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STORIA DI UNA STORIA LOCALE: PERCHÉ IN LIGURIA (E IN ITALIA) NON ABBIAMO

AVUTO UNA LOCAL HISTORY?


Author(s): Edoardo Grendi
Source: Quaderni storici , aprile 1993, NUOVA SERIE, Vol. 28, No. 82 (1), STORIE DI
STORIA: Erudizione e specialismi in Italia (aprile 1993), pp. 141-197
Published by: Società editrice Il Mulino S.p.A.

Stable URL: https://www.jstor.org/stable/43778343

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STORIA DI UNA STORIA LOCALE:
PERCHÉ IN LIGURIA (E IN ITALIA)
NON ABBIAMO AVUTO UNA LOCAL HISTORY ?

In viaggio per la Riviera Ligure nel 1871, lo storico inglese


J.R. Green così scriveva ad un amico in Inghilterra:
Il girovagare attraverso queste piccole città liguri mi spinge a riprendere gli
antichi lamenti che tu condividevi quando vagavamo per la Francia, i lamenti sulle
condizioni delle nostre storie locali in Inghilterra. Non ce alcuno di questi piccoli
paesi, che luccicano nella notte come lucciole nella profondità delle loro baie, che
non possegga un resoconto completo e di solito ammirevole del proprio passato; si
tratta di resoconti, sovente alquanto rozzi per lo stile, che dimostrano che essi usa-
no i propri archivi e non trascurano, come tutte le nostre storie locali sembrano
impegnate a fare, la storia degli stessi borghi e città

Presumibilmente Green avversava il prodominio della forte


tradizione antiquaria inglese, così selettiva per le sue tendenzio-
sità sociali e che di lì a poco avrebbe finito per consumarsi del
tutto, non senza tuttavia trasmettere in qualche modo un'impor-
tante ispirazione topografica alla local history inglese 2 . Per l'Ita-
lia (la Liguria) registrava probabilmente la favorevole congiuntu-
ra della cultura documentaria positivista, in grado di presentarsi
come un paradigma diverso. A distanza di un secolo e più non è
migliorato da noi, nel caso migliore, quel modello di storia loca-
le che viene infatti disprezzato come prodotto di campanilismo
dilettantesco dai nostri storici 3, mentre la local history inglese,
affermatasi nel primo dopoguerra sulla base di un fondamentale
incontro tra topografia e storia economica, confronta oggi la sfi-
da più recente che le ha portato la storia sociale 4. È stato detto
che la fondazione della «English Historical Review» ha segnato
nel 1886 l'avvento dello storico professionale in Gran Bretagna 5.

* Questo saggio deve molto allo stimolo del dialogo con Diego Moreno: la felice
occasione di trovare una persona forse più interessata dell'autore stesso alle tematiche
che sono venuto svolgendo. Va da sé che la costruzione e i giudizi non sono imputabili
ad altri che allo scrivente. Ringrazio inoltre i colleghi Torre e Artifoni per osservazioni e
suggerimenti.

QUADERNI STORICI 82 / a. XXVIII, n. 1, aprile 1993

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142 Edoardo Grendi

In ogni caso nessuno, a mia cono


complessa formazione della loca
sanzione è stata la fondazione d
History all'Università di Leices
«amatori», la fondazione della «
History» (1948) alla quale nel 19
di contea 6. Ritengo comunque c
di una certa tradizione storiogr
e il movimento per l'istruzione
guerre abbiano avuto un ruolo
sul campo» ha indubbiamente c
sti e il dilettante che si è trova
ti 1 . La «storia locale» italiana
gua, senza statuto specifico, me
solo la frattura fra storico prof
anche quella fra la storia e le a
È per questo, credo, che abbia
ma inglese come riferimento pe
caso-studio di storia della stori
non solo «teorico» ma anche «p
del movimento societario ingle
nello status superiore dello stor
privilegiato delle strutture arch
fico» voglio segnalare l'interesse
ta e precisata nella sua confinaz
rietà dei manufatti «in sito»: tanto l'insediamento e le case
quanto le strade, tanto gli oggetti, visibili o rilevati dall'archeo-
logia, quanto la vegetazione, assunta qui come indice dell'antro-
pizzazione della «natura». La complementare prospettiva stori-
co-economica vale a proporre il tema del protagonismo umano e
sociale sul territorio, a organizzare in nessi di relazione dinamici
- cioè in discorso storico - quei manufatti, altrimenti suscettibili
di una mera considerazione antiquaria, o, selettivamente, stori-
co-artistica. Nel ricostruire così la vicenda storiografica locale,
non si possono trascurare né l'evoluzione del paradigma storio-
grafico dominante, né lo sviluppo dell '«osservazione» del territo-
rio che moltiplica i potenziali soggetti storici. Una particolare at-
tenzione dovrà inoltre esser rivolta anche ai fenomeni culturali a
base societaria. Beninteso il paradigma storiografico dominante
si configura come una eredità storica: l'abbandono, parziale del
resto, della tradizione annalistica accentua se mai l'impostazione
politico-prammatica, nel contesto prima di una committenza ge-

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Storia di una storia locale 143

losamente sorvegliata dall'autorità repubb


tocento, in quello di più «ideali» schieram
tro l'osservazione della società territorial
Ottocento, ha una tradizione molto debol
debole dirigismo statale ha fatto riscontr
chiesta praticamente inesistente, salvo qu
messa cinquecentesca 9 . Se in questo lavo
questa «esplosione» ottocentesca è appunt
piezza di questa «attenzione» alla società t
la esiguità del paradigma storiografico do
storia) e conseguentemente per diagnosti
cessiva traduzione storiografica di questa
vazione, un processo lento e parziale: rich
la maturazione delle scienze sociali oltre i
stico, mentre, d'altra parte, mi pare prob
dossia naturalistica abbia finito col «cong
rali, inducendole a rimuovere le compone
storiche del paesaggio. E in questa logica
rebbe potuto accadere invece» ho seguito
zione le due ispirazioni (quella topografic
nomica) il cui innesto ha prodotto la loca
vio che in quest'ottica una particolare im
to avere l'impostazione geografica, ma la g
si presenta soprattutto nella veste di una
di studi geologici (Pareto-Issel-Rovereto),
ressata alle forme di antropizzazione del
bilità, lavori idrici, organizzazione mater
D'altra parte il tradizionale paradigma po
la storiografia ha ripreso momento, dopo
tivistica, riproponendo temi ed opzioni d
co, secondate involontariamente, come vedremo, da una versione
«volontaristica» dell'ispirazione storico-economica. Paradossal-
mente il tema più continuo che passa attraverso tutto il periodo
storiografico qui considerato è il tema-mito di una civiltà remota
e oscura, quella degli antichi Liguri, una grande occasione retori-
ca appunto. Se peraltro si propongono alla nostra attenzione or-
ganismi societari volontari, come la Società di Storia Patria, il
Club Alpino e l'Istituto di Studi Liguri, per non dire della diffusa
ideologia dell'escursionismo privato di primo Ottocento, in que-
sto periodo, che va dall'inizio del XIX secolo al 1960 circa, matu-
ra una lenta sostituzione del personale storiografico: col XX se-
colo i professori sostituiscono i bibliotecari e gli archivisti come

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guide della ricerca. Biblioteche


musei, erano in qualche modo c
ni d'incontro e scambio. Più soven
tà, conoscono solo lo scambio u
me è noto, s'ignorano a vicend
clericalizza ulteriormente. È m
elaborare modelli forti di stor
storiografia la rinuncia a un v
faccia delle retoriche patriotta
«professori» del XX secolo.

1. LA «STATISTIQUE»

Il primo Ottocento è, in Liguria e altrove, un'epoca in cui l'os-


servazione della natura e della realtà sociale si dilata enorme-
mente, frutto maturo di una sorta di onda lunga della «pressione
dell'empirico» che è registrabile in ambito europeo 10. In fondo il
segno più evidente dell'«alterità» dei processi conoscitivi della
società territoriale è dato dal fatto che la forma generale di «la-
voro sul campo» che corrisponde loro, è il viaggio: per definizio-
ne un muoversi in un ambiente non familiare. È significativo che
10 stesso termine «statistica», che si universalizza nel primo Ot-
tocento, abbia la sua origine nel revival esclusivamente tedesco
dell'antica ars apodemica in pieno Settecento 11 .
Accanto al viaggio più tradizionale, interessato soprattutto al-
la città e ai costumi urbani, abbiamo forme precoci di specializ-
zazione del viaggio, legate soprattutto alle scienze mediche e na-
turalistiche, ove l'osservatore, spesso avventuroso, poteva variare
11 fuoco del suo interesse, ampliando o riducendo il raggio di
contestualizzazione dello specimen o del fenomeno specifico og-
getto del suo interesse. In effetti le note dei viaggi tradizionali (o
letterari) risultano solitamente più suggestive, vuoi per la perso-
nalità del viaggiatore, vuoi per l'occasionale acutezza di osserva-
zione stimolata da quell'atteggiamento idiosincratico che è più
naturale in chi considera le persone o l'ambiente sociale. E an-
che vero comunque che si tratta di una letteratura senza ambi-
zioni scientifiche, che spesso diventa un efficace volano per la
diffusione e perpetuazione dei luoghi comuni - del resto conna-
turati alla definizione dei caratteri nazionali o etnici 12. Beninte-
so i resoconti dei naturalisti non sono a lor volta privi di miti o
di ubbie letterarie. Consideriamo due esempi largamente diversi.

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Storia di una storia locale 145

I percorsi e le osservazioni dello Spadoni


tivati e connessi con le piante e i minerali
ciò le sue «Lettere» concedono molto alla
tore in chiave di intrattenimento, per cui
ni collaterali 13. Al contrario Viviani (180
Appennini non offrano le emozioni esteti
la mente dell'osservatore impegnato a for
près nature», resta fredda. In effetti Vivia
to delle rocce serpentinose e della ricostr
rea oggetto della sua attenzione, ma anche
tions exactes de la localité» che sono la base di una buona stati-
stica: natura del terreno, direzione delle montagne, minerali, col-
ture e boschi. Cosicché ci parla del sistema delle risorse del vici-
no centro di Rocchetta Vara, «villaggio povero e mal costruito» e
quindi prono al contagio (è il medico che parla). Un plateau colti-
vato a olivi e vigna e una sommità montana appianata che con-
sente la coltivazione dei grani e il pascolo - con una vegetazione
corrispondente all'altitudine, e cioè olivastri e mortine - mentre
il modo di tenere il vigneto ne compromette la maturazione, per
cui il prodotto è commerciale solo come «meschia» 14 . È questo
modo di osservazione topografica integrale che certamente non è
comune ai naturalisti. Non è comune del resto neppure agli agro-
nomi, specificatamente interessati a quelle piante coltivate che i
botanici per lo più trascurano, se non come elemento nella de-
scrizione del paesaggio 15.
Anche l'agronomo era un viaggiatore: nel senso almeno che
l'« esperienza campestre» era altrettanto necessaria che il dépay-
sement, l'osservazione e la conoscenza di varietà e pratiche diver-
se. Più spesso il prodotto della ricerca è un «trattato» quando
prevale l'impostazione botanica; una «memoria» quando è anche
presente il punto di vista dell'«economia politica». Così ad esem-
pio il finalese Giorgio Gallesio indica il compito fondamentale di
una «histoire du citrus»: «tracer la véritable histoire agricole de
cette famille et des branches qui la composent [. . .] pour connaî-
tre la marche de la nature dans l'acclimatation de ces végétaux
et les causes qui en ont entrevé ou facilité le progrès»: una pro-
spettiva diversa da quella che propone G.M. Piccone nei suoi
«frammenti storici sull'olivo e sull'olio» dove non a caso sono te-
nute presenti soprattutto le variazioni del clima e dei prezzi del
secolo XVIII ed è tentato un bilancio comparativo delle due
strutture di base dell'agricoltura ligure: la monocoltura olearia e
la policoltura di villa 16. Ed è questo secondo punto di vista che

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può coinvolgere l'esame di quel t


è fondamentale per l'osservazion
ro di Piccone l'accento cada piut
delle piante sul territorio che no
me scrive Piccone, «le teorie de
esperienze dei pratici», fra ques
sero soprattutto i produttori, cioè
agronomi liguri tardo-illuminist
ne forme contrattuali sono dan
centivazione alla produttività: i
le loro proposte innovative, timi
gurare una contrapposizione cul
agricoltura di Giorgio Gallesio d
za fra un intellettuale agricolto
resto proprio l'enfasi sulle osser
sce un disegno di ricerca sistem
ni multiple dei coltivatori e sott
to osservato che un analogo «inn
co sulla tradizione» si ritrova ne
rologica dell'Accademia delle Scie
Proprio questo tema del clima
tro agronomo ligure, il dianese
stesso fenomeno, già segnalato d
to» climatico del primo Ottocen
più che secolare di «raffreddame
minor produttività naturale deg
Piccone, un calo della produzione
lo 19. Rispetto invece alla propo
dell'agricoltura ligure, Agostino
la variazione climatica come prin
insistendo su alcune caratteristi
ogni caso egli certamente distin
gnolo» dalla «parte scientifica»
venienza fra la natura dei prodo
ma, ed il sistema di coltivazione
culturale risulterebbe anche dal confronto fra le 35 domande del-
la Inchiesta dell'Istituto Nazionale Ligure nel 1799 e le risposte
delle comunità - nel senso che le molte categorie di distinzione
che presiedono al questionario non trovano riscontro nei linguag-
gi locali 21 . Ma occorre anche osservare che questo modulo ope-
rativo di tipo sociologico non risulta generalizzato nell'epoca
francese, quando il modo di costruzione dell'inchiesta è general-

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Storia di una storia locale 147

mente affidato a corrispondenti o meglio


ridotte, di professori e volenterosi che b
(ancora dei «viaggiatori»): come nel caso
aux Alpes-maritimes del medico L. Imbe
che Piccone e Gallesio furono solerti coll
Chabrol, l'autore della celebre inchiesta sul dipartimento di
Montenotte, sulla cui gestazione rimaniamo finora assai poco in-
formati 23 . Comunque questa confluenza dei viaggiatori agrono-
mi nell'alveo della Statistique ci pare del tutto consequenziale,
certamente più logica che non quella dei botanici.
Il salto culturale è ben documentato dal confronto di queste
inchieste con la Descńzione di Genova di G.M. Galanti (1795) che
ricade ancora nel vecchio modello del testo secentesco del de
Marini (cosmografia e «notitiae rerum publicarum») 24 . Del resto
è ampiamente noto che l'amministrazione genovese del Settecen-
to, così universalmente biasimata, non fu certo gran collettrice
di dati e notizie del territorio, né lo furono, non foss 'altro per
scelta vocazionale, le società private, né infine c'è traccia di pri-
vati aritmetici politici. Pertanto il mutamento di regime rappre-
sentò la circostanza decisiva.
Già nel 1802 il De Ambrosis presentava la «Statistica» in una
riunione del già citato Istituto Ligure 25 . Una decina di anni do-
po, nel 1813, fu pubblicato a Genova - e ristampato nel 1817 in
italiano - il manuale del conte Grädberg de Hemso, già attivo in
città come funzionario imperiale. La statistica era definita come
la scienza che tratta delle forze fisiche, morali e politiche di uno
stato o di un paese, insegna a conoscerle e a impiegarle bene.
Questo «inventario dello stato» si articola come segue:
STATISTICA FISICA = TOPOGRAFIA: situazione-clima e suolo-
prodotti naturali-abitazioni.
STATISTICA MORALE = ETNOGRAFIA: popolazione, agricoltu-
ra, industria e costumi.
STATISTICA POLITICA = NOMOGRAFIA: legislazione, ammini-
strazione pubblica, economia, diplomazia.
Tale modello o modelli analoghi costituirono un riferimento
comune fino alla metà dell'Ottocento 26 . Per l'intanto, come sap-
piamo, l'amministrazione francese (dal 1805) rivolse al territorio
ligure, come agli altri territori dell'Impero, tutta una serie di at-
tenzioni e di richieste spinte al limite di una sistematica e para-
dossale quantificazione. Abbiamo tracce di diverse relazioni: del
citato De Ambrosis per il dipartimento degli Appennini, di un P.
Bianchi o di un Jacques Dattili per Genova; nulla comunque di

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comparabile al classico Tableau


(Savona, Oneglia, Acqui e Ceva)
torno al 1812, fu stampato a Pa
anima questa «Statistica» di Chabrol de Volvie è certamente
quello del «conoscere per fare», ciò che puntualmente ritorna
nella prefazione, dove Chabrol si rivolge ai principi di Savoia nel
quadro della collaborazione franco-piemontese: la statistica è or-
mai una scienza diffusa in Europa, «les lumières des souverains
la propagent et la favorisent. Chacun d'eux aujourd'hui cherche
la splendeur du trône dans le bien être des ses peuples». Lo sche-
ma illustrativo qui proposto è il seguente: topografia-popolazio-
ne-storia e amministrazione-agricoltura-industria e commercio.
Di fatto l'interesse storico è poco rilevante, del tutto assimilato a
particolarità locali del reggimento politico: la «fotografia» che ci
offre Chabrol ha come oggetto un processo diacronico che si può
collocare fra il 1789 e il 1810, il prima e il dopo l'assorbimento
di queste province nell'orbita di influenza giacobino-francese.
L'istanza topografica è soprattutto soddisfatta nella parte de-
scrittiva di cantoni e comuni con annessi brevi sommari di pro-
duzione e commerci, o in qualche profilo di manifattura a forte
impronta locale - come ad esempio la ceramica di Albissola 28 .
Per il resto l'impostazione di Chabrol è fondamentalmente aggre-
gante e generalizzante, tanto per quel che riguarda la popolazio-
ne come le attività economiche. In questo caso in particolare il
trattamento per coltura o per manifattura o per tipo di commer-
cio è sottoposto a una particolare istanza costruttiva, quella del-
la determinazione del reddito netto: un'istanza che enfatizza il
problema del calcolo dei costi, ben più abbordabile nel caso di
una manifattura particolare che non in quello di una coltura
agricola. Questo schema di stampo fisiocratico serve indubbia-
mente a dare nerbo al discorso, e in ogni caso la generalizzazio-
ne del principio del calcolo economico anche in termini monetari
ha una certa giustificazione in una società economica dominata
dall'obbligo naturale alla commercializzazione. Tale istanza di
misurazione ha richiesto raccolta di informazione, messa in ope-
ra di verifiche e in qualche caso - quello dell'olivicoltura ad
esempio - l'invenzione di procedimenti dimostrativi originali e
tutt'altro che ovvi 29 . Di conseguenza risulta più netta l'impronta
politico-economica della Statistica: questa è d'altronde coerente
con una logica d'intervento, anche se le indicazioni in proposito
sono assai scarne (nel caso della rete viaria, per esempio).
Si osserverà che le elaborazioni demografiche (1797-1805-

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Storia di una storia locale 149

1809) sono per provincia ma, in un caso alm


vimento naturale - c'è il tentativo di correla
fra questo fenomeno, altimetria e clima; cos
re l'origine del «codice socio-professionale»
la sua «divisione della popolazione per classi d'individui e per
stati e professioni principali» 30. Si potrà ancora osservare che in
generale l'inchiesta sui costumi è rimasta assai più arretrata: co-
me sostenere la diffusione della primogenitura nella Liguria occi-
dentale e che senso può aver avuto il cicisbeismo per il diparti-
mento di Cairo Montenotte? 31 . In ogni caso l'opera di Chabrol
segna una grossa svolta nella conoscenza della società territoria-
le: alla sua base c'è una ricerca empirica assai ricca orientata
comunque sul lavoro, l'attivizzazione delle risorse e non tanto
sugli elementi naturalistici. Si potrà misurare lo scarto che c'è
fra quest'opera organica e invece quella summa di conoscenze di
specialisti diversi, quale appare la Descrizione di Genova e del ge-
novesato, il nuovo paradigma di statistique del 1846. Senza dub-
bio quel paradigma continuò a vivere, anche se il fervore d'in-
chiesta dell'amministrazione sabauda fu assai blando. Così il pie-
montese Davide Bertolotti nel licenziare il suo voluminoso, ma
non perspicuo, Viaggio nella Ligurìa marìttima del 1834, esalta
l'economia politica e la statistica, pomposamente definita come
«la prosopografia di un paese considerato nel suo triplice aspet-
to, fisico, morale, economico: divisione che rappresenta la Natu-
ra, l'Uomo come ente religioso e civile e le Arti» 32 .
Di fatto le opere più interessanti sono frutto non dell'iniziati-
va amministrativa ma di persone relativamente isolate, come Ce-
vasco e Casalis. Michele Cevasco, l'autore di una straordinaria
Statistique de la ville de Gênes (1838) presenta la sua come l'opera
di «un simple particulier», costretto a costituirsi faticosamente i
propri dati: «c'est l'amour du bien public qui m'a séduit, ce sen-
timent est une passion comme une autre»; un tono dunque tut-
t'altro che cerimonioso, proprio laddove si descrivono le insuffi-
cienze di un'infrastruttura documentaria, la stessa che dovrebbe
essere sostenuta da quella «Commissione Superiore di statistica
per gli Stati Sardi» al cui presidente, Giuseppe Manno, è dedica-
to il libro. «Je me suis formé un plan statistique à moi» ribadi-
sce Cevasco, e questo schema è ancora sotto il segno dell'econo-
mia politica: situazione, clima, topografia fisica, popolazione,
prodotti naturali, agricoltura, igiene pubblica, industria e infine
commercio (l'intero secondo volume). Naturalmente per Genova
questa voce è capitale e Cevasco ricostruisce la bilancia commer-

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150 Edoardo Grendi

ciale del decennio 1826-35: le cif


monio del progresso della civilt
che ascendante ou retrograde d
sco che s'impegna a darci il qua
e dei mestieri praticati in città
rattere stazionario del settore,
del porto, di potenzialità manuf
vazioni economiche non acquist
grafica. Viceversa la città in qua
degli altri capitoli: pur breveme
(rilievi e cinte murarie). Ed è q
pare caratteristicamente concret
damentali del manufatto urban
idrico; interessato all'esame di
profilo della morbilità ambient
sul porto e la funzionalità del s
l'indagine, Cevasco può darci un
costruire il movimento demogr
levare con precisione il fenome
legittimi) in una città a bassa c
gioni). E naturalmente il suo gu
nella descrizione delle 24 ore ge
merosi viaggiatori sulla polarità
delle «due nazioni» è pienament
Mi sembra chiaro che lo svilu
fico a scala urbana sia debitore
quanto palesemente manufatto s
presta a una lettura topografica
esempio che non il territorio, su
re «disciplinari» selettive. Ciò n
stazione topografico-urbana rim
zione prevalentemente naturali
pera del chimico G.B. Canobbio 3
Nel caso del sacerdote Goffredo Casalis da Saluzzo, è interes-
sante il fatto che egli abbia assunto su di sé un vecchio progetto
dell'Accademia delle Scienze: l'iniziativa esecutiva del Dizionario
geografico- stońco- statistico e commerciale degli Stati Sardi fu as-
sunta da una società formata dal sacerdote e da alcuni tipografi
ed ebbe il pieno appoggio del barone Giuseppe Manno, ma rima-
se anch'essa un'opera di «particolari». Casalis comunque non
chiarisce il suo metodo e non ci dà notizie dei suoi corrisponden-
ti. La «formula» che egli propone è quella della fusione di stati-

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Storia di una storia locale 151

stica e storia. Si rifletta - scrive il Casalis - «alla solerte curiosi-


tà cui manifesta la Storia e ai molto estesi diritti, cui pretende la
Statistica, quando luna e l'altra discendono a occuparsi e di una
sola città e di un solo villaggio». In questi casi la statistica «cen-
to cose osserva minutamente» (e fra queste Casalis pone anche
monumenti e arte), mentre la storia si pone infinite domande
sulla fondazione, le vicende politiche, le medaglie, le carte, le la-
pidi o un semplice rudere (e anche i figli illustri di un paese).
Scopi della raccolta la conoscenza e l'amor patrio, che vien fatto
di attribuire alle due componenti della formula del Casalis. In
effetti, nella versione di questo Dizionario, stastistica e storia so-
no distintamente aggregate: è chiaro che non ci sono nessi fra gli
elementi di rilevanza sottolineati dall'una e dall'altra, e tuttavia
la vivacità e l'interesse del Dizionarìo stanno proprio nell'opzio-
ne topografica delle località che diviene principio di riferimento
del discorso, con ciò distinguendosi dai correnti modelli statistici
come da quelli storici. Si tratta di un'opzione che sarà ripresa
solo in parte dalle «guide». Ciò non toglie che un abisso separi il
Viaggio del Bertolotti dal Dizionańo del Casalis, la letteratura di
chi vuol piacere dalla retorica di chi vuol far conoscere 35 .
La citata Descńzione di Genova e del Genovesato fu preparata
nel 1846 per l'VIII Congresso degli Scienziati. Si giudicò in quel-
l'occasione che la recente «guida» del Banchero rappresentasse
una descrizione solo parziale e il nuovo piano di Descńzione (si
noti la ripresa del vecchio termine) fu redatto da Camillo Palla-
vicino, come libero sviluppo di un modello affine del Cattaneo 36 .
Si dice nell'Introduzione che la «conoscenza di se stessi» è «fe-
conda di pubblica utilità per le città e per le nazioni» ed è per
questo che i governi «nell'esultante lor seno accolsero gli scien-
ziati» cui ordinarono «il ragguaglio delle proprie condizioni, la
natura e le vicende». Concepito in questi termini di un esplicito
assemblage, il risultato è una sorta di enciclopedia delle cono-
scenze su Genova sganciata dall'ispirazione politico-economica,
qualcosa di profondamente diverso dalla «statistica», che del re-
sto non è neppure evocata 37 .
Il medico Ettore Costa redasse per l'occasione una rapida To-
pografia medica di Genova fondata sull'osservazione statistica dei
22.329 infermi che nel periodo 1840/42 erano passati per l'Ospe-
dale civile 38 . Anche Cevasco e Canobbio avevano insistito sulle
forme della morbilità urbana e non c'è dubbio che le esplosioni
del colèra del 1835 e del 1854 (e successive) costituirono occasio-
ni di studio e relazioni sugli aspetti topografici, non solo urbani,

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dell'epidemia come stimolo e p


pubblica igiene e anche a qualch
cordiamo le notazioni mediche
fatte da Viviani, anche se semb
ne, pur diffusa, del «viaggio m
Un anti-contagionista come Fr
sua straordinaria Storia docum
morbus nel 1854 (1854, un ver
considerazione non solo medica
quei fatti ed elementi economic
stici, sentimentali, virtuosi che debbono far conoscere in certa
maniera la fisionomia della città durante l'epidemico morbo» 40.
Anche se questa rimane un'esigenza, o meglio un'importante in-
dicazione di metodo (di piena contestualizzazione topografica
dell'epidemia), la narrazione «avvenimentale» della diffusione
del colèra a Genova ha una straordinaria vivacità, condotta co-
m'è su un terreno di piena rispondenza ali '«onere della prova»,
chiaramente alimentato da un contesto di conflitto d'opinioni
che risulta ad ogni passo evidente. La formula clinica della «sto-
ria della malattia» è qui riferita alla collettività urbana, dialet-
tizzata in un gioco complesso fra i protagonismi umani e istitu-
zionali da una parte e una sorta di topografia dell'insalubrità,
malamente conosciuta, dall'altra. Il rifiuto della tesi contagioni-
sta corrisponde cioè a una proposta di multicausalità ambientale
che ha un indubbio valore analitico.
Ma certamente la «storia documentata» del Freschi non pote-
va costituire un paradigma per la ricerca storica; così come, per
altro verso, la statistique non alimenta nuovi oggetti storiografici.
Comunque mi pare interessante richiamare qui brevemente
un'ultima questione, legata con l'emergenza di modelli di «lavo-
ro sul campo» («viaggi») corrispondenti allo sviluppo dell'osser-
vazione e dello studio del territorio. Quando GiovanBattista Ca-
nobbio racconta per scritto nel 1838 la sua Gita per mare attorno
al monte di Portofino egli ricorda l'equipaggiamento suo e dei
suoi sei amici: albo di disegni per far copia dei paesaggi; palmo
per misurare l'area dei fabbricati e dei monumenti; portafoglio
per trascrivere iscrizioni ed epitaffi e per riprodurre la natura e i
suoi prodotti41. Canobbio sembra implicitamente riassumere le
multivalenze del nuovo escursionismo colto, una sorta di nuovo
enciclopedismo legato strettamente all'esperienza del campo: di
più, egli sembrava indicare un processo sociale che avrebbe do-
vuto assumere sempre maggiore importanza. Monumenti, iscri-

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Storia di una storia locale 153

zioni, epitaffi - l'antiquaria era certamen


po». E la storia?

2. GLI STORICI E LA SOCIETÀ DI STORIA PATRIA

Ho sottolineato come la «statistica» possa esser considerata il


punto d'approdo di quel secolare «lavoro sul campo» che è stata
la tradizione odeporica: aggiungiamo pure una nuova, per la Li-
guria, coscienza dell'amministrazione. È interessante che G.M.
Piccone ad esempio accosti la corografia cinquecentesca del Giu-
stiniani alla statistica dei suoi tempi 42. Le aperture e gli oggetti
di questa nuova conoscenza del territorio, non si traducono tut-
tavia in un arricchimento della coscienza storiografica: la storia
rimane una sorta di genere retorico eminentemente politico-nar-
rativo. Così i richiami storici del prefetto Chabrol, nella parte
più topografica della sua inchiesta, sono richiami a vescovi, conti
e marchesi, cioè riferimenti alle passate sovranità territoriali. E
Casalis, che pur celebrava nel suo Dizionario geografico l'incontro
di statistica e storia, distingueva recisamente, come s'è visto, gli
interessi dell'una e dell'altra. In effetti negli anni 1830-40 ap-
paiono le prime storie della Repubblica di Genova: non si scrivo-
no più gli annali, ma si volgono gli annali di narrazione. Gerola-
mo Serra, già protagonista della vita pubblica genovese, fa di
più: prendendo le mosse dalla Tavola di Polce vera parla altresì
degli antichi Liguri e conduce la storia genovese fino al 1483 co-
prendo il ciclo «principio, incremento, perfezione e decadenza».
«Una storia nazionale va incenerita - scrive Serra - se i buoni
successi esultar non ti fanno, e i cattivi fremere» 43 ; la nazione
per lui era la patria genovese e a celebrarla egli aggiungeva un
ultimo libro comprendente diversi «discorsi»: sul commercio, la
navigazione, le arti, la statistica, la storia letteraria e le vite di
Colombo e Andrea Doria. Carlo Varese invece non avverte il pro-
blema di queste altre dimensioni e «svolge la sua tela» dal risve-
glio comunale al 1815. Egli parla di amor patrio, cioè italiano, e
non intende scriver soltanto per i genovesi: così, a parte l'apolo-
gia finale dei nuovi «principi buoni» (i Savoia) egli qualifica il
«colore» della sua opera nell'« onesta libertà del dire» 44 . Niente
può assicurar meglio il successo di tal genere storico-prammati-
co che due storie in concorrenza appunto per il loro «colore» di-
verso: ancorché l'ineffabile Giancarlo Di Negro trovasse modo
equanime di metterle entrambe in versi 45 .

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154 Edoardo Grendi

Il metodo alternativo era la s


caso genovese - sosteneva il gio
del popolo ridondante di vita,
nerosi, le concitate ire, formano l'epoca di sua maggior glo-
ria» 46 . Per Belgrano, Serra e Spotorno «segnano un'epoca affatto
nuova negli studi delle cose liguri, dei quali puonno a buon dirit-
to chiamarsi restauratori» 47 . La «storia letteraria» dell'abate
Spotorno costituiva una sorta di paradigma forte e non a caso
G.M. Canale, l'ultimo autore di una storia generale dei genovesi,
si preoccupava di fondere, o meglio di giustapporre, storia civile,
storia commerciale e storia letteraria. Del resto egli era ben più
sensibile alle suggestioni della storia filosofica e, rispetto agli al-
tri autori, ben più devoto alla ricerca archivistica. Proprio l'avv.
Canale ebbe modo di illustrare in una delle pochissime riunioni
della meteorica Società Ligure di Storia, Geografia e Archeolo-
gia, «un metodo storico, geografico e archeologico da seguirsi
nella trattazione delle cose genovesi». «Il tessere la storia colla
sola scorta dei documenti darà un gran moto ai destini dei muni-
cipi italiani» - asseriva Canale che del resto intendeva la «geo-
grafia» e l'« archeologia» come mere estensioni del campo storio-
grafico: alle colonie e ai viaggi dei genovesi, alle epigrafi e alle
medaglie. Non a caso è proprio questo eclettismo tematico fon-
dato su una vocazione antiquaria e documentaria che la Società
Ligure di Storia Patria fece proprio nello Statuto del 1858: d'al-
tronde il riferimento comune erano «le cose liguri», le «memorie
liguri», e già all'inizio del secolo l'abate Massaia aveva sostenuto
all'Istituto Nazionale le ragioni di una storia patria fondata su
«prove incontestabili e fedeli autentici documenti», segnalando
l'esempio del Muratori 48 . Organizzata in tre sezioni la nuova So-
cietà si dava così questa articolazione di temi:
Stona : storia civile, letteraria, ecclesiastica-leggi e statuti-biogra-
fie-geografia e viaggi-navigazione commerciale e statistica-colo-
nie-beneficenza-storia comparata e generale d'Italia-tipografia-
arti industriali-bibliografia patria;
Archeologia : numismatica-pesi e misure-iscrizioni-illustrazione
antichi monumenti, codici e pergamene-delimitazione del territo-
rio antico di Genova e della Liguria e topografia della città;
Belle arti : illustrazione monumenti artistici-cura e conservazione
oggetti d'arte.
È come ognun vede un programma di studi antiquari: il mo-
dello retorico della storia civile (o politica) confinato al rango di
un tema accanto ad altri - mentre, e torneremo su questo punto,

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Storia di una storia locale 155

i temi statistici e topografici saranno non a


a non avere seguito pratico.
Per venti anni almeno la Società, composta
bili, avvocati e sacerdoti (ma all'inizio anche di artisti), fu un
successo, un'esperienza collettiva unica e irripetibile: riunioni,
discussioni e opzioni di priorità della ricerca, affidamenti della
medesima, illustrazioni di documenti e di libri, procedure demo-
cratiche di selezione del materiale da pubblicare ecc., tutto con-
tribuisce a creare l'impressione di una forte motivazione colletti-
va 49 . Questa sorta di «palestra di studiosi cittadini, custodi amo-
revoli e promotori solleciti dell'antico retaggio» come la diceva il
presidente Vincenzo Ricci, sembra sviluppare nell'ambito di una
sorta di frenesia documentale, una spiccata predilezione per il
corpus di oggetti, il codice di documenti, come era chiamata la
raccolta sistematica degli stessi: si tratti di un semplice monu-
mento (una certosa ad esempio) o di epigrafi e incisioni romane
e cristiano-medievali, o di monete genovesi, o delle colonie del
Mar Nero, o del commercio genovese in Belgio. Questa sembra
essere la cifra del lavoro collettivo, quella di una società antiqua-
ria che cerca di nutrirsi di buona filologia: il modello operativo
divulgato soprattutto da Desimoni è quello delle Accademie ger-
maniche. La logica dell'approccio collettivo è ovvia: la moltepli-
cità degli interessi anche oggettuali, postula una trattazione te-
matica e settoriale. Nell'ordinare materiali come monete e sigilli
i soci convengono che sono necessari «quei criteri generali e sicu-
ri che vano è il chiedere all'esame dei documenti finché restano
disgregati, ma che scaturiscono quasi di per sé, ove sieno tutti
convenientemente classificati e distribuiti giusta l'epoche ...» 50.
Ma questa logica classificatoria del corpus nummorum non è ov-
viamente generalizzabile a tutti i settori nei quali sistematica-
mente si forzano gli interessi, cosicché ad esempio l'« interesse»
dell'economia politica viene identificato nella storia del Banco di
San Giorgio oppure dei mutui di denari e delle lettere di cambio.
Nel 1867 L.T. Belgrano può ancora definire così la razionalità
del procedere: le sezioni operano a «colorire un disegno e parto-
no da un concetto unico e fondamentale, il quale mira a porre in
luce le fonti e a radunare tutti i più necessari elementi, che pos-
sano in qualsiasi guisa fornire la base all'edificio di una comple-
ta storia genovese» 51 . Qui non vedo tanto l'evocazione retorica
della sintesi a venire, quanto la traccia di una diversa coscienza
storica (diversa rispetto al modello retorico già precisato), in al-
tre parole non un mero antiquarismo. È noto che Desimoni e

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156 Edoardo Grendi

Belgrano furono i veri animato


toché il segno della crisi della
individuato nel loro ormai solita
quindi considerare più d'appres
della loro produzione storiogra
del farmacista di Gavi e archiv
(1813-1899), Belgrano (1838-189
vista e professore universitario
prodige». È del tutto logico qui
ni in quegli anni le posizioni te
strazioni di un «breve» comunale e della Tavola di Polcevera e
nelle lettere sulle Marche d'Italia 53.
Desimoni pone un problema: per studiare l'origine dei comu-
ni, il risorgimento italiano, occorre far luce sui due secoli bui
precedenti, sui nessi fra l'ordinamento delle Marche d'Italia e le
nuove emergenti realtà. La ricerca che deve esser fatta è una ri-
cerca filologica, che è anche storica, sui nomi: si tratta, sulle basi
di una fondamentale convergenza di indizi, di stabilire una sicu-
ra connessione fra i nomi, cioè costruire delle genealogie che fis-
sino i rapporti fra famiglie signorili e marchionali, nonché la de-
rivazione dei marchesi da un'unico stipite 54. Il modello era la
ricerca muratoriana sulla famiglia Obertenga. È noto come nel-
l'illustrare il Registro della Curia Arcivescovile nel secondo volu-
me degli «Atti», Belgrano proponeva ugualmente una serie di ge-
nealogie che collegavano i signori, citati in quel cartario arcive-
scovile, con Ido Visconti e con i conti di Lavagna: in altre parole,
seguendo l'indicazione di Desimoni sull'influenza dell'elemento
feudale nella formazione del comune, il cartario ecclesiastico era
riscoperto e dimostrato come fonte di base per la storia civile di
Genova 55 .
Ma in questo processo illustrativo di una dinamica italiana
generale e suscettibile di confronti con la storia antica - il com-
parativismo derivava dal vichiano ricorso ossia dallo «svolgi-
mento parallelo, effetto di una comune natura delle nazioni» -
Desimoni vedeva qualcosa di più, vedeva la «società progredente
contro la famiglia conservatrice» e poteva delineare fin da quel
suo discorso sul «frammento di breve genovese scoperto a Nizza»
un completo progetto di ricerca. Accanto alle genealogie mar-
chionali e signorili, un tema che doveva svolgere pienamente en-
tro il decennio seguente 56, Desimoni si proponeva di individuare
«le leggi regolatrici dei consorzi in questi due ordini, le loro fasi,
la loro disposizione locale a gruppi separati non solo sul campo e

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Storia di una storia locale 157

sul naviglio, ma anche nelle contrade dell


dicazione topografica senza futuro). E poi
nella città patrizia e infine quell'influenza
seci» (Imperiale, Pontificale e Monacale) c
rato. Sicché poteva paragonare quelle dinamiche medievali
(Marchesi-Signori-Popolo) «ad una storia geologica, ad un suolo
di tre strati sovrapposti erompenti alla superficie per successiva
evoluzione» - proprio come nelle lettere sulla Tavola di Polceve-
ra poteva considerare la formazione successiva dei tre agri (com-
pascuo, pubblico e privato) come «un indizio delle rispondenti
tre epoche sociali dei popoli»; la loro compresenza in quel tempo
«non altrimenti come in certi vegetali si riconosce l'età o il gra-
do di svolgimento dalle tonache sovrapposte» 57 . Queste metafore
scientifiche, chiaro segno dei tempi, testimoniano anche di
preoccupazioni storico-conoscitive ed è soprattutto interessante
che Desimoni illustri il parallelismo fra metodo filologico e cal-
colo matematico superiore. Col «calcolo delle differenze» - scrive
Desimoni - non si attinge la verità ma la si rinchiude in un cer-
chio più o meno ampio; col «calcolo delle somme» (o probabili-
tà) sommando tanti casi simili, storici e linguistici, ne «emerge
un fascio, un insieme in cui singoli elementi per sé nulla varreb-
bero a conchiudere; eppure riuniti e confermati da sempre nuovi
fatti, finiscono collo ispirare una morale certezza». Proprio per-
ché da «grande somma di somiglianze» potevano ricavarsi «frut-
ti sinceri di dottrina filologica», il lavoro storico doveva essere
un lavoro fraterno e collettivo. Tale traiettoria di ricerca è rias-
sunta così nei procedimenti di classificazione della materia, nel-
l'analisi che «rivede e controprova i singoli elementi di questa
classificazione» e infine nella «sintesi che di nuovo li congiunge e
ne indaga la ragione filosofica». Nel 1881 nel corso di una lezio-
ne all'università Desimoni riprende, più o meno verbatim, questo
paradigma della ricerca. Qui il tema della ricerca sui nomi è ri-
preso in una indicazione generale per la toponomastica storica.
Ma proprio in questo discorso Desimoni nel rifiutare le specula-
zioni di filosofia della storia, ricordava «per il campo storico»
due illustri italiani: L. Cibrario che aveva raccolto fatti in «sinte-
si pratica» e Rosmini che nella «Filosofia del diritto» aveva inge-
gnosamente meditato su «parecchi brani della Economia politica
del Medio-Evo». Quest'opera del Cibrario era apparsa in definiti-
va edizione nel 1841. Essa mi sembra costituire in effetti una
sorta di alternativa radicale al modello retorico della storia e in-
sieme una prospettiva del tutto coerente con i multiformi orien-

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158 Edoardo Grendi

tamenti della ricerca di Desimo


rio che il suo libro non era «un
della condizione della società in
fia della storia, ma «il ritratto
determinata». È interessante c
termini di una trasposizione st
una scienza di recente volgariz
portante della storia civile, com
dei popoli, raccoglie quelle notizie che s'attengono all'intima
connessione del corpo sociale neglette per lo più dagli storici
[. . .] una storia comparativa delle cause e degli effetti dello stato
politico, morale ed economico della nazione» 59.
Forse è più giusto spiegare in questa prospettiva storiografica
l'opera di Belgrano e Desimoni, e l'aspirazione sopracitata del
primo a una «storia completa» che, aggiungeva Belgrano, «non
si appaga dei fatti esterni, ma brama di scendere all'intimo delle
cose, studiare l'indole che più particolarmente distingue una na-
zione e riguardare il costume, per descriverci non solo i politici
eventi e le imprese rumorose, ma per ritrarci la morale fisiono-
mia dei popoli» 60. Non è un caso che scorrendo l'indice del libro
del Cibrario troviamo capitoli dedicati alle feste e alla vita priva-
ta, due argomenti caratteristici nella ricerca di L.T. Belgrano. La
vita privata dei genovesi (1866-1875) segue con libertà lo schema
del Cibrario (la casa, le vesti, il cibo, il costume) e la sua prima
stesura è certamente legata con la mostra dell '«Esposizione arti-
stico-archeologico industriale» della quale Belgrano pubblicò il
catalogo nel 1868 61 . Ancora una volta quindi risulta ampiamente
confermata la familiarità dei nostri storici con gli oggetti: non
solo quelli artistici, ma anche le monete, i sigilli, gli orologi, i
prodotti delle arti cosiddette minori e dell'artigianato. In questo
senso essi potevano sentirsi all'unisono con il collezionismo citta-
dino che nutriva certamente parte della frequentazione della so-
cietà. L'oggetto era ovviamente un documento storico ma anche
l'eventuale occasione illustrativa di contratti o di inventari che
essi reperivano facilmente nelle filze del Notarile.
Non certo proclive a rintracciare gli antecedenti genovesi del-
l'antiquarismo, Belgrano riconosce che la storia dell'arte ha tut-
tavia dei precedenti storici nelle Vite del Soprani e del Ratti, pre-
cedenti che erano stati rinverditi dall'opera di Spotorno, Banche-
ro e di Federico Alizeri il quale ultimo veniva sistematicamente
leggendo le sue Notizie dei professori del disegno in Liguria ai soci
della sezione «belle arti» della Società di Storia Patria. Nella

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Stońa di una storia locale 159

stessa sede anche Santo Varni aveva intrattenuto i soci soprat-


tutto sulle «arti minori» 62 . Quel modulo di lavoro, fortemente
documentario ma certamente anche visuale, era del tutto fami-
liare allo stesso Belgrano, mentre Desimoni prediligeva le mone-
te e le carte nautiche. Storici dunque accostumati a «guardare» e
non solo a leggere. Ciononostante la loro opera non ha certamen-
te un'impronta topografica. I viaggi di Desimoni sono viaggi per
biblioteche ed archivi, e anche quando si volge alla storia della
sua Gavi, il risultato è una sorta di dotta e ironica riproposizione
di «Annali» derivata dalla più diversa tradizione documentaria:
così ad esempio se parla di strade l'autore non s'interessa certo
del loro tracciato reale 63 . Eppure quegli inserimenti tematici to-
pografici nel programma della Società nel 1858 potrebbero esse-
re una figliazione desimoniana: quella «delimitazione del territo-
rio antico» fa pensare al suo esercizio per la localizzare gli agri
della Tavola di Polcevera, così come la «topografia della città» fa
pensare al suo programma di studio della localizzazione urbana
dei consorzi, già richiamato. In ogni caso la topografia era, come
s'è visto, nella cultura dell'epoca. Ma forse il modo più illumi-
nante per vagliare l'approccio «storia patria», è quello di consi-
derare le opere, di esplicito argomento topografico, di un socio
non molto più giovane dei nostri, Francesco Podestà.
Introducendo il suo lavoro sul colle di Sant'Andrea («provoca-
to» dal recente spianamento per l'apertura di via XX Settembre),
scriveva il Podestà: «esso non è che lo specchio topografico delle
regioni che ne sono argomento: uno studio, dirò così di anatomia
sulle precipue membra della Genova medievale» 64 . In effetti
quelle membra sono concepite quasi esclusivamente come vie e
contrade e il precipuo interesse dell'autore è rivolto a chiarire
tracciati di «carruggi» poi sconvolti, o a definire corrispondenze
toponomastiche. Lo studio di un'area, marginale rispetto al pri-
mo sviluppo urbano, non dà luogo, nonostante le premesse, alla
rilevazione della sua destinazione multipla né questa viene scan-
dita cronologicamente in modo rigoroso. Il soggetto viene dilata-
to alle «zone circostanti» per una sorta di ingenuo diletto docu-
mentario; tanto che riesce perfino stupefacente la scarsa connes-
sione del lavoro con la recente trasformazione urbana, un'occa-
sione unica, come si sa, per eventuali verifiche sul campo di
«quel che era prima». Non sembra proprio che lo studioso abbia
bazzicato quegli scavi 65 . Non si può certo dire che la imposta-
zione storico-documentaria positivista abbia minimamente as-

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160 Edoardo Grendi

sorbito e tradotto in metodo st


dell'esperienza diretta, sul cam
nente fondamentale della nuova cultura dell'osservazione e della
conoscenza che si era sviluppata nella prima metà del secolo. Né
poteva soccorrere il modello del lavoro archeologico che si defi-
niva, come è noto, in relazione a un tema aulico (l'antichità clas-
sica) e privilegiando comunque più gli oggetti che non le proble-
matiche di sito. Riesce curioso pertanto che nelle sue Escursioni
archeologiche in vai Bisagno, Francesco Podestà indichi sì le sta-
tue romane custodite nella chiesa parrocchiale, i ruderi del vec-
chio castello e i resti di un acquedotto romano, ma continui
preoccupandosi di ricostruire sui documenti il tracciato di que-
st'ultimo concludendo con l'osservazione «realistica» della tecni-
ca seguita nella sua costruzione 66. Negli altri lavori, sull'acque-
dotto e il porto, Podestà riprendeva in fondo il modello «storico-
patrio» della «illustrazione del monumento» estendendolo signi-
ficativamente oltre il sacro e l'estetico. Ma non è certo questa
imputazione, di privilegiamento esclusivo di certi temi e argo-
menti come prioritari, che si può rivolgere a questa prima Socie-
tà Patria che in ogni caso semina molti solchi.

3. LE «PERIFERIE» STORIOGRAFICHE

Col trascorrere degli anni 1880-90 si consuma la stagione mi-


gliore della Società Ligure. Prima si stacca Desimoni, onusto
d'anni: la società - si dice - «è Belgrano» che comunque muore
nel 1895. Ma nei tre anni precedenti non c'è stata alcuna riunio-
ne e la società si è ridotta a mera editrice degli Atti, una costante
ricorrente nella sua successiva esperienza. I nuovi statuti del
1897 ne compendiano le finalità in modo ben più generico che
non nel 1857: comunque il processo di riorganizzazione porta a
un ampliamento delle sezioni. Se ne aggiungono infatti una di
«Legislazione e giurisprudenza storica» e una di «paletnologia».
Quest'ultima è certamente legata alla grande personalità di stu-
dioso che fu Arturo Issel; l'altra è forse legata al Bensa, presente
da tempo nella società, e più in generale alla congiuntura storio-
grafica di storia del diritto. In ogni caso fino alla guerra rimane
confermata l'originaria varietà delle tematiche storiche. Quel che
è venuto a mancare è la progettualità iniziale che postulava una
guida forte e una certa partecipazione collettiva. La società ha
comunque avuto, e confermato, un'impronta e un'immagine de-

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Storia di una storia locale 161

cisamente «municipalista»: è stata in altr


«genovese». Non è tanto rilevante in quest
vona ne abbia costituito una propria nel 1
che la società non rimanesse chiusa ai cor
o a qualche tema territoriale (ciò che app
per il «Giornale Ligustico»); il fattore de
ne implicita di un modello storico civile,
vante, ma legato per lo più alle «glorie» e
tagonismo storico genovese. In altre paro
proposta generale di lavoro storico, valido
questo senso l'elemento fondamentale ch
alla componente topografica del lavoro st
sta lacuna sia fondamentale per il nutrim
tantismo storiografico all'unisono del rest
un «escursionismo colto» che ho osservato come fenomeno coe-
rente e sincrono a quella straordinaria espansione delle cono-
scenze territoriali che si è realizzata nella prima metà del secolo
XIX 67 . Che questo non sia avvenuto è documentato dall'esame di
quella «storiografia dei borghi» che deliziava J.R. Green 68 .
L'esperienza ligure sembra documentare la vitalità delle peri-
ferie estreme. Mentre il caso del Levante appare connesso con
l'emergenza culturale dell'area lunigianese, dove del resto una
tradizione antiquaria era già viva nel Seicento, il caso del Ponen-
te appare connesso con il lancio culturale dell'area ventimigliese,
dove le innovazioni infrastnitturali degli anni 1860-80 sembrano
provocare una sorta di fall-out archeologico: Balzi Rossi, Monte
Bego, città romana di Albio Intemelio. Lo storico che interpreta
precocemente questa situazione (che ebbe forti echi internaziona-
li, favoriti dal turismo colto) fu il chimico-farmacista, poi profes-
sore del Ginnasio e sovrintendente archeologico, Girolamo Ros-
si 69 . Egli concepì il suo ruolo di storico, esponente del nuovo
metodo critico, legato con la Deputazione torinese e la Società
genovese, nei termini di «una storica peregrinazione [. . š] per la
ligure contrada» 70: da Diano ad Albenga, da Taggia a Sanremo,
da Ventimiglia alla vai Nervia e a Monaco, non disdegnando i
centri minori. Ed è in quest'ottica territoriale che egli si fa rac-
coglitore, editore e interprete degli statuti comunitari, documen-
ti caratterizzanti le «sommarie unità che naturalmente esistono
nella storia italiana»: senonché egli, affascinato dai più antichi
statuti come quelli di Apricale, diagnostica la precoce omoge-
neizzazione di quelli successivi come una sorta di perdita di rile-

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162 Edoardo Grendi

vanza. E interessante comunqu


egli costruisca un Glossario me
forti intuizioni non hanno ade
del Rossi viceversa - dotare di
dell'estremo Ponente - porta fatalmente in primo piano gli
aspetti della costruzione retorica, che lega i fatti locali a quelli
della storia nazionale in una serie di sintesi che «li aggruppi e li
disponga in maniera da render utile e piacevole la lettura» 72 .
Beninteso rimangono i meriti del Rossi nella critica radicale del-
le «cosmogonie fantastiche delle fondazioni», delle assurde leg-
gende del primo cristianesimo e in generale nella fedeltà all'o-
rientamento critico-documentale. Le sue storie di borghi e città
hanno un andamento abbastanza uniforme: prima una descrizio-
ne o guida del paese, poi la romanità, il cristianesimo, il «conta-
do», il comune, poi la storia fino ai suoi giorni, con un intreccio
di vicende, vescovi e uomini illustri 73. In effetti però manca la
problematizzazione dei destini più vistosamente divergenti: il
declino delle città vescovili (Ventimiglia e Albenga), l'ascesa mo-
derna dei borghi mercantili (Sanremo, Alassio). In ogni caso se
l'interesse archeologico favoriva l'ottica topografica del sito , non
vi è dubbio che non risultava minimamente sviluppato il tema
del nesso uomo-ambiente. Eppure Rossi scriveva che «conquista
recente della storia è cercare il rapporto fra la vita dei popoli e
la stanza loro assegnata; perché l'attività dell'uomo si esplica in
diversi modi secondoché differenziano i luoghi che egli abita» 74 ;
un'affermazione la cui portata è subito compromessa da quel che
segue 75 . Girolamo Rossi storico fu comunque figura alquanto
isolata nel Ponente: anche se nel secolo seguente l'Istituto di Stu-
di Liguri si richiamerà a lui 76 .
L'estremo Levante presenta indubbiamente continuità e cora-
lità diverse che si costruiscono attorno al grande mito culturale
della Lunigiana: Luni non a caso fu un tema dell'umanesimo e la
sua vicenda sviluppò una sprta di leggenda internazionale: per
non dire del mito dei preistorici apuani. Indubbiamente le vicis-
situdini di una regione, divisa prima fra tre stati e poi smembra-
ta fra tre province, valsero a nutrire un movimento culturale
che, nei primi decenni di questo secolo, fu in grado di produrre
proposte politiche di autonomia. Non mi pare dubbio che questo
regionalismo lunigiano risulti connesso con un approccio storico
«naturalmente» topografico, che doveva dare i suoi frutti più
maturi nell'opera di Giuliani e di Formentini.
La generazione precedente, quella di Giovanni Sforza, Achille

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Stońa di una stona locale 1 63

Neri e del più giovane Ubaldo Mazzini,


orientata verso temi lunigianesi, diede un
suoi studi. Ci sono forti analogie fra i tre
alimentarono, in epoche diverse e congiu
di giornalismo storico che è rappresentato dalle sequenze di
«Giornale Ligustico» e «Giornale storico della Liguria e della Lu-
nigiana» (1864-1923), un'impresa che di per sé è già indice del
raccordo con il centro genovese, dal quale in effetti prende le
mosse 77 . Si tratta di autori eminentemente poligrafi: più erudito
l'archivista Sforza (1845-1922); più «elzevirista» il bibliotecario
Neri (1842-1925); più artista il Mazzini (1868-1923) che fu poeta
dialettale; il primo gravitante su Massa, il secondo su Genova, il
terzo sulla Spezia, ma coinvolti congiuntamente nell'impresa
editoriale, quando quel giornalismo storico divenne una iniziati-
va a gestione spezzina.
Fra i tre fu certamente lo Sforza, erudito di interessi manzo-
niani e anche risorgimentali, l'autore più organico. A parte le
giovanili memorie del paese natio (Montignoso) e la ponderosa
bibliografia storica della Lunigiana (1874), si devono a lui, gran-
de ammiratore di Cesare Cantù, le Memorie e documenti per servi-
re alla storia di Pontremoli. Questa storia ha anch'essa un'introdu-
zione topografica - la Lunigiana ha pur avuto una sua propria
tradizione «statistica» - ma è condotta per il resto in chiave po-
litico-documentaria: talché le stesse vicende interne del comune
(per non dire della storia delle famiglie) sono confinate nell'ap-
pendice, come dettaglio secondario rispetto alla vicenda «ester-
na», delle signorie che si susseguono fino al 1500. Le pagine de-
dicate a «un caso pietoso» del 1341 che «fece echeggiare il nome
di Pontremoli per tutta quanta l'Italia e valicare i monti e i ma-
ri» 78 , danno la misura dell'approccio di Sforza, più a suo agio
nel confutare il mito colto degli Apuani, così come altrove a trat-
tare delle leggende nordiche di Luni 79 .
Direttore, con Belgrano, del «Giornale Ligustico» dal 1864,
Achille Neri è soprattutto un poligrafo, di storia e letteratura. A
Ubaldo Mazzini, che Formentini qualificò come «dilettante in
senso alto, erudito-artista disinteressato d'ogni compito sistema-
tico, trattatistico, divulgativo» 80, si deve la ripresa della tradi-
zione archeologica del geologo Cappellini, col primo contributo
sistematico sulle statue stele, scoperte da un coltivatore, e assi-
milate alle statue menhirs della Francia meridionale, e quindi at-
tribuite all'influenza celtica. Ma è un altro contributo di Mazzini
che salda due generazioni di storici lunigianesi: il saggio che de-

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164 Edoardo Grendi

finisce nel primo fascicolo de


l'area di studio, cioè i confin
zione municipio romano-com
ricostruisce quest'area basando
ecclesiastiche relative alle 35 p
La storia della società territoriale ha assunto altresì la forma
di «storia della parrocchia». Per il gesuita Persoglio, autore di
una monografia su Murta, si trattava di una questione di «pasto-
rale»: egli citava in proposito l'invito da parte del vescovo della
diocesi di Orléans nel 185 8 82 . Mi sembra comunque illuminante
l'approccio dei fratelli Remondini, autori di un'opera monumen-
tale nel 1882 sulle parrocchie dell'archidiocesi di Genova: si trat-
ta di «notizie storico-ecclesiastiche», come recita la seconda par-
te del titolo, suggerendo l'aggancio con la tradizione specifica
della storia ecclesiastica (Accinelli, Schiaffino, Semeria). I Re-
mondini estendono alle parrocchie l'indicazione di G.B. Spotor-
no: come ogni borgata, così ogni parrocchia ha le sue memorie e
la sua storia, ed essi intendono costruire una sorta di Dizionario
Casalis per le cose ecclesiastiche, con riferimento ai luoghi di
culto e alla successione dei parroci. Così anche il citato Persoglio
che ha tuttavia ripreso i vecchi moduli topografico-descrittivi in
chiave odeporica («sei passeggiate») mentre il padre Vigna punta
piuttosto sulla tradizione annalistica ecclesiastica, ribattezzata
«cronologia» 83 . «Ogni paese ha la sua storia», ribadisce D. Cam-
biaso nelle sue Memorie stońche di Comago (1900): ma in effetti
si tratta delle memorie connesse con chiese, cappelle, feste, par-
roci e curati 84 . E le monografie sulle parrocchie urbane hanno le
medesime enfasi, con una comprensibile accentuazione degli
aspetti artistici. La parrocchia cioè non è intesa come comunità
territoriale e neppure come «luogo»: del resto la selettiva enfasi
sugli aspetti ecclesiali è conciliabile coi paradigmi documenta-
rio-eruditi. L'«avvenimentale» ecclesiastico si allinea così con
l'«avvenimentale» storico-politico. Del resto l'idea che le memo-
rie storiche abbiano qualità diversa è ben viva se l'on. Paolo Bo-
selli nel lanciare la Società Savonese (1885) poteva dichiarare
papale che «Savona può vantare una serie di memorie non infe-
riori a qualunque altra città italiana». Del resto la Società savo-
nese è una copia di quella genovese, senza gli studiosi di forte
personalità che hanno animato i primi decenni della vita di que-
st'ultima. Anche qui un gruppo di notabili - promotori: avvocati,
professori, canonici, nobili e impiegati municipali - e uno statu-
to che propone tre impegni fondamentali, e cioè la pubblicazione

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Storia di una storia locale 165

di fonti e memorie; la conservazione e ill


nio artistico; la cura del patrimonio arch
scimento organizzando scavi 85 .
È nuova l'indicazione dell'impegno arc
tributo alla trionfante paletnologia che, c
una sezione specifica della riorganizzata s
no a questa, l'apertura al territorio e alla
sione soprattutto nelle raccolte documen
suo studio sul cristianesimo primitivo, ch
del tutto carente di impostazione topogra
alquanto paradossale, dallo stesso punto d
documentaria, che dalle storie di borghi e
affatto l'eco di quella conflittualità politi
un topos fra i più comuni delle fonti loc
tratta di una rimozione in relazione a un
delle rilevanze che privilegia la «grande

4. LA «SINTESI» POSITIVISTICA E I LIGURI

Fin dal 1900 il linguista E.G. Parodi (1862-1923), autore di


uno studio fondamentale sul dialetto genovese, poteva commen-
tare il difficile connubio fra peleolinguistica, che egli espungeva
dalla glottologia, antropologia («una scienza naturale»), etnogra-
fia, archeologia preistorica e geografia 87, un connubio in ogni ca-
so che segnava profondamente la cultura ligure di quel mito del-
la «ligusticità», che già Gerolamo Serra aveva portato alla luce.
Quel che mi pare caratteristico in proposito è il nesso che viene
stabilito fra episodi (archeologici, glottologici, etnografici) e il
problema delle origini dei Liguri. Ed è nel contempo di un certo
interesse che siano soprattutto questi temi a orientare le nuove
forme di escursionismo colto, che s'identifica ora con l'alpini-
smo. La sezione genovese del Club Alpino si costituì solo nel
1880, forte di 218 soci, e sodalizi analoghi sorsero anche a Savo-
na e a Sanremo. Corifei del nuovo movimento furono soprattutto
E. Celesia e poi G. Poggi; ma anche il più sobrio Arturo Issel
(1842-1922), docente dell'Ateneo ligure per mezzo secolo e figura
di primo piano nell'ambito della cultura italiana del tardo Otto-
cento, fu alpinista, come del resto il suo predecessore, il geologo
Pareto. È noto che i Balzi Rossi, le incisioni rupestri del Monte
Bego e di Fontanalba, le stesse caverne ossifere del Finalese, era-
no oggetto dell'interesse di studiosi stranieri, inglesi e francesi

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166 Edoardo Grendi

soprattutto. Alcuni di essi come


curato rilevatore di migliaia di
straordinario di ironia e sobrietà
a tante altre esplosioni immagin
pe di questa attività, così come
tani. La seconda parte della sua
opportunamente ampliata, fu p
della Società Ligure di Storia Pa
sorta di equivalente di un Codic
coi giacimenti - pliocenici, quat
le diverse spedizioni e i diversi r
quaternario e del neolitico) con
fatti e degli scheletri via via rin
tratta delle incisioni rupestri, d
to, delle necropoli e tombe esos
Issel sembra esser cosciente del
tigrafica 90: in ogni caso non v
zione fra manufatti, scheletri
primi in modo assolutamente e
secondi sulla base encefalica. Co
ri è ricondotto alla successione
fondamentali: paleolitoplidi (Balzi Rossi), neolitoplidi (Arene
Candide) e sideroplidi (celtiberi delle Alpi Marittime e di altre
aree, dei quali non abbiamo comunque resti fossili). Issel li pre-
senta sobriamente come una sorta di sequenza documentaria. Va
da sé che la sequenza dei manufatti è ricondotta alla tipologia
delle «età», ancorché Issel si studi di sfumare il concetto91. Sic-
ché egli spende qualche ipotesi storico-culturale solo con riferi-
mento alle incisioni rupestri (per le quali azzarda il suggerimen-
to che si tratti di scrittura ideografica) e per le caselle. In base a
comparazioni espressive egli suggerisce la presenza celtibera, co-
sì come Mazzini doveva fare per le statue-stele del Levante. Tut-
to sommato Issel rimane fedele alla tradizione di osservazione
naturalistica e, quando si abbandona a divagazioni immaginose
in nome di un innocuo «insegnar dilettando», si preoccupa che
«le finzioni siano conformi alla verità scientifica» 92 . Il suo Me-
moriale per gli alpinisti in Liguria (1891), ristampato poi nella fa-
mosa Guida di Giovanni Dellepiane, sembra riprendere lo spirito
dei viaggiatori del primo Ottocento nel suo raccomandare la
massima varietà delle osservazioni, allo scopo fra l'altro di «for-
mare presso il Club Alpino una raccolta di quanto v'ha di più
caratteristico nei manufatti in uso presso gli alpigiani». Non so-

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Storia di una storia locale 167

lo, ma egli sembra riprendere anche il


«statistica» 93 .
Non v'ha dubbio sul fatto che le «osserv
Issel proponeva fossero qualcosa di molto
aveva in mente Celesia quando invitava a
no; a «leggere nei monumenti granitici le
cipienti consorzi»; ad ascoltare i «parlari plebei», cioè «la più
ricca miniera dei documenti di un popolo»; a ripensare a impro-
babili elfi dei boschi 94 . Gaetano Poggi giungeva a teorizzare un
«metodo storico alpino», che intendeva associare allo studio del-
l'epoca antica «l'esperienza diretta dei luoghi, uniformandosi al
movimento generale della scienza verso il metodo sperimentale»:
in altre parole «erudizione e natura» 95 . Quel che accade è però
che la testimonianza monumentale diventa garanzia di storia.
Fuori del castello e delle mura del XII secolo che resta di Levan-
to e Moneglia? «Il resto - afferma il Poggi - è modesta storia
locale. Genova diventa assorbente e questi luoghi non hanno più
personalità storica»: si tratta di uno stereotipo antico che mette
ulteriori radici 96. Ce comunque una testimonianza umana diret-
ta che Poggi non rifiuta: quella del dialetto parlato, ma sia chia-
ro, al solo fine di «ricomporre il volgare antico», cioè la lingua
dei Liguri che fa tutt'uno col linguaggio primitivo mediterraneo,
sostrato dal quale sarebbero derivati anche il greco e il latino.
Egli enuncia le tappe del suo metodo: raccolta di nomi uguali e
affini, attingendo da aree diverse, già abitate dai Liguri; selezio-
nare parole di «carattere primitivo», cioè riferite alle «manifesta-
zioni più semplici della natura»; confrontandole, determinare la
radice del vocabolo, «le sue caratteristiche di suono e d'accento».
Ridotta così allo «stato vergine» la materia prima e presuppo-
nendo una continuità fonetica occorre «farne l'assaggio» pren-
dendo come termini di paragone le lingue antiche e soprattutto
il greco; infine è necessario porre le parole a controprova con l'e-
sperienza locale. La ricerca è sviluppata in un grosso volume del-
la Società Patria 97 . Il linguista Parodi appare sgomento del fatto
che questi grandi «castelli di carte», fondati su quella che «da
noi è la fissazione più intensa e diffusa» (quella dei Liguri) ven-
gano pubblicati in quella sede, già gloriosa 98 : segno certo della
mancanza di una direzione culturale.
Al Parodi il Poggi doveva apparire un esemplare del tipo più
uggioso, il «neofita ritardatario»: la paleolinguistica che non di-
stingueva la lingua dalla razza e la sottoponeva a leggi naturali-
stiche (fonetiche), aveva ormai perso lena. Fin dal 1873 il Flechia

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168 Edoardo Grendi

aveva indicato la particolarità dei toponimi con suffisso in


«asco» come probabile residuo della parlata ligure pre-latina; e
il Parodi consentiva che un discreto manipolo di vocaboli indige-
ni resisteva alla spiegazione con il latino, il celtico e il germani-
co e prescriveva per la ricerca «un severo metodo prestabilito».
Ancora nel 1926 il suo discepolo A. Schiaffini (1895-1971) ritene-
va che l'indagine doveva esser compiuta sui nomi di luogo, «spe-
cie i nomi degli appezzamenti di terreno, anche i più piccoli, e
dei corsi d'acqua, anche i più magri, che l'esperienza dimostra
difficilmente mutabili» e riteneva che certi settori di attività tra-
dizionali, come la pesca ad esempio, avessero serbato una termi-
nologia particolarmente antica» 99 . È chiaro che la pretesa di de-
finire delle radici dei vocaboli - con la conseguente escatologia
della ricostruzione della grammatica dei Liguri - ripugnasse a
linguisti che erano anche fini filologi, rispettosi dell'integralità
della parola, come Parodi che si muoveva lentamente ma sicura-
mente fuori dell'area di formazione ascoliana, per approdare (e
10 fa esplicitamente Schiaffini) su posizioni crociane. È curioso
peraltro che proprio Schiaffini paghi ancora il suo omaggio al
tema deìYethnos ligure 10°. Era stato beninteso l'Ascoli a propor-
re nel 1891 un Dizionario istorico dei nomi locali dell'Italia', «co-
stituiscono i nomi locali - scriveva - nel giro della storia, una
suppellettile scientifica che si può confrontare con quella che
nell'ordine delle vicende fisiche è data dai diversi giacimenti che
11 geologo studia» 101 . Questa è formulazione propria dell'età na-
turalistica: vedremo la traduzione dell'iniziativa 40 anni dopo.
Per l'intanto il Poggi, sulla scia delle sue personali escatologie
linguistiche, riproponeva «la storia dei nostri piccoli paesi anco-
ra bambina» in un più generale quadro relazionale-evolutivo 102 .

5. SIEVEKING E I GIURISTI

Non c'è stata una storia economico-giuridica per l'area ligu-


re 103. A meno che non consideriamo tale, in senso traslato, lo
studio di Sieveking sulle finanze di San Giorgio pubblicato nel
1898-99 e tradotto nel 1907 dall'assicuratore Soardi negli «Atti»
della Storia Patria: un lavoro caratteristico di una scuola severa
e prestigiosa, dai canoni esegetici collaudati, come la scuola sto-
rica tedesca. Ho ricordato che Desimoni in particolare aveva rap-
porti fitti con gli studiosi germanici ed è ben probabile che ne
sia stato influenzato nell'indicare fra gli obbiettivi programmati-

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Storia di una storia locale 169

ci di studio della Società le tematiche tecn


miche del possibile primato capitalistico g
so si trattò di un obiettivo di studio debo
ra e poi, se non, come vedremo, in ambito
giuridico.
L'opera di Sieveking rappresentava indubbiamente un model-
lo di costruzione storiografica avanzato che aveva come riferi-
mento lo sviluppo economico capitalistico concepito in termini
rigorosamente istituzionali. Di qui l'attenzione precisa per le for-
me giuridiche di transazioni e associazioni che erano inquadrate
in una problematica delle «origini»; e di qui anche l'impostazio-
ne comparatistica che trascorreva dall'esperienza delle città-sta-
to a quella degli istituti bancari nazionali. Il libro, dedicato alla
storia delle finanze pubbliche genovesi, ne indicava la specificità
locale nel principio della delega della gestione finanziaria a orga-
nismi (le Compere e San Giorgio) che organizzavano i creditori
del Debito Pubblico come forza indipendente dello Stato ed ele-
mento fondamentale della costituzione genovese. L'assunto del
protagonismo dell'istituzione libera l'esposizione di Sieveking -
che scrive una storia di tempo lungo (dal XII secolo al 1815) -
dai vincoli della successione avvenimentale e del prammatismo,
così caratteristici del modello retorico della storia-sintesi. La sto-
ria delle istituzioni finanziarie diviene anch'essa dunque una for-
ma di storia politica, capace di proporre, fra l'altro, un'interpre-
tazione di fondo, incentrata sul nesso che lega l'autorità del con-
sorzio dei creditori con l'aumento delle imposte indirette, a dan-
no dei poveri, necessario per pagare le rendite dei titoli sempre
più numerosi del Debito Pubblico: una spirale che spiega le ri-
correnti sollevazioni popolari. È indubbio che la solidità del la-
voro di Sieveking poggia sull'interpretazione della politica finan-
ziaria, e cioè sulle tecniche e sui meccanismi posti in atto nella
gestione del debito e nella politica dei prestiti al governo, e tut-
tavia il valore di uno studio storico risiede anche nelle sue indi-
cazioni. L'autore è consapevole di altre, complementari prospet-
tive analitiche: «Sarebbe cosa molto opportuna - scrive - il po-
ter indagare le relazioni che esistevano fra le diverse forme della
costituzione dello stato e quindi delle organizzazioni sociali e se-
guire la differente importanza ed attività delle classi popolari e
delle famiglie nobili attraverso i secoli» 105. Così sotto la superfi-
cie delle lotte di fazione, egli coglie delle costanti ed è consape-
vole delle analogie con le vicende di altri comuni italiani: «gli
schemi sono analoghi, le differenze dipendono dalle forze econo-

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170 Edoardo Grendi

miche delle singole classi socia


degli uomini che vi stanno a c
acute come quando egli dice ch
indeboliscono la forza dello st
individuale» 106; meglio avrebb
teso non possono esser segnalat
sto lavoro quanto piuttosto qu
storico-economica, con un app
analisi delle relazioni fra uomi
king non ha fruttificato per n
no notare che egli, lettore di
oltre mezzo secolo dopo), ha in
ridezza genovese, sullo scorcio
i banchieri della Spagna, alla q
zione d'una politica in grande,
come intermediari per lo scam
patria e l'Olanda spagnola, sull
za». Anche se il giudizio succes
questo era certamente un mod
committenze di una ricca aristocrazia, le testimonianze dell'arte
come fonte e simboli storici. Neanche questa indicazione ha avu-
to seguito: almeno fino alla recente grancassa sul «secolo dei ge-
novesi» 107.
Come si è ben visto la storia della giurisprudenza rientrava
nel programma desimoniano del 1856: com'era del resto ovvio se
si considera la prevalenza dei testi giuridici genovesi che trova-
rono ospitalità, accanto a qualche annalista, nella collana «Mo-
numenta Historiae Patriae». Belgrano e Desimoni del resto si as-
sunsero sempre il compito di illustrare le forme contrattuali che
trovarono documentate. Ma di un metodo storico-giuridico parlò
soltanto nel 1864 un avvocato Peirano, e in modo certamente po-
co chiaro: «esporre cronologicamente le vicende di ciascuna leg-
ge, ovvero partire la materia secondo le varie specie di diritto a
cui si appartiene e poscia esaminare le modificazioni che furonvi
successivamente introdotte» 108. In effetti un'analoga reductio et-
nocentrica è stata caratteristica anche della più tarda storia giu-
ridica. Abbiamo visto come Gerolamo Rossi privilegiasse gli sta-
tuti antichissimi diagnosticando una precocissima omogeneizza-
zione degli stessi: di fatto il suo interesse era quello di rilevare
nei testi le componenti longobarde o romane e la loro commi-
stione; un'indicazione che Enrico Bensa (1848-1931) riprendeva

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Stona di una storia locale 171

pienamente 109. Il Bensa e Alessandro Lat


comunque ad esplorare nelle fonti l'evolu
contratti di diritto commerciale e marittimo, una tematica che
aveva forti riscontri internazionali. Il loro approccio è quindi ca-
ratteristicamente anti-contestuale, volto a ricostruire «il modo di
essere delle istituzioni presenti nelle loro forme più antiche»:
l'interesse dominante rimaneva quello per la storia del diritto
italiano, inteso, appunto, come storia della determinazione delle
forme contrattuali. Fra esse interessavano soprattutto quelle di
diritto privato, un'opzione manco a dirlo ben genovese. «La vera
natura dei contratti commerciali - scriveva Bensa - è offerta dal-
la storia del loro svolgimento [. . .] Il diritto commerciale non è
che il diritto creato dalla universale consuetudine dei commer-
cianti, i pervertimenti successivi dovuti o all'arbitrio del legisla-
tore [. . .] o alle false interpretazioni che non studiarono la con-
suetudine ma commentarono il testo» no. E naturalmente il «de-
coro patrio» si conciliava pienamente col «metodo Savigny»: la
via maestra per capire il contratto di assicurazione era quella di
risalire all'epoca del contratto secondo consuetudine; un primato
italiano, appunto. Su questa strada Bensa fu certamente uno dei
primi esploratori genovesi di archivi privati, come quello di
Francesco Datini di Prato, al quale dedicò una monografia m. E
Lattes si muoveva sugli stessi presupposti parlando di «regole
consuetudinarie universali nel Mediterraneo» 112 . Tale approccio,
pur caratteristicamente volto a fondare la definizione contrattua-
le sulle pratiche, stimolava la discussione casuística: quali fosse-
ro gli elementi costitutivi della transazione, quali nessi potessero
individuarsi fra le norme contrattuali, cosa distinguesse la com-
menda dalla societas ecc. Come si vede si tratta di un'attenzione
transazionale in una prospettiva di radicale decontestualizzazio-
ne: quel che interessa sono le forme del diritto privato, la loro
emergenza storica. E nelle analisi Lattes per esempio non manca
di evocare la psicologia e la «natura umana». Il postulato è quel-
lo di una fissità normativa di quelle forme, una volta determina-
te, per cui il risultato è una sorta di affrancamento della dinami-
ca storica. La sostituzione, rispetto a Sieveking, dell'istituzione
amministrativa con l'isti tuzione-con tratto ha un'enorme portata
restrittiva: nell'opera di Sieveking c'è certamente un interesse
per le forme contrattuali, ma esso è, come dire?, un posterius ri-
spetto al processo storico, è un problema di definizione, non di
«ontogenesi». E chiaro così che nel caso degli storici giuridici,

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172 Edoardo Grendi

siamo lontani tanto da un appr


zione tematica lo esclude) quan
mico. Qui la cronologia finisce
tante: ci troviamo di fronte a
della storia del diritto.
Sembra dunque che, a cavallo dei due secoli, si fosse determi-
nata una nutrita convergenza verso la storia di settori di studio
diversi: alcuni di questi quantomeno sembravano garantire una
certezza superiore configurandosi, nel gergo dell'epoca, come
scienze sperimentali. Di fatto, non pare che le menti degli storici
fossero sconvolte dai processi di sostituzione in atto, dalla fonte-
documento alla fonte-scheletro. Del resto accanto al documento,
il monumento, la moneta e altro avevano sempre avuto pieno
status di fonte: si trattava di estendere l'antiquaria ai crani e ai
fittili e sembrava che, poiché si procedeva misurando, ciò fosse
fatto in modo scientifico, sperimentale. Certo era come se un
grande silenzio esegetico incombesse attorno ai nuovi reperti
protostorici: la pratica cronologica risultava radicalmente muta-
ta e gli storici non si sforzarono di mettere a confronto i relativi
parametri; sembrava registrarsi così una compartimentazione
della storia: l'antica per gli antropologhi-archeologhi e la medie-
vai-moderna per gli storici. È chiaro così che quelle discipline,
che erano state coinvolte nelle nuove procedure di osservazione e
studio del territorio nel primo Ottocento, avevano registrato un
diverso coinvolgimento storico. Che dalla geologia si approdasse
alla paleontologia e alla storia era ovvio, ma qualcosa di analogo
non accade per le altre scienze naturali che consumano al pro-
prio interno le loro tensioni diacroniche: nessun botanico s'az-
zarda a proporre un sito vegetale come fonte storica. Viceversa
l'osservazione della società tarda a svilupparsi in discipline as-
sorbibili nel circuito storiografico: ho parlato dell'equivoco natu-
ralista della paleolinguistica rispetto alla nuova glottologia e per
la conversione dell'«economia politica» nella storia economica
ho potuto ricordare solo Sieveking, un maestro straniero, senza
seguito locale, il cui paradigma storico-istituzionale non viene ri-
preso certo dagli storici del diritto che producono un'ulteriore
compartimentazione di studi specialistici decontestualizzati. Le
nuove consapevolezze storiche insomma non entravano in un cir-
cuito di problematizzazione storiografica generale, si frazionava-
no per epoche e specialità, l'ispirazione naturalistica rivelandosi
come la più generalizzante, ma ormai con significative eccezioni.

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Storia di una storia locale 173

6. LA SVOLTA VOLONTARISTICA

Non si può certo dire, come s'è visto, che la Società di Storia
Patria, ancora il luogo di riferimento per la produzione storio-
grafica, non aprisse i suoi orizzonti e i suoi interessi, ancorché
rilevasse dubbie capacità discriminanti. La guida rimaneva cul-
turalmente debole. Segretario ne fu fra il 1908 e il 1929 France-
sco Poggi prodigo di riflessioni sull'attività di questo periodo.
Nel 1918 egli appare disposto a riconoscere che «la storia politi-
ca occupa un posto troppo esiguo nei nostri Atti» e a proporre un
programma di storia politico-istituzionale che sembra annuncia-
re il fortunato Breviaňo di Vito Vitale 113: questo anche se la sua
rimaneva fondamentalmente una vocazione di storico-sociologo,
come risulta anche dal suo lavoro sulla guerra civile del 1575-
76 114. Infatti, e curiosamente proprio nel medesimo fascicolo, il
Poggi attaccava il privilegiamento della storia politica degli Sta-
ti e delle grandi individualità, laddove la storia - scriveva - «ha
da comprendere prima di tutto i mille fatti comuni di cui è tes-
suta la vita umana». Si trattava di un testo polemico contro la
«cultura di guerra», già avversato dal presidente Cesare Imperia-
le di Sant'Angelo, che provocò nell'assemblea del 1918 la prote-
sta di «un manipoletto di soci, dotti professori di lettere e di sto-
ria nelle regie scuole secondarie, convinti e compresi della loro
missione di custodi e difensori delle patrie istituzioni», così an-
cora il Poggi scriveva nel 1930. E proprio l'anno seguente il Vita-
le, cioè un esponente di quel «manipoletto», lo sostituiva come
segretario generale. Il conflitto, per una volta registrato a stam-
pa, è passibile di diverse interpretazioni, culturali e politiche. Mi
preme di sottolineare comunque un altro tipo di svolta: quella
del personale-guida della ricerca storiografica genovese. Fino alla
guerra soprattutto archivisti e bibliotecari, poi professori di liceo
e di università 115.
Il significato della svolta va comunque precisato anche in sen-
so storico-culturale. I modelli storiografici del Vitale erano
Gioacchino Volpe e A. Luzio, né si trattò di negare la tradiziona-
le vocazione documentaria della Società: Vitale operò in questo
senso e fu, fra l'altro, attivo sostenitore dell'edizione dei primi
notai genovesi. Nuovo fu l'interesse per l'età moderna, anche se
l'accento venne posto soprattutto sull'attività diplomatica: Vita-
le, E. Pandiani e O. Pastine concordarono ampiamente in questa
direzione di studi 116. Ma ebbero anche altri interessi. In partico-
lare va considerata la continuità del tema, già illustrato da Bel-

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174 Edoardo Grendi

grano, della vita quotidiana e


Neri, dallo Staglieno, dal Pandiani, dal Cervetto, dal Levati e
dallo stesso Vitale. Confluirono in questa opzione tematica la
tradizione antiquaria (l'interesse per le cose) e l'escussione di
nuove fonti (notai, bilanci di spesa, inventari). Pandiani per
esempio fu spinto su questa strada dalla scoperta dei registri di
Antonio Gallo e dall'esempio di Carlo Merkel: egli rivendica in-
fatti per il suo La vita privata genovese del Rinascimento un riferi-
mento cronologico più specifico (rispetto al Belgrano) e l'atten-
zione a «ciascun oggetto degli inventari» che pubblica in appen-
dice 117. Vitale a sua volta affronta il tema in modo significativa-
mente diverso, con riferimento ai notai del XII e XIII secolo, ri-
prendendo un suo precedente excursus sui notai tranesi del Cin-
quecento118. Qui non interessa tanto la «cultura materiale»
quanto «la vita e il commercio»: si tratta della escussione di atti
notarili, organizzati tematicamente: «frammenti di vita che si
compongono come in un mosaico a formare il quadro dell'attivi-
tà prodigiosa e dell'incontenibile espansione in cui è il segreto
della vita medievale genovese» 119. In entrambi i casi l'imposta-
zione rimane episodico-illustrativa: anche se l'illustrazione degli
inventari, con integrazione di glossario, ha una qualità analitica
che non può esser raggiunta dall'aneddotica risultante dall'ap-
proccio Vitaliano. Così, passando ad altro tema, non si può nega-
re che l'ampia narrazione che il Pandiani dedica alla rivoluzione
del 1506-7 (integrata da un inedito Diario) riesca molto suggesti-
va, anche se si tratta di suggestioni legate alla cronaca dettaglia-
ta degli avvenimenti in un breve periodo, senza per vero che ven-
gano proposte analisi socio-politiche originali. Del resto Y animus
dichiarato del Pandiani è quello di non voler tacere «per patrio
sentimento» su un episodio storico trascurato 12°. Questa compo-
nente retorica ritorna costantemente in tutta l'opera del Vitale
che Lopez ricorda come «un borghese realista dell'Ottocento»,
dotato comunque di una buona dose di patriottismo retrospetti-
vo. In effetti la «presenza» del Vitale, segretario e poi, dal 1947,
Presidente della ricostituita Società Patria è elemento di rilievo
nel periodo che va dal 1931 al 1957 121 . Nonostante le scorriban-
de nella storia giuridica ed economica Vitale non ripete certo la
vivacità e varietà di interessi di Desimoni e di Belgrano, a cui
possiamo accostarlo solo per un certo ruolo egemone. Fu storico
a una sola corda, quella politica, chiaramente pensata in chiave
statuale. Ciò lo porta a prediligere come momento aureo della
storia genovese il lungo episodio dei capitani del popolo, al quale

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Storia di una storia locale 175

del resto non dedica uno specifico lavoro


di storico istituzionale si limitano al prim
ne del Podestà (1951), dove il regime pode
camente come una risposta al bisogno di i
unitario all'intero organismo statuale (e
sarebbe l'episodio successivo in questo sen
offerta un'adeguata visione problematica
nal-topografico della società genovese de
mina uno schema narrativo, senza rifless
si politici in atto 122.
Vitale non ha interesse per la società te
per la Liguria quel che pur aveva tentato
chiave di illustrazione di uno straordinar
quando tenta, con la biografica di O. Scas
fico nuovo, ne esce un libro piatto e asso
qualsiasi rilievo immaginativo 124. Nel pr
ria economica, che costituiscono la vera
Vitale è pronto a rilevare che essi confer
nova «nella tipica e maggiore attività del
ciale ed economica, e la potenza marinara
fici e l'operosità inesauribile dei suoi me
tuiscono gli elementi per i quali la sua sto
re strettamente municipale sino a confo
mondo civile» 125. Certo in questo spirito
consentire con Lopez (allievo soprattutto
storico dell'attivismo mercantile, che del
novesi, offrì prove di storico economico
ne questa volta non veniva tanto dalla G
dison (Wisconsin), dove Reynolds, Byrne
photostats dei registri notarili; una cond
Sayous appariva poco favorevole ai «prin
thode historique, profondément circonspect
obbligava il Presidente Mattia Moresco a
zione delle benemerenze degli studiosi am
niziativa della pubblicazione dei notai 127
ca della storiografia di Lopez è chiarame
che esprime la celebrazione giovanile di B
tema maturo della «rivoluzione mercantile». La novità del Lo-
pez, nato a Genova ma formatosi a Milano e ancora docente a
Genova, prima della forzata fuga per gli Stati Uniti, sta nel supe-
ramento degli approcci settoriali per aree, per traffici e soprat-
tutto per tipi di contratto che aveva caratterizzato fino ad allora

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176 Edoardo Grendi

gli studi storico-economici affe


Sieveking). Il che valeva già pe
tanto e più palese in altri studi
formulate nel suo Aux origins du
punto di partenza è individuato
zioni e nella rilevazione dei cen
poi registrare il passaggio da u
commerciale fra X e XII secolo sulla scorta dei tre documenti
pubblici chiave che riguardano l'associazione dei genovesi (958,
1056, 1157). La notazione dell'affinità della «societas» con la
«soccida» è acuta, così come l'individuazione del ruolo chiave as-
sunto nella svolta dalla guerra militare anti-saracena 129. Pari-
menti nel geniale saggio sul marzo 1253 dove legge i 427 docu-
menti notarili rogati in quel mese come un fotogramma delle at-
tività economiche, a rilevanza strutturale e congiunturale insie-
me. Le monete usate, le merci coinvolte, le assi del commercio, il
personale interessato, le tipologie contrattuali che esprimono i
rapporti fra le aree, i rami dell'attività economica: cioè le diver-
se letture delle relazioni economiche documentate valgono a fo-
calizzare l'attenzione sulle strategie dell'operatore economico:
«ci troviamo di fronte - scrive Lopez - a una integrazione del
commercio - commercio a catena - che precede di poco l'inte-
grazione dell'industria» 13°. Lo studio sull'ascesa dell'industria
laniera 1251-55 è tutto costruito sui notai con un'attenzione e
una sensibilità che sono certamente un fatto nuovo nella storio-
grafia genovese, fino a suggerire nuove ipotesi sulla rivoluzione
politica del 1257: un esempio di attenzione al sociale, attraverso
il prisma economico, che è ormai miglia lontano dai paradigmi
narrativo-estrinseci di Vito Vitale. E nello stesso spirito analitico
nuovo Lopez può proporre come nuova fonte quei «panorami pa-
trimoniali» che sono rappresentati dagli inventari «delizia degli
storici del costume e talora dei filologi [che] sono stati editi e
commentati da un buon numero di loro; ma con metodi e scopi
assai differenti da quelli degli economisti e dei sociologhi» 131 .
Lopez può autorevolmente sostenere così le ragioni della storia
economica: «questa che può sembrare la più disadorna, la più
monotona, la più prosaica tra le sorelle in Clio, non conosce in-
terruzioni né soste. Essa è per i popoli quel che il respiro è per
l'uomo . . .»132, dove mi pare evidente la consapevolezza di un
approccio alternativo.
Nella mia prospettiva Lopez è il personaggio-simbolo del nuo-
vo nutrimento che una scienza sociale porta alla storiografia. Re-

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Storia di una stona locale 1 77

sta comunque il fatto, ampiamente comp


zione successiva, che Lopez ebbe soprattut
vistica dell'economia, che il suo spazio di
momento, lo spazio mediterraneo, il suo
«comune dei mercanti», la città «uno stat
che un innesto con la topografia locale s
sulla base di un approccio economico div
lavoro e risorse e circoscrivesse modelli
cifici. Abbiamo ben visto come Vitale po
nante: indubbiamente il suo esempio vals
ne internazionale della storia dei genove
In questo periodo veniva alfine lanciato
geografo Revelli, il programma della rac
ri 134. La scheda relativa che Lamboglia,
a fondamento delle loro inchieste sistema
plice dicotomia dell'oggi (toponimi in us
monianze scritte), un passato quindi non
mento che sembra postulare un patrimo
consuma con le trasformazioni recenti, trascurando la creatività
di ogni epoca. Era una visione che corrispondeva pienamente a
una particolare strumentalizzazione storiografica dei toponimi,
quella che ne privilegiava l'antichità, in contraddizione quindi
con la corretta percezione linguistica del fenomeno.

7. LA STORIA TOPOGRAFICA LUNIGIANESE

Ho detto dell'approccio potenzialmente topografico degli sto-


rici lunigianesi e ho accennato al ruolo-chiave di Ubaldo Mazzi-
ni, come poeta e studioso, ma, aggiungo, anche come creatore
delle strutture portanti degli studi lunigianesi, quali la Bibliote-
ca Comunale di La Spezia e il Museo Civico, per tacere del
«Giornale storico della Lunigiana». Mazzini fu altresì attivo col-
laboratore di una rivista singolare, l'« Archivio per l'etnografia e
la psicologia della Lunigiana» che apparve, con interruzioni, fra
il 1911 e il 1925, direttori G. Sittoni e G. Podenzana 135. L'assun-
to era quello, generale da tempo e lungo a morire, di una Liguria
etnica, cioè dei caratteri distintivi o di un'indole specifica delle
popolazioni liguri; un tema che «corre» da Serra a Canale, da
Issel a Schiaffini fino a Lamboglia e che è mediato soprattutto
dalle testimonianze classiche. Si tratta di una sorta di qualità
metafisica, senza storia, dei Liguri che acquista uno straordina-

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178 Edoardo Grendi

rio valore di certezza, fino a d


Sittoni e Podenzana la Lunigian
«studio-caso» cui si attribuisce, con qualche contraddizione,
un'«unità concettuale»: un'unità che viene rapportata all'indivi-
duo, nonostante le differenze fra i raggruppamenti motivate da
diversità del grado di sviluppo (esame storico) e dalle circostanze
esterne (esame geografico); un'unica civiltà la cui determinazio-
ne richiede l'attenzione agli «strati più profondi» e non solo ai
più elevati, prediletti dagli storici. Il conseguente programma
psicologico-etnografico postula l'interpretazione dei dati della
cultura materiale in funzione della riprova dell'indole del popolo
e la ricerca sul campo, intesa anch'essa come ulteriore riprova
dell'assunto generale. Il compito dell'« Archivio», ribadito alla
sua «ripresa» nel 1925 è quello di produrre «una serie di conce-
zioni intese a definire una volta per sempre la posizione dei Li-
guri negli svolgimenti preistorici e storici della civiltà mediterra-
nea» 136.
La compagine etnica era concepita come organismo fisico e
culturale, l'antropologia fisica (la craniometria) come sostrato di
ogni attività materiale e psichica. Queste concezioni ci riportano
a un dibattito tardo ottocentesco che sembra ravvivarsi improv-
visamente nel cruciale primo Congresso di Etnografia italiana
del 1911, al quale presumibilmente partecipò il medico Sittoni,
già interlocutore di quel Paolo Mantegazza che nel 1869 aveva
ottenuto la prima cattedra italiana di Antropologia Generale a
Firenze. Sulla tesi dell'« identità psichica» del genere umano, con
la proposta conseguente di leggere i primitivi e i «volghi occi-
dentali» come fossili viventi, s'era allineato anche Arturo Issel
fin dal 1874 137.
La Società di Etnografia Italiana che promosse quel convegno
era stata fondata da A. Mochi, un allievo del Mantegazza, da L.
Loria e da F. Baldasseroni. Gli oggetti della cultura materiale,
dei quali s'incoraggiava la raccolta, erano considerati espressio-
ne autentica dell'anima popolare e preziosi documenti per la ri-
costruzione della storia remota: lo stesso punto di vista che ave-
va sollecitato le utopie di G. Poggi sulla ricostruzione della lin-
gua dei liguri attraverso le radici delle parole dialettali. I corri-
spondenti lunigianesi facevano parte di quella rete di raccoglito-
ri locali messa in piedi per realizzare l'esposizione etnografica in
occasione dell'Esposizione Internazionale del 1911. Podenzana in
effetti aveva messo su un suo museo etnografico, poi arricchito
dal «museo antropologico» di Sittoni 138. Certamente né l'uno né

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Storia di una stona locale 179

l'altro percepirono le novità di quel Cong


nuove correnti antinaturaliste del secolo ebbero influenza decisi-
va su un altro collaboratore dell'« Archivio», Manfredo Giuliani
(1882-1965), già studente a Pisa e responsabile dal 1911 di un
combattivo giornale locale, «La Lunigiana». In un suo significati-
vo saggio sugli Usi funebri della vai di Vara , Giuliani sosteneva
che i lunigianesi non ebbero riti funebri, giacché il rito è rappre-
sentazione cerimoniale che esprime, in forma fantastica, la visio-
ne che il popolo ha della sua intuizione del mondo. Nel caso del-
la vai di Vara si può parlare piuttosto di «usi funebri», in conso-
nanza con l'indole pratica del popolo «povero di fantasia e quin-
di di disposizioni artistiche e speculative» 140. Una tesi che mi
pare emblematica della corrente scuola di psicologia comparata
volgarizzata dal Mantegazza, e, più in generale, della pesantezza
dell'assunto etnico 141 . In ogni caso le ricerche folkloriche di Giu-
liani, la riesumazione celebrativa (sulle orme dello Sforza) delle
figure minori della cultura lunigianese, l'esame dei toponimi,
l'interpretazione delle statue stele e la ricostruzione di episodi di
storia pontremolese si saldano a una battaglia politica, viva fino
al 1923, per la provincia lunigianese: una vocazione saggistica
che ricorda da vicino l'esempio di U. Mazzini 142 . L'elemento
connettivo è appunto la «Lunigiana etnica» e la ricerca culturale
è vista come una componente fondamentale della battaglia poli-
tica. Con l'avvento del fascismo Giuliani, proprio come gli anti-
chi Liguri nelle epoche di regressione civile, sembra «ricompor-
si» sulle montagne: il suo nome si lega a quella singolare avven-
tura culturale che fu, negli anni bui, la «Giovane Montagna: rivi-
sta mensile di studi e interessi montanari» del «popolare» Mi-
cheli, una rivista dedicata allo studio delle comunità appennini-
che tosco-liguri-emiliane 143 .
Così nel lanciare nel 1928 un'inchiesta lessical-folklorica nel-
l'alto pontremolese Giuliani la fondava su un'ipotesi forte di geo-
grafia storica concernente la viabilità di quella zona appennini-
ca: egli contrapponeva all'etnocentrismo della moderna viabilità
artificiale, radiale lungo la direzione dei fondo-valli, lungo i corsi
d'acqua e verso le foci, la viabilità naturale che copriva «nelle
epoche primitive o barbare» i monti, preferendo «i terreni saldi
delle parti alte e i passi diagonali»: in altri termini «i nodi mon-
tuosi riuniscono e non dividono le popolazioni». Nello specifico
topografico intorno al monte Gottero dove s'incastrano le valli
del Taro, della Magra e della Vara orientale, il bacino del Verde
offre comodi valichi che uniscono i versanti (come è dimostrato

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1 80 Edoardo Grendi

dalla pieve di Vignola): ciò lo por


della strada di Godano (per Geno
rispetto alla romana e moderna v
scambi è rintracciabile nelle form
grafici (come i paralumi). I rifer
Vidossi 144. Importante comunqu
tralità degli scambi - dialettizzat
artificiali) e di «ricomposizione»
- sottraendosi così alla vecchia u
nistica 145. La linguistica costitu
la ricerca etnologica, e questo è i
ta al Congresso per lo studio del
la «geografia dei paralumi» (paro
zionalità o a misoneismo ma com
menti connessi a tendenze e cred
carsi un substrato di carattere etnico» 146. E chiaro che la nozio-
ne di «ethnos» ha subito una sorta di arretramento, indicata co-
me ipotesi, punto d'arrivo.
La leggenda di Apua, definitivamente confutata dal Muratori
- argomenta altrove il Giuliani - deve esser letta come «inven-
zione di una tradizione», corrispondente alla passione autonomi-
stica del Pontremolese - in opposizione alla romana Luni -
«estrinsecazione mitica» di «resistenti istinti atavici, residuo di
antichi contrasti etnici, confusa sebbene operosa resistenza del
ricordo della invitta ostilità anti-romana dei Liguri», una rappre-
sentazione storica che «risponde al genio, scarsamente fantastico
e realisticamente giuridico della popolazione» 147 . La diversità
del linguaggio, «la prevalenza di suoni sempre più chiusi, l'"ü" e
l'"ë" e la corrispondente celtizzazione delle consonanti» sono «i
tipici segni di un ethnos diverso» 148.
Questo tema dell'«ethnos» è certamente meno costante nell'o-
pera di U. Formentini (1880-1958), compagno di studi del Giulia-
ni all'Università di Pisa, giurista e politico impegnato a «dare
un'anima» alla Spezia, una città sconvolta dalla clamorosa cre-
scita, successiva all'installazione dell'Arsenale Militare 149. Il giu-
rista Formentini, collaboratore de «L'Unità» salveminiana e del-
la gobettiana «Rivoluzione Liberale», individuava negli sviluppi
istituzionali dell'economia di guerra i segni dell'emergenza di un
nuovo «pluralismo giuridico», muovendosi così all'unisono con
una diffusa cultura politica europea 15°, e si batteva anch'egli
alacremente per la nuova grande provincia lunigianese. La con-
versione alla storia, dopo lo scacco del 1923, appare connessa

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Storia di una storia locale 181

con la successione a U. Mazzini nella direzione della Biblioteca e


del Museo Comunali, per approdare poi, dal 1931, auspice A.
Schiaffini, all'Università di Genova e collaborare in seguito, con
Nino Lamboglia, all'impresa dell'Istituto di Studi Liguri. La sua
fu vocazione di studioso topografico-giuridico (e storico-artisti-
co), senza divagazioni moderne e risorgimentali, uno storico del-
l'Alto Medioevo con una spiccata tendenza a risalire all'indietro
per fondare appunto la sua tesi di una sostanziale «continuità
storica».
Parlando di Venelia nel suo ultimo scritto, pubblicato postu-
mo dal figlio, Formentini scriveva: «La sede plebana conserva i
caratteri arcaici d'un centro federale in luogo aperto e disabita-
to, per cui la pieve, come fondamentale unità dinamica, ci porge,
con tutta probabilità, non solo uno schema dell'anteriore orga-
nizzazione pagense, ma anche dell'antichissimo conciliabolo li-
gure» 151 : una tesi che è la «cifra» caratteristica dello storico For-
mentini, quello, certamente più interessante, degli «anni venti».
In questo senso lo studio esemplare rimane quel Conciliaboli, pie-
vi e corti nella Liguria di levante che fu pubblicato nel 1926. Ca-
ratteristico è il modo in cui Formentini allinea prove topografi-
che e prove giuridiche, confortate dall'archeologia e dalla topo-
nomastica che vengono assunte come fondamentali ma sussidia-
rie e che, in ogni caso, non rappresentano la sua «specialità».
Egli infatti fu archeologo solo occasionalmente e non fu glottolo-
go, limitandosi a indicare in questo campo la necessità di ricer-
che territoriali circoscritte, «preferibili alle divagazioni interna-
zionali». Viceversa Formentini parla espressamente di «prove to-
pografiche»: la locazione delle pievi ad esempio o la disposizione
degli insediamenti attorno al compascuo corrispondenti a precise
funzioni economiche. Naturalmente proprio il tema del compa-
scuo, con le sue connotazioni comunistiche, richiama il problema
dell'evoluzione giuridica del regime di proprietà. E qui i riferi-
menti sono la «Tavola di Polcevera» e, in seguito, la «Tavola di
Veleia», viste come «testi di diritto ligure interpretati dalla giu-
risprudenza romana» 152. L'« oppidum» genuate è interpretato co-
me un'istituzione federale determinatasi quando già era avvenu-
ta la ripartizione dell'agro (pubblico amministrato da ciascun
comune), il possesso individuale qualificato come una decisione
assembleare. E questa «situazione» è intesa come forma generale
dell'organizzazione territoriale ligure senza l'« oppidum». Vale
cioè per i castellari (rilevati dal Mazzini sulla toponomastica) ri-
spetto alla comunanza del conciliabolo, così come i vici rispetto

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182 Edoardo Grendi

al pago e i villaggi rispetto alle


gli assi viari. I «centri» hanno s
litari e commerciali e ad essi co
soddisfano le basilari funzioni economiche. Album, alba, nell'in-
terpretazione del Formentini, sono termini che si riferiscono tan-
to al monte quanto alla costa, nell'ambito di formazioni territo-
riali che si dispongono come sezioni perpendicolari alla costa in-
tegrando zone marittime e montane, com'è attestato dai confini
delle pievi, almeno laddove la continuità non è stata violata dal-
la romanizzazione. Donde quella topografia storica «diversa» e
non moderna, che Giuliani riscopriva sulla base delle vie di co-
municazione. Questa interpretazione sconta in effetti per popola-
zioni che integrano commercio, agricoltura e pastorizia una fissi-
tà della funzione economica che non viene per nulla problema-
tizzata. Trascurando l'incidenza commerciale - non a caso For-
mentini ipotizza per i Liguri una organizzazione collettivistica
degli scambi - vai la pena osservare che la stessa organizzazione
pastorale non comporta affatto un continuismo di soluzioni terri-
toriali 153. Le trasformazioni, romana e successiva, identificate
con l'espansione della proprietà privata (la corte medievale è in-
dipendente dalla pieve - scrive Formentini - e deriva dal fundus
signorile) è ricondotta ai termini di una nuova ricomposizione
giuridica, nella pars dominica, nel parcellare (corrispondente al
«pubblico») e nel saltum (compascuo) della stessa tripartizione di
base, confacente a una funzione economico-agraria pienamente
corrispondente. L'assunto è che l'emergenza di nuovi attori eco-
nomici - ci si riferisca al sistema curtense, sviluppato parzial-
mente, o alle fondazioni monastiche che operano nella stessa lo-
gica economica o alla moltiplicazione dei liberi proprietari rivie-
raschi - non abbia modificato per nulla l'assetto produttivo.
Mi pare che la visione di Formentini pecchi qui di un topo-
grafismo estremo: la permanenza del compascuo-saltum è certa-
mente un elemento vistoso, ma tutt'altro che secondari sono i
problemi del suo uso e della sua allocazione. Il «primato» del-
l'osservazione topografica (del resto qui ricondotta unicamente
ai moduli insediativi) è sempre pericoloso, anche se si sposa più
facilmente con le testimonianze monumentali, archeologiche e
toponomastiche, condotte beninteso nella logica di un privilegia-
mento del seriore. Conseguentemente si appiattisce anche quella
dimensione storica che pur stava più a cuore al Formentini, e
cioè l'approccio storico-giuridico, che viene ricondotto entro una
pura logica culturale di «ridefinizione» di una struttura immobi-

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Stona di una storia locale 183

le I54. Per altro verso è proprio il Form


comportamento secondo il giure longob
disfatta e della consunzione dei marches
mane invece ancora aperto per i consort
la Lunigiana e dei quali egli esplora l'irr
nell'ottica di una corrispondenza genealog
suo lavoro più ampio del 1941, quello su
ro e nell'Alto Medioevo, il tema deM'eth
cantonato, ritorna esplicitamente a defin
storica: l'ambiguità mi sembra individua
che è indicata fra riordinamento dioclez
rinascita ligure nell'età dell'Impero, «un
un substratum etnico» 156.
Anche qui è ripreso il tema della conti
nali del XII secolo - Castrum, civitas, bu
stribuzione più antica dei demi» e, con l
ritrovarono mirabilmente la forma antica dello stato-città» 157.
Ma la trattazione è certamente più moderata, nel senso che l'ap-
proccio giuridico sembra prevalere su quello topografico. La for-
mula compendiosa, già avanzata in un saggio del 1926, è quella
di una definizione del Comune come «istituto giuridico» 158. In
effetti le dinamiche sociali appaiono a un certo punto corpose,
quando si delinea lo schema di concorrenza politica pars publica-
ecclesia-civitas che nell'XI secolo, dopo la liberazione obertenga
dai Saraceni, assume un andamento più drammatico, proprio in
conseguenza della nuova forza dei vicecomites che si urbanizzano
definitivamente (élite militare che controlla altresì il commercio)
e dei cives gonfiati dall'urbanamento di aldi e servi liberati. Qui
è piuttosto sottolineata la continuità giuridica: la dominazione
bizantina ha serbato il principio della territorialità a favore del
diritto romano e questo spiega la continuità istituzionale nell'al-
to medioevo; i longobardi, presto convertiti, hanno mantenuto la
struttura civica romano-bizantina; le famiglie viscontili hanno
seguito il modello giuridico familiare romano e non quello longo-
bardo come i marchesi ecc.
Dietro la «Compagna», un'associazione libera su base indivi-
duale, fa capolino il capitalismo che «sollecita le forme egualita-
rie del Comune», così come la spogliazione del patrimonio vesco-
vile ad opera dei visconti ha «liberato» il capitale per le imprese
militar-commerciali. Del resto Formentini si muove qui su un
terreno meno vergine di quanto non facesse quando s'occupava
di pievi e consortili o monumenti lunigiani con una passione che

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1 84 Edoardo Grendi

mi pare ben illustrativa dell'app


locale, un approccio temporalizz
stulava certamente un'esperienz
e ben oltre rispetto ai suoi inter
Ed è interessante rilevare che, c
Formentini rivela un'ampiezza d
to a correnti di pensiero e storio
namente consone al taglio tema
altre parole la storiografia lunig
è un episodio parrocchiale, camp
più parrocchiale e campanilistic
storiografia del Vitale, molto più
bra infatti che nella prima metà
genovese risulti secondario, anch
spondenza del tardo risveglio sto
stico.

8. LAMBOGLIA E LA PALINGENESI DEL LIGURISMO

Il risveglio del Ponente ligustico prende corpo più che non


nella «ripresa» della Società Savonese di Storia Patria, fin dal
1918 159, nel lancio della Società Archeologica Ingauna nel 1933,
divenuta l'anno dopo «Ingauna e Intemelia». Alla testa del soda-
lizio di 120 soci - che assunse subito la direzione della «Collana
Storico-Archeologica» fondata qualche anno prima dal prof. Lu-
dovico Giordano - era l'avvocato Luigi Costa, podestà di Albenga
che creava un Ufficio Storico del Comune per il segretario Nino
Lamboglia (1912-1977), giovanissimo figlio di un insegnante, ap-
pena laureatosi a Genova. L'incontro si rivelò decisivo: da una
parte l'importante intermediazione col notabilato locale, solleci-
tato anche con argomenti di politica turistica, dall'altra un ge-
niale misirizzi, un autodidatta di grandi intuizioni, dall'enorme
capacità lavorativa: archeologo, glottologo, storico antico 160. La
strategia del gruppo fu volta alla costituzione di musei locali (Fi-
nale, Imperia, Albenga e Ventimiglia), come strutture del movi-
mento inteso a «promuovere ricerche volte a integrare, valorizza-
re e accrescere il patrimonio storico-archeologico-artistico del
territorio ligure occidentale»: il che significò campagne di scavo,
restauri e valorizzazioni dei centri storici, convegni, pubblicazio-
ni. Un movimento del genere doveva darsi una ideologia genera-
le e la trovò nei temi congiunti e armonizzati della ligusticità e

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Storia di una storia locale 1 85

della romanità: due temi che orientarono le ricerche e che certa-


mente non dispiacevano al Regime, il quale nel 1935 riorientava
in senso verticistico la riorganizzazione degli studi storici con le
Regie Deputazioni: la società albenganese diventava una sezione
della Deputazione ligure. Lamboglia conduceva campagne di
scavi, restauri e pubblicava indefessamente, riempiendo la «Rivi-
sta Ingauno-Intemelia» dei suoi preziosi contributi archeologici e
toponomastici. Certamente un uomo siffatto, studioso ma anche
pratico realizzatore in grado di trovare e dirigere finanziamenti,
non poteva prescindere da una certa arrogante assertivi tà 161 : il
suo spostamento a Bordighera, chiamatovi dai Berry, i continua-
tori del Museo Bicknell, è motivato dalla soppressione dell'Uffi-
cio Storico del Comune conseguente alle dimissioni dell'avv. Co-
sta in urto col partito locale 162 .
Allontanatosi con la guerra il Berry, il Museo Bicknell diveni-
va nel 1941 «Istituto di Studi Liguri» che si emancipava anche
dalla Regia Deputazione «serbando per sé» i problemi storici li-
guri: «per studi liguri - scriveva Lamboglia - noi intendiamo la
ricerca di tutti quegli elementi - paletnologia , archeologici, sto-
rici, artistici, linguistici, etnografici - che hanno contribuito nei
secoli a plasmare l'anima e la stirpe ligure, nel dinamismo stori-
co dei suoi confini e nell'apporto da essa dato alla formazione
della razza e allo sviluppo della storia italiana e mediterra-
nea» 163. Questo è chiaramente un linguaggio di aperta compro-
missione col Regime, ma c'è un altro lato della medaglia che de-
ve esser considerato. Il Lamboglia poneva il problema storico dei
Liguri in termini critici che davano un senso al rigore della ri-
cerca. Fra gli storici-filologi che parlavano di un popolo indo-eu-
ropeo immigrato in Liguria, i linguisti che parlavano di un fondo
pre-indoeuropeo e mediterraneo e i paletnologi che opinavano
per una continuità neo-eneolitica fino alla seconda età del ferro e
all'età romana, il problema delle «origini» doveva restare aperto,
in attesa di accumulare nuovi elementi con la ricerca 164. Sul ter-
reno archeologico la soluzione era offerta dall'indagine stratifica-
ta che sola poteva saldare il neolitico e l'eneolitico con le ignote
età dei metalli e con l'età romana, magari anche attraverso lo
studio sistematico delle incisioni del Monte Bego, suscettibili di
un'analisi psicologica intesa a rilevare i tratti precursori dell'in-
dole ligure rilevata nei tempi storici dagli autori classici 165. Qui
c'è addirittura l'eco dell'«Archivio Lunigianese» e di problemati-
che ormai vecchie, la cui senescenza il Lamboglia, presumibil-
mente ignaro della modernizzazione del dibattito etnografico,

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1 86 Edoardo Grendi

non era in grado di avvertire. Di


poteva continuare attraverso la g
tinuità, sgomberato dopo il '45 d
viamente soprattutto «romana».
re l'Istituto fu ancora l'avv. Cost
va la centralità degli «studi relat
sua tradizione attraverso i secoli
logico, artistico, linguistico, etn
che sollecitavano la collaborazione fra studiosi, istituti e univer-
sità «del primitivo territorio ligure» 167 . Lamboglia riassumeva
la direzione dell'Istituto, presidente l'ing. Notari e ormai ricco di
11 sezioni. Nel 1950 l'Istituto si internazionalizzava e nel 1955
contava 1123 soci (di cui 219 forestieri), sparsi in 19 sezioni (di
cui 6 estere) 168. La sua vita si articolava in convegni, dove pre-
valeva l'attività di escursione, in Congressi Internazionali, in cor-
si per i giovani studenti, in scavi, restauri, pubblicazioni e cia-
scuna sezione aveva vita e responsabilità proprie 169. Risultava
dunque uno straordinario successo, un episodio che ha davvero
pochi raffronti. Il tema deWethnos ligure costituiva la garanzia
di una «civiltà relativamente unitaria», oggetto degli studi tale
che copriva un territorio che si estendeva dall'Arno all'Ebro; la
formula programmatica - ripresa in occasione del I Congresso
Internazionale del 1950 - della «identificazione empirica di que-
gli elementi di substrato nel cui movimento consiste la visione
formativa dell'ethnos ligure protostorico» doveva garantire le ra-
gioni della ricerca scientifica. Come si vede una puntuale ripresa
delle formulazioni del 1937. Del resto Lamboglia poteva orgo-
gliosamente rivendicare l'indipendenza dell'Istituto come pre-
supposto di un approccio storico - archeologico, linguistico e to-
pografico - corretto che garantiva l'esperienza sul campo (rispet-
to all'archeologia estetica «da tavolino» delle università) e salda-
va preistoria, protostoria ed età classica attraverso un metodo
stratigrafico che, accennato da molti, solo egli e gli altri archeo-
loghi dell'Istituto (Bernabò Brea ad esempio) aveva coerentemen-
te realizzato in Italia 17°. Sicché quel che conta è ora considerare,
attraverso alcune esemplificazioni, il senso dell'apporto storico
del Lamboglia studioso.
I primi scritti di Lamboglia lo vedono impegnato a ricostruire
le tappe dell'incontro Liguri-Romani e della successiva romaniz-
zazione: le proiezioni topografiche rientrano caratteristicamente
nell'approccio naturale dello storico antico. Il suo intento è quel-
lo di «integrare con dati storici più vivi e comprensivi la testi-

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Storia di una storia locale 1 87

monianza nuda e spesso frammentaria del


gli scrive nella prefazione alla Tipografia I
«e specialmente - aggiunge - saggiare la t
delle circoscrizioni territoriali romane in
nel ricostruire la fisionomia storico-topog
ritorio municipale» 171 ; in altre parole ut
medievali per determinare l'organizzazione
do che va dal tardo Impero al termine del
tina. Si tratta di una ripresa del tema form
nuità conciliabolo-pago-pieve, alterata poi
stellamento iniziato dalla talassocrazia bizantina e proseguito
nell'età curtense. Questo, ancorché Lamboglia non riprenda il
termine «conciliabolo» e parli piuttosto di federazioni di tribù,
sovente, nell'area ponentina, incentrate su un oppidum. Non è
dato vedere in cosa consistano i problemi, «da riesaminare», del-
l'« etnografia ligure di ponente», salvo che non ci si riferisca ai
«nomina etnici» dei classici, con annesso problema di ridefinirne
l'unità territoriale. L'opzione tematica è l'area del municipio in-
gauno (Albenga) - poi diocesi e più tardi comitato - e il procedi-
mento è quello di risalire, ove possibile, dalle parrocchie alle
aree pievane assimilate alle aree dei paghi. Lamboglia discute
una serie di testimonianze archeologiche, epigrafiche, toponoma-
stiche, letterarie e documentarie al fine di ricostruire locazioni
centrali e confinarie, ricorrendo molto spesso alla «prova topo-
grafica» utilizzata come una sorta di «prova del buon senso». Co-
sì per l'area di Porto Maurizio: «a riconoscere i limiti del primi-
tivo piviere e del corrispondente pago non ci aiuta quindi che la
topografia, la quale rende naturale che vi appartenessero tutti i
vici delle valli del Pino e di Caramagna, dato il loro stretto orien-
tamento verso il mare» 172. Mette conto rilevare, in proposito,
che Giuliani e Formentini avevano insistito, per altre aree, sul
principio della «tipologia diversa» (i villaggi attorno al compa-
scuo, ad esempio). È chiaro comunque che l'approccio del Lam-
boglia si distingue da quello topografico-giuridico del Formenti-
ni, e soprattutto si distinguerà, per lo specifico degli interessi to-
ponomastico e soprattutto archeologico. Già del 1938 è un suo
lavoro sulla Toponomastica dei Comuni di Alassio e Laigueglia che
si colloca nel quadro della citata iniziativa del C.N.R.-Comitato
Nazionale per la geografia 173. Intanto i primi saggi di scavo lo
sollecitano a proporre un'opera di sintesi precoce sulla «Liguria
romana», impostata per «municipia». Questo corrisponde all'esi-
genza, viva in Lamboglia, di collocare il singolo episodio archeo-

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188 Edoardo Grendi

logico in un quadro più ampio


come la «questione dei liguri» a
un iper-significato - e ciò suon
specializzazione. Registriamo il
sto libro: poiché i municipi son
mento di primordiali e framme
ordine nuovo «i processi tecnic
queste confinazioni si elevano p
La «Liguria Romana» è, per un
della ricerca sull'«Ingaunia» e, p
stematica dei problemi dell'arch
matica ripresa con moduli più
preistoria nel volume successivo
Durante e dopo la guerra fino
ca 176, Lamboglia continua la s
L'orientamento archeologico è p
singoli scavi (e su reperti sotto
di suppellettili «alfabeto dell'arc
solo da competenti. La mia imp
prudente e severo 177. Le preocc
dine cronologico e topografico
generale» delle «grandi ipotesi»,
occasione per esempio della nuo
documenta una Liguria maritti
ma delle «origini dei Liguri». «Entro quali limiti - si chiede
Lamboglia - gli usi e i costumi rivelati dalla necropoli di Chia-
vari possono indicare una provenienza, o continentale o maritti-
ma, delle genti che li praticarono e che concorsero a formare il
substrato etnico dei Tigullii, come a levante quello degli Apuani
e a ponente quello dei Viturii e dei Genuates?» 178. Questa sem-
bra in effetti essere una costante dello studioso Lamboglia, que-
sta sorta di unilaterale proiezione dei significati, senza che venga
invece arricchito il modello storico-culturale dell'esperienza di
sito. È sintomatico che egli concluda che i Liguri del VII e VIII
secolo «fossero qualcosa di diverso da quello che ci hanno tra-
mandato gli scrittori romani», ribadendo però di seguito le de-
scrizioni dei romani per quel che riguarda «il substrato e l'indole
arcaica dei Liguri»: davvero un caso unico in cui l'etnografia dei
conquistati è deferita ai conquistatori. D'altronde il linguaggio
medesimo («indole atavica») chiarisce come il Lamboglia non
fosse riuscito a liberarsi di un canone etnografico ormai vecchio
di almeno un secolo. Quale migliore occasione di una necropoli

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Stona di una storia locale 189

per sviluppare un autentico discorso ant


gnificato» di Lamboglia si traduce fatalme
cato, in una valutazione critica monca. L
(che dovrebbe essere integrato con le sci
resto era accaduto per Formentini, che p
to l'economia a una funzione immobile, conduceva di fatto a una
statica tipologia 179 .

CONCLUSIONE

La mia ricostruzione della storiografia ligure è stata cond


così fino agli anni sessanta, a un dopoguerra che non ha reg
to grosse novità in sede regionale. La medievistica ligure s
presto orientata verso i temi internazionali e ha perlopiù t
rato la «storia interna», tantoché ad esempio due secoli im
tanti come il Trecento e il Quattrocento rimangono ancora
stamente scoperti 180. Ho cercato di seguire nell'esposizione
ratteristiche dei due approcci, quello storico- topografico e
storico-economico, il cui innesto ha determinato il successo della
local history. Dove un approccio topografico è stato presente, è
evidente che la topografia è stata concepita molto parzialmente,
come locazione e confinazione, e questo anche nel caso di Lam-
boglia che, come archeologo, partiva necessariamente da un di-
scorso di «sito»; mentre i pochi significativi episodi di storia eco-
nomica si sono risolti in senso istituzionale, nel caso di Sieve-
king, e in senso volontaristico nel caso di Lopez, cioè in due dire-
zioni che escludevano la topografia. L'« innesto» dunque non è
avvenuto e la dialettica terreno-documento, col significato che
essa ha in termini di intreccio di competenze e saperi e di rac-
cordo fra dialettanti e specialisti, non ha potuto fruttificare in
significativi modelli di lavoro storico. La «storia locale» non è
divenuta così una pratica precisa e non ha conquistato un suo
«status». Da questo punto di vista la grande retorica del «liguri-
smo», come la retorica minore di Genova marinara e mercantile,
hanno rappresentato certamente un grosso ostacolo. Indubbia-
mente la ricerca avrebbe potuto optare per vie diverse, incen-
trandosi selettivamente sugli episodi meno noti di storia di co-
munità, ma dubito che le conclusioni sarebbero state diverse, e
in ogni caso è indubbiamente più sensato seguire gli sviluppi
della storiografia riconosciuta.
Il paradosso del discorso controfattuale vale a segnalare la

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190 Edoardo Grendi

specificità e qualità di un'espe


da una ricerca sul terreno, ha
sibilità di un più ricco scambi
con le discipline del territorio
tura di questo lavoro con la sta
do di osservazione e studio del territorio e della società territo-
riale della prima metà dell'Ottocento. In questo senso si potreb-
bero pensare complementariamente storie di queste discipline (la
botanica, la geologia, la geografia, l'archeologia ecc.) che non
hanno raggiunto adeguati paradigmi di storicità. Era evidente
allora come la storia fosse un genere particolare e quasi margi-
nale, governato da un modello retorico-prammatico assoluta-
mente tradizionale. Il positivismo naturalistico ha rappresentato
una parziale occasione di sintesi, proprio sulla questione dei Li-
guri: ma è evidente che la sua matrice, grevemente evoluzioni-
sta, escludeva ogni senso del concreto operare umano. La reazio-
ne ha riproposto, da una parte, il prammatismo tradizionale e,
dall'altra, degli schemi evolutivi legati a una sorta di fissità delle
funzioni economiche disegnate astrattamente come sintesi terri-
toriali (Formentini). La cosiddetta «prova topografica» mi pare
emblematica di questo orientamento. In quella fase culturale
proprio la storia economica che poneva in primo piano il ruolo
delle scelte umane avrebbe potuto rappresentare un'esperienza
di svolta, l'occasione di una nuova sintesi conoscitiva. È evidente
comunque che mai la storiografia ligure si è proposta un discor-
so storico a partire dalle comunità: a questo livello quello che ha
operato è stato un semplice interesse «patriottico». Mentre è sta-
ta proprio quella l'indicazione fondamentale della local histo-
ry 181 . L'assenza di questa prospettiva come suggerimento di
«metodo», depurata cioè dall'interesse partigiano delle «patrie
memorie», spiega il diverso orientamento della storiografia ligu-
re, e italiana. In effetti è difficile pensare un'esperienza di lavoro
sul campo, fuori da questa indicazione fondamentale, diciamo, di
sobrietà conoscitiva. Le opzioni retoriche rivelano così tutto il lo-
ro potenziale fuorviante.
Concludendo, mi pare ovvio rilevare che la «storia di una sto-
ria locale», il caso della storiografia ligure cioè, non può di per
sé provare che la mia diagnosi valga più in generale per la sto-
riografia italiana dell'Otto-Novecento, e cioè per le altre storio-
grafie regionali. E tuttavia l'ipotesi, qui esplicitamente formula-
ta, non mi pare per nulla infondata, quando si consideri la circo-
larità delle esperienze culturali prese in considerazione, a comin-

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Stona di una storia locale 191

ciare dalla statistique. Così come è facilm


rare lungo la penisola di massicce opzion
te all'antichità o a un'epoca aurea della c
vinto che altri studi regionali potranno
problema, rilevare magari diverse «occa
promettenti», ma non modificheranno u
trae lo spunto da una registrazione dell
mento comune degli storici italiani ogg
delle diversità italiane e inglesi è poi alt
mere sotto l'etichetta di «studi compar
storiografie nazionali», un campo che e
intervento.

Edoardo Grendi
Dipartimento di Stona Moderna e Contemporanea, Università di Genova

NOTE AL TESTO

1 Citato da W.G. Hoskins, Local History in England, London 19722, p. 22.


2 Si veda Ph. Levine, The Amateur and the Professional: Antiquarians, Historian
and Archaelogists in Victorian England, 1838-86, Cambridge 1986.
C. Violante (a cura di), La storia locale. Temi, fonti e metodi della ricerca, Bolo
gna 1982.
4 Questa come è noto pone le relazioni sociali (incluse ovviamente quelle eco
nomiche) come un elemento primario nella determinazione dei processi storici.
vedano le considerazioni di Ch. Phythian Adams, Rethinking English Local Histor
Leicester 1987.
5 Cosí Ph. Levine, op. cit. Per il caso francese W.R. Keyrol, Academy and Com-
munity. The Foundations of French Historical Profession, Harvard 1975.
6 È interessante osservare lo sviluppo parallelo negli anni sessanta e ottanta di
un movimento storiografico militante, d'ispirazione socialista e femminista, che ha
prodotto una vasta letteratura e una rivista ancora attiva {History Workshop). Que-
sto movimento ha soprattutto praticato la oral history e ha preso le mosse dal Rus-
kin College di Oxford, un simbolo storico dell'istruzione per gli adulti.
7 Si vedano M.V. Beresford, History on the Ground. Six Studies in Maps and
Landscapes, London 1957 e W.G. Hoskins, Fieldwork in Local History, London 1967.
8 Basta osservare le pubblicazioni esposte all'ingresso del Public Record Office.
Fra le guide più recenti, C. Lewis, Particular Places, London 1989 e K. Tiller, En-
glish Local History. An Introduction, Avon 1992.
9 II testo canonico è la Corografia della Liguria che A. Giustiniani ha pubblicato
in appendice ai suoi Castigatissimi Annali, Genova 1537. Si veda in proposito lo stu-
dio di M.P. Rota nel volume Galassi, Rota, Scrivano, Popolazione e insediamento in
Liguria, Firenze 1979 (che riproduce il testo).
10 W. Lepen ies, La fine della storia naturale, Bologna 1991.
Si veda J. Stagl, The Methodising of Travel in the 16th Century, in «History
and Anthropology», 4, 1990.
12 Si veda G. Marcenaro, Viaggiatori stranieri in Liguria, Genova 1987, nonché
Astengo- Duretto-Quaini, La scoperta della Riviera, Genova 1982.
13 P. Spadoni, Osservazioni odeporiche sulle montagne ligustiche, Bologna 1793.
Più in generale F. Rodolico, L'esplorazione naturale dell'Appennino, Firenze 1972.

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192 Edoardo Grendi

14 D. Viviani, Voyage dans les Apenni


Viviani e altri autori cfr. A. Issel, Natu
1913.

15 Questa è osservazione comune che può esser fatta ancora oggi sui lavori dei
botanici.
16 G. Gallesio, Traité du citrus, Paris 1811; G.M. Piccone, Saggi sull'economia
olearia, preceduti da un discorso preliminare sulla restituzione dell'agricoltura, Genova
1808.
17 G.M. Piccone, op. cit., I, XXVII.
18 G. Gallesio, Giornali d'agricoltura e di viaggi, Genova 1985. Introduzione di
M.C. Lamberti.
A. Bianchi, Osservazioni sul clima, sul territorio e sulle acque della Liguria ma-
rittima di un Coltivatore di Diano, Genova 1818.
20 Ibid., pp. 73-112.
21 Sull'argomento D. Moreno, Dal documento al terreno, Bologna 1990, cap. VI.
22 F. E. Fodéré, Statistique du Départment des Alpes Maritimes, Nice 1821. Sul
Fodere si veda L. Imbert, in «Nice Historique», 3, 1935.
23 Su Chabrol ci sono dei lavori, insufficienti, di F. Noberasco (Savona 1923) e
A. Bruno («Bollettino Società Storica Savonese», V, Savona 1902). È in corso un'e-
dizione italiana della Statistique.
24 G.M. Galanti, Descrizione storica e geografica della Repubblica di Genova e di
Lucca dell'isola di Corsica e del principato di Monaco, Torino 1795.
25 G. De Ambrosis, Memoria sulla statistica, letta alla radunanza dell'Istituto Li-
gure 15-8-1802, Genova 1802.
26 Grädberg de Hemso, Leçons élémentaires de cosmographie, de géographie et de
statistique, Genova 1813. L'opera più recente sulla «statistique» è quella di N.M.
Bourguet, Déchiffrer la France. La statistique départementale à l'epoque napoléonien-
ne, Paris 1988.
27 G. Chabrol De Volvic, Statistique du Départment de Montenotte, Paris 1824.
28 Ibid., II, cap. 5, Industrie, pp. 278-287.
29 Ibid., II, cap. 4, Agricoulture, pp. 149-164.
30 Ibid., II, cap. 2.
31 Ibid., I, pp. 346 e 351.
32 D. Bertolotti, Viaggio nella Liguria marittima, Torino 1834.
33 M. Cevasco, Statistique de la ville de Gênes, Genova 1838.
34 G.B. Canobbio, Topografia fisica della città e dei contorni di Genova, Genova
1838.

35 G. Casalis, Dizionario geografico- storico- statistico-commerciale degli Stati di


S.M. il Re di Sardegna, Torino 1833-56 (31 volumi).
36 Archivio Storico del Comune di Genova, cartelle Brignole Sale, Congresso
scienziati.
37 Descrizione di Genova e del Genovesato, Genova 1846. Il testo cui ci si riferi-
sce è G. Banchero, Genova e le due Riviere, Genova 1848.
38 E. Costa, Topografia medica, in Descrizione cit., vol. III.
39 Sul colèra a Genova si veda G. Dardano, Epidemie, contesto urbano e inter-
venti di risanamento a Genova, 1830-1880, in «Storia Urbana», I, 3, 1977.
40 F. Freschi, Storia documentata dell'epidemia di cholera-morbus a Genova nel
1854, Genova 1854. Sulla «scuola medica genovese» P. Berri, Prof. G.A. Garibaldi e
la medicina genovese del suo tempo, Savona 1941.
41 G. Canobbio, Gita per mare attorno al monte di Portofino, Genova 1838.
42 G.M. Piccone, Saggi sulla economia olearia cit., I, p. 139.
43 G. Serra, La storia dell'antica Liguria e di Genova, Genova 1834.

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Storia di una storia locale 193

44 C. Varese, Storia della Repubblica di Genova e del


zia 1840.
45 G.C. Di Negro, La storia di Genova scritta dal marchese G. Serra e da C. Vare-
se, Genova 1837.
46 L.T. Belgrano, Della vita e delle opere del m.se G. Serra, Genova 1859, p. 70.
47 Ibid., p. 91.
48 G. Canale, Di un metodo storico-geografico-archeologico da seguirsi nella trat-
tazione delle cose genovesi, lettura in casa C. Pallavicino 11-2-1846. Sui «precedenti»
della Società di Storia Patria E. Pandiani, Cinquant'anni della Società Ligure, in «So-
cietà ligure di Storia Patria», Atti (d'ora in poi A.S.L.S.P.), XLIII e sul «program-
ma», A.S.L.S.P., I.
49 La migliore guida dell'attività della Società nei «Resoconti» di L. T. Belgra-
no pubblicati in «Archivio Storico Italiano», IV, VI, IX, X, XI, XII, XV, XVII, XIX e
XXII e in A.S.L.S.P., III e XLIII.
50 A.S.L.S.P., IV (Resoconto Belgrano).
51 Ibid..
52 E. Pandiani, Op. cit..
53 C. Desimoni, in A.S.L.S.P., I, III e XXVIII.
54 Sul Desimoni G. Salvi, La vita e l'attività storiografica di C. Desimoni, tesi di
laurea, Facoltà di Lettere, Genova 1967-68.
55 L. T. Belgrano, Cartario genovese e illustrazione del Registro Arcivescovile, in
A.S.L.S.P., II.
56 C. Desimoni, Sulle marche d'Italia e sulle loro diramazioni in marchesati, in
A.S.L.S.P., XXVIII, ripreso da «Rivista Universale», 1869. Del resto Desimoni fu
acuto studioso delle élites, distinguendo quelle funzionariali da quelle patrimoniali.
57 C. Desimoni, Sul frammento di breve genovese scoperto a Nizza, A.S.L.S.P., I.
58 C. Desimoni, Lo studio della storia, Genova 1881 e cfr. anche Sulla tavola di
beonzo in val Polcevera, A.S.L.S.P., III.
59 L. Cibrario, Della economia politica del Medio-Evo, Torino 1841.
60 L. T. Belgrano, in A.S.L.S.P., IV.
61 Si veda M. A. Patrone, La problematica delle arti industriali nell'opera storio-
grafica e nell'impegno civile di L.T.B. , tesi di laurea, Facoltà di Lettere, Genova 1990-
91.
62 L. T. Belgrano, in «Archivio Storico Italiano», serie II, XI.
63 C. Desimoni, Annali storici della città di Gavi e delle sue famiglie, 972-1815,
Alessandria 1896.
64 F. Podestà, Il colle di Sant'Andrea in Genova, A.S.L.S.P., XXXVII, 1901.
65 Sulla chiesa di S. Andrea il Podestà scrive di esservi avvalso delle notizie
fornitegli dal Regio Ispettore Giovanni Campora.
66 F. Podestà, Escursioni archeologiche in vai Bisagno, Genova 1878.
67 Cfr. nota 41.
68 J. R. Green citato da Hoskins, op. cit., cfr. nota 1.
69 Si veda discorso commemorativo di N. Lamboglia, in «Rivista Ingauna Inte-
melia», XIX, 1/4.
70 G. Rossi, Storia della città di Ventimiglia, 1865.
71 G. Rossi, Gli Statuti medievali della Liguria, A.S.L.S.P., XIV (1878), e Glossario
medievale ligure, Torino 1896.
72 G. Rossi, Storia della città e diocesi di Albenga, Albenga 1870, p. 12.
73 G. Rossi, Storia della città di Sanremo, Sanremo 1867 e Storia del Marchesato
di Dolceacqua e dei comuni di vai Nervia, Bordighera 1903.
74 G. Rossi, Storia della città di Ventimiglia, 2a ed. 1886.

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194 Edoardo Grendi

75 G. Rossi osserva che la storia di Ven


di interesse militare.
76 Sull'Istituto Internazionale di Studi Liguri si veda il paragrafo 8.
77 Sull'esperienza dei «giornali storici» G. Pistarino, Propettive storiografiche
dal Giornale Ligustico al Giornale storico della Lunigiana, in «Miscellanea in onore di
R. Moscati», 1984.
78 G. Sforza, Storia di Pontremoli dalle origini al 1500, Firenze 1904.
79 G. Sforza, La distruzione di Luni nella leggenda e nella storia, in «Miscellanea
storica italiana», 3a serie, XIX (1922).
Su A. Neri F. L. Mannucci, in «Giornale storico e letterario della Liguria»
(d'ora in poi G.S.L.L.), 1925. Sul Mazzini U. Formentini, in «Archivio Storico Pro-
vince Parmensi», XXIV.
81 U. Mazzini, Per i confini della Lunigiana, in «Giornale storico della Lunigia-
na», I (1909), e Monumenti celtici in vai di Magra, in G.S.L.L., 1908.
82 L. Persoglio, Memorie della parrocchia di Murta in Polcevera dal 1105 al 1873,
Genova 1873 (recente ristampa anastatica).
83 A. e M. Remondini, Parrocchie dell' archidiocesi di Genova. Notizie storico-ec-
clesiastiche, Genova 1882 (15 volumi).
84 D. Cambiaso, Memorie storiche di Comago in Polcevera, Genova 1900.
85 Società Savonese di Storia Patria, Atti 1888 (l'assemblea costitutiva del di-
cembre 1885). La Società non ebbe vita fiorente e fu ripresa con regolarità solo nel
1918.

86 A. Ferretto, / primordi del cristianesimo in Liguria e in particolare a Genova,


in A.S.L.S.P., XXXIX.
87 E.G. Parodi, La glottologia e le sue relazioni con le altre scienze, rist. in E. Pa-
rodi, Lingua e letteratura, Venezia 1957 (bibliografia scritti in E.G.P.).
88 C. Bicknell, A Guide to the Pre-historic Rock Engravings in the Italian Mariti-
me Alps, Bordighera 1913. Sul C.A.I. , Ricordo della Sezione Ligure, Genova 1883.
89 A. Issel, Liguria pre-istorica, A.S.L.S.P., XL. Su Issel cfr. G. Rovereto, in «At-
ti Società Ligustica Scienze e Lettere», III (1924), 3.
90 Ibid., p. 266.
91 Ibid., p. 33. Issel non parla di epoche ma di facies, un termine che sarà ripre-
so da N. Lamboglia.
92 A. Issel, Fra le nebbie del passato. C accie, battaglie e amori degli antichi liguri,
Bologna 1920. La citazione da A. Issel, In Vacanza. Gite e studi, Roma s.d. [1902].
93 A. Issel, Memoriale per gli alpinisti in Liguria, Genova 1891, rist. in appendi-
ce, G. Delle Piane, Guida per escursioni negli Appennini e nelle Alpi liguri, 2a ed.
1896.
94 E. Celesia, Dell'antichissimo idioma dei Liguri, Genova 1863; Escursioni alpi-
ne : I. I Laghi delle meraviglie ; II. Fontanalba, Roma 1886; Le Teogonie dell'antica Li-
guria, Genova 1860.
95 G. Poggi, Le due riviere nell'epoca romana. Gite storiche, Sezione Ligure Club
Alpino, Genova 1901.
96 G. Poggi, La Tigullia: origini storiche di Chiavari, Lavagna, Sestri Levante, Ra-
pallo . . ., Genova 1902.
97 Genoati e Viturii, in A.S.L.S.P., XXX (1900).
98 E.G. Parodi, recens, in G.S.L.L., I (1900).
99 A. Schiaffini, I liguri antichi e la loro lingua secondo le indagini più recenti, in
G.S.L.L., 1926.
100 Ibid., pp. 110-111.
101 B. Ascoli cit. da E.G. Parodi, Dante e il dialetto genovese, in op. cit., II.
102 Così G. Poggi: «... essa è formata di episodi più o meno interessanti scon-

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Storia di una storia locale 195

nessi fra loro bisogna riannodare gli sparsi elementi,


linee l'evoluzione che ha subito il paese nell'ordine s
sione dei tempi, le relazioni dei paesi fra loro, le r
quali presero sovente leggi, commercio e costume. Un
a questo modo non avrà solo un interesse locale, ma d
ria generale del popolo ligure», in A.S.L.S.P., XXX, p. 3
103 B. Croce, Teoria e storia della storiografìa , Milano
104 Si veda il programma della Società, A.S.L.S.P.
105 E. Sieveking, Studio sulle finanze genovesi nel M
Casa di San Giorgio , A.S.L.S.P., XXXV, p. II, XI.
106 Ibid., parte I, XV.
107 Ibid., II, cap. III.
108 Si veda L.T. Belgrano, Resoconto 1863-67, A.S
109 E. Bensa, Introduzione alla storia dell'antica legi
1885.
1,0 E. Bensa, Il contratto di assicurazione nel Medio-Evo. Studi e ricerche, Geno-
va 1937.
111 E. Bensa, Francesco di Marco da Prato. Notizie e documenti sulla mercatura
italiana del sec. XIV, Milano 1928.
112 A. Lattes, Il diritto mercantile privato nelle carte liguri dei secoli XII e XIII,
Genova 1939.
113 La Società Ligure di Storia Patria dal 1917 al 1928, A.S.L.S.P., LVII.
114 F. Poggi, Le guerre civili di Genova in relazione con un documento economico-
finanziario, A.S.L.S.P., LIV, III.
115 La Società Ligure di Storia patria dal 1917 al 1929, A.S.L.S.P., LVII.
116 O. Pastine, in A.S.L.S.P. LXXIII e LXVII; V. Vitale, in A.S.L.S.P., LXIII e,
dello stesso, La diplomazia genovese, Milano 1941.
1,7 E. Pandiani, La vita privata genovese nel Rinascimento, A.S.L.S.P., XLVII,
1915.
118 V. Vitale, La vita a Trani alla metà del 500. Saggio di uno studio sulle schede
notarili, in «Rassegna Pugliese», XXVII, 1912.
119 V. Vitale, Vita e commercio nei notai genovesi, in A.S.L.S.P., LXXII (1949).
120 E. Pandiani, Un anno di storia genovese con diario e documenti inediti,
A.S.L.S.P., XXXVII.
121 Cfr. A.S.L.S.P., LXXI: una devota bibliografia a cura di T.O. De Negri in
A.S.L.S.P. LXXIV con testimonianza di R.S. Lopez.
122 V. Vitale, Il Comune del Podestà a Genova, Milano-Napoli 1933.
123 V. Vitale, in «Miscellanea di studi in on. di P.C. Falletti», Modena 1912.
124 V. Vitale, O. Scassi e la società genovese del suo tempo, A.S.L.S.P., LIX.
125 V. Vitale, Economia e commercio a Genova nei secoli XII e XIII, in «Rivista
Storica Italiana», 1937.
126 A.E. Sayous, Les travaux des Américaines sur le commerce de Gênes aux XII et
XIII siècles, G.S.L.L., 1937, pp. 81-89.
127 M. Moresco, nota a R. Reynolds, Gli studi americani sulla storia genovese,
G.S.L.L., 1938.
128 R.S. Lopez, Genova marinara nel Duecento. B. Zaccarica ammiraglio e mer-
cante, Milano 1933.
R.S. Lopez, Aux origines du capitalisme génois, in «Annales», IX (1937), rist.
in C. Cipolla, Storia dell'economia italiana, I, Torino 1959.
0 R.S. Lopez, L'attività economica di Genova nel marzo 1253, A.S.L.S.P., LXIV.
131 R.S. Lopez, Studi sull'economia genovese del Medio Evo, Torino 1936.
132 R.S. Lopez, L'attività economica, cit. pp. 168-169.

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196 Edoardo Grendi

133 Si veda M. Berengo, Intervista sulla


134 Si veda in G.S.L.L., 1933.
135 «Archivio per la etnografia e la psi
136 «Archivio» cit., serie II, 1, 1925: ci
ternazionale di Antropologia, Liegi 1921
la base fondamentale dell'etnologia, psico
137 A. Issel (a cura di), Istruzioni scienti
138 G . Podenzana, Cenni storici sul Mu
La Spezia 1931.
139 Si veda S. Puccini in P. Clemente e
di storia, Bari 1985.
140 M. Giuliani, Gli usi funebri della vai
Si veda S. Puccini, Dall'Africa selvaggi
mo», IX (1985).
142 Su Giuliani G. Benelli, L'antropologia culturale nell'opera di M.G., in «Studi
lunigianesi», VIII-IX (1978-79), nonché i contributi apparsi in «Studi lunigianesi»,
VIII-IX (1978-79), e XII-XIII.
143 «La Giovane Montagna. Rivista mensile di studi e di interessi montanari»,
Parma, XXIX, 12, 1928, cit. da G. Benelli, op. cit., pp. 47 e ss.
144 I riferimenti a M. Bartoli-G. Bertoni, Breviario di neo-linguistica, Modena
1925, e G. Vidossi, Linguistica ed etnologia, Torino 1939.
145 G . Benelli, op. cit.
146 M. Giuliani, Per la denominazione dei porta-lumi nell' appennino emiliano-lu-
nigianese, in «Quaderni Giovane Montagna», 37, Parma 1939.
147 M. Giuliani, Luni e la leggenda di Apua nei cronisti pontremolesi , in «Archivio
Storico delle Province Parmensi», XXXII.
148 Ibid., p. 207. Si veda altresì l'ottimo studio sullo sviluppo urbanistico di
Pontremoli in «Giornale storico della Lunigiana», n. 5-XII (1961).
149 U. Formentini, Istituti, popolazione e classi della Spezia medievale e moderna,
1925; bibliografia di U.F. in «Giornale storico della Lunigiana», 1961. Sul Formenti-
ni T.O. De Negri in GSLL, XVIII (1942); N. Lamboglia, in «Giornale storico della
Lunigiana», 1959 e G. Pistarino in Pagine sul Medio-Evo in Genova e in Liguria, Ge-
nova 1983.

150 Per i tipi gobettiani U.F. pubblicò Collaborazionismo (Torino 1922) e Gerar-
chie sindacali, Torino 1923.
151 U. Formentini, La pieve di Venelia e il borgo di Liciana, in «Giornale storico
della Lunigiana», 1958 (postumo).
152 Conciliaboli, pievi e corti nella Liguria di Levante. Saggio sulle istituzioni liguri
nell'antichità e nel Medio-Evo, in «Atti Accademia Capellini», La Spezia 1926; si ve-
da anche Studi Veleiati e Bobbiesi, in «Atti Accademia Capellini», 1936.
153 Ibid.
154 Una conferma nel 1950 viene dallo studio Monte Sagro: saggio sulle istituzio-
ni demoterritoriali delle Apuane, «Primo Congresso Internazionale Studi Liguri», Bor-
dighera 1952.
155 U. Formentini, Nuove ricerche intorno alla Marca della Liguria orientale, in
G.S.L.L. 1, 1925, e poi molti articoli: in A.S.L.S.P., LIII e soprattutto in «Archivio
Storico delle Province Parmensi».
156 U. Formentini, Genova nel basso Impero e nell'alto Medio-Evo, in Storia di
Genova, II, Milano 1941, cap. I.
157 Ibid., cap. IX.
158 U. Formentini, Il Comune di Genova, in «Bollettino Municipale» VI, 2, 1926.

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Stona di una stona locale 197

159 La Società Savonese di Storia Patria riprende r


dal 1918.
160 Su N. Lamboglia si veda G. Pistarino, in Atti Congresso I Liguri dall'Amo
all'Ebro, in «Rivista di Studi Liguri», LI (1985).
161 T.O. De Negri, in «Giornale storico della Lunigiana», 1973-74, «Bollettino
Ligustico e G.S.L.L.», 1942.
162 Informazioni fornitemi dall'avv. Cosimo Costa che ringrazio.
163 Notizia della re-intitolazione in «Rivista Ingauna Intemelia», VII, 1941.
164 «Rivista Ingauna Intemelia», III, 3/4.
165 Convegno per la mostra delle incisioni rupestri al Museo Bicknell, in «Rivista
Ingauna Intemelia», V (1939); nello stesso fascicolo la poco nobile citazione.
Scavi di Cemenelum durante i 10 mesi dell'occupazione. In seguito Lambo-
glia scrisse che quel periodo aveva contribuito a internazionalizzare gli studi liguri.
167 «Rivista di Studi Liguri», XIII, 1/2, nuovo statuto.
168 «Rivista di Studi Liguri», XV, 1, e XXII, 1, 1956.
169 «Rivista di Studi Liguri», XIII, 1947 e XVI, 4, 1950; XXII, 1, 1956.
170 «Rivista di Studi Liguri», XXI (1955).
171 N. Lamboglia, Topografia dell'Ingaunia nell'antichità, Albenga 1933.
172 Ibid., p. 80.
173 N. Lamboglia, Toponomastica dei comuni di Alassio e Laigueglia, 1938.
174 Recensione di U. Formentini in «Rivista di Studi Liguri», VIII, 1 (1942).
175 N. Lamboglia, Liguria romana. Studi storico-topografici, 1939 e La Liguria
antica, in Storia di Genova, vol. 1, Milano 1941.
176 Lamboglia è precipitato in mare nel porto di Genova nel 1977.
177 In «Rivista Ingauna Intemelia», III, 3/4 (1937). Si veda anche la discussione
del libro di Lugli sulla tecnica edilizia romana in «Rivista di Studi Liguri», XXIV,
1/2 (1958).
178 Sulla necropoli chiavarese, «Rivista di Studi Liguri», XXVI, 1/4, XXX e
XXXII.

179 Non pare che Lamboglia fosse aggiornato sulle nuove problematiche ar-
cheologiche.
180 Qualche eccezione recente G. Petti Balbi, Simon Boccanegra e la Genova del
'300, Genova 1991.
181 Cito da W.G. Hoskins, English Local History: The Past and the Future, Lei-
chester 1966: «The local historian's basic tool is the microscope. More and more
historians working on a larger canvas have come to realise that for many important
questions in their own field the answers will have to be sought in microscopic stu-
dies of particular regions and particular places before we know how historical
change actually take place» (p. 10). E più sotto: «I had considered whether one
might call it Micro-History following well known precedents for setting up new
branches of knowledge, but I have a temperamental allergy to such inventions» (p.
21).

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