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La casa natale
di Benito Mussolini
Storia di un luogo e di un simbolo
Roberto Balzani
Debbo la conoscenza delle immagini qui riprodotte alla dott. Antonella Bassenghi e al
sig. Piergiorgio Brigliadori che vivamente ringrazio.
1 Erodoto, Storie, VII, 228: «Straniero, annuncia agli Spartani che qui giacciamo, ob
bedendo alle loro leggi».
2 D'obbligo il riferimento, a questo proposito, a C. Norberg-Schulz, Genius Loci. Pae
saggio, ambiente, architettura, Milano, Electa, 1979. Clr., inoltre, per il concetto di luo
go della memoria, P. Nora, Entre Mémoire et Histoire. La problématique des lieux, in
Les lieux de mémoire, I. La République, sous la direction de P. Nora, Paris, Gallimard,
1984, pp. XVII-XLII.
3 Un'altra citazione scontata: G.L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simboli
smo politico e movimenti di massa in Germania (1815-19}}), Bologna, Il Mulino, 1975.
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finn al Panthéon, a Parigi, la geografia simbolica dell'Europa otto
centesca, alla cui ricostruzione una qualche volta si dovrà pur pen
sare, così come qualcuno ha saputo persuasivamente occuparsi di
quella letteraria4, sembra precostituire gerarchie, polarità, assi privi
legiati.
Il «ritardo» italiano, all'interno di questo imponente processo che
orientò visitatori, mobilitò intellettuali, promosse la costituzione di
cordate fatte d'imprenditori e di professionisti, pare evidente già nel
periodo post-risorgimentale: da una parte, infatti, non era un coe
rente disegno della classe politica, ma l'eterogenea diversità delle
borghesie locali a favorire l'individuazione dei luoghi fisici della me
moria5; dall'altra, la solidificazione di una generica percezione della
oggettiva «realtà monumentale» del nostro paese, peraltro ben giu
stificata dalla presenza dell'ingente patrimonio storico-artistico, pa
reva rendere meno impellente la necessità di ridisegnare una map
pa simbolica «moderna» degli spazi in cui si era esplicato il «genio»
italiano. Lo scarso investimento compiuto dalla classe dirigente na
zionale sul terreno del genius loci patriottico, e l'intermittente consa
pevolezza dimostrata dai vertici delle élites al potere nei riguardi di
una compiuta «leggenda d'origine» risorgimentale6 avrebbero pro
dotto il singolare effetto di rendere la rivisitazione neo-monumenta
le dei luoghi d'Italia affare di notabilati periferici o di minoranze cul
turali «illuminate», ma non certo espressione di un consenso diffuso,
assorbito dal senso comune. Lo testimonia bene, fra l'altro, la proli
ferazione di itinerari regionali o sub -regionali dotati di una qualche
coerenza simbolica (un esempio per tutti: i percorsi delle guerre
d'indipendenza, nella pianura lombarda e veneta), e, nello stesso
tempo, la mancanza di una «mappatura nazionale» delle emergenze
storiche neo-monumentali: con l'evidente sperequazione fra aree
del paese (e fra patriottismi) che un simile, disarticolato procedere
finiva per produrre.
La Romagna, dove le forze della tradizione comunale, per tutto
l'Ottocento, erano state vive e operanti, appariva un territorio già «al
lenato» a ricevere stimoli sul versante della riconsacrazione dei luo
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ghi alla vulgata «laica» e nazionale. La precoce esperienza di una
politica di massa indirizzata in senso radicale aveva indotto i notabili
del territorio ad affinare ima particolare sensibilità nei riguardi degli
strumenti meno consueti della propaganda, a partire da quelli este
riori, alimentati da riti collettivi e da scenografie spesso accurate,
che sembravano destinati ad incidere in modo più diretto ed efficace
sui processi di coesione civile o di appartenenza «partitica» in atto
presso una base popolare potenzialmente assai vasta7. Basti pensare
ai pantheon urbani, ai monumenti, alla lapidaria, alla toponomasti
ca: una selva di interventi, spesso frammentati e incoerenti, che co
munque avevano contribuito a stabilire nuove gerarchie simboliche,
nuove polarità dotate di senso per migliaia d'individui.
Il fascismo, sotto questo profilo, non avrebbe faticato molto ad
imporre il proprio arsenale simbolico8: l'area sub-regionale era già
predisposta ad accogliere gli elementi di un genius loci che la crea
zione della «tradizione» mussoliniana, più che conculcare, era de
stinata ad arricchire. Non solo. La vicenda fascista ambiva rappre
sentare, come è noto, l'ultima e più innovativa espressione di un
itinerario di nazionalizzazione incubato negli anni del Risorgi
71
mento. In questo modo, però, essa in qualche modo affiancava e
«doppiava» una manifestazione tipica della cultura politica regio
nale, che proprio sulla valorizzazione degli apporti della «perife
ria» al nation-building aveva fondato, in parte almeno, la propria
legittimazione9. Non è un caso che il culto mussoliniano della per
sonalità appaia, in Romagna, fortemente contestualizzato; né è
possibile sottovalutare, ai fini della perdurante efficacia del mito (i
cui effetti, questa volta in negativo, si possono leggere ancora nel
«complesso del dittatore» di cui parlava Giorgio Bocca in Miracolo
all'italiana10), la trama di luoghi fisici della memoria recuperati o
allestiti dentro lo spazio regionale, in omaggio a un eclettismo for
se rozzo, ma di certo funzionale alla rappresentazione dei roma
gnoli come prototipi e come catalizzatori delle genuine virtù di cui
poteva dar prova l'intera provincia italiana.
7 Cfr. R. Balzani, Aurelio Sqffi e la crisi della sinistra romantica (1882-1887), Roma,
Ed. dell'Ateneo, 1988; M. Ridolfi, Il partito della Repubblica I repubblicani in Roma
gna e le origini del Pri nell'Italia liberale (1872-1895), Milano, Angeli, 1989.
8 Sul quale cfr. l'ormai «classico» E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione
della politica nell'Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 1993.
9 R. Balzani, La regione immaginata Miti e rappresentazioni della Romagna fra '800
e '900, in «I Quaderni del 'CardeUo'», 5 (1994), pp. 7-28.
10 G. Bocca, Miracolo all'italiana, Milano, Ed. Avanti!, 1962, pp. 49-55.
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Una selva di simboli
12 Sul quale cfr. M. Baioni, Il fascismo e Alfredo Orianl II mito del precursor
na, Longo, 1988.
13 Cfr., a questo proposito, sul «mito» dell'eroe dell'aria, A. Varni, Francesco
in Id., Uomini, fatti, idee di Romagna, Bologna, Boni, 1986, pp. 179-195.
14 Cfr. L. Passerini, Mussolini immaginario. Storia di una biografia 191J-191
Bari, Laterza, 1991.
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Fig. 1. Sintesi della Romagna: è il titolo di una composizione presentata ad una «setti 73
mana faentina» nella seconda metà degli anni Trenta. Le componenti del mito
ci sono tutte: ruralità, arte «povera», semplicità di costumi, busto del «duce» e
frase di Giovanni Pascoli.
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Per valutare appieno l'effetto di una simile traslazione di significa
ti (e dei luoghi ad elevata intensità simbolica, e degli spazi significa
tivi annessi) sarebbe un errore, del resto, indugiare solo sulla lettura
«alta», che s'iscrive nella grande metanarrazione della risurrezione
della patria: la casa natale del «duce», più del Cardello, più della
piazza di Lugo, sembra rinviare alla celebrazione sommessa e reto
ricamente «proletaria» dello spazio familiare nell'Itaba rurale. Lo
sottolinea, ancora nell'ottobre del 1940, un accademico d'Italia, Gu
stavo Giovannoni, incaricato dal ministro dei Lavori pubblici di «esa
minare in Predappio le possibib sistemazioni della zona circostante
alla casa natale del Duce»: «Il pensiero primo [...] è che la casa verso
cui si rivolgono l'affetto e la venerazione degb itahani debba rimane
re inalterata nel suo ambiente - modesta casa rurale tra i campi - a
ricordo di una nobiltà di origine, a monito per una vita itabana radi
cata nel suolo italiano»16. Se Predappio, grazie a Mussolini, era stata
creata «come centro a sé», con i «suoi tracciati rettihnei, il suo portico
ad esedra, le sue case schierate lungo le vie», la vecchia abitazione
rimandava al «natio borgo selvaggio» di Dovìa, quasi a rimarcare,
con la sua sopravvivenza, il transito della modernità per quella pla
74
cida vallata appenninica. D'altro canto, la vitahtà rusticana del «vil
laggio» stava alla razionalità della cittadina nuova come il giovane
«monello» Mussolini stava al «grande» e responsabile capo del go
verno. «E in mezzo a queste influenze dominanti ed altre partenti
dalla vita rustica del villaggio, dalle abitudini locali, dall'asprezza
del luogo - sosteneva deterministicamente Carmine Pellegrino nel
1928 - si svolge uno spirito naturalmente dotato d'un potere eccezio
nale di assimilazione, di conquista, di dominio»17. Data, dunque, la
necessità di documentare un passaggio non solo di gusto, ma addi
rittura psicologico e culturale, il problema architettonico della casa
natale del «duce» non poteva essere risolto all'interno degli schemi
razionahstici della pianificazione urbanistica del regime, ma sem
brava costituirne in qualche modo il controcanto, il pre-requisito
spirituale. Proprio per conservare intatto, quasi in vitro, il fragrante
significato simbolico di una «rivoluzione italiana» che nasceva dal
popolo, nella dignitosa povertà della periferia. «L'umiltà delle origini
16 Archivio di Stato di Forlì (d'ora in poi: ASFo), Genio Civile di Forlì, Fondo Predap
pio Nuova, b. 751, l'arch. G. Giovannoni al ministro dei Lavori pubblici, Roma, 14
ottobre 1940.
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- recitava una biografia mussoliniana della seconda metà degli anni
Venti - è dunque una disgrazia che porta fortuna»18.
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76
Fig.
Fig. 2.
2. AA pochi
pochipassi
passidalla
dallacasa
casanatale
natale
di Mussolini,
di Mussolini,
presso
presso
l'asilo
l'asilo
SantaSanta
Rosa di
Rosa
Predi Pre
dappio
dappio nuova,
nuova,è evisibile
visibileancor
ancoroggi
oggi
un'imponente
un'imponente
Madonna
Madonna del Fascio
del Fascio
(1927):(1927):
un
un rivestimento
rivestimentomurale
murale formato
formato da da
piastrelle
piastrelle
maiolicate
maiolicate
(azulejos)
(azulejos)
commiscommis
sionate
sionate ad
aduna
unaditta
dittadidi
Lisbona.
Lisbona.
A parte
A parte
i risvolti
i risvolti
simbobco-reUgiosi
simbolico-religiosi
dell'opera,
dell'opera,
6
è curioso osservare la «sacralizzazione» del nome della madre del «duce»
un altro
(Rosa Maltoni): un altro aspetto
aspetto della
della rifondazione
ril'ondazione del
del genius
genius loci
loci
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provvide a donargliela. Fra il 1925 e il 1927, quando il governo decise
lo spostamento dell'abitato di Predappio verso il fondovalle e prese
avvio, di conseguenza, la «costruzione» vera e propria della nuova
cittadina23, divenne subito evidente la necessità di valorizzare in
modo adeguato quel vecchio edificio rurale all'interno della fitta rete
di simboli e di luoghi di culto che si andava allestendo. Era ima «casa
strana la quale [aveva] tuttavia qualcosa di signorile, con la sua scala
esterna, e che forse doveva ospitare, un tempo, una famiglia agiata.
Questa casa si eleva su di un pendio ed è riconosciuta fra le altre, col
nome di Forano di costa. Vi conduce un sentiero ripido - sono anco
ra parole di Antonio Beltramelli, tratte da L'uomo nuovo, del 1923 -
che si converte, nella stagione delle piogge e nell'inverno, in imo
slittatolo. La circondano pagliai scheletriti, capanne e qualche albe
ro. Ha, ai piedi, la borgata di Dovìa; innanzi a sé la calva distesa dei
colli e la Rocca delle Caminate, un nido di falchi»24.
Gli elementi leggendari dell'universo beltramelliano ci sono tutti:
la casa è umile, ma con tratti «signorili», e dunque rimanda all'idea
di un'«aristocrazia di popolo», autentico antidoto contro le degenera
zioni della democrazia post-bellica, così cara all'autore. È, poi, in
posizione elevata e ben riconoscibile: dunque semplice ma non ano- ;
nima, rustica ma anche unica. Difficile sottrarsi alla sensazione di
un destino individuale già in qualche modo segnato; e difficile conte
stare, a questo punto, persino l'inevitabilità dell'opzione elitistica la
tente fin nelle manifestazioni più casuali della vita materiale del
l'«eroe». Il genius loci, d'altronde, funziona così, raccogliendo presagi
«inventati» e incatenandoli a cose, ad ambienti, a spazi. Ma la leggen
da del «figlio del popolo» eruttato dalle «terre vulcaniche» e scabre
dell'Appennino se poteva funzionare nella primavera del 1923, certo
era destinata a declinare, nel volgere di pochi anni, di fronte all'iper
bolica dilatazione del mito mussoliniano. A quel punto, nella secon
da metà del decennio, altre prospettive avrebbero conquistato i pove
ri notabili di Predappio, ormai galvanizzati dalla prospettiva dell'im
mancabile elevazione della loro «periferia» non solo a luogo di speri
mentazione urbanistica, ma anche a sede deputata a raccogliere le
memorie aurorali dell'epopea fascista; un posto, insomma, il cui de
nominatore estetico-culturale, al di là dei consueti e scontati riman
23 Cfr., fra gli altri, U. Tramonti, Predappio nuova. Da borgata rurale a terra di culto,
in «Memoria e Ricerca», I (1995), n. 2, pp. 105-112.
24 A. Beltramelli, L'uomo nuovo, Milano, Mondadori, 1925, p. 88.
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di alla romanità prodotti da volonterosi eruditi locali25, sarebbe stato
completamente dominato dall'incombente presenza dell'artefice
della «rivoluzione italiana». Il cimitero di S. Cassiano, dove riposava
no le spoglie dei genitori del «duce», divenne così meta di frequenti
pellegrinaggi, e la stessa casa che il «mitico» fabbro Alessandro ave
va abitato attirava la curiosità di militanti e visitatori. S'imposero la
vori di consolidamento e di ristrutturazione, ma l'impianto origina
rio dell'edificio non fu affatto alterato. Mussolini, insomma, non in
tendeva trasformare quelle poche stanze in un nuovo Cardello26, che
già era - secondo l'icastica definizione di Giovanni Spadolini - un
«Vittoriale dei poveri», una specie di spazio di culto patriottico spro
fondato nella sonnolenta ruralità dell'Appennino romagnolo: con
grande senso dell'opportunità politica, egli cercò piuttosto di preser
vare la dimensione quotidiana e «normale» delle sue origini, quasi
per indurre nelle comitive di gente semplice che scendevano dai tor
pedoni e salivano le scale di quella dimora un senso automatico ed
immediato di identificazione.
25 Fra i quali cfr. E. Casadei, La Città di Forlì e i suoi dintorni, Forlì, Soc. Tip. Forlivese,
1929, p. 585.
26 Cfr., a questo proposito, *1 Quaderni del 'Cardello'», I (1990), numero monografico
dedicato all'Ente «Casa di Oriani», alla Biblioteca di storia contemporanea, ad Alfredo
Oriani, a cura di E. Dirani.
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celebrative per mantenerne intatta la memoria umbratile e modesta.
«Ecco da principio la casa del duce:», raccontava Gabriel Faure nel
1934, in un opuscolo destinato al pubblico francese, che significati
vamente riproponeva i dubbi circolanti sull'inserimento del luogo
nell'impianto neo-monumentale della città nuova, «a pian terreno
una stanza che era la fucina paterna [...]. Avrei preferito che non fos
se stata costruita la scala troppo imponente che sale dal mercato
nuovo e che accentua il contrasto fra le costruzioni recenti e la rusti
ca casa natale, così commovente nella sua semplicità»27. Di questa
«vocazione» para-museale etnografica e contadina la dimessa dimo
ra del «fabbro di Dovìa», come si vedrà meglio più avanti, sarebbe
divenuta un'espressione decisamente tipica: in sintonia, fra l'altro,
con quelle aperture alla cultura dei campi e al lavoro agricolo che i
musei etnografici e le esposizioni regionali cercavano di testimonia
re fin dal primo dopoguerra28. Non si trattava, peraltro, di ima ten
denza della cultura «regionale» sganciata dalla realtà politico-socia
le, per quanto non mancassero i cantori di una Romagna bucolica e
fuori dal tempo29: nel 1925, 0 museo etnografico di Forlì, uno dei
primi istituiti del genere (era stato inaugurato nell'ottobre 1922)30,
assumeva, ad esempio, «le funzioni di Comitato per lo sviluppo delle
piccole industrie in tutta la provincia»31, nel tentativo d'incardinare
sui mestieri tipici della Romagna contadina ima «vocazione» artigia
nale modernamente intesa, sorretta da un adeguato movimento in
tellettuale locale e dai cornimi interessi dei ministeri dell'Economia
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l'edificio in cui aveva insegnato la madre, Rosa Maltoni, e in cui era
quindi vissuto Mussolini adolescente. Il progetto prevedeva un radi
cale intervento architettonico sul manufatto e la sua trasformazione
della città, mentre Palazzo Varano era «promosso» a fulcro della vita
civile della borgata nascente. In entrambi i casi, l'intento propagan
distico e celebrativo era abilmente dissimulato proprio attraverso
l'apparente trascuratezza con cui gli spazi significativi della vicenda
mussoliniana sembravano privati di connotati strettamente biografi
ci e personali. La casa di Varano Costa diveniva così un'anonima
dimora contadina, o poco più; il Palazzo Varano, d'altra parte, ben
ché modernizzato e arricchito, finiva per perdere in larga misura la
sua recente «memoria» per votarsi a «casa di tutti». Nessuna retorica,
dunque? 0, piuttosto, la più sottile e insinuante delle retoriche: quel
la, cioè, che pretendeva dissolvere la storia di Mussolini nella storia
della periferia provinciale, ovvero nella storia tout court di tutti gli
italiani? Il Palazzo Varano era la migliore testimonianza dell'ambi
zione del «duce» a perdersi nella quintessenza un po' vaporosa e in
distinta dell'italianità: il suo «privato» si faceva «pubblico», il suo de
stino si perdeva per sempre, fra le stanze e gli scaloni del nuovo edi
ficio, nel destino della collettività. «Per la sede del nuovo Municipio si
sta riattando il vecchio palazzo Varano - così recitava un redattore di
«Opere fasciste», numero unico pubblicato a Forlì nell'ottobre 1926,
magnificando lo sviluppo di Predappio Nuova -, dove aveva sede la
scuola elementare nella quale insegnava la Signora Rosa Maltoni
Mussolini, madre di S.E. Renito Mussolini. L'edificio, formato da tre
piani e da una torre centrale, è situato su di una collinetta dalla quale
si domina tutto il nuovo abitato ed ad esso si accederà con ampia
scalea da una parte e con comoda rampa carrozzabile dall'altra. Il
terreno circostante all'edificio verrà sistemato a giardino»33. Una
scala monumentale, dunque, c'era, ma non quella che avrebbe do
vuto condurre al luogo sacro al culto della personalità del «duce»:
era nella disattenzione con cui i predappiesi, avvolti nei loro pensie
ri, l'avrebbero percorsa tutti i giorni che l'intento sottilmente retorico
perseguito dal fascismo avrebbe celebrato il suo trionfo.
32 Cfr. «Opere fasciste», n. unico a cura della Federazione provinciale fascista [...]
della provincia di Forlì nel iv annuale della marcia su Roma, [Forlì], [28 ottobre 1926].
33 Ibidem.
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Continuando lungo la strada che s'inoltrava nell'Appennino, il vi
sitatore avrebbe incontrato infine la chiesa di S. Cassiano e il cimite
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E DINTODNI
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CUIDA. ILLUJTRATA
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Fig.
Fig.
3. L'aquila e la Rocca
3.delleL'aquila
Caminate. Interpretando un'immagine
e la della Sarfatti,
Rocc
l'incisore
l'incisore
forlivese Bruno Nadiani componeva
forlivese
nel 1937 un quadro simbolico inBru
cui la tradizione «rivisitata»
«rmsitata» del
del castello
castello medievale
medievale si
si conciliava
conciliava con la «rottura»
inequivocabile dei «tempi
«tempi lunghi»
lunghi» della
della ruralità
ruralita pre-moderna
pre-moderna rappresentata
rappresentata
dal personaggio Mussolini.
Mussolini.
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loci lugubremente «rivisitato» dall'architetto Corsini; né sopravvive
vano vestigia riconoscibili di quella che negli anni Venti appariva
un'«età tramontata». Su questo spazio, dimenticato dalla storia, Mus
solini aveva costruito la sua «tradizione»: se il suo movimento aveva
37 L. Orsini, Le torri e le strade (Liriche del tempo nòvo), Milano, La Prora, 1958, p. 43.
38 F. Hardouin di Belmonte, Una favola vera, Milano, Hoepli, 1933.
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Fig. 4. La prima pagina de Una favola vera di F. Hardouin di Belmonte (1933). Qui
2
l'immagine della casa serve a privare l'origine del «duce» di ogni connotato
«storico», proiettandone le radici in uno «spazio mitico» contadino di fatto sen
za tempo.
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siano, nei quali gli architetti Di Fausto e Bazzani avevano potuto dar
prova del loro tardo accademismo prima di cader vittima, negli anni
Trenta, dei furori dei razionalisti e modernisti più intransigenti. In
gresso, viale, distribuzione dei percorsi apparivano funzionali al
manufatto più prezioso, la «Cappella Funeraria eretta alla memoria
dei Genitori del Duce»: «Due quadri ad olio in cornice nera riprodu
cono al vero le sembianze di Rosa Maltoni e di Alessandro Mussob
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baule originale, e infine l'immancabile «registro dei visitatori». Un
po' museo etnografico, un po' celebrazione della modestia rurale, la
casa natale faceva il paio con la casa avita dei Mussolini, ubicata in
un podere oltre Predappio alta, a Collina: «Le pareti disadorne, spe
cie della camera ove nacque Alessandro Mussolini, richiamano la
vita operosa e frugale delle «generazioni contadine», che diedero il
frutto più gagliardo all'Italia»42. Qui, sulla facciata, il «duce» si era
lasciato andare all'unica, esplicita autocelebrazione, dettando una
lapide che davvero riassume lo spirito autentico del «sistema simbo
lico» predappiese:
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Fig. 5. La casa natale di Mussolini in un dipinto di Teodoro Wolf-Ferrari (da Predap
pio. Ventiquattro quadri del pittore Teodoro Wolf-Ferrari, Milano, Opera Italia
na Pro Oriente, 1929).
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gna, che, sommando semplicisticamente taluni elementi fondamen
tali della cultura etnografica al busto del «duce», alludeva alla riusci
ta compenetrazione tra i tempi lunghi della ruralità e quelli, più sin
copati, della rivoluzione politica modernizzatrice. In questa prospet
tiva, persino il prodotto più artificiale e squisitamente «fascista» pre
sente sul territorio extra-urbano, la Rocca delle Cantinate, finiva per
trasformarsi, grazie alla matita indulgente di Serafino Campi, in una
trasposizione simbolica della Romagna (1939) nella quale storia e
natura sembravano cooperare al consobdamento della nuova «tradi
zione». Che tutto ciò cozzasse contro gb indirizzi modernistici appli
cati in città, dove i colpi del piccone demolitore erano ben più visibili
e radicali, è intuitivo: mentre gb «itinerari mussobniani» ricucivano
spazi e «interpretavano» la rurabtà di sempre - fra l'altro declinando
in senso municipabstico e «podestarile» l'«invenzione» o la riappro
priazione delle memorie collettive44 -, i progettisti del «duce», soprat
tutto i più ideologizzati e intransigenti, operavano nel senso deba
discontinuità, della frattura espbcita fra il «vecchio» e il «nuovo».
Si trattava di un'aporia, di una contraddizione che forse sfuggiva
ai più, a quelb che in realtà vivevano le costruzioni del fascismo
come l'attuazione del moderno, senza porsi troppi problemi di conti
nuità simboliche, di salti logici, di compatibihtà culturah fra i viah
rettilinei di Predappio Nuova e gb atteggiamenti da patriarca rurale
del «duce», che, insieme ai parenti, andava a inaugurare la lapide ai
suoi sulla casa di Collina. Non sfuggì, tuttavia, a Gustavo Giovanno
ni, che osservava acutamente, quando già l'Itaha era in guerra e il
mito mussobniano cominciava a scricchiolare:
44 Cfr. per esempio, la ricostruzione della colonna dell'ospitalità a Bertinoro nel 1926
sulla quale cfr. P. Amaducci, La colonna degli Anelli Antico monumento dell'ospitalit
bertinorese, San Marino, Arti grafiche sanmarinesi, 1925.
45 Cfr. la già citata relazione di G. Giovannoni al ministro dei Lavori pubblici, Roma
14 ottobre 1940. Per misurare il «successo» della casa natale del «duce» nei gadgets
dell'epoca basta sfogbare il catalogo delle cartoline conservate nelle collezioni Pia
castelli, presso la Biblioteca comunale di Forlì. Cfr. F. Bertoni e F. Bonilauri (a cura di
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Fig. 6. Una locandina di Serafino Campi (1938), che confermava l'avvenuta assimila
zione dello «specifico» romagnolo da parte della grafica di regime. Anche gli
elementi della tradizione «artistica» (le ceramiche di Faenza) possono quindi
rientrare all'interno di un modello espressivo ormai ben collaudato.
posta: «una strada che, partendo dalla via provinciale di Forlì, nel
punto in cui fiancheggia il torrente Rabbi, acceda direttamente al
gruppo di case di cui fa parte la casa del Duce; e sia, non una dura via
Romagna nelle 15.0000 cartoline del Fondo Piancastelli, Bologna, Analisi, s.d., pp. 291
296.
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rettilinea urbana [...], ma via campestre, larga non più di 7 metri,
adagiata sul terreno, di cui seguirà con le sue curve l'andamento
altimetrico, fiancheggiata da campi coltivati. Giunta al gruppo di
case, passerà a monte in lieve trincea accanto a quelle che alla Casa
del Duce si addossano, e sboccherà in un breve piazzale sullo spalto
che guarda verso la nuova Predappio [...]; ma anche questo non do
vrà avere carattere urbano. Sarà una vasta aia annessa al gruppo
rurale, non pavimentata, non selciata; servirà di stazione, necessa
ria, ai pellegrinaggi, i quali, giunti alla nuova via, proseguiranno poi
senza ritornare sui propri passi, per la via attuale e discenderanno
nella borgata»46. Seguono altre annotazioni tecniche, ma il succo del
progetto è già tutto qui: rendere la passeggiata nella terra di Mussoli
ni in qualche modo coerente col «sistema simbolico» presente nei
luoghi. Al di fuori di qualsiasi connessione visiva con la città nuova
che era nata a pochi metri. Non se ne fece nulla. Si potè, al massimo,
riparare il tetto, giacché, nel 1942, in seguito alle abbondanti nevica
te, esso appariva gravemente deteriorato47. E così, nonostante gli
sforzi «pedagogici» del «duce» e dei suoi esegeti, la confusione dei
simboli prevalse: la «poesia delle memorie e del significato» della
dimora di Varano Costa era destinata a mescolarsi inestricabilmente
46 ASFo, Genio Civile di Forlì, Fondo Predappio Nuova, b. 751, l'arch. G. Giovannoni
al ministro dei Lavori pubblici, cit
47 ASFo, Genio Civile di Forlì, Fondo Predappio Nuova, b. 751, il tecnico comunale al
podestà, Predappio, 19 luglio 1942.
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