » (ibid., p. 457) e « sempre interessato a Roma e bene informato » (ibid.,
p. 503). Sul Villani e sulla sua Cronica v. G. Aquilecchia, « Introduzione »
a Giovanni Villani, Cronica (parti scelte), Torino 1979, con amplissima nota
bibliografica alle pp. xxvii-xxxi.
10 Cfr. ad esempio l'opera citata di E. Duprè Theseider, che segue di pari
passo il testo delle due cronache. In particolare per quanto riguarda il Villani
e le discussioni sulla attendibilità delle notizie economiche da lui fornite v.
A. Sapori, L'attendibilità di alcune testimonianze cronistiche dell'economia me
dievale, in Studi di Storia economica medievale, Firenze 1940, p. 127 sgg.;
A. Frugoni, Giovanni Villani, « Cronica », XI, 94, « Bullettino dell'Istituto
Storico Italiano per il Medio Evo », 77, 1965.

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nei drammatici momenti della penuria alimentare e della diffu


sione delle malattie in modo tale che il lettore non può evitare
di stabilire un confronto tra le due analisi che il testo presenta.
Analogie e differenze sono colte assai finemente dal Cronista a
ulteriore riprova di una più che affidabile capacità di intuire e
descrivere il senso degli eventi. D'altra parte, la propensione a
stabilire un confronto tra le situazioni delle due città scaturiva
dalla cultura stessa del Cronista che aveva in mente una idea
grandiosa di Roma e della sua funzione nella storia alla quale
poi corrispondeva la realtà di una città misera e dilaniata, che
proprio nel Trecento si rivolgeva a Firenze (è lo stesso Villani
a raccontarcelo) per avere un modello istituzionale da imitare."
Rispetto per Roma, dunque, ma gusto sottile di dimostrare la
superiorità dei fiorentini di fronte agli antichi padroni del mondo:
questo è il retroterra culturale che caratterizza il taglio della let
tura degli eventi, e va tenuto ben presente per comprendere il
senso dei giudizi che il Cronista ci offre.
La presenza del ciclo carestia-epidemia è costante nel rac
conto di entrambi i Cronisti. Dall'insieme delle loro osserva
zioni scaturisce un quadro assai ampio dei vari aspetti attraverso
cui si manifestava quella che potremmo definire come una vera
e propria « cultura della carestia ». Non è difficile comprendere
perché questa si sia andata formando: città come Roma o Fi
renze, ma lo stesso discorso potrebbe essere fatto per qualunque
altra città italiana dell'epoca,12 erano costantemente assillate dal
problema dei rifornimenti alimentari e regolarmente colpite dalla
carestia e dalle malattie che la denutrizione contribuiva a diffon
dere; 13 la vita di tutti i giorni era, dunque, sempre accompa

11 Villani, XI, 96. Su questo tema v. oltre alla p. 371.


12 Cfr. L. A. Kotel'nikova, Mondo contadino e città in Italia dall'XI al
XIV secolo, Bologna 1975, p. 99 sgg.; G. Tabacco, La storia politica e sociale,
in Storia dltalia, voi. 2, tomo I, Torino 1974, p. 189 sgg. In particolare per la
situazione romana v. P. Brezzi, Il sistema agrario nel territorio romano alla fine
del Medio Evo, « Studi Romani », 2, 1977; L. Palermo, op. cit., p. 39 sgg.
13 Cfr. L. Genicot, Crisi: dal Medioevo all'età moderna, Storia econo
mica Cambridge, voi. 1, Torino 1976, p. 803 sgg.; C. M. Cipolla, La penisola
italiana e la penisola iberica, ibid., voi. 3, Torino 1977, p. 465 sgg.; E. Car

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gnata e condizionata dal possibile sopraggiungere del flagello e


dalla necessità di difendersene quando fosse arrivato. La « cul
tura della carestia » seguiva perciò lo svolgersi quotidiano del
l'esistenza e si manifestava in tutte quelle forme che in qualun
que modo potevano creare delle barriere difensive di fronte alla
fame e alle malattie: intervento nelle strutture economiche,
quindi, e talvolta anche in modo assai violento, ma anche co
struzione di una ideologia adeguata, cioè utile a stimolare di
volta in volta la lotta o la rassegnazione.
Questi vari e contrastanti atteggiamenti affiorano nei testi
delle cronache. Sia l'Anonimo che il Villani posseggono una
cultura della carestia dotata di caratteristiche sostanzialmente
simili. In entrambe le cronache si assiste al confluire in un'unica
sintesi culturale di vari elementi ben distinti: vi è anzitutto il
ricorso alla volontà divina come giustificazione del sopraggiun
gere e del dileguarsi dell'evento guerra-carestia-epidemia, volontà
che si manifesta in modo assai chiaro attraverso straordinari fe
nomeni celesti, veri e propri messaggi che il cielo invia all'uma
nità con valore di ammonimento e di preavvertimento; questo
elemento ideologico-religioso è perfettamente fuso alla descri
zione minuziosa delle condizioni del clima, ulteriore causa di ca
restie e malattie, poiché anche i cataclismi meteorologici sono
uno strumento dell'ira di Dio; vi è infine un'analisi, spesso pre
cisa ed accurata delle reali forze economiche e sociali che ope
rano in una fase catastrofica e si rimane spesso stupiti per la
chiarezza con cui vengono individuati i meccanismi economici
che provocano la penuria e fanno salire i prezzi delle derrate ali
mentari. Tutti e tre questi elementi (ideologico, climatologico ed
economico) risultano fusi insieme nel dar luogo a questa cultura
complessiva di cui parliamo, è bene sottolinearlo ancora, anche
se in sede di analisi dei testi è opportuno distinguere ciascuna
componente per poterne individuare il ruolo specifico nella men

pentier, op. cit., p. 1086 sgg.; L. Febvre, La peste noire de 1348, « Annales
ESC», 4,1949.

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talità del Cronista e le informazioni particolari che offre alla


conoscenza della vita cittadina.

Il primo di questi elementi, quello ideologico-religioso, è


presente in modo massiccio nel XIV secolo, ed entrambi i Cro
nisti ne offrono la più ampia testimonianza. Esso costituisce una
vera e propria cornice sacrale, sorretta in egual misura dalla
astrologia e dalla religione propriamente detta, entro cui gli
eventi luttuosi acquistano una collocazione ed un significato
preciso.14
La migliore formulazione di questa ideologia della carestia
ci è stata lasciata da Giovanni Villani nel secondo capitolo del
l'undicesimo libro della sua opera. Si tratta di un completo mani
festo ideologico che prende lo spunto da un terribile cataclisma
che colpì Firenze ai primi di novembre del 1333, seguito da un
« gran difetto » di farina e di pane. Si chiede dunque il Cronista
se queste disgrazie siano avvenute per cause naturali o per vo
lontà di Dio e registra accuratamente le risposte che vennero
date a questo interrogativo. Gli studiosi di astrologia attribui
rono le cause dei flagelli al movimento e all'influsso dei corpi
celesti; i teologi aggiunsero a ciò la considerazione che lo stesso
movimento degli astri è controllato dalla volontà di Dio e dun
que in ultima analisi è a quest'ultima che va attribuita la piena
padronanza di ciò che accade nel mondo degli uomini. Accet
tando nella sostanza questo ragionamento, il Villani si dilunga
nel racconto di tutte le disgrazie da cui Firenze era stata colpita
dall'anno 1300 in poi, e l'intera sequela dei fatti è interpretata
come una serie di « battiture e discipline » che Dio ha voluto
infliggere all'umanità peccatrice.15 E perciò durante il diluvio del

14 Attorno alla problematica della sacralità medioevale cfr. P. Brezzi, Il


Medio Evo alla luce della sociologia religiosa, nella Miscellanea in onore di
R. Morghen, a cura dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1974;
Id., Cronache universali e storia della salvezza, in Metodologia storiografica e
problematica medioevale, Roma 1975, p. 195 sgg.
15 Questi medesimi concetti sono presenti nella Introduzione alla prima
giornata del Decameron, nella quale il Boccaccio descrive la pestilenza « per
operazion de' corpi superiori o per le nostre inique opere, da giusta ira di Dio
a nostra correzione mandata ».

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1333 « le più delle genti di Firenze ricorsono alla penitenzia e


comunicazione, e fu ben fatto per appaciare l'ira di Dio ».16
Nello schema ideologico che il Villani così presenta l'evento
catastrofico, qualunque esso sia, è preceduto da un fenomeno
celeste ed è seguito e concluso da una manifestazione religiosa.
Il fenomeno celeste può essere costituito dall'apparizione di una
cometa o da una speciale influenza astrale.
Anche l'Anonimo romano accetta sostanzialmente questa me
desima impostazione ideologica degli eventi. E mentre il Villani
cita come fonti della propria sapienza astrologica i poeti latini
Stazio 17 e Lucano,18 oltre ai « savi astrolagi »19 che pur senza i
nomi compaiono costantemente nel testo della sua Cronica,
l'Anonimo si rivolge addirittura al testo aristotelico dei Meteoro
logici™ Il giudizio sul significato dell'apparizione delle comete
e in generale sul valore da attribuire agli influssi astrali è dun
que identico, poiché scaturisce da una linea culturale che aveva
radici assai solide nel Medioevo europeo e da cui entrambi i Cro
nisti sono fortemente influenzati.21 Secondo il Villani la cometa
« è segno di futura novità al secolo il più delle volte in male, e
talora è segno di morte di grandi signori, o trasmutazione di
regni o di genti, e massimamente nel climato del pianeta che
l'ha criata, e dove stende sua signoria significa più mali, cioè
fame, mortalità, novità, e altre gran cose ».22 L'Anonimo, ripor
tando le affermazioni di Aristotele, afferma che « questa mai
non appare, che non significhi no vitati granni, spezialmente so

16 Villani, XI, 2. Si noti anche qui l'uso dell'espressione « ira di Dio ».


17 Ibid., IV, 91.
•8 Ibid.
19 Ibid., IV, 24.
20 Anonimo, p. 25.
21 Cfr. E. Mehl, Die W eltanschauung des Giovanni Villani, Berlin 1927,
p. 161 sgg. (Das astrologische Geschichtsbild), p. 174 sgg. (Christentum und
Astrologie). V. inoltre le recensioni all'opera del Mehl a cura di F. Chabod,
« Nuova Rivista Storica », 3-4, 1929, pp. 336-339, e di N. Carotti, « Rivista
Storica Italiana», XLVIlI, 1930-1931, pp. 102-110.
22 Villani, XI, 68.

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pra li principi della terra, e commozioni di reami e morte e ca


duta de potienti ».23
L'importanza attribuita all'evento celeste spinge i Cronisti a
registrare accuratamente nei loro testi tutte le occasioni in cui
comete e astri si affacciano sull'orizzonte umano, e la frequenza
delle apparizioni è tale che si potrebbe concludere che mai l'uma
nità è stata così intensamente raggiunta da messaggi celesti come
nella prima metà del XIV secolo. Per tralasciare le annotazioni
relative alle epoche precedenti, una cometa appare, secondo il
Villani, nel 1301; 24 nel 1309 « uno grandissimo fuoco »25 (se
guito l'anno successivo dalla carestia); nel 1314 un'altra cometa 26
(accompagnata da pestilenze e carestia); nel 1337 due comete27
(seguite da anni di carestia); nel 1340 un'altra cometa 28 (e pro
vocò la pestilenza); nel 1347 un'altra cometa ancora 29 (e giunse
la celebre pestilenza dell'anno successivo).
E all'elenco delle comete bisogna aggiungere, come si diceva,
la presenza delle influenze astrali. Queste danno luogo nel testo
delle cronache a veri e propri studi assai approfonditi ed accu
rati sui vari significati che può assumere la presenza o l'assenza
di stelle e pianeti.30 Ad esempio, la carestia del 1329, che colpisce
Roma, Firenze e varie altre regioni italiane, è così introdotta dal
Villani:

E nota che, sempre che la pianeta di Saturno sarà nella fine del
segno del Cancro e infino al ventre del Leone, carestia fia in questo
nostro paese d'Italia.31

23 Anonimo, p. 25.
24 Villani, Vili, 48. In precedenza altre comete in IV, 24 e VI, 91.
25 Ibid., VIII, 109.
26 Ibid., IX, 12.
» Ifóf., XI, 68.
M Ifóf., XI, 114.
29 Ibid., XII, 98. V. inoltre Matteo Villani, III, 37.
M Villani, XI, 2 e XI, 68.
3' Ibid., X, 118.

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E subito viene aggiunta la spiegazione dei motivi della in


fluenza negativa di Saturno:

Ma naturalmente parlando, Saturno, secondo il detto de' poeti


e astrologi, è lo Dio de' lavoratori: ma più vero la sua influenza porta
molto all'overaggio e semente delle terre; e quand'egli si truova nelle
case e segni suoi avversi e contrari come il Cancro e più il Leone,
adopera male le sue virtù nella terra, perocch'egli è di naturale ste
rile, e il segno del Leone, sterile; sicché dà caro e sterilità, e non
ubertà e abbondanza.32

Una descrizione così precisa delle cause astrologiche della


carestia è molto più di un semplice avvertimento e di una pre
monizione; essa poteva sfociare facilmente in una concezione
deterministica che avrebbe tolto spazio all'intervento divino e
significato alle stesse manifestazioni di pietà religiosa.33 Ma il
Villani si rende conto di questo rischio e si affretta a spiegare:

Questo non diciamo però sia necessitade, che Iddio può fare
del caro vile, e del vile caro, secondo sua volontà, e per grazia de'
meriti di sante persone o per pulizione de' peccati34

Stabilito dunque che Dio ha un potere di intervento che sta


al di sopra della influenza degli astri e che può anzi trasformare
lo stesso male in bene, la conclusione è che l'uomo può affret
tare con preghiere e « limosine » la fine di quel « disordine » che
è rappresentato dalla carestia (« in niuna terra si fece per gli pos
senti e pietosi cittadini tante limosine a' poveri, quanto in quella
disordinata carestia si fece per gli buoni Fiorentini » 3S). In que

32 Ibid.
33 In un altro capitolo il Villani racconta il supplizio sul rogo di Cecco
d'Ascoli, « astrolago », accusato di eresia e per questo motivo condannato. E
la sua eresia, secondo il Cronista, consisteva in una concezione meccanicistica
degli influssi astrali, il che è errato perché « le 'nfluenze delle stelle non costrin
gono necessità, né possono essere contra il libero arbitrio dell'animo dell'uomo »
(ibid., X, 40). Su questa problematica v. E. Mehl, op. cit., pp. 161-162.
34 Villani, X, 118.
« Ibid.

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sto modo lo schema ideologico è completo. E il Villani ha la con


sapevolezza di aver riportato un processo mentale, e contempo
raneamente un paradigma di comportamento, che affondava le
sue radici in una cultura diffusa e ben impiantata; ed infatti con
clude il suo discorso con parole assai significative:

Avemo fatto sì lungo parlare sopra questa materia per dare esem
plo a' nostri cittadini che verranno d'avere argomento e riparo, quan
do in cosi pericolosa carestia incorresse la nostra città.36

Il medesimo schema è adoperato quando il fenomeno di


struttivo è rappresentato da una epidemia. Così la descrizione
della « mortalità » del 1340 inizia con l'apparizione di una co
meta; al seguito di questa appare la « pestilenzia » (« che quale
si poneva ammalato quasi neuno ne campava »); alla fine giunge
la descrizione della « grande processione » a chiudere la catena
degli eventi.37
Anche nella Cronica dell'Anonimo vediamo rispettato que
sto medesimo ordine sacrale degli eventi, per cui ciascun feno
meno catastrofico è inserito tra il messaggio celeste che lo pre
cede e le manifestazioni di pietà religiosa che lo fanno cessare.
E quest'ultimo aspetto è, anzi, ancor più messo in evidenza ri
spetto al testo del Villani, e ciò può essere spiegato dalla consi
derazione che a Roma in occasione della carestia difficilmente i
poteri pubblici riuscivano ad intervenire con la tempestività ed
i mezzi economici del comune fiorentino. E dunque, mentre il
Villani può dilungarsi sulle provvidenze emanate dai pubblici
amministratori,38 l'Anonimo è invece portato a sottolineare ed
esaltare gli atti di carità privata e solo quando gli è finalmente
possibile, come nel caso della descrizione dei provvedimenti vo
luti da Cola di Rienzo, allora offre ampi spazi anche all'inter
vento del comune.39 Così per descrivere la carestia del 1338, una

* Ibid.
*> Ibid., XI, 114.
38 Iibid., X, 118 e XI, 114. Vedi oltre alle pp. 368-369.
39 Anonimo, p. 114 sgg. Vedi oltre alle pp. 366-367.

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354 Luciano Palermo

delle sue pagine più suggestive e significative,40 l'Anonimo parte


dalla apparizione della cometa dell'anno precedente, prosegue
con una serie di annotazioni sulle distruzioni apportate dal fla
gello, dedica infine gran parte del racconto ad una serie di esempi
negativi o positivi. Vi fu, ad esempio, un « iniquo omo » che
tentò di speculare sul prezzo del grano « avenno la mente più
a l'avarizia che alla pietate »;41 e allora « lo buono e cortese
Dio » lo mandò in rovina e l'uomo finì per impiccarsi sopra il
suo stesso grano.42 Al contrario un massaro che aveva in tutti i
modi rifornito la « iente affamata » fu premiato da Dio con un
raccolto miracolosamente abbondante:43

Così Dio liberamente mustrao che bene li piace la elemosina de


buono core nello bisuogno e che esso cortesia fao a chi soveo alle
necessitati altrui e che per uno ne renne dento.44

Come si nota, entrambi i Cronisti adoperano non solo gli


stessi schemi concettuali, ma quasi le medesime parole.

All'interno di questa cornice sacrale, si sviluppa il secondo


aspetto della problematica, quello climatologico. Incontriamo
così un tema che i Cronisti utilizzano per indicare le cause non
più metafisiche ma concrete ed immediate del ciclo carestia-epi
demia. E questi due elementi non sono tra loro in contraddizione
in quanto nella cultura della carestia le perturbazioni atmosferi
che, con le loro catastrofiche conseguenze, sono la manifestazione
diretta dell'ira di Dio, lo strumento che egli adopera per inflig
gere le « battiture e discipline » sopra ricordate.
Ma tralasciando adesso i presupposti ideologici, notiamo che
le cronache ci offrono delle informazioni assai minuziose attorno
alle condizioni climatiche del Trecento romano e i loro dati com

40 Ibid., p. 33 sgg.
« Ibid., p. 36.
« Ibid.
43 Su questo episodio v. L. Palermo, op. cit., pp. 48-49.
44 Anonimo, p. 37.

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Carestie e cronisti nel Trecento 355

baciano generalmente con i risultati delle ricerche di climato


logia storica.45 È stato, infatti, accertato che proprio agli inizi
del '300 cominciò per l'Europa un'epoca di instabilità climatica,
con freddi intensi e scarsità di raccolti, destinata a durare al
meno fino a tutto il XV secolo. Si hanno prove certe che il de
cennio 1310-1320 fu particolarmente piovoso, con conseguenze
spesso disastrose sulla messa a coltura delle sementi, e che esso
fu seguito da una serie di ulteriori flagelli.46 Non mancano no
tizie anche di buoni raccolti, poiché non tutte le regioni erano
colpite contemporaneamente,47 ma il sistema dell'alimentazione
subì scosse notevoli48 con conseguenze dirette sulla capacità di
difesa degli organismi dalle malattie. E qui il tema della penuria
di cibo si intreccia con quello della diffusione delle epidemie.
Ed infatti la costante insufficienza di alimenti rendeva gli uomini
e gli animali facili vittime delle malattie (e nel Medioevo qua
lunque malattia infettiva dotata di alta mortalità era definita col
termine generico di pestilenza); a sua volta l'alta mortalità pro
vocava scarsità di forza-lavoro e quindi ulteriori ristagni nella
lavorazione dei campi; il ciclo veniva così generalmente concluso
da una ultima fase di carestia. È stato calcolato che ciascuna re
gione europea in questo periodo storico è stata toccata da un si
mile ciclo distruttivo almeno una volta ogni decennio.49

45 Cfr. E. Le Roy Ladurie, Tempo di festa, tempo di carestia, Torino


1982, che presenta un'amplissima bibliografia specifica.
46 Cfr. B. H. Slicher Van Bath, Storia agraria dell'Europa occidentale
(500-1850), Torino 1972, p. 194 sgg.; E. Le Roy Ladurie, op. cit., p. 14 sgg.;
L. Genicot, op. cit., p. 810 sgg.; G. Duby, op. cit., voi. II, pp. 451 sgg. e
469 sgg.; E. Perroy, op. cit., pp. 170-172; E. Carpentier, op. cit., pp. 1074
1078; J. Heers, L'Occidente nel XIV e nel XV secolo, Milano 1978; J. Titow,
Evidence of weather in the account rolls of the bishopric of Winchester,
1209-1350, « Annales ESC », 1970. I medesimi risultati per questo periodo sto
rico sono stati raggiunti dalla dendroclimatologia: cfr. E. Le Roy Ladurie, op.
cit., pp. 46-50; B. Huber e W. Niess, ]ahrringchronologie hessischer Eichen,
« Biidinger Geschichtblatter », V, 1964 (in particolare il diagramma 2 per gli
anni 1310-1326).
47 Cfr. E. Le Roy Ladurie, op. cit., p. 14 sgg.
48 Cfr. G. Duby, op. cit., voi. II, pp. 452-453; H. S. Lucas, op. cit.-,
E. Carpentier, op. cit., p. 1086 sgg. In particolare sulla situazione della pro
duzione granaria v. B. H. Slicher Van Bath, op. cit., p. 194 sgg.
49 Cfr. la bibliografia citata alle note precedenti.

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356 Luciano Palermo

Anche l'Italia Centrale, è andata incontro a queste catastro


fiche scadenze e le cronache le hanno fedelmente registrate. Ed
è proprio in questa fase ed in questi episodi che si avverte la
piena consapevolezza che i Cronisti posseggono riguardo all'esi
stenza di un simile ciclo mortale. Il parallelismo culturale che
abbiamo potuto osservare fin qui negli aspetti ideologici della
descrizione della carestia, viene adesso riproposto nella descri
zione che entrambi i Cronisti ci hanno lasciato delle condizioni
climatiche delle regioni centrali dell'Italia. Roma e Firenze, le
due città privilegiate dalle due Croniche, passano attraverso gli
stessi inverni gelidi50 e le stessi estati piovose, subendo le stesse
conseguenze nell'abbassamento dei livelli produttivi dei rispet
tivi contadi.
Le prime osservazioni trecentesche del Villani risalgono ad
uno degli anni compresi nel decennio che, abbiamo detto, ha
inaugurato il maltempo secolare, e precisamente al 1316. Il Cro
nista considera conseguenza della cometa apparsa due anni prima
il fatto che l'intera Europa sia stata sottoposta a « grande pesti
lenza di fame e mortalità », passa quindi ad esaminare la situa
zione italiana e allora aggiunge che la carestia fu determinata
dal fatto che a causa di grandi piogge « l'acqua soperchiò e gua
stò ogni sementa ».51 Il passaggio dal tema astrologico-religioso
a quello climatologico è immediato e senza soluzione di conti
nuità. E ricorda ancora che dalla Sicilia e dalla Puglia fu man
dato grano « per mare per gli mercatanti per lo grande guada
gno »,52 segno questo di una carestia non generalizzata.
Altre notazioni precise risalgono agli anni 1322-1323, quando
« fu in Italia la maggior vernata, e di più nevi che fosse grande
tempo passato ... così seguì quasi in tutta Italia, specialmente in
Pisa e in Lucca e Pistoia, grannissima fame e carestia ».53 E nello

50 La rigidità del clima era tale che nell'inverno del 1354 l'Arno e altri
fiumi erano ghiacciati e potevano essere valicati senza difficoltà (Matteo Vil
lani, IV, 65).
51 Villani, IX, 80.
52 Ibid.
« Ibid., IX, 186.

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Carestie e cronisti nel Trecento 357

stesso 1323 vi fu pestilenza « generale per tutte le città d'Ita


lia ».M Un'altra pestilenza appare nel 1327, « mossa per fred
do »;55 grandi piogge, da Cipro alla Spagna, cadono nel 1330; 56
nel 1333 « pareano aperte le cataratte del cielo » con conse
guente distruzione di seminati, allagamenti e « gran difetto di
farina e di pane per lo guasto delle molina e de' forni ».57 Un
altro diluvio è registrato nel 1334.58
Arriviamo così agli episodi del 1338-40 e del 1345-46, che
ci consentono di soffermarci con maggior precisione sulla situa
zione romana; infatti, a riprova di quanto si diceva sulla somi
glianza delle situazioni meteorologiche di Firenze e Roma, questi
due episodi vengono descritti da entrambi i Cronisti, con un ul
teriore richiamo a simili fenomeni accaduti anche a Bologna.
Nel descrivere ciò che accadde nel 1338-40, il Villani utilizza
le manifestazioni del maltempo quale « segno » delle disgrazie
che stavano per colpire l'umanità:
Ancora apparve un altro nuovo segno: che a dì 16 di maggio
nel detto anno, di mezzo giorno, cadde in Firenze e d'intorno una
gragnuola grossa e spessa che coperse le tettora e la terra e le vie;
ed era alta come grande neve, e guastò quasi tutti i frutti.59

Anche l'Anonimo introduce la possente descrizione della ca


restia del 1338 partendo dalle condizioni climatiche, da cui fa
derivare la diffusione delle epidemie e quindi la scarsità di lavoro
nella messa a coltura dei campi. Dopo l'apparizione della co
meta, egli scrive, « fu uno anno moito umido, moito piovoso »
e per tre anni consecutivi cadde tanta neve « che esmesurata
mente coperiva le citate ».60 E ricorda proprio in questa occa
sione che la neve fu tanta che a Bologna molti tetti crollarono

54 Ibid., IX, 222.


« Ibid., X, 61.
56 Ibid., X, 167.
5' Ibid., XI, 1.
58 Ibid., XI, 22.
59 Ibid., XI, 114.
60 Anonimo, p. 33.

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358 Luciano Palermo

per il peso eccessivo; il freddo intenso, intanto, favoriva il dif


fondersi delle malattie.61 La descrizione diventa ancora più dram
matica quando si arriva a parlare della situazione climatica delle
estati, cioè delle stagioni decisive per la riuscita del raccolto; il
Cronista descrive l'impotenza degli uomini di fronte al disastro
e di fronte alla prossima ed inevitabile carestia:

Anche le estate erano umide, sì che omo non poteva essire fora
de casa a fare sio mestieri e procaccio. Li campi non fuoro lavorati.
Li grani e onne legume che fuoro seminati fuoro perduti, perché
se affocavano per la soperchia umiditate, non se potevano procurare.
E per quella mala recoita sequitao la fame sì orribile che forte cosa
pare a contare, a credere.62

Dal testo dei due Cronisti dunque si evince con chiarezza ciò
che accadde a Roma, a Firenze e a Bologna, ma in generale nel
l'Italia Centrale in questo triennio: cattivo tempo, freddo in
tenso, malattie, scarsità di forza-lavoro, impossibilità di lavorare
i campi allagati, carestia ed epidemie.
Dopo un quinquennio trascorso con una maggiore tranquil
lità, le cronache testimoniano il sopraggiungere di un nuovo ci
clo distruttivo, ancora una volta prendendo lo spunto da osser
vazioni di carattere meteorologico. Il Villani ricorda che:

Nel detto anno 1346, cominciandosi la cagione del mese d'Otto


bre e di Novembre 1345, al tempo della sementa furono soperchie
piove, sicché corruppono la sementa, e poi l'Aprile e il Maggio e il
Giugno vegnente 1346 non fino di piovere, e talora tempesta, onde
per simile modo si perdè la sementa delle biade minute, e le semi
nate si guastarono.63

Questa situazione viene attribuita dal Cronista a più parti


d'Italia e in misura peggiore rispetto a ciò che era accaduto nella
fase precedente.

61 Ibid.
62 Ibid., pp. 33-34.
63 Villani, XII, 73.

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Carestìe e cronisti nel Trecento 359

La situazione romana viene descritta minutamente dall'Ano


nimo, il quale si dilunga sul « granne diluvio lo quale fu in
Roma » per cui « mai non passao lo Tevere sì pessimamente suoi
tiermini, mai tanto danno non fece ».M Tutto ciò, racconta il Cro
nista, era iniziato durante l'estate quando « operze Dio le cata
ratte dello cielo e mannao acqua spessa e foita, non granne »; 65
in seguito, in autunno, si fece appena in tempo a raccogliere
l'uva perché cominciando dalla festa di Ognissanti « parze che Ile
fontane dello abisso fussino aperte per vomacare acqua ».66 E an
che in questo caso l'Anonimo annota le conseguenze sulla pro
duzione degli alimenti:

Questa soperchia acqua consumao e defocao tutti li coiti e Ili


seminati che trovao. E sorrenao le vigne de creta. E scarporio li
arbori da radicina. E deo per terra muri e case. Affocao vestiame.
Danniao lo territorio de Roma più de dociento migliara de fiorini.
Anche ruppe le catene e Ili ignegni delli mulinari e menaone da cin
que bone mole, le quali connusse allo mare.67

Lo stupore che entrambi i Cronisti dimostrano di fronte ad


eventi catastrofici di simile portata si esprime in modo parallelo,
soprattutto negli ultimi due episodi luttuosi, attraverso l'uso di
espressioni apparentemente esagerate. Ma che non si tratti di
forzature, ma solo del tentativo di meglio riferire al lettore il
senso della immanità del disastro, è dimostrato dalla accuratezza
che invece i Cronisti dedicano alla descrizione dei tempi di svol
gimento dei diluvi, che vengono sempre seguiti tanto nelle fasi
preparatorie che in quelle conseguenti mese per mese, stagione
per stagione, in qualche caso giorno per giorno. D'altra parte
l'aspetto climatologico della cultura della carestia non prevedeva
strumenti di difesa del territorio o dei seminati per cui all'enor
mità dei flagelli non veniva contrapposto altro che l'inerme im

64 Anonimo, p. 99.
65 Ibid.
66 Ibid.
67 Ibid., p. 100.

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360 Luciano Palermo

potenza e debolezza della situazione degli uomini e degli animali.


E i Cronisti riescono a trasmettere questo senso di paura e di
instabilità che si impossessa degli uomini, anche perché questa
non è una semplice annotazione marginale ma piuttosto una
delle condizioni stesse della decadenza economica.68
La descrizione dei flagelli meteorologici, e delle loro conse
guenze sul piano alimentare ed epidemiologico, ci offre la possi
bilità di stabilire fino a qual punto nell'ambito della cultura della
carestia vi fosse consapevolezza del legame che intercorreva tra
i vari fenomeni luttuosi e li collegava in un unico ciclo. E qui le
posizioni dei Cronisti sembrano differenziarsi. Se prendiamo ad
esempio la descrizione degli eventi del 1338-40, ci accorgiamo
che nel racconto dell'Anonimo il ciclo carestia-epidemia, pur sal
damente individuato, è ancora in qualche modo « mediato » dalla
presenza del maltempo, causa contemporanea di entrambi i fla
gelli.69 Il testo del Villani offre invece delle analisi che da que
sto punto di vista sono molto più raffinate, perché presentano
il rapporto tra i due eventi in modo diretto ed immediato: « E
con questa pestilenza ne seguì la fame e il caro, aggiunta con
quella dell'anno passato ».70 Una frase come questa individua con
precisione la relazione esistente tra la prima e la seconda care
stia, intervallate dalla mortalità provocata dalle malattie infet
tive. Anche nella descrizione di ciò che accadde nel 1345-46
sembra essere il Villani quello che meglio riesce a cogliere i nessi
ciclici dei disastri. Egli afferma, infatti, che la fine della carestia
« bene lasciò, com'è usato, ancora alquanta carestia; e per con
seguente infermità e mortalità ».71 Già l'utilizzazione dell'espres
sione « com'è usato » non lascia dubbi sull'atteggiamento in

68 II Villani nota che « i Fiorentini sbigottiti e impauriti per li detti segni


e danni all'arti e alle mercatanzie, non stettono mai peggio per guadagnare »
(XI, 114). Matteo Villani (I, 4 e I, 5) si sofferma sulla decadenza economica
e dei costumi determinata dai flagelli. Sullo stato di prostrazione dell'umanità
colpita dagli eventi luttuosi si dilunga anche il Boccaccio nella già ricordata
Introduzione alla prima giornata del Decameron.
69 Anonimo, pp. 33-34.
70 Villani, XI, 114.
71 Ibid., XII, 73.

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Carestie e cronisti nel Trecento 361

qualche modo scientifico che caratterizza il Cronista nel mo


mento in cui osserva la realtà della sofferenza che lo circonda.
Ma questo atteggiamento viene messo ancor meglio in luce in
un brano, successivo a quello appena citato, che si riferisce al
1347, nel quale il Cronista afferma:

Come pare che sempre segua dopo la carestia e fame, si cominciò


in Firenze e nel contado infermità e appresso mortalità di gente,
e spezialmente in femmine e fanciulli, il più in povere genti.72

E qui accanto al riconoscimento pieno del legame ciclico che


collega gli eventi, abbiamo un tentativo di analisi sociale della
epidemia che indirettamente ci riconduce al rapporto carestia
epidemia, dal momento che le « povere genti », e tra queste so
prattutto donne e fanciulli, erano più facili vittime delle malat
tie perché avevano gli organismi maggiormente indeboliti dalla
fame. È evidente dunque che un miglior livello di nutrizione, in
altre classi sociali, porta ad una maggiore difesa dal contagio.73

72 Ibid., XII, 84.


73 Sulla presenza del problema dell'alimentazione nella Cronica del Vil
lani v. E. Fiumi, Economia e vita privata dei fiorentini nelle rilevazioni stati
stiche di Giovanni Villani, in Storia dell'economia italiana, a cura di C. Cipolla,
voi. I, Torino 1959, p. 325 sgg. Su questa problematica in generale v. D. Za
netti, Problemi alimentari di una economia preindustriale, Torino 1964; A. M.
Nada Patrone, Il cibo del ricco e il cibo del povero, Torino 1981. Per
una analisi della corrispondenza tra livello sociale e livello di nutrizione v.
C. Manca, Il libro di conti di Miquel Qa-Rovira, Padova 1969, p. 123 sgg. Il
tema dei consumi e dell'alimentazione nel Trecento italiano è stato oggetto di
numerosi studi; oltre all'opera citata di C. Manca, che documenta la situazione
di Cagliari, si veda A. Fanfani, Sull'economia domestica dei Peruzzi e dei loro
compagni, in Storia dell'economia italiana cit., voi. I, p. 361 sgg.; G. Mira,
Vicende economiche di una famiglia italiana dal XIV al XVII secolo, Milano
1940; A. Sapori, Per la storia dei prezzi a Pistoia. Il quaderno dei conti di un
capitano di custodia nel 1339, « Bullettino Storico Pistoiese », 1927-1928;
C. Mazzi, La mensa dei Priori di Firenze nel secolo XIV, « Archivio Storico
Italiano », XX, 1897, p. 336 sgg.; G. Luzzatto, Il costo della vita a Venezia
nel Trecento, in Storia dell'economia italiana cit., voi. I, p. 409 sgg.; M. Aymard
e H. Bresc, Nourriture et consommation en Sicile entre XIV' et XVIII' siècle,
« MEFRM », 87, 1975; C. Beck-Bossard, L'alimentazione in un villaggio sici
liano del XIV secolo, sulla scorta delle fonti archeologiche, « Archeologia Me
dievale», VIII, 1981; A. Giuffrida, Considerazioni sul consumo della carne
a Palermo nei secoli XIV e XV, « MEFRM » 87, 1975. V. inoltre M. S. Mazzi,
Consumi alimentari e malattie nel basso medioevo, « Archeologia Medievale »,

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362 Luciano Palermo

Le osservazioni che abbiamo fin qui avuto modo di fare sulla


capacità dei Cronisti di analizzare le conseguenze socio-economi
che del ciclo carestia-epidemia spingono ad un maggior appro
fondimento di questo tema. C'è infatti, tanto nell'Anonimo
quanto nel Villani, un costante interesse a comprendere le cause
« umane » della penuria di cibo e a mettere in evidenza come
dietro la carestia ci siano spesso le manovre di coloro che la uti
lizzano per arricchirsi. Questo aspetto della cultura della carestia
porta con sé una notevole contraddizione: se infatti da un punto
di vista teorico era il più complesso da osservare e descrivere per
i Cronisti che in fondo erano attratti da tanti altri eventi della
vita cittadina, più vistosi delle manovre economiche dei potenti,
era poi invece sempre questa problematica che affiorava e giu
stificava lotte furibonde e rivolgimenti istituzionali ampiamente
presenti nelle cronache.
Le informazioni che le cronache ci danno sull'andamento del
clima nel Trecento romano e fiorentino ci aiutano ad inserire le
vicende delle due città nel generale andamento delle altre re
gioni europee del medesimo periodo. Esse ci consentono, inol
tre, di renderci conto di quanto fosse obiettivamente difficile,
nel succedersi periodico e senza respiro delle calamità, mante
nere un livello produttivo adeguato. Ma il livello della produ
zione nel Trecento non coincide necessariamente con il livello
dei consumi; in altre parole, tutti i flagelli che ripetutamente col
pivano le campagne romane e toscane non provocavano di per
sé necessariamente la carestia, intesa come carenza grave o totale
di alimenti, poiché le derrate alimentari mancanti potevano es
sere comprate e trasportate da regioni tradizionalmente o mo
mentaneamente più ricche, o comunque meno colpite. D'altra
parte, i comuni medioevali, e Roma e Firenze non costituivano
eccezioni, solo in particolari annate di grande abbondanza pote
vano dirsi soddisfatti dei rifornimenti alimentari provenienti dal
proprio contado; era normale che essi dipendessero in larga mi

Vili, 1981; Id., Salute e società nel Medioevo, Firenze 1978 (con ulteriore
bibliografia).

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Carestìe e cronisti nel Trecento 363

sura da massicci rifornimenti che giungevano da regioni anche


lontane e ben al di fuori dei proprio raggio di predominio poli
tico-militare. Nel caso romano, ad esempio, ci è rimasta abbon
dante documentazione sulle continue richieste di rifornimenti
che la città rivolgeva ai comuni del Patrimonio, del Lazio, della
Marittima e altrettanta documentazione ci è pervenuta sulle con
tinue preoccupazioni del pontefice e dei suoi vicari per il rifor
nimento della città attraverso l'acquisto di grano siciliano.74 Nel
caso di Firenze, è lo stesso Villani ad informarci sui convogli
del grano che il comune provvedeva a comprare da varie regioni
italiane.75
L'idea di una carestia provocata solo da situazioni climato
logiche disastrose è sostanzialmente falsa, e comunque insuffi
ciente a spiegare il senso di ciò che accadeva nelle città me
dioevali: la situazione dei raccolti, e quindi la loro maggiore o
minore abbondanza provocata dal maltempo e dagli episodi epi
demiologici, costituiva lo sfondo oggettivo su cui interveniva poi
la volontà e la capacità di organizzazione dei gruppi dirigenti
cittadini. È dunque nell'analisi delle strutture socio-economiche
cittadine che vanno ricercate le ragioni profonde della piega
drammatica che questi eventi finivano quasi sempre per assu
mere in questa prima metà del Trecento. Si comprende facil

74 Sul problema dei rifornimenti che i vari comuni del distretto dovevano
inviare a Roma v. E. Duprè Theseider, op. cit., passim-, Statuti della Pro
vincia Romana, « Fonti per la Storia d'Italia », voi. 48, a cura di F. Tomassetti,
V. Federici, P. Egidi, Roma 1910 e voi. 69, a cura di V. Federici, Roma 1930;
in particolare sui rapporti con il Patrimonio e Corneto v. C. Calisse, Costi
tuzione del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia nel secolo XIV, « Archivio della
Società Romana di Storia Patria», XV, 1892, pp. 39-41; M. Antonelli, Vicende
della dominazione pontificia nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, tbid., XXV,
1902, pp. 364-365 e 384-385; La « Margarita Cornetana », regesto dei docu
menti, a cura di P. Supino, Roma 1969, passim. Sul ruolo dei pontefici nei
processi di rifornimento della città v. ad esempio A. Theiner, Codex diploma
ticus domimi temporalis S. Sedis, Roma 1861-1862, voi. II, docc. 91 e 92; sempre
per il XIV secolo v. A. Esch, op. cit., pp. 242-243; Id., Bonifaz IX. und der
Kirchenstaat, in Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom, 29,
Tubingen 1969, passim. Sui motivi della preoccupazione dei pontefici per il
rifornimento di Roma v. M. Miglio, Gruppi sociali e azione politica nella Roma
di Cola di Rienzo, « Studi Romani », 4, 1975, p. 444 (viene citata una lettera
di Clemente VI del 1347 sui pericoli di insurrezioni « propter inopiam vic
tualium »).
75 V. oltre alla p. 369.

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364 Luciano Palermo

mente, dunque, che la storia della carestia si intreccia in modo


inestricabile con la storia delle lotte per il controllo politico della
città, del suo distretto, delle sue vie di accesso. La lettura delle
cronache ci aiuta a comprendere come funzionassero questi mec
canismi economici e politici e quali risultati raggiungessero.
Se esaminiamo tutte le occasioni in cui i testi delle due cro
nache, controllati peraltro con i dati provenienti da fonti docu
mentarie, ci presentano Roma e Firenze colpite dalla fame, ci
accorgiamo -dell'esistenza di un dato elementare quanto fonda
mentale: il controllo politico della città è sempre nelle mani di
chi riesce a rifornirla di derrate alimentari. Per dimostrare ciò
prendiamo prima in considerazione il caso di Roma, che pre
senta da questo punto di vista una situazione veramente esem
plare, ma il medesimo discorso potrà essere applicato alla situa
zione di Firenze.
A Roma i gruppi dirigenti cittadini, sostenuti in linea di
massima dai ceti artigianali, mercantili e dalla piccola nobiltà
inurbata, avevano di fronte a sé la potenza economica della pro
prietà terriera nobiliare, nella zona romana molto più potente
che in altre regioni italiane, la quale aveva il controllo della pro
duzione granaria e poteva spadroneggiare sulle vie di accesso
alla città.76 I rapporti di incontro-scontro che si stabiliscono nel
Trecento tra potere comunale e potere nobiliare sono quasi sem
pre imperniati sul tema dei rifornimenti alimentari della città;
e la lotta assume toni altamente drammatici quando la carestia
viene utilizzata come strumento di ricatto politico sulla città o
viene artificiosamente creata per raggiungere risultati politici,
come la caduta del governo comunale, o economici, come il rialzo
del prezzo del grano.77

76 Sulle famiglie magnatizie romane v. l'ampia bibliografia in E. Duprè


Theseider, op. cit., pp. 743-744; sul ruolo economico della proprietà terriera
nobiliare v. C. Gennaro, op. cit.-, J.-C. Maire-Vigueur, op. cit.-, P. Brezzi, Il
sistema agrario ... cit.; sul controllo delle vie di comunicazione da parte della
nobiltà v. G. Tomassetti, La Campagna Romana, voi. I, Roma 1910, p. 138 sgg.;
sulla lotta trecentesca per il controllo delle vie di comunicazione v. L. Palermo,
op. cit., p. 61 sgg. (con ulteriore bibliografia).
77 Cfr. ad esempio M. Miglio, op. cit., p. 442 sgg.

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Carestìe e cronisti nel Trecento 365

Il primo episodio significativo, che le cronache ci presentano,


risale al 1329. Durante il senatorato di Roberto d'Angiò, il suo
vicario Guglielmo d'Eboli non riuscì a controllare la carestia che
si andava diffondendo; di conseguenza, il 4 febbraio di quel
l'anno « a romore si levò il popolo », il Campidoglio fu assalito
e il vicario del re scacciato. I romani, scrive il Villani, fecero
senatori Stefano Colonna e Poncello Orsini « i quali del loro
grano e di quello degli altri possenti romani feciono venire in
piazza, e racquetarono il popolo ».78 Con poche ma significative
parole il Cronista ci rivela come la città fosse facile vittima del
ricatto nobiliare. I « possenti romani », l'Anonimo avrebbe detto
i « potienti », cioè gli esponenti della classe baronale e i ricchi
mercanti che commerciavano il grano da essi prodotto, riforni
scono la città di derrate alimentari solo dopo aver preso il po
tere con i due esponenti dei Colonna e degli Orsini.
Di ciò che accadde, sempre a Roma, circa dieci anni più
tardi, nel 1338, ci informa con precisione l'Anonimo. Il Cro
nista registra gli spostamenti che si ebbero nella proprietà delle
case e delle terre: « Fuoro vennute palazza, possessioni de campi
e vigne, e dati per poca cosa, per avere dello pane ».79 Contem
poraneamente descrive però le condizioni del « ricco massaro »,
che abbiamo già incontrato,80 il quale aveva « ricchezze moita:
fanti, fantesche assai, pecora, vuovi, iumente, campi seminati,
pozzi pieni de grano »; 81 è evidente, dunque, che dalla carestia
non tutti escono nelle stesse condizioni: essa rovina i piccoli pro
prietari terrieri inurbati, che svendono campi, vigne e il palazzo
in città, mentre fa la fortuna dei mercanti di grano che diversi
ficano i propri investimenti, indirizzandoli al commercio, alla
produzione agraria e all'allevamento del bestiame.82
Dieci anni ancora più tardi (come si vede la scadenza ciclica
è quasi perfetta), nel 1347, i problemi del rifornimento alimen

78 Villani, X, 117.
79 Anonimo, p. 34.
80 V. dietro a p. 354.
81 Anonimo, p. 36.
82 Attorno alla carestia del 1338 v. M. Miglio, op. cit., pp. 444-445.

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366 Luciano Palermo

tare della città scandiscono nel testo dell'Anonimo tutte le varie


fasi dell'ascesa e della repentina caduta di Cola di Rienzo.
L'obiettivo di Cola e del blocco sociale che lo sostiene è quello
di liberare la città dal ricatto alimentare dei baroni, e ciò so
prattutto in vista della vicina scadenza dell'anno giubilare. Que
sto problema è presente nelle parole che l'Anonimo attribuisce
a Cola, prima ancora che questi abbia preso il potere, e che gli
procurano l'appoggio dei cittadini dei diversi strati sociali inte
ressati alla riuscita dei programmi economici innescati dal giu
bileo.83 Cola dice esplicitamente ai romani: « Le vostre terre
non se arano. Per bona fede che Ilo iubileo se approssima. Voi
non site proveduti della annona e delle vettuaglie ».M L'Ano
nimo mette dunque in evidenza come al tradizionale tema della
carenza dei rifornimenti alimentari, in tempi per così dire nor
mali, si aggiungesse ormai la prospettiva della impossibilità di
reggere i ritmi economici richiesti dalla concentrazione dei pel
legrini, né d'altra parte il pontefice avrebbe consentito a pro
clamare l'anno santo in una città sguarnita dei necessari rifor
nimenti.85 Di fatto, nei quindici « capitoli » che costituiscono,
nel racconto dell'Anonimo, il programma politico di Cola asceso
al potere predominano i provvedimenti tesi a mantenere libere
le strade di accesso alla città e a garantire la continuità dei ri
fornimenti.86 In particolare, il decimo prevedeva « che li baroni
deiano tenere le strade secure e non recipere li latroni e li male
fattori, e che deiano fare la grascia »; 87 e il dodicesimo « che in
ciasche rione de Roma sia uno granaro e che se proveda dello
grano per lo tiempo la quale deo venire ».88 Il programma di

83 Cfr. le opere citate di C. Gennaro e M. Miglio, che analizzano a fondo


le alleanze e le rivalità economiche tra le varie classi sociali romane.
84 Anonimo, p. 109.
85 Cfr. la lettera di Clemente VI cit. alla nota 74. Sugli aspetti economici
dell'anno santo 1350 v. P. Brezzi, Storia degli anni santi, Milano 1975; P. Fe
dele, Il giubileo del 1350, in Gli anni santi, a cura dell'Istituto di Studi Ro
mani, Roma 1934.
86 Su questa specifica tematica v. L. Palermo, op. cit., p. 71 sgg.
87 Anonimo, p. 114.
88 Ibid.

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Carestie e cronisti nel Trecento 367

Cola fu dunque uno dei primi tentativi di impostare in modo


un po' più certo e continuo il problema dei rifornimenti citta
dini, per sottrarre il potere politico del comune cittadino al ri
catto alimentare della carestia provocata dai baroni.
Cola non ebbe tuttavia forze ed appoggi sufficienti per por
tare a termine personalmente i suoi programmi, e la sua caduta
nel dicembre dello stesso 1347 coincide essenzialmente con un
ulteriore rivolgimento politico provocato, come al solito dalla
mancanza di grano. L'anonimo ci informa con grande chiarezza.
Era l'autunno inoltrato, dopo la vendemmia, e il grano divenne
assai caro e « questo tolleva la pecunia a chi l'aveva »,89 cioè
erano maggiormente colpiti i ceti artigianali e mercantili citta
dini; allora il cardinale legato si mise d'accordo con i Savelli e
con i Colonna e questo fa scattare immediatamente il ricatto
della carestia: « Allora le strade fuoro chiuse. Li massari delle
terre non portavano lo grano a Roma ».90 Anche Cola fu dunque
vittima del meccanismo che egli stesso aveva visto operare e che
aveva lucidamente tentato di bloccare.
Un ulteriore episodio del 1353 ci conferma l'uso spregiudi
cato della carestia da parte della nobiltà terriera e la piena con
sapevolezza che i cronisti avevano di ciò. Nel febbraio di quel
l'anno una rivolta popolare si conclude con la lapidazione del
senatore Bertoldo Orsini, che insieme all'altro senatore, anch'egli
nobile e della famiglia dei Colonna, era accusato di esportare il
grano « per mare fora de Roma », di conseguenza il grano in
città era « carissimo ».91 E la stessa notizia è confermata da Mat
teo Villani, che narra che i due senatori « da popolo erano infa
mati d'aver venduta la tratta, e lasciato trarre il grano della loro
Maremma, e questo era fatto per loro, non pensando che '1
grano andasse in così alta carestia ».92 L'operazione economica
dei due baroni non riuscì, per la pronta reazione popolare, come

89 Ibid., p. 153.
90 Ibid.
91 Ibid., p. 164.
92 Matteo Villani, III, 57.

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368 Luciano Palermo

essi probabilmente avevano sperato, perché l'Anonimo conclude


il racconto con una ironia che ci fa comprendere quanto chiari
gli fossero questi meccanismi:
Vedi maraviglia! Saputa che fu la morte dello senatore lapidato
la carestia de subito cessao per lo paiese intorno e fu convenevole
derrata de grano.93

A confronto di tutto ciò che accadeva a Roma, la situazione


di Firenze viene raccontata .dal Villani con una punta di orgo
glio cittadino. Ciò era reso possibile dai risultati che già nel se
colo precedente il comune di Firenze aveva conseguito nella
lotta antimagnatizia94 e che a Roma alla metà del Trecento si
stentava ancora a raggiungere. È notevole osservare come da
questo punto di vista il parallelismo che avevamo visto operante
nella descrizione della ideologia della carestia e nella definizione
delle condizioni meteorologiche sia ormai totalmente scomparso.
Il principale aspetto che il Villani mette in luce è proprio la
possibilità che Firenze ha di rifornirsi di grano nei momenti peg
giori della carestia e in occasione delle annate più scarse. Già
nel 1316, come abbiamo avuto modo di notare, egli racconta del
grano siciliano e pugliese che arriva nella sua città.95 Lo stesso
avviene durante la carestia del 1329, quando fu ancora comprato
del grano siciliano « faccendolo venire per mare a Talamone in
Maremma, e poi condurlo in Firenze con grande rischio e ispen
dio ».96 Ancora nel 1333 Firenze fu soccorsa dalle città vicine
con l'invio di notevoli quantità di derrate.97 Nel 1340 fu di

93 Anonimo, p. 164. Su questo episodio cfr. M. Miglio, op. cit., p. 442.


94 Cfr. G. Salvemini, Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295,
Torino 1960, p. 137 sgg. Sulla politica annonaria di Firenze v. inoltre R. Cag
gese, Classi e comuni rurali nel medioevo italiano, voi. II, Firenze 1908,
p. 351 sgg.; v. inoltre E. Conti, La formazione della struttura agraria moderna
nel contado fiorentino, Roma 1965; L. A. Kotel'nikova, op. cit., passim-,
G. Pinto, Il libro del Biadaiolo. Carestie e annona a Firenze dalla metà del
'200 al 1348, Firenze 1978; Id., Firenze e la carestia del 1346-1347, «Archivio
Storico Italiano », 1972.
95 Villani, IX, 80.
« lbid., X, 118.
« lbid., XI, 1.

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Carestie e cronisti nel Trecento 369

nuovo fatto venire grano « di Pelago »,98 cioè d'oltremare e


quindi dalla Sicilia e dalla Sardegna. Ancora, durante la carestia
del 1345-1346 fu importato grano « di Pelago, di Cicilia, di Sar
digna, di Tunisi, di Barberia e di Calavra »." Questa costanza
dei rifornimenti è accompagnata nel racconto del Cronista alla
stabilità del potere comunale fiorentino: il « comune di Firenze
con savio consiglio e buona provedenza » 100 è il soggetto che
costantemente opera per il benessere dei cittadini; è il comune
che in piena carestia tiene ugualmente basso il prezzo del grano,
che provvede con i suoi « ufìciali » alla cottura e alla distribu
zione del pane a prezzo controllato, che perde più di 60.000 fio
rini d'oro in due anni, nel 1328-1329, « per sostentare il po
polo ».101
La costanza dei rifornimenti e la stabilità politica erano
obiettivi che anche i gruppi dirigenti romani si proponevano di
raggiungere. E parlare di un modello fiorentino da imitare non è
cosa astratta. Già nel 1339, annota orgogliosamente il Villani,
i romani « mandaro loro ambasciatori a Firenze a pregare il no
stro comune, che mandasse loro gli ordini della giustizia, che
sono contra i grandi e potenti in difensione de' popolani e meno
possenti, e altri buoni ordini che noi avemo ».102 Ed aggiunge
che i fiorentini risposero di buon grado e inviarono a loro volta
i propri messaggeri con le proposte per la realizzazione dei « buo
ni ordini ».103
Ma è evidente che nessun messaggero fiorentino avrebbe po
tuto riprodurre a Roma l'evoluzione dei rapporti tra le classi
che si era realizzata a Firenze.104 La stessa elaborazione ideolo
gica dei cronisti fiorentini è da riconnettere strettamente a que

98 Ibid., XI, 114.


99 Ibid., XII, 73. Per gli anni successivi v. Matteo Villani, III, 76.
100 Villani, X, 118.
101 Ibid. Anche Matteo concorda con questo giudizio complessivo sulla atti
vità del comune fiorentino (cfr. Ili, 56).
102 Villani, XI, 96.
Ibid.
104 Cfr. G. Salvemini, op. cit.

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370 Luciano Palermo

sta differente situazione dei rapporti sociali. La descrizione e il


commento che Matteo Villani ci ha lasciato a proposito della
carestia fiorentina del 1353 è da questo punto di vista assai si
gnificativo,105 perché ci fa vedere un livello veramente diverso
di comprensione della realtà. Comincia anzitutto il Cronista a
raccontare come il comune fiorentino abbia fatto comprare grano,
per paura della carestia, in Turchia, Provenza, Borgogna, Cala
bria, e come tutte queste operazioni economiche non siano state
completate in modo del tutto soddisfacente. Le incertezze di que
sta catena di rifornimento spingono il Cronista al seguente
commento:

Le grandi compere in così fatta carestia fanno pericolo d


sordinata perdita e certezza non si può avere di grano che di
si aspetta; ma utilissima cosa è dare larga speranza al popolo
si fa con essa aprire i serrati granai de' cittadini, e non c
lenza, ché la violenza fa il serrato occultare, e la carestia torn
fame.106

È qui probabilmente il punto più alto dell'elaborazione eco


nomica nell'ambito della cultura della carestia, poiché per la
prima volta l'impostazione dei problemi non è data in termini
di pura e semplice carenza di alimenti da colmare con qualsiasi
mezzo; al contrario, partendo dalla consapevolezza che il cibo
non manca mai del tutto e che è la paura della carestia che ge
nera la carestia vera e propria, Matteo Villani sottolinea che il
valore di ciascun progetto di rifornimento è proprio quello di
eliminare questa paura, evitando che i cittadini siano spinti a
« il serrato occultare ». E un ragionamento parallelo può essere
applicato per l'opposta speranza della carestia, evidentemente
presente in chi avesse voluto attendere il rialzo dei prezzi delle
derrate per immetterle più vantaggiosamente nella circolazione
commerciale. E che questo tipo di politica desse i suoi frutti ci

105 Si confronti ad esempio la descrizione delle due carestie del 1353, quella
romana (III, 57) e quella fiorentina (III, 56).
i°6 Matteo Villani, III, 76.

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Carestie e cronisti nel Trecento 371

è confermato dallo stesso Matteo Villani, che sempre a propo


sito del 1353 afferma che « di così grande e disusata carestia il
minuto popolo di Firenze non parve se ne curasse ».107
Questo livello di elaborazione non poteva essere realizzato
nella Roma che nel 1339 chiede a Firenze aiuto e consiglio e a
maggior ragione non poteva concludersi in uno sbocco di tipo
istituzionale. Ma è significativo che questi rapporti Roma-Firenze
vengano ripresi nel periodo del tribunato di Cola di Rienzo.108
Appunto nel 1347 ritroviamo di nuovo ambasciatori romani a
Firenze e questa volta la loro presenza non è priva di una certa
dignità (essi ricordano che Firenze è « figliuola di Roma e fon
data e edificata dal popolo di Roma » 109) anche se in sostanza
sono ancora lì a chiedere aiuto e questa volta anche sul piano
propriamente militare.110 D'altra parte, gli stessi provvedimenti
che Cola prende per l'instaurazione del « buono stato » ripren
dono motivi e metodi già tradizionalmente presenti nelle strut
ture amministrative fiorentine.
Una legislazione antimagnatizia di tipo fiorentino si realizza
a Roma con gli Statuti del 1363,111 quando la città è ormai gui
data dalla Felix Societas dei balestrieri e dei pavesati,112 rigida
organizzazione politico-militare al servizio degli interessi del co
mune. Ed è Matteo che mette in risalto come la nuova istituzione
dei « banderesi con grande potestà e balia » in senso antimagna
tizio sia stata creata proprio ad imitazione di ciò che già funzio

107 Ibid., Ili, 56.


108 Cfr. E. Duprè Theseider, op. cit., p. 548 sgg.
109 Villani, XII, 90.
110 Cfr. le lettere di Cola ai fiorentini in K. Burdach e P. Piur, Brief
wechsel des Cola di Rienzo, in Vom Mittelalter zur Reformation. Forschungen
zur Geschichte der Deutschen Bildung, III, Berlin 1912, docc. n. 11 e 19.
111 Statuti della città di Roma, a cura di C. Re, Roma 1880-1883. Sul signi
ficato antimagnatizio degli ordinamenti di Cola di Rienzo e della legislazione
statutaria v. G. Fasoli, Ricerche sulla legislazione antimagnatizia nei comuni
dell'Alta e Media Italia, «Rivista di Storia del diritto italiano», 1939; in parti
colare sulla situazione romana v. L. Palermo, op. cit., p. 84 sgg.
112 Per la storia della Felix Societas v. A. Natale, La felice società dei
balestrieri e dei pavesati a Roma e il governo dei banderesi dal 1358 al 1408,
« Archivio della Società Romana di Storia Patria », LXII, 1939. Cfr. inoltre
E. Dupré Theseider, op. cit., p. 655 sgg.; J.-C. Maire-Vigueur, op. cit., p. 19.

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372 Luciano Palermo

nava così bene a Firenze.113 E mentre in Giovanni Villani il di


scorso sulla decadenza di Roma e sulla necessità che questa ha
di rivolgersi a Firenze è sempre accompagnato da espressioni di
grande rispetto, completate dallo stupore di fronte alle novità
che il trascorrere del tempo storico produce,114 in Matteo tutto
ciò sfocia in un atteggiamento che supera il naturale orgoglio del
fiorentino che vede riconosciuta la superiorità della sua patria e
si caratterizza piuttosto per un marcato disprezzo nei confronti
del declino politico ed istituzionale dei romani.115
Ciò che Matteo non poteva cogliere, e questo è il suo limite
di fronte alle accurate analisi che invece ci ha lasciato Giovanni,
è che le novità istituzionali romane avevano un comune im
pianto in una nuova base strutturale che ormai andava decisa
mente emergendo nella Roma della seconda metà del Trecento,
mentre a Firenze era già in atto da tempo:116 ci riferiamo al de
ciso spostamento, che in questa epoca si realizza a Roma, nella
capacità di controllo della produzione granaria 117 e dei riforni

113 Matteo Villani, IX, 87.


114 « E nota come si mutano le condizioni e gli stati de' secoli, che i Ro
mani anticamente feciono la città di Firenze e dierono loro legge, e in questi
nostri tempi mandaro per le leggi a' Fiorentini » (Villani, XI, 96).
115 Ecco come Matteo Villani commenta il declino dei romani: «L'antico
popolo e reggimento romano a tutto il mondo era specchio di costanza e incre
dibile fermezza d'onesto e regolato vivere e d'ogni morale virtù, e quello ch'ai
presente possiede le ruine di quella famosa città è tutto per lo contrario mobile
e incostante, e senza alcuna ombra di morali virtù. Loro stato sovente si muove
con vogliosa e straboccata leggerezza, e cercando libertà l'hanno trovata, ma non
l'hanno saputa ordinare né tenere, com'addietro nell'opera nostra si può trovare.
All'ultimo dalla forma e costumi de' reggimenti de' popoli della Toscana che
vivono in libertà, e massimamente de' Fiorentini cui essi appellano figliuoli,
hanno preso il modo» (IX, 87). E ancora, dopo aver raccontato l'episodio di
Lello Pocadota e la successiva sottomissione della città al papa, aggiunge: « Tu
che leggi ed hai letto le alte maravigliose cose che feciono i buoni Romani
antichi, e tocchi queste in comparazione, non ti fia senza stupore d'animo »
(XI, 25).
116 Cfr. la bibliografia cit. alla nota 94. In particolare sulla presenza nelle
campagne del capitale mercantile v. L. A. Kotel'nikova, op. cit., p. 232 sgg.;
A. Sapori, I mutui dei mercanti fiorentini del Trecento e l'incremento della
proprietà fondiaria, in Studi di storia economica, voi. I, Firenze 1955.
117 Sui modi della produzione granaria, e in generale agraria, romana e
laziale bassomedioevale v. A. Cortonesi, Colture e allevamento nel Lazio basso
medioevale, « Archivio della Società Romana di Storia Patria », CI, 1978. Sul
ruolo del grano nell'alimentazione v. E. Fiumi, op. cit., p. 330 sgg. (« il grano

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Carestie e cronisti nel Trecento 373

menti alimentari cittadini.118 Questo spostamento è determinato


dall'intervento dei ceti mercantili cittadini emergenti nelle varie
fasi dello sfruttamento della terra e quindi dal passaggio della
proprietà, e più spesso della conduzione, di larghe zone di pro
duzione granaria dalle mani nobiliari ed ecclesiastiche a quelle
dei mercanti di campagna di origine cittadina.119 Non si può che
sottolineare che tra le motivazioni principali di questo deciso
interesse per la campagna del gruppo dirigente mercantile citta
dino vi fosse proprio la paura della carestia.120 Il mercante citta
dino (detto « di campagna » esclusivamente per indicare i suoi
interessi economici) aveva anche a Roma tra le componenti fon
damentali della propria cultura il desiderio di procurarsi riserve
alimentari, le più ampie possibili; paura della penuria alimentare
e volontà di investire nelle campagne i profitti commerciali si
sommavano, dunque, nello stimolare verso il diretto controllo
della produzione agraria: il sopraggiungere della carestia, ampia
mente prevedibile a scadenza ciclica, avrebbe pertanto trovato il
mercante tranquillo, per la scorta delle derrate disponibili per
il consumo, e anzi in grado di concludere dei buoni affari per
l'immediato rialzo del prezzo della sua scorta granaria.121 Queste

era, molto più di oggi, l'elemento preponderante, se non vogliamo ammetterlo


esclusivo, della nutrizione umana in carboidrati »); G. Mira, II fabbisogno di
cereali in Perugia e nel suo contado nei secoli XIII-XIV, in Studi in onore di
Armando Sapori, Milano 1957, voi. I, p. 507 sgg.; A. Cortonesi, Le spese
« in victualibus » della « Dornus Helemosine Sancti Vetri » di Roma, « Archeo
logia Medievale », Vili, 1981, p. 220 sgg.; G. Cherubini, Le Campagne italiane
dall'XI al XV secolo, in Storia d'Italia, IV, Torino 1981, p. 370 sgg.
118 Sui rifornimenti alimentari di Roma nel basso Medioevo v. C. De Cupis,
Le vicende dell'agricoltura e della pastorizia nell'agro romano, Roma 1911;
A. De Sanctis Mangelli, La pastorizia e l'alimentazione di Roma nel Medio
Evo e nell'Età Moderna, Roma 1918; riferimenti al Medioevo romano in J. Re
vel, Le grain de Rome et la crise de l'annone dans la seconde moitié du XVIII'
siècle, « MEFRM », 84, 1972, e in J. Delumeau, Vie économique et sociale de
Rome dans la seconde moitié du XVI' siècle, Paris 1959.
119 Questo ingente spostamento di proprietà e di conduzione della terra è
stato studiato da J.-C. Maire-Vigueur, Les Casali des églises romaines à la fin
du Moyen Age (1348-1428), «MEFRM», 86, 1974; v. inoltre Id., Classe domi
nante ... rit.; C. Gennaro, op. cit.-, P. Brezzi, Il sistema agrario... cit.
120 Cfr. G. Duby, op. cit., voi. II, p. 477.
121 Su questi aspetti della cultura del mercante romano v. A. Esch, La fine
del libero comune ... cit., pp. 257-258.
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374 Luciano Palermo

nuove condizioni economiche, collegate a quelle politiche per


l'immediato rafforzamento della capacità che questi gruppi mer
cantili avevano di controllare la città,122 pur non possedendo la
solidità della parallela situazione fiorentina, tendenzialmente an
nullavano il significato ricattatorio della carestia poiché toglie
vano ai baroni il monopolio della produzione granaria, e comun
que modificavano i modi e i tempi dell'incidenza della medesima
carestia nella vita cittadina. Abbiamo, infatti, anche per la se
conda metà del Trecento ancora notizie di carenze alimentari, e
anche assai gravi, ma esse erano inserite in una struttura socio
economica in grado di assorbire assai meglio le difficoltà che via
via si presentavano.123 E va aggiunto che la contemporanea ricon
quista albornoziana delle varie regioni dello Stato pontificio 124
poneva sempre più fortemente il problema dell'inserimento di
Roma in un sistema economico più ampio, comprendente tutto
il territorio dello Stato e caratterizzato da una serie di mecca
nismi di compensazione tra regione e regione e tra centro e peri
feria tali da limitare gli effetti più devastanti delle carestie col
rifornire le regioni più colpite con i prodotti provenienti da
quelle meno colpite.125 La stessa Roma acquistava così una posi
zione centrale, quale punto di convergenza di varie linee di rifor
nimento provenienti da tutte le zone di produzione dello Stato.
Dall'imitazione del modello fiorentino si giunge, dunque, gra
dualmente ad esperimentare il funzionamento di un sistema an
nonario centralizzato. Ma solo nel Quattrocento troviamo ope
ranti a Roma dei veri e propri uffici dell'Abbondanza,126 capaci

122 Cfr. J.-C. Maire-Vigueur, Classe dominante... cit., passim.


123 Sulle carestie del tardo Trecento e dei primi del Quattrocento v. P.
Brezzi, II sistema agrario... cit., pp. 159-161. In particolare sui « bovattieri »,
oltre all'opera citata di C. Gennaro, v. G. Ricci, La Universitas bobacterìorum
urbis, « Archivio della Società Romana di Storia Patria », XVI, 1893.
124 Cfr. P. Colliva, Il Cardinale Albornoz, lo Stato della Chiesa, le « Consti
tutiones aegidiane » {1353-1337), Bologna 1977 (con amplissima bibliografia).
125 Cfr. J. Glenisson, Une administration médiévale aux prises avec la
disette, «Le Moyen Age », 3-4, 1951.
126 È in corso di svolgimento, a cura di chi scrive, lo spoglio dei registri
quattrocenteschi degli uffici annonari romani. Cfr. la bibliografia citata alla
nota 118.

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Carestie e cronisti nel Trecento 375

di dare una certa continuità ai rifornimenti, e i fiorentini saranno


ancora presenti non più con i buoni consigli, che tanto inorgo
glivano Giovanni e Matteo Villani, ma con i propri capitali fi
naraiari, veri dominatori del sistema dei rifornimenti, come di
ogni altra attività economica,127 della capitale del cattolicesimo
rinascimentale.

Luciano Palermo

127 Cfr. A. Esch, Bonifaz IX.... cit., passim-, Id., Dal Medioevo al Rina
mento: uomini a Roma dal 1350 al 1450, « Archivio della Società Romana
Storia Patria», XCIV, 1971; Id., Florentiner in Rom um 1400, « Quellen
Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken », 52, 1972.

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