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La casa natale di Benito Mussolini: Storia di un luogo e di un simbolo

Author(s): Roberto Balzani


Source: Contemporanea, Vol. 1, No. 1 (gennaio 1998), pp. 69-90
Published by: Società editrice Il Mulino S.p.A.
Stable URL: https://www.jstor.org/stable/24651514
Accessed: 05-08-2019 11:51 UTC

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La casa natale
di Benito Mussolini
Storia di un luogo e di un simbolo

Roberto Balzani

La storia e il genius loci

L'organizzazione di reti simboliche intorno a luoghi «significativi»


non è certo invenzione dell'età contemporanea: hasta il ricordo della
celebre lapide ai caduti delle Termopili trascritta da Erodoto per do
cumentare la persistenza di un comportamento culturale destinato a
sicura fortuna1. Le periodiche rievocazioni di presunti genii loci2,
d'altronde, attraversano le civiltà, combinandosi con le tradizioni, i
costumi, la geografia: talora sopravvivono solo in quanto toponimi,
talaltra la memoria di un individuo o di un evento si combina con la
69
creazione di «monumenti» o con l'altrettanto duratura elaborazione
di riti collettivi. I santuari, le emergenze del sacro sparse sul territo
rio rappresentano sicuramente la più imponente manifestazione di
questo atteggiamento, le cui radici restano inesplicabili senza un
supporto adeguato da parte dell'antropologo o dello studioso delle
mentalità; ma anche in epoca di rapida laicizzazione, come ha magi
stralmente dimostrato George L. Mosse, i meccanismi della produ
zione simbolica ancorata alla memoria di uno spazio, magari in di
pendenza da ideologie politiche, hanno offerto un buon aiuto alla
strutturazione di efficaci sensibilità collettive3. Dal Walhalla di Rati
sbona alla statua di Arminio a Teutoburgo; dal Palazzo di Cristallo

Debbo la conoscenza delle immagini qui riprodotte alla dott. Antonella Bassenghi e al
sig. Piergiorgio Brigliadori che vivamente ringrazio.

1 Erodoto, Storie, VII, 228: «Straniero, annuncia agli Spartani che qui giacciamo, ob
bedendo alle loro leggi».
2 D'obbligo il riferimento, a questo proposito, a C. Norberg-Schulz, Genius Loci. Pae
saggio, ambiente, architettura, Milano, Electa, 1979. Clr., inoltre, per il concetto di luo
go della memoria, P. Nora, Entre Mémoire et Histoire. La problématique des lieux, in
Les lieux de mémoire, I. La République, sous la direction de P. Nora, Paris, Gallimard,
1984, pp. XVII-XLII.
3 Un'altra citazione scontata: G.L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simboli
smo politico e movimenti di massa in Germania (1815-19}}), Bologna, Il Mulino, 1975.

Contemporanea / a. I, n. 1, gennaio 1998

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finn al Panthéon, a Parigi, la geografia simbolica dell'Europa otto
centesca, alla cui ricostruzione una qualche volta si dovrà pur pen
sare, così come qualcuno ha saputo persuasivamente occuparsi di
quella letteraria4, sembra precostituire gerarchie, polarità, assi privi
legiati.
Il «ritardo» italiano, all'interno di questo imponente processo che
orientò visitatori, mobilitò intellettuali, promosse la costituzione di
cordate fatte d'imprenditori e di professionisti, pare evidente già nel
periodo post-risorgimentale: da una parte, infatti, non era un coe
rente disegno della classe politica, ma l'eterogenea diversità delle
borghesie locali a favorire l'individuazione dei luoghi fisici della me
moria5; dall'altra, la solidificazione di una generica percezione della
oggettiva «realtà monumentale» del nostro paese, peraltro ben giu
stificata dalla presenza dell'ingente patrimonio storico-artistico, pa
reva rendere meno impellente la necessità di ridisegnare una map
pa simbolica «moderna» degli spazi in cui si era esplicato il «genio»
italiano. Lo scarso investimento compiuto dalla classe dirigente na
zionale sul terreno del genius loci patriottico, e l'intermittente consa
pevolezza dimostrata dai vertici delle élites al potere nei riguardi di
una compiuta «leggenda d'origine» risorgimentale6 avrebbero pro
dotto il singolare effetto di rendere la rivisitazione neo-monumenta
le dei luoghi d'Italia affare di notabilati periferici o di minoranze cul
turali «illuminate», ma non certo espressione di un consenso diffuso,
assorbito dal senso comune. Lo testimonia bene, fra l'altro, la proli
ferazione di itinerari regionali o sub -regionali dotati di una qualche
coerenza simbolica (un esempio per tutti: i percorsi delle guerre
d'indipendenza, nella pianura lombarda e veneta), e, nello stesso
tempo, la mancanza di una «mappatura nazionale» delle emergenze
storiche neo-monumentali: con l'evidente sperequazione fra aree
del paese (e fra patriottismi) che un simile, disarticolato procedere
finiva per produrre.
La Romagna, dove le forze della tradizione comunale, per tutto
l'Ottocento, erano state vive e operanti, appariva un territorio già «al
lenato» a ricevere stimoli sul versante della riconsacrazione dei luo

4 F. Moretti, Atlante del romanzo europeo 1800-1900, Torino, Einaudi, 1997.


5 Cfr. R. Balzani, Il mito del Risorgimento nell'associazionismo culturale della classe
dirigente unitaria, in «D Risorgimento», 46 (1994), n. 2-3, pp. 271-278.
6 Cfr., a questo proposito, B. Tobia, Una patria per gli italiani Spazi, itinerari, monu
menti nell'Italia unita (1870-1900), Roma-Bari, Laterza, 1991; I. Porciani, La festa della
nazione. Rappresentazione dello Stato e spazi sociali nell'Italia unita, Bologna, Il Muli
no, 1997.

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ghi alla vulgata «laica» e nazionale. La precoce esperienza di una
politica di massa indirizzata in senso radicale aveva indotto i notabili
del territorio ad affinare ima particolare sensibilità nei riguardi degli
strumenti meno consueti della propaganda, a partire da quelli este
riori, alimentati da riti collettivi e da scenografie spesso accurate,
che sembravano destinati ad incidere in modo più diretto ed efficace
sui processi di coesione civile o di appartenenza «partitica» in atto
presso una base popolare potenzialmente assai vasta7. Basti pensare
ai pantheon urbani, ai monumenti, alla lapidaria, alla toponomasti
ca: una selva di interventi, spesso frammentati e incoerenti, che co
munque avevano contribuito a stabilire nuove gerarchie simboliche,
nuove polarità dotate di senso per migliaia d'individui.
Il fascismo, sotto questo profilo, non avrebbe faticato molto ad
imporre il proprio arsenale simbolico8: l'area sub-regionale era già
predisposta ad accogliere gli elementi di un genius loci che la crea
zione della «tradizione» mussoliniana, più che conculcare, era de
stinata ad arricchire. Non solo. La vicenda fascista ambiva rappre
sentare, come è noto, l'ultima e più innovativa espressione di un
itinerario di nazionalizzazione incubato negli anni del Risorgi
71
mento. In questo modo, però, essa in qualche modo affiancava e
«doppiava» una manifestazione tipica della cultura politica regio
nale, che proprio sulla valorizzazione degli apporti della «perife
ria» al nation-building aveva fondato, in parte almeno, la propria
legittimazione9. Non è un caso che il culto mussoliniano della per
sonalità appaia, in Romagna, fortemente contestualizzato; né è
possibile sottovalutare, ai fini della perdurante efficacia del mito (i
cui effetti, questa volta in negativo, si possono leggere ancora nel
«complesso del dittatore» di cui parlava Giorgio Bocca in Miracolo
all'italiana10), la trama di luoghi fisici della memoria recuperati o
allestiti dentro lo spazio regionale, in omaggio a un eclettismo for
se rozzo, ma di certo funzionale alla rappresentazione dei roma
gnoli come prototipi e come catalizzatori delle genuine virtù di cui
poteva dar prova l'intera provincia italiana.

7 Cfr. R. Balzani, Aurelio Sqffi e la crisi della sinistra romantica (1882-1887), Roma,
Ed. dell'Ateneo, 1988; M. Ridolfi, Il partito della Repubblica I repubblicani in Roma
gna e le origini del Pri nell'Italia liberale (1872-1895), Milano, Angeli, 1989.
8 Sul quale cfr. l'ormai «classico» E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione
della politica nell'Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 1993.
9 R. Balzani, La regione immaginata Miti e rappresentazioni della Romagna fra '800
e '900, in «I Quaderni del 'CardeUo'», 5 (1994), pp. 7-28.
10 G. Bocca, Miracolo all'italiana, Milano, Ed. Avanti!, 1962, pp. 49-55.

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Una selva di simboli

Nel 1939, il pittore Domenico Rambelli realizza un panne


piastrelle di maiolica, che è visibile ancor oggi, sia pure in v
«purgata»11, nell'atrio dell'Istituto statale d'arte per la ceramica
tano Ballardini» di Faenza. Il soggetto della composizione è la
gna come spazio simbolico: dalla via Emilia che, in omaggio
val orianiano di quegli anni12, appare come il vettore di rom
chiamato a cucire le diversità della struttura policentrica reg
al Rubicone, che segna il punto di contatto fra la piccola storia
e il grande destino imperiale. Disseminati lungo l'asse della c
re, o collocati al di qua o al di là di esso, compaiono i «luogh
della Romagna fascista: la tomba di Dante a Ravenna, il monu
a Baracca a Lugo, il Palazzo Sersanti a Imola, la torre fascista
za del Popolo a Faenza, il San Mercuriale a Forlì, la tomba di O
Casola, la Rocca Malatestiana a Cesena, l'arco di Augusto a R
ed infine la casa natale di Benito Mussolini a Predappio. Il pa
è alquanto movimentato e disomogeneo: alcuni sono simboli
cipali» (palazzo Sersanti, S. Mercuriale, Rocca Malatestiana),
chiaramente «romani» (l'arco di Augusto), altri ancora patrio
senso lato (la tomba di Dante): un ultimo nutrito gruppo, i
d'impronta esplicitamente nazional-fascista. Oriani, Baracc
Mussolini14 si collocano, infatti, nell'ambito della vulgata cu
propagandistica dell'epoca, nel solco di una medesima corren
lutiva, che dai prodromi del nazionalismo italiano approda p
supremo sacrificio della Grande Guerra e poi, «per fi rami»,
smo. La Romagna, ancora una volta, compendia attraverso la
da biografica dei suoi uomini più rappresentativi la politica i
«moderna»: lo aveva fatto nel post-Risorgimento, le riesce
nella «nuova Italia» post-liberale. Prezzolini, che ancora non
apprezzare le dimensioni del processo di ricodificazione dei
in atto, nel momento in cui dà alle stampe nel 1925, per i tipi d
miggini, un agile profilo del «duce», è costretto ancora a rica

11 La casa natale del «duce» è stata trasformata in un'anonima cornucopia


tale.

12 Sul quale cfr. M. Baioni, Il fascismo e Alfredo Orianl II mito del precursor
na, Longo, 1988.
13 Cfr., a questo proposito, sul «mito» dell'eroe dell'aria, A. Varni, Francesco
in Id., Uomini, fatti, idee di Romagna, Bologna, Boni, 1986, pp. 179-195.
14 Cfr. L. Passerini, Mussolini immaginario. Storia di una biografia 191J-191
Bari, Laterza, 1991.

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Fig. 1. Sintesi della Romagna: è il titolo di una composizione presentata ad una «setti 73
mana faentina» nella seconda metà degli anni Trenta. Le componenti del mito
ci sono tutte: ruralità, arte «povera», semplicità di costumi, busto del «duce» e
frase di Giovanni Pascoli.

topos del romagnolo rivoluzionario: ha a disposizione Ferrerò, Bel


tramelli, De Amicis, Pascoli, e li usa, prendendo per buona una vul
gata nata e sviluppatasi nel secondo Ottocento15. La dimensione let
teraria («un po' leggendaria») lo seduce, ed egli non esita a calarvi il
«suo» personaggio. Si tratta, però, di un modello destinato ad una
rapida obsolescenza: di lì a poco, fatto salvo Oriani, saranno i miti
«positivi» e «continuistici» della tradizione eroica medievale e poi
nazionale a prevalere su quelli corruschi, partoriti in età umbertina
dalla duplice paura della repubblica e della politica di massa. Iscri
vendo Mussolini fra gli eredi delle «cameracce» rosse, Prezzolini non
rende quindi un buon servizio alla leggenda del «duce»: troppo colto
e troppo sofisticato, egli resta prigioniero di un immaginario che è
ancora «giolittiano», e che usa categorie di ascendenza monarchico
liberale ormai disancorate dalla realtà.

15 G. Prezzolini, Benito Mussolini, Roma, Formiggini, 1925, pp. 10-13.

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Per valutare appieno l'effetto di una simile traslazione di significa
ti (e dei luoghi ad elevata intensità simbolica, e degli spazi significa
tivi annessi) sarebbe un errore, del resto, indugiare solo sulla lettura
«alta», che s'iscrive nella grande metanarrazione della risurrezione
della patria: la casa natale del «duce», più del Cardello, più della
piazza di Lugo, sembra rinviare alla celebrazione sommessa e reto
ricamente «proletaria» dello spazio familiare nell'Itaba rurale. Lo
sottolinea, ancora nell'ottobre del 1940, un accademico d'Italia, Gu
stavo Giovannoni, incaricato dal ministro dei Lavori pubblici di «esa
minare in Predappio le possibib sistemazioni della zona circostante
alla casa natale del Duce»: «Il pensiero primo [...] è che la casa verso
cui si rivolgono l'affetto e la venerazione degb itahani debba rimane
re inalterata nel suo ambiente - modesta casa rurale tra i campi - a
ricordo di una nobiltà di origine, a monito per una vita itabana radi
cata nel suolo italiano»16. Se Predappio, grazie a Mussolini, era stata
creata «come centro a sé», con i «suoi tracciati rettihnei, il suo portico
ad esedra, le sue case schierate lungo le vie», la vecchia abitazione
rimandava al «natio borgo selvaggio» di Dovìa, quasi a rimarcare,
con la sua sopravvivenza, il transito della modernità per quella pla
74
cida vallata appenninica. D'altro canto, la vitahtà rusticana del «vil
laggio» stava alla razionalità della cittadina nuova come il giovane
«monello» Mussolini stava al «grande» e responsabile capo del go
verno. «E in mezzo a queste influenze dominanti ed altre partenti
dalla vita rustica del villaggio, dalle abitudini locali, dall'asprezza
del luogo - sosteneva deterministicamente Carmine Pellegrino nel
1928 - si svolge uno spirito naturalmente dotato d'un potere eccezio
nale di assimilazione, di conquista, di dominio»17. Data, dunque, la
necessità di documentare un passaggio non solo di gusto, ma addi
rittura psicologico e culturale, il problema architettonico della casa
natale del «duce» non poteva essere risolto all'interno degli schemi
razionahstici della pianificazione urbanistica del regime, ma sem
brava costituirne in qualche modo il controcanto, il pre-requisito
spirituale. Proprio per conservare intatto, quasi in vitro, il fragrante
significato simbolico di una «rivoluzione italiana» che nasceva dal
popolo, nella dignitosa povertà della periferia. «L'umiltà delle origini

16 Archivio di Stato di Forlì (d'ora in poi: ASFo), Genio Civile di Forlì, Fondo Predap
pio Nuova, b. 751, l'arch. G. Giovannoni al ministro dei Lavori pubblici, Roma, 14
ottobre 1940.

17 C. Pellegrino, Benito Mussolini e la ricostruzione nazionale. Per i fanciulli d'Italia,


Milano-Roma-Napoli, Albrighi, Segati & C., 1928, p. 7.

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- recitava una biografia mussoliniana della seconda metà degli anni
Venti - è dunque una disgrazia che porta fortuna»18.

Una casa leggendaria

«Nelle camere sopra l'officina era la Scuola del villaggio, e vi inse


gnava Rosa Maltoni, moglie del fabbro e madre di Benito. [...] Pensa
te, cari fanciulli, come il destino prepara chiara la via agli uomini
grandi! La Scuola, ove a voi si aprono gli orizzonti della storia del
mondo, era sopra la sonante officina, ove il fuoco domato e dominato
dall'uomo trasforma i metalli grezzi in precisi strumenti per arric
chire la terra natale e in armi sicure per difenderla dalla ingordigia
straniera»19: così Skem Gremigni in ima ricostruzione della genealo
gia mussoliniana ad uso dei ragazzi delle scuole. L'esplicito richia
mo al luogo in cui erano «precipitati» i due composti di quella misce
la esplosiva che avrebbe prodotto il «duce» finiva per nobilitare il
profilo di un'abitazione del tutto anonima, tipicamente rurale, tra
sformandola in metafora di un carattere: «l'incudine paterna tem
prava il metallo arroventato dalla fucina - aggiungeva, sempre nel
1927, il professor A. Sardo in un Mussolini dedicato ai giovani -. [...]
L'incudine della vita rude aspra e fiera, temprò l'acciaio saldo di
quell'anima giovinetta»20. La traslazione dal concreto all'astratto,
dalla metallurgia all'etica, d'altronde, era inevitabile: non era stato il
«rivoluzionario» Alessandro, del resto, a suggerirne la declinazione,
nel momento in cui aveva lasciato ai figli non già «beni materiali»,
ma - come avrebbe riferito più tardi lo stesso «duce» - il prezioso
«bene morale» dell'«idea»?21
La casa in cui Mussolini era nato non apparteneva alla famiglia:
fini fra i suoi beni - e fu anzi l'unico bene immobile che, nel giugno
1945, gli appariva intestato nella giurisdizione del tribunale di For
lì22 - solo il 15 aprile 1923, quando un gruppo di cittadini predappiesi

18 E Duce. Biogrcfia del Duce narrata al Popolo, Firenze, Nerbini, s.d., p. 6.


18 S. Gremigni, Duce d'Italia, Milano, Istituto di Propaganda, d'Arte e di Cultura,
[1927], p. 25.
28 A. Sardo, Mussolini Libro dedicato ai giovani Milano-Roma-Napoli, Albrighi, Se
gati & C., 1927, p. 15.
21 G. Pini, Benito Mussolini La sua strada fino ad oggi Dalla strada al potere, Bolo
gna, Cappelli, 1926, p. 6.
22 Clr. il documento inviato dalla R. Intendenza di finanza di ForR al presidente del
Tribunale di ForR il 16 giugno 1945, conservato in copia presso l'archivio del munici
pio di Predappio. L'autore ringrazia l'Amministrazione di Predappio, e in particolare
l'assessore dott. Mario Proli, per la fattiva collaborazione offerta nel corso della ricer

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Fig.
Fig. 2.
2. AA pochi
pochipassi
passidalla
dallacasa
casanatale
natale
di Mussolini,
di Mussolini,
presso
presso
l'asilo
l'asilo
SantaSanta
Rosa di
Rosa
Predi Pre
dappio
dappio nuova,
nuova,è evisibile
visibileancor
ancoroggi
oggi
un'imponente
un'imponente
Madonna
Madonna del Fascio
del Fascio
(1927):(1927):
un
un rivestimento
rivestimentomurale
murale formato
formato da da
piastrelle
piastrelle
maiolicate
maiolicate
(azulejos)
(azulejos)
commiscommis
sionate
sionate ad
aduna
unaditta
dittadidi
Lisbona.
Lisbona.
A parte
A parte
i risvolti
i risvolti
simbobco-reUgiosi
simbolico-religiosi
dell'opera,
dell'opera,
6
è curioso osservare la «sacralizzazione» del nome della madre del «duce»

un altro
(Rosa Maltoni): un altro aspetto
aspetto della
della rifondazione
ril'ondazione del
del genius
genius loci
loci

ca. La casa di Dovia


Dovìa veniva cosi
così descritta: «Casa in Predappio di piani tre e vani 9 -
situata in frazione B Sez. 1A S. Cassiano - Dovia
Dovìa - distinta nella mappa di Predappio al
foglio 27, n. 94. Reddito imponibile L. 80. Pervenuta con donazione atto Zoli
15.4.1923».

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provvide a donargliela. Fra il 1925 e il 1927, quando il governo decise
lo spostamento dell'abitato di Predappio verso il fondovalle e prese
avvio, di conseguenza, la «costruzione» vera e propria della nuova
cittadina23, divenne subito evidente la necessità di valorizzare in
modo adeguato quel vecchio edificio rurale all'interno della fitta rete
di simboli e di luoghi di culto che si andava allestendo. Era ima «casa
strana la quale [aveva] tuttavia qualcosa di signorile, con la sua scala
esterna, e che forse doveva ospitare, un tempo, una famiglia agiata.
Questa casa si eleva su di un pendio ed è riconosciuta fra le altre, col
nome di Forano di costa. Vi conduce un sentiero ripido - sono anco
ra parole di Antonio Beltramelli, tratte da L'uomo nuovo, del 1923 -
che si converte, nella stagione delle piogge e nell'inverno, in imo
slittatolo. La circondano pagliai scheletriti, capanne e qualche albe
ro. Ha, ai piedi, la borgata di Dovìa; innanzi a sé la calva distesa dei
colli e la Rocca delle Caminate, un nido di falchi»24.
Gli elementi leggendari dell'universo beltramelliano ci sono tutti:
la casa è umile, ma con tratti «signorili», e dunque rimanda all'idea
di un'«aristocrazia di popolo», autentico antidoto contro le degenera
zioni della democrazia post-bellica, così cara all'autore. È, poi, in
posizione elevata e ben riconoscibile: dunque semplice ma non ano- ;
nima, rustica ma anche unica. Difficile sottrarsi alla sensazione di
un destino individuale già in qualche modo segnato; e difficile conte
stare, a questo punto, persino l'inevitabilità dell'opzione elitistica la
tente fin nelle manifestazioni più casuali della vita materiale del
l'«eroe». Il genius loci, d'altronde, funziona così, raccogliendo presagi
«inventati» e incatenandoli a cose, ad ambienti, a spazi. Ma la leggen
da del «figlio del popolo» eruttato dalle «terre vulcaniche» e scabre
dell'Appennino se poteva funzionare nella primavera del 1923, certo
era destinata a declinare, nel volgere di pochi anni, di fronte all'iper
bolica dilatazione del mito mussoliniano. A quel punto, nella secon
da metà del decennio, altre prospettive avrebbero conquistato i pove
ri notabili di Predappio, ormai galvanizzati dalla prospettiva dell'im
mancabile elevazione della loro «periferia» non solo a luogo di speri
mentazione urbanistica, ma anche a sede deputata a raccogliere le
memorie aurorali dell'epopea fascista; un posto, insomma, il cui de
nominatore estetico-culturale, al di là dei consueti e scontati riman

23 Cfr., fra gli altri, U. Tramonti, Predappio nuova. Da borgata rurale a terra di culto,
in «Memoria e Ricerca», I (1995), n. 2, pp. 105-112.
24 A. Beltramelli, L'uomo nuovo, Milano, Mondadori, 1925, p. 88.

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di alla romanità prodotti da volonterosi eruditi locali25, sarebbe stato
completamente dominato dall'incombente presenza dell'artefice
della «rivoluzione italiana». Il cimitero di S. Cassiano, dove riposava
no le spoglie dei genitori del «duce», divenne così meta di frequenti
pellegrinaggi, e la stessa casa che il «mitico» fabbro Alessandro ave
va abitato attirava la curiosità di militanti e visitatori. S'imposero la
vori di consolidamento e di ristrutturazione, ma l'impianto origina
rio dell'edificio non fu affatto alterato. Mussolini, insomma, non in
tendeva trasformare quelle poche stanze in un nuovo Cardello26, che
già era - secondo l'icastica definizione di Giovanni Spadolini - un
«Vittoriale dei poveri», una specie di spazio di culto patriottico spro
fondato nella sonnolenta ruralità dell'Appennino romagnolo: con
grande senso dell'opportunità politica, egli cercò piuttosto di preser
vare la dimensione quotidiana e «normale» delle sue origini, quasi
per indurre nelle comitive di gente semplice che scendevano dai tor
pedoni e salivano le scale di quella dimora un senso automatico ed
immediato di identificazione.

L'architettura fascista «rivisita» i luoghi mussoliniani

Predappio nuova vive intorno a un asse viario rettilineo principa


le, in prossimità del quale si snodano i più rilevanti luoghi mussoli
niani. Davanti alla casa natale, da cui è divisa da un boschetto, si
apre l'esedra del Mercato Viveri, punto d'incrocio fra la strada che
proviene dalla Rocca delle Cambiate e il corso Benito Mussolini.
L'esedra, progettata in base ad una variante del piano regolatore ap
provata nel febbraio 1927, risolveva egregiamente il problema dello
snodo e della conseguente valorizzazione di due arterie decisive per
la città e, nel contempo, creava uno spazio pubblico deputato allo
scambio e all'incontro fra i cittadini. L'ipotesi di aprire un accesso
monumentale, attraverso una gradinata che dal mercato conducesse
alla dimora mussoliniana, fra l'altro collocata in posizione più eleva
ta, fu inizialmente realizzata, ma pare non riscuotesse l'approvazio
ne dallo stesso «duce», il cui obiettivo era - come si è detto - piuttosto
quello di sottrarre il luogo natio alle «rivisitazioni» pesantemente

25 Fra i quali cfr. E. Casadei, La Città di Forlì e i suoi dintorni, Forlì, Soc. Tip. Forlivese,
1929, p. 585.
26 Cfr., a questo proposito, *1 Quaderni del 'Cardello'», I (1990), numero monografico
dedicato all'Ente «Casa di Oriani», alla Biblioteca di storia contemporanea, ad Alfredo
Oriani, a cura di E. Dirani.

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celebrative per mantenerne intatta la memoria umbratile e modesta.
«Ecco da principio la casa del duce:», raccontava Gabriel Faure nel
1934, in un opuscolo destinato al pubblico francese, che significati
vamente riproponeva i dubbi circolanti sull'inserimento del luogo
nell'impianto neo-monumentale della città nuova, «a pian terreno
una stanza che era la fucina paterna [...]. Avrei preferito che non fos
se stata costruita la scala troppo imponente che sale dal mercato
nuovo e che accentua il contrasto fra le costruzioni recenti e la rusti
ca casa natale, così commovente nella sua semplicità»27. Di questa
«vocazione» para-museale etnografica e contadina la dimessa dimo
ra del «fabbro di Dovìa», come si vedrà meglio più avanti, sarebbe
divenuta un'espressione decisamente tipica: in sintonia, fra l'altro,
con quelle aperture alla cultura dei campi e al lavoro agricolo che i
musei etnografici e le esposizioni regionali cercavano di testimonia
re fin dal primo dopoguerra28. Non si trattava, peraltro, di ima ten
denza della cultura «regionale» sganciata dalla realtà politico-socia
le, per quanto non mancassero i cantori di una Romagna bucolica e
fuori dal tempo29: nel 1925, 0 museo etnografico di Forlì, uno dei
primi istituiti del genere (era stato inaugurato nell'ottobre 1922)30,
assumeva, ad esempio, «le funzioni di Comitato per lo sviluppo delle
piccole industrie in tutta la provincia»31, nel tentativo d'incardinare
sui mestieri tipici della Romagna contadina ima «vocazione» artigia
nale modernamente intesa, sorretta da un adeguato movimento in
tellettuale locale e dai cornimi interessi dei ministeri dell'Economia

nazionale e dell'Istruzione. Ma torniamo a Predappio.


Se la casa natale doveva apparire come cristallizzata nella lunga
durata del tempo rurale, diverso era il caso di Palazzo Varano, altro
luogo eminente ed altamente simbolico, ubicato anch'esso sulla co
sta a ridosso dell'asse viario principale. Palazzo Varano era stato

27 G. Faure, Au Pays du Duce, Novara, 1st Geografico De Agostini - Enit, 1934.


28 Basti ricordare, a questo proposito, la vicenda della rivista di Aldo Spallicci «La
Pié», sulla quale dr. Società di Studi romagnoli, Aldo Spallicci Studi e testimonianze,
Bologna, Fotocromo Emiliana, 1992; e E. Casali, La «Pié» e la cultura folclorica roma
gnola durante il fascismo, in A. Battistini (a cura di), Aspetti della cultura emiliano
romagnola nel ventennio fascista, Milano, Angeli, 1992, pp. 239-313.
29 Cfr. M.A. Bazzocchi, Mitologie della provincia: la Romagna fascista di Panzini,
Oriani, Beltramelli, in A. Battistini (a cura di), Aspetti della cultura emiliano-romagno
la, cit, pp. 211-237.
30 Per ulteriori informazioni su questa vicenda, ctr. ASFo, Carteggio del Comune di
Forlì, b. 487,1923.
31 ASFo, Carteggio del Comune di Forlì, b. 535,1925, il direttore della biblioteca, della
pinacoteca e dei musei al sindaco di Forlì, Forlì, 19 febbraio 1925.

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l'edificio in cui aveva insegnato la madre, Rosa Maltoni, e in cui era
quindi vissuto Mussolini adolescente. Il progetto prevedeva un radi
cale intervento architettonico sul manufatto e la sua trasformazione

in sede del comune. Il terreno circostante sarebbe divenuto un par


co32. La prospettiva, dunque, mutava: la casa natale doveva stare al
di fuori delle funzioni immediatamente simbolico-amministrative

della città, mentre Palazzo Varano era «promosso» a fulcro della vita
civile della borgata nascente. In entrambi i casi, l'intento propagan
distico e celebrativo era abilmente dissimulato proprio attraverso
l'apparente trascuratezza con cui gli spazi significativi della vicenda
mussoliniana sembravano privati di connotati strettamente biografi
ci e personali. La casa di Varano Costa diveniva così un'anonima
dimora contadina, o poco più; il Palazzo Varano, d'altra parte, ben
ché modernizzato e arricchito, finiva per perdere in larga misura la
sua recente «memoria» per votarsi a «casa di tutti». Nessuna retorica,
dunque? 0, piuttosto, la più sottile e insinuante delle retoriche: quel
la, cioè, che pretendeva dissolvere la storia di Mussolini nella storia
della periferia provinciale, ovvero nella storia tout court di tutti gli
italiani? Il Palazzo Varano era la migliore testimonianza dell'ambi
zione del «duce» a perdersi nella quintessenza un po' vaporosa e in
distinta dell'italianità: il suo «privato» si faceva «pubblico», il suo de
stino si perdeva per sempre, fra le stanze e gli scaloni del nuovo edi
ficio, nel destino della collettività. «Per la sede del nuovo Municipio si
sta riattando il vecchio palazzo Varano - così recitava un redattore di
«Opere fasciste», numero unico pubblicato a Forlì nell'ottobre 1926,
magnificando lo sviluppo di Predappio Nuova -, dove aveva sede la
scuola elementare nella quale insegnava la Signora Rosa Maltoni
Mussolini, madre di S.E. Renito Mussolini. L'edificio, formato da tre
piani e da una torre centrale, è situato su di una collinetta dalla quale
si domina tutto il nuovo abitato ed ad esso si accederà con ampia
scalea da una parte e con comoda rampa carrozzabile dall'altra. Il
terreno circostante all'edificio verrà sistemato a giardino»33. Una
scala monumentale, dunque, c'era, ma non quella che avrebbe do
vuto condurre al luogo sacro al culto della personalità del «duce»:
era nella disattenzione con cui i predappiesi, avvolti nei loro pensie
ri, l'avrebbero percorsa tutti i giorni che l'intento sottilmente retorico
perseguito dal fascismo avrebbe celebrato il suo trionfo.

32 Cfr. «Opere fasciste», n. unico a cura della Federazione provinciale fascista [...]
della provincia di Forlì nel iv annuale della marcia su Roma, [Forlì], [28 ottobre 1926].
33 Ibidem.

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Continuando lungo la strada che s'inoltrava nell'Appennino, il vi
sitatore avrebbe incontrato infine la chiesa di S. Cassiano e il cimite

ro adiacente. Nell'antica pieve, nota ima guida dell'epoca, era stato


battezzato il piccolo Benito54; nel camposanto, invece, era la tomba
di Rosa Maltoni. Il luogo della morte non poteva che conservare in
tatto il senso della vicenda della famigha, il collegamento con le ge
nerazioni passate: e non stupisce, quindi, che, intorno ad essa, fosse
andato sviluppandosi fin dal 1919 (e ancora oggi), quello che è forse
l'aspetto più diretto e immediato del «culto del 'duce'». Certo, anche
in questo caso non mancarono gli interventi architettonici, primo fra
tutti l'erezione di un ipogeo adeguato al rango raggiunto dai Musso
lini; ma ciò nulla toghe al carattere dei pellegrinaggi, che oggettiva
mente prescindevano dall'esibizione di qualsiasi ingrediente monu
mentale e s'iscrivevano, piuttosto, in un culto della personalità tipico
dell'età dei totalitarismi.

Ultimo luogo da ricordare, in questa carrellata, è la Rocca delle


Cambiate, il più originale fra gli spazi del ventennio. Donata dal po
polo forlivese al capo del governo, in seguito ad una sottoscrizione che
aveva raccolto ben 70.000 adesioni, il castello venne completamente
ricostruito sul disegno dell'architetto Luigi Corsini e fu anche per
breve tempo, fra la liberazione da Campo Imperatore e il settembre
1943, sede del consiglio dei ministri della Repubblica Sociale Italia
na55. La Rocca, d'altra parte, non può essere iscritta del tutto fra i
«monumenti» predappiesi. Essa, piuttosto, collocata com'è fra il Rabbi
e il Ronco, in «posizione strategica», a 300 m sul livello del mare,
pareva destinata a riassumere il destino fascista dell'intera area for
livese. Come dimostravano, peraltro, da un lato l'inaugurazione, il 30
ottobre 1927, di un faro elettrico «della intensità di 8000 candele che
proiettala] i fasci luminosi aha distanza di 62 Km»; dall'altro, la rac
colta, all'interno del maniero, dei «ricchi doni personali e [dei] cimeli
del Fascismo, che [ne avrebbero fatto] - osservava una guida dei tardi
anni Venti - il più interessante Museo di questo nostro periodo nazio
nale»56. Ecco, dunque, la sede più consona alla celebrazione delle
glorie del regime: di qui, secondo la famosa immagine di Margherita

34 E. Ceccarelli e V. Fabbri, Predappio e dintorni Guida illustrata, Forlì, Stab. tip.


Valbonesi, 1957, pp. 54-55. Cfr., inoltre, T. Poni, Il Paese del Duce, Milano, Casa editrice
«Quaderni di poesia», 1955.
35 Cfr. U. Tramonti, Predappio Nuova, cit, p. Ili; E. Casadei, La Città di Forli cit, p.
584.
36 E. Casadei, La Città di Forli cit, p. 584.

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E DINTODNI
i
KlL
CUIDA. ILLUJTRATA
:-r-vdl
Fig.
Fig.
3. L'aquila e la Rocca
3.delleL'aquila
Caminate. Interpretando un'immagine
e la della Sarfatti,
Rocc
l'incisore
l'incisore
forlivese Bruno Nadiani componeva
forlivese
nel 1937 un quadro simbolico inBru
cui la tradizione «rivisitata»
«rmsitata» del
del castello
castello medievale
medievale si
si conciliava
conciliava con la «rottura»
inequivocabile dei «tempi
«tempi lunghi»
lunghi» della
della ruralità
ruralita pre-moderna
pre-moderna rappresentata
rappresentata
dal personaggio Mussolini.
Mussolini.

Sarfatti, l'«aquila» aveva spiccato il volo verso Roma, e qui tornava,


onusta di gloria, nel momento del massimo trionfo. N6 predappiese,
nd meldolese, n6 forlivese, la Rocca acquisiva il valore di spazio pu
ramente simbolico totalmente, esclusivamente fascista: non c'erano
memorie personali, n6 storie recenti che s'intrecciassero col genius

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loci lugubremente «rivisitato» dall'architetto Corsini; né sopravvive
vano vestigia riconoscibili di quella che negli anni Venti appariva
un'«età tramontata». Su questo spazio, dimenticato dalla storia, Mus
solini aveva costruito la sua «tradizione»: se il suo movimento aveva

rimesso in cammino un «popol morto», nessuna immagine meglio del


palazzo merlato edificato ab imis fundamentìs, la luce del cui faro
tricolore si diffondeva nella notte romagnola, sembrava riassumere,
nella sua terra, la sua capacità di guida, la modernità del suo richiamo,
e insieme il progetto di far risorgere antiche e gloriose tradizioni
nazionali. Ne La buona novella, Luigi Orsini sarebbe riuscito addirit
tura a trasfigurarla in un specie di stella cometa, giunta a rischiarare
la notte rurale e ad indicare al contadino predappiese reduce dal
l'Etiopia lo spazio «santo» della famiglia e della patria:

Placido è il trebbo ne la stalla che sa di lettiera. / Fuori, a l'azzurro, la neve


s'incrosta e scintilla: / da l'alto, in cima a una torre, un'accesa pupilla / si
volge amorosa a vegliare la santità della sera37.

«C'era una volta a Predappio...»:


pedagogia popolare mussoliniana

«C'era ima volta a Predappio, paesello della fertile terra di Roma


gna, una famiglia che viveva assai modestamente; Lui, il capo di
casa, era il fabbro del villaggio e si occupava di politica, lei, la signo
ra Rosa, faceva scuola ai ragazzini ed era stimata e rispettata da tutto
il vicinato»38. È l'incipit di un libro per bambini, riccamente illustra
to, dedicato alla «favola vera» di Benito Mussolini. Una «favola» che
cominciava, fin dalla prima pagina, in un posto ben preciso: tanto
preciso che lo si poteva leggere sulla cartina geografica della provin
cia (il primo disegno) e poi apprezzare nelle semplici linee della
casa di Varano Costa. Geografia e apparato simbolico, del resto,
avrebbero accompagnato per tutto il decennio la concreta promozio
ne dell'area in cui il «duce» aveva le sue radici: come l'ambito della
rete relazionale dei Mussolini non si era esaurita nel modesto raggio
di una frazione rurale, ma aveva sconfinato, già nell'Ottocento, verso
la pianura forlivese, da un lato, e verso le vallate vicine, dall'altro,
così gli itinerari segnalati ai turisti tendevano ad inserire il pur deci

37 L. Orsini, Le torri e le strade (Liriche del tempo nòvo), Milano, La Prora, 1958, p. 43.
38 F. Hardouin di Belmonte, Una favola vera, Milano, Hoepli, 1933.

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Fig. 4. La prima pagina de Una favola vera di F. Hardouin di Belmonte (1933). Qui
2
l'immagine della casa serve a privare l'origine del «duce» di ogni connotato
«storico», proiettandone le radici in uno «spazio mitico» contadino di fatto sen
za tempo.

sivo nucleo predappiese all'interno di un territorio profondamente


infiltrato dalla pervasiva presenza del fascismo.
Luoghi mussoliniani: era questo, ad esempio, il titolo di un capito
lo importante della guida Predappio e dintorni che E. Ceccarelli e V.
Fabbri avevano dato alle stampe nel 1937. La visita guidata si apriva
con un omaggio reverente ai genitori del «duce» al cimitero di S. Cas

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siano, nei quali gli architetti Di Fausto e Bazzani avevano potuto dar
prova del loro tardo accademismo prima di cader vittima, negli anni
Trenta, dei furori dei razionalisti e modernisti più intransigenti. In
gresso, viale, distribuzione dei percorsi apparivano funzionali al
manufatto più prezioso, la «Cappella Funeraria eretta alla memoria
dei Genitori del Duce»: «Due quadri ad olio in cornice nera riprodu
cono al vero le sembianze di Rosa Maltoni e di Alessandro Mussob

ni. Sono illuminati da luci votive sostenute da lampadari in ferro bat


tuto. Tutto attorno alle pareti della sempbce ed austera Cappella,
sono le testimonianze della devozione che il popolo italiano sente
per gb affetti più cari del suo grande Capo»39. Non mancava un alta
re, e poi il gruppo in bronzo di una Pietà, opera dello scultore Gemi
gnani di Firenze; né un cippo in marmo, dono dell'Associazione vo
lontari di guerra; né, inevitabile, «l'album per le firme dei visitatori».
Tipico luogo di un culto laico e pobtico, la cappella raccogbeva
omaggi ingombranti e un po' pacchiani accanto alla sempbcità delle
linee e alla sobrietà delle iscrizioni volute dalla famigba. Fuori, vici
no alla pieve antica, la «quercia di Mussolini», «cara particolarmente
al Duce, che alla sua ombra ancora si sofferma per riandare col pen
siero ai ricordi della sua giovinezza, tormentata e vigorosa»40. Poi, un
percorso a ritroso, verso Predappio. Palazzo Varano, residenza mu
nicipale, meritava un'altra sosta, se non altro per ammirare la «Sala
del Duce» (la maggiore), «ricca di marmi, stucchi e mobih severi»; o,
ancora, l'aula scolastica dove Rosa Maltoni aveva insegnato, attigua
alle due camerette in cui era vissuta la famigba, dove erano nati Ar
naldo ed Edvige e dove la stessa Rosa era morta, il 19 febbraio 1905.
La ricordava un sempbce ritratto. Infine, la «modesta casa» di sasso e
di pietra, senza intonaco, primitiva e rimale. «A pianterreno - conti
nuava la guida - si vede la bottega di fabbro ove lavorò Alessandro
Mussolini, ma che prima servì da aula scolastica a Colei che doveva
divenire la Consorte deU'Artiere. È tuttora affumicata. Sui muri sono

appesi vari attrezzi ed in fondo è la fucina»41. Si sahva al piano supe


riore: un breve corridoio e poi le «quattro piccole stanze deb'apparta
mento»: una cucina, la camera da letto dei genitori. Il letto del figho,
originale, era stato forgiato da Alessandro; intorno, «i vecchi sugge
stivi arredi». Poi, la stanza da letto dei nonni materni, con tanto di

59 E. Ceccarelli e V. Fabbri, Predappio e dintorni, cit, p. 27.


Ibidem, p. 35.
+1 Ibidem, pp. 41 e 43.

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baule originale, e infine l'immancabile «registro dei visitatori». Un
po' museo etnografico, un po' celebrazione della modestia rurale, la
casa natale faceva il paio con la casa avita dei Mussolini, ubicata in
un podere oltre Predappio alta, a Collina: «Le pareti disadorne, spe
cie della camera ove nacque Alessandro Mussolini, richiamano la
vita operosa e frugale delle «generazioni contadine», che diedero il
frutto più gagliardo all'Italia»42. Qui, sulla facciata, il «duce» si era
lasciato andare all'unica, esplicita autocelebrazione, dettando una
lapide che davvero riassume lo spirito autentico del «sistema simbo
lico» predappiese:

Dal 1600 al 1900

in questo podere chiamato Collina


vissero e lavorarono

le generazioni contadine dei Mussolini


e qui nacque mio padre
I'll novembre 1854

questo ricordo volle Benito Mussolini


il 29 luglio 1935
anno xiii. e.f.

In che senso «sistema simbolico»? Dopo tutto, Predappio nuova


nasceva su basi moderne, ed anzi gli interventi degli anni Trenta
tendevano a «rompere» decisamente con le prime costruzioni di ta
glio più accademico. Non era questo il punto. Le guide, gli scritti, la
rete di luoghi offerti al loisired alla meditazione dei visitatori riman
davano alla «nostalgia», alla «rievocazione» di un contesto sociale ed
umano riproposto tenacemente come un valore. Prendiamo la casa
natale del «duce»: «È questa la casa - narra un'altra guida anonima
dell'epoca - in cui il giovane Alessandro Mussolini alla fine di otto
bre del 1882 conduceva la sua sposa Rosa Maltoni. Lo sposo costrui
sce da solo nella propria fucina il grande letto matrimoniale in ferro,
un tavolo e poche sedie. La sposa appende al muro la Modonnina di
Pompei e Alessandro un ritratto di Giuseppe Garibaldi. Piccola e
umile è la casa»43. Poi, quando, verso il 1884, la famiglia si trasferisce
a palazzo Varano, la «piccola stanza a pianoterra della casa di Dovìa,
che aveva servito da aula scolastica, verrà da Alessandro trasformata

42 Ibidem, pp. 64 e 66.


43 La terra del Duce [Predappio], [s.i.Lj. [s.d.], p. 7.

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Fig. 5. La casa natale di Mussolini in un dipinto di Teodoro Wolf-Ferrari (da Predap
pio. Ventiquattro quadri del pittore Teodoro Wolf-Ferrari, Milano, Opera Italia
na Pro Oriente, 1929).

in bottega di fabbro». L'«Uomo Nuovo» nasce così: un po' di religione


popolare, un po' di Risorgimento, tanta povertà, l'abitudine a far da
sé. Quante famiglie italiane avrebbero potuto rispecchiarsi nei Mus
solini?

È curioso, quindi, notare la sovrapposizione fra l'intervento urba


nistico e architettonico del fascismo in Romagna e il tentativo di pre
servare la memoria delle radici al di fuori di una troppo forte ed
esplicita contaminazione «moderna». La stessa mappa che le guide
pubblicavano per stimolare passeggiate e itinerari mussohniani rap
presentava un singolare punto d'incontro e di mediazione fra la real
tà antropizzata e storica della regione, soprattutto - com'è ovvio -
dell'hinterland forlivese, nella quale buoi al lavoro e pievi millenarie
convivevano da sempre, e i mutamenti indotti dagli investimenti del
regime, copiosi come non mai nell'antica «Vandea rossa». Verso la
metà degli anni Trenta, nonostante la qualità e la quantità degli in
terventi di trasformazione della scena urbana romagnola, questo
«discorso» ideologico reggeva ancora: lo troviamo documentato sui
manifesti, nei quadri dei principali pittori romagnoli, nelle esposi
zioni artistiche regionali: a Faenza, ad esempio, in occasione della
tradizionale «settimana», appariva una singolare Sintesi della Roma

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gna, che, sommando semplicisticamente taluni elementi fondamen
tali della cultura etnografica al busto del «duce», alludeva alla riusci
ta compenetrazione tra i tempi lunghi della ruralità e quelli, più sin
copati, della rivoluzione politica modernizzatrice. In questa prospet
tiva, persino il prodotto più artificiale e squisitamente «fascista» pre
sente sul territorio extra-urbano, la Rocca delle Cantinate, finiva per
trasformarsi, grazie alla matita indulgente di Serafino Campi, in una
trasposizione simbolica della Romagna (1939) nella quale storia e
natura sembravano cooperare al consobdamento della nuova «tradi
zione». Che tutto ciò cozzasse contro gb indirizzi modernistici appli
cati in città, dove i colpi del piccone demolitore erano ben più visibili
e radicali, è intuitivo: mentre gb «itinerari mussobniani» ricucivano
spazi e «interpretavano» la rurabtà di sempre - fra l'altro declinando
in senso municipabstico e «podestarile» l'«invenzione» o la riappro
priazione delle memorie collettive44 -, i progettisti del «duce», soprat
tutto i più ideologizzati e intransigenti, operavano nel senso deba
discontinuità, della frattura espbcita fra il «vecchio» e il «nuovo».
Si trattava di un'aporia, di una contraddizione che forse sfuggiva
ai più, a quelb che in realtà vivevano le costruzioni del fascismo
come l'attuazione del moderno, senza porsi troppi problemi di conti
nuità simboliche, di salti logici, di compatibihtà culturah fra i viah
rettilinei di Predappio Nuova e gb atteggiamenti da patriarca rurale
del «duce», che, insieme ai parenti, andava a inaugurare la lapide ai
suoi sulla casa di Collina. Non sfuggì, tuttavia, a Gustavo Giovanno
ni, che osservava acutamente, quando già l'Itaha era in guerra e il
mito mussobniano cominciava a scricchiolare:

«È la casa del Duce meta di pebegrinaggi frequenti e numerosi,


che le condizioni di accesso rendono spesso disordinati, sicché oc
corre recarvi, per quanto è possibile, una disciplina nei percorsi. E
io penso che sia opportuno farti pervenire direttamente aba Casa,
senza che la impressione così suggestiva deba sua sempbcità rurale
sia intorbidata da queba debe case e debe botteghe di cartoline illu
strate e di generi diversi deba sottostante borgata»45. Ed ecco la pr

44 Cfr. per esempio, la ricostruzione della colonna dell'ospitalità a Bertinoro nel 1926
sulla quale cfr. P. Amaducci, La colonna degli Anelli Antico monumento dell'ospitalit
bertinorese, San Marino, Arti grafiche sanmarinesi, 1925.
45 Cfr. la già citata relazione di G. Giovannoni al ministro dei Lavori pubblici, Roma
14 ottobre 1940. Per misurare il «successo» della casa natale del «duce» nei gadgets
dell'epoca basta sfogbare il catalogo delle cartoline conservate nelle collezioni Pia
castelli, presso la Biblioteca comunale di Forlì. Cfr. F. Bertoni e F. Bonilauri (a cura di

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89

Fig. 6. Una locandina di Serafino Campi (1938), che confermava l'avvenuta assimila
zione dello «specifico» romagnolo da parte della grafica di regime. Anche gli
elementi della tradizione «artistica» (le ceramiche di Faenza) possono quindi
rientrare all'interno di un modello espressivo ormai ben collaudato.

posta: «una strada che, partendo dalla via provinciale di Forlì, nel
punto in cui fiancheggia il torrente Rabbi, acceda direttamente al
gruppo di case di cui fa parte la casa del Duce; e sia, non una dura via

Romagna nelle 15.0000 cartoline del Fondo Piancastelli, Bologna, Analisi, s.d., pp. 291
296.

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rettilinea urbana [...], ma via campestre, larga non più di 7 metri,
adagiata sul terreno, di cui seguirà con le sue curve l'andamento
altimetrico, fiancheggiata da campi coltivati. Giunta al gruppo di
case, passerà a monte in lieve trincea accanto a quelle che alla Casa
del Duce si addossano, e sboccherà in un breve piazzale sullo spalto
che guarda verso la nuova Predappio [...]; ma anche questo non do
vrà avere carattere urbano. Sarà una vasta aia annessa al gruppo
rurale, non pavimentata, non selciata; servirà di stazione, necessa
ria, ai pellegrinaggi, i quali, giunti alla nuova via, proseguiranno poi
senza ritornare sui propri passi, per la via attuale e discenderanno
nella borgata»46. Seguono altre annotazioni tecniche, ma il succo del
progetto è già tutto qui: rendere la passeggiata nella terra di Mussoli
ni in qualche modo coerente col «sistema simbolico» presente nei
luoghi. Al di fuori di qualsiasi connessione visiva con la città nuova
che era nata a pochi metri. Non se ne fece nulla. Si potè, al massimo,
riparare il tetto, giacché, nel 1942, in seguito alle abbondanti nevica
te, esso appariva gravemente deteriorato47. E così, nonostante gli
sforzi «pedagogici» del «duce» e dei suoi esegeti, la confusione dei
simboli prevalse: la «poesia delle memorie e del significato» della
dimora di Varano Costa era destinata a mescolarsi inestricabilmente

con «l'aspetto» della vivace cittadina voluta dal regime: un «aspetto»


che a Giovannoni, osservatore sofisticato e disincantato, ricordava il
«disordine» di un qualsiasi moderno, anonimo «sobborgo cittadino».

46 ASFo, Genio Civile di Forlì, Fondo Predappio Nuova, b. 751, l'arch. G. Giovannoni
al ministro dei Lavori pubblici, cit
47 ASFo, Genio Civile di Forlì, Fondo Predappio Nuova, b. 751, il tecnico comunale al
podestà, Predappio, 19 luglio 1942.

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