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L A B O R A T O R I O

Musica di chi? A proposito di storia e popular music


Marco Santoro

Se vero che i rapporti tra musica e storia sono tradizionalmente difficoltosi, ci ancor pi vero quando questultima scelga come suo fuoco non quella creazione musicale alta che costituisce il ramo nobile e legittimo di questa forma espressiva, ma precisamente quella sua dimensione pi popolare1, come tale culturalmente meno legittimata, che peraltro ci che fa della musica un oggetto decisamente prezioso non solo per lo storico sociale ma anche e soprattutto per lo storico contemporaneo. Perch se pure vero che tutta la musica, in quanto arte performativa implicata in una grande variet di contesti collettivi, la pi sociale delle arti2 poi questa musica pi popolare ad avere normal-

mente costituito lambiente sonoro della vita quotidiana degli uomini e delle donne del Novecento, ad aver funzionato come risorsa simbolica per la loro mobilitazione politica in gruppi e categorie, ad avere attirato e messo in circolazione capitali economici anche ingenti dentro e tra le nazioni, ad aver alimentato limmaginazione sociale di generazioni intere, fornendo un repertorio, certo mutevole ma anche normalmente significativo, di pratiche, simboli e narrative che sono parte integrante della nostra storia recente3. Lattenzione della storiografia per questo tema stata purtroppo a lungo pressoch inesistente ed ancora oggi sporadica, occasionale, insufficiente4. In fondo, non un

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1 Traggo entrambe le citazioni dalla discussione che ha svolto su queste stesse pagine Carlotta Sorba (Musica e nazione: alcuni percorsi di ricerca, Storia contemporanea, 2003, n. 2, p. 394), e dedicata appunto, volutamente, al primo dei due rami. 2 Cos W. Weber, Music and Dance, in P.N. Stearns (a cura di), Encyclopedia of European Social History. From 1350 to 2000, Detroit, Scribners Sons, 2001, vol. 5, p. 141. 3 Vedi in particolare, su questi temi, G. Lipsitz, Time Passages. Collective Memory and American Popular Culture, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1990; T. DeNora, Music in Everyday Life, Cambridge, Cambridge University Press, 2000; R.S. Denisoff, Tarnished Gold. The Record Industry Revisited, New Brunwick, Transaction, 1997; R. Eyerman e A. Jamison, Music and Social Mevements, Cambridge, Cambridge University Press, 1998; P. Willis, Profane Culture, London, Routledge 1978; D. Hebdige, Subcultura, Genova, Costa & Nolan, 1983 [London, 1979]. 4 Compresa, bene precisare, la storiografia nella sua declinazione sociale: vedi quanto scrive ad esempio D. Russell, The Social History of Popular Music: a Label Without a Cause?, Popular Music, 12, 1993, n. 2, pp. 139-154. Peraltro, come vedremo non mancano alcune significative, talvolta vistose, eccezioni, tra cui lo stesso Russell (Popular Music in England, 1840-1914. A Social History, Manchester, Manchester University Press 1987).

Contemporanea / a. VII, n. 4, ottobre 2004

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mistero che la storia della musica stata condizionata dagli interessi prevalsi nella musicologia sin dal diciannovesimo secolo5: come dire, dallesigenza di identificare, verificare, classificare e catalogare le fonti per le opere che hanno costituito il canone della musica colta occidentale quella, come diceva polemicamente Adorno, che chiamiamo classica per poterlesi sottrarre pi facilmente. Attratta semmai dal polo litario e legittimo della produzione e del consumo musicale, la storiografia anche quella contemporanea ha cos dedicato ben pochi contributi allaltra grande sfera, nonostante gli stimoli che verso questa direzione poteva provenire da una figura di riferimento della storiografia sociale e progressista come Eric J. Hobsbawm, che alla vicenda del jazz dalle sue origini sino agli anni Sessanta ha dedicato un intero, pionieristico, studio peraltro da lui pubblicato originariamente (e significativamente) sotto pseudonimo6. Ma lattenzione, come dimostra del resto anche questo articolo, finalmente sembra esserci. Presumibilmente, al di l di alcuni loro limiti, anche libri recenti usciti nel no-

stro paese e pubblicati da editori prestigiosi hanno avuto il merito di sollevare il problema, di destare linteresse, di incrinare pregiudizi diffusi7. Tanto pi che questa piccola produzione nostrana poi solo un tassello, e periferico (ma in realt, sembra, non del tutto consapevole), di uno specifico movimento di ricerca ormai pi che ventennale, di natura interdisciplinare, a cui storici di varia nazionalit hanno dato il loro contributo insieme peraltro a studiosi e specialisti di altri settori di ricerca8. Non solo per lappartenenza disciplinare di chi scrive, dunque, che andremo spesso a parare su letterature ancora troppo poco frequentate dallo storico, e in particolare da quello contemporaneo, come la sociologia, la musicologia o gli stessi cultural studies, a oggi probabilmente le aree disciplinari (o transdisciplinari) che pi hanno coltivato questo interesse di ricerca, spesso supplendo alla mancanza di ricerche storiografiche con proprie incursioni, talvolta anche brillanti, nei territori della storia. Al di l di questo, il corpus di dati e conoscenze accumulati in decenni di studi e ricerche, soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, co-

5 T. Herbert, Social History and Music History, in M. Clayton, T. Herbert, R. Middleton (a cura di), The Cultural Study of Music, New York, Routledge, 2002, p. 149. 6 E.J. Hobsbawm (Francis Newton), Il mondo del jazz, Roma, Editori Riuniti, 1963 [London, 1959], nuova edizione con il titolo Storia sociale del jazz, Roma, Editori Riuniti, 1982. 7 Il riferimento ai libri, encomiabili nei loro intenti ma a mio parere carenti proprio dal punto di vista metodologico, di S. Pivato, La storia leggera. Luso pubblico della storia nella canzone italiana, Bologna, Il Mulino, 2002; e di M. Peroni, Il nostro concerto. La storia contemporanea tra musica leggera e canzone popolare, Milano, La Nuova Italia, 2001, che pure ha il suo fuoco in unesigenza di elaborazione metodologica. 8 Il campo dei cosiddetti Popular Music Studies conta ormai non solo insegnamenti ufficiali in molti paesi (Italia compresa), ma anche riviste, manuali, repertori, e un canone di autori e testi consolidato oltre a unassociazione internazionale (Iaspm) con sedi in decine di paesi, tra cui lItalia: vedi per un primo, autorevole approccio, F. Fabbri, Canzoni e falsa coscienza. Perch occuparsi di popular music, il Mulino, 2002, n. 5, pp. 943-951, e. per una recente messa a punto a livello internazionale D. Hesmondhalgh e K. Negus (a cura di), Popular Music Studies, London, Arnold, 2002.

munque ingente, e si presenta oggi allo storico contemporaneo come una potenziale riserva di fonti utili anche per illuminare aspetti del fenomeno riferiti al passato, oltre che sotto il profilo metodologico. Basti dire, per fare solo un esempio, che i primi studi sociologici sui testi delle canzoni risalgono agli anni Quaranta, proprio agli inizi delle ricerche sui mezzi di comunicazione di massa, di cui avrebbero seguito levoluzione sino agli attuali sviluppi di impostazione semiotica e post-strutturalista9. Di questa letteratura, dei suoi risultati, dei suoi insegnamenti (in positivo o in negativo), non c traccia peraltro nella recente storiografia italiana sulla canzone popolare, che paradossalmente (e certo involontariamente) finisce col ripetere, con questa disattenzione per la scholarship accumulata, proprio quel pregiudizio intellettuale e accademico contro il loro oggetto che vorrebbero abbattere. Sia per subito chiaro. Quello che cercher qui di tracciare non una rassegna, o

anche solo un bilancio, per cui non ci sarebbe spazio n avrei forse competenza, ma un percorso di lettura necessariamente breve e selettivo, attraverso letterature disparate e spesso tra loro non comunicanti, su un fenomeno trasversale, evanescente, controverso, trascurato, sfuggente eppure cos centrale non solo come si detto per la vita quotidiana di milioni di persone nella societ contemporanea, ma anche per il funzionamento di segmenti significativi della vita economica, politica e naturalmente culturale di quella stessa societ10: appunto, la musica nella sua dimensione pi popolare, o per meglio dire, la popular music.

Che cos la popular music?


Una prospettiva storica
Cosa si intenda con questa espressione, non a caso lasciata anche qui, sin dal titolo, nella sua lingua originaria secondo un uso ormai consolidato anche nella letteratura italiana specializzata11, non proprio facile dire, a

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9 Vedi ad esempio J.G. Peatman, Radio and Popular Music, in P.F. Lazarsfeld e F. Stanton (a cura di), Radio Research, New York, Duell, Sloan and Pearce, 1943; D. Horton, The Dialogue of Courtship in Popular Song, American Journal of Sociology, 62, 1957; J.T. Carey, Changing Courtship Patterns in the Popular Song, American Joural of Sociology, 74, 1969; D. Laing, Il Punk, Torino, Edt, 1991, [Milton Keynes, 1985]; B.L. Cooper, A Resource Guide to Themes in Contemporary American Song Lyrics, London, Greenwood, 1986; M. McLaurin e R. Peterson (a cura di), You Wrote My Life: Lyrical Themes in Country Music, Philadelphia, Gordon and Breach, 1992. Per una critica a questa tradizione di ricerca vedi S. Frith, Il rock finito, Torino, Edt, 1990 [Oxford, 1988]. 10 Come ha scritto Dave Russell, abbiamo bisogno di studiare la storia della popular music sia come genere estetico culturale, sia come attivit sociale per la semplice ragione che essa ha svolto un ruolo centrale nella vita della gente (The Social History of Popular Music, cit., p. 152). Per considerazioni e qualche dato sullimpatto sociale della musica (soprattutto ma non solo popular) riferito alla situazione italiana attuale ma facilmente estensibile anche ai decenni passati rimando al mio La musica, la sociologia e 40 milioni di italiani, Il Mulino, 2, 2002, n. 5, pp. 952-961. 11 Vedi ad esempio R. Middleton, Studiare la popular music, Milano, Feltrinelli, 1994 [Buckingham, 1990], e M. Favaro e L. Pestalozza, Storia della musica, Milano, Warner 1996 (testo specificamente rivolto agli studenti di conservatorio). Come ha scritto uno dei massimi esponenti delle ricerche etnomusicologiche nel nostro paese, Roberto Leydi, effettivamente nella nostra lingua laggettivo popolare ambivalente e pu indicare sia quanto folklorico, sia quanto, avendo diffusione di massa, appunto popolare [] In inglese lesistenza di due parole distinte, folk e popular, evita questi rischi di confusione. Peraltro, come

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testimonianza della sua intrinseca e irriducibile storicit, che significa appartenenza a una congiuntura temporale ma anche a una esperienza locale (seppure capace di influenza a livello globale). Alludo, naturalmente, allesperienza anglo-americana, che come vedremo, pur essendo probabilmente quella maggiormente studiata, non per certo lunica storicamente (e culturalmente) significativa. Limpossibilit di darne una traduzione italiana soddisfacente (musica popolare) rivelatrice sia della storicit delle categorie sia dello scarto che comunque separa, nonostante egemonie e imperialismi, la nostra storia culturale da quella americana e anche inglese. E tuttavia, la circolazione internazionale delle idee e dei concetti oltre che delle musiche tale da rendere oggi impossibile quanto meno non sollevare il problema: come etichettiamo la musica dei Beatles o di Adriano Celentano, e come la distinguiamo da quella di Mozart e di un coro alpino? La soluzione a lungo invalsa in Italia12 si tratta di musica leggera bench significativa di una certa tradizione culturale e linguistica (che andrebbe indagata), non parsa pi da tempo soddisfacente,

per lo scoperto pregiudizio negativo che essa veicola, e che lespressione anglofona popular music parrebbe, o comunque vorrebbe, neutralizzare o almeno ridurre, se non altro perch con questa etichetta si identifica ormai pacificamente loggetto specifico di un filone di studi riconosciuto e consolidato in campo accademico con tanto di cattedre, manuali e riviste: appunto i popular music studies, di cui anche in Italia vi sono ormai segni indubitabili di presenza. Si tratta peraltro di un campo non solo interdisciplinare (e come tale strutturalmente instabile), ma anche sostanzialmente sempre aperto e in divenire, come aperto e in divenire il campo della popular music, categoria i cui significati sono stratificati storicamente e radicati socialmente e come tali non solo sono mutevoli ma non sono mai neppure neutrali. Del resto, sono fin troppo noti i problemi di identificazione del popolare perch li si debba qui ricordare pi che con brevi cenni. Per tutto lOttocento, per molti, come noto, il popolo coincideva con la nazione e includeva quindi tutti i suoi membri; ma per altri la parola si riferiva solo al mondo contadino, escludendo quindi persino le classi ope-

ricorda lo stesso Leydi, sia in Italia che in area anglosassone il disordinato consumo che si fatta della parola folk ha indotto gli specialisti del suo studio, gli etnomusicologi, a ridenominare etnica o tradizionale quella che un tempo si chiamava musica folk o da noi popolare: cfr. R. Leydi, Laltra musica, Firenze, Giunti, 1991, p. 299. Per una ricostruzione della ricerca su questa canzone popolare nel nostro paese, dallangolo visuale dellesperienza importante del Nuovo Canzoniere Italiano, e da parte di uno dei suoi protagonisti, rimando a C. Bermani, Una storia cantata, Milano, Jaca Book, 1997. 12 Come riconosce G. Sibilla, I linguaggi della musica pop, Milano, Bompiani, 2003, p. 21, laggettivo leggera denota un campo in modo molto impreciso e ideologico (ovvero parziale), spesso implicando, di fatto, che la musica compresa in questi recinti non sia rilevante n artisticamente n intellettualmente. Una definizione di questo genere adatta al linguaggio quotidiano: interessante soprattutto per i pregiudizi che porta con s. Diventa insufficiente quando si voglia capire come funzione loggetto definito. E tuttavia lespressione ancora in uso nella storiografia, compresa quella che vorrebbe riabilitare lo studio delle canzoni nel discorso della storia: cfr. ancora Peroni, Il nostro concerto. La storia contemporanea tra musica leggera e canzone popolare, cit.

raie. Se da un punto di vista economico popolare evoca povero, in termini politici (e gramsciani) si parla di classi popolari per intendere quelle dominate o subalterne. Ancora pi ampio lo spettro dei significati quando ci si focalizzi sugli aspetti culturali soluzioni che possono tutte riscontrarsi negli studi sulla popular culture e che Raymond Williams ha autorevolmente enumerato: apprezzato da molta gente, tipo inferiore di opera, opera deliberatamente prodotta per conquistare il favore della gente, cultura prodotta dalla gente a proprio uso13. Tutti questi significati risuonano evidentemente nella formula popular music, sebbene alcuni di essi abbiano acquisito pi rilevanza almeno nella letteratura. Secondo Richard Middleton, autore di un testo a distanza di quindici anni ancora di riferimento nel campo dei popular music studies che ha contribuito a fondare, posto che possibile identificare, storicamente, almeno quattro categorie di definizioni di musica popular, tutte in qualche modo insufficienti o insoddisfacenti14, sarebbero due oggi le caratterizzazioni pi diffuse nel discorso quotidiano e nel mondo accademico. Il primo, definibile positivista, si concentra sul senso quantitativo di popolare, e suggerisce di considerare come tali quelle musiche che sono effettivamente pi diffuse dai mass media. Il secondo, che Middleton chiama essenzialismo sociologico, fa in-

vece affidamento sulla possibilit di identificare una qualche essenza, come tale costante, in un qualche gruppo sociale (cos identificato come il popolo), anche se variano poi gli attributi che si concedono a questa essenza (soggetto storico attivo o manipolato, creato dal basso o stabilito dallalto ecc.). Nel primo caso, pi che misurare la popolarit si misurano per le vendite e si tende alla reificazione, escludendo per definizione dal suo quadro di riferimento il problema del significato stesso di popular music e le connotazioni ideologiche che lo accompagnano. Nel secondo, si tende invece ad assolutizzare (essenzializzare) qualcosa che invece profondamente storico, e come tale mutevole a seconda dei luoghi, dei tempi e anche dei punti di vista. Da qui la conclusione dellautore: la popular music (o quantaltro) pu essere inquadrata opportunamente soltanto come fenomeno mutevole allinterno dellintero campo musicale; e questo campo, insieme ai suoi rapporti interni, non mai immobile sempre in movimento15. Ma quando si sarebbe costituito questo campo? Sempre secondo Middleton, che scrive in unottica gramsciana, possibile individuare in una prospettiva storica di lunga durata tre momenti di cambiamento. Il primo quello della rivoluzione borghese, segnato dalla diffusione del sistema mercato in tutte, o quasi, le attivit musicali.

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Vedi R. Williams, Keywords. A Vocabulary of Culture and Society, London, Fontana Press, 1983, p. 237. E cio: 1) definizioni normative (la popular music come tipo di musica inferiore); 2) definizioni negative ( musica che non sia qualche altro tipo di musica (generalmente, colta o folk); 3) definizioni sociologiche (la popular music prodotta da e per un certo gruppo sociale); 4) definizioni tecnologiche-economiche ( quella diffusa dai messa media o da un mercato di massa). Cfr. Middleton, Studiare la popular music, cit., pp. 20-21. 15 Ivi, p. 24.

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quello che la storia tradizionale della musica identifica come passaggio dal periodo classico a quello romantico, nascondendo peraltro dietro la facciata dei grandi musicisti (da Mozart a Beethoven) la trama dei rapporti sociali in cambiamento in cui il loro genio si espresso, non senza profonde conseguenze sulla loro stessa persona oltre che produzione artistica16. Durante la prima met del XIX secolo si sviluppano nuovi tipi di canzone (sia teatrale che domestica) e di danza, sia borghesi che di classe operaia, si organizzano societ corali e bande, in quello che pu considerarsi un vero e proprio movimento sociale che investe tutte le societ europee17. Soprattutto, sorgono nuove istituzioni, come case editrici musicali, teatri, agenzie di impresariato, concerti a pagamento, e music hall, con una crescente differenziazione sociale dei rispettivi pubblici. Questi cambiamenti istituzionali sono stati accompagnati da notevoli trasformazioni sul piano simbolico e culturale, che hanno ridisegnato la mappa concettuale con cui si guarda, e si vive, la musica. Stando alle am-

pie e numerose ricerche di William Weber sulla cultura musicale europea,


entro il 1870 si pu comunque dire che le categorie moderne di musica popular e classica sono ormai costituite. La popular music era qualunque musica la gente dicesse che non cera bisogno di conoscere troppo per poterne godere; la musica classica era qualunque musica la gente dicesse cera bisogno di una seria acquisizione di gusto per apprezzare. Solo lopera era ancora considerata alla vecchia maniera, come musica sulla quale non cera bisogno di sapere molto, ma che era buona cosa se lo si sapeva18.

Alla fine del secolo, era ormai difficile che un compositore potesse scrivere per entrambi i mondi una separazione che avrebbe colpito soprattutto le donne, un tempo attivamente presenti nel mercato della musica stampata per lesecuzione domestica19. Tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX, come ha superbamente documentato oltre allo stesso Weber anche Lawrence W. Levine20 specificamente esaminando il caso

16 Da un punto di vista sociologico, questa trama viceversa resa visibile, oltre che da alcune pagine ormai classiche di Adorno, da libri come quelli di N. Elias, Mozart. Sociologia di un genio, Bologna, Il Mulino, 1992, rimasto purtroppo incompiuto per la morte dellautore; e T. DeNora, Beethoven and the Construction of Genius. Musical Politics in Vienna, 1792-1803, Berkeley, Universty of California Press, 1995, sui quali ha opportunamente attirato lattenzione Carlotta Sorba nellarticolo gi citato. Ma vedi anche, della stessa DeNora, e con un fuoco sui cambiamenti nei rapporti tra i sessi, Corpo e genere al piano. Repertorio, tecnologia e comportamento nella Vienna di Beethoven, Rassegna italiana di sociologia, 2000, n. 2, pp. 165-188. 17 Sul caso inglese lo studio pi documentato su queste dinamiche resta quello di D. Russell, Popular Music in England, cit. Vale la pena segnalare che limportanza delle societ corali nella societ (e nella politica) tedesca dei primi del Novecento venne riconosciuta da Max Weber, che lo propose come tema di ricerca alla Societ tedesca di sociologia, peraltro senza successo. Vedi M. Weber, Max Weber. Una biografia, Bologna, Il Mulino, 1995, pp. 499-500. 18 W. Weber, Mass Culture and the Reshaping of European Musical Taste, 1770-1870, International Review of the Aesthetics and the Sociology of Music, VIII, 1977, n. 1, p. 20. 19 W. Weber, Music and Dance, cit., p. 147. 20 Il primo lavorando sullEuropa e in particolare sullInghilterra di fine Settecento, ha mostrato come si sia costituito per la prima volta un canone musicale composto da un repertorio di opere e compositori ricor-

americano, una nuova gerarchia estetica e culturale era ormai definitivamente emersa e si stava istituzionalizzando, costruita su una dicotomia quella tra musica seria e musica leggera (light) che non esisteva nel diciottesimo secolo. dunque nellOttocento, nel lungo Ottocento, che viene a costituirsi poco a poco, in Europa (a quanto pare partendo dallInghilterra)21 quella distinzione tra colto e popolare che avrebbe a lungo (ancora oggi) strutturato in tutto il mondo occidentale22, pratiche e discorsi sulla musica (come su altre forme espressive). Ci che pi sembra interessante, a costituirsi non sarebbe stata solo la categoria

di popular music in quanto tale, ma il sistema costituito dalla sua opposizione a unaltra musica e in realt a unaltra cultura che si progressivamente autonomizzata e soprattutto innalzata grazie al reciproco sostegno di intellettuali e ceti alto-borghesi 23. La nascita della popular music come categoria storica dunque coincisa anche con la costituzione di nuovi confini sociali e simbolici, la creazione e il mantenimento di nuove forme di distinzione, sostenute e rafforzate da luoghi, spazi, istituzioni, discipline (dalle societ del quartetto allorchestra sinfonica alla stessa musicologia, che nasce in quel torno di tempo)24.

renti, che venivano eseguiti anche a distanza dalla morte. Il secondo mettendo a fuoco il processo di costituzione delle gerarchie culturali (nei termini della triade Highbrow, Middlebrow e Lowbrow) negli Stati Uniti tra la fine dellOttocento e i primi due decenni del Novecento proprio a ridosso dellarrivo di Adorno con particolare riguardo alla vicenda dei drammi shakesperiani e, ci che a noi pi interessa, dellopera italiana e della sua ricezione americana. Cfr. W. Weber, The Rise of the Musical Classics in Eighteen-Century England. A Study in Canon, Ritual, and Ideology, Oxford, Clarendon Press, 1992; Id., Music and Dance, cit.; L.W. Levine, Highbrow/Lowbrow. The Emergence of Cultural Hierarchy in America, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1988. Ritroveremo Levine, che anche studioso della cultura afroamericana, parlando del jazz. 21 Ma vedi DeNora, Beethoven and the Construction of Genius, cit., che colloca lavvio di questo stesso processo di costituzione di una gerarchia culturale in campo musicale, nella sua componente peraltro solo ideologica e non anche istituzionale, nella Vienna di fine Settecento. 22 Anche in quella Francia che ha visto nascere i primi chansonniers e il cui esempio citato a prova di una presunta (e naturalmente negativa) eccezionalit italiana da Peroni, Il nostro concerto, cit., p. 10. Sulla persistenza delle gerarchie culturali nella Francia contemporanea il rimando dobbligo al celeberrimo libro di P. Bourdieu, La distinzione. Critica sociale del gusto, Bologna, Il Mulino, 1983, 2000. 23 Sempre secondo W. Weber, Music and Dance, cit., p. 146, la nascita dei concerti di musica classica nei primi decenni dellOttocento avvenne in larga parte come reazione a ci che sarebbe stata chiamata popular music. Come ha mostrato P. DiMaggio, anche negli Stati Uniti quello che possiamo considerare come il modello dellalta cultura si costituito per reazione alla progressiva commercializzazione della vita culturale, compresa quella musicale, attraverso le strategie di distinzione perseguite dalle lite urbane, con la consulenza estetica di intellettuali europei o che si erano formati in Europa: cfr. P.J. DiMaggio, Cultural Entrepreunership in Nineteenth Century Boston, I, The Creation of an Organizational Base for High Culture in America, Media, Culture and Society, 4, 1982, pp. 33-50. 24 Su questo lavoro intellettuale cfr. anche R. Chartier, Popular Culture: A Concept Revisited, Intellectual History Newsletter, 15, 1993, pp. 3-13. Il libro che Jon Cruz ha dedicato alla scoperta degli spirituals negli Stati Uniti di fine Ottocento in questo senso esemplare di come una ricerca insieme storica e sociologica sulla musica e su una musica decisamente non di tipo colto come era quella degli schiavi neri, appunto, una musica marginale possa produrre risultati sorprendentemente ampi, giungendo a mettere in luce (e in discussione) processi e meccanismi di costituzione dello stesso sapere intellettuale e dei suoi metodi. Ci che Cruz ha scoperto infatti il nesso profondo che unisce, in un rapporto di causa ed effetto, la ricerca sui canti religiosi neri di met Ottocento, su basi abolizioniste, e lo sviluppo nei decenni successivi di una intera tradizione di studi culturali, che lautore chiama interpretazione culturale americana (Culture on

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Non un caso che proprio tra la fine del XIX secolo e linizio del XX Middleton individui il secondo momento di rottura, con la crescente internazionalizzazione musicale associata alla nascita dellegemonia americana (le cui tracce sono ad esempio visibili, per evocare un caso insieme ben noto e che ci riguarda direttamente, nella carriera internazionale di Toscanini, che ai primi del secolo lascia la Scala per il Metropolitan, e che negli Stati Uniti tra le due guerre avrebbe trovato la sua definitiva consacrazione)25. Sono gli anni del ragtime, della scoperta da parte dei bianchi della musica nera, della nascita e della diffusione un po ovunque del jazz, delle canzoni di Gerswhin e di Tin Pan Alley, dellinvenzione e della moda dei nuovi balli che fanno impazzire le nuove generazioni come il foxtrot, il charleston e poi lo swing e soprattutto dello sviluppo di una vera e propria industria discografica e del suo rapporto funzionale con la radio prima e il cinema poi, nuovi mezzi di produzione e di comunicazione che avrebbero cambiato drasticamente la vita musicale, non solo quella popular26. Da questo momento in poi, come

scrive Middleton, industria e arte musicali saranno sempre in conflitto simbiotico, sia nel campo popular che in quello colto, dlite. Come vedremo, ci avr conseguenze rilevanti sullo sviluppo storico del jazz, un genere musicale i cui praticanti e appassionati inizieranno almeno dagli anni Quaranta a trasformare in qualcosa di diverso e di pi di quella musica leggera o (spregiativamente) popular con cui era identificata. Terzo momento di rottura storica, nel cui orizzonte ancora si pu dire viviamo musicalmente, quello che si svolge nel secondo dopoguerra, e del quale sintomo pi eclatante la nascita di quello che verr chiamato dapprima rocknroll quindi, pi semplicemente, rock. Come vedremo, un processo genetico non solo articolato e stratificato, ma anche di non breve durata. su questi due ultimi momenti di transizione epocale nella storia musicale contemporanea identificabili grosso modo come let del jazz e quella del rock che la ricerca in questo campo si soprattutto indirizzata negli ultimi anni, confidando che il prisma musicale potesse gettare luce nuova su

the Margins. The Black Spiritual and the Rise of the American Cultural Interpretation, Princeton, Princeton University Press, 1999). 25 Sul significato sociologico e istituzionale di questo passaggio da Milano a New York mi permetto di rinviare al mio Alla Scala. Cambiamento istituzionale e trasformazioni sociali dellopera italiana tra Otto e Novecento, Polis, 2000, n. 2. Ma sulla fortuna americana di Toscanini, e sul suo culto mediatico (e popolare), fondamentale J. Horowitz, Toscanini, Milano, Mondadori, 1988 [New York, 1987]. 26 Un classico commentatore di questi cambiamenti da un punto di vista modernista, parziale certo ma anche brillante, stato Adorno, emigrato negli Stati Uniti nel 38 e l coinvolto nella grande ricerca sulla radio (e sulla musica radiofonica) diretta dallaustriaco P.F. Lazarsfeld. Di quel lavoro un documento storico straordinario, anche perch prefigura la successiva analisi dellindustria culturale contenuta nella celebre Dialettica dellilluminismo scritta con Max Horkheimer, il saggio On Popular Music, del 41, ora disponibile in edizione italiana a cura di chi scrive (cfr. T.W. Adorno, Sulla popular music, Roma, Armando, 2004), alla cui introduzione rimando per maggiori notizie. Un sintetico ma informato e autorevole profilo storico sullindustria discografica su scala internazionale offerto da P. Gronow e I. Saunio, An International History of the Recording Industry, London-New York, Cassell, 1998.

processi e istituzioni da tempo indagati (come il nazismo), ma anche con la precisa e consapevole volont di aprire inedite piste di ricerca privilegiando un aspetto della vita contemporanea nel corso del Novecento divenuto inequivocabilmente pi centrale.

Razze, nazioni, culture: il jazz


e le sue storie
Non un caso che, se c un settore della musica popular in cui la storiografia ha edificato qualcosa di consistente, questo comunque proprio quello del jazz musica nera che per anche, da mezzo secolo ormai, la meno popolare di tutte le forme storiche ed estetiche di popular music. Abbiamo gi accennato allincursione, alla fine degli anni Cinquanta, in questo campo su cui ancora gravavano forti pregiudizi tra gli storici professionali, di un autore di tutto rispetto come Eric Hobsbawm, pronto a coniugare la sua passione per questa musica (accompagnata peraltro da un atteggiamento piuttosto insofferente nei confronti del neonato rock) con le esigenze della (allora) nuova storia dal basso27. Peraltro, la sua storia sociale del jazz poteva gi allora contare su una ricca messe di studi, anche di carattere storico, opera di critici musicali preparati, i cui celebrati lavori sin dagli anni Trenta avrebbero

dato vita a una vera e propria storia ufficiale del jazz, una tradizione jazz, alla cui decostruzione storiografica, sulla scorta di suggestioni post-strutturaliste (alla Hayden White, per intenderci), ha dedicato un articolo per molti aspetti esemplare uno dei migliori studiosi del jazz in circolazione28, autore tra laltro di una acclamata storia sociale e musicale sulla nascita del be-bop: lo stile con cui il jazz avrebbe smesso i panni del semplice intrattenimento commerciale per iniziare il suo cammino nel mondo dellarte, sino a essere riconosciuto, secondo una formula citatissima, come la musica classica dellAmerica, patrimonio nazionale da tutelare e promuovere con fondi pubblici. Il solido, intelligente e documentato studio che De Vaux ha dedicato allemergere di questo stile mostrando peraltro le sue continuit con il precedente swing che era poi un intero sistema culturale ed economico e interpretandolo come risultato di precise strategie di professionalizzazione perseguite da alcuni musicisti neri (primo fra tutti Coleman Hawkins) negli anni della guerra29, una delle prove pi brillanti di questa giovane storiografia americana sul jazz, spesso esito di tesi di dottorato discusse in prestigiose universit sotto la guida di qualche autorevole storico.

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E.J. Hobsbawm, Storia sociale del jazz, cit. S. De Vaux, Constructing the Jazz Tradition: Jazz Historiography, Black American Literature Forum, 25, 1991, n. 3, pp. 525-60. Secondo De Vaux questa sorta di storiografia ufficiale del jazz insieme sintomo e causa della sua accettazione, nelluniversit e nella societ nel suo complesso, come musica darte. A questo approccio celebrativo, che altro non se non unideologia (sotto forma di narrazione) del jazz come oggetto estetico, lautore invita a sostituire un approccio pi attento a questioni di specificit storica (p. 553). 29 S. De Vaux, The Birth of Bebop. A Social and Musical History, Berkeley, University of California Press, 1997. Una solida ricostruzione del mondo delle big band dello swing nel contesto della storia culturale e sociale americana tra le due guerre quella di L.E. Erenberg, Swingin the Dream. Big Band Jazz and the Rebirth of American Culture, Chicago, University of Chicago Press, 1998.
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il caso del gi citato Levine, che sviluppando le sue gi ricordate ricerche sullemersione negli Stati Uniti della gerarchia (eurocentrica) cultura alta/cultura bassa, e quelle ancora precedenti sulla cultura nera americana tra sette ed ottocento, ha suggerito come la vicenda dei rapporti tra jazz e cultura intendendo questa, esplicitamente, come quella particolare costruzione simbolica e discorsiva che la cultura cosiddetta alta, quella insomma con la C maiuscola siano stati tali da trasformare nel corso del Novecento e negli Stati Uniti non solo e non tanto il jazz in una forma darte, ma anche e soprattutto il nostro [cio americano] senso dellarte e della cultura30. Il tema della forza sociale del jazz se vogliamo, del jazz come agente di storia peraltro anche al centro di due ampi studi dedicati alle fortune di questa musica nera nella vecchia Europa. Basandosi su una mole notevole di fonti archivistiche oltre che di interviste a protagonisti di quegli anni, in Different Drummers. Jazz in the Culture of Nazi Germany 31, Michael H. Kater gi noto come storico sociale del nazismo32 ha ricostruito minuziosamen-

te la vicenda dello swing nel Terzo Reich, documentando con rigore la sua sopravvivenza nonostante la politica ufficiale di censura e di proibizione nei confronti di una musica degenerata, perch di origine nera e suonata da ebrei o americani. Risultato tanto pi rilevante poich Kater ne mostra al contempo il progressivo costituirsi, almeno in alcune cerchie, a simbolo di libert e di resistenza nei confronti del regime. Importato in Germania alla fine della prima guerra mondiale, dopo che era gi arrivato in Francia e in Inghilterra, il jazz
nel Terzo Reich si rivelato unarte elastica, capace di recupero (resilient). A causa della imperfezione dei controlli, delle migliorate condizioni economiche dopo la depressione, e della centralit di Berlino, che ostentatamente ha ospitato le Olimpiadi del 1936, questa musica ha continuato non solo ad esistere, ma a fiorire in Germania dopo il 1933 sino agli inizi della guerra (p. 57).

A consentire questa persistenza, non fu solo la tenacia e lapprezzamento estetico di musicisti e anche musicologi (come noto, tra questi non vi era per Adorno, la

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L.W. Levine, Jazz and American Culture, Journal of American Folklore, 102, 1989, n. 403, p. 18. Ma vedi anche, dello stesso, Black Culture and Black Consciousness: Afro-American Thought from Slavery to Freedom, New York, Oxford University Press, 1977. Nasce dalla scuola di Levine, come quello di De Vaux, anche il libro di B.W. Peretti, The Creation of Jazz. Music, Race and Culture in Urban America, Chicago, University of Chicago, 1992. Di taglio pi esplicitamente sociologico (ma anchesso esito di una tesi di PhD) invece P. Lopes, The Rise of a Jazz Art World, Cambridge, Cambridge University Press, 2003, che applica alla vicenda (artistica) del jazz la teoria sociologica dei mondi dellarte di H.S. Becker (Mondi dellarte, Bologna, Il Mulino, 2004 [Berkeley, 1982]). 31 New York, Oxford University Press, 1992. Il libro il primo di una trilogia sulla musica nel Terzo Reich, che oggi include The Twisted Muse. Musicians and their Music in the Third Reich, Oxford, Oxford University Press, 1999, e Composers of the Nazi Era, Oxford, Oxford University Press, 2001. 32 Vedi ad esempio M.H. Kater, The Nazy Party. A Social Profile of Members and Leaders, 1919-1945, London, Blackwell, 1983.

cui resistenza estetica e ideologica al jazz in quanto musica triviale era tale da fargli approvare, nonostante fosse ebreo e antinazista, il bando nei suoi confronti) 33, ma alla fine anche la sua strumentalizzazione in quanto musica popolare a fini di propaganda da parte di un regime assai meno capace di tenere tutto sotto controllo di quanto non dica una certa storiografia 34. Allo stesso periodo cruciale, ma questa volta focalizzandosi sul caso radicalmente diverso della Francia invece dedicato il recentissimo libro di Jeffrey H. Jackson, Making Jazz French: Music and Modern Life in Interwar Paris35. Se il fuoco qui sulla ricezione del jazz in una Francia non solo risparmiata dalla dittatura ma anche meta di numerosi afroamericani sin dal primo dopoguerra, il suo interesse sta per soprattutto nella dimostrazione che impossibile comprendere il jazz, questa musica americana per eccellenza, senza prestare attenzione al fitto intreccio di scambi internazionali che hanno storicamente segnato la sua

vicenda. E questo non solo perch i musicisti e gli appassionati francesi hanno alterato il significato e la percezione del jazz in particolare associandolo con il primitivismo africano oltre che con il modernismo americano (che non tutti gradivano), e leggendolo romanticamente come un ritorno a quel mondo contadino francese che stava scomparendo ma anche perch i nuovi significati acquisiti in Francia hanno poi influenzato la stessa percezione del jazz negli Stati Uniti compresa quella costruzione di una jazz tradition di cui parla De Vaux (non a caso, Hugues Panassi, fondatore e guida del celebre Hot Club de France a cui si deve gran parte della storia francese del jazz e non solo, anche lautore del primo serio tentativo di definizione di questa nuova musica, il libro Le Jazz Hot, prontamente tradotto in inglese nel 1936, e collocato da De Vaux allinizio della storiografia jazz)36. Mentre la ricostruzione dei conflitti tra i diversi quartieri che incarnavano la scena musicale parigina negli anni Venti Mont-

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33 Latteggiamento critico verso il jazz di Adorno, le cui motivazioni sono sicuramente pi complesse di quanto Kater lascia intendere, non sarebbe cambiato neppure in esilio, e avrebbe costituito una sorta di leitmotiv della sua critica sociale della musica. Vedi J. Bradford Robinson, The Jazz Essays of Theodor Adorno: Some Thoughts on Jazz Reception in Weimar Germany, Popular Music, 13, 1994, n. 1, pp. 1-25; E. Wilcock, Adorno, Jazz and Racism: Uber Jazz and the 1934-1937 British Jazz Debate, Telos, 107, 1996, pp. 63-80. 34 Come riconosce non nel libro, ma in un articolo che lo precede, Kater sviluppa qui note (e provocatorie) suggestioni originariamente avanzate da Detlev Peukert con la sua storia della vita quotidiana del Terzo Reich, che anche nellambigua cultura tedesca dello swing aveva individuato uno dei tanti paradossi lasciati irrisolti dalla storiografia pi tradizionale. Vedi D. Peukert, Storia sociale del Terzo Reich, Firenze, Sansoni 1989 [1982]; M.H. Kater, Forbidden Fruit? Jazz in the Third Reich, The American Historical Review, 94, 1989, n. 1 (suppl.), pp. 12-13. 35 Durham, Duke University Press, 2003. Ma vedi anche J.H. Jakson, Making Jazz French: The Reception of Jazz Music in Paris, 1927-1934, French Historical Studies, 25, 2002, n. 1, pp. 149-170. 36 Vale la pena notare che secondo il critico Adriano Mazzoletti, autore di quello che ad oggi la pi completa e documentata ricostruzione storica del jazz in Italia, ci che manc al jazz italiano furono i critici, gli animatori, i promotori che furono cos attivi in altre nazioni europee, soprattutto Francia e Belgio. LItalia non ebbe nella stessa epoca i suoi Panassi o Goffin (Il jazz in Italia. Dalle origine alle grandi orchestre, Torino, Edt, 2004, p. 170).

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martre alto, Montmartre basso, Montparnasse, ciascuno specializzato nellofferta di un genere musicale offre spunti anche per una lettura insieme storica e sociale del mutevole status simbolico goduto dalla stessa chanson (che non affatto quella forma culturale stabile e definitivamente legittimata che una certa retorica diffusa nel nostro paese lascia credere)37 la tesi della francesizzazione del jazz, della sua appropriazione e trasformazione in una struttura simbolica locale mostra quanto proficua possa essere, anche in campo musicale, una chiave di lettura della modernit come quella sviluppata dallantropologo Arjun Appadurai, capace di articolare la globalizzazione in termini pi complessi (e transnazionali) di quelli suggeriti da idee diffuse nel discorso storiografico come quelle dellimperialismo culturale o della americanizzazione38.

Adolescenza, sessualit,
guerra fredda: nascita e diffusione del rock
Se nel caso del jazz la storiografia gi da tempo di casa, in quello del rock il contributo degli storici ancora decisamente agli inizi39. Vi sono diversi contributi su quelli che sono considerati i prodromi del rock nella cultura (non solo musicale) americana in realt esperienze musicali in s compiute e relativamente ancora ben radicate come il blues, il country, il bluegrass o la canzone politica40 ma il rock ancora soprattutto appannaggio della sociologia e almeno per il periodo pi recente, con un fuoco privilegiato dagli anni Settanta in poi di quella corrente interdisciplinare che sono i cultural studies (da cui i popular music studies sono un aspetto)41. Ci detto, occorre per anche avvertire che gli studi sul rock scontano inevitabilmente

Sulle alterne vicende della chanson posso qui solo rimandare al recente P. Hawkins, Chanson: The French Singer-Songwriter from Aristide Bruant to the Present Day, Alderhsot, Ashgate, 2000. Ma vedi anche, con specifico riferimento ai rapporti di conflitto e contaminazione tra chanson intesa come mito nazionale e culture musicali anglosassoni, D.L. Looseley, Popular Music in Contemporary France. Authenticity, Politics, Debate, Oxford, Berg, 2003. 38 A. Appadurai, Modernit in polvere, Roma, Meltemi, 2001. Per il periodo successivo a quello trattato nel libro di Jackson cfr. L. Tourns, La popularisation du jazz en France (1948-1960): les prodromes dune massification des pratiques musicales, Revue Historique, 617, 2001. 39 Ci non significa che non ci siano studi anche di respiro sulla storia del rock: oltre a C. Belz, Storia del rock, Milano, Mondadori, 1975 [Oxford, 1969], possiamo qui ricordare almeno il recente Rock and Roll: A Social History, di Paul Friedlander (Boulder., Co., Westview, 1996). Ma si tratta, come si pu intuire, di lavori di taglio pi enciclopedico e in fondo giornalistico che non di ricerca storiografica. tuttavia da segnalare il recente volume di G.C. Altschuler, All Shook Up: How Rocknroll Changed America, New York, Oxford Up, 2003, che avrebbe certo meritato, se ci fosse stato lo spazio, di essere discusso in queste pagine. 40 Vedi ad esempio R. Cantwell, Bluegrass Breakdown. The Making of the Old Southern Sound, Chicago, University of Illinois Press, 1984; R. Liebermann, My Song Is My Weapon. Peoples Songs, American Communism, and the Politics of Culture, 1930-1950, Chicago, University of Illinois Press 1989. Ma sulla canzone politica americana vedi anche A. Portelli, Canzone politica e cultura popolare in America. Il mito di Woody Guthrie, Roma, DeriveApprodi, 2004 (che per la riedizione, con altro titolo, di un libro del 1975). 41 Tra i molti titoli, segnalo qui almeno quello di I. Chambers, Ritmi urbani, Genova, Costa & Nolan, 1996 [Basingstoke, 1985], e recentemente riedito con una nuova prefazione (Roma, Arcana, 2003).

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la pluralit di significati attribuiti nel tempo e sempre attribuibili a questa etichetta non solo da parte di musicisti, discografici e fan, ma anche di giornalisti, critici e studiosi, che viene utilizzata pi o meno a ragione per indicare stili e forme estetiche anche molto differenti (e in continua evoluzione), e che alcuni fanno coincidere addirittura con la popular music stessa. Ma dovrebbe forse leggersi tutto ci, pi che come un freno al suo studio, come una spia della ricchezza straordinaria di un fenomeno storico alla cui formazione hanno contribuito molteplici fattori di vario ordine (economico, politico, demografico, oltre che strettamente musicale), che nel corso del tempo si intrecciato con molteplici aspetti della vita sociale (dalla politica alla sessualit) e il cui successo e la cui diffusione su scala mondiale lo ha associato di volta in volta con valori, significati, paure, e strategie diverse e non generalizzabili. Nellimpossibilit di rendere qui conto di una simile complessit e variabilit, ho scelto di concentrarmi su due recenti studi

che mi sembrano significativi del lavoro in corso. Il primo un esempio di quella che possiamo chiamare sociologia storica del rock42. Si tratta di una ricerca (tuttora in corso) del sociologo americano William T. Bielby su un campione di soggetti della prima generazione che ha vissuto il rock and roll, e che vivevano allora (cio tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta) in quartieri operai della periferia di Chicago, unarea mista sotto il profilo razziale ma fortemente segregata43. Si tratta dunque bench lautore non usi questa formula di una ricerca di storia orale, su individui che erano adolescenti ai tempi della nascita del rock, e che hanno partecipato alla sua diffusione come musicisti amatoriali ( grassroots musicians), spettatori di esibizioni, o addetti al settore musicale (negozi, locali ecc.). Tra gli interrogativi che Bielby pone : perch la banda rock and roll emersa e si istituzionalizzata sin dallinizio, cio quando non esistevano ancora convenzioni n pratiche consolidate, come una forma culturale maschile, quando tutte le cono-

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A questo filone appartiene anche il sostanzioso lavoro di P.H. Ennis, The Seventh Stream. The Emergence of Rocknroll in American Popular Music, Hannover, Wesleyan Press, 1992, che ha ricostruito lavvento del rock come risultato di una trama complessa di forze insieme musicali, culturali e sociali a partire da sei correnti musicali, che lautore identifica come pop bianco, pop nero, country pop, gospel, jazz e folk. (Una corrente musicale, nel linguaggio di Ennis, una forma culturale complessa ma dalla struttura flessibile composta di tre elementi, distinti e per interconnessi: un sistema artistico, un sistema economico e un insieme pi o meno ampio di movimenti sociali. Con questo apparato concettuale, Ennis cerca di salvaguardare qualcosa che spesso viene meno nelle costruzioni del sociologo, e cio la contingenza storica). per a Richard Peterson che si deve quella che probabilmente linterpretazione sociologica pi influente della nascita del rock. La sua una ricostruzione insieme storica e analitica dellavvento di questo genere dai confini incerti, convenzionalmente posta a met degli anni cinquanta, a partire da unanalisi dettagliata dei fattori istituzionali, professionali, legali e tecnologici (Why 1955? Explaining the Advent of Rock Music, Popular Music, 9, 1990, n. 1, pp. 97-116). In entrambi i casi, a essere fortemente ridimensionata, contro una diffusa interpretazione, linfluenza di una qualche personalit artistica eccezionale (leggi Elvis Presley) e del cambiamento nella struttura demografica e quindi nel pubblico (il baby-boom). 43 W.T. Bielby, Rock in a Hard Place: Grassroots Cultural Production in the Post-Elvis Era, American Sociological Review, 69, 2004, pp. 1-13. Larticolo che riproduce il Presidential Address dellAmerican Sociological Association dellanno precedente unanticipazione dei risultati della ricerca in corso.

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scenze a disposizione mostrano che prima dellesplosione del rock a met anni Cinquanta, la produzione di popular music non mostrava segni di dominanza maschile, e che ricerche famose, condotte proprio a Chicago44, anche dopo lavvento del rock, dimostrano che le ragazze avevano tassi sistematicamente pi alti di partecipazione alla cultura popular dei maschi (ad esempio, come ascoltatrici di musica)? La risposta apparentemente pi plausibile quella, ben nota, che fa leva sulla ribellione adolescenziale maschile come cifra mitica della nascita del rocknroll, rappresentata originariamente e diffusa ovunque da film come Rebel Without a Cause e impersonata nelle sue prime comparse televisive da Elvis Presley. Al contrario, prosegue questa spiegazione, le adolescenti erano pi coinvolte nella cultura popular ma anche meno ribelli: erano cos attratte da musiche pi leggere, spesso con accompagnamento orchestrale, e con temi romantici. Purtroppo, questa spiegazione che stata spesso accettata anche dalla sociologia contraddice dati raccolti in quegli anni, che mostrano che il rock and roll era lo stile musicale preferito anche dalle ragazze (almeno nella stessa misura dei ragazzi), e che allapice del successo di Presley, il cantante pi popolare per entrambi i generi era Pat Boone, cio quello meno ribelle e pi gradito ai genitori. Ci che manca in questa spiegazione, sostiene Bielby del tutto in linea con quella che una delle strategie esplicative pi

consolidate nellattuale sociologia della cultura unattenzione per lorganizzazione sociale delle scuole di allora e per come questa si intersecava con le scelte di vita degli adolescenti. In breve, la tesi del sociologo americano che il rocknroll abbia costituito per quegli adolescenti una via di acquisizione dello status nel gruppo dei pari alternativa a quella delle attivit sportive, organizzate e sanzionate dalla scuola, e che esponeva soprattutto i maschi a un sistema di valori centrato sulla competizione e la gerarchia. Dimostrare competenza nel rock una musica che per la prima volta poteva suonarsi con bassi costi e da autodidatti, e il cui codice culturale poteva apprendersi dalla radio e dalla televisione era un modo per chi non riusciva nello sport di guadagnare lo stesso tipo di accettazione tra pari di chi era atleticamente competente. A fare la differenza tra maschi e femmine era per il diverso statuto istituzionale della partecipazione al rock e allo sport: se il secondo era infatti ben integrato nel sistema istituzionale scolastico, il primo era invece completamente separato e autonomo, non solo dalla scuola ma anche dal controllo, mediato e diretto, dei genitori: e questo come sembrano dimostrare le interviste stato un fattore che ha tagliato fuori le ragazze dalla scena rock sin dagli inizi. Quello che sembra sottovalutare per Bielby proprio la forza dei significati sessuali incorporati nel rock anche grazie a sapienti operazioni di marketing sin dalla sua nascita, come ha dimostrato la storica

44 J. Coleman, The Adolescent Society, New York, The Free Press, 1961. Linteresse del lavoro di Bielby sta dunque anche nel suo recupero, come fonte storica, di (peraltro celebri) ricerche sociologiche.

Uta G. Poger studiando i primi tempi del rocknroll non in America ma nella Germania divisa dellimmediato dopoguerra 45. Qui non solo il rock venne interpretato, al suo arrivo, come un pericoloso fattore di sessualizzazione delle quindicenni (secondo un commento dellepoca), ma venne immediatamente politicizzato come una minaccia alle norme tradizionali di genere, e in particolare di rispettabilit femminile e di mascolinit, che le autorit delle due Germanie avevano messo al centro dei propri progetti di ricostruzione. Una minaccia, tra laltro, resa ancora pi grave dal fatto che questa sessualit sfrenata si associava, agli occhi dei commentatori e dei funzionari tedeschi e diversamente che negli Stati Uniti, alla negritudine, simbolo di alterit razziale. A essere minacciata era insomma, ancora una volta, lidentit nazionale tedesca. I fan del rock and roll erano quindi doppiamente trasgressori, dei confini di genere e di quelli di razza. Al di l della loro consapevolezza, nella misura in cui potevano produrre cambiamenti sociali, le loro azioni e presenze erano per ci stesso politiche, e come tali venivano spesso lette dalle autorit. Non era naturalmente questa la prima volta che la cultura popular americana appariva
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sovversiva in Germania: il caso del jazz gi visto, ed esaminato anche dallautrice, ne una prova. Ma come il Terzo Reich non riusc a impedire al jazz di resistere e anzi di fiorire nonostante la censura, cos anche il rock non venne fermato. E in questa sua diffusione, da un certo momento in poi istituzionalmente favorita per i suoi nessi con lespansione di una cultura del consumo nella Germania dellOvest, esso venne per alterato, addomesticato dice lautrice, attraverso il lavoro congiunto di intellettuali e politici liberali (come Ludwig Erhard, ad esempio, o il sociologo Helmut Schelsky), tra laltro facendo ricorso a teorie psicologiche come quella della generazione scettica46 per spiegare la ribellione adolescenziale che si esprimeva nel rock. Depoliticizzato, reso una forma culturale privata e sostanzialmente neutrale, il rock and roll pot integrarsi nella cultura degli adolescenti, non pi solo di classe operaia ma anche di classe media e medio-alta, perdendo sempre pi i suoi riferimenti razziali e producendo uno slittamento di significato del termine teenager, originariamente importato per indicare le fan di Presley, ma dal 1957 in poi divenuto una semplice etichetta valida per tutte i giovani indipendentemente dalla loro appartenenza di classe 47.

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U.G. Poger, Jazz, Rock and Rebels: Cold War Politics and American Culture in a Divided Germany, Berkeley, University of California Press. Ma vedi anche, della stessa, RocknRoll, Female Sexuality, and the Cold War Battle over German Identities, The Journal of Modern History, 68, 1996, n. 3, pp. 577-616, e per un riferimento ormai classico sulla questione, da un punto di vista sociologico, S. Frith e A. McRobbie, Rock and Sexuality, Screen Education, 29, 1978, pp. 3-19. 46 H. Schelsky, Die skeptische Generation. Eine Soziologie der deutschen Jugend, Duesseldorf, Eugen Diederichs Verlag, 1963. 47 Quanto diversa possa essere la storia del rock nei paesi in via di sviluppo dimostrato dalla sua traiettoria in Messico, dove stato interpretato e accolto alla fine degli anni Cinquanta come una metafora della modernit e del progresso della classe media, per divenire nel corso del decennio successivo un significativo veicolo di ribellione giovanile e di protesta contro gli eccessi di quella stessa modernit: vedi E. Zolov, Refried Elvis. The Rise of the Mexican Counterculture, Berkeley, University of California Press, 1999.

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Nella Germania dellEst, dove ancora negli anni Cinquanta, il jazz poteva essere attaccato come decadente e deviante nonostante la sua origine nera, e quindi in una comunit repressa, costituisse un merito per lideologia comunista il rock avrebbe incontrato sempre ostacoli alla sua diffusione, possibile solo se regolamentata, e non avrebbe mai perso la sua aura politica. Anche qui come in tutti i paesi del blocco comunista48 il rock sarebbe stato addomesticato, tramite forme di patronato di stato generalmente accettate dai musicisti. Ma, anche cos regolamentato e di fatto integrato nel regime, esso pare che abbia comunque svolto un ruolo significativo, attraverso

i musicisti meno allineati e i loro fan, e questi con le loro tante pi o meno efficaci azioni di opposizione e sfida al regime, o anche solo con la costruzione e la propagazione di un discorso centrato sui valori della solidariet, nelle lotte politiche che avrebbero infine portato alla caduta del Muro49. Del resto, che la popular music, che le canzoni, possano essere agenti di storia si sa. Allo storico il compito di documentare, di raccontare, di discutere criticamente e se possibile di spiegare come questo avvenga, usando le sue competenze e le sue sensibilit, ma certo anche mettendo a frutto le tecniche, gli approcci e i risultati delle molte discipline che operano in questo campo.

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48 Per uno sguardo panoramico, in prospettiva storica, pu vedersi T.W. Ryback, Rock Around the Bloc: A History of Rock Music in Eastern Europe and the Soviet Union, Oxford, Oxford University Press, 1990. 49 questa la tesi di P. Wicke, una delle autorit nel campo dei popular music studies, da lui argomentata in pi luoghi, tra cui The Role of Rock Music in the Political Disintegration of East Germany, in J. Lull (a cura di), Popular Music and Communication, London, Sage 19922. Ma vedi anche le riflessioni critiche di J. Pekacz, Did Rock Smash the Wall? The Role of Rock in Political Transition, Popular Music, 13, 1994, n. 1, pp. 41-49.

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